A slash on the ground

di Piccola Stella Senza Cielo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sera d'estate ***
Capitolo 2: *** Sul palco ***
Capitolo 3: *** Sweet child o'mine ***
Capitolo 4: *** Lei ***



Capitolo 1
*** Sera d'estate ***


Certe sere sono incredibili. Sere in cui il cielo notturno fa di tutto per essere guardato. E ci riesce. Sere in cui ti viene la voglia di contare tutte gli astri della volta celeste, anche se sai quanto sia fottutamente impossibile. Così, mi accontento di fare quel gioco che mi fu insegnato quando ero piccolo, riconoscere le costellazioni. Quella dovrebbe essere il toro...sì, è proprio lei. Ma ecco che laggiù, inconfondibile, brilla la stella Sirio, la più luminosa del cielo. Quante volte, nei miei sogni di grandezza, ho desiderato splendere come lei. Forse perché all'ambizione sono stato iniziato fin da piccolo. Ricordo quando la nonna mi regalò la mia prima chitarra. "Saul, è arrivata la nonna"
"Sì, vengo, mamma"
Avevo quindici anni. Ero sempre felice di vedere la nonna. Tutt’ora penso che sia stata una delle persone che nella mia vita ho amato di più. E ogni notte mi viene in sogno, a chiedermi se sono ancora contento di ciò che accadde quel giorno che sto per raccontarvi.
Scorsi la piccola ed esile figura della nonna, curva sotto il peso di un ingombrante fagotto. Le andai incontro.
"Saul, tesoro, com’è bello rivederti" mi disse, con gli occhi che le brillavano "ho un pensierino per te...perché non ci vediamo da così tanto tempo".
Io le sorrisi. Non sono mai stato abituato a parlare molto, e ho sempre preferito un largo e sincero sorriso a formali ringraziamenti.
Scartai il pacco e notai che all’interno c’era una chitarra classica, bellissima, di legno chiaro. La presi in mano. Ero affascinato da quello strumento, ma di chitarre ne sapevo così poco...
La nonna evidentemente mi lesse negli occhi l'incertezza e l'imbarazzo del momento, e disse:
"Non preoccuparti, ragazzo mio. Metti le mani sulle corde, il resto verrà da sé. Sarà l'istinto a guidarti"
"Ma io...non so..."
"Non c'è bisogno che qualcuno t'insegni. Tu sei fatto per la chitarra e lei è fatta per te. Lo so. Un giorno mi darai ragione"
Sì, nonna adorata, oggi come oggi devo davvero darti ragione. Sei sempre stata il mio angelo, lo sarai sempre. E chissà se oggi non mi guardi ancora da quelle stelle, attenta a che io non cada dalla bicicletta oche non mi faccia male col coltello mentre sbuccio una mela.

Una mano sulla spalla mi distoglie dai miei pensieri. Mi volto. E' Axel.
"Sempre tutto solo, a guardare il cielo...che fai, cerchi d'indovinare lo zodiaco della settimana prossima- o di stasera?"
"Sei sempre il solito stronzo...devo prendere sempre un po' d'aria, prima di esibirmi, mica mi viene così naturale...?"
Axel scoppia a ridere. La sua è una risata contagiosa, che ti strappa un sorriso anche se è morto qualcuno. Ecco perché il pubblico lo ama. E lo amiamo anche noi altri Guns'n Roses. Si passa una mano tra quei suoi lunghi capelli biondi e mi dice:
"Senti, caro il mio stilita, perché non prendi un po' la chitarra e inizi a strimpellare, che tra poco dobbiamo prepararci per il concerto..?"
Sbuffo e sfilo la chitarra elettrica dalla custodia. Comincio ad accarezzare le corde, piano, dolcemente.
Chiudo gli occhi.
E mando un bacio al cielo.
Quando riapro gli occhi la chitarra è pronta. La ripongo nella custodia e me la metto in spalla. Un altro concerto. Un'altra storia.

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Capitolo 2
*** Sul palco ***


Saliamo sul palco. Applausi scroscianti. Axl corre al microfono saltellando, con quel suo pantaloncino bianco, la giacca a quadrati rosa, la fascia sulla fronte. Sembra quasi un bambino. E come un bambino ride, saluta il pubblico.
“Hey! Sono felice che siete qui!”
Il pubblico risponde con un boato. Quant’è spazioso questo palco. La batteria è leggermente soprelevata, e mi chiedo come farà Steven a suonare, dato che soffre di vertigini. Aveva avuto dei problemi durante le prove, qualche volta perdeva la concentrazione. Ma la prova generale era andata abbastanza bene. Incrociamo le dita per lo spettacolo.
Forse l’amplificazione è troppo potente, le luci troppo forti. Mi abbagliano e mi intorpidiscono. Ma ci sto facendo l’abitudine. Tuttavia, ricordo con piacere i locali in cui suonavamo agli inizi. Cioè, proprio con piacere no, ma magari se ci penso scoppio a ridere.

Com’è che faceva quel brano dei Doors? Ah, sì. Riders on the storm, cavalieri nella tempesta. Eccoci qui. Bagnati, anzi, zuppi, a correre sotto il temporale. La nostra meta? Un locale chiamato Brian’s. Avevamo lasciato la vecchia Alfa Romeo a prendere acqua in mezzo alla strada. Aveva i finestrini rotti in precedenza da uno Steven ubriaco, e la pioggia entrava a bagnare i sedili e tutto l’interno. Prima di correre via, le avevo lanciato un’ultima occhiata disperata, giusto chiedendomi in che condizioni l’avremmo trovata al ritorno. Axl capì la mia perplessità e mi disse:
“Su, Slash...vedrai che quando saremo famosi di auto ne avremo a migliaia...quanto alla vecchia Giulietta...sarà esposta in un museo...”
Scoppiai a ridere e mi riparai la testa con la chitarra, ovviamente coperta dal fodero. Corremmo, corremmo forte, sotto la pioggia, l’acqua cadeva pesante, questo sì, ma mi sentivo felice. Forte, invincibile. Sentivo un senso di libertà che con la fama è andato un po’ scemando.
Il proprietario ci aspettava sulla soglia del locale. Avevamo fatto un po’, cioè, molto tardi. Il proprietario era esile e biondo, un’aria da ubriacone. E ubriaconi erano i suoi clienti, che dopo ogni serata ci divertivamo a prendere in giro. Tanto non capivano nulla.
Il palco era stretto, di legno. Ma il locale non era male. Ben curato, tutte le band emergenti passavano di lì, per farsi notare. E noi non volevamo essere da meno. Dovevamo accettare di non essere pagati, però.
Quella era la nostra prima serata lì. Non è che facemmo un figurone, perché non ci applaudì nessuno. Ma pazienza, l’importante era esibirci, non avevamo molte pretese. Almeno non troppe.
Ce ne andammo a mezzanotte circa, e aveva finito di piovere. Comprammo delle birre(abbastanza da farci perdere la capacità di intendere e di volere), sigarette, un po’ d’erba, e con la cara, vecchia, scassatissima Giulietta ci dirigemmo verso un parco pubblico, che di notte era pressoché deserto. Allora le birre scesero per le gole e successero cose che, pensandoci, potrebbero accadere anche oggi, da sobri. Steven usciva dall’auto e si denudava, Izzy e Duff facevano lo spadaccino con le bacchette di Steven, Axl prendeva la chitarra e suonava (e non era proprio cosa sua...sì, era un mito nel canto e col piano...ma la chitarra la doveva davvero lasciar perdere) e io cantavo. Già! Cantavo! Io che non ho mai accettato, né accetto tutt’ora, di dare anche il minimo contributo vocale alla band, prendevo un coccio di bottiglia e cominciavo a cantare, non importa cosa. Qualche volta ho pensato anche di chiedere ai miei compagni che impressione facevo loro quando cantavo. Ma ogni volta che mi saltava il ticchio di chiedere una cosa del genere, puntualmente venivo dissuaso da due motivi. Il primo è che probabilmente loro non si ricordano nulla, il secondo è che forse non lo voglio nemmeno sapere.

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Capitolo 3
*** Sweet child o'mine ***


Eccoci. Che lo spettacolo abbia inizio. Chissà perché la prima canzone è Sweet Child ‘o mine. Mah. Axl ha voluto così. E quando la sua personalità s’impone, c’è poco da fare. Ma il problema (è davvero un problema?) è che sono io a cominciare, con l’assolo iniziale. Ora io e la chitarra siamo una sola cosa. Che bella canzone. Axl comincia a cantare.

She’s got a smile that it seems to me
reminds me of childhood memories
where everything was as fresh
as the bright blue sky

Forse mi viene in mente una persona. Era tanto che non capitava. Non era successo neanche durante le prove. Sarà l’emozione, sarà che, quando faccio qualcosa di importante, nella mia mente appare sempre la stessa figura, quella figura che tanto somiglia al personaggio narrato nel nostro brano.

Now and then when I see her face
She takes me away to that special place
And if I stared too long
I'd probably break down and cry

Ecco. Una galleria di immagini mi ripassa davanti agli occhi. E’ strano. E’ strano di come il passato torni a macchiare il presente. E’ strano di come Lei mi torni alla mente, a distanza di anni, è strano di come la sua presenza ancora ingombri le mie giornate. E’ strano. Troppo strano. Forse perché strano è il modo in cui l’ho incontrata. Strano è tutto quello che c’è stato, e com’è finito.

“Slash, che hai oggi?”
Nella Hellhouse, la casa dove gli altri ed io vivevamo da quando avevamo formato la band, quel giorno regnava un silenzio di tomba. Izzy aveva fumato un po’ troppo, e se ne stava disteso sul divano con uno sguardo indecifrabile. Axl era arrabbiato, non era per niente contento di come le cose andassero con la band, era irritabile e bastava una cazzata qualsiasi per fargli perdere le staffe. Duff era uscito con la sua ragazza del momento(ne aveva una a settimana) e l’unico veramente lucido sembrava (stranamente) Steven. Per quanto mi riguarda ero triste, vedevo che in quel periodo eravamo buoni solo ad assumere droghe, e non combinavamo nulla, non scrivevamo canzoni ormai da tre mesi, se mettevo le mani sulla chitarra la facevo stonare, e non avevo voglia di fare nulla.
“Slash, ci sei? Ti ho chiesto che hai!!”
Io mi girai di colpo verso Steven. Dovevo avere davvero un brutto aspetto, visto che mi guardava con un’aria piuttosto stranita.
“Scendo a fare due passi” dissi, serio.
Avevo bisogno di sfogare la crisi artistica che stavo vivendo. Non riuscivo né a comporre, né a suonare. Uno strazio. Una volta in strada, estrassi il pacchetto di sigarette dalla tasca e cominciai a fumare. Ne feci fuori quattro. Camminavo, camminavo, con l’aria di chi sa dove sta andando. Ma in realtà non sapevo dove mi dirigevo, continuavo solo a camminare, finché...
Finché qualcosa non mi fermò.
Fu un attimo.
Passai davanti a una panchina, sulla quale era seduta una persona. Era una donna, o meglio, una ragazza, sui diciotto anni, non di più. Era immersa nella lettura, sembrava che non avesse alcun legame con il mondo circostante. I suoi occhi castani seguivano velocemente rigo dopo rigo, pagina dopo pagina. Fu quando la vidi che mi fermai. Sentivo un brivido scendere giù per la schiena. Che cazzo significava? Beh, comunque vada sentivo il bisogno di chiederle qualcosa – qualsiasi cosa. Una stronzata qualsiasi, pur di attrarre la sua attenzione su di me, anche solo per un istante. Le dissi la prima cosa che mi venne in mente.
“Ciao...sai non sono del posto...”(non sono del posto? Io?!)
Alzò i suoi occhi meravigliosi e mi osservò, aveva un’aria interrogativa, forse anche un po’ infastidita.
“...sai dirmi dove posso trovare un telefono pubblico?”(una scusa più idiota non la potevo proprio trovare)
In tutto questo mi ero messo a parlare con accento texano, e la cosa doveva essere talmente paradossale che la feci ridere. Il suo era un sorriso aperto e dolce, umile e sincero, insomma il sorriso della persona più pura del mondo, come si è dimostrata poi essere.
“Guarda” mi rispose, con voce armoniosa “Laggiù, al bivio, ci sono quattro cabine del telefono. Riesci a vederle?”
Io continuavo a guardarla. Lei aspettava che mi voltassi a vedere dove cavolo stessero quelle cabine. Ma non lo facevo. Così alzò un braccio e le indicò, senza smettere di fissarmi con aria interrogativa. Io allora mi risvegliai dal torpore in cui il suo viso mi aveva gettato e dissi:
“Ah, sì! Grazie”
Me ne andai. Ecco. Avevo fatto la figura dell’imbecille con la ragazza più bella del mondo. Ero molto soddisfatto di me. Sentii una voce chiamarmi.
“Aspetta!”
Mi era corsa dietro. Ora era affannata, ancora più bella.
“Ti sono cadute queste” mi disse, e mi porse il pacchetto di sigarette.
Era vicinissima. Rimasi pietrificato a guardarla.
Arrossì.
“Beh, allora ciao...” sussurrò, e scappò via.
L’avrei dovuta rivedere. Ancora. E ancora...

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Capitolo 4
*** Lei ***


Tornai a casa intorpidito. Confuso. Non sapevo neanch'io cos'è che era successo, era una sensazione nuova, fresca, intensa e...innocente. Le esperienze con le donne non mi mancavano, certo. Mi ero portato pure a letto qualcuna, qualche volta, ma mi era parsa sempre una cosa senza significato. Invece ora no. Incontrare quella ragazza era stato un soffio di vento in una giornata afosa.
Axl era ancora rosso di rabbia, era in piedi e aveva i muscoli contratti, che si notavano sotto la cannottiera bianca. Steven era a gambe incrociate sul vecchio divano sfatto, e scuoteva la testa. Si vedeva che la sua sopportazione stava per crollare. Tutti e due si voltarono nel momento esatto in cui entravo.
"Cos'è successo?"- chiesi, col sorriso sulle labbra.
"Cos'è successo?!" urlò Axl. "Succede che con i nostri tre mesi di arretrati il mese prossimo ci sfrattano, se non paghiamo l'affitto!"
Setven annuì. Ma sembrava piuttosto stanco per avere una qualsiasi reazione.
"Ah, ma Duff mi sente, appena torna!" continuò il cantante "Se crede di poter spendere tutto quello che guadagnamo col sudore della fronte in droghe e puttane lasciandoci senza un centesimo, si sbaglia di grosso!"
"Beh non credo sia il caso di scaldarsai così tanto..."azzardai.
"Tutti i nostri soldi vanno in mano alle sue troie!"
Axl, per qualche motivo ignoto, in quel periodo odiava le donne. Se uno di noi diceva di uscire con una ragazza, Axl diventava nervoso e dava in escandescenze, senza alcuna ragione apparente. Doveva saperlo che in quel momento anch'io ero rimasto confuso dalla sensazione alcolica che quegli occhi meravigliosi mi avevano lasciato nell'anima.
Axl, dopo un'altra breve sfuriata, si era finalmente calmato. Steven si era addormentato, e in quel momento era entrato Duff. Gli chiesi quanto aveva speso.
"Ehi, Saul, sai che non me ne intendo di contabilità..."
Accidenti, era di nuovo sotto effetto della droga. Lui con le donne ci andava a farsi. Non sapeva cosa fosse l'amore. Ma questi non erano discorsi da farsi. Aveva mai saputo Saul Hudson cosa fosse l'amore? L'amore è un sentimento strano, di natura varia e colorata. Amore è stare bene anche solo vedendo una persona. Amore è vedere apparire quella persona davanti ai tuoi occhi in qualsiasi momento. Amore è non desiderare altro che sentire sul proprio viso il respiro di QUELLA persona. E' avere voglia di piangere e ridere al contempo. Ma io che ne sapevo? Tutt'a un tratto mi ritrovavo a pensare quelle cose, così, dall'oggi al domani. E questo mi spaventava.
Quella sera uscii. Dovevo smetterla di pensare. Andai in quel nuovo locale che aveva aperto, come si chiamava, Tom's, se non sbaglio. Ero sceso svogliatamente di casa.
Il locale era abbastanza affollato. Mi feci un varco tra la gente e raggiunsi il bancone per ordinare una birra. Mi rivolsi sgarbatamente alla cameriera.
"Ehi, dammi una birra"
Lei non si voltò. Era alta e sottile, con i capelli raccolti.
"Ehi, POTRESTI DARMI UNA BIRRA?"
Lei si voltò. Era abbatanza avanti con l'età, cosa che non si sarebbe detta vedendola da dietro. Ma il viso rivelava i segni del tempo, e la bocca aveva quell'increspatura tipica di chi non è più nella prima giovinezza. La sua era una faccia da insegnante antipatica, che mi ricordava tanto la mia prof.ssa di storia del liceo, con il naso aquilino e l'aria sempre arrabbiata.
Lei, altrettanto sgarbata, disse a una ragazza: "Kate, da' una birra a questo qui"
Kate urlò "Un attimo!"
Quando venne con la bottiglia in mano non potei fare a meno di strofinarmi gli occhi.
Era la ragazza che avevo visto quel giorno stesso.
Quella che era da poco diventata il fulcro dei miei pensieri.
Il mio cuore si fermò per un attimo.
Lei sorrise.

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