Hello world. I'm a normal girl.

di Rainie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 
Di recente avevo accettato un lavoro per un salario nullo.
Sono una ragazza normale di sedici anni delle scuole superiori, con una media dei voti normale, una vita normale e degli amici normali (anche se su quest’ultimo punto c’è un po’ bisogno di discutere).
Tutti quelli che conosco mi avevano sempre detto che ero la “reincarnazione” della pioggia, sebbene abbia sempre saputo di appartenere al sole dai tiepidi raggi che scalda l’inverno di questa città abbandonata dal mondo.
Facevo sempre la stessa strada per andare a scuola, studiavo sempre le stesse materie e uscivo sempre con le stesse persone. La mia vita aveva un senso unico, anche se non me ne accorgevo. Sarei diventata una donna normale, con un lavoro normale ed una famiglia normale, proprio come la vita durante l’adolescenza. Non mi importava di quali aspettative nutrivano i miei genitori, le avrei soddisfatte tutte. Erano gli altri a decidere per me, ma non m’importava più di tanto.
La mia gemella, invece, era più esplosiva di me, così esuberante che era impossibile fermarla. Se aveva un obiettivo in testa, l’avrebbe raggiunto sicuramente. Forse è solo in questo quello in cui siamo uguali. Ero anch’io una gran testarda, ma per il resto eravamo diverse, forse anche troppo per essere gemelle: Fine possedeva il carattere e l’aspetto di mia madre, aveva i capelli e gli occhi di un delizioso color rubino; io, invece, ero troppo simile a mio padre, ero il colore blu del cielo. Eravamo lo yin e lo yang, il Nord e il Sud, il giorno e la notte, l’acqua e il fuoco.
Mio padre era tranquillo, disponibile ed abbastanza allegro, così come lo ero pure io: forse era per questo che avevo accettato quel lavoro.
A causa di una serie di eventi, mi ritrovavo a volere che nessun amore sfiorisse, così ero diventata tipo Cupido, che, invece di far scattare l’amore, lo preservava. Qualche volta alcune delle mie compagne mi chiesero consigli, sebbene non fossi stata la persona giusta a cui fare certe domande, che alla fine si erano rivelati più efficaci di quanto pensassi. In questo modo si diffuse la voce sul mio “superpotere”, così per dire. Non sapevo se stessi facendo la cosa giusta e spesso me lo chiedevo, in preda ad attacchi di responsabilità improvvisa.
Ma mia sorella mi ammirava.
In casa, ero sempre stata quella “grande”, quella a cui fare affidamento. Fine era sempre stata la piccola, ed io dovevo prendermi cura di lei. Ma quella relazione era comunque vera, dato che ero nata prima io.
Con quale coraggio avrei potuto, io, la sorella maggiore, infrangere quella fiducia che lei riponeva in me?
Ed anche tutti gli altri non avevano mai dubitato, nemmeno per un momento, della mia affidabilità. Altezza, Lione, Mirlo, Auler, Sophie, Bright, Tio. Erano tutti così sicuri di me, che solo un passo falso ed avrei distrutto tutto il loro castello di carta che avevano costruito per me.
Insomma, non proprio tutti.
Fine aveva un ragazzo di un anno più grande di noi, come lo erano Mirlo, Bright ed Auler. Si chiamava Shade, ombra, un tipo piuttosto taciturno e dal carattere freddo e distaccato. Sorrideva raramente, era, più che altro, il suo ghigno beffardo che faceva capolino sulla sua bocca, facendomi spesso rispondere con un commento sarcastico o un insulto. Non eravamo mai andati d’amore e d’accordo; non avevo mai saputo come fosse diventato il fidanzato di Fine, data la loro diversità. Forse, semplicemente, erano due poli opposti che si sono attratti.
Diceva spesso che non aveva bisogno di me, che ero inaffidabile – anche se questa cosa mi faceva sentire più che sollevata, era una persona in meno che mi dava la possibilità di ferirla. Era, invece, mia sorella che spesso mi chiedeva di aiutarla, perché non sapeva cosa doveva fare con lui. Ed io, sospirando, cercavo sempre di darle dei consigli.
Era così la mia vita: piatta, senza un minimo di cambiamento, ma mi andava bene così. Era la normalità.
Era questo quello a cui pensavo mentre ascoltavo distrattamente il discorso del preside alla cerimonia di apertura del secondo trimestre. L’autunno era sceso giù all’improvviso, piovendo, senza nemmeno darmi il tempo di prepararmi per bene. L’estate era volata, ed era cominciata nuovamente la scuola.
«Che noia che è stata!» si lamentò Fine, mentre uscivamo dall’aula magna. Era di sicuro così che si sentivano tutti gli altri studenti, data la quantità industriale di sospiri che avevo sentito durante quella riunione. Alzai un sopracciglio e mi voltai a guardarla, per poi dirle: «Santo cielo, prega che nessuno ti abbia sentito».
Era vero che pure io mi ero annoiata da morire, ma di certo noi studenti non potevamo dire certe cose. «Uff, ma è stato davvero così… non riesco a trovare un’altra parola che non sia “noioso”» borbottò la mia gemella, sbuffando sonoramente.
“Come potrei non darti ragione?” pensai, sospirando pure io.
La città in cui vivevamo, Wonder, non era poi così grande. Il clima era piuttosto mite, anche se d’inverno faceva un freddo che non ne si poteva. Io e Fine non eravamo nate lì, ma c’eravamo trasferite al terzo anno delle medie. C’erano poche scuole nella città, ragion per cui abbiamo conosciuto gran parte dei nostri compagni del liceo alle medie.
Ed erano 3 anni che ero compagna di classe di Altezza, 3 anni in cui mi chiedevo come diamine avevo fatto a sopportarla. Lei e le sue manie spesso mi facevano letteralmente impazzire, ma sapevo bene che sarebbe stato impossibile vivere di nuovo senza la sua presenza nella mia vita. E quel giorno, come al solito, mi si era avvicinata di soppiatto strappando a me e mia sorella – soprattutto a mia sorella – uno strillo di spavento. «Non ci provare mai più» le sibilai, guardandola malissimo. Ero sicura che tutti ci stavano fissando straniti, e sperai di sgattaiolare al più presto possibile nella mia classe. Altezza mi diede un’occhiata neutra e fece le spallucce, dicendomi: «Impossibile, è troppo divertente».
«Oddiotipregononfarlopiù» piagnucolò Fine, in preda ad una crisi isterica. La mia compagna bionda la guardò maligna, ma poi si rivolse di nuovo a me, chiedendomi: «A proposito, hai visto per caso mio fratello? Stamattina mi ha preceduta ed adesso non lo trovo più da nessuna parte».
«Oh, fantastico» borbottai. Un altro problema da risolvere. Altezza non poteva vivere senza la figura portante del fratello; il loro rapporto era molto simile a quello mio e di Fine. Era per questo che consideravo Altezza come una sorella in più a cui badare (?).
«Mi stavate cercando?» chiese la voce del biondo fratello di Altezza, facendomi sussultare dalla sorpresa e dallo spavento. “Come non detto” pensai, mentre la sorella gli chiedeva dove fosse finito. Bright era con Shade, come al solito, e vidi Fine accendersi come una lampadina e fare un gran sorriso, mentre si avvicinava a lui e lo salutava.
Sospirai, era così tranquilla quella giornata che sperai, per un momento, fosse un po’ più movimentata. Forse era per il fatto che tutti avevano qualcuno a cui volere un bene dell’anima, e solo io avevo una vita così tranquilla e senza alcunché a cui pensare.
 
Quel giorno, dopo essere tornata da scuola e aver pranzato, mi addormentai – anche se non ero poi così stanca – fissando le gru di carta che avevo appeso al soffitto della mia stanza, alla porta e alla finestra.
Amavo gli origami sin da piccola. Adoravo vedere i flaconcini nei negozi pieni di stelle colorate e vetrine allestite da fili di boccioli di fiori. Avevo cominciato solo per curiosità a piegare i fogli colorati, poi è diventata una passione. Oramai, la mia stanza era piena di origami.
Quando mi svegliai, quegli uccelli volteggiavano ancora nell’aria grazie al venticello autunnale che penetrava nella mia stanza, impregnandola di un forte odore di pioggia. Ricordavo che erano circa 467 gru, avevo smesso di piegarle dopo… beh, dopo quello che era successo e da quando avevo cominciato a fare quella specie di “lavoro”.
Ogni volta che ci pensavo mi venivano le lacrime agli occhi, ma era ormai passato. E io ignoravo il passato, giusto? Eppure non riuscivo a non pensarci, quando fissavo quegli origami che sembravano volare come uccelli reali.
Mi misi a sedere e scossi la testa, dopodiché mi voltai verso la sveglia per vedere che ore erano. Le 16.13. Avevo dormito un sacco, e dovevo ancora finire i compiti delle vacanze. Per cui mi alzai, mio malgrado, dal letto e frugai nella borsa in cerca del quaderno che, purtroppo, non riuscii a trovare.
«Oh, possibile che capiti tutto a me?» borbottai stizzita, mentre ricordavo che l’avevo lasciato sotto il banco mentre tiravo fuori le mie cose.
Non avevo alcuna voglia di ritornare a scuola, soprattutto per il fatto che era lontana da casa mia e ci mettevo circa una ventina di minuti per andarci, ma non potevo fare altrimenti, i professori mi avrebbero scannata viva. E poi pioveva, non amavo così tanto la pioggia, a dir la verità. Mi metteva tristezza.
Decisi, comunque, di prendere l’ombrello ed uscire, avvertendo Fine, che si offrì di accompagnarmi. «No, non c’è bisogno. Sbaglio o pure tu devi finire i compiti?» risposi ammonitrice. Lei sembrò di ricordarsi qualcosa e mi disse: «Già che ci sei, mi vai a recuperare anche la sciarpa? L’ho dimenticata in classe.»
Per tutta la durata del tragitto in treno, continuai a fissare fuori dal finestrino, sperando che la pioggia si fermi in qualche modo. Erano ormai giorni che cadeva ininterrottamente, ed io non potevo fare altro che restare a guardare. Non che avessi potuto fare chissà cosa, ma speravo che la pioggia smettesse di cadere e lasciasse il posto al sole.
Quando giunsi a scuola notai che il cancello, fortunatamente, era ancora aperto.
M’incamminai nei corridoi, che avevano ancora la luce accesa, in cerca della rampa di scale che portavano al secondo piano, dove c’erano le classi del secondo anno.
La scuola era divisa in tre piani, ognuno dei quali ospitava una fascia d’anno. Al primo piano c’erano le classi del primo anno, la segreteria, l’ufficio del preside e le palestre; al secondo le classi del secondo anno e vari laboratori; infine al terzo c’erano quelle del terzo anno, la biblioteca, l’aula magna e il laboratorio artistico. L’ordine delle classi era alfabetico, quindi la prima classe che ti trovavi era la A, seguita poi dalla B e via dicendo, fino alla H.
Entrai nella mia classe e sperai di ritrovare il quaderno ancora sotto il banco. Tirai un sospiro di sollievo nel sapere che era ancora a posto. Non avevo alcuna voglia di restare ancora nell’edificio scolastico sebbene fuori piovesse, così decisi di trovare in fretta la sciarpa di Fine e di andarmene.
Uscii dalla porta della mia classe e mi diressi verso quella di mia sorella, che era a due classi di distanza dalla mia. Io frequentavo il corso B insieme ad Altezza, lei il corso E con Sophie, mentre Lione era l’unica che frequentava il corso F del secondo anno.
Avevo l’abitudine di sbirciare nelle altre classi quando passeggiavo nei corridoi della scuola, e quella volta non feci eccezione. Era per quello che avevo sbagliato? No, perché nella sezione C vidi qualcuno di cui non avrei mai dubitato (?), beh, baciare una tizia che non avevo mai visto in vita mia. Era una visione orripilante e sorprendente allo stesso tempo, dato che Shade era il ragazzo della mia gemella.
Alzai un sopracciglio nel fissarli sbalordita, e lui si accorse della mia presenza. Era forse stato il mio cuore che stava battendo così forte a far sì che Shade si accorgesse di me e della mia sorpresa? Quel ragazzo fu così arrogante da farmi il segno di andarmene, ed io, indignata, mi continuai a camminare dritto, seppur avevo stampato in mente quella scena.
La domanda sorgeva spontanea: avrei dovuto dirlo a mia sorella, così dolce ed innocente?
Quando entrai nella sezione E mi accorsi che stringevo così forte la giacca dell’uniforme – non me l’ero tolta quando sono ritornata a casa – che la sgualcii, mentre il quaderno era, più o meno, nelle stesse condizioni. Cercai di sistemarmi al meglio e di togliermi di mente quell’immagine disgustosa, ed ecco che Shade faceva la sua comparsa dietro di me dicendomi, ad un centimetro dall’orecchio: «Mi hai scoperto, allora.»
Sussultai dallo spavento, voltandomi di scatto ed indietreggiando di qualche passo. Aveva un ghigno beffardo stampato sulla faccia che non riuscii ad interpretare al meglio. «Non dovresti fare queste cose» sussurrai in preda al panico, cosa che non mi succedeva spesso. «Sei il fidanzato di mia sorella» sentenziai, cercando di aggrapparmi all’affermazione. Mi sembrò che il tempo accelerasse, anche se ogni parola che mi ritrovavo a sentire veniva pronunciata con una tale lentezza che mi faceva morire di ansia.
«Adesso che farai?» chiese, e fu in quel momento che capii il perché di quel sorriso inquietante: sapeva che ero disposta a tutto pur di non far morire un amore.
Deglutii saliva amara, era una bella domanda. Cosa avrei fatto? Cercando tutta la sicurezza che avevo in corpo, gli dissi: «Smettila, non è divertente.»
«E se anche fosse?» rispose avvicinandosi a me, ed io indietreggiai di conseguenza. No, non dovevo farmi mettere in soggezione da un tipo come lui. «Fine non ti basta?» chiesi cercando di stare sulla difensiva, ma ebbi la sensazione di star trattando mia sorella con sufficienza.
«Diciamo che ho altre cose in mente» rispose fissandomi negli occhi senza alcun segno di allusioni strane, ed io alzai automaticamente un sopracciglio. Non gli dissi niente e me ne restai lì senza proferir parola. Dovevo fare – dire – almeno qualcosa di giusto in quella conversazione, ma non riuscii a pensare a niente di sensato ed abbastanza intelligente. Forse era per quella specie di shock subito nel vedere il ragazzo di mia sorella stare con un’altra, e mi venne la nausea solo pensandoci.
«Tu vuoi che io resti con Fine, giusto?» chiese poi, all’improvviso. Annui, poco convinta e diffidente, alla sua domanda, e lui parve sospirare. «Facciamo così» sentenziò, «se mi trovi almeno cinque ragioni per continuare a stare con tua sorella, allora mollo tutto e continuo la storia. Se non riesci, beh… direi che è ora di finirla. Che ne dici?»
«Allora era a questo quello che stavi puntando sin dall’inizio?» chiesi con una punta di disgusto. Non avevo ancora bene in mente quali fossero i suoi obiettivi. Lui sorrise e mi disse, ignorando bellamente la mia domanda: «Ti do tre mesi. Allora, che ne dici? Accetta, se ne sei in grado, Rein.» Rabbrividii per il modo in cui mi aveva chiamato.
«Tre mesi sono più che sufficienti» risposi, comunque, d’impulso, ma non mi pentii di averlo fatto. Lui continuò a ghignare. «Se entro il… 24 dicembre non riuscirai nell’impresa, significa che il tuo “lavoro”, in verità, non è poi così adatto a te.»
«Ci sto.»
«Brava. Mi piaci quando sei così.»
Mi dissi che quella conversazione non poteva più andare avanti, non doveva più andare avanti. Era già tanto se mi ero fermata a fare quello stupido patto, sicuramente avrei peggiorato le cose se fossi rimasta lì a fissarlo con aria di sfida.
Mi avviai verso la porta, con il cuore che pulsava dalla rabbia e un pizzico di sensazione di fregatura. Infatti, poco prima che uscissi, lui mi strattonò il braccio e sentii il calore delle sue labbra sulle mie mandarmi in tilt; fu solo un contatto lieve e superficiale, ma lui sorrise come un bambino che aveva appena ricevuto il suo giocattolo preferito e mi precedette nell’uscire dall’aula.
Me ne restai lì senza muovere un muscolo per qualche minuto, per assicurarmi che se ne andasse lontano da me, prima di uscire anch’io dirigendomi verso le scale.
Solo quando uscii dalla struttura scolastica mi accorsi che non avevo ancora recuperato la sciarpa di Fine: fu quello il segno dell’inizio del mio lento declino.






















N/A: Ohohohohoh.
Signori, con sommo piacere per me e dispiacere per voi, sono ritornata ancor più motivata di prima (perché ho la sensazione di star imitando un cantastorie del periodo medievale?)!
Per la gioia dei miei lettori (?) e dei miei fan (??), una long fiction sulla BlueMoon tutta per voi, da gustare quando avete (avrete?) tempo!
Ok, sicuramente non sarò il massimo della puntualità – in contemporanea ho ancora due long D: – anche questa volta, ma farò del mio meglio. Però non so già più come continuarla D: E poi questo è il titolo più stupido che abbia mai inventato, spero di trovarne al più presto uno più intelligente. AAAARGH, sono troppo poco organizzata. Inoltre Rein in versione ragazza super normale mi da la sensazione di un OOC di proporzioni gigantesche e Shade troppo poco serio. In verità, non ce lo vedo molto così D:
Uhm, niente di che, come al solito.
Boh, spero aspetterete con pazienza (?) il prossimo capitolo che arriverà… nonsoquando, mi dispiace.
Alla prossima. Spero.
Noth aka Rainy. Ho cambiato nick! :D

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
Per la seconda volta in quel giorno, ero stesa sul letto a fissare un punto vuoto del soffitto, da cui pendevano le gru di carta.
Era inutile continuare a fare i compiti, tant’è che li mandai al diavolo all’ennesima volta che cercai di concentrarmi, senza alcun risultato.
Mi sarei dovuta sentire in colpa. Ho baciato il fidanzato di mia sorella, anche se non lo volevo affatto.
Ho. Baciato. Shade.
E questa non era una buona cosa.
“‘Baciare’ non è il verbo giusto”, pensai mettendomi su un fianco e raggomitolandomi, “semmai potrebbe essere ‘sfiorare con le labbra’, o qualcosa del genere.” Ma sapevo comunque che la sostanza era sempre la stessa, da qualsiasi punto di vista lo guardi. Anche un neonato lo capirebbe.
Ma la domanda era: avrei dovuto dire a Fine quello che avevo visto?
Avevo, sì, recuperato e reso la sciarpa a mia sorella, ma in quel momento la mia priorità principale era ritornarmene in camera e fare i compiti, quindi non badai tanto a come mi comportai con lei. Non ci avevo pensato affatto.
Avrei dovuto mentire alla mia gemella, a colei a cui non ho mai celato alcun segreto sin dalla nascita. Era la cosa giusta? Però, era per il suo bene. Avrei dovuto farlo?
Improvvisamente, mi ritrovai a pensare a Shade. In quel momento, ero presa dall’irritazione e avevo accettato quella proposta all’istante, pensando a come si sarebbe sentita Fine se avesse saputo che il suo ragazzo la tradiva. Eppure mi sentivo che c’era qualcosa che mi sfuggiva di mano, ma non riuscivo a riempire il vuoto che mi si era creato in testa.
Vuoto.
Non avevo pensato ai sentimenti di Shade, che erano la cosa più ovvia a cui pensare in quel momento. Era, sì, vero che Fine aveva, in qualche modo, una certa priorità, ma se fosse proprio Shade a non voler stare più con lei perché non sentiva più niente? Avrei perso all’istante la scommessa.
No, non dovevo essere compassionevole con un individuo del genere.
Mi misi di nuovo supina nel mio letto con le lenzuola color blu notte. «Cosa dovrei fare?» sussurrai, più agli uccelli di carta che avevo appeso nella mia stanza che a me stessa. Eppure gli origami erano sempre appesi là, non mi davano alcun segno, continuando a lievitare nell’aria grazie al filo e alla brezza autunnale. Pioveva ancora fuori, ma era un pioggerella lieve, ma sperai con tutto il mio cuore che smettesse almeno il giorno dopo.
Mi sedetti a gambe incrociate nel letto, sospirando. Dov’era finita la mia tranquillità? Era stata portata via da Shade (e forse anche da Fine).
Ma, in fondo, cosa ci voleva a trovare cinque motivi per cui lui debba stare con mia sorella? Ci pensai per qualche secondo, e sapevo già come rispondergli. Fui felice nel constatare che avrei presto riavuto la mia vita normale.
Fine, in quel momento, bussò ed entrò in camera mia, dicendomi raggiante: «Rein! Si cena!»
La mia gemella non sarebbe mai cambiata. Era una golosa di prim’ordine, quando aveva fame non si riusciva mai a controllare e diventava più goffa del solito – e goffa lo ero pure io. E poi, si scioglieva quando assaggiava i manicaretti di nostra madre.
In quel momento ebbi una gran paura di far trapelare, dal tono della mia voce, il mio stato d’animo; sebbene sapevo già come risolvere l’intera questione, ero ancora alquanto irrequieta ed insicura.
Sarei riuscita a mentire perfettamente davanti a mia sorella, così cara a me? Era come se stessi tradendo la sua fiducia, e se fosse stato davvero così mi sarei sentita troppo male per poter mantenere fede al patto fatto con Shade.
Mi ripetei “È per il suo bene” per farmi coraggio, e le dissi: «D’accordo, vengo. Ma non strillare ogni volta che mangiamo, per favore.» Avevo sperato che la mia voce non tremasse e che non desse segni di insicurezza o quant’altro, ma avevo mantenuto un perfetto tono neutrale e normale, fui stupita da me stessa.  Pensai che se avessi continuato così, avrei certamente avuto un ruolo da doppiogiochista nell’FBI o qualsiasi altra organizzazione che opera su scala mondiale solo per il fatto che sapevo mentire. In effetti, avevo spesso detto bugie, ma erano perlopiù bugie innocenti. Anche se talvolta non erano così “innocenti”.
«Ok, ma sbrigati, Rein, altrimenti il tuo dolce lo mangio io!» gridò, prima di sparire dalla mia visuale e di precipitarsi giù per le scale. Sperai che non cadesse – era tanto maldestra – e mi appuntai nella mente di spiegarle che il dessert viene mangiato alla fine del pasto, non all’inizio.
 
Il giorno dopo ero di pessimo umore; avevo passato la notte in bianco per colpa dei miei dubbi esistenziali e quelli di un individuo come Shade, chiedendomi “Farò bene? Oppure no?”, mandando, infine, al diavolo tutto e rigirarmi per ore ed ore nel letto fino a quando la mia sveglia non ha suonato – tra l’altro non avevo nemmeno finito i compiti. Riuscivo perfino a sentire la mia aura che intimava a chiunque di lasciarmi in pace alleggiarmi attorno: pessima cosa.
«Wow, Rein, oggi hai proprio una bella cera» commentò Altezza, una volta sedutami al mio posto. «Non ne parliamo, è meglio» biascicai, non avevo nemmeno la forza di rispondere. Volevo solo dormire e basta, riprendendomi tutte quelle ore di sonno. L’avrei sicuramente fatta pagare a quel tizio dai capelli assurdi e apparentemente (?) indomabili.
Dovevo farla finita, e subito. Altrimenti avrei distrutto sia me stessa che Fine.
«Hai per caso visto Shade, stamattina? Devo dirgli una cosa» dissi alla mia compagna, che sembrò pensarci su. «No. Di solito io e Bright andiamo a casa sua a chiamarlo, ma oggi non ha risposto nessuno al citofono.»
Sbuffai sonoramente, avevo bisogno di porre fine a quella farsa o sarei morta d’ansia. Decisamente.
Durante tutta l’ora di lezione non feci altro che pensare a come sarebbe andata, se le cose si sarebbero sistemate e cose del genere. Ero spesso sì, una pasticciona, ma quella volta avrei dovuto non commettere alcun errore. Per il bene della mia gemella.
Ero forse troppo altruista? In fondo, cosa mi obbliga ad aiutare gli altri in ogni singolo momento della mia vita? Forse avrei dovuto smettere e pensare più a me stessa. In fondo, era per colpa del mio altruismo che mi ero cacciata in quel guaio, ero stata troppo impulsiva e poco razionale – anche se “razionalità” non è mai stato il mio secondo nome.
Alla fine della prima ora ero già uno straccio, stato in cui di solito mi riduco a fine giornata. Pensare a cose del genere mi fa davvero stancare di me stessa, quindi mi ripetei che dovevo fare quel “lavoro” e basta, che non c’era alcuna ragione in particolare se non aiutare gli altri a vivere il proprio sogno.
Non ebbi, però, la forza di uscire dall’aula e dirigermi verso le classi del terzo anno, così rimasi sulla soglia della porta della mia classe a fissare gli studenti che passavano davanti a me, senza alcuna preoccupazione, mentre chiacchieravano fra di loro del più e del meno.
«Fattelo dire, oggi sei proprio strana» disse Altezza alle mie spalle ed io, dopo essermi girata, feci le spallucce. «E allora?»
«E allora c’è qualcosa che ti turba. Insomma, non che siano affari miei.» Si vedeva da un miglio che moriva dalla voglia di sapere a cosa stavo pensando sin da prima mattina, e per un istante la guardai storto. «Altezza. Gli affari degli altri diventano sempre affari tuoi, proprio perché non riesci a nascondere la tua curiosità. Ammettilo.» Lei schioccò la lingua, dicendomi: «Non è vero!» quando sapeva benissimo che era la sacrosanta verità, lei era maledettamente  curiosa. A quel punto intervenne Sophie che comparve magicamente davanti a me, spaventandomi a morte. «Buongiornoooo! Che si dice in giro?»
«Chiedilo alla signorina “Non parlatemi perché oggi sono incazzata nera”» rispose Altezza, guardandomi storto. «Hey! Modera le parole, siamo a scuola. Fuori potrai dire tutto quello che vuoi» dissi, ricambiando il suo sguardo.
«Altezzaaa. Non essere così irritabile e sorridi di più. O ti verranno le rughe!» commentò Sophie, ridendo in modo birichino come al solito e facendo andare su tutte le furie la mia compagna di classe. «Sono ancora giovane! È impossibile che mi vengano le rughe a 16 anni! Non dire idiozie, perché non ho mai sentito una cosa del genere in giro!» ribatté, come sempre, strillando Altezza. Sapevo benissimo che stavamo dando spettacolo – lo dimostravano gli sguardi perplessi degli studenti in corridoio – ma quella era la mia normalità.
Ma ora che è stata turbata, come avrei fatto?
 
Il pranzo non fu granché.
Eravamo soliti a mangiare tutti – sì, anche i nostri del terzo anno – insieme sulla terrazza della scuola; se pioveva, come quel giorno, restavamo nella classe di uno di noi.
Sbuffai nel constatare che non aveva ancora smesso, d’altronde la pioggia non mi metteva mai di buon’umore, e lo stesso effetto faceva a Fine. A Lione e Mirlo, invece, piaceva molto, perché dicevano che il suo odore e i ticchettii delle gocce le facevano rilassare. Altezza si preoccupava solo dei suoi capelli, mentre Sophie, Auler e Bright si adattavano. A Shade non faceva né caldo né freddo, tant’è che aveva sempre la stessa faccia annoiata e neutra.
Quel giorno, però, non si era aggregato a noi.
Gli imprecavo contro mentalmente, perché volevo mettere fine a quella storia il più presto possibile. Non ne potevo più di star sottopressione per colpa sua, ed era anche inutile continuare a preoccuparsi, sebbene avessi continuato a pensarci per tutta la mattinata.
Parlai poco o me ne stetti zitta per tutto il tempo in cui pranzammo, e gli altri mi guardarono storto vista la mancanza della mia solita loquacità in quel momento, poiché chiacchierare era la mia ultima priorità.
Dopo pranzo presi da parte Bright e gli dissi, con fare furtivo: «Sai per caso dov’è finito Shade? Ho bisogno di parlargli.» Lui mi diede uno sguardo interrogativo, poi cominciò a fare il pensoso. «Stamattina si comportava in modo strano» disse, «continuava a ridacchiare fra sé e sé – io, personalmente, sapevo benissimo perché – e quando gli ho chiesto cosa fosse successo di così interessante, mi ha detto: “La pioggia da una parte mi sta portando fortuna”. Insomma, vedi te.»
Nemmeno io capii il senso di quella frase, e non avevo alcuna intenzione di saperlo. Mi avrebbe provocato altri guai, me lo sentivo. «Ad ogni modo» continuò, «l’ho visto dirigersi verso le scale che portano alla terrazza. Probabilmente è lì, anche se non so che intenzioni abbia.»
Ringraziai Bright e mi diressi verso le scale, più correndo che camminando, finendo di inciampare un paio di volte. Stavo per realizzare l’obiettivo di tutta una mattinata di pensieri poco rilassanti, e non potevo di certo aspettare ancora. Sperai con tutto il cuore che Shade fosse sulla terrazza e non chissà dove, per potergli sbattere in faccia quel che pensavo all’istante.
Quel ragazzo sapeva come farmi esasperare, anche se non se ne rendeva conto.
Quando finii di salire, finalmente, l’ultima rampa di scale, sbirciai fuori dalla porta che dava sul terrazzo, e non vidi altro che gocce di pioggia che battevano sul pavimento piastrellato. Sbuffai delusa, continuando a guardare fuori, in attesa di un intervento divino o chissà cosa.
Shade doveva essere lì, altrimenti non avrei saputo che pesci pigliare. Non lo conoscevo così bene da sapere quali sono i suoi posti preferiti, se il giardino o l’ufficio del preside – anche se dubitavo che fosse uno che finiva spesso nei guai.
No, noi due non abbiamo avuto altri rapporti se non di amicizia (?) poco… amichevole? Insomma, una cosa del genere, immaginatevelo da soli.
In ogni caso, mi spaventò sul serio quando apparve dietro di me e mi sussurrò all’orecchio con una voce da farti venire i brividi: «Mi stavi cercando, Pioggia?»
Era l’unico individuo al mondo che sapeva inventarsi soprannomi così assurdi. Vi ricordate che vi ho parlato del fatto che mi dicevano che ero la reincarnazione della pioggia? Ebbene, era stato Shade il primo ad inventarsi quella storia, e da allora, di tanto in tanto, mi chiamava “Pioggia” o altri nomi che avevano a che fare con essa. La cosa mi dava alquanto fastidio, non c’è bisogno di dirvelo, giusto?
«Dio, giuro che ti denuncio la prossima volta che mi arrivi dietro e mi parli con quella voce da maniaco sessuale» ringhiai, anche se non capii perché la sua voce m’era sembrata tanto da “maniaco sessuale”. Lui fece l’offeso, sgranando gli occhi per poi sbattere le palpebre a mo’ di sguardo da cane bastonato. «Comunque» riprese, dopo quella scenetta alquanto disgustosa, «come mai sei venuta qui? Sbaglio o detestavi il terrazzo durante le giornate piovose?»
«No, non sbagli» confermai io. «Il fatto è che…»
«Vuoi una piccola replica di quel che è successo ieri?» chiese interrompendomi, con un ghigno beffardo stampato in viso. Sapevo bene che il suo obiettivo era farmi arrossire/mettere in imbarazzo, ma con me quella frase non faceva alcun effetto, sebbene ieri, ritornando a casa, morivo dalla voglia di andare a casa sua e di picchiarlo fino a quando non avrebbe implorato pietà, o qualcosa del genere. «NO. Volevo solo porre fine a questa scommessa e ritornare alla vita di sempre.» Fece per ribattere, ma io lo fermai: «Non dire niente, o ti denuncio. Anche se non hai fatto niente, ti denuncio.»
«Non potresti» fece, facendo le spallucce. «Comunque, prova a dirmi un po’ queste fantomatiche cinque ragioni.»
Per un momento, ebbi la paura di sembrare troppo infantile. Non era un comportamento da ragazza matura, accidenti! Mi stava trascinando giù, al suo livello, ma non potevo fare a meno di essere tremendamente testarda, come sempre. «Semplice» cominciai a dire, «non puoi lasciare Fine perché primo: è una ragazza tanto dolce e cara; poi si preoccupa per te e se tu non fossi innamorato di mia sorella, non ti saresti messo con lei. Inoltre io ti impedirei di lasciarla così, su due piedi. E infine, lei ti ama.» Contai mentalmente tutte le ragioni che avevo esposto in quel momento, per non fare una figura di… insomma, avete capito. «Sono esattamente cinque ragioni. Se vuoi, posso anche dartene altre.»
«Non accetto nessuna di queste.»
Per qualche secondo rimasi immobile lì, senza emettere alcun respiro. Il fatto era che non sapevo a cosa diavolo pensare se non: “Un giorno di questi io lo uccido”. «Scusami?» feci, con un tono perplesso e piuttosto irritato. Gli avevo dato cinque ragioni per non lasciare Fine, e lui non le accettava e se ne usciva con un “Non accetto nessuna di queste”? No, doveva essere un incubo. Non poteva di certo decidere cos’era giusto o sbagliato!
Lui mi guardò serio, forse non lo era mai stato così tanto da quando lo avevo conosciuto, e quasi mi spaventò, lo ammetto. «Rein, forse non te ne accorgi, ma devi sapere che tutte queste ragioni sono state elaborate dalla tua testa per te stessa e per tua sorella, sono tutte ragioni soggettive. Dimmi un po’, hai mai pensato agli altri?» mi chiese, con il suo sguardo scuro puntato nel mio. Lo guardai anch’io a mia volta. «Io penso sempre agli altri» ribattei, e per un momento mi tremò la voce. Era davvero la verità? In quel momento non lo sapevo nemmeno io. Forse, dopotutto, ero la persona più egoista sulla faccia della Terra, ma non ne ero così sicura. Non riuscivo più a distinguere realtà e menzogna. Ero nel bene o nel male? Non lo sapevo, non sapevo niente. Non ho mai saputo niente, forse.
«Allora dovresti sapere il perché di questo patto, il perché te l’ho proposto.» Fece una pausa, come per fare un po’ di scena. «Giuro che ti renderò le cose molto più difficili, Rein. Così, magari, potrai capire cosa vuol dire “vivere nella realtà”.» Sembrò voler dire qualcos’altro, ma ci ripensò.
Rimasi, comunque, spiazzata da quello che disse, tant’è che mi sentii mancare. Per un momento, ebbi la paura di non riuscire a far niente per Fine, e di non riuscire ad afferrarla mentre sprofonda nella tristezza più assoluta. Deglutii, come ero solita a fare nei momenti di nervosismo. Lui si girò verso le scale, e, prima di andarsene, mi disse un’ultima cosa. In quel momento, mi parve malinconico. «Hai detto che se non fossi innamorato di Fine non mi sarei mai sognato di mettermi con lei, eh?» Fece una pausa.
«Riflettici. Forse un giorno capirai.»
























N/A: ODDIOSI.
Ce l’ho fatta a sfornare questo capitolo, yep.
Non sapevo che questa fan fiction potesse esser presa così bene da voi. Muah, vi amo tutte. *sparge cuoricini arrandom* Vi sto scrivendo alle 3.40 di notte, abbiate pazienza, i miei scleri notturni son peggio di quelli diurni. Anyway, ecco il secondo atto di questa piccola storiella, spero d’aver reso bene le emozioni di Rein e di aver descritto in modo sufficiente ed efficace ogni scena. Di tanto in tanto mi bloccavo, non sapendo cosa scrivere, ma alla fine riuscivo sempre a trovare qualcosa di decente da raccontare. Sono tanto soddisfatta, lo ammetto.
Sinceramente, mi piace molto come scrivo: diretta (?) e concisa. Anche se alcune storie che racconto fanno davvero pena, ammettiamolo. Non riesco mai a trovare niente di figo da dire. A proposito, le gru di carta le sto facendo pure io. Sono stupende! E anche la storia delle mille gru è vera, o almeno io la penso così. Ce ne vuole di fare mille gru di carta! Ma io ce la farò.
Ringrazio le 9 persone/anime possedute (?) che mi hanno messa tra gli autori preferiti, anche se non mi leggono in questo stupendo fandom. Amo anche voi, sappiatelo!
Ad ogni modo, spero che il capitolo vi piaccia. Chissà cosa intendeva Shade, uhuh. Ad essere sincera, non ho la più pallida idea di quali saranno le cinque ragioni. Ho una vaga idea di come sarà la prima, ma devo ancora elaborarla per bene.
E dopo questa lunghissima solfa (colpa di un mese di silenzio, LOL), mi dileguo. Continuate a seguirmi, tra l’altro, è appena passato il mio compleanno, 5 settembre, yep! :D Sono una quindicenne! Eppoi, è passato già un anno da quando mi son iscritta qui, su EFP. Vi amo tutti
Noth aka Rainy.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
Passarono un paio di settimane, nel quale ho cercato, invano, di trovare almeno una ragione, anche se assurda, per poter risolvere al più presto quella questione. Hey!, anch’io avevo un orgoglio da difendere, cosa credevate?
Ad ogni modo, ogni singola volta la ragione del momento fu mandata a quel paese (non esattamente, ma la sostanza era più o meno la stessa) da Shade, e cominciai a provare una certa antipatia verso i suoi confronti – non che prima non la provassi, anzi. Era solo che mi irritava più del solito, lui e il suo essere così dannatamente strafottente e difficile.
Era da un sacco che il sole non faceva capolino nelle mie giornate. Qualche volta aveva sì, smesso di piovere, ma il cielo continuava ad essere coperto. Odiavo quella situazione. Possibile che niente mi andasse bene, in quel momento? Non potevo crederci.
Per il resto, ci furono sempre le solite, noiose giornate.
«Rein. Ho bisogno del tuo aiuto.» Era con quella frase che Altezza, quel giorno, mi accolse in classe. E di solito, per la mia compagna bionda, il mio aiuto significava: 1) “Ho bisogno di andare a far shopping e sei l’unica che riesca ad apprezzare la gioia delle compere.”; 2) “Accompagnami dal parrucchiere, devo farmi fare la messa in piega.”
Per un momento sperai di avere la stessa vita di Altezza: spensierata e senza alcuna preoccupazione (non ne aveva nessuna, anche se non sembrava). Lei sì che era una ragazza come tante perché, non l’avevo mai ammesso, io ero una di quelle che più strane non si può. Incredibile il fatto che anche solo osservando gli altri ti accorgi di essere in contraddizione con te stesso, né?
«Aiutami. Devo scegliere un film, sei l’unica a cui lo posso chiedere.» Fu quella la sua richiesta – era alquanto insolita – e io non potei far altro che chiederle a mia volta: «Come mai oggi niente shopping & co.?»
«Di quello ne parliamo dopo. Forza, scegli un film.» Poggiò sul mio banco quella specie di depliant dove erano segnati i vari orari dei film di un determinato cinema. La guardai un po’ perplessa ed indicai un film a caso. «Perfetto!» esclamò compiaciuta la mia compagna, ma non capii per quale motivo, così glielo chiesi. «Andiamo al cinema, ovviamente! Non ti pare un’idea meravigliosa? È da un sacco che non usciamo tutti insieme.» Vedere Altezza così raggiante era uno spettacolo alquanto raro, e mi chiesi se non ci fosse qualcosa sotto. Non feci alcuna domanda, però, mi limitai ad annuire leggermente confusa mentre la guardavo ritornare al proprio posto e ficcare malamente il blocchetto di carta nella propria borsa, intonando perfino un motivetto allegro. Mi ricordai che non avevo nemmeno letto di cosa si trattava il film, ma non me ne importò più di tanto.
Quando Altezza ritornò da me, suonò la campanella, e lei, seppur a malincuore (?), fece dietrofront, verso il proprio banco, con un sorriso che non mi piacque per niente.
 
Quindi passò un’altra settimana in cui non potei fare niente: casa, scuola, casa, scuola, casa, scuola, biblioteca, casa, scuola, eccetera eccetera. Eravamo, oramai, a quasi fine settembre, ed io non avevo la più pallida idea di cosa inventarmi per vincere la scommessa.
«D’accordo! Usciamo questo pomeriggio!» se ne uscì Altezza il lunedì, durante il pranzo. La guardai prima con fare annoiato, poi con una leggera perplessità ed infine con sollievo. Aveva, di nuovo, in mente qualcosa. Ma non ero contraria a quella proposta, anzi!, ero felice per il fatto che qualcuno si fosse messo in testa qualcosa da fare in quei giorni autunnali.  «Ci sto!» feci io, facendo un gran sorriso pregustandomi l’idea di un pomeriggio insieme agli amici, perché dovevo, in qualche modo, svagarmi e staccarmi dalla realtà. «Pure io!» gridò, come suo solito, Sophie, entusiasta. Si sarebbe sicuramente divertita a stuzzicare Altezza, ma la cosa più assurda era il fatto che quest’ultima prendesse troppo sul serio quello che diceva la mia amica dai capelli verdi. «No!, tu non ci vieni!» disse, come se avesse già avuto la frase stampata nella mente, la mia compagna bionda, anche se sapeva benissimo che non avrebbe avuto altra scelta se non “portarsela dietro”. Lione fu entusiasta dell’idea e disse che anche Tio ne sarebbe stato felice, Auler sospirò e cercò di mediare fra le due litiganti quali erano la sorella e Altezza, Bright guardava la scena divertito. Shade mugugnò qualcosa che poteva essere interpretato come un «Fate come vi pare».
«Uhm» fece Mirlo con una vocina da “Mi sembra di essere fuori luogo”, «io non posso. Devo badare a mio fratello, oggi i miei sono andati non so dove e lui è da solo a casa. Mi dispiace.» Restammo tutti in un silenzio imbarazzante, e lei si affrettò ad aggiungere: «Voi andate pure! Non fate caso a me.»
«Uh, Mirlo, già che ci sei» prese a dire Fine «potrei venire a casa tua? Domani il professore mi ha detto che mi interroga, e io stavo dormendo e non so niente. Quando mi sono svegliata dal mio sonno – uh – molto gustoso, sulla lavagna ho trovato delle formule di cui non riuscivo a capire il significato.»
Notai che, furtivamente, mia sorella diede una veloce occhiata – come se volesse vedere come avrebbe reagito – a Shade, il quale aveva la sua solita faccia annoiata da “Non m’importa nulla” mentre mangiava il proprio pranzo. «Oh, certamente. Così mi fai pure compagnia» rispose Mirlo sorridendo, mentre io lanciavo un’occhiataccia al “ragazzo” di mia sorella, che nel mentre si era messo a fissarmi annoiato. Era talmente ovvio che Fine desiderasse che Shade stesse con lei, ma lui, no!, non riesce mai a leggere tra le righe. Ritornata di cattivo umore, cercai un qualcosa che mi potesse far stare più serena.
«Altezza» la chiamai, mentre poggiavo la mano sulla sua spalla, come se volessi cercare un appoggio, «andiamo a fare shopping, dopo il cinema. Ti prego.» Sì, era l’unica cosa che riusciva a farmi stare bene.
 
Il film fu una noia assurda, non ne seguii neppure la metà.
Prima che uscissimo, Fine mi raccontò che, ultimamente, le sembrava che Shade si comportasse in modo strano; io le dissi che non c’era nulla di cui preoccuparsi e che era sicuramente effetto della stagione delle piogge – ricordavo che, alle medie, quel ragazzo sembrava molto meno attivo del solito in autunno ed inizio inverno. Forse fu per questo che la mia gemella rossa mi credette e ritornò col solito umore di sempre, il che mi fece stringere il cuore poiché sapevo che le stavo mentendo spudoratamente.
Fu la prima volta, dopo tante settimane, che il ricordo di quel “sfioramento di labbra” – non riuscivo ancora a pronunciare la parola che descriveva l’atto di premere le labbra con delle altre – mi balenò in testa, continuando a martellarmi il cervello anche dopo che io e Fine ci dividemmo lei per andare da Mirlo, io per raggiungere gli altri in piazza.
Era strano ripensarci, era questo il punto. Erano già passate diverse settimane da allora, ed io, stupida com’ero, non riuscivo a pensare lucidamente per colpa di quella stupida scommessa (accidenti a me che avevo accettato!). Aggiungendoci la situazione assurda in cui mi ero trovata quel giorno con Shade, beh… capite che per me, in quel momento, fu alquanto difficile formulare qualche ragione sensata. Continuavo a pensare a Fine, inoltre, a come l’avrebbe presa se avesse saputo di tutto questo, se avesse pianto o meno.
Tutti quei pensieri mi ossessionarono fino all’arrivo al cinema.
Il film, come ho detto, non mi era interessato granché, poiché la situazione era alquanto assurda: non so come abbia fatto (magia dei posti dei biglietti?), ma Altezza riuscii a coordinare perfettamente il gregge quale eravamo, mettendosi a fianco a me e a Sophie (forse questo non l’aveva previsto, però), mentre vicino a me c’era niente popò di meno che il ragazzo di mia sorella, il quale sembrò altamente annoiato, come al solito, durante tutta la durata del film, tanto che mi sembrò che stesse dormendo per la troppa noia proprio nel bel mezzo della pellicola. Insomma, all’inizio ero stata alquanto perplessa, poi cercai, per tutto il tempo, di non pensare a quello che era successo.
Ad un certo punto, mi sentii la mia faccia diventare di un rosso acceso, avevo pensato a come sarebbe stato se al posto di Fine ci fossi stata io. L’idea mi fece così tanto disgustare, allo stesso tempo, che dovetti precipitarmi nel bagno per calmarmi – quando mi guardai allo specchio vidi che la mia teoria era fondata.
Riuscivo a ricordare solo dei pezzetti di quel film: praticamente era una storia d’amore un po’ alla Beautiful, c’era questa ragazza A che si innamorava di un ragazzo B, solo che sia A che B erano fidanzati rispettivamente con C e D, poi c’era la sorella di A, la ragazza E, che cercava in tutti i modi di far lasciare A e C, finendo con l’innamorarsi di quest’ultimo, poiché all’inizio voleva che la sorella stesse insieme a B. D intanto si teneva ben stretta B, solo che B, un giorno, incontra E e chiede all’amico F di aiutarlo a farla innamorare di lui. Alla fine (saltiamo tutta la parte centrale, di cui non ho capito niente) A si dichiara a B, solo che B le dice che è innamorato di E, poi finisce lì.
L’ultima parte mi fece alquanto rabbrividire, poiché sembrava proprio quello che stava succedendo a me: Shade stava rifiutando Fine per qualche assurda ragione. Ovviamente, non ero di sicuro io, ma tutto quello che quel ragazzo faceva/diceva era fuori dagli schemi, letteralmente. Non c’era bisogno di sorprendersi se per caso dicesse di voler scalare l’Himalaya o il Kilimangiaro.
Ad ogni modo, la cosa più strana è il fatto che Altezza continuava a comportarsi stranamente, di tanto in tanto ci (a me, ma soprattutto a Shade) dava qualche occhiata con fare sospettoso, per poi ritornare a guardare il film e ripetere il copione dopo una decina di minuti. Non capii il perché di tutto quello.
Per la gioia (?) degli altri, dopo il film andammo a fare un giro in centro, dove erano concentrati molti negozi di abbigliamento. Per me ed Altezza fu il paradiso terrestre, mentre i nostri amici ci seguivano alcuni un po’ scocciati (in particolare Auler, come al solito), ma non si lamentarono poi così tanto.
Io e la mia compagna bionda eravamo delle campionesse nella maratona fra le vetrine, forse era solo questa la caratteristica che ci accomunava.
Ricordo che, la prima volta che la vidi e che la sentii parlare, pensai immediatamente: “Questa è pazza”, mentre adesso mi ritrovo ad essere la sua migliore (?) amica (??), e la cosa non mi dispiaceva affatto. Dopotutto, è una ragazza tanto cara e simpatica, se la si conosce bene. Quando ci stai insieme per molto tempo, impari a conoscere dei lati che non ti aspettavi avesse.
Ad ogni modo, Lione, dopo circa una mezz’oretta che io e Altezza eravamo a contemplare i vari vestiti/accessori, propose di andare in una pasticceria che aveva aperto da poco, ma già famosa per i suoi dolci dall’aspetto delizioso e molto saporiti.
Appena entrammo, venimmo circondati da un buonissimo odore di cioccolata e vaniglia; le pareti color panna si sposavano perfettamente con l’aria serena e profumata del posto, e c’erano anche dei tipici tavolini bianchi dove si potevano gustare, con molta tranquillità ed allegria, i vari dolci – torte, crostate, marshmellows, krapfen, crème brulé, c’erano perfino alcune bevande tipo frappé e cioccolata calda – esposti nelle vetrinette intorno al bancone.
Pensai che se Fine fosse venuta, sarebbe rimasta talmente estasiata da quel negozio che sarebbe stato impossibile convincerla a ritornare a casa.
Ordinammo tutti insieme in un’allegra confusione, che non diede molto fastidio ai ragazzi che stavano dietro il bancone; anzi, una ragazza ci disse perfino che sarebbero dovute esserci più persone che portavano quella gioia in giro (anche se Shade era sempre l’unico che era rimasto impassibile).
«Ah, che bontà» commentò Sophie, addentando un pezzo della torta al cioccolato che aveva preso. Tutti gli altri concordarono con lei, e Lione annuì soddisfatta. Tutto lì sembrava magico, e non c’era nemmeno l’ombra di un dolce fuori posto. Mi gustai fino all’ultimo boccone il mio tiramisù, e mi appuntai che sarebbe stato bello ritornarci un’altra volta, magari portando anche la mia gemella rossa.
Cominciammo a chiacchierare animatamente di un po’ di tutto; passavamo da un argomento all’altro e nessuno ci riusciva più a fermare.
Pensai un po’ a quello che Fine, che al momento era a studiare (sicuramente a malincuore) a casa di Mirlo, aveva detto prima che ci separassimo. Di certo era preoccupata per il suo rapporto con Shade; in effetti, avevo notato pure io che, ultimamente, quel ragazzo dava più peso a sé stesso che alla mia gemella. Mi chiesi se fossi io la causa di tutto, ma subito scossi la testa e scacciai quel pensiero.
Decisi di parlarne proprio al diretto interessato che, ancora una volta, era seduto vicino a me. Che avessi una specie di calamita per attirare persone a cui non volevo particolarmente parlare (anche se in quel momento dovevo parlargli)?
«Uhm, dovresti» cominciai, facendo poi una piccola pausa, «cercare di badare più a mia sorella». Lui continuò a mordicchiare annoiato (come sempre) la forchetta di plastica, per poi dirmi: «Dici? Io credo proprio che sia ora di smetterla».
«Ma se mi avevi promesso che non l’avresti lasciata fino a quando non ti presenterò quelle assurde cinque ragioni!» sibilai, cercando di stare calma. Rimanemmo in silenzio per qualche tempo, in cui Sophie raccontò di quella volta che lei, Auler ed alcuni cugini andarono in un luna park e il fratello si sentì male sulle montagne russe. Pensai che mi sarebbe piaciuto andare al parco dei divertimenti, un giorno.
«Se non riuscissi a trovarne, cosa credi che penserebbe tua sorella se la lasciassi di punto in bianco, dopo tanti mesi a volerle bene?» mi rispose, guardando fuori dalla porta scorrevole di vetro del negozio.
Lui era un ragazzo calcolatore, e non potei ribattere a quello che disse. Aveva ragione, in fondo: una storia d’amore non poteva di certo finire all’improvviso, senza alcuna spiegazione logica. Me ne restai, quindi, zitta, cercando qualcosa da dire, e alla fine me ne uscii con un: «Come devo fare per poterti convincere? Non riesco neanche a trovare qualcosa di sensato per poterti, come dire, compiacere».
Un altro silenzio imbarazzante seguì quello che dissi. «Boh, non so» disse, «Pensaci e basta. Non posso mica dartela buona solo perché non riesci a trovare niente di convincente. E poi, sbaglio o devi proteggere quel tuo onore da “consigliera”?» Ancora una volta me ne stetti zitta, questa volta fino a quando non fu ora di lasciare quel paradiso terrestre.
Prima di uscire dal negozio, però, Shade mi fece: «Hey, Pioggia». Mi voltai, incuriosita. «Chiediti sempre il perché del comportamento delle persone. Stai facendo la cosa giusta?»
 
Girammo per le vie ancora per un’ora. Quando iniziò a far buio, Altezza sembrò di ricordarsi qualcosa, poiché fece una faccia alquanto stupita. «Oh, che sbadata» esordì, facendo girare tutti dalla sua parte. «Mi sono dimenticata che, Rein cara, l’altra volta ho visto una camicetta deliziosa che ti sarebbe stata sicuramente bene. Vieni, te la mostro!»
Senza neanche lasciarmi il tempo di ribattere, mi afferrò un braccio e mi condusse in un negozio di abbigliamento, prese dagli scaffali una camicia qualsiasi e mi spinse verso i camerini. «Che stai facendo, Altezza?!» dissi, sorpresa e leggermente irritata, liberandomi dalla sua stretta. Lei mi sorrise maligna, dopodiché mi fece: «So tutto, cara.»
Feci una faccia interrogativa, seguita da un suo: «Non fare la finta tonta» che non mi piacque per nulla. Che cosa sapeva? «Calma. Adesso mi spieghi perché diamine siamo qua?» le chiesi, sbuffando. Lei mi guardò con aria soddisfatta, sospirando sempre con molta, molta soddisfazione.
«Ah, Rein, cara Rein» fece, scuotendo la testa sebbene continuasse a sorridere, «Ma sai che qualche settimana fa ti ho vista baciare Shade?»
















N/A: Non ho molta voglia di scrivere, ho sonno e mi sento orribile, ma devo spendere qualche parola per questo capitolo che mi piace abbastanza.
Altezza è da stimare. Ho appena deciso che sarà la consulente di Rein! Eheh, cheggenio. Ci saranno taaaante situazioni interessanti ed assurde, contateci!
Penso proprio che il prossimo capitolo arriverà presto, ma voi non credetemi, qualche imprevisto ci sarà di sicuro. Quindi, sì, vi do il permesso di lanciarmi pomodori D:
L'altro giorno ho riletto Blue String of Destiny. E' stato... non so. Non potevo credere che scrivessi in quel modo, nei primi capitoli D: E' stato alquanto traumatico. Adesso capisco come vi sentivate voi lettori, all'ultimo mi stavo pure per mettere a piangere, LOL.
Ringrazio tutti quelli che mi seguono e leggono, sappiate ancora che vi amo!
Alla prossima!
Noth aka Rainy.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 
Ricordo che alle elementari giocavo sempre a nascondino. L’attesa dell’essere trovata mi rendeva ogni volta nervosa, avevo sempre paura che mi scovassero troppo presto per l’ovvietà del mio nascondiglio.
In quel momento mi sentivo esattamente allo stesso modo: Altezza cercava il segreto dentro di me, ed io avevo paura di non riuscire a custodirlo al meglio.
Cercai di fare del mio meglio per mentire. «Ma di cosa stai parlando?!» le dissi, assumendo un’espressione che poteva vagamente definirsi meravigliata e stupita. Era la bugia peggiore che avessi mai detto in vita mia, nemmeno un bambino ci sarebbe cascato, men che meno una ragazza intuitiva come la mia compagna, che di cervello ne aveva sempre avuto, a dirla tutta.
«Rein, non provare a mentirmi, sai che sono una sempre sicura di quello che dice» replicò con tono leggermente seccato, come se mi avesse letto nel pensiero. Deglutii saliva inesistente, forse fu quello il segno che fece capire ad Altezza – mi accorsi che aveva ancora in mano quella camicetta gialla – che aveva, ancora una volta, ragione, annuendo convinta e facendomi innervosire ancora di più. Avevo le idee leggermente confuse, e non mi piacevano molto le luci accecanti dei camerini di quel negozio: mi davano fastidio le cose troppo luminose.
Appoggiandomi al muro, ricordai che ero pessima anche a nascondino, così non era raro che fossi io a contare.
Per un momento, fui tentata dal continuare a mentire, pur sapendo che non sarei arrivata da nessuna parte perché, oramai, la mia bionda compagna aveva già capito tutto. Sospirai, facendo un’espressione accigliata, e pensai a cosa avrei dovuto dire.
«Ok, d’accordo. Hai ragione, ho baciato – quella parola mi fece provare un brivido – Shade. E con questo? A proposito, come hai fatto a vederci?»
Lei ignorò completamente la seconda domanda (ringraziai il cielo che lo fece, non volevo sapere alcun dettaglio), e rispose, sempre con quel ghigno stampato in faccia: «E con questo ho sentito anche di quel piccolo patto che avete stipulato. Qualche problema nel trovare queste cinque fantomatiche motivazioni, Rein?»
Riuscii a percepire un velo di superiorità nella sua voce che pronunciava l’ultima domanda (non sapevo nemmeno come facesse a sapere che non avevo trovato alcun pretesto per far sì che Shade e Fine continuassero a star insieme), ma probabilmente era il suo solito tono che mi faceva pensare così. Feci le spallucce, come se la cosa non mi toccasse. Non avevo molta voglia di parlarne.
Più che altro, non riuscivo più a sopportare il ricordo che Shade mi baciava; era come se lui stesso fosse entrato nella mia mente per ficcarmi l’immagine bene nell’angolo dei ricordi, e che l’avesse ingrandita abbastanza in modo da farmi sentire a disagio ogni volta che mi passava davanti agli occhi, e tutto questo solo nelle poche ore in cui eravamo stati, anche se non tanto, a contatto.
Mi sentivo molto, molto irritata da lui.
Altezza batté le mani, come se avesse trovato una spiegazione/soluzione a tutto, anche se non mi disse di cosa si trattava. Dopodiché, mi guardò, quasi seria, dicendomi: «Ci sono tante cose che non sai».
Alzai un sopracciglio, pronta a chiederle a cosa alludesse, ma lei mi precedette: «Credo proprio che a tempo debito lo saprai».
Peccato che questo “tempo debito” sembrò già molto lungo.
Quella notte, non seppi perché, mi ritrovai a sognare il giorno in cui Shade e Fine si erano messi insieme.
Ricordavo che mia sorella era così felice ed eccitata che nessuno era riuscito a fermarla, era così allegra. Sebbene anche quel ragazzo avesse fatto parte di quella giornata, nel sogno non comparve. Svegliandomi nel cuore della notte, mi chiesi se sarei riuscita a trovare almeno una ragione, giusto per sapere di aver provato a difendere l’amore che provava mia sorella. Non riuscii più a chiudere occhio, mi girai e rigirai nel letto in cerca di sonno, alla fine mi misi a fissare insistentemente le gru colorate appese al soffitto, fino a quando, poco prima dell’alba, mi riaddormentai con una domanda in testa.
Avrei dovuto finire di piegare mille di quegli uccelli?
 
A partire da quella volta avevo capito che la felicità era riservata solo ai (tanti) privilegiati, e che io ero solo una delle poche persone che non potevano averla.
Lo scopo delle gru di carta era di ricordare i momenti felici.
Io i momenti felici li avevo persi, per questo smisi di farli e mi dedicai nel far sì che gli altri non se la passino come me. Non credevo che sarebbe più ritornato tutto normale.
Non dormii affatto, poiché la sveglia suonò una mezz’ora dopo, cosa che mi fece alquanto deprimere, perché sicuramente non sarei stata allegra e pimpante come tutti i giorni.
Poco prima di uscire mi guardai, un’ultima volta, allo specchio, giusto per vedere se ero davvero pronta. Avevo gli occhi un po’ rossi, ma le occhiaie non si vedevano tanto grazie allo strato di fondotinta che mi ero passata sulla pelle per nasconderle, e mi sentii fiera di me stessa: almeno alcune cose mi riuscivano ancora bene.
Continuando a rimirarmi allo specchio, mi dissi di farmi forza e di sforzarmi a non pensare a quante volte avrei dovuto cadere e rialzarmi da sola. Era quello lo scopo, dopotutto, del mio “lavoro”: evitare che le altre persone siano sole quando cadranno, ed evitare, soprattutto, che cadano, com’era successo a me. Non sapevo cosa pensare di me; volevo a tutti i costi che la felicità altrui non andasse perduta, ma io cosa ci guadagnavo, in fondo?
Giunsi a scuola, come al solito (per “solito” intendo quando mia sorella mi diceva di andare per non farmi arrivare tardi aspettandola), in perfetto orario. Quella nottataccia mi aveva tolto ogni forza e voglia di pensare di vincere la scommessa tra me e Shade, quindi mi accasciai direttamente sul banco in cerca di un po’ di sonno. Avevo voglia di un po’ di tranquillità, tutto qui. A dire il vero, di tranquillità ne avevo un sacco, dato che ero arrivata troppo presto e gran parte dei miei compagni non erano ancora arrivati. E forse era meglio così.
Almeno fino a quando, inaspettatamente, mi comparve niente meno che Shade davanti.
Ero appoggiata sul banco a riflettere su quello che facevo, quando lui fece irruenza (non esattamente) nella classe e dovetti dire addio alla serenità che già mi pregustavo.
A proposito di pregustare, in quel momento mi accorsi di aver dimenticato, il giorno prima, di acquistare una torta per Fine in quel negozio di dolci come premio per il suo pomeriggio di studio (e anche qualcosa per Mirlo per averla aiutata). Così, prima che lui potesse dire una singola parola, diedi voce ai miei pensieri: «Dopo scuola accompagnami alla pasticceria di ieri.»
«Come, prego?» mi chiese, con un sopracciglio alzato e un’aria perplessa. Avevo la brutta abitudine di dire quello che pensavo nei momenti e alle persone meno opportuni, cosicché mi ritrovavo spesso in situazioni spiacevoli e difficili da gestire. Ma ormai la frittata era fatta, seppur avevo intenzione di disdire tutto. «Ieri mi sono dimenticata di comprare qualcosa a Fine e a Mirlo, che non sono venute. Dovresti un po’ preoccuparti per la tua amica e – uhm – la tua ragazza» ribattei, cercando di volgere la situazione a mio favore. Non era di certo perché volevo uscire da sola con Shade! Il solo pensiero mi fece rabbrividire.
Lui fece le spallucce. «Se vuoi, tanto non ho mai niente da fare.»
Cercai di deviare l’argomento, ma mi precedette chiedendomi: «Però perché non ci vai direttamente con loro?» Sbuffai, cercando di essere più convincente possibile – Shade era uno abbastanza paranoico e scettico quando si trattava di credere agli altri su cose che lo riguardavano direttamente. «Perché voglio far loro una sorpresa! Dì un po’, tu ci prendi proprio gusto a tormentare gli altri con le tue domande sospettose, eh?» Per la seconda volta, fece le spallucce in segno di noncuranza. «A proposito, volevi qualcosa da me?» gli chiesi, questa volta appuntandomi di non far aprire più la sua boccaccia se non per rispondere alle mie domande. Dovevo pur fare qualcosa per alzare un muro di difesa!
Lui si mise le mani nelle tasche, dondolando leggermente da un piede all’altro – cosa poco comune nel comportamento di Shade – e mi disse, con un tono beffardo: «Ricordati che sono già passate due settimane. Se non riesci al più presto a convincermi di stare con tua sorella, io--»
«Shh! Stupido, non farti sentire!» gli ringhiai a tono basso, ringraziando il cielo che nella classe ci fossi solo io e che i brusii di sottofondo dei miei pochi compagni presenti nel corridoio non si fossero fermati. Mi avvicinai, furtiva, al ragazzo di mia sorella, mantenendo una distanza di sicurezza per paura che succedesse la stessa cosa dell’altra volta in cui eravamo rimasti soli. Mi maledissi per il fatto che sarei davvero rimasta sola con Shade una volta usciti dall’edificio scolastico.
«Scusa, che c’è di male nel parlarne?» mi chiese, con un’espressione così dannatamente strafottente sul viso che mi fece venire voglia di dargli un pugno direttamente in faccia. «Carissimo, sai cosa vuol dire essere con il ragazzo della propria sorella a parlare della loro imminente rottura a causa propria?!» gli risposi io, sperando di essere stata sufficientemente esauriente in modo tale che lui non facesse più domande a riguardo.
«Ma sì, tanto gli altri non sanno di cosa stiamo parlando» disse, ignorando bellamente gli sguardi minacciosi che gli rivolgevo. «Ad ogni modo, penso che tu debba sbrigarti. Non eri te quella che aveva detto che tre mesi sarebbero stati più che sufficienti per dimostrarmi che il fatto che io stia con Fine sia la cosa più giusta del mondo?»
Non era una domanda, in verità, era come se dicesse “Ammettilo, che non hai mai avuto il coraggio di guardare la realtà, che in verità fra me e Fine non c’è più niente da dire”, ma io non riuscivo ancora a capacitarmi del fatto che tutto stava, inevitabilmente, cadendo in basso, che non potevo più rimettere insieme i pezzi di un vetro rotto senza che i solchi si notino. Ero in un vicolo cieco, e stavo cercando, inutilmente, di abbattere quel muro che mi separava dalla meta, sebbene non sapessi dove mi stavo dirigendo.
C’era qualcosa, in quel momento, che mosse i miei pensieri, che fece vibrare i battiti del mio cuore. Tempo fa mi imposi di non fare gli stessi errori del passato.
Per niente al mondo ci sarei cascata ancora.
 
«Non ti hanno mai detto che sei noioso?» fu il mio commento prima di uscire da quella stramaledetta pasticceria (non perché non fosse accogliente, anzi), con in mano una di quelle scatolette di carta abbastanza spessa da sembrare un cartoncino vero e proprio, ma che aveva ancora la stessa consistenza della carta. Mi piaceva un sacco la superficie liscia di quel materiale, tanto che per i seguenti 10 minuti non feci altro che accarezzarla con il pollice quanto più potevo.
Avevo preso una fetta di torta alla fragola per mia sorella (lei era ossessionata dalle fragole), mentre per la mia compagna più grande avevo optato per una fetta all’arancia.
Shade non aveva detto niente per tutto il tempo in cui eravamo stati nel negozio di dolci, se non qualche borbottio che dovevano essere dei “Fa’ come vuoi” ad ogni mio “Che ne dici di questa torta?”. Insomma, nulla di nuovo.
Era sempre stato così, sin dalla prima volta che l’avevo visto: schivo, poco aperto agli altri, non amava conversare, ma ogni volta che apriva bocca era sempre molto schietto e senza peli sulla lingua, a volte anche un po’ sarcastico e (forse) sadico; uno così, di certo, non te  lo trovavi come vicino di casa o chissà cosa, eppure a me, sfortunatamente, era capitato come compagno di scuola più grande.
«Dipende dai punti di vista» rispose lui, continuando ad andare avanti. Odiavo il suo modo di camminare, era sempre troppo veloce ed io dovevo fare una fatica immensa per poter stare al suo passo. Cercai di mantenere una camminata dignitosa – sembravo un bradipo in letargo che cercava, goffamente, di imitare un ghepardo o chissà quale altro animale veloce – mentre gli dicevo: «Smettila di essere così menefreghista, mi irriti un sacco!»
«Fatti tuoi» mi rispose, e il mio livello di rabbia salì sempre di più. Un giorno di quelli lo avrei preso a calci. Sbuffai, avrei dovuto disdire subito quell’uscita.
Decisa ad ignorare quell’individuo, mi sedetti sul bordo della fontanella della piazza, stanca di cercare di camminare al suo passo. Mi misi a controllare il cellulare, e vidi un messaggio di Fine che mi chiedeva dove fossi finita, dato che si stava facendo buio e che, probabilmente, si sarebbe presto mettere a piovere.
Alzai lo sguardo e notai dei nuvoloni grigi che incombevano sulla mia testa, e solo allora sentii quanto il vento spirava odore di pioggia. Sperai che non si mettesse a piovere proprio in quel momento, così mi misi a pensare a come proteggere le fette di torta dall’acqua. Decisi di passare prima da Mirlo, per poi ritornare a casa.
«Guarda che se non ti muovi diventerai davvero “pioggia”» disse lui; le mani in tasca, i primi bottoni della camicia dell’uniforme sbottonati e la borsa appesa alla spalla sinistra gli davano l’aria di un normale liceale e non di uno psicopatico idiota che si divertiva alle spalle della propria ragazza e faceva risolvere i problemi alla sorella di quest’ultima. «Va bene, ho capito» risposi, alzandomi dal freddo marmo che mi stava letteralmente gelando il sedere – ottobre si faceva sentire.
D’improvviso, una domanda mi balzò in testa. «Se non riuscissi a trovare le ragioni per cui tu e Fine dovreste stare insieme, la lascerai per davvero?»
Riuscii a leggere un velo di sorpresa negli occhi del ragazzo davanti a me, che intanto si era voltato senza tenermi in considerazione. Era talmente ovvio che l’avrebbe fatto, d’altronde, non era un tipo che si rimangiava le promesse. Probabilmente era la domanda più futile che avessi mai fatto in vita mia, ma lo fece, comunque, rimanere in silenzio per qualche secondo, a riflettere su chissà cosa.
«Insomma, perché mi hai detto che dovevo riflettere sul comportamento delle persone? E perché continui a farmi dei discorsi che nemmeno riesco ad interpretare? Sembra che tu ti diverta a farmi sentire così. Cioè, se tu lo facessi per un motivo preciso, allora avrebbe tutto un senso, ma se non mi dici niente non riesco proprio a capire cosa diam--»
«E tu perché ti ostini a volere che gli altri non smettano di amare le persone a loro care?» mi interruppe, volgendomi uno sguardo glaciale. Non seppi cosa rispondere, in un primo momento, mi limitai, perciò, ad abbassare lo sguardo non sapendo dove guardare, incapace di formulare una frase sensata che non sia: “Per te non è normale pensare agli altri?”. «Se una volta è successo a te» continuò, «non vuol dire che tu abbia il diritto di decidere la felicità o l’infelicità altrui.»
«Non sono affari tuoi» ringhiai, ritornatomi in mente tutto quello che era successo un anno e mezzo prima. Lui conosceva tutto, tutti i miei amici lo sapevano, perfino l’ingenuo Tio, che allora aveva 13 anni. Tirai un respiro profondo, conscia del fatto che non sarebbe servito a niente e che Shade mi stava fissando con uno sguardo alquanto sospettoso. In realtà non avevo alcuna ragione per continuare a pensare alle storie altrui; ero una ragazza che, di solito, si faceva sempre gli affari suoi per non avere alcun tipo di problema. «E, comunque, cerco di fare il possibile per lei perché è mia sorella.»
«Allora dimmi: dimmi cosa dovrebbe indurmi a non rompere il rapporto tra me e Fine.»
Con lui era una vita perennemente “O la va, o la spacca”, per questo era odioso. «Lei ci spera.»
Notai lo sguardo perplesso che mi volse. In lontananza, il rombo di un tuono vibrò nelle mie orecchie, ma riuscii a sentirlo distintamente e sussultai per la sorpresa. «Tu non hai mai sperato in qualcosa? Lei ti ama. Non sai cosa succede al cuore quando tutto quello in cui credevi ti scivola di mano? Quando capisci che tutto è finito, che è inutile continuare a sperare in qualcosa oramai perduto?» Mi sembrava, in verità, di parlare più a me stessa che a lui, ma non ci feci caso perché non dovevo farci caso: sarebbe stato troppo difficile affrontare di nuovo il passato. «Il cuore si spacca in due. Non importa se riesci a rimetterne insieme i pezzi, rimarranno sempre le crepe. Forse è per questo – feci un leggero risolino – che faccio tutto questo.»
Ricordai il salice piangente. Quel giorno ero stata io che piansi per davvero.
Non seppi se il mio discorso preparato in due secondi netti avesse avuto effetto (d’altronde, non ero mai stata brava a parlare), era la prima cosa che mi era passata in testa e di certo non era una delle migliori risposte che avessi dato in vita mia.
Io mi preoccupavo solo di una cosa: Fine non doveva assolutamente piangere, e io, da brava sorella maggiore quale dovevo essere, avevo il compito di proteggerla.
«Muoviti, o rischiamo di prendere un raffreddore» se ne uscì, dopo qualche secondo, Shade. Non seppi come aveva reagito davanti a tutto quel mio parlare finché non mi disse: «Per questa volta la passi liscia. Le prossime quattro non saranno così facili.»
Un minuto dopo, la pioggia cominciò a scendere con forza.





















N/A: Non fidatevi mai di me. MAI. Tranne quando vi anticipo qualcosa della fiction.
Sono ritornata, signori, a rompervi ancora le parti basse. Sto aggiornando una volta ogni due settimane circa, e credo di star mantenendo il ritmo. Ergo, il prossimo capitolo non verrà postato prima di 14/15 giorni (per vostra fortuna).
Ebbene, in questo capitolo, finalmente, Rein riesce a convincere Shade. Giuro che non avevo pianificato che andasse così (in verità sarebbe dovuta essere ambientata a scuola), e intanto mi sono venute in mente delle idee davvero niente male. Giuro che vi sorprenderò, ma qualche segno già si vede :) Però adesso ho un vuoto totale su cosa la nostra ragazza normale dovrebbe dire per compiacere (?) Shade .-. Oh, ma che pignolooooo. [cit.]
Vediamo anche un piccolissimo stralcio dei ricordi di Rein, cosa le sarà successo? Perché ha deciso di fare questo “lavoro”? Cosa significano le gru di carta, per lei? E sembra proprio che Altezza (ripeto che è da stimare) sappia qualcosa che lei non sa… chissà di cosa si tratterà, eheh.
Sto scrivendo un sacco di pensieri di Rein su Shade, sembra proprio che non cagCOFF tutti gli altri personaggi, soprattutto Fine. Devo trovare un pretesto per inserirla ancora di più nella storia.
Ho un bisogno immenso di dire una cosa: le storie con tutti quei paroloni, che nessuno usa mai (no, non ti preoccupare, non sto parlando di te, mamma Ieia (non so come chiamarti se non così) (: ), oppure con periodi di una complessità grammaticale assurda e con troppe metafore non mi piacciono proprio. Cioè, ci sono modi più semplici di esprimere un concetto, mica i lettori devono andare a cercare sul dizionario cosa significa l’intera frase, dai! Ok, a volte può essere simpatico, ma se una storia è perennemente scritta in questo modo è chiaro che chi legge si stanchi facilmente, anche se l’idea di partenza è interessante. Per questo mi piace come scrivo: non mi sembra molto difficile da interpretare, e sono abbastanza diretta e non mi spreco molto in parole, se non strettamente necessario; correggetemi se sbaglio.
Anyway, ringrazio tutti quelli che mi supportano/sopportano, e spero che il mio modo di scrivere e la mia fiction continuino a piacervi allo stesso modo della prima volta in cui mi avete letta :)
Beh, al prossimo aggiornamento!
Noth aka Rainy.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 
«Non posso credere di avere la febbre a 39» brontolai, fissando il termometro e coprendomi il più possibile con la coperta per evitare di tremare. Mi sentivo il corpo tutto intorpidito, la testa scoppiare, la gola bruciare e il naso tappato. Insomma, un bel modo di iniziare la giornata; era dal giorno prima che pioveva e la cosa non mi rendeva affatto allegra.
«Sorellina, dovevi proprio ritornare a casa tutta inzuppata?» mi chiese premurosa Fine, con una rughetta fra le sopracciglia che mostrava quanto fosse preoccupata per me, anche se un po’ di febbre non aveva mai fatto del male a nessuno. «È pazzesco!» esclamai, «mi sono persino fermata un po’ da Mirlo per chiederle un ombrello.»
«Certo, rifiutando i suoi vestiti che ti aveva chiesto di mettere per evitare di finire in questo stato» mi incalzò sospirando. Mi chiesi se fossi sempre stata così problematica. «Forse è meglio che tu vada a scuola» feci, cambiando argomento, «non vorrai mica far infuriare i professori! E visto che ci sei, riporta l’ombrello a Mirlo e ringraziala da parte mia.»
«Secondo me avrà la mia stessa reazione quando le riferirò in che condizioni sei» commentò pensierosa, alzandosi. Roteai gli occhi, lei si preoccupava decisamente troppo quando si trattava di me, anche solo per una cosa minima; e pensare che ero io che dovevo avere quel compito. «La mamma ha detto che la zuppa è nella pentola, basta che tu la riscaldi. E ricordati anche della medicina dopo il pranzo.»
«Certo, sorellina» dissi sottolineando bene l’ultima parola. Diamine, sembrava mia madre – forse era proprio lei ad averle detto di riferirmelo.
Lei, invece, fece una faccia dalla serie: “Non prendermi in giro”, aggrottando leggermente le sopracciglia in uno sguardo di rimprovero e sospirando rassegnata. Era come se i nostri ruoli si fossero invertiti, così io ero diventata la sorella minore mentre lei era la maggiore (anche se, sinceramente, non le addiceva affatto quel ruolo: quel suo viso infantile e spensierato le stava bene proprio perché era la piccola di casa). Le sorrisi incoraggiante e le dissi: «Vai, prima che arrivi ancora in ritardo. Salutami gli altri.»
Quando sentii la porta di casa chiudersi e gli schiocchi della serratura che mi chiudeva nell’abitazione, potei sospirare e fare un piccolo sorrisetto di soddisfazione sotto le coperte, con il ticchettio della pioggia che batteva contro il vetro a farmi da sottofondo.
Ero finalmente riuscita a dire qualcosa di buono a Shade, e questo mi faceva assai sentire bene. Avvolta nella mia calda coperta, cominciai a pensare a cosa altro avrei potuto dirgli per risolvere quel piccolo (?) problema. Avevo finalmente raggiunto uno dei cinque obiettivi che mi aveva prefissato dopo quasi un mese, un po’ di felicità doveva pur starci!
In quel momento, mi ricordai che Shade era sempre stato così menefreghista che, sicuramente, non avrebbe messo in atto quello che gli avevo detto il giorno prima dopo che avevamo raggiunto la casa di Mirlo – “Ti prego di non essere così distaccato da mia sorella, lei ci tiene a te e lo sai” – così decisi di mandargli un messaggio per ricordarglielo.
La risposta fu lenta, ed io, vinta dalla stanchezza, mi addormentai aspettandola.
 
«Sai che si dice?» mi chiese, facendomi voltare verso di lui. Sul suo viso spensierato era comparso un accenno di sorriso, ed io non potei fare altro che pensare che fosse bellissimo. «Se pieghi mille gru di carta, una per ogni momento felice, un tuo desiderio si avvererà» continuò, posando il suo sguardo su di me e tirando fuori dalla tasca della giacca un piccolo uccello in origami. I colori della carta parvero splendere sotto la luce del sole mentre me lo metteva sul palmo della mano. «Tu sei così ossessionato da queste gru che mi fai venire voglia di farle anche io» risi, posando la testa sul suo braccio e chiudendo gli occhi, godendomi il tepore del sole di maggio.
 
La prima cosa che guardai, una volta messami seduta sul letto, fu il flaconcino di stelle origami sulla mia scrivania. Mi venne istintivo, forse perché non avevo alcuna voglia di alzare la testa e guardare tutti quegli uccelli colorati che svolazzavano sulla mia testa, così avevo ripiegato su qualcosa che avevo imparato a fare io.
Mi ricordai che il cellulare aveva vibrato, così lo controllai e lessi il messaggio che Shade mi aveva inviato: “Signorina, non ricordi che sono ritornato a casa tutto inzuppato e che la stagione delle piogge mi fa un brutto effetto?” In qualche modo mi sentii molto soddisfatta (e sadica). Fui molto più tranquilla nel constatare che quel giorno in cui non ero andata a scuola anche Shade fosse a casa, così potevo smettere di preoccuparmi. Notai anche che era mezzogiorno passato, così decisi di alzarmi – di mio malgrado – per scaldare la zuppa di pollo che mi aveva preparato mia madre.
La sera Fine ed io parlammo per molto tempo, e lei osservò che neanche il suo “fidanzato” era andato a scuola, chissà come mai. In quel momento mi sentii leggermente in colpa, poiché ero stata io a dire a Shade di accompagnarmi a prendere la torta alla mia gemella e a Mirlo, ma alla fine non ci badai più di tanto: Fine aveva già cambiato discorso.
Mi sentivo ancora male, ma quando lei mi chiese se il giorno seguente sarei stata in grado di ritornare a scuola, le riferii sicura che sarei stata presente e le dissi di non continuare a preoccuparsi per me, un’influenza ben curata non aveva mai fatto del male a nessuno.
Quando mi ritrovai sola nella stanza, non potei evitare di guardare il soffitto, pensando che fosse passato davvero molto tempo da allora.
Dalla volta in cui ci eravamo lasciati non avevo fatto altro che pensarci e ripensarci così tante volte che non ricordavo un momento in cui non avessi il pensiero del passato in testa. Avevo perso tutto quello per cui avevo promesso di vivere che le giornate mi sembravano sempre cupe e grigie, senza un accenno di colore.
Ero una ragazza con un normale cuore spezzato, continuando a sorridere forzatamente in modo normale e piangendo di notte sotto le coperte con la testa piena di ricordi d’amore normali. Non avevo niente di straordinario, sebbene tutti mi avessero detto quanto fossi formidabile nel continuare la vita come sempre senza riporre la mia tristezza nel mio cuore.
Quella volta mi chiesi se fosse veramente così facile leggermi dentro.
 
Il giorno dopo avevo ancora un po’ di mal di gola, ma non era niente di grave, cosicché potei ritornare normalmente a scuola. Alla pausa pranzo Mirlo mi disse in tono di rimprovero che dovevo prendermi più cura di me stessa. Quando feci notare che al nostro allegro gruppetto mancava ancora Shade, Bright mi disse che aveva ancora l’influenza, ed io mi chiesi cosa poteva esserci di peggio per quel ragazzo dell’autunno. Fine propose di andare a casa sua a fargli visita, il che mi fece rabbrividire perché non mi era mai piaciuto lo stato in cui si presentava ogni volta che andavamo a trovarlo – era sempre stato più irritante del solito.
Così Fine dovette andare da sola, poiché tutti gli altri la pensavano come me, con la scusa di “lasciarli un po’ soli”. Mi venne un po’ da ridere, ma ne fui felice perché, dopotutto, mia sorella doveva davvero restare un po’ sola con Shade. Magari si sarebbe risolto tutto ed io non mi sarei più dovuta preoccupare.
Durante l’ora di economia domestica Altezza volle sapere tutto di quello che era successo due giorni prima, poiché le avevo detto di sfuggita che sarei uscita con Shade. Si fece raccontare il tutto nei minimi particolari, e quando finii lei si fece pensosa, da come riuscivo a percepire la sua espressione tipica di quando faceva yoga (sì, faceva yoga), dopodiché non mi disse più niente. Mi chiesi da quando in qua Altezza era così interessata a quello che succedeva fra me e Shade.
Alla fine della lezione finalmente mi parlò. «Certo che voi due siete strani» commentò, ed io, perspicace come al solito, non capii proprio il perché di quell’affermazione e le chiesi spiegazioni. Lei liquidò l’argomento proponendomi di uscire ad accompagnarla a fare compere.
La sera notai che era da un sacco di tempo che non riuscivo a godermi una giornata del genere. Niente scommesse, niente Shade, niente situazioni fuori dalla norma, solo una tranquilla giornata nuvolosa che odorava di autunno. Ascoltando la mia gemella parlare di quanto fosse stata felice di vedere il suo ragazzo, mi dissi, per la milionesima volta in quelle settimane, di essere una cattiva sorella maggiore. Lei sembrava così gioiosa, eppure io non mi sentivo affatto bene: avrei dovuto mentirle, ancora e ancora, fino a quando tutte le cose non sarebbero andate al loro posto, cosa che molto probabilmente non sarebbe accaduto molto presto. E, ironia della sorte, alla fine mi disse proprio che era grazie a me se lei era potuta stare con Shade così a lungo. Non seppi che dirle per paura di ferirla, anche se impercettibilmente.
 
Non ero particolarmente portata per lo sport o per l’attività fisica in generale, quindi l’ora di educazione fisica non era mai stata tra le mie preferite, al contrario della mia gemella, che riusciva a trovare in quella lezione uno sfogo per tutto quello che non riusciva a portarsi dietro: correva, saltava, eccelleva negli esercizi; aveva sempre avuto dei buoni voti in quella materia, al contrario del resto. Io ero l’opposto: mi sforzavo di non tenere troppo bassa la mia media scolastica (ma nemmeno mi piaceva essere vista come una gran studiosa, ciò voleva dire mettersi in mostra per me, e non ero particolarmente attirata da qualcosa del genere), ma in educazione fisica ero davvero una frana.
Quel giorno non pioveva, il sole era sì e no presente, per cui non riusciva a scaldarci molto a causa della temperatura che si stava abbassando: l’autunno, a Wonder, era particolarmente freddo, così come l’inverno.
Sebbene avessi fatto solo due giri della palestra, mi sentivo già un po’ affaticata, e sperai che quel riscaldamento finisse presto: era la cosa che detestavo di più, la resistenza in corsa non era il mio forte – non che negli altri esercizi mi piacessero. L’unica cosa che mi piaceva del correre era che liberavo la mente da tutto quello a cui stavo pensando poco prima, lasciando il vuoto più assoluto nella mia testa facendomi concentrare nella corsa. Il vuoto.
Quel giorno avremmo dovuto giocare a palla prigioniera, e io odiavo quell’orribile gioco: mi prendevo almeno una pallonata in faccia all’anno, e non era una cosa molto piacevole – tra l’altro, noi ragazze facevamo educazione fisica con i maschi; se non riuscivano a controllare la loro forza era impossibile uscire illesi da quella lezione. Era orribile. Non feci altro che correre di qua e di là per tutto il tempo, avendo il costante terrore di essere beccata.
Ma nella mia mente era presente ancora il vuoto. Mi piaceva un sacco quella sensazione, forse era l’unica cosa positiva della lezione di educazione fisica. Quel giorno, non conoscevo bene il motivo, ero particolarmente stressata, irritata, infastidita da tutto, per questo ero decisamente felice che ci fosse stata quell’ora.
Anzi, è meglio dire che sapevo benissimo perché ero tanto lunatica quel giorno, solo che odiavo ammetterlo. Perché, alla fine, gira e rigira, la risposta a quella domanda – Perché ti ostini a volere che gli altri non smettano di amare le persone a loro care? – era chiarissima: ero così egoista che questo mio egoismo divenne altruismo e che mi fece pensare che si fosse sempre trattato di quest’ultimo, fino a quando Shade non me l’aveva rinfacciato con parole dure e poco delicate. In qualche modo gli ero grato, ma non ci volevo proprio pensare.
Perché la causa di tutto era lui. Era lui che era all’occhio del ciclone, ed ero sicura che lo sapesse bene – impossibile che Shade fosse così poco sveglio da non riuscire a stuzzicare, quando poteva, le persone come me. Sapeva quali tasti premere ed ogni volta era sempre uscito trionfante da quelle piccole scommesse con la sua abilità nell’irritare le persone.
Da parte mia, comprendevo il fatto di non dover più essere succube dei suoi scherzi. L’ultima volta che c’ero cascata, mi era costato caro.
Ad ogni modo, dopo quell’ora mi sentivo meno attiva del solito e un po’ debole.
Non mi era mai successo. Molto probabilmente era per il fatto che due giorni prima ero stata malata, quindi non ci feci molto caso. Durante l’ora successiva, letteratura giapponese, non riuscivo a fare altro che sospirare e cercare di tenere gli occhi e le orecchie aperte, con non molto successo. Chiesi di andare in infermeria, e la professoressa mi accordò il permesso.
Stavo per scendere le scale quando incontrai Bright, «Oh, ciao» lo salutai.
«Rein, cosa ci fai in giro adesso?» mi domandò, leggermente sorpreso – non capii il motivo di quella sorpresa. «Dovrei farti la stessa domanda» replicai, «Comunque, sto andando in infermeria. È da stamattina che, non so perché, mi sento particolarmente poco bene, anche se la febbre è scesa da ieri».
«Era meglio se fossi restata a casa» commentò di rimando: si era sempre preoccupato per le altre persone, lui sì che era altruista. «Vuoi che ti accompagni? Tanto devo solo andare in biblioteca.» Sentivo il mio corpo intorpidito, non riuscivo a muovermi nonostante mi stessi ripetendo “Muoviti, muoviti, muoviti” come un mantra. Avrei voluto dire a Bright di non preoccuparsi e che ce l’avrei fatta da sola, ma non lo feci perché il secondo dopo non vidi altro che nero.
 
“Ascolta, Rein. Non devi essere triste, capito? Altrimenti tua sorella si preoccuperebbe. Così come Altezza. E Lione, Tio, Auler, Sophie, Bright, Mirlo, Shade. Devi essere forte, in modo che loro possano continuare a vivere in modo sereno e senza alcun pensiero triste. Sii fiduciosa, così tutto passerà e ritorneresti alla vita normale. Non importa cosa succederà, non lasciar trasparire le tue emozioni. Mai.”
Mi ero ripetuta tutto quello per mesi e mesi, fino a farmi venire il voltastomaco.
 
«To’, allora era vero quello che aveva detto Bright.»
Con quella frase pronunciata dalla bocca di Shade mi svegliai, sebbene non aprii gli occhi: ancora troppo stanca per farlo, e troppo svogliata nel vedere la sua faccia fissarmi con un sopracciglio alzato (perché ero sicura che avesse un sopracciglio alzato). «A quanto pare» sospirò Altezza. Ciò mi sorprese non poco, dato che Altezza era l’ultima persona che pensavo potesse venire a trovarmi, così come Shade. Ancora una volta non volli aprire gli occhi per vedere l’espressione della mia compagna di classe.
«Era rientrato in classe con i sopraccigli corrugati, quando era ritornato al posto mi ha riferito che Rein era svenuta nel bel mezzo della sua proposta di accompagnarla in infermeria» riferì, con un lieve sospiro. «Seriamente, tuo fratello si preoccupa troppo per ogni minima cosa.»
«Lo so» rispose Altezza, «sai com’è, è fatto così. Dovresti saperlo bene, è praticamente una vita che ci conosciamo.» Quel “è praticamente una vita che ci conosciamo” fu detto con molta rassegnazione, in cui vi lessi un lieve compiacimento di cui non mi seppi spiegare il motivo. Ne seguì un silenzio, nel quale sentii il letto accanto al mio scricchiolare leggermente. Probabilmente era il ragazzo di mia sorella che si era seduto. «Piuttosto, che ci fai qui? Non dovresti essere in classe?» chiese Altezza, curiosa.
«Ora buca» rispose semplicemente l’altro, «così ho deciso di venire a trovarla.» Nell’aria era sospesa la domanda “E mio fratello?”, così Shade completò la risposta: «Bright, invece, ha detto che doveva copiare i compiti di inglese, così gli ho passato i miei».
«Bene» fece soddisfatta Altezza, «così potremo parlare indisturbati.» Ciò mi fece subito drizzare le orecchie, indecisa se cercare di addormentarmi oppure rimanere sveglia. Sembrava fosse qualcosa di serio, e raramente la mia compagna bionda era seria. Infatti, dopo poco, gli disse: «Ho saputo da Rein di questa piccola scommessa fra voi due. Mi sto ancora chiedendo il motivo, sinceramente.»
«Ti ha detto questo?» chiese, leggermente allarmato. Dopodiché si ricompose, quando continuò: «Non dovremmo parlare in sua presenza, ad ogni modo.»
«Ah, tanto è già andata da un bel po’» disse, con così tanta noncuranza che la maledii mentalmente per quello. Ero ancora di fronte al bivio dell’addormentarmi o meno, ma sapevo già che, oramai, era inutile cercare di svenire una seconda volta per non ascoltare il loro discorso. Così mi aggrappai alla speranza che Shade non fosse così poco prudente da accettare quello come un pretesto per non uscire dalla stanza, anche se, sinceramente, morivo dalla voglia di sapere.
Shade sospirò stanco, «Come vuoi». Il che mi fece sentire perplessa sul ringraziarlo o meno. Potei immaginarmi Altezza ghignare quando disse: «Allora? Vuoi dirmi il perché di questa scommessa? Non mi sembra qualcosa da te».
Il cuore cominciò a battermi forte. Non sapevo perché. Era un beneficio oppure no il fatto di sapere per quale assurda ragione Shade mi aveva proposto quella sfida? In fondo, lui era uno di poche parole, non avrebbe avuto senso chiedermi di trovare cinque motivi per mantenere vivo il suo amore (?) per Fine quando gliene sarebbe bastato solo uno per lasciarla.
«Avevo bisogno di stimoli» rispose, «Non mi bastava più avere qualcuno con cui confortarmi quando mi annoiavo.» Mi ricordai di quella ragazza che stava baciando il primo giorno di scuola, e sentii un brivido corrermi lungo la schiena: era a quelle cose quello a cui stava alludendo?
«Pff, d’accordo.» Altezza non sembrava affatto sorpresa, né incuriosita da quella frase. Un altro silenzio non riempito da alcuna parola si fece spazio nella conversazione. Mi chiesi se lei lo sapesse già di quello che stava succedendo allora oppure non aveva voglia di avere a che fare con certi argomenti personali. O forse lo conosceva così bene – era davvero una vita che Altezza, Bright e Shade si conoscevano – da doversi aspettare qualcosa del genere.
«Senti,» fu ancora la mia compagna a parlare, «non è che stai solo cercando di sopprimere quell’interesse che avevi per Rein qualche tempo fa, prima che si mettesse con quel ragazzo?»
Mi si gelò il sangue nelle vene.
«Non mi dire che ce l’hai ancora, dopo questi due anni» lo incalzò ancora.
Deglutii a fatica.
«Di certe cose è meglio non parlarne, Altezza. È stato un po’ di tempo fa.»
Strinsi l’orlo della gonna, come se fosse stato un antistress.
«Capisco. Dunque, per questo.»
Bastabastabasta.
«Chissà. E, comunque, non sono affari tuoi.»
Preferii non immaginarmi le loro espressioni.
«Sai, forse non hai così ragione, nel dire che è stato un po’ di tempo fa. Vi conosco fin troppo bene da non affermare che, per voi, il tempo non è mai passato.»
L’ultima volta che c’ero cascata, mi era costato veramente caro.

















N/A: ASNAURFNEIOSJAPKFMNIASJOKsì.
Ce. L’ho. Fatta. Finalmente.
Non so se stavate aspettando questo capitolo con trepidazione o meno, ma fatto sta che sono davvero molto realizzata nel finire di scriverlo, e spero vivamente che vi sia piaciuto. Leggere fan fiction di alta qualità (ah ah, sembra che stia parlando come i tizi che parlano nelle pubblicità) stimola davvero un sacco l’ispirazione. Grazie per esistere, EFP e FanFiction.net!
Sono le 2 di notte e per 4 giorni non andrò a scuola (oggi, l’8, perché è Sant’Ambrogio, domani e dopodomani perché le scuole, qui da me, a Milano, sono chiuse a causa dell’allarme smog D: Domenica non si va a scuola perché è così, YEEEEE), quindi mi sento tanto felice che posso dormire di più.
Non ho molto da dire su questo capitolo, tranne che scusarmi per questo orribile ritardo. Sono tremenda, lo so. Tra l’altro, il 22 parto di nuovo perché devo andare al matrimonio di mia cugina (ergo vado a tingermi i capelli, a visitare un sacco di città, shopping e a fare il book fotografico, uhuh), quindi fino al 9 gennaio sono via. Prima di quella data, quindi, credo di poter pubblicare il sesto capitolo, ma non ne sono sicura, sappiatelo. Se non fosse così, mi scuso ancora una volta.
Oh, tra l’altro, l’incontro di EFP è stato entusiasmante! Sono stata davvero felice di potervi partecipare. Peccato non aver incontrato alcun autore che conoscevo tramite i diversi fandom, ah ah. Tra l’altro, erano tutti più grandi di me, così mi sono sentita un po’ sola, anche se mi hanno detto che sembro più grande. [cit.] Ho conosciuto Erika, la webmistress, e anche Erika De Vivo, l’autrice di “La vita che avevo” del libro “Niente è come prima”! Mi congratulo con te, è stata una storia davvero profonda e toccante :) (Anche se dubito che mi leggerà qui dentro XD)
Bene, direi che è tempo di salutarsi. Spero che continuiate a supportarmi! Tra l’altro, ho bene in mente l’epilogo – l’ho già scritto, ah ah.
Noth aka Rainy/Ameshiri!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
 
Ritornai a casa, quel giorno, che non riuscivo più a respirare.
Tutto quello che mi frullava in testa era Shade è innamorato di me quando invece avrebbe dovuto esserlo di mia sorella.
Però, lui non l’aveva confermato, giusto? Era stata Altezza che aveva detto quell’assurdità. Era passato. Non presente. Una volta lui era innamorato di me. Adesso no. Sicuramente.
Ma, allora, perché diamine avrebbe voluto fare quella scommessa?
Per testarmi.
Per infastidirmi.
Per rendermi la vita più difficile.
Per distrarmi.
Qualunque fosse stato il motivo, c’entravo, in qualche modo, sempre io. Quella era la verità, e non sapevo come fare per cambiarla. Il cuore mi si stava spezzando in mille pezzi, non sarei più riuscita a guardare in faccia né Altezza, né Shade. Tantomeno Fine, la mia amata sorella che avrei supposto di dover amare e proteggere da ogni male del mondo, quando il male ero diventata io stessa.
Non sapevo come fare, cosa fare.
Mi sedetti sul letto e fissai prima l’orologio, poi il cellulare che avevo appoggiato poco prima sul comodino. Avrei voluto chiamare qualcuno, ma chi? Non avevo nessuno con cui confidarmi. Altezza era fuori discussione, ad ogni modo: non potevo di certo rivolgermi a qualcuno che conosceva tanto bene Shade da portarmi disgrazie come quelle, anche se sapeva tutto quello che era successo. Lione o Mirlo? No, troppo dolci ed ingenue per capire la situazione. Auler e Sophie erano decisamente allegri, avrebbero preso tutto con ottimismo senza considerarne le conseguenze. Tio era troppo piccolo.
La risposta arrivò quando il cellulare squillò, facendomi sobbalzare. «Sì, pronto?» feci, appoggiandomi al comodino: ero ancora un po’ spossata e non mi sentivo molto bene. Dall’altra parte della linea la voce di Bright, in qualche modo, mi suonò come una campana di salvezza, una corda a cui aggrapparmi anche se non sapevo ancora come fare: «Rein? Sono Bright».
«Ciao» feci, cercando di nascondere la mia emozione: lui conosceva Shade e sicuramente mi avrebbe dato delle risposte. Così mi sarei decisa sul da farsi. «Stai bene? Oggi avevi proprio una brutta cera.»
«Sono ok,» risposi, «è solo che ieri sera non sono riuscita a dormire bene, tutto qui. Grazie per avermelo chiesto e per avermi portata in infermeria – immagino sia stato tu a farlo.»
«Fa nulla, così avrei avuto una scusa se fossi stato via per più tempo» rise, così come feci pure io. Mi sedetti sul letto, tirando un sospiro. «Piuttosto» cominciai, cercando in fretta le parole adatte, «sai per caso cosa sta succedendo a Shade in questi giorni? Fine mi ha riferito che si sta comportando in modo strano.» Non avevo alcuna intenzione di rivelare a Bright che cosa quel testone del ragazzo di mia sorella mi avesse proposto, né cosa avessi scoperto quel giorno. Volevo solo… che confermasse le mie teorie e le parole di Altezza, tutto qui.
«In che senso?» chiese con un tono leggermente perplesso, e mi aspettai quella domanda. «Non saprei, Fine non mi ha detto nulla in proposito. In effetti avevo notato pure io che, in questi ultimi tempi, a volte se ne vada di soppiatto a casa. Insomma, qualcosa del genere, credo.» Non seppi se quel “credo” fosse fuori posto o meno, ma fatto stava che Bright fece un “Mmh” pensieroso. Ciò mi fece chiedere se mi stesse nascondendo davvero qualcosa.
Avevo, più che altro, paura che mi confermasse le parole della sorella: non avrei sicuramente saputo dove sarei andata a sbattere la testa.
«Glielo chiederò» fu la sua risposta, alla fine. Non seppi se ridere per non piangere o piangere per non ridere. «No, senti, lascia stare,» dissi in tono sbrigativo, «non ce n’è bisogno.» Sapevo benissimo che Bright era capace di chiedere una cosa del genere a Shade: anche lui, molto spesso, era uno che non aveva peli sulla lingua.
«Ad ogni modo, se noti qualcosa, ti prego di dirmelo» gli raccomandai, «ovviamente, senza dire niente a Shade. Ti prego davvero di non farlo, quest’ultimo punto.» Sperai di convincerlo senza che mi chiedesse spiegazioni, perché altrimenti non avrei saputo come rispondergli senza sfociare nella paranoia o confusione (o senso di colpa). Ringraziai il cielo perché Bright fosse una persona semplice e di poche parole, senza che voglia complicarsi la vita perché mi rispose: «Certo, non c’è nessun problema».
Dall’altro capo della linea sentii sua sorella urlare qualcosa del tipo aiutarla a fare chissà cosa. «Vuoi parlare un po’ con Altezza? A dirla tutta, ti ho chiamata solo per chiederti se stessi bene, niente di più» disse il mio amico. Ci pensai per qualche secondo, forse avrei davvero dovuto parlarle di quello che era successo quel giorno. Sapevo che sarei finita comunque a fare un po’ di certezza, non ero una tipa che lasciava le cose a metà ed a cui non piaceva nemmeno il fatto di non poter chiarire le cose quando si poteva benissimo chiarirle. «Perché no?» risposi allora, e, dopo aver salutato Bright, sentii la sua voce chiamare la sorella e i tipici rumori di quando si passa il telefono ad un’altra persona.
«Sì, Rein?» rispose Altezza, sbuffando con fare indaffarato. Mi morsi la lingua per non riferirle cosa avevo davvero pensato in quel momento, e mi limitai ad un indifferente (?) «Ti devo parlare».
Lei sembrò pensarci un po’ su, e poi mi rispose: «Su cosa? Non credo di aver fatto qualcosa di male, oggi». Il tono della sua voce era di una sincerità disarmante ed io, in tutti gli anni che l’avevo conosciuta, sapevo riconoscere quando stava mentendo e quando era così dannatamente ingenua da farti chiedere se fosse veramente la stessa Altezza che adorava esercitare il proprio sadismo (più o meno) sulle altre persone innocenti. Così mi voltai verso la finestra per vedere se stesse succedendo qualcosa di interessante o meno, ed invece ci fu solo un piccione con le ali spiegate che scendeva verso terra e le foglie che continuavano a cadere dagli alberi. Sospirai, «Non ti eri accorta che ero, uhm, sveglia, oggi in infermeria?»
«Oh», ed un silenzio calò su di noi. «Ops» fece, «scusa».
Fu allora che esplosi, nel senso letterale del termine. «Mi dici che diamine ti è saltato in testa?! Dio cristo, come diamine fai a dire con così leggerezza che – argh! – Shade era innamorato di me?!» Non sapevo più che pesci pigliare con la mia compagna, tanto era esasperante ed istintiva. Ringraziai il cielo perché Fine fosse andata a casa di Lione, altrimenti si sarebbe preoccupata sicuramente (soprattutto dal momento che avevo detto ad alta voce ciò che avevo sentito uscire dalla bocca di Altezza!). Presi un respiro prima di ricominciare a parlare, prendendo a camminare per la casa a passi pesanti. «La prossima volta che fai una cosa del genere, giuro che non la pass—»
«Frena, bellezza» m’interruppe lei, con tono poco amichevole e minaccioso, «non è mica colpa mia se non eri svenuta in quel momento. E poi, tanto per puntualizzare, io non ho detto che Shade è innamorato di te. Ho solo chiesto se, magari, nutrisse ancora qualche sentimento nei tuoi confronti.»
«Oh, potevi benissimo parlargli fuori dall’infermeria!»
«Certamente, così tutti ci avrebbero sentito e addio alla tua scommessa e al suo segreto. Rein, seriamente, ti pensavo più intelligente.»
Mi morsi il labbro. Aveva effettivamente ragione, anche se ero così cocciuta da non voler riconoscere che quella era stata una mossa astuta, degna di Altezza. «Ok, ok. Senti, parliamone domani, sto cominciando a sentirmi male di nuovo.» E non era una scusa. Un po’ mi faceva male qualcosa all’altezza del petto, ed ero sicura che era il cuore. Un dolore insopportabile.
Allora era vero che Shade era stato innamorato di me, una volta.
«Mmh, come vuoi» disse lei, con un tono che mi fece pensare che avesse voluto fare apposta tutto quello, anche se ero sicura che fosse stato completamente involontario – la conoscevo troppo bene, lei mi voleva troppo bene, ne ero consapevole. «Ad ogni modo» fece per dire, ma ritirò subito le sue parole. «No, anzi, nulla. Te lo dico domani. Cerca di riposarti bene.»
Riattaccò.
 
«Sai cosa c’è di buffo?»
Mi voltai a fissare i capelli biondissimi – mi ero sempre chiesta se per caso se li tingesse/schiarisse oppure se fosse il suo colore naturale – della mia compagna, raccolti in una coda alta per agevolare le azioni durante l’ora di economia domestica.
Eravamo finite, come al solito, in gruppo insieme, e non c’era niente di meglio: Altezza era una fantastica cuoca, al contrario di me che ero solamente capace di far bollire l’acqua. «Mmh, cosa?» chiesi, forse ancora un po’ arrabbiata per la conversazione del giorno prima.
«Beh, il fatto che tu ti sia cacciata in un guaio del genere» mi rispose, appoggiandosi al bancone ed aspettando che i restanti 7 minuti di cottura in forno passassero. Mi fissò con una piccola smorfia disegnata sulla bocca. Incrociai le braccia e la fissai perplessa con un sopracciglio alzato, «Beh, dovevo pur difendere la mia reputazione.»
«Sarà» mi disse di rimando, «ma se fossi stata in te avrei semplicemente messo da parte il mio orgoglio per non peggiorare le cose.» Sospirai. «Altezza, sappiamo benissimo entrambe che sei perfino più istintiva di me» la stuzzicai io, con un lieve sorriso sulle labbra. Lei alzò le mani in segno di resa, «Probabilmente. Volevo solo fare la parte dell’amica consigliera. Comunque, credo che…» si fermò. Le diedi uno sguardo interrogativo, a cui lei rispose con una scrollata di capo. «Niente.» Passammo un po’ di tempo in un beato silenzio.
«Volevo chiederti, non ti penti?» ruppe il silenzio tra noi, prendendo una ciocca di capelli e rigirandosela fra le mani studiandone le punte, ed io non risposi. Restammo qualche secondo in un secondo silenzio; il brusio delle altre nostre compagne che parlavano e il “ciak ciak” e “tling tling” dei diversi utensili da cucina che sbattevano gli uni contro gli altri riempivano l’aula. Lei alzò lo sguardo per fissarmi negli occhi, io invece lo abbassai a guardare le scarpe e lisciarmi il grembiule verde: non mi piacevano quel genere di conversazioni. «Voglio dire» fece, «non ti penti di aver lasciato andare tutto?»
«Quando intendi?» chiesi, alzando di nuovo gli occhi con fare perplesso. Lei sembrò pensarci su, cercando le parole giuste, probabilmente. «Quando eri ancora innamorata di…» e cercò di farmi capire con lo sguardo di chi si trattasse. Colsi l’eloquenza dopo poco. «Ah» mormorai. Era passato così tanto tempo che quasi me n’ero dimenticata. «Beh, diciamo che sto ancora sperando di fare la cosa giusta» azzardai.
«Se non avessi mollato, sono sicura che a quest’ora stareste insieme a ridere come degli idioti» mi disse, sospirando e smettendo di torturare i suoi capelli. Feci un mezzo sorriso, alzai leggermente le spalle. Sembrava che ogni mio movimento fosse debole e senza vita, forse perché era così che mi sentivo.
Altezza aveva ragione; a quest’ora sarei stata ancora con lui.
«Scusa se te lo dico» ricominciò, «perché probabilmente questa cosa non ti farà piacere.» Feci un cenno per dire che poteva continuare a parlare. Era come se il mio cuore fosse così scalfito dalla realtà che niente, oramai, avrebbe potuto lasciargli altri segni. «Credo che tu non abbia più la forza di volontà di una volta, tutto qui. E poi – rise – sembra proprio che il destino voglia giocarti brutti tiri continuamente.» Sorrisi anch’io, «Sembra proprio di sì».
Altezza era formidabile. Riusciva a capire come mi sentivo quando ce n’era bisogno senza che io debba trovare un modo per dirglielo. Mi chiesi se avesse qualche sorta di potere psichico di cui io non sapevo nulla. Parlare con lei mi rendeva così serena che sperai che rimanessimo amiche per davvero sempre.
«Ad ogni modo, Rein, non ti sto dicendo di mollare proprio ora o di rimpiangere tutte quelle cose che non hai fatto in passato. Vorrei solo che ripensassi a cosa avresti potuto ottenere se non ti fossi arresa allora.» Fece un piccolo sorriso. «Magari, in questo modo, anch’io potrei capire cosa sta succedendo nella tua testa. Sei sempre stata così enigmatica!»
E il “ding” del forno pose fine alla nostra conversazione.
 
«Diamine, diamine, diamine!» strillai, in preda al panico, quando vidi che mancavano solo 10 minuti all’appuntamento ed io ero ancora sotto le coperte.
Non potevo crederci. Ero. Di. Nuovo. In. Ritardo. E proprio il giorno in cui, magari, avrei conosciuto l’amore della mia vita!
Mi vestii velocemente – ringraziai il cielo di aver preparato i vestiti e la borsa il giorno prima – e corsi praticamente fuori dalla mi stanza. Se non fosse stato per mia madre, che mi disse di lavare i denti prima, me ne sarei sicuramente dimenticata.
Nella mia mente, mentre correvo verso la fermata dell’autobus, continuavo a rimproverarmi, perché ogni volta, ogni benedettissima volta, ero in un mostruoso ritardo. Ma ora che mi apprestavo a cominciare le superiori, non avrei di certo potuto svegliarmi 10 minuti prima che fosse suonata la campanella!
Sperai solo che Berry non se la prendesse di nuovo con me. Sembrava così eccitata nel volermi presentare quel ragazzo! Da quello che mi aveva raccontato avevo capito che era l’amico di un cugino che aveva rivisto dopo tanto tempo, quando quest’ultimo era venuto a trovarla nella nostra città. E sembrava anche che fosse davvero un sacco simpatico. “Un amico in più fa sempre bene” pensai, sebbene poco prima lo avevo considerato come l’amore della mia vita. Di certo ero troppo ottimista.
Mi piaceva pensare che c’era qualcosa di bello in ogni cosa – una piccola parte che si nasconde, per essere scoperta nello stupore della quotidianità. Per questo ero così felice di ogni evento della mia vita, a meno che non fosse davvero un fatto di cui essere tristi. Perché ci sono cose che è meglio viverle all’istante, per le altre, invece, è una buona idea lasciarla nel cassetto dei ricordi per poi ritirarla fuori al momento giusto, quando ci si sente un poco più pronti.
«Diamine, Rein! Non è possibile che tu sia sempre in ritardo!»
A meno che non si tratti di Berry. Era un milione di volte più esuberante ed attiva di me che viveva sempre la vita al presente, senza pensare al passato e costruendo inconsapevolmente il futuro nel migliore dei modi.
Era tanto esuberante da essere a volte troppo facilmente irritabile.
«Scusa, scusa!» dissi, alzando le mani in segno di resa e cercando di respirare in modo normale. Quella corsa mi aveva così frastornata (e stancata, soprattutto), che non avevo visto quel ragazzo dai capelli neri come la pece dietro alla mia amica, che sorrideva leggermente guardando quanto Berry poteva essere spaventosa (?). «Non è possibile» ripeté sbattendo a terra i piedi, «E pensare che speravo che, almeno questa volta, di vederti puntuale! Argh, non posso credere di aver fatto una figura del genere!»
«Ahem, Berry, non c’è bisogno di essere così arrabbiati» intervenne il ragazzo, salvandomi dalla (sicuramente) lunga predica che aveva intenzione di farmi la mia amica dai capelli color nocciola. Lei lo guardò, «Oh, andiamo, devo pur dirle qualcosa!» si lamentò. «Va tutto bene, davvero» rispose, per poi guardarmi. «Tu devi essere, uhm, Rein, giusto? Sono Gray, piacere di conoscerti.»
 
Mi piaceva pensare che c’erano delle cose che dovevano essere vissute all’istante ed altre che venivano lasciate da parte per poi viverle un po’ di tempo dopo.
Avrei voluto vivere bene, senza aver alcun tipo di rimpianto o cose del genere. Mi piaceva pensare che ogni storia d’amore finisse bene, sorridendo delle cose felici se per caso ci si dovesse  separare.
Mi piaceva la vita, tutto qui. Non desideravo cose troppo grandi come la felicità assoluta, ero felice di quello che avevo e mi bastava solo che durassero per sempre.

















N/A: KEEP CALM AND AVGVHFHRDNKS.
So benissimo di essere più che tremenda.
Ho esattamente 4 cose di cui parlare: la prima riguarda le mie scuse, la seconda di questo fandom, la terza delle mie fan fiction, e la quarta… la quarta non la ricordo più. Cioè, ci ho pensato mentre facevo la doccia, ma adesso non la ricordo.
Mi scuso tantissimo. Sì, potete dirmene di tutti i colori. Sono terribilmente dispiaciuta per questi due mesi di non-update (sto leggendo così tante fan fiction in inglese che non ricordo più le parole italiane, sono terribile) dei capitoli, ma proprio non sono riuscita a trovare l’ispirazione – questo si collega alla seconda cosa di cui devo parlare. Ultimamente non riesco più a scrivere in questo fandom. Cioè, non che la mia voglia di scrivere sia completamente sparita, solo che trovo tantissima difficoltà ora come ora: infatti sono riuscita a finire il questo capitolo giusto qualche minuto fa, non ho nemmeno voglia di controllare se ho fatto qualche errore (mi scuso anche per questo). Non so cosa mi succede. Molto probabilmente questa sarà l’ultima fan fiction che scriverò nella sezione di Twin Princess. Ma sono molto soddisfatta di un risultato: qualche giorno fa sono andata nelle storie più popolari di questa sezione e, TADAAAA!, Blue String of Destiny era tra quelle. Mi sembrava fosse l’unica SheRei dentro, e ciò mi fa sentire assai onorata. Vorrei ringraziare tutti quelli che l’hanno apprezzata ed aggiunta alle preferite, non sapete quanto significhi per me una cosa del genere. Grazie, grazie, grazie! Ho inserito un tributo qui dentro, il ritorno di Berry! Scusate per il nome del ragazzo, ma proprio faccio schifo nel sceglierli *laughs*
Terzo: ho intenzione di entrare completamente nel fandom Bleach, ed ho in serbo una piccola serie composta da due oneshot nella sezione Romantico. Sarà qualcosa di spettacolare, m’impegnerò affinché siano le due migliori storie che abbia mai scritto!
Grazie per supportarmi, sempre, anche se ritardo ogni volta l’inserimento dei capitoli! Vi lovvo (?!) troppo.
Ho una vaga idea di come sarà il prossimo capitolo, ma vi dirò già che Rein troverà la seconda ragione – o forse sarà al prossimo ancora? – e una piccola verità verrà a galla! Dopo ci sarà un evento che cambierà le cose, so stay tuned!
Noth/Rainy/Ameshiri.

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