So wrong, it's right

di MikiBarakat96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** We say summer ***
Capitolo 2: *** Running from lions ***
Capitolo 3: *** Heroes ***
Capitolo 4: *** This city was your city ***
Capitolo 5: *** Break your little heart ***
Capitolo 6: *** Forget about it ***
Capitolo 7: *** Dear Dracula count me in ***
Capitolo 8: *** It feels like i'm falling in love ***
Capitolo 9: *** I feel like dancing ***
Capitolo 10: *** Stella would you take me home ***
Capitolo 11: *** Forget about me, it's what i deserve ***
Capitolo 12: *** Therapy ***
Capitolo 13: *** Too much ***
Capitolo 14: *** From Rome to my home sweet home ***
Capitolo 15: *** Under a paper moon ***
Capitolo 16: *** Gust ***
Capitolo 17: *** Freaking me out ***
Capitolo 18: *** Take my hand tonight, one last time ***
Capitolo 19: *** We knew that we were destined to explode ***
Capitolo 20: *** You left me here so unexpected ***
Capitolo 21: *** I miss you more than anything ***
Capitolo 22: *** Merry christmas, kiss my ass ***
Capitolo 23: *** Ringraziamenti ***



Capitolo 1
*** We say summer ***


“Smile like you don't give a damn about the consequence,
Just say anything,
We say summer holds such wonderful things”.


Il mio nome è Stella Barakat e vivo a Roma con mio padre e mia madre, ma sono nata in America, più precisamente a Baltimore, città che ho lasciato a soli tre anni e dove mio fratello Jack è tornato ad abitare sei anni fa per coronare il suo sogno di avere una band. Già so che starete pensando: “è la sorella di Jack Barakat, il chitarrista degli All Time Low! Quello spilungone pervertito che ha milioni di reggiseni sull’asta del microfono!”. Già, quello è proprio mio fratello: ragazzo simpatico a volte un po’ stupido, ma che ha un buon cuore anche se mi ha lasciata sola con i miei genitori e non ci viene a trovare da… mai! L’unica volta che l’ho rivisto è stato quando con la scuola siamo andati a New York in gita scolastica; ero passata a salutarlo ma ho potuto parlare con lui solo per trenta secondi prima che un gruppo di fans lo portasse via. Era incredibile che una ragazza non vedesse suo fratello da sei anni solo perché era una star. Certo, qualche volta telefonava per far sapere come stava, ma comunque non era lo stesso; avevo vissuto sei anni della mia vita come se fossi figlia unica e non è di certo una cosa bella.
Ho diciotto anni e proprio quest’anno ho finito la scuola, assaporando finalmente il sapore della libertà. Mio fratello ha ventitré anni e ci somigliamo molto: abbiamo entrambi i capelli neri, i suoi hanno un taglio a caschetto, molto scompigliati ed indirizzati in varie direzioni come se avessero preso la scossa; i miei sono lunghi fino alla fine della schiena e lisci come la seta, effetto che mi è costato varie spazzolate ad ogni ora del giorno. Gli occhi sono dello stesso color marrone, la carnagione è chiara, il corpo snello e slanciato e abbiamo anche qualche lineamento del viso in comune.
Non ho mai adorato la band di mio fratello, solo qualche volta ero stata costretta dalla mia migliore amica ad ascoltarli e non è che li avessi trovati così fantastici.
Tutte le mie amiche mi chiedevano sempre se conoscevo gli altri membri della band, ma io rispondevo sempre scuotendo la testa: quasi non conoscevo mio fratello, come potevo conoscere gli altri tre?
Presto però li avrei conosciuti e avrei rivisto mio fratello.
Jack ci aveva chiamato qualche sera prima per avvertirci che sarebbe venuto a Roma per le vacanze e si sarebbe portato i suoi tre amichetti che non avrebbero alloggiato da noi –fortunatamente- ma in un albergo poco lontano dal centro di Roma. Ero contenta di rivedere mio fratello, gli volevo bene, non vedevo l’ora che arrivasse quel momento dal giorno in cui se ne era andato e mi aveva abbracciata forte sussurrandomi che mi voleva bene, che mi avrebbe sempre pensata e che si sarebbe fatto sentire presto.
Ma quando se ne era andato mi ero sentita un po’ abbandonata poiché anche io, come lui, ero sempre stata appassionata di musica; cantavo da quando avevo tre anni e secondo le poche persone che mi avevano sentita, avevo una bellissima voce, ma non avevo mai avuto il coraggio di cantare davanti a qualcuno nonostante fosse il mio sogno comporre canzoni e fare concerti. Jack sapeva della mia passione ma non aveva voluto portarmi con sé dicendomi che ero troppo piccola per un’avventura del genere e che se lui fosse riuscito a diventare famoso allora avrebbe aiutato anche me. Erano sei anni che aspettavo e ancora non avevo visto nessun contratto da firmare o nessun ingaggio per cantare in un pub o ad una festa… assolutamente nulla. Non odiavo Jack, ma mi aveva delusa.
Era la metà di luglio: gli esami si erano dilungati di molto ma dato che a settembre non mi aspettava nessun impegno, potevo iniziare a godermi una nuova estate che, speravo, sarebbe stata piena di sorprese.
Improvvisamente squillò il telefono mentre ero sdraiata sul letto della mia piccola camera bianca con un armadio bianco con ante e cassetti, una scrivania nera ricoperta di fogli, giochi per il computer e ovviamente il grande computer fisso che avevo ricevuto alla comunione; un comodino con sopra una lampada, un microfono in procinto di rompersi ed un attaccapanni nero strapieno di roba. Mamma mi aveva detto varie volte di mettere a posto la camera, ma non lo avevo mai fatto per via della scuola. Forse come prima cosa per quell’estate avrei messo a posto la mia camera prima che arrivasse Jack.
<< Pronto? >>, risposi al telefono posandomi sulle gambe il giornalino di musica che stavo leggendo.
<< Tella! We say summer! >>, esclamò Deborah dall’altro capo del telefono nominando il titolo di una delle prime canzoni di mio fratello e del suo gruppo.
Deborah era la mia migliore amica dai tempi delle medie ed era una fan sfegatata degli All Time Low; era lei che mi informava ogni giorno su ogni mossa di mio fratello ed dei suoi tre amici. Sapeva ogni cosa di loro e la cosa mi spaventava non poco.
<< Dovevi proprio ricordarmelo con una canzone degli All Time Losers? >>, le chiesi chiamandoli con il nomignolo che gli avevo affibbiato.
<< Bada a come parli, signorina! >>, mi rimproverò con voce squillante.
Alzai gli occhi al cielo. << Comunque >>, continuai cambiando discorso << Sono proprio contenta che siano finiti gli esami e, soprattutto, la scuola. Insomma, ci pensi, abbiamo finito tutte le scuole, siamo arrivate alla fine! >>.
<< Già, ora possiamo goderci la vita… possiamo non svegliarci presto tutte le mattine… possiamo non fare nulla durante il pomeriggio… insomma una pacchia! >>, squittì di gioia Deborah.
<< Questo almeno finché i nostri genitori non ci obbligheranno a lavorare o ad andare all’università >>.
Sentì Deborah sbuffare. << Se proprio dovessi scegliere andrei all’università: meglio assicurarsi di avere una laurea con i tempi che corrono >>.
<< Io lavorerò… o meglio, canterò >>.
<< Tella, ne abbiamo già parlato tante volte! Non sappiamo come farti diventare una cantante >>.
Mi morsi un labbro. << Ci sono molti modi… potrei andare ad X Factor o ad Amici: così si diventa cantanti >>.
<< Sappiamo tutte e due che non ci riusciresti mai >>.
Schiacciai la faccia contro il cuscino. << Già >>, borbottai dentro il cuscino.
<< Avanti Tella, non buttarti giù! E non parlare dentro il cuscino che non si capisce nulla! >>,esclamò. Quasi a comando, tolsi la faccia dal cuscino e mi tolsi alcuni ciuffi di capelli che mi avevano coperto la faccia. << Non puoi buttarti giù perché lo sai che sei tu che impedisci a te stessa di poter cantare >>, continuò in tono di rimprovero.
Aveva ragione, ma cantare davanti ad un pubblico mi faceva paura: solo al pensiero sentivo lo stomaco contorcersi e farmi male. Non ce l’avrei mai fatta, forse avrei anche vomitato davanti a tutti oppure avrei stonato sbagliando nota.
Sospirai. << Cambiamo discorso, il mio futuro è… una catastrofe! >>, sbuffai.
<< Tranquilla, troveremo una soluzione >>, cercò di tirarmi su, con scarso successo. << Intanto concentrati sul tuo bel fratellone, che sta venendo qui dall’America! >>.
Alzai gli occhi al cielo irritata. << Si, insieme a quegli altri tre Losers che andranno a stare in un hotel in centro >>.
<< Quale Hotel? >>, urlò nel ricevitore.
Dovetti massaggiarmi varie volte l’orecchio per far passare il fischio che mi aveva procurato. << Mi sembra si chiami “Hotel del Colosseo” >>.
<< Oh mio Dio! Sarò lì! Quando arrivano? >>.
< < Domani pomeriggio >>.
<< Cavolo! >>, squittì. << Avrai gli All Time Low in casa tua domani e tu sei la sorella di Jack! >>, urlò ed io fui costretta a massaggiarmi di nuovo l’orecchio. << Certe volte mi dimentico che la mia migliore amica è la sorella di quel belloccio di Jack >>.
<< Mi domando se tu sia mia amica perché sono simpatica o perché sono la sorella del belloccio >>, dissi sarcastica.
Deborah tacque e per quanto la conoscevo bene sapevo che stava lanciando un’occhiataccia al suo telefono “firmato” All Time Low, come se fossi io. << Non dire idiozie, Tella! Io ti voglio bene perché tu sei una persona speciale, perché sei divertente e perché mi sei sempre stata vicina, non perché tuo fratello è un musicista famoso! >>.
<< Grazie, anche io ti voglio bene per quella che sei e non perché hai un fratello famoso >>, ridacchiai.
<< Magari lo avess i>>, sospirò.
Deborah aveva una sorellina più piccola che non sopportava e che mi aveva sempre pregato di adottare così che lei si liberasse delle sue lagne e potesse avere Jack a casa sua.
<< Tua sorella è la lagna più famosa di tutte, ne dovresti essere fiera >>, scherzai.
Deborah rise. << Sicuro che lo è! >>.
Chiacchierammo ancora per un po’ ricominciando a parlare degli All Time Losers; Deborah stava già progettando come riuscire a portarsi Zack, il bassista, a letto, come ubriacarsi con Alex e Jack e come farsi insegnare a suonare la batteria da Rian. Amavo sentirla fantasticare soprattutto perché mi faceva fare un sacco di risate, ma davvero non so cosa ci trovasse in loro, erano solo un gruppo come tanti, nulla di speciale.
Quella sera andai a dormire presto, immaginando di scrivere una canzone per l’inizio dell’estate e di cantarla davanti ad i miei fedelissimi fans, che acclamavano il mio nome urlando come matti e spingendosi per venire più avanti e vedermi meglio, più da vicino.

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Capitolo 2
*** Running from lions ***


“Like a deer caught in the headlights
I won’t know what hit me…
Running from lions,
never felt like such a mistake”.


Erano le quattro del pomeriggio e a Roma faceva davvero tanto, tanto ma proprio tanto caldo, come mai dall’inizio dell’estate. Avevo paura di sciogliermi al sole. Di sicuro a Jack non sarebbe piaciuto, detestava il caldo almeno da quanto ricordavo; anche se avesse cambiato idea comunque rispetto all’America c’era decisamente qualche grado in più!
Deborah era stata tutta la mattinata a bombardarmi di messaggi per sapere a che punto erano gli All Time Losers, forse bombardata anche lei dalle fan sparse per Roma per le quali aveva fatto una pagina su Facebook abbastanza carina, con moltissimi fan non solo di Roma, ma di tutto il mondo.
Eravamo davanti alle porte scorrevoli dell’aeroporto di fiumicino e aspettavamo che Jack o uno della band uscisse da quelle porte per potercene ritornare a casa. Una cosa che odiavo era l’attesa. Mi sentivo stranamente nervosa, non sapevo come fosse diventato mio fratello… no, anzi, lo sapevo, grazie alle mille foto che Deborah mi faceva vedere quasi ogni giorno, ma averlo davanti sarebbe stata tutta un’altra cosa, forse mi sarebbe sembrato più magro, più alto, più ciccione o più simpaticone di prima o ancora un antipatico di prima categoria. Chi poteva dire cosa fosse diventato mio fratello? Cosa gli avesse fatto la fama? Sicuramente io no. E come la mettevamo con gli altri tre? Sarebbero potuti essere dei perfetti maleducati che avrebbero distrutto casa nostra oppure ci avrebbero trattato come servi pronti ad obbedire ai loro comandi. Si, ero davvero molto preoccupata.
Mia madre e mio padre fremevano dalla gioia e non sembravano affatto preoccupati come me, loro erano sicurissimi al cento percento che Jack gli volesse ancora bene, io non ne ero poi così sicura, dopotutto mi aveva abbandonata lì con i miei sogni irrealizzabili mentre lui aveva esaudito il suo. Mi sentivo offesa, si, ma avevo anche paura, paura che lui non mi volesse più bene, paura che mi trattasse come un’estranea, non come la sorellina che gli saliva sulle spalle e lo pilotava come fosse stato un aeroplano.
Sospirai reprimendo alcune lacrime.
Non volevo perdere Jack. E se lo avessi già perso?
Mi mancavano i momenti in cui giocavamo, ci rincorrevamo per casa, ci stendevamo insieme sul divano, quando ci addormentavamo vicini, quando lui suonava ed io cantavo… mi mancava mio fratello.
Oltre alla paura ora sentivo anche un vuoto dentro, un vuoto di malinconia per non aver avuto mio fratello vicino in questi anni.
<< L’aereo è atterrato da più di dieci minuti, dovrebbero stare per arrivare >>, disse all’improvviso mio padre, un uomo sulla quarantina, con pochi capelli neri, la carnagione chiara, gli occhi di un bellissimo celeste che –sfortunatamente-ne io, ne Jack avevamo ereditato, la statura alta ed il corpo magro.
<< Non vedo l’ora! >>, esclamò la mamma con gli occhi che le scintillavano.
Mia madre anche era sulla quarantina, la statura media, i capelli castano scuro ricci e lunghi, gli occhi marroni, ed il corpo snello.
Le porte si aprirono ed una morsa allo stomaco mi bloccò il respiro per un attimo, giusto il tempo di vedere una donna uscire e capire che non si trattava di mio fratello o di uno della sua band o del suo staff.
Dopo quell’attimo le porte si aprirono di continuo, facendo uscire persone di ogni genere, tutti tranne gli All Time Losers, che alla fine pensai fossero rimasti indietro. Passarono altri dieci minuti, ma di mio fratello nessuna traccia. I miei iniziarono ad agitarsi.
<< Dove sarà? >>, chiese mia madre guardando quasi implorante la porta.
<< Forse hanno avuto qualche contrattempo con le valige >>, ipotizzò papà.
<< Dovrebbero almeno avvertire >>, borbottai.
Mio padre mi lanciò un’occhiata e disse: << Prova a chiamare Jack >>.
Mi salì un groppo in gola. Era arrivato il momento di sapere se le mie paure erano reali oppure no. Non sapevo se ce l’avrei fatta, troppa era l’agitazione, troppa la paura, ma la malinconia mi intristì il cuore e mi venne una voglia matta di sentire la voce di Jack, così presi il cellulare dalla tasca dei pantaloncini di jeans e digitai il numero di Jack.
Era acceso.
Al quinto squillo, qualcuno rispose.
Ma non era Jack. Ricordavo bene la sua voce e quella non era di sicuro la sua, ma non era del tutto sconosciuta, l’avevo già sentita e ricordai anche dove: in camera di Debbie, un pomeriggio dopo scuola, che cantava a tutto volume il cd “Nothing Personal”.
<< Hello! >>.
Rimasi per circa cinque secondi senza sapere che dire, poi dissi –evitando di balbettare-: << Hi! I’m Stella, Jack’s sister >>.
<< Oh yes, hi Stella, i’m Alex >>.
Lo avevo capito.
Pensai.
<< Where are you? >>.
<< Oh well, we have taken a private jet in order to avoid the fans, but now we are arriving >>.
<< Fantastic, we’ll be waiting for you to the exit of the flight from New York >>.
<< Great! Bye! >>.
<< Bye! >>, risposi distrattamente chiudendo la chiamata domandandomi silenziosamente se avessi davvero appena parlato con Alex degli All Time Losers. Dalla voce non era sembrato per niente antipatico, anzi, aveva parlato in tono allegro e gentile.
<< Che ti ha detto? >>, mi chiese la mamma distraendomi dalle mie riflessioni.
<< Che hanno preso un jet privato per evitare le fans, ma che stanno per arrivare, usciranno da qui >>.
Papà annuì.
<< Meno male, iniziavo a pensare il peggio >>, sospirò la mamma.
Meno male che avevo continuato ad allenare l’inglese se no a quell’ora non avrei saputo che rispondere ad… Alex.
Debbie sarebbe morta d’invidia, di sicuro.
Ridacchiai all’idea di come si sarebbe arrabbiata e subito dopo le porte scorrevoli si aprirono e ne spuntarono fuori quattro ragazzi seguiti da altre persone che li seguivano come ombre.
Il primo a varcare la soglia fu Alex. Aveva un anno in più di mio fratello, era alto quanto Jack, con i capelli sul castano biondo tagliati a caschetto meno sbarazzini di quelli di Jack, il fisico magro ma abbastanza muscoloso, gli occhi scuri, le sopracciglia folte ed un sorriso sghembo stampato sul viso. Subito dopo di lui c’erano Jack e Zack. Zack era di qualche centimetro più basso di Alex e Jack, aveva i capelli castani tagliati come quelli di Alex, gli occhi sul castano-verde, due braccia da far paura per quanto erano muscolose, il fisico atletico ed un piercing al naso. Dietro di loro c’era Rian, alto quanto Zack con i capelli corti castani, gli occhi marroni, il sorriso bianchissimo, il fisico magro ed una leggera ombra di barba sotto il mento. Jack non era assolutamente cambiato… forse era cresciuto un po’ in altezza, diventando più alto di me, ma per il resto sembrava sempre lo stesso, almeno da fuori.
E così quelli erano i famosi All Time Low. Niente male per adesso.
<< Oh Dio! >>, esclamai quasi in preda alle lacrime rivedendo il mio fratellone attraversare velocemente i pochi centimetri che ci dividevano, lasciare i suoi bagagli a terra ed accogliermi tra le sue braccia, in un abbraccio da orso, che mi tolse il fiato, ma non mi importò, finalmente potevo riabbracciarlo, quella era
l’unica cosa di cui mi importasse.
Si, aveva decisamente preso qualche centimetro, la mia fronte gli arrivava alla bocca mentre l’ultima volta che lo avevo visto eravamo praticamente uguali.
<< Sorellina, mi sei mancata così tanto >>, sussurrò baciandomi varie volte la fronte e stringendomi sempre di più a lui.
Le lacrime iniziarono a scorrermi calde sulle guance. << Jack mi sei mancato tantissimo anche tu, non vedevo l’ora che arrivassi >>, singhiozzai.
Mi scostò dal suo petto e mi sorrise. Mi ero scordata del modo buffo in cui sorrideva. << Guarda come ti sei fatta grande >>. Mi squadrò da capo a piedi, poi prese una lunga ciocca dei miei capelli corvini. << E questi? Vuoi assomigliare a Morticia? >>, mi chiese sogghignando.
Gli diedi una botta scherzosa sulla pancia. << Ho voluto lasciarli crescere, mi piacciono così lunghi >>.
<< Beh, tra un po’ però ti arriveranno ai piedi! >>.
Risi. << Sarebbero ancora più belli >>.
Jack rise e mi riabbracciò. << Saresti bella anche senza una coperta come capelli >>.
Gli diedi un’altra botta scherzosa, ma lo ringraziai baciandogli una guancia. << Anche tu sei cresciuto fratello, sei molto più alto! >>, commentai.
<< Visto che bell’uomo che sono?! >>, si vantò sollevando e abbassando le sopracciglia.
<< Si, si, un pallone gonfiato >>, borbottai. << Dovresti pettinarti i capelli >>, aggiunsi sogghignando.
Jack mi lanciò un’occhiataccia, poi puntò gli occhi verso l’alto cercando di vedersi i capelli che gli ricadevano su una parte della fronte.
Scossi la testa e mi lasciai andare ad un'altra risata asciugandomi le strisce trasparenti lasciate dalle lacrime, giusto in tempo per l’arrivo degli altri.
<< Tua sorella ha ragione, dovresti dare una pettinata a quei ciuffi >>, disse Alex in inglese, spuntando da dietro Jack, che lanciò anche a lui un’occhiataccia.
Alex mi sorrise sghembo ed io ricambiai il sorriso con uno da ragazzina emozionata, che si trova davanti un divo della musica e sta per morire. In realtà non era così che mi sentivo… o forse si? I sintomi erano simili: avevo lo stomaco chiuso, mi sentivo imbarazzata, sorridevo ed arrossivo come una stupida. Davvero ero agitata perché quello che avevo davanti era un famoso cantante che mi stava sorridendo e osservando da capo a piedi?
<< Ehi, sono Alex, quello del telefono >>, disse facendomi l’occhiolino, gesto che mi fece arrossire ancora di più.
<< Piacere di conoscerti >>, dissi dopo aver fatto un silenzioso e lungo respiro per calmarmi e comportarmi da persona normale.
Allungai una mano tremante verso di lui, che la strinse e mi rivolse un altro sorriso sghembo. << Il piacere è tutto mio, finalmente ti conosciamo! >>.
Guardai Jack che si affrettò a spiegare: << Gli ho parlato molto di te, erano curiosi di sapere com’eri e soprattutto se ci assomigliavamo >>. Si strinse nelle spalle guardando male Alex, Zack e Rian che li avevano affiancati.
<< Come potete vedere è per metà vero, ora che siamo cresciuti non si vede molto >>, dissi osservando il viso di Jack che continuava ad avere sempre alcuni tratti simili ai miei.
<< Gli occhi sono identici >>, commentò Rian passando con lo sguardo da me a Jack.
<< Se foste stati identici sarebbe stato inquietante >>, disse Zack incrociando le braccia al petto.
<< Su di lei la faccia rende molto meglio >>, sghignazzò Alex.
<< Fottiti! >>, sbottò Jack.
Alex continuò a ridacchiare, ma gli scompigliò amichevolmente i capelli.
<< Comunque piacere, io sono Rian >>, si presentò il batterista porgendomi una mano.
<< Piacere, sono Stella >>.
Anche Zack mi porse la mano e me la strinse dicendo: << Piacere, Zack >>.
Finite le presentazioni anche con i miei genitori, noi sette, seguiti da quelle specie di guardie del corpo degli
All Time Losers -che forse non erano poi tanto Losers-, ci dirigemmo verso l’uscita dell’aeroporto senza essere disturbati da nessuno, il che fu un sollievo, mi ero immaginata file e file di ragazzine urlanti che ci avrebbero assalito e non ci avrebbero fatto arrivare a casa.
Non avevo ancora varcato la porta però.
Usciti dall’aeroporto fummo investiti da strilli così alti da farti venire mal di testa. Automaticamente spostammo tutti lo sguardo verso la direzione degli strilli e in lontananza vedemmo una folla di gente che correva verso la nostra direzione. Urlavano, scalciavano, si dimenavano… facevano paura, sembravano imbestialite e pronte a prenderci, come dei leoni e noi eravamo dei poveri cervi impauriti.
<< Correte! >>, urlò una delle guardie del corpo e in un attimo tutti e sette ci mettemmo a correre dentro l’aeroporto cercando una via di fuga.
Non ricordo molto di quello che successe dopo, ero troppo piena di adrenalina per pensare a cosa stavo facendo. Ricordo solo una cosa, la voce di Alex che diceva: << Running from lions >>.

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Capitolo 3
*** Heroes ***


“You're not a hero, you're a liar
You're not a savior, you're a vampire”.

 
Ci disperdemmo nell’ aeroporto facendoci largo tra la gente che ci guardava storto non capendo la nostra fretta. I leoni ci stavano alle calcagna, erano tantissimi e correvano come matti.
Non avevamo idea di dove andare, ma seguivamo le guardie del corpo che stavano davanti, seguite subito da Alex, Zack e Rian; Jack mi affiancava insieme ai nostri genitori con dietro altre guardie del corpo.
All’improvviso l’immenso aeroporto mi sembrò un tunnel senza uscita, che non ci avrebbe condotto alla salvezza, ma ad un suicidio.
Avevo il fiatone, non correvo così velocemente da molto tempo. Ero stanca, il mio cuore batteva fortissimo e avevo paura che potesse scoppiare, ma dovevo continuare a correre, non volevo che quella massa mi inghiottisse, anche se non era me che volevano ma gli All Time Low… pensandoci bene,  però, io ero la sorella di Jack e come tale ero anche io un bersaglio. Mannaggia a mio fratello!
Le guardie del corpo ci fecero frettolosamente entrare in una sorta di sgabuzzino abbastanza lungo da farci entrare tutti.
Quando fummo entrati, una delle guardie del corpo chiuse la porta ed il buio calò.
Era una situazione da far rizzare i peli sulle braccia: milioni di ragazzine ci stavano cercando e sarebbero potute entrare da un momento all’altro soffocandoci, strappandoci gli indumenti e chissà che cos’altro.
La luce si accese.
Jack era accanto a me, cercava di riprendere fiato inspirando ed espirando lentamente, Alex si era seduto a terra con la testa appoggiata al muro, Zack guardava serio e silenzioso lo sgabuzzino e Rian sembrava quello più eccitato di tutti. I miei genitori erano semi traumatizzati, io ero morente per lo sforzo e le guardie del corpo… impassibili, ma s’intravedeva la preoccupazione nei loro volti.
<< Non vi siete nemmeno preoccupati di nasconderli? Di camuffarli? >>, chiese indignata mia madre verso la guardia del corpo che aveva chiuso la porta: un uomo giovane, dal fisico atletico, gli occhi azzurri, pelato e dalla statura molto alta.
La guardia del corpo lanciò un’occhiataccia a mia madre, poi senza dire nulla, lanciò uno sguardo al compagno affianco, che si tolse il borsone che aveva sulle spalle e lo aprì sotto i nostri occhi curiosi.
Dentro c’erano quattro felpe colorate, alcune parrucche che sembravano rispecchiare le acconciature dei quattro A.T.L. e alcuni occhiali da sole.
<< A che serve questa roba? >>, chiese Alex prendendo in mano una parrucca biondo-castana simile ai suoi capelli.
La guardia del corpo pelata, rivolse un’altra occhiataccia a mia madre, che venne subito ricambiata da mio padre. << Abbiamo un piano, non siamo degli sprovveduti >>, disse.
Jack prese dalle mani di Alex la parrucca e la esaminò con aria perplessa. << Dovremmo metterci delle parrucche uguali ai nostri capelli? >>.
Rian prese la parrucca raffigurante i capelli scompigliati di Jack. << Io voglio quelli di Jack! >>, esclamò felicissimo.
Jack lo guardò storto e così anche Alex e Zack.
<< Non sono per voi >>, disse il pelato togliendo di mano le parrucche a Rian e Jack. << Sono per noi, voi mettetevi le felpe e dateci le vostre magliette >>.
I quattro ragazzi afferrarono una felpa per ciascuno e si diressero verso il fondo dello sgabuzzino per
spogliarsi.
Distolsi lo sguardo e mi concentrai su quello che la guardia del corpo stava dicendo ai miei genitori e alle
altre guardie. Dal borsone uscirono almeno una decina di parrucche, che vennero distribuite a tutti i bodyguard e anche ai miei genitori, che rimasero a guardare le loro un po’ perplessi.
<< Ora quattro di noi indosseranno le maglie che si toglieranno i ragazzi e gli altri indosseranno quelle che ho portato insieme alle parrucche e ci divideremo, così da distrarre le ragazze mentre Stella porta via di qui i veri All Time Low >>.
<< Che cosa? >>, chiesi allibita. << Dovrei portarli io fuori di qui? Ma come faccio? Non ho nemmeno una macchina! >>.
<< Fuori ci sono due nostri amici con un camioncino bianco a vetri oscurati, sono all’uscita più vicina a questo sgabuzzino >>, mi spiegò il pelato.
<< E se non seguono voi ma noi? >>, chiesi leggermente preoccupata.
Il pelato indicò con un gesto i ragazzi, che ora indossavano grosse felpe con il cappuccio tirato su e degli occhiali da sole molto grandi.
<< Non penso li riconosceranno >>, borbottò il pelato incominciando a distribuire magliette al resto dei presenti.
<< Io penso di si >>, ribattei. << Indossano una felpa con questo caldo e degli occhiali da sole al chiuso, chiunque li noterebbe >>.
Il pelato si accigliò e mi guardò storto.
Alex, che stava assistendo alla conversazione, guardò prima lui, poi me e poi si strinse nelle spalle.
<< Non ho un altro piano >>, disse infine il pelato. << Quindi speriamo che vada bene >>.
Alzai gli occhi al cielo e mi girai mentre tutti i bodyguard (tutti uomini), si spogliavano per indossare le maglie e le parrucche. Anche mio padre e mia madre si cambiarono la maglietta e si infilarono una parrucca da “Alex” ed una da “Rian”, che non gli donavano per niente. Quella di Rian somigliava ad una calotta calva dati i suoi capelli corti.
<< Mamma, papà, siete molto ridicoli >>, rise Jack tenendosi la pancia.
Anche mio padre si mise a ridere. << Immagino come devo stare! >>.
<< Lo facciamo solo perché dobbiamo >>, precisò mia madre aggiustando i capelli della parrucca.
<< Grazie signori Barakat >>, li ringraziò il pelato con un sorriso.
Il pelato ci ripeté il piano, ci incaricò di portare le valige alla macchina e dopo aver controllato che fuori non ci fossero fan in vista, lui e tutti gli altri uscirono dividendosi in gruppi che si dispersero per l’aeroporto. Mamma e papà diedero un bacio veloce a me e Jack e se ne andarono facendo finta di essere due ragazzi famosi che erano proprio alle mie spalle.
La porta dello sgabuzzino si richiuse ed io mi girai verso i quattro ragazzi, che si erano seduti esausti. Dovevamo aspettare un po’ prima di andare.
Alex frugò nel borsone che avevano lasciato i bodyguard e ne tirò fuori una birra dalla bottiglia di vetro verde. << Che bello, c’è la birra! >>, esultò aprendola senza nessuna difficoltà.
Mi sedetti di fronte ad Alex e vicina a Jack che mi diede un buffetto affettuoso sulla guancia e mi fece appoggiare sulla sua spalla magra.
Quasi inconsciamente, mi ritrovai a fissare Alex e il suo braccio muscoloso che passava dalla bocca al pavimento per ingurgitare il liquido giallo. Spostai lo sguardo sulla bottiglia, che mi sembrò familiare.
Il cuore iniziò a battermi forte quando mi tornò il flashback di quella sera, la notte di Halloween, a New York.
 
Era sera, con la scuola eravamo stati invitati ad una festa di Halloween in un locale al centro di New York. Il tema della festa però non era stato mostri spaventosi, ma eroi, quindi bisognava vestirsi come gli eroi dei fumetti o dei film. Lo so, un’idea un po’ stupida stando al fatto che Halloween è la festa degli spiriti cattivi, ma trovammo comunque molti costumi da metterci e la festa non fu affatto noiosa, almeno alla fine, perché all’inizio lo fu.
Mi ero vestita da Wonder Woman, avevo trovato il costume in un negozio poco distante dall’albergo. Debbie era con me, indossava il costume da donna bionica che aveva usato per carnevale l’anno prima.
<< Mio Dio! Sono così emozionata! >>, esclamò quando ormai eravamo sulla soglia del grande locale dalle 
luci tutte colorate, varie ragnatele appese, statue di lupi mannari ululanti, fantasmi in mezzo al buffet ed un
vampiro assetato di sangue che volava ripetutamente per la stanza ed ogni tanto si fermava per zompare
addosso a qualcuno.
Davvero carino.
Nonostante il tema fosse eroi, le decorazioni erano le solite.
Molti dei miei compagni si lanciarono nella mischia mettendosi a ballare tra la folla. Io e Debbie ci dirigemmo verso il bancone, così affamate da non vederci più. Mangiammo qualche panino, bevemmo un po’ di “sangue” e ci versammo alcune patatine in un bicchiere di plastica.
<< Allora, hai visto tuo fratello oggi? >>, mi chiese mentre ci dirigevamo in un angolino appartato, dove la musica martellante non ti stordiva le orecchie e ti permetteva di capire quello che una persona ti stava dicendo. 
Ci sedemmo ad uno dei vari divanetti rossi.
<< Si, per circa trenta secondi >>, borbottai ancora infastidita dal suo comportamento.
<< Come mai? >>.
<< Colpa della fans accanite >>.
Debbie rise divertita. << Siamo davvero terribili >>, commentò.
<< Già >>, le lanciai un’occhiataccia.
<< Dai Tella, non avercela con lui, non ha potuto evitarlo, la sua vita ora sarà complicatissima >>.
<< Può darsi, ma poteva almeno trovare un minuto per me, non mi vede da tre anni! >>, mi lamentai.
Debbie mi strinse la spalla in un gesto affettuoso. << Non pensarci Tella, prima o poi lo rivedrai. Ora perché non andiamo a ballare, così ti scordi di tutto? >>, mi propose alzandosi.
<< Non mi va >>, borbottai sentendomi ancora abbattuta, triste e sempre abbandonata.
Debbie mi guardò in cagnesco. << Alzati da questo divano super eroina! >>, mi ordinò tirandomi per un braccio.
Non mi mossi di un centimetro. Scoppiai a ridere vedendo la fatica che ci stava mettendo.
<< Sono la donna bionica per stasera quindi fai finta che io abbia una forza spaventosa >>, disse quasi implorante.
Mi alzai recitando al meglio la parte della ragazza alzata a forza.
<< Così va meglio >>, sorrise Debbie.
<< Ora mi rimetterò seduta >>, dissi accennando a risedermi, ma Debbie mi prese la mano con forza e mi guidò verso la pista da ballo.
Fui schiacciata tra vari ragazzi che si muovevano a ritmo accennando mosse a caso. Non mi sentivo per niente a mio agio e il mio umore nero non mi aiutava, ma sotto insistenza di Debbie, mi lasciai andare e mossi il mio corpo a caso, portando le mani in alto, muovendo il bacino e piroettando con Debbie.
Bevvi un po’ di birra, ma solo qualche goccia, per evitare di sbronzarmi che non era proprio il mio passatempo preferito, non mi piaceva non riuscire a controllare quello che facevo.
Mi ributtai nella pista e continuai a ballare anche senza Debbie, che si congedò per andarsi a fumare una sigaretta.
Mi concentrai sulla musica, sul suo suono martellante, scrollai dalla testa tutti i problemi concentrandomi sul nulla più assoluto e così facendo mi lanciai in un ballo sexy che avrebbe fatto impallidire mia madre. Ero così concentrata sulla musica da non accorgermi che un ragazzo mi si era avvicinato e stava assecondando i miei movimenti, come fossimo due calamite.
<< Ciao! >>, urlò. 
Era quasi impossibile udirlo con tutto quel casino.
Era un ragazzo molto più alto di me, con i capelli neri corti ed il viso coperto da una maschera da Dracula abbinata al suo completo scuro con tanto di mantello. Gli occhi erano così scuri da sembrare neri.
<< Ehi! >>, urlai.
Il vampiro mi fece segno di uscire dalla pista, ed io lo segui verso un altro angolo appartato con i divanetti
rossi.
<< Come mai sei vestito da vampiro? Questa è una festa da super eroi >>, gli dissi riuscendo finalmente a 
sentire la mia voce.
Rise, ma la maschera gli coprì il sorriso che immaginai fosse davvero stupendo, anche se non ne sapevo il perché.
 << Halloween è la mia festa preferita e per questo mi sono imbucato qui, ma non avevo un vestito da super eroe, quindi mi sono accontentato di Dracula >>.
<< Quindi sei l’unico cattivo qui in mezzo >>, borbottai.
<< Già >>.
<< E visto che io sono una super eroina dovrei acciuffarti >>, ridacchiai.
Dracula rise con me. << Se proprio vuoi >>, disse. << Ma  sappi che mi farò acciuffare da una bella ragazza come te >>.
Arrossi, ma sperai che la moltitudine di trucco che Debbie mi aveva messo bastasse a coprire il rossore.
Mi ricomposi e continuai a parlare cercando di non sembrare agitata o imbarazzata come in realtà ero. << Sei un vampiro troppo gentile, non mi va di acciuffarti >>.
Chinò la testa come per ringraziarmi. << Molto gentile da parte tua, Wonder Woman >>.
<< Allora, Dracula, qual è il tuo nome? >>, gli chiesi.
<< Mi dispiace, la mia identità è segreta >>.
Quasi mi dispiacque quella sua segretezza, mi sembrava un ragazzo simpatico e mi sarebbe piaciuto vederlo senza la maschera.
<< Come mai? >>, chiesi.
Si strinse nelle spalle. << Se mi togliessi la maschera dovrei scappare dalla festa >>.
Aggrottai le sopracciglia. << Perché? Sei troppo brutto? >>, scherzai.
Rise di gusto e mi diede un buffetto su una spalla. << Sei divertente, ma non è questo il motivo >>.
<< Allora qual è? >>, chiesi curiosa.
Scosse il capo. << Non te lo posso dire >>.
Sbuffai. << Allora io non ti dirò il mio >>, borbottai.
<< Perfetto, allora ti chiamerò Wonder Woman >>.
Mi accigliai guardandolo storto. Avevo pensato che si sarebbe ricreduto e invece no. Chissà che cosa nascondeva sotto quella maschera.
Annuì poco convinta.
<< Allora, Wonder Woman, posso offrirti una birra? >>, mi chiese porgendomi un braccio.
Appoggiai la mia mano al suo braccio che al tatto sembrò muscoloso, e accettai: << Con piacere, Conte Dracula >>.
Da come gli si rimpicciolirono gli occhi, capì che stava sorridendo sotto la maschera pallida dai canini sporgenti.
Mi offrì una birra dalla bottiglia verde e me la stappò senza nemmeno aver bisogno di un cavatappi.
<< È la mia preferita >>, disse porgendomi la bottiglia. << Spero ti piaccia >>.
Presi la bottiglia sfiorando le sue grandi mani e presi un sorso. Si, era abbastanza buona. << Grazie, mi piace >>, dissi. 
Stappò la sua con la stessa facilità con cui aveva stappato la mia e ne bevve un lungo sorso, attraverso l’apertura della maschera proprio in prossimità della bocca.
<< Dovrei pensare che sei un vero vampiro se apri le birre così facilmente >>.
Rise divertito. << No, non lo sono, è solo l’abitudine >>.
<< Allora sei un ubriacone >>.
Si strinse nelle spalle. << Un po’, mi piace bere >>.
<< A me non tanto, non piace ubriacarmi >>.
<< Fai male, ogni tanto ci vuole >>.
Gli sorrisi.
Quella sera lui si ubriacò, ma nonostante il suo stato non si tolse mai la maschera e non mi rivelò mai il suo
nome. Ballammo molto, praticamente appiccicati ed io non potei fare a meno di non godere di quei contatti
così intimi che mi fecero scordare di tutto, persino di Jack. Non mi ubriacai, volevo ricordarmi fino all’ultimo
momento di quella serata, volevo ricordare tutto e portare con me quei ricordi. Il ricordo del suo braccio muscoloso, dei suoi occhi scuri, della pressione delle sue mani sui miei fianchi ed il suo corpo contro il mio.
 
Erano passati tre anni da quella sera ed io ricordavo ancora tutto come se fosse stato il giorno prima. La notte mi addormentavo immaginando come potesse essere Dracula, se avesse i capelli lunghi, biondi o castani, se avesse la barba, se avesse davvero gli occhi così neri, se il suo sorriso fosse brutto o bello. Avevo sempre sperato di rincontrarlo anche se io abitavo a Roma e lui a New York, ma come si dice, la speranza è l’ultima a morire e quel ragazzo mi era piaciuto davvero, dal primo momento, forse per la sua aria misteriosa oppure per le braccia così sexy e forti oppure per la sua simpatia.
Fissai la bottiglia di Alex sentendomi improvvisamente triste, anche se avevo accanto Jack.
<< Ti piace quella birra? >>, chiesi ad Alex senza pensarci.
Alex aggrottò la fronte, ma rispose: << Si, è la mia preferita >>.
Ebbi un tuffo al cuore. Aveva appena detto che quella birra era la sua preferita… possibile che fosse lui?
No, mi stavo perdendo in un bicchiere d’acqua, come poteva Alex essere venuto ad una festa di Halloween con tutti gli impegni che avevano? E poi esistevano tantissime persone alle quali piaceva la birra dalla bottiglia verde, non era mica l’unico.
Mi convinsi che non era Alex e lasciai che l’idea mi abbandonasse, ma forse un po’ d’incertezza rimase.
<< A te piace? >>, mi chiese finendola.
Mi strinsi nelle spalle. << Si, mi piace >>, risposi.
<< Ne passi una anche a me? >>, gli chiese Zack.
Alex prese un’altra bottiglia dal borsone e la passò all’amico aprendogliela senza usare il cavatappi.
Un’altra cosa in comune.
Le domande tornarono a perseguitarmi, ma decisi di ignorarle. Non poteva essere Alex, per lui non provavo la stessa attrazione che invece avevo provato con Dracula. Non era lui.
Quando Zack ebbe finito di bere la sua birra, ci preparammo ad uscire e per fortuna nel piccolo tragitto che ci separava dall’aria calda di Roma, non incontrammo nessuna fans urlante, solo qualche persona che ci guardò curiosa o accigliata.
Il furgoncino bianco ad otto posti, ci aspettava proprio davanti all’uscita. Ci accomodammo io e Jack nei due posti dietro il guidatore ed Alex, Rian e Zack nei tre posti dietro di noi. Il guidatore e la donna accanto a loro ci sorrisero.
<< Salve ragazzi, allora, dove andiamo? >>, ci chiese l’uomo.
Risposi dando all’uomo l’indirizzo di casa mia.
<< Aspettiamo l’arrivo degli altri per portarvi all’hotel >>, dissi.
<< Di sicuro le fans ci aspetteranno anche lì >>, sbuffò Zack.
<< Chissà chi ha sparso la voce che saremmo venuti a Roma >>, disse Alex.
Sentì un groppo salirmi alla gola. Era quello il lato brutto dell’avere un’amica a capo di una pagina web dedicata a tuo fratello e i suoi amici.
Guardai fuori dal finestrino cercando di sembrare tranquilla anche se mi sentivo un po’ in colpa. La prossima volta avrei fatto meglio a tenere la bocca chiusa per la mia salute, quella di mio fratello e del suo gruppo.
<< Centra Debbie per caso? >>, mi chiese sottovoce Jack avvicinandosi.
Lo guardai sapendo che lui avrebbe letto il mio sguardo e avrebbe capito da solo.
Scosse la testa ma ridacchiò. Per fortuna non si era arrabbiato.
Il furgoncino partì e s’infilò nel traffico dell’uscita dall’aeroporto. Accesero la radio e “Heroes” degli All Time Low, partì a tutto volume.
Sorrisi mentre Alex cantava: << You’re not a savior, you’re a vampire >>.

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Capitolo 4
*** This city was your city ***


-Hello Brooklyn-. (Nome della canzone da cui è preso il titolo del capitolo) 

Il giorno dopo, io e Jack ci svegliammo presto. Con gli altri della band, il giorno prima, avevano deciso di andare a fare un giro per Roma, e loro, mi avevano scelta come guida turistica. Non mi esaltava molto il compito, ma comunque me lo facevo andar bene, almeno avevo qualcosa da fare invece che stare tutto il giorno a leggere o a scrivere al computer.
Ero in cucina, mi ero appena lavata e vestita, indossavo una canottiera verde chiaro e sotto i pantaloncini di jeans del giorno prima. Avevo legato i capelli in una coda di cavallo e mi ero messa qualche velo di trucco. Preparai la colazione di Jack e gliela servì al tavolo, giusto in tempo per vederlo barcollare fino ad una delle sedie della cucina blu.
Era vestito e pronto per uscire, ma i suoi occhi erano assonnati, non riusciva a tenerli aperti nemmeno per mangiare.
<< Buongiorno fratellone >>, dissi scoccandogli un bacio su una guancia ruvida.
<< È un fottuto giorno >>, mi rispose affondando la testa nelle mani magre.
 << Cosa ha di male? >>, gli chiesi sedendomi di fronte a lui.
<< Sono stanco >>.
<< Il fuso orario? >>.
Annuì stropicciandosi gli occhi ed iniziando a bere la sua tazza fumante di latte.
<< Ci farai l’abitudine, quando ci siamo trasferiti qui avevi perso il problema del fuso orario, basterà solo qualche giorno >>, cercai di rassicurarlo.
<< Lo spero, mi sento davvero a pezzi >>.
<< Ce la fai a passeggiare per Roma? >>.
Nonostante lo sguardo assonnato mi lanciò un’occhiata stizzita. << Certo che si! Mi manca Roma e voglio visitarla ogni giorno >>.
Gli sorrisi, poi giocando nervosamente con un braccialetto dissi: << Potresti sempre rimanere di più… oppure tornare >>.
Gli occhi di Jack smisero di fissare assonnati la tazza e mi guardarono dispiaciuti. << Tell… lo sai che non posso, sono andato in America per diventare ciò che sono ora e non posso semplicemente lasciar perdere, ormai sono in ballo, mi trovo bene con i ragazzi e la nostra carriera va a gonfie vele, non sarebbe la cosa migliore lasciare tutto e beh… qui a Roma non ho tutti gli appoggi che ho in America >>.
Annuì dispiaciuta.
Dopotutto aveva ragione, ma era davvero troppo ingiusto. Perché non potevo stare con mio fratello?
Jack mi accarezzò una mano e mi costrinse ad alzare gli occhi. << Ehi Tell, non essere triste, ti giuro che anche io vorrei restare qui con te >>.
Cercai di sorridergli, ma non ottenni l’effetto sperato.
<< Ora che hai finito la scuola puoi venirmi a trovare più spesso >>, continuò.
Mi strinsi nelle spalle. << Forse >>.
Fui tentata di tirare fuori il discorso sulla sua promessa del farmi avere dei contatti verso il mondo della musica, ma mi convinsi a tenere chiusa la bocca, non era il caso di alzare un polverone solo il secondo giorno in cui era arrivato.
<< Verrò anche io qui… se potrò >>.
<< Non pensiamoci adesso >>, tagliai corto per evitare di peggiorare l’umore di tutti e due. << Dobbiamo goderci la vacanza, abbiamo tanto tempo da passare insieme >>.
Mi strinse la mano affettuosamente. << Hai ragione, questo è solo il secondo giorno, abbiamo tanto da fare e tanto da raccontarci >>.
Annuì.
Jack ritornò alla sua colazione trangugiando rumorosamente i cereali. << Allora, la mamma mi ha raccontato che sei stata fidanzata >>.
Argomento peggiore non poteva trovarlo.
<< Uhm… si… abbiamo rotto qualche settimana fa >>, borbottai guardandomi le mani, nervosa.
Jack mi guardò alzando un sopracciglio. << Come mai? >>.
Mi strinsi nelle spalle pregando che Jack non mi facesse altre domande, ma lui mi conosceva e poteva vedere benissimo la mia agitazione.
<< Dimmi la verità >>, mi spronò curioso.
<< Ehm… l’ho conosciuto in terzo superiore era da due anni e mezzo che stavamo insieme e beh… avevamo deciso di farlo… >>, gli lanciai un’occhiata sentendo le guance arrossarsi per l’argomento di cui stavo per parlare.
Jack alzò le sopracciglia. << Mi piace come argomento >>, commentò.
Tra poco non ti piacerà più.
Pensai.
<< Avevamo organizzato tutto, quando farlo, dove, ma… arrivati al punto non mi sono sentita pronta e lui si è arrabbiato, ha cercato di costringermi… ma non c’è riuscito, fortunatamente >>.
Jack rimase in silenzio per qualche minuto, guardandomi incredulo, poi, irrigidì la mascella strinse le mani a pugno. << Quel fottuto stronzo! >>, sbottò. << Ma come ha potuto metterti le mani addosso?! >>.
<< Ormai è passato e… io sono ancora vergine >>, mi strinsi nelle spalle cercando di sembrare non curante anche se in realtà dentro stavo ancora male.
Jack posò la tazza vuota nel lavello e mi si avvicinò inginocchiandosi di fronte a me con aria triste. << Mi dispiace, devi essere stata malissimo >>.
Si, in effetti ero stata malissimo, ma grazie al conforto di Debbie ero riuscita a superare la cosa. L’avevo lasciato perdere, lo avevo umiliato davanti a tutta la scuola, avevo scritto una canzone per sfogarmi e mi ero tirata su anche grazie ai ricordi della notte di Halloween, la serata con il mio Dracula.
<< Si, è stato davvero terribile, ma ora sto meglio, non mi importa più di lui, è un bene che sia uscito dalla mia vita >>.
Jack annuì prima di chiedermi: << Come si chiama? >>.
<< Enrico >>, risposi sentendo un nodo allo stomaco.
<< Bene, se mai lo incontrassi lo pesterei di botte >>, disse in tono serio serio.
<< Io non ti fermerei >>.
Ci guardammo e scoppiammo a ridere.
Sembrava non essere più assonnato.
<< E tu, hai fatto nuove conquiste? >>, gli chiesi.
<< Mmm… le milioni di fan contano? >>, mi chiese scherzando.
Scossi la testa. << No >>.
Sbuffò. << Beh allora sono proprio in alto mare >>.
<< Davvero? Non hai trovato nessuna? >>, gli chiesi quasi meravigliata.
Avevo sempre avuto l’idea che le persone famose avessero una fila di corteggiatori con i quali potersi fidanzare e contando il fatto che mio fratello era un ragazzo davvero sexy, lui sarebbe dovuto essere il primo a fidanzarsi.
<< No, da una parte è meglio, ho troppe cose a cui pensare e mi piace… divertirmi >>.
Gli lanciai un’occhiata di rimprovero e lui si strinse nelle spalle come per dire “sono un maschio, che ti aspettavi?!”.
<< Poi non ho trovato nessuna che mi… piacesse davvero >>.
<< Beh… spero che la troverai >>, commentai.
<< Lo spero anche io >>.
Qaualche minuto dopo, uscimmo di casa e salimmo sulla macchina di papà. Jack al posto del guidatore.
Avevo preso la patente poco dopo il mio diciottesimo compleanno, ma non guidavo molto spesso, i miei
genitori avevano paura che potessi fare un incidente!
<< Accendi la radio >>, dissi a Jack dopo che aveva messo in moto la fiat punto blu.
<< Subito signorina >>, ridacchiò. << Volevi guidare tu? >>, mi chiese.
Gli lanciai un’occhiata interrogativa. << Ti sei messo tu al volante >>, gli feci notare.
<< Giusto, ma se volevi guidare tu potevi dirlo >>.
Alzai le spalle. << Magari dopo >>.
La musica riempì il silenzio che era sceso nell’auto. Era una nuova canzone di Lady Gaga.
<< Come vanno gli affari con la band? >>, gli chiesi spostando lo sguardo verso il finestrino.
<< Abbastaza bene, dopo l’uscita del nostro ultimo cd siamo tornati in vetta e stiamo già preparando il tour invernale che prevederà tantissime tappe >>, mi spiegò Jack eccitato.
<< In Italia? >>.
Si morse l’interno di una guancia ed evitò il mio sguardo.
<< Lascia stare >>, sbuffai. << Non importa >>.
Jack mi guardò con aria dispiaciuta che mi fece stringere il cuore, ma continuai a guardare fuori con aria seria ed offesa.
<< Tanto non ci sarei venuta comunque, le vostre canzoni non mi piacciono >>.
Jack  non si scompose, ma rimase in silenzio per qualche minuto. << Non ci credo >>.
<< Cosa? >>. 
<< Non credo che le nostre canzoni non ti piacciano, per quante volte te le avrà fatte ascoltare Debbie ne sarai fissata >>.
Gli lanciai un’occhiataccia.
Era vero, le loro canzoni le avevo ascoltate almeno un centinaio di volte, ma non mi piacevano, non le sapevo a memoria e quando ero da sola non le ascoltavo, anche se ogni volta che andavo a trovare Debbie, una piccola parte di me sperava mettesse un loro cd così da sentirmi almeno di poco vicino a Jack.
<< Forse mi piaciucchiano, ma non le so a memoria e non sono di certo una vostra fan! >>.
<< Se lo fossi stata ieri avresti dato i numeri come tutte le altre >>.
<< Già >>, dissi in tono brusco.
Rimanemmo in silenzio finchè non arrivammo all’Hotel. Scendemmo dall’auto per aspettare Alex, Zack e Rian che speravo stessero scendendo.
Quella mattina faceva meno caldo del solito, il che era un sollievo dato le camminate che ci aspettavano. Jack fece il giro della macchina e mi si mise davanti dondolandosi sui piedi nervoso.
Lo guardai neutra aspettando che si decidesse a parlare, ma lui non lo fece, mi prese le spalle e mi abbracciò. << Non voglio litigare con te, quindi evitiamo questi discorsi, va bene? >>.
Sospirai, ma ricambiai l’abbraccio. << Va bene fratellone, neanche io voglio litigare con te >>.
Mi baciò la fronte e mi sorrise.
Probabilmente non gli avrei parlato della sua promessa infranta per molto altro tempo.
<< Allora, come sta Deborah? >>, mi chiese.
<< Bene, era davvero eccitatissima al fatto che stesse per venire qui a Roma, non vede l’ora di incontrarvi >>.
<< Basta che non porta altre fan, questa è una vacanza, non vogliamo stressarci correndo a nasconderci o standocene a casa rinchiusi >>.
<< Tranquillo, pur di vedervi accetterà di non far venire nessun’ altra >>.
<< Meno male, non mi andrebbe di ripetere l’esperienza di ieri >>.
<< Allora ti sei portato un capello o degli occhiali da sole? >>, gli chiesi.
Jack mi sorrise ed indicò la macchina. << Sono dentro >>.
<< Wow, sono davvero colpita >>, annuì.
Jack mi scoccò un’occhiataccia. << Sbagliando s’impara >>.
Ridacchai.
<< È cresciuta anche lei? >>, mi chiese improvvisamente, camminando avanti e indietro davanti a me.
<< Ovvio >>, risposi. << È diventata davvero una bella ragazza, forse un po’ bassa rispetto a me >>.
<< Noi abbiamo preso da papà che è uno stangone >>.
<< Anche Alex è uno stangone >>, dissi e non appena udì le mie parole, mi domandai perché le avessi dette e come mi fosse venuto in mente Alex.
Fortunatamente Jack non badò alla mia “strana” frase. << Anche suo padre è alto >>, disse stringendosi nelle spalle.
<< Come lo hai conosciuto? >>.
Ok, forse non stavo controllando più la mia bocca, perché quella domanda mi uscì di sfuggita senza che io le avessi dato il consenso di uscire. Perché stavo parlando di Alex?
<< Non leggi le notizie su Wikipedia? >>, chiese stizzito.
<< Non le vostre >>, ribattei.
Jack alzò gli occhi al cielo. << Beh, quando sono arrivato a New York ho conosciuto un ragazzo, Marc, con il quale ho fatto subito amicizia ed insieme abbiamo formato una cover band. Alla band successivamente si sono uniti molti altri ragazzi tra cui Alex, ma alla fine molti se ne sono andati e siamo rimasti noi quattro, uniti fino alla fine! >>, rise, << Alex mi è stato simpatico fin da subito, è molto simile a me e tante volte in lui vedo una sorta di fratello maggiore. Gli voglio bene, con lui posso fare cavolate, è mio amico e mi spalleggia  sempre, in ogni situazione >>.
<< Come Debbie per me >>.
<< Esatto >>, annuì. << Non che con Zack o Rian mi ci trovi male: no, voglio bene anche a loro, ma Alex è più vicino ad un migliore amico, se ho un problema ne parlo prima con lui perché è quello di cui mi fido di più>>.
<< Ti capisco Jack, e trovo davvero fantastico che tu abbia trovato un così buon amico >>, gli sorrisi. << Trovo fantastico anche che tu sia diventato famoso così facilmente >>.
<< Tutto merito di Marc, lui mi ha aiutato e di questo lo ringrazierò sempre >>.
Chissà, magari anche io sarei dovuta andare in America sperando di trovare una ragazza o un ragazzo con la mia stessa passione per la musica così da formare una band.
<< Hai avuto culo! >>, esclamai.
Jack rise. << Si, direi proprio di si >>.
I tre quarti mancanti degli All Time Low, varcarono l’entrata del lussuoso Hotel, tutti con un cappellino infilato sulla testa ed un paio d’occhiali da sole. Ci salutarono affettuosamente, cosa che mi sconvolse non poco; dopotutto li conoscevo solo da un giorno.
<< GoodMorning! >>, ci augurò Alex sorridendoci.
<< Buongiorno! >>, esclamai in italiano.
<< Come state? >>, chiese Zack.
<< Bene >>, annuimmo all’unisono io e Jack.
<< Voi avete dormito bene? >>, chiesi.
Alex si passò una mano tra i capelli che risplendevano alla luce del sole.
Chissà se sono morbidi come appaiono.
Pensai e subito me ne pentì.
Perché avevo pensato una cosa del genere?
Distolsi lo sguardo da Alex e guardai gli altri due.
<< Si, i letti sono abbastanza comodi, le camere carine, il servizio in camera ottimo >>, commentò Zack.
<< Insomma è perfetto >>, concluse Rian elargendomi un sorriso smagliante.
Ricambiai il sorriso. << Ne sono felice >>.
 << Per il servizio in camera c’era una cameriera davvero carina >>, disse Alex con un sorriso sghembo.
Jack lo guardo. << Te la sei fatta? >>.
Rimasi inorridita da quella domanda, ci sarebbero stati modi più carini di formurarla!
<< Le sarebbe piaciuto >>, rispose Alex passandosi la lingua sul labbro inferiore, gesto che trovai molto sexy.
<< Ma non  le ho dato poi tanta corda, abbiamo solo pomiciato >>, continuò.
<< Sempre il solito >>, sbuffò Zack.
Jack diede una pacca sulla spalla di Alex ridendo.
Mi sentì inaspettatamente infastidita. Come poteva Alex vantarsi di aver pomiciato con una cameriera? E mio fratello gli dava pure corda! Meno male che Zack sembrava uno serio. Rian… sembrava sempre eccitato per tutto, quindi quando sorrise ad Alex non mi stupì più di tanto.
<< Vogliamo andare? >>, sbottai senza nemmeno aspettare una loro risposta.
Salì in macchina seguita dagli A.T.L., che mi lanciarono varie occhiate interrogative alle quali non badai, ma mi misi la cintura ed indirizzai Jack verso il Colosseo, che distava poco dall’Hotel.
Mentre guardavo fuori, non riuscì a non farmi venire in mente Alex che baciava una cameriera bionda con una sesta di reggiseno, un corpo da favola e le labbra rosse e carnose.
Mi sentì fremere di rabbia.
No, aspettate… perché ero arrabbiata? Non erano mica affari miei, quello che faceva Alex non mi importava, non doveva importarmi.
Distolsi lo sguardo dal finestrino e mi concentrai sulla radio, saltando di stazione in stazione cercando una musica decente mentre gli altri stavano ammirando la città con vari commenti tutti buoni.
Il mio telefono squillò.
Era Debbie.
Tentennai non sapendo se risponderle o meno; di sicuro mi avrebbe iniziato a chiedere dove eravamo e cosa avremmo fatto forse anche cosa indossavano gli All Time Low. A pensarci bene se con Debbie parlavo in italiano loro non potevano capire, tutti tranne Jack, che però non avrebbe fatto una piega… almeno lo speravo.
Risposi.
<< Debbie? >>.
<< Tella! Oh mio Dio! Dove sei? Sei con loro? >>.
<< Si, sono con loro, stiamo andando a fare un giro per Roma >>, risposi.
<< Dove? Dove? Dove? >>, urlò.
Staccai l’orecchio del telefono e come due giorni prima, me lo massaggia facendo passare il fiscio. Sentì i ragazzi ridacchiare. Forse l’avevano sentita anche loro.
<< Non posso dirtelo >>.
<< Perché? >>, piagnucolò.
<< Perché è un segreto, non vogliono avere fan intorno che li disturbano, sono in vacanza, concedigli un mese di relax! >>, dissi incredula. Non avrei mai pensato di difendere quelli che per me erano All Time Losers.
Jack mi lanciò un’occhiata in tralice, ma non disse nulla.
<< Non è giusto! Non te li puoi godere solo tu, sono la tua migliore amica ed ho il diritto di rivedere tuo fratello ed i suoi compagni fighi >>.
Mi diedi dei leggeri pugni in testa. Non potevo dire di no a Debbie, mi avrebbe fatta stare malissimo il pensiero di averla ferita, ma non volevo che gli A.T.L. si arrabbiassero con me.
<< Aspetta un minuto >>, sospirai.
Abbassai il telefono e lo coprì con una mano.
<< Jack? >>.
<< Mmm…? >>.
<< Posso far venire Debbie? Vuole incontrarvi ed io non posso dirle di no, dopotutto so quanto è vostra fan >>.
Jack mi lanciò un’occhiata pensierosa, poi guardò gli altri dallo specchietto retrovisore e disse in inglese: << Vi  dispiace se un’amica di Stella viene a conoscervi? È una nostra fan e ci tiene tanto >>.
Guardai i tre musicisti implorante.
Rian fu il primo ad annuire. << Si, perché no?! >>.
<< Basta che non porta altre fan >>, disse Zack.
Scossi la testa. << No, no tranquilli >>.
Guardai Alex, ancora pensieroso.
Spostò i suoi occhi marroni su di me e mi guardò in silenzio.
Mi si strinse lo stomaco, ma non distolsi lo sguardo, non ne avevo per niente voglia nonostante mi sentissi stranamente agitata.
Visto che non si decideva, decisi di giocare la “carta” –anche se imbarazzante- degli occhioni da cucciolo.
Sporsi il labbro inferiore e sbattei varie volte le ciglia con fare implorante.
Jack ridacchiò al mio fianco, ma non distolsi gli occhi da Alex finché lui non disse: << D’accordo, piccolina >>. Mi scompigliò i capelli in un gesto affettuoso che mi fece sentire di nuovo agitata.
Sorrisi grata a tutti e tre e mi riportai il telefono all’orecchio. << Debbie? >>.
<< Finalmente! >>, esclamò.
<< Puoi venire >>, le dissi e subito dopo un urlo mi rimbombò nell’orecchio riducendomi il timpano in pezzi. Forse mi sarei dovuta preparare.
Gli A.T.L. ridacchiarono.
<< Ma sei impazzita?! Mi hai ucciso un timpano! >>, la rimproverai.
Debbie non badò alle mie parole e continuò a strillare per altri interminabili minuti, finché non mi domandò: << Dove ci vediamo? >>.
<< Davanti al  Milite Ignoto tra una mezz’oretta? >>.
<< Contaci sorella! Sarò lì anche prima! >>.
Risi. << Ok, allora ci vediamo dopo, ma mi raccomando, non portarti nessun’altra fan e non fare la pazzoide, ok? >>.
<< Guarda che mi offendo! >>.
<< Le mie paura sono fondate, non ricordi il “sosia” di Alex nel negozio? Gli sei saltata addosso urlandogli di amarlo, ti hanno portato alla centrale di polizia! >>.
Jack scoppiò in una sonora risata suscitando la curiosità degli altri, ma Jack scosse la testa e non disse nulla, continuando a ridere.
<< Vabbè è stato tanto tempo fa >>, borbottò.
<< Tre mesi fa>>.
<< Dettagli! >>, sbottò. << Comunque farò la brava, te lo prometto >>.
<< Ok, a dopo >>.
<< A dopo e grazie mille! >>, squittì.
Sorrisi e riattaccai.
<< Sosia di Alex? Polizia? >>, mi chiese Jack sogghignando.
Scossi la testa ridendo. << Una lunga storia che preferirei non ricordare >>.
<< Alex sta attento >>, disse Jack in inglese guardando l’amico.
Alex aggrottò le sopracciglia. << Perché? >>.
<< Tu sta solo attento >>, continuò Jack.
Alex ci lanciò delle occhiate confuse. << Non me la contate giusta >>.
Io e Jack ci guardammo e scoppiammo a ridere.
Alex non ebbe tempo di costringerci a dirgli il perché dell’avvertimento, eravamo arrivati davanti al Colosseo.
<< Wow >>, sussurrò Zack quasi appiccicato con la faccia al finestrino.
<< Cazzo! >>, esclamò Alex seguito da un “fantastico” di Rian.
<< Wow, non me lo ricordavo così bello… >>, disse Jack.
Tutti e quattro sembravano come incantati, come se non avessero mai visto un edificio antico ed importante in tutta la loro vita.
<< This city, was your city >>, sussurrai a Jack che mi guardò tristemente.

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Capitolo 5
*** Break your little heart ***


“I’m wasted, wasting time
You talk for hours
But you’re wasting lines”.

 
Dopo quasi un centinaio difoto accanto al Colosseo, la maggior parte piuttosto buffe, ci dirigemmo a piedi, verso il Milite Ignoto, pieno di turisti, come anche il Colosseo. Forse per fortuna o forse per il loro travestimento, nessuno si accorse della loro vera identità ed io sperai non se ne accorgessero per tutta la durata della loro vacanza.
Debbie ovviamente era puntuale e probabilmente era lì già da una buona decina di minuti.
Jack sembrava esaltato alla sola idea di rivedere Debbie, ma lo sarebbe stato con qualsiasi altra persona dell’altro sesso. Come ricordavo bene, Jack si lasciava molto trasportare dal… suo amichetto.
Da lontano avvistai i capelli biondi di Debbie, che scintillavano mossi da un leggerissimo venticello fresco. I suoi capelli erano di qualche centimetro più corti dei miei, leggermente mossi, gli occhi erano castani, il viso magro e il corpo snello con poche curve.
<< La vedo! >>, esclamò Jack sorridendo.
Gli lanciai un’occhiata in tralice.
Quando Debbie guardò nella nostra direzione, anche se a distanza, riuscì a vedere la sua emozione, gli occhi luccicanti ed il sorriso a trentadue denti.
La salutai con una mano e lei rispose con gesto quasi fremente. Non avevo idea di che cosa avrebbe fatto, speravo solo che non si sarebbe fatta allontanare a calci nel sedere dai suoi tanto amati beniamini.
<< Carina >>, commentò Alex all’orecchio di Zack, ma io riuscì comunque a sentirlo e per un attimo provai fastidio, poi quasi mi costrinsi a sorridere di quel commento ed apprezzarlo, era una buona cosa che Alex trovasse carina Debbie, lei lo amava.
<< Da quanto tempo non la vedo! >>, esclamò Jack non staccandole gli occhi di dosso.
Mi girai verso Zack e Rian sperando che almeno loro non stessero quasi sbavando alla vista di Debbie, ma mi sbagliavo, anche Zack che sembrava sempre serio era rimasto a bocca aperta e forse si stava facendo i peggiori film mentali nella storia dei porno. A pensarci bene sarebbe stata una gran cosa per Debbie visto che più di tutti amava Zack e se lo voleva fare in tutte le posizioni possibili ed immaginabili.
<< Non fate a botte, mi raccomando >>, dissi in tono un po’ brusco.
Nessuno mi ascoltò o mi degnò di uno sguardo.
Alzai gli occhi al cielo.
Ormai eravamo arrivati da Debbie che stava letteralmente fremendo dalla voglia di mettersi ad urlare e saltare; glielo leggevo in faccia.
Le sorrisi credendo ingenuamente che avrebbe salutato prima me con un abbraccio e invece si catapultò tra le braccia di mio fratello che l’abbracciò dicendole: “da quanto tempo!” e “Sei diventata davvero grande”.
Evitai di mettermi a fare presentazioni perché, primo, non sarebbero servite almeno per Debbie e, secondo, nessuno mi avrebbe ascoltata.
<< Ehi splendore, sono Alex, piacere >>. Le elargì un sorriso sghembò che la fece arrossire.
<< Piacere, Deborah >>, rispose abbracciandolo.
Io non avevo abbracciato Alex! Ci eravamo solo stretti la mano, perché a lei l’aveva abbracciato?
Zack, nonostante la sua aria sbalordita, rimase sull’ “educato” e le strinse la mano, cosa che non mi fece né caldo, né freddo. A lei forse dispiacque, ma non si perse d’animo e disse: << Oh mio Dio! Tu sei Zack! Io ti adoro e penso che tu sia bellissimo ed anche bravissimo >>.
Mi venne da ridere, ma mi trattenni.
Zack le sorrise e ridacchiò imbrazzato. Spostò lo sguardo verso i suoi piedi e mormorò un “grazie”
arrossendo diventando paonazzo come Debbie. Davvero una bella coppia!
<< Rian! >>, esclamò superando Zack.
Rian l’abbracciò con il suo bel sorriso da pubblicità del dentifricio stampato in faccia.
Quando si sciolsero dall’abbraccio –finalmente- Debbie mi guardò e mi sorrise. Mi corse vicino e mi agguantò il collo appendendosi come un koala all’albero.
Nonostante mi stesse spezzando l’osso del collo, l’abbracciai stretta.
<< Tella grazie mille! Sei la migliore amica che si possa mai immaginare! >>.
Sbuffai anche se ero lusingata. << Per così poco?! >>.
<< Così poco? >>, mi guardò storto, poi si girò verso gli A.T.L., << Mi hai portato i ragazzi che più amo in tutto l’universo! >>.
Jack tradusse agli altri quello che aveva appena detto Debbie e questo non fece che accentuare la loro “infatuazione”.
Con un “oooh”, Alex le si avvicinò e le mise un braccio sulle spalle. << Non è davvero carina?! >>.
Debbie diventò porpora e mi guardò al limite dell’emozione.
Le sorrisi anche se l’unica cosa che avrei voluto fare era togliere il braccio di Alex dalle sue spalle.
Quando Debbie distolse l’attenzione da me, scossi la testa cercando di riprendermi da quei pensieri così strani, che mi mettevano una strana sensazione di rabbia, di possessione…
Rian annuì, rispondendo alla domanda retorica di Alex, seguito da Jack che sembrava più radioso di qualche mezz’ora prima.
Ok, la cosa stava diventando un pochiiino fastidiosa, stavano guardando solo lei da quando era arrivata! Non che volessi attenzioni, soprattutto da loro, ma esistevo anche io!
<< Allora, dove volete andare? >>, chiesi cercando di riattirare l’attenzione dei presenti, ma nessuno mi guardò, solo dopo un po’ Rian disse: << Dovunque Debbie voglia andare >>.
<< Per me basta che sto con voi, ho un sacco di domande da farvi! >>, esclamò lei squittendo.
<< Guidaci tu Tell >>, mi disse Jack tornando finalmente a guardarmi per circa dieci secondi.
Sbuffai, ma nessuno mi badò. << Seguitemi! >>, sbottai e mi diressi a passo annoiato verso la via dei negozi.
Camminai avanti, seguita da tutti gli altri che iniziarono a rispondere alle varie domande di Debbie sempre più entusiasti ad ogni domanda. Ok, la cosa peggiorava ad ogni passo.
Le domande di Debbie passarono da: “Perché avete dedicato una canzone ad una birra?” a “Che boxer state indossando?”. L’ultima domanda, ovviamente, sconvolse solo me, i quattro ragazzi sembravano troppo ammaliati da lei per accorgersi della stupidità e perversità di quella domanda.
Era stata un’idea stupida portarli per Via Del Corso, non avrebbero guardato nessun negozio, ma dopotutto in quello stato non avrebbero guardato nemmeno un monumento famoso.
<< Allora, avete già deciso le tappe del nuovo tour? >>, chiese Debbie.
<< La maggior parte si >>, rispose Alex.
<< Qualcuna in Italia o vicino? >>.
<< Se vuoi che veniamo in Italia verremo in Italia! >>, dichiarò Alex.
Oh, ma dai!
Pensai allibbita.
Mi girai a guardare Jack che vedendo la mia faccia rabbiosa, mi si avvicinò superando gli altri. << Probabilmente scherza, Alex è fatto così, quando c’è una ragazza fa tutto il cascamorto >>.
<< Non mi pare che con me abbia fatto il cascamorto >>, ribattei non sapendo se sperare che l’avesse fatto.
<< Tu sei mia sorella, sa che non deve provarci con te >>, sbuffò.
Lo guardai storto.
Non era giusto!
<< E se… per caso un giorno ci provasse? >>, chiesi.
Jack mi lanciò un’occhiata indagativa. << Penso che lo fermerei, soprattutto se tu non ricambiassi >>.
Risi, ma fu una risata nervosa. << Non ricambierò mai >>, dichiarai con scarsa convinzione.
Si strinse nelle spalle. << Meglio così >>.
Mi sentì malissimo per avergli mentito, ma dopotutto non era una vera bugia. Non sapevo cosa mi stesse succedendo, da quella mattina avevo un casino nella testa, avevo provato troppe emozioni e mi trovavo improvvisamente a parlare sempre di Alex e ad interessarmi a cosa facesse o a cosa dicesse.
Erano ridicole quelle stupide sensazioni, probabilmente erano anche sbagliate. Forse quel giorno non ci stavo molto con la testa.
<< Jack, mi fai vedere il tuo tatuaggio sul petto? >>, gli chiese Debbie facendolo tornare da lei.
Lanciai un’occhiata alle mie spalle e vidi Jack che abbassava il colletto della sua maglietta nera per far osservare alla mia migliore amica quel capolavoro tratto dal film :”Nightmare Before Christmas”.
Continuai a camminare evitando di ascoltare le domande noiose che Debbie porgeva ai ragazzi, ma quando la sua risata e quella di Alex si unirono in una sola, finendo per scoppiarmi nelle orecchie facendomi leggermente andare fuori di me, parlando a dentri stretti dissi: << Io entro qui >>, ed indicai il primo negozio che mi trovai di fronte.
Nessuno mi seguì. 
Entrai nel negozio lasciando fuori quel suono fastidioso che ancora vagava nella mia testa. Quelle nuove sensazioni mi facevano girare la testa, non riuscivo a sopportarle, erano troppo forti e troppo confuse, non ci capivo più nulla!
Iniziai a girovagare per il negozio che scoprì essere di abbigliamento, guadagnando tempo e sperando che non mi lasciassero da sola anche se ero l’unica nel nostro “gruppo” che avrebbe ritrovato la strada di casa, a parte Debbie.
Guardai i vari capi perdendo tempo più che potevo; mi andai anche a provare qualche capo, anche se non mi piaceva. Non volevo tornare fuori, volevo restare in quel negozio finché potevo, così magari mi sarebbero venuti a cercare ricordandosi che esistevo e, soprattutto, a chi avevano chiesto di essere la loro guida!
Dopo ormai più di venti minuti passati a vagare per il negozio, mi avviai verso l’uscita sapendo che non potevo rimandare il momento troppo a lungo. Ormai a pochi passi dall’uscita, qualcuno mi sbarrò la strada facendomi leggermente sobbalzare. Alzai gli occhi verso il ragazzo.
Il cuore mi salì alla gola, ma riconoscendolo, riniziò a battere come il primo giorno che lo avevo visto.
Mi venne in mente un’immagine che avevo visto qualche giorno prima, di un cervello che tiene al guinzaglio un cuore per non farlo spezzare, perché se lo libera si farà male.
Il mio già si era fatto male ed era ancora in fase di ristrutturazione, anche se non faceva più male… fino a quel momento.
Enrico era davanti a me, non lo vedevo da quando lo avevo umiliato davanti a tutta la scuola e lui mi aveva guardato così tristemente da farmi quasi pentire di aver fatto vedere a tutti le sue foto imbarazzanti. I capelli neri gli ricadevano scompigliati sugli occhi verdi e la maglietta attillata gli esaltava il fisico snello e la straordinaria tartaruga.
Rimasi a fissarlo in preda ad una leggera tremarella che conoscevo dannatamente bene!
<< Ciao >>, disse con voce strozzata.
Aprì varie volte la bocca cercando di far uscire qualche parola, ma non ci riuscì, era come se fossi sotto shock, la sua visione mi aveva completamente mandato in tilt ed aveva fatto risvegliare quello che provavo per lui, che ora era un tutt’uno con il dolore: quello che aveva fatto aveva inquinato i miei sentimenti per lui.
Scossi la testa e lo superai sperando di raggiungere la porta il più velocemente possibile, ma la sua mano mi prese un braccio e mi fermò. Sussultai improvvisamente invasa dai ricordi dell’ultima volta che mi aveva toccata, quando mi aveva buttata sopra il letto, aveva stretto le mani attorno alla mie braccia per farmi stare ferma…
Mi staccai dalla sua presa e mi girai a guardarlo quasi inorridita. Mi faceva paura.
<< Ti devo parlare, non te ne andare >>, disse, questa volta con voce più sicura.
Non mi mossi e non dissi niente, rimasi immobile ad aspettare che iniziasse a parlare; prima lo avrebbe fatto, prima me ne sarei andata e quella era l’unica cosa che volevo in quel momento.
Ma Jack dov’era quando serviva?
<< Mi dispiace >>, iniziò.
Mi sentì come se un coltello mi stesse pugnalando il cuore.
Gli dispiaceva… la cosa più ridicola che potesse mai dire.
Mi venne da ridere, ma non riuscì a farlo, mi sentivo malissimo.
<< Sono stato un emerito coglione, lo so, non mi perdonerò mai per quello che ho fatto, io ti amavo sul serio e non so perché ho reagito così… sono stato brutale… ti giuro che mio odio! >>.
Ingoiai un groppo che mi era salito in gola.
Non sapevo cosa dire, volevo essere cattiva e fargli capire che mi aveva fatta sentire una merda per una settimana, che se non fosse stato per Debbie, sarei stata ancora a piangere chiusa in camera mia; volevo dirgli che non era un coglione, ma uno schifoso, che provavo ribrezzo per lui, che mi faceva paura e che, forse, mi aveva segnata a vita... ma non riuscì a dirgli nulla di tutto quello, non ne avevo il coraggio, forse non lo avrei mai avuto per offenderlo… gli volevo ancora bene.
Feci un bel respiro cercando di calamarmi. << Quello che è successo… non può risolversi solo con le tue scuse, non si dimentica così in un lampo >>, dissi quasi sussurrando.
<< Lo so, lo so Tella… >>.
Lo interruppi.
<< Chiamami Stella >>.
Sospirò. << Stella, lo so che le scuse non riusciranno a farti dimenticare il modo indecoroso in cui ti ho trattata… >>.
Se avessi avuto la forza di sbuffare per le sue parole, lo avrei fatto, ma non ero forte, non lo ero più.
<< Sono qui per dirti che sono pentito, veramente! >>.
Evitai i suoi occhi verdi, che mi avrebbero trattenuta ed attirata di nuovo a loro. << Non ti credo >>.
<< Io ti amo Stella, non ho mai smesso di amarti >>.
Un’altra coltellata, questa volta più rapida e più dolorosa.
Ansimai, improvvisamente sprovvista di aria nei polmoni. Il cuore mi faceva male, avevo le lacrime agli occhi e le ultime forze che avevo le stavo usando per trattenerle. L’ultima volta che aveva pronunciato quelle due fottute parole era stato il giorno prima che ci lasciassimo, lui mi aveva presa dolcemente tra le braccia e mi aveva baciata così intensamente da farmi girare la testa, poi aveva dichiarato di amarmi… ed io ero così felice…
<< Se mi… >>, mi si spezzò la voce e non riuscì a pronunciare la parola, così feci a meno di usarla. << Se provavi davvero quello che hai detto, allora non avresti fatto quello che hai fatto, ma avresti accettato la mia decisione! >>.
<< Ero arrabbiato, mi sentivo rifiutato, ho reagito d’istinto >>, cercò di discolparsi.
<< Il tuo istinto è quello di uno stupratore! >>, urlai attirando l’attenzione di qualche cliente.
<< Non è vero, io ti amavo e ti volevo >>.
<< Potevi aspettare >>, sussurrai cercando ancora di trattenere le lacrime.
<< Sembrava troppo aspettare, non sono riuscito a trattenermi, a calmarmi>>.
Scossi la testa violentemente. << Ma senti cosa dici?! Questa non è la descrizione di un ragazzo che ama la ragazza con cui lo vuole fare! >>.
Scese il silenzio.
Non lo fissai negli occhi, per paura del loro effetto e perché non volevo mi vedesse in preda ad una lotta ardua alla quale stavo soccombendo, le lacrime premevano sempre di più per uscire.
<< Stella… per favore, perdonami. Ti amo, ti amo tantissimo, vorrei non aver fatto quello che ho fatto, mi odio! >>.
Scossi nuovamente la testa.
Era un coglione, un pazzo, pensava davvero di poter risolvere le cose così? Dicendomi che mi amava e che si odiava? Non capiva nulla, mi aveva spezzato il cuore, mi aveva deluso, io mi fidavo di lui, io volevo dar via la mia verginità per lui e quello che avevo ricavato era stata un semi stupro.
<< Non capisci un cazzo >>, dissi e girai i tacchi per tornare fuori, ma le sue mani mi afferrarono nuovamente le spalle.
<< Non puoi andartene, dobbiamo tornare insieme >>.
Mi dimenai dalla sua stretta, ma l’altra mano mi bloccò l’altro braccio. Mi dimenavo come una forsennata, liberandomi qualche volta da una mano che subito veniva rimpiazzata.
<< Smettila! >>, gli urlavo dimenandomi.
<< Ti prego, torniamo insieme, sono davvero pentito! >>.
Mi girò verso di se e mi afferrò per le spalle.
Tremavo come una foglia. Avevo paura, così paura che non riuscivo neanche a tenermi ben salda sui piedi. Negli occhi aveva uno sguardo pazzo, folle, lo stesso che aveva quella sera. Le lacrime iniziarono a scendermi lungo il viso, mentre un’idea di quello che mi avrebbe potuto fare mi balenò in testa; ma in quel momento non riuscì a pensare che fuori c’erano gli altri e che lui non mi avrebbe mai potuto stuprare in un negozio davanti a tutti.
<< Ti prego >>, m’ implorò ancora, << ho bisogno di te, ho bisogno di averti vicina e di baciarti… >>. Strinse le mani ancora più saldamente alle mie spalle ed iniziò ad avvicinare il suo viso al mio.
Non volevo che mi baciasse, sarebbe stato un trauma ancora più orribile di quello che già stavo vivendo. Mi sentivo una marionetta, una bambola… una bambola gonfiabile! Ma io non volevo fare quello che lui voleva, avevo un mio cervello ed io ero umana, lui non poteva trattarmi così ed io non potevo farmi trattare così.
<< Lasciami brutto stronzo! >>, sbottai tirandogli un calcio giusto nelle parti basse.
Enrico urlò di dolore facendo accorrere alcuni clienti, le commesse e gli A.T.L. seguiti da Debbie.
Jack mi lanciò un’occhiata preoccupata, non dovevo avere una bella faccia; quando però Debbie disse: << Enrico? >>, lo sguardo di Jack si volse verso il ragazzo e gli si avvicinò come un fulmine.
Non lo fermai. Non ne avevo la forza e sinceramente non volevo neanche.
Jack afferrò Enrico per il colletto della maglia ed iniziò a sparare insulti in inglese chiamandolo in tutti i modi possibili passando poi agli insulti in Italiano. << Che cazzo stai facendo a mia sorella? >>, gli chiese dopo quella lunga serie di parolacce.
Troppo concentrata sulla scena e ancora troppo spaventata, non mi accorsi che Alex mi si era avvicinato.
Mi passò un dito su una guancia bagnata. << Ehi piccolina, tutto bene? >>.
Nuove lacrime servirono a rispondere alla domanda di Alex, che con un’espressione preoccupata e triste, mi prese la testa con una mano e l’appoggiò sul suo petto, al quale mi strinsi cercando di calmarmi e smetterla di piangere, ma fu una cosa quasi impossibile: mi sentivo fragile come una foglia e tremavo, non riuscivo a calmarmi nonostante le parole di conforto che Alex mi stava sussurrando. Mi piaceva averlo vicino, sentire le sue mani tra i capelli, il profumo di buono e pulito sulla sua maglia, il suo alito solleticarmi l’orecchio. Se non fossi stata così traumatizzata forse avrei assaporato di più quel momento, anche perché finì troppo in fretta.
<< Volevo chiederle scusa… >>, sentì balbettare Enrico.
<< Davvero? Allora perché piange e sembra traumatizzata? >>, chiese Jack.
Si staccò da me asciugandomi ancora qualche lacrima, poi si allontanò per raggiungere Jack. Alex fu sostituito da Debbie, che mi abbracciò, ma il suo abbraccio non aveva nulla in comune con quello di Alex. Non che non fosse sincero, ma Alex… mi aveva fatto provare qualcosa di piacevole, una strana emozione…
<< Perché è un bamboccio che non sa tenere le mani a posto >>, disse Alex rivolgendosi ad Enrico, che lo fulminò con lo sguardo. << Nessuno ti ha insegnato a non alzare le mani sulle ragazze? >>, continuò Alex facendo arrabbiare sempre più Enrico, che si dimenò tra le braccia di Jack.
<< Beh… comunque fosse>>, sbottò Jack, << non ti azzardare mai più a mettere le tue fottute mani su mia sorella! >>.
<< Io la amo! >>, esclamò Enrico.
Alex rise beffardo. << Sei troppo bamboccio per capire l’amore, quando crescerai, forse, ti renderai conto di che cosa è davvero l’amore >>.
<< E tu lo sai? >>, ringhiò Enrico facendo una smorfia ad Alex, che però non si scompose, ma rise di nuovo.
<< Lo conosco abbastanza bene da sapere che non si mettono le mani su una ragazza per costringerla ad amarti >>.
Fui colpita da quelle parole.
Enrico ringhio di rabbia. Alex rise nuovamente.
<< Ora ti lascio andare, perché non voglio perdere tempo con te, ma ti tengo d’occhio >>, lo minacciò Jack lasciando il colletto della maglia di Enrico.
Jack non era un tipo violento, ma forse un bel cazzotto se lo meritava.
<< Non ti avvicinare mai, mai, mai più a lei perché te la farò pagare, ok? >>, chiese Alex.
Sotto alla sensazione di shock, mi sentì contenta della protezione che Alex stava dimostrando verso di me, mi faceva sentire apprezzata e non più tanto sola. Apprezzavo anche quello che aveva fatto Jack, ma… Alex… era un’altra cosa.
Jack e Alex tornarono verso di noi e ci indicarono la porta. Jack mi prese sotto la sua “ala” protettiva ed io mi strinsi a lui mentre ci allontanavamo dal negozio.
<< Tella, stai bene? >>, mi chiese Debbie avvicinandosi a me e Jack.
Ero ancora parecchio scioccata ed impaurita, ma almeno avevo smesso di tremare; il cuore era tornato al punto giusto e al numero di battiti naturale e le lacrime avevano smesso di scorrere, ma sapevo che sarei potuta scoppiare da un momento all’altro.
<< Più o meno… mi sto riprendendo >>, risposi con voce tremante.
Alex, si girò e mi lanciò un’occhiata, poi mi ridiede le spalle.
<< Almeno ora non tremi più… ed hai acquistato un po’ di colore >>, mi sorrise dolcemente Debbie.
Non potevo davvero credere a quello che era appena successo, non me lo sarei mai aspettato dall’ Enrico che mi aveva conquistata con quel bel sorriso angelico e i gesti dolci e romantici; era impossibile che quell’angelo fosse diventato una specie di stupratore.
<< Mi dispiace davvero tanto, non avrei mai dovuto farti entrare in quel negozio da sola! >>, continuò Debbie.
Scossi la testa.
<< So che sei arrabbiata con me, ti sei arrabbiata perchè nessuno ti ha prestato attenzione e ti sei sentita messa da parte e questa è solo colpa mia! Sono stata una sciocca a farmi prendere dalla gioia, mi dispiace d’averti lasciata sola, mi dispiace davvero tanto! >>.
Scossi nuovamente la testa. << Non è stata colpa tua, volevo solo vedere il negozio >>.
Mi lanciò un’occhiataccia. << Sono la tua migliore amica! >>, sbottò. << So quando menti e quando no, ti conosco meglio di tutti! >>.
La guardai e poi mi arresi annuendo. << Si, è vero, mi sono un po’ sentita messa da parte, ma non è colpa tua >>.
Jack mi strinse ancora di più a se. << Scusa sorellina, anche io sono stato uno sciocco >>.
Ero stanca di sentire scuse, non era il momento per chiedermi scusa, ero… stanca, spaventata e in preda a varie emozioni contrastanti che mi facevano impazzire.
<< È tutta colpa di quel coglione… >>, sbottò Jack.
<< Evitiamo di parlarne, ok? Voglio riuscirmi a concentrare su altro >>, dissi.
Jack e Debbie annuirono comprensivi.
Arrivammo alla macchina in completo silenzio, ognuno perso nei suoi pensieri. I miei erano neri e pieni di dolore.
Salutai Debbie che mi promise di venirmi a trovare il giorno dopo e salì di nuovo in macchina con gli A.T.L. Ci sedemmo come all’andata.
Jack accese la radio e come canzone uscì “Break your little heart”. Dopo neanche due strofe, presi a pugni la radio finché non si spense. Nessuno commentò, probabilmente preferivano non infierire.
Durante il tragitto non feci altro che rivedere nella mente gli occhi pazzi di Enrico.

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Capitolo 6
*** Forget about it ***


“I feel just like a bad joke
Gotta know… was it real?
Waking up from a bad dream, (from a bad dream)
I don’t think, I can forget about it
So just forget about it,
So just forget”.


<< Fooo... ffoon… ta… na… di Tre… e… vi >>, balbettò Rian in “italiano”.
<< Ci sei quasi >>, gli disse Jack dandogli una pacca sulla spalla.
Erano passati tre giorni dalla nostra prima gita a Roma e dal mio “rincontro” con Enrico. Mi ero ristabilita, se così si può dire; avevo smesso completamente di tremare, di piangere e di essere spaventata, avevo scritto un’altra canzone e avevo buttato via tutte le emozioni brutte che mi aveva fatto provare. Ero tornata ad essere “normale”, almeno all’apparenza, dentro sentivo ancora pizzichi di quella delusione che Enrico mi aveva fatto provare e continuava a far provare.
Il giorno prima mi aveva mandato un messaggio di scuse, ma non lo avevo detto a Jack e gli altri, che si erano impegnati tanto per farmi stare meglio, con più successo di quanto  immaginassimo tutti; Debbie era rimasta a dormire da me per due notti, Jack mi aveva portato tutti i giorni la colazione a letto e gli A.T.L. il giorno dopo “l’incidente” e i due successivi, mi erano venuti a trovare per sapere come stavo, poi mi avevano fatta uscire ed io li avevo portati ancora in giro tirandomi su con un po’ di shopping.
Non avevo risposto al messaggio di Enrico, ma ammetto che avrei voluto farlo… non sapendo però cosa scrivergli.
<< Ehi Zack, hai una monetina? >>, gli chiese Alex girandosi verso l’amico.
Zack si tastò i jeans in cerca del portafoglio e lo trovò nella tasca posteriore sinistra. Passò una moneta ad Alex che sorrise e lo ringraziò.
Eravamo fermi alla sinistra della fontana, seduti su alcune rocce all’ombra e lontani dalla numerosa folla di turisti che lanciavano migliaia di monetine ed esprimevano un desiderio. Io lo avevo fatto solo qualche volta, con scarso successo.
Jack e Rian si scattarono una foto con dietro la fontana, Zack rimase seduto a qualche centimetro lontano da me, assorto nei suoi pensieri ed Alex si stava incamminando verso il centro della fontana. Come al solito, faceva caldo! Neanche all’ombra si stava poi così bene, stavo sudando in modo assurdo e mi preoccupava il pensiero di avere delle enormi macchie di sudore sulla maglietta.
<< Ehi Stell! >>, mi chiamò Alex riaffiorando dalla folla.
Rivolsi a lui il mio sguardo.
<< Vieni con me! >>, mi invitò. << Lancia anche tu una monetina >>.
<< Nah… non mi va! >>, borbottai muovendo la mano cercando di farmi aria.
Alex sembrò offeso, ma non si arrese; mi si avvicinò.
<< Eh dai! Cosa ti costa? >>.
Mi strinsi nelle spalle.  << È una cosa inutile! >>, esclamai.
<< Se non credi che funzioni, non funzionerà >>, disse Zack lasciando me ed Alex a bocca aperta.
<< Ha ragione >>, concordò Alex dopo qualche minuto.
<< Ci credevo da piccola, ma non si è mai avverato nulla! >>, ribattei lanciando un’occhiata a Zack, che non disse nulla.
Alex alzò gli occhi al cielo. << Vieni ,oppure ti porto di peso >>, mi minacciò.
Jack e Rian, si avvicinarono a noi.
<< Meglio che fai come dice, non scherza! >>, mi avvisò Rian sogghignando e venendosi a sedere tra me e Zack.
<< Vai sorellina, non ti farà male! >>, mi incitò Jack.
Alex mi porse una mano, guardandomi implorante con i profondi occhi marroni. << Fallo per me >>, implorò.
Non badando al leggero battito accelerato del mio cuore, accettai la sua mano fingendo fastidio, quando dopotutto l’idea non mi dispiaceva: tentare non costava nulla.
La mano di Alex si strinse alla mia e lui mi sorrise raggiante. Non riuscì a non farmi contagiare da quell’allegria e sorrisi a mia volta lasciando che lui mi guidasse nella folla e stando bene attenta a non lasciargli la mano, così da non perderlo… oppure perché –si, lo ammetto-, tenergli la mano mi dava un senso di pace e di felicità.
Riuscimmo ad infilarci in uno spazio vuoto, proprio vicino al bordo bianco della fontana. Alex si frugò nella tasca dei pantaloni neri e ne tirò fuori un Euro.
Mi accigliai. << Perché hai chiesto a Zack una moneta se già ne avevi una? >>.
Alex si strinse nelle spalle, ma un sorriso gli spuntò sulle labbra. << Non volevo usare questa >>.
<< E perché allora la dai a me? >>, gli chiesi cercando di soffocare un sorriso malizioso.
Mi sorrise sghembo ed io mi sentì quasi mancare per quanto risultò sexy. << Perché voglio darla a te >>, rispose vago.
Alzai gli occhi al cielo.
<< Allora, sei pronta? >>, mi chiese mettendosi di spalle all’acqua.
Lo imitai ed annuì stringendo forte nella mano la moneta.
Alex non lasciò la mia mano nemmeno per un secondo e a me non dispiacque.
<< Al mio tre… >>, continuò.
Chiusi gli occhi un po’ eccitata, come lo era stata una Stella bambina tanti anni fa con vicino invece che un famoso cantante, un papà affettuoso.
<< Uno… >>.
Iniziai a cercare un desiderio da esprimere.
<< Due… >>.
Lo avevo trovato.
<< Tre… >>.
Voglio conoscere il ragazzo vestito da Dracula.
Lanciai il soldo.
Mi sentì un po’ in colpa sia perché non avevo espresso il desiderio di diventare cantante considerando Dracula molto più importante, sia perché avevo pensato a Dracula quando un ragazzo sexy mi stava stringendo la mano.
Alex non poteva competere con Dracula, il ragazzo della festa mi aveva così colpita e sebbene Alex non mi fosse indifferente, non sarebbe stato mai alla sua altezza, anche se Dracula lo conoscevo a malapena.
Riaprì gli occhi giusto il tempo di vedere Alex abbassare la testa e riaprire gli occhi facendo muovere i capelli castano-biondi, in un modo che mi fece quasi uscire la bava dalla bocca.
Cos’era una punizione per aver scelto Dracula?
<< Espresso? >>, mi chiese sorridendomi.
Annuì, incapace di formulare parole. Ero agitatissima e se mi avesse continuato a guardare, sarei arrossita come un peperone.
In quel momento mi convinsi che qualcuno lassù aveva deciso di farmi pentire del mio desiderio.
<< Dai, torniamo dagli altri >>, disse e, senza lasciarmi la mano, mi guidò di nuovo fuori dalla massa verso gli altri tre All Time Low.
Non appena ci guardarono, feci scivolare la mano via da quella di Alex, tanto per evitare malintesi oppure una bella ramanzina da mio fratello.
<< È stato così terribile? >>, chiese Jack scherzoso.
Lo spinsi ridacchiando.
Jack rise con me e prima che potessi accorgermene, cacciò una bottiglietta d’acqua da dietro la schiena, l’aprì e me la lanciò addosso, bagnandomi i capelli, la faccia e metà della maglia bianca, che diventò praticamente trasparente lasciando intravedere il reggiseno nero.
Ancora sconvolta, inspirai ed espirai lentamente cercando di riprendermi.
Jack iniziò a ridere di gusto, con lui anche Zack si lasciò sfuggire una risatina.
Mi girai verso Zack furente. << Ti fa tanto ridere? >>, gli chiesi gocciolante.
Zack rise più forte.
Irritata tolsi dalle mani di Jack la bottiglietta e la svuotai addosso a Zack, colpendo accidentalmente anche
Rian che protestò con un “e io che centro?”.
Zack smise di ridere e mi guardò arrabbiato. Era molto più bagnato di me, soprattutto i pantaloni e la maglia, mentre Rian era bagnato solo dal lato sinistro.
Jack scoppiò a ridere ancora di più tenendosi la pancia ed Alex si unì a lui prendendo in giro Zack, che inaspettatamente, si alzò e cacciò un’altra bottiglietta che riversò per metà su Alex annaffiandogli i capelli, le lenti degli occhiali ed il colletto della maglia. Fui troppo distratta dalla visione di Alex bagnato, per accorgermi che Zack si stava avvicinando a me. Senza sforzi mi sollevò da terra e lanciò la bottiglietta a Rian che l’afferrò al volo e me la riversò addosso mentre io mi dimenavo senza successo. L’acqua cadde anche su Zack, facendogli bagnare di più i capelli e gli occhiali neri.
Appena Zack mi rimise giù iniziò una divertente battaglia a colpi d’acqua, raccogliendola anche dalla fontana, non badando al fatto che probabilmente era sporca e chissà piena di cosa. I turisti ci lanciarono varie occhiate torve, ma noi continuammo a schizzarci ridendo come matti e spingendoci allegramente. Non mi divertivo così da anni e farlo con gli All Time Low non mi era dispiaciuto affatto. Non erano male come avevo sempre pensato: erano dei ragazzi simpatici, muscolosi e –devo ammetterlo- con del talento (iniziavo ad apprezzare le loro canzoni).
Crollammo sulle pietre tutti e cinque esausti, fradici da capo a piedi,  ma ancora sorridenti. Gli occhiali che servivano a “nascondere” le identità degli A.T.L. erano tutti fradici ed erano caduti durante la lotta, scheggiandosi un po’ dato che li avevamo un po’ calpestati (Ops!). Fortunatamente i cappelli li avevano solo messi via… ma poi a cosa sarebbero serviti? Ormai erano più che riconoscibili e attiravano di molto l’attenzione.
Respiravamo a fatica, ogni tanto presi da moti di ridarella. Strizzai i capelli formando una sorta di pozzanghera sotto di me. Jack si guardò la maglia bagnata un po’ triste.
<< Ti si sono abbassati i capelli >>, dissi a Jack.
Jack si tastò i capelli piatti sulla testa e mi lanciò un’occhiataccia. << È colpa tua! >>, borbottò.
<< Chi è che ha cominciato? >>, ribatté Alex cercando di sistemarsi i capelli.
Mi sorprese di nuovo, mi stava “proteggendo” se vogliamo vederla in questo modo.
<< Dai, è stato divertente! >>, sghignazzò Zack dandomi una gomitata giocosa.
Gli sorrisi. << Giusto e poi con questo caldo ci voleva proprio! >>.
<< Già, ora sto veramente bene >>, concordò Rian.
Aspettammo qualche minuto al sole, per asciugarci almeno quel poco da poter entrare in un negozio senza allagarlo per comprare nuovi vestiti. Quando fummo almeno in parte asciutti, ci dirigemmo verso il primo negozio che trovammo, cercando di passare inosservati, soprattutto loro quattro che avevano rindossato i capelli e quello che rimaneva dei loro occhiali.
<< Oh Fuck! >>, esclamò improvvisamente Alex.
Ci girammo all’unisono verso di lui.
<< What? >>, chiese Zack scrutando Alex.
Alex alzò il braccio sinistro mostrandoci un tatuaggio raffigurante uno scheletro nero dalle ossa bianche, che stringeva in una mano una zucca di Halloween senza la parte di sopra, come se fosse una borsetta e dall’altra un teschio. Era la prima volta che glielo vedevo.
<< Con l’acqua si è tolto il trucco che ho usato per coprirlo, con questo sono troppo riconoscibile! >>.
Gli altri A.T.L. si guardarono e poi con una scrollata di spalle dissero: << Ti compreremo un giacchetto >>.
Alex restò un po’ offeso da quella risposta, ma continuò a camminare tenendosi il braccio stretto al fianco. Ci fermammo davanti ad un negozio di abbigliamento ed entrammo disperdendoci nei vari reparti. Dopo aver scelto i vestiti: una canottiera lunga, bianca, con uno smile giallo sopra e dei pantaloncini di jeans sotto, pagai e tornai al camerino, dove mi cambiai e cercai di pettinarmi i capelli con le mani. Quando uscì dal camerino nel reparto donna, mi avviai verso quello degli uomini e sbirciai nei camerini in cerca del mio gruppo di “turisti”.
Non fu difficile trovarli, anche perché stavano praticamente dividendo un camerino in quattro facendo commenti poco carini sulle loro parti intime. Uscì dal corridoio dei camerini e li aspettai. Dopo circa dieci minuti uscirono con vestiti asciutti, nuovi occhiali da sole, i cappelli infilati ed i capelli arruffati… tutti tranne quelli di Rian ovviamente, che era l’unico tra di noi completamente asciutto.
Alex indossava dei pantaloncini corti fino al ginocchio neri, una maglietta bianca e sopra un giacchetto leggero.
<< Ora guai a chi ricomincia a tirare l’acqua! >>, minacciò Zack in tono serio.
<< Tranquillo, per oggi direi che è abbastanza >>, disse Jack mentre uscivamo dal negozio.
 
Dopo pranzo, tornammo in Via Del Corso e ci fermammo in altri negozi, alla ricerca di nuovi vestiti per il loro tour invernale. Mi assunsero come stilista personale, chiedendomi vari consigli e facendomi scegliere qualche abbinamento.
Ero davanti al camerino di Alex, aspettando che uscisse con il paio di jeans che avevo selezionato per lui, mentre gli altri tre erano andati a cercare nuovi capi, come se quelli che avevano già provato fossero pochi!
Andai su e giù per il camerino, scrivendo alcuni messaggi a Debbie, alla quale avevo appena raccontato della lotta d’acqua.
La porta del camerino si aprì e ne spuntò Alex… a petto nudo.
Quasi mi cadde il telefono di mano alla vista di quello spettacolo, quel fisico perfetto sotto quel volto sexy da toglierti il fiato e quei capelli così… scompigliati… forse così morbidi!
Rimasi con il fiato mozzato per più di un minuto, mentre continuavo ad osservarlo in procinto di svenire.
<< Mi stanno male? >>, chiese equivocando il mio silenzio.
Si girò a guardarsi allo specchio di fronte al camerino mostrandomi per un momento il suo posteriore ricoperto da quei jeans attillati che avrei tanto voluto…
<< No, no, macchè! >>, ridacchiai avvicinandomi con cautela a passo tremolante, << ti stanno benissimo! >>.
Si girò a guardarmi. << Dici sul serio? >>, mi scrutò facendomi arrossire.
Sperai non se ne accorgesse. La situazione era piuttosto imbarazzante.
<< Certo! Se ti stessero male, te lo direi >>, lo rassicurai sentendo che era vero.
Mi fece un sorriso dolce. << Grazie >>.
Ricambiai il sorriso sentendomi avvampare. Per un attimo rimanemmo in silenzio, tutti e due immobili a fissarci a vicenda… beh io in realtà fissavo un po’ il suo petto un po’ i suoi occhi,  non ne potevo fare a meno!
<< Ora mi provo gli altri >>, disse interrompendo quel silenzio imbarazzante.
Annuì cercando di nascondere il viso tra i capelli.
Alex si chiuse la porta del camerino alle spalle ed io mi lasciai andare ad un lungo sospiro, prima di catapultarmi davanti allo specchio per vedere la mia situazione guance che non era grave quanto mi aspettassi e si poteva benissimo attribuire al caldo che c’era in quel negozio.
Ma la conoscevano l’aria condizionata? Si moriva di caldo! Oppure era la vicinanza di Alex che mi faceva sudare e sentire così accaldata?
<< Stell?! >>, mi chiamò.
Il mio cuore ebbe un sussulto al suono del soprannome con il quale aveva iniziato a chiamarmi; Non aveva voluto chiamarmi né Tella, né Tell, nè tantomeno Stella, voleva un soprannome nuovo, non uno già usato, così aveva optato per Stell, che mi piaceva, come mi piacevano anche gli altri due.
<< Si? >>, chiesi.
<< Ti posso chiedere una cosa? >>.
Tentennai indecisa, poi dissi: << Ok >>.
<< Cosa ti ha fatto Enrico? >>.
Mi bloccai al sentire di nuovo quel nome, ma riuscì a riprendermi e continuare a respirare normalmente.
<< Non intendo cosa ti ha fatto ieri, ma… perché avete litigato… cosa c’è stato tra voi… insomma… vorrei solo sapere… che è successo >>, disse faticando un po’ a trovare le parole giuste.
<< Sempre che tu voglia dirmelo! >>, si affrettò ad aggiungere.
<< Si, credo… di riuscirci >>, dissi appoggiandomi al muro vicino al camerino.
Presi un bel respiro sperando di non farmi trascinare dal viale dei ricordi. << Io ed Enrico ci siamo conosciuti in secondo superiore, ci siamo piaciuti dal primo istante e quasi subito ci siamo messi insieme. Lui mi trattava… bene, mi faceva tanti regali, mi portava a fare bellissime cene romantiche… siamo stati insieme per due anni e mezzo, tantissimo tempo. È stato il mio primo amore e sembrava tutto stupendo, credevo che lui fosse l’uomo che avrei sempre avuto accanto, ma… l’apparenza inganna. Probabilmente non conoscevo Enrico come credevo >>, presi un bel respiro. Arrivava la parte difficile. << Avevamo deciso di fare l’amore, avevamo deciso tutto, volevamo fosse perfetto…  >>, repressi un singhiozzo per non allarmare Alex, ma una lacrima scese comunque e la mia voce continuando si fece sempre più tremolante. << Quando però… è arrivato il momento io… non ce l’ho fatta. Non so il perché, forse per la stupida paura del dolore che avrei provato… >>, risi amaramente mentre altre lacrime mi sgorgarono sul viso. << Qualunque sia stato il motivo, io gli ho detto che non ero pronta e lui ha iniziato a sbraitarmi contro dicendomi che avevamo deciso e che dovevo farlo. Ho cercato di parlargli, ma lui si è solo innervosito di più e… ha provato a costringermi, ha provato a spogliarmi… io non riuscivo a sottrarmi… ma poi… >>, mi asciugai una guancia, << non so neanche per quale miracolo, sono riuscita a dargli una botta al suo fottuto pisello e a quel punto sono scappata >>.
Alex uscì dal camerino con faccia seria, la più seria che gli avessi mai visto in volto. Mi asciugai velocemente le lacrime, ma non servì a nulla, continuavano ad uscire come una cascata. << A volte… >>, singhiozzai, << mi tiro su pensando che almeno sono ancora vergine e che non gli ho permesso di farmi del male, ma… nonostante questo e tutte le cose belle che mi possono accadere nella vita, non riesco e non riuscirò mai a scodarmi di questa cosa… >>. Prima che potessi asciugarmi le guance e ricompormi, Alex mi prese tra le braccia, come aveva fatto tre giorni prima. Era ancora a petto nudo, ma -guarda un po’ la sfortuna-, ero troppo intenta a piangere per assaporare la sensazione liscia della sua pelle sotto i miei palmi. Mi strinsi a lui il più che potei cercando di soffocare il dolore con sensazioni più belle e felici, come quelle che mi faceva provare Alex. Le mie lacrime gli bagnarono il petto, ma lui non fece una piega, lasciò che mi sfogassi.
<< Se avessi saputo avrei tenuto la bocca chiusa, scusami davvero >>, mi sussurrò.
Mi staccai a malincuore dal suo petto e lo guardai negli occhi. << Non devi dispiacerti, io ho voluto raccontartelo… tante volte è meglio che tenersi tutto dentro, magari dicendotelo ho anche aiutato il mio dolore >>, mi sforzai di sorridere.
Mi accarezzò una guancia asciugandomi le lacrime con il pollice. << Spero che tu abbia ragione, vorrei poterti aiutare >>.
<< Purtroppo non puoi, i ricordi non si possono cancellare >>, scossi la testa, << tante volte mi sembra un brutto sogno e mi domando “è davvero successo?” >>, sospirai, << vorrei solo poterlo dimenticare… ma sembra una cosa impossibile >>.
Con mia grande sorpresa, Alex iniziò a cantare: << I feel just like a bad joke, gotta know… was it real? Waking up from a bad dream, I don’t think, I can forget about it, so just forget about it, so just forget >>.
Sorrisi.
<< Vedrai che piano piano dimenticherai, devi solo avere pazienza ed avere la forza di andare avanti >>.
Le sue parole mi toccarono nel profondo, mi diedero una speranza, mi fecero stare bene.
<< Grazie, lo spero >>.
Mi strinse ancora un altro po’ canticchiando la canzone che ricordavo di aver sentito a malapena.
Quando l’abbraccio finì gli rivolsi un altro sorriso e dissi: << Allora, fammi vedere come ti stanno i pantaloni! >>.
Rise e girò su se stesso e si fece ammirare in tutto il suo splendore. Non aveva peli sul petto, era liscio come un bambino, ma dall’ombelico partiva una striscia di peletti che lo faceva sembrare ancora più sexy!
Quella visione poteva bastare per riprendermi.
<< Sono un po’ troppo lungi! >>, dissi inginocchiandomi ai suoi piedi per fare una piega ai pantaloni. << Andrebbero accorciati >>, continuai.
<< Provvederò a farli accorciare >>, disse.
<< Hai dei sarti? >>, chiesi stupidamente passando ad accorciare l’altra gamba del pantalone.
<< Ovvio >>, ridacchiò.
Finì di arrotolare il pantalone. << Ok, te li ho arrotolati per farti vedere la lunghezza che dovrebbero avere >>.
Mi sembravo una stilista o una commessa!
<< Perfect! >>, esclamò regalandomi un altro sorriso.
<< Ora va a cambiarti >>.
Alex ubbidì e tornò di nuovo dentro il camerino.
<< Ehi Alex?! >>.
<< Si? >>.
<< Che vuol dire il tatuaggio che hai sul braccio? >>, gli chiesi.
<< Oh, simboleggia Halloween, è la mia festa preferita >>.
Mi paralizzai.
Aveva appena detto che Halloween era la sua festa preferita? Ok, o era una terribile coincidenza come la birra… oppure… Alex era…
No! Ma che scemenza, Dracula non era Alex, Dracula aveva i capelli scuri e gli occhi scuri a meno che quelli che indossasse non fossero lenti a contatto e una parrucca.
È solo un caso, un terribile caso.
Continuai a ripetermi, ma purtroppo non riuscì a convincermi molto.
Jack e gli altri tornarono, con un’enorme pila di roba che mi fece sorgere una domanda: “quanto tempo ancora saremmo stati lì? Fino alla chiusura?”.
Almeno con tutto quel lavoro mi sarei distratta dal tatuaggio di Alex e dal ricordo di Enrico.
<< Ehi Tell, che hai? Hai una faccia! >>, commentò Jack osservandomi accuratamente.
Sorrisi forzata. << Nulla! >>.
Jack arricciò le labbra. << Davvero? >>, chiese.
Annuì sperando che lasciasse perdere.
<< E perché hai gli occhi rossi? >>.
Mannaggia alle lacrime!
Scossi la testa. << Davvero nulla, ho solo raccontato ad Alex cosa è successo tra me ed… Enrico e beh mi sono messa a piangere, ma sto bene, davvero, non preoccuparti e vatti a cambiare >>.
Jack scosse la testa tristemente, poi mi baciò la fronte abbracciandomi. << Vedrai che con il tempo starai meglio… soprattutto quando io stenderò Enrico a terra >>.
Ridacchiai.
Jack si scosse da me. << Io ti starò vicino, non ti lascerò sola, voglio che tu lo sappia >>.
Sinceramente non sapevo quanto credere a quelle parole, dopotutto anche lui mi aveva delusa, ma mi convinsi a provarci e ad avere fiducia nel mio bel fratellone al quale volevo un mondo di bene.
Gli baciai una guancia e lo guardai entrare nel camerino pieno zeppo di roba.
 
Quando con la macchina riportammo i ragazzi all’hotel, fui spinta da uno sfrenato desiderio di ringraziare ancora Alex per quello che aveva fatto, mi aveva fatto davvero sentire meglio; così quando ormai stavano per entrare, lo chiamai ed uscì dall’auto seguita dallo sguardo incuriosito di Jack.
<< Stell, che succede? >>, mi chiese.
<< Ehm… volevo ringraziarti ancora per prima, mi hai davvero tirata su >>, dissi sentendomi emozionata, con la mani che sudavano e le guance che minacciavano di diventare rosso pomodoro.
Mi sorrise. << Di nulla Stell, ci sono sempre se hai bisogno >>, mi accarezzò una guancia ed il mio cuore guizzò di felicità.
<< Sai, sei come una sorellina per me >>, continuò.
Il mondo mi cadde addosso.
Ero come una sorellina? Una sorellina?!
Quasi indignata lo salutai e me ne andai, forse lasciandolo perplessa. Come poteva dirmi una cosa del genere? Insomma… perché mi considerava una sorellina?! Non volevo essere sua sorella, volevo essere… un’amica… o qualcosa del genere. Una parte di me aveva sempre sperato inconsciamente di piacere ad Alex, viste tutte quelle attenzioni che mi dava… e invece ero solo una sorellina! Ma che cavolo!
Il mio Dracula non mi avrebbe mai pensata come una sorellina, era quella la differenza e la ragione per la quale Dracula non poteva essere Alex, la notte di Halloween avevo visto il modo in cui Dracula mi guardava, il modo in cui si strusciava contro di me e non era di certo perché mi pensasse come una sorella!
Ero furiosa con me stessa per aver pensato che quello stupido di Alex fosse il mio bellissimo Dracula e con lui perché mi aveva delusa, come tutti! Al mondo non ci si poteva fidare più di nessuno.
Sbuffante e scalpitante, me ne tornai a casa.

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Capitolo 7
*** Dear Dracula count me in ***


'Cause I got your picture
I'm coming with you
Dear Maria, count me in
There's a story at the bottom of this bottle
And I'm the pen
Make it count when I'm the one
Who's selling you out
'Cause it feels like stealing hearts
Calling your name from the crowd”.

 
Due giorni dopo la visita a Fontana di Trevi, mi svegliai, per la prima volta dopo giorni, verso l’una. Pranzai, invece di fare colazione, mi lavai e vestii e poi me ne tornai in camera. Quel giorno avevamo deciso di fare una pausa con le gite e di riposarci un po’. Jack era andato al loro albergo, ma sarebbe tornato presto, accompagnato dagli A.T.L.
Il giorno dopo la scioccante affermazione di Alex, non lo avevo più considerato tanto, lo avevo evitato il più che potevo, concentrandomi su mio fratello, Rian e Zack. Ero furiosa con Alex e, almeno per il momento, non avevo voglia di parlargli o di rimettermi a scherzare con lui: mi aveva delusa e volevo che lo sapesse anche se la mia rabbia era un po’ da bambina…
Ero stesa sul letto, a guardare il soffitto persa nei miei pensieri Alexosi, se così si può dire, quando qualcuno bussò alla porta. Per un momento ebbi paura che fosse Jack con tutta la band, ma poi mi giunse la voce di Debbie: << Tella! Ci sei? >>.
Tirai un sospiro di sollievo. << Si, Deb, entra pure >>.
Deborah entrò trotterellante nella mia camera e si chiuse la porta alle spalle. << Allora, come stai? >>, mi chiese.
Mi misi seduta. << Abbastanza bene >>, dissi.
<< Allora perché hai la faccia di un morto? >>, chiese venendosi a sedere di fronte a me.
Mi strinsi nelle spalle. << Boh… forse ho sonno >>, dissi facendo un finto sbadiglio per convincerla.
Deborah mi guardò storto, ovviamente non ci credeva. Perché era così brava?
<< Ok, prima ti farò vedere la cosa per la quale sono venuta qui e poi tu mi spiegherai che ti è successo >>.
Borbottai un “si”, anche se non ero molto convinta di volerle dire che ero arrabbiata con Alex… avrebbe potuto fraintendermi… oppure ero io che mi stavo fraintendendo?
<< Cosa mi hai portato? >>, le chiesi curiosa.
Debbie mi sorrise e si alzò in piedi frugandosi nella borsa. << Allora, ieri ero a casa ad annoiarmi ed ho iniziato a guardare delle foto su Facebook >>.
Annuì, anche io lo facevo tante volte.
<< Ho rivisto le foto della gita a New York… >>.
Ebbi un tuffo al cuore. New York… gita… festa… Dracula.
<< C’erano molte foto della festa… ed indovina un po’ in una chi è stato preso per sbaglio? >>.
Sgranai gli occhi incredula. << Stai dicendo sul serio? >>.
Debbie sorrise e ridacchio. << Certo che dico sul serio! >>, esclamò.
<< Quindi… tu hai quella foto qui? >>, le chiesi balbettante dall’emozione.
Debbie annuì e la cacciò dalla borsa con un movimento fluido.
Persi il controllo di me.
<< Dammela!  >>, urlai lanciandomi su di lei ed afferrando al volo la foto.
<< Ehi, calmina! Non scappa mica! >>, mi rimproverò.
Caddi sdraiata sul pavimento freddo della camera e strinsi la foto tra le mani. In primo piano c’erano due mie compagne di scuola che ricordavo a malapena, che sorridevano nei loro costumi da super eroine un po’ zoccolose e dietro di loro, c’era lui, Dracula, con la maschera bianca, i capelli neri, gli occhi scuri come la notte, il fisico alto e snello (o forse un effetto del vestito nero?). Era come lo ricordavo, ogni dettaglio era uguale.
Quasi mi venne da piangere. Mi ero impegnata tanto per ricordarlo, per ricordare tutto di quella serata, non scordare nulla nemmeno i nostri dialoghi per poi scoprire che c’era sempre stata una foto che lo ritraeva, ma che comunque non aveva voce.
<< Oh Dio! >>, squittì.
<< Ti piace? >>, mi chiese.
La guardai rimettendomi in piedi. << È stupenda cavolo! È quello che aspettavo da tre anni! >>.
Debbie mi sorrise raggiante. << Sapevo ti sarebbe piaciuta >>.
Debbie era l’unica a sapere del mio incontro con Dracula e l’unica che l’avrebbe mai dovuto sapere.
La strinsi tra le mani e continuai a guardarla mentre mi sedevo sul letto. Per forse la milionesima volta, mi chiesi come fosse realmente.
<< Ne sei ancora così innamorata? >>, mi chiese Debbie.
Annuì. << Non l’ho mai dimenticato… mi ha rapito dal primo momento che ci siamo guardati, ho sentito una fortissima emozione nei suoi confronti >>, sospirai, << vorrei tanto conoscerlo >>.
<< E allora vai a New York! >>.
Le lanciai un’occhiata in tralice. << A New York? >>.
Debbie annuì.
<< Mi dici come faccio a trovarlo a New York? Non è piccola! >>.
<< Beh, ma potresti comunque tentare… cosa sai di lui? >>.
Quasi non volli rispondere a quella domanda; le cose che sapevo di Dracula coincidevano tutte con Alex.
<< So che ama Halloween, che gli piace la birra dalla bottiglia verde, che sa stappare una bottiglia in modo veloce e che è simpatico… >>.
Debbie sembrò delusa. << Sono cose inutili >>, borbottò.
Sbuffai. << Lo so, se avessi altro non pensi che sarei già a New York? >>.
<< Giusto >>, concordò. << Perché non chiedi a Jack se lo conosce? >>.
<< Se conosce chi? >>, sbottai, << Un tipo vestito da Dracula che ama Halloween? >>.
Debbie si strinse nelle spalle. << Era solo un’idea! >>.
<< Lo so, e comunque Jack non deve saperlo, voglio che rimanga una cosa segreta >>.
Debbie annuì.
Rimanemmo un po’ in silenzio. Non ero sicura di volerle dire delle somiglianze di Dracula con Alex, ma dovevo pur dichiarare i miei dubbi, almeno mi avrebbe aiutata a capirci qualcosa… almeno lo speravo.
<< Debbie? >>.
<< Mmm…? >>.
<< Ad Alex piace Halloween, vero? >>, le chiesi.
Debbie annuì. << Si è la sua festa preferita >>, concordò.
<< E… beve la birra… la sua preferita sai qual è? >>.
Debbie aggrottò le sopracciglia. << È quella dalla… oh Dio! >>, sgranò gli occhi.
<< Già >>, annuì.
<< Alex è Dracula? >>,chiese con una lieve eccitazione nella voce.
Scossi la testa. << No, hanno solo qualche cosa in comune >>, borbottai.
<< Tutto quello che sai di Dracula è in comune con Alex! >>, esclamò sorridendo.
La guardai. << Ma… non è possibile che sia lui >>.
<< Perché no? Quadra tutto! >>, esclamò e vedendo che non ero d’accordo mi si avvicinò e continuò: << Pensaci bene, quel giorno tu sei andata a trovare Jack, quindi gli All Time Low erano a New York, lui indossava una maschera perché se sarebbe stato riconosciuto, tantissime fan gli sarebbero saltate addosso… non è più o meno quello che ti ha detto? >>.
Ripassai con la mente tutte le nostre conversazioni e con mio dispiacere fui costretta a dare ragione a Debbie. << Si, hai ragione >>.
<< Visto?! E poi c’è anche la birra e l’amore per Halloween insomma è lui! >>.
<< Anche se tutto quadra, può essere che ti stai sbagliando! >>, sbottai.
Debbie scosse la testa sorridendo. << Non penso proprio! >>.
Proprio in quel momento la porta di casa sbatté e le voci degli All Time Low rimbombarono per la casa. Mi
si raggelò il sangue nelle vene.
<< Ehi, perché non lo chiediamo a lui? >>, propose Debbie avviandosi verso la porta.
<< No! >>, urlai saltando verso la porta per fermarla.
Non mi ci voleva proprio che Alex pensasse fossi pazza. Lui non era Dracula e mi avrebbe presa in giro per averlo pensato e in più lo avrebbero saputo tutti gli altri. No, no, Debbie non sarebbe uscita da quella porta.
Scostai via Debbie dalla porta e mi ci misi davanti. << Non andrai a dirglielo! >>, la minacciai.
<< Ma dai Tella, che male c’è? Così sapremo come stanno le cose >>.
Mi girai verso la porta e la chiusi a chiave, giusto in tempo prima che Jack tentasse di aprire la porta.
<< Ehi Tell, perché ti sei chiusa a chiave? >>, chiese.
<< Uhm… c’è Debbie con me e dobbiamo parlare di una cosa importante >>, spiegai tappando la bocca a Debbie che tentava di parlare.
Mi leccò la mano varie volte, ma io non mollai anche se mi faceva schifo.
<< Oh… almeno un salutino? >>, chiese Jack.
<< No… mi dis… piace… magari dopo >>, dissi lottando contro Debbie che tentava di liberarsi.
<< Oh… >>, Jack sembrò deluso, << allora a dopo… ciao Debbie! >>.
Per non farla parlare, mormorai io un “ciao” imitando la sua voce civettuola e per fortuna Jack se ne andò. Lasciai andare Debbie.
<< Mi spieghi cosa c’è di male? >>, sbottò.
<< C’è che se Alex non è Dracula, faccio una figura di cacca e non voglio che gli altri lo sappiano e poi… insomma… io sono innamorata di Dracula e non posso pensare che sia Alex, io lo odio! >>.
Debbie alzò un sopracciglio e mi scrutò attentamente. << Davvero lo odi? >>.
Stavo per risponderle di si, ma la voce mi si spezzò in gola e rimasi in silenzio senza riuscire a dire che lo odiavo, perché non era vero. Ero arrabbiata con lui, ma non lo odiavo, gli volevo bene.
<< No, non lo odio >>, sussurrai infine.
Debbie si inginocchiò al mio fianco. << Ti piace non è vero? >>.
Risi, ma fu una risata nervosa. << No, certo che no! >>.
<< E invece si! >>.
<< No, non direi >>.
<< Si, ho visto come lo guardi e come arrossisci in sua presenza… anche in questo momento! >>.
Mi coprì le guance scoprendo che erano bollenti. << Non mi piace! >>.
<< Si, invece, se no perché ti sei innervosita tanto quel giorno in Via Del Corso? Sei gelosa! >>.
<< Ero arrabbiata perché non mi pensavate! >>.
<< Da una parte…  e dall’altra eri gelosa >>, sorrise.
<< No! >>, sbottai.
<< Si! >>.
<< No! >>.
<< Avanti Tella cosa c’è di male ad ammetterlo? >>.
Sbuffai. Ok, forse stavo mentendo sia a Debbie che a me stessa, ma io non volevo che mi piacesse Alex, chissà in che casino mi sarei andata ad infilare! E poi io non gli piacevo, sarei andata solo contro un muro!
<< Ok, va bene, ammetto che non mi è indifferente e che è molto premuroso con me e anche simpatico… e la cosa mi piace >>, sorrisi al ricordo dei suoi abbracci.
<< Ma? >>.
<< Ma l’altro ieri mi ha detto di considerarmi come una sorellina, cosa che non mi ha fatto per nulla piacere e quindi lui non può essere Dracula, perché io piacevo a Dracula, glielo si leggeva in faccia! >>.
<< Che stronzo sexy! >>, sbottò Debbie.
<< E comunque se Alex mi piacesse non ci sarebbe futuro per me, sia perché Jack si incazzerebbe e sia perché loro sono sempre in giro e sempre impegnati, non ci sarebbe mai tempo per stare un po’ insieme >>.
<< Non puoi saperlo se non lo provi >>, ribatté Debbie.
Mi strinsi nelle spalle. << Non penso di poterlo, né volerlo provare >>, dissi, << non so nemmeno se mi piace, ho un tale casino in testa! Ma anche se mi piacesse, lui non ricambierebbe quindi è inutile farsi troppi problemi! >>.
<< Ma se lui fosse davvero Dracula? Allora che faresti? >>.
Scossi la testa. << Non lo so >>.
Debbie sospirò. << Può essere che ora Alex ti consideri come una ragazzina, ma più in là capirà che gli piaci e poi, se lui è Dracula, probabilmente non sa nemmeno che sei tu >>.
<< Giusto, con tutto quel trucco che mi avevi messo, la parrucca castana e le lenti a contatto non mi riconoscerei nemmeno io! >>.
Ridacchiammo.
<< Tella, sii sincera con me, per favore… ti piace Alex si o no? >>.
Alzai gli occhi al cielo. << Te l’ho già detto, non mi è indifferente e comunque sarebbe sbagliato che mi piacesse, mi farei solo del male! >>.
<< So wrong, it’s right >>, disse nominando uno dei cd degli A.T.L.
Scossi la testa. Debbie aveva ragione, una parte di me lo sapeva, ma non voleva ammetterlo. Ero innamorata di Alex, lo si capiva dal modo in cui mi sentivo sempre agitata in sua presenza, da come arrossivo, da come lo trovavo incredibilmente sexy, da come ero stata in punto di svenire quando lo avevo visto a petto nudo e da come i suoi abbracci mi dessero una sensazione di benessere e di felicità, come se in quel momento fossi a posto, come se non mi servisse altro.
Ora lo sapevo o, forse, lo avevo sempre saputo, ma non volevo ammetterlo:  dovevo soffocare questa cosa, avrebbe portato solo a molte delusioni e poi io dovevo trovare Dracula, che non era Alex e che era il ragazzo che amavo.
Così sbagliato che è giusto. No, non era giusto, dovevo togliermi Alex dalla testa e ci sarei riuscita bene quando se ne sarebbe andato per tornare a Baltimore.
<< Non è bene e non lo sarà >>, sospirai, << forse mi piace Alex, ma lui non lo saprà ed io soffocherò questo sentimento >>.
Debbie alzò gli occhi al cielo. << Fai quello che ti senti, ma per me stai sbagliando >>.
Mi strinsi nelle spalle. << Io ho Dracula a cui pensare >>, dissi.
<< Dracula è Alex, te lo dico io! >>.
<< No, non è lui, me ne sarei accorta >>, ribattei.
Sbuffò. << Vabbè, vabbè! >>.
Mi sdraiai sul letto coprendomi gli occhi con un braccio.
A me non piace Alex. A me non piace Alex. Chi è Alex? Nessuno! Nessuno!
Chi è Dracula? Tutto!
Mi piace Alex?
Si, ma lo devo dimenticare.
Mi piace Dracula?
Si e lo devo cercare!
Dracula non è Alex.
Pensai mentre Debbie scriveva al computer probabilmente per entrare su Facebook.
Quando riaprì gli occhi, sullo schermo c’era un’immagine di Alex dallo sfondo giallo con lui che mostrava  l’indice ed il medio nel segno della pace con la testa inclinata ed un occhio chiuso.
Dannatamente adorabile!
<< Cosa fai? >>, le chiesi vedendo che prendeva in mano la foto di Dracula.
<< Sto cercando delle somiglianze >>, disse iniziando ad esaminare attentamente le due foto.
La guardai storto. << No, sul serio stai facendo quello che penso? >>, le chiesi.
<< Che c’è di male? >>.
<< C’è che non riuscirai mai a vedere se si somigliano! Perché Dracula ha una maschera! E poi te lo posso dire io stessa >>.
Mi guardò. << Si somigliano? >>.
<< Per nulla! >>.
<< Come ho detto prima probabilmente si era nascosto per non farsi scoprire dalle fans e allora è probabile si sia messo una parrucca >>.
<< E gli occhi neri? >>.
<< Un effetto delle luci >>.
Ridacchiai. << Sei proprio sicura, vero? >>.
<< Al cento percento! >>, confermò.
Scossi la testa.
<< La voce non la ricordi? >>.
<< No, c’era troppo casino perché io possa riconoscere il tono di voce >>.
<< Tanto è lui >>.
<< No, non è lui, quello che provo per Dracula è… diverso >>.
Rise. << Questo è quello che pensi tu >>.
Le lanciai un’occhiataccia. Ero sicura di quello che avevo detto e non avrei cambiato idea.
Rimasi per un po’ a fissare l’Alex nella foto. Sembrava del tutto diverso dall’Alex che era proprio fuori dalla mia camera. Che fortuna che avevo ad avere una famosa band proprio in casa mia della quale mio fratello era il chitarrista; milioni di ragazze avrebbero pagato per essere me ed io invece li avevo sempre odiati pensando fossero dei losers, ma in realtà non lo erano, erano dei ragazzi in gamba. Non mi sarei mai immaginata che l’Alexander Gaskarth delle foto fosse simpatico, dolce e premuroso come era l’Alex che avevo conosciuto.
Debbie mi distolse dai miei pensieri iniziando a cantare: << I got your picture, I'm coming with you, Dear Dracula, count me in, there's a story at the bottom of this bottle and I'm the pen.  Make it count when I'm the one who's selling you out, ‘cause it feels like stealing hearts, calling your name from the crowd >>.
Risi. << Se fosse Alex Dracula non sarei la prima a cedergli >>.
Debbie ridacchio. << Non ci credi ancora? >>.
Scossi la testa. << No, per niente proprio! >>.

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Capitolo 8
*** It feels like i'm falling in love ***


-Stella-.
 
Era ormai la seconda settimana di Agosto. I giorni di luglio erano passati molto in fretta. Gli A.T.L. si erano molto divertiti ad andare in giro per Roma, avevano fatto un sacco di foto e tanto, tanto ma tanto shopping! Per non parlare dei quintali di pizza che si erano mangiati! Avevamo anche fatto un giro sul pullman turistico scattando tutte le foto possibili ed immaginabili.
Avevo ripreso a parlare con Alex, ma volevo continuare a portare avanti la mia “missione” per dimenticarlo… anche se lui rendeva tutto molto più arduo, continuando a trattarmi bene e a farmi gioire il cuore. In tutti quei giorni però avevo evitato di guardarlo negli occhi e di creare situazioni intime e sentimentali, non volevo che si “avvicinasse” , era già difficile stargli accanto!
Quando avevamo finito di girare per la città, avevamo deciso di dedicare qualche giorno alla spiaggia, così eravamo scesi a Latina, una piccola cittadina vicino Roma e avevamo passato vari giorni sotto il sole caldo, che aveva completamente scottato gli A.T.L. , che somigliavano molto a pomodori doloranti. Io non mi ero bruciata: ero abituata a prendere il sole, quindi la mia carnagione chiara ora si era leggermente scurita e non arrossata.
Era più di una settimana che andavamo in spiaggia ormai ed ogni giorno ci divertivamo in vari modi diversi: biliardino, BeachVolley, lotta in acqua e anche fare castelli di sabbia, come quel giorno: io ed Alex ci stavamo davvero impegnando per creare una vera opera d’arte!
Eravamo sulla riva, seduti sulla sabbia, intorno ad una fortezza alta, con quattro torri ad ogni angolo. Io e Jack avevamo trovato palette e secchielli nel garage di casa e avevamo deciso di prenderli, così da tornare un po’ bambini.
<< Uhm.. ci vorrebbero delle bandierine >>, commentò Alex osservando le alte torri con la forma del secchiello.
<< Al bar potrebbero averle >>, dissi aggiustando di poco una delle mura.
<< Andiamo a chiedere! >>, esclamò Alex mettendosi in piedi e scotendosi la sabbia dal costume a pantaloncino, nero.
Mi alzai anche io e lo imitai.
Non era stato per niente facile evitare di guardare il petto sexy di Alex, ma con un po’ di buona volontà e un po’ di morsi sulla lingua, avevo perso la voglia di farlo.
Il primo giorno mi ero sentita molto imbarazzata! Non avevo costumi interi, mamma non me li aveva mai comprati perché voleva che mettessi in risalto il mio bel fisico snello, ma forse non aveva mai pensato che davanti ad un quartetto… facciamo terzetto di ragazzi mi sarei potuta vergognare, soprattutto se ero l’unica femmina e soprattutto se nel terzetto c’era un ragazzo davvero carino che probabilmente mi piaceva.
<< Jack, ci guardi la fortezza? >>, gli chiesi.
Jack era sdraiato sotto l’ombrellone a leggere una rivista. Abbassò gli occhiali da sole e guardò la nostra creazione. Ridacchiò. << Se non stessi leggendo una cosa interessante lo distruggerei io stesso >>.
Gli lanciai un’occhiataccia.
Alex gli si avvicinò e gli strappò il giornalino dalle mani.
Jack si alzò di scatto protestando.
Alex da dentro il giornale di musica, ne cacciò un altro porno, sogghignando. << Una cosa interessante? >>, chiese.
Jack sbuffò e si riprese il giornalino. << Come se non lo trovassi interessante anche tu! >>, sbuffò.
Alex sogghignò di nuovo. << È vero, è vero, ma almeno lo faccio in privato >>.
Jack gli lanciò un’occhiataccia e poi mi guardò. Lo fulminai con lo sguardo. Che bello, mio fratello leggeva giornaletti porno! Ed anche Alex! Magari si masturbavano pure guardando le foto di quelle donne rifatte. Che schifo!
<< I’m a Man! >>, si giustificò Jack.
<< Sei un coglione! >>, replicai mollandogli uno schiaffo sulla testa.
<< Ehi, non prendertela, abbiamo bisogno di queste cose >>, lo difese Alex e per la prima volta in assoluto mi
venne voglia di picchiare anche lui. E così feci. Gli mollai una pacca sulla spalla, furibonda.
<< Aho! >>, si lamentò Alex guardandomi storto.
<< È questo il brutto di avere una sorella femmina! Non capisce le cose da uomini >>, borbottò Jack
tornando al suo giornalino.
<< Sei un pervertito! >>.
<< Tranquillo fratello, ci sono io che ti capisco >>. Alex gli batté qualche colpetto sulla spalla.
<< Rettifico: siete due pervertiti! >>.
Alex mi sorrise sghembo. In quel momento odia il mio cuore che aveva iniziato ad accelerare i battiti.
<< Dai, forza, andiamo! >>, disse Alex iniziando ad avviarsi verso il bar.
Mi girai verso Zack, che stava osservando il mare. Se il fisico di Alex era bello, quello di Zack era mozzafiato! Aveva un fisico… assurdo! Da vero palestrato. Aveva anche un tatuaggio raffigurante un uccellino nero e bianco, che cantava mentre volava verso il basso. << Zack, ci guardi la fortezza? >>, gli chiesi.
Zack mi fissò con quegli occhi così dolci e belli. << Certo, nessuno abbatterà quelle mura! >>, mi assicurò con un sorriso.
<< Grazie >>, gli sorrisi e gli mandai un bacio, poi scoccai un’occhiataccia a Jack, che mi mostrò la lingua.
Raggiunsi Alex sul lido e insieme raggiungemmo il bancone del bar, dove una cameriera dai corti capelli biondi e la carnagione caffèlatte, ci sorrise. << Ditemi >>, disse in italiano.
Alex mi guardò cercando aiuto. Mi feci avanti e chiesi provando un po’ di imbarazzo. << Volevamo sapere se beh… avevate delle bandierine >>.
La ragazza aggrottò leggermente le sopracciglia. << Delle bandierine? >>.
<< Si >>, annuì, << quelle di carta infilate negli stuzzicadenti >>.
La ragazza sembrò capire, visto che annuì. << Come quella che ha il ragazzo seduto lì? >>, mi chiese indicandomi un tavolo alla mia sinistra.
Mi girai nella direzione indicatami e quasi imprecai.
Qualcuno lassù mi voleva davvero male!
La bandierina che spuntava dal panino del ragazzo, era proprio come la volevamo io ed Alex, ma il ragazzo che stava per mangiare il panino beh… era la persona che non avrei mai voluto vedere.
Enrico era seduto al tavolo con alcuni suoi amici, dei quali ricordavo i nomi per le tante volte in cui eravamo usciti assieme: Bruno, Tommaso, Gennaro e Luca. Tutti e cinque ridevano e scherzavano trangugiando i loro panini. Per fortuna non si erano accorti di me, ma forse era solo questione di minuti, Enrico poteva riconoscermi anche dentro una massa di gente.
<< Stell?! Che succede? >>, mi chiese Alex.
Tornai a guardarlo con occhi spenti. Mi sentivo di nuovo a terra, ma non potevo permettergli di rovinare la mia giornata al mare o la mia scultura; così mi ricomposi ignorando la domanda di Alex, ed annuì alla ragazza, che tornò subito con almeno dieci bandierine, che io ed Alex prendemmo ringraziandola e ce ne andammo, tornando verso il nostro ombrellone. Non rivolsi nemmeno uno sguardo ad Enrico, anche se ammetto che avrei voluto farlo, ero ancora troppo abituata a seguirlo sempre con lo sguardo quando era nei paraggi, lo avevo fatto fin dal primo giorno, era sempre stato una calamita per i miei occhi, soprattutto quando ci trovavamo occhi marroni in occhi verdi.
 Alex continuò a fissarmi perplesso mentre scendevamo in spiaggia e questo mi faceva innervosire e sentire agitata, tanto che non riuscivo più a sentire la sabbia sotto i piedi.
<< Potresti smetterla di fissarmi? >>, gli chiesi forse un po’ troppo brusca.
Alex distolse lo sguardo. << Scusa, mi domandavo solo cosa ti fosse preso prima, al bar >>.
Distolsi lo sguardo e lo concentrai su due bambini che si rincorrevano urlando.
Alex si fermò e mi afferrò per un braccio costringendomi a fermarmi. << Che c’è che non va? >>, chiese.
Distolsi nuovamente lo sguardo. Non volevo guardarlo negli occhi era già troppo che il mio cuore avesse ricominciato a battere forte, non potevo rischiare di riprovare tutte quelle emozioni forti, avevo deciso di dare un freno a tutto quello e così avrei fatto, non mi sarei tirata indietro.
<< Nulla >>, dissi e ripresi a camminare, lasciandolo indietro.
Mi seguì solo dopo un po’ ma non mi fece più domande e finimmo la nostra fortezza nel più silenzioso dei silenzi. Venne fuori abbastanza carina e Zack gli scattò una foto ricordo. In quella macchinetta avevano di sicuro più di mille ricordi e nella maggior parte c’ero anche io, cosa che non mi dispiaceva affatto.
Tornai sotto l’ombrellone e senza accorgermene, mi addormentai sognando Alex che mi sorrideva, che mi abbracciava stringendomi al suo petto caldo e liscio.
Quando mi svegliai, mi accorsi di essere sola, sotto l’ombrellone, ma non ci volle molto perché avvistassi quattro sagome dentro l’acqua che ridevano e scherzavano.
Mi stiracchiai e mi stropicciai varie volte gli occhi cercando di riprendermi dal sonno che ancora mi rintontiva la testa, ma non così tanto da non accorgermi di una figura che mi si era avvicinata. Quasi come se avessi preso una scossa, scattai in piedi alla visione di Enrico, che mi sorrise debolmente, un po’ tentennante. << Ciao >>, disse.
Non sapevo se dover iniziare ad urlare chiamando aiuto, oppure scappare, oppure ancora stare ferma e mantenere la calma. Scelsi la terza. Presi un bel respiro e dissi: << Ciao, come stai? >>. Sembravo abbastanza normale dal tono.
Senza volerlo accennai un’occhiata agli A.T.L. in acqua, ma erano troppo lontani per vedermi e soccorrermi.
Enrico captò la mia occhiata e mi sorrise tristemente. << Non ti preoccupare, non voglio aggredirti, voglio solo fare quattro chiacchiere >>.
Ingoiai un groppo che avevo in gola e lo guardai cercando un indizio che mi dicesse che stesse mentendo. Lo conoscevo bene e sapevo che quando mentiva si toccava nervosamente le mani e spostava lo sguardo in continuazione. Non fece nessuna delle due cose.
<< Vieni, andiamo su al bar: c’è molta gente, così sarai più sicura >>, mi propose.
Io ero più sicura con Jack al mio fianco.
Guardai per un’ ultima volta gli A.T.L., poi spinta da quell’affetto che sotto sotto provavo ancora per Enrico, afferrai la mia maglietta e lo seguì verso il lido. Non so che cosa avessi in mente in quel momento, forse mi ero scordata del fatto che mi aveva quasi stuprata ma, comunque fosse, lo seguì e lasciai che mi scostasse la sedia dal tavolo di plastica per farmi sedere, come aveva sempre fatto. Chissà come mai credevo alla sua sincerità; credevo che la mia fiducia in lui si fosse sgretolata, ma a quanto pare non era così.
<< Allora, non voglio parlare del nostro passato o del tornare insieme >>,iniziò, << voglio solo sapere come stai >>.
<< Be’… abbastanza bene… tu? >>.
Mi sentivo imbarazzata e imbranata, mi riusciva difficile parlare con lui quando era sempre stato così facile; anche se le cose erano cambiate in peggio, non mi andava di non saper parlare normalmente con lui.
<< Anche a me bene. Che ci fai qui? >>.
<< Oh be’, come avrai visto, qualche tempo fa mio fratello è tornato >>, dissi.
Enrico fece una smorfia. << Si, me lo ricordo. Me lo sarei immaginato diverso il nostro primo incontro >>.
Sorrisi tristemente. << In verità, anche io >>.
<< Posso dirti che mi ha fatto molta paura >>.
Risi. Mio fratello non faceva paura, non aveva poi tanti muscoli e non aveva mai menato nessuno, era solo la sua altezza che incuteva timore, in realtà era uno stupidotto. << Mio fratello non fa paura, lui non è per la violenza >>.
<< Be’, ma è uno stangone, persino più di me! >>.
Mi strinsi nelle spalle. << Hai visto mio padre >>.
Annuì. << Allora… gli altri che erano con te quel giorno erano gli altri All Time Losers? >>.
Il passatempo mio e di Enrico era sempre stato quello di prendere in giro il gruppo di mio fratello: non potevo farlo con Debbie, lo facevo con lui.
<< Si, proprio loro. Non sono poi così losers >>.
Rise, illuminando il suo viso in un modo che conoscevo benissimo e che, come sempre, mi fece accelerare i battiti, ma quel giorno molto meno di come sarebbe stato qualche mese prima. << incredibile! Penso che ti abbiano fatto il lavaggio del cervello >>.
Scossi la testa. << No, non direi, li ho solo conosciuti e sono simpatici, abbiamo subito legato >>, dissi.
<< E tuo fratello Jack, a quanto ho visto, è molto protettivo nei tuoi confronti >>.
<< Già >>.
<< Anche quel tipo dai capelli lunghi >>.
<< Alex? >>.
Annuì.
<< Si, mi vuole bene… come ad una sorella >>, finì la frase digrignando i denti.
<< Wow! Vedo un po’ di ostilità! >>, esclamò.
Scossi la testa. << Lasciamo perdere che è meglio! >>.
<< Ok, allora, tuo fratello ti ha portato novità per la tua futura carriera? >>.
Enrico era una di quelle poche persone nel mondo che mi aveva sentita cantare. Le mie canzoni romantiche parlavano tutte di lui.
Feci una smorfia. << Lasciamo perdere anche questo! >>.
Aggrottò le sopracciglia. << Non ti ha “portato” nulla? >>.
Scossi debolmente la testa.
Sbuffò. << Che tipo, ti protegge tanto e alla fine si dimentica del tuo sogno! >>.
Mi strinsi nelle spalle. << Avrà avuto da fare >>.
Enrico mi lanciò un’occhiataccia. << Probabilmente non glielo hai nemmeno detto, vero? >>.
Cazzo, anche lui mi conosceva bene. Ma che cavolo! L’unica che non mi conosceva affatto ero io.
<< Già, non ho voluto rovinare la vacanza >>.
<< E invece avresti dovuto!  Qui si parla del tuo futuro, del tuo sogno! Dovresti già essere a buon punto, non a zero! >>. Il suo tono era brusco, ma non mi sentì offesa, aveva ragione: non c’era più tempo di aspettare, bisognava agire… ma come la mettevo con la mia paura?
Prima che potessi chiederglielo, Enrico mi precedette. << Non osare dirmi che ti vergogni di cantare davanti alla gente perché ti sputo in un occhio >>.
Gli lanciai un’occhiataccia.
<< Tu sei forte, puoi affrontare una stupida paura, non puoi lasciare che distrugga i tuoi sogni >>.
Mi strinsi nelle spalle. << Forse hai troppa fiducia in me >>.
Mi prese una mano, ma ancora troppo sensibile al suo tocco, la ritrassi sussultando. Enrico mi lanciò un’occhiata di scuse e continuò. << Io ti conosco Stella, so che puoi farcela! Non sei una persona che si arrende >>.
Non hai rinunciato al sogno di incontrare Dracula.
Disse una voce nella mia testa, che aveva pienamente ragione e anche Enrico.
<< Sai, hai ragione!  Devo superare la paura e devo ricordare a Jack della sua promessa. Non posso non fare nulla, devo reagire! >>, sorrisi.
Mi fece l’occhiolino. << Così mi piaci! >>.
Gli sorrisi sentendomi bene. Avevo ancora terrore di lui, i ricordi cercavano sempre di venire a galla per ricordarmi quello che mi aveva fatto, ma in quel momento era tornato l’Enrico del quale mi ero innamorata e non aveva provato a costringermi a tornare con lui oppure a fare l’amore con lui, stava solo parlando con me… ma questo non voleva dire che potevo fidarmi. Sbagliando s’impara.
<< Perché hai voluto parlarmi? >>, gli chiesi.
<< Perché so di aver sbagliato e voglio farmi perdonare in qualche modo, così ho deciso di tornare ad essere tuo amico, voglio starti vicino  e supportarti >>.
<< Be’… facendo questo sei già sulla buona strada, ma io non posso dimenticare così in fretta >>.
<< Lo so e non ti sto chiedendo di dimenticare, voglio andare con calma >>.
Annuì. Perché non concedergli il beneficio del dubbio? Non mi ci stavo mica rimettendo insieme.
Continuammo a parlare dei suoi progetti per il futuro, delle nostre vacanze e riportammo alla mente alcuni ricordi divertenti dei quali ridemmo insieme, come ai vecchi tempi. Ero troppo concentrata a ridere per accorgermi che Alex era appena salito sul lido e mi stava guardando furibondo, ma lo sguardo di panico che attraversò il volto di Enrico mi fece capire tutto. Mi girai verso la direzione in cui puntavano gli occhi verdi di Enrico, ma vidi solo i capelli di Alex.
<< Oh merda! >>, esclamai.
Salutai Enrico e corsi dietro ad Alex, cosa che in tutti i film dovrebbe fare lui invece di lei… oppure no?
<< Alex! >>, lo chiamai, ma lui non si girò. << Alex! >>. Nulla. << Cazzo Alex ti vuoi fermare?! >>.
Si fermò e si girò a guardarmi con la mascella rigida e le braccia strette al petto. << Alex >>, presi un bel respiro, << so che quello che hai visto può essere un po’ scioccante ma… >>.
<< Un po’ scioccante?! >>, sbottò con tono tanto irritato da farmi ammutolire per lo stupore. << Eri a ridere con il ragazzo che ha tentato di stuprarti, dimmi ti sembra solo un po’ strano? >>.
Scossi la testa. << Senti, lo so, mi ricordo benissimo cosa mi ha fatto, ma… lui ha voluto parlarmi e be’… mi
ha dato degli ottimi consigli ed è stato come tornare indietro nel tempo. Gli ho dato il beneficio del dubbio
e non  sembra che mi abbia delusa >>.
<< Sei completamente fuori! >>, sbraitò. << Come puoi dare una seconda possibilità a quello? Quando potrebbe approfittarsi di te ancora? >>.
<< Perché lo conosco! >>, esclamai. << Mi ha fatto del male, si, mi ha segnata  a vita, ma è stato un compagno ed un amico eccezionale per tanto tempo e che tu lo creda possibile o no io… mi fido ancora di lui, anche se in piccola parte, e gli voglio bene >>.
<< Ha cercato di violentarti! >>.
<< E ora sta cercando di farsi perdonare ed io voglio dargli il beneficio del dubbio! >>, digrignai tra i denti.
<< Allora sei proprio una stupida! Solo qualche settimana fa piangevi al suo ricordo ed ora ridi con lui? >>.
<< Lì era diverso! Oggi lui è stato diverso! >>.
Scosse la testa. << È lui che hai visto sul lido prima, vero? È questo che non mi hai voluto dire? >>.
Annuì a malincuore.
<< Benissimo! Non ti fidi neanche più di me adesso?! >>.
<< Non è per questo! >>, sbottai, << non te lo volevo dire e basta >>.
Scosse brutalmente la testa. << Dimmi, se ti avesse picchiata di nuovo, che avresti fatto? >>.
<< Non è successo! E ti ripeto che mi fido in piccola parte di lui! >>.
<< Fai male! >>, quasi urlò. << Sei solo una ragazzina che si lascia trasportare troppo dai sentimenti, non riesci a vederci chiaro in questa storia >>.
Mi sembrò come se qualcuno mi avesse stretto il cuore in una morsa letale; mi sentivo soffocare.
<< Fa come vuoi, io me ne lavo le mani e se ti picchierà un’altra volta allora saranno cazzi tuoi! Non me ne fregherà nulla! >>.
La morsa si stava facendo sempre più forte. Il mio cuore era in pezzi, sanguinante, senza forze.
<< Alex… io… >>, cercai di dire, ma lui si voltò di spalle lasciandomi lì, piena di dolore, con il cuore di nuovo spezzato, questa volta da un altro ragazzo.
Cazzo, mi ero innamorata di nuovo! Magnifico!
 
Vagai per la spiaggia per minuti… forse per ore, fatto sta che quando tornai all’ombrellone loro se ne erano andati, tutti tranne Jack, che mi stava aspettando paziente. Non avevo fatto che piangere per tutto il tragitto, crogiolandomi nel dolore del ricordo delle parole di Alex. Non riuscivo a credere che mi avesse parlato così, offendendomi come non aveva mai fatto.
Mi sedetti accanto a Jack in silenzio, soffocando vari singhiozzi.
<< Te l’ha detto? >>, gli chiesi con un tono di voce bassa.
Jack si era rivestito e fissava il mare inespressivo. << Si, me lo ha detto >>, confermò.
<< Sei arrabbiato anche tu? >>, gli chiesi.
Jack mi guardò serio ed io ebbi paura della sua reazione ricordando con dolore quella di Alex; ma poi mi fece un sorriso affettuoso. << No, non sono arrabbiato, sono dell’idea che se fai una cosa perché te la senti allora hai fatto la cosa giusta, anche se avresti davvero potuto rimetterci la tua verginità >>.
<< So wrong, it’s right >>, dissi.
Jack mi scoccò un’occhiata. << Non venirmi a recitare un nostro titolo! La situazione è seria >>.
Annuì. << Lo so, davvero e mi dispiace. Ma ho avuto fiducia in Enrico, perché lo conosco da tanto e so che è buono in fondo: non è quella specie di pazzo che ha cercato di stuprarmi >>.
Sospirò. << Voglio che tu stia sempre attenta però >>.
<< Sbagliando s’impara >>.
<< Giusto e quindi rimani distaccata, non passare con lui troppo tempo e, soprattutto finchè non capisci se le sue azioni sono sincere, non… “abbandonarti” a lui >>.
Non sapevo cosa volesse dire Jack con “abbandonare”, ma annuì comunque. << Tranquillo Jack, so quello che faccio e ti prometto che starò attenta >>.
<< Io ti terrò d’occhio e voglio che se ti dice qualcosa di poco carino, tu me lo venga a riferire >>, mi intimò.
<< Agli ordini! >>, dissi imitando un saluto militare.
Mi passò una mano tra i capelli e mi sorrise. << Brava ragazza >>.
Gli sorrisi e mi accostai al suo petto. << Pensi che Alex mi odierà per sempre? >>.
<< No, probabilmente era solo la rabbia del momento, vedrai che gli passerà >>.
<< Lo spero, non sopporterei di vederlo arrabbiato con me >>.
No, non lo avrei sopportato, mi avrebbe fatto troppo male come mi faceva in quel momento. Ero preda
dell’ansia e del dolore. Volevo far pace con Alex, volevo che mi stringesse e che mi accarezzasse la guancia sorridendomi, mentre si scusava e mi riempiva di belle parole. Ovviamente anche io mi sarei dovuta scusare e forse gli avrei dichiarato i miei sentimenti. No, no, quello mai, neanche morta, dovevo ricordarmi che se glielo avessi detto, poi avremmo sofferto entrambi.
<< Tranquilla, si risolverà tutto, te lo prometto >>, mi baciò la testa.
Ok, era il momento perfetto per parlargli del mio futuro e della sua promessa. Non dovevo tirarmi indietro, era il momento di decidere del mio futuro.
Abbandonai il mio dolore e dissi: << A proposito di promesse, ti ricordi del mio sogno nel cassetto? >>.
Mi guardò. << Certo, quello di diventare cantante >>.
<< Bene, ti ricordi anche la promessa che mi hai fatto sei anni fa? >>.
Cercai di non avere un tono irritato, anche se ci andai vicino.
<< Oh >>, sibilò e spostò lo sguardo verso il mare. Solo dopo un po’ disse: << Mi dispiace Tell… me ne sono dimenticato, troppo preso dal mio successo >>.
<< Lo immaginavo >>, dissi non riuscendo a fermare la mia linguaccia.
Lanciai a Jack uno sguardo di scuse, ma lui scosse la testa. << Fai bene ad essere arrabbiata con me, non avrei dovuto farlo >>.
<< Non sono arrabbiata >>, Jack mi guardò serio, << solo delusa, mi aspettavo che ti ricordassi di me, insomma sono pur sempre tua sorella e per me la musica è importante >>.
Affondò il viso nelle mani. <<  Sono stato uno stupido ed un egoista, me ne rendo conto.  Non so proprio perché io me lo sia dimenticato! >>.
Alzai le spalle.
<< Davvero mi dispaice! Sono uno stupido, stupido, stupido! >>. Iniziò a darsi vari colpi sulla testa.
<< Ehi Jack, smettila! >>, gli ordinai fermandolo.
Lui mi guardò visibilmente dispiaciuto e tormentato dai sensi di colpa. << La mia vita non è ancora finita, puoi sempre rimediare ora che sei una star a tutti gli effetti >>.
Annuì ritrovando un po’ di buon umore. << Si, Tell, farò qualcosa, ti farò diventare una cantante, non ti deluderò più, te lo giuro, da oggi mi impegnerò al massimo! >>.
Gli sorrisi. << Grazie >>.
<< Non ringraziarmi, non me lo merito >>, sbuffò, << mi ringrazierai quando avrò esaudito il tuo desiderio >>.
Lo abbracciai. << Ti voglio bene Jack e, nonostante tutto, sei il miglior fratello del mondo, non ti scambierei mai per nessuno >>.
Jack sorrise. << A nche io ti voglio bene Tell e penso che tu sia una sorella fantastica e che io non ti meriti  >>.
<< Non dire sciocchezze! >>, sbottai. << Tu mi meriti eccome, ma… se non manterrai un’altra volta la promessa ti verrò a picchiare >>.
Ridacchiò. << Ok, ti do il permesso di farlo >>.
E così quel piccolo problema era a posto, ora bisognava solo farsi perdonare da Alex, riuscire a cantare davanti a tante persone e tenere sott’occhio Enrico.

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Capitolo 9
*** I feel like dancing ***


“I feel like dancing tonight
I'm gonna party like it's my civil right
It doesn't matter where,
I don't care if people stare
Cause I feel like dancing tonight”.

 
Il giorno dopo, ci concedemmo una pausa dal mare e decidemmo di andare a visitare lo zoo, al quale arrivammo dopo circa un’ora dalla nostra partenza, perché come al solito ci eravamo persi per colpa delle indicazioni fasulle che mi ingannavano sempre.
Alex non mi parlava. Per tutta la mattinata era stato vicino a Rian e Zack, parlando con loro, mentre io stavo con Jack, che cercava di tirarmi su con battute che avrebbero fatto ridere solo un idiota. Il comportamento di Alex risultò più fastidioso e doloroso di quello che mi aspettassi, perché non solo non mi parlava, ma mi ignorava anche, fingendo che non esistessi e che la mia voce fosse solo il ronzio di una brutta mosca fastidiosa. Per molte volte ero stata sul punto di scoppiare a piangere e buttarmi ai suoi piedi chiedendogli perdono, ma volevo bene alla mia dignità e non volevo perderla, anche se sarebbe stato per una buona causa.
Eravamo vicino al recinto tutto chiuso che ospitava i lupi ed io e Jack stavamo osservando le varie impronte delle loro zampe lasciate sulla neve e sul fango.
<< Sembrano quelle di un pastore tedesco >>, commentò Jack.
<< Probabilmente sono più grosse >>, dissi.
<< Un cane grosso è come un lupo, quindi le zampe avranno le stesse dimensioni >>.
Mi strinsi nelle spalle. << Probabile >>.
Raggiungemmo gli altri che cercavano di sbirciare i lupi dalla vetrata, ma la maggior parte era nascosta quindi non si vedevano poi molto. Inutili erano i richiami di Rian, che si stava impegnando davvero tanto.
<< I cani sono più obbedienti >>, borbottò Rian rinunciando ad attirare l’attenzione dei lupi.
<< Che ti aspettavi? Sono animali selvaggi! >>, disse Zack.
Rian si strinse nelle spalle.
Spostai lo sguardo verso Alex, intento a leggere i nomi dei lupi presenti e la loro storia. << Ehi, lo sapevate che qui dentro ci sono dodici lupi? Cinque sono cuccioli, sono nati qualche mese fa >>.
<< Se si potessero vedere >>, sbuffò Rian.
Alex gli sorrise.
Mi si chiuse lo stomaco. Avrei voluto essere io il destinatario di tanta bellezza.
<< Avanti Rian, non rimanerci male, all’albergo ti farò guardare un documentario! >>, scherzò Alex.
Rian gli lanciò un’occhiataccia.
<< Forza, andiamo ai prossimi >>, ci incitò Zack.
Camminammo imboccando una traversa che ci portò dalle zebre, dalle antilopi e dagli struzzi, che trovarono molto interessante Jack forse per la sua altezza molto simile alla loro.
Gli struzzi erano separati da una rete a buchi, ma questo non impedì ad uno di loro di acciuffare un pezzo del panino che Jack si era portato da dare agli uccellini; chissà per quale assurdo motivo era partito da casa con quell’idea.
<< Ehi! >>, si lamentò Jack lanciando un’occhiataccia allo struzzo, che si mangiucchiò il pezzo di pane allontanandosi dalla rete.
<< Son of a bitch! >>, sbuffò Jack.
Risi. << Non penso che la sua mamma sia una puttana >>, ribattei.
<< Mi ha fregato il pane! Si merita quell’insulto! >>.
<< Ma dai Jack! Ce l’hai ancora il panino >>, gli feci notare.
<< Un quarto >>, precisò.
Alzai gli occhi al cielo.
<< Poteva capitarti di peggio >>, dissi.
Come se avessi comandato alla sventura di catapultarsi addosso a Jack, uno stormo di piccioni, gli atterrò
addosso con dei frettolosi movimenti d’ali e gli prese il panino dalle mani con varie beccate. Jack iniziò ad urlare dimenandosi, ma i piccioni non gli fecero nulla, anzi se ne andarono velocemente come erano venuti portandosi via il pane… anzi, il quarto di pane.
Scoppiai in una grossa risata seguita a ruota da Rian, Zack ed Alex.
<< Non è divertente! >>, esclamò.
Non lo ascoltammo continuando a ridere come matti. Jack avrebbe potuto lasciarci qualche” penna”, ma non era successo ed il pensiero di quella scena mi faceva morire dalle risate per quanto era incredibile: insomma, non capita tutti i giorni di essere assaliti da uno stormo di piccioni affamati che ti fregano un panino.
<< Ma perché ce l’hanno tutti con il mio panino?! >>, continuò Jack.
<< Tranquillo Jack, te ne compreremo un altro al bar >>, lo rassicurò Zack.
<< E lo darai agli uccellini: ce ne saranno a bizzeffe vicino al lago >>, dissi.
Ricominciammo a camminare verso il lago e verso le varie bancarelle del cibo, mentre Jack lanciava ancora  qualche occhiataccia allo struzzo, che lo guardava con aria quasi sogghignante.
Come sempre la giornata era calda, ma gli alberi dell’enorme parco zoologico ci proteggevano facendo ombra e tenendoci al fresco. Quel giorno nessuno degli A.T.L. si era nascosto dietro ad un paio d’occhiali o ad un capello, nessuno li avrebbe riconosciuti, lo zoo non ci sembrava posto dove potessero nascondersi fans accanite.
Il giorno prima, quando io e Jack eravamo tornati a casa, avevo chiamato Debbie per raccontarle del mio litigio con Alex e lei mi aveva consigliato di parlargli non appena saremmo rimasti da soli, se mai fosse successo, ma Jack aveva detto che mi avrebbe aiutato, quindi al momento opportuno avrebbe distratto gli altri per permettermi di chiarire con Alex. Non sapevo in cosa consistesse il suo “piano” e la cosa mi spaventava, ma mi spaventata di più il pensiero di un rifiuto di Alex di parlare o di perdonarmi e tornare amici.
Non volevo perderlo. Per un ridicolo scherzo della vita mi ero innamorata di lui ed ora che lo avevo ammesso a me stessa, non volevo non essergli più amica, era comunque una persona che mi faceva stare bene, con la quale mi divertivo e se l’avessi perso ne avrei sofferto… molto di più di come stavo soffrendo in quel momento.
Quando arrivammo vicino al lago, un chiassoso starnazzare di anatre ci intasò le orecchie; il lago era completamente coperto da volatili tra cui anche cigli bianchi, la cui bellezza era assoluta quanto la loro cattiveria. Eh sì, i cigni sono molto cattivi, come i gabbiani.
Il volto di Jack s’ illuminò quando vide vari uccellini zampettare sotto i tavoli dei ristoranti. << Avanti ragazzi, sediamoci ed ordiniamo da mangiare! >>, esclamò tuffansi su un tavolo senza nemmeno aspettarci.
<< Quest’idea degli uccellini gli sta dando alla testa >>, sussurrò Zack guardandolo ad occhi sgranati.
<< Gli è per caso venuta una passione segreta per gli uccellini? >>, chiesi.
Zack si strinse nelle spalle. << Non saprei, dovremmo chiedere ad Alex >>.
Chiediglielo tu.
Pensai.
Per fortuna Zack si girò verso Alex e disse: << Ehi Alex, sai se Jack ha una passione per gli uccelli? >>.
Mi girai anche io a guardarlo, ma lui continuò a fissare Zack, come se non ci fosse nessuno accanto a lui, ovvero al mio posto.
Sul viso di Alex si aprì un sorriso divertito e disse: << Certo, per il suo! >>.
Rian e Zack scoppiarono in una fragorosa risata, mentre io rimasi semplicemente inespressiva e se avessi dovuto esprimere la mia reazione con una faccina sarebbe stata questa: -.-“.
Davvero pessima battuta.
Ci sedemmo al tavolo scelto da Jack, che fremeva letteralmente dalla voglia di andare a comprare del pane o qualcos’altro. Alex si sedette nell’angolo più lontano da me. Cercai di autoconvincermi che fosse solo per caso, ma sapevo che non era così. Mi sentì nuovamente prossima alle lacrime, ma spostando i miei pensieri su altro, riuscì a trattenerle. Ero diventata troppo piagnucolona: mi dovevo dare una regolata.
Scegliemmo alcuni panini da mangiare e Jack corse subito a comprarli, cercando di non correre per non far scappare gli uccellini. Quando tornò, iniziammo a mangiare mentre lui piroettava in mezzo ai tavoli facendo cadere varie briciole che subito vennero raccolte dagli uccellini saltellanti. Jack sembrava una specie di Babbo Natale degli uccellini. Gli scattai una foto con la macchinetta di Zack, mentre gli altri tre parlavano dei leone e delle tigri aprendo un dibattito su quale delle due specie fosse quella più forte… alla fine, non so come, si ritrovarono a cantare Running from lions.
Dopo un po’ Jack tornò al tavolo con ancora due metà di un panino in mano. << Sono esausto! >>, esclamò.
Zack, Rian e Alex lo guardarono sogghignati.
<< Quindi… >>, continuò Jack ignorandoli, << visto che ci sono alcune piccole paperelle affamate, che ne dite, Stella ed Alex, di andarle a sfamare? >>.
Strabuzzai gli occhi.
Era quello il piano di Jack? Costringerci a dar da mangiare alle papere per parlare?
Spostai lo sguardo da lui ad Alex, che aveva un’espressione neutra, ma i suoi occhi erano puntati su Jack e lo stavano scrutando come se cercassero di vedergli attraverso.
Era sceso il silenzio.
Io ero sgomentata ed un tantino agitata, Jack stava aspettando una risposta continuando ad alzare ed abbassare i due pezzi di pane, Zack si osservava le mani e Rian era rimasto con un boccone in bocca che non masticava e nemmeno ingoiava.
Quando ormai mi ero rassegnata all’idea che Alex potesse accettare, lui si alzò continuando a guardare Jack, che ricambiava lo sguardo  divertito, prese uno dei due panini e si iniziò ad avviare verso il lago senza nemmeno aspettarmi.
Guardai Jack. << Andare a dare da mangiare alle papere? >>, chiesi.
Jack si strinse nelle spalle. << È la prima cosa che mi è venuta in mente >>.
Alzai gli occhi al cielo.
Prima che mi alzassi, Zack mi augurò buona fortuna ed io gli sorrisi, grata del suo appoggio.
Avevo lo stomaco in completo fermento, avevo paura che il panino mi potesse risalire e uscire dalla bocca e lì si che sarebbe stato imbarazzante, soprattutto se avessi vomitato addosso ad Alex… probabilmente mi avrebbe odiata ancora di più.
Alex si fermò proprio in prossimità del lago dove alcune paperelle beccavano per terra mangiando l’erba. Si sedette a terra a gambe incrociate. Prima di fare lo stesso, mi girai verso gli altri, che mi fecero segno di sedermi e di parlargli. Annuii e mi sedetti mentre iniziavo a sentire il rimbombo del battito del mio cuore nelle orecchie.
Era una cosa idiota!
Passarono cinque minuti e lui continuò a stare zitto e immobile, come se fosse una mummia. Sentivo di star per crollare nella disperazione.
Facendomi un po’ di coraggio, mi costrinsi ad aprire bocca e muovere la lingua, cosi dissi la prima cosa che mi venne in mente: << È una perdita di tempo, hanno l’erba da mangiare >>.
Alex non batté ciglio, ma almeno disse: << Jack non ci ha mandato qui per dare il pane alle papere >>.
<< Lo so >>, dissi sentendo un groppo salirmi in gola.
<< Dovremmo parlare di quello che è successo ieri… > >, continuò.
<< Già >>, dissi con voce roca.
Silenzio. Non avevo idea di come iniziare il discorso, così iniziai dalla cosa che mi tormentava di più. << Alex… pensi davvero quello che hai detto ieri? Che… sono una ragazzina e tutto il resto? >>.
Staccò un pezzo di pane e lo lanciò alla paperella più vicina, che lo beccò e lo inghiottì. Solo dopo un po’ mi guardò per la prima volta dopo tutta la mattinata, ma senza sorridere, mi guardò soltanto, ma io mi sentì lo stesso arrossire.
<< No, non lo penso >>, disse, << quando ci arrabbiamo tutti diciamo cose che non pensiamo… ma questo non vale per il fatto che hai fatto un errore stupido a parlare con Enrico >>.
Annuii. << Lo so e… mi dispiace, davvero, avrei potuto rischiare grosso. Non volevo che tu ti preoccupassi per me >>, feci un bel respiro e lanciai un pezzo del mio pane ad un’altra papera, << però continuo ad essere… sicura di quello che ho fatto. Come ho detto ieri, conosco Enrico e so riconoscere quando mente e quando no e in quel momento mi è sembrato sincero. Infatti non è stato cattivo, ma è stato… normale, come tutte le altre volte, così ho deciso di provare a dargli il beneficio del dubbio. Non che mi voglia rimettere con lui, ma… bisgona saper perdonare, soprattutto se le persone sono pentite >>.
<< E se non è pentito? E se recita? >>.
<< Sono sicura che sia sincero, per un motivo strano ho ancora fiducia in lui >>.
Staccò un altro pezzo di pane in contemporanea con me e poi tornò a guardarmi. << Non voglio che tu ti
faccia del male >>.
Il mio cuore tremò al suono di quelle parole.
<< Ieri mi sono arrabbiato perché ho avuto paura, mi fa stare male il fatto che tu abbia dovuto soffrire per colpa di quel tipo e non voglio che tu rischi di commettere due volte lo stesso errore finendo tra le sue braccia e nelle sue mutande >>.
Alex era sempre stato protettivo con me e ormai c’ero abituata, ma quelle parole mi riempirono di una sensazione… strana, bella, che mi fece scintillare gli occhi per le lacrime.
<< Se però tu sei davvero convinta della sua sincerità e hai fiducia in lui allora ne avrò anche io, perché mi fido di te e delle tue decisioni, non sei una ragazzina comandata dai sentimenti, sai riflettere e mi dispiace di aver detto il contrario ieri >>, mi sorrise.
<< Grazie >>, sorrisi, << ma anche io devo scusarmi con te, avrei comunque dovuto dirtelo che lui era nei paraggi, non avrei dovuto non “averne voglia”. E voglio precisare che non l’ho fatto perché non mi fido di te, perché è tutto il contrario >>.
Lanciò un altro pezzo di pane e questa volta mi sorrise più allegro.
<< Ti considero un amico, Alex, un buon amico >>.
Amico, si certo!
Disse una vocina nella mia testa che ignorai.
<< E… ti voglio bene >>.
Tum. Tum. Tum. Tum. Tum. Tum. Tum. Tum. Tum.
<< Anche io ti voglio bene. Non lo avrei mai immaginato, ma mi sono affezionato a te >>.
Sorrisi sentendomi avvampare ancora di più. << Pensa che io non ti sopportavo prima di conoscerti >>.
Alex mi lanciò un’occhiata perplessa. << Davvero? Perché? >>.
<< Perché… bo’… forse ti consideravo responsabile del fatto che Jack se ne fosse andato >>.
Sorrise tristemente e mi batté qualche colpetto sul ginocchio per confortarmi.
<< Non preoccuparti, non sono più arrabbiata, ora che ti ho conosciuto >>.
<< Non hai resistito al mio fascino >>, sogghignò alzando ed abbassando le sopracciglia.
Purtroppo si! Mi hai colpito come una freccia proprio al centro del cuore, che hai rotto, ma che ora hai riaggiustato con le tue semplici parole dolci.
Lo spinsi ridacchiando. << Certo, come no! >>, commentai.
<< Nessuna ci riesce >>.
Gli lanciai il pane addosso. << Ma smettila di fare il figo! >>.
<< Sono un cazzo di figo! >>, esclamò.
Gli diedi qualche botta al braccio per farlo smettere.
<< Falla finita! >>, disse e mi tirò alcuni pezzi di pane, che attirarono le paperelle che iniziarono a beccare i pezzi di pane, senza badare a me, che iniziai a ridere con Alex, che si sparse pezzi di pane sui pantaloni dividendo le beccate con me.
Beh, alla fine era andata bene, meglio di come mi sarei aspettata ed Alex mi aveva detto che mi voleva bene! Cioè era già un grosso traguardo! Non che volessi altro, no, assolutamente no, rimanevo della mia idea.
Almeno credevo di rimanerlo.
 
La sera dopo, decidemmo di andare in una discoteca, per svagarci un po’ e festeggiare il mio ritrovo con Alex, ma purtroppo, quella mattina, Rian aveva iniziato a provare i primi sintomi di un raffreddore e quindi non avrebbe potuto partecipare alla serata, così anche Zack, che si era proposto per far compagnia all’amico. Non mi dispiaceva andare solo con Jack ed Alex, anzi, rendeva le cose più divertenti visto quanto ero legata a tutti e due.
La discoteca che avevamo scelto era situata vicino al centro storico di Roma, con una grossa pista da ballo con luci tutte colorate, un lungo e trasparente bancone dei drink, un giardino all’aperto con tanto di divanetti ed un Dj che si diceva essere il più bravo di tutta Roma, ma Jack ed Alex avevano già detto che per loro sarebbe stato bravo solo se avesse messo qualche loro pezzo.
La pista era completamente piena, come dopotutto anche il resto del locale. C’era una varietà di fasce d’età
impressionante in quel posto, sarebbero potuti venire anche i miei genitori! Ma sarebbe stata un’idea
terribile.
Prima di andare in discoteca, Debbie era passata a casa per prestarmi una sua maglietta nera senza una manica e con l’altra lunga e larga, davvero bellissima; sotto invece indossavo una gonnellina corta, color grigio chiaro e come scarpe, un paio nere con il tacco alto, che mi faceva arrivare alla stessa altezza di Jack.
<< Ti farà risaltare le gambe >>, aveva detto Debbie mentre mi guardavo allo specchio. Il trucco era scuro ed i capelli li avevo lasciati sciolti, consapevole del fatto che mi sarei morta di caldo, ma non mi andava di tenerli legati.
Quando ero uscita dalla camera, Alex mi aveva guardata sbattendo varie volte le palpebre, come se non credesse a quello che aveva davanti ed io ero arrossita come un peperone lusingata dalle sue occhiate di apprezzamento. Lo ammetto, quei vestiti non mi facevano sentire proprio a mio agio, ero una tipa da jeans e maglietta, ma se facevano reagire così Alex… be’, allora mi piacevano!
Jack indossava una camicia rossa elegante, sotto dei pantaloni neri attillati e degli occhiali da sole intonati alla camicia, come Alex, che invece li portava dalla montatura bianca, come la sua maglietta attillata, che gli evidenziava tutti i muscoli e sotto dei jeans attillati. I capelli erano ancora più scompigliati del solito e gli davano un’aria più sexy che mai.
Ma perché non si vestiva come un barbone, così da non tentarmi?
Entrammo nel locale dopo essere stati studiati per qualche minuto dal buttafuori grosso e muscoloso come un lottatore di wrestling e ci dirigemmo subito verso il bancone, dove i ragazzi si presero due birre dalla bottiglia verde. Io nulla, non mi andava ancora di darci dentro con gli alcolici, eravamo appena arrivati, volevo almeno farmi qualche balletto. Mentre Jack ed Alex bevevano le loro birre io li salutai e mi diressi verso la pista, dove la musica martellante non ti permetteva di sentire assolutamente nulla, ma poco importava, bastava solo che sentissi la musica e seguissi il ritmo. Così feci. Sgombrai la mente da tutti i pensieri -compreso quello che l’ultima volta che ero stata in una discoteca era a New York quando avevo conosciuto Dracula-, ed inizia a muovermi a ritmo tra le persone che mi circondavano e ballavano con i loro amici, ridendo ed urlando parole che però non riuscivo a sentire. Le canzoni erano tutte uguali, tutte da “TRUZZI”; se Jack ed Alex avevano pensato davvero di sentire una loro canzone si erano sbagliati di grosso, in quel locale al massimo c’erano i Black Eyed Peas con il remix di “The Time” e qualche canzone di Lady Gaga, per il resto solo una marea di “tunz tunz tunz tunz” e roba così.
Jack ed Alex riuscirono a raggiungermi dopo aver spintonato un po’ di gente. Avevano ancora le birre in mano. Tipico!
<< Ehi sorellina !>>, disse Jack, ma più che sentirlo, lessi le sue labbra.
<< Ce l’avete fatta! >>, esclamai non percependo nemmeno la mia voce.
Alex si strinse nelle spalle mentre accennava qualche movimento a tempo con la musica. << Abbiamo fatto il bis >>.
Alzai gli occhi al cielo. << Non esagerate! Non mi va di portarvi a casa come un bravo genitore >>.
Jack rise. << Tranquilla sorellina, staremo benissimo, prendi un goccio… >>, mi offrì la birra.
Ok, Jack non era brillo ancora, ma era sulla buona strada, Alex sembrava tenere di più.
Presi un sorso di birra rimanendo disgustata dal sapore. Era da tantissimo tempo che non la bevevo e non ricordavo facesse così schifo! Magari avevo detto che mi piaceva solo per far colpo su Dracula… si era plausibile.
Ne bevvi un altro sorso cercando di capire se il sapore andava meglio, ma fu peggio del primo, così restituì la bottiglia a Jack e ripresi a ballare.
In poco tempo mi ritrovai a ballare stretta stretta contro Jack e Alex, che continuavano a trangugiare birra e a muovere i loro bacini in un modo che avrebbe fatto impazzire Debbie…  Alex però faceva impazzire anche me. Non riuscivo a non staccargli gli occhi di dosso, mentre rideva un po’ brillo e si dimenava facendo lo sciocco, ma chissà per quale motivo io lo trovavo carino. Jack invece era ridicolo; si muoveva come una gallina spaventata, provocandomi varie risate, che lui ricambiava cambiando intensità mano a mano che diventava più brillo.
Dopo una lunghissima serie di canzoni, uscimmo –spingendo- dalla folla e ci accomodammo vicino al bancone, dove io pesi una coca cola e Jack ed Alex altre birre, probabilmente da aggiungere ad altre setto o otto. Si tolsero gli occhiali da sole.
<< Hai visto quella bionda laggiù? >>, chiese Jack ad Alex.
Alex annuii bevendo un sorso di birra.
<< Hai due tette enormi! >>, esclamò Jack.
Oh Dio! Mio Fratello era un porco.
Alex rise di cuore. << Hai ragione, ma io sono impegnato a guardare altro >>.
Ok, giuro che non ero ubriaca, quindi credetemi se vi dico che Alex stava proprio guardando nella mia direzione!
Forse era un effetto delle luci colorate, ma io sono sicurissima e ricordo benissimo i suoi occhi che fissavano i miei.
<< Come fai ad essere impegnato a guardare altro, quella tipa è più sexy di tutte quelle presenti qui dentro! >>, continuò Jack.
<< Non credo >>, ribatté Alex continuando a fissarmi.
La cosa si faceva imbarazzante.
<< Sei fuori, probabilmente il pisello non ti funziona bene >>, commentò Jack ridendo da solo per quello che aveva detto.
Alex gli diede un pugno sul braccio. << Stronzo! >>.
<< Frocio >>, sogghignò Jack.
Con mia sorpresa Alex iniziò a ridere seguito da Jack.
Ok, erano ubriachi, completamente.
<< Ehi, voi due, andiamo a ballare! >>, gli dissi per evitare che bevessero altre birre.
Ovviamente toccava a me il compito del “genitore” anche se ero la più piccola.
<< Si, grande idea Stelletta >>, sorrise Jack, << portiamoci la birra! >>.
<< No! >>, esclamai e gliela sfilai dalla mano. << Questa rimane qui… ed anche questa >>, dissi togliendo l’altra birra dalle mani di Alex.
<< Sei cattiva! >>, sbuffò Alex seguito da Jack guardandomi storto.
Li presi per mano e li condussi di nuovo nella pista, proprio nel momento in cui il Dj mise “I feel like dancing”.
Esaltati, Alex e Jack iniziarono a ballare come matti, ridendo a crepapelle e cantando in modo stonato, non sembravano di certo dei cantanti famosi. Mi unì anche io ai loro balli pazzi e mi scatenai mentre l’Alex sobrio del cd cantava:
“I feel like dancing tonight
I came to party like it’s my civil right
(Everybody get kinda awesome)
It doesn’t matter where
I don’t care if people stare
(Oh)
‘Cause I feel like dancin’ tonight
Oh, one more time

I feel like dancin’ tonight
(I feel like dancin’)
I’m gonna party like it’s my civil right
(Whoa, oh)
It doesn’t matter where
I don’t care if people stare
‘Cause I feel like dancin’ tonight
Oh, oh, whoa
I feel like dancin’ tonight”.

Alla fine della canzone, partì Lost in Stereo, che diede il via ad un ballo ancora più scatenato nel quale mi ritrovai praticamente addosso ad Alex, che però non si scompose affatto, ma continuò a ballare strusciandosi a me e palpandomi in un modo che mi fece fremere di gioia e mi riempì la pelle di brividi. Non mi staccai da lui o gli dissi di mettere giù le mani da me, lo assecondai seguendo come una calamita i suoi movimenti così terribilmente sexy da farmi perdere la testa. Mi sentivo caldissima, ma piena di vita, scoppiettante, come un fuoco. Avrei ballato con Alex per tutta la notte, godendo della sua vicinanza e dei suoi sorrisi così provocanti che… (scusate ma lo devo dire) mi facevano eccitare come un cagnolino e be’.. per dirla tutta anche lui era eccitato, bastava guardarli sotto la cinta dei pantaloni.
Jack non badò a noi, continuò a ballare muovendosi a casaccio e lanciando occhiate ammiccanti alla bionda tettona. Era una buona cosa che fosse ubriaco, se fosse stato lucido a quell’ora avrebbe già diviso me ed Alex incavolandosi come un matto.
Quando l’Alex della canzone canto il verso: “Sex and stereo, don’t turn the radio down”, Jack si tuffò nella folla urlando in modo disumano << Seeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeex! >>, finché non arrivò dalla tettona.
Se non avessi avuto Alex appiccicato ed eccitato sarei andata da Jack a dirgli di controllarsi, ma non mi volevo muovere per nessuna ragione al mondo. Il meglio doveva ancora venire.
Dopo la fine della canzone, Alex mi portò in un angolino appartato, non molto lontano dal chiasso, ma abbastanza da farmi sentire la sua voce. << Stell >>, disse appoggiando le sue mani sui miei fianchi. Lo guardai negli occhi, non potendone fare a meno.
Solo in quel momento notai che i suoi occhi sotto le luci da discoteca sembravano neri… completamente neri, come quelli di Dracula. La scoperta mi colpì come un pugno nello stomaco. C’erano troppe somiglianze. Possibile che davvero fosse Alex? Ma se fosse stato lui, allora perché non mi riconosceva? Perché non riconoscevo in lui il fascino di Dracula… ma un altro?
<< Sei bellissima stasera >>, continuò facendomi adagiare contro la parete fresca. Iniziava a fare davvero caldo.
<< Sono stato uno stupido a non farlo subito, davvero, a volte non so proprio cos’ho in testa… forse Jack ha ragione, non mi funziona bene >>, ridacchiò.
Ignorai l’ultima frase. << Fare cosa? >>, chiesi con fare civettuolo, anche se sapevo benissimo cosa intendesse e mi sentivo così nervosa, ma così emozionata.
Il cuore mi batteva a mille, avevo paura potesse scapparmi, non riuscivo a controllarlo. Avevo il respiro corto, le gambe tremolanti ed una voglia matta di baciarlo che se fosse stata viva mi avrebbe mangiata.
Alex mi sorrise sghembo ed avvicinò il suo viso al mio posandomi una mano sulla guancia e l’altra ancora ferma sul mio fianco. Era a pochi centimetri da me, il suo respiro mi solleticava il viso ed il suo… coso, premeva contro il mio corpo in un modo che mi faceva eccitare ancora più di prima.
Fallo cazzo, fallo!
Esclamai nei miei pensieri e come se mi avesse sentito, Alex appoggiò le sue labbra morbide sulle mie, facendo esplodere il mio cuore in un ultimo, forte battito. Al primo impatto il nostro fu un bacio a stampo, poi io dischiusi leggermente le labbra invitando la sua lingua ad incontrare la mia in un bacio più passionale e più eccitate. Sapeva di birra, ma era sopportabile. Immersi le mani nei capelli di Alex, che si rivelarono essere morbidi e, per la maggior parte sudati, ma la cosa non mi dispiaceva affatto. Le mani di Alex, scesero contemporaneamente verso le mie cosce, accarezzandomi lievemente, facendomi rabbrividire e provare un grande calore allo stesso tempo. Mi sentivo in fiamme, grondante di sudore e di eccitazione, quel ragazzo mi stava completamente facendo uscire di testa. Le sue mani si infilarono sotto la gonna e sotto l’elastico delle mie mutande, iniziando a toccarmi in modo lento ed intimo, per il quale mi feci scappare un verso di piacere. Alex staccò le sue labbra dalle mie per riprendere fiato, ed io ne approfittai per mordergli un lobo facendolo eccitare ancora di più, come lui stava facendo eccitare me. Le nostre labbra tornarono ad incontrarsi e le sue mani continuarono a massaggiarmi, mentre le mie invece, erano scese sotto la sua maglietta per godere ancora della sensazione del suo petto liscio.
Quando ormai eravamo al culmine della passione, mi resi conto di avere ancora paura di lasciarmi andare, nonostante questa volta fosse con Alex. Be’… non avevo tutti i torti comunque. Ripresi un po’ lucidità e stavo per staccarmi da lui, ma lui mi precedette.
Si staccò da me, con sguardo allarmato.
Si girò da un lato.
e…
vomitò.

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Capitolo 10
*** Stella would you take me home ***


-Stella-.
 
Bleah!
Cosa più disgustosa non c’era al mondo, di vedere qualcuno vomitare. Dovetti trattenere qualche conato, ma alla fine non vomitai e riuscii ad avere la forza di cacciare un fazzoletto dalla tasca della gonna e porgerlo ad Alex, che era diventato pallido come uno straccio.
Per un attimo mi era venuto il dubbio che avesse vomitato perché gli avevo fatto schifo, ma era più che ovvio che lo avesse fatto perché era troppo ubriaco.
<< Oh merda, Alex stai bene? >>, gli chiesi accucciandomi vicino a lui che era piegato in due.
<< Non… direi… >>, sussurrò con il fiatone.
<< Cazzo! >>, esclamai.
Dovevo riportarlo a casa, non era il caso che iniziasse a spargere vomito per tutto il locale, quindi dovevo prendere Jack, caricarli in macchina e andare all’albergo. Mannaggia a loro e alle loro birre!
<< Stella… Stella…? >>, mi chiamò Alex con voce flebile alzando il busto con fatica.
<< Si? >>.
<< Would you take me home? >>, mi chiese citando un pezzo della sua canzone che aveva il mio stesso nome, ma sapevo essere dedicate ad una birra ed in quel momento la cosa mi urtò più del solito. Non avrei mai più bevuto una birra in vita mia, mi aveva rovinato la serata e aveva rovinato Alex!
<< Certo, ed anche in fretta >>, risposi.
Un po’ riluttante, feci sedere Alex sul divano più vicino e gli dissi di aspettarmi mentre andavo a prendere Jack.
<< Credo di stare per vomitare di nuovo >>, fu la risposta di Alex.
<< Non ci provare! >>, lo minacciai, poi con una stretta al cuore aggiunsi: << Resisti, ti prego, torno subito >>.
Nonostante il suo stato non molto presente, annuì e si accasciò sul divano. Mi faceva una gran tristezza, avrei voluto che si fosse trattenuto dal bere, ma io che ne potevo sapere che avrebbe reagito così?!
Corsi in mezzo alla folla a cercare Jack, che trovai quasi subito, sdraiato sopra la tettona per metà nuda che le… oh beh lasciamo perdere, lascio che la vostra immaginazione vaghi da sola, tanto il contesto lo avete capito.
<< Jack, ma che cazzo fai? >>, gli chiesi furente.
Jack alzò la testa dalle tette della bionda e mi guardò con lo sguardo annebbiato, di una persona ubriaca.
<< Ehi, brunetta, se vuoi dopo tocca a te >>, mi disse facendomi il peggior sorriso che gli avessi mai visto in faccia.
<< Ma che dici! >>, sbraitai per farmi sentire, << Sono tua sorella e dobbiamo tornare a casa, Alex ha appena vomitato >>.
<< Che schifo! >>, commentò jack non badando alle mie parole.
Innervosita e in pensiero per Alex, alzai Jack dal divano ignorando le sue proteste e quelle della tettona. << Jack, ora tu verrai con me! >>, gli ordinai.
Jack sorrise sghembo. << Vuoi farlo in bagno? >>.
Sbuffai piena di rabbia, lo presi per le spalle e lo iniziai a scuotere. << Cazzo Jack riprenditi! Alex ha appena vomitato, dobbiamo tornare a casa! >>.
Jack non sembrò capirmi, ma almeno la smise di sorridere e mi seguì barcollando pestando i piedi a varie persone che lo insultarono e lui rispose ridendo. Tornammo da Alex, che era nella stessa posizione nella quale lo avevo lasciato. Almeno non aveva vomitato.
<< Alex?! >>, lo chiamai alzandogli il busto.
Mi guardò assente. << Devo vomitare >>, disse.
Cazzo!
Mi tolsi le scarpe rammaricandomi di non aver indossato delle calze e le porsi a Jack, che le guardò divertito. << Stai facendo un strip tese? >>.
<< Coglione, seguimi e sta’ zitto! >>, gli ordinai poggiandomi un braccio di Alex sulle spalle e caricandomelo.
Iniziai ad andare verso la porta, seguita da Jack che continuava a traballare e a ridere, ignorando il momento tragico che io stavo vivendo. Quando arrivammo alla macchina, cacciai una busta di plastica dal bagagliaio e la porsi ad Alex che subito ci vomitò dentro, provocando lo schifo di Jack.
Ordinai a Jack di sedersi accanto a me mentre io prendevo posto al volante.
<< Stella would you take me home? >>, disse Jack ridendo isterico.
<< Ti ci sto portando! >>, risposi acida.
<< Ok, ok, allora partiamo! >>, urlò portando le mani in alto.
Mi misi la cintura e girai la chiave. Il motore partì e senza aspettare un attimo, spinsi sull’ acceleratore con i piedi nudi e mi infilai nelle strade non molto affollate.
Per tutto il viaggio, Alex vomitò per altre due volte, Jack una volta, dal finestrino. Alex sembrava in punto di morte, mentre Jack dopo aver vomitato sembrava stare meglio ed iniziò a cantare “Stella”, continuando a ripetermi di portarlo a casa.
<< You're only happy when I'm wasted I point the finger but I just can't place it It feels like I'm falling in love
When I'm falling to the bathroom floor… oh oh oh oh
>>, cantò Jack.
<< I'll remember how you tasted I've had you so many times let’s face it Feels like I'm falling in love alone >>, continuò Alex balbettando le parole come avrebbe fatto un sonnanbulo.
<< Stella would you take me home? Stella would you take me home? >>,conclusero insieme in un coro stonatissimo.
<< Dio! Finitela! >>, sbottai, ma come previsto non mi diedero retta e continuarono a cantare.
<< Ho sete… >>, borbottò dopo un po’ Alex, << ho un brutto sapore in bocca >>.
<< Oh… tieni questa >>, disse Jack cacciando da non so dove, una bottiglia di birra.
<< Jack , ma sei fuori? >>, sbraitai.
Alex bevve alcuni sorsi di birra, ma questo ovviamente peggiorò la situazione.
Allungai un braccio per prendergli la bottiglia dalle mani, distraendomi dalla guida ed andando quasi a sbattere contro un’altra macchina, ma per fortuna riuscì a prenderla  e a posarla in mezzo alle gambe. << Jack, quando domani sarai sobrio, ti picchierò >>.
<< Se vuoi possiamo farlo anche stanotte sopra un letto, piccola >>, mi fece l’occhiolino.
Ignorai i suoi tentativi di abbordare ricordando a me stessa che non era in sé e che non sapeva quello che stava dicendo.
Alex vomitò un’altra volta, ma finalmente eravamo arrivati.
Grondavo di sudore dalla testa ai piedi, i vestiti mi si erano attaccati alla pelle e così anche i capelli. Avevo i piedi sporchi e doloranti per aver ballato con i tacchi ed ero agitata, spaventata ed arrabbiata.
Telefonai a Zack sperando che mi rispondesse.
<< Ehi Stella, che succede? >>, mi chiese Zack rispondendo al terzo squillo.
<< Siamo sotto l’hotel, Alex sta male, ha vomitato e Jack è completamente ubriaco, mi aiuti a portarli di sopra? >>, dissi mangiandomi qualche parola per la fretta dell’agitazione.
Zack sussurrò un “oh merda”, poi disse: << Arrivo subito >>, e riattaccò.
Zack arrivò subito, seguito da altri quattro bodyguard, che mi aiutarono a far uscire i due quarti degli All Time Low e a portare Alex nella sua camera e Jack nella camera di Zack. Zack avrebbe dormito con Rian, che stava meglio di quella mattina.
Lasciai Jack da loro per evitare che mamma e papà sclerassero.
<< Grazie Stella, davvero, sei una santa! >>, disse Zack chiudendo la porta di camera sua e di Rian che comunicava con quella di Alex. Jack si era appisolato come un ghiro e russava come un trombone,  ma Rian non si lamentò, anzi ben presto si addormentò anche lui iniziando un gran bel concerto!
<< E di che? Ho solo fatto quello che andava fatto, anche se ho sudato parecchio e mi sono preoccupata davvero tanto! >>.
<< Scusa, davvero, quei due non si sanno proprio controllare >>, Zack scosse il capo in segno di disapprovazione.
<< L’ho notato >>, commentai acida.
Zack mi diede una pacca sulla spalla e mi sorrise. << Va a casa a riposarti, ci pensiamo noi a loro. Vedrai che domani mattina staranno bene, forse con qualche doloretto >>.
<< Così imparano >>.
Zack rise. << Io penso che me ne andrò a dormire dai Bodyguard, non mi va di dormire in mezzo a quel
concerto >>, indicò la sua stanza.
<< Fai bene >>, risi.
<< Vado a prendermi il pigiama, torno subito >>, disse e sparì nella stanza buia.
Ne approfittai per avvicinarmi ad Alex, che era moribondo sul letto, con la maglietta tutta sudata e con gli occhi per metà chiusi. << Stell? >>, sussurrò.
<< Si? >>.
<< Mi dispiace di aver vomitato, non volevo >>.
Sorrisi. Nonostante fossi arrabbiata, non potevo non resistere al suo fascino, anche se sembrava morto.
<< Non fa nulla, è stato comunque bello >>.
Mi fece un mezzo sorriso guardandomi con occhi stanchi. << Anche per me >>.
<< Adesso dormi, ci vediamo domani >>, gli dissi togliendogli i capelli sudati dalla fronte.
Lui annuì e si mise comodo sul cuscino chiudendo del tutto gli occhi. Mi allungai a baciargli una guancia e lui sorrise. Sapeva di birra e vomito, un’accoppiata davvero raccapricciante.
Salutai Zack, che prima di andare spogliò Alex, lontano dai miei occhi.
Tornai a casa stanca, ma ancora felice. Io ed Alex ci eravamo baciati, eravamo quasi arrivati al punto di fare sesso! Ma poi lui aveva vomitato ed io mi ero tirata indietro… che brutta situazione, non volevo che la paura mi bloccasse, non volevo che quello che mi aveva fatto Enrico mi condizionasse, non era giusto… ma poi ricordai… Alex se ne sarebbe andato presto! Quel bacio era stato già troppo. Forse era stata una fortuna che avesse vomitato.

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Capitolo 11
*** Forget about me, it's what i deserve ***


-Jasey Rae-.
 
La mattina dopo, mi svegliai fresca e riposata, ma con la preoccupazione che mi opprimeva il petto: non facevo che pensare ad Alex e Jack e a come dovessero stare. Mamma e papà mi avevano interrogata, preoccupati, su dove fosse Jack ed io li avevo rassicurati dicendogli che aveva dormito all’hotel perché Rian era malato. Per fortuna mi avevano creduta, ma cosa avrebbero fatto se Rian fosse piombato in casa sano e con il suo solito sorriso smagliante dipinto sul volto? Probabilmente mi avrebbero trucidata e avrebbero chiamato la polizia… anche se Jack era dove avevo detto che fosse.
Per evitare casini, verso il primo pomeriggio, mi avviai all’hotel, dove uno dei bodyguard mi osservò ed interroghò prima di farmi entrare nella stanza degli A.T.L.
Ero un po’ nervosa, non solo per la preoccupazione, ma anche perché non sapevo come comportarmi con Alex, insomma… non sapevo se quello che era successo la notte prima significasse qualcosa per lui; per me  significava molto, ma lui, abituato com’era ad avere sempre ragazze, probabilmente non aveva dato peso al suo gesto anche se aveva detto di esserne stato contento… o forse è quello che diceva sempre a tutte?
Entrai nella camera di Alex, per metà illuminata dalla luce del sole e per metà buia data la tapparella ancora abbassata. Dal quel poco che riuscì a vedere, Alex era appallottolato tra le lenzuola, in boxer neri ed una canottiera bianca. Dormiva ancora e, per non disturbarlo, mi sdraiai accanto a lui rassicurata subito dalla sua presenza, ed aspettai paziente che si svegliasse, cercando di trovare parole adatte per introdurre il discorso del bacio.
Ma di cosa avremo dovuto parlare, poi? Non potevamo mica metterci insieme! Era fuori discussione! Non potevo farlo… anche se l’avrei voluto… oh sì che l’avrei voluto, con tutta me stessa.
Ormai ero convinta anche io, quasi quanto Debbie, che Alex fosse Dracula, ma non avevo il coraggio di chiederglielo: temevo di fare una brutta figura anche se quadrava tutto e se non si fosse trattato di lui allora si trattava di un suo parente o gemello. Mi sollevava un po’ il fatto che Dracula fosse Alex, perché a me lui piaceva e sapendo di essere anche innamorata di Dracula non sarei mai riuscita a starci insieme;  si, probabilmente è una cosa stupida, ma Dracula era parte di me, mi aveva accompagnato per tre anni della mia vita ed era sempre stato il mio primo pensiero… ora al suo posto c’era Alex, che speravo fosse la stessa persona. Mi sbagliavo, mi sbagliavo dannatamente quando dicevo che con Alex e Dracula provavo cose diverse, perché non era vero, anzi, provavo le stesse cose ma con Alex erano più vere, perché lui era accanto a me, non era una cosa irraggiungibile, anche se a “scadenza”.
Chiusi gli occhi e sospirai. Non potevo pensare che Alex se ne sarebbe andato, che da un giorno all’altro avrei potuto non vederlo mai più, lui sarebbe stato dall’altra parte del mondo, completamente irraggiungibile, circondato da fama e fortuna… e si sarebbe scordato di me. Chissà se Jack si sarebbe ricordato di me. Si, sicuramente, mi fidavo di mio fratello e poi… lo aveva promesso… di sicuro lui più di Alex mi avrebbe ricordata.
Uno sbadiglio di Alex mi fece tornare al presente. Lo guardai stiracchiarsi e tenersi la testa mentre probabilmente i postumi della sbornia gli rintontivano il cervello. << Oh cazzo! >>.
<>, lo salutai tenendo il tono di voce basso.
Alex spalancò gli occhi ancora un po’ sonnolento. << Che fai qui? >>, mi chiese non nel modo più gentile che una ragazza si aspetterebbe dal ragazzo che l’ha baciata.
<< Sono venuta a trovarti per vedere come stavi, tutto ok? >>.
Alex scosse la testa prendendo alcuni bei respiri. << Mi fa male la testa… ed ho il sapore di vomito in bocca >>.
<< Ci credo >>.
<< Perché? Che è successo? >>, chiese faticando a tenere gli occhi aperti.
Gli lanciai un’occhiata perplessa. << Come, non ti ricordi? >>.
Scosse piano la testa. << Cosa dovrei ricordarmi? >>.
Mi sentii il cuore cadere fino ai piedi, come se un’ancora lo avesse trascinato giù giù giù. Non ci credevo, non era possibile.
<< No, aspetta… cosa ricordi di ieri sera? >>.
Alex rimase in silenzio per un minuto, poi rispose con voce debole: << Ricordo solo che siamo arrivati alla discoteca, che io e Jack abbiamo subito bevuto e che abbiamo ballato… poi… ho solo immagini confuse… non ricordo molto >>.
Rimasi impassibile, scioccata.
<< Abbiamo suonato Stella? >>, mi chiese improvvisamente. << Mi ricordo di averla cantata >>.
Cercai di scuotermi mentalmente, ma ci riuscì giusto quel poco che mi servì per scuotere lentamente la testa. << No… ehm… tu e Jack vi siete ubriacati e l’avete cantata in macchina >>.
<< Cazzo, davvero? Non avrò mica fatto qualche casino? >>, chiese.
Si, coglione mi hai baciata rendendo ieri il giorno più bello della mia vita ed ora sono di nuovo nella disperazione… grazie tante! Vaffanculo!
Gli dissi nella mia mente, ma non avrei mai potuto rispondergli così, forse non se lo meritava.
<< No, nulla, hai solo vomitato qualche volta >>.
<< Oh cazzo! Zack si è arrabbiato? >>, chiese.
<< Un po’ >>, risposi pacata.
<< Dio mio! Che coglione! La testa mi fa un male! >>.
Te lo meriti, ti sei dimenticato di avermi baciata!
Mentre quel pensiero mi passò nella mente sentì le lacrime pizzicarmi gli occhi. Non ricordava, per lui non era successo nulla. Come facevo a sapere che non avesse finto? Come facevo a credere alle parole che mi aveva detto se ora sapevo che neanche se le ricordava, che probabilmente le aveva dette così a casaccio perché non aveva il cervello connesso per quella fottutissima birra?!
Mi sentivo male, sentivo che mi mancava l’aria.
<< Davvero… davvero non ricordi nulla? Nemmeno cosa stavi facendo prima di vomitare oppure quando ti sei messo a dormire? Non ricordi cos’hai detto? >>, gli chiese sembrando quasi isterica.
Alex si accigliò e mi fissò.
Ringraziai il cielo che fosse per la maggior parte buio nella stanza.
<< No, non ricordo assolutamente nulla… dovrei?  >>.
Il sospiro che emisi fu tremante per le lacrime incombenti. << No, nulla d’importante >>, dissi cercando di tenere la voce ad un tono normale.
<< Tutto bene? >>, mi chiese.
Annuì mordendomi un labbro sentendo che stavo per esplodere. << Alla grande… ora… ti lascio riposare, vado a vedere come sta Jack >>, dissi frettolosa e mi alzai dal letto senza aspettare la sua risposta.
La camera di Jack era più illuminata di quella di Alex e per fortuna era vuota, nessuna traccia di Zack e Rian. Jack era sveglio, sdraiato tra le coperte con la faccia di uno che non sta tanto bene. Quando sentì la porta chiudersi, aprì gli occhi e mi squadrò, poi mi sorrise debolmente. << Ehi Tell! >>.
<< Ciao >>, cercai di sorridere, ma le lacrime decisero di scoppiare proprio in quel momento, trasformando il mio sorriso in una smorfia triste.
Jack sgranò gli occhi allarmato. << Tell, che succede? >>, mi chiese.
Mi avvicinai a passo svelto al suo letto, mi ci sdraiai sopra e lo abbracciai sprofondando nel suo petto, che sapeva di casa, di famiglia, di affetto.
<< Dimmi che succede >>, mi implorò accarezzandomi i capelli.
<< Non potremmo solo stare così? Non mi va di parlarne >>, singhiozzai.
Jack accettò la mia proposta e rimase semplicemente in silenzio a consolarmi, accarezzandomi i capelli cercando di confortarmi.
Mi domandavo perché ci stavo così male, dopotutto ne dovevo essere sollevata, Alex non ricordava nulla e quindi se gli fossi davvero piaciuta, non avrebbe sofferto della nostra lontananza, quella l’avrei sofferta solo io; e poi non ero io che dicevo di non voler andare oltre l’amicizia? Avrei dovuto esser contenta di quello che mi aveva detto Alex, ma più ci pensavo più ci stavo male. Un momento così importante… lui non lo avrebbe ricordato. Non era giusto! Non era affatto giusto! Perché non mi ero ubriacata con lui? Perché non potevo dimenticare come lui? Perché ero io quella che doveva piangere?
<< È per la storia della tipa tettona di ieri sera? >>, chiese improvvisamente Jack, facendomi scoppiare a ridere, senza un buon motivo.
<< No, ma per quello ti beccherai una bella dose di pugni >>.
<< Ok, forse me li merito per aver approfittato di una giovane donzella ubriaca, ma visto che ero ubriaco anche io, non avevo colpa >>.
Aspetta… Jack era ubriaco, ma Jack ricordava. Come poteva ricordare Jack che era di sicuro più sbronzo di Alex?
<< Aspetta… Jack… tu ricordi tutto? >>.
Jack annuì. << Di alcune cose ho solo dei flash, ma la maggior parte delle cose me le ricordo, però… come se fossi stato solo uno spettatore, come se stessi guardando un altro me che ha fatto quelle cose… capito il senso? >>.
<< Si, ho capito >>.
Le cose non quadravano. O la sfortuna mi perseguitava oppure Alex aveva mentito. Ma perché mentire? A che scopo? Farmi soffrire? Beh, davvero molto gentile da parte sua. Se fosse stato così mi sarei incazzata da morire.
<< Ricordo anche di averti presa per una ragazza da farmi >>, rise, << mi dispiace >>.
<< Tranquillo, non fa nulla, ormai è passata >>, alzai le spalle.
<< Ti ricordo davvero molto incazzata >>, continuò a ridacchiare.
<< Lo ero, perché non prendevi sul serio il fatto che Alex avesse vomitato >>.
<< Non lo avrei preso sul serio nemmeno se fossi stato sobrio >>, ribatté Jack, ed io lo fulminai con lo sguardo. << È normale che dopo una sbronza a volte si vomiti, non era nulla di così preoccupante >>, continuò difendendosi.
<< Be’  per me lo è stato, mi ha fatto molta pena e mi sono sentita un po’ impotente >>.
Mi maledì mentalmente per essere così buona nei suoi confronti e per provare sentimenti così puri e veri.
<< Oh, che carina, mi piace che tu ed Alex siate diventati così buoni amici, siete le due persone che amo di più al mondo, seguite da mamma, papà, Zack e Rian ovviamente >>.
Magari sapessi quanto mi sono legata ad Alex!
Pensai tristemente.
<< Gli… voglio bene >>, cercai di controllare la voce, << mi tratta in modo molto protettivo >>.
Sorrise. << Mi fa piacere sentirlo >>.
Prima che potesse probabilmente chiedermi il motivo del mio pianto che ormai era finito, ricominciai a parlare. << Comunque è tutta colpa tua se Alex ha vomitato, tu gli hai fatto bere la birra! >>, lo accusai.
Jack storse le labbra in una smorfia. << Mi dispiace dirtelo, ma lui da solo ama la birra e quindi ne beve tanta >>.
<< Be’… allora siete proprio una bella coppia! >>, commentai acida.
Jack ridacchiò. << Già, lo so >>.
<< Come sta la tua stupida testa? >>, gli chiesi.
<< Male, mi scoppia! >>, rispose prendendosela tra due mani.
<< Allora è meglio che tu ti riposi, io tornerò stasera >>, dissi alzandomi ed asciugandomi quel poco di lacrime che mi erano rimaste.
<< Dove vai? >>.
<< Da Debbie, ho bisogno di parlare un po’ con lei >>, dissi.
Non è che avessi bisogno proprio di Debbie, ma volevo uscire da quell’albergo, stare un po’ all’aria aperta e riprendermi dalla specie di depressione che mi opprimeva e mi feceva vedere tutto nero, vuoto e triste.
<< Non mi hai detto il motivo per il quale stai così male >>, mi ricordò.
Lo guardai.
Non potevo dirglielo, rischiavo di mandare Alex all’ospedale, e non era proprio il caso viste le sue
condizioni; quella era una notte da dimenticare, come se non fosse mai esistita, per Alex non era esistita, quindi perché ricordarsela? Per farmi ancora di più del male? No, la dovevo scordare, scordare, scordare!
<< Non è nulla d’ importante, solo una sciocchezza che è meglio non ricordare >>.
Jack aggrottò le sopracciglia.
Lo salutai lanciandogli un bacio, ed uscì dalla camera per tornare fuori.
Ero appena uscita dall’hotel, quando incontrai Enrico, che –forse casualmente-, stava passando con la bici proprio in quel momento. Mi sorrise e mi salutò fermandosi. Non avrei mai dovuto sentirmi così, ma il suo viso familiare, mi fece provare gioia, ero contenta di vederlo, perché sapevo che con lui potevo parlare. Per tutto il tempo che parlai con lui, dimenticai ogni dolore, ma non era ancora finita.
 
(Alex)
Mentire non era mai una cosa bella o una cosa facile, soprattutto con le persone alle quali tieni. Mia madre mi aveva sempre scoperto quando cercavo di rifilarle una bugia e mi sgridava sempre dicendo: << Alexander William Gaskarth, non osarmi dire menzogne! Devi imparare che le bugie hanno le gambe corte e che portano sempre a brutti malintesi e litigi! >>.
Probabilmente la mia cara mamma aveva ragione, ma non avevo avuto scelta, non potevo rischiare di complicare le cose, di far soffrire Stella… più di quanto stesse soffrendo ora. Non era stato facile mentirle, ma con l’aiuto del buio ero riuscito a sembrare credibile, ma lei no, non era riuscita a mascherare il suo dolore, le sue lacrime e avrei tanto voluto poterla stringere e baciarla come avevo fatto la notte prima. Voglio puntualizzare che ero ubriaco ed il mio terribile mal di testa ne era la prova, ma a differenza di quanto avevo fatto credere a Stella, ricordavo la maggior parte delle azioni che avevo fatto, tra cui baciarla, strusciarmi vicino a lei, dirle che era bellissima e anche quelle piccole frasi che le avevo detto prima che se ne andasse; ed era tutto vero! Ma era meglio che lei non lo sapesse, si sarebbe solo fatta più male, io le avrei fatto solo più male.
Ero innamorato di lei. Lo avevo scoperto solo da poco, non era una cosa che sapevo fin dall’inizio come nei film, a me era successo tutto per caso, tutto molto a rilento; conoscendola mi ci ero affezionato sempre di più, credendo di volerle bene come ne si vuole ad una sorella, ma non era affatto così, non l’avevo mai considerata una sorella, ma qualcosa di più.
Ma era sbagliato! Totalmente sbagliato! Ormai non ci rimanevano molti giorni da passare insieme ed i nostri collaboratori ci avevano già avvisato dei preparativi per il nuovo tour che dovevamo organizzare, quindi la nostra partenza era imminente e forse io non l’avrei rivista mai più. Non avrei mai potuto costringerla a venire a Baltimore con me, qui aveva la sua famiglia, Debbie e quel cazzone di Enrico, al quale lei teneva ancora, lo si vedeva lontano un miglio, nonostante il modo indecoroso con il quale l’aveva trattata.
Se fosse venuta con me a Baltimore sarebbe stata la maggior parte delle volte da sola, chiusa nella mia villetta ad annoiarsi e con i centinai di concerti e tour che facevamo non avremmo avuto poi così tanto tempo da passare insieme, sarebbe stata sola e probabilmente si sarebbe sentita abbandonata e questo io non lo volevo. Lo stesso era se lei rimaneva qui a Roma, stando lontana ci saremmo visti più o meno… mai! Quindi l’unica opzione che mi era rimasta e che avevo scelto, era quella di… dimenticarla, di non farle sapere quello che provavo per lei, di farmi considerare uno stronzo ubriacone che si è dimenticato del bacio che le aveva dato. Era la scelta più difficile, ma quella più giusta, sia per me che per lei. Tra di noi non poteva funzionare, vivevamo in due mondi completamente diversi e in due continenti completamente diversi.
Ero ancora sdraiato sul letto ad occhi chiusi, cercando di non pensare al mal di testa, ma se non pensavo a lui pensavo a Stella, a quello che provavo per lei, al dolore che provavo solo al pensiero di lasciarla, a quando la stringevo tra le mie braccia sentendomi completo, in pace con il mondo, felice; quando era vicino a me non potevo non essere allegro, era come se lei attirasse il mio sorriso, come se lo spronasse ad uscire e questa era una cosa meravigliosa, per non parlare del fatto che il mio cuore impazziva totalmente in sua presenza, iniziava a danzare contento come quando salivo su un palco per esibirmi… ma ancora meglio.
L’avevo vista in tutti i modi: triste, piangente, arrabbiata, felice, sexy, bagnata, piena di sabbia, imbarazzata, trasandata; potevo dire di conoscerla, di sapere quando mentiva e quando invece era seria, quali vestiti preferisse, quanto trucco mettesse e quanto fragile fosse il suo cuore, ridotto in pezzetti da un ragazzino stronzo che l’aveva usata senza rimorsi… no, aspettate, secondo lei i rimorsi ce li aveva avuti, ma io non mi fidavo ancora, non me la contava giusta, faceva il dolce ed il carino solo per riconquistarla: avevo
capito il suo gioco.
Sentii la porta di camera di Rian e Zack sbattere e per un certo sesto senso, capì che Stella se ne stava andando.
Riprendendomi quasi del tutto, mi alzai traballando e zompettai verso la finestra, della quale abbassai la tapparella. La luce del primo pomeriggio mi bruciò gli occhi facendomi pulsare la testa in modo assurdo.
<< Porco cazzo! >>, esclamai coprendomi gli occhi.
Aspettai qualche minuto, poi aprì un occhio che piano piano smise di darmi fastidio e si abituò alla luce accecante, così anche l’altro.
Aprì la finestra, ed una ventata di caldo entrò nella stanza. << Caldo di merda! >>, borbottai infastidito.
Di Roma l’unica cosa che non amavo era il caldo… Dio mio! Sembrava di essere in un forno.
Mi affacciai con la testa, giusto il tempo di veder sbucare la massa di capelli corvini che ormai conoscevo così bene, insieme a quei dolci occhi color marrone, che somigliavano molto a quelli di Jack e la cosa a volte mi spaventava, soprattutto sapendo che da piccoli si erano assomigliati. Magari ero innamorato anche di Jack!
No, impossibile.
La osservai iniziare a camminare verso la macchina, ed ecco che spuntò lui. Quel coglione con i capelli alla cazzo che pedalava con aria da figo!
Sbuffai.
Idiota!
Enrico si fermò davanti a Stella, salutandola con il suo bel sorriso da super modello che mi faceva solo venire ancora più voglia di pestarlo a sangue per quello che le aveva fatto e che probabilmente voleva rifare.
Scossi la testa.
Dovevo smetterla di dubitare di lui, forse era davvero un bravo ragazzo, ed io mi fidavo di Stella, quindi dovevo restare tranquillo… ma come facevo a stare tranquillo mentre il tipo lì sotto ora la stava abbracciando confortandola.
Ero geloso. Si, ultra geloso, non sopportavo le mani di lui addosso a lei, mi facevano venire voglia di spaccare tutto, di urlare, di buttarmi dalla finestra per staccarlo da lei, ma sarebbe stato un suicidio visto che ero ad un piano molto alto. Lo odiavo, lo odiavo con tutto il cuore. Io non la potevo avere, lui si… ma io la dovevo avere, lui no, l’avrebbe trattata male!  Non se la meritava! Non aveva saputo trattenersi e l’aveva maneggiata come Jack maneggiava le sue bambole gonfiabili!
Ma perché mai mi ero lasciato convincere?
Perché ti fidi di lei e sai che lei ha fiducia in Enrico e non resisti quando ti guarda con quegli occhioni tristi e dolci.
Mi rispose una vocina nella mia testa.
Giusto, aveva ragione, non avevo resistito ai suoi occhioni tristi. Mannaggia a me e quando mi ero innamorato!
Enrico e Stella si allontanarono, su due mezzi diversi, ma nella stessa direzione e alla stessa velocità (per quanto fosse possibile).
Richiusi la finestra con un moto di rabbia, facendo tremare leggermente i vetri. Per fortuna, non si spaccarono.
<< Ehi Alex, qualcosa non va? >>, mi chiese Jack chiudendosi la porta della camera di Zack e Rian alle spalle.
Da fuori sembrava tutto intero, ma io sapevo che dentro la sua testa bruciava come la mia.
<< No, nulla, mi fa solo male la testa >>, risposi.
Non mi piaceva non poter raccontare a Jack di quello che mi passava per la mente, ma lo conoscevo e sapevo che si sarebbe arrabbiato: a volte era un po’ possessivo sulle cose, soprattutto sulla sorella; se mai gli avessi detto che mi piaceva mi avrebbe scaraventato dall’altra parte del mondo con un solo schiaffo.
<< A chi lo dici >>, sbuffò, << mi sento… come se tenessi un peso sopra la testa >>.
<< Già, che ci sia da lezione >>.
<< Nah, ubriacarsi è bello, fai le migliori cazzate >>.
Sorrisi annuendo.
Io avevo fatto la miglior cazzata della mia vita, facendo sentire malissimo la ragazza di cui ero innamorato. Che bello!
Quando si è ubriachi, si è capaci di dire o di fare quello che da sobri non si direbbe o farebbe e questa era stata proprio la mia fregatura.
<< Ti ricordi la tettona che mi sono fatto ieri? >>.
Eccomi al bivio. Se volevo che Stella credesse alla mia balla, dovevo dirla anche a Jack, per forza.
M'immaginai la faccia arrabbiata di mia madre che mi urlava: << Non dire menzogne Alexander William Gaskarth! >>.
Finsi di pensarci, poi mi grattai la testa. << Non ricordo molto di quello che è successo ieri, dovevo essere davvero andato >>.
Forse per i postumi della sbornia oppure perché non stava prestando molta attenzione a me, Jack si bevve la balla e disse: << Ti sei perso due bocce spettacolari! >>.
<< Non ne dubito >>, borbottai, non molto attratto da quell’argomento che invece continuava ad esaltare Jack.
<< Lo sai che mi sono ritrovato il suo numero scritto su un braccio?! >>.
<< Wow, un gran colpo di culo >>, dissi, ma in realtà la mia mente era molto lontana dall’ascoltare Jack.
<< Prima che ce ne andiamo da Roma, devo assolutamente rivederla >>, continuò ridendo.
Andarsene da Roma.
Pensai con tristezza.
Come poteva Jack pensare a rivedere la tettona (che non era bella), quando qui avrebbe lasciato sua sorella?!
Jack stava per ricominciare, ma l’apertura della porta lo interruppe. Zack e Rian entrarono in camera con facce sorridenti. Qualcosa di buono bolliva in pentola, ma forse sempre grazie al mio sesto senso, capì che quella notizia mi avrebbe fatto venire voglia di buttarmi dalla finestra.
<< Ehi ragazzi, come va? >>, ci chiese Zack.
<< Più o meno >>, rispose Jack.
<< Ancora qualche doloretto alla testa e un po’ di amnesia >>, risposi.
Rian alzò le spalle. << Ve la siete cercata. Così imparate ad andare a spassarvela da soli mentre io sono malato >>.
<< Avevi solo uno stupido raffreddore! >>, esclamò Jack.
<< Poteva venirmi la febbre >>, ribatté Rian.
<< E allora non saremmo più potuti partire >>, disse Zack raccogliendo l’attenzione mia e di Jack.
<< Che vuoi dire? >>, chiesi con un groppo in gola grande quanto una casa.
<< Che, cari amici miei, il tour inizierà a fine settembre, quindi dobbiamo fare al più presto i bagagli. Dobbiamo tornare a casa! >>, ci spiegò Zack sorridente.
Né la mia espressione, né quella di Jack, diventarono sorridenti e piene di gioia come quelle di Rian e Zack: avevamo tutti e due un motivo buono per non andarcene. Ed era lo stesso.
Mi accasciai su letto e mi sdraiai sul cuscino, fissando il posto accanto al mio, dove una manciata di minuti prima lei era sdraiata ed io le avevo ferito il cuore.
Jack si stese accanto a me e mi guardò. Aveva la stessa mia espressione triste.
<< Ci resterà male >>, gli dissi sentendo un profondo dolore al petto solo al pensiero.
<< Lo so, ma se lo aspettava, sapeva che prima o poi ce ne saremo dovuti andare >>.
<< Forse non così presto >>, sospirai.
<< Glielo dirò quando tornerò a casa >>, disse Jack con gli occhi luccicanti.
Non volevo affibbiare al mio amico un compito così arduo, non volevo che portasse con sé il peso della notizia che doveva darle, volevo aiutarlo.
<< Verrò anche io con te, ti aiuterò! Non voglio che tu lo faccia da solo, so quanto sarà difficile >>, gli sorrisi tristemente.
Jack ricambiò il sorriso e mi batté un pugno sul braccio. << Grazie Alex >>.
Il mio telefono squillò e le note di Jasey Rae riempirono la stanza. Non volevo rispondere, non volevo fare nulla.
 
“Call me a name,
Kill me with words,
Forget about me,
It’s what I deserve”.

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Capitolo 12
*** Therapy ***


“My lungs gave out
as I faced the crowd
I think that keeping this up can be dangerous
I’m flesh and bone
I’m a rolling stone
And the experts say I’m delirious”.

 
Era ormai scesa la sera, ed io ero sdraiata sul letto ad aspettare che arrivasse Jack, che mi aveva chiamato qualche ora prima per dirmi che sarebbe tornado a casa dopo una cena con la band. Mi avevano invitata, ma non ero voluta andare, mi sentivo ancora un po’ a terra, anche dopo essermi sfogata con Enrico, il quale si era rivelato, come sempre, molto amichevole, molto affettuoso e mi aveva consolata, non battendo ciglio quando gli avevo detto di essere innamorata di Alex. Mi sarei aspettata una scenata di gelosia, o qualcos’altro, ma Enrico non aveva detto nulla, aveva solo continuato ad ascoltare in silenzio.
Stavo osservando la foto di Dracula, in particolare i suoi occhi neri illuminati dal flash della macchinetta. Sarei tanto voluta tornare a quella sera, ma con la mente del presente, così da chiedergli: << Sei Alex Gaskarth? >> e così porre fine a tutti i miei dubbi e forse rivelargli chi ero, sempre che non lo avesse già capito… ma se aveva capito allora non avrebbe avuto alcun motivo per non dirmelo. Probabilmente non lo ricordava. Se Alex era Dracula, allora aveva dimenticato quella sera di Halloween, come la sera prima, solo per colpa di una stupida birra. Stupida, stupida, stupida birra! Ma chi l’aveva inventata?!
Qualcuno bussò alla porta, ed io sobbalzai troppo concentrata sui miei pensieri.
<< Chi è? >>, chiesi continuando a fissare la foto.
Se fossi tornata indietro magari avrei potuto non fargli bere la birra e magari costretto a togliersi la maschera…
<< Jack… e Alex >>.
… così lo avrei smascherato ed io ed Alex ci saremo conosciuti prima… ma non sarebbe cambiato nulla, come poteva cambiare qualcosa? Per poterla cambiare Alex doveva essere un normale ragazzo di New York, che mi aveva incontrata per caso durante una sua visita estiva a Roma, davanti al Colosseo.
<< Un attimo >>, dissi nascondendo la foto sotto il cuscino. Quando mi alzai, diedi uno sguardo veloce alla camera per vedere se c’erano reggiseni o roba imbarazzante in giro, ma era tutto a posto, il solito casino di sempre.
<< Potete entrare >>, dissi sdraiandomi di nuovo.
La porta si aprì e ne sbucò la testa bruna di Jack, che mi fece un sorriso, ma non il suo solito sorriso, uno agitato, che non voleva dire niente di buono… soprattutto se anche Alex ce lo aveva stampato in faccia.
Grandioso, altri problemi.
Pensai.
<< Ciao sorellina! >>, mi salutò Jack.
<< Ehi >>, risposi sorridendo.
<< Ehi Stell! >>, esclamò Alex.
Sorrisi con il cuore a tremila e mi sedetti, aggiustandomi automaticamente i capelli.
<< Come state, vi siete ripresi oppure vi siete ubbriacati un’altra volta? >>, chiesi in tono acido, poi mi morsi la lingua che a volte non stava proprio al posto suo.
Jack e Alex si lanciarono un’occhiata, poi Jack si accomodò ai piedi del mio letto ed Alex sulla sedia vicino al computer. Ok, quella sedia da quel giorno sarebbe stata sacra, neanche Debbie l’avrebbe più toccata.
<< Avanti Tell, non puoi essere ancora arrabbiata >>, sbuffò Jack.
<< No, non lo sono, ma non sono riuscita a trattenermi >>, mi strinsi nelle spalle.
Jack alzò gli occhi al cielo.
<< Comunque, seriamente, come state? Avete ancora mal di testa? >>.
<< Non più molto >>, concordarono Jack e Alex.
Guardai Alex.
Dovevo chiederglielo, se c’era una sola speranza che si fosse ricordato del bacio, l’avrei colta.
<< Hai ricordato nulla? >>.
Il suo sguardo vacillò dai suoi piedi ai miei occhi. << No, nulla, sempre… immagini confuse >>.
Annuì sentendomi sprofondare.
<< Tu che hai fatto oggi? >>, mi chiese Jack.
<< Nulla di che, ho incontrato Enrico quando sono uscita dall’hotel e abbiamo chiacchierato >>.
Jack cercò di non strabuzzare gli occhi, ma la cosa non gli riuscì. Alex rimase immobile, ma la mascella rigida tradiva un leggero nervosismo.
<< Che vi siete detti? >>, chiese ancora Jack.
<< Niente, come andava e come non andava, le solite cose >>.
Non mi piaceva il modo in cui stava evitando il perché della loro visita. Certo, Jack doveva tornare a casa, ma allora perché Alex era lì? E perché avevano quelle facce tese? (Anche prima che nominassi Enrico).
<< Siete tornati amici? >>.
Mi strinsi nelle spalle.
Amici non era proprio la parola giusta.
<< Non siamo proprio amici, ma mi diverto con lui, mi sa fare compagnia >>, annuii varie volte.
<< È un bene, almeno non sarai completamente sola >>, disse Alex.
Lo guardai aggrottando le sopracciglia.
<< Alex! >>, lo fulminò Jack con uno sguardo truce.
<< Che c’è?! Almeno arriviamo subito al discorso, non mi pare che continuare a parlare di altro sia meglio o giusto >>.
Jack sospirò ed annuì.
<< Quale discorso? >>, chiesi vagando con lo sguardo da Jack ad Alex, che però non lo ricambiarono.
<< Tell… dobbiamo dirti una cosa >>, disse Jack alzando di poco la testa, permettendomi di vederlo in faccia.
Era nervoso e gli angoli delle sue labbra erano rivolti verso il basso. Così anche Alex.
<< Questo lo avevo capito >>, borbottai agitata.
Mi stavo preoccupando.
E facevo bene.
<< Non è facile da dire… >>, continuò senza mai guardarmi negli occhi.
No che non lo era.
Non era difficile capire di che cosa stesse per informarmi, era chiaro come il sole. Dopotutto me lo aspettavo, l’estate stava per volgere al termine e loro dovevano tornare a casa ed io alla mia vita da normale ragazza Italiana.
Non me l’aspettavo così presto, però.
Lasciai che Jack trovasse le parole giuste, mentre dentro già sentivo un vuoto dilaniarmi il petto.
Alex gli si avvicinò grazie alle rotelle delle quali era munita la sedia e gli mise una mano sulla spalla per confortarlo.
<< Noi… stiamo per tornare a casa, dobbiamo iniziare il tour invernale >>, riuscì finalmente a dire.
Un cazzotto avrebbe fatto meno male, anche uno dato da quel muscoloso di Zack.
Non so quanti minuti rimasi a fissare la coperta del letto senza dire nulla, ma bastarono alle lacrime per raggiungere gli occhi, che mi iniziarono a pizzicare fastidiosamente. Ero decisa a trattenerle finché potevo, non volevo che vedessero quanto la cosa mi facesse soffrire, li avrebbe fatti sentire male, ed io non volevo; in America avevano tanti momenti belli che li attendevano e non volevo rovinarglieli con il ricordo del mio volto in lacrime. Era giusto che loro se ne andassero, quello non era il loro mondo, non era la loro vita, era la mia e loro non potevano farne parte.
Avevo vissuto tanti anni senza Jack, magari sarei riuscita a superare la solitudine, ma con Alex era diverso: avevo vissuto tanti anni senza conoscerlo e senza sapere che bella persona fosse, il pensiero di vederlo andarsene era peggiore di quello di riveder andare via Jack. Quel poco tempo non mi era bastato, non sarebbe bastato a nessuno!
Ma non potevo trattenerli.
E non lo avrei fatto.
<< Be’… lo immaginavo, insomma… non potevate rimanere qui per sempre >>, sorrisi.
 Un sorriso fintissimo.
Jack rimase a fissarmi con gli occhi di una persona che vorrebbe fare qualcosa, ma che è impotente.
Avrei voluto dirgli che avrebbe potuto lasciare la band, con lui anche Alex, che lui sarebbe potuto tornare a
vivere con noi lì a Roma, che Alex sarebbe potuto rimanere con noi così che io avessi potuto tenerlo sempre vicino e avremmo potuto stare insieme…
Ma sarebbe stato egoistico da parte mia, quindi non aprì bocca e invece di sprecare minuti in parole, mi alzai dal letto e li raggiunsi tutti e due facendomi abbracciare, poggiata metà sul petto di uno e metà su quello dell’altro.
Che bel terzetto: un fratello ed una sorella, due migliori amici e due innamorati.
Non piansi, riuscì ad avere il coraggio di non farlo, concentrandomi su di loro, su quanto significassero per me: erano la mia famiglia, in un certo senso, quelli che si sarebbero fatti in quattro per me e che, anche se lontani, mi sarebbero stati accanto. Non me lo avevano detto, certo, ma in una famiglia sono cose che si sanno e loro me lo stavano comunicando, abbracciandomi sempre più stretta.
Quando mi staccai da loro, però, gli occhi mi pizzicarono ferocemente, segno che non potevo ritardare a lungo, quindi corsi via, senza guardare nessuno dei due negli occhi e mi chiusi nel bagno, dove mi afflosciai sul pavimento e piansi.
Piansi così tanto che alla fine non avevo neanche più la forza di rialzarmi, ma solo di chiudere gli occhi e di abbandonare quel dolore per fuggire in un mondo migliore.
 
Precisamente cinque giorni dopo l’annuncio, gli All Time Low stavano ufficialmente facendo i bagagli.
Per i giorni seguenti avevamo fatto finta che l’addio non fosse imminente, ci eravamo divertiti passando molto tempo insieme, facendo tutte le cose che ci venivano in mente: andare all’”Eur”, il parco divertimenti, al ristorante cinese, fare un barbecue, bagnarci con la pompa dell’acqua del giardino sotto casa mia, guardare una maratona di film horror nel loro albergo, fare un giro in macchina di notte ammirando tutta la bellezza di Roma e giocare ai videogiochi accanendoci gli uni contro gli altri.
Ma dopo il sole viene sempre il temporale ed il giorno della loro partenza era arrivato mettendomi di fronte la realtà.
Eravamo tutti all’aeroporto, lo stesso che ci aveva visti correre inseguiti dalle fans circa un mese prima. Questa volta all’aeroporto c’era anche Debbie, che non sembrava molto contenta di veder andare via i suoi beniamini, ma non lo era quanto me.
Jack mi stringeva la mano mentre camminavamo verso la zona d’imbarco, tutti in silenzio, ma nel chiasso dell’aeroporto non si notava poi tanto. Rian e Zack erano i primi della fila, trascinavano le loro valigie con fare neutro. Chissà se anche a loro dispiaceva andarsene. Alex camminava vicino a me e Jack, con sguardo perso nel vuoto, triste, perso. Debbie camminava dietro di noi guardandosi i piedi, seguita a ruota da mamma e papà, che sembravano i più allegri, ma negli occhi della mamma potevo leggere la tristezza di dire di nuovo addio al suo primogenito.
Jack… be’… Jack aveva un’espressione indecifrabile, nessuno aveva mai avuto un’espressione così abbattuta dall’inizio dei tempi, non sembrava neanche connesso con il mondo, sembrava uno spettro con gli occhi lucidi.
<< Fatti sentire qualche volta >>, dissi a Jack facendolo leggermente sobbalzare.
Mi guardò sorpreso che avessi aperto bocca. Si sveltii ad elargirmi un sorriso carico di affetto, che io ricambiai con un peso al petto. Avrei portato quel sorriso con me, l’avrei posto nei miei ricordi, così da non dimenticarlo mai.
<< Ma certo che si! Ogni settimana! >>, mi garantì.
<< Di sicuro avrai tante cose da raccontarmi >>.
Gli occhi gli brillarono in un modo che diceva: “attenzione, lacrime in arrivo”.
<< Di sicuro anche tu >>, disse, ma con scarsa sicurezza, ed aveva ragione, la mia vita futura si prevedeva essere una completa noia. << Soprattutto quando ti procurerò dei contatti o delle audizioni >>, continuò.
Sul viso mi spuntò un sorriso sincero e felice. Quella era una buona cosa alla quale pensare, per farmi tirare su. << Sarebbe fantastico! >>, esclamai piena di una strana gioia che per un attimo non mi fece pensare al momento triste che stavo per affrontare.
<< Contatti? >>, chiese all’improvviso Alex, << Per cosa? >>.
Jack gli sorrise. << Contatti per far diventare famosa questa piccola ugola d’oro >>, rispose passandomi una mano tra i capelli.
Alex sembrò sorpreso. << Davvero sai cantare? >>, chiese guardandomi.
Ah quegli occhi marroni! Quelli non li avrei dimenticati di certo, quei pozzi scuri che diventavano neri sotto le luci della discoteca e che mi facevano sciogliere al solo sentire la loro presenza su di me.
<< Già >>, annuì, << è il mio sogno nel cassetto potermi esibire >>.
<< Non me lo hai mai detto >>. Suonò quasi come un’accusa.
<< Be’… questo perché ho qualche problemino >>, risposi stringendomi nelle spalle.
Alex aggrottò le sopracciglia. << Quale? >>.
Mi morsi un labbro vergognandomi un po’. << Mi vergogno a cantare davanti alle persone >>.
<< Alcune persone >>, mi corresse Jack, poi si girò verso Alex e continuò: << Io l’ho sentita cantare >>.
<< Anch’io! >>, esclamò Debbie affiancandoci ed elargendo un sorriso a Jack ed Alex.
<< Ed è brava? >>.
<< Certo! >>, risposero all’unisono Debbie e Jack.
<< È fantastica! >>, aggiunsero i miei in coro.
<< Esatto >>, concordò Debbie.
Alex tornò a guardare me. << Allora dovresti fartela passare la paura, perché se sei brava, non c’è proprio nulla che tu debba temere. È il tuo sogno e devi portarlo avanti, non permettere che qualcuno o qualcosa te lo impedisca >>.
Wow.
Ok, da Enrico quelle parole mi avevano colpita ed incoraggiata, ma da Alex erano… meravigliose, ultraincoraggianti! Mi facevano venir voglia di mettermi a cantare proprio in quel momento.
<< Grazie >>, gli sorrisi, << prometto che lotterò con tutte le mie forze >>.
Mi fece l’occhiolino. << Così ti voglio, combattiva! >>.
Ridemmo all’unisono tutti e quattro.
 Quando finimmo di ridere, tornai a rivolgermi ad Alex. << Quello che ho detto a Jack vale anche per te, fatti sentire qualche volta >>.
Alex sorrise sghembo. << Puoi contaci >>.
Il discorso finì lì, per il resto della “camminata”, restammo di nuovo in silenzio, come se stessimo andando ad un funerale. Be’… per me la situazione era simile.
<< Bene ragazzi, salutate, è il momento di andare >>, annunciò il bodyguard pelato.
Strinsi forte la mano di Jack sperando di rimanerci attaccata, così da non poterlo far andare via, ma a quanto pare il sudore non serve ad attaccare due mani.
Prima di tutti decisi di salutare Zack e Rian, che uno alla volta mi abbracciarono dicendomi che era stato un piacere conoscermi e che speravano di rivedermi. Prima di Alex, salutai Jack.
Restammo per svariati minuti a guardarci negli occhi senza avere il coraggio di dire nulla, poi lui allargò le braccia invitandomi ad abbracciarlo ed io non me lo feci ripeter due volte, mi fiondai tra le sue braccia e lo strinsi come un orsetto di peluche. Chiusi gli occhi per evitare alle lacrime di uscire.
<< Mi mancherai Jack, tantissimo >>, dissi.
Affondò la faccia sulla mia spalla e mi strinse ancora di più. << Anche tu Tell, ma questo non è un addio, ci rivedremo, non appena avrò qualche giorno di vacanza verrò a trovarti oppure ti farò avere i biglietti per venire da me >>, fece una pausa, << non ti lascerò più sola, te lo prometto. Quando ne avrai bisogno, chiamami, io ci sarò sempre per te e ti aiuterò a coronare il tuo sogno >>.
Repressi un singhiozzo.
Perché la vita era tanto ingiusta? Che cosa avevo fatto di male per meritarmi la partenza delle due persone più importanti della mia vita?
<< Grazie Jack, grazie davvero, di tutto… questo mese è stato il più bello di tutti, non lo scorderò mai >>.
Una lacrima mi scivolò sulla guancia. Era troppo trattenerle.
Quando mi scostai da Jack, ricordandomi che aveva un volo che non poteva perdere, vidi che anche lui aveva il viso rigato di lacrime e la cosa mi fece provare ancora più dolore. Ci guardammo ancora per qualche minuto negli occhi, che erano dello stesso marrone ed erano tristi e luccicanti per le lacrime.
Spostai lo sguardo verso Alex e mi avvicinai a lui. Non stava piangendo, ma ci mancava poco; conoscendo Alex, però, sapevo che non l’avrebbe fatto.  Jack non era stato abbastanza coraggioso, ma lui lo era, quindi poteva continuare a lottare. Forse avrebbe pianto solo quando nessuno se ne sarebbe accorto.
Le mie guance erano invase dalle lacrime, e la situazione precipitò quando Alex mi sorrise e mi strinse tra le braccia. Appoggiai la testa sul suo petto e chiusi gli occhi, cercando di sentire il battito del suo cuore.
Lo sentì quasi subito e posso giurare che non fosse regolare, ma che stesse battendo all’impazzata… come il mio; erano in perfetta sincronia.
<< Alex… ti voglio bene >>, sussurrai aprendo gli occhi.
Mi sorrise tristemente. << Anche io te ne voglio e sono proprio contento di averti conosciuta… sei una ragazza fantastica >>.
Sorrisi lusingata tra le lacrime. << Anche tu sei fantastico per essere un All Time Loser >>.
Rise, poi in tono più basso e triste disse: << Spero di rivederti presto >>.
<< Quando finirete il tour ci rivedremo >>, annuì, << pensa che ti divertirai così tanto che neanche ti accorgerai del tempo che passa >>.
Con mia grande sorpresa, mi prese una mano e disse con tono serio: << Penserò sempre a te e conterò i giorni che ci separeranno >>.
Cavolo! Era la cosa più bella che qualcuno mi avesse mai detto, soprattutto Alex… insomma… non mi sembra una cosa da dire ad una ragazza che consideri una “sorellina”, ma dopotutto dalla sera in discoteca avevo capito di non essere indifferente ad Alex e quindi quella frase era più che… giusta.
Un’altra lacrima mi accarezzò la guancia. << Per me sarà lo stesso >>, sorrisi.
Si morse un labbro per non scoppiare in lacrime. << Mi mancherai, questo mese senza di te sarebbe stato una vera noia >>.
Sorrisi in preda a singhiozzi che cercai di reprimere. << Mi raccomando, divertiti in tour e non ubbriacarti troppo >>, riuscì a dire dopo un po’.
<< Tranquilla, saranno poche le volte in cui non sarò sobrio >>.
<< Lo spero >>.
<< Tu stai attenta ad Enrico, ok? >>, mi chiese tornando serio.
Annuii. << Tranquillo, lo terrò a bada >>.
Senza dire più nulla, tornammo ad abbracciarci, così stretti che sembravamo due metà di uno stesso corpo, due anime che ne formavano una sola.
Quando ormai il tempo fu scaduto ed il pelato disse ai ragazzi che era ora di andare, mi staccai con riluttanza da Alex e raggiunsi mamma, papà e Debbie, per guardare un’ultima volta –in quel mese- gli All Time Low, la band che odiavo, ma che avevo imparato a conoscere e ad amare. Jack ed Alex si fermarono altri pochi minuti a guardarmi ed io li salutai con la mano mimando con le labbra le tre parole che spiegavano in parte l’enorme affetto che provavo per loro: “vi voglio bene”.
Anche Zack si girò per guardarsi un’ultima volta indietro, ma non per me, bensì per Debbie, che gli mandò un bacio sorridendo a trentadue denti. Chissà se anche lui oltre ad Alex si era innamorato.
Gli All Time Low sparirono dalla mia vista ed io scoppiai in un pianto quasi isterico. Li avevo persi. In un certo senso ero quasi sicura che nonostante le loro promesse, in futuro non ci saremmo rivisti così facilmente o forse non ci saremo rivisti e basta. Non potevamo sapere cosa il futuro ci avrebbe riservato, quindi tutto era possibile.
Scossa dal dolore e dai singhiozzi, non mi accorsi della folla di giornalisti che si era radunata davanti all’entrata dell’imbarco e che ci stava assalendo con mille domande, alle quali avrei solo voluto rispondere con un: “andate al diavolo coglioni!”. Più o meno è quello che feci.
I giornalisti ci seguirono fino all’uscita dell’aeroporto, uccidendoci le orecchie con domande davvero stupide e personali che non avrebbero dovuto assolutamente interessargli, così, presa dalla rabbia, mi staccai dall’abbraccio di mio padre e mi avviai verso i giornalisti, rispondendo ad una delle loro domande con: << Sentite, mio fratello, il mio… migliore amico ed altri due mie amici, se ne sono appena andati forse per sempre, qindi perché voi ed i vostri culi da ficcanaso del cazzo non ve ne andate a fanculo e mi lasciate vivere la mia schifosa vita in pace?! >>.
I giornalisti mi guardarono sconcertati ed io non gli diedi il tempo di replicare, girai i tacchi e me ne andai, lontano da loro, lontano dalla persona di cui mi ero innamorata, lontano da mio fratello, lontana dai giorni più belli di tutta la mia vita.
Non sapevo se mai sarebbe passato quel dolore atroce che mi riempiva il petto, a quanto ne sapevo una medicina non esisteva e neanche una terapia… esisteva solo il tempo e la forza di andare avanti.
 
My lungs gave out as,
 I faced the crowd,
 I think that keeping
 this up can be dangerous
I’m flesh and bone”.

 

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Capitolo 13
*** Too much ***


“I admit, I miss seeing your face babe,
And being alone is starting to take its toll,
I’m cold and it’s getting old”.

 
Era l’otto dicembre.
Erano passati ben quattro mesi da quando gli All Time Low erano tornati in America per dare il via al loro Tour invernale, che a detta di Jack ed Alex, andava a gonfie vele e si stavano divertendo davvero tanto, come del resto avevo immaginato.
Avevo sempre sognato di poter fare un tour mondiale, girare per tantissime città con un bus, una compagnia di amici ed esibirmi ogni sera cantando le mie canzoni, la mia storia. L’avevo visto tante volte nei DVD dei vari cantanti che mi piacevano e da quello che avevo visto, non poteva esserci cosa più divertente al mondo, anche se un po’ stancante.
Ero contenta di sapere che si stavano divertendo, era la cosa migliore che potessi augurargli, ma ammetto che un po’ ero invidiosa: avrei voluto divertirmi anche io come loro, ed invece ero nella disperazione più nera del nero.
Da quando se ne erano andati gli A.T.L., il mio sole interiore era calato bruscamente, ero di umore pessimo quasi tutti i giorni, mi chiudevo sempre in camera a chiave ad ascoltare i loro cd che mi ero comprata pochi giorni dopo la loro partenza, sconvolgendo Debbie e forse anche gli effetti metereologici, visto che il giorno dopo aveva iniziato a piovere quasi tutti i giorni, come dentro di me. Debbie ed i miei genitori erano gli unici con i quali parlavo, ma, come mi aveva detto Debbie, sembravo una mummia, quindi probabilmente prima o poi avrebbero perso la voglia di parlare con me. Avevo mandato Enrico al diavolo: si era rivelato un perfetto coglione che aveva cercato di rimettersi con me… per fortuna lo avevo “abbandonato” prima che potesse rimettermi le mani addosso. Ma ancora non mollava: avevo il cellulare pieno dei suoi messaggi di scuse, che ormai non leggevo neanche più, tanto erano tutti uguali, tutti patetici e nessuno di loro avrebbe mai potuto farmi provare qualcosa.
Ero spenta. Ero un pezzo di ghiaccio, che non riusciva né a sorridere, né a cantare.
Jack aveva mantenuto la sua promessa, aveva chiesto ad alcune case discografiche che si trovavano a Roma di farmi fare un provino per vedere se davvero ero brava e tutti erano andati una merda, una totale merda. Non ero riuscita ad aprire bocca, bloccata dalla paura di tutti quegli occhi critici puntati su di me e il fatto di essere depressa non mi aveva di certo aiutata. Quindi avevo rinunciato al mio sogno, lo avevo accatastato in un angolo e avevo detto a Jack di non prenotarmi più audizioni, cosa che lo aveva lasciato molto perplesso, soprattutto perché non gli avevo voluto spiegare il motivo… né a lui, né ad Alex, che era stato due minuti buoni ad urlare al telefono di dirgli cosa c’era che non andava, ma io non gli avevo risposto, anzi, gli avevo attaccato il telefono in faccia.
Non avrei mai creduto che la mia vita potesse diventare una vera merda… e invece lo era diventata! E tutto perché avevo un fratello famoso e mi ero innamorata del suo migliore amico, lo stesso famoso, che viveva in America, chilometri e chilometri lontano da me.
Ero seduta sulla sedia davanti al computer a fissare qualche immagine degli A.T.L. infierendo ancora di più sul mio stato di tristezza… ma non me ne importava. In un certo senso mi restituiva un po’ di serenità guardarli anche se attraverso uno schermo, fermi, con espressioni buffe stampate in faccia. Oltre alle foto e alle canzoni degli A.T.L., c’era un’altra cosa che mi rallegrava anche se di poco, una novità: i Simple Plan, una band canadese composta da cinque membri: Pierre, il cantante carino, Sebastian, il chitarrista con degli occhi spettacolari, Jeff, l’altro chitarrista, Chuck, il batterista e David il bassista. Era una band davvero speciale, mi ritrovavo molto nei testi che scrivevano,  molto più sentimentali rispetto a quelli degli A.T.L.
Li avevo conosciuti da dei video trovati su YouTube, e subito mi avevano colpita, così avevo passato quasi tutti i pomeriggi della mia inutile vita, ad imparare le loro canzoni e a cantarle immergendo la mia testa di ricordi.
Qualcuno bussò alla porta.
Non mi disturbai ad invitare colui che aveva bussato, ad entrare, tanto lo avrebbe fatto lo stesso.
Era Debbie.
<< Ciao Tella! Come stai? >>, mi chiese entrando in camera e facendomi un grosso sorriso.
<< Ciao >>, risposi pacatamente lanciandole un’occhiata neutra.
Debbie si avvicinò al computer ed abbassò il volume delle casse, che trasmettevano a tutto spiano “Too Much”. << Come stai? >>, mi chiese cercando di non badare al fatto che stavo immobile a fissare una foto di Alex.
<< Devo davvero risponderti? >>, le chiesi senza nemmeno guardarla.
Debbie si morse un labbro. << Penso di no… se devi rispondermi come tutte le altre volte… >>.
<< Sto come tutte le altre volte che me lo hai chiesto >>, la interruppi.
Debbie sospirò e si abbandonò sul letto. << Sono quattro mesi che te lo chiedo >>, disse in tono amaro.
<< Allora è tempo che tu non me lo chieda più >>.
Rimanemmo per un attimo in silenzio, con la musica che usciva quasi come un sussulto dalle casse.
“Too much of anything is too much,
Too much love can be too much”.

Improvvisamente, Debbie si alzò, mi tolse il mouse di mano con uno strattone e chiuse la pagina facendo scomparire Alex dallo schermo. << Ma che fai?! >>, sbottai lanciandole un’occhiataccia, che lei mi restituii con gli interessi.
<< Tella, devi smetterla di deprimerti! >>.
Continuai a guardarla impassibile.
<< Sono passati quattro mesi, cavolo! Non puoi continuare a stare chiusa qui dentro come un topo >>, continuò in tono severo, << questa camera inzia a puzzare e poi da quant’è che non ti fai una doccia? >>, lanciò un’occhiata ai miei capelli facendo una smorfia.
Alzai le spalle. << Bo’… non so neanche che giorno sia oggi, che mese o che ora sia , non me ne frega nulla >>, borbottai.
Debbie sgranò gli occhi. << Oh mio Dio! Ma ti senti quando parli?! >>, sbottò, << Hai perso completamente la testa, Tella! >>.
Feci ciondolare la testa da una parte all’altra, poi con un sorriso tirato dissi: << Non mi pare l’abbia persa, la sento >>.
Debbie mi guardò furiosa ed io immaginai il fumo uscirle dal naso e dalle orecchie, come in un fumetto. << Cazzo Tella, non sto scherzando! >>.
<< Non mi sembra che io stia ridendo >>, ribattei.
Debbie mi ignorò e continuò a parlare: << Stai facendo la muffa qui dentro, Tella. Da quant’è che non vedi la luce del sole? Da quant’è che non mangi? Sembri uno scheletro ambulante! >>.
<< Sono un vampiro >>, scherzai, ma subito venni colpita da una fitta atroce al petto.
Vampiro… Dracula… Alex.
<< Non sei un vampiro, sei un essere umano e ti stai uccidendo! >>, esclamò  sempre più indignata dal mio comportamento da strafottente. << E solo perché tuo fratello se ne è riandato? Avanti Tella, dovresti esserci abituata >>.
Un’altra fitta al petto. << Non ci sono abituata, sei anni fa è stato lo stesso, ma poi mi sono rassegnata >>.
<< E perché ora non ti rassegni di nuovo? >>.
La guardai torva. << Perché non ci riesco! Riusciresti a non pensare a tua sorella se fosse più grande e ci fossi più legata?! >>.
<< Probabilmente si! >>, sbottò, << Jack sta bene, si sta divertendo e tu dovresti essere contenta per lui, non dovresti somigliare ad una barbona! >>.
<< Non voglio essere contenta, voglio che lui torni da me…  >>, soffocai un singhiozzo, << e anche Alex >>.
<< Sei totalmente egoista! >>, esclamò Debbie, << Stai mettendo te stessa prima della loro felicità e questo non va bene >>.
<< Sti cazzi di quello che va bene e quello che non va bene, tanto le cose non possono cambiare, quindi chiudi la bocca e lasciami in pace, lasciami nella mia camera muffosa a morire, non mi interessa >>, dissi in tono irritato.
<< Sei completamente fuori! >>.
Mi alzai dalla sedia furente, ma quel movimento fu troppo brusco, ed  il mio corpo non aveva la forza necessaria a reggermi. Ebbi un giramento di testa e quasi come in un sogno, mi ritrovai seduta sul
pavimento della stanza, con il mondo che mi vorticava intorno ad un ritmo troppo veloce perché io potessi capirci qualcosa.
Debbie mi fu subito vicina, con le mani che mi sostenevano per non farmi sbattere la testa. << Cazzo Stella, vedi che cosa ti sei combinata? >>.
Chiusi gli occhi aspettando che la testa mi smettesse di girare.
<< Né Jack, né Alex vorrebbero che tu fossi ridotta così. La colpa non è loro, è solo tua: sei stata troppo stupida e debole per voler affrontare la situazione, quindi hai deciso di lasciarti andare al dolore e ti sei trasformata in una specie di mummia vivente >>.
Non ribattei nulla, sapevo che Debbie aveva ragione; non sarei mai dovuta arrivare a quel punto, avrei dovuto combattere, ma non ne avevo avuto la forza, avevo scelto la via più facile e mi era costato tanto… davvero tanto, più di quanto mi fossi mai accorta. Solo in quel momento, quando Debbie pronunciò quella frase, mi accorsi di essermi davvero ridotta ad un cadavere ambulante e se mai Alex o Jack mi avessero vista in quello stato, sarebbero inorriditi e avrebbero dato la colpa a loro stessi… ma in realtà era mia la colpa… anche del mio insuccesso nel canto, era stata tutta colpa mia.
Riaprì gli occhi e la fissai con le lacrime agli occhi. Chissà come dovevo averli rossi per tutti quei giorni passati a piangere. Prima di scoppiare in singhiozzi, riuscì solo a dire: << Mi dispiace Debbie >>.
La mia migliore amica mi sorrise anche lei prossima alle lacrime, e mi strinse a sé, mentre io davo un ennesimo sfogo alle mie emozioni , sperando fosse l’ultimo.
Dopo qualche minuto, Debbie disse asciugandosi le guance: << Adesso basta deprimersi, ho una cosa per te, che ti aiuterà a tornare come prima, ma mi devi promettere che dopo che te la darò, verrai con me di là, in cucina, a mangiare, che ti darai una lavata e farai passare un po’ d’aria in questa camera >>.
Annuì asciugandomi le ultime lacrime del mio dolore. << Va bene, ma che cos’è, un appuntamento dallo psicologo? >>.
Debbie sorrise raggiante. << Molto meglio! >>.
La sua allegria mi incuriosì, per la prima volta dopo mesi provai un’altra emozione a parte la tristezza e la malinconia.
Debbie si frugò nella borsa in cerca di qualcosa.
Mi ricordò molto il giorno in cui mi portò la foto di Dracula, anche se erano cambiate molte cose da quel giorno.
<< Ecco qui! >>, esclamò Debbie passandomi una busta bianca, che aprì subito, rompendo la carta.
Era un biglietto aereo. Per Baltimore.
Rimasi a fissare il biglietto totalmente paralizzata per le troppe emozioni che stavo provando in quel momento, totalmente contrastanti tra di loro, ma che finalmente riuscivo a provare di nuovo.
Il volo era fissato per il giovedì undici, verso l’ora di pranzo.
Le mani iniziarono a tremarmi dall’emozione. Avrei rivisto Jack… avrei rivisto Alex, le mie pene sarebbero finite, sarei tornata a sorridere e sarei tornata in America.
Sorrisi, un sorriso vero, che mi fece bruciare la mascella, non più abituata ad assumere quella posizione, ma non mi importò, stavo sorridendo!
<< Oddio Debbie! Questo è il miglior regalo in assoluto, è assolutamente fantastico… non ci posso davvero credere… è… non avresti dovuto… insomma… non ti ho proprio pensata in questi quattro mesi, dovresti avercela con me, non dovresti farmi questi regali >>, dissi accorgendomi del tono emozionato e totalmente normale  che avevo usato; la mia voce non era più rauca, era tornata normale.
Debbie mi sorrise e mi prese le mani tra le sue. Erano caldissime, o erano le mie gelate?
<< L’ho fatto per te, perché in questo stato non ti riesco a vedere, ti voglio troppo bene per vederti buttare via la tua vita in questo modo >>.
Ricambiai il sorriso e l’abbracciai. << Grazie, ti voglio bene anche io e…  mi dispiace, mi dispiace tanto non aver cercato di reagire >>.
<< Tranquilla, non è troppo tardi e non devi ringraziarmi, non ce n’è bisogno davvero. Il tuo sorriso mi basta e mi avanza come gesto di gratitudine >>.
Strinsi tra le mani il biglietto sorridendo a trentadue denti, continuando a ripetermi che avrei rivisto Alex, avrei riabbracciato Jack, sarei stata con loro.
<< Aspetta… ma non sono in tour? >>, chiesi.
<< Si prenderanno qualche giorno di pausa e torneranno a casa, dopo ti do gli indirizzi, così gli farai una
sorpresa >>.
Il mio sorriso doloroso, tornò a splendere ancora più raggiante. << Fantastico, sarà una cosa fantastica! Adoro il fatto che tu sia il capo del loro fan club! >>, l’abbracciai di nuovo.
Rise. << Prima lo odiavi >>, mi ricordò.
<< Ora lo amo! >>, esclamai scoppiando in una risata che da mesi non sentivo.
Mi staccò da se. << Ora però dobbiamo andare a mangiare, non puoi farti vedere da Alex pelle ed ossa, se no puoi anche scordarti che gli piacerai ancora! >>.
La guardai aggrottando le sopracciglia.
Come faceva a saperlo? Non glielo avevo mai detto, né della mia cotta per lui, né della sua cotta per me (almeno supponevo che ce l’avesse).
Debbie rise e mi aiutò ad alzarmi. << Si vede chiaro e tondo che ti piace e che tu piaci a lui >>, spiegò brevemente.
Mi accompagnò prima in bagno, dove mi feci una bella doccia rilassante e poi in cucina, dove mi rimpinzò come un tacchino il Giorno del Ringraziamento… che non ho la più pallida idea di quando si festeggi, essendo Italiana.
 
America, sto arrivando!

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Capitolo 14
*** From Rome to my home sweet home ***


-Let it roll-.
 
Partì dall’aeroporto di Fiumicino verso le nove di mattina e dopo otto ore lunghissime, rese ancora più interminabili dalla mia fretta di arrivare, arrivai a Baltimore che erano le undici di mattina, lì, ma in Italia erano le cinque di pomeriggio.
Chiamai i miei genitori e Debbie per avvisarli del mio arrivo. Mamma e papà erano stati contentissimi del regalo che Debbie mi aveva fatto e non avevano cercato di opporsi alla mia partenza, anzi, mi avevano aiutata a fare i bagagli e mi avevano preparato un sacco di snack per il viaggio insieme a molte riviste, un nuovo ipod – con dentro le canzoni degli A.T.L. e dei Simple Plan- e alcuni vestiti nuovi, della mia nuova taglia, un po’ più piccola di quella vecchia, ma stavo ricominciando a mettere su chili, quindi sarei tornata ad indossare presto la mia vecchia taglia, almeno lo speravo.
Debbie aveva avuto ragione a definirmi una mummia, quando quel giorno mi ero spogliata davanti allo specchio, ero stata vari minuti ad osservarmi spaventata. La mia pelle era pallidissima e sottilissima, tanto che mi si vedevano le ossa e le vene pulsanti, i capelli erano un groviglio di nodi, gli occhi due pozzi rossi con due borse gigantesche ed il mio viso era spigoloso come un comodino. Ero magra quanto Lady Gaga ed orribile come un cadavere.
Per fortuna, avevo ripreso un po’ di colore e anche un po’ di ciccia, i capelli erano tornati ad essere la cascata nera e setosa di sempre, gli occhi erano di nuovo marroni come quelli di Jack e le borse se ne erano andate grazie alle dormite tranquille che avevo fatto e anche grazie al trucco, che non avevo mai usato tanto, ma che nello stato in cui mi trovavo era d’obbligo, ecco spiegata anche la matita nera intorno agli occhi.
Non assomigliavo più ad uno scheletro: per quanta roba mi avevano fatto mangiare Debbie e i miei avevo messo su sei chili e le ossa si erano andate nascondendo a mano a mano, ma ero ancora troppo magra, non che fossi stata mai cicciona, ma rispetto a come ero prima ero ancora una sogliola! Jack ed Alex se ne sarebbero accorti, di sicuro, ma io gli avrei solo detto che mi ero messa un po’ a dieta. Non volevo raccontargli del brutto periodo che avevo passato, anche perché ora stavo bene ed era quella la cosa più importante.
Se a Roma faceva freddo, in America si congelava, c’era persino la neve, che io non vedevo quasi mai, solo quando qualche volta mamma e papà decidevano di andare a sciare in montagna, per il resto la vedevo solo in televisione. Fortunatamente indossavo dei jeans lunghi,  una maglietta bianca a maniche lunghe e sopra un giacchetto di lana, che mi riparava dal freddo.
Uscita dall’aeroporto, chiamai un taxi e gli diedi l’indirizzo di casa di Alex, che mi aveva dato Debbie facendomi giurare di non darlo a nessuno vivo o morto.
Ovviamente avevo anche quello di Jack, ma il mio cuore mi aveva spinta ad andare prima da Alex: non potevo più aspettare per rivederlo, volevo riabbracciarlo, sentirlo di nuovo vicino, sentire la sua voce… era stata un’astinenza atroce, ora avevo bisogno di rifarmi. E poi era palese che una volta arrivata da Alex, lui chiamasse anche gli altri per avvisarli della notizia… almeno che lui non mi fosse saltato addosso e mi avesse portato nella sua camera da letto…
Scossi la testa .
Stavo andando fuori, non sarebbe mai successa una cosa del genere e non doveva succedere.
Devo ricordarti cosa hai appena passato?
Mi chiese una voce nella mia testa.
No.
Le rispose.
Bene, perché se vai troppo in là con lui rischi davvero di peggio quando tornerai a Roma e sai che non saprai essere forte!
Sbuffai.
Come si permetteva una vocina fastidiosa di dirmi che non sarei riuscita ad avere la forza di andare avanti una volta tornata a Roma?
Questo lo dici tu sciocca vocina del cavolo!
La voce sparì ed io mi rilassai godendomi la vista delle strade piene di neve, che copriva anche i tetti delle case, rendendole ancora più belle in un certo senso.
Mancavano due settimane precise a Natale, chissà se sarei stata ancora lì. Non avevo un biglietto di ritorno, dovevo decidere io quando andarmene… speravo il più tardi possibile, ma comunque loro avrebbero continuato il tour dopo i due giorni di vacanza ed io che avrei fatto? Li avrei seguiti?
Il taxi iniziò a girare in varie stradine, con villette tutte dello stesso tipo: ad un piano, con il tetto sul blu chiazzato del bianco della neve, i muri dipinti di bianco, un giardino abbastanza grande sul davanti e recintate da una staccionata bianca.
Ero arrivata.
Il cuore iniziò a battermi forte, senza che io potessi farci nulla, ero troppo agitata ed emozionata al solo pensiero di riavere davanti agli occhi Alex, i suoi occhi scuri, il suo sorriso sghembo, i capelli lisci davanti alla fronte portati in modo scomposto, il fisico magro e muscoloso… oddio!
Mi sentì mancare quando il taxi si arrestò davanti ad una delle casette, che avevo già visto in una foto che Debbie mi aveva fatto vedere;  aveva detto di averla presa da internet, dove una stalker le aveva postate. La cosa mi aveva fatto alquanto rabbrividire, era incredibile come la gente impazzisse a volte! Cioè: andare a casa del cantante che ti piace ed iniziare a fare foto alla sua casa e a spiarlo era una cosa da pazzi! Io non lo avrei mai fatto, anche perché il cantante in questione potrebbe arrabbiarsi ed è meglio che lui non sappia della tua esistenza piuttosto che ti consideri una maniaca… o no?
Pagai il tassista, che scaricò i pochi bagagli che avevo portato e poi se ne andò salutandomi con un grande sorriso, che ignorai completamente troppo presa dal pensiero di Alex, a soli pochi metri da me… sempre se fosse stato a casa. Una luce proveniente da una finestra, rispose alla mia domanda.
Il cancelletto che univa la staccionata era aperto, così entrai trascinandomi dietro il trolley. Stavo per avviarmi alla porta per bussare con le mani tremanti e sudate, quando un abbaio mi fece trasalire. Mi girai un po’ perplessa, verso la fonte di quel richiamo acuto e mi trovai davanti un cagnolino, delle dimensioni di un volpino più o meno, che assomigliava molto alla razza Papillon, ma in realtà dedussi fosse un bastardino, dal pelo bianco, eccetto la parte delle orecchie fino a sotto gli occhi neri da cucciolo, che era di varie tonalità, iniziava dal marrone chiaro della punta delle orecchie, al marrone scuro dell’inizio della testolina e finiva con il nero del contorno degli occhi; aveva anche una macchina marrone chiaro su un fianco e un’altra sulla punta della coda. Era adorabile.
Il cane iniziò a scodinzolare guardandomi con la lingua penzoloni, pronto a farsi coccolare e a riempirmi di leccate che io definivo baci. Lasciai il trolley e mi chinai ad accarezzarlo.
<< Ma ciao piccolino >>, dissi massaggiandogli la testa.
Abbaiò.
Lo presi in braccio e mi accorsi del collare con il ciondolo a forma di osso che portava al collo. Lo presi tra le dita e lessi il nome: Sebastian.
<< Ciao Sebastian, lo sai che sei davvero carino? >>.
Sebastian, per tutta risposta mi leccò il naso abbaiando di nuovo.
Risi e continuai ad accarezzarlo, quando all’improvviso sentì uno scatto, come una serratura che viene aperta e subito dopo, udì la sua voce.
Iniziai a tremare in un modo incontrollato e sorrisi mentre il cane continuava a leccarmi la faccia.
<< Sebastian! Ma che fai?! Vieni dentro! >>, lo rimproverò Alex con tono brusco.
Sebastian ubbidì al comando e staccandosi da me corse verso Alex, il quale probabilmente non mi riconobbe visto che disse: << E lei, chi è? >>.
Gli davo le spalle, forse era per questo che non mi aveva riconosciuta. Mi venne da ridere, una risata di… benessere, gioviale.
Mi girai e lo guardai con un sorriso a trentadue denti. << Non mi riconosci più? >>, chiesi accennando ad una risata.
Alex spalancò la bocca e sgranò gli occhi sorpreso. Decisamente non si aspettava di vedermi.
Quando si riprese dallo schok, socchiuse gli occhi e mi studiò. << Stell, sei davvero tu? >>, mi chiese.
Quella voce era una melodia dolce e sensuale che fece fremere il mio cuore.
<< E chi dovrei essere, se no?! >>, chiesi fingendo di essere stizzita.
La bocca di Alex si aprì in un sorriso grande quanto il mio e prima che potessi accorgermene, mi corse incontro e mi abbracciò così forte che per un minuto non respirai.
Sapeva di bagnoschiuma, ed aveva i capelli leggermente umidi, segno che probabilmente si era appena fatto la doccia e questo non me lo face di certo desiderare di meno, anzi…
<< Ma sei dimagrita? >>, mi chiese staccandosi da me e guardandomi da capo a piedi.
D’oh!
Feci un sorriso, sperando risultasse vero e non nervoso come io lo sentivo. << Solo un po’ >>, risposi vaga.
<< Ma non ne avevi bisogno >>, disse aggrottando le sopracciglia.
Mi strinsi nelle spalle non sapendo che aggiungere.
Mi lanciò un’occhiataccia. << Dovrò provvedere io a farti riprendere qualche chilo >>.
Risi. << Va bene >>.
Mi tese una mano. << Vieni, andiamo dentro, non è un bene rimanere qui fuori al freddo >>.
Con le gambe tremanti, allungai la mano verso quella di lui e quando le nostre dita si toccarono non riuscì quasi ad evitare di sorridere per le scintille che mi attraversavano la palle. Intrecciai le mani con le sue, ma come sempre, nessuno dei due diede troppo peso a quel gesto che risultava così naturale.
Mi condusse dentro la villetta, che era calda e accogliente con un profumo che mi ricordava… Alex! Quella casa sapeva proprio di Alex, ma l’arredamento mi stupì molto. Insomma, la casa di un cantante te l’aspetti tutta disordinata, con buste di patatine e bottiglie di birre sparse sul pavimento o sul tavolo, spartiti e fogli nei posti più assurdi, chitarre sparse in giro, una montagna di vestiti da lavare… insomma un caos e invece la casa di Alex era uno splendore da cima a fondo, molto ordinata e davvero molto carina.
Percorremmo un piccolo corridoio dalle pareti bianche, come del resto tutta la casa, con il pavimento a mattonelle marroni, che si affacciava sulla cucina con i mobili ed i fornelli dello stesso colore del pavimento. Al centro della cucina, circondato dagli elettrodomestici, c’era un grosso tavolo alto, con sei sgabelli dai cuscini bianchi intorno. La cucina comunicava con il salotto, un’ampia stanza, con un lungo divano bianco al centro, posto davanti ad una tv al plasma con sotto un lettore dvd, una libreria rifornita di libri, dvd e cd, uno stereo abbastanza grande con casse altrettanto grandi ed un tavolino di vetro posto tra il divano e la tv. Nel muro che univa la cucina con il salotto, c’era una porta che dava su un altro piccolo corridoio con tre porte: una era il bagno tutto sull’azzurro, una la camera di Alex con un letto matrimoniale dalle coperte nere, un armadio, due cucce per cani ed uno specchio; l’ultima era una sorta di stanza ricreativa, con varie chitarre, una scrivania con un computer ed una playstation.
<< Benvenuta nella mia casa! >>, disse Alex sorridendo. << Non è chissà che cosa, ma a me piace >>.
<< No, no è davvero carina, mi piace >>, annuii.
Mi rivolse un sorriso sghembo. << Mi fa piacere >>.
Dopo avermi portato a fare un giro della casa e avermi fatto poggiare le valigie in camera sua, mi riportò in cucina, dove Sebastian stava gironzolando attorno al tavolo forse alla ricerca di cibo.
<< Lui lo hai già conosciuto >>, disse Alex indicando il cagnolino.
<< Già >>, concordai accucciandomi e facendo segno a Sebastian di venire da me. Lui obbedì e con un abbaio acuto trotterellò vicino alle mie ginocchia. << È molto carino >>.
<< Già, lo adoro, lui e Peyton sono la mia famiglia >>.
<< Peyton? >>, chiesi.
Alex mi fece segno di attendere, poi portando il labbro di sotto verso l’interno della bocca, fischiò. Ci fu un momento di silenzio, poi, ci fu un rumore di zampe sul pavimento ed ecco che comparve un altro cane da fuori la casa, entrato dalla porticina per cani sotto la porta, che prima non avevo notato. Era più grande di Sebastian, anche lui un bastardino bianco, con due macchie marroni chiaro intorno agli occhi ed una su un fianco; aveva un musino dolce, a differenza di quello di Sebastian che era più furbetto.
<< Lui è Peyton >>, disse Alex accarezzando dolcemente la testa del cane, che gli iniziò a leccare la faccia.
Sebastian corse da Peyton iniziando a girargli intorno, finché lui non si accorse della sua presenza ed insieme iniziarono a giocherellare, poi Peyton mi si avvicinò e mi diede una leggera leccata sulla guancia.
Risi.
<< Gli piaci, a tutti e due >>, disse Alex con aria soddisfatta.
<< Loro piacciono a me >>.
Alex mi sorrise e rimanemmo per cinque minuti contati, a guardarci senza dire nulla, ma le mie guance paonazze dicevano tutto.
<< Allora, posso offrirti qualcosa? >>, mi chiese alzandosi e dirigendosi verso la cucina.
Lo imitai e mi andai a sedere su uno degli sgabelli, prima di rispondere: << Un bicchiere d’acqua grazie, in aereo non ho fatto che mangiare gli snack che i miei mi hanno messo in borsa >>.
Ridacchio mentre apriva il frigo e ne cacciava una bottiglia d’acqua. << Allora, come mai sei qui? >>, mi chiese. << È… davvero una sorpresa… non ti aspettavo e poi vieni giusto in tempo per i nostri giorni di vacanza >>.
Mi porse il bicchiere d’acqua, che io sorseggiai sentendo improvvisamente una gran sete. << Mi mancavate >>, risposi sinceramente. << Ecco perché sono qui >>.
Alex si sedette sulla sedia accanto alla mia e mi fece un sorriso comprensivo.
<< Non era stato programmato da molto anzi, lunedì ho deciso di venire >>. Non era proprio la verità, ma non faceva nulla.
<< Uhm… ci scommetto che Debbie ti ha avvisato delle nostre vacanze, giusto? Non saresti mai venuta sapendo che potevamo non essere in casa >>, disse Alex con un sorriso divertito.
Arrossì per l’imbarazzo. << Si… ci hai preso in pieno, Debbie mi ha detto che sareste andati in pausa e mi ha anche dato i vostri indirizzi >>.
Alex annuì. << Ci scommettevo anche su quello >>, rise.
Mi strinsi nelle spalle. << Ha voluto solo aiutarmi, visto che ero un po’… giù >>.
Un po’?!
Tuonò una voce nei miei pensieri.
Con mia grande sorpresa Alex mi prese una mano e me la strinse tra le sue. << Ha fatto bene, anche tu mi mancavi… >>, diventò rosso, << o meglio ci mancavi… >>. Fece sgusciare le mani via dalla mia un po’ imbarazzato ed io dovetti soffocare una risata: era divertente vederlo imbarazzato, sembrava sempre tanto sicuro di sé.
Decisi di cambiare discorso. << Allora, siete già in vacanza oppure avete qualche altro impegno? >>, chiesi.
Alex sembrò sollevato dal cambio d’argomento e rispose con un sorriso: << In verità stasera ci sarebbe l’ultimo concerto prima dei due giorni di vacanza >>.
<< Davvero, dove? >>, chiesi.
<< A Philadelphia, dopo aver girato più o meno tutta l’America del nord, abbiamo deciso di fare una tappa più vicina a casa per poi continuare il giro con l’America centrale e poi anche l’Europa >>.
< < Wow! È fantastico! >>, esclamai.
<< Verso le sei andremo a fare le prove >>, continuò Alex.
<< Oh, allora io starò a casa di mio fratello, non voglio darvi fastidio >>, dissi.
Alex aggrottò le sopracciglia. << Non voglio che tu stia a casa di Jack! >>, esclamò, poi divenne nuovamente rosso e distolse lo sguardo prima di correggersi: << Insomma… voglio che tu venga, vedrai che ti divertirai. Puoi anche restare a vedere il concerto, per noi non c’è nessun problema, davvero >>.
Sorrisi. Non potevo rifiutare, l’idea di vedere un concerto dalle quinte era allettante e poi avrei visto un palco! Ci sarei stata sopra! Ci avrei camminato! Praticamente era come un sogno che diventava realtà.
<< Ok, se non do nessun fastidio accetto volentieri >>.
Alex mi sorrise. << Fantastico! >>.
<< Allora, come sono andati questi primi quattro mesi? >>, gli chiesi.
<< Alla grande, ogni sera è sempre un divertimento, con i ragazzi facciamo sempre un sacco di giochi, scherziamo sempre, facciamo a botte… >>.
Mi accigliai.
<< Ovviamente per finta >>, mi tranquillizzò.
Annuii.
Alex rimase per qualche minuto in silenzio, pensieroso, in cerca delle parole da usare. << Esibirsi è davvero un’esperienza fantastica, ci sono… milioni di persone che ti guardano, che ti acclamano perché per loro sei importante, ti considerano… quasi il loro Dio >>, rise. << Ogni volta che salgo su un palco, mi dico sempre di dare il meglio di me, perché non posso deluderli: loro credono in me, sono venuti lì per avere uno spettacolo da ricordare, un’esperienza mozzafiato e non vogliono andare a casa delusi, quindi mi concentro sulla musica ed inizio ad esibirmi con tutto me stesso >>.
<< Com’è trovarsi tutta quella gente davanti? >>, gli chiesi.
Io avevo sempre sognato di avere una folla buia di fronte, che urlasse il mio nome e che mi scattasse tante foto che poi avrebbero fatto vedere ai loro amici o che avrebbero messo su Facebook, vantandosi di essere venuti ad un mio concerto, ma non avevo la più pallida idea di che cosa si provasse davvero in quei momenti.
<< La prima volta che sono salito su un palco sentivo le gambe che mi tremavano >>, ridacchiò. << Ero agitatissimo, non sapevo se sarei riuscito a cantare e avevo paura di stonare o di sbagliare qualche attacco. La vista della folla non mi ha aiutato, erano talmente tanti, urlavano come matti e tutti mi fissavano… >>, fece una pausa. << Lo stomaco mi si stava contorcendo e mi sentivo come se dovessi vomitare, ma quando è iniziata la musica ho chiuso gli occhi concentrandomi solo sulle note ed ho iniziato a cantare. Quando poi mi sono sentito sicuro, ho aperto gli occhi ed ho affrontato la folla, sfoggiando un sorriso e beandomi delle loro urla >>.
<< È così ogni sera? >>.
<< L’agitazione c’è sempre, ma ormai ci sono abituato, lo faccio da tanto tempo >>.
Sorrisi. << Deve essere davvero fantastico >>, commentai sentendomi un po’ invidiosa.
Alex mi guardò. << Tranquilla, arriverà anche il tuo momento; se questo è davvero il tuo sogno allora si avvererà, basta crederci e  credere in se stessi >>.
Come al solito, le sue parole mi riempirono di fiducia e di calore, ma quel giorno, non mi convinsero, non dopo le orrende esperienze che avevo passato, non dopo essermi  imbarazzata davanti a varie case discografiche che mi avevano insultata e riso in faccia.
Cercai di non dar a vedere il mio disaccordo e sorrisi annuendo.
<< Tu che hai fatto in questi quattro mesi? >>, mi chiese.
Uhm… vediamo, ho pianto tutti e quattro i mesi, non ho mangiato quasi mai, ho mandato a fanculo Enrico, sono diventata una fan dei Simple Plan, mi sono depressa in un modo assurdo, sono diventata una mummia, non sono uscita mai di casa facendo preoccupare Debbie e i miei genitori ed ho imparato le vostre canzoni.
Pensai.
La maggior parte di quello che avevo fatto non glielo avrei mai potuto dire, quindi prima di rispondere mi creai un po’ di balle nella testa inventando scene ed azioni che non erano mai accadute, ma lui non lo avrebbe mai saputo. << Niente di molto importane, ho imparato le vostre canzoni grazie a Debbie, siamo uscite quasi tutti i giorni a fare shopping, ho scoperto una nuova band che mi piace e… sono andata a trovare i nonni… ah e ho fatto anche l’albero di Natale >>.
Ok, l’ultima era assolutamente pietosa, ma era meglio di nulla!
Alex ridacchiò. << Davvero hai imparato le nostre canzoni? >>.
Annuì. << Sono diventata una fan >>, mi strinsi nelle spalle.
<< Be’ sei la fan più fortunata di tutte >>, commentò.
<< Già, sono anche la sorella del chitarrista >>.
<< E un’amica del cantante >>, aggiunse Alex.
Un’amica… mah!
Pensai un po’ stizzita, ma mi scossi subito da quei pensieri tornando alla realtà e a come stavano davvero le cose tra me e lui.
<< Giusto >>, concordai.
<< Qual è la band che hai scoperto? >>, mi chiese.
<< Oh, sono i Simple Plan >>, risposi.
Alex annuì. << Oh si, li conosco, abbiamo fatto una canzone insieme >>.
Sgranai gli occhi. << Davvero? >>.
<< Certo, è nel loro nuovo album >>.
<< È l’unica che non ho sentito >>, risi vergognandomi un po’.
Alex si unì alla mia risata. << Tranquilla, te la faremo sentire >>.
<< Non vedo l’ora >>, sorrisi.
Incredibile: Alex conosceva i Simple Plan, era fantastico! Avrei dato oro pur di conoscerli e dirgli che erano stati la mia luce in un momento di buio, ma per dirgli questo avrei dovuto accertarmi che nessuno degli All Time Low fosse in ascolto.
Rimanemmo a parlare, quando qualcuno bussò alla porta.
I cani abbagliando, si diressero alla porta uscendo per annusare il novo arrivato, che con mia –non molta- sorpresa, si rivelò essere Jack.
Quando Alex aprì la porta, Jack era accucciato ad accarezzare i due cagnolini che gli saltavano addosso facendogli le feste.
<< Ciao Jack! >>, lo salutò Alex scoccandogli un sorriso.
<< Ehi Alex! Sei pronto per stasera? >>, gli chiese Jack continuando a prestare la sua attenzione ai cani.
Alex si girò e mi lanciò un’occhiata. << Molto più che pronto >>, rispose con un sorriso, che ricambiai arrossendo.
<< Be’, è una gioia sentirlo, da quando non ti mostravi così gioioso per un concerto, eh? >>.
Le spalle di Alex s’irrigidirono e la sua voce si incrinò un po’. << Ehm… lo sappiamo entrambi da quant’è… ma oggi è diverso >>.
Per la prima volta Jack alzò i suoi occhi marroni verso Alex alzando un sopracciglio. << Come mai? >>.
Alex si spostò dall’entrata proprio nel momento in cui io scesi dallo sgabello, per avvicinarmi di poco alla porta. Lo sguardo di Jack si spostò da Alex verso l’interno della casa e poi a me. La sua reazione fu come quella di Alex, completamente sbalordita, con gli occhi sgranati e la bocca a forma di “O”.
<< Wow, è così scioccante rivedermi? >>, chiesi ridacchiando verso Alex.
Alex si unì alla mia risata e annuii.
Jack lasciò perdere i cani, che rimasero abbastanza delusi da quell’interruzione di coccole, e mi si avvicinò a passo lento, finché non ci trovammo a pochi centimetri di distanza e allora mi abbracciò, circondandomi di amore fraterno, quell’amore che mi era mancato come l’aria. Era la cosa più bella che una persona potesse mai avere.
Chiusi gli occhi assaporando quel momento e godendomi il suono del cuore di Jack e del profumo di casa che emanava. 
<< Dio mio! Ma che ci fai tu qui? >>, mi chiese.
<< Vi ho fatto una sorpresa >>, risposi non accennando a staccarmi da lui. << Mi mancavate e Debbie mi ha detto che avevate due giorni di vacanza, così ho deciso di partire >>.
Dal tono allegro che assunse la sua voce, dedussi che stesse sorridendo. << Ma è grandioso, è… fantastico che tu sia qui, davvero, mi mancavi così tanto sorellina, mancavi a tutti >>.
Scostai il viso dal suo petto e alzandomi sulle punte gli scoccai un bacio sulla guancia che mi pizzicò le labbra data la barba.
<< Per quanto resterai? >>, mi chiese.
Alzai le spalle. << Non ho un biglietto di ritorno, quindi quando voglio o quando voi non mi vorrete più >>, risposi lanciando un’occhiata a tutti e due come per dire “se lo fate vi ammazzo”.
Alex si avvicinò. << Tranquilla, ti vorremo sempre qui >>.
<< Già, te ne andrai quando lo vorrai, per noi puoi restare anche per l’intero tour >>.
Lo guardai sgranando gli occhi. << Esagerato! Come facciamo ad entrarci tutti in un pullman? E poi il tour dura un anno, non posso stare lontano da casa per un anno, per quanto lo vorrei >>.
Alex e Jack si lanciarono uno sguardo silenzioso, come se stessero comunicando in silenzio. Probabilmente erano come me e Debbie, si capivano con una sola occhiata. << Ok, allora… te ne andari quando vorrai >>, concluse Jack.
<< Per ora godiamoci il tuo ritorno >>, aggiunse Alex, stringendoci tutti e due in un abbraccio.
Per la prima volta, dopo quattro mesi, mi sentivo di nuovo a casa.
 
“Let It Roll
Our time is fleeting
So we take control”.

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Capitolo 15
*** Under a paper moon ***


“Me and you, living under a paper moon,
Cause real life just isn’t right; lets fabricate…
Me and you, living under a paper moon,
This real life just isn’t right let’s get away, let’s fabricate”.

 
Per il resto della mattinata, Jack mi accompagnò a casa sua, dove mi sistemai. Alex ci accompagnò.
La casa di Jack era una villetta come quella di Alex, con un giardino all’esterno, una piccola cucina blu, comunicante con il salotto con un divano in pelle, una televisione gigante, una marea di dvd (tra cui anche porno… santo cielo!) e cd; anche lui aveva un piccolo corridoio che dava su quattro porte: un bagno, la camera di Jack, molto più incasinata di quella di Alex, con un letto matrimoniale, un armadio, vari poster di donne nude attaccati alle pareti ed alcuni giornaletti (di vari argomenti… immaginate voi!) e fogli sparsi per terra, la camera degli ospiti, di medie dimensioni, con un armadio, un letto, una scrivania ed uno specchio ed infine anche, come a casa di Alex, una stanza ricreativa, basata soprattutto sulla musica. Avrei preferito fermarmi a casa di Alex sia per l’ordine sia perché sarei stata con Alex, ma mi accontentai della casa disordinata di mio fratello.
Verso le sei e mezza, un furgoncino tutto nero dai vetri oscurati, ci venne a prendere a casa di Jack. Dentro ci aspettavano Zack e Rian che furono più che entusiasti di vedermi, alcune guardie del corpo e membri della crew della band, che Alex mi presentò definendoli come la sua famiglia oltre a Sebastian e Peyton.
Dovevano essere davvero molto legati per considerarsi una famiglia.
Non ci mettemmo molto ad arrivare a Philadelphia o forse fu il divertimento a farmi sembrare poco il tempo. Era da quattro mesi che non ridevo, quattro mesi che non mi faceva male la pancia per le risate… era una sensazione magnifica, non riuscivo a smettere di ridere, non per quanto fossero divertenti le battute che facevano gli altri, ma perché ridere mi faceva stare bene, mi riempiva di gioia, di serenità, mi faceva rendere conto di quanto avevo dimenticato in quei quattro mesi, di quante emozioni avevo soffocato costringendomi a non provarle quando invece mi avrebbero fatto bene. Era una fortuna che Debbie mi avesse salvato; quando sarei tornata a casa l’avrei ripagata e avrei passato tutti i giorni con lei, per ricordarle che le volevo bene e che senza di lei non sarei stata nulla.
Il furgoncino ci fece scendere davanti ad un imponente stadio che mi fece rimanere a bocca aperta per venti secondi, finché Alex non mi prese sotto braccio e mi trascinò verso l’entrata dello stadio. Entrammo dal “dietro le quinte”, dove c’era un vero e proprio intreccio di corridoi che conducevano: ai bagni, ai vari camerini, al bar, alla sala relax ecc. Se non stavi attento rischiavi di perderti per quanto era grande quel posto.
Gli All Time Low si sistemarono nei loro quattro camerini, uno per ognuno. Io mi intrufolai in quello di Jack, che posò i vestiti per la serata e si buttò su di un divano di pelle rossa. << Non vedo l’ora di dormire, domani >>, disse chiudendo gli occhi.
Mi sedetti ai piedi del divano, spostando le sue gambe di qualche centimetro per far entrare il mio sedere ormai magro. << Non puoi dormire domani, devi stare con me! >>, borbottai facendo finta di essere infastidita.
<< Si, contaci proprio sorellina >>, disse in tono sonnolento.
Gli diedi un leggero schiaffo su un braccio. << Io ti vengo a trovare e tu neanche mi dedichi il tuo tempo? >>, mi lamentai stizzita.
Jack annuì facendo un sorriso divertito.
Gli pizzicai una guancia. << Stronzo >>.
Aprì gli occhi e mi lanciò un’occhiataccia. << Io, stronzo? Ma come ti permetti! >>, esclamò con finta rabbia.
Gli mostrai la lingua tra una risata e l’altra.
Si alzò di scatto e mi prese tra le braccia, ma invece di abbracciarmi, iniziò a farmi il solletico alla pancia, facendomi ridere come una matta.
<< Ti prego smettila! >>, urlai con le lacrime agli occhi.
Con mia sorpresa, Jack ubbidì e mi lasciò andare, nello stesso momento in cui Alex fece capolino dalla porta. << Che sta succedendo qui dentro? >>, chiese scrutandoci attentamente.
Mi asciugai le lacrime cercando di riprendermi. << Nulla, Jack mi ha fatto il solletico >>.
Alex sorrise e lanciò un’occhiata a Jack nello stesso momento in cui lo feci io.
L’espressione di Jack era una maschera pensierosa, non più divertita come lo era stata pochi secondi prima. Sia io che Alex, aggrottammo le sopracciglia.
<< Jack, che succede? >>, chiese Alex avvicinandosi all’amico.
Jack lo guardò come se si fosse accorto solo in quel momento che ci fosse, poi guardò me e disse: << Sei dimagrita? >>.
Mi si strinse lo stomaco in una morsa fastidiosa. << Si >>, riuscì a dire con tono sicuro.
<< Pensavo di  essermi sbagliato quando ti ho guardata, ma in realtà è vero… sei una sogliola !>>, continuò scrutandomi da capo a piedi.
Mi strinsi nelle spalle con aria noncurante mentre in realtà mi sentivo come se stessi per vomitare. << Volevo perdere qualche chilo, niente di che >>.
Purtroppo, le mie risposte non facevano che incuriosire Jack, che mi conosceva e anche Alex, che seguiva ogni mio gesto molto attentamente.
<< Non mi sembra ti sia mai dispiaciuto il tuo fisico, eri perfetta >>, continuò.
Con la coda dell’occhio scorsi Alex che annuiva.
Lanciai un’occhiata stizzita a Jack, anche se non lo ero. << Be’ grazie tante, potevi usare altri mezzi per dirmi che non ti piaccio così! >>, sbottai e mi alzai dal divano per uscire dal camerino.
<< Ehi Tell aspetta, non è quello che intendevo dire! >>, disse, ma io preferì uscire, non ce la facevo a mentirgli ancora, ma non potevo nemmeno dirgli la verità, sarebbe stato peggio.
Senza incontrare nessuno, mi avviai verso il bar, dove mi appostai alla macchinetta esaminando tutti i vari prodotti cercando quello più grasso, così da mettere su altri chili e non avere più nessuno che mi venisse a chiedere “sei dimagrita?”. Che poi che problema c’era se anche ero dimagrita di qualche chilo? Forse pensavano fossi diventata anoressica ecco perché tanta preoccupazione.
Scelsi una barretta di cioccolato ed infilai le monetine nel buco apposito.
Mi odiavo per essermi rovinata il corpo e anche un po’ lo stomaco, ma mi odiavo soprattutto perché stavo mentendo alle due persone che contavano di più nella mia vita e quello non andava affatto bene; sarei finita all’inferno con tutte quelle bugie.
Presa dai miei pensieri, non mi accorsi della presenza di qualcuno alle mie spalle e quando mi girai per andarmene, sobbalzai trovandomi davanti Zack.
<< Scusa, non volevo spaventarti >>, disse visibilmente dispiaciuto.
<< Tranquillo, è stata colpa mia, ero persa nei pensieri >>, risposi sorridendogli.
Ricambiò il sorriso e abbassò gli occhi verso la mia barretta di cioccolato. << Non stavi a dieta? >>, mi chiese.
Per miracolo non gli mollai un calcio.
<< Non ti ci mettere anche tu, per favore >>, dissi esasperata.
<< Oh, no, non ti preoccupare, non ti voglio far nessuna pressione o cose del genere, chiedevo soltanto >>.
Scossi la testa. << No, comunque non sto a dieta, lo sono stata, ma… è stato solo un periodo, ora sto riacquistando quello che ho perso >>.
Zack mi scrutò attentamente con i suoi occhi verdi. <<È una cosa inutile perdere chili per poi riacquistarli>>.
Mi strinsi nelle spalle.
Ma che cavolo! Ora dovevo mentire pure a Zack? Ma perché non lasciavano stare l’argomento?
<< Non è che sei diventata anoressica, sei svenuta e ti hanno portata all’ospedale dove ti hanno detto di prendere chili? >>.
Mi accigliai, sconvolta da quella storia, che mi fece ancora più innervosire.
<< No! Non sono anoressica e neanche mi sono mai messa a dieta! Dio mio ma pensate davvero che avrei voluto dar via il fisico perfetto che avevo? Ma usatelo il cervello no! >>, quasi urlai spaventando Zack, con il quale me la stavo prendendo per nulla. Sospirai. << Scusa Zack, non volevo alzare la voce con te >>.
Scosse la testa, ancora un po’ scioccato dalla mia reazione. << Tranquilla è comprensibile che tu reagisca così e mi dispiace averti fatto questa domanda >>.
Improvvisamente mi venne una strana voglia di buttar fuori la verità, di dirla almeno a qualcuno che non si sarebbe preoccupato o che se la sarebbe presa con con se stesso, così con voce pacata dissi: << Il vero motivo per il quale sono dimagrita è che sono uscita da poco da una specie di crisi che rischiava di portarmi alla morte >>.
Zack sgranò gli occhi per lo stupore. << Ma stai dicendo sul serio? >>, mi chiese con una nota di preoccupazione nella voce.
Annuì dispiaciuta.
<< Ma… perché? Che ti è successo? >>, continuò.
Sospirai. << Non dirlo a nessuno… è successo tutto dopo che ve ne siete andati. Mi sono sentita terribilmente sola senza Jack e Alex che non sono più voluta uscire; ho iniziato a saltare i pasti, a chiudermi in camera a piangere su i ricordi del mese che abbiamo passato insieme… insomma mi sono depressa e ho mandato all’aria molte cose, tra cui anche le mie audizioni con le case discografiche… >>, sospirai di nuovo. << Non ho avuto la forza ed il coraggio di affrontare la situazione, così mi sono ridotta come uno straccio, una mummia, che non faceva altro che piangere e stare sdraiata su un letto. So di aver sbagliato e so che non è colpa né di Jack, né di Alex , è solo colpa mia che… non ho saputo affrontare la cosa; ma se glielo dicessi si sentirebbero in colpa e io non voglio questo, non voglio che poi si sentano obbligati a stare sempre con me, perché non è questo che voglio >>.
Mi stupì di come ero riuscita a tirare fuori tutto senza pentirmi di averlo detto. Zack mi aveva ascoltato senza muovere un muscolo e senza giudicarmi. Quando, dopo essermi guardata per vari minuti i piedi, spostai lo sguardo verso di lui, vidi che stava annuendo. << Hai pienamente ragione, di sicuro si sentirebbero responsabili e questo non sarebbe bello >>, fece una pausa. << Mi dispiace per quello che ti è successo, ma hai capito da sola lo sbaglio che hai fatto e spero proprio che non lo ripeterai, perché sarebbe da sciocchi e da perdenti, senza offesa >>.
Scossi la testa. << No, no, hai pienamente ragione >>.
Mi mise una mano su una spalla magra e me la strinse. << Non avercela con te stessa, non ne vale la pena e non ti preoccupare, non dirò nulla né a Jack, né ad Alex, né a nessun altro. Il tuo segreto è al sicuro >>.
Gli sorrisi grata. << Grazie mille >>.
Mi sorrise e con mi stupore disse: << Adesso capisco perché Alex e Jack si sentono così protettivi con te >>.
Gli lanciai un’occhiata interrogativa, ma prima che potesse spiegarmi, un uomo dai capelli neri corti ci venne vicino e disse a Zack che stavano iniziando le prove. Mangiai velocemente la mia barretta e segui Zack verso il palco, dove gli altri si erano già posizionati. Il palco era abbastanza grande da far entrare una decina di ballerini tra Alex, Jack e Zack, e Rian. Sotto il palco c’era uno spazio ampio che quella sera avrebbe ospitato i milioni di fan, che avrebbero occupato anche gli spalti posti a semicerchio di fronte al palco.
<< Wow >>, sussurrai davanti a quello spettacolo di luci colorate, fili intricati, casse giganti, una grossa batteria e una moltitudine di chitarre e microfoni.
Jack spostò lo sguardo verso Zack che entrò prima di me andandosi a mettere al suo solito posto, ovvero alla sinistra di Alex, che stava armeggiando con il microfono. Quando Jack mi scorse, lasciò la sua chitarra e mi venne vicino.
Pregai di potermi lasciare quella storia alle spalle.
<< Tell, mi dispiace tanto, non volevo offenderti davvero, per me sei bella sempre… comunque sei >>.
Scossi la testa. << Jack, non sono arrabbiata con te, non ti devi dispiacere, davvero… ma non ti devi nemmeno preoccupare, non sto più a dieta, è stata solo roba di qualche mese >>.
<< Ma sei praticamente pelle ed ossa! >>.
<< No, non è vero, sto iniziando a non essere più pelle ed ossa >>, ribattei.
<< Mi domando perché tu lo abbia fatto >>, sbottò lanciandomi un’occhiataccia.
Mi strinsi nelle spalle. << Mi ero vista cicciona, ma mi sbagliavo stavo bene ed ora sto recuperando al mio errore >>.
Sbuffò. << Sei una stupida >>.
Non mi offesi, aveva ragione. << È vero >>.
Prima che potesse continuare, mi allontanai e con l’aiuto di uno dei bodyguard, scesi dal palco ed iniziai a girovagare per la grande platea vuota, cercando di immaginarmi una massa di gente che acclamava il mio nome, con alcuni striscioni in mio onore…
<< Stell? >>, mi chiamò la voce amplificata di Alex.
Mi girai a guardarlo. Ero lontana dal palco, non mi ero accorta di aver camminato tanto mentre la mia fantasia volava come un uccellino in cielo.
<< Che stai facendo? >>, mi chiese ridacchiando.
<< Nulla! >>, urlai per farmi sentire.
<< Non ti perdere >>, disse Jack unendosi alla risata di Alex.
Gli mostrai la lingua e gli diedi di nuovo le spalle continuando a passeggiare mentre loro iniziavano a suonare. Quando riuscì a trovare delle scale, mi andai a sedere sugli spalti godendomi le prove e cantando a bassa voce insieme ad Alex che ogni tanto mi faceva un occhiolino e invece Jack mi salutava, come anche Zack.
Riconobbi tutte le canzoni e la maggior parte delle volte dovetti trattenermi dal saltare in piedi ed iniziare ad urlare come un’ossessa. Al mio posto Debbie lo avrebbe fatto. Prima della fine delle prove, uscì dalla porta più vicina ritrovandomi in un corridoio bianco e chiamai Debbie, alla quale raccontai della preoccupazione di Alex e Jack, della casa ordinata di Alex, del modo in cui mi ero sfogata con Zack e del concerto.
<< Lo sapevo che il mio Zack era uno dolce, avrei tanto voluto essere al tuo posto >>.
<< Se vuoi ti faccio chiamare >>, proposi.
<< Cosa? >>.
Immaginai la faccia della mia migliore amica diventare paonazza solo al pensiero.
<< Se vuoi ti faccio chiamare, di sicuro non gli dispiacerà >>.
<< Ma no! >>, esclamò Debbie, ma sapevo che in realtà il suo “no” era un “si”.
<< Dai! >>, la spronai.
<< Ma che cosa gli dovrei dire…? >>, mi chiese nervosa.
<< Mmm… non lo so… potrei farti chiamare domani, così gli chiedi del concerto e che cosa farà in questi due giorni… oppure chiedigli del tour >>.
<< Mmm… mi sembrano buone idee >>, commentò.
<< Su, non ti costa nulla! >>.
La sentì sospirare come se darmi ragione le stesse costando tanto, ma sapevamo tutte e due che lei voleva farlo. << Ok, va bene, lo farò >>.
<< Brava, allora domani ti faccio chiamare >>.
<< E se non vuole? >>, mi chiese preoccupata.
<< Lo vorrà, tranquilla >>.
Ricordavo ancora il modo in cui Zack aveva guardato Debbie all’aeroporto mentre se ne stavano andando, di sicuro per lei non aveva solo qualche attenzione come l’avrebbe avuta per qualche altra fan, per lei c’era interesse.
<< Mi fido della tua sicurezza, visto che lo conosci più di me >>.
Parlammo per un altro po’, poi richiusi il telefono e tornai sugli spalti, ma le prove erano già finite e non c’era praticamente nessuno, né della band, né della crew, né dei bodyguard. Ero sola.
Scesi gli spalti e grazie ad una scaletta posta al lato del palco, ci risalì e mi guardai intorno cercando l’ombra di qualcuno, ma era tutto nel più completo dei silenzi. Metteva un po’ di inquietudine: quel posto era fatto per ospitare il chiasso, non il silenzio. Fissai la platea, che sembrò fissarmi implorante.
Voleva che cantassi, ed io volevo cantare.
Quasi come se avesse sentito il mio desiderio, Jack comparve dalle quinte con una chitarra classica in mano. Lo fissai.
<< Ehi Tell, ti stavamo cercando, dov’eri finita? >>, mi chiese poggiando la chitarra a terra ma continuando a tenerla con una mano.
<< Ero uscita a chiamare Debbie e quando sono rientrata non c’eravate più, così sono scesa >>, spiegai.
<< Stavo venendo a cercarti >>.
<< Con una chitarra? >>, chiesi.
Jack annuì facendomi un sorriso radioso. << Si, voglio farti una specie di regalo >>.
Lo guardai aggrottando le sopracciglia. << Quale? >>.
Sollevò la chitarra e passò una mano sulle corde facendole vibrare. << Voglio che tu canti >>.
Lo guardai quasi sgranando gli occhi. << Cosa? Perché? >>.
<< Perché è tanto che non lo facciamo e poi so che ti piacerebbe suonare qui sopra, anche senza pubblico >>.
Mi morsi un labbro.
 Aveva ragione, da quando ero entrata in quel posto avevo avuto la voglia sfrenata di iniziare a cantare, di camminare sul palco immaginandomi di avere davanti una folla urlante da stupire.
Volevo cantare su un palco da quando ero piccola e quella era l’occasione buona per farlo, anche perché lì non c’era nessuno: io e Jack eravamo completamente soli e non avrei avuto paura, non mi sarei bloccata.
<< L’ho capito quando hai iniziato a guardarti intorno; te lo si leggeva negli occhi >>, mi sorrise di nuovo e mi abbracciò stringendomi alla chitarra, che mi soffocò.
<< Ok, allora >>, mi staccai dall’abbraccio prima di svenire per la mancanza di ossigeno. << Che pezzo vogliamo fare? >>, chiesi.
Io e Jack suonavamo sempre da piccoli… o meglio, lui suonava ed io cantavo, facevamo le cover di molte canzoni, soprattutto di Avril Lavigne.
<< Io ricordo solo Complicated >>, si strinse nelle spalle a modi scusa.
<< Va bene >>, acconsentì.
<< Fantastico! I fratelli Barakat tornano ad esibirsi! >>, esclamò andandosi a sedere su una della casse poco distante dal centro del palco, dove ero posizionata io.
Impugnai il microfono che poco prima aveva usato Alex, con il cuore che batteva all’impazzata per l’emozione.
Stavo per cantare di nuovo.
<< Pronta? >>, mi chiese Jack.
Annuì chiudendo gli occhi per concentrarmi sulla musica.
Il suono familiare e bellissimo della chitarra classica riempì lo stadio e dopo i primi accordi della melodia dolce di Complicated, nell’enorme stanza rimbombò anche la mia voce.
 
“Chill out whatcha yelling' for?
Lay back it's all been done before
And if you could only let it be
you will see
I like you the way you are
When we're drivin' in your car
and you're talking to me one on one but you've become”

 
Aprì gli occhi e questa volta davanti a me non vidi un enorme stadio vuoto, ma un enorme stadio pieno, con ragazzi urlanti, uomini della sicurezza, musicisti alle mie spalle che suonavano e anche Jack, che suonava una chitarra elettrica e stava dando il meglio di se.
 
“When you've become
Somebody else round everyone else
Watching your back, like you can't relax
Trying to be cool you look like a fool to me”.

 
Il palco era tutto mio, camminavo avanti e indietro cantando e muovendomi al ritmo della canzone.
Mi sentivo bene, senza pensieri, la musica mi aveva portata in un altro mondo.
 
“Tell me
Why you have to go and make things so complicated?
I see the way you're acting like you're somebody else gets me frustrated
Life's like this you
and You fall and you crawl and you break
and you take what and you get and you turn it into
honesty
promise me I'm never gonna find you fake it
no no no”.

 
Jack finì di suonare e così finì anche quella specie di sogno nel quale mi ero buttata, ero tornata al presente, alla realtà, con tutti i suoi problemi.
<< Fantastica! Davvero, sei stata meravigliosa >>, esultò Jack dandomi un bacio su una guancia. << Non riesco proprio a capire perché tu sia andata male nelle audizioni, qui hai cantato divinamente >>.
Sospirai toccando nervosamente il microfono. << Qui ci siamo solo io e te, Jack >>.
Jack mi fece un mezzo sorriso e cercò di tirarmi su con qualche pacca sulla spalla.
<< Non è vero >>, disse improvvisamente una voce che riconobbi subito.
Io e Jack ci girammo.
Alex era in piedi, sotto il palco che ci guardava con le mani incrociate al petto.
<< Alex? Che ci fai qui? >>, gli chiese Jack alzando un sopracciglio.
<< Ero venuto a cercare Stella di sopra, poi mi sono affacciato e vi ho visto, così sono rimasto ad ascoltare >>, spiegò, poi spostò lo sguardo verso di me e aggiunse con un sorriso sghembo: << Sei davvero brava >>.
Arrossi e mi sentì nervosa al solo pensiero che Alex mi avesse appena ascoltata cantare. << Oh… ehm… grazie >>, balbettai.
<< Jack e Debbie avevano ragione, hai una voce bellissima ed il tuo talento non dovrebbe andare sprecato >>, continuò Alex.
Per non far notare il mio graduale arrossimento, mi avvicinai all’asta del microfono e lo rimisi sopra, ma lo stavo ancora aggiustando quando Alex disse: << Perché non canti con me? >>.
Le mie mani si bloccarono ed il microfono cadde sul palco facendo stridere le casse così forte da costringerci a tapparci le orecchie con le mani. Ripresi in mano il microfono con mani tremanti. Di tutte le cose che Alex Gaskarth avrebbe potuto dirmi, quella era la più assurda e terrificante di tutte, ma che stuzzicò la parte di me in cerca di adrenalina e di un futuro da cantante.
<< Wow! Se ti avesse chiesto di sposarlo avresti fatto cadere tutta l’asta? >>, chiese Jack massaggiandosi le orecchie.
Gli lanciai un’occhiataccia, sia per la presa in giro, sia per l’esempio che aveva usato: ci mancava solo che mi creassi una fantasia di me ed Alex in procinto di sposarci.
Alex ridacchiò, ma il suo sguardo era volto ancora a me, segno che stava aspettando una risposta, quindi non avrei potuto semplicemente non badare all’argomento.
<< Non lo so >>, sospirai mettendo ben fermo il microfono sull’asta.
<< Come non lo sai? >>, chiese Alex sorpreso.
Ci pensai su. << No, non è un non lo so, ma un no >>.
<< No? >>, chiese di nuovo Alex guardandomi come se fossi pazza. << Ma ti sto proponendo di cantare davanti ad un pubblico vero, stasera, ad un vero concerto… un nostro concerto! >>.
Scossi la testa. << Non voglio cantare >>.
<< Ora hai cantato e mi sembravi felice >>.
<< Si, ma… è una cosa diversa, qui non c’era assolutamente nessuno a parte te che non ho visto >>.
Alex salì su una specie di cassa posta ai piedi del palco e con un passo si ritrovò sullo stesso piano mio e di Jack, che lo guardammo sbalorditi.
Alex mi puntò addosso i cupi occhi marroni. << Non ti ricordi quello che mi hai promesso all’aeroporto quattro mesi fa? >>.
Distolsi lo sguardo da quello bruciante di rabbia di lui. << Si, me la ricordo, ma la cosa non è così facile come sembra ed io… non ho più voglia di fare figure del cavolo! >>, esclamai ricordando la faccia divertita del produttore della casa discografica mentre io rimanevo con la bocca aperta ad aspettare la voce che non mi era uscita.
<< Ma quale figure del cavolo? >>, sbottò.
<< Non puoi capire, tu non hai mai avuto problemi a cantare, a te non hanno mai riso in faccia! >>.
Alex sembrò sorpreso e così anche Jack.
<< Riso in faccia? >>, chiese Jack.
<< Ti hanno riso in faccia? >>.
Sospirai. << Si, perché non sono riuscita a cantare >>, spiegai sentendo un nodo alla gola.
<< Oh >>, sibilò Alex abbandonando la sua espressione arrabbiata per una dispiaciuta.
<< Lasciamo perdere, non voglio parlare di questo, ormai è passato e io… sono decisa a non ripetere mai più
una cosa del genere, quindi Alex togliti quest’idea dalla testa e andatevi a preparare per il concerto >>, dissi in tono severo.
Alex e Jack si lanciarono un’occhiata, poi insieme si strinsero nelle spalle e si diressero verso le quinte.
<< Comunque grazie per avermelo proposto >>, aggiunsi prima che sparissero tra i tendoni.
 
Il concerto inizio molte ore dopo. Quella giornata sembrò interminabile e piena di problemi che continuavano a perseguitarmi. I ragazzi stavano andando alla grande, ed io stavo facendo il tifo al meglio, urlando come una fan sfegatata da dietro le quinte, sorridendo ogni tanto ad Alex, che si girava a posta per farmi l’occhiolino, cosa che mi faceva andare in iperventilazione, non solo perché era sexy quando lo faceva, ma anche perché voleva dire che non era più arrabbiato per il mio rifiuto del cantare con lui. Cantai tutte le canzoni, accennando alcuni passi di danza, non badando agli sguardi perplessi di alcuni uomini della sicurezza. A “Do you want me dead”, si unì a me anche il pelato che avevo conosciuto il primo giorno di luglio passato con gli A.T.L. che finalmente scoprì si chiamasse David e che quel giorno mi sembrò molto più simpatico del primo giorno in cui lo avevo visto… forse era la magia della musica dei ragazzi.
Dopo una buona decina -e anche di più-, di canzoni, gli A.T.L. si ritirarono nelle quinte per una piccola pausa, così da poter bere ed asciugarsi dal sudore che praticamente li invadeva, soprattutto Alex e Rian: sembrava che si fossero buttati sotto una doccia aperta.
Approfittai anche io della pausa per andare a bere e vedere in che stato ero. La stilista della band, aveva voluto conciare anche me bene, dicendomi che per un concerto ci voleva un look adatto, così mi aveva fatto indossare una gonnellina a scacchi rosa e nera, sotto dei pantacollant neri, una maglietta a maniche lunghe un po’ scollata sempre nera e come scarpe delle All Star rosa. Sembravo una sorta di Avril Lavigne bruna. Uscì dal camerino di Jack mentre lui si passava ancora una volta un asciugamano sul petto nudo e mi avviai di nuovo verso la mia posizione, dove Alex mi stava aspettando, ancora leggermente sudato, ma con i capelli messi in ordine ed una maglietta nuova e profumata.
<< Ehi Alex! >>, lo salutai mentre mi avvicinavo.
<< Stell! Eccoti finalmente! >>, esclamò venendomi incontro.
<< Che c’è? >>, gli chiesi curiosa.
Cacciò dalla tasca dei jeans, un foglio bianco piegato, lo aprì e me lo porse. << La conosci? >>, mi chiese.
Guardai il foglio.
Under A Paper Moon.
Era il testo della loro canzone.
Guardai Alex che mi sorrise sghembo.
<< Che ci dovrei fare? >>, gli chiesi con voce tremante.
La risposta la sapevo già, ma il solo pensarla mi faceva venire mal di stomaco.
<< Devi cantarla, con me, ho già diviso le parti, vedi? >>, mi indicò le parti evidenziate in rosa.
Lo guardai a bocca aperta non sapendo se arrabbiarmi, se scappare via oppure se approfittare della situazione e andare fuori a cantare.
<< Alex… io… io te l’ho già detto >>, dissi continuando a guardare il foglio in preda all’agitazione.
Mi parlò stringendomi le mani tra le sue e  guardandomi in modo implorante ma dolce. << Lo so Stell, so che mi hai detto di aver paura, ma io non voglio che tu rinunci a quest’opportunità! Puoi diventare qualcuno e non puoi far sì che la paura te lo impedisca! Ti faresti solo del male ed io non voglio vederti triste, voglio che tu viva il tuo sogno >>.
Ero indecisa, totalmente indecisa. Non volevo far dispiacere Alex, ma non volevo neanche fare una brutta figura; ma dopotutto volevo cantare, volevo diventare famosa e per farlo dovevo affrontare molti ostacoli… non potevo fermarmi al primo.
Aprì la bocca emettendo solo vari suoni strozzati, dovuti al tormento che avevo nello stomaco.
Alex mi guardò aggrottando le sopracciglia.
<< Non so se ce la faccio Alex, mi sta già facendo male lo stomaco per il nervosismo… >>, dissi cercando di far scivolare le mani via da quelle di lui, ma la sua stretta era forte e sapevo con certezza che per nulla al mondo mi avrebbe lasciata andare finché non lo avessi accontentato.
<< Tu ce la puoi fare, dentro di te hai il coraggio per farlo, ti basterà concentrarti sulla musica, pensa solo alla musica >>.
Scossi la testa tormentata dall’indecisione. Non c’era tempo di pensare, dovevo prendere una decisione.
<< Ti prego >>, mi implorò. << Fallo per me >>.
Rimanemmo a fissarci negli occhi. Quei bellissimi pozzi scuri mi stavano pregando di cantare, mi stavano pregando di farlo per lui, perché lui voleva vedermi felice ed io sapevo di non essere felice senza il canto.
La canzone la sapevo a memoria, per quello non c’era problema e nemmeno per la divisione e per il resto… avrei solo dovuto chiudere gli occhi.
Prima che potessi comunicargli il mio verdetto, lui avvicinò il suo viso al mio e con il respiro caldo che mi solleticava la pelle sussurrò: << Io credo in te >>.
Sorrisi, nonostante il nervosismo, contagiata dal pompare forte e allegro del mio cuore.
<< Va bene , ci sto >>.
Mi sorrise radioso e mi abbracciò. << Tranquilla, andrà tutto bene, se mai ti dimenticherai una parola o non ti ricorderai quando cantare, guarda me, io ti suggerirò e ti starò accanto, ti prometto che non te ne pentirai Stell >>.
Mi strinsi ancora di più a lui. Mi fidavo di lui, con lui accanto avrei saputo cantare davanti ad una folla… si, ce l’avrei fatta.
Mentre Alex andava a dare la buona notizia agli altri, io ripassai i miei attacchi circondata da un gruppo di persone che mi attaccarono una sorta di microfono al dietro della gonna per poi mettermi un auricolare nell’orecchio dal quale avrei sentito la musica.
I minuti prima di andare in scena furono i peggiori, pieni di agitazione e un po’ di rabbia nei confronti di Alex che aveva organizzato tutto prima che io dessi il mio consenso; anche i vestiti che la sarta mi aveva fatto indossare erano già stati scelti.
Prima di rientrare in scena, Jack mi accarezzò un braccio. << Vedrai che andrà bene >>, mi sorrise.
Annuì quasi impercettibilmente troppo presa dall’agitazione per spiccicare anche una sola parola. 
Jack uscì dalle quinte, accompagnato da urla acute che mi fecero sentire ancora più male.
E se non fossi piaciuta al pubblico? Se non mi avessero nemmeno acclamato? Probabilmente nessuno di loro sapeva della mia esistenza o come fossi fatta…
Rian iniziò subito a picchiettare con le bacchette su uno dei piatti, mentre Alex si avvicinava al microfono con un sorriso sghembo che fece esaltare le fans.
<< Ok gente, stasera per Under a Paper Moon, ci sarà un cambiamento >>.
Udii la folla emettere vari versi di sorpresa.
 << Stasera, non la canterò da solo, ma sarò accompagnato da una mia nuova amica >>.
La folla era in silenzio… forse per la curiosità?
<< La conoscete di sicuro, perché cari ragazzi, questa ragazza è la sorella del nostro Jack >>.
Il cuore mi esplose nel petto non appena sentì le urla dei fan, che non erano urla di disprezzo o qualcosa del genere, erano urla di gioia.
<< Già, proprio così, stasera con noi c’è la mia sorellina >>, disse Jack facendomi l’occhiolino.
Mi sentivo morire.
<< Ebbene, date un caloroso benvenuto a Stella Barakat! >>, urlò Alex nel microfono aprendo un braccio verso la mia direzione, come per indicarmi.
Riuscì a farmi coraggio e ad ordinare alle mie gambe di muoversi. Mi sembrò che il tempo andasse a rallentatore: il mio cuore che batteva forte, Alex che mi guardava sorridente, Jack che applaudiva seguito da Zack, la folla urlante, i miei passi tremolanti verso il palco, il rimbombo del suono emesso dalla batteria nelle orecchie.
Uscì dalle quinte e mi ritrovai di nuovo il grande stadio davanti, ma questa volta pieno e non me lo stavo immaginando, era davvero pieno; pieno di ragazzi che saltavano, che urlavano, che facevano foto. Stavano facendo delle foto a me!
Sorrisi alla folla e salutai con una mano. Ero troppo nervosa per parlare e salutare a voce quella massa di fans, quindi mi limitai a quello e a raggiungere Alex verso il centro del palco.
Presi in mano il microfono dall’asta e mi girai verso Alex.
<< Sei pronta? >>, mi chiese
Annuii stringendo forte il microfono con le mani intinse di sudore. Guardare la folla mi metteva paura, mi sentivo osservata come un leone allo zoo e… mi veniva da vomitare.
Alex mi si avvicinò. << Non guardare loro, guarda me, pensa a me e alla musica >>, mi sussurrò, poi mi sorrise. << Stendiamoli tutti >>.
Non potei fare a meno di ricambiare il sorriso, anche se dentro continuavo a sentirmi come una palla sullo stomaco… oppure era il mio stomaco che era diventato una palla.
Alex diede il tempo e la musica partì, lasciandomi con un orribile groppo in gola che per fortuna riuscì a far scendere.
Alex iniziò a cantare le prime frasi della prima strofa, con una scioltezza che invidiai.
Di nuovo, mi sembrò come se tutto andasse a rallentatore: le labbra di Alex che si muovevano veloci vicino al microfono, il mio cuore che batteva all’impazzata… l’arrivo del mio turno.
Nello stesso momento in cui aprì la bocca per cantare, sentì la mano di Alex stringersi alla mia e allora ebbi il coraggio di guardare la folla e cantare.
 
Baby, don’t yell,
You’re tearing a hole right through the walls of everything we used to know,
I’m building a place, something amazing,
Just for the sake of saving us,
From under the sun,
Two plastic hearts with nowhere to run,
We’re rolling the dice on whatever’s left,
‘cause God only knows that we could use the rest…”.

 
Il ritornello lo cantammo insieme, con le voci che combaciavano perfettamente in un’armonia dolce, che colpì anche i fan che ne sembravano ammaliati come da un bellissimo sogno.
 
“Me and you, living under a paper moon,
Cause real life just isn’t right; lets fabricate…
Me and you, living under a paper moon,
This real life just isn’t right let’s get away— let’s fabricate”.

 
Quando anche Alex staccò il suo microfono dall’asta, ci allontanammo dall’iniziò del palco continuando a cantare, a tenerci per mano e a guardarci, come se fossimo l’unica cosa presente in quella grande stanza, come se fossimo l’unica che contava.
 
“I’m building a place, something amazing just for the sake of saving us,
And whatever’s left of that little box that beats in your chest”.

 
Per l’ultimo ritornello, appoggiò la sua fronte imperlata di sudore, contro la mia e continuammo a cantare così, uniti nei corpi, nelle voci e nell’anima.
Sorrisi con una voglia matta di ridere dal sollievo; non avevo fatto una brutta figura, era andato tutto bene, ed io mi ero esibita per la prima volta, davanti a tanta gente, con il ragazzo del quale mi ero innamorata, l’unico che aveva il potere di calmarmi, di farmi stare bene, di farmi sentire a casa, completa e farmi dimenticare del mondo intero.
In quel momento come mai prima dall’ora, sentì di provare qualcosa di più profondo per Alex, più profondo di tutto l’affetto del mondo, più profondo del mare e grande come il cielo.
Lo amavo, ne ero più che certa; ma oltre a sentirmi contenta, dentro, ero anche molto timorosa di quello che avrebbe potuto comportare quel grande sentimento.

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Capitolo 16
*** Gust ***


Is this what it feels like Finding out,
that I’ve got the guts to say anything.”
 
Quella mattina mi ero svegliata verso le sette Americane, in Italia sarebbero state le tredici. Odiavo il fuso orario; ora capivo cosa aveva provato Jack i primi giorni che aveva passato in Italia. Per tutto il giorno non avevo fatto altro che stare al computer ad ascoltare un po’ di musica e ad inviare email a Debbie sulla sera precedente, su quanto mi ero divertita a cantare e soprattutto quanto mi ero sentita sicura con la vicinanza di Alex.
Lei mi aveva mandato un’ email con su scritto che avrebbe voluto tanto vedermi fidanzata con Alex, ma io non ero sicura che quel suo desiderio si potesse avverare, il nostro avvicinamento ed i miei sentimenti profondi non cambiavano la situazione in cui eravamo, anzi la peggioravano facendomi temere sempre di più il momento della nostra separazione.
Quando finì di “messaggiare” con Debbie, tornai verso la cucina, dove mi versai un po’ d’acqua in un bicchiere, prima di crollare sul divano. Presi in mano il telecomando ed iniziai a fare zapping tra i canali cercando qualcosa di interessante, finché sullo schermo non apparve una scritta grande e bianca che diceva: “I SIMPLE PLAN HANNO ANNUNCIATO IL LORO NUOVO TOUR!”.
Wow!
Pensai mettendomi a sedere di scatto e avvicinandomi al televisore, ma non appena lo feci, la pubblicità finì con un’altra scritta: “Per maggiori informazioni andate sul sito… bla bla”.
Mi alzai di scatto per andare di nuovo al computer, quando il telefono squillò. Tentennai un po’, cercando di decidere se rispondere oppure no, visto che quella non era casa mia, ma non potevo lasciarlo squillare così che Jack si svegliasse.
Presi il telefono.
<< Pronto? >>.
<< Stell, sei già in piedi! >>, esclamò Alex dall’altro capo del telefono.
Sorrisi come una scema. << Ehi Alex! Si, lo sono da tante ore >>.
<< Fuso orario? >>, chiese.
<< Fuso orario >>, confermai.
<< Dai, ti ci abituerai >>, mi rassicurò.
Se mai resterò per tanto tempo.
Pensai.
<< Già, lo spero >>.
<< Jack dorme ancora, vero? >>.
<< Si, è quello che dovresti fare anche tu, sei in vacanza solo per due giorni, devi riposarti al meglio >>.
<< Preferisco non perdere tempo con il dormire, soprattutto se tu sei qui >>.
Arrossii violentemente, diventando dello stesso colore di un pomodoro. << Ehm… oh… be’… >>, balbettai non sapendo cosa rispondere. << Mi fa piacere >>, risposi infine sentendomi ridicola.
<< Comunque ti ho chiamata per una notizia molto importante >>.
<< Davvero? Quale? >>.
<< Ho visto l’articolo sul giornale e anche i commenti positivi dei fan, li ha visti anche la nostra casa discografica, che mi ha proposto di scrivere una canzone insieme >>.
Il mio cervello si fermò sull’ultima frase da lui pronunciata. “Mi ha proposto di scrivere una canzone insieme”.
Una canzone io ed Alex! Oh cielo! Era la notizia più bella che mi avessero mai dato.
Aggrottai le sopracciglia, concentrandomi per un attimo sulla frase iniziale che aveva detto Alex: “Ho visto l’articolo sul giornale e anche i commenti positivi dei fan…”.
Ma quale giornale?
<< Scusa, hai detto “giornale”? >>, chiesi con espressione interrogativa.
<< Si, non è arrivato da voi? >>.
Fissai la porta ricordandomi all’improvviso di aver sentito una sorta di botto qualche ora prima…
<< Aspetta, controllo >>, dissi poggiando il telefono sul tavolo e dirigendomi di corsa alla porta. L’aprì e sullo zerbino, notai subito il lungo rotolo bianco. Lo presi e tornai dentro; lo aprì e rimasi a bocca aperta quando lessi il grande titolo posto sopra una foto di me ed Alex che cantavamo con le fronti attaccate e sorridevamo.
“All Time Low in concerto a Philadelphia, con  la partecipazione davvero speciale di Stella Barakat”.
Ripresi in mano il telefono non staccando gli occhi dal giornale.
<< Oh cazzo! >>, esclamai.
La risata di Alex rimbombò nel ricevitore.
<< C’è il mio nome su un giornale! >>, continuai incredula.
<< Già e anche molti commenti dei fan, leggi sotto >>.
Lessi l’articolo sotto la foto, dove evidenziati c’erano alcuni commenti rilasciati dai fan, tutti, come aveva detto Alex, positivi, molto positivi.
 
Ho trovato Stella davvero una bella ragazza, somiglia molto al fratello”.
Diceva il primo commento lasciato da un ragazzo di nome Michel.
“Ha una voce fantastica!”.
“Lei ed Alex formano proprio una bella coppia!”.
“Stella ed Alex hanno delle voci davvero straordinari e messe insieme mi hanno fatto venire i brividi!”.
“Il miglior concerto del mondo, finalmente abbiamo visto la sorellina di Jack!”.
“Cazzo che spettacolo! Magnifica!”
“Un po’ troppo magra, ma la voce è super”.
 
I commenti erano centinaia, occupavano più o meno tutto l’articolo.
<< Non ci credo >>, dissi quando ebbi finito.
<< Credici Stell, ieri sera sei stata magnifica >>.
<< Ehi, qui c’è scritto anche di te!>>, gli feci notare. << Dicono che stiamo bene insieme >>, continuai.
<< Già, hai letto il commento dei brividi? >>.
<< Si e penso che sia davvero… fantastico, ho fatto provare brividi a qualcuno, gli ho trasmesso emozioni e… questo è quello che sogno da tutta una vita >>.
<< Sono contento che tu sia felice >>.
<< Tutto questo è grazie a te Alex, se non avessi organizzato tutto, adesso io non sarei in prima pagina >>.
<< Ti serviva solo qualcuno che ti spronasse a farlo, che ti facesse vedere che non c’era nulla da temere >>.
<< Ci sei riuscito alla perfezione direi >>.
<< Grazie >>.
Me lo immaginai con il suo solito sorriso sghembo stampato in faccia.
<< Comunque, torniamo alla canzone… >>, disse. << Io ci sto, sarebbe fantastico scrivere una canzone con te >>.
Cercai di mantenere la voce calma anche se stavo quasi saltellando dalla gioia. << Anche per me va bene >>.
<< Fantastico, ti va se iniziamo da oggi? >>.
<< Ma certo, a che ora? >>.
<< Facciamo per le quattro a casa mia? Ti porterò allo studio di registrazione di Baltimore >>.
<< Ok, va bene, allora ci vediamo alle quattro >>.
<< Si >>.
Rimanemmo in silenzio per vari secondo, poi un po’ imbarazzati tutti e due ci salutammo e riattaccammo.
 
Per le quattro, Jack mi accompagnò a casa di Alex, completamente entusiasta per l’opportunità che mi era stata data.
<< Quel ragazzo è un genio! >>, esclamò.
Era l’ottava volta che lo diceva da quando glielo avevo detto.
<< Si, l’ho capito >>, commentai.
Jack non badò al mio commento.
<< Mi raccomando, fai la brava e non combinare casini nello studio >>, si raccomandò.
Lo guardai storto. << Ma che casini dovrei mai combinare? Devo solo scrivere una canzone >>.
Jack si strinse nelle spalle. << Tutto è possibile >>.
Alzai gli occhi al cielo.
<< Divertiti, io ti aspetto a casa >>, sorrise e mi baciò la fronte.
<< Va bene, a dopo Jack >>, lo salutai scendendo dalla macchina.
Non appena fui davanti al cancelletto, Peyton e Sebastian sbucarono da dentro la porta e mi corsero incontro abbaglianti e scodinzolanti.
<< Ma ciao! >>, li salutai piegandomi per accarezzarli.
Alex aprì la porta della casa e prima di venire da me salutò Jack con la mano, che se ne stava andando.  << Ehi Stell! >>, mi salutò avvolgendomi in un abbraccio.
Ricambiai l’abbraccio con il cuore galoppante.
<< Allora, sei pronta per metterci a lavoro? >>, mi chiese finito l’abbraccio.
<< Certo! >>, confermai.
<< Bene, allora andiamo, non vedo l’ora di vedere cosa esce fuori >>, sorrise.
Era allegro come un bambino libero nel parco giochi.
<< Ok, la tua macchina è quella? >>, gli chiesi indicando una decapottabile nera ferma davanti alla villetta.
<< Oh, si, è mia >>, confermò lui.
<< Mi piace >>, dissi.
Avevo sempre avuto un debole per le decapottabili.
Salutammo i cagnolini, che Alex riportò dentro casa impedendogli l’uscita dalla loro apposita porticina e poi insieme salimmo sulla macchina e partimmo verso lo studio di registrazione, dove la nostra canzone avrebbe avuto origine.
Avevo pensato molto nelle poche ore dopo la telefonata di Alex e avevo finalmente preso la decisione di chiedere ad Alex se lui fosse Dracula, ma non lo avrei fatto con una domanda esplicita, sarebbe stata la nostra canzone a chiederglielo.
<< Sei nervosa? >>, mi chiese Alex dopo un po’.
Mi girai verso di lui. I capelli castano-biondi splendevano alla luce del sole ed il vento li faceva oscillare leggermente, come in una pubblicità. Il sole risplendeva sulla sua pelle chiara, donandogli una sorta di bellezza da dio greco, soprattutto con quei muscoli così in bella vista sotto la maglietta attillata…
<< Ci sei? >>, mi chiese ridacchiando e girando la testa verso di me.
Mi ripresi dalle mie fantasie e distolsi lo sguardo per non far vedere il leggero arrossamento delle mie guance. << Si, ero un po’ sovrappensiero, ma non perché io sia nervosa: scrivere una canzone non mi preoccupa… anzi, ho già un’idea >>.
<< Davvero? Quale? >>.
Scossi la testa sorridendo. << Quando saremo in studio te lo dirò >>.
Mi lanciò un’occhiata interrogativa. << Sono curioso… non puoi darmi almeno un indizietto? >>.
<< No, mi dispiace >>.
Sbuffò.
Con la coda dell’occhio continuai ad osservarlo. Guidava bene, non era spericolato e in più la sua postura  e i muscoli delle braccia tesi gli davano un’aria terribilmente sexy, che avrebbe fatto invidia anche ad un attore di Hollywood.
<< Ci saremo solo noi nello studio? >>, chiesi.
<< Si, ho detto di voler lavorare in pace e silenzio >>.
<< Dobbiamo anche incidere un demo? >>.
<< Già, ma non preoccuparti, per quello arriverà un tecnico dopo >>.
Annuì. << Va bene >>.
Sorrisi al solo pensiero. Avrei inciso un demo di una canzone, una mia canzone!
<< Mi piace quando sorridi >>, disse improvvisamente Alex ed io ringraziai il vento per avermi coperto il viso con i capelli.
Non sapevo cosa rispondere a quell’affermazione, ero completamente impreparata… quindi invece di dire cavolate, preferì rimanere in silenzio, coperta dalla montagna di capelli.
Alex accese la radio per coprire il silenzio imbarazzante che si era creato.
Dopo minuti che sembrarono infiniti, arrivammo davanti allo studio, una piccola casetta dai mattoni
marroni ed il tetto nero.
<< Non ha l’aria di uno studio di registrazione >>, dissi togliendomi la cintura mentre Alex parcheggiava proprio di fianco alla villetta.
<< Lo so, ma è il migliore della zona >>.
Scendemmo dalla macchina ed entrammo nello studio, che con mia sorpresa era aperto, anche se dentro non c’era assolutamente nessuno.
<< Lo lasciano così aperto? >>, chiesi.
<< Il proprietario se ne sarà andato qualche minuto fa >>, disse Alex richiudendosi la porta alle spalle.
Lo studio era abbastanza ampio, con una sorta di carta da parati pelosa color marroncino, abbinata al pavimento di mattonelle. C’erano vari macchinari davanti al vetro rettangolare che divideva la stanza con la sala di registrazione, dove sostava un microfono, due sedie ed una chitarra.
<< Il nostro posto sarebbe lì giusto? >>, chiesi indicando la porta che conduceva alla sala di registrazione.
<< Già, proprio lì >>, annuì Alex aprendo la porta per farmi passare.
La sala era insonorizzata e lo si capiva da quella specie di triangoli di spugna attaccati lungo tutto i muri. Dietro al microfono e alle due sedie, era stato messo un tavolo, dove appoggiai la mia borsa e Alex le chiavi della macchina.
Mi tolsi il giacchetto e così fece anche Alex. Lì dentro faceva abbastanza caldo.
<< Allora, fammi vedere la tua idea! >>, esclamò visibilmente curioso.
Annuii anche se con il cuore in gola.
Prima di andare da Alex avevo buttato giù su un quaderno, qualche frase per iniziare la canzone, così da fargli capire il contesto e –se fosse stato Dracula- fargli continuare la canzone . Se Dracula non fosse stato lui allora la canzone avrebbe cambiato tema.
Presi il quaderno e glielo passai con mano tremanti ed un peso fastidioso allo stomaco.
Alex aprì il quaderno e iniziò a leggere le poche righe che avevo scritto, dell’inizio e del ritornello.
<< Quella notte di Halloween… >>, lesse il titolo non esprimendo nessuna emozione. Continuò la sua lettura in silenzio e la cosa mi fece preoccupare ancora di più. Probabilmente non era Dracula e si stava chiedendo da dove avessi cacciato una simile storia o una così orribile canzone.
Mi morsi un labbro.
Quell’idea non era stata poi così intelligente.
Alex alzò lo sguardo verso di me, ed io mi sentì come se mi avessero inchiodata al pavimento. Ogni muscolo del mio corpo era bloccato dalla paura. << Di quale Halloween stai parlando? >>, mi chiese.
<< Quello di tre anni fa >>, risposi muovendo la mascella tremante. Facendomi un po’ di coraggio aggiunsi: << Ero a New York… in gita >>.
I suoi occhi continuarono a guardarmi inespressivi, non riuscivo a capire cosa stesse pensando o cosa stesse provando. Era lui Dracula?
Alex rilesse le parole della canzone senza dire nulla.
Non potevo aspettare, ero a pochi passi dalla verità e orami non potevo rimangiarmi quello che avevo fatto quindi… perché non continuare?
<< La mia classe era stata invitata ad una festa in una discoteca… ma… non era una festa di Halloween normale, ci si doveva vestire da super eroi >>.
Alex non alzò lo sguardo verso di me.
<< Quella sera conobbi un ragazzo, che a differenza di tutti si era travestito da Dracula e aveva indosso una maschera che lo copriva tutto. Sono rimasta tutta la notte con quel ragazzo, ma non ho mai saputo la sua vera identità. A fine serata ci siamo salutati, lui era mezzo ubriaco quindi non so se si ricordi di me, ma io da quella sera non l’ho mai scordato >>.
Ancora nessuna reazione.
<< Io ero travestita da Wonder Woman >>.
Alex puntò lo sguardo verso di me ed il mio cuore iniziò a battere veloce come a comando.
Era lui o non era lui?
L’attesa mi snervava, mi faceva venir voglia di scuotere Alex e urlargli di dirmi qual’era la verità, se quelle che lui aveva con Dracula erano delle semplici coincidenze oppure se era davvero lui quel vampiro simpatico del quale mi ero innamorata in una notte sola e che non mi ero mai accorta di aver riavuto accanto per tutto quel tempo.
<< Lui si ricorda di te >>, disse Alex all’improvviso.
Sorrisi rimanendo per un attimo senza respiro.
Dracula era lui.
<< Sei davvero tu? >>, gli chiesi con dei pizzichi fastidiosi agli occhi.
Alex mi sorrise sghembo. << Già, sono quel Dracula e tu sei Wander Woman, quella ragazza che non ho mai scordato per quanto mi aveva colpito >>.
Lo abbracciai.
Lo avevo ritrovato, il mio desiderio alla fontana di Trevi si era esaudito, Dracula era con me… lo era da molto tempo.
<< Oddio non ci posso credere! Sono tre anni che aspetto questo momento…  >>.
<< Anche io, non sai quanto ti ho pensata in tutti questi tre anni >>.
Ridacchiai. << Ora capisco perché non volevi toglierti la maschera e non volevi rivelarmi il tuo nome >>.
Rise con me. << Non era perché ero brutto >>.
Si ricordava! Ricordava quello che c’eravamo detti, ricordava di avermi incontrata.
Quando ci staccammo dissi: << Sinceramente avevo qualche dubbio che fossi tu, ma non volevo chiedertelo per paura che non fossi tu >>.
<< Allora meno male che hai scritto questi pezzetti di canzone, se no non ci saremmo mai ritrovati >>.
Già, meno male!
Rimanemmo a guardarci negli occhi, con sorrisi idioti ma felici stampati sul viso.
<< Direi che questa canzone uscirà meglio del previsto >>, disse Alex riprendendo il quaderno in mano.
Iniziammo a scrivere i vari pezzi facendo a turno e cercando di associare le parole ad una melodia, che Alex creò in pochissimo tempo, probabilmente inspirato da tutta quella faccenda.
Ciò che ne uscì fuori fu una vera e propria canzone d’amore, basata sul nostro primo incontro da Dracula a Wonder Woman. La melodia era lenta all’inizio, ma andava crescendo mano a mano soprattutto durante i ritornelli, per poi scendere di nuovo verso la fine.
Eravamo molto soddisfatti e contenti di quello che avevamo fatto ed anche il capo della casa discografica ne fu entusiasta e ci fece subito incidere il demo.
 
Quella notte di Halloween.
 
Ora capisco cosa sto provando.
È un sentimento più profondo del mare.
I giorni di attesa e di desideri,
alla fine sono finiti.
 
Quella notte avevi una maschera,
pallida come la luna piena
Quante volte l’ho rivista nei miei sogni
Credendo che tu fossi realmente qui
Ma quando aprivo gli occhi ero sempre sola.
 
Da quella notte non ti ho mai dimenticato
Ti ho aspettato per tanti anni,
sono durati un’eternità.
E ora che ti ho ritrovato vorrei dirti
 
Ehi Dracula! Sono qui!
Guardami negli occhi come hai fatto quella sera.
Provi quello che provo io?
Un sentimento tanto forte  e vero da durare così a lungo?
Se non è così
allora ti pregherò solo di restare con me
come in quella notte di Halloween.
È stato come il famoso “amore a prima vista”
una freccia di cupido nel cuore.
È stato così straziante andare avanti
ma ora sei davanti a me
e non voglio più nasconderlo
sono innamorato di te da quel giorno
in cui i nostri sguardi si sono incrociati
e non si sono mai lasciati.
 
Da quella notte non ti ho mai dimenticata
Ti ho aspettata per tanti anni,
sono durati un’eternità
E ora che ti ho ritrovato vorrei dirti
 
Che ti amo
e non ti lascerò mai.
 
Ehi Dracula! Sono qui!
Guardami negli occhi come hai fatto quella sera.
Provi quello che provo io?
Un sentimento tanto forte  e vero da durare così a lungo?
Se non è così
allora ti pregherò solo di restare con me
come in quella notte di Halloween.
 
Quando sei con me la confusione sparisce
Mi sento protetta
e so che il mio posto è accanto a te
 
Non preoccuparti amore,
dovunque andrai io sarò sempre con te
viviamo in mondi diversi,
ma noi abbiamo la forza di cambiare le cose.
 
Prendi la mia mano, da oggi non sarai più sola
 
Sei la persona che aspettavo da tutta la vita.
 
Sarò al tuo fianco Dracula,
qualunque cosa accadrà,
anche se il mondo ci dividerà.
 
Ehi Dracula! Sono qui!
Ehi Wonder Woman! Sono qui!
Guardami negli occhi come hai fatto quella sera.
Provi quello che provo io?
Un sentimento tanto forte  e vero da durare così a lungo?
Se non è così
Allora ti pregherò solo di restare con me
come in quella notte di Halloween.
 
Ehi Dracula! Ti amerò
Fino alla fine.
 
Resta con me
Come in quella notte di Halloween”.
 
Chiusi la borsa e me la rimisi in spalla, pronta per tornare a casa, soddisfatta e al pieno della felicità. Alex mi si avvicinò e mi consegnò una copia del demo.
<< Oh, grazie >>, dissi prendendolo e mettendomelo nella borsa.
Alex mi sorrise sghembo, ma per circa cinque secondi, poi si fece inaspettatamente serio ed abbassò lo sguardo verso i suoi piedi.
<< Qualcosa non va? >>, gli chiesi.
Sorrise mantenendo lo sguardo incollato ai piedi. << No, nulla solo che… >>.
<< Che? >>.
Alzò lo sguardo. << Mi chiedevo se… ti andrebbe di uscire con me… stasera >>.
La mia bocca diventò un deserto, la saliva mi si prosciugò tutta facendomi rimanere a secco e senza possibilità di proferire nessuna parola, quando avrei voluto urlare un gioioso e sonoro “si”, che avrebbe fatto tremare i muri di quel piccolo studio.
Ci volle un po’ prima che riuscissi a convincere me stessa della realtà di quelle parole, erano state per tanto tempo frutto dei miei sogni che sentirle pronunciare dal vero sembrava irreale.
Prendendo tanti bei respiri, riuscì a sorridere e a dire: << Mi piacerebbe molto >>.
Ebbi la sensazione che anche Alex volesse urlare così forte, di felicità, da far tremare le pareti, ma tutti e due ci astenevamo tenendo quell’ “urlo” per un altro momento, magari quando saremo stati ognuno a casa propria.
A proposito di casa, come la mettiamo con Jack?
Mi chiese una vocina nella mia testa.
Il sorriso di Alex era il più luminoso della storia dei sorrisi luminosi, mi dispiaceva spegnerlo, ma Jack era un “problema” importante, che andava affrontato.
Aspettai di arrivare in macchina per tirare fuori l’argomento.
<< Alex… abbiamo un problema >>.
Alex mi lanciò un’occhiata preoccupata. << Quale? >>.
M’indicai la faccia sperando che capisse a chi mi stavo riferendo, ma a quanto pare il messaggio non arrivò ne forte ne chiaro.
<< La tua faccia? >>, chiese aggrottando le sopracciglia.
<< No! >>, sbottai. << Jack! >>.
<< Oooh! >>, commentò Alex ridacchiando, poi il suo sorriso si spense e si mordicchiò un labbro. << Hai ragione… non avevo pensato a Jack >>, disse in tono quasi triste.
<< Se glielo diciamo non la prenderà bene >>, dissi.
Alex annuì. << Già, molte volte prima che venissimo a Roma mi ha detto di non provarci con te, perché si sarebbe molto arrabbiato >>.
<< Lo ha detto anche a me… cioè non di non avvicinarmi a te, ma che non voleva che tu ci… “provassi” >>.
Alex concentrò lo sguardo sulla strada, perso nei suoi pensieri.
Avevo paura potesse ritirare l’invito, solo perché mio fratello si sarebbe incavolato come una bestia. Non volevo rinunciare all’uscita –forse- più bella della mia vita, sulla quale avevo già iniziato a fantasticare… soprattutto sulla plausibile fine…
Non fraintendete, le mie fantasie erano proiettate tutte verso il secondo bacio, non verso altro; non sapevo ancora se sarei stata pronta a lasciar andare la mia verginità, avevo ancora paura.
<< Non voglio rinunciare all’uscita >>, dissi sbalordendo me stessa per il coraggio che avevo appena dimostrato.
Alex girò la testa, mi guardò e mi sorrise dolcemente. << Neanche io voglio rinunciarci >>.
Fu un sollievo sentire il suono di quelle parole.
Sorrisi, anche se quello che dissi in seguito fece nascere dentro di me un bruttissimo senso di colpa, opprimente e fastidioso.
<< Jack non deve saperlo >>.
Alex mi guardò e nei suoi occhi lessi la stesse brutta sensazione che provavo io.
<< È l’unico modo >>, continuai.
Alex sospirò. << Hai ragione, è l’unico modo >>, concordò.
Fece scivolare una mano dal volante e la posò sopra la mia, riempendomi immediatamente della familiare sicurezza che emanava.
<< Ma… come facciamo a non farglielo sapere? >>, chiesi intrecciando le dita con le sue.
Alex mi elargì un sorriso sghembo. << So già chi può aiutarci >>.
Probabilmente si stava riferendo a Zack, a Rian o a tutti e due.
<< Chi, Rian o Zack? >>, chiesi.
<< Zack >>, rispose Alex annuendo tra sé, come se si stesse convincendo sempre di più dell’eccellenza del suo piano.
Chiamammo Zack e gli raccontammo tutto in non molti dettagli, poi gli spiegammo il piano di Alex, che consisteva nell’invitare ack a casa di Zack per una sorta di serata “birra” o roba del genere, con anche Rian –che sarebbe stato all’oscuro di tutto-. L’assenza di Alex sarebbe stata scusata con una visita ai suoi genitori ed io avrei semplicemente detto di non volerci andare. Per concludere, con ogni probabilità, Jack non avrebbe dormito a casa, ma da Zack.
Era perfetto.
Non mi piaceva il pensiero di mentire a Jack, ma… dovevo farlo, per Alex, per me… per un futuro noi che, purtroppo, continuavo a ritenere sbagliato, perché sapevo benissimo contro cosa mi stavo andando a schiantare; ma lo volevo lo stesso, lo volevo tantissimo e non m’importava delle conseguenze.
Tornata a casa, dovetti rispondere alle domande curiose di Jack, ma non gli accennai nemmeno di una nota o di una parola la canzone: Alex voleva che rimanesse una sorpresa per il prossimo concerto e così sarebbe stata. Verso le otto, Jack uscì per andare a casa di Zack, ed io iniziai a prepararmi camminando per la casa a passo danzante: leggero e felice. Debbie era in video chiamata con me. Le avevo raccontato tutto, nei minimi dettagli e lei mi stava aiutando a decidere quale vestito mettere.
Nel pomeriggio, come gli avevo proposto di fare, Zack l’aveva chiamata e avevano parlato molto del loro tour e anche di tante altre cose che Debbie mi aveva elencato tra le sue urla, quindi non ne avevo capite neanche la metà, ma ero contenta per lei, era al settimo celo, come me e la capivo benissimo.
Indossai un vestitino corto, nero, lungo fino a metà coscia, senza spalline, stretto con una fascia bianca all’altezza dello stomaco, dalla quale partiva una larga gonna di tulle; il tutto ornato da perline bianche sparse qua e là. I capelli li lasciai sciolti e mi truccai poco, usando soprattutto il nero.
Alex mi venne a prendere verso le nove, con la sua bellissima decapottabile; indossava una camicia celeste, sbottonata di poco sul davanti, con sotto dei pantaloni stretti neri.  Era bellissimo, come sempre, ma con mia grande sorpresa, questa volta, riuscì a dirglielo senza sentirmi imbarazzata e così fu per tutta la sera, riuscì a parlare liberamente, senza vergognarmi, senza avere paura come se tutto fosse naturale, come se non dovessi nascondere i miei pensieri su di lui.
Come diceva una sua canzone: “Finalmente, posso vedere che onestamente, ho il coraggio di dire qualsiasi cosa”.
“Finally, I can see honestly, I’ve got the guts to say anything”.
Alex mi portò a mangiare in un ristorante davvero molto elegante, il più elegante in cui fossi mai entrata e anche il più costoso; dopo la cena mi portò a prendere un gelato e a fare una bella passeggiata sotto le stelle. Ci divertimmo. In vita mia non ero mai stata così bene insieme ad una persona; Alex era tutto quello che potevo desiderare: era divertente, sexy, dolce, mi conosceva, sapeva come prendermi, non mi faceva pressioni ed aveva portato un sacco di svolte positive nella mia vita.
Durante l’uscita gli raccontai del mio litigio con Enrico e lui commentò con un acido “io lo sospettavo”. Fortunatamente non si era arrabbiato, ma si era assicurato bene che io non avessi più intenzione di perdonarlo nel caso si sarebbe ripresentato di nuovo.
Ovviamente la serata non era finita, lo sapevamo bene tutti e due, per questo Alex non aveva imboccato la via della casa di Jack, ma la sua.
Parcheggiò la macchina ed insieme scendemmo per dirigerci dentro la villetta. I cani erano addormentati nelle loro cucce, che erano state spostate nel salotto ed al suono della porta aprirono solo gli occhi in modo attento e vigile; solo dopo essersi assicurati che fosse Alex quello che era entrato insieme a me, si rimisero a dormire ronfando.
<< Pigroni i tuoi cani >>, commentai togliendomi il giacchetto per posarlo su uno degli sgabelli.
<< No, hanno solo visto che ero io >>, si strinse nelle spalle.
<< Non sono cani da guardia >>, dissi. << Non potrebbero fare molto contro un ladro o qualche intruso >>.
Alex mi guardò con aria divertita, ma invece di ribattere, cambiò discorso. << Vogliamo davvero continuare a parlare dei miei cani? >>.
Inevitabilmente, mi si chiuse lo stomaco in una stretta di agitazione.
<< No, certo che no >>, dissi sorridendo sperando di non sembrare tesa come invece ero.
Mi sorrise e mi si avvicinò.
Avevo il battito accelerato e le gambe tremanti, ma riuscì a tenermi in piedi e a respirare regolarmente.
Avevo paura, si, davvero tanta, ero terrorizzata. Non era difficile immaginare cosa avremmo fatto per il resto del nostro appuntamento ed io non sapevo se avrei avuto il coraggio di farlo. Mi ero lasciata andare per tutta la sera, ma la paura di rivivere l’esperienza con Enrico e anche la paura del dolore che avrei potuto provare, mi bloccavano. Ma era normale aver paura no? Tutti hanno paura la loro prima volta, perché è una cosa nuova, mai provata, vista solo nei film o letta solo nei libri. Peccato che la mia paura era dovuta anche ad un quasi stupro.
Alex mi prese una mano tra le sue e mi guardò dritto negli occhi. Aveva uno sguardo così dolce che se fosse stato un cibo sarebbe stato un vasetto di miele dorato. Mi sentì immediatamente meglio. Alex non era come Enrico, io mi fidavo ciecamente di lui e nonostante la paura ero sicura di volerlo fare, se c’era una persona più degna di avere tutta me stessa, quella era Alex, il ragazzo che amavo.
<< Stell… non sono molto bravo in queste cose quindi… andrò subito al sodo >>.
Lo guardai paziente.
<< Mi piaci, mi piaci tanto >>, disse.
Sorrisi automaticamente al suono di quelle parole.
<< Mi sono legato a te come mai a nessun altro, mi hai colpito subito e… io penso che tu sia una ragazza fantastica, una ragazza che quel coglione di Enrico non avrebbe mai dovuto trattare così male per quanto sei dolce e speciale >>, mi accarezzò una guancia. << Io sono innamorato di te Stell, sei la cosa che mi rende più felice al mondo, con te mi sento bene, sento di essere… completo >>.
Un’espressione di stupore mi si dipinse sul volto. Erano le stesse cose che provavo io.
<< Sono le stesse cose che io provo per te >>, dissi. << Anche io sono innamorata di te >>.
Il viso di Alex s’illuminò dalla felicità e senza farmi aspettare oltre, prese il mio viso tra le mani e mi baciò. Le sue labbra combaciarono perfettamente con le mie e così i nostri corpi, che si attirarono come fossero due calamite. La sua lingua scivolò calda e bagnata dentro la mia bocca, accarezzando la mia come aveva fatto quella lontana notte in discoteca. Dio, come mi era mancata quella sensazione! Non avrei mai voluto separarmene, per nessun motivo.
Mandai a puttane le mie stupide paure e mi strinsi ancora di più al suo corpo. Le mani di Alex mi massaggiavano il collo, riempendomi di lievi brividi che correvano lungo tutta la schiena. Con una destrezza che non sapevo neanche di avere, mi liberai delle scarpe con il tacco, che mi fecero abbassare di qualche centimetro, ma Alex sembrò non notarlo nemmeno, dato che continuò a baciarmi in modo lento e passionale, che mi faceva assaporare ogni secondo, mi faceva percepire bene la morbidezza delle sue labbra, il contatto della sua lingua contro la mia, le mie mani tra i suoi capelli, le sue mani lungo le mie gambe.
Allontanò le sue labbra dalla mie ed appoggiò la sua fronte alla mia. Avevamo tutti e due il fiatone.
<< Stell… >>, disse senza fiato. << Non… voglio costringerti a farlo, se non vuoi… so cos’hai passato e per me non c’è nessuna fretta, davvero, non m’interessa aspettare >>.
<< Io lo voglio >>, dichiarai sentendomi sicura al cento per cento della mia decisione.
<< Sicura? >>, mi chiese nuovamente.
<< Si >>, annuì. Presi un grosso respiro e lo guardai negli occhi: << Ti amo Alex, è se c’è una persona con la quale sono convinta di farlo, quella sei tu >>.
Alex mi strinse ancora di più a se. << Ti amo anche io e giuro che renderò questa tua prima volta, molto
speciale >>.
Sorrisi. Alex mi prese la mano e mi condusse verso la sua camera da letto. Quando fummo entrati tutti e due, chiuse la porta alle sue spalle e tornò da me, baciandomi con dolcezza mentre io allacciavo le mie braccia dietro il suo collo. Mi slacciò la fascia che stringeva il vestito, facendolo diventare una sorta di bomboniera nera. Iniziò a slacciare la cerniera. Ogni centimetro equivaleva ad un brivido lungo tutta la schiena nuda, eccezion fatta per il reggiseno senza spalline. Il vestito scivolò a terra, lasciandomi in biancheria.
Mi appuntai di ringraziare Debbie per avermi fatto indossare degli slip sexy invece delle mie solite mutandone.
Le labbra di Alex si staccarono dalle mie e si aprirono in un sorriso dolce. Mi accarezzò una guancia e poi scese ad accarezzarmi le spalle, la schiena e i fianchi. Tolsi le mani da dietro il suo collo ed iniziai a sbottonargli la camicia, in modo lento ma quasi disperato, volevo rivedere quello splendore, quella massa di muscoli sodi ricoperti da pelle morbida e liscia. La sua camicia finì insieme al mio vestito e così anche le sue scarpe e i pantaloni, che io gli slacciai e lui si finì di levare. Mi prese di nuovo tra le sue braccia e mi baciò accarezzandomi i capelli, poi, con facilità, mi sollevò e mi portò fino al letto, dove mi fece stendere con lui sopra di me. Mi mordicchiò il lobo dell’orecchio facendomi provare un leggero piacere. Continuammo a baciarci liberandoci degli ultimi brandelli di vestito che ci rimanevano e  poi... ci unimmo, tra gemiti e versi di piacere, tra baci e carezze, tra la gioia e l'amore.
Quella notte fu la più bella della mia vita.
Alex si accasciò al mio fianco, anche lui con il fiatone. Le nostre dita s’intrecciarono e con un ultimo pizzico di forza, riuscì a girarmi verso di lui, così da ammirare quell’enorme bellezza. Con la mano che non stringeva la mia, si allungò a pizzicarmi il sedere, cosa che trovai per nulla fastidiosa.
<< Ehi! >>, mi lamentai falsamente.
Alex mi guardò e rise.
Rimasi a fissarlo per un po’, prima di chinarmi a baciarlo.
Mi accarezzò una guancia. << Com’è stato? >>.
Sorrisi. << Bellissimo >>.
Spostò una ciocca dei miei capelli dietro l’orecchio e mi baciò a stampo. << Ti amo >>.
<< Anche io >>, dissi. << Molto >>.
Mi mise una mano sulla schiena nuda e mi avvicinò di più al suo corpo. Mi strinsi a lui ed poggiando la testa sul suo petto, che si alzava ed abbassava a ritmo quasi naturale. Iniziai a disegnare linee astratte sul suo petto.
<< Stell… c’è una cosa che ti devo confessare >>, mi disse all’improvviso.
Alzai la testa e lo guardai aggrottando le sopracciglia. << Cosa? >>.
Mi guardò e nel suo sguardo lessi del timore, che mi spaventò. << Ti ho mentito su quella notte in discoteca >>.
Ricordavo la notte, ma non capì. << A cosa ti riferisci? >>, gli chiesi.
<< Io… mi sono ubriacato quella sera, si, ma il giorno dopo ricordavo tutto, anche di averti baciata >>.
Mi sentì un po’ ferita, ma chissà perché la cosa non mi sfiorò più di tanto, era passato tanto tempo e le cose erano cambiate; ma la curiosità mi stuzzicò lo stesso. << Perché? >>.
Sospirò e mi accarezzò dolcemente una guancia. << Perché… viviamo in mondi diversi ed io sapevo che ce ne saremmo andati presto da Roma, non volevo farti soffrire… >>, lo stoppai mettendogli un dito davanti alle labbra.
<< Ho capito… è quello che mi sono sempre continuata a dire, che una relazione tra di noi è impossibile, perché tu sei famoso ed io no e che se andavamo troppo in là poi avremmo sofferto tutti e due >>.
Lessi nei suoi occhi, un bagliore di speranza. << Allora non sei arrabbiata? >>.
Scossi la testa. << No, ti capisco >>.
Sorrise raggiante e mi baciò la fronte.
La mia felicità, però, si era spenta, avevamo tirato in ballo il problema principale.
Sospirai.
Alex mi guardò e dalla mia espressione comprese.
<< Come possiamo fare? >>, gli chiesi.
Mi guardò triste. << Non lo so, Stell >>.
Non dissi nulla, rimasi soltanto a guardarlo.
Strinse la presa sulla mia mano. << Troveremo un modo, te lo prometto >>.
Era sincero, glielo leggevo in faccia.
<< Per ora, godiamoci questi giorni >>, continuò.
Annuì e mi stesi di nuovo sul suo petto.
<< Non voglio che tu sia triste… non roviniamo questo momento >>.
Alzai nuovamente la testa e gli rivolsi un sorriso radioso, non falso. Era facile buttarsi alle spalle quell’orribile problema, ma una parte di me mi avvertiva sempre che il nostro tempo insieme stava per scadere… molto presto, non potevo restare una vita lì, il tour sarebbe ripartito e lui sarebbe stato pieno d’impegni.
Ricambiò il sorriso e mi strinse a lui. Ci infilammo sotto le coperte e ci addormentammo, tra il calore dei nostri corpi uniti e del nostro amore, che desiderai non dovesse mai finire.
 
(Piccola nota: in questo capitolo, la scena di sesso sarebbe duvuta essere più completa, con molti più particolari, ma purtroppo ho dovuto accorciarla e modificarla. Il motivo? Se mettevo questa storia sotto il colore rosso non l'avrei potuta vedere visto che sono ancora minorenne... vabbè, tralasciando... forse la vera scena ve la metterò tra 3 anni, quando sarò maggiorenne! xD)

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Capitolo 17
*** Freaking me out ***


“Cause everything you say
Everything you do
Is freaking me out
Freaking me out
You know we used to be the same
Who the hell are you
Freaking me out”.
 
La mattina dopo, non ebbi affatto un bellissimo risveglio con tanto di colazione a letto… per nulla, fu il risveglio peggiore dopo la notte migliore di tutte.
Aprì gli occhi infastidita da un martellare pesante e ripetuto, che rimbombava per tutta la casa facendo abbagliare i cani in un modo che mi urtava i nervi ancora fragili per il sonno. Rimasi in ascolto di quel suono, cercando di capire da che cosa provenisse, se fosse un martello o dei passi di un gigante…
<< Alex, so che ci sei! Vieni fuori stronzo! >>.
Un martello non avrebbe mai potuto parlare ed un gigante non avrebbe mai avuto una voce come quella… che assomigliava molto ad una che conoscevo.
Mi sentì il cuore in gola.
Mi girai verso Alex e lo scossi violentemente, scordandomi del mio piccolo desiderio di svegliarlo a suon di baci.
<< Alex! Alex! Svegliati dai! >>, dissi continuando a scuoterlo, finché non si iniziò a svegliare.
Aprì gli occhi assonnati e mi lanciò un’occhiataccia, che ignorai. Non avevamo tempo.
<< Che c’è? >>, mi domandò in tono pacato.
Prima che potessi rispondergli, nuove botte colpirono la porta di casa e rimbombarono fino a noi. << Alex! ESCI FUORI O SFONDO QUESTA CAZZO DI PORTA! >>.
Gli occhi di Alex si sgranarono come quelli di un pesce, il sonno passò in un istante. Si mise a sedere, con il petto che si abbassava e alzava in modo veloce. Lo imitai e gli lanciai un’occhiata preoccupata, che lui non ricambiò, probabilmente troppo scioccato o impaurito.
<< È Jack >>, disse dopo un po’ continuando a guardare un punto vuoto della camera, come se fosse incantato.
<< Già >>, dissi cercando di mandare giù il groppo alla gola. << Siamo fottuti >>.
I colpi continuarono sempre più forti.
Alex si alzò di scatto, come se avesse ricevuto una scossa ed iniziò a raccogliere i suoi vestiti con movimenti frettolosi. Si rivestì sotto il mio sguardo curioso e spaventato, poi uscì dalla camera ordinandomi di restare lì dov’ero.
Sprofondai con la testa nelle mani e rimasi in silenzio per ascoltare le urla che sapevo sarebbero arrivate.
 
(Alex)
Avevo il battito accelerato per l’ansia e la paura; non avrei mai immaginato che Jack sarebbe potuto venire a casa mia… non avrei mai immaginato nemmeno che venisse a scoprire quello che era successo con Stella… come aveva fatto?
Mi avviai alla porta scossa brutalmente dai pugni di Jack.
Non volevo affrontarlo, ma dovevo, lui doveva capire… lui avrebbe capito, lo aveva sempre fatto da quando ci eravamo conosciuti. Eravamo migliori amici.
Aprì la porta prendendo un bel respiro e lanciando un’occhiata veloce a Peyton e Sebastian che stavano abbagliando e scodinzolando in direzione della porta. Gli feci segno di andare via e con mio strano, ma sollevato, stupore, mi obbedirono e sparirono nel corridoio.
Il pugno di Jack mi colpì dritto su una guancia ancora prima che potessi guardarlo. Traballai all’indietro, ma rimasi in piedi. Nonostante Jack non fosse molto muscoloso, il suo pugno mi aveva fatto abbastanza male, con molta probabilità il giorno dopo avrei avuto un bel livido sulla guancia.
Guardai Jack che a sua volta mi stava guardando in cagnesco, con gli occhi ridotti a due fessure tetre e piene di rabbia e la fronte aggrottata. I pugni così stretti da fargli diventare le mani bianche.
Indietreggiai di un passo e lui entrò a passi pesanti, andandosi a fermare al centro del salotto/cucina con lo sguardo rivolto al corridoio o per meglio dire alla mia camera da letto.
Chiusi la porta e aprì la bocca per parlare, ma prima che potessi solo pronunciare una sillaba, Jack si girò e mi fulminò con lo sguardo. << Come hai potuto? >>, mi chiese parlando tra i denti.
Aprì nuovamente la bocca, ma di nuovo fui interrotto da Jack. << Come cazzo hai potuto?! >>. Questa volta la domanda fu quasi un urlo.
<< Jack… >>.
<< Non rifilarmi nessuna scusa del cazzo! >>, esclamò scacciando con un gesto della mano le mie parole. Mi si avvicinò di qualche passo. << Ti sei scopato mia sorella! >>, mi accusò. << Hai infilato quel tuo fottuto pisello dentro di lei! L’hai usata come hai fatto con tutte le altre! >>.
Un altro pugno mi colpì la stessa guancia, questa volta con molta più violenza.
Traballai ma non caddi. Lo guardai negli occhi neri per la rabbia. << Jack, ti prego ascoltami… >>.
<< Cosa dovrei ascoltare?! Tu che mi dici che avevi bisogno di un po’ di divertimento? >>, sbuffò dalla rabbia. << Sai, non sei poi tanto diverso da Enrico, hai usato anche tu mia sorella, la differenza è che tu ci sei riuscito brutto stronzo! >>, alzò un pugnò per colpirmi di nuovo, ma questa volta lo fermai a mezz’aria.
<< Io non sono come Enrico! >>, sbottai infastidito più che mai da quel paragone. << Se mi ascoltassi capiresti >>.
Jack lasciò cadere il braccio a peso morto e si allontanò di un passo da me, incrociò le braccia al petto e mi guardò ancora furente. << Dai, dì, voglio proprio vedere che stupida scusa userai >>, mi sfidò.
Raccolsi la sfida, lo guardai dritto negli occhi e con un bel respiro dissi: << Non è stato come con le altre, Stella mi piace davvero, per lei provo qualcosa di profondo… la amo >>.
Dopo qualche minuto di silenzio Jack scoppiò a ridere, ma la sua risata era nervosa. << Davvero bella trovata Alex >>.
<< Sto dicendo sul serio >>, gli lanciai un’occhiataccia. << Amo Stella e lei ama me, ci siamo sempre piaciuti, ma non l’abbiamo mai ammesso… ieri lo abbiamo fatto e lei è stata acconsenziente a fare l’amore con me, non l’ho costretta, non l’ho fatta… che ne so… ubriacare per venire a letto con me >>.
<< Uhm… oh be’… davvero bella storia, peccato che io non creda a nulla di tutto questo, non credo che tu l’ami veramente, sei sempre stato come me, ci siamo sempre divertiti ed ora da un momento all’altro te ne esci con: “amo tua sorella”… ma per favore! >>.
<< Jack… devi crederci, perché è la verità >>.
Scosse la testa furiosamente. << Dio! Non riesco a credere che tu l’abbia fatto! Dopo tutte le volte che ti avevo detto di non pensarci nemmeno tu ti sei fatto mia sorella! >>, urlò.
<< Lei mi ama! >>, urlai a mia volta.
<< Oh certo, e tu ami lei vero? Siete innamorati? >>.
<< Già! >>.
<< Non credo ad una sola parola! >>, sbottò pestando violentemente un piede a terra.
Aveva gli occhi pieni di una rabbia suicida che non gli avevo mai visto. Mi faceva paura.
Stavo per ribattere ancora una volta, quando Stella sbucò dal corridoio con indosso una delle mie magliette e un paio di miei pantaloncini. Nonostante la brutta situazione mi venne da sorridere per quanto quel gesto fosse dolce; ma non lo feci, la fissai semplicemente domandandomi mentalmente se Jack avrebbe alzato le mani anche su di lei.
<< Devi crederci Jack, perché è la verità >>, disse con voce fragile e spaventata.
Il fratello le lanciò una lunga occhiata penetrante, che Stella non ricambiò preferendo fissarsi i piedi nudi. Nessuno avrebbe resistito a quello sguardo pieno d’ira. << Cosa ha fatto per costringerti? Ha fatto il carino, ti ha fatto due complimenti e tu sei caduta tra le sue braccia? >>, le chiese.
Stella s’indignò abbastanza da sostenere lo sguardo di Jack. << Non mi ha costretta! >>, esclamò. << Pensi davvero che dopo quello che è successo con Enrico se Alex mi avesse costretto lo avrei fatto? >>.
Jack mi lanciò un’occhiataccia. << Ci sarebbe riuscito >>.
Ora ero io quello indignato. Ma per chi mi stava scambiando? Non ero mai stato un donnaiolo… a parte per qualche rapporto occasionale, ma si era trattato solo di poche volte.
<< Jack stai dicendo una marea di cavolate >>, scossi la testa.
Lo sguardo di Jack si fece sempre più piccolo e sempre più inquietante.
<< Jack, ascoltami >>, disse Stella frapponendosi tra noi due, come a deviare lo sguardo assassino di Jack. << Sono tua sorella, devi credermi se ti dico che io amo Alex, mi sono innamorata di lui, è una cosa che è successa e basta. Ho cercato di fermare questi sentimenti, ma è una cosa impossibile, non posso riuscirci, per lui provo un sentimento troppo forte per soffocarlo >>.
Le lacrime mi salirono agli occhi. Non mi capitava molto spesso di commuovermi, ma sentire Stella esprimere i suoi sentimenti per me che erano totalmente uguali ai miei, mi provocava un’emozione enorme, mi faceva salire i brividi lungo la schiena.
<< Alex non mi ha usata, non glielo avrei mai permesso se il suo intento fosse stato questo… e tu lo sai, ora sei solo arrabbiato, ma dentro di te sai che Alex non è il tipo di persona che lo stai accusando di essere, è il tuo migliore amico e sai che non lo farebbe mai >>, continuò.
Il suo discorso non stava funzionando solo su di me, ma anche su Jack; la rabbia aveva abbandonato i suoi occhi, ora sembrava più tranquillo, più rilassato, ma quando proseguì nella sua voce c’era una vena di irritazione. << Perché non me lo avete detto? >>, ci guardò. << Avete costretto persino Zack a mentirmi… perché? >>.
<< Perché tu ti saresti arrabbiato >>, dissi.
Jack scosse la testa. << Be’… gran bel risultato che avete ottenuto >>, rise amaramente. << Mi sarei arrabbiato di meno se mi aveste detto la verità >>.
Sospirai. << Scusa Jack… mi… >>.
<< Non mi interessa il tuo dispiacere >>, mi interruppe Jack. << Siete le persone a cui tengo  di più al mondo e avete pensato che mi sarei arrabbiato e non avrei capito, mi avete mentito, avete costretto Zack a mentire, per un amore che non avrà mai un futuro! >>, il tono di Jack si andò ad alzare sempre di più.
Le ultime parole mi colpirono come una frusta, squassandomi il petto e il cuore. Stella sussultò leggermente.
<< Come puoi dire una cosa del genere? >>, gli chiesi.
<< È la verità e voi lo sapete >>, disse per nulla colpito dalle espressioni di dolore che ricoprivano le nostre facce. << Non potete stare insieme, prima o poi tu tornerai a Roma e noi continueremo il tour, poi probabilmente vi rinnamorerete e fine della storia >>.
Stella scosse la testa. << Tu non hai capito >>.
<< Siete voi che non capite! Non capite che state facendo una cosa sbagliata che farà soffrire tutti e due >>.
<< So wrong, it’s right >>, recitò Stella.
Jack le elargì un sorriso tirato. << Cos’è il tuo motto? >>.
Stella si strinse nelle spalle. << Più o meno >>.
<< Be’ cambialo, perché non risolverà la situazione >>, fece una pausa e poi continuò. << Sapete, avete fatto bene a non dirmelo, perché avete ragione, mi sarei arrabbiato come adesso e vi avrei comunque detto che stare insieme vi farà solo soffrire >>.
Ci rivolse un ultimo sguardo e poi se ne andò, sbattendosi la porta alle spalle.
Fantastico, avevo perso il mio migliore amico.
 
(Stella)
Quella notte dormì a casa di Alex, dopo essere sgattaiolata in casa di Jack a prendere qualche vestito per il giorno successivo. Per tutto il giorno io ed Alex avevamo evitato l’argomento “Jack” e ci eravamo concentrati su noi due, sulle cose che facevano le coppiette di solito e avevamo parlato con Zack per chiedergli come avesse fatto Jack a scoprire tutto. La risposta era stata alquanto scontata ed io ed Alex eravamo stati un po’ sciocchi a non pensarci; Jack era tornato a casa la mattina presto e non avendomi trovata nel letto era tornato da Zack, che non aveva resistito a vedere Jack così preoccupato e gli aveva detto la verità, facendo arrabbiare come una bestia.
Non ce l’avevamo con Zack, nonostante lui continuasse a credere il contrario: dopotutto aveva fatto la cosa giusta, quello che io ed Alex non avevamo fatto compromettendo molto il nostro rapporto con Jack, il quale, forse, aveva leggermente esagerato. Certo, meritavamo di essere sgridati per non aver sputato subito il rospo e aver coinvolto anche Zack nella nostra bugia, ma arrivare ad arrabbiarsi così tanto da dirci che la nostra relazione sarebbe durata pochissimo era un’esagerazione.
<< È solo arrabbiato, vedrai che gli passerà presto >>, mi aveva detto Alex quella notte, nel suo letto, ed io
mi ero rassicurata grazie alla sua presenza e al fatto che mi stesse stringendo a lui riscaldandomi. La temperatura quel giorno era scesa drasticamente.
Il giorno dopo però, quando ci trovammo tutti insieme nel piccolo pullmino, diretti verso New York per le prove pre-concerto, mi sentì di nuovo invasa dal senso di colpa, soprattutto perché Jack non rivolse la parola né a me, né ad Alex.
Quel giorno avrei dovuto provare la canzone con Alex e farla sentire per la prima volta alla band e alla Crew, poi al concerto, l’avrei cantata davanti a tutti. Ero spaventata, come sempre, sentivo lo stomaco attorcigliarsi in una morsa soffocante, ma quel giorno mi sentivo più coraggiosa, avevo provato a me stessa che ce la potevo fare, che bastava chiudere gli occhi ed escludere le urla dei fan per riuscire a cantare; e poi avevo Alex vicino, quindi tutto sarebbe andato per il meglio, quando c’era lui tutto andava bene… a parte Jack.
Provarono le canzoni che vennero perfette, come al solito. Non si notò per nulla la tensione che c’era tra Alex e Jack, mentre suonavano insieme sembravano i migliori amici di sempre.       Quel giorno il concerto sarebbe stato il più speciale di tutto il tour, non solo perché cantavo anche io, ma perché i Simple Plan avrebbero cantato insieme ad Alex la loro canzone!
I Simple Plan! Li avrei conosciuti finalmente… i miei salvatori.
Sistemai il microfono sull’asta, regolandola alla mia altezza, mentre Alex, al mio fianco, sistemava lo sgabello sul quale si sarebbe seduto per suonare.
<< Pensi che piacerà? >>, chiesi.
Alex mi fece un sorriso. << Ma certo! La casa discografica ne è rimasta entusiasta, vedrai che la ameranno anche loro >>.
Passai uno dei plettri bianchi attaccati all’asta, ad Alex. << Te le ricordi le parole si? >>, scherzai.
Mi strinse una mano. << Ma certo, è la canzone che parla del nostro amore, me la ricorderei anche da morto >>.
Mi chinai verso di lui e lo baciai, ringraziando che Jack se ne fosse andato insieme a Zack e Rian per andare ad accogliere i S.P.  mentre noi ci preparavamo.
<< Sei emozionata di vedere i Simple Plan? >>, mi chiese.
Sorrisi solo al pensiero. << Si, ovvio che lo sono >>, annuì. << Ma non per questo mi metterò ad urlare come una fan impazzita quando varcheranno quella soglia >>, continuai indicando con una mano le quinte alla nostra destra, dove –neanche li avessi comandati di entrare-, apparvero Rian e Zack, seguiti da Jack.
<< Sono arrivati! >>, esclamò Rian con il solito sorriso a trentadue splendidi denti, che poteva essere paragonato al mio in quel momento, quando da dietro i tendoni neri comparvero i cinque ragazzi che erano stati gli unici amici che avevo avuto nel momento più brutto della mia vita, gli unici consolatori che avevo avuto. A parte Debbie ovviamente.
Erano tutti alti più o meno come Alex, anche se erano più grandi di lui, avevano all’incirca tutti trent’anni e li dimostravano anche; la differenza con gli A.T.L. era percepibile come la luna nella notte nera. Gli All Time Low era un gruppo di ragazzi che amavano divertirsi, mentre i Simple Plan erano un gruppo più serio, che dedicava la musica ai problemi di ogni giorno. Erano diversi, si, ma allo stesso tempo uguali: si completavano a vicenda e messi insieme completavano anche me, erano le mie ancore di salvataggio.
Pierre fu il primo ad avvicinarsi a noi, elargendoci –o forse solo ad Alex- il suo sorriso dolce, con tanto di guance gonfie e rosee, perfette per essere pizzicate.
<< Ehi Alex! >>, esclamò allargando le braccia per farsi abbracciare da lui.
<< Ehi Pierre, da quanto tempo! >>.
Finito il loro breve abbraccio, Alex fece le presentazioni.
Il mio cuore era completamente impazzito, lo sentivo premere con forza contro il petto ed avevo le lacrime agli occhi per l’emozione. Gli occhi castani di Pierre mi fissarono e con mia sorpresa, si rimpicciolirono, per far si che il sorriso che mi stava elargendo si potesse allargare.
<< Pierre lei è… >>.
Il mio urlo di gioia fermò le parole di Alex, come quelle di tutti gli altri presenti, che mi rimasero a guardare ad occhi sgranati.
Buttai le braccia al collo di Pierre e lo abbracciai, godendo a pieno di quella situazione. Nessuno mi staccò da lui, nemmeno lui stesso, anzi, ricambiò l’abbraccio ridacchiando.
<< Stella Barakat, la sorella di Jack >>, continuò Alex continuando a guardarmi tra il sorpreso e lo spaventato.
<< Oh mio Dio! >>, esclamai lasciando andare Pierre e guardandolo da capo a piedi, cercando di
autoconvincermi che non era un sogno, che lui era reale.
<< È un piacere conoscerti >>, disse Pierre ampliando il suo sorriso.
<< Per me lo è ancora di più! >>, esclamai euforica. << Sono una vostra fan >>.
<< Wow! È fantastico! >>, disse David, il bassista dai capelli corti, biondi –tinti- e gli occhi color nocciola, affiancando Pierre. << Piacere Stella, io sono David >>, si presentò porgendomi una mano.
Gli strinsi la mano con foga. << Oh lo so chi sei >>.
<< E io chi sono? >>.
Spostai lo sguardo verso Chuck, il batterista, che si era posizionato all’altro lato di Pierre. Chuck aveva i capelli corti castani, con una sorta di piccola cresta al centro e gli occhi verdi.
Arricciai le labbra in un’espressione pensierosa. << Uhm… non me lo ricordo >>. Cercai di rimanere seria nonostante l’espressione di finta tristezza di Chuck mi facesse ridere.
<< Mi sento offeso >>, disse incrociando le braccia al petto e alzando il mento.
Scoppiai a ridere. << Scherzavo >>, dissi.
Chuck abbandonò la sua aria offesa e mi sorrise. << Lo so >>.
<< Ti manchiamo noi due >>, disse Sebastian, il chitarrista, uscendo da dietro gli altri seguito dall’altro chitarrista, Jeff.
Sebastian aveva dei bellissimi occhi azzurri, il viso dolce ed i capelli castani, abbastanza lunghi; dal vivo era ancora più carino. Jeff, invece, aveva gli occhi tra il marrone e il verde e la testa calva come una palla da bowling.
<< Sebastian e Jeff >>, dissi abbracciando prima l’uno e poi l’altro gioendo sempre di più.
<< Sono così felice di conoscervi, davvero, non sono vostra fan da molto, ma amo le vostre canzoni, mi hanno tirato su in un momento davvero orrendo della mia vita, voi mi avete aiutata, voi e la vostra musica >>.
Dall’occhiata triste che Alex mi lanciò, capì che aveva associato il periodo brutto a quando loro se ne erano andati e aveva ragione, ma il mio cervello mi ricordò che né lui, né Jack sapevano ancora tutta la verità e da come aveva reagito Jack per la “bugia” raccontata da me ed Alex, la voglia di dirglielo era scesa a meno dieci.
<< Siete magnifici, davvero, vi adoro! >>, continuai guardandoli ad uno ad uno.
<< Aww… >>, fece David guardandomi con occhi dolci e commossi.
Pierre mi si avvicinò e mi mise un braccio dietro le spalle. Mi sentì svenire. << Ma quant’è carina?! >>, disse agli altri indicandomi.
Arrossì lusingata e mi strinsi al corpo di Pierre, che aveva accentuato la stratta sulle mie spalle. Aveva un profumo favoloso, che avrei annusato per tutto il giorno.
La voce di Sebastian interruppe il mio crogiolamento tra le braccia di Pierre, riportandomi alla realtà e soprattutto ad Alex, mio nuovo… fidanzato, se così si poteva dire, che di sicuro non vedeva di buon’occhio l’atteggiamento da fan innamorata che avevo per Pierre. Con riluttanza scivolai dalla presa del cantante e rimasi semplicemente al suo fianco. << Sei Italiana, vero? >>.
Annuì. << Si, di Roma >>.
<< Ah, l’Italia! >>, esclamò Chuck, con un sorriso malinconico.
<< Ci torneremo per il nuovo tour >>, mi disse Pierre.
<< Davvero? Ma è fantastico! >>, esclamai, tanto entusiasta da non accorgermi di cosa volessero dire le parole che pronunciai in seguito: << Verrò sicuramente a vedervi >>.
Tutti e quattro gli All Time Low, mi lanciarono occhiate, che a priori non capì, poi mi ripetei in mente le mie parole e capii. Italia voleva dire a kilometri e kilometri lontana da loro, da mio fratello, da Alex. Italia voleva dire ritorno alla vita monotona di sempre.
<< Se... sarò lì… insomma… >>, aggiunsi cercando di risollevare un po’ il morale, ma non ci riuscì, soprattutto per quello di Alex, che si andò a sedere sul suo sgabello, dandomi volutamente le spalle.
<< Be’… non sappiamo ancora la data precisa >>, disse Pierre.
<< Ma la troverai scritta ovunque quando la sapremo >>, ridacchiò David, seguito a ruota dagli altri quattro.
<< Molto probabile >>, commentai.
Quando le risate scemarono, Jeff disse: << Stella, sappiamo che hai cantato qualche giorno fa, ad un concerto degli All Time Low >>.
Annuì. << Oh si, è vero, l’esperienza più bella della mia vita >>, dissi lanciando un sorriso a Zack e Rian che lo
ricambiarono concordando con la mia affermazione. Guardai anche Jack, che si guardava intorno facendo finta di nulla, come se nessuno o meglio io non esistessi.
<< Canta molto bene >>, disse Zack avvicinandosi al gruppetto.
<< Concordo! >>, esclamò Rian con un sorriso smagliante.
<< Perché non ci fai sentire qualcosa? >>, mi chiese Pierre.
Prima che potessi rispondere, Zack prese la parola. << Lei ed Alex ci devono far sentire la canzone che hanno composto e che suoneremo stasera, è un mistero per tutti! >>.
I Simple Plan mi guardarono sbalorditi. << Davvero?! >>.
Annuì.
<< Wow, è fantastico! >>, esclamò Chuck. << Allora canti davvero bene >>.
Mi strinsi nelle spalle. << I fans hanno detto di si >>.
<< Be’… magari in un prossimo futuro potremmo scrivere una canzone insieme >>, mi prepose Pierre.
Sgranai gli occhi. Oh Dio! Pierre Bouvier mi aveva appena proposto di scrivere una canzone con lui, per i Simple Plan, la mia nuova band preferita. Sembrava un sogno, sembrava tutto un sogno, da quando ero arrivata in America. Stavano accadendo troppe cose fantastiche, doveva essere per forza un sogno.
Mi pizzicai un braccio e sentì un leggero dolore. Non era un sogno, ero sveglia.
<< Cavolo certo che si! >>, risposi non tanto finemente.
Pierre rise della mia risposta.
<< Bene, allora, perché non scendiamo giù così ascoltiamo la canzone? >>, propose Rian.
I S.P. si dissero d’accordo e insieme ai tre quarti degli All Time Low, scesero dal palco e si andarono a distribuire per la platea ridacchiando tra di loro.
Raggiunsi Alex. << Qualcosa non va? >>, gli domandai restando lontana dal campo del microfono per non farmi sentire in tutto lo stadio.
Non alzò lo sguardo che teneva concentrato sulla sua chitarra classica. << No, nulla >>.
Alzai gli occhi al cielo. << Avanti Alex, dimmi che c’è che non va! >>.
Mi guardò. I suoi occhi mostravano tutta la tristezza che probabilmente lo stava tormentando. << Pensavo a quando te ne andrai >>, fece un sorriso forzato, più triste che felice. << Forse Jack ha ragione >>. Abbassò di nuovo lo sguardo.
Mi accigliai.
Cosa?
Davvero stava pensando che quello che diceva Jack fosse vero?
Diedi le spalle al “pubblico” e mi accucciai davanti a lui, raccogliendo la sua attenzione. << Alex, almeno per le prossime settimane non ho in programma di tornare in Italia, sono ancora qui, ma anche se non lo fossi, quello che dice Jack sarebbe comunque sbagliato, perché noi affronteremo la distanza, perché mai dovremo finire a piangere in una stanza quando i modi per tenerci in contatto comunque ci sono e un piccolo giorno per vederci lo riusciremo a trovare >>.
Sia io che Alex rimanemmo sbalorditi dalle parole che avevo tirato fuori, così piene di speranze che neanche io sapevo di provare.
<< Ti amo Alex e questo va oltre qualsiasi distanza >>.
Uno scintillio riempì i suoi occhi. << Ti amo anche io >>, mi sorrise dolcemente accarezzandomi una guancia. << Ed è proprio per questo che non voglio perderti >>.
Strinsi la sua mano ancora appoggiata alla mia guancia. << Non mi perderai, te lo prometto >>.
Si alzò per baciarmi, forse non ricordandosi della presenza degli altri alle mie spalle.
<< Ti ricordo che abbiamo spettatori >>, dissi sorridendogli.
Aggrottò le sopracciglia. << Non me ne importa nulla >>, sogghignò.
Per tutta risposta, Jack, dalle mie spalle urlò: << Ci vogliamo dare una mossa o ne avete ancora per tanto? >>.
Alzammo contemporaneamente gli occhi al cielo, ma ci posizionammo comunque ai nostri posti pronti per iniziare.
<< La canzone non gli piacerà >>, commentai sottovoce.
<< Oh no >>, concordò Alex.
Iniziammo a suonare la canzone, lasciando da parte tutti i problemi, tutto il mondo che ci circondava, per concentrarci solo su quelle parole così importanti, così significative.
Inutile dire che Jack fu l’unico a non essere entusiasta della canzone e a non applaudire. Chissà se davvero non gli era piaciuta oppure si era solo fatto condizionare dal suo modo di vedere la nostra relazione.
<< Fantastica! >>, esclamò Rian portando le braccia in alto in un gesto esultante.
<< Ai fan piacerà un sacco >>, annuì Zack.
<< Dovevamo scriverla noi >>, commentò Chuck.
Ovviamente scherzava.
Scesi dal palco e lasciai posto ai Simple Plan, lasciando Alex sul palco pronto per l’ultima prova. Freaking me Out, come previsto, mi piacque un sacco, urlai a squarcia gola per tutto il tempo, saltando e ballettando a ritmo coinvolgendo anche Zack e Rian. Jack non ne volle sapere di ballare insieme a noi.
 
“Cause everything you say
Everything you do
Is freaking me out
Freaking me out
You know we used to be the same
Who the hell are you
Freaking me out
Freaking me out
And I swear I thought I knew you
But although that was yesterday
And now you’re turning around
What’s that about?
Cause you’re freaking me out
Freaking me out”.
 

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Capitolo 18
*** Take my hand tonight, one last time ***


-Simple Plan, Take My Hand-.
 
Il concerto andò alla grande. I fans furono entusiasti della canzone che avevamo scritto io ed Alex, lo dicevano persino i giornali!
La mattina dopo del concerto, mi alzai prima di Alex, che probabilmente era sfinito dalla sera prima. Portai a spasso i cani, per ammazzare il tempo e quando tornai, qualcuno era accostato davanti alla porta, la persona che meno di tutte mi sarei aspettata di vedere, soprattutto dopo che mi aveva completamente ignorata per un giorno intero o meglio, due giorni.
Lasciai liberi Sebastian e Peyton nel giardino e mi avvicinai a Jack, fermo davanti alla porta con le mani nelle tasche dei jeans e lo sguardo… lontano.
Mi avvicinai cautamente chiedendomi se mi avesse vista e prima che potessi dirgli qualsiasi cosa, lui alzò di poco lo sguardo verso di me e mi chiese in tono neutro: << Alex dorme? >>.
<< Già, mi stupisce che tu sia già in piedi >>.
<< Volevo… si be’… volevo venire a parlarti >>.
Lo superai per aprire la porta. << Dai, vieni dentro >>, lo invitai.
Ci sedemmo al tavolo della cucina e per un po’ di tempo rimanemmo in silenzio, evitando di guardarci. Dopo aver probabilmente riordinato i pensieri, Jack iniziò a parlare giocherellando nervosamente con le mani. << Tell… mi dispiace per quello che ho detto >>, sospirò. << Voglio bene a te ed Alex e so che tu puoi capire il perché io mi sia tanto arrabbiato >>.
Lo capivo, neanche a me sarebbe piaciuto essere tradita dalle persone a cui tenevo.
Annuì e lui continuò. << Non penso… neanche quelle cose su di Alex, ero solo arrabbiato e non sono riuscito a contenermi >>.
Un rumore di passi mi fece alzare lo sguardo verso il corridoio, dove c’era Alex appoggiato al muro, con i capelli tutti scompigliati e i segni del cuscino ancora sul viso; guardava Jack in modo dolce, dispiaciuto, quasi con le lacrime agli occhi. Jack non si accorse della sua presenza.
<< Questo lo dovresti dire a lui, non a me >>, dissi a Jack mandando un chiaro messaggio ad Alex, che mi lanciò un’occhiata, poi annuì ed uscì dal corridoio per affiancare Jack, il quale lo guardò sorpreso, ma sotto potevo scorgere benissimo il suo dispiacere.
<< Non dormivi? >>, gli chiese Jack.
Alex gli sorrise sghembo. << Mi sono appena svegliato ed ho sentito la tua voce >>.
Jack annuì, poi si alzò ed abbracciò Alex, il quale ricambiò l’abbraccio stringendo forte Jack. Sorrisi davanti a quello spettacolo e mi trattenni a stento dall’emettere un “aww”.
<< Mi dispiace tanto, amico, mi sono arrabbiato troppo >>.
<< Non ti preoccupare Jack, la colpa di tutto questo è anche mia >>, si sciolse dall’abbraccio e guardò l’amico sorridendo.
<< Nostra >>, lo corressi io.
Jack mi guardò e mi sorrise dolcemente.
<< Abbiamo sbagliato a non dirtelo subito, prometto che non lo faremo più >>, continuai disegnandomi una croce sul cuore.
Alex annuì per far vedere che era d’accordo e come me si disegnò una croce sul cuore.
<< Direi che qui abbiamo tutti un po’ di colpa >>, Jack si strinse nelle spalle.
<< Già >>, concordai.
<< Quindi faremo bene a perdonarci tutto e far tornare tutto come prima… >>, disse Alex, poi lanciò un’occhiata prima a me e poi a Jack e aggiunse: << Be’… un po’ meno come prima >>.
Capì a cosa si stesse riferendo e guardai Jack domandandomi se nonostante fosse pentito, potesse accettare che io ed Alex eravamo innamorati.
<< Oh, intendi perché voi due ora state insieme? >>, chiese Jack.
Alex annuì.
Jack sospirò. << Lo ami davvero? Sei sicura di quello che stai facendo? >>, mi chiese diventando improvvisamente serio.
Annuì. << Sicurissima di tutte e due le cose >>.
<< Anche se potrebbe farti male? >>.
Non avevo più paura della distanza, le mie parole del giorno prima mi avevano fatto capire che esistevano molti modi per continuare a tenerci in contatto anche senza vederci e se il sentimento era grande e vero, allora io ed Alex saremmo durati.
<< Si, anche se potrebbe farmi stare male >>, conclusi convinta.
Jack annuì e spostò lo sguardo verso Alex. << La ami davvero? >>.
Alex mi guardò e mi sorrise. << Più di qualsiasi cosa al mondo >>.
Arrossì.
<< Promettimi che la tratterai bene e che non la farai soffrire >>, continuò Jack in tono intimidatorio.
Alex annuì con espressione seria e decisa.
<< Perché se non sarà così, so dove venirti a cerare! >>.
Soffocai una risata.
Alex gli sorrise. << Certo Jack, puoi stare tranquillo >>.
Mio fratello annuì soddisfatto. << Bene, allora avete la mia approvazione >>.
Mi alzai dallo sgabello e corsi ad abbracciare il fratello migliore che avessi mai potuto avere. Maledicevo ancora quei sei anni senza di lui, ma con quei soli pochi mesi aveva rimediato alla grande tutto il tempo perso.
Alex si unì al nostro abbraccio.
Quella mattina, Jack rimase con noi, ed io confessai sia a lui che ad Alex il perché del mio dimagrimento. Avevo imparato che le bugie era meglio non dirle. Affrontai coraggiosamente le loro reazioni leggermente furibonde all’inizio e poi cercai di non farli sentire in colpa, cosa che sembrò funzionare, anche se il loro umore divenne un po’ più cupo.
Nel primo pomeriggio, qualcuno chiamò e quando andai a rispondere per poco non svenni dall’emozione.
<< Pronto, casa Gaskarth >>, dissi nel ricevitore.
<< Ciao, sono Pierre dei Simple Plan e tu non sei Alex vero? >>.
Sorrisi come una scema al solo suono della sua voce.
Ridacchiai. << Oh no, sono Stella >>.
<< Oh, ehi Stella, come stai? >>.
<< Tutto bene e tu? >>.
<< Alla grande! >>, esclamò.
Me lo immaginai sorridere dall’altro capo del telefono, con le sue guanciotte così belle e cicciottelle.
<< Vuoi parlare con Alex? >>, gli chiesi.
<< Oh, no, no, cercavo te >>.
Sorrisi di nuovo. << Davvero? >>.
<< Certo, volevo chiederti se io e i ragazzi potevamo venire a casa tua, volevamo parlarti in privato >>.
Parlarmi? In privato?
La cosa si faceva interessante.
<< Oh va bene, ma visto che casa di Alex oggi è occupata anche da mio fratello, che ne dici se vi do l’indirizzo di casa di jack, così ci troviamo lì? >>.
<< Sarebbe perfetto >>.
Diedi l’indirizzo a Pierre e ci accordammo per vederci un’ora dopo. Io e i Simple Plan, per parlare in privato.
La curiosità mi stava già uccidendo.
Raccontai ad Alex e Jack la telefonata e insieme iniziammo a domandarci cosa mai i S.P. avessero potuto volere da me.
 
Circa un’ora dopo la telefonata, la band che mi aveva salvato la vita era dietro la porta della casa di Jack, che suonava al campanello. Aprì la porta con le mani tremanti ed un sorriso allegro stampato sulla faccia.
<< Ciao! >>, li salutai facendogli cenno di entrare.
<< Ciao Stella >>, disse Pierre e mi abbracciò.
A ruota anche gli altri mi salutarono baciandomi le guance oppure dandomi pacche affettuose sulle braccia.
Li feci accomodare alcuni al tavolo della cucina, altri sul divano.
<< Allora, volete che vi offra qualcosa? >>, chiesi.
<< No, grazie non ti scomodare >>, mi disse David seduto sul divano accanto a Pierre con una gamba appoggiata sull’altra.
Mi sedetti di fronte a tutti loro, su una sedia. << Allora, ditemi! Sono curiosa di sapere cosa volete dirmi >>.
Sebastian mi sorrise dal tavolo della cucina. << Fai bene ad esserlo, perché quello che ti stiamo per dire ti farà esplodere di gioia >>.
<< Non anticipare! >>, lo rimproverò Chuck lanciandogli un’occhiataccia che Sebastian ignorò.
Le parole di Sebastian mi incuriosirono ancora di più e per poco non mi buttai a terra per pregarli di dirmi di cosa si trattava.
<< Questo non aiuta a far diminuire la curiosità >>, gli dissi non potendo trattenermi.
Sebastian mimò la parola “scusa” con le labbra.
Jeff annuì. << A te l’onore, Pierre >>.
Il cantante della band sollevò il busto dal divano e si chinò per far poggiare le braccia sulle gambe lunghe. I suoi occhi scuri erano fissi nei miei. << Ieri, ci hai davvero colpito con la tua voce >>, iniziò.
<< Oh… beh… grazie  >>, balbettai imbarazzata.
Mi sorrisero all’unisono. << E la canzone che hai scritto con Alex era davvero… wow! >>, finì la frase con un breve risata, probabilmente provocata dal suo commento alla canzone. << Hai davvero un talento che non dovrebbe essere sprecato >>.
Annuì. << Lo so >>.
<< Quindi, noi ne abbiamo parlato insieme e abbiamo parlato anche con la nostra casa discografica, con il nostro manager e siamo arrivati alla conclusione che… vogliamo che tu diventi una di noi, una dei Simple Plan >>.
Sgranai gli occhi presa completamente alla sprovvista da quella proposta. Di tutte le cose che avevamo ipotizzato con Alex e Jack un’ora prima, quella era l’unica che non ci aveva mai neanche sfiorato la mente. I Simple Plan mi stavano invitando a diventare una di loro, a far parte del loro gruppo, cantare con loro per… per tutta la vita. Quello si che era un miracolo.
I S.P. si lanciarono varie occhiate tra di loro.
<< Non ti piace l’idea? >>, mi chiese Sebastian perplesso dalla mia espressione di totale sgomento.
Pierre mi lanciò un’occhiata preoccupata.
<< Oh… >>. Mi tremava la voce. << No, no, l’idea mi piace… la… la… trovo fantastica, davvero, è… è un sogno che si avvera, insomma cantare con voi, diventare una di voi è una cosa che mai e poi mai mi sarei aspettata >>.
La band si rianimò e tutti e cinque mi elargirono splendenti sorrisi.
<< Quindi è un si? >>, mi chiese Pierre speranzoso.
Sorrisi a trentadue denti. << Cazzo, si! >>.
Scoppiammo tutti e cinque in grosse risate, prima di stringerci in un abbraccio di gruppo.
Oh Dio! Ero nei Simple Plan!
<< Quindi cara Stella, prepara i tuoi bagagli, perché domani partirai con noi per il tour! >>, esclamò Pierre.
Mi si gelò il sangue nelle vene.
Domani. Domani. Domani. Domani.
<< Domani? >>, chiesi quasi con un filo di voce.
Pierre aggrottò le sopracciglia vedendo la mia espressione. << Si, che c’è che non va? >>.
Lo guardai e lui dovette leggermi negli occhi la risposta, perché si scusò con gli altri e mi portò fuori, nel giardino.
<< Oh Pierre, senti…  scusami, lo so che dovrei essere entusiasta, mi dispiace di… >>, dissi, ma lui mi bloccò.
<< Non devi dispiacerti, so che non sarà facile per te lasciare qui Alex >>.
Wow, li leggeva davvero bene gli sguardi.
<< E anche Jack >>, aggiunsi io.
Pierre annuì. << Ma di tuo fratello potrai anche farne a meno, ti basterà solo poterlo sentire, ma Alex no >>.
Lo guardai incuriosita dalle sue parole. Sembravano leggermi dentro.
<< Come fai a saperlo? >>, gli chiesi.
Ridacchiò. << Sono fidanzato. Lei si chiama Lachelle e vive a casa mia, in Canada. Quando sono in tour non la
vedo molto spesso e mi manca sempre molto; non sopporto il fatto di lasciarla a casa, ma faccio in modo di sentirla sempre, la chiamo ogni giorno >>, fece una pausa. << Quello che sto cercando di dirti è che venire con noi non significa che lascerai Alex! Resterete sempre uniti, comunque! Come me e Lachelle potrete sentirvi spesso e alla fine dei tour quando nessuno dei due avrà impegni potrete vedervi >>, un’altra paura. << Sai, tuo fratello mi ha detto che il tuo sogno è sempre stato quello di cantare e visto che sei brava, noi ti vogliamo dare la possibilità di diventare qualcuno e di farti conoscere nel mondo. Ma se vuoi rimanere con Alex non fa nulla. Sta a te decidere, il futuro è tuo >>.
Mi morsi un labbro. Come potevo decidere tra le due cose che amavo di più al mondo?
<< Non voglio farti problemi, davvero… voglio solo che tu sia sicura della tua scelta >>.
Ci pensai su.
Partire per il tuor non significava perdere Alex, mentre rinunciare all’opportunità di cantare con i Simple Plan per stare con Alex voleva dire lasciar perdere il mio sogno di cantare. Non dovevo scegliere, avevo già scelto. Non potevo rinunciare a nessuna delle due cose e non l’avrei fatto.
 
Jack arrivò poco dopo che i Simple Plan se ne furono andati e mi trovò seduta sul divano a guardare la televisione, spenta.
<< Ehi sorellina! Che ti hanno detto? >>, mi chiese avvicinandosi al divano. Scorse l’espressione triste sul mio viso e si rabbuio. << Che è successo? >>, si lasciò cadere al mio fianco e mi prese una mano tra le sue.
Lo guardai. Gli occhi scuri così simili ai miei, i capelli scompigliati, la faccia lunga, la barba corta, le labbra strette in una linea tesa, l’espressione preoccupata.
<< Jack, domani parto >>, dissi andando subito al sodo.
Rimase completamente immobile, nemmeno le sue palpebre si alzavano ed abbassavano. << Che cosa? >>.
<< Hai sentito bene:  domani me ne vado, parto per il tour con… la mia nuova band >>, un sorriso mi si aprì sul volto al suono di quelle ultime parole.
<< Nuova band? >>, chiese Jack confuso.
<< I  Simple Plan mi hanno invitata a far parte della loro band, ed io ho accettato, domani partiamo per il tour >>, spiegai.
<< Cosa? >>, ripeté Jack. Era più sconvolto di quando mi sarei mai aspettata. << Perché? Avevi detto che saresti rimasta >>.
<< In realtà non sapevo fino a quando sarei rimasta >>, ribattei. << E poi anche voi dovete ricominciare il tour, no? >>.
<< Si, ma… perché hai accettato? >>.
<< Jack, è da tutta la vita che sogno di diventare una cantante! Alex mi ha aiutato a superare la mia paura del pubblico e voi mi avete fatto cantare a due vostri concerti… ma questo non basta per farmi diventare qualcuno! I Simple Plan mi hanno offerto questa possibilità perché ho talento e vogliono aiutarmi; non posso rinunciare, non se esaudirà il mio sogno >>.
<< Ma… Alex? Io? >>.
<< Non me ne vado per sempre, continueremo a tenerci in contatto e, quando sarà possibile, ci vedremo >>, feci un bel respiro. << Devo andare per la mia strada, ora che so qual è…  spero tu riesca a capirmi >>.
Jack mi fissò con gli occhi scuri pieni di tristezza. << Ti capisco Tell, hai ragione. È giusto che tu voglia andare con loro, solo che è un po’ difficile da accettare >>.
Aggrottai le sopracciglia. << In che senso? >>.
<< Tu sei la mia sorellina…  ti ho sempre pensata al sicuro, a Roma, con mamma e papà, mentre adesso… stai per andartene in giro per il mondo con cinque ragazzi che conosci a malapena, senza di me e… potresti trovarti nei guai e io non ci sarei, ti vedrò una volta all’anno e… mi mancherai davvero tanto >>. Accentuò la presa sulla mano.
<< Anche tu sei venuto qui, in America da solo, senza conoscere nessuno e come vedi tutto è andato bene; anche per me sarà così. Non conoscerò così bene i Simple Plan, ma loro sono gentili con me e sono anche simpatici, vedrai che saranno un’ottima compagnia >>.
<< Ho paura per te >>, ammise.
Mi aggrappai al suo braccio e appoggiai la testa sulla sua spalla. << Prima o poi doveva giungere anche il mio momento. Io sono pronta, quindi… lasciami semplicemente andare, so per certo che me la caverò >>.
Mi accarezzò i capelli. << Mi fido di te sorellina >>.
Chiusi gli occhi e mi lasciai andare a quel momento di amore fraterno, che per sei anni mi era stato negato e che il giorno dopo, avrei riperso, ma non per sempre: alla fine del tour sarei tornata, cascasse il mondo sarei tornata da loro.
 
Tornai a casa di Alex, per comunicare anche a lui la notizia. Sapevo per certo che non l’avrebbe presa bene, non sarebbe stato come con Jack, con Alex ci sarebbe stata una vera e propria battaglia.
Aprì la porta di casa ed entrai accarezzando Sebastian e Peyton che mi accolsero scodinzolanti, prima di sgusciare fuori dalla casa, come se sapessero che stesse arrivando un tornado.
Almeno voi potete scappare.
Pensai provando un pizzico d’invidia.
Mi tolsi il cappotto, proprio nel momento in cui Alex spuntò dalla stanza ricreativa e si avvicinò a grandi passi per stamparmi due lunghi baci sulle labbra. Non mi stava facendo sentire molto meglio. Mi staccai con riluttanza ed indietreggiai di un passo per guardarlo bene in faccia. << Alex, devo dirti una cosa >>.
<< Certo, devi dirmi cosa ti hanno detto i Simple Plan! >>, esclamò elargendomi un sorriso.
Non aveva afferrato la tristezza del momento.
<< Si, ma… non è una cosa molto… bella o meglio, lo è, ma da una sola parte >>.
Alex aggrottò le sopracciglia folte. << Che è successo? >>, chiese, preoccupato.
Evitai il suo sguardo per non sentirmi più male di quanto già mi sentissi. Non volevo spezzargli il cuore, ma se volevo diventare cantante, lo dovevo fare.
<< Alex… >>, chiusi gli occhi per evitare che le lacrime che mi pizzicavano gli occhi potessero uscire. << Io… domani me ne vado >>.
Sentì l’effetto che gli provocarono quelle parole come se fosse stato il mio. Aprì lentamente gli occhi e lo guardai. Era pietrificato, come Jack, ma Alex sembrava che non respirasse nemmeno.
<< I Simple Plan mi hanno proposto di entrare nel loro gruppo e di andare con loro in tour >>, feci un bel respiro per continuare. << Ed io ho accettato >>.
<< Che… che… cosa? >>, chiese con voce rotta. << Te… ne vai? Mi lasci da solo? >>.
Scossi la testa. << No, Alex, non è così >>.
La confusione e lo shock passarono, sostituiti dalla rabbia. << Certo che è così! >>, sbottò. << Te ne stai per andare con loro! Era quello che volevi da quando sono arrivati, vero? Non hai fatto altro che saltellare felice e contenta ed arrossire per le stupide attenzioni di Pierre! >>.
Mi sentì come se mi avesse dato uno schiaffo. << Ma che stai dicendo?!? Me l’hanno proposto loro >>.
<< Ma tu hai subito accettato, perché sei mezza innamorata di loro… o probabilmente sei innamorata di Pierre: sembri sempre un pesce fuor d’acqua quando lo guardi> >, sbuffò. << Sei completamente partita con il cervello! Sono arrivati loro e non te n’è fregato più nulla, hai accettato senza neanche pensare a me! Dopo che ci hai raccontato di quanto sei stata male dopo che ce ne siamo andati da Roma, ora mi vieni a dire che te ne vai?! >>.
<< Alex, Pierre è fidanzato e a me non piace, sono solo una loro fan e loro mi hanno dato quest’opportunità perché ho del talento e vogliono che io non lo sprechi! >>.
<< Non lo avresti sprecato se saresti rimasta con noi! >>.
<< Rimasta con voi? Per fare cosa se anche voi domani ripartite per il tour? >>.
<< Potevi venire con noi e cantare con me la nostra canzone >>.
<< Ma a cosa mi sarebbe servito? Se vengo con voi non diventerò mai una cantante >>.
<< E chi lo ha detto? >>.
<< Io! Perché questa non è la mia strada, io devo andare con loro, devo realizzare il mio sogno! >>.
Alex scosse furioso la testa. << Tu mi stai lasciando! >>, urlò di nuovo con voce rotta e prossima alle lacrime.
<< Non ti sto lasciando >>, ribattei. << Ci potremmo sempre sentire, non ricordi quello che ti ho detto ieri? >>.
<< Ieri pensavo che tu te ne saresti andata tra… un mese o anche due e invece ora mi vieni a dire che domani te ne vai! Senza neanche prima venire a chiedermi un parere! >>.
<< So che non lo avresti accettato, ma, Alex, devi pensare che questa è un’ottima occasione per me! Io devo andare >>.
<< No, tu non devi andare, tu vuoi andare >> , rise amaramente. << Sai che ti dico? Che puoi andare benissimo, va con Pierre e tutti gli altri, fidanzati con loro se vuoi, fai quello che ti pare! >>, detto questo si girò e si diresse verso il corridoio.
Mi si spezzò il cuore, ma non mi arresi.
Gli corsi dietro e lo afferrai per una spalla per girarlo verso di me, ma invece che girarsi e parlarmi, Alex si girò, mi prese per le spalle e mi sbatté contro il muro. Tutto l’ossigeno che avevo nei polmoni si riversò fuori ed io rimasi senza fiato e dolorante.
Guardai Alex, ignorando le fitte di dolore alla schiena. Stava piangendo, ma era ancora arrabbiato. << Perché mi fai questo? >>.
Le lacrime mi riempirono gli occhi sia per il dolore, sia per la tristezza. << Alex, lo devo fare! Ma non perché io voglia Pierre o un altro di loro, ma perché è il mio sogno cantare >>, respirai a fatica tra i singhiozzi.
<< Non c’è nessuno che io ami di più di te e non sai quanto mi faccia male il pensiero di lasciarti, ma cerca di capire… lo devo fare >>.
Alzò lo sguardo su di me, le lacrime che gli inondavano il viso, le mani ancora premute sulle mie spalle. << Capisco >>, disse con un singhiozzo. << Ma non voglio che tu mi lasci, non voglio perderti, non di nuovo! >>.
Soffocai un singhiozzo. << Non mi perderai! Saremo sempre in contatto ed io ti verrò a trovare quando potrò… saremo sempre insieme, non ti abbandonerò >>.
Mi lasciò andare le spalle e piano piano si accasciò a terra scoppiando in un pianto silenzioso, ma che bastò a farmi piangere il cuore. Mi accasciai vicino a lui e lo strinsi a me, soffocando altre lacrime.
<< Ti amo >>, mi sussurrò quando finì di piangere ed alzò il viso per trovarsi faccia a faccia con me.
<< Ti amo anche io >>, dissi versando le ultime lacrime.
Avvicinò le sue labbra alle mie, in un bacio tremante al gusto salato delle lacrime. Mano a mano il bacio si fece sempre più esigente, sempre più travolgente e non so neanche io come, ci ritrovammo stesi sul suo letto, senza vestiti, con i corpi aggrovigliati tra di loro, ansimanti e urlanti, per vivere quell’ultimo momento d’amore che avrei vuoluto non finisse mai.
Eravamo avvinghiati, le labbra ancora unite e le mani che esploravamo lentamente i nostri corpi. Quella notte, restammo semplicemente a guardarci negli occhi e a scambiarci qualche bacio ogni tanto; dormimmo solo per qualche ora, con le mani unite.
 
“Take my hand tonight
Let's not think about tomorrow
Take my hand tonight
We could find some place to go
Cause our hearts are locked forever
And our love will never die
Take my hand tonight
One last time”.

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Capitolo 19
*** We knew that we were destined to explode ***


-Time Bomb-.
 
Il giorno arrivò troppo presto.
Mi svegliai riscaldata dai luminosi raggi del sole, che non mi permettevano di rabbrividire per la temperatura davvero bassa nella casa.
Troppo bassa nel posto accanto al mio.
Aprì gli occhi di scatto e mi misi a sedere.
Alex non era nel letto.
Guardai la stanza.
Non era nemmeno lì.
Chiusi gli occhi per concentrarmi su eventuali rumori nella casa, ma tutto sembrava avvolto nel silenzio più tetro.
Mi alzai e con movimenti frettolosi mi rinfilai la maglietta del giorno prima e presi un nuovo paio di mutande. Andai in cucina e diedi un’occhiata per tutta la stanza. Non c’era nessuno, a parte Peyton e Sebastian, che stavano accucciati davanti alla porta come ad aspettare che qualcuno li portasse fuori, oppure stavano aspettando l’arrivo di qualcuno o il suo ritorno.
Girai per tutta la casa, con i piedi nudi che strusciavano sul pavimento freddo. La casa era interamente vuota.
Ero sola.
Tornai in camera e saettai con lo sguardo da una parte all’altra, cercando un bigliettino, un indizio, qualcosa… qualcosa che mi dicesse dove fosse Alex, ma non trovai nulla.  A quanto ne sapevo, la band per quella mattina non aveva impegni, quindi di sicuro non era con gli altri.
Tornai in cucina e guardai l’orologio.
Il mio aereo sarebbe partito due ore dopo. Sperai che entro quelle due ore Alex sarebbe tornato.
Durante le due ore, mi concessi una bella doccia calda, feci colazione, mi vestii, preparai le valige e telefonai a mamma e papà e anche a Debbie per raccontargli del mio imminente tour mondiale. Ne furono tutti entusiasti, ma chissà perché la loro allegria non mi aiutò a sentirmi meglio.
<< E Alex? Come sta? È triste perché te ne vai? >>, mi chiese Debbie.
<< Si, non ne è molto contento, ma… >>. Mi si bloccò la voce ed un groppo mi salì alla gola seguito dalle lacrime.
<< Che succede Tella? >>, chiese in tono preoccupato.
<< È che… non so dove sia >>. Il mio tono tremante mi fece quasi paura.
<< Che vuol dire che non sai dove sia? >>.
Repressi un singhiozzo. << È da quando mi sono svegliata che non lo vedo e non so dove sia andato >>.
Seguirono vari minuti di silenzio, che io cercai di non spezzare mettendomi a singhiozzare istericamente. Dovevo cercare di stare tranquilla, Alex sarebbe arrivato.
<< Può darsi che sia con gli altri >>, ipotizzò Debbie.
<< A quanto ne so, oggi non hanno impegni di lavoro >>, mi asciugai una lacrima.
<< Magari  è andato a trovarli e verrà direttamente all’aeroporto a salutarti >>.
Cercai di annuire e di convincermi che quelle parole fossero vere, ma sapevo di star mentendo a me stessa.
<< Lo spero >>, riuscì a dire sentendo il groppo in gola ingrandirsi sempre di più.
Quando la chiamata finì, il campanello suonò ed i due cagnolini iniziarono subito ad abbaiare.
Il mio cuore ebbe un sussulto.
Mi avviai alla porta immaginandomi di trovarci dietro Alex, con il suo stupendo sorriso sghembo, che mi avrebbe abbracciata e baciata finché il nostro tempo insieme non fosse scaduto.
Aprì la porta.
Pierre mi sorrise, appoggiato con una spalla all’uscio della porta. Neanche la visione delle sue belle guance mi fece sorridere.
<< Stella! >>, esclamò piegandosi per baciarmi le guance.
<< Ehi >>, dissi in un tono che cercai di non far sembrare troppo triste.
<< Sei pronta? >>.
Mi sforzai di sorridere. << Certo! >>.
Pierre mi aiutò a portare le valige dentro il piccolo pullmino –simile a quello degli A.T.L.-, che ci avrebbe portati fino all’aeroporto di New York, dove erano già seduti e pronti per partire gli altri membri della band, che mi salutarono in coro, la crew ed il manager.
Prima di salire, salutai i due dolci cagnolini di Alex e li chiusi dentro, per evitare che scappassero. Quando il pullmino partì, guardai un’ultima volta la piccola villetta di Alex, che ormai era diventata anche mia.
Sperai di rivederla.
 
E così ero di nuovo lì, all’aeroporto, per riprendere un aereo che però non mi avrebbe portata a casa, ma in Inghilterra, dove avrei cantato insieme alla mia band preferita, che ora era anche la mia band. L’aereo non era uno “pubblico”, bensì un jet privato di color nero, con la scritta “Simple Plan” su entrambi i fianchi. Erano tutti molto emozionati e felici, lo si vedeva dalle loro espressioni, dal modo in cui continuavano a ridere. Perché io non potevo essere felice come loro? Che cos’avevo che non andava? Ero giunta al momento più importante della mia vita e mi sentivo come se mi avesse investito un camion.
Qualche minuto prima che ci imbarcassimo, arrivarono gli All Time Low. No, non fatevi illusioni: erano solo tre degli All Time Low.
<< Buon viaggio Stella, divertiti >>, disse Rian elargendomi un sorriso luminoso, che mi fece subito sorridere, questa volta veramente.
<< Grazie Rian, mi mancherai, soprattutto il tuo sorriso >>, dissi stringendolo in un abbraccio.
Rian ridacchiò. << Durante il tour cercherò di farmi prendere per una pubblicità sul dentifricio >>, scherzò.
Scoppiai a ridere.
Mi spostai verso Zack, che mi circondò subito con le sue braccia muscolose. << Buon tour Stella, vedi di stenderli tutti ogni sera, ok? >>.
Sorrisi. << Tranquillo, lo farò >>.
Mi lasciò andare. << Di me che ti mancherà? >>, mi chiese.
<< Mmm… sicuramente il fisico >>, sorrisi.
Zack ricambiò il sorriso ridacchiando.
Mi avvicinai a Jack, che quel giorno indossava un buffo cappello di lana marrone, con un pon pon in cima e due specie di trecce che scendevano ai lati della faccia.
<< Non posso credere che siamo di nuovo a questo punto… >>, sbuffò guardandosi i piedi. << Ci stiamo di nuovo dicendo addio >>.
Scossi la testa. << Non è un addio, non me ne vado mica per sempre! >>, esclamai pensando che non sarei mai potuta stare tutto il resto della mia vita senza Jack.
<< Lo so… e pensare che solo quattro mesi fa stavo partendo io >>.
<< Ora invece tocca a me >>, sorrisi.
Jack mi posò le mani sulle spalle e subito dopo mi strinse a sé. Mi abbandonai a quell’abbraccio, godendomelo fino in fondo. Mi sarebbe mancato, mi sarebbe mancato il suo sorriso, i suoi occhi marroni, i capelli scompigliati, il suo umorismo, il suo affetto, la sua voce…
<< Mi raccomando, non fumare, non ti ubbriacare, non denudarti sul palco, non fare surfing sulla folla, non sbaciucchiarti nessuno, non fare sesso con nessuno, non dimagrire e… >>.
<< C’è qualcosa che posso fare? >>, chiesi in tono serio, anche se dentro stavo scoppiando dalle risate.
Rise sommessamente. << Chiamarmi spesso e cantare >>.
Imitai un saluto militare. << Capito, farò la brava >>.
Mi baciò la fronte. << Vivi il tuo sogno e goditi il tour, è una delle esperienze più belle della vita >>.
Annuì e gli baciai una guancia, imprimendo nella mente la sensazione ruvida della sua barba sotto le mie labbra.
Sciogliemmo l’abbraccio, ma c’era una cosa che gli dovevo chiedere, dovevo sapere cosa gli era successo, perché non era lì.
<< Jack… dov’è Alex? >>.
Gli occhi di mio fratello tradirono un’improvvisa tristezza nonostante cercasse di apparire neutrale. Non mi rispose, invece si frugò nella tasca dei jeans e dopo qualche secondo ne estrasse un piccolo bigliettino
bianco. Me lo porse.
Aprì il bigliettino e lessi.
 
Cara Stell,
Si, lo so… sarei dovuto essere con te nel letto stamattina, ora dovrei essere con te all’aeroporto, per godermi gli ultimi momenti che posso passare con te.
Ieri… mi sono disperato, ti ho accusata perché mi stavi lasciando, ma ora ho capito. Ho capito che te ne vai perché devi seguire il tuo sogno e ho capito che è meglio per noi se la finiamo qui. Guardiamo in faccia la realtà Stella, la tecnologia non può e non potrà mai aiutarci! Ci mancheremmo sempre, continuamente, anche se ci sentissimo, soffriremmo entrambi per la nostra lontananza ed io non sopporto l’idea che tu possa soffrire.
Ti amo, ti amo come non ho mai amato nessuno e per questo voglio che tu vada per la tua strada, che diventi una cantante famosa e che viva felice con una persona che ti ama al tuo fianco e che ti può essere vicina… io non potrò mai essere quella persona.
Sapevamo che eravamo destinati a esplodere.
Credimi, è meglio così.
Potrai odiarmi… anzi, io voglio che tu mi odi, odiami Stella! Detestami ,così mi dimenticherai presto e non soffrirai.
 
Abbi cura di te.
 
Alex”.
 
Richiusi il biglietto e rimasi a fissarlo completamente incredula.
Aveva usato una frase di un suo testo: Time Bomb.
We knew that we were destined to explode.
Sentivo lo sguardo preoccupato di Jack su di me. << Lui vuole solo che tu sia felice, non vuole farti soffrire >>, disse.
Davvero pensava di non farmi soffrire rompendo in quel modo?
Guardai Jack. << Mi sono sempre domandata come ci si sentisse ad essere piantati… >>, dissi in tono scherzoso, che sembrò poco vero. << Ora lo so >>, aggiunsi annuendo tra me e me.
<< Tell… mi disp… >>.
Interruppi Jack con un gesto della mano.
Non era giusto quello che aveva fatto Alex, se ne era andato dalla mia vita senza neanche chiedere cosa pensavo io della sua decisione. Aveva fatto tutto da solo, pensando che mi avrebbe fatta stare meglio. Si sbagliava alla grande, ma non volevo rinchiudermi in un bagno e piangere, non volevo rovinarmi il tour, volevo accettare la sua decisione, stracciare il bigliettino, salutare un ultima volta Jack e salire su quel jet privato che mi avrebbe portata lontano, ad una nuova vita, che io avrei accolto a braccia aperte.
Così feci.
Strinsi il biglietto in una mano appallottolandolo, sotto lo sguardo un po’ scioccato di Jack. Non gli diedi spiegazioni, nonostante il suo sguardo me lo implorasse. Lo salutai un’ultima volta e poi mi unì alla mia band, ai miei nuovi amici, finalmente felice.
Quando sorvolammo New York, involontariamente una lacrima mi scese sulla guancia. Quel paese mi aveva regalato così tanto in così poco tempo.
Pensai ad Alex, alla nostra prima volta, alla nostra canzone, al nostro primo appuntamento, ai suoi abbracci…
Solo in quel momento mi accorsi di stringere ancora in mano il bigliettino.
 
<< L’autista ha detto che tra pochi minuti ci fermeremo per una sosta >>, ci avvertì Sebastian comparendo dal minuscolo corridoio che separava il posto di guida dal resto dell’enorme pullman dei Simple Plan. Il pullman aveva le pareti di un bellissimo rosa antico, era munito di tutto: comodi divani marroni, un angolo cucina, un piccolo tavolo da pranzo, una zona musica sul fondo, un televisore al plasma con una console per Playstation, sei letti a castello e un bagno abbastanza grande da farci entrare una doccia. 
<< Ok >>, rispose Pierre, seduto al mio fianco sul divano, di fronte a Jeff che reggeva una chitarra classica.
Era il diciassette dicembre, il giorno dopo la nostra partenza.
Ripresi in mano il foglio bianco con sopra scritto il testo di “This song saved my life”, una delle mie canzoni preferite dei Simple Plan… il perché si capisce benissimo, dato che è una canzone che hanno scritto dedicandola ai fan. Conoscevo il testo a memoria, il foglio mi serviva per evidenziare le parti che avrei dovuto cantare ai concerti.
<< Allora, riprendiamo dal secondo pezzo dopo il primo ritornello >>, disse Pierre indicandomi il punto sul foglio.
Annuii. << Allora, come lo dividiamo? >>.
<< Tu inizi con la prima strofa e la seconda, poi vado io con le altre due e poi continui tu fino alla fine >>.
Evidenziai le mie parti. << Il ritornello come prima? >>, chiesi.
<< Si >>.
<< Ok, sono pronta >>, dissi sistemandomi bene con la schiena per far uscire la voce.
Pierre disse a Jeff di partire e lui iniziò subito a strimpellare le note.
<< Sometimes it feels like you've known me forever,  you always know how to make me feel better… >>, cantai.
<< Because of you my dad and me, are so much closer than we used to be…  >>, cantò Pierre.
<< You're my escape when I'm stuck in this small town, I turn you up whenever I feel down… You let me know like no one else, that it's okay to be myself  >>.
<< Continuiamo! >>, esclamò Jeff iniziando a suonare il ritornello.
<< I was broken, I was choking, I was lost…  >>, iniziò Pierre.
<< This song saved my life…I was bleeding, stopped believing, could have died… >>.
<< This song saved my life >>.
<< I was down… >>.
<< I was drowning… >>.
<< But it came on just in time… >>.
Ci lanciammo una breve occhiata per sincronizzarci nel cantare insieme l’ultima frase del ritornello: << This song saved my life >>.
La mia voce e la sua non erano come quella mia e di Alex, non erano unite, non erano armoniose… con questo non voglio dire che non riuscivamo a cantare bene insieme, perché per chi ci ascoltava da fuori era così, ma per me, le nostre voci non erano nate per unirsi, alle mie orecchie, suonavano completamente sbagliate.
Finimmo la canzone- sembravamo la colonna sonora del viaggio-e, giusto alla fine, il pullman si fermò.
David uscì dalla sala musica o sala relax e si avvicinò alla porta che si trovava proprio al fianco del divano dove era seduto Jeff. << Non vedo l’ora di potermi sgranchire le gambe, sono stato troppo tempo seduto >>, disse stiracchiandosi.
<< A chi lo dici >>, borbottò Chuck affiancandolo.
Sebastian rispuntò dalla zona guida e ci sorrise. << Allora, come sono andate le prove? >>.
<< Molto bene! >>, esclamò Jeff alzandosi e appoggiando la chitarra sul divano al suo posto. << Insieme fate faville >>, continuò rivolgendosi a me e Pierre.
Non ero molto d’accordo con quell’affermazione, ma ne ero comunque contenta. Diedi una gomitata scherzosa a Pierre. << Ooh hai sentito?! Facciamo faville >>, ridacchiai.
Pierre si unì alla mia risata.
Scendemmo tutti insieme dal pullman, un po’ camuffati da sciarpe, felpe con i cappucci, cappelli, occhiali da sole e chi ne ha più ne metta.
Purtroppo il mio travestimento non servì a nulla, quando entrai nell’autogrill per prendermi un pacchetto di gomme; quando stavo per uscire una voce mi chiamò. Una voce fin troppo familiare.
Mi bloccai sul posto non appena sentì il mio nome. Mi girai un po’ titubante e quando i miei occhi ne incontrarono un paio verdi, mi sentì lo stomaco chiudersi.
<< Stella? Ma che ci fai qui? >>, mi chiese Enrico.
Mi tolsi gli occhiali da sole, ma continuai a tenere il cappello. << Come hai fatto a sapere che ero io? >>, gli chiesi rivolgendogli un’occhiata dubbiosa.
E lui che ci faceva lì? Possibile che me lo ritrovassi dappertutto?
Mi sorrise, un sorriso che non ricambiai. << Ti conosco da tanti anni, se non ti riconosco io, chi può?!>>, ridacchiò.
<< Giusto  >>, commentai pacatamente.
<< Allora, non mi hai ancora risposto, che ci fai qui? >>.
Mi strinsi nelle spalle. << Sono in tour >>.
Enrico aggrottò la fronte. << In tour? Cioè vuoi dire… tour musicale? >>.
Annuii.
<< E come…? >>, mi fece un sorriso. << Sei riuscita a diventare una cantante? Com’ è successo? >>.
<< Be’… non è una storia molto eccitante e poi io dovrei… >>, feci per andarmene, ma Enrico mi fermò trattenendomi per un braccio.
M’irrigidì ma cercai di non darlo a vedere.
<< Avanti Stella, è da un po’ che non ci sentiamo… >>.
Gli lanciai un’occhiataccia. Non era di certo colpa mia se avevamo litigato di nuovo! Era lui quello che continuava ad assillarmi con la storia del tornare insieme.
<< E di certo non è colpa mia >>, dissi in tono duro togliendo con uno strattone la sua mano dal mio braccio.
Distolse lo sguardo visibilmente imbarazzato. << Si, lo so… è colpa mia, ma… anche tu… >>.
<< Anche io cosa?! >>, cercai di non urlare, ma il mio tono si era alzato di un po’.
<< Ehm…>>, sembrò spaesato, ma dopo un po’ continuò. << Tu te ne sei andata a New York, almeno da quello che mi hanno detto i tuoi genitori >>.
<< Hai parlato con i miei genitori? >>, chiesi perplessa.
<< Si, ero venuto a trovati la settimana scorsa, per chiarire… ma i tuoi genitori mi hanno detto che eri a New York >>.
<< Cosa avresti voluto chiarire? >>, chiesi in tono scocciato.
<< Quello che era successo, ci siamo persi di vista… non ti sei fatta più sentire >>.
<< Uhm… forse perché tu ci hai riprovato con me? >>.
Sbuffò e incrociò le braccia al petto. << Avanti Stella, lo sai che sono ancora innamorato di te e che mi dispiace per tutto quello che è successo… pensavo… >>, i suoi occhi catturarono il mio sguardo. << Che avessimo superato tutta quella parte che riguarda il passato >>.
I suoi occhi gravavano sul mio cuore, era come se irradiassero una sorta di potere magnetico…
Distolsi lo sguardo dicendomi che avrei dovuto imparare la lezione molto tempo prima. I suoi occhi erano l’arma più efficace che avesse… soprattutto se usati su di me.
Mi strinsi nelle spalle. << Si, forse l’avevamo superata, ma poi tu hai ricominciato a fare il cascamorto e a me non sta bene >>.
<< Ma perché? >>, dal tono che usò sembrò disperato e più che tenerezza mi fece pena.  << Tu mi ami! >>.
Quasi gli scoppiai a ridere in faccia. << Io non ti amo >>, sbuffai. << C’è stato un tempo in cui ti ho amato, ma ora non più, non potrei mai più amarti >>.
<< Perché? >>, chiese di nuovo. << Perché ti ho costretta a farlo con me? No, ci dev’essere qualcos’altro sotto… >>, scosse la testa, poi improvvisamente si fermò e guardò un punto in alto sopra la mia testa. Lo fissò per più di un minuto.
<< Che c’è? >>, chiesi perplessa.
Riportò il suo sguardo su di me ed io automaticamente spostai il mio verso i miei piedi. << È per quello lì, vero? È per Alex? >>.
Sussultai al suono del suo nome. Era da metà del giorno prima che cercavo di non pensarci e ora arrivava lui che me lo ricordava, insieme ad altri ricordi meno piacevoli su me ed Enrico.
<< Ma che vai a pensare?! >>, dissi riprendendomi dallo shock iniziale.
Accennò ad una risata aspra. << Girati e guarda tu stessa >>.
Mi gira e nel punto in cui poco prima lo sguardo di Enrico si era posato, c’era un televisore acceso al canale di MTV, ma invece di qualche video di musica, stavano trasmettendo una pubblicità che diceva: “Intervista dal vivo con gli All Time Low, questa sera, in diretta da Toronto. Ci parleranno del loro nuovo tour e cercheremo di ricavare qualche bella notizia sulla sorella del chitarrista Jack, Stella Barakat. Molti fan si chiedono se tra lei ed Alex non ci sia del tenero… be’… dalla canzone che hanno scritto e dal modo in cui si sono comportati sul palco di Philadelphia, si direbbe proprio di si, ma restate con noi e stasera lo scopriremo insieme!”.
Sembra un articolo di giornale.
Pensai per non concentrarmi sul significato delle parole che avevo appena letto.
I giornalisti volevano sapere di me, volevano sapere se stavo insieme ad Alex. Mi si strinse il cuore quando immaginai lui rispondere negativamente alla domanda, profondamente sollevato dal fatto di aver chiuso con me e di non poter dare qualcosa su cui spettegolare ai giornalisti. Strinsi le mani a pugno.
<< Allora… siete fidanzati? >>, mi chiese Enrico con la faccia ridotta a una smorfia d’invidia.
Scossi la testa. << No, non lo siamo >>.
<< Però lo ami >>, annuì tra sé Enrico.
Non confermai, né smentii.
<< Ma non lo potrai mai avere >>, continuò Enrico.
Mi fece male il cuore.
<< Probabilmente si sarà già scordato che esisti, le persone famose passano sempre da un amore all’altro: una botta e via >>.
Sentì una profonda rabbia montarmi dentro.
Lo schiaffo che gli mollai risuonò per tutto l’autogrill, facendo voltare i presenti, tra cui David e Pierre, che poco distanti da noi, stavano sfogliando qualche rivista.
Enrico mi guardò con sgomento.
Be’, finalmente mi ero vendicata.
<< Non sai assolutamente nulla di Alex o delle persone famose! Sei solo uno sciocco!>>, esclamai e feci per andarmene, poi mi girai di nuovo verso di lui e gli intimai: <sparisci dalla mia vita >>.
Uscì dall’autogrill, lasciandomi Enrico alle spalle. Prima che potessi raggiungere il bus, Pierre e David mi si affiancarono.
<< Chi era quel ragazzino? >>, chiese David lanciando un’occhiata perplessa all’autogrill.
<< Un coglione >>, risposi.
Sghignazzarono. << Si vede >>, disse Pierre.
<< Bello schiaffo comunque, molto… violento >>, si congratulò David con una risata.
Gli sorrisi. << Grazie, se lo meritava >>.
<< No ne dubito >>, Pierre mi lanciò un’occhiata un po’ preoccupata. << Deve averti fatto qualcosa di spiacevole >>.
Incrociai il suo sguardo e senza pensarci dissi: << Ha cercato di costringermi ad andare a letto con lui quando eravamo fidanzati >>.
Lo sguardo di Pierre si fece triste e mi si accostò per stringermi affettuosamente una spalla.
<< Figlio di puttana >>, ringhiò David. << Tornerei indietro e gli spaccherei la faccia >>.
Pierre si guardò alle spalle. << Non sarà necessario, sta venendo verso di noi >>.
Sgranai gli occhi e mi girai anche io. Pierre aveva ragione, Enrico ci stava correndo dietro e stava chiamando il mio nome. Per fortuna eravamo vicini al bus.
<< Meglio salire >>, dissi salendo di corsa le scalette.
Pierre e David mi seguirono. << Io avrei un’idea >>, disse David girandosi verso Pierre e sorridendogli sghembo.
<< Acqua? >>, chiese Pierre ricambiando il sorriso.
David annuii ed entrambi scomparirono nel bagno, per poi riapparire con un secchio pieno d’acqua.
<< Ma che…? >>, non feci in tempo a chiedere che qualcuno bussò alla porta del pullman.
<< Seb, chi è? >>, chiese Pierre a Sebastian, che era quello più vicino al finestrino dai vetri oscurati.
Sebastian sbirciò fuori e rimase un po’ accigliato. << È un ragazzino con i capelli neri >>, rispose.
<< Perfetto >>, sghignazzarono Pierre e David.
Mi trattenni dallo scoppiare a ridere quando capì cosa avevano intenzione di fare.
Pierre aprì la porta del pullman e prima che Enrico potesse domandargli di me, gli si rovesciò addosso tutta l’acqua contenuta nel secchio.
Scoppiammo tutti in un’allegra risata, che durò anche quando il pullman fu ripartito. Pierre e David avevano dato proprio una bella lezione a quel bastardo. Gli ero grata.
Li abbracciai entrambi e tra le risate generali crollammo tutti e tre sul divano tormentati da alcune fitte alla pancia per le troppe risate.

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Capitolo 20
*** You left me here so unexpected ***


-Simple Plan, Gone Too Soon-.
 
(Alex)
Ero seduto tra Zack e Jack sul divano nero in pelle del nostro bus per il tour. Quel giorno eravamo a Toronto. Non ci eravamo spostati di molto, ma le tappe in America erano ancora tante prima che potessimo partire verso l’Europa.
La nostra intervistatrice, era una donna giovane, con i capelli castani legati in una coda di cavallo, gli occhi scuri che brillavano di una strana curiosità, il corpo snello infilato in un vestito che ricordava molto quello di un avvocato; aveva iniziato a bombardarci di domande sulle varie tappe del nostro tour, sul cd, su come avessimo passato i primi concerti del tour e anche cosa pensassimo di fare a Natale. Come potevo pensare al Natale quando stavo affrontando un’enorme crisi esistenziale? Stavo cercando di dimenticare la ragazza che amavo, ma lei continuava a tornarmi in mente e il suo viso così simile a quello di suo fratello o vero del mio migliore amico, non migliorava molto le cose. Non mi stavo godendo nemmeno un momento di quel tour; la sera prima, erano tutti andati a bere e a divertirsi ed io invece ero rimasto come una mummia sul pullman, perché ero tormentato dal dolore per la perdita di Stella, dalla rabbia contro me stesso per averla lasciata andare e la sensazione che invece avevo fatto bene.
Nonostante non fossi al massimo della forma, come mio solito, risposi alle domande molto esaurientemente, facendo qualche battuta e raccontando qualche episodio divertente. Ero davvero un bravo attore.
L’intervistatrice accavallò le gambe e spostò lo sguardo da noi alla sua cartellina colorata con aria pensierosa. Con la coda dell’occhio percepii il busto di Jack protendersi verso le gambe flessuose dell’intervistatrice, seduta sul divano di fronte al nostro. Era incontenibile.
Gli diedi una gomitata proprio in mezzo alle costole e lui mi lanciò un’occhiataccia, che io ignorai. << Fai il serio >>, gli sussurrai.
Mi scoccò un’altra occhiataccia, ma ritirò il busto facendolo ricadere pesantemente contro lo schienale del divano.
<< Allora ragazzi, vorrei parlare con voi di un concerto molto importante che avete fatto qualche giorno fa, a New York >>.
Mi irrigidì, ma sperai che nessuno se ne fosse accorto, soprattutto il pubblico che ci stava guardando alla televisione proprio in quel momento.
<< Quello di cui sono stati partecipi… >>.
<< I Simple Plan! >>, esclamai interrompendo l’intervistatrice, che mi lanciò un’occhiata perplessa.
Ero nervoso, il solo pensiero che potesse iniziare a parlare di… della ragazza che volevo dimenticare mi faceva chiudere lo stomaco. Non volevo sentir parlare di lei, non volevo parlare di lei. Mi passai le mani sui jeans sperando che si asciugassero dal sudore.
<< Si giusto i Simple Plan, ma… >>, riprese l’intervistatrice, ma l’interruppi di nuovo, troppo nervoso per rendermi conto di cosa stessi dicendo.
<< Gran bel gruppo! >>, esclamai facendo un sorriso. << Sono molto simpatici, mi sono trovato molto bene a fare una canzone con loro, è uscita davvero bene, vero? >>, ridacchiai da solo, beccandomi qualche occhiata perplessa dai miei compagni e dal nostro Tour Manager, Matt.
Piccole gocce di sudore mi scesero lungo la schiena.
Dovevo distogliere l’attenzione dell’intervistatrice dal concerto a New York.
Mi alzai di scatto, facendo sobbalzare Zack. << Che ne dite se ve la faccio sentire?! >>, chiesi più euforico di quanto in realtà fossi.
<< Ma… >>, disse l’intervistatrice.
<< Posso farlo anche senza strumenti, canterò a cappella… >>, presi un bel respiro ed iniziai a cantare Freaking me Out.
<< Cause everything you say, everything you do, is freaking me out, freaking me out…  You know we used to be the same, who the hell are you, freaking me… >>.
<< Basta! >>, esclamò l’intervistatrice visibilmente irritata.
Smisi di cantare all’istante e rimasi a guardarla tra l’impaurito e l’imbarazzato.
Jack mi tirò la maglietta e mi fece risedere sul divano, togliendomi da quella situazione d’imbarazzo. Avevo fatto una figuraccia…
Idiota!
<< Ehm… scusatelo, deve aver bevuto troppo >>, scherzò Jack per allentare un po’ la tensione.
L’intervistatrice sembrò riprendersi e sorrise allegra. << Ok, allora possiamo procedere con le domande… >>.
No. No. No!
Mi passai una mano sulla fronte bagnata, cercando di sembrare tranquillo, mentre in realtà stavo sudando freddo per la tensione.
<< Certo >>, acconsentì Zack, annuendo.
Gli lanciai un’occhiataccia. Non parlava mai durante le interviste e ora che aveva deciso di parlare stava per firmare la mia morte!
L’intervistatrice ampliò il suo sorriso, che improvvisamente mi parve malefico, come i suoi occhi, improvvisamente troppo neri e troppo curiosi.
M’irrigidì non appena mi puntò con lo sguardo.
<< La domanda che volevo farvi è proprio per te Alex >>.
Purtroppo.
Pensai.
Presi un bel respiro ed annuii. << Mi dica pure >>, riuscì a sorridere.
<< Prima che tu iniziassi a parlarmi dei Simple Plan… >>, iniziò lanciandomi una veloce occhiata di rimprovero, che notai solo io, vista l’assenza di reazione da parte degli altri. << Volevo arrivare a parlare della sorella di Jack, Stella >>.
Al solo suono del suo nome il ritmo del mio cuore aumentò e per un attimo fui riassalito dalla sensazione di sicurezza e felicità che mi trasmetteva sempre lei. Chiusi per un minuto gli occhi ed il suo viso mi apparve, bello come sempre, incorniciato dalla lucente cascata di capelli corvini.
Riaprì gli occhi.
La dovevo smettere. Le avevo detto di dimenticarmi e così avrei fatto anche io.
<< Come hai conosciuto Stella e come siete arrivati a scrivere una canzone insieme? >>.
Praticamente dovevo raccontarle tutta la nostra “storia”… davvero grandioso.
<< Ho conosciuto Stella quest’estate, noi tutti siamo andati a Roma per visitare la città e lei ci ha fatto da guida, visto che abita lì. Siamo diventati subito amici e ho scoperto che il suo più grande sogno era quello di cantare, così, quando è venuta a Baltimore a trovarci le ho chiesto di cantare “Under a paper moon” con noi… >>, sorrisi tra me e me. << All’inizio non era d’accordo, non aveva molta fiducia in se stessa e per questo non riusciva a cantare! Ma alla fine, sono riuscito a convincerla ed ha cantato. I fan ne sono rimasti contenti e così le ho chiesto di fare una canzone insieme >>.
<< Da cosa avete preso l’ispirazione per la canzone? Sembra trattare di una storia d’amore >>.
Mi salì un groppo alla gola.
La nostra storia d’amore.
Pensai con rammarico.
Mi scossi da quel pensiero e mandai giù il groppo. << Si, parla di una storia d’amore… l’idea è di Stella, lei mi ha raccontato di aver conosciuto un ragazzo ad una festa di Halloween e di essersene innamorata, ma questo ragazzo era mascherato da Dracula e quindi lei non sa chi sia >>.
Fui fiero della mia risposta; non avevo mentito, avevo solo deciso di non dire qualche piccolo particolare.
La donna sembrò dispiaciuta, mentre i miei amici mi lanciavano occhiate interrogative.
<< Pensavo che la canzone riguardasse voi due >>, disse l’intervistatrice.
<< Lo pensavamo anche noi >>, disse Zack accentuando la sua occhiata interrogativa.
Per la seconda volta gli lanciai un’occhiataccia desiderando che fosse stato zitto come suo solito. << No, no, non parla affatto di noi due, io… recito la parte del ragazzo travestito da Dracula >>.
La voce di mia madre tuonò nella mia testa, ricordandomi che le bugie non si dicono.
Scusa mamma.
Pensai.
L’intervistatrice rimase in silenzio per diversi minuti, visibilmente delusa per la mia risposta priva di
nuovi scoop; poi spostò il suo sguardo freddo e assetato di curiosità verso Zack. << Hai detto che lo pensavate anche voi, quindi qualcosa tra Alex e Stella c’è stato?! >>.
Mi misi subito in allerta. La situazione si metteva male. << No! >>, esclamai indignato.
<< Non chiedevo a te >>, sbottò l’intervistatrice lanciandomi un’occhiataccia veloce per tornare subito a guardare fisso Zack.
Guardai Matt in cerca di sostegno, ma lui si strinse solo nelle spalle.
<< Be’… >>, lo sguardo di Zack vagò incerto dall’intervistatrice a me.
Lo implorai con lo sguardo. Non poteva dirlo! Non poteva spifferare tutto alla televisione, sarebbe scoppiato il caos e i giornalisti avrebbero iniziato a scrivere le più assurde oscenità su me e Stella rovinando la vita a lei e a me!
Zack ti prego!
Lui distolse lo sguardo da me e sorrise all’intervistatrice.
Smisi di respirare.
<< Io… era solo una mia idea, nulla di provato, non ho mai visto Stella e Alex comportarsi da coppietta, sono sempre stati solo amici, quella canzone non vuol dire nulla >>.
Tornai a respirare profondamente grato a Zack e al suo buon cuore.
L’intervistatrice sembrò delusa, ma ci rivolse un sorriso malvagio e continuò imperterrita: << Molti fan hanno detto che tu e Stella sembrate molto più che amici, anche dal modo in cui cantate, sembrate molto uniti, vi sorridete sempre e a Philadelphia vi siete anche tenuti per mano >>.
Continuavo a sudare… sembravo un maiale e tra un po’ avrei anche iniziato a puzzare come un maiale!
Cercai di ridacchiare, ma ne venne fuori un suono strozzato. << No, avete frainteso tutti, io e Stella non stiamo insieme >>.
L’intervistatrice alzò un sopracciglio. << Sicuro? >>.
<< Si >>, annuì passandomi nuovamente la mano sulla fronte.
<< Guarda che se lo ammetti non succede nulla >>, mi sorrise.
Aggrottai le sopracciglia. << Ma non è vero! >>.
<< Avanti, perché tenere il segreto quando è così ovvio?! >>.
Le mani mi tremavano non solo per l’agitazione e la paura ma anche per la rabbia che sentivo crescermi dentro.
Ma che voleva quella donna?!
Strinsi le mani tra di loro per non dar a vedere che stavo tremando.
<< Senta, davvero, Alex dice la verità, tra lui e mia sorella non c’è nulla >>, intervenne Jack.
La donna scoppiò a ridere. Una risata che mi saltò ai nervi. << Jack, so che sei il migliore amico di Alex e so che mentiresti per lui >>.
Jack sembrò offeso. << No, invece >>.
Lanciai un’occhiataccia a Jack, ora ero io l’offeso. << Ehi! >>, protestai.
Jack ricambiò l’occhiataccia, poi mi si avvicinò e mi sussurrò: << Vuoi che ti salvi dalla situazione oppure no? >>.
Annuii.
Jack fece per parlare, ma l’intervistatrice lo interruppe. << Basta! Non voglio parlare di questo >>, sbottò e rivolse il suo sguardo ostile e curioso di nuovo a me. << Alex, smettila di mentirmi e dimmi la verità, sei o non sei fidanzato con Stella? >>.
Mi alzai in piedi preso da un moto di rabbia. << Smetterla io?! La smetta lei di farsi i cazzi miei! >>, sbottai.
L’intervistatrice sbiancò e così anche il resto dei presenti, ma le loro reazioni non mi fermarono, ormai ero partito in quarta. << Io non sto con Stella, lei è solo una mia amica, ma è una persona molto speciale, che andrebbe ricordata non perché è sorella a Jack, non perché qualche persona pensa che sia la mia fidanzata, non perché ora è con i Simple Plan, ma perché ha del talento! Sa cantare come poche persone nel mondo e per questo dovrebbe interessarvi, non perché sta con me, cosa che non è vera! Se lo ficchi nel suo stupido cervello e la smetta di interessarsi dei cazzi miei, d’accordo? >>.
Finì la mia sfuriata con un’uscita di scena; mi allontanai dai divani e mi avviai verso la zona dei letti a castello, che si trovava sul fondo del bus. Una volta arrivato m’infilai nel mio letto e tirai la tendina grigia, che mi oscurava dalla vista di tutti.
Affondai la testa nel cuscino cercando di calmarmi. Tremavo, tremavo convulsamente scosso anche da
singhiozzi silenziosi.
Mi venne in mente una delle nuove canzoni dei Simple Plan, “Gone too soon”.
 
“Hey there now, where'd you go?
You left me here, so unexpected
You changed my life, I hope you know
Cause now I'm lost, so unprotected”.
 
Si adattava molto bene alla mia situazione.
Lei mi aveva lasciato, se ne era andata, aveva deciso di partire lasciandomi solo, ma io avrei potuto farla rimanere, se non avessi rotto con lei. Ero stato uno stupido, l’avevo lasciata andare quando, senza di lei, mi sentivo una pezza per pulire il pavimento eppure dentro di me qualcosa mi diceva che avevo fatto bene, perché l’avevo lasciata andare al suo destino, avevo fatto la cosa più giusta, per lei, per la sua felicità…
ma perché la cosa giusta faceva così male?
 
Il rumore della tendina che veniva tirata mi svegliò dal mio stato di dormiveglia. Avevo la testa ancora schiacciata contro il cuscino, la cui stoffa era umida. La luce del sole inondò il mio piccolo letto.
 Qualcuno mi iniziò a scuotere. << Alex! Svegliati! >>.
 Era Jack.
Sollevai la faccia dal cuscino e mi girai verso di lui, faticando a metterlo a fuoco per colpa di tutta quella luce che emanava il sole. Gemetti per il dolore agli occhi.
 << Siediti e chiudi questa maledetta tenda! >>, sbottai.
 Jack ubbidì senza commentare, il che fu alquanto sbalorditivo.
 Ora il letto era poco illuminato, ma riuscivo a distinguere il corpo di Jack all’altezza delle mie ginocchia. Mi stava osservando con aria preoccupata.
 << Che c’è? >>, chiesi più infastidito di quanto volessi sembrare.
 << Tu hai qualche problema >>, dichiarò.
 << Cosa? >>.
 << Tu hai un problema >>, ripeté.
 Feci schioccare la lingua tra i denti. << No, direi di no >>.
 << Coglione! >>, mi diede una botta al ginocchio. << Sono il tuo migliore amico, so quando stai male e dopo la scenata che hai fatto ieri… be’… tutti lo hanno visto che non sei proprio… in te >>.
 << Io sono in me! >>, ribattei seccato. << Quella giornalista se lo meritava di essere sgridata, pretendeva di sapere tutto sulla mia vita privata! >>.
 << Pretendeva di sapere di Stella >>.
 Mi sentì come se mi avessero stretto il cuore in un pugno. Stella. Non avevo fatto altro che sognarla e svegliarmi di botto con le lacrime agli occhi e il cuore che batteva a mille. << Questo non c’entra nulla >>, risposi percependo io stesso l’insicurezza nelle mie parole.
<< Avanti Alex! Lo sappiamo tutti e due che ci stai male >>.
Chiusi gli occhi per evitare di scoppiare in lacrime. Feci un bel respiro. << Non è vero >>.
Jack scosse la testa. << Ti ho sentito agitarti per tutta la notte ed emettere ogni tanto qualche singhiozzo, ho visto come hai reagito ieri alle domande su di lei, ho capito che questo è il tuo problema >>.
 Scossi la testa. << Ti stai sbagliando >>.
 Perché non lasciava semplicemente perdere? Non volevo condividere il mio stato d’animo con nessuno, non volevo che nessuno si preoccupasse… volevo solo starmene da solo, essere lasciato in pace.
 << No, non capisco perché tu non lo voglia ammettere! Si vede lontano un miglio che stai male, da quando se n’è andata non fai altro che startene da solo, non hai più l’allegria di un tempo, sembri… una mummia! >>.
 << Magari è quello che voglio diventare >>, risi amaramente.
 << No, non te lo permetterò >>, disse e lo vidi cercarsi qualcosa nella tasca. Il suo cellulare.
 Mi misi a sedere con uno scatto. << Non farlo! >>, esclamai nel panico.
 Jack mi rivolse un’occhiata penetrante. La luce emessa dal telefono gli illuminava il volto quasi in modo terrificante, faceva sembrare i suoi occhi dei pozzi neri.
 << Devo, è per il tuo bene >>, disse mentre iniziava a digitare il numero… il suo numero.
 Mi protesi verso il telefono per afferrarlo, ma Jack riuscì ad evitarmi.
 << Ti prego Jack, non puoi farlo >>.
 Jack finì di digitare i numeri e mi passò il telefono. Stava chiamando.
 L’ondata di terrore che mi travolse fu grande quanto l’oceano Atlantico. << Jack… tu… non… non… puoi >>, balbettai completamente paralizzato dal terrore.
 Jack mi avvicinò ancora di più il telefono. << Avanti, parlale >>.
 Presi il telefono in mano e lo guardai come se fosse un alieno.
 Volevo mettermi il telefono vicino all’orecchio e aspettare che la sua voce pronunciasse l’usuale “pronto”, ma sapevo di non poterlo fare.
 << Jack… tu non capisci, non posso >>, dissi premendo il tasto di chiusura della chiamata.
 << Perché? >>, chiese riprendendosi il telefono con la stessa velocità con la quale mi avrebbe tirato uno schiaffo.
<< Perché le ho detto addio, perché per quanto mi manchi so che quello che ho fatto è giusto, lei deve vivere la sua vita senza di me, non voglio che lei soffra >>.
 << Ma in questo modo stai soffrendo tu >>.
 Sorrisi tristemente. << Non importa… meglio io che lei >>.
 Scosse la testa. << Potevate restare in contatto, non sareste stati male né tu, né lei >>.
 << No, credimi, è meglio così >>.
 Si protese verso di me e catturò il mio sguardo nel suo. << Alex, a me non sta bene che tu stia così giù di morale, siamo in tour! Dovremmo divertirci! >>.
 Annuii. << Hai ragione… dovrei divertirmi >>.
 Mi strinse affettuosamente una spalla. << Da oggi voglio che tu ti goda il tour >>, mi sorrise. << E che beva con me la sera >>, aggiunse con una risata.
 Non potei non farmi trascinare dal suo buon umore, così ricambiai il sorriso. << Da oggi mi divertirò, te lo prometto >>.
 Mi sorrise nuovamente, questa volta più raggiante. << Bene >>.
 Improvvisamente la tendina grigia si aprì di nuovo rivelando una figura scura ed alta, che dopo il tempo necessario perché i miei occhi si abituassero alla luce, riconobbi essere Zack.
 << Che state facendo? >>, chiese scrutandoci attentamente.
 << Una chiacchierata >>, rispose Jack.
 << Riguardo quello che è successo ieri? >>, chiese Zack rivolto a me.
 Annuii. << Sì… e… oh, ti ringrazio per non aver rivelato nulla su di me e Stella >>, gli sorrisi.
 Zack ricambiò il sorriso e mi diede una pacca affettuosa sulla spalla. << Sono tuo amico, per te questo ed altro >>.
 Ampliai il mio sorriso.
 << Ma faresti meglio a uscire da qui e andarti a fare una doccia, prima che arrivi Matt e ti butti fuori dal letto a calci >>, continuò Zack.
 Ridacchiai ma mi alzai dal letto. << Agli ordini! >>.
 Mi dedicai una lunga e calda doccia, dopodiché feci colazione nonostante fosse passata anche l’ora di pranzo e raggiunsi gli altri nello stadio di Toronto. Finalmente eravamo arrivati dopo tante ore di viaggio.
 Non appena misi un piede a terra il silenzio che circondava lo stadio fu spezzato da un insieme di urli agghiaccianti. Meno male che c’erano i bodyguard, che fermarono la massa di ragazze che voleva saltarmi addosso.
 Sorrisi alle fans salutandole. Era davvero formidabile come se ne stessero lì ore ed ore prima del concerto ad aspettare di entrare per arrivare in prima fila, così da averci vicinissimi, così tanto da poter incrociare un nostro sguardo o toccarci una mano.
Mi aveva sempre fatto piacere il pensiero di poter rendere la vita o una giornata migliore ai nostri fans con la nostra musica, era il più bel premio di tutti, meglio di tutti quei soldi che ricavavamo.
Tornai indietro su i miei passi e risalì sul pullman, presi un pennarello ed iniziai a firmare autografi e a fare delle foto con le mie dolcissime fans. Era il minimo che gli dovevo, grazie a loro noi eravamo gli All Time Low.
 Come previsto, quando arrivai dentro, Matt era già furioso per il mio ritardo. Mi si piazzò davanti con gli occhi  tra il verde e il castano ridotti a due fessure, i pugni chiusi sui fianchi e la mascella rigida.
 << Ti hanno mai detto che sei davvero sexy quando ti arrabbi? >>, sparai per smorzare la tensione, ma ovviamente non ottenni l’effetto sperato.
 << Dove sei stato? >>, mi chiese adirato.
 Matt era un ragazzo alto, della mia età, con un bel corpo muscoloso, i capelli corti neri e un bel piercing sul labbro inferiore; era un membro nella nostra grande famiglia e come agli altri, gli volevo molto bene, anche se lo facevo sempre esasperare.
 << Mi sono fermato a fare autografi >>, mi strinsi nelle spalle.
 La sua espressione rigida e furiosa si accentuò. << Ti sembrava il caso di metterti a firmare autografi? >>.
 << Si, lo sai che tengo ai fan >>.
 Matt riaprì la bocca per procedere con il suo mega rimprovero, ma per fortuna arrivò Jack.
 << Lascialo stare Matt, lo sai che sta passando un brutto periodo >>.
 Matt sospirò stringendosi le braccia al petto.
 << E poi stanno provando gli Hey Monday, noi inizieremo tra un po’, quindi… non è in ritardo >>.
 Annuii concordando pienamente con le parole di Jack.
 Amavo quel ragazzo.
 Matt mi rivolse un’ultima occhiata furiosa, poi prima di girare i tacchi disse: << Preparati per andare sul palco >>.
 Sospirai. << Grazie >>.
Jack si strinse nelle spalle. << Di nulla fratello >>.
 << Ma… gli Hey Monday? Che ci fanno qui? >>, chiesi ripensando alle parole di Jack.
Jack mi lanciò un’occhiata da “questo è scemo”, ma ci pensò Rian a dare voce ai suoi pensieri. << Ma sei diventato scemo o cosa? >>, mi chiese in tono scioccato.
Aggrottai le sopracciglia. << Perché? >>.
L’espressione di Rian era di puro sgomento. Guardò Jack, che si strinse nelle spalle. << È da giorni che stiamo parlando dell’apertura degli Hey Monday al nostro concerto di stasera! >>.
Ora ero io quello sgomentato.
 << Ma… stai dicendo sul serio? >>, chiesi.
Rian mi rivolse un sorriso. << No, certo che no >>, commentò in tono sarcastico dal quale capì che il suo bel
sorriso questa volta era falso. << Ma dove hai vissuto in questi ultimi giorni? >>.
 << Su una Stella >>, rispose Jack con un sorriso idiota stampato sulla faccia.
Gli lanciai un’occhiataccia per la quale si dileguò avvicinandosi al palco.
Tornai a guardare Rian offeso ,non perché avevo dimenticato la partecipazione degli Hey Monday al nostro concerto, ma perché avevo dimenticato la partecipazione di Cassadee, la sua fidanzata, la cantante degli Hey Monday, una ragazza davvero graziosa che avevo conosciuto in varie occasioni e con la quale avevo cantato a qualche concerto “Remembering Sunday”.
 << Scusa Rian >>, sospirai passandomi una mano tra i capelli. << Lo sai che in questi giorni non sono molto in me >>.
Lui annuì comprensivo.
 << Ma ti prometto che da oggi cercherò di essere più presente >>.
 Mi sorrise. << Non devi farlo per me, devi farlo per te >>.
 Annuii. << Lo so >>.
 << Forza… >>, mi batté un colpetto sulla spalla. << Andiamo >>.
 Mi feci guidare da Rian verso il palco, dove Cassadee e gli altri componenti degli Hey Monday, stavano suonando: “How you love me now”.
 Non provarono molte canzoni e ben presto arrivò il nostro turno di provare.
 Cassadee scese dal palco e dopo aver abbracciato e baciato Rian, mi si avvicinò. Cassadee aveva ventidue anni, era un po’ più bassa di me, con i capelli corti castani, la frangetta tinta di biondo e gli occhi tra il verde e l’azzurro, davvero molto belli.
 << Alex! >>, esclamò con un sorriso ampio.
 << Ehi! Come stai? >>.
 Mi abbracciò ed io ricambiai.
 << Tutto bene e tu? Rian mi ha raccontato che non te la passi bene >>, finì rivolgendomi un’occhiata
preoccupata.
 Scrollai le spalle e mi appuntai mentalmente di tappare la bocca di Rian con una super colla. << Nulla di che >>.
Alzò un sopracciglio. Non la convincevo neanche un po’ e se conoscevo bene Cassadee, che era una tosta,
non mi avrebbe lasciato perdere tanto facilmente.
Scossi la testa chiedendomi mentalmente perché mi stessi arrendendo. << Rian dovrebbe imparare a tenere la bocca chiusa >>, borbottai.
Cassadee rise. << Oh fidati, non è colpa sua, sono io che so farmi raccontare tutto >>, sorrise.
<< Già, sei un diavoletto >>, sorrisi sghembo.
 << Un diavoletto che si preoccupa per i suoi amici >>, ribatte lei. << Dimmi cosa ti è successo >>.
 Temporeggiai. << Ma non lo sai già? >>.
 << So solo che sei stato male in questi giorni, ma non fisicamente >>.
 << E… non ti basta? >>.
 Mi tirò una violenta botta al braccio che mi fece sussultare dal dolore. << Ma che caz…? >>.
 << Muoviti a parlare! >>, mi intimò.
 Mi massaggiai ancora un po’ la parte del braccio dolente, prima di cominciare a raccontarle. << Si tratta di problemi di cuore >>.
 Annuii tra sé e sé. << Lo sapevo >>, disse fiera di se stessa e del suo sesto senso femminile. << Dimmi tutto >>.
 << Ma in realtà dovrei andare a provare, Matt è già abbastanza incazzato con me >>, dissi sia perché era la verità, sia perché non volevo parlare di … lei, volevo concentrarmi sul tour e iniziare ad essere più presente nel gruppo, nella mia vita.
Purtroppo la sfortuna era dalla mia parte; proprio in quel momento Matt ci venne vicino e ci avvisò di alcuni problemi con l’impianto audio che io sospettai avesse manomesso Cassadee per parlare con me, ma ovviamente era un’idea stupida.
Mi sorrise soddisfatta. << Bene, si vede che il destino ti è avverso >>, sogghignò.
Alzai gli occhi al cielo.
Mi prese sotto braccio. << Dai, andiamo a prenderci un caffè e nel frattempo tu mi racconterai tutto, per filo e per segno >>.
E così metà del pomeriggio che avrei dovuto passare a provare, lo passai in un bar vicino allo stadio di Toronto con Cassadee ed il ricordo di Stella che nonostante la promessa fatta a Jack e la consapevolezza di aver fatto quello che era giusto, continuava a bruciarmi dentro.
 << Così ora lei è nei Simple Plan >>, disse Cassadee una volta finito il racconto, con aria pensosa.
 << Già >>, annuii. << Ma non ho nulla contro di loro, anzi, mi sono simpatici e mi piace la loro musica >>.
 << Ma sei geloso di Pierre >>.
 Le lanciai un’occhiataccia. << Non sono geloso di Pierre, lo ero un po’ prima, ora non più >>, chiarì.
 Cassadee si strinse nelle spalle con aria non curante. << Sai, tra tre giorni, abbiamo un concerto a Bristol, in Inghilterra e so per certo che i Simple Plan terranno un concerto lì il giorno prima >>.
 Nonostante cercassi di restare neutrale a quell’affermazione, il mio cuore ebbe un sussulto ed iniziò a battere forte.
 << Quindi molto probabilmente vedrò la tua Stella… >>, continuò.
 La mia Stella…
 Pensai sentendo un forte vuoto al petto.
 Cassadee imprigionò il mio sguardo nel suo. << E… magari tu puoi venire con me, così la puoi rivedere >>.
 I suoi occhi, di quel sensazionale colore… sembravano così magnetici, così ipnotizzanti…
 Volevo accettare il suo invito, volevo rivedere Stella, volevo…
 Distolsi lo sguardo prima di poter accettare il suo invito. Stava cercando di “ipnotizzarmi”, ma non ci sarebbe riuscita, non potevo vedere Stella… mai più.
 << No! >>, esclamai.
 Cassadee sbuffò facendo svolazzare i capelli biondi della frangetta portata di lato. << Perché no? >>.
 << Perché è finita >>, sentenziai con un groppo alla gola grosso quanto una casa. << E lei non è più la mia Stella >>, conclusi riuscendo ad evitare per un soffio le lacrime.
Dovevo resistere, dovevo vivere… lo avevo promesso a Jack.
Sentì la mano di Cassadee poggiarsi sulla mia spalla sinistra mentre io affondavo la testa nelle mani. << Mi
 dispiace, non volevo farti ricordare >>.
Scossi la testa e riemergendo dalle mani, le rivolsi un sorriso triste. << Tranquilla, non è colpa tua, sono io che non riesco ad andare avanti >>.
Mi sorrise dolcemente. << Vedrai che ci riuscirai, basta far passare un po’ di tempo, non ti puoi aspettare che accada tutto in così poco tempo >>.
 << Ma non so nemmeno da dove cominciare… >>, borbottai.  << La penso sempre, non riesco a fare altro >>.
 << Divertiti! >>, esclamò. << Sei in tour, hai milioni di cose da fare, hai solo l’imbarazzo della scelta >>.
 << Hai ragione>>.
 << Certo che ho ragione! >>, esclamò con entusiasmo.
 Mi lasciai andare ad una risata.
 << Sai, per prima cosa dovresti tornare a cantare “Stella” >>, mi disse dopo un po’.
 Era inutile chiederle chi glielo avesse detto.
 << La canzone non parla di lei ma se comunque te la fa pensare allora devi essere abbastanza forte da riuscire a cantarla senza provare dolore o tristezza >>.
 Be’… aveva senso quello che aveva detto. Non cantavo Stella da quando lei se n’era andata, l’avevo tolta da tutte le scalette dei concerti, proibendo a tutti di suonare o cantare una sola strofa di quella maledetta canzone che portava il suo nome. Ma perché le avevano dato il nome della birra? Gli Italiani!
Spostai lo sguardo da Cassadee alla finestra che dava sulla strada.
Dovevo essere forte, dovevo lasciar andare il passato, dovevo divertirmi, godermi la vita ed il primo passo sarebbe stato tornare a cantare Stella.
Strinsi i pugni e sorrisi a Cassadee. << Bene, stasera Stella ci sarà >>.
Protese verso di me una mano ed io vi battei la mia.
 
Lo stadio era pienissimo, non vedevo un solo posto vuoto… per quanto io riuscissi a vedere con tutte quelle luci puntate negli occhi. La serata era iniziata bene, gli Hey Monday erano stati bravissimi ed il pubblico li aveva acclamati molto. I nostri primi pezzi erano andati, ora era la volta di quello più importante… più per me che per gli altri. Mi ero domandato tutto il resto del pomeriggio se sarei riuscito a cantarla, se avrei sotterrato il dolore e avrei cantato sorridendo alla folla e suonando con disinvoltura come facevo sempre.
<< Bene ragazzi, proseguiamo con la prossima canzone… >>, dissi nel microfono mentre mi sistemavo la chitarra sulla spalla. << È da un po’ che non la suoniamo… e spero che venga fuori bene >>, ridacchiai tra me e me.
 Mi voltai verso Jack, che mi sorrise annuendo, preparandosi a suonare. Volai con lo sguardo dietro Jack e vidi Cassadee, dietro le quinte che mi fece l’occhiolino. Le sorrisi, poi tornai a rivolgermi alla folla urlante. << Ecco a voi… >>.
 Sgombrai la mente da tutti i pensieri. Presi in mano la chitarra, sfiorai le sue corde. Guardai la folla.
 << Stella >>.
 Le urla della folla aumentarono ed io sorrisi inconsciamente. Forse per lei, forse perché suonarla non mi intristiva come in realtà pensavo.
 
 “Sick, sick of sleeping on the floor
 Another night, another score
 I'm jaded
 Bottles breaking
 
 You're only happy when I'm wasted
 I point the finger but I just can't place it
 It feels like I'm falling in love
 When I'm falling to the bathroom floor
 I'll remember how you tasted
 I've had you so many times let’s face it
 Feels like I'm falling in love alone
 Stella would you take me home
 Stella would you take me home”.

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Capitolo 21
*** I miss you more than anything ***


-Jet Lag, Simple Plan-.

Era il venti dicembre, il bus del tour procedeva veloce sull’autostrada Inglese, che ci avrebbe portato a Bristol, la successiva tappa del nostro lungo tour.
Ero ancora nel mio piccolo lettino, coperta fino alle orecchie dalla coperta di lana che mi teneva al caldo, riparandomi dal freddo che veniva da fuori. Gli altri erano già svegli, li sentivo ridere in quella che io chiamavo “cucina”; ma probabilmente non eravamo ancora arrivati visto che nessuno era venuto a svegliarmi.
Non volevo abbandonare il caldo del letto, non volevo aprire gli occhi, sarei voluta rimanere lì sdraiata per sempre, dormendo tutti i giorni, ventiquattro ore su ventiquattro…
Ma purtroppo dopo un po’ che mi ero semi-svegliata, qualcuno mi venne a scuotere per farmi svegliare.
<< Stella! >>.
Feci un verso di fastidio e mi coprì il resto della faccia scoperta con le coperte.
Mi scossero di nuovo. << Avanti Tell, siamo quasi arrivati a Bristol! >>.
Emisi di nuovo un verso di lamento per protestare, non accennando a muovermi da lì.
Sentì sbuffare. << Ok allora, non mi lasci altra scelta… >>.
Aggrottai la fronte perplessa da quelle parole. All’improvviso due mani mi si poggiarono sui fianchi ed iniziarono a muoversi facendomi il solletico. Iniziai a ridere e così anche la persona che stava fuori; le sue mani si fermarono solo quando tra una risata e l’altra, senza fiato lo pregai di smettere.
Ripresi fiato e controvoglia mi scoprì la faccia, aprì un occhio e poi l’altro, pazientando un po’ per farli abituare alla luce del giorno. Quando tornai a vedere, riconobbi la figura nera seduta sul letto affianco a me: Sebastian o come avevo imparato a chiamarlo, Seb.
<< Be’… buongiorno! >>, esclamò sorridendomi.
Quella mattina i suoi bellissimi occhi azzurri erano incorniciati da un paio d’occhiali da vista dai bordi sottili e di color blu.
Gli lanciai un’occhiataccia. << Ti pare il modo di svegliarmi? >>, gli chiesi con tono infastidito anche se sotto sotto avevo apprezzato il gesto, nessuno mi aveva più svegliato così da anni… più o meno da quando Jack se ne era andato a diciott’anni.
Si strinse nelle spalle, ma sorrise. << Era l’unico modo >>.
Gli mostrai la lingua. << La prossima volta ti verrò io a svegliare! >>, lo “minacciai”.
Scoppio a ridere. << Va bene piccolina >>, disse scompigliandomi i capelli in un gesto affettuoso.
Risi con lui lasciando andare la mia aria da finta arrabbiata.
Seguì Seb nella cucina, dove gli altri erano già a tavola; presi posto tra Pierre e Seb, proprio di fronte a Jeff che stava scribacchiando su un foglio. Alla destra di Jeff c’era Chuck, che mangiava una merendina guardando un cartone animato che stavano trasmettendo alla televisione e alla sinistra di Jeff c’era David, che sorseggiava un caffè.
<< Buongiorno! >>, esclamai rivolgendo un sorriso alla mia nuova famiglia, la mia band, i miei amici.
<< Buongiorno Tell! >>, disse David facendomi l’occhiolino.
<< Ben svegliata dormigliona >>, disse Pierre sorridendomi, scoprendo le sue belle guanciotte paffute.
<< Buongiorno >>, mi augurarono in coro Chuck e Jeff sorridendomi. << Dormito bene? >>, chiese Jeff mentre Chuck tornava a guardare il cartone.
<< Si, davvero bene >>, mi stiracchiai.
<< Non si voleva nemmeno alzare >>, ridacchiò Seb.
Pierre rise. << Ho sentito le risate >>.
Con il pollice indicai Sebastian. << Colpa sua >>.
Pierre gli lanciò un’occhiata divertita.
<< Dovevo farlo >>, si strinse nelle spalle Seb.
<< Hai fatto bene >>, annuì Jeff.
<< Ehi!>>, mi lamentai.
Scoppiammo a ridere all’unisono.
Non stavo con i Simple Plan da molto, ma mi sembrava di essere sempre stata una di loro, mi sentivo a casa. Mi avevano accettata così com’ero, mi avevano fatto divertire, mi avevano subito fatta sentire come parte del gruppo, trattandomi come una di loro. Adoravo tutti e cinque: erano dei ragazzi davvero speciali ai quali volevo bene ogni giorno di più. Con Pierre e Sebastian si era creato un legame più forte, forse per tutte le volte in cui mi ero sfogata con loro riguardo ad Alex; loro mi erano stati a sentire senza dire una parola e mi avevano consolato come avrebbe fatto Jack, come dei fratelli. Ovviamente anche io ricambiavo la loro dolcezza; alcune sere in cui la malinconia per Lachelle faceva uscire di testa Pierre, io lo consolavo, visto che capivo benissimo come si sentiva.
<< Suoneremo qualche canzone nuova al concerto di stasera? >>, chiesi versandomi un po’ di caffè in una tazzina.
<< Intendi qualcuna che non abbiamo suddiviso? >>, mi chiese Pierre.
Annuii sorseggiando il caffè.
<< Si >>, disse David. << Jet Lag >>.
Sgranai gli occhi. << Jet Lag? >>.
David mi lanciò un’occhiata interrogativa.
<< Si, Jet Lag >>, ribadì Pierre.
Poggiai la tazzina sul tavolo. D’un tratto mi era passata la voglia di berlo o di fare qualsiasi altra cosa.
<< Non… credo di poterla cantare >>, dissi abbassando lo sguardo verso i miei piedi.
Tutti e cinque mi lanciarono occhiate curiose e perplesse.
<< È una canzone che parla di un amore lontano >>, spiegai, ma probabilmente non riuscirono a fare due più due, a parte Pierre che mi guardò comprensivo.
Jet Lag… già il titolo della canzone si adattava bene alla mia situazione: io in Inghilterra, lui in America, due fusi orari diversi, due continenti diversi, lui che mi mancava da morire…
No! No! No! 
Non potevo cantare quella canzone, mi avrebbe fatto pensare troppo ad Alex ed io non volevo che succedesse, volevo essere allegra, volevo lasciarmi il dolore alle spalle e quella canzone non me lo avrebbe permesso. No, mi rifiutavo.
<< Provaci almeno >>, disse Pierre dandomi una pacca d’incoraggiamento sulla spalla.
Lo guardai.
Non potevo cantarla… e Pierre doveva capirlo.
 
Arrivammo a Bristol quasi un’ora dopo, dove venimmo accolti dalla massa di fans che avrebbero partecipato al concerto e che incitavano già i nostri nomi urlandoli. Entrati nel grande edificio che ospitava il palco, il manager ci scortò ai nostri rispettivi camerini.
Il mio, come penso anche quello degli altri, era una stanza di media grandezza, di color bianco, con un divano a due posti nero, uno specchio per truccarsi con una sedia davanti, un tavolo bianco, un appendiabiti e una piccola stanza che ospitava il bagno.
Posai i vestiti che avrei indossato quella sera e mi presi un po’ di tempo per chiamare i miei genitori, che grazie a Debbie si erano visti tutti i video fatti dalle fans ai vari concerti e quasi ogni giorno mi inviavano
messaggi per dirmi che ero stata bravissima e che ero il loro orgoglio… insieme a Jack ovviamente.
Debbie mi aveva chiamata il giorno prima, per raccontarmi di Enrico, che era andato a casa sua pregandola di farmi ragionare e di convincermi a rimettermi con lui. Ormai era diventato un’ossessione quel ragazzo! Non si arrendeva proprio! Nonostante Pierre e David gli avessero gettato un secchio d’acqua addosso e io avessi riso come una matta prendendolo in giro, lui continuava ad insistere infastidendomi ancora di più. Pur di non vederlo sarei rimasta in tour per una vita.
Finita la telefonata con i miei, uscii dal camerino per dirigermi verso quello di Pierre, ma appena misi un piedi fuori, andai a sbattere contro una ragazza un po’ più bassa di me, magra, con i capelli lunghi fino alla fine del collo, castani, fatta eccezione per la frangetta portata di lato che era tinta di biondo e così alcune ciocche sul davanti. La cosa che mi colpì di più in quella ragazza furono gli occhi, un misto tra il verde e il celeste… davvero fantastici.
Il telefono che teneva vicino all’orecchio, cadde nell’impatto ed io, chiedendo scusa, mi chinai per riprenderglielo, ma il nome che lessi sullo schermo mi fece partire in tilt il cervello e non mi permise di muovere più un muscolo.
<< Cassadee? Sei ancora lì? >>, chiese una voce dall’altro capo del telefono.
Una voce che riconobbi subito. Mi si bloccò il respiro.
Non era possibile. Perché quella ragazza aveva il numero di Alex? Perché ci stava parlando? E soprattutto… perché era lì?
Non fui abbastanza rapida nel riprendermi che la ragazza mi scoccò un’occhiataccia e raccolse il telefono da terra tornando a camminare nel corridoio.
Rimasi immobile, tormentata da immagini di Alex con quella ragazza. Possibile che fosse la nuova fidanzata di Alex?
Be’… aveva fatto presto a trovarsene un’altra! Che stupida che ero stata a credere che lui pensasse ancora a me! Era evidente che si era cercato un’altra da abbindolare, alla quale dire “ti amo” così che lei ci potesse credere. Ero un’idiota! Avevo creduto alle sue parole, quando Jack aveva ragione… Jack aveva sempre avuto ragione. Alex era uno stronzo! Uno di quei ragazzi che usa le donne come bambole gonfiabili… e io c’ero caduta in pieno… ero caduta tra le sue braccia come una stupida.
Ero piena di rabbia. Contro me stessa, contro Alex e contro quella ragazza che era venuta lì probabilmente per dirmi della buona notizia, per farmi ingelosire.
Sbuffai di rabbia.
Non avrei mai più ceduto ai ragazzi, non mi sarei mai più fidata. Mai più!
Mi alzai e con i pugni stretti mi diressi a passo furioso verso il camerino di Pierre.
Ora si che avrei cantato Jet Lag!
 
Dopo aver provato Jet Lag a cappella nel camerino, io e Pierre raggiungemmo gli altri sul palco, che somigliava a tutti gli altri su cui avevo camminato; l’unica cosa che distingueva un posto dall’altro erano i fans, la folla, il loro amore per la band, per la musica… oh e ovviamente anche i tecnici, le luci, le posizioni delle casse.
Quando arrivammo, Chuck, David e Jeff stavano parlando con due ragazzi che non avevo mai visto prima, Seb stava parlando con un tecnico e la ragazza del corridoio era in disparte con il telefono ancora in mano. Quando vide Pierre, gli sorrise e gli corse incontro.
Strinsi i pugni conficcandomi le unghie nei palmi.
<< Cassadee! >>, esclamò Pierre abbracciando la ragazza.
<< Pierre! Da quanto tempo >>.
Distolsi lo sguardo da quella scena per evitare di schiaffeggiare tutti e due.
<< Già, ma che ci fai qui? >>, le chiese Pierre.
<< Domani abbiamo un concerto qui e volevamo vedere il palco. Sapendo che oggi ci sareste stati voi abbiamo pensato “perché non fare un salto?” >>.
Perché ti spacco la faccia.
Pensai guardando Cassadee piena di odio.
<< Avete fatto bene >>, sorrise raggiante Pierre.
Io non direi.
Pensai mentre mi giravo per andarmene da Sebastian, quando Pierre disse: << Oh, Cassadee, ti presento Stella Barakat, sorella di Jack degli All Time Low e nuovo membro dei Simple Plan >>.
Cassadee annuì scrutandomi dalla testa ai piedi. << Ecco perché eri così familiare >>, disse.  << Tu e tuo fratello avete la stessa faccia >>.
<< Lo so >>, dissi rimanendo neutra sia d’espressione che di voce.
<< Stella, lei è Cassadee, cantante degli Hey Monday >>, la presentò Pierre.
Cassadee sorrise fiera, ed io non potei fare a meno di punzecchiarla. << Non li ho mai sentiti nominare >>, dissi.
 Non era una bugia, era vero, non li avevo mai sentiti.
Cassadee sembrò offesa e questo mi rese molto felice, tanto che dovetti reprimere un sorriso. Fece cadere il discorso.
<< Sai Stella, mi hanno raccontato molto di te >>.
<< Chi ti ha raccontato di me? >>, le chiesi sulla difensiva, poi tra i denti aggiunsi: << Il tuo fidanzato? >>.
Mi guardò sorpresa. << Si >>.
Un tuffo al cuore.
Strinsi così forte i denti che le gengive iniziarono a dolermi.
Prima che potessi dire altro, il suo telefono squillò e lei vedendo di chi si trattava (probabilmente del suo fottuto fidanzato) sorrise a trentadue denti.
<< Amore mio! >>, esclamò.
Sbuffai di rabbia.
<< Si, sono a Bristol e indovina un po’ con chi sono? >>.
Stai calma Stella, stai calma.
<< Si, con Stella è proprio qui vicino a  me >>.
Già e ti sta per togliere quel sorriso scemo dalla faccia!
<< Si, sa da sola che siamo fidanzati >>.
Strinsi i pugni ancora più forte di prima provocandomi piccoli taglietti sui palmi.
<< No, non mi sembra che sia stupita >>.
Il mio limite di sopportazione era giunto al termine. Le immagini di Cassadee ed Alex mi vorticavano per la testa alimentando la mia rabbia.
 Senza pensarci assestai uno schiaffo in piena guancia a Cassadee. Vi giuro che se avessi saputo prima la verità non lo avrei mai fatto.
L’impatto fu talmente forte che Cassadee cadde per terra e il cellulare cadde di nuovo. Se continuavo a farlo cadere alla fine lo avrei rotto.
Il palco si fece silenzioso, erano tutti in preda allo shock, compresa Cassadee che aveva una guancia più rossa di un pomodoro.
Mi guardò scioccata. << Ma che cazzo fai? >>.
<< Che cazzo fai tu! >>, replicai con astio. << Vieni qui e mi sbatti in faccia che sei la nuova fidanzata di Alex! >>.
Nonostante stesse –probabilmente- morendo di dolore, Cassadee scoppiò in un’ allegra risata. << Prendi il telefono >>.
<< Perché? >>, chiesi.
<< Prendilo e vedi chi mi ha chiamato >>, mi incitò.
Mi piegai a raccogliere il suo telefono e guardai lo schermo. La chiamata non si era interrotta. Guardai il nome e…
Avrei preferito sprofondare nella terra e uscire di scena.
Mi portai il cellulare all’orecchio mentre le mie guance si coloravano di rosso, un rosso molto meno forte di quello sulla guancia di Cassadee.
<< Rian? >>, dissi.
<< Stella? >>.
Si, era proprio Rian, ed io ero una cogliona. Ma perché nessuno mi aveva mai detto che Rian era fidanzato?! O forse Debbie me lo aveva detto qualche volta ma visto che non m interessava avevo evitato di ricordarmelo.
<< Si, sono io >>, confermai.
<< Che è successo? Ho sentito un botto e poi delle voci, ma non ho capito nulla! >>, disse con voce allarmata.
<< Tranquillo, non è successo nulla, poi ti spiegherà Cassadee più tardi >>.
<< Ma sta bene, si? >>.
<< Si, si, stiamo tutti bene, non preoccuparti, ciao >>.
Riattaccai prima che potesse ribattere.
Ero imbarazzatissima, avevo fatto una figuraccia davanti a tutti e solo perché mi ero fatta ingannare dalle apparenze… e non avevo avuto fiducia in Alex.
Quel pensiero tramutò l’imbarazzo in senso di colpa. Non avrei mai dovuto dubitare di lui, ma invece lo avevo fatto e questo mi rendeva ancora più furiosa con me stessa, ero stata stupida, davvero tanto stupida.
I due ragazzi che prima stavano parlandi con Chuck, David e Jeff, si avvicinarono a Cassadee e l’aiutarono a rimettersi in piedi; sospettavo fossero due dei componenti degli Hey Monday.
<< Stella, noi abbiamo bisogno di parlare >>, disse Cassadee guardandomi storto.
Annuii a testa bassa. << Andiamo nel mio camerino >>, dissi e l’accompagnai.
Nel tragitto rimanemmo in silenzio: il suo rabbioso, il mio triste e colpevole. Quando arrivammo, Cassadee si specchiò per vedere com’era ridotta la sua guancia, ora di color porpora.
<< Fantastico! >>, sbuffò. << Domani ho un concerto ed ho un livido enorme sulla guancia >>, mi lanciò  un’occhiata accusatoria attraverso lo specchio.
<< Senti, mi dispiace, ho capito male la situazione >>, dissi a testa bassa.
<< Oh si che hai capito male la situazione! >>, esclamò girandosi verso di me furiosa. << Pensavi che io stessi con Alex… con Alex! Uno dei migliori amici del mio fidanzato che neanche mi piace, poi >>.
<< Ma io che ne sapevo! >>, mi difesi. << Nessuno mi ha mai detto che Rian è fidanzato >>.
<< Potevi chiedere prima di agire >>, si indicò la guancia livida.
Sospirai. << Ti richiedo scusa, se solo avessi saputo… ti giuro che non lo avrei mai fatto >>.
Anche lei si lasciò andare ad un lungo sospiro.
<< Ti presto la mia crema colorata, vediamo se riesce a coprire il livido >>, dissi andando a frugare nella mia borsetta dalla quale poco dopo estrassi il tubetto di crema colorata che porsi a Cassadee.
<< Grazie >>.
Mentre lei si sedeva sulla sedia di fronte allo specchio e iniziava a spalmarsi piano piano la crema, io mi sedetti sul divano con un peso enorme dentro il petto compensato da un senso di sollievo dovuto al fatto che Alex non mi aveva tradita nonostante io avessi pensato il contrario, quindi voleva dire che ancora mi amava… oppure non aveva trovato nessuna.
<< Sai, da come Alex mi ha parlato di te non immaginavo davvero che mi avresti tirato uno schiaffo >>.
La guardai. << Alex ti ha parlato di me? >>, le chiesi lasciandomi scappare un sorriso.
Mi lanciò un’occhiata. << Già, mi ha raccontato della vostra storia >>.
Mi accigliai. << E perché l’avrebbe fatto? >>.
Cassadee si spalmò la crema anche sul resto della faccia per non far vedere la differenza di colore. << Perché io l’ho costretto >>, sorrise. << Rian mi aveva detto che non stava molto bene, che aveva problemi d’amore e che somigliava di più ad una mummia che ad un essere umano >>.
Mi pizzicarono gli occhi. Alex stava male.
<< Sta male per me? >>, chiesi con un groppo in gola.
Cassadee annuii richiudendo il tubetto e ripassandomelo. Si girò verso di me. Il livido sembrava scomparso. << Come tu stai male per lui >>.
Distolsi lo sguardo.
Alex probabilmente era tormentato dallo stesso dolore insopportabile che tormentava me; ed io avevo pensato che lui stesse con un’altra…
<< Perché non vai da lui in America? Perché non ricominciate? >>, mi chiese Cassadee ancora appollaiata sulla sedia che mi fissava con quegli occhi quasi ipnotizzanti.
Scossi la testa. << No, non posso >>.
Alzò gli occhi al cielo. << Perché no? >>.
<< Perché… è meglio così, è… un bene per tutti e due >>, dissi ma in verità sapevo che nulla in quella frase era vero. << Lui ha voluto chiudere con me per non farmi soffrire e così sarà, devo solo farci ancora l’abitudine >>.
Scosse la testa ridendo amaramente. << Siete proprio uguali, sai? Tutti e due così sciocchi >>.
Le lanciai un’occhiataccia. << Che vorresti dire? >>.
<< Anche lui vuole andare avanti, pensa che lasciarti sia stata una buona idea per non farti soffrire, ma in realtà state soffrendo tutti e due e così sarà finché non starete di nuovo insieme! Non potete negare la verità: voi sapete che non starete mai bene l’uno senza l’altra >>.
Mi sentì prossima alle lacrime, ma non volevo piangere, non davanti a lei, ma soprattutto perché era finito il tempo di piangere, dovevo fare qualcosa. Cassadee aveva ragione, non potevo più negarlo a me stessa, stavo malissimo senza Alex e ogni giorno la cosa andava peggiorando, non sarei mai potuta stare bene senza Alex al mio fianco. Aveva sbagliato ed era il momento che io glielo facessi notare.
La guardai negli occhi. << Hai ragione, non sarò mai felice senza Alex… ma… >>.
<< Ma? >>.
<< Lui mi ha lasciata, quindi non cambierà idea >>.
Cassadee mi sorrise quasi maligna. << Tranquilla, so io cosa fare >>.
<< Cosa? >>.
<< I niziamo da Jet Lag… >>.
Le lanciai un’occhiata pensierosa.
 
Era giunto il momento ed io non ero mai stata così pronta e felice solo al pensiero di cantare una canzone. La folla era in completo delirio. Noi della band eravamo tutti grondanti di sudore per quell’altra notte di musica. Avevo i capelli attaccati alla fronte e al collo e la maglietta attaccata alla schiena, ma ero pronta a cantare con tutta la passione che avevo, l’ultima canzone, la più importante di tutte: Jet Lag.
<< Bene ragazzi, siamo arrivati all’ultima canzone di questa serata… >>, disse Pierre nel microfono.
Dalla folla provennero dei versi di dispiacere.
<< Spero vi siate diverti >>, ci lanciò un’occhiata e ci sorrise. << Perché noi di sicuro si >>.
<< Quest’ultima canzone, la voglio dedicare ad una persona molto speciale >>, dissi mentre la folla ricominciava ad urlare. << Un ragazzo che mi ha cambiato la vita e che ora probabilmente sarà in America impegnato nel suo tour mondiale, kilometri e kilometri lontano da me >>.
Presi un bel respiro e continuai sentendomi sicura di me stessa e delle parole che stavo per dire. << Sapete,
in questi giorni, ho imparato che la distanza non può cambiare o distruggere i sentimenti, quelli rimangono sempre uguali, soprattutto se sono sinceri >>.
Pensai al mio primo bacio con Alex, alla discoteca di Roma, quando tutto non era ancora iniziato, quando ci eravamo baciati perché sentivamo già di amarci; pensai alla nostra prima volta, quando ci eravamo detti per la prima volta di amarci, ricordai il tono sincero e sentito in cui lo dicemmo tutti e due.
<< Questa canzone la dedico ad Alex Gaskarth, il ragazzo che amo e al quale voglio dire che… mi manca più di ogni altra cosa >>.
Pierre mi sorrise e mi strinse affettuosamente una spalla. << Ecco a voi Jet Lag >>.
Cantai la canzone ricordando ogni momento passato con Alex, liberando i miei sentimenti e tutta la mia malinconia.
 
“What time is it where you are?
I miss you more than anything
Back at home you feel so far
Waitin for the phone to ring
It’s gettin lonely livin upside down
I don’t even wanna be in this town
Tryin to figure out the time zones makin me crazy
 
You say good morning
When it’s midnight
Going out of my head
Alone in this bed
I wake up to your sunset
It’s drivin me mad
I miss you so bad
And my heart heart  heart is so jetlagged”.
 
(Alex)
Ero nella sala “relax”, con la chitarra in grembo e strimpellavo qualche nota in cerca di una nuova musica che però non arrivata, come la felicità nel mio umore. Per quanto mi fossi sentito liberato dal fatto che fossi riuscito a cantare “Stella”, la mia felicità non era durata neanche un giorno e con la partenza di Cassadee la cosa era peggiorata. Non riuscivo di nuovo a fare nulla, mi sentivo uno straccio, un tappeto… che neanche dormiva. Erano le otto di mattina ed io ero già sveglio. In vita mia non avevo mai visto com’è un giorno alle otto di mattina: per me la giornata iniziava all’una, non alle otto! Gli altri avevano capito che ero tornato di malumore, ma per fortuna non mi erano venuti a ripetere che dovevo divertirmi, probabilmente si erano arresi, come me. Non potevo divertirmi. Probabilmente sarei morto da un giorno all’altro oppure avrei iniziato a fare la muffa sul divano e sulla chitarra che tenevo sempre in mano per cercare di concentrarmi almeno sulla musica, che era stata la mia compagna di vita fino a quel momento e che ora non riusciva più a curarmi come faceva sempre. Mi sentivo devastato.
<< Alex! Alex! >>, mi sentì chiamare.
Dopo pochi secondi la porta si spalancò e ne uscì Jack, con la maglia del pigiama e dei boxer neri, i capelli scompigliati (più del solito) e uno sguardo da folle. Sembrava che fosse lui quello che stava per impazzire, non io. La sua vista non mi spaventò, ormai ero abituato alle sue stranezze e a vederlo vestito in tutti i modi e anche non vestito.
<< Che c’è? >>, chiesi in tono stanco.
<< Devi assolutamente venire a vedere cosa c’è alla televisione! >>.
Feci una smorfia. << Non mi va >>, grugnì.
<< Non te lo sto chiedendo, è un ordine! >>, urlò Jack scoppiando poi in un’allegra risata.
Mi sembrava ubriaco.
Lo segui nel “salotto” con passi lenti e annoiati. Quando arrivai, Rian e Zack erano già seduti sul divano che guardavano sorridenti la televisione. Jack si sedette al loro fianco e sorrise allegro. Spostai lo sguardo anche io verso la televisione e vidi solo una folla scalmanata che urlava.
<< Che devo vedere? >>, chiesi lanciando un’occhiataccia a Jack.
Ricambiò l’occhiataccia. << Non riconosci nemmeno la tua fidanzata? >>.
A quelle parole mi sentì leggermente cadere all’indietro, come se le mie gambe non riuscissero più a reggermi. Fissai il televisore con sguardo attento, in attesa di vedere il suo volto comparire sullo schermo. Era il concerto dei Simple Plan, quello che avevano fatto il giorno prima a Bristol del quale Cassadee mi aveva informato. Il cameraman stava riprendendo Pierre e il resto della band, che suonavano le ultime note di una canzone che stentavo a riconoscere data la poca attenzione che stavo mettendo all’ascolto. La mia attenzione era tutta sulle immagini, tutta sulle persone inquadrate.
La canzone finì e Pierre annunciò l’ultimo pezzo con un sorriso raggiante.
Stavo quasi per uscire pazzo con tutta quell’attesa, ma per fortuna proprio nel momento in cui l’idea di urlare spazientito si stava facendo largo nella mia mente, lei apparve.
Rimasi immobile. Anche se avessi voluto muovermi, non avrei mai potuto farlo, ero come paralizzato, solo il mio cuore continuava a muoversi martellante, rimbombandomi nelle orecchie.
La mia Stella…
Pensai respirando a fatica.
Era molto meno magra di quando l’avevo vista l’ultima volta il che era un bene, non avrei mai voluto che smettesse di nuovo di mangiare per la nostra/mia mancanza. Aveva i capelli neri incollati alla fronte e al collo, dove la pelle era imperlata dal sudore, che faceva brillare la sua pelle come se fosse stata ricoperta di brillantini. Gli occhi marroni erano due pozzi neri per via della poca luce sul palco, ma in loro riconoscevo quelli della ragazza che amavo e che avevo abbandonato perché ero stato uno stupido e stavo facendo la muffa su un divano per questo!
Sorrise al pubblico ed io mi sentì mancare, così indietreggiai verso il divano e mi sedetti sul braccio senza mai staccarle gli occhi di dosso. Mi faceva male il petto.
<< Quest’ultima canzone, la voglio dedicare ad una persona molto speciale >>, stava dicendo Stella alla folla.
<< Un ragazzo che mi ha cambiato la vita e che ora probabilmente sarà in America impegnato nel suo tour mondiale, kilometri e kilometri lontano da me >>.
Il cuore iniziò a battermi ancora più forte, ad un ritmo che fino a quel momento credevo impossibile. Sembrava quasi che stesse per esplodere.
I miei amici mi guardarono sorridenti, ma io non li degnai di uno sguardo, non ci riuscii… i miei occhi erano solo per lei, per la ragazza che mi faceva battere il cuore, che mi stava riempendo di nuovo di vita.
 << Sapete, in questi giorni, ho imparato che la distanza non può cambiare o distruggere i sentimenti, quelli rimangono sempre uguali, soprattutto se sono sinceri >>.
Il mio amore è sincero, Stella, sono stato un coglione a lasciarti, ma la distanza non ha distrutto quello che provo per te, lo ha accentuato.
<< Questa canzone la dedico ad Alex Gaskarth, il ragazzo che amo >>.
Gli occhi mi pizzicarono fastidiosamente.
Ti amo anche io Stell.
 << Al quale voglio dire che… mi manca più di ogni altra cosa >>.
Anche tu mi manchi amore. I miss you more than anything.
Pierre presentò la canzone: Jet Lag.
Una lacrima mi scese sulla guancia senza che riuscissi a trattenerla. L’asciugai subito prima che qualcuno potesse vederla.
Stella mi aveva dedicato una canzone, lo aveva fatto per dirmi che le mancavo… e anche lei mancava tanto a me. L’amavo, l’amavo più di ogni altra cosa, era la mia ragione di vita, ero un vegetale senza di lei, un disastro ambulante… avevo bisogno di Stella al mio fianco. Mi serviva Cassadee.
Quando la canzone finì mi ritirai di nuovo nella sala relax e lasciai che le lacrime si liberassero. Piansi non per dolore, non per malinconia, ma per la meravigliosa sensazione che mi trasmetteva solo il pensiero di essere amato dalla persona che per me era tutto.

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Capitolo 22
*** Merry christmas, kiss my ass ***


“When I gave you my heart,
You ripped it apart
Like wrapping paper trash
So I wrote you a song,
Hope that you sing along
And it goes,
merry Christmas, kiss my ass!".

 
(Stella)
Mancavano tre giorni a Natale e noi, dopo l’ultimo concerto prenotato per la sera del ventitré, saremmo andati in pausa per le vacanze. Non sapevo dove sarei andata, non potevo di certo ritornare in Italia e poi tornare in Europa per le nuove tappe, sarebbe stato stancante soprattutto perché avevamo solo pochi giorni di riposo e non volevo passare le feste nei vari aeroporti.  Sarebbero potuti venire i miei in Inghilterra! Erano secoli che non si facevano un viaggio e io morivo dalla voglia di passare un Natale fuori casa per vedere come festeggiava il resto del mondo.
Eravamo ancora a Bristol, ma saremmo partiti a breve: eravamo rimasti solo per salutare gli Hey Monday che avrebbero suonato sul palco di Bristol quella sera. Quella mattina però, gli altri membri del gruppo, mi avevano chiesto di raggiungerli nel camerino che il giorno prima era stato assegnato a Pierre, per discutere di una questione molto importante.
Camminavo a passo indeciso nel corridoio, un po’ in ansia per quello di cui avremmo discusso. Non avevo nessun’idea, neanche la più piccola, dell’argomento, sapevo solo che avremmo parlato di una cosa seria e probabilmente brutta per me. Era da tutta la mattinata che gli altri confabulavano tra di loro evitandomi accuratamente come se avessi la peste. Il motivo ovviamente non lo sapevo e non riuscivo neanche a ricordarmi qualcosa di sbagliato che avessi fatto a parte tirare uno schiaffo a Cassadee, ma la cosa era superata, lei, ormai, mi aveva perdonato ed era molto simpatica con me.
Giocherellai nervosamente con la sciarpa di lana nera che mi pendeva dal collo; non riuscivo a trovare nessuna risposta alle tante domande che mi vagavano nella mente.
Quando arrivai davanti alla porta chiusa del camerino di Pierre, avevo lo stomaco chiuso e sentivo che avrei potuto vomitare la colazione da un momento all’altro. Deglutì a fatica sperando che oltre alla saliva scendesse anche giù la mia agitazione e con mano tremante strinsi la maniglia fredda della porta.
Avanti Tella, affronterai a testa alta qualunque cosa ti diranno.
Mi dissi e incoraggiata alzai il mento come in segno di superiorità.
Aprì la porta ed entrai.
I Simple Plan erano seduti in cerchio e parlavano a bassa voce tra di loro. Quando mi videro, smisero di parlare e mi fissarono nel modo più preoccupante che ci potesse essere. Le loro facce erano… tristi, non allegre come sempre e questo mi fece agitare ancora di più.
Mi richiusi la porta alle spalle. Li fissai con l’intenzione di dirgli qualcosa, ma le parole mi morirono in gola e non riuscì a far altro che rimanere immobile e in silenzio aspettando che qualcuno di loro parlasse.
Come previsto, a parlare fu Pierre.
<< Stella, ti abbiamo chiesto di venire, perché… >>, si passò una mano fra i capelli visibilmente a disagio come gli altri quattro. << Dobbiamo parlarti >>.
<< Beh… penso che se non mi dovevate parlare, ora non sarei qui >>, ridacchiai per allentare la tensione, ma i loro volti rimasero seri, preoccupati e tesi.
Non andava decisamente bene.
<< Stella… >>, continuò Pierre.
Il modo serio in cui pronunciò il mio nome mi fece leggermente sussultare.
<< Non puoi più far parte dei Simple Plan >>.
Sgranai gli occhi sconvolta. Avrei preferito ricevere uno schiaffo di vendetta da Cassadee invece che sentire quelle parole, anche se il dolore era lo stesso.
<< Co… co… cosa? >>, balbettai ancora scioccata.
Erano loro che mi avevano voluta! Ed ora dopo neanche una settimana mi stavano già cacciando dal gruppo.
<< Il concerto di domani sera sarà l’ultimo che farai con noi >>, continuò David.
Oltre agli occhi, spalancai anche la bocca. Quella notizia era scioccante! Mi stavano cacciando! Mi stavano mandando via quando io credevo di stare andando alla grande.
<< Mi state licenziando?! >>, sbottai presa da un moto d’ira post shock.
I Simple Plan si guardarono l’un l’altro. << Si >>, annuì Jeff neutro.
<< COSA?! >>, alzai la voce di qualche tono.
Si coprirono le orecchie per quanto la mia voce fosse suonata acuta e stridula.
<< Stella… >>, cercò di dire Pierre con fare calmo.
<< STELLA UN CORNO! >>, urlai. << PERCHÉ MI STATE CACCIANDO? >>.
Li guardai furibonda. Erano diventati miei amici, erano le persone con le quali avevo passato notte e giorno ed ora mi stavano buttando fuori, mi stavano togliendo il lavoro, mi stavano togliendo il mio più grande sogno e non sembrava neanche importargliene.
<< Stella, stai calma >>, mi pregò Chuck stordito dalle mie urla.
<< Non è come sembra >>, disse Sebastian.
<< A NO? E COM’È CHE SEMBRA? >>.
<< Lasciami spiegare >>, disse Pierre.
Stavo per ribattere, ma Chuck mi fermò: << Ti prego, non urlare un’altra volta, non ce n’è bisogno e se ascolti Pierre lo capisci anche tu >>.
Gli lanciai un’occhiataccia, poi rivolsi il mio sguardo di fuoco a Pierre, che si schiarì la voce e mi si avvicinò.
<< Stella, ti stiamo… “licenziando”, come dici tu, perché tu non fai parte dei Simple Plan, tu non devi far parte del nostro gruppo >>.
Lo guardai interrogativa. E quello cosa voleva dire?
<< Non ti seguo >>.
Pierre si frugò nella tasca posteriore dei jeans e ne tirò fuori una busta bianca che mi porse. << Questo è un contratto con la nostra casa discografica, per incidere un tuo cd, da sola >>.
Sgranai nuovamente gli occhi e guardai Pierre sconvolta. Lui mi sorrise. << Non avrai davvero pensato che ti stavamo licenziato perché non ti volevamo più?! >>, rise insieme agli altri.
Presi la busta bianca tra le mani tremanti e la guardai come se fosse un alieno. << Ma… perché? >>, chiesi.
<< Perché tu hai del talento >>, disse Chuck sorridendomi.
<< E con noi è sprecato >>, ridacchiò David.
<< Hai bisogno di cantare da sola, di far vedere al mondo che sei una forza della natura, che puoi cavalcare un palco senza l’aiuto nostro o degli All Time Low >>, disse Sebastian pizzicandomi dolcemente una guancia.
<< Hai bisogno di far sentire al mondo la tua musica >>, concluse Jeff.
Ricambiai i loro sorrisi e tornai a guardare la busta bianca, questa volta con felicità. Finalmente avevo la mia opportunità; la cosa che stavo aspettando da tutta la vita era nelle mie mani e con quella avrei fatto conoscere al mondo tutte le canzoni che per anni erano rimaste chiuse in un cassetto in attesa di essere ascoltate.
<< Come potrò mai ringraziarvi? >>, chiesi con le lacrime agli occhi.
<< Ricordandoci quando sarai famosa >>, mi rispose Pierre circondandomi in un caloroso abbraccio.
Abbracciai ad uno ad uno i miei compagni di viaggio, i miei nuovi amici, la mia band preferita, che non avrei mai dimenticato e che avrei ringraziato sempre nei miei cd, perché loro avevano costruito la mia strada verso il mio sogno.
<< Mi dispiacerà non stare più con voi >>, dissi singhiozzante una volta finiti gli abbracci.
<< Anche a noi >>, disse David asciugandosi una lacrima.
<< La data della registrazione è fissata per il ventiquattro >>, mi informò Seb.
Mi accigliai. << Il giorno della vigilia? >>.
Pierre si strinse nelle spalle. << Il direttore della casa discografica è molto impegnato e il ventiquattro era l’unico giorno libero più vicino >>.
Annuì. << Sarò lì! Per festeggiare c’è la sera >>, sorrisi.
<< Ben detto! >>, esclamò Chuck battendomi il cinque.
Ci abbracciamo tutti insieme per l’ultima volta.
Quando sciogliemmo l’abbraccio, Cassadee entrò nel camerino sventolando allegra una busta bianca, simile a quella contenente il mio contratto discografico.
<< Le avete dato la notizia? >>, chiese verso i S.P.
<< Si >>, annuì Pierre.
<< Ne sei contenta? >>, mi chiese Cassadee.
<< Assolutamente si! >>, esclamai.
<< Bene, allora scoppierai di gioia quando vedrai questo >>, mi porse la busta.
Non stavo nella pelle a vedere quale altra sorpresa “la vita” o i miei amici mi avessero riserbato, ma non c’era nulla di più bello del contratto discografico, niente di più importante della musica, del mio sogno…
tranne un biglietto aereo per Baltimore del ventiquattro dicembre, che Cassadee mi aveva appena dato.
<< Allora, non dici nulla? >>, mi chiese Cassadee con espressione delusa.
Si, cazzo!
 
Era il ventitré pomeriggio ed io ero nel bus a preparare la mia valigia, mentre gli altri erano già nello stadio dove avremmo suonato.
Le due buste bianche mi fissavano dal letto, facendomi sempre più pressione. Non sapevo se stessi facendo le valige per andare alla casa discografica oppure per partire con Cassadee per Baltimore, non avevo ancora deciso, la mia mente era incasinatissima! Da una parte c’era il mio sogno, la passione che avevo per la musica, l’occasione che avevo aspettato da tutta una vita che se mi fossi fatta scappare probabilmente me ne sarei pentita per il resto della mia vita; dall’altra c’era Alex, il ritorno a quella che ormai per me era casa, dove c’era mio fratello, l’amore della mia vita e la mia felicità.
Mi sedetti sul letto e continuai a fissare le due buste.
Passi sulle scalette mi fecero sobbalzare.
Cassadee apparve nel corridoietto sorridente, sempre piena di energia positiva. Almeno lei sapeva bene cosa fare.
<< Ehi Stella, prepari la valigia per Baltimore? >>, mi chiese.
Mi strinsi nelle spalle. << Forse >>.
<< Non hai ancora deciso? >>, mi chiese guardandomi preoccupata.
<< No >>, scossi la testa.
Si lasciò cadere sul letto di fronte al mio che apparteneva a Seb. << Pensi di farcela prima di domani mattina? >>.
La sua domanda mi irritò. Ero nel pieno di una difficile decisione che avrebbe cambiato completamente la mia vita e lei mi metteva anche pressione!  << Se sei qui per mettermi fretta, te ne puoi anche andare >>. Mi alzai e mi diressi frustrata e nervosa verso il salotto dove speravo di distrarmi guardando la televisione, ma Cassadee non aveva ancora finito con me.
<< Stella! >>, mi chiamò in tono quasi dolce, segno che non voleva mettersi a litigare. << Non voglio metterti fretta, ma il tempo stringe e domani mattina non posso avviarmi all’aeroporto senza sapere se aspettare anche te >>. Si sedette accanto a me sul divano.
Scossi la testa cercando di non lasciarmi andare ad un pianto disperato. Non c’era via d’uscita a quella situazione e il ventiquattro era alle porte.
Ma perché tutto proprio il ventiquattro?
<< Non so davvero cosa fare, non so a quale delle due cose rinunciare >>, sussurrai con voce tremante, prossima alle lacrime.
Cassadee alzò teatralmente gli occhi al cielo. << Perché devi rinunciare a qualcosa? Perché non fare tutte e due le cose? >>.
<< Perché sono nello stesso giorno e anche alla stessa ora! >>.
<< Sposta l’appuntamento per registrare il disco >>, propose.
Scossi la testa. << Non posso! Domani è l’unico giorno libero prima di altre settimane o mesi… non lo so >>.
<< Spostalo comunque! >>, esclamò.
Sbuffai. << Non voglio fare brutta figura con il direttore >>.
Gli occhi chiari di Cassadee si ridussero a due fessure. << Allora sei tu stessa il tuo problema! >>, esclamò alzandosi in piedi.
La guardai perplessa. << Perché? >>.
Mi rivolse un’altra occhiataccia, questa volta molto più furiosa. Cassadee era una ragazza tanto dolce, ma quando la si faceva arrabbiare diventava una iena… cosa che quando era con me succedeva spesso.
<< Non ti va bene nessuna soluzione >>.
<< Tu non me ne dai di buone >>, replicai in tono acido.
Sbuffò per cercare di riprendere la calma. Solo dopo qualche minuto di silenzio continuò colpendo il mio punto più debole. << Se non vuoi spostare la data dell’incisione allora non ami davvero Alex come dici >>.
Si, era proprio cattiva… ma anche brava.
Dopo quella frase toccò a me ridurre gli occhi a due fessure e guardarla storto. << Ma come ti permetti di dire una cosa del genere! >>, sbottai. << Io amo Alex, con tutto il cuore, ma tengo anche alla musica e non voglio lasciarmi sfuggire un’opportunità del genere >>.
<< Ma tu non te la lascerai sfuggire >>, replicò Cassadee. << La posticiperai solo, per Alex, per rivederlo, per passare la vigilia con tuo fratello, con i tuoi amici >>.
Mi morsi un labbro.
Aveva ragione… come sempre, ed io ero stata una stupida a farmi mille problemi. Mi ero complicata la vita da sola quando la decisione che dovevo prendere era molto semplice.
<< E se spostando l’appuntamento per l’incisione poi dovrò aspettare un anno per fare il cd? >>, chiesi.
Cassadee posò le mani sui fianchi e alzò un sopracciglio.
<< Aspetterò un anno, per Alex >>, mi risposi da sola guadagnandomi l’approvazione di Cassadee e uno dei suoi dolci sorrisi.
<< E poi il tuo talento non si sciupa >>, disse ridacchiando, poi si chinò vicino alle mie gambe e mi posò le
mani sulle ginocchia. << Stella, hai un talento straordinario e se il direttore della casa discografica non accetterà lo spostamento dell’incisione allora è davvero uno stupido perché non sa che super nuovo talento si sta perdendo >>.
Sorrisi sentendo un improvviso senso d’affetto per quella ragazza che, nonostante le avessi tirato uno schiaffo, ora era mia amica. Mi piegai verso di lei e l’abbracciai. << Grazie mille Cass >>.
Ricambiò l’abbraccio. << Di nulla Tell >>.
Convinta delle mie decisioni, tornai a fare la valigia aiutata da Cassadee e subito dopo avvisai il direttore della casa discografica del cambio d’appuntamento. Diversamente da come mi aspettavo, il direttore accettò molto gentilmente il cambio e fissò un altro appuntamento per metà Gennaio.
Quella sera cantai per l’ultima volta con i Simple Plan ed annunciai ai fans la mia imminente carriera da solista. Tornata nel bus, rimasi con i ragazzi sveglia fino a mezzanotte a ridere, a scherzare, a giocare ai videogiochi, a cantare… mi sarebbero mancati e molto, ma li avrei rivisti… quello di sicuro e i ricordi di quel piccolo tour me li sarei portati dietro negli anni, conservandoli in un angolino del mio cuore.
 
Il sole stava tramontando e la mezzanotte era molto più vicina di quanto pensassi. Per le stradine con le schiere di villette si sentiva l’odore delle varie prelibatezze preparate per il cenone di Natale: pollo, vari tipi di pesce, biscotti al cioccolato a forma di omini della neve, pandoro, panettone, torte al cioccolato e anche pizza!
 Le stradine erano tutte decorate da piccole lucine colorate che si riflettevano sulla neve facendola
sembrare multicolore. Gli alberi fuori dalle case erano stati addobbati con palline dorate, di color blu, rosse o argentate; chi non aveva alberi invece aveva abbellito l’esterno con pupazzi di neve tondi e sorridenti. Baltimore era uno splendore, tutta illuminata di felicità, sembrava il paese di Babbo Natale, ci mancava solo lui in persona, la slitta con le renne e i regali.
<< Mio Dio! Hai visto quante belle decorazioni? >>, mi chiese Cassadee che come me aveva la faccia attaccata al finestrino del taxi.
<< Già, casa mia non è mai addobbata così! Al massimo, mettiamo un Babbo Natale che si arrampica fuori dal balcone >>.
<< Oh sì! Anche i miei genitori ce l’hanno >>, annuii Cassadee.
<< Che poi a cosa servirà mai >>, borbottai.
<< Forse i bambini credono che sia davvero Babbo Natale >>, ipotizzò.
<< Che sta per interi giorni fuori dal balcone senza salire o scendere? >>, la guardai perplessa.
Si strinse nelle spalle. << Quando si è bambini si crede a queste cose >>.
Lasciammo cadere il discorso per tornare ad ammirare la cittadina. Eravamo dirette alla casa di Jack che quella sera avrebbe dato una festa con praticamente tutti: All Time Low, Simple Plan, Cassadee e persino Debbie! Zack mi aveva avvisato che l’avrebbe invitata ed io ne ero stata contenta: quei due insieme formavano davvero una bella coppia.
Poco dopo, arrivammo a casa di Jack, la piccola villetta molto simile a quella di Alex che ricordavo perfettamente nonostante il poco tempo in cui ci avevo abitato, dato il mio litigio con Jack per via della relazione con Alex.
La casa era abbastanza silenziosa, ma quando Jack ci aprì e riuscì a scorgere l’interno, vidi un grande ammasso di decorazioni, carte, festoni, palline, bicchieri, piatti sparsi sul pavimento, sul tavolo, sul divano in pelle… insomma il totale caos.
Nonostante Jack sapesse del mio arrivo, rimase a guardarmi ad occhi sgranati per vari minuti, finché non lo abbracciai cercando di trasmettergli tutto l’affetto che stavo provando per lui in quel momento. Ero felicissima di sentirlo di nuovo vicina, di vedere di nuovo i suoi occhi uguali ai miei, i suoi capelli spettinati color carbone, il suo corpo snello e magro; ma, più di tutto, ero felice di risentire su di lui il familiare odore di casa, di famiglia e anche un dolce profumo di torta e cioccolato.
<< Jack, sono felicissima di rivederti >>, lo strinsi a me con tutta la forza che avevo nelle braccia.
Lui appoggiò la testa contro la mia stringendomi forte anche lui. << Oddio sorellina, quanto mi sei mancata >>.
Mi venne da piangere tanto era bello quel momento, ma resistetti: non era tempo di lacrime, era tempo di sorridere e festeggiare.
<< Ti voglio tanto bene Jack >>, gli dissi.
<< Ti voglio bene anche io Stella! Sei la sorella più in gamba e talentuosa del mondo >>.
Rimanemmo a sussurrarci che ci volevamo bene finché Cassadee con un colpo di tosse non ci riportò alla realtà.
<< Cass che bello rivederti! >>, la salutò Jack, abbracciando anche lei.
<< Oh, grazie Jack! Anche per me è bello rivederti >>.
<< Venite dentro, ma attente ci sono un po’ di cose per terra >>, ci disse Jack facendosi da parte per farci passare.
<< Un po’? >>, chiedemmo io e Cassadee all’unisono.
Jack si strinse nelle spalle. << Devo organizzare una festa >>, si giustificò.
Diedi un’occhiata alla stanza: l’unica cosa sistemata era l’albero, ma era privo di decorazioni; anche la torta al cioccolato era pronta, posata sul tavolo della cucina. << Di questo passo finirai domani mattina >>, dissi.
<< Nessuno è venuto ad aiutarmi! >>, sbottò Jack.
Cassadee scosse la testa. << Ok, ora chiamerò Rian e Zack così ci verranno ad aiutare >>.
Jack la guardò sconsolato. << Già fatto, ma si sono rifiutati >>.
Cassadee sorrise maligna. << Tranquillo, a me non diranno di no >>.
<< Bene, direi che ci tocca iniziare >>, dissi facendo per togliermi il cappotto, ma sia Cassadee che si stava allontanando nel corridoio per telefonare, sia Jack, mi bloccarono con un categorico “no”.
<< Perché? >>, chiesi leggermente spaventata da quell’improvviso “no”.
Jack e Cassadee si lanciarono un’occhiata e poi scossero insieme la testa. Wow erano proprio in sincronia.
<< Tu non starai qui a decorare la casa >>, disse Cassadee continuando a scuotere la testa. << Non penserai davvero che ti abbia regalato il biglietto aereo per venire qui e farti decorare la casa di tuo fratello >>.
<< No >>, risposi anche se non era una domanda.
<< Bene, perché noi ce la caveremo da soli! Tu, mia cara, hai una persona con cui parlare >>, mi disse con sguardo minaccioso.
Sorrisi solo al pensiero di dover andare da Alex, di nuovo in quella villetta.
Jack guardò l’orologio. << Avete ancora qualche ora per fare gli sporcaccioni prima della festa, quindi muoviti ad andare >>, ridacchiò.
Risi anche io. E pensare che solo poche settimane prima stava quasi per uccidere Alex solo perché avevamo fatto gli “sporcaccioni”.
<< Ok, allora vado >>, sorrisi, anche se iniziavo a sentirmi un tantino agitata.
<< Buona fortuna >>, mi augurò Cassadee. << Ci vediamo alle otto e mezza >>.
<< Usate il preservativo, mi raccomando! >>, ridacchio Jack.
Gli tirai uno schiaffo sul braccio, ma lui continuò a ridacchiare.
Presi la macchina di Jack e partì verso casa di Alex, alla quale arrivai molto prima di quanto sperassi. Mi sentivo nervosa, non sapevo come avrebbe reagito Alex, non sapevo come sarebbe andata, se avesse cambiato idea…
Cassadee mi aveva assicurato che Alex sentiva la mia mancanza, che era triste senza di me… ma se fosse stata una bugia? Se in realtà lui fosse rimasto della sua idea? Se mi avesse chiuso la porta in faccia?
Scacciai dalla mente tutti quei pensieri negativi che non mi avrebbero aiutata, ma solo peggiorato la situazione. Scesi dalla macchina e mi diressi verso la porta facendo dei lunghi e profondi respiri e concentrandomi su cose positive. Dalla grande finestra che affacciava sul salotto, scorsi Alex, seduto sul divano con Sebastian e Peyton ai lati che guardavano la televisione. Alex indossava una maglia bianca a maniche lunghe e sotto un pantalone blu con dei pupazzetti sopra; doveva essere il pigiama. Il cuore mi batté così forte che dovetti iniziare a respirare più velocemente per non rimanere senza ossigeno.
Aveva l’aria stanca, di chi non dorme bene da giorni: i capelli erano scompigliati e ricadevano malamente su tutti e due gli occhi, nascondendoli alla mia vista.
Piena di felicità ed eccitazione, corsi alla porta e bussai al campanello, non sentendo nemmeno l’abbaiare dei cani per quanto il cuore mi stesse rimbombando forte nelle orecchie.
Quando sentì la porta aprirsi, un urlo mi stuzzicò la gola, ma lo soffocai per non allarmare Alex. Quando i suoi occhi marroni incontrarono i miei e lui mi riconobbe, ebbe la stessa reazione di Jack: di totale paralisi e incredulità, ma in Alex quelle sensazioni erano moltiplicate per il semplice fatto che lui non si sarebbe immaginato il mio ritorno.
<< Che c’è? Ho i capelli scompigliati? >>, chiesi per far sciogliere lo shock, ma Alex rimase nella stessa posizione nella quale mi aveva aperto la porta.
Il mio cuore mi stava imponendo di saltargli in braccio e baciarlo fino a farlo cadere sul pavimento, ma il mio cervello mi stava consigliando di aspettare che si riprendesse dallo shock, che mi abbracciasse e baciasse lui.
Aspettare non si rivelò affatto una cattiva idea.
<< Stell >>, disse.
Il suono del soprannome che mi aveva dato mi fece esplodere ancora di più dalla gioia; dovetti trattenermi dall’iniziare a saltellare per la felicità.
Si avvicinò di un passo, senza mai staccare gli occhi dai miei. << Sei davvero tu? >>.
<< In carne e ossa >>, sorrisi.
Fece un altro passo e poi ancora un altro, avvicinandosi sempre di più. Ad ogni passo il desiderio di baciarlo si faceva sempre più forte, ma non volevo mettergli fretta.
Poggiò entrambe le mani sulle mie guance, riscaldandole dal contatto con l’aria fredda dell’inverno. Chiusi gli occhi beandomi di quella sensazione. Sentire di nuovo le sue mani sulle mie guance fu come sentirsi meglio dopo un mal di testa… fu rilassante e benefico.
Posai le mie mani sulle sue accarezzandogliele dolcemente. Riaprì gli occhi e rimasi a guardarlo con le labbra aperte in un sorriso sincero, sereno.
Accentuò la presa sul mio viso e piano piano avvicinò le sue labbra alle mie. Se il solo tocco delle mani mi aveva fatta sentire bene, il tocco leggero e dolce delle sue labbra mi fece sentire così bene che per un attimo pensai che quello fosse il paradiso. Ritrovare Alex mi stava trasmettendo bellissime emozioni che non avrei mai creduto di poter provare.
Socchiusi le labbra invitando la sua lingua ad entrare. Persino il contatto tra quei corpi caldi e umidi mi fece bene, mi fece sentire come al settimo cielo, come se stessi volando. Allacciai le braccia dietro il suo collo, continuando a baciarlo così intensamente da non avere più aria nei polmoni, ma non mi importava. Sarei anche potuta morire e non me ne sarebbe importato nulla! Quel momento era tutto ciò che potevo desiderare… anche come regalo di Natale.
Le nostre labbra si lasciarono andare solo quando i polmoni iniziarono a bruciare bisognosi di una buona quantità d’ossigeno. Appoggiai la testa al suo petto e chiusi gli occhi riprendendo fiato e concentrandomi sul battito accelerato del suo cuore che, come il mio, era rimasto senza ossigeno ma era felice comunque. Affondai il viso nell’incavo della sua spalla e percepì il suo solito odore di pulito –quasi di detersivo- che tanto amavo e che mi era mancato.
<< Mi sei mancata tanto >>, disse attorcigliandosi tra le dita una ciocca dei miei capelli. << Sono stato un emerito idiota Stell, davvero! Non so cosa mi sia passato per la mente… non avrei mai dovuto lasciarti >>. Parlò in tono amareggiato.
Senza lasciare il suo petto, girai la testa per guardarlo negli occhi, che erano fissi sui miei capelli pieni di una luce triste.
<< Avevi dei buoni motivi >>.
Sorrise amaro. << No, non lo erano >>.
Prima che potessi continuare il discorso, lui disse: << Qui fuori fa freddo, perché non andiamo dentro, tu posi la valigia in camera mentre io ti preparo una bella cioccolata calda >>.
<< Ok, ma… dobbiamo parlare, ci sono tante cose che dobbiamo dirci >>.
Annuì e mi baciò la fronte sorridendo, poi mi passò un braccio intorno alle spalle e stringendomi a se mi portò dentro, dove dopo un lungo saluto a Sebastian e Peyton, andai a sistemare la valigia nella camera di Alex, che non era cambiata per nulla dall’ultima volta che l’avevo vista, forse perché lui non ci aveva più dormito.
Quando tornai nel salotto/cucina, Alex era seduto sul divano con due cioccolate calde fumanti, nelle quali galleggiavano piccoli marshmallow bianchi, e con addosso una coperta di lana grande abbastanza da coprirci entrambi. Mi invitò ad accoccolarmi accanto a lui e mi offrì la mia tazza. Mi sedetti a gambe incrociate accanto a lui e lui mi coprì con il resto della coperta di lana.
<< Allora… dov’eravamo? >>, chiesi crogiolandomi nel calore che emanavano sia la cioccolata, sia Alex, sia la
coperta.
Alex prese un sorso di cioccolata, poi mi guardò ed io scorsi di nuovo una luce di tristezza in quegli occhi scuri. << Stell… io non mi merito che tu sia qui.  Sono stato io a mandarti via facendo la stronzata più grande nella storia delle stronzate grandi >>.
Stavo per scoppiare in una risata, ma la trattenni bevendo un po’ di cioccolata. Era dolcissima.
<< Ti ho lasciata andare perché… sono stato egoista, stavo pensando solo al mio dolore, solo alla mia vita, stavo pensando solo a ME! >>.
Lo guardai accigliata. << Non stavi pensando a te >>, lo contraddissi. << Tu stavi pensando a tutti e due, a quello che era meglio per noi >>.
Scosse la testa. << Sarebbe stato “meglio per noi” quello che avevi proposto di fare tu: rimanere insieme anche se lontani e sentirci ogni giorno grazie alla nuova tecnologia; invece io… sono stato un deficiente, ho voluto cambiare tutto perché mi sono preoccupato di soffrire quando in realtà poi ho sofferto più senza di te di quanto avrei sofferto continuando a sentirti >>.
<< Alex, tu eri spaventato all’idea del dolore che avresti potuto provare ed io ti capisco, non ti sto accusando di nulla, davvero >>.
Sbuffò, addentando un marshmallow. << Dovresti…  ti ho spezzato il cuore >>, borbottò masticando frustratamene il piccolo marshmallow. << Non dovresti essere così buona >>.
Mi lasciai andare ad una risata. << Non sono buona >>, scossi la testa. << Non mi sto arrabbiando perché non hai fatto nulla ed io ti amo. Non ho mai smesso di amarti e questi… “giorni di pausa” ci sono serviti a capire quanto sono forti i nostri sentimenti >>.
Mi sorrise accarezzandomi una guancia che fu immediatamente percossa da piccole scossette. << Ti amo anche io Stell, non ho mai smesso e mai smetterò >>, diede un ultimo sorso alla cioccolata e poi posò la tazza suo tavolino di vetro di fronte a noi. Una striscia di cioccolato gli rimase sulla parte superiore del labbro a formare una sorta di seconda barba… o meglio di secondi baffi.
<< Giuro che non ti lascerò mai più andare, mai più >>, si disegnò un’immaginaria croce sul cuore.
Ridacchiai e chinandomi su di lui gli passai la lingua sopra il labbro, pulendolo dai resti della cioccolata. Alex ne approfittò per catturare la mia lingua con la sua e farle unire in un nuovo bacio che mi portò quasi a far rovesciare il contenuto della tazza, ma per fortuna mi fermai in tempo.
Posai la tazza accanto a quella di Alex. Lui allargò le braccia sotto la coperta per farmi spazio ed io non esitai neanche per un istante. Mi accoccolai in mezzo alle sue braccia, con la schiena contro il suo petto caldo e duro e le mani intrecciate alle sue che insieme alle braccia mi circondavano come a farmi da scudo.
<< A propositi di questo giuramento, ho una cosa da dirti >>, dissi.
<< Dimmi pure >>, mi esortò poggiando il suo mento ruvido per la barba in crescita sulla mia testa.
<< Non faccio più parte dei Simple Plan >>, dissi.
Rimase in silenzio per un po’, poi chiese: << Perché? >>.
<< Perché… mi hanno regalato un contratto discografico per incidere il mio primo cd e così iniziare una carriera da solista >>.
Sollevò la testa e si sporse verso di me per guardarmi in faccia. Per aiutarlo io voltai la testa verso la sua direzione. << Ma amore, è fantastico! >>, esclamò con un sorriso che mi scaldò il cuore.
Ricambiai il sorriso. << Lo so, è incredibile! Non me lo sarei mai immaginata >>.
<< Quando devi inciderlo? >>.
<< A metà Gennaio, quando voi ricomincerete il tour >>.
<< E questa volta non ci separeremo >>, mi strinse più forte a lui.
<< Mai >>, promisi.
Mi strinse le mani tra le sue. << Mai >>.
Rimanemmo a parlare abbracciati sotto la coperta calda, finché non fu l’ora di prepararci per la festa. Raccontai ad Alex dell’amicizia nata con i Simple Plan, di quanto mi avessero aiutata a superare la malinconia, gli raccontai dei concerti, dello schiaffo a Cassadee che lo fece ridere a crepapelle come il dispetto che Pierre e David avevano fatto a Enrico che, anche a detta di Alex, se l’era proprio meritato. Furono le ore più belle che avessimo mai passato insieme, a parte quelle in cui avevamo fatto gli “sporcaccioni”; ma quelle furono più speciali, perché ci raccontammo tutto quello che ci era successo in quei pochi giorni, stando abbracciati al caldo in una sera fredda d’inverno, con il mondo fuori che si preparava a festeggiare e noi che ci godevamo il nostro amore che era più infinito del cielo e più profondo dell’oceano.
Durante quelle ore venni a conoscenza dell’esperienza orribile che aveva passato Alex con un’intervistatrice insistente e troppo assetata di nuovi scoop, soprattutto sulla nostra relazione.
 
Casa di Jack era molto più rumorosa di qualche ora prima ed era anche più luminosa e decorata, almeno da quanto potevo ammirare dall’esterno. Luci colorate brillavano a intermittenza illuminando di poco il piccolo giardino che circondava la villetta. Un piccolo e buffo pupazzo di neve era stato costruito di fianco alla porta, ma invece di reggere la tradizionale scopa come gli altri, quello reggeva una piccola chitarra elettrica giocattolo. Sulla porta c’era un grosso cartello con su scritto “Merry Christmas, Kiss My Ass!”.
Alex ridacchiò alla vista del cartello. << È proprio da lui fare queste cose >>.
Suonai al campanello. << Mi stupisce che non abbia aggiunto qualcosa di pervertito al pupazzo di neve >>, dissi.
Alex rise più forte ed io con lui.
Jack ci aprì la porta con indosso una maglietta gialla che augurava un buon Natale e in testa due finte corna da renna.
<< Ehi ragazzi! Buon Natale! >>, esclamò con entusiasmo stringendoci entrambi in un grosso abbraccio.
<< Jack, non mi vedi solo da poche ore>>, dissi quando sciolse l’abbraccio.
<< Lo so, ma mi sento pieno d’amore>>, disse con un sorriso largissimo.
<< Wow! >>, esclamò Alex. << Il Natale fa miracoli >>.
<< Direi! Vi ha fatti rimettere insieme >>, commentò Jack.
Cassadee apparve al suo fianco e gli mollò uno schiaffo sul braccio. << Non è stato un miracolo! Si sapeva benissimo che sarebbero tornati insieme >>.
<< Si, si, come vuoi tu >>, borbottò Jack sparendo dentro casa.
Cassadee prese il suo posto e ci iniziò a guardare con ammirazione. << Oddio che bello, siete tornati insieme! >>.
Alex intrecciò le sue dita con le mie. << Mai lasciati >>, mi baciò la mano.
Ridacchiai sentendo le guance avvamparmi. Cassadee ci guardò mordendosi un labbro per non scoppiare in lacrime dall’emozione. Ci abbracciò. << Che belli che siete! >>, esclamò. << Non riesco a capacitarmi del fatto che io vi abbia fatto riunire >>, squittì. << Sono davvero brava! >>.
 << Non posso che darti ragione >>, ridacchiò Alex.
Quando ci liberammo dall’abbraccio quasi stritolante di Cassadee, entrammo nella casa. Con l’aiuto di Cassadee, Rian e Zack, la casa di Jack era uscita benissimo: uno splendore! Il tavolo era apparecchiato con varie prelibatezze che mi fecero borbottare lo stomaco solo a guardarle. L’albero di Natale era pieno di palline colorate e circondato da alcuni regali di medie dimensioni. Appesi al soffitto c’erano altre lucine colorate, fiocchi di neve fatti di carta, vari festoni con su scritto “Buon Natale” e alcune renne pupazzo dal naso rosso, come Rudolf.
Per fortuna nella casa la temperatura era molto più alta rispetto a quella fuori e potei togliermi i vari strati di cappotti che mi ero infilata, per mostrare la maglietta rossa con un pupazzo di neve sorridente al centro, che mettevo ogni anno; sotto la maglia indossavo una gonnellina grigia, delle calze nere e della scarpe con il tacco rosse.
Dopo essermi spogliata degli strati, corsi ad abbracciare i due quarti restanti degli All Time Low, che mi accolsero con sorrisi e abbracci così affettuosi da farmi quasi pentire di essermene andata da quell’ambiente tanto familiare, tanto caloroso… da quelle persone tanto speciali alle quali volevo bene.
<< Stella, ci sei mancata! >>, disse Zack quando sciogliemmo l’abbraccio. << È davvero un bene che tu sia di nuovo qui, nessuno di noi era più lo stesso senza di te >>.
Mi salirono le lacrime agli occhi, ma le rimandai giù sorridendo lusingata. << Mi siete mancati anche voi, tanto >>.
<< Siete molto smielati, lo sapete?! >>, commentò Jack con una bottiglia di birra in mano.
Scossi la testa tra me e me. Ma chi aveva portato la birra? Ci mancava solo che si ubriacasse di nuovo!
<< E tu lo sei ben poco >>, commentò Alex apparendo al suo fianco.
Jack fece una smorfia e bevve un sorso di birra.
<< Ah Stella, noi due dobbiamo parlare di una cosa >>, disse improvvisamente Rian raccogliendo l’attenzione di tutti, non solo la mia.
Mi guadò serio e minaccioso, cosa strana per un ragazzo che sorride sempre. << È vero che hai tirato uno schiaffo a Cass? >>.
Mi venne da ridere al solo ricordo; ma non perché ero contenta del gesto, ma perché mi faceva ridere il solo pensiero di quanto fossi stata stupida ad agire così, a farmi comandare dalla rabbia. La voglia di ridere sparì subito quando constatai che Rian mi stava ancora guardando minaccioso.
Arrossi vergognandomi di me stessa. << Uhm… si, ma è stato un errore! >>, mi scusai.
Cassadee mi venne in soccorso. << Si, ha ragione, è stato un malinteso >>.
<< Ma mi hai detto che andava tutto bene quando hai risposto al telefono >>, disse Rian rivolgendosi a me.
Mi strinsi nelle spalle. << Ti saresti solo allarmato e io dovevo risolvere la questione >>.
<< Allora è vero che l’hai buttata a terra? >>, chiese Jack con un sorriso da ebete stampato sulla faccia.
Cassadee e Rian si girarono verso di lui guardandolo nello stesso modo con il quale Rian stava guardando me prima. Jack sembrò fregarsene e continuò a trangugiare la sua birra sorridendo e ridendo tra sé. Era andato.
<< Ma perché ti sei arrabbiata? >>, mi chiese Alex.
Guardai Cassadee aggrottando le sopracciglia. << Non glielo hai detto? >>.
Lei si strinse nelle spalle. << Deve essermi sfuggito >>.
Alzai gli occhi al cielo e tornai a rivolgermi ad Alex. << Mi ero convinta che voi foste fidanzati >>.
Scoppiarono tutti a ridere come se avessi raccontato la più bella barzelletta del mondo.
<< Che sciocca! >>, esclamò Jack che aveva iniziato a vagare inquieto per il salotto.
<< Concordo >>, ridacchiò Zack.
<< Ehi! >>, esclamai indignata. << Avevo i miei motivi per sospettare! >>.
Nessuno sembrò ascoltarmi, continuarono tutti a ridere finché non suonò il campanello. Jack, barcollando, si avviò alla porta e aprì ai nuovi arrivati… sorpresa delle sorprese: i Simple Plan.
L’urlo che lanciai fu così forte che per un attimo ebbi paura potessero crollare i muri. Con la stessa velocità che ha un fulmine quando appare nel cielo, mi fiondai tra le braccia di Pierre che –per fortuna- fu abbastanza svelto da prendermi al volo e stringermi tra le braccia. << Stella! >>, esclamò e dall’emozione che trasparì nella voce, capì che anche lui era felice di vedermi come lo ero io.
<< Pierre! Che bello rivedervi! >>, dissi una volta scesa di dosso a Pierre.
Guardai ad uno ad uno i miei nuovi amici e sorrisi a tutti, felice come una bambina davanti ai propri regali di
Natale. La mia felicità raddoppiò quando da dietro il semicerchio che avevano formato i S.P. davanti alla porta, sentì un’esclamazione di gioia… in italiano.
<< Oh mio Dio! Voi siete i Simple Plan! >>.
I S.P. si girarono a guardare, un po’ accigliati, la fonte di quell’esclamazione che per loro probabilmente era sembrata incomprensibile. Divisero il semicerchio ed io riuscì a vedere chi c’era dietro di loro, anche se lo avevo già intuito, avrei riconosciuto quella voce in qualsiasi parte del mondo, in qualsiasi momento.
<< Debbi! >>, urlai catapultandomi tra le sue braccia.
La mia migliore amica mi accolse a braccia aperte, stringendomi forte ( forse per riscaldarsi). << Oddio Tella! Non puoi capire quanto mi sei mancata! >>, disse con gli occhi brillanti per le lacrime.
<< Anche tu mi sei mancata tantissimo Debbie, non posso credere che tu sia qui >>.
<< Non te l’ha detto Jack? >>.
<< Si >>, annuì. << Ma mi era passato di mente >>.
Mi guardò storto. << Poche settimane che non mi vedi e già ti dimentichi di me, la fama ti ha fatto male! >>, disse in tono infastidito.
L’abbracciai di nuovo. << Ma che dimenticata! >>, esclamai. << Sei la mia migliore amica! Una tra le persone alle quali voglio più bene al mondo, non potrei mai dimenticarmi di te >>.
Mi stampò un affettuoso bacio sulla guancia. << Ti voglio tanto bene, Tella >>.
Sciogliemmo l’abbraccio. << Ora vieni che ti presento i Simple Plan >>.
Emise un gridolino di gioia e mi seguì verso l’interno della casa, dove si erano radunati gli invitati. Gli A.T.L. salutarono calorosamente Debbie, soprattutto Zack, che iniziò a parlare con lei forse più di quanto avesse mai parlato con gli altri della band. Presentai a Debbie i Simple Plan che l’accolsero a braccia aperte e anche Cassadee, che Debbie conosceva e sapeva perfettamente che era la fidanzata di Rian. Probabilmente solo io non lo sapevo.
Gli invitati finirono lì, ne erano tantissimi rispetto a quelli che avevo ogni anno a casa- nessuno-. Di solito ogni anno cenavo con i miei genitori e dopo uscivo con Debbie e anche con Enrico; per il resto, tutti i Natali erano sempre una noia; ma quell’anno fu un Natale davvero speciale a cominciare dal fatto che c’era Jack anche se solo come presenza e non come mente; poi avevo un fidanzato musicista, sexy da morire;ero a Baltimore, in America; ero appena tornata da un tour con i Simple Plan che erano diventati miei amici insieme a Zack e Rian e avevo una nuova amica, Cassadee.
Per tutta la serata mangiammo le prelibatezze cucinate da Cassadee, riempendoci lo stomaco fino all’orlo! Cantammo anche alcune canzoni di Natale e lasciammo per ultima la canzone di Natale degli All Time Low, che Alex ci cantò a cappella con l’aiuto mio, di Debbie, di Cassadee e di Pierre, che a sorpresa di tutti conosceva perfettamente le parole. Anche Jack ci aiutò a cantarla, anche se quello che uscì dalla sua bocca suonò più come un lamento continuato che vere e proprie parole. Dopo i canti generali, ci lanciammo in balli idioti che passavano da lenti a balli da discoteca. Inutile dire tutte le risate che ci facemmo. Dopo i balli tornammo a parlare tra di noi, raccontandoci storie divertenti per arrivare alla mezzanotte.
Quando il venticinque dicembre stava per arrivare, ci riunimmo tutti intorno al tavolo del buffet per stappare lo spumante e brindare tutti insieme ad un nuovo Natale, una nuova notte passata con… la famiglia.
<< Mancano cinque minuti! >>, esclamò Zack con la bottiglia di spumante in mano.
<< Voglio bere… voglio bere… voglio bere >>, bisbigliava Jack con un bicchiere vuoto ben stretto tra le mani.
Sì, potevo considerare tutti loro come una famiglia: Zack, il ragazzo taciturno che si era innamorato della mia migliore amica, la persona che mi aveva aiutato nei momenti più difficili e che ora stava sorridendo a Zack con gli occhi pieni d’amore e di emozione per l’attesa.
<< Quattro minuti! >>, esclamò Rian sorridendo dolcemente a Cassadee che si strinse a lui.
Rian, il ragazzo dal sorriso più smagliante del mondo che sembrava sempre allegro, come se non avesse
mai nessun problema, che faceva coppia con Cassadee, una ragazza forte, dolce ed era una fantastica amica.
<< Meno tre minuti! >>, disse Pierre sbirciando dall’orologio che Sebastian portava al polso.
Pierre,  il cantante della mia band preferita, con un carattere dolce e molto fraterno nei miei confronti, come anche Sebastian, il bel chitarrista dagli occhi chiari.
<< Meno due! >>, esclamarono in coro Chuck, David e Jeff.
I restanti tre quinti dei Simple Plan, ragazzi davvero simpatici che, dopotutto, non erano diversi dagli All Time Low, avevano lo stesso livello di perversità e la stessa voglia di godersi la vita, di fare cazzate e di portare la loro musica nel cuore delle persone.
<< Cazzo, meno uno! >>, borbottò Jack guardando lo spumante con la bava alla bocca. Alex gli mise un braccio dietro le spalle e ridendo lo strinse a sé.
Per ultimi c’erano Alex e Jack, migliori amici da quando avevano diciott’anni, che occupavano la maggior parte dello spazio nel mio cuore. Si somigliavano molto e, forse, era questo il motivo per il quale erano così in sintonia e che si capivano al volo senza bisogno di tante parole. Amavo il modo in cui si aiutavano a vicenda… era una cosa da ammirare e da prendere come esempio. Sembravano fratelli, pronti a spalleggiarsi in ogni secondo, perfettamente in sintonia, con un mare d’affetto l’uno per l’altro.
L’orologio scoccò la mezzanotte. Era Natale.
<< Buon Natale! >>, esclamammo insieme.
Zack stappò lo spumante facendo volare il tappo dall’altra parte della stanza. Jack fu il primo a riempirsi il bicchiere di spumante ed anche il primo a finirlo. Rian e Cassadee si scambiarono un bacio, i Simple Plan si abbracciarono tra di loro ridendo, Alex intrecciò le sue dita con le mie e stringendomi in un abbraccio mi sussurrò: << Buon Natale amore mio >>.
<< Buon Natale anche a te >>, sorrisi.
<< Spero sia il primo di molti >>, disse.
<< Lo sarà >>, promisi.
Seconda sorpresa delle sorprese, proprio nel momento in cui Alex mi baciò, con la coda dell’occhio scorsi i corpi di Debbie e Zack avvinghiati l’uno all’altro. Sorrisi prima di chiudere gli occhi e godermi il primo bacio del nuovo venticinque dicembre.
 
Verso le due, decidemmo all’unisono di ritirarci nelle rispettive case. Eravamo tutti stravolti dal sonno, soprattutto Jack che accompagnai a letto prima di andarmene, come una brava sorella.
<< Sei proprio incorreggibile >>, gli dissi mentre lo coprivo con le coperte. << Di sicuro domani non ricorderai nulla e ti sarai perso il primo Natale con me dopo tanto tempo >>.
Aprì gli occhi stanchi e bisognosi di sonno. << No, non me lo scorderò >>, disse in tono così basso che dovetti fare uno sforzo per riuscire a sentirlo.
<< Invece sì, hai bevuto davvero tanto >>.
Scoppiò a ridere, ma se ne pentì da solo non appena la sua testa iniziò a pulsare forte. Si coprì la faccia con una mano. << Oh cazzo >>, borbottò.
<< Così impari >>, dissi mostrandogli la lingua.
<< Sei una stronza, sorella >>, sbottò lanciandomi quella che per lui era un’occhiataccia ma che in realtà somigliò ad una smorfia di dolore.
Scossi la testa divertita. << Non sono stronza, ti sto solo dicendo che ti sei comportato da idiota >>.
Sbuffò. << Non è vero >>.
<< Sì che è vero >>, ribattei. << E vedrai che domani sarai d’accordo con me >>, aggiunsi con un sorriso di soddisfazione.
<< Sparisci! >>, mi ordinò girandosi così da darmi le spalle.
Scossi la testa tra me e me e mi avviai verso la porta sorridendo.
<< Tell? >>, mi chiamò.
Mi girai verso di lui e lo vidi rivolto verso di me con gli occhi che non riusciva a tenere aperti.
<< Si? >>.
<< Ti voglio bene >>.
Sorrisi e gli mandai un baciò << Ti voglio bene anche io >>.
Ricambiò il sorriso e crollò sul letto.
Nonostante Jack fosse un tipo un po’ sballato, ero contenta di averlo rincontrato dopo tanti anni; il suo ritorno aveva cambiato molte cose, tutte in meglio.
Più o meno dieci minuti dopo, io ed Alex eravamo a casa, stanchi dopo la lunga serata, ma con abbastanza amore da resistere per un altro po’.
Mettemmo a dormire i cani, ci preparammo per la notte e ci chiudemmo in camera sua. Preferì non indossare il pigiama, ma rimanere in biancheria intima, tanto non avrei dormito né con l’uno, né con l’altra. Probabilmente anche Alex ragionò nel mio stesso modo, infatti rimase con indosso solo i boxer.
<< Natale divertente, vero? >>, mi chiese poggiandomi le mani sui fianchi nudi. Nei punti in cui le sue dita toccavano la mia pelle, mi sentì attraversare da varie scosse che mi riscaldavano dalla temperatura fresca nella casa.
<< Sì, decisamente il migliore in questi sei anni >>, annuì intrecciando le mani dietro la sua testa.
Avvicinò la sua fronte alla mia e strofinò il suo naso contro il mio che poteva essere paragonato ad un ghiacciolo per quanto era freddo.
<< Sei freddissima >>, disse con le labbra che sfioravano leggermente le mie.
<< Mi basti tu a riscaldarmi >>.
Sorrise sghembo prima di avvicinare di poco le sue labbra alle mie così che si potessero unire e dare iniziò alla celebrazione del nostro amore, un modo molto romantico con cui chiamare il sesso. Fu tutto assolutamente perfetto e finalmente mi sentì di nuovo a casa, di nuovo felice, tra le braccia di Alex. Riprovare quelle sensazioni meravigliose rese quel nuovo Natale ancora più fantastico.
Ci infilammo sotto le coperte e per un po’ restammo in silenzio per riprendere fiato. Non appena i nostri battiti cardiaci tornarono normali, Alex mi strinse a sé, circondandomi con il suo calore ed il suo amore, che mi cullava come una dolce certezza. Non sapevo come sarebbe andata avanti la mia vita da quel giorno, non sapevo se avrei avuto veramente successo con il mio primo cd, non sapevo se d’ora in avanti avrei avuto così tanti impegni da non rivedere più tanto spesso le persone a cui volevo bene, oppure se avrei avuto così tanto lavoro da non poter più rivedere mamma e papà, da non poter tornare più a Roma! L’unica mia certezza era Alex: sapevo mi sarebbe rimasto vicino, qualunque cosa il futuro mi avesse riserbato; perché ci amavamo e questo non sarebbe mai cambiato, ne ero sicura al cento percento. Lo vedevo anche nei suoi occhi, da quella luce che glieli illuminava quando mi guardava.
Intrecciammo le gambe in modo da stare ancora più vicini e ci guardammo senza dire una parola. Era leggermente sudato e alcuni capelli gli si erano appiccicati alla fronte,  ma Debbie aveva sempre avuto ragione: era uno schianto e nudo era davvero sexy! Non avrei mai potuto desiderare di meglio.
Prese una ciocca dei miei capelli e me l’appoggiò dietro l’orecchio. Mi guardò e sorrise. La sua mano scivolò sulla mia guancia e me l’accarezzò con dolcezza. Chiusi gli occhi concentrandomi sulla sensazione di pizzicore che mi attraversava la pelle della guancia. Lo sentì avvicinarsi a me e dopo neanche due secondi percepì la morbidezza delle sue labbra che accarezzavano le mie in un bacio profondo, con le lingue che si accarezzavano delicatamente, come se avessero paura di potersi rompere. Gli morsi il labbro inferiore mentre un sorriso affiorava sulle mie labbra per la bellissima sensazione di pace che mi attraversava. Ci scambiammo un altro bacio, molto più appassionato del primo, pronti per ricominciare, ma all’improvviso il mio telefono si illuminò.
Mi staccai, anche se con riluttanza, da Alex, che mi scoccò un’occhiata confusa, ma non disse nulla e mi lasciò allungare fino al comodino vicino al letto per prendere il telefono.
“Nuovo Messaggio da Enrico”.
Recitava lo schermo.
Oh merda!
Pensai aprendo il messaggio con un po’ di timore pensando a chissà cosa mi avesse scritto. Le ipotesi che mi vennero in mente si rivelarono sbagliate, il messaggio conteneva solo un “Merry Christmas!”.
Davvero carino che lo avesse scritto in inglese e che almeno me lo avesse mandato, ma non fu gratitudine quella che sentì verso di lui, solo pena: non avrei mai voluto essere lui e se mai fossi tornata indietro non lo avrei mai voluto conoscere. Era un idiota pervertito che doveva andare avanti e dimenticarmi, perché mai più nella mia vita sarei tornata tra le sue braccia o solamente sua amica.
Scossi la testa chiudendo il messaggio.
<< Che succede? >>, mi chiese Alex sporgendosi verso di me.
<< Enrico, mi ha mandato un messaggio di buon natale >>, risposi tornando a sdraiarmi vicino a lui, nel posto più caldo di tutto il letto.
Alex sbuffò. << Che coglione! >>.
<< Già >>, annuì. << Sai, non mi sento per niente contenta del suo messaggio, sono… indifferente >>.
Alex sorrise sghembo e mi prese il telefono dalle mani. << Allora non ti dispiacerà se faccio una cosa >>.
Lo guardai perplessa. << Cosa? >>.
Alex non mi rispose, iniziò a schiacciare i tasti della tastiera con aria divertita. Quando ebbe finito mi passò il telefono e mi fece vedere ciò che aveva scritto.
Sulla schermata c’era il messaggio di Enrico e sotto il “mio” messaggio di risposta.
Guardai Alex e scoppiai a ridere. << Oh mio Dio! Sei un pazzo! >>.
Mi prese per i fianchi e mi avvicinò a lui buttando il telefono per terra. Se non fosse stato così vicino da farmi accelerare il battito cardiaco, mi sarei preoccupata del telefono.  << Si merita di essere trattato male quel bastardo >>, disse a denti stretti. << Ti ha trattata male ed è giusto che paghi >>.
Gli passai una mano tra i capelli sudati. << Ti amo >>, gli dissi.
<< Ti amo anche io >>, disse e mi stampò un bacio sul collo, per poi passare al lobo dell’orecchio, che mi mordicchiò.
Scoppiai a ridere prima di contrattaccare mordendogli una guancia. Iniziammo a giocare come bambini sotto le coperte, riscaldandoci in quella fredda notte di Natale (o sarebbe meglio dire mattina?!).
Solo in quel momento notai che aveva iniziato a nevicare.
 
Enrico:
Merry Christmas!  :)
 
Stella/Alex:
Kiss My Ass ;D.

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Capitolo 23
*** Ringraziamenti ***


Ciao! :) Non lasciatevi incantare, non è un altro capitolo - purtroppo- , ma solo un messaggio che voglio dare a voi lettori.
Vi scrivo mentre ballo sulle note di Hello Brooklyn, come per dare l'addio alla storia. Prima di tutto un grazie davvero grande a chi ha letto la storia e anche a chi ha letto solo il primo capitolo poi si è scocciato (il pensiero almeno c'è stato ;) ). Grazie alle ragazze che hanno lasciato le recensioni! Mi avete fatto sorridere e quasi commuovere, davvero non  pensavo che la storia potesse piacere così tanto, ne sono rimasta totalmente sorpresa! Grazie! Grazie! Grazie davvero.
L'idea di qusta Fan Fiction, mi è venuta in mente durante un viaggio di ritorno da Roma, mentre stavo dormendo con nelle orecchie le canzoni degli A.T.L. Non ricordo se ho sognato l'idea o qualche scena del libro, ricordo solo che al risveglio avevo in mente gli All Time Low con dei cappelli e degli occhiali da sole, davanti al Colosseo, che venivano riconosciuti da una ragazza che era loro fan... cosa che però Stella non è. Da questa idea ne sono partite altre migliaia ognuna diversa dall'altra, ma alla fine quella che mi è piaciuta di più è stata quella che avete letto: la sorella di Jack che incontra la band e si innamora di Alex del quale sono innamorata anche io (lo ammetto u.u).  Pensate che ho scritto questa storia in meno di un mese! Passavo mattina e sera davanti al computer a scrivere ed ogni notte pensavo a come poteva continuare la storia. Durante il mese in cui l'ho scritta ci sono stati MOLTI inconvenienti, tutti opera del mio portatile -.-" ...non vi dico quante volte ho dovuto riscivere alcuni capitoli! 
Passando ad altro...
Come aveva intuito una delle ragazze che ha scritto una recenzìsione, Stella è un po' una parte di me, forse la parte che vorrei essere, una versione di me nuova, diversa che vive una situazione che io pagherei oro per avere- ehehe! :D. Il sogno nel cassetto di Stella nasce dal mio di sogno nel cassetto! Già, fin da piccola sognavo (e ammetto, ancora sogno) di potermi esibire su un palco, di poter cantare ed esprimere i miei pensieri attraverso la musica, ma indovinate un po' qual'è il mio problema? Già, ho paura del pubblico e sfortunatamente non sono come Stella, non  ho Alex che mi spinge a cantare, ma ormai non me ne preoccupo; ho spostato il mio futuro su un'altra direttiva, cantare rimane solo una meravigliosa passione che coltivo nel tempo libero, rinchiusa in camera mia. Magari un giorno riuscirò a cantare davanti a qualcuno... non si può mai dire :). 
Passiamo ad un altro argomento ancora xD.
Perchè ho aggiunto i Simple Plan alla storia? Perchè li adoro *-* sono assolutamente fantastici! Amo le loro canzoni, sembra che mi leggano dentro e riescono a tirarmi su in qualsiasi momento.
Perchè ho aggiunto Cassadee Pope? Perchè adoro anche lei :D, ha una voce fantastica e la trovo una ragazza davvero tanto tanto tanto bella *-*. Rian se l'è scelta proprio bene la ragazza!
Se qualcuno se lo fosse chiesto, ho inserito "Complicated" nella storia perchè è la prima canzone che mi è venuta in mente e che si può suonare con la chitarra classica. L'ho inserita anche perchè Avril Lavigne è un'altra mia adorata cantante.
Ho cercato di rappresentare gli All Time Low al meglio anche se pensavo di averli fatti troppo buoni, troppo zuccherosi e invece mi sono ricreduta grazie anche ai vostri pareri ;).
Vediamo... per concludere cosa potrei dire? Ho scritto questa f.f. perchè Amo gli All Time Low in un modo spropositato, sono la fonte di ogni mio giorno, riescono a farmi ridere per quanto sono idioti e pervertiti, riescono a farmi emozionare con le loro canzoni e riescono ad incoraggiarmi come se fossero i miei migliori amici. Lo so, sarò pazza, ma questi ragazzi sono la cosa più bella che ho e anche se so che non leggeranno mai questo, voglio dirgli grazie, per la milionesima volta hanno fatto si che potessi sorridere e credere in me stessa.
Ringrazio ancora tutti quelli che hanno seguito la storia di Stella :D mi avete reso davvero felice!

Vorrei anche ringraziare mia sorella per aver letto la mia storia, per essersi entusiasmata tanto e per avermi aiutato in alcuni punti! :D Un  bacio grande, Micaela :) .

P.s. purtroppo non ho in programma di scrivere un seguito, ma non si può mai dire... mia sorella mi ha già pregata perchè continui la storia! xD

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