Black Raven & White Swan

di moni93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prelude - A Lost Memory ***
Capitolo 2: *** Retrace I - You Can't Judge A Book By Its Cover ***
Capitolo 3: *** Retrace II - The Most Beautiful Flower Is On A Branch Too High To Be Taken ***
Capitolo 4: *** Retrace III - Sophie's Dream & A Lost Bond ***
Capitolo 5: *** Retrace IV - Every Encounter Ends With A Separation ***
Capitolo 6: *** Conclusion - O Romeo, Romeo, Wherefore Art Thou Romeo? ***



Capitolo 1
*** Prelude - A Lost Memory ***


BLACK RAVEN & WHITE SWAN

 

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Questa fanfic la dedico alla mia carissima amica Miky, che mi ha incoraggiato fin da subito nella mia pazza idea, mi ha ascoltato al telefono mentre le leggevo il mio operato e mi ha suggerito situazioni alle quali non avrei mai pensato. Grazie mille, Miky! Sei la mia Musa ispiratrice! ^^

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PRELUDE – A LOST MEMORY

 

«Sei triste?»

«Io non sono triste.»

«Hai paura?»

«E di cosa?»

«Di restare solo.»

«… forse. Sai, ho perso una persona a me molto cara, ma intendo riprendermela. Prima, però, devo diventare più forte.»

«Stai tranquillo, adesso ci sono io.»

«Sei gentile, ma una volta che te ne sarai andata, sarò punto e a capo.»

«Allora, vorrà dire che ti sposo!»

«Cosa?!»

«Se ti sposo e abbiamo tanti figli, allora non sarai più solo, giusto?»

«Temo che ti dimenticherai presto di me, ma grazie.»

«No! Questa è una promessa! Il mio papà dice che bisogna sempre mantenere le promesse, perciò se lo dico, lo farò di certo!»

«Va bene, in questo caso, ti aspetterò.»

«Promesso?»

«Promesso.»

 

 

 

 

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

 

Salve a tutti e grazie per aver deciso di leggere questa mia fanfic! ^^

Per realizzare questa storia ci ho messo anima e corpo, perciò siate clementi.

Non dirò molto, in quanto questa è solo l’introduzione alla storia. Come dite? Non si capisce molto? Tranquilli, alla fine vi sarà tutto chiaro...

Buona lettura!

 

Moni =)

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Capitolo 2
*** Retrace I - You Can't Judge A Book By Its Cover ***


RETRACE I – YOU CAN’T JUDGE A BOOK BY ITS COVER

 

Il giovane sbadigliò nuovamente, si sgranò gli occhi e cercò di cacciare il sonno con un sorso di tè. Inutile, dopo una nottataccia trascorsa insonne, non poteva sperare di riprendersi bevendo semplicemente una tazza di quel liquido dolciastro.

‘Per questo hanno inventato il caffè. ‘ si rispose da sé, nella sua mente ‘Tutta colpa di quello stupido duca! Come l’aveva chiamato Break? Ah già, ahoge*, termine più che appropriato.’

«Gil, che hai? Mi sembri pallido.»

La voce di Oz, il suo amato padrone, lo fece piombare nuovamente alla realtà.

Si trovava in una delle lussuose stanze di villa Rainsworth che, a questo punto, poteva considerare come una seconda casa. Sia lui, Gilbert Nightray, che il suo padrone Oz Vessalius e la Chain di quest’ultimo, Alice B-Rabbit, passavano le loro giornate in quella casa da parecchi mesi ormai.  Iniziava a credere che la magione non fosse mai stata così piena di rappresentanti delle altre famiglie ducali. A Sharon, però, sembrava che la cosa non pesasse, anzi, era felice di avere finalmente un po’ di compagnia. Anche Oz sembrava aver accettato di buon grado questa strana convivenza, perciò Gilbert si era integrato a sua volta, per non deludere le sue aspettative. Dopo tutto quello che gli era capitato, il moro non poteva certo lamentarsi della sua nuova residenza, anche perché, finché il giovane Vessalius fosse stato al suo fianco, a lui non sarebbe importato di nient’altro.

«No, non è nulla. È solo che non ho dormito molto bene stanotte.» ammise infine, notando l’espressione preoccupata del padroncino, che però si rasserenò subito dopo aver udito quelle parole.

«Testa d’alga non ha chiuso occhio?» Alice, cordiale come sempre, lo canzonò con il tono irriverente che la caratterizzava.

«Gilbert, alla tua età hai ancora gli incubi?» aggiunse prontamente Break.

«Persino nei suoi sogni è inutile.» concluse con voce acuta Emily, la bambola che poggiava sulla sua spalla sinistra.

Come se Break, già di per sé, non fosse sufficientemente insopportabile. In ogni caso, Gilbert preferì sorvolare sul fatto che nessuno fosse realmente preoccupato per lui e continuò a conversare con Oz.

«Non ho avuto un incubo, però sono certo di aver sognato qualcosa, anche se non riesco a ricordare cosa.»

«Non ti crucciare, era soltanto un sogno, non era importante, evidentemente.»

«Hai ragione.» ammise più sereno Gilbert, anche se, in realtà, non era per niente convinto.

Quello che aveva visto la scorsa notte, con l’occhio della mente, era dannatamente importante ed il fatto che non riuscisse a ricordarselo lo faceva impazzire.

«Probabilmente avrai ripensato a quanto accaduto ieri.» suggerì Sharon, mentre sorseggiava dell’altro tè.

«Già, vedere quello stupido duca sconvolgerebbe chiunque.» disse in tono acido l’albino.

«Via, via, Break! Non essere così duro con lui. In fondo, ci ha fornito delle preziose informazioni.» lo riprese con dolcezza la sua “sorellina”.

«Rosicate fino all’osso, come suo solito.» borbottò imperterrito.

«E poi oggi incontreremo un suo informatore!» aggiunse allegramente Oz.

«Informatore? Oggi?» ripeté confuso il giovane Nightray.

«Ah già, tu non c’eri quando Sharon-chan ce l’ha detto.» lo informò il biondo «Oggi il duca Barma manderà qui un suo informatore. Ha detto che lo fa per scusarsi del suo comportamento indelicato di ieri sera.»

«Diciamo più che altro che Cheryl-sama l’ha minacciato di morte se non l’avesse fatto.» disse con un ghigno Break, divertito come non mai all’idea di vedere il suo “caro amico” supplicare pietà ad una vecchietta, mentre quest’ultima lo malmenava con un ventaglio.

«E quando arriverà?» chiese Gilbert.

«Dovrebbe arrivare a momenti, perciò vedi di riprenderti alla svelta Gilbert-kun o non riuscirai a capire nemmeno una parola di quello che ci dirà.» aggiunse con un sorriso affabile Sharon.

«Che tipo è?» Alice non aveva saputo resistere alla curiosità «Sharon-oneesan?» aggiunse poi, notando lo sguardo bieco della giovane.

«Non ne ho idea, la nonna mi ha solo detto che è una persona di cui il duca si fida ciecamente.»

«Sentito, Reim? Sei stato surclassato, di nuovo.» fece Break all’amico, che stava lavorando ad un tavolo poco distante da loro.

«Xerxes, hai il coraggio di prendermi in giro anche quando sto lavorando per te?»

«Gli esseri inutili non dovrebbero lamentarsi!»

«Suvvia, Emily! Non bisogna essere così diretti, altrimenti qualcuno potrebbe offendersi.»

«Io mi sento offeso e guarda che lo so che sei tu a far parlare quella maledetta bambola, perciò se hai qualcosa da dirmi, dimmelo in faccia!»

«D’accordo: sei inutile, perciò non lamentarti!»

Superfluo dire che Break si diede alla fuga, ridendo come un pazzo e con alle calcagna il servo del duca. Gilbert si rifiutò di seguire quella scenetta, che ormai conosceva a memoria.

‘Anche oggi, non succederà nulla di nuovo.’ si limitò a pensare.

Non immaginava minimamente che, invece, quel giorno la sua vita sarebbe stata sconvolta. Il destino, alle volte, crede che sia davvero divertente mostrare agli umani quanto essi si sbaglino.

 

Aspettavano tutti nel salotto dedito agli incontri da più di mezz’ora.  Sebbene alcuni, come Reim che continuava a strofinarsi gli occhiali puliti, mostrassero evidenti segni di impazienza, la maggior parte sembrava non curarsene affatto.

Poi, all’improvviso, la porta si aprì con un sonoro botto e una figura incappucciata fece il suo ingresso. Nonostante il primo impulso dei presenti fu quello di pensare ad un Baskerville, tutti esclusero tale ipotesi per due motivi: il mantello indossato da quel figuro non era cremisi, bensì bianco come la neve e, inoltre, tale individuo non si fece attendere molto a parlare e a cancellare anche gli ultimi rimasugli di dubbi.

«Signore grazie, ce l’ho fatta! Iniziavo a temere che sarei arrivato in ritardo!» gemette, mentre tentava di riprendere fiato.  Era evidente che aveva corso da parecchio.

«Lei è in ritardo, signore. La stiamo aspettando da più di mezz’ora.» disse in tono tutt’altro che cordiale Break.

«Come? Impossibile! Il suo orologio dev’essere rotto, perché il mio segna... oh no! Si è fermato di nuovo!» fece lo strano personaggio, osservando un malandato orologio argenteo e aggiungendo poi un sentito «Mi dispiace.»

Sharon parve non badarci.

«Suvvia, non è successo nulla, l’importante è che lei ora sia qui... signor?»

L’altro parve ridestarsi: era di fronte ad una nobile e, quindi, doveva mostrargli il dovuto rispetto.

«Le mie più sentite scuse, un simile comportamento non si ripeterà mai più.» detto ciò, si levò il cappuccio e svelò il suo viso. Era un giovane di non più di vent’anni, con capelli corti e spettinati color della notte. Ciò che colpiva di più erano i suoi lineamenti, delicati e fini, quasi femminei, e gli occhi, due perle blu come la superficie cristallina del mare o come il cielo plumbeo d’estate.  Aveva la pelle diafana, di una tonalità più pura del suo mantello e che, in tal modo, lo faceva sembrare fragile e malaticcio. Tuttavia, ora le sue gote erano rosse per la vergogna e in quel frangente gli donarono un’incredibile vivacità.

«Io sono solo un umile servo del duca Barma, tuttavia, se vuole un nome con cui chiamarmi, mi presento: sono Mark.» dopo il primo momento d’impaccio, il ragazzo aveva mostrato una grande sicurezza.

«Bene, Mark, piacere di conoscerti. Io sono la nipote della duchessa Cheryl, Sharon. Mentre quelli che vedi sono Xerxes Break, Oz Vessalius, Alice e Gilbert Nightray, mentre Reim credo che tu lo conosca già.»

Mark salutò con un cenno del capo tutti. Aveva osservato uno ad uno gli astanti, a mano a mano che gli venivano presentati dalla giovane, ma quando arrivò il turno di Gilbert voltò il capo da un’altra parte.

‘Sembra parecchio a disagio, chissà perché.’ si chiese il Nightray ‘Forse non aveva mai visto tanti nobili in una volta sola.’

Non appena Mark udì il nome di Reim, volse lo sguardo verso di lui e lo salutò con occhi gelidi.

«Ciao Reim.»

«Ciao So... Mark.» si corresse subito.

L’informatore guardò il soffito con aria afflitta, come se temesse che Reim potesse dire o fare qualche sciocchezza.

«Se abbiamo finito di fare salotto, direi che ora è il momento di vuotare il sacco: cosa sei venuto a dirci? Spero qualcosa d’importante.» tagliò corto Break.

Mark parve confuso.

«Veramente, siete voi quelli che dovrebbero parlare.»

Tutti strabuzzarono gli occhi.

«Come?!» chiese stupito Break «Non sei venuto fin qui per darci delle informazioni riguardanti la Tragedia di Sablier?»

«Io sono un informatore, come ho già detto: dò informazioni, ma solo se so cosa devo cercare.»

«Vorresti dirci che non sai nulla?» fece Oz.

«Per ora, no. Ma se mi dite quello che cercate, posso aiutarvi.» disse sicuro.

«Quel maledetto duca, non solo non ci dice niente, ma ci spedisce pure un inutile moccioso! La prossima volta che lo vedo lo ammazzo!» proruppe Break, senza preoccuparsi minimamente di trattenersi.

«Non le permetto di parlare del duca a quel modo!» ringhiò Mark.

«Oh, altrimenti cosa mi fai?» lo sfidò Break.

La situazione sembrava sul punto di degenerare, fortunatamente Reim stupì tutti parlando.

«Xerxes, non è come credi! Questo è il miglior servitore del duca, quando vuole sapere qualcosa, lo manda ad investigare e torna sempre con quello che cercava.»

Break parve stupito da quella rivelazione.

«Vuoi darmi a bere, che questo bamboccio è così bravo?»

«Non te lo voglio dare a bere, è un dato di fatto. Io stesso lo conosco molto bene e nutro piena fiducia nei suoi riguardi.»

Gli astanti erano rimasti increduli: Reim non era tipo da elogiare chiunque, perciò se diceva che Mark era il migliore, doveva esserlo per forza.

«Grazie, Reim. Finalmente qualcuno che mi apprezza.» fece con un sorriso il giovane.

Il servo di casa Barma arrossì visibilmente.

«Non ho detto nulla di ché.» bofonchiò.

«Bene! In tal caso, possiamo chiedergli qualsiasi cosa, giusto?» disse allegramente Oz.

«Sono qui apposta.» rispose Mark.

«Quindi, puoi svelarci cosa accadde cento anni fa?» chiese speranzoso.

Silenzio.

«No.»

Sebbene tutti si aspettassero una risposta simile, rimasero visibilmente delusi.

«Però, posso darvi informazioni riguardo i Baskerville.»

«Tu sai dove si trovano?» fece stupito Gilbert.

«No, ma posso scoprirlo.» rispose Mark, senza guardare il moro negli occhi.

«Quanto tempo ci vorrà?»

«Con precisione non posso saperlo, Sharon-sama.»

«Pensi di farcela in un mese?» s’informò Break.

Mark l’osservò con sguardo di sfida.

«Per chi mi ha preso? Datemi una settimana e vi saprò dire anche il loro colore preferito!» rispose sicuro.

 

Passarono cinque giorni, poi Reim comparve nella stanza dove si trovavano tutti, urlando di gioia: «È tornato, è tornato!».

Inizialmente nessuno capì.

«Chi è tornato?» chiese Oz.

«Mark è tornato!»

«Detto così, sembra quasi che tu fossi convinto che non sarei tornato affatto.»

La voce proveniva dalle spalle di Reim. Poggiato alla porta, c’era l’informatore, che osservava tutti con aria parecchio stanca.

«Come stai? Non sei ferito, vero?» chiese prontamente il servo di casa Barma, dopo essersi ripreso dal mezzo infarto, causato dal ritrovarsi il ragazzo alle spalle.

«Sì, Reim, sto bene. Non c’è bisogno di andare in crisi ogni volta che torno da un lavoro.» lo riprese con un mezzo sorriso.

«Com’è andata?» chiese Sharon per tutti.

«Beh, è stata una faticaccia, ma ne è valsa la pena. Ho incontrato di persona uno dei Baskerville.»

«E dove?»

«Nella capitale, a Leveille... e no Reim, non mi ha fatto nulla, altrimenti non sarei qui a raccontarlo!»

Reim tirò un sospiro di sollievo. Evidentemente, teneva molto a quel giovane.

«Come stavo dicendo, l’ho incontrato l’altro ieri, dopo tre giorni di ricerche, valse quasi a nulla. Una tizia dai capelli lunghi e con vestiti parecchio agghindati, mi ha gentilmente chiesto di smetterla di ficcare il naso dove non dovevo.»

«Lotti.» disse Oz con sguardo cupo, rimembrando la prima volta che aveva incontrato la ragazza.

«E tu che hai fatto?» chiese Sharon.

«Ovvio, l’unica cosa che una persona sana di mente avrebbe fatto!» fece sicuro.

«L’hai seguita…» disse mestamente Reim.

«Certo che l’ho seguita, che dovevo fare? Invitarla a un tè?»

«Dimmi almeno che non sei andato da solo.»

«Ehm, io posso anche dirtelo, ma non corrisponderebbe a verità.» rispose con aria innocente Mark «Comunque sia, l’inseguimento non è durato a lungo. Una volta giunta al limitare del bosco, si è incontrata con un tizio.»

«Quale tizio?» volle sapere Break.

«Se lo sapessi, non lo chiamerei tizio, lei che dice? In ogni caso.» proseguì, per evitarsi una ramanzina da parte dell’albino «Ho sentito chiaramente quello che si dicevano: stanno cercando qualcosa e di molto prezioso anche.»

«Spiegati meglio.» intervenne Oz.

«Non so bene neanch’io, hanno parlato in modo strano. Dicevano che non c’era tempo da perdere, che dovevano ritrovare al più presto ciò che cercavano, in modo tale da poter ricongiungersi con Glen Baskerville.»

«Capisco.» si limitò a dire Break.

«Ma non temete, non mi arrendo. Ho sentito che la ragazza si fermerà a Leveille per altri tre giorni. Perciò io...»

«Vuoi seguirla di nuovo? Da solo?!» chiese Reim, anche se sembrava più un rimprovero.

«Beh, ho alternative?»

«Perché parli così, Reim? Non è mica una ragazzina che necessita di scorta.» fece con un ghigno Break.

«Non immagini quanto tu abbia ragione...» bisbigliò Reim.

«Come?»

«Ho detto che per lo meno qualcuno dovrebbe accompagnarlo! Insomma, si tratta pur sempre dei Baskerville. E se fosse una trappola?»

«Ma non dicevi che era il miglior informatore al mondo?»

«QUALCUNO LO ACCOMPAGNI, PER L’AMOR DEL CIELO!!!» gridò esasperato Reim.

Tutti lo fissarono allibiti. Anche il servo di casa Barma parve stupito di sé. Tossì un paio di volte e, rosso in viso come non mai, iniziò a strofinarsi gli occhiali.

«Ehm, cioè, lui è molto prezioso per il duca e se gli dovesse accadere qualcosa io...»

«D’accordo ho capito. Gil-kun, ci pensi tu?» chiese con aria distratta Break.

«Cosa?! Perché io?»

«Cosa?! Perché lui?»

A strillare furono Gilbert e Mark.

«Perché, hai qualcosa contro di me?» chiese il Nightray all’informatore.

«No, no, ci mancherebbe...» rispose l’altro abbassando lo sguardo.

«Allora è deciso! Gilbert accompagnerà Mark a Leveille domani, nessuna obbiezione?» chiese Sharon.

Nessuno obbiettò, ma Mark, prima di lasciare la stanza, lanciò uno sguardo omicida al povero Reim. Sembrava voler dire: «Tu me la pagherai cara, ma non immagini quanto!».

 

Il mattino seguente, Gilbert si trovava davanti alla carrozza che, di lì a poco, l’avrebbe condotto alla capitale insieme a Mark. Anzi, ad essere sinceri, sarebbero dovuti essere già partiti, ma il giovane ancora non si vedeva.

‘La puntualità pare non essere uno dei suo pregi.’ mentre Gilbert pensava ciò, dalla villa giunse trafelato il ritardatario.

«Eccomi, eccomi, scusa il ritardo!» s’affettò a dire.

«Un informatore dovrebbe essere sempre puntuale.» lo riprese Gilbert.

«Ehi, tu avrai anche solo due peli in testa, ma io ho dei capelli da sistemare!»

«Ma se ce li hai quasi più corti dei miei!»

Mark rimase con la bocca aperta, incapace di parlare. Si diede una manata in fronte e brontolò: «Sì, sì, hai ragione tu, contento?!» detto ciò salì in carrozza.

Il viaggio iniziò nel silenzio più opprimente e l’atmosfera non fece che peggiorare. Fin da subito, infatti, Mark osservava di sottecchi Gilbert e ogni tanto sembrava sul punto di proferire parola, ma poi scuoteva la testa e osservava il paesaggio al di là del finestrino. All’improvviso il cocchiere frenò, a causa di un cane che aveva attraversato la strada senza alcun preavviso, e ciò fece piombare Mark in braccio a Gilbert, che si trovava seduto di fronte a lui.

«Ahia, tutto a posto?» chiese il Nightray.

«Sì, dovrei avere ancora tutte le ossa al loro posto...» accompagnò le parole alzando la testa e si ritrovò così il viso a pochi centimetri da quello del moro.

«AAAHHH! Scusami, scusami, scusami!!» strillò, lanciandosi indietro e tornando seduto al proprio posto.

Gilbert l’osservò allibito: ma che diamine gli era preso?

Per tutto il resto del viaggio, Mark non proferì parola, cosa che al Nightray non diede alcun fastidio: non sapeva nulla di lui e non aveva certo intenzione di approfondire la conoscenza.

Nel corso della giornata fecero altro, trovarono una locanda e poi decisero di separarsi per parecchie ore, in quanto Mark diceva di avere alcune cose da fare che non richiedevano la presenza dell’altro. Gilbert avrebbe anche lasciato correre, ma poi si ricordò del suo povero amico e preferì assicurarsi che Mark non agisse da incosciente.

«Dove vai?» s’informò.

«Preoccupato?»

«Sì, ma non per te.»

«Oh, cielo! Non dirmi che lo fai solo perché te l’ha chiesto Reim.»

«Certo che sì. Si dà il caso, infatti, che Reim sia un mio caro amico.»

Mark parve stupito, ma anche felice nell’udire quelle parole.

«Davvero? Reim non me l’aveva detto.»

«Siete amici anche voi?»

Mark ridacchiò e poi fece spallucce.

«Mah, chi lo sa? Almeno, io lo considero come un caro amico, ma credo che lui mi veda solo come lo strumento prezioso del duca Barma, che va difeso ad ogni costo.»

«Reim non è il tipo da pensare certe cose. L’ho visto bene a villa Rainsworth, ed era sinceramente preoccupato per te.»

Mark lo fissò con i suoi penetranti occhi blu.

«Lo credi sul serio?» chiese titubante.

«Assolutamente.» non capiva bene perché, ma Gilbert si sentiva in dovere di dire ciò, di far capire a Mark che Reim gli voleva bene e che non doveva dubitarne. Forse il motivo era che egli stesso faticava ad esprimere i suoi veri sentimenti, esattamente come il servo di casa Barma, e perciò sperava almeno di poter essere d’aiuto all’amico parlando in sua vece.

«Grazie.» gli rispose con un sorriso il giovane.

«Prego.» il Nightray era arrossito, anche se non sapeva spiegarsene il motivo.

‘Assomiglia troppo ad una donna, tutto qui. Io sono un disastro con le ragazze, ecco tutto.’ concluse mentalmente, cercando di calmarsi.

«Vado in biblioteca a cercare altre informazioni.»

«In biblioteca? Noi attendiamo informazioni sui Baskerville e tu le vai a cercare in biblioteca?»

«Ti stupiresti di ciò che puoi trovarci, se solo conoscessi i luoghi giusti in cui cercare.» rispose Mark, alzando la cappuccia e celando gli occhi «Non aspettarmi sveglio.»

Detto ciò, sparì al di là della porta della loro stanza.

 

«Appena finito di fare colazione, ci mettiamo alla ricerca di Lotti.»

Gilbert e Mark stavano mangiando l’uno di fronte all’altro, senza parlare, come al solito. L’informatore, infatti, non era mai propenso ad avviare una conversazione, perciò anche stavolta fu il Nightray a spezzare il silenzio. Si aspettava un semplice assenso del capo da parte dell’altro, invece quello scosse visibilmente la testa.

«No, stamattina non ci muoviamo.»

Per poco Gilbert si strozzò con il caffè che stava sorseggiando.

«Come?! E perché?»

«Hai mai visto qualcuno spiare altri in pieno giorno? E per di più non si tratta di una persona qualunque, ma di un Baskerville. Sai qual è la loro abilità peculiare?» non attese una risposta «Il sapersi celare nell’ombra e attaccare il nemico quando meno se l’aspetta. Se agiamo ora, alla luce del sole, la faremmo solo scappare o, peggio, potrebbe decidere di attaccarci. E noi non siamo qui per attaccar briga.»

Gilbert avrebbe voluto ribattere, a causa del tono presuntuoso dell’altro, ma non lo fece, poiché quello che diceva aveva un senso. Mark era una spia specializzata nel raccogliere informazioni, era ovvio che conoscesse trucchi che lui non poteva nemmeno immaginare. Anche se, fino a lì, ci sarebbe potuto arrivare anche da solo.

«In tal caso, che facciamo fino al tramonto?»

«Non lo so. Facciamo un giro per il mercato?»

Di nuovo, Gilbert tossì per mandare giù il caffè che gli si era impigliato in gola.

«Ma stai bene?» domandò Mark, leggermente preoccupato.

«Cos’è che vuoi fare?» disse Gilbert, senza badare alla domanda dell’altro.

«Ho detto che potremmo andare al mercato, se ti va. Perché, non ti piace?»

«Non è quello, ma… non dovremmo fare altro, nel frattempo?»

«E cosa?»

«Non ne ho idea, sei tu la spia!»

Mark rise di gusto.

«Mamma mia, quante speranze che nutri nei miei confronti! Comunque, rilassati. Ho già pensato a tutto io ieri.»

Gilbert si ricordò di non averlo visto rincasare durante la notte, e solo allora si accorse delle pesanti occhiaie che marcavano il suo bel viso.

«Sicuro di non volerti riposare?» chiese preoccupato.

Mark sgranò gli occhi, poi ridacchiò nuovamente.

«Cosa? Che ho detto?»

«Niente, niente, è solo che non sei cambiato per nulla: ti preoccupi ancora più degli altri che per te stesso!»

«Che intendi con “non sei cambiato”? Noi non ci siamo mai visti prima d’ora.»

«Oh, sì certo. Volevo dire che le informazioni che ho su di te sono le stesse di dieci anni fa.»

«Capisco, hai raccolto informazioni anche su di me?»

«Senti, che ne dici se continuiamo fuori? Non sei mai stato al mercato, vero?»

«No.» ammise Gilbert.

«Bene, in tal caso sarà un’esperienza molto istruttiva. Andiamo?»

 

«Che c’è Gilbert, sei stanco?»

Il giovane Nightray sembrava esausto, tant’è che si era seduto non appena aveva visto una panchina libera.

«No, assolutamente.» gli rispose «Solo che dopo tre ore di camminata, i miei piedi invocano pietà.»

«Oh, camminiamo già da così tanto? Non me ne n’ero accorto.» fece sorpreso l’altro, sedendosi anche lui, il più distante possibile dal Nightray.

«Guarda che non ho mica la lebbra.»

«Come?»

«Perché ti metti sempre agli antipodi rispetto a dove mi trovo io?»

«Io non faccio così!»

«Sì che lo fai!»

«Oh, va bene!» urlò scocciato Mark e, con altrettanta furia, si spostò fino a toccare la spalla destra di Gilbert «Soddisfatto adesso?»

«Non volevo dire che dovevi appiccicarti a me!»

«Allora deciditi! O mi vuoi vicino o lontano!»

I due si fissarono in cagnesco per qualche secondo, poi avvenne l’impensabile. Mentre Gilbert sembrava pronto a litigare, Mark scoppiò in una fragorosa risata e, cosa ancora più strana, anche l’altro giovane si lasciò presto contagiare.

«Perché ridi?» riuscì a chiedere Gilbert, una volta che si fu ripreso.

«E tu?» fece lui di rimando.

«Ah, sei fuori.» si limitò a rispondere.

Era incredibile, eppure il Nightray si trovava perfettamente a suo agio. Gli sembrava inoltre di aver già incontrato da qualche parte quello strano tipo.

‘Ma questo.’ pensò È impossibile.’

«Che c’è?» chiese il moro, interrompendo il filo dei suoi pensieri «Ti stai annoiato, forse?» nel pronunciare quelle parole, i suoi occhi mostrarono una seria preoccupazione.

«No, anzi, era da molto che non mi divertivo così.» ammise.

«Davvero? Che bello!» si lasciò scappare l’altro.

«Perché sei così contento?»

«Oh, niente di speciale. Anch’io non mi sentivo così da parecchio.»

«Da quanto fai l’informatore?»

Mark parve stupito da quella domanda.

«T’interessa, veramente?»

«Sì.» rispose semplicemente Gilbert, anche se persino lui parve allibito da quella sua affermazione.

Che gli prendeva? Perché voleva conoscerlo meglio?

«Fin da piccolo, sono stato abituato a questo genere di vita. Devi sapere che la mia famiglia vive di questo genere di cose da generazioni. Il figlio maschio ha da sempre questo compito.» nel pronunciare quelle parole abbassò lo sguardo.

Tristezza?

No, non era quello che sembrava provare.

Rimpianto?

Nemmeno.

Gilbert credeva di conoscere molto bene quella sensazione e solo dopo che Mark si fu alzato ed ebbe detto: «Adesso è ora di andare» si rese conto di cos’era.

Mark si sentiva maledettamente solo.

 

Il sole salutò il cielo, che dimostrò il suo dispiacere nel vederlo scomparire tingendosi di caldi rossi e rosa opachi. Fino ad ora Gilbert aveva pensato di trovarsi in gita di piacere con un amico, ma, non appena calarono le tenebre si ricredette.

Mark, che nel frattempo aveva cambiato il suo mantello con un altro che gli permettesse di celarsi più facilmente nell’ombra, aveva uno sguardo diverso: sembrava dannatamente concentrato e determinato. Vagavano da parecchio ormai per le tetre e desolate vie della città, che fino a poche ore addietro erano colme di vita e passanti. Non si udiva nulla, il borgo sembrava pietrificato per effetto di un incantesimo di un potente mago. L’unico suono che si udiva, oltre a quello dei loro passi e di qualche cane randagio che ululava alla luna ormai prossima, era quello di un possente battito d’ali.

‘Piccioni, forse.’ pensò Gilbert, ma quel rumore era diverso da quello che producevano solitamente quelle odiose creature. Ad un tratto, entrambi udirono una voce.

«Cercate qualcosa, ragazzi?»

Si voltarono all’unisono in direzione della fonte di quel suono e vi scorsero Lotti.

«Che piacere rivederti, Gilbert Nightray. Non dovresti essere al fianco del tuo padrone, come ogni bravo cagnolino?» lo stuzzicò, poi si rivolse a Mark «E tu, non ti avevo chiesto cortesemente di smetterla di seguirmi?»

«Oh, volevi che non ti seguissi? Perdonami, devo aver frainteso, perché dai tuoi movimenti goffi e impacciati, credevo che mi avessi invitato a farlo.»

Se l’intento di Mark era quello di far infuriare Lotti, ci stava riuscendo alla perfezione.

«Peccato, avrei voluto lasciarti andare indenne, ma pare che prima ti debba insegnare qual è il tuo posto.» accompagnò le sue minacce con un gesto ampio e teatrale del braccio destro, poi invocò il nome del suo Chain «Leon, insegna a questo stolto come ci si rivolge ad una signora!»

Sia Mark che Gilbert riuscirono a schivare per un soffio l’assalto del leone.

«Signora? Perché tu ne vedi una in giro?» chiese divertito l’informatore.

«Leon, staccagli quanto meno un braccio!»

«La vuoi piantare di provocarla?» fece seccato ed allarmato Gilbert, mentre tentava invano di colpire il Chain con i proiettili della sua pistola.

«Tu, piuttosto, invece di criticare, prova ad abbatterlo! Non sei qui per difendermi?»

«La fai facile tu! Non riesco a prendere la mira, è troppo veloce!» rispose lui, mandando a vuoto un altro colpo.

Fino ad ora i due giovani si erano limitati a schivare gli affondi dell’enorme creatura, ma non potevano certo andare avanti così all’infinito.

«Ora basta, mi sono stufata, Leon smettila di giocare e finiscili!» ordinò la Baskerville.

Il Chain fino a quel momento si era concentrato su Mark, ma non appena notò che Gilbert era occupato a ricaricare la pistola, cambiò direzione e con un balzo si apprestò a sferrare una zampata al ragazzo.

‘Maledizione, è troppo vicino! Non ce la farò a schivarlo!’ riuscì appena a pensare il Nightray, mentre tentava inutilmente di parare il colpo proteggendosi con le braccia.

Tuttavia, gli artigli del leone non riuscirono a raggiungerlo, perché qualcuno si era frapposto tra i due. Mark era corso immediatamente in direzione di Gilbert e, dato che non ebbe il tempo di pensare ad altro, decise di spingere da parte il giovane e, così facendo, si ritrovò sulla traiettoria del Chain. Il Nightray vide il leone colpire al braccio sinistro il ragazzo, che cadde all’indietro a causa della forza d’urto. Subito Gilbert corse verso di lui, dimenticandosi completamente del Chain.

«Ehi! Stai bene? Ma che diavolo ti è saltato in mente?!»

L’altro si limitò a biascicare poche parole strozzate.

«Non... urlare... mi spacchi i timpani...»

Gli occhi di Mark, dapprima serrati per l’acuta fitta all’arto, si puntarono su quelli del Chain, che li osservava, pronto a dargli il colpo di grazia. Stava giusto apprestandosi a lanciarsi sui due, quando la ragazza parlò.

«Leon, basta così.» disse, lasciando di stucco gli astanti «Non mi diverto più.»

Puntò le iridi rosa su Mark e Gilbert e poi si voltò e sparì, inghiottita dalle tenebre.

Mentre si allontanava, pensò che anche lei si sarebbe fatta volentieri uccidere, pur di proteggere il nobile Glen.

«Quanto sono stupida!» disse tra i denti.

 

Gilbert stava attendendo seduto da quasi un’ora oramai e, dato che non poteva scaricare la tensione fumando, continuava a battere ritmicamente il piede a terra.

Dopo che Lotti se n’era andata, aveva portato Mark all’ospedale più vicino e anche quello non era stato per niente facile. Sebbene il ragazzo perdesse sangue copiosamente e la ferita fosse parecchio profonda, si era rifiutato di farsi portare in spalle. Inizialmente Gilbert aveva accettato, più che altro perché non c’era tempo da perdere, ma non appena Mark fece i primi traballanti passi cadde rovinosamente sulle ginocchia. A quel punto non aveva più opposto resistenza, non tanto perché si fosse arreso, anzi, aveva continuato a brontolare per tutto il tempo, ma almeno non aveva più la forza per ribellarsi.

Quando la porta si aprì, il medico osservò il giovane con aria greve.

«Ha perso parecchio sangue, ma fortunatamente non è in pericolo di vita. Ora, però, ha assoluto bisogno di riposo. Credi di riuscire a tenerlo fermo per un po’?»

«Farò del mio meglio.»

«Bene, un’altra cosa: che diamine ha combinato stavolta?»

È vero che Gilbert aveva portato Mark in un ospedale, ma non si era recato in quello della città. Oltre alle varie imprecazioni, il moro aveva pregato il Nightray di portarlo da un medico suo amico, che si occupava sempre di lui e che, soprattutto, sapeva tenere la bocca chiusa.

La cosa che sorprese Gilbert, una volta giunto nel luogo indicato, fu l’aspetto diroccato del cosiddetto ”ospedale”. L’edificio, che probabilmente un tempo era stato adibito alla cura dei malati, era vecchio e pericolante e, perciò, il ragazzo aveva creduto di aver sbagliato strada, ma Mark aveva scosso la testa.  Il posto era giusto.

La seconda cosa che lo lasciò a bocca aperta fu l’aspetto del medico: una bellissima fanciulla con fili d’oro per capelli e penetranti occhi grigio-azzurri. Gilbert aveva subito pensato che fosse identica alle principesse delle favole, tuttavia, tale idea si frantumò in mille pezzi non appena parlò.

«CHE DIAVOLO È SUCCESSO?! PERCHÉ SEI RICOPERTA DI SANGUE? E TU, CHI DIAVOLO SEI?»

Non si era minimamente preoccupata di presentarsi o di parlare a voce bassa e Mark fu felice di farglielo notare.

«Smettila di urlare, Cassidy, e aiutami piuttosto…»

«Tu dovresti solo tacere! Arrivi sempre qui in fin di vita e io devo sistematicamente ricucirti senza fare domande! Ma per chi diamine mi hai presa, per la tua serva?!» sembrava che la sua voce non ne volesse sapere di abbassarsi, ma dopo poco notò che Mark non riusciva nemmeno più a ribattere, così si decise a curarlo. Lo fece poggiare su di un lettino e poi, dopo aver malamente spinto fuori Gilbert dalla stanza, gli sbattè la porta in faccia. Da allora il ragazzo se ne era stato seduto su di una panca in attesa e senza fumare, poiché, sebbene l’esterno non preannunciasse nulla di buono, l’interno dell’edificio era estremamente pulito e curato. Infatti, come ogni degno edificio dedito alla cura dei malati, c’era un cartello che avvisava i gentili clienti a non fumare. Pena, la morte.

Fu così che Gilbert si ritrovò, diversi minuti dopo, a parlare con quella pazza, che ora sembrava essersi calmata.

«Ehm, ecco noi...» tentò di rispondere, senza essere troppo sicuro di cosa effettivamente rivelare.

«Gilbert, non sei tenuto a dirle niente!» urlò dall’interno Mark, venendo così in suo soccorso, almeno ipoteticamente.

«TU CHIUDI IL BECCO E RIPOSA!» sbraitò Cassidy, voltandosi verso la porta della stanza.

«Ma non ho sonnooo!» si brontolò, parlando come un bambino.

«E sua grazia che vorrebbe PER CHIUDERE QUELLA SUA BOCCACCIA?!»

«Se mi mandi qui Gilbert e non ci scocci più, prometto di dormire... fra poco.»

Il Nightray si aspettava un nuovo scoppio d’ira da parte di Cassidy, ma lei si limitò a scuotere la testa e a sospirare.

«E va bene, niente domande. Tanto non mi dici mai niente, giusto?» sembrava parlasse più a se stessa che a Mark, poi si voltò verso Gilbert «Fallo dormire e assicurati che lo faccia per davvero. Se sente dolore, chiamami.» detto ciò si fece da parte e, una volta che il ragazzo fu entrato, chiuse la porta alle sue spalle, senza sbatterla, stavolta.

Mark si trovava supino sul letto e osservava Gilbert con una faccia a metà tra il divertito e l’annoiato.

«Beh, che hai da guardare? Ho qualcosa sulla faccia?»

Gilbert scosse il capo e si sedette su di una sedia, posta sul lato sinistro del letto.

«Tu non sei normale. Prima rischi la vita come un incosciente e poi te la ridi.»

«Non ho rischiato la mia vita per nulla: ho evitato che fossi tu quello che si sarebbe ritrovato con sei punti al braccio.»

«È proprio questo il punto, invece! Perché diavolo lo hai fatto?»

«Te l’ho detto, non volevo che ti conciassi così male. Tanto io ci sono abituato.»

«Ma perché?» Gilbert sembrava non essere più in grado di chiedere altro. Non capiva perché un estraneo si fosse gettato tra le braccia della morte per salvare lui.

«Senti, se per strada vedessi un bambino che sta per essere investito da una carrozza, tu che faresti?»

«Che domande, gli griderei di fare attenzione e, se fossi abbastanza vicino, lo afferrerei.» rispose sicuro il moro.

«Bene, è la stessa cosa che ho fatto io, solo che la mia mente non mi ha suggerito nulla di meglio che gettarti lontano dal pericolo. Inoltre.» proseguì Mark, dato che il Nightray stava nuovamente per interromperlo «Non devi cercare un motivo preciso in ogni cosa. Ciò che vuoi sapere equivale, per me, al perché gli alberi continuano incessantemente a donarci boccioli in primavera e frutta durante l’estate. Potresti anche chiedermi perché la gelida neve invernale si scioglie di fronte alla potenza del sole. Io ho semplicemente fatto come i fiori e la neve: non mi sono chiesto perché dovessi salvarti, io mi sono limitato ad obbedire ad una forza più grande di me.»

Gilbert era rimasto strabiliato. Non credeva che Mark potesse parlare in modo così poetico. Era rimasto talmente incantato dalle sue metafore, che si era quasi scordato il motivo per cui si trovava lì. Tuttavia, non appena vide il giovane compagno sgranarsi gli occhi con la mano sana, la realtà gli ripiombò addosso come una cascata d’acqua gelida.

«Ah, Cassidy!» si lasciò sfuggire di bocca.

«Cosa? Dove? Dove?!» chiese preoccupato Mark.

«No, intendevo dire che Cassidy mi aveva chiesto di assicurarmi che tu dormissi.»

Il ragazzo fece una smorfia.

«Bleah, non ne ho voglia.»

«Ah, no?» fece Gilbert «In tal caso è meglio che dica a Cassidy che il paziente si rifiuta di ubbidire agli ordini categorici del medico.»

«Non oseresti...» il tono voleva sembrare minaccioso, ma suonò piuttosto come una supplica.

Gilbert nascose il viso ridente abbassandosi il cappello e, con movimenti volutamente lenti, si apprestò ad alzarsi.

«No, no, no!» strillò disperato Mark, afferrandolo per la manica con il braccio destro «Se quella torna mi farà sì dormire, ma in eterno! Ho capito, hai vinto tu, maledetto! Ora dormo! Uffa, però!»

 

La carrozza stava dirigendosi a passo lento, ma deciso, verso villa Rainsworth. Mancavano ancora poco al loro arrivo e sia Mark che Gilbert non vedevano l’ora di posare nuovamente i piedi in quella casa.

«Come va il braccio?» chiese premuroso il Nightray.

Dopo tutto quello che era successo, iniziava a nutrire un certo affetto, oltre che parecchia simpatia, per quel ragazzo dagli occhi indaco.

«Sto bene, te l’ho detto. Cassidy sarà pure giovane e seccante, ma è il miglior medico in circolazione.» disse con una punta d’orgoglio.

«Parli come se la conoscessi da molto.»

Mark annuì.

«Sì, è una mia cara amica d’infanzia. La conobbi quando viveva ancora con la madre nella villa del duca Barma. Sua madre era una cameriera e, quindi, dato che io avevo pressappoco la stessa età di sua figlia, ci permettevano di giocare spesso assieme.»

Gilbert ascoltava attento, non si permise di interrompere il suo racconto. L’altro continuò a narrare, con gli occhi che fissavano un passato che non sarebbe mai più tornato e la bocca socchiusa in un sorriso di malinconia.

«Poi, un giorno, smisero entrambe di venire. Poco dopo scoprii che la madre di Cassidy si era ammalata gravemente e lei, siccome il padre era morto da tempo, si ritrovò costretta a badare alla madre. Ma fu inutile. Nonostante il duca avesse chiamato il miglior medico della città, sapendo quanto mi fosse cara quella donna e sua figlia, non si poté fare nulla. Da allora Cassidy prese una decisione: sarebbe diventata il miglior medico al mondo. Tu saprai bene che alle donne non è ancora permessa una grande libertà, specie in ambito lavorativo, perciò fu di nuovo il duca ad aiutarla. La fece studiare dai migliori maestri e medici del paese e, una volta compiuti sedici anni, se ne andò per impratichirsi. Da allora abita lì e lavora in clandestino. So che non è un granché, ma per ora non può far altro, dato che nessuno la vuole assumere come medico in quanto donna.»

Gilbert si aspettava che Mark aggiungesse qualcos’altro, ma così non fu. Così toccò a lui continuare il discorso.

«E voi, quindi, siete...»

Il giovane lo fissò con aria perplessa. Sembrava non capire dove volesse andare a parare, perciò si limitò a ripetere la sua domanda.

«Noi siamo cosa?»

«Ehm... come dire... in che rapporto siete voi due?»

Un lampo parve folgorare il viso di Mark che, dopo un attimo di stupore, si aprì in un sorriso.

«Cosa? Vuoi sapere se stiamo insieme?»

Gilbert annuì e ciò fece esplodere il ragazzo in una fragorosa risata.

«Oh cielo, no! Ci mancherebbe! Siamo solo amici, come ti salta in mente una pazzia simile?»

«Beh, io che ne so? Mi pareva che foste molto intimi, tutto qua.»

«No, assolutamente. Ma toglimi una curiosità: Cassidy ti piace?»

«Che?! Scherzi? Certo che no!» rispose rosso come un pomodoro maturo il Nightray.

«Ah, capisco. Hai già una ragazza, giusto?»

«Cos… ? No!»

Mark parve sorpreso, ma leggermente preoccupato.

«Però... c’è qualcuno che ti piace, vero?»

‘Perché diavolo siamo finiti a parlare di ragazze?’ si chiese mentalmente Gilbert ‘Se c’è un argomento che mi mette in crisi, è proprio questo!’

«Ehm, no. Non ho in mente proprio nessuno.» riuscì ad ammettere poi.

«Nessuno nessuno?»

«Nessuno nessuno.» ripeté Gilbert.

Mark parve rasserenato nel sentire ciò.

«Meno male.» gli sfuggì di bocca, ma l’altro non lo sentì.

 

«Che diavolo è successo?! Che hai fatto al braccio? Ah, il duca userà la mia testa come fermacarte!»

Reim non aveva fatto altro che urlare frasi di questo genere da quando i due ragazzi erano, finalmente, tornati nel salotto dell’enorme villa. Dire che era in paranoia era un eufemismo bello e buono.

Sebbene Mark avesse spiegato a tutti gli altri cosa fosse avvenuto fino ad allora, nessuno, a parte Reim, era riuscito a commentare nulla, in quanto il servo del duca continuava ad urlare disperato. Mark si trovava in piedi, a pochi passi dal compagno ed accanto a Gilbert, che sembrava parecchio a disagio.

«Perdonami, Reim. Lo so che avevo promesso di proteggerlo, ma...»

«Io sono un essere inutile!» concluse per lui Emily.

«Break, piantala di fare l’idiota!» fece furioso Gilbert.

«Oh, la realtà fa male, vero Gil-kun?»

Prima che il giovane Nightray potesse partire all’attacco, Reim lo tranquillizzò.

«Non preoccuparti, Gilbert, so che hai fatto del tuo meglio. Lo stesso non posso dire di te, invece!»

«Reim, piantala, inizi ad essere veramente seccante.»

Solitamente una frase del genere avrebbe demoralizzato il timido servo, ma stavolta aveva troppa adrenalina in sangue per calmarsi e cambiare umore.

«Io sarei seccante? Oh, certo tu te ne vai in giro a farti azzannare e io sarei seccante! Guarda, sarai anche mia amica, ma quando fai così sei davvero insopportabile!»

Aveva pronunciato quelle parole senza pensarci tanto, ma qualcosa scattò nella mente di Gilbert, proprio quando Sharon tentò di calmarlo.

«Via, via Reim, non urlare. In fondo hanno fatto del loro meglio, perciò...»

«Un momento.» proruppe Break «Sbaglio o hai detto “amica”? Perché hai usato il femminile?»

«Ehm... ecco io... mi sono confuso!» disse Reim, iniziando a lucidarsi gli occhiali.

«Ah, ma davvero?» chiese senza credergli minimamente Xerxes.

«Oh, andiamo! Era agitato e ha confuso una vocale, può capitare!» cercò di difenderlo Mark.

«Però.» intervenne Gilbert «Anche Cassidy aveva fatto lo stesso errore. Aveva chiesto perché fossi “ricoperta” di sangue.»

Oramai tutti fissavano Mark con aria interrogativa.

«Oh, andiamo. Che avete da fissare? Si sono confusi, capita e comunque...»

«Per quanto ancora intendi recitare questa insulsa parte, Sophie?»

Il duca Barma, che si era infiltrato nella stanza senza essere notato da Mark, in quanto il giovane volgeva le spalle alla porta, aveva accompagnato quelle parole ad un gesto fulmineo della mano destra. Aveva afferrato i capelli corvini di Mark e aveva dato un possente, quanto teatrale, strattone.

Con grande stupore di tutti, ora il duca reggeva in mano una parrucca, mentre una cascata di boccoli corvini caddero, come foglie in autunno, sul viso di Mark.

Il primo che riuscì a trovare la parola fu Oz.

«Ma... ma... Mark è una ragazza?!»

 

 

 

*[termine giapponese, che identifica personaggi stolti o spensierati degli anime o manga, caratterizzati da un ciuffo di capelli che spunta dalla testa. NdA]

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

Eccomi di nuovo qua! Allora, che ne pensate? Quanti di voi si aspettavano che Mark in realtà fosse una ragazza? Praticamente tutti, ho lasciato sparsi anche fin troppi indizi. Questa fanfic mi è venuta in mente quasi per caso, mentre leggevo uno degli ultimi capitoli di Pandora Hearts; ho iniziato a fantasticare sul fatto che Gilbert avrebbe potuto avere una ragazza e, a quel punto, ho immaginato la storia della fanciulla, le sue parentele e amicizie e, naturalmente, mi sono divertita un mondo a creare situazioni imbarazzanti tra lei e il povero Gil. Che dite, volete sapere cosa accadrà ora? Continuate a leggere e lo saprete! (risata maligna)

Buona continuazione di lettura!

 

Moni =)

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Capitolo 3
*** Retrace II - The Most Beautiful Flower Is On A Branch Too High To Be Taken ***


RETRACE II – THE MOST BEAUTIFUL FLOWER IS ON A BRANCH TOO HIGH TO BE TAKE

 

La fanciulla, con occhi sbarrati e gote vermiglie, si portò istintivamente le mani ai capelli, ormai sciolti. Dopo un primo attimo di smarrimento, si voltò verso il duca.

«Uffa, papà! Sei il solito guasta feste!» gli urlò indignata.

«Non urlare e rivolgiti a me con più rispetto.» le rispose lui, leggermente seccato.

«Sophie? Papà?!» urlarono sconvolti gli astanti.

«Avevi promesso che te ne saresti rimasto buono!» brontolò imperterrita la ragazza, come se gli altri non esistessero.

«No, io avevo promesso che non avrei interferito con i tuoi incarichi, se tu fossi tornata indenne.»

«Ma dai, papà! Corri più rischi tu quando fai infuriare la zia Cheryl! E comunque non mi sono fatta niente.»

«Un momento, un momento, vi spiace spiegarci?» chiese Oz, che venne nuovamente ignorato.

«Oh, certo, quasi dimenticavo! Tu non ti fai mai nulla, giusto?» le ribatté il duca.

«Come tu non mi spii mai quando metto un piede fuori dalla villa, giusto?» le rispose a tono la ragazza.

Il duca stava per ribattere, ma rimase di sasso di fronte a quell’affermazione.

«Tu...» iniziò poco convinto, ma con una certa rabbia crescente «Parlami con più rispetto!» sbraitò infine.

«Ti porterò il dovuto rispetto, quando tu ti comporterai in modo differente. Per ora ti porto il rispetto che merita un bambino! E non urlarmi contro!»

A quel punto, dovette intervenire Reim, che si frappose tra i due.

«Su, signor duca, non urli e anche lei, signorina, non si agiti. Cercate di calmarvi.»

«Io sono calmissimo!» gli urlarono all’unisono i due Barma.

«Ehm, sì, non lo metto in dubbio, ma... non sarebbe il caso di presentarsi?» propose Reim cordiale, sebbene avesse la voce rotta dal panico.

La ragazza volse lo sguardo agli altri occupanti della stanza e li osservò come se si fosse resa conta della loro presenza solo allora.

«Oh... ehm… sorpresa?» riuscì a dire infine, sebbene suonasse più come una domanda che come un’affermazione.

«Il tipo strambo è una tizia?» chiese Alice curiosa ad Oz.

«Ehm... a quanto pare quella è la figlia del duca.» le spiegò il biondo.

«Che?! Il duca pagliaccio è il padre del tizio ragazza?»

«Duca, ora inizio a perdere davvero la pazienza. Sebbene tutti sembrino divertiti da questa pagliacciata, esigo delle spiegazioni altrimenti...» minacciò Break.

«Altrimenti cosa, Cappellaio? Ti metterai a spadroneggiare col tuo Chain e...»

«Papà, adesso piantala però. Sei pesante!»

Il duca fissò la fanciulla con aria parecchio adirata ma, dopo aver brontolato un: «Pesante? Poi te ne farò pentire» decise di rispondere in modo più consono.

«Non c’è nulla da spiegare.» disse il rosso in tono affabile, celandosi la parte inferiore del viso col suo inseparabile ventaglio e poggiando la mano libera sulla testa della ragazza «Questa è mia figlia: Sophie.»

Silenzio.

«Il duca ha una... figlia?» chiese sbalordita Sharon.

Persino Gilbert non riusciva a crederci. Era già abbastanza sconvolto dal fatto che Mark in realtà fosse una ragazza, ma venire a conoscenza che era anche l’unica figlia del duca Barma (o, almeno, sperava che non ci fossero altri membri segreti di quella famiglia) era semplicemente troppo per i suoi nervi.

Il duca fissò accigliato la giovane Rainsworth.

«Perché? Che c’è di strano? Credevi forse che non potessi avere figli?»

«Chiedo scusa, ma la nonna non me ne ha mai...» Sharon non riuscì a terminare la frase.

«Certo che Cheryl non te l’ha detto: glielo chiesi io di non farlo.»

«E perché? Se posso...» si affrettò ad aggiungere la mora, per non suonare ulteriormente scortese o avventata nel parlare.

«Per il semplice fatto, che detesto che gli altri mettano il naso in questioni che non sono di loro competenza.»

«Papà, ti faccio presente che tu vivi ficcando il naso in questioni che non ti riguardano.»

«Sophie, tappati quella boccaccia!»

La giovane ridacchiò divertita. A quanto sembrava, stuzzicare il padre doveva essere il suo passatempo preferito.

«Tralasciamo il fatto che nessuno era al corrente della tua vera identità.» intervenne Gilbert «Per quale arcano motivo ti sei travestita da uomo?»

Sophie abbassò lo sguardo imbarazzata, ma poi si avvide a dare una sonora pedata al piede del padre, dato che aveva bofonchiato: «Colpa tua, idiota.»

«Questo posso spiegarlo io.» s’intromise Reim «La signorina Sophie...»

«Sophie, Reim. È solo Sophie! Quante volte te lo devo ripetere?» lo interruppe la ragazza accigliata e fissando per aria.

«Ehm... sì ma io non so se posso...»

«Reim, per l’amor del cielo, concludi una frase. Almeno quello pensavo che fossi in grado di farlo.» il duca l’aveva apostrofato con gioia per l’ennesima volta, essendo quello uno dei suoi antistress prediletti.

«Papà, lasciatelo dire sei proprio...»

«Come stavo dicendo!» squittì il servo, prima che scoppiasse un’altra tempesta «La signorina... ehm... Sophie, mantiene sempre questo genere di travestimento con i clienti. In questo modo, non è mai rintracciabile.»

«Ma è risaputo che il casato Barma è in ottimi rapporto col mio.» Sharon non riuscì a trattenere la sua indignazione «Perché non si è voluta fidare nemmeno di noi?»

«Ehm.. dunque...» Reim si tolse gli occhiale e li fissò con aria assente «Io potrei anche dirvelo, ma se lo facessi...» lanciò un’occhiata a Sophie, la quale gli rivolse uno dei suoi sorrisi più smaglianti.

«Lo ammazzerei, dopo averlo torturato con metodi inimmaginabili!» concluse raggiante per lui.

«Appunto.» confermò mesto il servo.

«Bene, giunti a questo punto, noi ce ne andremmo.» fece il duca, trascinando Sophie per il braccio.

«Ehi, no! Aspetta un momento! C’è una cosa importante che devo dirgli! Riguarda i Baskerville!»

Nell’udire quel nome, tutti si fecero attenti e persino il duca mollò la presa del suo braccio, per lasciarla parlare ed ascoltare le sue parole.

«Posso dirvi dove si riuniranno.» disse parecchio soddisfatta.

«Tu cosa?» chiese allibito Gilbert.

«Ma la missione non era stata un completo fallimento?» fu Break a parlare stavolta.

«Ve l’avevo detto, no? Sono o no il miglior informatore in circolazione?»

«Adesso non esagerare, Sophie.»

«Dopo quello che dirò, ti ricrederai anche tu, papà. Gilbert, per caso avevi notato nulla di strano la sera che Lotti ci ha attaccato? Un suono fuori dal comune, per esempio?»

Il Nightray si fermò un attimo a riflettere.

«Sì.» ammise «Ora che me lo fai notare, c’era qualcosa: un battito d’ali piuttosto forte, ma poi Lotti è arrivata e, in seguito alla baraonda che è esplosa, l’ho dimenticato. Probabilmente era un uccello parecchio grande.»

Persino gli occhi di Sophie parvero sorridere.

«Non era un uccello: era il mio Chain. E si dà il caso, che sia fatto apposta per celarsi nelle tenebre e seguire ovunque il suo bersaglio. E, ora, il suo obbiettivo è Lotti.»

Le parole di Sophie sorbirono l’effetto desiderato: tutti pendevano dalle sue labbra ed avevano un’espressione talmente esageratamente stupita, che lei si lasciò sfuggire una risatina.

«Ma come... quando...?» Gilbert non riusciva nemmeno ad articolare una frase.

«Cosa credevi, che andassi alla ricerca di un Baskerville senza un piano ben preciso? Papà non provarci nemmeno a ribattere!» Sophie lanciò un’occhiataccia al padre, che sembrava sul punto di smentire le sue parole, ma nonostante quel monito volle comunque dire la sua.

«Solitamente sei talmente goffa e imbranata, che una mossa tanto intelligente mi pareva non adatta a te.»

La ragazza incassò il colpo e, con parecchio imbarazzo, continuò a parlare come se niente fosse.

«Dicevo che il mio Chain, cioè Lotti... ehm...»

«Stavi dicendo che avevi un piano.» l’aiutò gentilmente Reim.

La giovane apprezzò il gesto e gli sorrise.

«Sì, è così! Gilbert, ti ricordi che due sere fa andai in biblioteca?»

Il ragazzo annuì.

«Ebbene, non è stato tempo perso. Ho faticato molto per trovarlo, ma alla fine sono riuscita ad avere tra le mani un manoscritto risalente a cento anni fa. Naturalmente, per le persone comuni è un normalissimo libro, per questo è tenuto nascosto in bella vista.»

«Non capisco. Se è nascosto, perché dovrebbe trovarsi in bella vista?» chiese Oz confuso.

«Quando vuoi trovare qualcosa, solitamente, lo si cerca nei luoghi più strani ed occultati; tuttavia se, invece, si trovasse proprio sotto al tuo naso non te ne accorgeresti nemmeno.» rifletté a voce alta il Nightray.

«Esatto, e quale luogo migliore per nascondere un libro, che una biblioteca?» acconsentì raggiante la Barma.

«Sei un demonio.»

«Grazie, papà!»

«Non era un complimento.»

«Per i tuoi standard, è la lode migliore che abbia mai ricevuto negli ultimi anni.»

«Vi spiace rimanere in tema?» chiese Break, vistosamente seccato.
«Come stavo dicendo, prima che quel tontolone di mio papà m’interrompesse (è inutile che mi guardi così, tonto sei e tonto rimani), ho trovato un libro...»

«Che parla dei Baskerville?» proruppe Oz, in quella che voleva sembrare più un’affermazione che una domanda.

«Cielo, certo che no! Non sono mica così stupidi!»

«Oh...»

«Però, anche se non direttamente, venivano menzionati, perciò possiamo dire che c’hai azzeccato. La volete sapere la cosa che mi ha colpito?»

«No, assolutamente, non ti abbiamo certo assoldato per darci informazioni sui Baskerville, no?»

«Le mocciose d’oggi diventano sempre più tonte!»

«Grazie per la puntualizzazione, Emily.»

«Break, piantala!» lo zittì Gilbert.

«Ho trovato un incantesimo in quel libro.» fece Sophie, sperando che la sentissero.

«Oh, Gil-kun mi minaccia? Paura!» rispose divertito Break.

«Ehi, mi avete sentita?»

«Lei ci sta gentilmente dando delle informazioni, ce la fai ad ascoltare senza fare il pagliaccio?»

«Ragazzi, dico a voi...» ritentò Sophie.

«Fantastico! Gilbert si è fatto già ammaliare dal suo bel visino! Ti credevo un po’ più sveglio.»

«Ehi, io sarei ancora qui...»

«Xerxes, adesso stai esagerando.»

«Oh! Anche Reim si unisce al gruppo “difendiamo la povera ragazzina indifesa”! Ora cosa potrei mai fare, solo contro due forze della natura come voi?»

Se possibile la discussione degenerò sempre più, perfino Oz e Sharon si unirono al coro di voci urlanti, ma una ventagliata colpì Reim tanto forte da farlo urlare. A quel punto tutti, dopo essersi assicurati che il giovane stesse bene, si voltarono ad osservare il colpevole, ovvero il duca.

«Finalmente un po’ di silenzio.»

BONK! Un pugno colpì la testa cremisi di Rufus Barma.

«NON-COLPIRE-MAI-PIÙ-REIM, CHIARO?» Sophie scandì per bene le parole.

«SEI-COMPLETAMENTE-USCITA-DI-SENNO?» la riprese allo stesso modo il padre.

«Sai benissimo che non perdono chi fa del male ai miei amici e Reim rientra nella categoria, anzi ha un posto d’onore in cima alla classifica.» prima che il duca potesse protestare, la ragazza osservò gli astanti e diede loro la tanto decantata informazione «In quel tomo che ho trovato in biblioteca, erano presenti alcuni incantesimi usati dai Baskerville per spiare i propri nemici. Mi ci è voluta tutta la notte, ma ne ho imparato uno semplice, che permette a Swan, il mio Chain, di non essere rintracciato e di passare attraverso le barriere magiche. È per questo che, quando Lotti ci ha attaccato, mi sono limitata a schivare e a provocarla: dovevo prendere tempo, mentre pronunciavo l’incantesimo. Perché abbia effetto, infatti, bisogna avere il bersaglio e il proprio Chain sotto un raggio visivo di qualche metro, altrimenti non funziona a dovere. Swan dovrebbe tornare a giorni, con l’esatta ubicazione della loro base, perciò mi farò viva io. Fino ad allora tenetevi pronti e, per l’amor del cielo, piantatela di litigare per ogni sciocchezza!»

Una volta terminato il suo monologo, Sophie fece un breve inchino e si avviò alla porta, seguita a rotta di collo da Reim, che però s’arrestò non appena udì la voce del suo padrone.

«Ah, Reim, quasi dimenticavo. Tu non dovevi tenerla d’occhio?»

«Ma, io... veramente…» tentò di giustificarsi il servo.

«Non temere, riceverai la giusta punizione, a tempo debito. Andiamo Sophie.»

«Ah, Reim.» fece la giovane Barma «Tu non avevi promesso di non farmi scoprire?»
«Ma, ma...»

«Non temere, riceverai la giusta punizione, a tempo debito. A dopo, Reim!»

Oz diede delle affettuose pacche alla schiena di Reim, mentre Gilbert gli pose una mano sulla schiena, in segno di conforto.

«Povero Reim, due sono troppi!» fece Sharon preoccupata, ma divertita al medesimo tempo.

«Ah, e papà.» Sophie osservò con attenzione l’uomo «Con te non ci parlo più!»

«Come?»

«Hai sentito benissimo: hai osato alzare la mano su Reim, perciò sei in punizione.»
«Ah, io sarei in punizione? Signorinella, sei tu quella che avrà una punizione a regola d’arte e... ehi, non darmi le spalle e... no, questo no! Non azzardarti a sbattermi la porta in fa...»

SBAM!

Non si udì volare una mosca per alcuni tesissimi secondi, poi un suono fece ridestare il duca: la risatina maligna di Break e la vocina di Emily che lo scherniva.

«Si è fatto sbattere la porta in faccia da sua figlia! E ora è in punizione!»

«SOPHIEEE!!»

Dopo quest’ultimo urlo, anche il duca Barma uscì dalla stanza, senza salutare e sbattendo ancora più forte la porta.

«Quella povera porta che gli avrà fatto di male?» chiese con un sospiro Oz.

 

Erano trascorse meno di ventiquattr’ore da quando avevano scoperto la vera identità di Mark, che Sophie si ripresentò al cospetto di Oz e compagnia, scortata da Lady Cheryl. La prima a fare il suo ingresso in sala fu l’anziana signora, con il timido Reim che spingeva la sua carrozzina. La nipote non fece attendere un solo secondo, che subito si precipitò a salutare la cara parente.

«Nonna! Che gioia rivederti, come stai?» chiese premurosa, mentre l’abbracciava.

«Benissimo, cara. Ma, perdonami, oggi non sono qui per farti compagnia, ma perché voglio che tu conosca una persona.»

Sharon aveva osservato con le sue splendidi iridi rosa la nonna, curiosa di scoprire l’identità della persona menzionata dalla vecchietta.

«E chi è nonna, la conosco?»

«Oh sì, hai avuto l’occasione di incontrarla, ma non di parlarci per molto.» detto ciò, volse la testa alla porta «Entra pure, cara, non essere timida.»

Potete ben immaginare lo stupore di tutti quando entrò nella stanza Sophie Barma. Poiché non era più necessario celare la propria identità, indossava uno splendido abito celeste, con nastrini blu che spuntavano alla fine delle mezze maniche e sul bordo inferiore della lunga gonna. L’abito non era particolarmente scollato, ma permetteva di intravedere una porzione del candido busto, messo ancor più in risalto dai lunghi capelli sciolti, che le scendevano lungo il petto.

«Oh, e questo splendore chi è, Cheryl-sama? Perché me l’ha tenuta nascosta?» chiese Break con un sorrisetto malizioso.

«Come Xerxes, non la riconosci? È la figlia del duca Barma, Sophie.»

«Davvero?» chiese con finto stupore l’albino «Eppure ieri mi era parsa un anatroccolo che di femminile avesse ben poco, ma oggi ho difronte un bellissimo cigno!»

«La smetta di prendermi in giro.» borbottò paonazza Sophie.

«Ma io non la sto affatto prendendo in giro!»

«È inutile, Xerxes! Questa sciocchina è convinta che ogni qualvolta un giovanotto le faccia un complimento, in realtà lo fa solo per burlarsi di lei; non è così, Sophie?» la duchessa aveva l’aria a metà tra il divertito ed il seccato.

«Non è che sono convinta, è così e basta.» fece decisa la mora.

«Oh, capisco! Poverina, ha ragione.» intervenne nuovamente Break «Se a complimentarsi per la sua bellezza è un umile servo e per di più vecchio come me, non potrà far altro che dubitare delle mie parole. Gilbert, perché non le fai tu un complimento? Sempre che tu riesca ad articolare una frase di senso compiuto, non appena avrai distolto gli occhi dal suo bel corpicino.»

Le parole di Break fecero ridestare il Nightray dal suo stato di trance. Da quando Sophie era apparsa, il giovane non era riuscito a levarle gli occhi di dosso e, anzi, continuava ad ammirare centimetro per centimetro ogni parte del corpo della ragazza. Alla fine riuscì a liberarsi dal suo incantesimo e, abbassato il cappello e volto lo sguardo fuori dalla finestra, affermò «Sì, è molto carina.»

Sophie fu felice del fatto che Gilbert non la stesse osservando, perché altrimenti si sarebbe certamente accorto di quanto le sue parole l’avessero lusingata.

«Beh, non dici nulla Sophie? Ringrazialo per il bel complimento.» l’incalzò la duchessa.

«Grazie, anche tu sei molto bello.» non appena si lasciò sfuggire quelle parole, la ragazza maledì se stessa per la sua goffaggine.

Ma che razza di frase era mai quella? Tanto valeva andare lì e abbracciarlo, forse sarebbe stato meno imbarazzante. Per sua fortuna, Sharon intervenne, sviando l’argomento su di un’altra direzione.

«Nonna, perché l’hai portata da me?»

«Oh, ma è semplice, tesoro. Dato che Rufus mi aveva categoricamente proibito di far parola con chiunque dell’esistenza di sua figlia e, quindi, di fartela conoscere, ora che lui stesso ti ha rivelato la sua identità, posso finalmente farvi conoscere! Non è magnifico?»

«Ma, perché?» chiese senza capire la giovane.

«Come perché? Perché voglio che diventiate amiche! Su, forza, datevi da fare!» dettò ciò, obbligò le due ragazze a sedersi l’una difronte all’altra su di un comodo sofà e poi le osservò, trepidante d’attesa. Le due, tuttavia, si limitarono ad osservarsi in silenzio, senza proferire parola, perciò toccò nuovamente alla signora Cheryl rompere il ghiaccio.

«Avanti, Sharon! Iniziate a conversare su qualcosa.»

La faceva semplice lei, ma la povera Sharon non aveva idea di cosa fare o dire. Era la prima volta che aveva l’occasione di parlare con una sua coetanea, e ciò la rendeva oltremodo felice, ma allo stesso tempo la riempiva di dubbi e paure, che venivano accresciute dal fatto che Sophie fosse la figlia del duca Barma. Cosa mai le avrebbe potuto dire per intrattenerla? E se lei, come il padre, avesse avuto un caratteraccio? Cosa avrebbe fatto lei e la sua povera nonna come l’avrebbe presa?

Tormentata da questi dilemmi, disse la prima cosa che le passò per la testa.

«Splendida giornata, non trova?»

«Detesto le giornate come queste.» proruppe l’altra, confermando i dubbi della sua interlocutrice.

Cheryl andò in soccorso della nipote.

«Sophie! Non essere sgarbata! Smettila di tenere il muso perché tuo padre ti ha sgridato e cerca di sorridere. Coraggio! Prova a fare una domanda a Sharon.»

Forse fu il tono tenero dell’anziana signora o forse la certezza che, se non avesse obbedito, avrebbe ricevuto una ventagliata in testa, fatto sta che Sophie parlò, pur mantenendo un atteggiamento distaccato e poco convinto.

«Ha letto qualcosa ultimamente?»

Sharon era talmente felice di aver ricevuto una domanda, da non badare al tono dell’altra.

«Oh, sì! Ho appena finito di rileggere “Romance XXI”!»

Sophie si sorprese, ma non lo lasciò troppo a vedere.

«Ha detto “Romance XXI”? Questo significa che ha già letto anche i numeri precedenti.»

«Certo che sì! Ho l’intera collezione ed ora sto aspettando con ansia il prossimo numero!» disse estasiata Sharon.

Sophie si permise di sorridere timidamente.

«Anch’io ho tutti i numeri.»

«Eh? Davvero? Ma è magnifico! Aspetti!» fece in tono serio Sharon «Qual è il suo personaggio femminile preferito?»

«Che domande! Rosalie, ovviamente! È l’unica che ha il fegato di dire apertamente ciò che pensa senza peli sulla lingua e poi sceglie lei con chi stare. Non è una svampita come Lucy o Elizabeth che aspettano in grazia di essere salvate dal principe azzurro.»

«Scena preferita?»

«So che è banale, ma è quando Rosalie scopre che il suo servitore è il ragazzo mascherato che ha incontrato al ballo. Certo, l’ho capito fin da subito, però era la scena che aspettavo con ansia di leggere da quando iniziai il libro.»

«Un’ultima domanda.» Sharon fece una pausa d’enfasi «Qual è il personaggio maschile che vorreste come fidanzato, se esistesse, naturalmente?»

Sophie si prese qualche secondo per riflettere.

«Mmh, è difficile. Personalmente adoro William, ma, se fossi triste e necessitassi di premure, allora sceglierei senza indugio Robert.»

Sharon, che fino ad allora era rimasta in silenzio ad ascoltare, prese le mani di Sophie tra le sue e, con gli occhi luccicanti, esclamò: «Ma è fantastico! È esattamente quello che penso anch’io!»

«Davvero?» anche Sophie si lasciò coinvolgere dall’entusiasmo dell’altra.

«Sì, sì, davvero! Sono così contenta! La prego, posso chiamarla Sophie-oneechan?»

«No.»

Il sorriso di Sharon svanì di colpo.

«Oh, sì è ovvio... ci siamo appena conosciute e...» balbettò delusa.

«A meno che io non possa chiamarla Sharon-oneesan!»

Sharon non riuscì a trattenere la sua felicità ed abbracciò Sophie.
«Che bello! Nonna, Break avete sentito? Ho un’altra sorellina!»

«Quando parla così, Sharon-sama, sembra una vecchia che importuna una povera ragazzina!»

Tre ventagliate colpirono all’unisono la testa del servo.

«Perché l’hai colpito anche tu?» chiese Cheryl a Sophie.

«Non sopporto chi prende in giro i miei amici. E poi mi è stato antipatico fin da subito.»

Reim aiutò l’amico a ricomporsi, non senza prima rimbeccarlo.

«Tu proprio non ce la fai a startene zitto, eh Xerxes?»

Dopo questa piccola interruzione, Sharon e Sophie tornarono a parlare fitto fitto di tutti gli aspetti della loro serie preferita. Oz e gli altri le osservavano di sottecchi.

«Incredibile, vanno d’amore e d’accordo.» commentò Oz.

«Già, non l’avrei mai detto, visto l’atteggiamento distaccato di Sophie.» aggiunse Gilbert, che fu subito contraddetto dalla duchessa.

«Che? Guarda che io non nutrivo il benché minimo dubbio, invece. Sophie non è antipatica, al contrario è una ragazza estremamente dolce e timida, forse anche più del nostro Reim.»

«Cosa?»

«Non lo sapevi, Gilbert? Sophie assomiglia molto a Sharon. Anche lei, infatti, è cresciuta senza alcun bambino della sua età con cui giocare. Inoltre, si sente terribilmente in colpa.»

«E perché?» Gilbert voleva conoscere meglio quella strana ragazza e credeva di averne finalmente l’opportunità.

«Se vuoi saperlo, chiedilo a lei.»

«Non me lo può dire lei, Cheryl-sama?»

«Assolutamente no. Io sono da sempre la sua confidente e non mi vendo per nulla al mondo.»

«Allora, Sophie-oneechan, c’è un ragazzo che le piace?»

Proprio in quell’attimo, calò un silenzio di tomba. Un classico, quando si dice qualcosa di compromettente o imbarazzante, improvvisamente tutto tace. Gli astanti porsero le orecchie per udire la risposta e, nel frattempo, fingevano di non aver udito la domanda di Sharon.

«Beh, in effetti, ci sarebbe una persona…» confessò timidamente Sophie.

«Lo sapevo! Una fanciulla della sua levatura DEVE avere un interesse amoroso, possibilmente tormentato e segreto… ma mi dica, chi è?»

«Questo non posso dirlo!» squittì l’altra.

Break, Oz e Gilbert credevano che le loro orecchie si potessero staccare da un momento all’altro, tanto erano tese all’ascolto. Stranamente, nemmeno Cheryl fiatò, probabilmente perché troppo divertita dalla situazione. Né Sophie né Sharon, infatti, si erano minimamente accorte di trovarsi in compagnia di altre persone, concentrate com’erano nella loro conversazione tutta in rosa.

«Oh, suvvia Sophie-oneechan! Almeno mi dia un indizio, una descrizione, qualcosa!»

«Non posso proprio...»

«Facciamo così.» fece divertita Sharon «Io le farò una domanda a cui dovrà rispondere solo con un sì o un no, che ne pensa?»

L’altra ci pensò su: non voleva certo confidarsi fino a tal punto con la sua nuova amica, ma non se la sentiva nemmeno di deludere le sue aspettative, perciò acconsentì con un cenno del capo.

«Bene, incominciamo, allora! È più alto di lei?»

Sophie annuì.

«Oh! Lo sapevo!» cinguettò Sharon, felice come non mai.

«Lo sapevi?» chiese l’altra incredula e leggermente diffidente, dato l’argomento in questione.

«Oh, io ho un sesto senso per le questioni di cuore.» le rispose orgogliosa l’altra «Ma continuiamo: è biondo o moro?»

«Avevamo stabilito che avrei risposto solo con un sì o un no.»

«Oh! Giusto, giusto. Allora... è biondo?»

«No.»

«Capelli lunghi?»

«Non eccessivamente.»

«Ah! Adesso è lei che non ha rispettato le regole!»

«Ci tiene così tanto a farmi smettere?»

«No, no! Per carità!»

«Basta! Mi sono stufata, è un gioco stupido!»

«No!» la trattenne Sharon, supplicandola con i suoi enormi occhioni da cerbiatta che, dato il visino ancora infantile, sortirono un effetto poderoso «La prego! Solo altre venti domande!»

«SOLO?»

«Va bene, forse ho un tantinello esagerato. Facciamo altre tre?»

«Gliene concedo due.»

«Neechan!»

«Oh, d’accordo! Altre tre! Ma poi basta!»

«Sì!» esultò l’altra «Bene, tre domande, mi lasci pensare con cura...»

Sharon si concentrò al massimo: aveva solo altre tre domande per svelare l’identità dell’innamorato di Sophie e non intendeva di certo infangare la sua impeccabile reputazione di esperta di cuori (titolo che si era autoconferita, ovviamente, ma che restava per lei un vanto di estrema rilevanza sociale, al pari quasi del suo stesso titolo nobiliare).

«Ecco la prima: è più grande di lei?»

«Sì.»

«Lo conosco, per caso?»

Sophie divenne talmente rossa che le andarono in fiamme persino le punte dei capelli.

«Oh, lo prenderò come un sì! Ma, allora, non mi dica che è...»

Sophie non le permise di terminare la frase. Le tappò la bocca e le urlò: «Parla e ti assicuro che non ti rivolgerò mai più la parola, nemmeno tra un milione di anni!»

Sharon, nonostante la sorpresa iniziale, iniziò a ridacchiare e, una volta liberata, le chiese con voce calma: «Posso sussurrarglielo all’orecchio?»

«NO!»

«Ma aveva detto che mi concedeva tre domande!»

«Tutte quelle che vuole, ma non quella!»

«Suvvia, così non è leale, Sophie-oneechan!»

«So già che mi odierò profondamente per questo, ma... d’accordo.»

Non appena pronunciò quelle fatali parole, Sharon le si avvicinò, coprendosi la bocca con una mano e le bisbigliò un nome all’orecchio. Sophie trasalì e proferì versi senza senso. Tutti gli astanti si stavano chiedendo che razza di nome avesse mai detto la giovane Rainsworth, ma questa si limitava a battere le mani e a canterellare: «Ho indovinato! Ho indovinato!»

«Non... non lo dirà in giro... vero? Perché altrimenti!... ehm…»

«Ah, ah, ah! Tranquilla, Sophie-oneechan, il suo segreto è al sicuro, parola mia. Ma sono talmente felice! Ora siamo davvero come due sorelle e, in quanto maggiore, sarà mio preciso dovere aiutarla!»

«Ma veramente...» tentò di opporsi l’altra.

«Non è felice di poter ricevere il mio aiuto?»

«Sì, ma... come dire…»

Break e gli altri non poterono far altro che compatirla: ora era nelle mani di Sharon e non poteva capitarle cosa peggiore. Tuttavia, la giovane Barma li stupì nuovamente.

«Sharon-onesan, mi aiuterà per davvero?»

«Come?» chiese la duchessina, ma in realtà lo urlarono mentalmente tutti.

«Non le crea fastidio aiutarmi? Perché in tal caso la capirei se...»

La fanciulla dalle iridi rosa non credeva alle sue orecchie: non solo aveva trovato una sorellina, ma quest’ultima voleva anche il suo aiuto in questioni d’amore! Come aveva fatto in precedenza la Barma, a causa della forte emozione, stavolta fu il turno di Sharon a sbagliare il pronome con cui rivolgersi alla nobile e, perciò, anziché un elegante e raffinato “lei” venne rivolto alla giovane mora un più intimo “tu”.

«Certo che ti aiuterò! Non dubitarne, userò tutti i mezzi a mia disposizione, contaci! Anzi, perché non vieni nella mia stanza provare qualche abito? Magari ne troviamo qualcuno adatto a te.»

Sharon e Sophie erano sul punto di alzarsi, quando si udì la voce del duca Barma.

«Sophie! Smettila di fare l’ochetta da salotto e vieni qui, che hai del lavoro da svolgere!»

«Oh, non ci credo! Mi ha seguita fin qui?»

La ragazza pronunciò quelle parole mentre si avvicinava furtiva alla finestra. Eh sì, era proprio suo padre, che l’aspettava in piedi vicino ad una carrozza, con tanto di stemma nobiliare ben in vista sulle due fiancate del mezzo.

«Oh, quanto mi dispiace Sophie, vorrà dire che tornerai la prossima volta.» la rassicurò la signora Cheryl.

«Eh no, mi rifiuto! Forse se faccio finta di non esserci...»

«E non provare a fingere di non esserci, so benissimo che sei lì!»

La voce del duca smorzò ogni speranza della fanciulla, perciò quest’ultima decise di uscire allo scoperto ed affrontare il padre a viso aperto (e a debita distanza, dato che si trovava al primo piano della villa).

«Papà, quando fai così non ti sopporto!»

«Ah! Lo sapevo che eri nascosta lì! Quando faccio cosa, comunque?»

«Quando mi leggi nella mente!»

«Per quello non ci vuole nulla: hai una mente talmente piccola!»

«Papà!»

«Comunque, smettila di urlare da un piano all’altro di una casa: non è un comportamento da signora!»

«Io urlo quanto mi pare e comunque guarda che stai urlando anche tu!»

«Sì, ma io sono tuo padre.»

Silenzio.

«E con ciò?» chiese la ragazza in tono di sfida.

«Semplice, io vinco e tu perdi.» lo disse come se fosse la cosa più naturale del mondo.

«E chi ha stabilito questa regola?»

«Ovviamente, io.»

Si poterono contare i secondi antecedenti allo scoppio della guerra.

Uno, due, tre… bersaglio centrato!

Sophie aveva afferrato la prima cosa che aveva trovato (un cuscino del divanetto che si trovava a fianco della finestra, per essere precisi) e l’aveva scagliato dritto dritto in faccia a suo padre, colpendolo in pieno.

«Sophie...» disse il duca con tono grave «Lo sai, vero, che ora devi salire in carrozza con me?»

«Sì, ma cosa ti fa credere che io abbia intenzione di scendere?»

«SCENDI IMMEDIATAMENTE O VENGO IO A PRENEDERTI!» sbraitò lui.

«Rufus, non essere sgarbato con tua figlia.» lo rimproverò la duchessa, che nel frattempo si era sporta anch’ella dalla finestra.

«Cheryl, non metterci il becco anche tu, ti prego. Mi basta e avanza Sophie, come testa calda da domare.»

«Oh, e ti sei mai chiesto da chi mai possa aver preso?»

«Sophie scendi, non lo ripeterò più!» il duca aveva optato per una tattica evasiva, ovvero, aveva intenzione di ignorare deliberatamente la domanda scomoda dell’antica amica.

«Devo proprio?» chiese la giovane all’anziana signora.

«Temo di sì, cara. Rufus sta per perdere la pazienza, hai visto quanto è rosso in viso? Sembra un vulcano pronto a eruttare!»

«Che dici, se insisto ancora un po’ vedremo anche del fumo uscirgli dalle orecchie?»

La duchessa scoppiò in una fragorosa risata.

«Oh, Sophie! Rufus, hai sentito tua figlia?»

«Anche fin troppo. Adesso...»

«Sì, sì, adesso scendo. Con calma e per favore, neh?»

Detto ciò, la ragazza si avvicinò a Sharon e, dopo averla abbracciata e ringraziata per il bel pomeriggio trascorso, fece per andarsene. Non appena raggiunse la porta, però, parve prendere una decisione. Si avvicinò a Reim e gli bisbigliò qualcosa all’orecchio.

«Sophie, non è educato parlare in questo modo... ah! Vuoi sapere dove ho messo la tua borsa? L’ho appoggiata sulla scrivania che sta nella stanza accanto a questa, ma perché...?»

Non permise al servo di finire; Sophie si era già lanciata di corsa verso l’uscita e, dopo pochi secondi, tornò trionfante con un enorme zaino nero.

«Sophie, mi spieghi perché ti porti dietro sempre quel coso che tu chiami impropriamente borsa?»
«Perché non dovrei? È comodissima e molto capiente e... a-ah! Trovato!» disse trionfante, mentre estraeva dallo zaino un tomo all’apparenza nuovo di zecca «Sharon, tieni te lo regalo!» fece porgendole il libro.

«Ma, ma questo è...!»

«Sì, è l’ultimo numero di “Romance”. Ho un amico che mi procura sempre i nuovi numeri in anticipo rispetto alla data di uscita. Io non l’ho ancora letto, ma visto che ti piace tanto te lo cedo volentieri.»

«Sophie, non so se posso...»

«Puoi eccome. Te lo sto dando io, no?»

«SOPHIE!!!»

«Oh, devo proprio andare, scusate! Sharon, a presto.» poi si avvicinò a Reim e gli saltò al collo «Reim, a prestissimo! Ricordati che devi finire di leggermi quella storia.» quando si fu staccata, osservava il servo con occhi seri.

«Sophie, puoi benissimo leggerla da sola, non so se avrò tempo.»

«Ma non è la stessa cosa se non me la leggi tu. E poi lo sai che mi piace ascoltare la tua voce, quindi devi venire, intesi?» sembrava una bambina che scongiurava il fratello affinché le leggesse una favola della buonanotte.

Reim tentò di apparire seccato, ma era evidente quanto in realtà fosse felice di quelle sue parole.

«Ok, sarà una corsa persa in partenza col tempo, ma ce la farò.»

«Bene, a dopo allora! Signori, signora Cheryl.» 

Sophie fece un’ultima reverenza e se ne andò di corsa. Nel frattempo, tutti gli occupanti della sala si erano recati alla finestra, per assistere alla partenza della fanciulla. Quando ella arrivò, infatti, salutò con un sorriso il padre, come se non lo vedesse da una vita. L’uomo le brontolò ancora qualcosa prima di salire, ma Sophie lo ignorò deliberatamente e salì in carrozza.

«Allora, Sharon-cara, che ne pensi di Sophie?» chiese Cheryl.

«Penso che diventeremo grandi amiche, ma non sarà nei guai? Parlare a quel modo al duca...»

«Oh, tesoro! Si vede che non conosci ancora bene Rufus. È un gran brontolone, ma esistono solo due persone al mondo che possono tenergli testa a quel modo.»

«Chi sarebbero?» chiese Oz curioso.

«Sophie e sua madre, naturalmente. Era una tale bellezza, Mary, ma aveva anche un caratterino fuori dal comune. Dovete sapere che quando Rufus incontrò la sua futura moglie, Mary per l’appunto, era più che mai deciso a non sposarsi. Giudicava le donne come esseri non degni della sua attenzione. Poi, un giorno, mentre stava gironzolando per le vie di Sablier, si scontrò con Mary. La cosa che lo colpì, però, non fu il suo aspetto, quanto le parole che gli rivolse “Ehi! Non si usa più chiedere scusa?”. Rufus si sorprese di quella reazione. Lui era già a capo del casato Barma, mentre Mary era solo una fioraia. “Hai idea di chi ha difronte?” le chiese con aria imperiosa. “Certo che sì, con il duca Ciuffetto. Mi perdoni se non le faccio un inchino, ma ho fretta: a differenza sua, io devo lavorare. Buona giornata.” Detto ciò si alzò da terra e se ne andò. Da quel giorno Rufus iniziò ad andare al suo negozio praticamente ogni giorno e non a mani vuote. Le portava sempre un mazzo di fiori.»

«Che romantico!» si lasciò sfuggire Sharon.
«Per niente!» fece divertita la duchessa «Saprete tutti che ogni fiore ha il suo significato, no? Rufus si era informato a riguardo e perciò sceglieva con cura i fiori da donarle; il primo che Mary ricevette, infatti, fu il tanaceto. Ti dichiaro guerra.»

«Tipico, si vede subito che è un esperto di corteggiamento.» commentò Break.

«Sappi che Mary non era da meno. In risposta gli diede un rododendro, assieme ad uno smagliante sorriso.»

«Il rododendro?» chiese Oz.

«Stai attento.»

«Oh, beh è stata chiara.» disse ridendo Oz.

«Continuarono così per mesi, ad un certo punto arrivarono persino a scambiarsi bocche di leone e basilico.»

«Presunzione e odio, giusto nonna?»

«Brava mia cara, vedo che hai studiato. Una vera nobildonna è bene che conosca quanto più possibile, ed i fiori, in quanto oggetti a noi spesso associati, non sono di meno rilevanza di buone maniere e musica.»

«E come terminò la guerra dei fiori?» volle sapere il Vessalius, ormai completamente assorbito da quella storia tanto singolare quanto spassosa.

«Io ero convinta che la cosa sarebbe durata all’infinito, a dirla tutta. Non credevo possibile che uno dei due potesse mai cedere, visti i loro caratteri. Invece, alle idi di marzo, esattamente dopo un anno dal loro primo incontro, o forse è più giusto dire “scontro”, Rufus stupì sia me che Mary, portandole un semplice fiore, quasi si vergognasse di esporsi a tal punto.»

«Che fiore era? Una rosa rossa?»

«Oh no, Sharon! Rufus non è certo un tipo così banale. Aveva scelto un fiore tanto bello quanto audace: il fiore di pesco. In pratica le diceva: il tuo fascino non ha eguali

«Non mi sembra una cosa tanto imbarazzante.» convenne Oz, memore di ben più audaci parole lette sui libri e sussurrate alle ragazze che aveva conosciuto o anche solo incontrato per strada. Non per nulla, aveva come mentore suo zio Oscar. Per una volta, però, anche gli altri ragazzi si ritrovarono ad annuire, mentre Sharon arrossiva visibilmente, al punto da doversi portare le mani alle gote per coprirsele, quasi temesse che scoppiassero da tanto era vivido il suo imbarazzo.

«Credo che la mia cara nipote conosca anche il suo secondo significato. Vuoi introdurlo a questi ignoranti, per cortesia?»

Tutti gli occhi si puntarono sulla giovane, persino Reim, che solitamente se ne stava zitto in disparte, voleva ascoltare, non conoscendo la storia.

«Beh, ecco il fiore di pesco significa anche...» Sharon prese fiato e distolse lo sguardo con fare drammatico e sognante «Sono tuo prigioniero.»

Ci fu un attimo di silenzioso sbigottimento, poi si udì una risata. Dapprima appena uno sbuffo, poi un lieve canto che infine esplose in una risa senza pari. Break rideva come un pazzo, rendendo così palese a tutti che il nomignolo affidatogli dal duca Barma non era unicamente dovuto al suo Chain.

«Sono tuo prigioniero?» ripeté con le lacrime al suo unico occhio «Si può essere più idioti?»

«Il duca doveva essere rimbambito! Rimbambito!» confermò Emily.

«Break, adesso smettila. Cambierai presto idea quando scoprirai come gli rispose Mary.»

«Con un pugno? O no, ha ragione, deve avergli lanciato un mazzo d’ortica!»

«Non fece né l’una né l’altra cosa. Gli donò, invece, della lavanda: diffidenza. E poi...»

«E poi?» vollero sapere gli altri.

«Poi Rufus si stufò di attendere e andò lì senza tanti preamboli a chiedere la sua mano.»

«Tipico, com’è che me l’aspettavo?» disse Gilbert, leggermente deluso da quel finale tanto banale e, a suo dire, sconclusionato.

«In effetti era stato anche fin troppo paziente. Alla fine si sposarono, in seguito all’ennesimo litigio, e infine nacque Sophie. Non potete nemmeno immaginare quanto Rufus fosse felice all’epoca.»

«Ma nessuno si oppose? Lei era solamente una fioraia, mentre lui un duca.»

«Vero, ma il mio amico ottiene sempre ciò che vuole. Potete anche non credermi, ma a lui non importava nulla del rango sociale di Mary o del fatto che non avesse avuto l’erede maschio che il suo casato richiedeva.»

«Erede maschio?»

«Non lo sapevi, Gilbert-kun? Il casato Barma ha da sempre avuto solo uomini come signori che lo potessero guidare. Non che sia una novità, a dirla tutta, solo noi Rainsworth siamo conosciuti per lasciar maggior margine d’azione alle donne della nostra famiglia. Non deve essere facile per Sophie sopportare questo fardello.»

«È per questo che si maschera da uomo?»

«Diciamo che è una scommessa. Suo padre non voleva che si esponesse troppo ai pericoli, non dopo quello che era successo a sua madre. Ma Sophie... beh, Sophie è Sophie, non volle sentire ragioni. Alla fine suo padre acconsentì al suo desiderio di diventare un’informatrice sotto le mentite spoglie di Mark. Questo fino al suo ventunesimo compleanno, quando farà il suo debutto in società come donna.»

«Ma...» Gilbert non riuscì a terminare la frase. Aveva troppe domande da porre, troppi interrogativi che richiedevano una risposta, ma la duchessa aveva altro in mente.

«Ho parlato anche troppo. Sophie si arrabbierà di sicuro quando lo verrà a sapere, ma è il minimo che dovete sapere sul suo conto. Se volete conoscere altro, dovrete parlare con lei e lei soltanto.» detto ciò, saluto tutti e chiese a Reim di scortarla nella sua stanza. Non appena sparì dalla loro visuale, Oz trasse un sospiro di sollievo.

«Però, non credevo che Sophie fosse una ragazza così forte e determinata, e voi?»

«Io rimango dell’idea che sia solo una mocciosa viziata, figlia di un pazzo.»

«Break!» lo riprese Sharon.

«E quindi? Lascerai che diventi amica di Sharon-chan?»

«Dato che la mia padroncina sembra divertirsi, mi può anche star bene. Per ora. E poi ammetto che, vestita da donna, è una vista davvero rinfrescante per il mio vecchio e stanco occhio cremisi.»

«E tu Gil?»

«Cosa?»

«Mi sembri parecchio pensieroso da quando Cheryl-sama si è messa a parlare di Sophie e sua madre.»

«Mi stavo solo chiedendo cosa fosse successo alla madre di Sophie, tutto qui.»

«Beh, allora devi solo chiederlo a lei!»

«Non intendo fare una cosa simile.»

«Perché no?»

«Perché…»

«Perché Gilbert è innamorato di Sophie!» la voce proveniva senza dubbio da Emily.

«QUESTO NON È ASSOLUTAMENTE VERO!» urlò il Nightray, rosso in viso come un preadolescente alle prese con le prime cotte.

«Ah, no? Com’è allora che non le hai tolto gli occhi di dosso nemmeno per un istante, mentre era seduta a conversare con Sharon-oujousama?»

«Anche tu la fissavi!»

«Sì, ma non con occhi da maniaco come i tuoi!»

«GILBERT AMA SOPHIE, GILBERT AMA SOPHIE!!» iniziò a canterellare la bambola.

Mentre tutti ridevano, Gilbert si allontanò dalla sala e si diresse a passo svelto verso la sua stanza. Aveva bisogno di riflettere, anzi di calmarsi. I quadri e gli arazzi che adornavano le pareti del corridoio e che sparivano mano a mano che proseguiva nel suo cammino, sembravano riflettere i suoi pensieri confusi, che scorrevano a velocità folle nella sua mente.

Chi era in realtà Sophie? Era davvero fredda e calcolatrice come il padre oppure la ragazza allegra e timida che aveva conversato con Sharon era la vera Sophie? Cosa era accaduto a sua madre, perché il padre le impediva di farsi vedere in pubblico?

Ma soprattutto, perché non riusciva a pensare ad altro che a lei?

Questo pensiero non gli dava pace e credeva di non potersi sentire più confuso di così, quando ad un tratto gli venne alla mente uno scorcio della conversazione avvenuta tra Sophie e Sharon.

«Allora, Sophie-oneechan, c’è un ragazzo che ti piace?»

Gilbert ripensò alle risposte date da Sophie: a quanto ne sapeva, il ragazzo in questione era più alto della giovane e aveva anche qualche anno in più rispetto a lei, i suoi capelli non erano eccessivamente lunghi e Sharon lo conosceva bene.

Poi, un’altra immagine proruppe a tal forza nella sua mente, che gli parve di scorgerla con i suoi stessi occhi, come se si fosse materializzata dal nulla.

Sophie abbracciata a Reim, mentre lo supplicava di leggerle una storia.

Era possibile che Sophie fosse innamorata di Reim?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

Ciao a tutti! Altro capitolo, altre rivelazioni! Vi aspettavate che Sophie fosse la figlia del duca Barma? Nemmeno io l’avrei mai detto, ma mentre scrivevo ho pensato che nessuno fosse più adatto di Rufus a farle da padre. Mentre narro, cerco sempre di rimanere fedele al carattere originale dei personaggi, ma dato che la situazione è particolare, non so bene nemmeno io come potrebbero reagire. Spero che fino ad ora vi siate divertiti e spero che continuerete a leggere le mie follie! A proposito, il titolo è un proverbio cinese che mi è piaciuto a tal punto, che non ho potuto far altro che usarlo per la mia storia. Inizialmente il “fiore” doveva essere Sophie, ma ora che rileggo il capitolo, credo che sia più corretto intenderlo anche come l’amore stesso, è più poetico, non trovate? Capirete meglio leggendo il prossimo capitolo...

Che aspettate, allora? Correte a leggere il terzo capitolo: ne vedrete delle belle! ^^

 

Moni =)

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Capitolo 4
*** Retrace III - Sophie's Dream & A Lost Bond ***


RETRACE III – SOPHIE’S DREAM AND A LOST BOND

 

«Ho faaaameeee!!!»

«Alice...»

«Abbiamo capito che hai fame, è la ventesima volta che lo dici, stupido coniglio!!!»

Alice si trovava sdraiata su di una poltroncina, con i piedi e le braccia che cadevano penzoloni dai due braccioli. Ogni tanto muoveva gli arti in modo sconnesso e agitato, per dare maggior enfasi alle sue parole lamentose.

«E allora vammi a comprare della carne, testa d’alga!»

«Per chi mi hai preso, per il tuo cameriere?»

Gilbert non la sopportava più: per una volta che se ne stava tranquillo e beato con il suo padrone a conversare, quella scocciatrice di una bestia si era svegliata di soprassalto dal suo riposino e aveva iniziato a brontolare.

«Oz!» Alice decise di giocare la sua carta vincente, era certa che il suo servo non l’avrebbe delusa.

«Ma Alice, Gilbert ha ragione. E poi fra poche ore andremo tutti a pranzo, non potresti attendere ancora un pochino?» il giovane tentò la via della diplomazia, dimentico però di avere a che fare con un Chain dallo stomaco senza fondo, e non di una fanciulla beneducata della nobiltà.

Alice, infatti, non desistette dai suoi propositi e, carica ancor più d’irritazione, esplose come un petardo: «Ma io ho fame adesso!» poi aggiunse, voltandosi a guardarlo con occhi luccicanti e puntandogli il dito accusatore «Oz! Sei o non sei il mio servitore? Allora muoviti e asseconda le mie richieste o speri forse che muoia di fame?!»

Sebbene fosse ingenua ed innocente, la ragazza possedeva un caratterino niente male che, a causa della sua lunga esistenza trascorsa nell’Abisso a caccia di suoi simili, non era certo migliorato col trascorrere del tempo. Il biondo sospirò e, mentre tentava di calmare l’amica con movimenti gentili delle mani, guardò con un mezzo sorriso l’amico.

«Gil, per favore, andresti a prenderle qualcosa?»

«Eh?! Ma!»

Era impensabile che lui si sarebbe mosso per cercare del cibo per quel pozzo senza fondo, tuttavia se era Oz a chiederglielo non poteva che obbedire. Il giovane volle però tentare di salvarsi un’ultima volta, prima della resa definitiva.

«Oz, non possiamo chiedere ai domestici di cucinarle qualcosa, piuttosto?»

«Ma io voglio mangiare carne fresca! E poi tu la cucini meglio!» Alice non intendeva complimentarsi con Gilbert per la sua bravura ma, dovette ammetterlo seppur inconsapevolmente, come cucinava lui non cucinava nessuno.

«Visto?» fece Oz, come a voler chiudere il discorso.

«E va bene, torno presto.» disse in tono scontroso alla ragazza che, non appena udì quelle parole, iniziò a saltellare e urlare di gioia.

«Grazie, Gil!» fece il biondo prima che l’amico se ne andasse chiudendo la porta con malagrazia.

 

Per fortuna, Gilbert non dovette fare molta strada. In un villaggio vicino alla villa, infatti, era da poco iniziato il mercato e, quindi, si aspettava di rincasare in meno di un’ora. Aveva appena iniziato a vagare per le varie bancarelle in cerca di qualche pezzo di carne, quando udì poco distante una voce familiare.

«Che?! Dieci monete d’argento per un vestito? Ma siamo matti?! Te ne dò quattro e reputati fortunato!»

La voce proveniva da una bancarella un po’ spaiata rispetto alle altre, in cui si vendevano vestiti di ogni sorta. Da un lato c’era un omone più largo che alto e con una barba incolta color pece. Sembrava parecchio arrabbiato e poco propenso a patteggiare con la cliente all’altro lato, una giovane con i capelli legati in una lunga treccia, ormai quasi del tutto disfatta, e con un modesto abito color lampone.

«Sophie?» gli sfuggì dalle labbra quello che doveva suonare come un saluto.

La giovane si voltò verso destra e, non appena vide Gilbert, per poco non assunse la stessa tonalità del suo vestito.

«Gilbert? Che ci fai qua?»

Il ragazzo avrebbe voluto chiederle la stessa cosa, ma il negoziante si sporse un poco dalla sua bancarella per fissare nella direzione della fanciulla.

«Che c’è, Mary? Un altro scocciatore?» non appena scorse il giovane, il vecchio lanciò un’occhiata prima a lui, poi a Sophie e poi ripeté la cosa un paio di volte. Alla fine guardò la ragazza e iniziò a tossire o, almeno, questo sembrava. In realtà stava ridendo, come capì in seguito Gilbert.

«Ah-ah! Adesso mi è chiaro! Mary, per caso quello è il tuo spasimante?»

«Non è assolutamente il mio spasimante!» fece lei paonazza.

«Ah, no?» tossì di nuovo una risata «Perdonami! Non volevo offenderti. È il tuo ragazzo ufficiale, allora!»

«Ragazz… ? Ma no! Che poi che è quell’ufficiale messo a mo’ di specifica?!»

«Certo, certo, perdonami! Sminuire così il tuo principe azzurro! Ehi, ragazzo, vieni qua e convinci tu questa pazza che non posso assolutamente venderle quest’abito per meno di dieci monete!»

«Io... cosa?» fece confuso il Nightray, che dopo le urla isteriche di Alice riusciva a stento a seguire quelle confuse del negoziante.

«Io te lo compro per non più di cinque monete, punto!» Sophie sembrava essere tornata alla carica più che mai. Quando si trattava d’affari, evidentemente, si scordava improvvisamente di tutto il resto che la circondava.

«Nove!» ribatté l’uomo.

«Cinque e mezzo!»

«Otto e mezzo!»

«Sei!»

«Otto!»

«Sei e un quarto!»

«Sette e mezzo ed è la mia ultima stramaledettissima offerta, prendere o lasciare!»

«Andata!» fece la ragazza trionfante, battendo sul tavolo una manciata di dischetti argentei.

Dopo pochi minuti, Gilbert si ritrovò a passeggiare per le vie del villaggio con Sophie, che reggeva in una mano il suo zaino nero notte.

«Non pensavo di trovarti qui. Di solito i nobili non si fanno servire dai loro servi?» chiese Sophie, con tono tranquillo e... felice?

«Vero, ma lo stupido coniglio voleva mangiare carne e...» s’interruppe, vedendo lo sguardo interrogativo della ragazza «Alice, la giovane con i capelli castani e gli occhi viola.»

«Ah, sì me la ricordo! E lei vuole cosa?»

«Che le cucini della carne. Anche se non si direbbe guardandola, mangia praticamente solo quello.»

«E tu sai cucinare?» chiese affascinata Sophie.

«Diciamo che me la cavo.» rispose evasivo l’altro. Non era nel suo carattere vantarsi.

«Oh... bene.» fece l’altra pensosa e con aria un po’ delusa, da cosa però Gilbert non ne aveva idea, finché lei non aggiunse «Io, invece, sono una frana ai fornelli...»

«Ah, ma non è difficile, scommetto che se ti impegni diventerai bravissima.»

«Davvero? Spero tanto di sì! Sono già capace a rassettare, cucire e Cassidy mi ha insegnato qualche trucchetto per curare il raffreddore e altre malattie del genere.»

«Sembra quasi che tu studi per diventare una brava donna di casa.» disse con un sorriso Gilbert.

«E beh, che male c’è?» fece lei, voltando la testa e fingendo di osservare le varie bancarelle «Diventare una brava moglie è il sogno di ogni donna, no?»

«Vuoi forse dire che il tuo sogno è questo?»

«Eh?! Certo che no! Io non mi limito a voler essere una brava moglie! Io...» presa dalla foga, Sophie aveva girato la testa e stava osservando negli occhi Gilbert, cosa di cui si pentì presto. Infatti, si bloccò e non aggiunse altro.

«Tu cosa?» le chiese dopo qualche secondo Gilbert.

«Niente, niente.» fece lei rivolta alle sue scarpe in tono offeso.

Non capiva come, ma Gilbert era certo di averla ferita in qualche modo, così decise di cambiare argomento.

«Perché quel signore ti chiamava Mary?»

«È il nome fittizio che uso quando non sono travestita da Mark. Nessuno sa della mia esistenza, però è sempre meglio non correre troppi rischi.» rispose lei, senza però alzare di un millimetro il viso.

«Come mai nessuno sa che esisti?»

«È una storia lunga e penosamente complicata.»

«Io sono abituato a questo genere di storie, anche se in realtà la mia è soltanto penosa, per la maggiore.»

«La tua storia non è affatto penosa!» nel rispondere fu costretta a puntare nuovamente i suoi occhi su quelli dorati del ragazzo.

«E come fai a saperlo? Non la conosci nemmeno.»

«Sì, però ne sono convinta. Intuito femminile.»

«Ah, beh, allora siamo a posto.»

«Ehi, mi prendi in giro? Cercavo di farti un complimento.»

«Strano modo di farlo.»

«Oh, ma sta un po’ zitto!»

Infatti, calò il silenzio. Dopo qualche altro minuto, in cui Gilbert sembrava intenzionato a non aprir bocca, Sophie decise di rompere quella brutta atmosfera che si era venuta a creare a causa della sua avventatezza nel rispondere. Purtroppo, avendo praticamente a che fare soltanto con il padre e Reim, si era abituata a parlare in modo brusco e schietto, specialmente quando si sentiva imbarazzata o incapace di gestire al meglio le sue forti emozioni.

«Mia madre fu uccisa da dei banditi quando io ero ancora molto piccola.»

Gilbert osservò Sophie: teneva la testa alta e fissava un punto davanti a sé, come se solo così potesse rimembrarsi di quei lontani ricordi.

«Lei era fantastica, ti sarebbe piaciuta. Litigava spessissimo con mio padre, ma poi facevano sempre pace. Mio padre era... beh, è ancora a dirla tutta, un testardo senza speranza, però mia madre era anche peggio! Una volta.» fece con un sorriso malinconico «Erano talmente arrabbiati che si lanciarono addosso insulti addir poco assurdi. Io ero seduta su di una poltroncina di velluto rosso e, a un tratto, sono scoppiata a ridere. Te lo assicuro, erano troppo buffi! Cercavano di sembrare cattivi, ma la cosa più offensiva che mia madre riuscì a dire fu “Lo sapevo fin dall’inizio che non eri altro che un folletto malefico col ciuffetto rosso!”. Quando mi sentirono ridere, si zittirono, si guardarono dritti negli occhi e, anche loro, iniziarono a ridacchiare. Mia madre era fatta così: anche se ci provava, non riusciva realmente ad arrabbiarsi con le persone che amava. Poi, circa quattordici anni fa, dei signori vestiti di nero me la portarono via. Stavamo andando al mercato come ogni mattina, solo io e la mia madre, perché quello era il nostro momento speciale, in cui potevamo scordarci delle formalità che il nostro rango richiedeva e in cui potevamo essere solo noi stesse: una madre che passeggia con sua figlia.» si fermò un attimo e respirò profondamente, quasi a voler confinare quei ricordi in fondo al cuore. Gilbert, che fino ad allora aveva taciuto per rispetto e premura, le chiese se volesse smettere, ma lei scosse la testa decisa.

«No, voglio finire di raccontarti. Ce la faccio.» si concesse ancora qualche minuto, e poi proseguì «Lei fece di tutto per proteggermi, anche se era terrorizzata almeno quanto me. Non so se quegli uomini sapessero veramente chi fossimo, ma di certo sapevano che eravamo nobili. Perciò ci minacciarono e ci chiesero di dargli tutti i soldi in nostro possesso. Mia madre rise, più per la tensione che per ironia, e gli disse che erano molto ottimisti se credevano davvero che una donna con sua figlia si recasse al mercato cittadino per sperperare una fortuna. Non so se furono quelle parole o la risata o se semplicemente non gli piacesse che mia madre ostentasse forza anche in un momento simile, fatto sta che uno di loro perse la pazienza e tentò di afferrarmi e picchiarmi, ma mia madre fu più svelta di lui. Mi prese in braccio ed iniziò a correre. Ma quello fu solo l’ennesimo errore. Da qui in poi non ricordo molto bene, so solo che qualcuno gridò a mia madre di fermarsi e poi udì un tuono, o almeno è quello che pensai allora. Mia madre si accasciò a terra e io sbattei la testa e svenni. Quando mi ripresi ero sdraiata nel mio letto e credevo di essermi sognata tutto, ma notai subito che c’era qualcosa che non andava. Mio padre era seduto sul bordo del letto e mi osservava con aria sollevata, ma quando gli chiesi dov’era la mamma, non mi rispose. Da quel giorno, decise che nessuno doveva venire a conoscenza del fatto che io, l’erede del casato Barma, fossi ancora viva. Così mise in giro la voce che, durante l’assalto di una banda di briganti, la sua famiglia fosse deceduta tutta quel giorno: la moglie di trentun anni e la figlia di sei. A quel punto, come puoi ben immaginare, la mia esistenza fu rivelata solo a persone di cui mio padre si fidava ciecamente: la signora Cheryl, ad esempio, e in seguito anche Reim.»

«Capisco che volesse proteggerti, ma non può certo tenerti nascosta al mondo intero in eterno!» proruppe Gilbert.

«Certo che no. Infatti, non appena compii quindici anni, mi battei strenuamente per ottenere una, seppur misera, libertà. Secondo i suoi piani, avrei dovuto vivere segregata in quell’enorme villa per altri cinque anni! Col cavolo, piuttosto avrei cominciato a camminare a testa in giù, urlando frasi sconnesse!»

«Che melodrammatica!»

«Lo diceva anche mio padre, ma poi l’ho convinto. Prima mi permetteva solo di andare a scuola (sotto un nome fittizio, chiaro) e poi, da quattro anni e mezzo, sono conosciuta in giro con il nome di Mark, mentre qui al villaggio, posso girovagare liberamente, anche se tutti mi chiamano come mia madre, Mary.»

«Non ti viene mai una crisi d’identità?»

«Ah, ah! Alle volte sì, mi sembra d’impazzire e non capisco mai quando dovrei o no voltarmi se uno mi chiama con un nome piuttosto che un altro, ma alla fine è meglio così. Adesso, almeno, sono di qualche passo più vicina al raggiungimento del mio sogno.»

«E qual è?» tentò di nuovo Gilbert, sperando che stavolta gliel’avrebbe svelato.

La ragazza fece una piroetta e poi gli fece una linguaccia.

«Se-gre-to!» scandì allegramente, ma poi aggiunse «Forse, un giorno, te lo dirò. Ma non oggi!»

Gilbert stava per ribattere, ma Sophie notò qualcosa che catturò la sua attenzione, tant’è che si separò dal ragazzo per avvicinarsi ad una bancarella che vendeva gioielli.

«Gil! Vieni a vedere!» lo chiamò senza staccare gli occhi dagli oggetti luccicanti.

«Che hai visto?»

«Guarda che belli! Adoro questo posto, ci vengo a dare un’occhiatina ogni volta che ne ho l’occasione.»

Il Nightray non si era mai interessato a cose simili, ma poiché la fanciulla con cui si trovava sembrava apprezzarle, decise di sforzarsi. Il ragazzo osservò distrattamente alcune di quelle cianfrusaglie: tra orecchini, bracciali e altra paccottiglia priva di valore, notò qualche oggetto più raffinato; un fermaglio per capelli, per la precisione. Era davvero ben fatto: al centro si trovava un fiore non eccessivamente grande ed appariscente, con cinque petali di un delicato rosa. Immaginò subito che quel monile sarebbe stato d’incanto tra i capelli scuri di Sophie.

«Ehi, che te ne pare di questo?» fece il ragazzo per attirare l’attenzione della fanciulla.

La ragazza voltò gli occhi in direzione dell’oggetto indicato e, non appena lo vide, lo prese tra le mani per osservarlo da più vicino.

«È davvero bellissimo! Pensa, è anche il mio fiore preferito!»

«Le piace, signorina Mary?» chiese una donna sulla cinquantina dai capelli raccolti in una crocca giallo sporca «Perché non lo prova?»

«Posso?» chiese estasiata Sophie.

«Ma certamente! Aspetti, le porto uno specchietto, così può vedere come le sta.»

Detto fatto, Sophie si piazzò davanti allo specchio e tentò di mettersi il fermaglio, ma, dopo qualche tentativo andato a vuoto, invocò l’aiuto di Gilbert.

«Gil, scusami, me lo metteresti tu? Io non ci riesco.»

Il ragazzo era parecchio combattuto: in parte preferiva non avvicinarsi troppo a Sophie, ma d’altro canto non voleva sprecare un’occasione simile per ammirarla da vicino. Prima che potesse comprendere questi suoi assurdi sentimenti, decise di accontentare la ragazza, seppur goffamente.

«Oh! Le sta divinamente signorina.»

«Dice?» fece lei timidamente.

«Naturalmente, non le mentirei mai, ma per sicurezza, perché non chiede un parere al suo fidanzato?»

«NOI NON SIAMO FIDANZATI!»

Urlarono in coro i due.

La signora parve stupirsi, ma subito cambiò atteggiamento e iniziò a sorridere sotto i baffi.

«Oh, capisco. È una relazione segreta, vero? Tranquilli, sarò muta come una tomba!» accompagnò le sue parole facendo occhiolino.

«Non...» tentò di ribattere Gilbert, ma fu fermato da Sophie.

«Lascia perdere, fai finta di niente.» gli sussurrò la giovane, notando come gli occhi della venditrice si fossero messi a luccicare all’idea di un amore clandestino, come quello che leggeva spesso nei romanzi a puntate pubblicati sui giornali «Lasciala divertire.» concluse ella, con un sorriso rassegnato.

«Allora, lo compra signorina?»

«Sì, ho deciso mi piace. Lo... ah!» si bloccò Sophie, mutando il tono da allegro a mesto «No, non posso. Non ho abbastanza soldi con me.»

«Come non hai soldi?» chiese Gilbert.

«Voglio essere indipendente da mio padre, è anche per questo che faccio quel lavoro, però non ci guadagno molto. Per questo prima mi sono battuta strenuamente con quel commerciante per il prezzo del vestito: non avevo altri soldi con me e quell’abito mi serviva per la festa di una mia amica...»

«Se vuoi, te li posso prestare io.»

«No! Assolutamente, no!» fece lei decisa, togliendosi a fatica il fermaglio e poggiandolo sul banco di legno «Non importa, posso farne a meno. Ho vissuto bene finora anche senza questo genere di cose, no?»

Nonostante le sue parole, Sophie osservò rapita ancora una volta quel monile, prima di andarsene sospirando appena.

«Dai, andiamocene, prima che me ne penta ancora di più. Grazie lo stesso, signora Daisy.»

In quel mentre si udirono i rintocchi delle campane.

DON, DON, DOOON!

Il grande orologio annunciava l’arrivo del mezzogiorno.

«Cosa?! È già così tardi?» esclamò Sophie in preda al panico «Ahia! Mio padre mi ammazzerà se non rientro immediatamente a casa!»

«Dovevi rientrare per mezzogiorno?» chiese Gilbert.

«No, non dovevo proprio uscire, è questo il guaio: sono in punizione!» mentre parlava, iniziò a correre verso l’uscita del mercato «Ciao Gil, e grazie di tutto!»

Dopo pochi passi, però, si fermò e al ragazzo sembrò che stesse riflettendo sul da farsi. Alla fine, Sophie parve prendere una decisione, perché fece dietrofront e si avvicinò nuovamente a Gilbert. Il Nightray non ebbe nemmeno il tempo di realizzare ciò che accadde: Sophie, con molta grazia e delicatezza, gli diede un piccolo e casto bacio sulla guancia.

«A presto...» aggiunse poi, staccandosi e correndo via.

Gilbert dovette ringraziare la vecchietta, perché, grazie alla sua risata rauca, lo risvegliò dal suo stato di mini-shock. Anche lui pensò che era il momento di andarsene, dato che era trascorsa più di un’ora dalla sua partenza e così si allontanò nella direzione opposta a quella presa da Sophie.

La vecchietta però sapeva già come sarebbe andata a finire e, infatti, dopo pochi istanti di attesa, il giovane ritornò sui suoi passi con andatura furiosa, anche se in verità la venditrice era convinta che si trattasse solo d’imbarazzo; ebbe la conferma delle sue ipotesi quando Gilbert poggiò sul tavolo di legno scheggiato alcune scintillanti monete.

«Vuole la spilla che piaceva alla signorina, per caso?» chiese con aria fintamente innocente la donna.

Lui si limitò ad annuire col capo.

«Se vuole, per altre due monete le faccio anche un bel pacchetto regalo.»

Nuovamente, il giovane non proferì parola, ma mise in mano alla vecchietta altre tre monete.

«Oh, ci teniamo a fare bella figura, vero?»

Mai in vita sua, Gilbert aveva desiderato tanto ardentemente che un passaggio per l’Abisso si aprisse in quel mentre sotto i suoi piedi. Quindici minuti dopo era rincasato e stringeva nella mano destra il pacchettino, che teneva accuratamente celato nella tasca del cappotto nero.

«Gil, finalmente sei tornato!» lo salutò Oz «Iniziavo a temere che ti fosse successo qualcosa.»

«Dov’è la mia carne, testa d’alga?» proruppe Alice.

Gilbert si diede una manata in fronte.

La carne per lo stupido coniglio! Come aveva fatto a scordarsene?

«Scusa, mi sono dimenticato.» fece, rivolgendosi al suo padrone.

«CHE!? Come hai fatto a dimenticartene se sei uscito per quello? SEI PROPRIO UNA TESTA D’ALGA!»

«Via via, Alice-kun. Forse Gilbert è stato sviato da una bella ragazza.» fece Break.

«Sì, sì, di nome Sophie Barma!» aggiunse Emily.

Tutti scoppiarono a ridere, meno Gilbert, che abbassò il cappello per nascondere il suo imbarazzo, peccato che in quel modo fece capire chiaramente a tutti che era a disagio e, dunque, che la battuta del Cappellaio non era campata poi troppo per aria. Infatti, gli altri si zittirono sempre più, fino a che un silenzio pesante, che preannunciava nulla di buono, calò come un macigno sulla testa del povero Nightray.

«Cioè, davvero... l’hai rivista?» chiese Break.

«UN INCONTRO SEGRETO TRA AMANTI!» urlò la bambola, che però venne sovrastata dall’entusiasmo, scaturito dalla medesima conclusione, di Sharon.

«Non era assolutamente un incontro segreto!» sbraitò Gilbert, mentre indietreggiava preoccupato e già pronto ad una fuga estrema.

Era vero, non si era certo messo d’accordo con Sophie per vedersi, cosa diavolo stavano tentando di insinuare Break e la sua stramaledettissima Emily? E ci mancava soltanto Sharon e la sua passione sfrenata per i romanzi rosa!

«Ecco perché è uscito, altro che spesa per lo stupido coniglio...» continuò senza pietà l’albino.

«Gil, non mi aspettavo una cosa simile da te...»

Eh no, anche Oz, no! Questo era veramente troppo!

«Ascoltate, io...» tentò di difendersi il Nightray.

«L’hai trattata bene, spero.» lo interruppe Sharon.

«Eh?»

«Perché, vedi, se non le riservi le dovute cure, potrei anche arrabbiarmi.»

«Oh, è vero che Sharon-chan diventa cattiva quando qualcuno offende le sue amiche! E siccome Sophie ora è una sua preziosa amica...»

«Insomma, dov’è la mia carne?!»

«Non ora Alice, stiamo parlando di cose delicate.» le disse Oz.

«Certo che l’ho trattata bene, le ho pure...» si lasciò sfuggire Gilbert, che però celere si tappò la bocca con una mano.

«Le hai pure, cosa?» chiesero in coro i tre avvoltoi.

«… niente.»

«No, non può essere niente. Sputa il rospo!» fece Sharon.

«Suvvia, Gilbert-kun, siamo tra amici. Confidati con noi.» soggiunse Break con un sorriso inquietante stampato sulle labbra.

«Non è che...» proruppe Oz, scioccato ed ammirato al tempo stesso (ed anche un poco geloso) «L’hai baciata?»

«Ooooh!» fecero in coro all’unisono, quasi come se si fossero messi d’accordo prima.

«Che idee vi vengono in mente! E poi, caso mai, è lei che mi ha baciato!»

Silenzio.

«No, aspettate un momento. Mi è uscita terribilmente male, così fraintendete...»

«Che c’è da fraintendere?» ora sì che Xerxes si stava divertendo, in quella tetra giornata primaverile, che prometteva un bel niente.

«Testa d’alga e quella tipa strana hanno firmato un contratto?»

«Non esattamente, Alice.» fece compiaciuto Oz «Anche se, si può dire che in un certo senso, abbiamo stipulato un tacito accordo.»

«Oh, cielo! Non credevo che Sophie fosse così audace!» nel pronunciare quelle parole, Sharon si coprì il viso in modo teatrale, sebbene il suo cuore battesse a mille per quel succulento scoop mondano.

«No, no, no! Non è assolutamente... !»

PUF!

«Puf?» ripeterono tutti in coro.

Gilbert si voltò e si rese conto che la cosa che aveva provocato quel suono era una bambina, che aveva urtato contro le sue gambe. Era davvero molto graziosa: aveva enormi occhi color dell’erba fresca, un visino tondo e uno spruzzo di lentiggini. Portava i capelli color paglia legati in due codini, che mettevano ancor più in risalto il suo volto paffuto. Il vestito, benché nuovo, aveva già qualche strappo e macchia, segno che la piccola si era divertita a giocare nel giardino.

«Una bambina?» chiese Sharon, senza rivolgersi a qualcuno in particolare.

«Preso! Adesso devi prendermi tu!» fece la creaturina divertita.

«Aaaahhh! Perdonatemi!!» la voce era di una cameriera, che si era precipitata nella stanza subito dopo la piccola «Anita, ti avevo detto che non puoi giocare qui!» disse in tono grave alla creaturina.

«Ma io mi annoio a stare seduta, sorellona!»

«Anita, lo sai che non posso giocare adesso, devo lavorare! E poi staccati dalle gambe del signore... oh! La perdoni, è tutta colpa mia!»

«No, non fa nulla.» rispose tranquillo Gilbert, mentre la giovane si inchinava ripetutamente in segno di rimorso.

«Caroline, mi potresti spiegare chi è questa bella bambina e che ci fa qui?» le domandò dolcemente Sharon.

«Ah, signorina Sharon! Vede, il fatto è che una mia cara amica non si sentiva tanto bene stamane e così mi ha chiesto il favore di badare a sua figlia fintanto che non si fosse sentita un po’ meglio. So che non avrei dovuto accettare, però non sapeva a chi altri rivolgere, e so bene che prima avrei dovuto chiedervi il permesso, ma temevo che avreste rifiutato e io allora speravo che non ve ne accorgeste, e... e...» la cameriera stava per scoppiare in lacrime.

«Tranquilla, non ti preoccupare. Piuttosto, sicura di riuscire a svolgere le tue mansioni e a badare alla piccola?» chiese premurosa Sharon.

«Certo, signorina! Una cosa simile non si ripeterà mai più e... Anita! Non infastidire il signore!»

Il cucciolo di umano si era messa difronte a Gilbert e, dopo averlo osservato da capo a piedi, aveva iniziato a tirargli il bordo della manica.

«In braccio! In braccio!» urlava.

«Anita, adesso andiamo. Scusate ancora.» fece Caroline, trascinando via la bambina.

«Ma io voglio giocare col signore!» protestò lei.

«Caroline, se la piccola Anita vuole restare qui a giocare, per me non c’è alcun problema. A voi crea fastidio?» chiese gentile la duchessina. Tutti scossero la testa, ad eccezione di Alice, che non capiva il senso di tenersi attorno un essere tanto ridicolo e all’apparenza inutile. Ma poiché Oz la fissò con aria seria e, al tempo stesso, indulgente, la Chain fece infine spallucce. In fondo la cosa non la interessava: voleva soltanto la sua carne.

«Davvero? Posso?» chiese titubante la cameriera.

«Certo! Anita, hai voglia di giocare con noi?» le chiese Oz, chinandosi alla sua altezza.

La piccola finse di pensarci con attenzione, prima di urlare un concitato: «Sì!».

 

Inizialmente era andato tutto bene: Oz e gli altri facevano di tutto per intrattenere Anita e quest’ultima sembrava divertirsi un mondo. Tutt’a un tratto, però, la piccola scoppiò a piangere.

«Che ha? Che le prende?» chiese apprensiva Sharon.

«Non lo so. Stavamo giocando e all’improvviso ha iniziato a urlare.» rispose Oz.

«Non so che abbia, ma fatela smettere! Mi sta spaccando i timpani!» disse Break, tappandosi le orecchie «Ecco perché detesto i bambini.»

«Che hai piccola Anita, ti sei fatta male? Hai fame?» tentò di consolarla Sharon, che sentì forse in sé un sentimento di preoccupazione materno per quell’esserino tanto disperato.

«Voglio la mamma!» rispose allora Anita.

«Ma, Anita, adesso la mamma non c’è. La vedrai più tardi.»

«NO! Io voglio la mia mamma adesso! MAMMA!!!»

«Ehi, stupido coniglio, ti assomiglia parecchio, sai?»

«Non è il momento di trovare le allegorie con Alice, Gil!» lo rimproverò Oz.

La cosa stava andando avanti da parecchi minuti e nessuno aveva idea di cosa fare, quando la porta si spalancò ed apparve Sophie.

«Si può sapere cos’è tutto questo baccano?» chiese sconcertata «Vi si sente fino in fondo al corridoio.»

Oz e gli altri avrebbero voluto chiederle che ci facesse lì o, quanto meno, spiegarle la situazione, ma non appena la ragazza udì la bambina invocare la mamma, poggiò su di un tavolino i fogli che teneva in mano e si diresse a passo deciso verso la piccola, prendendola in braccio e iniziando a cullarla dolcemente.

«Ehi, che succede? Su, su. Tranquilla. Non piangere, vedrai che la mamma arriva presto.» le diceva, ma dato che Anita non dava segni di voler smettere, Sophie intonò una ninna nanna. In realtà era una canzone popolare che parlava della leggenda della Luna che, desiderosa di avere un figlio, ne adottò uno che era stato abbandonato dalla madre su di un’alta collina. La canzone si concludeva con una dolce immagine, ovvero la spiegazione del perché la Luna cambi aspetto periodicamente: quando il bambino è felice lo è anche la sua mamma e, allora, si mostra intera e raggiante, ma se il bambino piange, lei cala e si fa culla per calmarlo. Quando Sophie terminò di cantare, tornò finalmente a regnare il silenzio.

«Allora, piaciuta?» le chiese.

«Sì.» ammise la piccola, che aveva ancora gli occhi gonfi e rossi, ma senza più lacrime che le solcassero il viso.

«Bene, allora ti va di ascoltare un’altra storia?» le domandò Sophie, mentre estraeva da una tasca un fazzoletto con cui le asciugò il volto.

«Canti anche quella?»

«No, temo di no: quella è l’unica ninna nanna che conosco. Ma sarà molto bella lo stesso, te l’assicuro.»

«Ok.» disse con un sorriso Anita.

«Allora, dimmi piccola... come ti chiami?»

«Anita Knight!» squittì allegra.

«Anita, ma che bel nome! Lo sai che significa “graziosa”? È proprio adatto ad una bella bimba come te!»

«Davvero?»

«Oh, sì. Io adoro conoscere il significato dei nomi delle persone, e spesso i genitori azzeccano fin dalla nascita il carattere del loro bimbo; ma dimmi Anita, che storia vorresti sentire? Magari la tua preferita?»

«La principessa e il ranocchio!» squittì lei, ma ricordandosi che la mamma le diceva sempre di essere educata con gli adulti, aggiunse prontamente un sentito «Per favore.»

«D’accordo. Dunque, c’era una volta...»

Sophie era incredibile: non si limitava a narrare la favola con enfasi e pause d’effetto, ma ogni tanto coinvolgeva Anita, fingendo di non ricordarsi una parte o inventandosi altro.

«Mentre la principessa camminava al limitare del bosco, per raggiungere il pozzo, ad un tratto... spuntò fuori un enorme lupo nero, che disse: “Piccina, dove te ne vai di bello?”»

«No!» la interruppe divertita Anita, con aria da maestrina «Quella è Cappuccetto Rosso!»

«Davvero? Ah, ecco perché aggiunse “Oh, scusami, non hai la mantellina rossa. Errore mio, ho sbagliato favola!”»

«Non è vero! Questo te lo sei inventata tu adesso!»

«Come puoi credere una cosa simile? Tu c’eri? No! E allora chi ti dice che non sia andata così?»

Dopo innumerevoli altre interruzioni, come la comparsa del Gatto con gli stivali che cercava un calzolaio o i Tre porcellini che chiesero notizie del lupo (erano preoccupati perché non era più venuto a scocciarli), la favola giunse al culmine.

«E quando la principessa baciò il ranocchio...»

Persino Oz e gli altri ascoltavano con attenzione, curiosi di sapere cosa si sarebbe inventata ora la ragazza.

«PUF!» Anita sobbalzò «Come per magia... la principessa diventò una bellissima raganella!»

«Cosa?» chiese confusa Anita, mentre gli altri scoppiarono a ridere «Non è vero, non finisce così!»

«Hai ragione, quasi dimenticavo. E vissero tutti felici e gracchianti. Fine.»

La piccola continuò a protestare «Non è vero! Non va così!»

«E allora come finisce?» chiese con finto stupore Sophie.

Anita si sedette composta e si atteggiò da grande, incrociando le braccia e tirando su il mento con fare altezzoso.

«La principessa bacia il ranocchio e questi si trasforma in un bellissimo principe. Il principe ringrazia la principessa per averlo salvato dal maleficio di una strega cattiva e le chiede di sposarla. I due si sposano e da allora vissero per sempre felici contenti.» a quel punto osservò la ragazza e terminò con un acuto «Fine!»

«Mh, sì. Anche questo finale non è male.» acconsentì la mora «Però il mio è molto più divertente, no?»

«Sì!» disse con un sorrisone Anita, seguita a ruota da Oz e Sharon.

«Oh, vi è piaciuta anche a voi?»

«Scherzi? Sei bravissima!» rispose Oz per tutti.

«Diciamo che me la cavo.»

«Anita, è ora di pranzo, vieni con noi?» le chiese Sharon, porgendole la mano.

La bambina la osservò titubante: aveva una gran fame, ma doveva accertarsi di una cosa.

«Viene anche la bella signora?» chiese, indicando Sophie.

«Bella signora?» ripeté incredula e divertita la ragazza.

Sharon osservò Sophie, lasciando intendere che doveva essere lei a rispondere.

«Sì, certo che ci sarò. Se non disturbo...»

«Assolutamente! Non dirlo nemmeno per scherzo, sei mia gradita ospite, vero Break?»

«Se ojou-sama lo desidera.» fu la vaga risposta dell’albino.

«Allora si mangia?!» proruppe Alice «Era ora! A sentir parlare di tutti questi animali mi era venuta una fame incredibile!»

Tutti si alzarono e s’avviarono alla porta, ma Sophie rimase seduta.

«Non vieni?» le chiese Gilbert, notando la sua assenza.

«Oh sì, ma prima devo consegnare una cosa a Reim, voi andate pure avanti.»

Sharon, che aveva udito quello scambio di battute, non perse l’occasione e intervenne.

«Ma, Sophie-oneechan! Non conosci così bene la mia dimora da poterti orientare, rischi di perderti! Gilbert-kun, perché non la scorti da Reim e poi ci raggiungete?» ovviamente, non permise a nessuno dei due d ribattere «Dovrebbe essere nello studio a lavorare. A dopo!»

Proprio nel mentre in cui Gilbert chinò il capo sconfitto, la giovane dalle iridi rosa ne approfittò per fare l’occhiolino all’amica e sussurrarle qualcosa.

«Buona fortuna!»

 

«Cosa ne pensi di Sharon?»

Gilbert stava conducendo Sophie allo studio di Reim e, poiché gli sembrava scortese non proferire parola, le domandò la prima cosa che gli venne in mente.

«È una ragazza dolce e gentile, anche se alle volte esagera con le premure e i piani campati per aria.» rispose con una nota di leggero fastidio «Ma mi pare una tipa a posto, anzi credo che diventeremo grandi amiche.»

«E degli altri, invece?»

«Mmmhhh, con la signorina Alice non ho avuto occasione di parlare, ma sembra una ragazza esuberante e un po’ fuori, proprio il genere di persona che piace a me. Oz Vessalius a mio avviso ha l’aria del tontolone, ma ha occhi profondi e seri, perciò credo che in realtà finga solo di essere così spensierato e sciocco. Mentre il signor Break...»

«Ti conviene chiamarlo Break e basta. Odia essere appellato a quel modo: a sua detta lo fa sentire più vecchio di quello che è in realtà. Questo vale anche per gli altri, non sono persone che badano molto alle formalità.»

«Davvero?» chiese Sophie con sollievo «Meno male: sai, io odio essere formale, ma l’etichetta lo impone. Solo che io, spesso e volentieri, me ne dimentico. In ogni caso, Break è un idiota e un gran rompiscatole.»

«Sicura di non parlare a nome del duca Barma?»

«Nemmeno per sogno! Il fatto è che si è azzardato a parlare male di mio padre e questo io non lo tollero!»

«Ma se tu sei la prima a rivolgere parole poco lodevoli al duca!»

«Sì, ma io sono sua figlia e ho il sacrosanto diritto di farlo.»

Sebbene Gilbert volesse apparire serio, non riuscì a trattenere una risata: quella ragazza era proprio folle come il padre, non c’era che dire!

«Sei incredibile.»

«Perché? Guarda che non è difficile: basta non pensare alla punizione che dovrai subire e parlare a ruota libera.»

«No, non quello. Insomma, anche questo non è da poco, ma io intendevo il modo in cui esprimi i tuoi pareri e giudizi riguardo alle persone.»

«Cerco solo di essere me stessa, quando posso e, solitamente, in tua compagnia la cosa mi riesce piuttosto facile.»

Sentendosi improvvisamente in imbarazzo, Gilbert decise di cambiare argomento.

«Sei piuttosto brava con i bambini.»

«Trovi? Faccio del mio meglio: io amo i bambini e non vedo l’ora di averne di miei!»

«Scusami, ma quanti anni hai?» chiese allibito Gilbert.

«Diciannove, perché?»

«Non ti sembra un po’ presto per pensare a cose di questo tipo?»

«Naturalmente no!» fece seria Sophie «Non è mai troppo presto per pensare a certe cose! Soprattutto per me, che devo ancora fare il mio debutto in società. Non appena lo farò, puoi star certo che inizieranno da subito a girare brutte voci sul mio conto. Diranno “Ma come? La Signorina Barma non ha ancora preso marito? Eppure non è più una ragazzina, deve iniziare a pensare al suo futuro: che voglia rimanere zitella a vita?” E bla, bla, bla! Sai come sono fatte certe oche che si atteggiano a nobildonne! È per questo che inizialmente non volevo conoscere Sharon: temevo che fosse come quelle persone odiose che giudicano senza conoscere nulla al riguardo, sia di persone che di fatti e avvenimenti.»

«Però, tu... insomma... non hai già deciso con chi passare il resto della tua vita, giusto?”» chiese speranzoso Gilbert, aspettandosi una risposta negativa.

«Certo che sì, invece. È per lui che mi sto impegnando tanto negli studi: mi sono persino iscritta alla scuola Lutwidge, nella speranza di imparare al meglio ogni disciplina che si conviene ad una donna del mio rango.»

«Frequenti Lutwidge?» fece stupito Gilbert.

«Sì, non lo sapevi? Questo è il mio ultimo anno e poi sarò promossa.»
«Per caso... conosci Elliot Nightray e Ada Vessalius?»

«Sì, certo. Sono la loro senpai, dopotutto è mio compito tenere d’occhi i più piccoli.»

«E... ti hanno raccontato nulla ultimamente?»

«Ora che ci penso, è da un po’ che non frequento più le lezioni, a causa del mio lavoro, però ho ricevuto una lettera da parte di Ada in cui mi diceva che erano successe talmente tante cose da non potermene parlare per posta. Non è che tu e i tuoi amici centrate qualcosa, vero?»

«No, assolutamente. Come ti viene in mente una cosa simile?» chiese nervoso Gilbert.

«Mah, sarà. Effettivamente, tu sei una persona troppo seria e responsabile per creare confusione in una scuola, però lo zio di Ada, Oscar-sama, è il tuo esatto opposto: pensa che una volta è entrato nel dormitorio femminile in piena notte, perché diceva che voleva assicurarsi dell’efficienza della sicurezza. Diceva che la sua nipotina non era al sicuro, con tutti quei maschi che le ronzano attorno.»

«Chissà perché la cosa non mi stupisce affatto... mi dispiace.» disse il Nightray, chinando il capo.

«Non ti preoccupare, non me la sono presa, anzi è stato persino divertente! Anche se tuo fratello Elliot non era dello stesso parere.»

«Tiro a indovinare: se l’è presa con Ada.»

«Ci puoi giurare! Non la smetteva più di farle la ramanzina, come se fosse colpa sua, poverina!»

«Ti prego, dimmi solo che non ha esagerato.»

«Tranquillo, c’ho pensato io a freddare i suoi bollenti spiriti, nel vero senso della parola: gli ho gettato un secchio d’acqua gelata in faccia. Dovevi vedere la sua faccia!» disse Sophie, senza riuscire a trattenere le risate.

«Scherzi, vero?!»

«Ti pare? Io l’avevo avvertito: o si dava una calmata o lo facevo calmare io con una secchiata d’acqua. Lui ha scelto di non ascoltarmi (padronissimo, io rispetto sempre le decisioni altrui, per quanto dementi) ed io ho mantenuto la mia parola. Se dico che faccio una cosa, io la faccio! E peggio per lui.»

Gilbert l’osservò allibito.

«Come scusa?»

«Ho detto peggio per lui…»

«No, no, non quello. Intendevo dire l’ultima frase che hai detto.»

«Che se dico che faccio una cosa, la faccio? Che c’è di strano?»

«No, nulla. È solo che...» s’interruppe e cercò di ragionare in silenzio.

Dove aveva già sentito le stesse e identiche parole? Maledizione, proprio non se lo ricordava; eppure una volta qualcuno, una bambina forse, gli disse qualcosa di molto importante e simile a quello che aveva appena udito.

«Gil? Sei ancora tra noi?»

La voce di Sophie gli fece perdere il filo dei suoi pensieri.

«Eh? Cosa?» chiese ancora confuso, come se si fosse appena ridestato da un sogno.

«Tu sei Gilbert Nightray e io Sophie Barma e ora tu mi stavi conducendo allo studio di Reim Lunettes, nostro amico. Ricordi?»

«Guarda che non ho perso la memoria.»

«Oh, bene. Per un attimo ho creduto che il tuo spirito fosse fuggito in un’altra dimensione, abbandonando qui il tuo corpo. A che pensavi?»

«Nulla d’importante. Andiamo, è questa.» fece brusco, bussando alla porta alla sua sinistra.

Gilbert attese pressappoco due secondi e poi entrò. Conosceva Reim da molti anni ormai e sapeva fin troppo bene che quando il suo amico lavorava non sentiva nulla, da tanto era concentrato. Infatti, il giovane era chino a scrivere sul poco spazio libero di un’elegante scrivania in mogano; alla sua sinistra si trovava una considerevole pila di fogli (probabilmente quelli che aveva già controllato), mentre alla sua destra si ergeva un abnorme accumulo di scartoffie ancora da leggere, correggere e firmare.

«Povero Reim...» bisbigliò Sophie, per poi alzare la voce «Reim!»

Il ragazzo non diede segni di aver udito.

«Esci da questo corpo!» urlò, dopo avergli dato un colpetto alla nuca.

Reim scattò come i pupazzetti dei giocattoli a molla, tanto si era spaventato.

«Lo so che non ho finito, ma mi dia ancora cinque minuti, duca!»

Le risate di Gilbert e Sophie lo rasserenarono subito.

«Ah, siete voi. Perdonatemi, credevo che foste...»

«Il demonio, lo so. Per questo ti ho esorcizzato prima, cosa credi?» lo riprese Sophie.

«Beh, è normale! Vorrei vedere te nei miei panni... Ehi, ora che ci penso, che ci fai qua?»

«Consegna speciale!» rispose lei allegra, porgendogli un raccoglitore così pieno che sembrava sul punto di esplodere da un momento all’altro «Un certo imbranato è uscito talmente di corsa stamane, da scordarsi qualcosa di veramente importante.»

«I miei documenti! Li cercavo disperatamente da ore! Se non me li avessi portati tu...»

«Mio padre ti avrebbe fatto a fettine, lo so bene.»

«Ma tu non dovevi rimanere in casa per punizione?» la riprese serio Reim.

«E tu non dovevi assicurarti di avere i documenti, prima di uscire?»

«Mmh... ti ringrazio per l’aiuto, ma non saresti dovuta uscire, in ogni caso.»

«Ma sì, che mi può fare di così grave mio padre, aggiungere un altro mese di punizione? Sai che problema!» disse con aria serena Sophie, facendo spallucce.

«Non scherzare su certe cose e tornatene a casa, ora.»

«E tu che fai? Non intenderai lavorare ancora, spero!» volle assicurarsi la ragazza.

«Ho del lavoro da finire prima delle tre e non posso permettermi pause.» rispose convinto Reim, ma non appena lanciò uno sguardo alla pila di fogli, si lasciò fuggire un profondo sospirò.

«Ma è dalle otto del mattino che stai lavorando senza sosta e non solo a questi documenti, prima ti sei occupato anche di quelli di Break! Devi prenderti una pausa.» fece Gilbert, preoccupato che l’amico esagerasse col lavoro.

«Vi ringrazio per la premura, ma non posso proprio permettermelo.»

«Vieni almeno a pranzare con noi qualche minuto.» insistette il Nightray.

«No, ma grazie davvero. E poi non ho nemmeno tanta fa...»

Un suono profondo e buffo riecheggiò per la stanza. Subito Reim si portò istintivamente una mano allo stomaco, dando conferma ai dubbi dei due amici.

«Quello era il tuo stomaco, vero?» disse Gilbert «Mi pare che sia di parere contrario al tuo.»

«O quello, o qualcuno allo zoo ha perso un animale feroce.»

«Anche se fosse, non posso! Ho già perso fin troppo tempo, per cui...»

«Tu vai di corsa a mangiare.» concluse Sophie, prendendo il posto di Reim alla scrivania e iniziando a leggere il primo documento in cima alla pila destra.

«Che dici? E soprattutto, che fai?» chiese confuso Reim.

«Ovvio: non puoi smettere di lavorare, ma devi fare assolutamente una pausa o mi collassi da qui a pochi minuti, perciò tu vai a mangiare, mentre io mi occupo di questo.»

«Ma, ma...» tentò di ribattere.

«Niente ma, e se non ti va bene, allora cambio registro: in quanto tua padrona, ti ordino di prenderti almeno un’ora di pausa.»

«Sophie, non puoi farlo, cosa dirà tuo padre se scopre che sei uscita di casa senza permesso?» insistette il servo che, sebbene fosse felice di potersi prendere una pausa, non intendeva mettere nei guai la sua amata padrona.

«Te l’ho già detto, non m’importa. Non può certo mettermi in castigo in eterno, no?» rispose divertita lei, ma dopo un attimo smise di ridere e chiese preoccupata «Non può, vero?»

Gilbert e Reim si concessero un sorriso di compatimento, perciò Sophie sbottò come suo solito.

«Oh, insomma! Sia quel che sia! Andate adesso, non vedete che ho da fare, a differenza vostra? Marsch!»

Reim si era già avviato verso la sala da pranzo, mentre Gilbert era rimasto fermo sulla soglia della porta ad osservare la schiena di Sophie. Dopo qualche secondo, la ragazza si rese conto della sua presenza e, voltando solo la testa, lo guardò sorpresa.

«Che fai ancora lì?»

«Ecco... io...» non poteva certo dirle che avrebbe preferito stare in sua compagnia un altro po’, così disse semplicemente «Cosa devo dire ad Anita?»

La ragazza parve ricordarsi della piccola solo in quel mentre.

«Oh, è vero! Dovevamo pranzare insieme... dille che mi dispiace e che ci rivedremo un’altra volta, d’accordo?»

Gilbert annuì e se ne andò, senza aggiungere altro.

Le parole di Sophie servirono a ben poco: in meno di quindici minuti, Anita volle raggiungerla a tutti i costi. Il compito di scortare la bambina fu affidato a Gilbert (o, per meglio dire, gli fu imposto da Sharon).  Quando il ragazzo aprì la porta dello studio, Anita si precipitò verso Sophie e le si gettò tra le braccia. 

«E tu che ci fai qua?» chiese divertita la mora, abbandonando per un attimo il suo lavoro.

«Scusami, ma non ha voluto sentire ragioni. Appena finito di mangiare, ha insistito per vederti.» disse in tono dispiaciuto Gilbert, anche se in realtà era felice di poter stare ancora qualche istante a conversare con Sophie «Gioca con lei qualche minuto e poi ti lasciamo lavorare in pace.»

Sophie scosse la testa.

«No, no, non ce n’è bisogno.» affermò, sistemandosi la bambina in grembo, in modo tale da poter usare la mano destra per scrivere o reggere dei fogli «Non mi dà fastidio: la terrò qui mentre lavoro.»

«E come pensi di...» Gilbert non riuscì a terminare la frase.

Che ci crediate o no, Sophie si mise a cantare alcune canzoni popolari e, mentre Anita ascoltava tranquilla, leggeva e firmava i documenti sulla pila alla sua destra. Andò avanti così per quasi due ore, senza mostrare segni di noia o stanchezza, e continuò la sua cantilena anche dopo che Anita si fu addormentata.

Cosa fece Gilbert nel frattempo? Nulla, si sedette su di una sedia e l’ascoltò per qualche minuto, poi, senza farsi notare, se ne andò, sentendosi stranamente felice come non mai.

 

«Anita, saluta la signorina, da brava.»

Era ormai il crepuscolo e Caroline stava cercando di staccare Anita dalla gonna di Sophie, senza molto successo ad essere sinceri.

«No! Voglio giocare ancora con lei!» rispose la piccola, serrando la sua stretta con maggiore forza.

«O cielo, adesso che faccio? Mi dispiace signorina, ma temo che si sia affezionata parecchio a lei.»

Sophie ridacchiò, sembrava contenta della cosa, tuttavia si chinò e staccò Anita dal suo vestito.

«Anita, ti sei divertita oggi?» le chiese dolcemente.

La bambina annuì convinta.

«Sì, tantissimo!»

«Bene, e dimmi, ti andrebbe di giocare ancora con me domani?»

«Sì!»

«Ma signorina, non credo che domani potrò portarla ancora con me.»

«Oh, non preoccuparti, non ce ne sarà bisogno.» disse tranquilla Sophie «Vorrà dire che verrò io da te, contenta?»

Anita non credeva alle sue orecchie.

«Davvero?»

«Davvero.»

«Promesso?»

«Promesso.» le rispose convinta Sophie, facendo croce sul cuore «Adesso vai, però. E fai la brava con mamma!»

«Certo, ciao ciao!» la salutò allegra, raggiungendo Caroline.

Quando la ragazza rientrò in casa, Sharon s’informò sul suo stato.

«Sophie-oneechan, come sta?»

«Benone, grazie. Perché me lo chiede?»

«Come perché? Ha trascorso tutto il pomeriggio a badare ad Anita e a svolgere il lavoro di Reim.»

«Ah, quello non è niente. Mi sono divertita con Anita e il lavoro non era poi così tanto.»

«Sarà, comunque sia Reim la ringrazia di cuore. Mentre era fuori, è corso dal duca a consegnarli il tutto.»

«Bene, fantastico.» fece con un sorriso la Barma, poi, senza preavviso, si lasciò cadere con un tonfo su di un divanetto «In questo caso, posso anche morire serena!»

«È stanca? Si sente bene?» chiese allarmata Sharon.

«No, stia tranquilla. Mi dia il tempo di riposare una mezzoretta e sarò in forma smagliante!»

«Non dovreste chiedere troppo al suo corpo!» la rimproverò Sharon.

Sophie rispose qualcosa, probabilmente col suo solito tono sarcastico, ma Gilbert non riuscì più a sentire bene. Aveva notato che Break si era recato sul balcone e decise di raggiungerlo. Il vento soffiava una leggera brezza, più fredda del solito. Era evidente che la bella stagione stava cedendo il passo all’autunno, come dimostravano le variopinte foglie che, piano piano, si sostituivano a quelle color smeraldo. Break sembrava intento ad osservare il paesaggio, mentre con il dorso della mano destra si reggeva il capo. In realtà, gli occhi allenati di Gilbert sapevano bene che, quando l’albino si atteggiava a quel modo, stava rimuginando sul suo passato. Tuttavia, decise di simulare ignoranza.

«Che combini, Break? Non vieni dentro ad approfittarti dell’atmosfera calma per creare scompiglio?»

L’altro parve riscuotersi da un lungo sogno.

«Ah, Gil-kun. Potrei farti la stessa domanda. Perché sei qui fuori a perder tempo con un vecchio, quando lì dentro c’è una così soave creatura?»

«Sarà anche soave, ma non m’interessa.» rispose il moro sulla difensiva, anche se, in verità, il motivo per cui l’aveva raggiunto era esattamente l’opposto.

Potrà sembrare sciocco, ma Gilbert sperava che Break gli desse qualche consiglio. In fondo la cosa era più che naturale: per lui Break era quanto di più simile ad un padre avesse mai avuto, anche se detestava ammetterlo persino a se stesso. E poi, a chi altri avrebbe potuto chiedere? Né Reim né tantomeno Oz avevano un’esperienza tale da poter aiutarlo e lo zio Oscar... beh, diciamo che era l’ultima persona al mondo con cui avrebbe voluto discutere di ragazze. Perciò Break era la sua ultima ancora di salvezza. Il problema, giunti a quel punto, era come arrivare alla fatidica domanda, senza però pronunciarla esplicitamente. Fortuna volle (o, come la definì Gilbert, sfortuna nera e bieca) che Xerxes capì al volo tutto il suo studiato piano.

«Ma davvero? Allora perché hai passato tutto quel tempo in sua compagnia, oggi?»

«Non è stata una mia iniziativa, è Sharon che...»

«Ma Sharon non ti ha mai obbligato a farlo. Se ci pensi bene, avresti potuto rifiutare in qualsiasi momento, invece hai obbedito e pure volentieri mi pare.»

«Beh, perché avrei dovuto?» ormai Gilbert non sapeva più cosa dire in sua difesa e la situazione stava prendendo esattamente la piega che lui voleva, ma proprio per questo si sentiva terribilmente a disagio.

‘È mai possibile.’ si chiedeva ‘Che una ragazza provochi tutto questo scompiglio?’

«Sì, esatto.» per un attimo Gilbert temette che Break gli stesse leggendo nella mente, ma le sue seguenti parole lo dissuasero da ciò «È esattamente quello che io risposi molti anni fa. O, forse, è più corretto dire che fu quello che Kevin rispose.»

«Che vuoi dire?» era la prima volta che Break si metteva a parlare del suo passato e la cosa stupì Gilbert non poco.

«Anche lui si era innamorato di una ragazza come Sophie. Non fraintendere.» s’affrettò ad aggiungere «Fisicamente, non hanno nulla in comune e anche caratterialmente sono diverse, però... come dire, entrambe possiedono qualcosa di speciale, un’energia ed una determinazione che mettono in ogni cosa che fanno. È questo che ti ha tanto affascinato di lei, no?» domandò al ragazzo.

«Beh, non è che mi ha affascinato, m’incuriosisce, ecco tutto.»

«Capisco. Allora mettiamola su questo piano.» disse Break con aria a metà tra il serio e il divertito «Descrivimi Sophie, senza mai utilizzare frasi al negativo.»

Gilbert pensò che Break scherzasse, invece l’albino si voltò ad osservarlo col suo unico occhio cremisi. Stava aspettando, era evidente.

«Non so dove vuoi arrivare, ma d’accordo.» acconsentì il Nightray, poi, dopo un attimo di pausa, cominciò a parlare «Dunque, non c’è molto da dire. È una ragazza piuttosto alta per la sua età, veste in modo stravagante alle volte, ma sembra quasi che, qualunque cosa indossi, non riesca a nascondere la sua femminilità e la sua grazia.»

«I capelli?» chiese Break.

«Ha degli splendidi capelli corvini e non sono lisci o mossi: sono una cascata di boccoli, che di solito sono in disordine, come se non le importasse nulla di quello che gli altri pensano di lei.»

«E gli occhi?»

«Gli occhi... beh, non so quasi come descriverli. Non so perché, ma non riesco a guardarla molto in viso, mi mette troppo in agitazione. Però, quando fingeva di essere Mark, li ho osservati bene: sono di un blu mozzafiato. E...»

«Bene, basta così. Ti sei reso conto, per caso, che hai appena definito i suoi occhi mozzafiato?»

Gilbert l’osservò allibito.

«No, non ho detto questo.»

«Oh, sì invece. Ed hai pure detto che ha degli splendidi capelli corvini. Devo proseguire o ti basta?» stranamente, rispetto al solito, il tono di Break non era ironico, anzi sembrava molto serio.

Gilbert non aveva idea di cosa ribattere, ma tanto l’albino non aveva bisogno di sentire altro.

«Se parli in questo modo di una fanciulla, non ci sono dubbi: ti sei innamorato.»

Nell’udire quelle parole, Gilbert arrossì visibilmente e tentò di protestare, ma l’altro non gli permise di interromperlo.

«Puoi sbraitare quanto vuoi, la realtà non cambia. Lo stesso Kevin ci impiegò un mese prima di ammetterlo a se stesso. Eppure è così, ma non te la devi prendere: anche i migliori cascano nel tranello dell’amore. L’importante è rendersene conto in tempo.»

«Perché mi dici tutte queste cose?» per Gilbert era incompressibile che un uomo chiuso e riservato come Break si aprisse tutt’a un tratto con lui per discutere di questioni amorose.

«Non è da me parlare a questo modo, vero?» ammise lo stesso Break «Detesto parlare del passato, perché lo reputo una cosa inutile, in quanto oramai non si può far nulla per cambiarlo. Però oggi, nel guardare te e Sophie, non ho potuto far a meno di ripensare alla vita di Kevin e non voglio che tu commetta lo stesso suo errore.» a quel punto si concesse una risata sarcastica «Sai, una volta lui era felice e aveva tutto ciò che si potesse desiderare, ma a causa del suo rimorso rovinò tutto. Non ho idea se lei sia ancora viva ma, in ogni caso, lei l’avrà dimenticato da molti anni ormai.» puntò il suo unico occhio su quelli dorati di Gilbert «Per questo devi fare attenzione: l’amore può essere qualcosa di meraviglioso, ma non dura in eterno e quando te ne rendi conto è ormai troppo tardi. Quando si è innamorati, si comincia sempre con l’ingannare se stessi e si finisce sempre con l’ingannare gli altri. Questo è ciò che il mondo chiama una “storia d’amore”*.»

«Non capisco.»

«È naturale, per quanto voglia aiutarti, non potrai capirlo se non con l’esperienza. Una volta lessi da qualche parte che “la suprema felicità della vita è essere amati per quello che si è o, meglio, essere amati a dispetto di quello che si è”*.  Non rammento chi fosse, ma di certo era un pazzo. Anche se ami alla follia una persona e tenti di tutto per proteggerla dal dolore, non potrai mai difenderla da te stesso.»

Gilbert fissò con occhi sgranati l’altro e, proprio quando stava per porgerli la prima di una lunghissima serie di domande, Break tese le mani sulla ringhiera del balcone, quasi volesse stiracchiarsi, e si diede una piccola spinta all’indietro, in modo tale da poter compiere un’aggraziata, quanto esagerata piroetta.

«Bene.» aggiunse quando terminò di volteggiare «Ora è tempo per me di tornare dentro e tormentare un po’ la creaturina del Duca Ciuffetto.»

«Break...»

«Non pensare troppo a quanto ti ho detto: con la testolina vuota che ti ritrovi, andresti in tilt e poi...» fece una pausa ad effetto, per far sì che le sue parole riecheggiassero nel silenzio «Tanto sappiamo entrambi che rovinerai tutto con la tua goffaggine, onde per cui il problema non sussisterà più!»

Accompagnò le sue ultime frecciatine con un ghigno divertito e poi rientrò nel salotto, seguito dalle risate malefiche della sua bambola che gracchiava: «Goffo e inutile! Gilbert è goffo e inutile!»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

Siamo giunti quasi alla fine! Ho scritto molto e ci sono ancora molte parole da leggere, eppure mi sembra di non aver detto nulla. Ho nella testa talmente tante idee da poterci scrivere un romanzo. Ma, tranquilli, cercherò di esporvele tutte, piano piano e senza fretta. Questa prima fanfic serve per preparare il terreno, è solo l’esordio del mio spettacolo. Nelle prossime, infatti, vorrei narrare eventi più seri e delicati, ma non so se ci riuscirò: colpa mia, non riesco a restare seria troppo a lungo. In questo capitolo ho introdotto una bambina e ho lasciato che Break narrasse un piccolo squarcio della sua vita passata. Tenete bene a mente queste cose, perché in futuro salteranno ancora fuori. Riguardo agli *, servono per indicare che le frasi sono tratte da due scrittori che adoro: la prima è del mitico Oscar Wilde, mentre la seconda di Victor Hugo. Se vi sono piaciute, vi consiglio di leggere gli “Aforismi” di Oscar Wilde, fanno sorridere e riflettere al tempo stesso.

Non mi resta che augurarvi ancora buona lettura! ^^

 

Moni =)

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Capitolo 5
*** Retrace IV - Every Encounter Ends With A Separation ***


RETRACE IV – EVERY ENCOUNTER ENDS WITH A SEPARATION

 

Caldo.

Fa un caldo incredibile.

Eppure è strano: siamo quasi ad ottobre e il tempo dovrebbe essere più mite, invece sembra di essere in piena estate.

Ma io dove sono?

Mi dò un’occhiata intorno e noto due cose: un giardino rigoglioso e ben curato davanti a me e alle mie spalle il retro di un enorme villa.

Io sono seduto su di una gradinata e aspetto... cosa?

Ah, già! Break è uscito con la nipote della duchessa Cheryl, Sharon se non ricordo male, per una passeggiata. La domestica mi ha detto di attendere in salotto, però a me non andava e così sono uscito, anche se fa un caldo assurdo.

Dev’essere per questo che sono così spaesato.

Spero che Break non torni tanto presto, così me ne potrò stare tranquillo qui ancora per un po’ e non sarò costretto a tornare a villa Nightray.

Ora che ci penso, sebbene viva in quel luogo da quasi sei mesi ormai, non riesco ancora a chiamarla “casa”. Anche se lì c’è il mio fratellino.

Vincent... com’è possibile che non mi ricordi nulla nemmeno di lui?

Ogni volta che lo vedo non riesco a non provare paura, quasi come se lui sapesse qualcosa che io non voglio conoscere... ma cosa?

Ecco, questo caldo mi fa venire strani pensieri.

Quasi quasi adesso torno dentro. Sono sul punto di richiudermi la porta alle spalle, quando, a quel punto, penso una cosa assurda: ho come la netta sensazione che non dovrei alzare lo sguardo per l’ultima volta verso quei meravigliosi fiori che adornano il giardino. Sono certo che se mi voltassi e prendessi posto in uno di quei comodi sofà che si trovano nel salotto, tutto filerebbe liscio come al solito; aspetterei Break, lo informerei sulle ultime novità riguardanti i Nightray e me ne tornerei in quella villa che tanto mi angustia. Invece, per qualche ragione, guardo fuori e la vedo.   

Una bambina, comparsa chissà da dove, corre per il sentiero ghiaioso fiancheggiato da una schiera di roseti in fiore.

Distrattamente, penso che se continua così andrà a finire che s’inciamperà e ca...

Non ho nemmeno il tempo di terminare quel pensiero, che subito si avvera.

La bambina capitombola a terra e inizia a piangere, chiamando con voce acuta la mamma. Potrei chiudere la porta e fingere di non aver visto nulla. In fondo, nessuno deve essere a conoscenza della mia presenza qui e poi, sicuramente, arriverà qualcuno ad aiutarla. Ma nessuno si fa vivo.

Sospiro e mi precipito verso di lei; senza proferire parola, l’afferro sotto le ascelle e la sollevo da terra, mettendola nuovamente in piedi. Lei subito smette di strillare e mi osserva, incuriosita. Anch’io faccio lo stesso e mi accorgo che è molto graziosa. I capelli sono corvini e setosi , ma molto corti e tagliati in maniera irregolare, i lineamenti sono gentili, ma la cosa che più mi colpisce sono gli occhi: due pozze d’acqua limpide e cristalline. Non può avere più di nove-dieci anni e senza dubbio è una nobile, perché l’abito che indossa è di bella fattura. Nel mentre in cui penso tutto ciò, mi rendo conto di non aver ancora proferito parola, così decido di farlo, per non apparire maleducato.

«Tutto a posto? Non ti sei fatta male, vero?»

Lei continua ad osservarmi, senza dar segno di avermi udito e limitandosi a inclinare un po’ la testa. Probabilmente sta pensando che dovrei trattarla in modo più ossequioso, e a buon rendere. Oramai sono abituato a trattare i miei coetanei col dovuto rispetto al loro rango sociale, tuttavia non mi risulta altrettanto naturale farlo con una bimba così piccina. Mi ricorda molto la nobile Ada e probabilmente è per questo che la tratto con tanta confidenza.

«Bene, io allora vado...» dico, ma non riesco nemmeno a fare un passo, che la sua manina mi blocca, afferrandomi per una manica della giacca.

«Tu chi sei?» mi chiede con voce acuta.

«Mi chiamo Gilbert...» mi blocco appena in tempo.

Cavoli, mi ero appena ripetuto che nessuno deve venire a conoscenza delle mie visite a villa Rainsworth ed ecco che mi metto a rivelare tranquillamente la mia identità alla prima ragazzina che passa!

«Giochiamo insieme, Gil?»

«Non so se...»

«Ti preeego!» oltre alla voce, anche i suoi occhi sembrano supplicarmi.

Maledizione, perché devo essere così facilmente condizionabile?

«D’accordo, però devi promettere di non dire a nessuno che mi hai visto, intesi?»

«Promesso!» la sua voce allegra mi tranquillizza, anche se ben poco.

Insomma, quanto può valere la promessa di una bambina?

In ogni caso, ora mi ritrovo a correre da quasi mezz’ora, mentre quella misteriosa ragazzina mi rincorre ridendo come non mai. So bene che non dovrei farlo, eppure anch’io sorrido divertito. Mi sembrano trascorsi anni dall’ultima volta che ho giocato insieme al padroncino Oz e alla sua sorellina Ada.

Tutt’a un tratto, il suolo si fa sempre più vicino, finché non lo raggiungo con un tonfo. Ho a mala pena il tempo per rendermi conto di essere finito gambe all’aria, che qualcosa, o meglio qualcuno, si getta su di me.

«Preso!» squittisce lei sorniona.

«Brava, hai vinto. Ora, ti dispiace alzarti?» gemo, incapace di muovermi.

Lei obbedisce e si sdraia accanto a me, puntando lo sguardo all’immenso blu che ci sovrasta. Dò un occhiata anch’io, ma a parte qualche nuvola non noto nulla di interessante. Chissà cosa ci troverà lei di così interessante... ora che la guardo bene, mi viene l’assurdo pensiero che i suoi occhi siano diventati blu come il cielo a furia di guardarlo. Scuoto la testa e mi decido a parlare.

«Posso farti una domanda?»

Lei annuisce, continuando ad osservare la volta celeste. Avrei mille domande da porle, ma decido di andare per ordine di curiosità, più che per importanza.

«Che hai fatto ai capelli?»

«Ho mantenuto la promessa.» dice semplicemente.

«Come?»

«Fino a stamattina avevo i capelli lunghi fino qua.» mi indica la sua vita «Ma papà mi ha fatto arrabbiare. Aveva promesso che oggi avrebbe giocato con me, invece mi ha portato qui dalla nonnina, perché doveva lavorare. Io l’avevo avvertito. Avevo detto: “Papà, se non mantieni la promessa, mi taglio i capelli.” Lui non mi ha creduto e mi ha ugualmente portata qua e, quindi, non appena ho visto un paio di forbici ho fatto zac zac. Papà si è arrabbiato tanto.»

Io mi limito ad osservarla allibito: non sarà mica un’altra maniaca delle forbici, vero? Perché Vincent mi basta e avanza.

«Ma, perché tra tutte le cose da fare, hai deciso di tagliarti i capelli?»

«Perché a papà piacevano tanto. Dice sempre che così assomiglio di più alla mamma. Un po’ dispiace anche a me, però è colpa sua, no?» finalmente si decide a fissarmi.

«Beh, in effetti se aveva promesso...» lei sorride soddisfatta «Però non avresti dovuto arrivare a tanto.» la rimprovero.

Le sue labbra si abbassano e mi guarda turbata.

«Dici che papà mi odia, adesso?»

«No, certo che no!» esclamo subito con convinzione ­«Anche se hai fatto una sciocchezza e si è arrabbiato tanto, sono certo che lui ti vuole bene lo stesso!»

«Sì, è quello che mi diceva sempre anche la mamma.»

«Diceva?»

«Sì, è morta tre anni, cinque mesi e tredici giorni fa. Ho tenuto il conto.» ammette con una smorfia, quasi si vergognasse ad ammetterlo «Però ogni tanto, quando ho tanta paura, la chiamo ancora e l’aspetto. Anche se non è mai più venuta.»

«Mi dispiace.»

Ed è vero, mi fa star male sapere che questa bambina sia così sola, forse perché mi ricorda il mio amato padroncino.

«Non devi, all’inizio ho pianto tanto, ma adesso va un po’ meglio: il mio papà gioca spesso con me e, quando è troppo impegnato, mi fa compagnia Reim oppure la nonnina.»

«Quando dici nonnina, intendi...» non può riferirsi alla signora Cheryl, o sì?

«La vecchia signora che vive qui.»

«È maleducato dire vecchia, dovresti dire anziana.»

«Ok, la vecchia anziana che vive qui.»

Vorrei restare serio, ma non riesco a trattenere una risata: è proprio buffa.

«Tu abiti qui?» mi chiede con aria speranzosa.

«Veramente, no.»

«E allora che ci fai qua?»

«Facevo visita ad un amico.»

Vero, in parte. Definire Break un amico mi sembra improprio, infatti.

«E la tua mamma dov’è?»

«Io non ce l’ho la mamma e nemmeno il papà... ad essere sincero, non ricordo nulla del mio passato.»

Non dovrei dirle così tanto, lo so bene, ma che male c’è? Di certo non ci rincontreremo mai più, perciò che differenza può fare?

«Sei triste?»

«Io non sono triste.»

Mi manca appena di ammettere che sono triste e solo. Ad una bambina, poi.

«Hai paura?» insiste lei.

«E di cosa?»

«Di restare solo.»

Per un attimo la osservo sgranando gli occhi stupito: come diavolo ha fatto a capirlo?

Passato il primo attimo di sgomento, sorrido mestamente e decido di risponderle sinceramente, non mi va di mentirle.

«...Forse. Sai, ho perso una persona a me molto cara, ma intendo riprendermela. Prima, però, devo diventare più forte.»

«Stai tranquillo, adesso ci sono io.» dice lei, stringendomi la mano, come se in questo modo le mie paure potessero svanire nella dolcezza del suo gesto.

«Sei gentile, ma una volta che te ne sarai andata, sarò punto e a capo.»

«Allora, vorrà dire che ti sposo!»

Il viso mi va in fiamme.

Che ha detto? Ma è matta?

«Cosa?!» esclamo.

«Se ti sposo e abbiamo tanti figli, allora non sarai più solo, giusto?» nel pronunciare quelle parole si rizza in piedi e mi porge la mano per aiutarmi ad alzarmi.

«Temo che ti dimenticherai presto di me, ma grazie.» le rispondo in tono calmo e afferrando la sua manina.

È vero, come potrebbe andare diversamente?

Questo incontro è stato un caso. Certo, è stato divertente, ma si tratta solo di un’illusione: il nostro cammino era destinato fin da subito a dividerci presto.

«No! Questa è una promessa! Il mio papà dice che bisogna sempre mantenere le promesse, perciò se lo dico, lo farò di certo!»

Mi fissa con aria talmente seria, che sento di doverle credere. Il perché non lo so, ma so che è la cosa giusta da fare.

«Va bene, in questo caso, ti aspetterò.»

«Promesso?»

«Promesso.» rispondo senza indugi.

«Allora, è deciso: facciamo giurin giurello!»

«Cosa?»

Non mi permette di protestare: mi prende la mano e intreccia il proprio mignolo con il mio.   

«Prometto solennemente che tra dieci anni, quando sarò più grande, tornerò da te!»

A quel punto mi fissa speranzosa, ma dato che non proferisco parola, mi suggerisce cosa dire e così eseguo.

«Prometto solennemente di aspettarti fino ad allora e di chiederti in sposa.»

«E prometto!» trilla lei «Che ti dirò di sì!»

A quel punto conta fino a tre e in coro concludiamo la filastrocca.

«Promessa, promessa, da cuore mi vieni

 e nella mia testa io sento che tremi

 dammi il ditino , stringilo forte

 il nostro patto è eterno come la morte!»

Non succede nulla, eppure mi sento strano e felice al medesimo tempo.

«Signorina!»

Chi urla?

«Signorina, dov’è? La prego, mi risponda, signorina!»

Ah, ora la riconosco: è la voce della domestica che mi ha fatto accomodare in salotto.

«Mi cercano, ho paura che devo andare.» mi dice la bambina, correndo via, in direzione della voce.

«Aspetta!» le urlo «Non mi hai ancora detto come ti chiami!»

Che importanza ha? Spero forse di rivederla davvero tra dieci anni?

No, il problema non è che ci spero: io ci credo fermamente, per qualche assurdo motivo.

Lei si ferma e si volta per sorridermi un’ultima volta.

«Sophie! Il mio nome è Sophie!»

Poi corre via e sparisce, così com’era comparsa. Come un sogno.

 

Gilbert Nightray si svegliò in quel mentre. Si mise seduto ed osservò fuori dalla finestra: il buio cospargeva ancora il cielo come un mantello. Il ragazzo cercò a tentoni sul comodino il suo orologio da taschino e l’aprì sotto un flebile raggio lunare.

Le tre e un quarto di notte.

Gilbert si lasciò cadere nuovamente sul materasso. Quel sogno che aveva fatto giorni addietro non era affatto un sogno. Era un ricordo.

Ancora cinque ore.

Doveva come minimo attendere altre cinque lunghe, interminabili ore, prima di poter vedere Sophie. Non poteva certo presentarsi da lei alle tre e un quarto del mattino! Eppure, adesso che si era rimembrato di quel lontano ricordo, non riusciva più a pensare ad altro.                               

Per un tempo che a lui parve infinito, pensò che non sarebbe mai più riuscito a chiudere occhio, a causa di tutta l’adrenalina che gli circolava in corpo. Dopo un quarto d’ora, però, sognava già profondamente.

 

«A Lutwidge?!» esclamò Gilbert.

Da quando il giovane si era definitivamente svegliato alle otto e mezza del mattino, aveva cercato di comportarsi normalmente, sebbene dentro di sé si agitasse un turbinio di emozioni. Si era persino sforzato di fare compagnia a Reim durante la colazione, anche se ad un tratto si sentì costretto a chiedere informazioni riguardanti Sophie. Aveva tentato di apparire il più neutrale e distaccato possibile, quasi come se stesse domandando che tempo ci fosse fuori, ma non appena l’amico gli rivelò che la ragazza si trovava alla scuola privata che frequentavano anche Ada ed Elliot, non riuscì a trattenere un’esclamazione di sorpresa.

Reim strabuzzò gli occhietti color terra e confermò quanto appena detto.

«Sì, si trova a Lutwidge, perché ti stupisci tanto?»

Gilbert diede qualche colpetto di tosse e tentò di riassumere un minimo di contegno.

«No, è che non credevo che sarebbe tornata così presto a scuola.»

«Beh, effettivamente lei avrebbe voluto rimare qui ancora un po’, ma vedi il duca non è stato del medesimo avviso.»

«Tiro a indovinare: è una specie di punizione?»

«Per essere uscita senza il suo consenso e per avermi aiutato nel lavoro.» confermò mestamente Reim «In effetti, mi sento un po’ in colpa...»

«Non dovresti. Tu sai meglio di me che quando Sophie decide di fare una cosa nessuno la può fermare.»

«Hai ragione. Parli quasi come se la conoscessi da una vita.»

Gilbert non aveva idea di cosa ribattere, ma fortunatamente per lui Reim continuò a parlare, senza accorgersi del suo imbarazzo.

«Però mi dispiace comunque. Sai, era così felice di poter passare un po’ di tempo qui con t...» s’interruppe, mettendosi una mano sulla bocca, quasi come se volesse ricacciarsi dentro quanto appena detto «No, cioè... insomma... con tutti voi... sì! Era così felice di poter passare un po’ di tempo con tutti voi! Vi trova talmente simpatici!» esclamò in tono acuto il ragazzo, sperando che Gilbert gli credesse.

Fortuna volle che il Nightray fosse un grandissimo ingenuo, quasi al pari del suo interlocutore.

«Certo, capisco. Scusami Reim, ma adesso devo andare.»

«Andare? E dove?» chiese l’amico.

«Nell’ultimo luogo al mondo in cui vorrei rimettere piede.» si limitò a rispondere l’altro, sospirando e maledicendo quel dannato duca e la sua puntualità nel prendere decisioni.

 

«La prego, mi rispieghi perché si trova qui anche lei.»

«Te l’ho già detto, Gil-kun: ti accompagno.»

Gilbert era in viaggio da circa una decina di minuti e, suo malgrado, non era solo in quella carrozza. Oscar Vessalius era seduto di fronte a lui e sfoggiava uno dei suo soliti sorrisi tutto denti.

«E perché mai?» chiese Gilbert, enormemente a disagio.

«Semplice: da solo non ce la faresti mai a raggiungere la tua bella e poi non voglio perdermi per nulla al mondo la tua prima dichiarazione d’amore!»

«Io non sto affatto andando a dichiararmi!» gridò Gilbert.

«Però c’è di mezzo una ragazza, nooo?»

Il ragazzo si rifiutò di rispondere e si limitò a voltare il capo in direzione del finestrino. Mossa sbagliata.

«Ah-ah! C’avrei giurato! Ho fatto bene a spiarti stamane!» disse l’altro orgoglioso.

«Lei mi ha spiato?!» chiese indignato il moro.

«Oh, detta così sembra una cosa brutta e meschina. È più corretto affermare che mi sono voluto assicurare di una voce che girava.» rispose vago.

«Che tipo di voce?»

«Un uccellino con un occhio solo mi ha detto che ieri hai avuto un appuntamento segreto con una fanciulla moolto giovane e moolto graziosa.» fece l’altro, riservando una maggiore enfasi alle vocali.

«Break ha fatto cosa?!» urlò, mentre mentalmente pensò ‘Ecco cosa succede a confidarsi con lui! Altro che figura paterna, è un demonio! Già me lo immagino: starà sghignazzando come un matto qual è! Giuro che quando torno lo ammazzo!’

«Ah, non neghi? Incredibile, allora è vero! Fino all’ultimo non ho voluto crederci!»

Gilbert si diede una manata in fronte: si era scavato la fossa da solo come un idiota. Di nuovo.

«Complimenti, Gilbert! Eh, oramai sei un uomo! Ma dimmi, dimmi.» proruppe Oscar, occupando il posto vicino al ragazzo e circondandogli il collo con un braccio «Confidati con il tuo caro zietto: com’è? Bella?»

Il Nightray assunse una tonalità bordeaux e iniziò a balbettare frasi sconnesse.

Quel breve viaggio si preannunciava più lungo del previsto.

 

Non appena la carrozza s’arrestò, Gilbert si precipitò fuori, non vedendo l’ora di allontanarsi dall’insostenibile curiosità di zio Oscar.

«Ehi, Gil! Hai così tanta fretta di stringere tra le tue braccia la pulzella?» nel pronunciare tali parole, Oscar era già sceso dal mezzo di trasporto e aveva dato una pesante manata alla schiena del giovane. Quest’ultimo, dopo essersi massaggiato con cura il dorso, osservò stizzito l’uomo.

«Non la voglio abbracciare!»

Oscar rimase per un attimo basito, poi diede un’altra pacca sulla povera schiena già dolorante del ragazzo.

«Oh-oh! Gilbert, quale audacia! Vuoi già fare un passo così importante? Voglio proprio vedere quanto tempo ci impiegherai a convincerla!»

Il Nightray non ebbe nemmeno il tempo per arrossire, che qualcuno li apostrofò da dentro il cancello della scuola.

«Chi siete? E che vole...» non appena scorse Oscar, il giovane (che non doveva avere più di una trentina d’anni) sospirò «Ancora lei, signor Vessalius? Non vorrà entrare di nascosto a Lutwidge… non un’altra volta!»

Oscar mise un braccio intorno al collo di Gilbert e lo trascinò di fronte al cancello, ridendo come un pazzo.

«Ah, ah! No, no Stephen! Oggi non sono qui di mia iniziativa. Questo giovane deve esporre una questione della massima importanza ad una delle allieve, possiamo entrare?»

Il ragazzo osservò perplesso prima Gilbert e poi nuovamente Oscar.

«Ma, mi perdoni, se è lui che deve vedere la ragazza, lei che c’entra?»

Silenzio.

«Gliel’avevo detto che era meglio se restava a casa.» mormorò Gilbert.

«Stephen, ma è ovvio!» rispose Oscar, dopo un’attenta riflessione «Gilbert è come un figlio per me, perciò è naturale che voglia essergli accanto nei momenti più importanti della sua vita!»

Stephen lanciò un’ultima occhiata interrogativa al Nightray e, notando la sua espressione stravolta ed esasperata, decise di aiutarlo.

«D’accordo, puoi entrare.» fece cordiale a Gilbert, aprendo il cancello e lasciandolo entrare, ma fermando Oscar che si stava precipitando all’interno «Lei no.»

«E perché mai?»

«Punto numero uno: se scoprono che l’ho fatta accedere all’interno della scuola, mi licenziano. Punto due: non la sopporto.»

«Ma, ma....» protestò un’ultima volta Oscar.

«Punto tre: perché no. Buona giornata!» esclamò Stephen, chiudendo a chiave il portone.

Mentre i due ragazzi si allontanavano, Gilbert osservò il signor Vessalius sbraitare come un bambino a cui è stato tolto il proprio giocattolo favorito.

«Sicuro che vada bene così?»

«Certo, anzi le conviene muoversi: quello svita... ehm... quel signore ci impiegherà meno di dieci minuti a scovare un nuovo passaggio segreto non sorvegliato. Allora, chi deve vedere?»

Gilbert rimase interdetto.

Dannazione, aveva fatto tutto così in fretta e furia che si era scordato di fare la cosa più importante: chiedere a Reim il nome con cui Sophie è conosciuta a Lutwidge. Mentre si spremeva disperatamente le meningi per trovare una soluzione all’inghippo, Stephen lo apostrofò.

«Viene qua e non sa nemmeno il nome della ragazza? Ma che intenzioni ha, veramente?»

Cavoli, ora sì che era nei guai.

A meno che...

Un raggio di sole illuminò il suo viso, proprio quando ricevette un’intuizione geniale.

«Ada!» urlò felice «Ada Vessalius, dove la posso trovare?»

 

Dopo pochi minuti di ricerche, Gilbert si ritrovò di fronte all’ingresso dell’enorme biblioteca della scuola. Mentre attendeva che Stephen si assicurasse della presenza di Ada, il Nightray si guardò intorno con aria parecchio preoccupata.

«Eccola lì.» l’esclamazione di Stephen fece trasalire l’altro «La vede? È seduta nel terzo banco sulla sinistra.»

Gilbert avrebbe voluto sporgere la testa ed osservare di persona, ma preferì restare immobile e porre un’altra domanda.

«E mi dica, per caso c’è anche Elliot Nightray? Un ragazzo moro più o meno della sua età?»

Stephen non comprese il motivo della domanda, ma decise di accontentarlo e di controllare.

«No, la signorina Vessalius è praticamente sola. Ci sono solo un paio di ragazze e un giovane dell’ultimo anno. Lo si capisce perché indossa una fascia nera con l’emblema della scuola sul braccio destro.» si affrettò a precisare.

Sollevato dall’idea di non doversi scontrare con il suo fratellastro (quantomeno per il momento), Gilbert ringraziò Stephen e s’avvicinò alla ragazza, intenta  a leggere un pesante librone.

«Ciao, Ada.» la salutò gentilmente.

Quella, senza attendere un solo secondo, si voltò verso la fonte del suono e, dopo un primo attimo di stupore, regalò al giovane uno dei suoi migliori sorrisi.

«Gil-kun, ma che bella sorpresa! Che ci fai qua? Tutto bene?»

«Sì, grazie. Anche tu mi sembri in ottima forma.»

«Certo, qui obbligano gli studenti a fare ginnastica due volte alla settimana, non lo sapevi?»

«Dev’essere dura.» Gilbert si ricordò che Ada non era mai stata portata per l’attività fisica.

«Oh, all’inizio sì, ma da due anni la senpai-Mary mi aiuta sempre. Una volta che hai imparato, non è poi così male.»

«Senpai-Mary?»

«Oh, giusto, tu non la conosci! È una ragazza che frequenta l’ultimo anno qui. Inizialmente credevo che fosse altezzosa e introversa, sai giravano brutte voci sul suo conto, anzi, ad essere del tutto sinceri girano tutt’ora, però sono false. Giusto due anni fa, infatti, mi ha visto in difficoltà mentre tentavo di allenarmi da sola e lei, senza che le chiedessi nulla, si è fermata con me per più di un’ora, finché non ho eseguito correttamente l’esercizio. Da allora mi aiuta sempre, anche adesso mi sta aiutando con i compiti di letteratura straniera.»

«Ma io non la vedo.» fece Gilbert, osservando in giro, in cerca della chioma corvina di Sophie.

«Vero, se n’è andata poco fa perché si era dimenticata in classe il libro. Ma dovrebbe tornare a momenti... oh! Eccola là! Mary-senpai!»

Gilbert si voltò verso l’ingresso e vi trovò Sophie, con la schiena poggiata sullo stipite, che li osservava con uno strano sguardo... com’è che il ragazzo provò istintivamente un moto di paura? Ada, invece, sembrò non accorgersene.

«Mary-senpai, eri lì da molto?»

«No, solo da qualche minuto, non ho voluto interrompere la vostra rimpatriata.»

Anche il tono di voce non faceva presagire nulla di buono.

«Oh, non dovevi farti riguardo.» fece la bionda avvicinandosi «Questo è Gilbert, un mio caro amico d’infanzia. Sai quel ragazzo a cui avevo regalato un cappello? Ecco, era lui!»

Sophie lanciò un’occhiata di fuoco al giovane, con i suoi occhi blu scuro.

«Davvero? Ti ha regalato un cappello?»

Ahia.

«Sì.» rispose allegra Ada.

«Per caso proprio quello che indossa sempre e che, guarda caso, porta anche adesso?»

Doppio ahia.

«Sì.» rispose nuovamente la bionda, confermando la condanna a morte del ragazzo.

‘No, un momento, ma che vado a pensare? Perché mai Sophie dovrebbe prendersela per così poco?’

Evidentemente Gilbert non aveva idea di quanto si sbagliasse, se s’illudeva di ciò. Né tantomeno conosceva il cuore di una donna.

«Bene, in tal caso, vi lascio soli. Divertitevi.» quell’ultima parola suonava più come un augurio a perire di una morte orribile e, naturalmente, ciò era indirizzato unicamente a Gilbert.

Detto ciò, Sophie si voltò e se ne andò con passo deciso, lasciando i due di sasso.

«Ho detto qualcosa che non va?» chiese incredula Ada.

 

«Gil-kun, guarda là! Chiediamo a Elliot e Leo se hanno visto Mary.»

Sebbene Gilbert non avesse alcuna intenzione di rivedere il fratello, non protestò. Oramai stava cercando Sophie insieme ad Ada da quasi mezz’ora e senza successo.

«Elliot, Leo, scusatemi per caso avete visto...»

«Ada Vessalius! Quante volte devo dirti di non chiamarmi con tanto confidenza! E... TU CHE CI FAI DI NUOVO QUI?!»

Ecco, questo era esattamente ciò che Gilbert avrebbe voluto evitare come la peste.

«Elliot, non urlare e non rivolgerti così ad una signora ed a tuo fratello maggiore.»

Leo, che non aveva nemmeno alzato la testa dal libro che stava leggendo, non mancò di riprendere come al solito il suo padrone.

«Ma loro...!»

«Perdonatelo, Ada-san, che cosa volevate sapere?» chiese cordiale il servitore, staccando finalmente gli occhi dal tomo.

«Per caso avete visto la senpai Mary?»

Nel proferire quel nome Elliot impallidì.

«Oh sì, proprio meno di mezz’ora fa.» rispose Leo, dato che l’altro si rifiutava di parlare «Elliot ha avuto un incontro ravvicinato con lei, poverino.»

«Perché poverino?» chiese Gilbert.

«Quella pazza....» si decise a dire il giovane Nightray «L’ho incrociata per sbaglio prima ed ho avuto la malsana idea di salutarla. A tal proposito, che le hai fatto?»

«Io?» chiese Gilbert.

«Sì, TU! Io l’ho salutata e in risposta quella mi ha fulminato con lo sguardo aggiungendo “Per oggi mi è bastato e avanzato un Nightray. Anzi, se vedi quell’idiota di tuo fratello digli che è un IDIOTA!”. Aveva gli occhi infuocati, ho creduto di morire.»

«Confermo. A confronto Lotti era una dolce e tenera fanciulla indifesa.»

«Chi è Lotti?» chiese a quel punto Ada, curiosa.

«Nessuno.» risposero in coro i tre ragazzi.

«Fossi in lei andrei a chiederle scusa.» suggerì gentilmente Leo a Gilbert.

«Fossi in te andrei a rinchiuderla in una gabbia per tigri.» proruppe il fratello.

«Dì la verità, sei ancora adirato per quella secchiata d’acqua gelida, vero?» chiese con un ghigno Leo.

«Certo che sono ancora adirato! Anzi, non vedo l’ora di restituirgliela con gli interessi!»

«Va bene, ho capito.» fece il servo, prendendo a braccetto il padrone «Per oggi basta disquisire sui piani di vendetta. È ora di andare a lezione.»

Elliot protestò inutilmente un altro po’ e poi si lasciò trascinare.

«Ah, la signorina Mary è nell’aula di musica. Di solito quando è infuriata va lì a scaricare la tensione.» aggiunse il giovane occhialuto, prima di sparire insieme al compagno dietro una porta.

 

Ed eccolo lì, abbandonato di fronte alla porta socchiusa dell’aula di musica. Ada, infatti, aveva preferito lasciarlo solo, pensando che lei sarebbe stata di troppo. Peccato che Gilbert non trovava il coraggio di spalancare la porta. Dall’interno proveniva una dolce melodia, segno evidente che Sophie si stava calmando o, quantomeno, ci stava provando. Infatti, se il ragazzo avesse potuto udire i suoi pensieri, non si sarebbe stupito di ciò che di lì a poco sarebbe accaduto.

‘Quello scemo!’ pensava lei ‘Viene qui e si mette a conversare placidamente con quell’oca di Ada! No, dai, così esagero. Ada non è un’oca, però è dannatamente bella. E gentile, e ben educata, e ha un seno enorme e... dannazione, è tutto l’esatto opposto di me! Gli ha pure regalato un cappello, quel cappello odioso che indossa sempre! Perché poi? Che ha di così speciale? Lo tiene perché così pensa a lei? Non è che le piace?’

A quel punto, un dito di Sophie scivolò su di un tasto sbagliato, stonando lievemente la placida melodia. Seguì un brevissimo attimo di silenzio.

‘STUPIDO! STUPIDO! STUPIDOOOO!!!’ gridò mentalmente, mentre con le mani picchiava violentemente le note del piano.

«Wow, che concerto innovativo! Ecco perché non ti fanno mai suonare, dovrebbero cambiare il piano ogni volta, altrimenti.»

Quella voce odiosa Sophie la conosceva fin troppo bene.

Gideon, il suo miglior amico, la fissava con aria sognante e con un sorriso gentile. Sophie era sempre tentata di ammazzarlo quando faceva così, perché se c’era una cosa che non sopportava era di avere un tipo allegro nei dintorni, quando lei era di pessimo umore.

«Toh guarda! Uno scarafaggio si è arrampicato fin quassù!» fece ironica Sophie.

«Punto uno, non sono uno scarafaggio. Punto due, non mi sono arrampicato, ma sono fuggito dalla finestra dell’aula a fianco. Punto tre: anch’io sono felice di vederti, Maga Magò!»

A questo punto, dopo che Sophie prendeva in giro Gideon per la sua pettinatura disordinata, che raggiungeva l’apoteosi nei due ciuffetti sempre ritti che ricordavano per l’appunto due antenne, e dopo che il ragazzo a sua volta aveva apostrofato Sophie con il suo nomignolo “Maga Magò”, iniziava la gara di insulti.

«Clown.»

«Acida.»

«Idiota.»

«Furetto.»

«Folletto pestifero.»

«Depressa.»

«Girasole.»

«Eh, no! Avevamo detto che non mi chiamavi più così! È imbarazzante!» protestò il giovane, issandosi dalla finestra e penetrando nella stanza.

«Nessuno ti ha dato il permesso di entrare.» rispose lei incurante del commento e soddisfatta di aver vinto.

«Non è mica camera tua.»

«D’accordo, allora me ne vado io.» detto ciò si alzò e fece per andarsene.

Gideon, in tutta risposta, si sedette al piano e iniziò a suonare e cantare.

«Oh, Mary! Sei un povero furetto depresso e spacchi i pianoforti perché sei in astinenza dal...»

«Gideon!» lo riprese Sophie.

«Da quella parola che finisce per “esso”!»

«Ecco, non andare oltre...»

«E inizia per “s”! Quindi sess...! Oh!»

Una scarpa lo colpì in piena faccia.

«Ma come? Finalmente ti sei decisa a concederti, e proprio qui? Ti spogli per me?»

«Gideon, se non la pianti t’ammazzo!»

Sophie lo fissò con aria furiosa e lui si coprì il viso con la scarpa.

«Oh, no! Ti prego Mary, non ucciderci tutti! Risparmia almeno le persone caste e pure!»

«Lo sai che così ti condanni a morte da solo, vero?»

«Sì, ma a tempo che trovi un verginello, io me la sarò già svignata.»

«E se iniziassi ad ammazzare quelli impuri?»

«Che razza di cattiva saresti? Non la conosci la procedura? Primi vaneggi e ridi come una pazza per mezz’ora e poi ti metti a cercare il protagonista, che nel frattempo ha avuto tutto il tempo per scappare.»

«Mi stai dando della pazza omicida?» chiese Sophie incollerita.

«Sì, ma molto sexy!»

A quel punto la ragazza non ce la fece a resistere un secondo di più. Scoppiò a ridere senza preoccuparsi di frenarsi, seguita a ruota libera da Gideon.

«Ti odio!» riuscì a dire dopo essersi un po’ calmata «Lo sai che detesto ridere quando sono arrabbiata, mi dà i nervi!»

«Preferivi tenere il broncio?»

«No. In effetti, è meglio così. Però uffi a te.»

Gideon era incredibile, era l’unica persona che riuscisse a farla tornare di buon umore, senza eccessivi danni fisici. Sophie si concesse qualche minuto per ammirarlo, mentre lui armeggiava distrattamente con il piano. I capelli erano color del grano maturo e creavano uno splendido contrasto con la pelle scura come la corteccia degli alberi. Per questo Sophie lo chiamava Girasole o, almeno, lo apostrofava così quando voleva metterlo in imbarazzo. Gli occhi erano senza dubbio la parte che prediligeva del suo corpo: erano talmente chiari da sembrare quasi bianchi. A molti ragazzi faceva paura a causa del suo aspetto, ma Sophie sapeva bene che, nonostante l’aria stramba e da duro, nascondeva un cuore d’oro. Gideon era infatti buono come il pane e si preoccupava molto per i suoi amici e dato che all’interno di Lutwidge Sophie era l’unica persona che gli rivolgesse la parola, era scontato che il biondo si impegnasse al massimo affinché la ragazza fosse sempre allegra e serena.

«Dunque, che succede? Hai litigato con il tuo ragazzo?»

«Dunque, che succede? Non ce la fai a farti i fatti tuoi?»

«Bersaglio centrato e affondato!» urlò allegramente Gideon, che ora osservava Sophie con aria curiosa.

La ragazza, infatti, sembrava intenta a cercare qualcosa.

«Che cerchi? La tua pazienza perduta?»

«No, un oggetto contundente con cui colpirti. Perché non si trova mai niente quando lo si cerca?»

«Secondo una mia ipotesi, c’è un folletto malefico che nasconde le cose quando qualcuno le cerca e poi, quando la persona si è stancata, te le fa trovare sotto al naso.»

«Il folletto malefico sei tu, fino a prova contraria.»

«Chiedo perdono, Maga Magò.»

«Mary, mi chiamo Mary! Smettila di usare quel nomignolo fastidioso!»

«Credevo che ti piacesse.»

«Io ti chiamo col tuo nome, mi pare.»

«Solo perché, a detta tua, è più che azzeccato per descrivermi. Anche se non ne ho ancora compreso il motivo.»

«Semplice: Gideon è un nome di origine biblica e significa “colui che colpisce, offende, rompe”.»

«E quindi?» chiese confuso il ragazzo.

«Colui che ROMPE la mia già scarsa pazienza.» rispose con un ghigno la fanciulla.

«Oh, capisco! Perciò, Mary significa “furetto petulante e insopportabile, che non chiude mai la sua boccuccia seducente”... ehi, dove te ne vai?»

«Il più lontano possibile da te.»

«Ciao, depressa!» le urlò, prima che lei sparisse per una porticina secondaria.

Gilbert, infatti, si trovava ancora nascosto dietro alla porta principale, ma nessuno pareva essersi accorto della sua presenza.

«Fossi in te, andrei nel giardino sul retro e darei un’occhiata all’albero di pesco. Non puoi sbagliarti, è quello enorme vicino alla siepe.» la voce di Gideon si perse nel silenzio più assoluto.

Gilbert rimase di sasso e per qualche istante non seppe che fare. Doveva entrare e presentarsi? Doveva ringraziarlo?

Per qualche motivo, decise di limitarsi a girare i tacchi e a cercare Sophie.

«Di niente, neh.» fece ad alta voce il biondo, osservando lo spartito e iniziando a suonare l’imponente strumento con aria svogliata.

 

Gilbert non impiegò molto tempo per trovare il luogo indicatogli da Gideon. All’antipodo dell’entrata principale della scuola c’era uno splendido giardino ben curato, dove gli studenti usavano incontrarsi per riposarsi dopo le lunghe e tediose ore di lezione. Inizialmente il Nightray credette che Gideon si fosse burlato di lui come aveva fatto prima con Sophie, poiché non riusciva a vedere alcun albero di pesco. Dietro ad un’alta siepe, però, notò la chioma di un albero in fiore.

Che fosse quello?

Gilbert s’avvicinò alla siepe e, dopo averla esaminata con cura, notò un piccolo passaggio che portava dall’altra parte.

Fu così che si ritrovò in un’altra sezione del giardino, molto più rigogliosa e silenziosa. All’apparenza, infatti, sembrava che non vi fosse anima viva. Evidentemente, doveva essere una zona riservata ai professori e al personale della scuola, però il ragazzo udì qualcuno cantare una melodia a lui nota: era la stessa che Sophie aveva intonato per la piccola Anita. Ed eccola lì la fanciulla, appostata sopra ad un alto ramo della pianta.

Per un istante Gilbert rimase senza fiato: Sophie sembrava uno spirito dei fiori, che solitamente popolavano i boschi delle fiabe. Tuttavia, l’incanto si ruppe presto, esattamente quando la ragazza si rese conto della presenza di Gilbert.

«E tu che ci fai qua?» chiese sgraziatamente e senza il minimo tatto «Questa zona è vietata ai non addetti ai servizi della scuola.»

«Potrei chiedere la stessa cosa a te. Anche tu non dovresti trovarti qui, sai?»

Sophie parve accorgersi solo allora del suo errore, ma non abbandonò il tono polemico. Non aveva alcuna intenzione di darla vinta al ragazzo, né di farsi cogliere in fallo.

«In ogni caso, che vuoi? Fino a poc’anzi, non eri troppo impegnato a tubare con quella giuliva di Ada?»

«Io e Ada non stavamo facendo nulla di male e non parlare male di lei.»

Sophie fu felice di sentire che Gilbert non ci stava provando con Ada, ma le diede altresì fastidio constatare con quanta energia difendesse la matricola.

«Non ho nulla contro di lei, ma trovo sciocco regalare un cappello ad un’idiota egocentrico come te.»

«Come ti permetti? E scendi giù a parlarmi.»

«Non ho alcuna intenzione di scendere.»

«Non puoi rimanere lassù in eterno.»

«Ah, no? Vogliamo scommettere?»

«Benissimo!» disse esasperato il ragazzo, sedendosi a gambe incrociate ai piedi dell’enorme albero «In tal caso io resterò seduto qui, finché non scenderai.»

«Non puoi restare lì per sempre.»

«Vogliamo scommettere?» disse in tono di sfida Gilbert, con un sorriso tirato e carico di stizza.

«Bene, allora tu rimani pure lì, non m’importa, basta che te ne stai zitto.»

«Starò zitto quando anche tu starai zitta.»

«Bene.»

«Benissimo.» aggiunse Gilbert, per non lasciare la soddisfazione alla ragazza di avere l’ultima parola.

«Fantastico.» aggiunse Sophie, per il medesimo motivo.

«Ottimo.»

Calò il silenzio, almeno tra di loro, perché il mondo circostante, invece, continuò la sua normale sinfonia: gli uccelli cinguettarono senza sosta, mentre in sottofondo si udirono le voci degli studenti.

«Bella giornata, eh?» disse ad un tratto Sophie, già stufa di quella situazione.

«Hai già rotto il voto di silenzio?» chiese stupito Gilbert.

«Non parlo certo con te, ma con il pettirosso poggiato sul ramo.»

Gilbert voltò la testa e notò che, effettivamente, c’era un uccellino su quell’albero.

«Buona conversazione, allora.» fece offeso il ragazzo, ruotando nuovamente il capo verso la siepe.

«Visto come sono belli i peschi in fiore? Sono i miei fiori preferiti in assoluto!» continuò Sophie, come se stesse conversando con un vecchio amico «Posso chiederle un favore, signor uccellino? Potrebbe chiedere al ragazzo seduto qui sotto che ci è venuto a fare a Lutwidge?»

Gilbert decise di stare al gioco.

«Volevo vedere la pazza che ti rivolge la parola.»

«Guarda che anche tu stai conversando con un pennuto.»

«Per forza, almeno adesso mi stai a sentire.»

Sophie rimase zitta, poiché, in fondo, sapeva di avere un caratteraccio.

«E... perché volevi vedermi?» non l’avrebbe ammesso nemmeno fra un milione di anni, ma era felice come non mai di essere la causa dell’arrivo del giovane.

«Mi sono ricordato di una cosa.»

Sophie attese che continuasse.

«Circa dieci anni fa, aiutai una bambina a rialzarsi da terra, dopo che era caduta. Evidentemente, non le avevano insegnato che non si corre sulla ghiaia. Quella stessa bimba, poi, si fermò a giocare con me e, prima di andarsene, mi promise che mi avrebbe rincontrato esattamente dieci anni dopo e che lei avrebbe detto di sì se io... le avessi chiesto una certa qual cosa.» lasciò la frase in sospeso e alzò lo sguardo per osservare la reazione di Sophie.

La ragazza osservava i fiori di fronte a sé, senza trovare il coraggio di voltarsi verso di lui.

«Per molto tempo pensai che quello fosse solo un sogno e in seguito me ne scordai del tutto. Ma non era così. Eri tu quella bambina, vero?»

«Non credevo che te lo ricordassi ancora.» ammise Sophie.

«Perché non me l’hai detto subito?»

«Perché non voglio che tu ti senta obbligato in alcun modo.»

«Come?»

Sophie prese un respiro profondo: non solo quello che stava per dire la imbarazzava da morire, ma si sentiva anche avvolta da una strana angoscia, perché non aveva idea di come avrebbe reagito Gilbert alle sue parole.

‘Ecco, ci manca solo che mi metta a piangere per l’agitazione, adesso.’ pensò la fanciulla, asciugandosi velocemente una lacrima che le era sfuggita ‘Grazie al cielo da quassù non può vedermi.’

«Che intendi dire con “non voglio che tu ti senta obbligato”?» chiese nuovamente Gilbert, notando il silenzio della ragazza.

«Ora che ti sei ricordato di quella promessa, ti senti in dovere di mantenerla, giusto?» non gli lasciò il tempo di rispondere «Non provare a mentirmi, lo so già. Sei troppo onesto per mancare una promessa data, anche se eri piccolo e anche se ora non provi nulla per me. Però non voglio questo.» prese nuovamente fiato.

Doveva continuare a guardare avanti, dannazione, altrimenti era certa di non riuscire più a finire quell’importante discorso, se si fosse persa negli occhi dorati del ragazzo.

No, doveva concludere.

«Io ti feci quella promessa, perché volevo renderti felice. Tu eri stato gentile con me e, quindi, mi sentivo in dovere di aiutarti. Però, se tu ami un’altra, allora è inutile.»

Gilbert ascoltava in silenzio, senza riuscire a capire dove Sophie volesse andare a parare con quel discorso.

«Perciò.» proruppe lei, guardandolo finalmente in faccia «Facciamola finita.»

«Che intendi dire?» chiese lui.

«È tempo di mantenere la promessa. Io la mia parte l’ho già fatta: sono tornata da te, no?»

Gilbert capì che era il suo turno, ma, stranamente, non si sentiva a disagio.

«Vuoi sposarmi?»

Sophie strinse i pugni e si morsicò le guance, per costringersi a non piangere.

«Sì.»

Non appena pronunciò quella parola, si voltò dall’altra parte e aggiunse una frase del tutto inattesa.

«Ora puoi andartene.»

«Cosa?!» Gilbert era basito.   

«Mi hai sentito, vattene. Hai mantenuto la promessa.»

«Ma che stai farneticando?»

«I patti erano chiari: io ti avrei rincontrato, tu avresti chiesto la mia mano e io ti avrei detto di sì. Tuttavia...»

Dannazione, adesso stava piangendo a dirotto, ma non aveva intenzione di farlo sapere a Gilbert, perciò Sophie fece del suo meglio per controllare la sua voce, affinché suonasse il più neutrale possibile.

«Tuttavia.» riprese dopo un attimo «Non si era mai parlato di celebrare un effettivo matrimonio. Basta così, quindi.»

Di sicuro penserete che Gilbert fosse rimasto senza parole e che, di lì a poco, se ne sarebbe andato. Era quello in cui sperava Sophie.

Peccato che al ragazzo, invece, le parole non mancarono.

«MA CHE DIAVOLO TI SALTA IN MENTE?!» urlò infatti.

Lei trasalì, non aspettandosi una reazione simile.

«Prima mi fai impazzire comportandoti in modo assurdo: ti travesti da uomo, mi parli come se fossi un tuo vecchio amico e mi baci... sulla guancia.» precisò subito, temendo di essere frainteso «Poi ti permetti di apparire nei mie sogni e scopro che, in realtà non era un sogno. E poi, poi... faccio un viaggio infinito con un essere insopportabile per vederti e tu, dopo un discorso assurdo, mi cacci via?! MA PER CHI MI HAI PRESO, PER IL TUO GIOCCATOLO?!»

Gilbert si fermò e riprese fiato.

Nel frattempo, Sophie lo stava nuovamente guardando basita.

«Ma... CHE DIAVOLO URLI AI QUATTRO VENTI?! Io ti entro nei sogni? Ma ti senti quando parli? Caso mai lo stalker sei tu! E poi quel bacio era solo per salutarti, che pensavi?»

«Oh, certo. Tu sei sempre innocente, giusto? Io non posso parlare con Ada, senza che tu mi ammazzi con lo sguardo, in compenso tu hai tutto il diritto di fare la cascamorta con qualunque maschio, giusto?»

«Cosa? Come ti permetti?! Di che parli?»

«Non fare la finta tonta. Reim non ti bastava, no? Anche questo Gideon, adesso! Che, tra l’altro, non è nemmeno granché.» in verità Gilbert non era riuscito a vederlo, però fu la prima cosa che gli venne in mente e perciò pensò bene di dirla ad alta voce.

«Che c’entra Gideon, adesso? E poi tu come fai a conoscerlo?»

«Vi ho sentito mentre flirtavate dentro l’aula di musica! Siete proprio una bella coppietta, complimenti!»

«Gilbert, Gideon è solo un amico.» disse con calma Sophie.

«Forse per te, ma chi ti dice che...»

«Ha la ragazza.»

«Oh... beh... e chi ti dice che non sia una bugia?»

«Perché la conosco bene: è Cassidy.» Sophie si concesse qualche secondo per godersi la faccia allucinata di Gilbert «Sei estremamente carino quando fai quelle facce buffe...» si lasciò sfuggire ridacchiando.

«Che hai detto?»

«Ho detto che li ho fatti incontrare io, per questo Gideon mi adora: mi considera l’angelo custode che l’ha congiunto con la sua anima gemella.»

«Oh…» Gilbert non sapeva che aggiungere, dato che aveva fatto una figuraccia però, giunto a quel punto, decise di giocarsi anche l’ultima carta «E che mi dici di Reim, allora?»

«Reim è come un fratello per me, non potrei mai mettermi con lui, mi farebbe senso. Senza offesa per Reim, ovviamente.»

Oramai Sophie sorrideva felice.

«Eri geloso, per caso?»

La frecciatina colpì in pieno Gilbert, facendolo arrossire come non mai, ma ciò non lo fece demordere.

«E tu allora? Perché ti sei arrabbiata così tanto con Ada?»

Detto fatto, nel giro di due secondi il Nightray riuscì a pareggiare i conti.

«E tu perché tieni quel cappello?» tentò di rispondere a tono lei.

«Non lo so, forse perché è il regalo di una cara amica?»

«Perché non te la sposi, allora, questa tua “cara amica”?»

«Forse lo faccio!»

«Bene! Felicitazioni e figlie femmine!»

«Guarda che si dice “Auguri e figli maschi”.»

«Lo so, ma dato che il padre è un perfetto idiota, forse è il caso che tu abbia solo femmine, in tal modo la tua prole avrà un briciolo di cervello!»

«Per lo meno io sarò sposato, mentre tu resterai zitella!»

Loro non se ne rendevano conto, ma si stavano comportando come due bambini. Insomma, era mai possibile che due ragazzi, ormai adulti, non riuscissero a discutere tranquillamente e senza cambiare umore ogni due secondi? Come molte cose della vita, questo sarebbe rimasto un mistero.

Fortunatamente, la sceneggiata pareva essere giunta ormai al termine.

«Meglio sola che male accompagnata!» riuscì a rispondere con odio Sophie.

«Accontentata.» Gilbert si voltò e s’avviò verso la siepe «Sai, spero che tu cada, prima che me ne vada, così dimostrerai quanto sei sciocca e goffa!»

«Ti piacerebbe! E comunque non sono goff... ah!»

Si udì un sonoro crack ed un urlo.

Il Nightray si voltò e, come poté constatare, sembrava proprio che una qualche divinità avesse deciso di esaudire il suo desiderio, anche se solo per metà. Sophie, infatti, era appesa a quello che rimaneva del ramo su cui era poggiata: metà del braccio dell’albero giaceva a terra, mentre la ragazza tentava di reggersi con le mani su quel poco di corteccia che restava per non cadere a terra.

«Ma che combini?!» chiese Gilbert allarmato, mentre si avvicinava di corsa verso di lei.

«Ehi, non avvicinarti! E non provare a sbirciare sotto la gonna!»

«Ti pare il momento di preoccuparsi per questo genere di cose?! Rialzati, piuttosto!»

«La fai facile, tu! Scivolo!» gemette, mentre tentava disperatamente di issarsi.

Ad un tratto, si udì una risata.

«Che fai?! Ti pare il caso di ridere?»

«Scusa, scusami, ma sei davvero troppo buffa! Sembri una scimmietta!»

«Con questo intendi dire che sono carina o che assomiglio ad un primate?»

«Dai!» esclamò Gilbert, stendendo le braccia «Lasciati cadere, ti prendo io.»

«Che?! Scherzi? Manco morta!»

«Hai idee migliori?»

«Beh, quassù non si sta poi così male, c’è pure una bella brezza...»

«Sophie!»

«E va bene, va bene! Arrivo! Ma guai a te se non mi prendi!»

Sophie chiuse gli occhi e contò mentalmente fino a tre, poi lasciò la presa.

È molto strano cadere, vero?

Se siamo particolarmente in alto, come nel caso della povera Sophie, ci aspettiamo che la caduta duri in eterno, anzi, siamo quasi del tutto certi che il tempo si fermerà e che resteremo eternamente sospesi per aria. In realtà, succede tutto talmente rapidamente, che abbiamo a malapena il tempo di renderci conto di star precipitando, che già siamo al sicuro a terra. Certo, non sempre si atterra sulle zampe come i gatti, e infatti nemmeno a Sophie andò esattamente così. Tuttavia, non fu nulla di traumatico, poiché nel giro di pochissimi secondi, si ritrovò stretta tra le braccia di Gilbert.

Non si era mai accorta di quanto il ragazzo fosse alto, eppure ora che si trovava abbracciata a lui, i suoi piedi non riuscivano a toccare il suolo.  Si era sempre considerata una ragazza più alta della media, con il suo metro e settantatré, ma cos’era quel numero in confronto ai dodici centimetri extra di del giovane? Per non parlare delle sue larghe spalle e della sua stretta sicura: da quando Gilbert era diventato così grande e forte? E poi c’era il suo profumo... Sophie era quasi del tutto certa che il ragazzo non usasse alcun tipo di essenza, però restava il fatto che emanava un odore buonissimo, che fu in grado di cogliere unicamente grazie a quella vicinanza inattesa.

Perciò, come ammise lei stessa più tardi, fu solo colpa di Gilbert se lei si strinse ancora più forte a lui e, cosa assai più rilevante, se decise di restare in quella posizione per più del dovuto.

Dal canto suo il Nightray si sentiva parecchio strano. Era la prima volta che abbracciava una ragazza di sua iniziativa e non si aspettava che Sophie fosse così leggera. Naturalmente si fa per dire, la fanciulla pesava tutti i suoi sessantotto chili senza riserva, data anche l’altezza da cui era precipitata, però Gilbert non si sentiva per niente stanco o scomodo. Inoltre, aveva avuto finalmente l’opportunità di starle vicino.

Non si era mai accorto di quanto la sua vita fosse stretta, né tantomeno di quanto fosse bello abbracciarla e sentire i suoi seni a contatto con il suo petto... a quel pensiero arrossì vistosamente, e tentò di concentrarsi su altre sensazioni, ma il suo profumo non l’aiutò minimamente. Non sapeva cosa potesse essere. Era qualcosa di estremamente dolce e sensuale, probabilmente si trattava dell’essenza di un qualche fiore.

Gli sembrava trascorsa un’eternità da quando aveva afferrato la ragazza, eppure, allo stesso tempo, gli sembrava che tutto ciò durasse da troppo poco. In ogni caso, pensò fosse giunto il momento di rompere l’incanto, per quanto gli dispiacesse.

«Ti sei fatta male?» chiese, senza avere la minima intenzione di staccarsi da lei.

«No, sto bene.» rispose lei, un po’ dispiaciuta di dover rompere quel piacevole silenzio.

«Bene, allora adesso ti lascio...» fece Gilbert, allentando un po’ la presa.

«No!» brontolò lei, rendendosi però conto di aver parlato con qualche ottava più del solito «Insomma... ti dispiace se restiamo così ancora un pochino?»

Sophie non aveva idea da dove avesse tirato fuori tutta quella audacia, ma credette che tanto Gilbert l’avrebbe mollata a terra, chiedendole se si fosse ammattita tutt’a un tratto.

Invece, la risposta del Nightray lasciò di stucco entrambi.

«D’accordo, tutto il tempo che vuoi.»

Sophie non credeva alle sue orecchie.

«Però...» mormorò lei.

«Cosa?»

«Non sono... ehm, come dire... troppo pesante?»

Seguì un piccolo silenzio, poi la risposta.

«No, sebbene a prima vista sembri più pesante di quanto non sei in realtà.»

«Che hai detto?» fece Sophie indignata e decidendosi a staccarsi da lui per guardarlo in viso «Vuoi forse insinuare che sembro grassa?»

«Mai detto questo!» si difese Gilbert.

«Basta! Voglio scendere!» brontolò, maledicendo la goffaggine del ragazzo, che era riuscito a rovinare un momento bellissimo.

«Ma che ho detto?» chiese confuso lui, poggiando a terra la ragazza e domandandosi dove avesse sbagliato.

Eppure era convinto di averle fatto un complimento!

Era per questo che non sopportava le donne: non sapeva mai cosa dire e, quando apriva bocca, combinava sempre qualche guaio.

«C’è che dovresti scegliere con più cura le parole, imbranato!»

Sophie voleva sparire così, con aria stizzita e offesa, mentre a grandi passi si avvicinava alla siepe. Peccato che, sebbene durante le missioni fosse molto agile, nella vita privata si dimostrava essere estremamente goffa ed impacciata. Non a caso, non riuscì a mettere un piede davanti all’altro che s’inciampò in un laccio slacciato delle sue eleganti scarpette. Il risultato, quindi, fu un inaspettato volo al suolo, oltre che una sonora risata di Gilbert.

Oltre al danno la beffa, come si suol dire.

«NON RIDERE!» trillò la ragazza, mentre roteò su se stessa per mettersi pancia all’aria.

«Sei l’unico essere umano che conosca che quando è arrabbiato cade e subito dopo s’inciampa!»

«Che razza di risposta è? Aiutami ad alzarmi, piuttosto.»

Presto detto, Gilbert le porse la mano e Sophie l’afferrò con decisione, anche troppa, come si accorse successivamente il Nightray.

Volutamente, infatti, la fanciulla diede uno strattone al ragazzo che, non essendo bene ancorato al suolo, finì per ritrovarsi col muso a terra.

«Ops, scusa! Non pensavo fossi così deboluccio!» lo schernì Sophie, ridacchiando soddisfatta del risultato ottenuto.

«L’hai fatto apposta?» sebbene fosse una domanda, suonava molto più come un’esclamazione.

«Chi? Io? Ti sembra che IO possa fare una cosa del genere? Per chi mi hai preso, per una bambina di otto anni?» rispose divertita la ragazza.

«Ah, sì?» fece con un ghigno Gilbert, deciso a vendicarsi «In tal caso...» non finì la frase, che subito agì.

Prima afferrò Sophie per le spalle e la costrinse a sdraiarsi a terra supina, poi le andò sopra e la immobilizzò sedendosi su di lei.

«Vediamo se adesso riesci a liberarti!»

La ragazza accettò la sfida e fece di tutto per scansarselo di dosso; tentò quasi subito di fargli il solletico, ma la cosa degenerò ed anche Gilbert fu costretto a rispondere al gioco con il gioco. Sebbene possa sembrare assurdo, data la loro età, si stavano in realtà divertendo un mondo. Dopo un po’, però, il ragazzo si stancò e, dato che non riusciva a fermare “l’assalto nemico” in alcun modo, optò per un cambiamento di tattica. Afferrò le braccia della ragazza e la immobilizzò quasi del tutto.

«Bene!» fece trionfante «Sei deboluccia anche tu, vedo! Ti arrendi?»

‘Col cavolo!’ rispose mentalmente la fanciulla. Non si sarebbe data vinta così facilmente. Tentò di liberarsi, ma non poteva nulla contro la forza schiacciante dell’avversario. Si maledì nuovamente per la sua debolezza: era in situazioni come quelle che invidiava il genere maschile.

Tutt’a un tratto le balenò in mente un’idea e, senza pensarci troppo, decise di attuarla. Il viso di Gilbert era a pochi centimetri dal suo, perciò le bastò sporgersi leggermente col collo per raggiungere le labbra del ragazzo e rubargli un fugace bacio.

Tanto bastò: il Nightray, sorpreso, allentò la presa e Sophie ne approfittò per spingerlo via e ribaltare la situazione. Adesso era lei sopra di lui e gli bloccava ogni via di fuga.

«Ah, ah! Fregato, adesso chi è quello deboluccio?»

Gilbert non smise di osservarla con i grandi occhi dorati spalancati per lo stupore e, dopo poco, il suo volto si tinse pure di un genuino rossore.  Solo allora Sophie si rese realmente conto di quello che aveva appena fatto.

«Ah! Scusami, scusami, SCUSAMI!» gridò lei, portandosi le mani in volto e sentendosi avvampare.

Ma che le era saltato in mente? Aveva appena fatto l’ultima cosa al mondo che avrebbe mai dovuto fare! Era ciò che voleva fare da anni ormai, e proprio per questo era sbagliatissimo! Oh, che confusione che aveva in testa!

Ci volle solo un attimo per far svanire ogni sua preoccupazione; un solo gesto, tanto rapido quanto inaspettato.

Gilbert, ripresosi dall’attimo di smarrimento, si sedette e spostò le mani di Sophie che celavano il suo dolce viso. La ragazza non ebbe il tempo di dire o fare nulla, poiché le labbra del Nightray si posarono nuovamente sulle sue.

Ma stavolta fu tutta un’altra cosa.

Il primo bacio era stato fuggevole ed innocente, mentre adesso era decisamente più sicuro e passionale. Gilbert, quasi subito, cinse la vita della ragazza in un abbraccio e lei, in risposta, si strinse ancora di più al ragazzo, serrando i pugni sulla candida camicia del Nightray ogni volta che la sua lingua giocherellava con maggiore passione con quella dell’altro. Continuarono così per alcuni minuti, staccandosi ogni tanto per riprendere un po’ di fiato.

Sophie dentro di sé pregava che il tempo si potesse fermare in quel momento, perché, una volta terminato quel dolce bacio, era certa che tutto sarebbe cambiato. Purtroppo, per quanto possiamo scongiurare le divinità, alcune cose non ci verranno mai date e, infatti, anche quell’istante terminò troppo presto.

Non appena i giovani si staccarono, oro ed indaco s’incontrarono in un lungo sguardo. Nessuno aveva idea di cosa dire, ma il corpo di Sophie, invece, era certo di non voler restare in quel luogo un solo momento di più.  Le gambe della ragazza la fecero infatti alzare e la condussero di corsa verso la siepe, mentre le sue labbra ebbero appena il tempo di sussurrare un fugace: «Devo andare».

Credeva, anzi, sperava che Gilbert non aggiungesse altro, ma così non fu.

«Posso riverti domani?»

Gli arti inferiori di Sophie, che ormai sembravano avere una propria volontà, s’arrestarono a pochi metri dall’uscita.

«Sì.» disse dopo un attimo di riflessione, poi attraversò il verde passaggio, che pareva conducesse in una dimensione misteriosa ed arcana, e sparì.

 

Senza nemmeno accorgersene, Gilbert era tornato al cancello d’ingresso di Lutwidge e per di più aveva stampato sul volto un sorrisetto che non riusciva a togliersi di dosso. Dopo l’accaduto, si ricordava solo di aver conversato brevemente con Ada e di averla salutata distrattamente.

Ancora non riusciva a credere a quello che era appena accaduto. Si sentiva euforico e al tempo stesso preoccupato. Non aveva idea di ciò che sarebbe successo tra di lui e Sophie, però era sicuro di una cosa. Mise la mano nella tasca destra e vi estrasse un pacchettino con un elegante fiocchetto viola, il colore preferito della fanciulla, a detta della venditrice.

Con tutta la confusione che c’era stata, non era riuscito a darglielo.

«È un regalo per Sophie, quello?»

Per poco non gli sfuggì di mano il pacchettino.

Zio Oscar era spuntato da un’apertura segreta del muro e aveva sorpreso il ragazzo, troppo perso nei suoi pensieri.

«Sì, è un fermaglio.» ammise, dopo essersi ripreso dal mezzo infarto.

«E non glielo dai?» chiese con voce maliziosa il biondo.

«No.» rispose tranquillo Gilbert, rimettendo al sicuro il presente.

«No? E perché?»

«Non è ancora il momento giusto.» notando lo sguardo confuso di Oscar, il Nightray decise di spiegarsi meglio «C’è un momento giusto per ogni cosa. Questo è un regalo speciale e, sebbene non veda l’ora di donarglielo, sento che questo non è né il luogo né il momento adatto. Voglio che Sophie si ricordi per sempre del giorno in cui le donerò il fermaglio, per questo non posso darglielo in un momento qualunque: perderebbe tutta la sua importanza. Se, invece, attendo con pazienza e senza fretta, di sicuro mi si presenterà l’occasione perfetta. Solo allora sarà giusto. Beh, mi rendo conto che è assurdo, però...»

«Non è assurdo.» gli rispose gentilmente Oscar, accompagnando le parole con una leggera pacca sulla spalla del giovane «Hai detto una cosa verissima. Sono certo che non dovrai attendere a lungo e, chissà, magari sarà la volta buona che riuscirai a dichiararti come si deve!»

«Già... ehi! Un momento!» fece Gilbert, voltandosi a fissare gli occhi color smeraldo di Oscar «Come fai a sapere che la ragazza si chiama Sophie?»

Il Vessalius si limitò a ridacchiare sotto i baffi.

«Cosa significa quella faccia?»

Ora sì che Gilbert era preoccupato.

«Nulla, nulla. È solo che... come metterla giù in modo gentile e pacato? Ah, sì! Dopo lunghi minuti d’attesa ho scovato un passaggio segreto che mi ha condotto in un luogo praticamente mai frequentato.»

«E dove?» nonostante l’avesse chiesto, il ragazzo nel profondo preferiva non saperlo.

«Dà proprio su un giardino segreto, dove agli alunni è vietato accedere e dove si trova un magnifico albero di pesco in fiore.»

«Da... da quanto era lì?»

«Gilbert, mi meraviglio di te! Non penserai davvero che abbia assistito di nascosto all’intera scenetta? Perché sappi che avresti assolutamente ragione.»

«CI HAI SPIATO?!»

«Detta così sembra una cosa brutta e meschina. Diciamo che ho voluto assicurarmi che tu non commettessi sciocchezze, ma alla fine è andato benone. Mi ha sorpreso la tua audacia, complimenti! Adesso, dicci però, come bacia la fanciulla?»

«Ma che razza di domande sono?! E poi perché usi il plurale?»

«Oh? Non te ne sei accorto? Eques era nascosto nella tua ombra fin da stamattina.»

Gilbert abbassò lo sguardo a terra.

«Il Chain di Sharon... era con me tutto il tempo?»

«Oh no, Signor Oscar! Ha rovinato il nostro piano! Io e Break volevamo prendere in giro Gilbert-sama alle sue spalle, per qualche giorno.» si lamentò la voce di Sharon.

«Break, ci sei anche tu?!»

«Sorpresa! Non te lo aspettavi questo, neh, Gil-kun?»

«Sperava di fare il Don Giovanni senza che nessuno lo scoprisse!» anche Emily era presente.

«Gilbert-sama! Spero che si prenda le sue responsabilità per il gesto che ha compiuto.» lo ammonì la nobile.

«Ma che problema avete tutti quanti?! Una persona non può più muoversi senza che sia pedinata da mezza città?!»

«Dai, Gilbert, non te la prendere. Su! Torniamo a casa e discutiamone con calma!» propose lo zio Oscar con uno sguardo che non prometteva nulla di buono.

«Sì, ottima idea, a dopo! Noi intanto informiamo Oz-kun dell’accaduto!» li salutarono due voci dall’interno dell’ombra del Nightray.

«No! Mi rifiuto!» protestò inutilmente il moro, mentre veniva spinto dentro la carrozza senza pietà.

 

Nel frattempo, una candida figura si librava tra le poche nubi che ricoprivano il cielo di fine estate. Un grazioso cigno si posò a terra, a pochi passi dalla figura che se ne stava poggiata sulla ringhiera del balcone e che osservava Gilbert mentre saliva sulla carrozza. Non staccò lo sguardo dal mezzo di trasporto fino a quando non svanì all’orizzonte. Solo allora si voltò ad osservare distrattamente l’animale.

«Hai fatto buon viaggio, Swan?» le chiese gentilmente la fanciulla.

Il volatile inclinò la testa e la padrona, ormai abituata a conversare in tal modo con lui, scosse il capo.

«Temo che dovrò rivederlo prima del previsto, allora. Scusa Gil, ma quando ciò avverrà sarà per lavoro. Spero solo che non capiti nulla che ti possa turbare.»

La ragazza puntò gli occhi color del mare verso il luogo in cui la carrozza era sparita, quasi come se credesse che, in tal modo, potesse ricomparire magicamente. Si toccò distrattamente le labbra con le dita della mano e sospirò.

«Pare che una diciannovenne dalla doppia vita non possa concedersi nemmeno cinque minuti per crogiolarsi nelle sue fantasticherie amorose.» mormorò mestamente tra sé e sé.

Una leggera brezza, più fredda del solito, le mosse i lunghi capelli neri come la notte.

«Coraggio.» disse rivolgendosi al suo Chain «Rivelami tutto quello che hai scoperto finora e non omettere un solo dettaglio.»

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

Ce l’abbiamo quasi fatta! Questo è il penultimo capitolo, wow! ^^

Devo ammettere che questo è stato il capitolo più impegnativo di tutti, ma anche il più piacevole. Insomma, finalmente quei due si sono decisi a darsi una mossa! (parlo come se non fossi io a manovrare i fili del loro destino XD)

Non avete idea dell’imbarazzo che ho provato mentre descrivevo la scena del bacio, volevo sprofondare nell’Abisso! O///O

Però ho stretto i denti, perché, dannazione, quando ci vuole, ci vuole!

E poi, insomma, dovrò pur decidermi a crescere: si può arrossire così mentre si scrive? Solo io; lo so, sono un caso disperato: perdonatemi.

Le ultime righe lasciano tutto un po’ in sospeso, ma è giusto così. Ci sono ancora mooolte cose da dire, perciò perché fare tutto di fretta? Nel frattempo sono curiosa di vedere se la storia avrà un minimo di successo e poi, se riceverò 1000 visite, andrò avanti. Scherzo! XP Potrà anche essere letta solo da 2 sole persone, ma io continuerò imperterrita nella mia impresa!

Oramai mi sono affezionata a Sophie e non vedo l’ora di narrare le sue prossime avventure e disavventure. Eh, sì, le mie seguenti fanfic saranno più serie (alle volte), ma devo ancora decidere come impostare il tutto. L’ho detto e lo ripeto: troppe cose da dire! Ma ce la farò, non temete. Chiedo solo un minimo di comprensione e pazienza per coloro che aspetteranno con impazienza i prossimi capitoli: sono piena di verifiche e interrogazioni e poi, tra le altre cose, dovrei anche buttare giù la mia tesina. Non è che qualcuno ha un qualche Chain che può aiutarmi? Mi basta solo che fermi il tempo per qualche giorno, dai, non chiedo molto! XD

Ora basta divagare, vi lascio all’ultimo capitolo, buona lettura!

 

Moni =)

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Capitolo 6
*** Conclusion - O Romeo, Romeo, Wherefore Art Thou Romeo? ***


CONCLUSION – O ROMEO, ROMEO, WHEREFORE ART THOU ROMEO?

 

Secondo un mito greco, in principio i corvi erano bianchi e candidi come la luce.

Un giorno, però, uno di loro scoprì un segreto riguardante Coronide, l’amante del dio del sole e della poesia, Apollo; ella, infatti, aveva intenzione di sposarsi in segreto con un mortale, tradendo così il dio.

La divinità, tuttavia, non credette al racconto del corvo e, anzi, decise di punirlo severamente, tramutando le sue splendide piume da bianche a nere come l’oscurità.

Non passò molto tempo, però, che Apollo si rese conto del suo errore e, per rimediare, decise di nominare il corvo messaggero degli dei e, non solo, gli concesse anche il dono di prevedere la morte delle persone.

Per questo il corvo è un animale mal visto e simbolo di disgrazia, ma non è comunque da condannare per questo. Noi temiamo le sue piume scure, ma ammiriamo quelle candide del cigno.

Luce e ombra, vita e morte: due facce della stessa medaglia.

Ma cosa succede se si prova a congiungere questi due opposti?

Se il fato decidesse di far incontrare questi due elementi, quale sarebbe il loro destino?

Due animali, entrambi dotati di ali, le une nere come la tetra notte e le altre bianche come la fredda neve, così simili e diversi al tempo stesso, potranno mai unirsi?

La storia di Romeo e Giulietta ci insegna che l’amore contrastato dall’odio è destinato a finire in tragedia, ma è davvero così?

Se non ci battiamo per quello in cui crediamo, come facciamo ad essere certi che la lotta sia persa già in partenza?

Questi due amanti librano le ali nel cielo che si tinge d’inverno e si cercano.

Si cercano e combattono per il loro amore.

Ahimè, perché l'amore, di aspetto così gentile è poi, alla prova, così aspro e tiranno?*

Ora basta indugiare, l’orchestra ha iniziato a suonare il valzer del destino e la Morte balla insieme ad Amore ed ai due amanti bendati.

Chi chiederà l’onore per la prossima danza al Cigno?

Nemmeno agli dei è concesso sapere certe cose.

Il ballo è iniziato, non rimane che danzare.

 

*citazione di “Romeo e Giulietta” di William Shakespeare. NdA

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

Siamo giunti all’ultimo angoletto dedicato al mio commento.

Nella “Conclusion” non ho potuto non citare due generi che mi hanno da sempre accompagnato: le leggende e miti greci (che conosco fin dalla tenera età) e le tragedie di Shakespeare (che ho imparato ad apprezzare in questi anni). So bene che la storia di Romeo e Giulietta può apparire banale e scontata, ma a mio avviso non esiste nulla di più romantico e poetico del loro amore.

Quest’ultima parte l’ho impostata più sul tragico perché, in futuro, Sophie si troverà in situazioni poco piacevoli che metteranno in serio pericolo la sua relazione con Gilbert, ma non temete: i momenti romantici non mancheranno di certo, anzi. Un po’ mi dispiace sapere che in futuro farò soffrire Sophie, ma, d’altronde, se un autore non riesce a creare situazioni di suspense e in cui i protagonisti sono combattuti da profondi conflitti interiori, non riuscirà mai a coinvolgere il lettore.

Più avanti vorrei parlare anche di Break e del suo passato, spero di farlo presto, perché di certo sarà una delle mie parti favorite.

Con questo ho concluso, grazie mille per l’attenzione e, mi raccomando, lasciate un commento, anche piccino picciò. A me fa piacere e mi aiuta a comprendere meglio i vostri gusti e, di conseguenza, a migliorarmi.

Un abbraccio a tutti! <3

 

Moni =)

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