Hello world. I'm a normal girl. di Rainie (/viewuser.php?uid=109701)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Capitolo
1
Di
recente avevo accettato un lavoro per un salario nullo.
Sono
una ragazza normale di sedici anni delle scuole superiori, con una
media dei
voti normale, una vita normale e degli amici normali (anche se su
quest’ultimo
punto c’è un po’ bisogno di discutere).
Tutti
quelli che conosco mi avevano sempre detto che ero la
“reincarnazione” della
pioggia, sebbene abbia sempre saputo di appartenere al sole dai tiepidi
raggi
che scalda l’inverno di questa città abbandonata
dal mondo.
Facevo
sempre la stessa strada per andare a scuola, studiavo sempre le stesse
materie
e uscivo sempre con le stesse persone. La mia vita aveva un senso
unico, anche
se non me ne accorgevo. Sarei diventata una donna normale, con un
lavoro
normale ed una famiglia normale, proprio come la vita durante
l’adolescenza.
Non mi importava di quali aspettative nutrivano i miei genitori, le
avrei
soddisfatte tutte. Erano gli altri a decidere per me, ma non
m’importava più di
tanto.
La
mia
gemella, invece, era più esplosiva di me, così
esuberante che era impossibile
fermarla. Se aveva un obiettivo in testa, l’avrebbe raggiunto
sicuramente.
Forse è solo in questo quello in cui siamo uguali. Ero
anch’io una gran
testarda, ma per il resto eravamo diverse, forse anche troppo per
essere gemelle:
Fine possedeva il carattere e l’aspetto di mia madre, aveva i
capelli e gli
occhi di un delizioso color rubino; io, invece, ero troppo simile a mio
padre,
ero il colore blu del cielo. Eravamo lo yin e lo yang, il Nord e il
Sud, il
giorno e la notte, l’acqua e il fuoco.
Mio
padre era tranquillo, disponibile ed abbastanza allegro,
così come lo ero pure
io: forse era per questo che avevo accettato quel lavoro.
A
causa
di una serie di eventi, mi ritrovavo a volere che nessun amore
sfiorisse, così
ero diventata tipo Cupido, che, invece di far scattare
l’amore, lo preservava.
Qualche volta alcune delle mie compagne mi chiesero consigli, sebbene
non fossi
stata la persona giusta a cui fare certe domande, che alla fine si
erano
rivelati più efficaci di quanto pensassi. In questo modo si
diffuse la voce sul
mio “superpotere”, così per dire. Non
sapevo se stessi facendo la cosa giusta e
spesso me lo chiedevo, in preda ad attacchi di
responsabilità improvvisa.
Ma
mia
sorella mi ammirava.
In
casa, ero sempre stata quella “grande”, quella a
cui fare affidamento. Fine era
sempre stata la piccola, ed io dovevo prendermi cura di lei. Ma quella
relazione era comunque vera, dato che ero nata prima io.
Con
quale coraggio avrei potuto, io, la sorella maggiore, infrangere quella
fiducia
che lei riponeva in me?
Ed
anche
tutti gli altri non avevano mai dubitato, nemmeno per un momento, della
mia
affidabilità. Altezza, Lione, Mirlo, Auler, Sophie, Bright,
Tio. Erano tutti
così sicuri di me, che solo un passo falso ed avrei
distrutto tutto il loro
castello di carta che avevano costruito per me.
Insomma,
non proprio tutti.
Fine
aveva un ragazzo di un anno più grande di noi, come lo erano
Mirlo, Bright ed
Auler. Si chiamava Shade, ombra, un
tipo piuttosto taciturno e dal carattere freddo e distaccato. Sorrideva
raramente, era, più che altro, il suo ghigno beffardo che
faceva capolino sulla
sua bocca, facendomi spesso rispondere con un commento sarcastico o un
insulto.
Non eravamo mai andati d’amore e d’accordo; non
avevo mai saputo come fosse
diventato il fidanzato di Fine, data la loro diversità.
Forse, semplicemente,
erano due poli opposti che si sono attratti.
Diceva
spesso che non aveva bisogno di me, che ero inaffidabile
– anche se questa cosa mi faceva sentire più che
sollevata, era una persona in
meno che mi dava la possibilità di ferirla. Era, invece, mia
sorella che spesso
mi chiedeva di aiutarla, perché non sapeva cosa doveva fare
con lui. Ed io,
sospirando, cercavo sempre di darle dei consigli.
Era
così la mia vita: piatta, senza un minimo di cambiamento, ma
mi andava bene
così. Era la normalità.
Era
questo quello a cui pensavo mentre ascoltavo distrattamente il discorso
del
preside alla cerimonia di apertura del secondo trimestre.
L’autunno era sceso
giù all’improvviso, piovendo, senza nemmeno darmi
il tempo di prepararmi per
bene. L’estate era volata, ed era cominciata nuovamente la
scuola.
«Che
noia che è stata!» si lamentò Fine,
mentre uscivamo dall’aula magna. Era di
sicuro così che si sentivano tutti gli altri studenti, data
la quantità
industriale di sospiri che avevo sentito durante quella riunione. Alzai
un
sopracciglio e mi voltai a guardarla, per poi dirle: «Santo
cielo, prega che
nessuno ti abbia sentito».
Era
vero che pure io mi ero annoiata da morire, ma di certo noi studenti
non
potevamo dire certe cose. «Uff, ma è stato davvero
così… non riesco a trovare
un’altra parola che non sia
“noioso”» borbottò la mia
gemella, sbuffando
sonoramente.
“Come
potrei non darti ragione?” pensai, sospirando pure io.
La
città in cui vivevamo, Wonder, non era poi così
grande. Il clima era piuttosto
mite, anche se d’inverno faceva un freddo che non ne si
poteva. Io e Fine non
eravamo nate lì, ma c’eravamo trasferite al terzo
anno delle medie. C’erano
poche scuole nella città, ragion per cui abbiamo conosciuto
gran parte dei
nostri compagni del liceo alle medie.
Ed
erano
3 anni che ero compagna di classe di Altezza, 3 anni in cui mi chiedevo
come
diamine avevo fatto a sopportarla. Lei e le sue manie spesso mi
facevano
letteralmente impazzire, ma sapevo bene che sarebbe stato impossibile
vivere di
nuovo senza la sua presenza nella mia vita. E quel giorno, come al
solito, mi
si era avvicinata di soppiatto strappando a me e mia sorella
– soprattutto a
mia sorella – uno strillo di spavento. «Non ci
provare mai più» le sibilai,
guardandola malissimo. Ero sicura che tutti ci stavano fissando
straniti, e
sperai di sgattaiolare al più presto possibile nella mia
classe. Altezza mi
diede un’occhiata neutra e fece le spallucce, dicendomi:
«Impossibile, è troppo
divertente».
«Oddiotipregononfarlopiù»
piagnucolò Fine, in preda ad una crisi isterica. La mia
compagna bionda la
guardò maligna, ma poi si rivolse di nuovo a me,
chiedendomi: «A proposito, hai
visto per caso mio fratello? Stamattina mi ha preceduta ed adesso non
lo trovo
più da nessuna parte».
«Oh,
fantastico» borbottai. Un altro problema da risolvere.
Altezza non poteva
vivere senza la figura portante del fratello; il loro rapporto era
molto simile
a quello mio e di Fine. Era per questo che consideravo Altezza come una
sorella
in più a cui badare (?).
«Mi
stavate cercando?» chiese la voce del biondo fratello di
Altezza, facendomi
sussultare dalla sorpresa e dallo spavento. “Come non
detto” pensai, mentre la
sorella gli chiedeva dove fosse finito. Bright era con Shade, come al
solito, e
vidi Fine accendersi come una lampadina e fare un gran sorriso, mentre
si
avvicinava a lui e lo salutava.
Sospirai,
era così tranquilla quella giornata che sperai, per un
momento, fosse un po’
più movimentata. Forse era per il fatto che tutti avevano
qualcuno a cui volere
un bene dell’anima, e solo io avevo una vita così
tranquilla e senza alcunché a
cui pensare.
Quel
giorno, dopo essere tornata da scuola e aver pranzato, mi addormentai
– anche
se non ero poi così stanca – fissando le gru di
carta che avevo appeso al
soffitto della mia stanza, alla porta e alla finestra.
Amavo
gli origami sin da piccola. Adoravo vedere i flaconcini nei negozi
pieni di
stelle colorate e vetrine allestite da fili di boccioli di fiori. Avevo
cominciato solo per curiosità a piegare i fogli colorati,
poi è diventata una
passione. Oramai, la mia stanza era piena di origami.
Quando
mi svegliai, quegli uccelli volteggiavano ancora nell’aria
grazie al venticello
autunnale che penetrava nella mia stanza, impregnandola di un forte
odore di
pioggia. Ricordavo che erano circa 467 gru, avevo smesso di piegarle
dopo… beh,
dopo quello che era successo e da quando avevo cominciato a fare quella
specie
di “lavoro”.
Ogni
volta che ci pensavo mi venivano le lacrime agli occhi, ma era ormai
passato. E
io ignoravo il passato, giusto? Eppure non riuscivo a non pensarci,
quando
fissavo quegli origami che sembravano volare come uccelli reali.
Mi
misi
a sedere e scossi la testa, dopodiché mi voltai verso la
sveglia per vedere che
ore erano. Le 16.13. Avevo dormito un sacco, e dovevo ancora finire i
compiti
delle vacanze. Per cui mi alzai, mio malgrado, dal letto e frugai nella
borsa
in cerca del quaderno che, purtroppo, non riuscii a trovare.
«Oh,
possibile che capiti tutto a me?» borbottai stizzita, mentre
ricordavo che
l’avevo lasciato sotto il banco mentre tiravo fuori le mie
cose.
Non
avevo alcuna voglia di ritornare a scuola, soprattutto per il fatto che
era
lontana da casa mia e ci mettevo circa una ventina di minuti per
andarci, ma
non potevo fare altrimenti, i professori mi avrebbero scannata viva. E
poi
pioveva, non amavo così tanto la pioggia, a dir la
verità. Mi metteva
tristezza.
Decisi,
comunque, di prendere l’ombrello ed uscire, avvertendo Fine,
che si offrì di
accompagnarmi. «No, non c’è bisogno.
Sbaglio o pure tu devi finire i compiti?»
risposi ammonitrice. Lei sembrò di ricordarsi qualcosa e mi
disse: «Già che ci
sei, mi vai a recuperare anche la sciarpa? L’ho dimenticata
in classe.»
Per
tutta la durata del tragitto in treno, continuai a fissare fuori dal
finestrino, sperando che la pioggia si fermi in qualche modo. Erano
ormai
giorni che cadeva ininterrottamente, ed io non potevo fare altro che
restare a
guardare. Non che avessi potuto fare chissà cosa, ma speravo
che la pioggia
smettesse di cadere e lasciasse il posto al sole.
Quando
giunsi a scuola notai che il cancello, fortunatamente, era ancora
aperto.
M’incamminai
nei corridoi, che avevano ancora la luce accesa, in cerca della rampa
di scale
che portavano al secondo piano, dove c’erano le classi del
secondo anno.
La
scuola era divisa in tre piani, ognuno dei quali ospitava una fascia
d’anno. Al
primo piano c’erano le classi del primo anno, la segreteria,
l’ufficio del
preside e le palestre; al secondo le classi del secondo anno e vari
laboratori;
infine al terzo c’erano quelle del terzo anno, la biblioteca,
l’aula magna e il
laboratorio artistico. L’ordine delle classi era alfabetico,
quindi la prima
classe che ti trovavi era la A, seguita poi dalla B e via dicendo, fino
alla H.
Entrai
nella mia classe e sperai di ritrovare il quaderno ancora sotto il
banco. Tirai
un sospiro di sollievo nel sapere che era ancora a posto. Non avevo
alcuna
voglia di restare ancora nell’edificio scolastico sebbene
fuori piovesse, così
decisi di trovare in fretta la sciarpa di Fine e di andarmene.
Uscii
dalla
porta della mia classe e mi diressi verso quella di mia sorella, che
era a due
classi di distanza dalla mia. Io frequentavo il corso B insieme ad
Altezza, lei
il corso E con Sophie, mentre Lione era l’unica che
frequentava il corso F del
secondo anno.
Avevo
l’abitudine
di sbirciare nelle altre classi quando passeggiavo nei corridoi della
scuola, e
quella volta non feci eccezione. Era per quello che avevo sbagliato?
No, perché
nella sezione C vidi qualcuno di cui non avrei mai dubitato (?), beh,
baciare
una tizia che non avevo mai visto in vita mia. Era una visione
orripilante e
sorprendente allo stesso tempo, dato che Shade
era il ragazzo della mia gemella.
Alzai
un sopracciglio nel fissarli sbalordita, e lui si accorse della mia
presenza. Era
forse stato il mio cuore che stava battendo così forte a far
sì che Shade si
accorgesse di me e della mia sorpresa? Quel ragazzo fu così
arrogante da farmi
il segno di andarmene, ed io, indignata, mi continuai a camminare
dritto,
seppur avevo stampato in mente quella scena.
La
domanda sorgeva spontanea: avrei dovuto dirlo a mia sorella,
così dolce ed
innocente?
Quando
entrai nella sezione E mi accorsi che stringevo così forte
la giacca dell’uniforme
– non me l’ero tolta quando sono ritornata a casa
– che la sgualcii, mentre il
quaderno era, più o meno, nelle stesse condizioni. Cercai di
sistemarmi al
meglio e di togliermi di mente quell’immagine disgustosa, ed
ecco che Shade
faceva la sua comparsa dietro di me dicendomi, ad un centimetro
dall’orecchio: «Mi
hai scoperto, allora.»
Sussultai
dallo spavento, voltandomi di scatto ed indietreggiando di qualche
passo. Aveva
un ghigno beffardo stampato sulla faccia che non riuscii ad
interpretare al
meglio. «Non dovresti fare queste cose» sussurrai
in preda al panico, cosa che
non mi succedeva spesso. «Sei il fidanzato di mia
sorella» sentenziai, cercando
di aggrapparmi all’affermazione. Mi sembrò che il
tempo accelerasse, anche se
ogni parola che mi ritrovavo a sentire veniva pronunciata con una tale
lentezza
che mi faceva morire di ansia.
«Adesso
che farai?» chiese, e fu in quel momento che capii il
perché di quel sorriso
inquietante: sapeva che ero disposta a tutto pur di non far morire un
amore.
Deglutii
saliva amara, era una bella domanda. Cosa avrei fatto? Cercando tutta
la
sicurezza che avevo in corpo, gli dissi: «Smettila, non
è divertente.»
«E
se
anche fosse?» rispose avvicinandosi a me, ed io indietreggiai
di conseguenza. No,
non dovevo farmi mettere in soggezione da un tipo come lui.
«Fine non ti basta?»
chiesi cercando di stare sulla difensiva, ma ebbi la sensazione di star
trattando mia sorella con sufficienza.
«Diciamo
che ho altre cose in mente» rispose fissandomi negli occhi
senza alcun segno di
allusioni strane, ed io alzai automaticamente un sopracciglio. Non gli
dissi
niente e me ne restai lì senza proferir parola. Dovevo fare
– dire – almeno
qualcosa di giusto in quella conversazione, ma non riuscii a pensare a
niente
di sensato ed abbastanza intelligente. Forse era per quella specie di
shock
subito nel vedere il ragazzo di mia sorella stare con
un’altra, e mi venne la
nausea solo pensandoci.
«Tu
vuoi che io resti con Fine, giusto?» chiese poi,
all’improvviso. Annui, poco
convinta e diffidente, alla sua domanda, e lui parve sospirare.
«Facciamo così»
sentenziò, «se mi trovi almeno cinque ragioni per
continuare a stare con tua
sorella, allora mollo tutto e continuo la storia. Se non riesci,
beh… direi che
è ora di finirla. Che ne dici?»
«Allora
era a questo quello che stavi puntando sin
dall’inizio?» chiesi con una punta
di disgusto. Non avevo ancora bene in mente quali fossero i suoi
obiettivi. Lui
sorrise e mi disse, ignorando bellamente la mia domanda: «Ti
do tre mesi. Allora,
che ne dici? Accetta, se ne sei in grado, Rein.»
Rabbrividii per il modo in cui mi aveva chiamato.
«Tre
mesi sono più che sufficienti» risposi, comunque,
d’impulso, ma non mi pentii
di averlo fatto. Lui continuò a ghignare. «Se
entro il… 24 dicembre non
riuscirai nell’impresa, significa che il tuo
“lavoro”, in verità, non è
poi
così adatto a te.»
«Ci
sto.»
«Brava.
Mi piaci quando sei così.»
Mi
dissi che quella conversazione non poteva più andare avanti,
non doveva più andare
avanti. Era già tanto
se mi ero fermata a fare quello stupido patto, sicuramente avrei
peggiorato le
cose se fossi rimasta lì a fissarlo con aria di sfida.
Mi
avviai verso la porta, con il cuore che pulsava dalla rabbia e un
pizzico di
sensazione di fregatura. Infatti, poco prima che uscissi, lui mi
strattonò il
braccio e sentii il calore delle sue labbra sulle mie mandarmi in tilt;
fu solo
un contatto lieve e superficiale, ma lui sorrise come un bambino che
aveva
appena ricevuto il suo giocattolo preferito e mi precedette
nell’uscire dall’aula.
Me
ne
restai lì senza muovere un muscolo per qualche minuto, per
assicurarmi che se
ne andasse lontano da me, prima di uscire anch’io dirigendomi
verso le scale.
Solo
quando
uscii dalla struttura scolastica mi accorsi che non avevo ancora
recuperato la
sciarpa di Fine: fu quello il segno dell’inizio del mio lento
declino.
N/A:
Ohohohohoh.
Signori,
con sommo piacere per me e dispiacere per voi, sono ritornata ancor
più
motivata di prima (perché ho la sensazione di star imitando
un cantastorie del
periodo medievale?)!
Per
la gioia
dei miei lettori (?) e dei miei fan (??), una long fiction sulla
BlueMoon tutta
per voi, da gustare quando avete (avrete?) tempo!
Ok,
sicuramente non sarò il massimo della puntualità
– in contemporanea ho ancora due
long D: – anche questa volta, ma farò del mio
meglio. Però non so già più come
continuarla D: E poi questo è il titolo più
stupido che abbia mai inventato, spero di trovarne al più
presto uno più intelligente. AAAARGH, sono troppo poco
organizzata. Inoltre Rein in versione ragazza super normale mi da la
sensazione di un OOC di proporzioni
gigantesche e Shade troppo poco serio. In verità, non ce lo
vedo molto così D:
Uhm,
niente di che, come al solito.
Boh,
spero aspetterete con pazienza (?) il prossimo capitolo che
arriverà…
nonsoquando, mi dispiace.
Alla
prossima. Spero.
Noth aka Rainy. Ho cambiato nick! :D
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Capitolo
2
Per
la
seconda volta in quel giorno, ero stesa sul letto a fissare un punto
vuoto del
soffitto, da cui pendevano le gru di carta.
Era
inutile continuare a fare i compiti, tant’è che li
mandai al diavolo
all’ennesima volta che cercai di concentrarmi, senza alcun
risultato.
Mi
sarei dovuta sentire in colpa. Ho baciato il fidanzato di mia sorella,
anche se
non lo volevo affatto.
Ho.
Baciato. Shade.
E
questa non era una buona cosa.
“‘Baciare’
non è il verbo giusto”, pensai mettendomi su un
fianco e raggomitolandomi,
“semmai potrebbe essere ‘sfiorare con le
labbra’, o qualcosa del genere.” Ma
sapevo comunque che la sostanza era sempre la stessa, da qualsiasi
punto di
vista lo guardi. Anche un neonato lo capirebbe.
Ma
la
domanda era: avrei dovuto dire a Fine quello che avevo visto?
Avevo,
sì, recuperato e reso la sciarpa a mia sorella, ma in quel
momento la mia
priorità principale era ritornarmene in camera e fare i
compiti, quindi non
badai tanto a come mi comportai con lei. Non ci avevo pensato affatto.
Avrei
dovuto mentire alla mia gemella, a colei a cui non ho mai celato alcun
segreto
sin dalla nascita. Era la cosa giusta? Però, era per il suo
bene. Avrei dovuto
farlo?
Improvvisamente,
mi ritrovai a pensare a Shade. In quel momento, ero presa
dall’irritazione e
avevo accettato quella proposta all’istante, pensando a come
si sarebbe sentita
Fine se avesse saputo che il suo ragazzo la tradiva.
Eppure mi sentivo che c’era qualcosa che mi sfuggiva di mano,
ma non riuscivo a
riempire il vuoto che mi si era creato in testa.
Vuoto.
Non
avevo pensato ai sentimenti di Shade, che erano la cosa più
ovvia a cui pensare
in quel momento. Era, sì, vero che Fine aveva, in qualche
modo, una certa
priorità, ma se fosse proprio Shade a non voler stare
più con lei perché non
sentiva più niente? Avrei perso all’istante la
scommessa.
No,
non
dovevo essere compassionevole con un individuo del genere.
Mi
misi
di nuovo supina nel mio letto con le lenzuola color blu notte.
«Cosa dovrei
fare?» sussurrai, più agli uccelli di carta che
avevo appeso nella mia stanza
che a me stessa. Eppure gli origami erano sempre appesi là,
non mi davano alcun
segno, continuando a lievitare nell’aria grazie al filo e
alla brezza autunnale.
Pioveva ancora fuori, ma era un pioggerella lieve, ma sperai con tutto
il mio
cuore che smettesse almeno il giorno dopo.
Mi
sedetti a gambe incrociate nel letto, sospirando. Dov’era
finita la mia
tranquillità? Era stata portata via da Shade (e forse anche
da Fine).
Ma,
in
fondo, cosa ci voleva a trovare cinque motivi per cui lui debba stare
con mia
sorella? Ci pensai per qualche secondo, e sapevo già come
rispondergli. Fui
felice nel constatare che avrei presto riavuto la mia vita normale.
Fine,
in quel momento, bussò ed entrò in camera mia,
dicendomi raggiante: «Rein! Si
cena!»
La
mia
gemella non sarebbe mai cambiata. Era una golosa di
prim’ordine, quando aveva
fame non si riusciva mai a controllare e diventava più goffa
del solito – e
goffa lo ero pure io. E poi, si scioglieva quando assaggiava i
manicaretti di nostra
madre.
In
quel
momento ebbi una gran paura di far trapelare, dal tono della mia voce,
il mio
stato d’animo; sebbene sapevo già come risolvere
l’intera questione, ero ancora
alquanto irrequieta ed insicura.
Sarei
riuscita a mentire perfettamente davanti a mia sorella, così
cara a me? Era
come se stessi tradendo la sua fiducia, e se fosse stato davvero
così mi sarei
sentita troppo male per poter mantenere fede al patto fatto con Shade.
Mi
ripetei “È per il suo bene” per farmi
coraggio, e le dissi: «D’accordo, vengo.
Ma non strillare ogni volta che mangiamo, per favore.» Avevo
sperato che la mia
voce non tremasse e che non desse segni di insicurezza o
quant’altro, ma avevo
mantenuto un perfetto tono neutrale e normale, fui stupita da me stessa. Pensai che se avessi
continuato così, avrei
certamente avuto un ruolo da doppiogiochista nell’FBI o
qualsiasi altra
organizzazione che opera su scala mondiale solo per il fatto che sapevo
mentire. In effetti, avevo spesso detto bugie, ma erano
perlopiù bugie
innocenti. Anche se talvolta non erano così
“innocenti”.
«Ok,
ma
sbrigati, Rein, altrimenti il tuo dolce lo mangio io!»
gridò, prima di sparire
dalla mia visuale e di precipitarsi giù per le scale. Sperai
che non cadesse –
era tanto maldestra – e mi appuntai nella mente di spiegarle
che il dessert
viene mangiato alla fine del pasto, non all’inizio.
Il
giorno dopo ero di pessimo umore; avevo passato la notte in bianco per
colpa
dei miei dubbi esistenziali e quelli di un individuo come Shade,
chiedendomi
“Farò bene? Oppure no?”, mandando,
infine, al diavolo tutto e rigirarmi per ore
ed ore nel letto fino a quando la mia sveglia non ha suonato
– tra l’altro non
avevo nemmeno finito i compiti. Riuscivo perfino a sentire la mia aura
che
intimava a chiunque di lasciarmi in pace alleggiarmi attorno: pessima
cosa.
«Wow,
Rein, oggi hai proprio una bella cera» commentò
Altezza, una volta sedutami al
mio posto. «Non ne parliamo, è meglio»
biascicai, non avevo nemmeno la forza di
rispondere. Volevo solo dormire e basta, riprendendomi tutte quelle ore
di
sonno. L’avrei sicuramente fatta pagare a quel tizio dai
capelli assurdi e
apparentemente (?) indomabili.
Dovevo
farla finita, e subito. Altrimenti avrei distrutto sia me stessa che
Fine.
«Hai
per caso visto Shade, stamattina? Devo dirgli una cosa» dissi
alla mia
compagna, che sembrò pensarci su. «No. Di solito
io e Bright andiamo a casa sua
a chiamarlo, ma oggi non ha risposto nessuno al citofono.»
Sbuffai
sonoramente, avevo bisogno di porre
fine a quella farsa o sarei morta d’ansia. Decisamente.
Durante
tutta l’ora di lezione non feci altro che pensare a come
sarebbe andata, se le
cose si sarebbero sistemate e cose del genere. Ero spesso
sì, una pasticciona,
ma quella volta avrei dovuto non commettere alcun errore. Per il bene
della mia
gemella.
Ero
forse troppo altruista? In fondo, cosa mi obbliga ad aiutare gli altri
in ogni
singolo momento della mia vita? Forse avrei dovuto smettere e pensare
più a me
stessa. In fondo, era per colpa del mio altruismo che mi ero cacciata
in quel
guaio, ero stata troppo impulsiva e poco razionale – anche se
“razionalità” non
è mai stato il mio secondo nome.
Alla
fine della prima ora ero già uno straccio, stato in cui di
solito mi riduco a
fine giornata. Pensare a cose del genere mi fa davvero stancare di me
stessa, quindi
mi ripetei che dovevo fare quel “lavoro” e basta,
che non c’era alcuna ragione
in particolare se non aiutare gli altri a vivere il proprio sogno.
Non
ebbi, però, la forza di uscire dall’aula e
dirigermi verso le classi del terzo
anno, così rimasi sulla soglia della porta della mia classe
a fissare gli
studenti che passavano davanti a me, senza alcuna preoccupazione,
mentre
chiacchieravano fra di loro del più e del meno.
«Fattelo
dire, oggi sei proprio strana» disse Altezza alle mie spalle
ed io, dopo essermi
girata, feci le spallucce. «E allora?»
«E
allora c’è qualcosa che ti turba. Insomma, non che
siano affari miei.» Si
vedeva da un miglio che moriva dalla voglia di sapere a cosa stavo
pensando sin
da prima mattina, e per un istante la guardai storto.
«Altezza. Gli affari
degli altri diventano sempre affari
tuoi, proprio perché non riesci a nascondere la tua
curiosità. Ammettilo.» Lei
schioccò la lingua, dicendomi: «Non è
vero!» quando sapeva benissimo che era la
sacrosanta verità, lei era maledettamente
curiosa. A quel punto intervenne Sophie che comparve
magicamente davanti
a me, spaventandomi a morte. «Buongiornoooo! Che si dice in
giro?»
«Chiedilo
alla signorina “Non parlatemi perché oggi sono
incazzata nera”» rispose
Altezza, guardandomi storto. «Hey! Modera le parole, siamo a
scuola. Fuori
potrai dire tutto quello che vuoi» dissi, ricambiando il suo
sguardo.
«Altezzaaa.
Non essere così irritabile e sorridi di più. O ti
verranno le rughe!» commentò
Sophie, ridendo in modo birichino come al solito e facendo andare su
tutte le
furie la mia compagna di classe. «Sono ancora giovane!
È impossibile che mi
vengano le rughe a 16 anni! Non dire idiozie, perché non ho
mai sentito una
cosa del genere in giro!» ribatté, come sempre,
strillando Altezza. Sapevo
benissimo che stavamo dando spettacolo – lo dimostravano gli
sguardi perplessi
degli studenti in corridoio – ma quella era la mia
normalità.
Ma
ora
che è stata turbata, come avrei fatto?
Il
pranzo non fu granché.
Eravamo
soliti a mangiare tutti – sì, anche i nostri del
terzo anno – insieme sulla
terrazza della scuola; se pioveva, come quel giorno, restavamo nella
classe di
uno di noi.
Sbuffai
nel constatare che non aveva ancora smesso, d’altronde la
pioggia non mi
metteva mai di buon’umore, e lo stesso effetto faceva a Fine.
A Lione e Mirlo,
invece, piaceva molto, perché dicevano che il suo odore e i
ticchettii delle
gocce le facevano rilassare. Altezza si preoccupava solo dei suoi
capelli,
mentre Sophie, Auler e Bright si adattavano. A Shade non faceva
né caldo né
freddo, tant’è che aveva sempre la stessa faccia
annoiata e neutra.
Quel
giorno, però, non si era aggregato a noi.
Gli
imprecavo contro mentalmente, perché volevo mettere fine a
quella storia il più
presto possibile. Non ne potevo più di star sottopressione
per colpa sua, ed
era anche inutile continuare a preoccuparsi, sebbene avessi continuato
a
pensarci per tutta la mattinata.
Parlai
poco o me ne stetti zitta per tutto il tempo in cui pranzammo, e gli
altri mi
guardarono storto vista la mancanza della mia solita
loquacità in quel momento,
poiché chiacchierare era la mia ultima priorità.
Dopo
pranzo presi da parte Bright e gli dissi, con fare furtivo:
«Sai per caso dov’è
finito Shade? Ho bisogno di parlargli.» Lui mi diede uno
sguardo interrogativo,
poi cominciò a fare il pensoso. «Stamattina si
comportava in modo strano»
disse, «continuava a ridacchiare fra sé e
sé – io, personalmente, sapevo
benissimo perché – e quando gli ho chiesto cosa
fosse successo di così
interessante, mi ha detto: “La pioggia da una parte mi sta
portando fortuna”.
Insomma, vedi te.»
Nemmeno
io capii il senso di quella frase, e non avevo alcuna intenzione di
saperlo. Mi
avrebbe provocato altri guai, me lo sentivo. «Ad ogni
modo» continuò, «l’ho
visto dirigersi verso le scale che portano alla terrazza. Probabilmente
è lì,
anche se non so che intenzioni abbia.»
Ringraziai
Bright e mi diressi verso le scale, più correndo che
camminando, finendo di
inciampare un paio di volte. Stavo per realizzare l’obiettivo
di tutta una
mattinata di pensieri poco rilassanti, e non potevo di certo aspettare
ancora. Sperai
con tutto il cuore che Shade fosse sulla terrazza e non
chissà dove, per
potergli sbattere in faccia quel che pensavo all’istante.
Quel
ragazzo
sapeva come farmi esasperare, anche se non se ne rendeva conto.
Quando
finii
di salire, finalmente, l’ultima rampa di scale, sbirciai
fuori dalla porta che
dava sul terrazzo, e non vidi altro che gocce di pioggia che battevano
sul
pavimento piastrellato. Sbuffai delusa, continuando a guardare fuori,
in attesa
di un intervento divino o chissà cosa.
Shade
doveva essere lì,
altrimenti non avrei
saputo che pesci pigliare. Non lo conoscevo così bene da
sapere quali sono i
suoi posti preferiti, se il giardino o l’ufficio del preside
– anche se
dubitavo che fosse uno che finiva spesso nei guai.
No,
noi
due non abbiamo avuto altri rapporti se non di amicizia (?)
poco… amichevole? Insomma,
una cosa del genere, immaginatevelo da soli.
In
ogni
caso, mi spaventò sul serio quando apparve dietro di me e mi
sussurrò all’orecchio
con una voce da farti venire i brividi: «Mi stavi cercando,
Pioggia?»
Era
l’unico
individuo al mondo che sapeva inventarsi soprannomi così
assurdi. Vi ricordate
che vi ho parlato del fatto che mi dicevano che ero la reincarnazione
della
pioggia? Ebbene, era stato Shade il primo ad inventarsi quella storia,
e da
allora, di tanto in tanto, mi chiamava “Pioggia” o
altri nomi che avevano a che
fare con essa. La cosa mi dava alquanto fastidio, non
c’è bisogno di dirvelo,
giusto?
«Dio,
giuro che ti denuncio la prossima volta che mi arrivi dietro e mi parli
con
quella voce da maniaco sessuale» ringhiai, anche se non capii
perché la sua
voce m’era sembrata tanto da “maniaco
sessuale”. Lui fece l’offeso, sgranando
gli occhi per poi sbattere le palpebre a mo’ di sguardo da
cane bastonato. «Comunque»
riprese, dopo quella scenetta alquanto disgustosa, «come mai
sei venuta qui? Sbaglio
o detestavi il terrazzo durante le
giornate piovose?»
«No,
non sbagli» confermai io. «Il fatto è
che…»
«Vuoi
una piccola replica di quel che è successo ieri?»
chiese interrompendomi, con
un ghigno beffardo stampato in viso. Sapevo bene che il suo obiettivo
era farmi
arrossire/mettere in imbarazzo, ma con me quella frase non faceva alcun
effetto,
sebbene ieri, ritornando a casa, morivo dalla voglia di andare a casa
sua e di
picchiarlo fino a quando non avrebbe implorato pietà, o
qualcosa del genere. «NO.
Volevo solo porre fine a questa scommessa e ritornare alla vita di
sempre.»
Fece per ribattere, ma io lo fermai: «Non dire niente, o ti
denuncio. Anche se
non hai fatto niente, ti denuncio.»
«Non
potresti» fece, facendo le spallucce. «Comunque,
prova a dirmi un po’ queste
fantomatiche cinque ragioni.»
Per
un
momento, ebbi la paura di sembrare troppo infantile. Non era un
comportamento
da ragazza matura, accidenti! Mi stava trascinando giù, al
suo livello, ma non
potevo fare a meno di essere tremendamente testarda, come sempre.
«Semplice»
cominciai a dire, «non puoi lasciare Fine perché
primo: è una ragazza tanto
dolce e cara; poi si preoccupa per te e se tu non fossi innamorato di
mia
sorella, non ti saresti messo con lei. Inoltre io ti impedirei di
lasciarla
così, su due piedi. E infine, lei ti ama.» Contai
mentalmente tutte le ragioni
che avevo esposto in quel momento, per non fare una figura
di… insomma, avete
capito. «Sono esattamente cinque ragioni. Se vuoi, posso
anche dartene altre.»
«Non
accetto nessuna di queste.»
Per
qualche
secondo rimasi immobile lì, senza emettere alcun respiro. Il
fatto era che non
sapevo a cosa diavolo pensare se non: “Un giorno di questi io
lo uccido”. «Scusami?»
feci, con un tono perplesso e piuttosto irritato. Gli avevo dato cinque
ragioni
per non lasciare Fine, e lui non le accettava e se ne usciva con un
“Non
accetto nessuna di queste”? No, doveva essere un incubo. Non
poteva di certo
decidere cos’era giusto o sbagliato!
Lui
mi
guardò serio, forse non lo era mai stato così
tanto da quando lo avevo
conosciuto, e quasi mi spaventò, lo ammetto.
«Rein, forse non te ne accorgi, ma
devi sapere che tutte queste ragioni sono state elaborate dalla tua
testa per
te stessa e per tua sorella, sono tutte ragioni soggettive. Dimmi un
po’, hai
mai pensato agli altri?» mi chiese, con il suo sguardo scuro
puntato nel mio. Lo
guardai anch’io a mia volta. «Io penso sempre agli
altri» ribattei, e per un
momento mi tremò la voce. Era davvero la verità?
In quel momento non lo sapevo
nemmeno io. Forse, dopotutto, ero la persona più egoista
sulla faccia della
Terra, ma non ne ero così sicura. Non riuscivo
più a distinguere realtà e
menzogna. Ero nel bene o nel male? Non lo sapevo, non sapevo niente.
Non ho mai
saputo niente, forse.
«Allora
dovresti sapere il perché di questo patto, il
perché te l’ho proposto.» Fece
una pausa, come per fare un po’ di scena. «Giuro
che ti renderò le cose molto
più difficili, Rein. Così, magari, potrai capire
cosa vuol dire “vivere nella
realtà”.» Sembrò voler dire
qualcos’altro, ma ci ripensò.
Rimasi,
comunque, spiazzata da quello che disse, tant’è
che mi sentii mancare. Per un
momento, ebbi la paura di non riuscire a far niente per Fine, e di non
riuscire
ad afferrarla mentre sprofonda nella tristezza più assoluta.
Deglutii, come ero
solita a fare nei momenti di nervosismo. Lui si girò verso
le scale, e, prima
di andarsene, mi disse un’ultima cosa. In quel momento, mi
parve malinconico. «Hai
detto che se non fossi innamorato di Fine non mi sarei mai sognato di
mettermi
con lei, eh?» Fece una pausa.
«Riflettici.
Forse un giorno capirai.»
N/A:
ODDIOSI.
Ce
l’ho
fatta a sfornare questo capitolo, yep.
Non
sapevo
che questa fan fiction potesse esser presa così bene da voi.
Muah, vi amo
tutte. *sparge cuoricini arrandom* Vi sto scrivendo alle 3.40 di notte, abbiate pazienza, i miei scleri notturni son peggio di quelli diurni. Anyway, ecco il secondo atto di
questa
piccola storiella, spero d’aver reso bene le emozioni di Rein
e di aver
descritto in modo sufficiente ed efficace ogni scena. Di tanto in tanto
mi
bloccavo, non sapendo cosa scrivere, ma alla fine riuscivo sempre a
trovare
qualcosa di decente da raccontare. Sono tanto soddisfatta, lo ammetto.
Sinceramente,
mi piace molto come scrivo: diretta (?) e concisa. Anche se alcune
storie che
racconto fanno davvero pena, ammettiamolo. Non riesco mai a trovare
niente di
figo da dire. A proposito, le gru di carta le sto facendo pure io. Sono
stupende!
E anche la storia delle mille gru è vera, o almeno io la
penso così. Ce ne
vuole di fare mille gru di carta! Ma io ce la farò.
Ringrazio
le 9 persone/anime possedute (?) che mi hanno messa tra gli autori
preferiti,
anche se non mi leggono in questo stupendo fandom. Amo anche voi,
sappiatelo!
Ad
ogni
modo, spero che il capitolo vi piaccia. Chissà cosa
intendeva Shade, uhuh. Ad essere
sincera, non ho la più pallida idea di quali saranno le
cinque ragioni. Ho una
vaga idea di come sarà la prima, ma devo ancora elaborarla
per bene.
E
dopo
questa lunghissima solfa (colpa di un mese di silenzio, LOL), mi
dileguo. Continuate
a seguirmi, tra l’altro, è appena passato il mio
compleanno, 5 settembre, yep!
:D Sono una quindicenne! Eppoi, è passato già un
anno da quando mi son iscritta
qui, su EFP. Vi amo tutti ♥
Noth aka Rainy.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo
3
Passarono
un paio di settimane, nel quale ho cercato, invano, di trovare almeno
una
ragione, anche se assurda, per poter risolvere al più presto
quella questione.
Hey!, anch’io avevo un orgoglio da difendere, cosa credevate?
Ad ogni
modo, ogni singola volta la ragione del momento fu mandata a quel paese
(non
esattamente, ma la sostanza era più o meno la stessa) da
Shade, e cominciai a
provare una certa antipatia verso i suoi confronti – non che
prima non la
provassi, anzi. Era solo che mi irritava più del solito, lui
e il suo essere
così dannatamente strafottente e difficile.
Era da un
sacco che il sole non faceva capolino nelle mie giornate. Qualche volta
aveva
sì, smesso di piovere, ma il cielo continuava ad essere
coperto. Odiavo quella
situazione. Possibile che niente mi andasse bene, in quel momento? Non
potevo
crederci.
Per il
resto, ci furono sempre le solite, noiose giornate.
«Rein. Ho
bisogno del tuo aiuto.» Era con quella frase che Altezza,
quel giorno, mi
accolse in classe. E di solito, per la mia compagna bionda, il mio
aiuto
significava: 1) “Ho bisogno di andare a far shopping e sei
l’unica che riesca
ad apprezzare la gioia delle compere.”; 2)
“Accompagnami dal parrucchiere, devo
farmi fare la messa in piega.”
Per un
momento sperai di avere la stessa vita di Altezza: spensierata e senza
alcuna
preoccupazione (non ne aveva nessuna, anche se non sembrava). Lei
sì che era
una ragazza come tante perché, non l’avevo mai
ammesso, io ero una di quelle
che più strane non si può. Incredibile il fatto
che anche solo osservando gli
altri ti accorgi di essere in contraddizione con te stesso,
né?
«Aiutami.
Devo scegliere un film, sei l’unica a cui lo posso
chiedere.» Fu quella la sua
richiesta – era alquanto insolita – e io non potei
far altro che chiederle a
mia volta: «Come mai oggi niente shopping &
co.?»
«Di
quello ne parliamo dopo. Forza, scegli un film.»
Poggiò sul mio banco quella
specie di depliant dove erano segnati i vari orari dei film di un
determinato
cinema. La guardai un po’ perplessa ed indicai un film a
caso. «Perfetto!»
esclamò compiaciuta la mia compagna, ma non capii per quale
motivo, così glielo
chiesi. «Andiamo al cinema, ovviamente! Non ti pare
un’idea meravigliosa? È da
un sacco che non usciamo tutti insieme.» Vedere Altezza
così raggiante era uno
spettacolo alquanto raro, e mi chiesi se non ci fosse qualcosa sotto.
Non feci
alcuna domanda, però, mi limitai ad annuire leggermente
confusa mentre la
guardavo ritornare al proprio posto e ficcare malamente il blocchetto
di carta
nella propria borsa, intonando perfino un motivetto allegro. Mi
ricordai che
non avevo nemmeno letto di cosa si trattava il film, ma non me ne
importò più
di tanto.
Quando
Altezza ritornò da me, suonò la campanella, e
lei, seppur a malincuore (?),
fece dietrofront, verso il proprio banco, con un sorriso che non mi
piacque per
niente.
Quindi
passò un’altra settimana in cui non potei fare
niente: casa, scuola, casa,
scuola, casa, scuola, biblioteca, casa, scuola, eccetera eccetera.
Eravamo, oramai,
a quasi fine settembre, ed io non avevo la più pallida idea
di cosa inventarmi
per vincere la scommessa.
«D’accordo!
Usciamo questo pomeriggio!» se ne uscì Altezza il
lunedì, durante il pranzo. La
guardai prima con fare annoiato, poi con una leggera
perplessità ed infine con
sollievo. Aveva, di nuovo, in mente
qualcosa. Ma non ero contraria a quella proposta, anzi!, ero felice per
il
fatto che qualcuno si fosse messo in testa qualcosa da fare in quei
giorni
autunnali. «Ci
sto!» feci io, facendo un
gran sorriso pregustandomi l’idea di un pomeriggio insieme
agli amici, perché
dovevo, in qualche modo, svagarmi e staccarmi dalla realtà.
«Pure io!» gridò,
come suo solito, Sophie, entusiasta. Si sarebbe sicuramente divertita a
stuzzicare Altezza, ma la cosa più assurda era il fatto che
quest’ultima
prendesse troppo sul serio quello che diceva la mia amica dai capelli
verdi.
«No!, tu non ci vieni!» disse, come se avesse
già avuto la frase stampata nella
mente, la mia compagna bionda, anche se sapeva benissimo che non
avrebbe avuto
altra scelta se non “portarsela dietro”. Lione fu
entusiasta dell’idea e disse
che anche Tio ne sarebbe stato felice, Auler sospirò e
cercò di mediare fra le
due litiganti quali erano la sorella e Altezza, Bright guardava la
scena divertito.
Shade mugugnò qualcosa che poteva essere interpretato come
un «Fate come vi
pare».
«Uhm»
fece Mirlo con una vocina da “Mi sembra di essere fuori
luogo”, «io non posso.
Devo badare a mio fratello, oggi i miei sono andati non so dove e lui
è da solo
a casa. Mi dispiace.» Restammo tutti in un silenzio
imbarazzante, e lei si
affrettò ad aggiungere: «Voi andate pure! Non fate
caso a me.»
«Uh,
Mirlo, già che ci sei» prese a dire Fine
«potrei venire a casa tua? Domani il
professore mi ha detto che mi interroga, e io stavo dormendo e non so
niente.
Quando mi sono svegliata dal mio sonno – uh – molto
gustoso, sulla lavagna ho
trovato delle formule di cui non riuscivo a capire il
significato.»
Notai
che, furtivamente, mia sorella diede una veloce occhiata –
come se volesse
vedere come avrebbe reagito – a Shade, il quale aveva la sua
solita faccia
annoiata da “Non m’importa nulla” mentre
mangiava il proprio pranzo. «Oh,
certamente. Così mi fai pure compagnia» rispose
Mirlo sorridendo, mentre io
lanciavo un’occhiataccia al “ragazzo” di
mia sorella, che nel mentre si era
messo a fissarmi annoiato. Era talmente
ovvio che Fine desiderasse che Shade stesse con lei, ma lui, no!, non
riesce
mai a leggere tra le righe. Ritornata di cattivo umore, cercai un
qualcosa che mi
potesse far stare più serena.
«Altezza»
la chiamai, mentre poggiavo la mano sulla sua spalla, come se volessi
cercare
un appoggio, «andiamo a fare shopping, dopo il cinema. Ti
prego.» Sì, era
l’unica cosa che riusciva a farmi stare bene.
Il film
fu una noia assurda, non ne seguii neppure la metà.
Prima che
uscissimo, Fine mi raccontò che, ultimamente, le sembrava
che Shade si comportasse
in modo strano; io le dissi che non c’era nulla di cui
preoccuparsi e che era
sicuramente effetto della stagione delle piogge – ricordavo
che, alle medie,
quel ragazzo sembrava molto meno attivo del solito in autunno ed inizio
inverno. Forse fu per questo che la mia gemella rossa mi credette e
ritornò col
solito umore di sempre, il che mi fece stringere il cuore
poiché sapevo che le
stavo mentendo spudoratamente.
Fu la
prima volta, dopo tante settimane, che il ricordo di quel
“sfioramento di
labbra” – non riuscivo ancora a pronunciare la
parola che descriveva l’atto di
premere le labbra con delle altre – mi balenò in
testa, continuando a martellarmi
il cervello anche dopo che io e Fine ci dividemmo lei per andare da
Mirlo, io
per raggiungere gli altri in piazza.
Era
strano ripensarci, era questo il punto. Erano già passate
diverse settimane da
allora, ed io, stupida com’ero, non riuscivo a pensare
lucidamente per colpa di
quella stupida scommessa (accidenti a me che avevo accettato!).
Aggiungendoci
la situazione assurda in cui mi ero trovata quel giorno con Shade,
beh… capite
che per me, in quel momento, fu alquanto difficile formulare qualche
ragione
sensata. Continuavo a pensare a Fine, inoltre, a come
l’avrebbe presa se avesse
saputo di tutto questo, se avesse pianto o meno.
Tutti
quei pensieri mi ossessionarono fino all’arrivo al cinema.
Il film,
come ho detto, non mi era interessato granché,
poiché la situazione era
alquanto assurda: non so come abbia fatto (magia dei posti dei
biglietti?), ma
Altezza riuscii a coordinare perfettamente il gregge quale eravamo,
mettendosi
a fianco a me e a Sophie (forse questo non l’aveva previsto,
però), mentre vicino
a me c’era niente popò di meno che il ragazzo di
mia sorella, il quale sembrò
altamente annoiato, come al solito, durante tutta la durata del film,
tanto che
mi sembrò che stesse dormendo per la troppa noia proprio nel
bel mezzo della
pellicola. Insomma, all’inizio ero stata alquanto perplessa,
poi cercai, per tutto
il tempo, di non pensare a quello che era successo.
Ad un
certo punto, mi sentii la mia faccia diventare di un rosso acceso,
avevo
pensato a come sarebbe stato se al posto di Fine ci fossi stata io.
L’idea mi
fece così tanto disgustare, allo stesso tempo, che dovetti
precipitarmi nel
bagno per calmarmi – quando mi guardai allo specchio vidi che
la mia teoria era
fondata.
Riuscivo
a ricordare solo dei pezzetti di quel film: praticamente era una storia
d’amore
un po’ alla Beautiful, c’era questa ragazza A che
si innamorava di un ragazzo B,
solo che sia A che B erano fidanzati rispettivamente con C e D, poi
c’era la
sorella di A, la ragazza E, che cercava in tutti i modi di far lasciare
A e C,
finendo con l’innamorarsi di quest’ultimo,
poiché all’inizio voleva che la
sorella stesse insieme a B. D intanto si teneva ben stretta B, solo che
B, un
giorno, incontra E e chiede all’amico F di aiutarlo a farla
innamorare di lui.
Alla fine (saltiamo tutta la parte centrale, di cui non ho capito
niente) A si
dichiara a B, solo che B le dice che è innamorato di E, poi
finisce lì.
L’ultima
parte mi fece alquanto rabbrividire, poiché sembrava proprio
quello che stava
succedendo a me: Shade stava rifiutando Fine per qualche assurda
ragione.
Ovviamente, non ero di sicuro io, ma tutto quello che quel ragazzo
faceva/diceva era fuori dagli schemi, letteralmente. Non
c’era bisogno di
sorprendersi se per caso dicesse di voler scalare l’Himalaya
o il Kilimangiaro.
Ad ogni
modo, la cosa più strana è il fatto che Altezza
continuava a comportarsi
stranamente, di tanto in tanto ci (a me, ma soprattutto a Shade) dava
qualche
occhiata con fare sospettoso, per poi ritornare a guardare il film e
ripetere
il copione dopo una decina di minuti. Non capii il perché di
tutto quello.
Per la
gioia (?) degli altri, dopo il film andammo a fare un giro in centro,
dove
erano concentrati molti negozi di abbigliamento. Per me ed Altezza fu
il
paradiso terrestre, mentre i nostri amici ci seguivano alcuni un
po’ scocciati (in
particolare Auler, come al solito), ma non si lamentarono poi
così tanto.
Io e la
mia compagna bionda eravamo delle campionesse nella maratona fra le
vetrine,
forse era solo questa la caratteristica che ci accomunava.
Ricordo
che, la prima volta che la vidi e che la sentii parlare, pensai
immediatamente:
“Questa è pazza”, mentre adesso mi
ritrovo ad essere la sua migliore (?) amica
(??), e la cosa non mi dispiaceva affatto. Dopotutto, è una
ragazza tanto cara
e simpatica, se la si conosce bene. Quando ci stai insieme per molto
tempo,
impari a conoscere dei lati che non ti aspettavi avesse.
Ad ogni
modo, Lione, dopo circa una mezz’oretta che io e Altezza
eravamo a contemplare
i vari vestiti/accessori, propose di andare in una pasticceria che
aveva aperto
da poco, ma già famosa per i suoi dolci
dall’aspetto delizioso e molto
saporiti.
Appena
entrammo, venimmo circondati da un buonissimo odore di cioccolata e
vaniglia;
le pareti color panna si sposavano perfettamente con l’aria
serena e profumata
del posto, e c’erano anche dei tipici tavolini bianchi dove
si potevano
gustare, con molta tranquillità ed allegria, i vari dolci
– torte, crostate,
marshmellows, krapfen, crème brulé,
c’erano perfino alcune bevande tipo frappé
e cioccolata calda – esposti nelle vetrinette intorno al
bancone.
Pensai
che se Fine fosse venuta, sarebbe rimasta talmente estasiata da quel
negozio
che sarebbe stato impossibile convincerla a ritornare a casa.
Ordinammo
tutti insieme in un’allegra confusione, che non diede molto
fastidio ai ragazzi
che stavano dietro il bancone; anzi, una ragazza ci disse perfino che
sarebbero
dovute esserci più persone che portavano quella gioia in
giro (anche se Shade
era sempre l’unico che era rimasto impassibile).
«Ah, che
bontà» commentò Sophie, addentando un
pezzo della torta al cioccolato che aveva
preso. Tutti gli altri concordarono con lei, e Lione annuì
soddisfatta. Tutto
lì sembrava magico, e non c’era nemmeno
l’ombra di un dolce fuori posto. Mi
gustai fino all’ultimo boccone il mio tiramisù, e
mi appuntai che sarebbe stato
bello ritornarci un’altra volta, magari portando anche la mia
gemella rossa.
Cominciammo
a chiacchierare animatamente di un po’ di tutto; passavamo da
un argomento
all’altro e nessuno ci riusciva più a fermare.
Pensai un
po’ a quello che Fine, che al momento era a studiare
(sicuramente a malincuore)
a casa di Mirlo, aveva detto prima che ci separassimo. Di certo era
preoccupata
per il suo rapporto con Shade; in effetti, avevo notato pure io che,
ultimamente, quel ragazzo dava più peso a sé
stesso che alla mia gemella. Mi
chiesi se fossi io la causa di tutto, ma subito scossi la testa e
scacciai quel
pensiero.
Decisi di
parlarne proprio al diretto interessato che, ancora una volta, era
seduto
vicino a me. Che avessi una specie di calamita per attirare persone a
cui non
volevo particolarmente parlare (anche se in quel momento dovevo
parlargli)?
«Uhm,
dovresti» cominciai, facendo poi una piccola pausa,
«cercare di badare più a
mia sorella». Lui continuò a mordicchiare annoiato
(come sempre) la forchetta
di plastica, per poi dirmi: «Dici? Io credo proprio che sia
ora di smetterla».
«Ma se mi
avevi promesso che non l’avresti lasciata fino a quando non
ti presenterò
quelle assurde cinque ragioni!» sibilai, cercando di stare
calma. Rimanemmo in
silenzio per qualche tempo, in cui Sophie raccontò di quella
volta che lei,
Auler ed alcuni cugini andarono in un luna park e il fratello si
sentì male
sulle montagne russe. Pensai che mi sarebbe piaciuto andare al parco
dei
divertimenti, un giorno.
«Se non
riuscissi a trovarne, cosa credi che penserebbe tua sorella se la
lasciassi di
punto in bianco, dopo tanti mesi a volerle bene?» mi rispose,
guardando fuori
dalla porta scorrevole di vetro del negozio.
Lui era
un ragazzo calcolatore, e non potei ribattere a quello che disse. Aveva
ragione, in fondo: una storia d’amore non poteva di certo
finire
all’improvviso, senza alcuna spiegazione logica. Me ne
restai, quindi, zitta,
cercando qualcosa da dire, e alla fine me ne uscii con un:
«Come devo fare per
poterti convincere? Non riesco neanche a trovare qualcosa di sensato
per
poterti, come dire, compiacere».
Un altro
silenzio imbarazzante seguì quello che dissi.
«Boh, non so» disse, «Pensaci e
basta. Non posso mica dartela buona solo perché non riesci a
trovare niente di
convincente. E poi, sbaglio o devi proteggere quel tuo onore da
“consigliera”?»
Ancora una volta me ne stetti zitta, questa volta fino a quando non fu
ora di
lasciare quel paradiso terrestre.
Prima di
uscire dal negozio, però, Shade mi fece: «Hey,
Pioggia». Mi voltai,
incuriosita. «Chiediti sempre il perché del
comportamento delle persone. Stai
facendo la cosa giusta?»
Girammo
per le vie ancora per un’ora. Quando iniziò a far
buio, Altezza sembrò di
ricordarsi qualcosa, poiché fece una faccia alquanto
stupita. «Oh, che sbadata»
esordì, facendo girare tutti dalla sua parte. «Mi
sono dimenticata che, Rein
cara, l’altra volta ho visto una camicetta deliziosa che ti
sarebbe stata
sicuramente bene. Vieni, te la mostro!»
Senza
neanche lasciarmi il tempo di ribattere, mi afferrò un
braccio e mi condusse in
un negozio di abbigliamento, prese dagli scaffali una camicia qualsiasi
e mi
spinse verso i camerini. «Che stai facendo,
Altezza?!» dissi, sorpresa e
leggermente irritata, liberandomi dalla sua stretta. Lei mi sorrise
maligna,
dopodiché mi fece: «So tutto, cara.»
Feci una
faccia interrogativa, seguita da un suo: «Non fare la finta
tonta» che non mi
piacque per nulla. Che cosa sapeva? «Calma. Adesso mi spieghi
perché diamine
siamo qua?» le chiesi, sbuffando. Lei mi guardò
con aria soddisfatta,
sospirando sempre con molta, molta soddisfazione.
«Ah,
Rein, cara Rein» fece, scuotendo la testa sebbene continuasse
a sorridere, «Ma
sai che qualche settimana fa ti ho vista baciare Shade?»
N/A: Non ho molta
voglia di scrivere, ho sonno e mi sento orribile, ma devo spendere
qualche
parola per questo capitolo che mi piace abbastanza.
Altezza è
da stimare. Ho appena deciso che sarà la consulente di Rein!
Eheh, cheggenio.
Ci saranno taaaante situazioni interessanti ed assurde, contateci!
Penso
proprio che il prossimo capitolo arriverà presto, ma voi non
credetemi, qualche
imprevisto ci sarà di sicuro. Quindi, sì, vi do
il permesso di lanciarmi
pomodori D:
L'altro giorno ho riletto Blue String of Destiny. E' stato... non so. Non potevo credere che scrivessi in quel modo, nei primi capitoli D: E' stato alquanto traumatico. Adesso capisco come vi sentivate voi lettori, all'ultimo mi stavo pure per mettere a piangere, LOL.
Ringrazio
tutti quelli che mi seguono e leggono, sappiate ancora che vi amo!
Alla
prossima!
Noth
aka
Rainy.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Capitolo
4
Ricordo
che alle elementari giocavo sempre a nascondino. L’attesa
dell’essere trovata
mi rendeva ogni volta nervosa, avevo sempre paura che mi scovassero
troppo
presto per l’ovvietà del mio nascondiglio.
In
quel
momento mi sentivo esattamente allo stesso modo: Altezza cercava il
segreto
dentro di me, ed io avevo paura di non riuscire a custodirlo al meglio.
Cercai
di fare del mio meglio per mentire. «Ma di cosa stai
parlando?!» le dissi,
assumendo un’espressione che poteva vagamente definirsi
meravigliata e stupita.
Era la bugia peggiore che avessi mai detto in vita mia, nemmeno un
bambino ci
sarebbe cascato, men che meno una ragazza intuitiva come la mia
compagna, che
di cervello ne aveva sempre avuto, a dirla tutta.
«Rein,
non provare a mentirmi, sai che sono una sempre sicura di quello che
dice»
replicò con tono leggermente seccato, come se mi avesse
letto nel pensiero.
Deglutii saliva inesistente, forse fu quello il segno che fece capire
ad
Altezza – mi accorsi che aveva ancora in mano quella
camicetta gialla – che
aveva, ancora una volta, ragione, annuendo convinta e facendomi
innervosire ancora
di più. Avevo le idee leggermente confuse, e non mi
piacevano molto le luci
accecanti dei camerini di quel negozio: mi davano fastidio le cose
troppo
luminose.
Appoggiandomi
al muro, ricordai che ero pessima anche a nascondino, così
non era raro che
fossi io a contare.
Per
un
momento, fui tentata dal continuare a mentire, pur sapendo che non
sarei
arrivata da nessuna parte perché, oramai, la mia bionda
compagna aveva già
capito tutto. Sospirai, facendo un’espressione accigliata, e
pensai a cosa
avrei dovuto dire.
«Ok,
d’accordo. Hai ragione, ho baciato – quella parola
mi fece provare un brivido –
Shade. E con questo? A proposito, come hai fatto a vederci?»
Lei
ignorò completamente la seconda domanda (ringraziai il cielo
che lo fece, non
volevo sapere alcun dettaglio), e rispose, sempre con quel ghigno
stampato in
faccia: «E con questo ho sentito anche di quel piccolo patto
che avete
stipulato. Qualche problema nel trovare queste cinque fantomatiche
motivazioni,
Rein?»
Riuscii
a percepire un velo di superiorità nella sua voce che
pronunciava l’ultima domanda
(non sapevo nemmeno come facesse a sapere che non avevo trovato alcun
pretesto
per far sì che Shade e Fine continuassero a star insieme),
ma probabilmente era
il suo solito tono che mi faceva pensare così. Feci le
spallucce, come se la
cosa non mi toccasse. Non avevo molta voglia di parlarne.
Più
che
altro, non riuscivo più a sopportare il ricordo che Shade mi
baciava; era come
se lui stesso fosse entrato nella mia mente per ficcarmi
l’immagine bene
nell’angolo dei ricordi, e che l’avesse ingrandita
abbastanza in modo da farmi
sentire a disagio ogni volta che mi passava davanti agli occhi, e tutto
questo
solo nelle poche ore in cui eravamo stati, anche se non tanto, a
contatto.
Mi
sentivo molto, molto irritata da lui.
Altezza
batté le mani, come se avesse trovato una
spiegazione/soluzione a tutto, anche
se non mi disse di cosa si trattava. Dopodiché, mi
guardò, quasi seria,
dicendomi: «Ci sono tante cose che non sai».
Alzai
un sopracciglio, pronta a chiederle a cosa alludesse, ma lei mi
precedette: «Credo
proprio che a tempo debito lo saprai».
Peccato
che questo “tempo debito” sembrò
già molto lungo.
Quella
notte, non seppi perché, mi ritrovai a sognare il giorno in
cui Shade e Fine si
erano messi insieme.
Ricordavo
che mia sorella era così felice ed eccitata che nessuno era
riuscito a
fermarla, era così allegra. Sebbene anche quel ragazzo
avesse fatto parte di
quella giornata, nel sogno non comparve. Svegliandomi nel cuore della
notte, mi
chiesi se sarei riuscita a trovare almeno una ragione, giusto per
sapere di
aver provato a difendere l’amore che provava mia sorella. Non
riuscii più a
chiudere occhio, mi girai e rigirai nel letto in cerca di sonno, alla
fine mi
misi a fissare insistentemente le gru colorate appese al soffitto, fino
a
quando, poco prima dell’alba, mi riaddormentai con una
domanda in testa.
Avrei
dovuto finire di piegare mille di quegli uccelli?
A
partire da quella volta avevo
capito
che la felicità era riservata solo ai (tanti) privilegiati,
e che io ero solo
una delle poche persone che non potevano averla.
Lo
scopo delle gru di carta era di ricordare i momenti felici.
Io
i
momenti felici li avevo persi, per questo smisi di farli e mi dedicai
nel far
sì che gli altri non se la passino come me. Non credevo che
sarebbe più
ritornato tutto normale.
Non
dormii affatto, poiché la sveglia suonò una
mezz’ora dopo, cosa che mi fece
alquanto deprimere, perché sicuramente non sarei stata
allegra e pimpante come
tutti i giorni.
Poco
prima di uscire mi guardai, un’ultima volta, allo specchio,
giusto per vedere
se ero davvero pronta. Avevo gli occhi un po’ rossi, ma le
occhiaie non si
vedevano tanto grazie allo strato di fondotinta che mi ero passata
sulla pelle
per nasconderle, e mi sentii fiera di me stessa: almeno alcune cose mi
riuscivano ancora bene.
Continuando
a rimirarmi allo specchio, mi dissi di farmi forza e di sforzarmi a non
pensare
a quante volte avrei dovuto cadere e rialzarmi da sola. Era quello lo
scopo,
dopotutto, del mio “lavoro”: evitare che le altre
persone siano sole quando
cadranno, ed evitare, soprattutto, che cadano, com’era
successo a me. Non
sapevo cosa pensare di me; volevo a tutti i costi che la
felicità altrui non
andasse perduta, ma io cosa ci guadagnavo, in fondo?
Giunsi
a scuola, come al solito (per “solito” intendo
quando mia sorella mi diceva di
andare per non farmi arrivare tardi aspettandola), in perfetto orario.
Quella
nottataccia mi aveva tolto ogni forza e voglia di pensare di vincere la
scommessa tra me e Shade, quindi mi accasciai direttamente sul banco in
cerca
di un po’ di sonno. Avevo voglia di un po’ di
tranquillità, tutto qui. A dire
il vero, di tranquillità ne avevo un sacco, dato che ero
arrivata troppo presto
e gran parte dei miei compagni non erano ancora arrivati. E forse era
meglio
così.
Almeno
fino a quando, inaspettatamente, mi comparve niente meno che Shade
davanti.
Ero
appoggiata sul banco a riflettere su quello che facevo, quando lui fece
irruenza (non esattamente) nella classe e dovetti dire addio alla
serenità che
già mi pregustavo.
A
proposito di pregustare, in quel momento mi accorsi di aver
dimenticato, il
giorno prima, di acquistare una torta per Fine in quel negozio di dolci
come
premio per il suo pomeriggio di studio (e anche qualcosa per Mirlo per
averla
aiutata). Così, prima che lui potesse dire una singola
parola, diedi voce ai
miei pensieri: «Dopo scuola accompagnami alla pasticceria di
ieri.»
«Come,
prego?» mi chiese, con un sopracciglio alzato e
un’aria perplessa. Avevo la
brutta abitudine di dire quello che pensavo nei momenti e alle persone
meno
opportuni, cosicché mi ritrovavo spesso in situazioni
spiacevoli e difficili da
gestire. Ma ormai la frittata era fatta, seppur avevo intenzione di
disdire
tutto. «Ieri mi sono dimenticata di comprare qualcosa a Fine
e a Mirlo, che non
sono venute. Dovresti un po’ preoccuparti per la tua amica e
– uhm – la tua
ragazza» ribattei, cercando di volgere la situazione a mio
favore. Non era di
certo perché volevo uscire da sola con Shade! Il solo
pensiero mi fece
rabbrividire.
Lui
fece le spallucce. «Se vuoi, tanto non ho mai niente da
fare.»
Cercai
di deviare l’argomento, ma mi precedette chiedendomi:
«Però perché non ci vai
direttamente con loro?» Sbuffai, cercando di essere
più convincente possibile –
Shade era uno abbastanza paranoico e scettico quando si trattava di
credere
agli altri su cose che lo riguardavano direttamente.
«Perché voglio far loro
una sorpresa! Dì un po’, tu ci prendi proprio
gusto a tormentare gli altri con
le tue domande sospettose, eh?» Per la seconda volta, fece le
spallucce in
segno di noncuranza. «A proposito, volevi qualcosa da
me?» gli chiesi, questa
volta appuntandomi di non far aprire più la sua boccaccia se
non per rispondere
alle mie domande. Dovevo pur fare qualcosa per alzare un muro di difesa!
Lui
si
mise le mani nelle tasche, dondolando leggermente da un piede
all’altro – cosa
poco comune nel comportamento di Shade – e mi disse, con un
tono beffardo:
«Ricordati che sono già passate due settimane. Se
non riesci al più presto a
convincermi di stare con tua sorella, io--»
«Shh!
Stupido, non farti sentire!» gli ringhiai a tono basso,
ringraziando il cielo
che nella classe ci fossi solo io e che i brusii di sottofondo dei miei
pochi
compagni presenti nel corridoio non si fossero fermati. Mi avvicinai,
furtiva,
al ragazzo di mia sorella, mantenendo una distanza di sicurezza per
paura che
succedesse la stessa cosa dell’altra volta in cui eravamo
rimasti soli. Mi
maledissi per il fatto che sarei davvero rimasta sola
con Shade una volta usciti dall’edificio scolastico.
«Scusa,
che c’è di male nel parlarne?» mi
chiese, con un’espressione così dannatamente
strafottente sul viso che mi fece venire voglia di dargli un pugno
direttamente
in faccia. «Carissimo, sai cosa vuol dire essere con il
ragazzo della propria
sorella a parlare della loro imminente rottura a causa
propria?!» gli risposi
io, sperando di essere stata sufficientemente esauriente in modo tale
che lui
non facesse più domande a riguardo.
«Ma
sì,
tanto gli altri non sanno di cosa stiamo parlando» disse,
ignorando bellamente
gli sguardi minacciosi che gli rivolgevo. «Ad ogni modo,
penso che tu debba
sbrigarti. Non eri te quella che aveva detto che tre mesi sarebbero
stati più
che sufficienti per dimostrarmi che il fatto che io stia con Fine sia
la cosa
più giusta del mondo?»
Non
era
una domanda, in verità, era come se dicesse
“Ammettilo, che non hai mai avuto
il coraggio di guardare la realtà, che in verità
fra me e Fine non c’è più
niente da dire”, ma io non riuscivo ancora a capacitarmi del
fatto che tutto
stava, inevitabilmente, cadendo in basso, che non potevo più
rimettere insieme
i pezzi di un vetro rotto senza che i solchi si notino. Ero in un
vicolo cieco,
e stavo cercando, inutilmente, di abbattere quel muro che mi separava
dalla
meta, sebbene non sapessi dove mi stavo dirigendo.
C’era
qualcosa, in quel momento, che mosse i miei pensieri, che fece vibrare
i
battiti del mio cuore. Tempo fa mi imposi di non fare gli stessi errori
del
passato.
Per
niente al mondo ci sarei cascata ancora.
«Non
ti
hanno mai detto che sei noioso?» fu il mio commento prima di
uscire da quella
stramaledetta pasticceria (non perché non fosse accogliente,
anzi), con in mano
una di quelle scatolette di carta abbastanza spessa da sembrare un
cartoncino
vero e proprio, ma che aveva ancora la stessa consistenza della carta.
Mi
piaceva un sacco la superficie liscia di quel materiale, tanto che per
i
seguenti 10 minuti non feci altro che accarezzarla con il pollice
quanto più
potevo.
Avevo
preso una fetta di torta alla fragola per mia sorella (lei era
ossessionata
dalle fragole), mentre per la mia compagna più grande avevo
optato per una
fetta all’arancia.
Shade
non aveva detto niente per tutto il tempo in cui eravamo stati nel
negozio di
dolci, se non qualche borbottio che dovevano essere dei
“Fa’ come vuoi” ad ogni
mio “Che ne dici di questa torta?”. Insomma, nulla
di nuovo.
Era
sempre stato così, sin dalla prima volta che
l’avevo visto: schivo, poco aperto
agli altri, non amava conversare, ma ogni volta che apriva bocca era
sempre
molto schietto e senza peli sulla lingua, a volte anche un
po’ sarcastico e (forse)
sadico; uno così, di certo, non te
lo
trovavi come vicino di casa o chissà cosa, eppure a me,
sfortunatamente, era
capitato come compagno di scuola più grande.
«Dipende
dai punti di vista» rispose lui, continuando ad andare
avanti. Odiavo il suo
modo di camminare, era sempre troppo veloce ed io dovevo fare una
fatica
immensa per poter stare al suo passo. Cercai di mantenere una camminata
dignitosa – sembravo un bradipo in letargo che cercava,
goffamente, di imitare
un ghepardo o chissà quale altro animale veloce –
mentre gli dicevo: «Smettila
di essere così menefreghista, mi irriti un sacco!»
«Fatti
tuoi» mi rispose, e il mio livello di rabbia salì
sempre di più. Un giorno di
quelli lo avrei preso a calci. Sbuffai, avrei dovuto disdire subito
quell’uscita.
Decisa
ad ignorare quell’individuo, mi sedetti sul bordo della
fontanella della
piazza, stanca di cercare di camminare al suo passo. Mi misi a
controllare il
cellulare, e vidi un messaggio di Fine che mi chiedeva dove fossi
finita, dato
che si stava facendo buio e che, probabilmente, si sarebbe presto
mettere a
piovere.
Alzai
lo sguardo e notai dei nuvoloni grigi che incombevano sulla mia testa,
e solo
allora sentii quanto il vento spirava odore di pioggia. Sperai che non
si
mettesse a piovere proprio in quel momento, così mi misi a
pensare a come
proteggere le fette di torta dall’acqua. Decisi di passare
prima da Mirlo, per
poi ritornare a casa.
«Guarda
che se non ti muovi diventerai davvero
“pioggia”» disse lui; le mani in tasca,
i primi bottoni della camicia dell’uniforme sbottonati e la
borsa appesa alla
spalla sinistra gli davano l’aria di un normale liceale e non
di uno
psicopatico idiota che si divertiva alle spalle della propria ragazza e
faceva
risolvere i problemi alla sorella di quest’ultima.
«Va bene, ho capito»
risposi, alzandomi dal freddo marmo che mi stava letteralmente gelando
il
sedere – ottobre si faceva sentire.
D’improvviso,
una domanda mi balzò in testa. «Se non riuscissi a
trovare le ragioni per cui
tu e Fine dovreste stare insieme, la lascerai per davvero?»
Riuscii
a leggere un velo di sorpresa negli occhi del ragazzo davanti a me, che
intanto
si era voltato senza tenermi in considerazione. Era talmente
ovvio che l’avrebbe fatto, d’altronde,
non era un tipo che
si rimangiava le promesse. Probabilmente era la domanda più
futile che avessi
mai fatto in vita mia, ma lo fece, comunque, rimanere in silenzio per
qualche
secondo, a riflettere su chissà cosa.
«Insomma,
perché mi hai detto che dovevo riflettere sul comportamento
delle persone? E
perché continui a farmi dei discorsi che nemmeno riesco ad
interpretare? Sembra
che tu ti diverta a farmi sentire così. Cioè, se
tu lo facessi per un motivo
preciso, allora avrebbe tutto un senso, ma se non mi dici niente non
riesco
proprio a capire cosa diam--»
«E
tu
perché ti ostini a volere che gli altri non smettano di
amare le persone a loro
care?» mi interruppe, volgendomi uno sguardo glaciale. Non
seppi cosa
rispondere, in un primo momento, mi limitai, perciò, ad
abbassare lo sguardo
non sapendo dove guardare, incapace di formulare una frase sensata che
non sia:
“Per te non è normale pensare agli
altri?”. «Se una volta è successo a
te»
continuò, «non vuol dire che tu abbia il diritto
di decidere la felicità o
l’infelicità altrui.»
«Non
sono affari tuoi» ringhiai, ritornatomi in mente tutto quello
che era successo
un anno e mezzo prima. Lui conosceva tutto, tutti i miei amici lo
sapevano,
perfino l’ingenuo Tio, che allora aveva 13 anni. Tirai un
respiro profondo,
conscia del fatto che non sarebbe servito a niente e che Shade mi stava
fissando con uno sguardo alquanto sospettoso. In realtà non
avevo alcuna
ragione per continuare a pensare alle storie altrui; ero una ragazza
che, di
solito, si faceva sempre gli affari suoi per non avere alcun tipo di
problema.
«E, comunque, cerco di fare il possibile per lei
perché è mia sorella.»
«Allora
dimmi: dimmi cosa dovrebbe indurmi a non rompere il rapporto tra me e
Fine.»
Con
lui
era una vita perennemente “O la va, o la spacca”,
per questo era odioso. «Lei
ci spera.»
Notai
lo sguardo perplesso che mi volse. In lontananza, il rombo di un tuono
vibrò
nelle mie orecchie, ma riuscii a sentirlo distintamente e sussultai per
la
sorpresa. «Tu non hai mai sperato in qualcosa? Lei ti ama.
Non sai cosa succede
al cuore quando tutto quello in cui credevi ti scivola di mano? Quando
capisci
che tutto è finito, che è inutile continuare a
sperare in qualcosa oramai
perduto?» Mi sembrava, in verità, di parlare
più a me stessa che a lui, ma non
ci feci caso perché non dovevo
farci caso:
sarebbe stato troppo difficile affrontare di nuovo il passato.
«Il cuore si
spacca in due. Non importa se riesci a rimetterne insieme i pezzi,
rimarranno
sempre le crepe. Forse è per questo – feci un
leggero risolino – che faccio
tutto questo.»
Ricordai
il salice piangente. Quel giorno ero stata io che piansi per davvero.
Non
seppi se il mio discorso preparato in due secondi netti avesse avuto
effetto
(d’altronde, non ero mai stata brava a parlare), era la prima
cosa che mi era
passata in testa e di certo non era una delle migliori risposte che
avessi dato
in vita mia.
Io
mi
preoccupavo solo di una cosa: Fine non doveva assolutamente piangere, e
io, da
brava sorella maggiore quale dovevo essere, avevo il compito di
proteggerla.
«Muoviti,
o rischiamo di prendere un raffreddore» se ne
uscì, dopo qualche secondo,
Shade. Non seppi come aveva reagito davanti a tutto quel mio parlare
finché non
mi disse: «Per questa volta la passi liscia. Le prossime
quattro non saranno
così facili.»
Un
minuto dopo, la pioggia cominciò a scendere con forza.
N/A:
Non fidatevi mai di me. MAI.
Tranne quando vi anticipo qualcosa della fiction.
Sono
ritornata, signori, a rompervi ancora le parti basse. Sto aggiornando
una volta
ogni due settimane circa, e credo di star mantenendo il ritmo. Ergo, il
prossimo capitolo non verrà postato prima di 14/15 giorni
(per vostra fortuna).
Ebbene,
in questo capitolo, finalmente, Rein riesce a convincere Shade. Giuro
che non
avevo pianificato che andasse così (in verità
sarebbe dovuta essere ambientata
a scuola), e intanto mi sono venute in mente delle idee davvero niente
male.
Giuro che vi sorprenderò, ma qualche segno già si
vede :) Però adesso ho un
vuoto totale su cosa la nostra ragazza normale dovrebbe dire per
compiacere (?)
Shade .-. Oh, ma che pignolooooo. [cit.]
Vediamo
anche un piccolissimo stralcio dei ricordi di Rein, cosa le
sarà successo?
Perché ha deciso di fare questo
“lavoro”? Cosa significano le gru di carta, per
lei? E sembra proprio che Altezza (ripeto che è da stimare)
sappia qualcosa che
lei non sa… chissà di cosa si
tratterà, eheh.
Sto
scrivendo un sacco di pensieri di Rein su Shade, sembra proprio che non
cagCOFF
tutti gli altri personaggi, soprattutto Fine. Devo trovare un pretesto
per
inserirla ancora di più nella storia.
Ho
un
bisogno immenso di dire una cosa: le storie con tutti quei paroloni,
che
nessuno usa mai (no, non ti preoccupare, non sto parlando di te, mamma
Ieia (non so come chiamarti se non così) (: ), oppure con
periodi di una complessità grammaticale assurda e
con troppe metafore non mi piacciono proprio. Cioè, ci sono
modi più semplici
di esprimere un concetto, mica i lettori devono andare a cercare sul
dizionario
cosa significa l’intera frase, dai! Ok, a volte
può essere simpatico, ma se una
storia è perennemente scritta in questo modo è
chiaro che chi legge si stanchi
facilmente, anche se l’idea di partenza è
interessante. Per questo mi piace
come scrivo: non mi sembra molto difficile da interpretare, e sono
abbastanza
diretta e non mi spreco molto in parole, se non strettamente
necessario; correggetemi se sbaglio.
Anyway,
ringrazio tutti quelli che mi supportano/sopportano, e spero che il mio
modo di
scrivere e la mia fiction continuino a piacervi allo stesso modo della
prima
volta in cui mi avete letta :)
Beh,
al
prossimo aggiornamento!
Noth
aka Rainy.
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Capitolo
5
«Non
posso credere di avere la febbre a 39» brontolai, fissando il
termometro e
coprendomi il più possibile con la coperta per evitare di
tremare. Mi sentivo
il corpo tutto intorpidito, la testa scoppiare, la gola bruciare e il
naso
tappato. Insomma, un bel modo di iniziare la giornata; era dal giorno
prima che
pioveva e la cosa non mi rendeva affatto allegra.
«Sorellina,
dovevi proprio ritornare a casa tutta inzuppata?» mi chiese
premurosa Fine, con
una rughetta fra le sopracciglia che mostrava quanto fosse preoccupata
per me,
anche se un po’ di febbre non aveva mai fatto del male a
nessuno. «È pazzesco!»
esclamai, «mi sono persino fermata un po’ da Mirlo
per chiederle un ombrello.»
«Certo,
rifiutando i suoi vestiti che ti aveva chiesto di mettere per evitare
di finire
in questo stato» mi incalzò sospirando. Mi chiesi
se fossi sempre stata così
problematica. «Forse è meglio che tu vada a
scuola» feci, cambiando argomento,
«non vorrai mica far infuriare i professori! E visto che ci
sei, riporta
l’ombrello a Mirlo e ringraziala da parte mia.»
«Secondo
me avrà la mia stessa reazione quando le riferirò
in che condizioni sei»
commentò pensierosa, alzandosi. Roteai gli occhi, lei si
preoccupava
decisamente troppo quando si trattava di me, anche solo per una cosa
minima; e
pensare che ero io che dovevo avere quel compito. «La mamma
ha detto che la
zuppa è nella pentola, basta che tu la riscaldi. E ricordati
anche della
medicina dopo il pranzo.»
«Certo,
sorellina» dissi
sottolineando bene
l’ultima parola. Diamine, sembrava mia madre –
forse era proprio lei ad averle
detto di riferirmelo.
Lei,
invece, fece una faccia dalla serie: “Non prendermi in
giro”, aggrottando leggermente
le sopracciglia in uno sguardo di rimprovero e sospirando rassegnata.
Era come
se i nostri ruoli si fossero invertiti, così io ero
diventata la sorella minore
mentre lei era la maggiore (anche se, sinceramente, non le addiceva
affatto
quel ruolo: quel suo viso infantile e spensierato le stava bene proprio
perché
era la piccola di casa). Le sorrisi incoraggiante e le dissi:
«Vai, prima che
arrivi ancora in ritardo. Salutami gli altri.»
Quando
sentii la porta di casa chiudersi e gli schiocchi della serratura che
mi
chiudeva nell’abitazione, potei sospirare e fare un piccolo
sorrisetto di
soddisfazione sotto le coperte, con il ticchettio della pioggia che
batteva
contro il vetro a farmi da sottofondo.
Ero
finalmente riuscita a dire qualcosa di buono a Shade, e questo mi
faceva assai
sentire bene. Avvolta nella mia calda coperta, cominciai a pensare a
cosa altro
avrei potuto dirgli per risolvere quel piccolo (?) problema. Avevo
finalmente
raggiunto uno dei cinque obiettivi che mi aveva prefissato dopo quasi
un mese,
un po’ di felicità doveva pur starci!
In
quel
momento, mi ricordai che Shade era sempre stato così
menefreghista che,
sicuramente, non avrebbe messo in atto quello che gli avevo detto il
giorno
prima dopo che avevamo raggiunto la casa di Mirlo –
“Ti prego di non essere
così distaccato da mia sorella, lei ci tiene a te e lo
sai” – così decisi di
mandargli un messaggio per ricordarglielo.
La
risposta fu lenta, ed io, vinta dalla stanchezza, mi addormentai
aspettandola.
«Sai
che si dice?» mi chiese, facendomi
voltare verso di lui. Sul suo viso spensierato era comparso un accenno
di
sorriso, ed io non potei fare altro che pensare che fosse bellissimo.
«Se
pieghi mille gru di carta, una per ogni momento felice, un tuo
desiderio si
avvererà» continuò, posando il suo
sguardo su di me e tirando fuori dalla tasca
della giacca un piccolo uccello in origami. I colori della carta
parvero
splendere sotto la luce del sole mentre me lo metteva sul palmo della
mano. «Tu
sei così ossessionato da queste gru che mi fai venire voglia
di farle anche io»
risi, posando la testa sul suo braccio e chiudendo gli occhi, godendomi
il
tepore del sole di maggio.
La
prima cosa che guardai, una volta messami seduta sul letto, fu il
flaconcino di
stelle origami sulla mia scrivania. Mi venne istintivo, forse
perché non avevo
alcuna voglia di alzare la testa e guardare tutti quegli uccelli
colorati che
svolazzavano sulla mia testa, così avevo ripiegato su
qualcosa che avevo
imparato a fare io.
Mi
ricordai che il cellulare aveva vibrato, così lo controllai
e lessi il messaggio
che Shade mi aveva inviato: “Signorina, non ricordi che sono
ritornato a casa
tutto inzuppato e che la stagione delle piogge mi fa un brutto
effetto?” In
qualche modo mi sentii molto soddisfatta (e sadica). Fui molto
più tranquilla
nel constatare che quel giorno in cui non ero andata a scuola anche
Shade fosse
a casa, così potevo smettere di preoccuparmi. Notai anche
che era mezzogiorno
passato, così decisi di alzarmi – di mio malgrado
– per scaldare la zuppa di
pollo che mi aveva preparato mia madre.
La
sera
Fine ed io parlammo per molto tempo, e lei osservò che
neanche il suo
“fidanzato” era andato a scuola, chissà
come mai. In quel momento mi sentii
leggermente in colpa, poiché ero stata io a dire a Shade di
accompagnarmi a
prendere la torta alla mia gemella e a Mirlo, ma alla fine non ci badai
più di
tanto: Fine aveva già cambiato discorso.
Mi
sentivo ancora male, ma quando lei mi chiese se il giorno seguente
sarei stata
in grado di ritornare a scuola, le riferii sicura che sarei stata
presente e le
dissi di non continuare a preoccuparsi per me, un’influenza
ben curata non
aveva mai fatto del male a nessuno.
Quando
mi ritrovai sola nella stanza, non potei evitare di guardare il
soffitto,
pensando che fosse passato davvero molto tempo da allora.
Dalla
volta in cui ci eravamo lasciati non avevo fatto altro che pensarci e
ripensarci così tante volte che non ricordavo un momento in
cui non avessi il
pensiero del passato in testa. Avevo perso tutto quello per cui avevo
promesso
di vivere che le giornate mi sembravano sempre cupe e grigie, senza un
accenno
di colore.
Ero
una
ragazza con un normale cuore spezzato, continuando a sorridere
forzatamente in
modo normale e piangendo di notte sotto le coperte con la testa piena
di
ricordi d’amore normali. Non avevo niente di straordinario,
sebbene tutti mi
avessero detto quanto fossi formidabile nel continuare la vita come
sempre
senza riporre la mia tristezza nel mio cuore.
Quella
volta mi chiesi se fosse veramente così facile leggermi
dentro.
Il
giorno dopo avevo ancora un po’ di mal di gola, ma non era
niente di grave,
cosicché potei ritornare normalmente a scuola. Alla pausa
pranzo Mirlo mi disse
in tono di rimprovero che dovevo prendermi più cura di me
stessa. Quando feci
notare che al nostro allegro gruppetto mancava ancora Shade, Bright mi
disse
che aveva ancora l’influenza, ed io mi chiesi cosa poteva
esserci di peggio per
quel ragazzo dell’autunno. Fine propose di andare a casa sua
a fargli visita,
il che mi fece rabbrividire perché non mi era mai piaciuto
lo stato in cui si
presentava ogni volta che andavamo a trovarlo – era sempre
stato più irritante
del solito.
Così
Fine dovette andare da sola, poiché tutti gli altri la
pensavano come me, con
la scusa di “lasciarli un po’ soli”. Mi
venne un po’ da ridere, ma ne fui
felice perché, dopotutto, mia sorella doveva davvero restare
un po’ sola con
Shade. Magari si sarebbe risolto tutto ed io non mi sarei
più dovuta
preoccupare.
Durante
l’ora di economia domestica Altezza volle sapere tutto di
quello che era
successo due giorni prima, poiché le avevo detto di sfuggita
che sarei uscita
con Shade. Si fece raccontare il tutto nei minimi particolari, e quando
finii
lei si fece pensosa, da come riuscivo a percepire la sua espressione
tipica di
quando faceva yoga (sì, faceva yoga), dopodiché
non mi disse più niente. Mi
chiesi da quando in qua Altezza era così interessata a
quello che succedeva fra
me e Shade.
Alla
fine della lezione finalmente mi parlò. «Certo che
voi due siete strani»
commentò, ed io, perspicace come al solito, non capii
proprio il perché di
quell’affermazione e le chiesi spiegazioni. Lei
liquidò l’argomento
proponendomi di uscire ad accompagnarla a fare compere.
La
sera
notai che era da un sacco di tempo che non riuscivo a godermi una
giornata del
genere. Niente scommesse, niente Shade, niente situazioni fuori dalla
norma,
solo una tranquilla giornata nuvolosa che odorava di autunno.
Ascoltando la mia
gemella parlare di quanto fosse stata felice di vedere il suo ragazzo,
mi
dissi, per la milionesima volta in quelle settimane, di essere una
cattiva
sorella maggiore. Lei sembrava così gioiosa, eppure io non
mi sentivo affatto
bene: avrei dovuto mentirle, ancora e ancora, fino a quando tutte le
cose non
sarebbero andate al loro posto, cosa che molto probabilmente non
sarebbe
accaduto molto presto. E, ironia della sorte, alla fine mi disse
proprio che
era grazie a me se lei era potuta stare con Shade così a
lungo. Non seppi che
dirle per paura di ferirla, anche se impercettibilmente.
Non
ero
particolarmente portata per lo sport o per
l’attività fisica in generale,
quindi l’ora di educazione fisica non era mai stata tra le
mie preferite, al
contrario della mia gemella, che riusciva a trovare in quella lezione
uno sfogo
per tutto quello che non riusciva a portarsi dietro: correva, saltava,
eccelleva negli esercizi; aveva sempre avuto dei buoni voti in quella
materia,
al contrario del resto. Io ero l’opposto: mi sforzavo di non
tenere troppo
bassa la mia media scolastica (ma nemmeno mi piaceva essere vista come
una gran
studiosa, ciò voleva dire mettersi in mostra per me, e non
ero particolarmente
attirata da qualcosa del genere), ma in educazione fisica ero davvero
una
frana.
Quel
giorno non pioveva, il sole era sì e no presente, per cui
non riusciva a
scaldarci molto a causa della temperatura che si stava abbassando:
l’autunno, a
Wonder, era particolarmente freddo, così come
l’inverno.
Sebbene
avessi fatto solo due giri della palestra, mi sentivo già un
po’ affaticata, e
sperai che quel riscaldamento finisse presto: era la cosa che detestavo
di più,
la resistenza in corsa non era il mio forte – non che negli
altri esercizi mi
piacessero. L’unica cosa che mi piaceva del correre era che
liberavo la mente
da tutto quello a cui stavo pensando poco prima, lasciando il vuoto
più
assoluto nella mia testa facendomi concentrare nella corsa. Il vuoto.
Quel
giorno avremmo dovuto giocare a palla prigioniera, e io odiavo
quell’orribile
gioco: mi prendevo almeno una pallonata in faccia all’anno, e
non era una cosa
molto piacevole – tra l’altro, noi ragazze facevamo
educazione fisica con i
maschi; se non riuscivano a controllare la loro forza era impossibile
uscire
illesi da quella lezione. Era orribile. Non feci altro che correre di
qua e di
là per tutto il tempo, avendo il costante terrore di essere
beccata.
Ma
nella mia mente era presente ancora il vuoto. Mi piaceva un sacco
quella
sensazione, forse era l’unica cosa positiva della lezione di
educazione fisica.
Quel giorno, non conoscevo bene il motivo, ero particolarmente
stressata, irritata,
infastidita da tutto, per questo ero decisamente felice che ci fosse
stata
quell’ora.
Anzi,
è meglio dire che sapevo benissimo perché ero
tanto lunatica quel giorno, solo
che odiavo ammetterlo. Perché, alla fine, gira e rigira, la
risposta a quella domanda
– Perché ti ostini a
volere che gli altri
non smettano di amare le persone a loro care? – era
chiarissima: ero così
egoista che questo mio egoismo divenne altruismo e che mi fece pensare
che si
fosse sempre trattato di quest’ultimo, fino a quando Shade
non me l’aveva
rinfacciato con parole dure e poco delicate. In qualche modo gli ero
grato, ma
non ci volevo proprio pensare.
Perché
la causa di tutto era lui. Era lui che era all’occhio del
ciclone, ed ero
sicura che lo sapesse bene – impossibile che Shade fosse
così poco sveglio da
non riuscire a stuzzicare, quando poteva, le persone come me. Sapeva
quali
tasti premere ed ogni volta era sempre uscito trionfante da quelle
piccole
scommesse con la sua abilità nell’irritare le
persone.
Da
parte mia, comprendevo il fatto di non dover più essere
succube dei suoi
scherzi. L’ultima volta che c’ero cascata, mi era
costato caro.
Ad
ogni modo, dopo quell’ora mi sentivo meno attiva del solito e
un po’ debole.
Non
mi era mai successo. Molto probabilmente era per il fatto che due
giorni prima
ero stata malata, quindi non ci feci molto caso. Durante
l’ora successiva,
letteratura giapponese, non riuscivo a fare altro che sospirare e
cercare di
tenere gli occhi e le orecchie aperte, con non molto successo. Chiesi
di andare
in infermeria, e la professoressa mi accordò il permesso.
Stavo
per scendere le scale quando incontrai Bright, «Oh,
ciao» lo salutai.
«Rein,
cosa ci fai in giro adesso?» mi domandò,
leggermente sorpreso – non capii il
motivo di quella sorpresa. «Dovrei farti la stessa
domanda» replicai, «Comunque,
sto andando in infermeria. È da stamattina che, non so
perché, mi sento particolarmente
poco bene, anche se la febbre è scesa da ieri».
«Era
meglio se fossi restata a casa» commentò di
rimando: si era sempre preoccupato
per le altre persone, lui sì che era altruista.
«Vuoi che ti accompagni? Tanto
devo solo andare in biblioteca.» Sentivo il mio corpo
intorpidito, non riuscivo
a muovermi nonostante mi stessi ripetendo “Muoviti, muoviti,
muoviti” come un
mantra. Avrei voluto dire a Bright di non preoccuparsi e che ce
l’avrei fatta
da sola, ma non lo feci perché il secondo dopo non vidi
altro che nero.
“Ascolta,
Rein. Non devi essere
triste, capito? Altrimenti tua sorella si preoccuperebbe.
Così come Altezza. E Lione,
Tio, Auler, Sophie, Bright, Mirlo, Shade. Devi essere forte, in modo
che loro
possano continuare a vivere in modo sereno e senza alcun pensiero
triste. Sii fiduciosa,
così tutto passerà e ritorneresti alla vita
normale. Non importa cosa
succederà, non lasciar trasparire le tue emozioni.
Mai.”
Mi ero ripetuta
tutto quello
per mesi e mesi, fino a farmi venire il voltastomaco.
«To’,
allora era vero quello che aveva detto Bright.»
Con
quella frase pronunciata dalla bocca di Shade mi svegliai, sebbene non
aprii
gli occhi: ancora troppo stanca per farlo, e troppo svogliata nel
vedere la sua
faccia fissarmi con un sopracciglio alzato (perché ero
sicura che avesse un
sopracciglio alzato). «A quanto pare»
sospirò Altezza. Ciò mi sorprese non
poco, dato che Altezza era l’ultima persona che pensavo
potesse venire a
trovarmi, così come Shade. Ancora una volta non volli aprire
gli occhi per
vedere l’espressione della mia compagna di classe.
«Era
rientrato in classe con i sopraccigli corrugati, quando era ritornato
al posto
mi ha riferito che Rein era svenuta nel bel mezzo della sua proposta di
accompagnarla in infermeria» riferì, con un lieve
sospiro. «Seriamente, tuo
fratello si preoccupa troppo per ogni minima cosa.»
«Lo
so» rispose Altezza, «sai
com’è, è fatto così.
Dovresti saperlo bene, è
praticamente una vita che ci conosciamo.» Quel
“è praticamente una vita che ci
conosciamo” fu detto con molta rassegnazione, in cui vi lessi
un lieve compiacimento
di cui non mi seppi spiegare il motivo. Ne seguì un
silenzio, nel quale sentii
il letto accanto al mio scricchiolare leggermente. Probabilmente era il
ragazzo
di mia sorella che si era seduto. «Piuttosto, che ci fai qui?
Non dovresti
essere in classe?» chiese Altezza, curiosa.
«Ora
buca» rispose semplicemente l’altro,
«così ho deciso di venire a trovarla.»
Nell’aria era sospesa la domanda “E mio
fratello?”, così Shade completò la
risposta: «Bright, invece, ha detto che doveva copiare i
compiti di inglese,
così gli ho passato i miei».
«Bene»
fece soddisfatta Altezza, «così potremo parlare
indisturbati.» Ciò mi fece
subito drizzare le orecchie, indecisa se cercare di addormentarmi
oppure
rimanere sveglia. Sembrava fosse qualcosa di serio, e raramente la mia
compagna
bionda era seria. Infatti, dopo poco, gli disse: «Ho saputo
da Rein di questa
piccola scommessa fra voi due. Mi sto ancora chiedendo il motivo,
sinceramente.»
«Ti
ha detto questo?» chiese, leggermente allarmato.
Dopodiché si ricompose, quando
continuò: «Non dovremmo parlare in sua presenza,
ad ogni modo.»
«Ah,
tanto è già andata da un bel
po’» disse, con così tanta noncuranza
che la
maledii mentalmente per quello. Ero ancora di fronte al bivio
dell’addormentarmi
o meno, ma sapevo già che, oramai, era inutile cercare di
svenire una seconda
volta per non ascoltare il loro discorso. Così mi aggrappai
alla speranza che
Shade non fosse così poco prudente da accettare quello
come un pretesto per
non uscire dalla stanza, anche se, sinceramente, morivo dalla voglia di
sapere.
Shade
sospirò stanco, «Come vuoi». Il che mi
fece sentire perplessa sul ringraziarlo
o meno. Potei immaginarmi Altezza ghignare quando disse:
«Allora? Vuoi dirmi il
perché di questa scommessa? Non mi sembra qualcosa da
te».
Il
cuore cominciò a battermi forte. Non sapevo
perché. Era un beneficio oppure no
il fatto di sapere per quale assurda ragione Shade mi aveva proposto
quella
sfida? In fondo, lui era uno di poche parole, non avrebbe avuto senso
chiedermi
di trovare cinque motivi per mantenere vivo il suo amore (?) per Fine
quando
gliene sarebbe bastato solo uno per lasciarla.
«Avevo
bisogno di stimoli» rispose, «Non mi bastava
più avere qualcuno con cui
confortarmi quando mi annoiavo.» Mi ricordai di quella
ragazza che stava
baciando il primo giorno di scuola, e sentii un brivido corrermi lungo
la
schiena: era a quelle cose quello a cui stava alludendo?
«Pff,
d’accordo.» Altezza non sembrava affatto sorpresa,
né incuriosita da quella
frase. Un altro silenzio non riempito da alcuna parola si fece spazio
nella
conversazione. Mi chiesi se lei lo sapesse già di quello che
stava succedendo
allora oppure non aveva voglia di avere a che fare con certi argomenti
personali. O forse lo conosceva così bene – era
davvero una vita che Altezza,
Bright e Shade si conoscevano – da doversi aspettare qualcosa
del genere.
«Senti,»
fu ancora la mia compagna a parlare, «non è che
stai solo cercando di
sopprimere quell’interesse che avevi per Rein qualche tempo
fa, prima che si
mettesse con quel ragazzo?»
Mi
si gelò il sangue nelle vene.
«Non
mi dire che ce l’hai ancora, dopo questi due anni»
lo incalzò ancora.
Deglutii
a fatica.
«Di
certe cose è meglio non parlarne, Altezza. È
stato un po’ di tempo fa.»
Strinsi
l’orlo della gonna, come se fosse stato un antistress.
«Capisco.
Dunque, per questo.»
Bastabastabasta.
«Chissà.
E, comunque, non sono affari tuoi.»
Preferii
non immaginarmi le loro espressioni.
«Sai,
forse non hai così ragione, nel dire che è stato
un po’ di tempo fa. Vi conosco
fin troppo bene da non affermare che, per voi, il tempo non
è mai passato.»
L’ultima
volta che c’ero
cascata, mi era costato veramente caro.
N/A:
ASNAURFNEIOSJAPKFMNIASJOKsì.
Ce.
L’ho. Fatta. Finalmente.
Non
so se stavate aspettando questo
capitolo con trepidazione o meno, ma fatto sta che sono davvero molto
realizzata
nel finire di scriverlo, e spero vivamente che vi sia piaciuto. Leggere
fan fiction di alta qualità (ah ah, sembra che
stia parlando come i tizi che parlano nelle pubblicità)
stimola davvero un
sacco l’ispirazione. Grazie per esistere, EFP e
FanFiction.net!
Sono
le 2 di notte e per 4 giorni non
andrò a scuola (oggi, l’8, perché
è Sant’Ambrogio, domani e dopodomani
perché
le scuole, qui da me, a Milano, sono chiuse a causa
dell’allarme smog D:
Domenica non si va a scuola perché è
così, YEEEEE), quindi mi sento tanto
felice che posso dormire di più.
Non
ho molto da dire su questo
capitolo, tranne che scusarmi per questo orribile ritardo. Sono
tremenda, lo
so. Tra l’altro, il 22 parto di nuovo perché devo
andare al matrimonio di mia
cugina (ergo vado a tingermi i capelli, a visitare un sacco di
città, shopping
e a fare il book fotografico, uhuh), quindi fino al 9 gennaio sono via.
Prima
di quella data, quindi, credo di poter pubblicare il sesto capitolo, ma
non ne
sono sicura, sappiatelo. Se non fosse così, mi scuso ancora
una volta.
Oh,
tra l’altro, l’incontro di EFP è
stato entusiasmante! Sono stata davvero felice di potervi partecipare.
Peccato
non aver incontrato alcun autore che conoscevo tramite i diversi
fandom, ah ah.
Tra l’altro, erano tutti più grandi di me,
così mi sono sentita un po’ sola,
anche se mi hanno detto che sembro più grande. [cit.] Ho
conosciuto Erika, la
webmistress, e anche Erika De Vivo, l’autrice di
“La vita che avevo” del libro “Niente
è come prima”! Mi congratulo con te, è
stata una storia davvero profonda e
toccante :) (Anche se dubito che mi leggerà qui dentro XD)
Bene,
direi che è tempo di salutarsi.
Spero che continuiate a supportarmi! Tra l’altro, ho bene in
mente l’epilogo –
l’ho già scritto, ah ah.
Noth aka Rainy/Ameshiri!
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Capitolo
6
Ritornai
a casa, quel giorno, che non riuscivo più a respirare.
Tutto
quello che mi frullava in testa era Shade
è innamorato di me quando invece avrebbe dovuto esserlo di
mia sorella.
Però,
lui non l’aveva confermato, giusto? Era stata Altezza che
aveva detto
quell’assurdità. Era passato. Non presente. Una
volta lui era innamorato di me.
Adesso no. Sicuramente.
Ma,
allora, perché diamine avrebbe voluto fare quella scommessa?
Per
testarmi.
Per
infastidirmi.
Per
rendermi la vita più difficile.
Per
distrarmi.
Qualunque
fosse stato il motivo, c’entravo, in qualche modo, sempre io.
Quella era la
verità, e non sapevo come fare per cambiarla. Il cuore mi si
stava spezzando in
mille pezzi, non sarei più riuscita a guardare in faccia
né Altezza, né Shade.
Tantomeno Fine, la mia amata sorella che avrei supposto di dover amare
e
proteggere da ogni male del mondo, quando il male ero diventata io stessa.
Non
sapevo come fare, cosa fare.
Mi
sedetti sul letto e fissai prima l’orologio, poi il cellulare
che avevo
appoggiato poco prima sul comodino. Avrei voluto chiamare qualcuno, ma
chi? Non
avevo nessuno con cui confidarmi. Altezza era fuori discussione, ad
ogni modo:
non potevo di certo rivolgermi a qualcuno che conosceva tanto bene
Shade da
portarmi disgrazie come quelle, anche se sapeva tutto quello che era
successo.
Lione o Mirlo? No, troppo dolci ed ingenue per capire la situazione.
Auler e
Sophie erano decisamente allegri, avrebbero preso tutto con ottimismo
senza
considerarne le conseguenze. Tio era troppo piccolo.
La
risposta arrivò quando il cellulare squillò,
facendomi sobbalzare. «Sì,
pronto?» feci, appoggiandomi al comodino: ero ancora un
po’ spossata e non mi
sentivo molto bene. Dall’altra parte della linea la voce di
Bright, in qualche
modo, mi suonò come una campana di salvezza, una corda a cui
aggrapparmi anche
se non sapevo ancora come fare: «Rein? Sono Bright».
«Ciao»
feci, cercando di nascondere la mia emozione: lui conosceva Shade e
sicuramente
mi avrebbe dato delle risposte. Così mi sarei decisa sul da
farsi. «Stai bene?
Oggi avevi proprio una brutta cera.»
«Sono
ok,» risposi, «è solo che ieri sera non
sono riuscita a dormire bene, tutto
qui. Grazie per avermelo chiesto e per avermi portata in infermeria
– immagino
sia stato tu a farlo.»
«Fa
nulla,
così avrei avuto una scusa se fossi stato via per
più tempo» rise, così come
feci pure io. Mi sedetti sul letto, tirando un sospiro.
«Piuttosto» cominciai,
cercando in fretta le parole adatte, «sai per caso cosa sta
succedendo a Shade
in questi giorni? Fine mi ha riferito che si sta comportando in modo
strano.»
Non avevo alcuna intenzione di rivelare a Bright che cosa quel testone
del ragazzo
di mia sorella mi avesse proposto, né cosa avessi scoperto
quel giorno. Volevo
solo… che confermasse le mie teorie e le parole di Altezza,
tutto qui.
«In
che
senso?» chiese con un tono leggermente perplesso, e mi
aspettai quella domanda.
«Non saprei, Fine non mi ha detto nulla in proposito. In
effetti avevo notato
pure io che, in questi ultimi tempi, a volte se ne vada di soppiatto a
casa.
Insomma, qualcosa del genere, credo.» Non seppi se quel
“credo” fosse fuori
posto o meno, ma fatto stava che Bright fece un
“Mmh” pensieroso. Ciò mi fece
chiedere se mi stesse nascondendo davvero qualcosa.
Avevo,
più che altro, paura che mi confermasse le parole della
sorella: non avrei
sicuramente saputo dove sarei andata a sbattere la testa.
«Glielo
chiederò» fu la sua risposta, alla fine. Non seppi
se ridere per non piangere o
piangere per non ridere. «No, senti, lascia stare,»
dissi in tono sbrigativo,
«non ce n’è bisogno.» Sapevo
benissimo che Bright era capace di chiedere una
cosa del genere a Shade: anche lui, molto spesso, era uno che non aveva
peli
sulla lingua.
«Ad
ogni modo, se noti qualcosa, ti prego di dirmelo» gli
raccomandai, «ovviamente,
senza dire niente a Shade. Ti prego davvero di non farlo,
quest’ultimo punto.»
Sperai di convincerlo senza che mi chiedesse spiegazioni,
perché altrimenti non
avrei saputo come rispondergli senza sfociare nella paranoia o
confusione (o
senso di colpa). Ringraziai il cielo perché Bright fosse una
persona semplice e
di poche parole, senza che voglia complicarsi la vita perché
mi rispose:
«Certo, non c’è nessun
problema».
Dall’altro
capo della linea sentii sua sorella urlare qualcosa del tipo aiutarla a
fare
chissà cosa. «Vuoi parlare un po’ con
Altezza? A dirla tutta, ti ho chiamata
solo per chiederti se stessi bene, niente di più»
disse il mio amico. Ci pensai
per qualche secondo, forse avrei davvero dovuto parlarle di quello che
era
successo quel giorno. Sapevo che sarei finita comunque a fare un
po’ di
certezza, non ero una tipa che lasciava le cose a metà ed a
cui non piaceva
nemmeno il fatto di non poter chiarire le cose quando si poteva
benissimo
chiarirle. «Perché no?» risposi allora,
e, dopo aver salutato Bright, sentii la
sua voce chiamare la sorella e i tipici rumori di quando si passa il
telefono
ad un’altra persona.
«Sì,
Rein?» rispose Altezza, sbuffando con fare indaffarato. Mi
morsi la lingua per
non riferirle cosa avevo davvero
pensato in quel momento, e mi limitai ad un indifferente (?)
«Ti devo parlare».
Lei
sembrò pensarci un po’ su, e poi mi rispose:
«Su cosa? Non credo di aver fatto
qualcosa di male, oggi». Il tono della sua voce era di una
sincerità disarmante
ed io, in tutti gli anni che l’avevo conosciuta, sapevo
riconoscere quando
stava mentendo e quando era così dannatamente ingenua da
farti chiedere se
fosse veramente la stessa Altezza che adorava esercitare il proprio
sadismo
(più o meno) sulle altre persone innocenti. Così
mi voltai verso la finestra
per vedere se stesse succedendo qualcosa di interessante o meno, ed
invece ci
fu solo un piccione con le ali spiegate che scendeva verso terra e le
foglie
che continuavano a cadere dagli alberi. Sospirai, «Non ti eri
accorta che ero,
uhm, sveglia, oggi in infermeria?»
«Oh»,
ed un silenzio calò su di noi. «Ops»
fece, «scusa».
Fu
allora che esplosi, nel senso letterale del termine. «Mi dici
che diamine ti è
saltato in testa?! Dio cristo, come diamine fai a dire con
così leggerezza che
– argh! – Shade era innamorato di me?!»
Non sapevo più che pesci pigliare con
la mia compagna, tanto era esasperante ed istintiva. Ringraziai il
cielo perché
Fine fosse andata a casa di Lione, altrimenti si sarebbe preoccupata
sicuramente (soprattutto dal momento che avevo detto ad alta voce
ciò che avevo
sentito uscire dalla bocca di Altezza!). Presi un respiro prima di
ricominciare
a parlare, prendendo a camminare per la casa a passi pesanti.
«La prossima
volta che fai una cosa del genere, giuro che non la
pass—»
«Frena,
bellezza» m’interruppe lei, con tono poco
amichevole e minaccioso, «non è mica
colpa mia se non eri svenuta in quel momento. E poi, tanto per
puntualizzare, io
non ho detto che Shade è innamorato
di te. Ho solo chiesto se, magari,
nutrisse
ancora qualche sentimento nei tuoi confronti.»
«Oh,
potevi benissimo parlargli fuori dall’infermeria!»
«Certamente,
così tutti ci avrebbero sentito e addio alla tua scommessa e
al suo segreto.
Rein, seriamente, ti pensavo più intelligente.»
Mi
morsi il labbro. Aveva effettivamente ragione, anche se ero
così cocciuta da
non voler riconoscere che quella era stata una mossa astuta, degna di
Altezza.
«Ok, ok. Senti, parliamone domani, sto cominciando a sentirmi
male di nuovo.» E
non era una scusa. Un po’ mi faceva male qualcosa
all’altezza del petto, ed ero
sicura che era il cuore. Un dolore insopportabile.
Allora
era vero che Shade era stato innamorato di me, una volta.
«Mmh,
come vuoi» disse lei, con un tono che mi fece pensare che
avesse voluto fare
apposta tutto quello, anche se ero sicura che fosse stato completamente
involontario – la conoscevo troppo bene, lei
mi voleva troppo bene, ne ero consapevole. «Ad ogni
modo» fece per dire, ma
ritirò subito le sue parole. «No, anzi, nulla. Te
lo dico domani. Cerca di
riposarti bene.»
Riattaccò.
«Sai
cosa c’è di buffo?»
Mi
voltai a fissare i capelli biondissimi – mi ero sempre
chiesta se per caso se
li tingesse/schiarisse oppure se fosse il suo colore naturale
– della mia
compagna, raccolti in una coda alta per agevolare le azioni durante
l’ora di
economia domestica.
Eravamo
finite, come al solito, in gruppo insieme, e non c’era niente
di meglio:
Altezza era una fantastica cuoca, al contrario di me che ero solamente
capace
di far bollire l’acqua. «Mmh, cosa?»
chiesi, forse ancora un po’ arrabbiata per
la conversazione del giorno prima.
«Beh,
il fatto che tu ti sia cacciata in un guaio del genere» mi
rispose,
appoggiandosi al bancone ed aspettando che i restanti 7 minuti di
cottura in
forno passassero. Mi fissò con una piccola smorfia disegnata
sulla bocca. Incrociai
le braccia e la fissai perplessa con un sopracciglio alzato,
«Beh, dovevo pur
difendere la mia reputazione.»
«Sarà»
mi disse di rimando, «ma se fossi stata in te avrei
semplicemente messo da
parte il mio orgoglio per non peggiorare le cose.» Sospirai.
«Altezza, sappiamo
benissimo entrambe che sei perfino più istintiva di
me» la stuzzicai io, con un
lieve sorriso sulle labbra. Lei alzò le mani in segno di
resa, «Probabilmente.
Volevo solo fare la parte dell’amica consigliera. Comunque,
credo che…» si
fermò. Le diedi uno sguardo interrogativo, a cui lei rispose
con una scrollata
di capo. «Niente.» Passammo un po’ di
tempo in un beato silenzio.
«Volevo
chiederti, non ti penti?» ruppe il silenzio tra noi,
prendendo una ciocca di
capelli e rigirandosela fra le mani studiandone le punte, ed io non
risposi.
Restammo qualche secondo in un secondo silenzio; il brusio delle altre
nostre
compagne che parlavano e il “ciak ciak” e
“tling tling” dei diversi utensili da
cucina che sbattevano gli uni contro gli altri riempivano
l’aula. Lei alzò lo
sguardo per fissarmi negli occhi, io invece lo abbassai a guardare le
scarpe e lisciarmi
il grembiule verde: non mi piacevano quel genere di conversazioni.
«Voglio
dire» fece, «non ti penti di aver lasciato andare
tutto?»
«Quando
intendi?» chiesi, alzando di nuovo gli occhi con fare
perplesso. Lei sembrò
pensarci su, cercando le parole giuste, probabilmente.
«Quando eri ancora
innamorata di…» e cercò di farmi capire
con lo sguardo di chi si trattasse.
Colsi l’eloquenza dopo poco. «Ah»
mormorai. Era passato così tanto tempo che
quasi me n’ero dimenticata. «Beh, diciamo che sto
ancora sperando di fare la
cosa giusta» azzardai.
«Se
non
avessi mollato, sono sicura che a quest’ora stareste insieme
a ridere come
degli idioti» mi disse, sospirando e smettendo di torturare i
suoi capelli.
Feci un mezzo sorriso, alzai leggermente le spalle. Sembrava che ogni
mio
movimento fosse debole e senza vita, forse perché era
così che mi sentivo.
Altezza
aveva ragione; a quest’ora sarei stata ancora con lui.
«Scusa
se te lo dico» ricominciò,
«perché probabilmente questa cosa non ti
farà
piacere.» Feci un cenno per dire che poteva continuare a
parlare. Era come se
il mio cuore fosse così scalfito dalla realtà che
niente, oramai, avrebbe
potuto lasciargli altri segni. «Credo che tu non abbia
più la forza di volontà
di una volta, tutto qui. E poi – rise – sembra
proprio che il destino voglia
giocarti brutti tiri continuamente.» Sorrisi
anch’io, «Sembra proprio di
sì».
Altezza
era formidabile. Riusciva a capire come mi sentivo quando ce
n’era bisogno
senza che io debba trovare un modo per dirglielo. Mi chiesi se avesse
qualche
sorta di potere psichico di cui io non sapevo nulla. Parlare con lei mi
rendeva
così serena che sperai che rimanessimo amiche per davvero
sempre.
«Ad
ogni modo, Rein, non ti sto dicendo di mollare proprio ora o di
rimpiangere
tutte quelle cose che non hai fatto in passato. Vorrei solo che
ripensassi a
cosa avresti potuto ottenere se non ti fossi arresa allora.»
Fece un piccolo
sorriso. «Magari, in questo modo, anch’io potrei
capire cosa sta succedendo
nella tua testa. Sei sempre stata così enigmatica!»
E
il
“ding” del forno pose fine alla nostra
conversazione.
«Diamine,
diamine, diamine!» strillai, in
preda al panico, quando vidi che mancavano solo 10 minuti
all’appuntamento ed
io ero ancora sotto le coperte.
Non potevo
crederci. Ero. Di. Nuovo. In.
Ritardo. E proprio il giorno in cui, magari, avrei conosciuto
l’amore della mia
vita!
Mi vestii
velocemente – ringraziai il cielo
di aver preparato i vestiti e la borsa il giorno prima – e
corsi praticamente
fuori dalla mi stanza. Se non fosse stato per mia madre, che mi disse
di lavare
i denti prima, me ne sarei sicuramente dimenticata.
Nella mia mente,
mentre correvo verso la
fermata dell’autobus, continuavo a rimproverarmi,
perché ogni volta, ogni benedettissima
volta, ero in un mostruoso ritardo. Ma ora che mi apprestavo a
cominciare le
superiori, non avrei di certo potuto svegliarmi 10 minuti prima che
fosse
suonata la campanella!
Sperai solo che
Berry non se la prendesse di
nuovo con me. Sembrava così
eccitata nel
volermi presentare quel ragazzo! Da quello che mi aveva raccontato
avevo capito
che era l’amico di un cugino che aveva rivisto dopo tanto
tempo, quando
quest’ultimo era venuto a trovarla nella nostra
città. E sembrava anche che
fosse davvero un sacco simpatico. “Un amico in più
fa sempre bene” pensai,
sebbene poco prima lo avevo considerato come l’amore della
mia vita. Di certo
ero troppo ottimista.
Mi piaceva
pensare che c’era qualcosa di
bello in ogni cosa – una piccola parte che si nasconde, per
essere scoperta
nello stupore della quotidianità. Per questo ero
così felice di ogni evento
della mia vita, a meno che non fosse davvero un fatto di cui essere
tristi. Perché
ci sono cose che è meglio viverle all’istante, per
le altre, invece, è una
buona idea lasciarla nel cassetto dei ricordi per poi ritirarla fuori
al
momento giusto, quando ci si sente un poco più pronti.
«Diamine,
Rein! Non è possibile che tu sia
sempre in ritardo!»
A meno che non
si tratti di Berry. Era un
milione di volte più esuberante ed attiva di me che viveva
sempre la vita al
presente, senza pensare al passato e costruendo inconsapevolmente il
futuro nel
migliore dei modi.
Era tanto
esuberante da essere a volte
troppo facilmente irritabile.
«Scusa,
scusa!» dissi, alzando le mani in
segno di resa e cercando di respirare in modo normale. Quella corsa mi
aveva
così frastornata (e stancata, soprattutto), che non avevo
visto quel ragazzo
dai capelli neri come la pece dietro alla mia amica, che sorrideva
leggermente
guardando quanto Berry poteva essere spaventosa (?). «Non
è possibile» ripeté
sbattendo a terra i piedi, «E pensare che speravo che, almeno
questa volta, di
vederti puntuale! Argh, non posso credere di aver fatto una figura del
genere!»
«Ahem,
Berry, non c’è bisogno di essere
così arrabbiati» intervenne il ragazzo, salvandomi
dalla (sicuramente) lunga
predica che aveva intenzione di farmi la mia amica dai capelli color
nocciola. Lei
lo guardò, «Oh, andiamo, devo pur dirle
qualcosa!» si lamentò. «Va tutto bene,
davvero» rispose, per poi guardarmi. «Tu devi
essere, uhm, Rein, giusto? Sono Gray,
piacere di conoscerti.»
Mi
piaceva pensare che c’erano delle cose che dovevano essere
vissute all’istante
ed altre che venivano lasciate da parte per poi viverle un
po’ di tempo dopo.
Avrei
voluto
vivere bene, senza aver alcun tipo di rimpianto o cose del genere. Mi
piaceva
pensare che ogni storia d’amore finisse bene, sorridendo
delle cose felici se
per caso ci si dovesse separare.
Mi
piaceva la vita, tutto
qui. Non desideravo cose troppo grandi come la felicità
assoluta, ero felice di
quello che avevo e mi bastava solo che durassero per sempre.
N/A:
KEEP CALM AND AVGVHFHRDNKS.
So
benissimo di essere più che tremenda.
Ho
esattamente 4 cose di cui parlare:
la prima riguarda le mie scuse, la seconda di questo fandom, la terza
delle mie
fan fiction, e la quarta… la quarta non la ricordo
più. Cioè, ci ho pensato
mentre facevo la doccia, ma adesso non la ricordo.
Mi
scuso tantissimo. Sì, potete dirmene
di tutti i colori. Sono terribilmente dispiaciuta per questi due mesi
di
non-update (sto leggendo così tante fan fiction in inglese
che non ricordo più
le parole italiane, sono terribile) dei capitoli, ma proprio non sono
riuscita
a trovare l’ispirazione – questo si collega alla
seconda cosa di cui devo
parlare. Ultimamente non riesco più a scrivere in questo
fandom. Cioè, non che
la mia voglia di scrivere sia completamente sparita, solo che trovo
tantissima
difficoltà ora come ora: infatti sono riuscita a finire il
questo capitolo
giusto qualche minuto fa, non ho nemmeno voglia di controllare se ho
fatto
qualche errore (mi scuso anche per questo). Non so cosa mi succede.
Molto probabilmente
questa sarà l’ultima fan fiction che
scriverò nella sezione di Twin Princess.
Ma sono molto soddisfatta di un risultato: qualche giorno fa sono
andata nelle
storie più popolari di questa sezione e, TADAAAA!, Blue String of
Destiny era
tra quelle. Mi sembrava fosse l’unica SheRei dentro, e
ciò mi fa sentire assai
onorata. Vorrei ringraziare tutti quelli che l’hanno apprezzata ed aggiunta alle
preferite, non sapete quanto significhi per me una cosa del genere.
Grazie,
grazie, grazie! Ho inserito un tributo qui dentro, il ritorno di Berry!
Scusate
per il nome del ragazzo, ma proprio faccio schifo nel sceglierli
*laughs*
Terzo:
ho intenzione di entrare
completamente nel fandom Bleach, ed ho in serbo una piccola serie
composta da
due oneshot nella sezione Romantico. Sarà qualcosa di
spettacolare, m’impegnerò
affinché siano le due migliori storie che abbia mai scritto!
Grazie
per supportarmi, sempre, anche
se ritardo ogni volta l’inserimento dei capitoli! Vi lovvo
(?!) troppo.
Ho
una vaga idea di come sarà il
prossimo capitolo, ma vi dirò già che Rein
troverà la seconda ragione – o forse
sarà al prossimo ancora? – e una piccola
verità verrà a galla! Dopo ci sarà un
evento che cambierà le cose, so stay tuned!
Noth/Rainy/Ameshiri.
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