-In my veins.

di Arrow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** # - Everything will change . ***
Capitolo 2: *** #1 - Nothin’ goes as planned . ***
Capitolo 3: *** #2 - Nothing stays the same . ***
Capitolo 4: *** #3 - And nobody here’s perfect . ***
Capitolo 5: *** #4 - All that you rely on will leave in the morning . ***
Capitolo 6: *** #5 - It's more than you can take . ***
Capitolo 7: *** #6 - Oh you run away, I am not what you found . ***



Capitolo 1
*** # - Everything will change . ***


-In my veins.

~ Prologo – Everything will change .

 

Si svegliò di soprassalto. Annaspò tra le coperte e sporse il braccio, che sembrava pesargli una tonnellata, verso il comodino. Arraffò il cellulare facendosi scappare un grugnito, provocato dall’eccessivo sforzo per allungarsi e notò un messaggio quando accese lo schermo.

“Rob”

« Cosa vuole già di prima mattina? » bofonchiò con la voce ancora impastata dal sonno.

Quel giorno non dovevano nemmeno andare a scuola, dato che era stata chiusa per la troppa neve caduta in quei giorni e lui lo svegliava con un messaggio alle nove del mattino?

Trattenne un’imprecazione e raccolse tutta la calma possibile per non rischiare di chiamare il suo migliore amico e mandarlo a fanculo in tutte le lingue che conosceva.

Aprì il messaggio:

“Yo, Judsie!” odiava quando lo chiamava Judsie. Era evidente. Robert stava mettendo alla prova i suoi nervi, di solito, saldi. “Fuori c’è tantissima neve, che ne dici di farci un giro? Poi mi va di staccare un po’ i pensieri…” Quell’ultima parte lo lasciò leggermente interdetto e quei tre puntini di sospensione finali lasciavano intendere qualcosa di non propriamente positivo. Sì, lui e Rob si sarebbero ben presto intrattenuti in una discussione parecchio seria.

 

*

 

« Merda. » borbottò a denti stretti, sia per il freddo sia per non farsi sentire dall’amico, dopo aver appreso la notizia.

« So di non essere il ragazzo esemplare, ma cazzo! Non mi merito quest’atteggiamento. Quella bastarda boriosa… » Robert pronunciò quell’insulto verso Suzan, la sua (ex)ragazza, troppo a bassa voce; come se non volesse davvero offenderla, ma sentisse il bisogno di liberarsi di un pensiero.

« Ti ha liquidato per telefono? » domandò Jude.

Robert assottigliò gli occhi a creare uno sguardo d’astio verso l’amico che, a suo parere, con quella domanda era stato parecchio indelicato. E poi, che cazzo?! Da quando si offendeva per una semplice domanda diretta? Era evidentemente sotto pressione per tutta quella faccenda.

« …sì. » si limitò a rispondere.

« Ci fermiamo qui? » chiese all’improvviso il biondo, dopo alcuni minuti passati a camminare in silenzio e a cercare di non scivolare con tutta quella neve.

Robert alzò lo sguardo e, vedendo lo Starbucks, gli si illuminarono gli occhi. Aveva proprio bisogno di un qualcosa di caldo e cioccolatoso.

 

*

 

Sedutisi ad un tavolo, Jude non potette non lanciare un’occhiatina interessata alle gambe scoperte di una cameriera. Diamine, ma perché tutte quante dovevano essere così dannatamente sexy? E perché si vestivano così nonostante i -2 gradi esterni?

Guardando di traverso il migliore amico, Robert chiese: « A te come va invece con… Elizabeth? »

« Chi? » domandò alzando un sopracciglio, sguardo super-interrogativo.

« Ma sì! La rossa con cui sei tornato a casa sabato sera. »

« Spero tu stia scherzando, Rob! Non mi ricordavo nemmeno il suo nome… Era solo una scopata. »

« Come sempre, aggiungerei… » appoggiò la guancia sul palmo della mano, facendo rumore con la cannuccia e guardandosi intorno.

« Oh andiamo. Io non sono un coscienzioso ragazzo come te, Downey. » Jude si beccò un pugno sul braccio perché aveva imitato la vocina assillante della loro professoressa di matematica che sosteneva già dal primo anno che Robert era proprio un bravo ragazzo, quando –al contrario- questo faceva di tutto per non sentirsi appioppare quell’appellativo. Purtroppo per lui, però, il suo viso e aspetto in generale lo facevano sembrare un orsacchiotto da stropicciare e –una volta- disperato per quella situazione aveva deciso di farsi crescere baffi e barba così da sembrare più uomo, ma non aveva affatto funzionato.

« Fottiti. Sai benissimo che non sono coscienzioso. » sbuffò incazzato.

« Da quando stai con Suz- »

« Stavo. » lo interruppe subito.

« Da quando hai conosciuto Suzan sei cambiato. »

Il moro roteò gli occhi, notando il tono di apprensione dell’altro. « E’ che lei mi piaceva davvero. » provò a giustificarsi.

« Piaceva? » Jude guardò l’amico interdetto. « Se non te ne frega più nulla, perché stiamo avendo questa conversazione? Perché sono stato svegliato alle nove?! »

« Ok, ok. Scusa! Sì, mi piace ancora, ma se penso a lei mi sale una rabbia indescrivibile. » strinse un pugno e poi i suoi occhi si allargarono improvvisamente. « Ho voglia di fare a pugni. »

« Eh? » nessun’altro suono uscì dalla bocca del biondo.

« Judsie, fai a pugni con me! » esordì Robert infine, tutto entusiasta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_____________________________________

E poi boh, inizi una long su questi due splendori e manco te ne rendi conto. Ok, questo è segno che mi sono intrippata troppo con questi due uomini <33 Comunque, non so dove porterà tutto ciò, ma ho voglia di scriverla una cosa seria RDJude. Ne ho lette talmente tante che mi va di contribuire al fandom. v.v/ Allora, tanto per darvi un'idea vi metto delle immagini. Jude, in questa fic, è più o meno così. Robert, prima di essere barbato/baffuto e dopo. Spero che questo prologo vi abbia anche solo minimamente intrigato e che continuiate a seguire questa fic. Grazie dell'attenzione e al prossimo capitolo.

Ringraziamento speciale a Martystyle! Tu che mi sopporti/supporti sempre e non ti lamenti mai. Grazie per esserci e per darmi man forte. E sì, anche per sgridarmi quando ho carenze di autostima. u__u9 Senza te non so come farei. Ti amo troppo <33

Grazie anche a Mushroom che mi ha insegnato a fare i collegamenti con le immagini e che si legge sempre quello che scrivo. Thank you very much, hicchin :3 <3

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Capitolo 2
*** #1 - Nothin’ goes as planned . ***


-In my veins.

~ Capitolo 1 – Nothin’ goes as planned .

 

Uscirono mezz’ora dopo dal locale senza più aver riparlato della questione “botte”, dopo che Jude aveva liquidato sul nascere ogni intenzione di Robert con un “idiota cerebroleso, non ci pensare neanche!”

Il moro rischiò quasi di spezzarsi l’osso del collo quando aveva iniziato a correre.

« Volevo solo scaldarmi un po’! » si era giustificato.

Quando arrivarono nei pressi di un piccolo parchetto, Jude tirò fuori dalle tasche il cellulare e controllò l’ora. Le 11.45.

« Senti Rob io de- »

« Bene! Qui sarà perfetto! » lo interruppe.

Il biondo guardò male l’altro che gli sorrise di rimando per poi avviarsi all’interno del parco.

Jude lo seguì con fare nervoso, sì, si stava incazzando. Quella mattina Robert era più strano del solito e, se inizialmente credeva che tutto fosse dovuto alla rottura con la sua ragazza, ora cominciava a pensare che fosse solo una banale scusa per dare di matto, per dare sfogo ad un qualche cumulo di frustrazione che gli si era venuto a creare dentro.

Immerso nei suoi pensieri, il biondo non si accorse che il suo amico s’era fermato e rischiò quasi di ruzzolare a terra per evitare di finirgli contro la schiena.

Robert si voltò verso di lui e allargò le braccia: « Bene, possiamo cominciare, no? »

Voleva controbattere, oh, se lo voleva.

« Rob, asp- » Un pugno, non troppo forte, allo stomaco lo costrinse a fermarsi. Si piegò leggermente in avanti portandosi un braccio alla pancia.

« Avanti, Judsie! Combat- » pugno al fianco.

Robert cercò un punto d’appiglio alla sciarpa di Jude, ma il biondo fu più rapido e bloccò il suo braccio per poi rigirarglielo dietro la schiena.

I movimenti erano davvero difficili a causa della neve, che produceva uno strano rumore sotto i loro agitati passi.

Il moro tirò indietro la testa a colpire il naso di Jude, il quale lasciò la presa e indietreggiò barcollando. Robert non perse l’occasione offertagli e si buttò su di lui, facendolo cadere a terra e bloccandogli i polsi ai lati della testa.

Cazzo, se era forte! E non si stava nemmeno trattenendo, come Jude invece faceva.

« R-Rob, dai basta, smettila! » disse Jude, cercando di divincolarsi senza troppo successo.

In risposta l’altro strinse ancora di più la presa e tirò fuori la lingua, segno che si stava sforzando di tenere l’amico fermo.

« Non ci pensare! »

Preso da un impeto di rabbia, Jude gli riservò una ginocchiata allo stomaco che fece allentare la stretta di Robert e il biondo colse l’attimo, liberò uno dei due polsi scaraventando subito dopo un pugno in piena faccia al moro, che era intento a sentir dolore alla pancia.

Per la sorpresa e per la forza dell’attacco, Robert cadde con la schiena al suolo e Jude si affrettò ad alzarsi, pulendosi poi nervosamente i vestiti.

« Mi dici che cazzo ti prende oggi? Eh?! »

Robert annaspava tra la neve, cercando un po’ di equilibrio che per il momento sembrava non essergli concesso. Jude spalancò gli occhi quando il moro tolse la mano dalla faccia e vide il sangue sporcargli questa e il viso. Non smetteva ancora di scendere.

No, non poteva prima urlargli contro e poi correre da lui ad aiutarlo come una donnetta impaurita!

Per evitare di essere incoerente -dannato il suo orgoglio!- si inforcò le mani in tasca e prese la via verso casa sua.

Chiuse gli occhi per qualche istante, per riprendere la calma e –concentrato com’era- non si accorse che l’amico s’era rialzato e lo seguiva.

Sgranò gli occhi sussultando e irrigidendosi quando questi gli afferrò la spalla e lo fece voltare verso sé. La sua espressione seria e dura, colma di rabbia quasi lo spiazzò. Chiuse nuovamente gli occhi, stavolta strizzandoli, non essendo pronto a contrattaccare in alcun modo, e aspettò; quel pugno in pieno viso che non arrivò.

Qualcosa lo colpì al petto. Un qualcosa simile ad un macigno gigante. No! Era come se lui stesso fosse andato a sbattere contro un muro, dopo una corsa sfrenata. Gli mancò il respiro, tanto ciò che accadde lo sconvolse nel profondo. Non ebbe nemmeno il coraggio di aprire gli occhi, anche se questi supplicavano perché lo facesse. Aveva paura; paura di vedere se quello che stava accadendo era davvero reale.

Quando le sue labbra si inumidirono capì che era vero. Robert lo stava baciando sul serio. Iniziò, qualche istante dopo, a sentire un qualcosa di denso e caldo scendergli a lato della bocca e capì che era sangue, il sangue che aveva fatto uscire dal naso dell’amico. Probabilmente questi se ne accorse e si staccò subito mormorando tra i denti un “merda”, con tono decisamente sconvolto e spaventato.

Jude riuscì finalmente ad aprire gli occhi e non appena lo fece, Robert iniziò ad indietreggiare per poi fuggire via.

Una mano si posò a lato delle labbra, a portare via il sangue, l’altra si allungò verso un Robert che già era scomparso dalla sua vista.

 

*

 

Era stato fortunato, fin troppo fortunato. Con la scusa della neve, la scuola era rimasta chiusa e per tre giorni non aveva più visto né sentito Robert in alcun modo.

Quella mattina di venerdì era rimasto impalato sul posto per due buoni minuti e solo quando i piedi avevano iniziato a minacciare l’ipotermia, s’era riscosso e subito dopo diretto verso casa. Entrato aveva ignorato le proteste della madre e le ammiccatine di sua sorella maggiore ed era salito in camera sua senza più uscirne fino a sera, tranne per una capatina in cucina e un paio in bagno. Senza alcun motivo apparente aveva continuato a fissare per tutto il giorno lo schermo del cellulare.

Quando capì di star rasentando la pazzia, aprì la rubrica e cercò uno dei tanti numeri delle tante ragazze che s’era portato a letto e mandò un messaggino ad una di queste. Aveva bisogno di staccare un po’. Parve, sul momento, funzionare; ma quando si ricordò che il giorno dopo era lunedì e le scuole non sarebbero più state chiuse, si fece prendere dal panico.

« No, Ju! Te ne devi sbattere! E’ lui quello che dovrebbe farsi le pare mentali. Fregatene. Non è stato nulla. » si addormentò coi vestiti addosso dopo aver ripetuto centinaia di volte quelle frasi.

 

*

 

Non poteva crederci. Non voleva crederci. Appena era suonata la sveglia, si era fiondato giù dal letto, si era preparato ed aveva fatto colazione in un lampo per arrivare a scuola con ben mezz’ora di anticipo. Davvero fantastico! E si era anche ripromesso di non rimanere in posti isolati così da non pensare troppo.

« Fanculo… » bofonchiò, calciando un qualcosa di inesistente, provocando uno strano rumore con la scarpa.

Rispetto alle sue aspettative, la sua mente non venne inondata da nessun pensiero inerente a tre giorni prima, o meglio, la sua mente rimase vuota per tutto il tempo. Si riscosse quando si rese conto che stava fissando un punto indefinito del paesaggio che si scorgeva fuori dalla finestra di fronte a lui ormai da troppo tempo e, schioccando la lingua sul palato, si diede una spintarella e si diresse verso il cortile.

Arrivato fuori, si accese una sigaretta. Era da un po’ che non fumava più, ma quella mattina, tra la fretta innaturale da cui era stato colpito, aveva arraffato da dentro un cassetto semi-aperto il pacchetto accompagnato dall’accendino.

Quando la prima campanella iniziò a suonare, gli sembrò quasi di svegliarsi da una specie di stato di trance, in cui era caduto inconsapevolmente. Buttò via, con una velocità quasi maniacale, la sigaretta e la schiacciò altrettanto nervosamente. Soffiò via il fumo e corse dentro l’edificio costringendo le mani in tasca, per evitare di torturarsele.

Non sapeva davvero come comportarsi. Era seduto al suo posto e solo quando si ricordò che Robert gli stava proprio vicino, venne colto da un brivido.

Aveva anche considerato l’ipotesi di non parlargli più fino a quando non sarebbe passato abbastanza tempo da far dimenticare ad entrambi l’accaduto, ma capì che tra compagni di banco era impossibile non parlarsi, anche solo per chiedersi in prestito una gomma o un foglio.

Bene! Tutto sembrava essere contro di lui! E poi, che cazzo! Si era ripetuto di non farsi pare mentali! Quello che avrebbe dovuto sistemare le cose era Robert. Al massimo lui doveva scusarsi per la sua reazione parecchio eccessiva alla zuffa che avevano avuto e per quel pugno davvero troppo violento.

Qualche minuto dopo i primi compagni di classe iniziarono ad entrare. La prima ora avrebbero avuto storia; poco male. Poteva benissimo dormire, non sarebbe stato visto dal professore e così avrebbe evitato di parlare con Robert. Quella prospettiva, che aveva iniziato a rivelarsi interessante, morì subito dopo quando il biondo vide entrare l’oggetto delle sue pianificazioni mentali.

Lo vide salutare un paio di ragazze con la mano e un loro amico, Jared, con un “Yo!”

Sorrideva, sembrava lo stesso Robert di sempre. Uhm, ma certo che era sempre lui! Chi altri sennò?!

Jude si rilassò vagamente a quella vista, ma quando il sorriso che fino a poco prima aveva animato il volto di Robert si spense quando egli entrò nel suo campo visivo, ogni speranza di una facile risoluzione della faccenda andò dritta dritta nel cesso.

« Ciao… » mormorò il moro senza nemmeno guardarlo posando con poca grazia lo zaino a terra e sedendosi svogliatamente. Jude non credeva nemmeno che stesse parlando con lui, tanto era stato vago il suo saluto.

« Ehi. » riuscì solo a dire, tanto per assicurargli la sua reale presenza.

La prima ora passò senza troppi intoppi. Jude aveva, ogni tanto, lanciato delle occhiate di sbieco verso il compagno di banco e aveva stranamente constatato che stava davvero prestando attenzione al professore e prendendo appunti, come mai aveva fatto prima.

Suonata la campanella, Robert si alzò immediatamente preparando l’occorrente per la lezione seguente, che sarebbe stata, per lui, fisica, la sua materia preferita. Il biondo, invece, avrebbe avuto inglese.

Era davvero snervante la tensione che c’era nell’aria, ma quello che gli dava più fastidio era che, oltrepassati quel paio di metri quadrati occupati dai loro due banchi vicini, Robert accendeva immediatamente il suo sorriso e tornava quello di sempre. Se fosse stato al posto del moro –Dio, non avrebbe mai voluto trovarcisi!- avrebbe provato disagio in generale, o magari avrebbe cercato di nascondere il suo stato d’animo. Invece il suo amico non faceva nulla per cercare di mascherare il cambiamento che avveniva nel suo io quando era a contatto con lui e poi con le altre persone.

Si accorse di star fissando troppo il suo amico, così distolse lo sguardo e vide un paio di ragazzi della sua classe ridere e chiacchierare. Quando uno diede un pugno sulla spalla all’altro egli si riscosse con un sussulto. Si era dimenticato di aver quasi spaccato il naso al moro! Quel pensiero fece spostare la sua attenzione di nuovo su l’altro che si stava avviando proprio in quel momento fuori dall’aula.

Non voleva farlo, davvero, non voleva…

« Ehi, Rob. » maledizione, aveva parlato.

L’interpellato si fermò, senza però voltarsi.

« Come va il naso? » Il biondo quasi si stupì del suono che la sua voce aveva assunto. Era uscita dalle sue labbra mezza strozzata e tremante. Perché diavolo si stava agitando così tanto?!

Aveva lo sguardo fisso sulle spalle di Robert, il quale non si voltò nemmeno dopo che la domanda gli fu rivolta. Vide le sue spalle alzarsi ed abbassarsi subito dopo in un gesto di pura noncuranza.

Non ricevette nessuna risposta e dire che ci rimase di sasso, sarebbe poco.

« Al diavolo… » sussurrò Jude, davvero stufo di quella questione. Il problema era di Robert. Se lui era pronto a risolverlo e parlargliene sarebbe stato ben accetto, ma se non gliene fregava di sistemare le cose, allora a lui importava ancora meno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_______________________________________________

Ok, eccomi qua con il primo vero e proprio capitolo. Non ho granchè da dire a parte che spero solo di riuscire a continuare e concludere questa fic! Oggi ho stilato una scaletta generale e mi pare di avere le idee abbastanza chiare, quindi dovrebbe andare tutto per il meglio! :3

-Ringraziamenti-

Per aver recensito e messo tra le seguite: Martystyle! Ti amo troppo e grazie mille di seguirmi e non uccidermi per tutte le piccole anticipazioni che ti do e che ti fanno aumentare solo la curiosità! X°° <33

Per aver inserito tra le seguite:

-ohara;

-Disguise;

-BlackBaby;

-baliano;

-arianna31.

Al prossimo capitolo ^___^/

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Capitolo 3
*** #2 - Nothing stays the same . ***


-In my veins.

~ Capitolo 2 - Nothing stays the same .

 

Quel sabato decise di dare un party a casa sua. Sì, perché casa Law poteva ospitare un gran numero di persone e lui aveva bisogno di lasciar un po’ stare il mondo intero e divertirsi un po’. Invitò i soliti amici, ma sapeva che il maggior numero delle persone che avrebbe partecipato poteva essere classificato sotto il nome di “Imbucati”. Andava più che bene! Magari avrebbe fatto qualche conoscenza interessante. In situazioni come quelle, infatti, il suo letto al piano di sopra fremeva per essere utilizzato! Ovviamente i suoi genitori non sarebbero stati presenti e –altrettanto ovviamente- avrebbe tenuto lui le chiavi di tutte le stanze. Il lunedì mattina non voleva certo far trovare ai suoi delle spiacevoli sorpresine in giro per le camere da letto.

Invitò i fratelli Leto e il loro strambo amico, Tomo; Rachel, Cameron, Patrick, Ewan, Noomi, Kelly, Jake e altri.

« Ehi, Jude! Rob viene? » gli aveva domandato Shannon, il sabato mattina.

Il biondo non seppe cosa dire. Sarebbe stato meglio che Robert non ci fosse, ma capì che quell’ipotesi era impossibile anche perché senza di lui i fratelli Leto e Rachel si rifiutavano sempre di fare festa. A volte si chiedeva se Jared e Shannon fossero degli stalker di Robert e se Rachel avesse una cotta per lui; sapeva che erano stati a letto insieme anni addietro, ma il tono con cui la ragazza diceva che Robert era solo un cretino e che quella notte era stata una delle peggiori della sua vita, non lo convincevano più di tanto.

Una volta ne aveva parlato con l’amico, quando lui stava con Suzan, ma questi gli aveva risposto “Nah! Ma ti pare?! Rachel? Innamorata? E soprattutto… innamorata di me? Impossibile.” Ed era scoppiato fragorosamente a ridere.

« Uhm, sentilo tu per favore. Io non ho tempo. Devo organizzare la serata! » Aveva risposto al maggiore dei Leto, ma questi aveva storto il naso. Eppure aveva cercato di essere convincente, in fondo gli avevano sempre detto che avrebbe potuto benissimo fare l’attore per quanto bene sapeva recitare, e il non aver del tutto convinto Shannon lo allarmò leggermente. Quegli attimi di tensione terminarono quando il moro rispose: « Non capisco cosa ci sia da organizzare, ma ok. Avviserò io Downey. » Jude avrebbe volentieri tirato un sospiro di sollievo, ma non voleva in alcun modo creare dei sospetti intorno a sé, quindi si limitò a sorridere e dare una pacca sulla spalla all’amico per poi congedarsi con un “A stasera.”

 

*

 

« Abbiamo portato da bere! » gridò Jared fiondandosi in casa appena gli fu aperta la porta.

« Avevo detto che non c’era bisogno. » gli urlò dietro Jude.

« C’è sempre bisogno di alcool! » anche il fratello gridava, la musica era decisamente troppo alta per poter parlare normalmente ed essere sentiti.

I tre si diressero al salone principale e Shannon si buttò subito nella mischia raggiungendo Rachel e Ewan che stavano decisamente dando spettacolo ballando sopra un tavolo.

Jared posò la bottiglia di vodka alla pesca e una confezione di birre su una sedia e si avvicinò a Jude. « Ehi, stasera ho una sorpresina per te! » ammiccò.

Jude si voltò verso di lui con sguardo più che soddisfatto, avendo colto che tipo di sorpresa gli avrebbe riserbato l’amico. « Quando si tratta di regali di quel genere sei sempre il migliore, Jà! Ma come fai? » gli chiese senza riuscire a smettere di sorridere maliziosamente.

« Oh, ho i miei metodi e le mie fonti. Non posso rivelare nulla! » scoppiò a ridere e si aprì una birra.

Jude venne richiamato con un urlo da Rachel. I due avevano scommesso qualche tempo prima e Jude aveva perso miseramente. Rachel, se il biondo avesse perso, aveva esplicitamente chiesto che questi ballasse come un pazzo davanti a tutti togliendosi la maglia.

Purtroppo quella era la sera del giudizio, non avrebbe potuto scamparla in alcun modo; ma pensava che non sarebbe stato poi così male. Dare di matto per qualche minuto avrebbe potuto fargli scordare tutto il resto. Sì, doveva anche considerare che l’amica lo avrebbe sputtanato per tutta la vita, ma quella prospettiva –in quel momento- non gli pareva poi così catastrofica.

 

*

 

Non glielo aveva chiesto il diretto proprietario di casa; perché sarebbe dovuto andare a quella festa?

Quando si era ritrovato Shannon davanti la porta di casa con quel suo sguardo supplichevole non aveva saputo far altro che sbattergli la porta in faccia. Come reazione aveva ottenuto un “Ehi! Che cazzo fai, amico? Sei scemo?!” e subito dopo aveva riaperto con il volto ornato da due occhi spalancati. Era rimasto basito lui stesso della sua azione. Il suo corpo si era mosso da solo, come quella volta.

Purtroppo per lui i Leto abitavano proprio dall’altra parte della strada ed erano soliti organizzare bizzarri eventi un weekend al mese e il solo pensiero di essersene dimenticato e di non aver inventato una scusa plausibile, aveva fatto scattare in lui l’allarme anti-eventi in cosplay by i Fratelli Leto, che lo aveva prontamente spinto a mettere una barriera tra lui e il nemico.

« Scusami, Shà! » aveva detto sbuffando.

« Che cazzo ti prende? » Quella domanda. Non era il primo che gliela poneva in quei giorni. Sarebbe stato davvero curioso di sapere la risposta!

« Che sei venuto a fare? » Doveva soltanto ignorare tutto e tutti.

« Jude mi ha chiesto di invitarti alla sua festa di stasera. »

“Perché non l’ha fatto lui di persona?” Si trattenne dal chiedere. « Ah. Wow, figo… sì, sì verrò. » Poteva benissimo dire di no, ma non c’era riuscito e non ne capiva il motivo e ciò contribuì solo ad aumentare il suo malumore.

« Oh, fanculo! Robert Downey Junior! Tu andrai a quella festa! Smettila di fare la donnetta e vestiti! » urlò a se stesso, dandosi degli schiaffetti in faccia e dirigendosi di corsa in bagno.

 

*

 

« Jude, ti presento Sarah! » disse a gran voce Jared, dopo che il biondo era riuscito a liberarsi per un po’ da Rachel che l’aveva sfinito con la questione della scommessa.

Il diretto interessato fissò per qualche istante la ragazza che gli si parava di fronte. Capelli lunghi e mori, occhi di una bellissima sfumatura verdognola, non molto alta e decisamente sexy nel suo vestitino di pelle nero ultra-succinto.

Ma sul serio! Jared dove le andava a pescare tipe così? Aveva praticamente scritto in fronte: “Non me ne frega nulla di chi sei! Se sei figo, scopami!”

« Molto piacere, Sarah! » lanciò un’occhiata furba a Jared che –da dietro le spalle della ragazza- gli faceva l’occhiolino.

« Bene! Il mio ruolo finisce qui. Divertitevi voi due… » diede volontariamente una spallata a Jude mentre si defilava nella mischia a ballare.

« Allora… » iniziò il biondo « …come hai con- »

« Sono un’amica della sorella di un’amica del fratello di Jared. »

Probabilmente –pensò Jude- gli facevano spesso quella domanda, perché aveva risposto a velocità supersonica e non gli aveva dato nemmeno il tempo di terminare la domanda.

« JUDEEE! » qualcosa si attaccò alla schiena del ragazzo, che non ebbe nessuna particolare reazione. Sapeva benissimo chi era… Sarah, dal canto suo, era rimasta sconcertata.

« Rachel, sei ubriaca fradicia! » era solo una constatazione, nessun tono di rimprovero.

« Oh, chi è la tua amica? » lo ignorò completamente.

« Sono Sarah. » si presentò la mora.

L’altra lasciò improvvisamente la presa alla schiena di Jude e si avvicinò stringendole la mano.

« Mi sembri una ragazza molto disponibile. » sbiascicò muovendo la testa di qua e di là, in un moto davvero bizzarro. « Che ne diresti di aiutare Jude nella sua penitenza? »

Jude imprecò mentalmente. Già, solo in quel momento se n’era ricordato. Rachel poteva bere quanto voleva, ma non si ubriacava mai davvero. Tra il suo gruppo di amici, infatti, era conosciuta col nome di “Spugna asciutta”, per indicare la sua immunità a qualsiasi tipo di alcolico.

Ciò che sorprese maggiormente Jude non fu il fatto che Sarah e Rachel sembrarono andare subito d’accordo, ma che la new entry avesse accettato di buon grado di “aiutarlo” pur non sapendo minimamente quale fosse la questione nella quale avrebbe dovuto dargli man forte.

E così, senza essersene reso conto pienamente, si ritrovò sopra il tavolo, dapprima occupato da Ewan e Rachel, con appiccicata addosso Sarah.

« Ewy! Metti la miglior canzone che c’è! Jude Law sta per esibirsi! »

Nemmeno fossero ad un talent show, pensò Jude.

« Dimmi una cosa… a che tipo di scommessa hai perso? » chiese con fare provocante Sarah, iniziando a muoversi a ritmo della musica che cominciava ad aumentare di volume e a rimbombare sempre di più tutt’attorno.

« Cose del genere è meglio non saperle. » rispose Jude sorridendo e cingendo la schiena della ragazza con le braccia, cominciando a rilassare i muscoli.

Era piacevole; nonostante tutti gli occhi puntati addosso, le risate… Si sentiva bene; la mente completamente svuotata.

Si riscosse da quello stato di benessere quando Sarah si avvicinò ancora di più a lui, premendo contro il suo petto i seni piccoli, ma dannatamente sodi.

Sorrise facendo un’espressione di finta sorpresa e la ragazza parlò: « Non dovresti toglierti la maglietta, adesso? » Passò la punta dell’indice sui pettorali del ragazzo, leccandosi le labbra. Il biondo notò che aveva gli occhi liquidi. Che si stesse già eccitando? Bene! La notte prometteva faville!

« Sì, hai ragione. » le disse, staccandosi. Si portò le mani ai fianchi e cominciò a tirare su pian piano l’indumento, esibendosi in quello che sembrava più uno spogliarello da locale a luci rosse che un semplice ballo.

Muoveva il bacino a ritmo di quella canzone, che oramai gli era entrata nel cervello, e –inconsciamente- aveva tirato fuori la lingua.

Appena si fu liberato della maglia, Sarah tornò su di lui e iniziò a baciargli il collo. Lui la lasciò fare. Era piacevolmente inebriato da tutto. La musica, l’atmosfera, la consapevolezza di star facendo tutto quello davanti ai suoi amici e anche a degli sconosciuti. Non aveva nemmeno bevuto granchè e aveva persino declinato l’offerta di un tipo per un po’ di droga, ma si sentiva come se fosse ubriaco e strafatto! Super-bene!

« Wuuuuhuu! » gridò, appropriandosi poi delle labbra di Sarah e posandogli le mani sul sedere.

 

*

 

Era strano che Shannon e Jared non l’avessero chiamato chiedendo a gran voce dove fosse; di solito quando era in ritardo lo facevano sempre.

Decise di non badarci, anche perché in quel momento era occupato a percorrere a gran velocità quella strada che conosceva fin troppo bene.

Si era messo a correre solo quando, a metà percorso, si era accorto di quanto tardi fosse. Ebbe paura. Rachel l’avrebbe certamente preso a pugni!

Dopo nemmeno un paio di minuti arrivò a destinazione.

Quando il baccano proveniente dall’interno iniziò a vibrargli nelle orecchie, tutta la poca voglia che aveva di partecipare se ne volò via.

Un momento. Che cazzo gli prendeva?! No! Non doveva fare l’asociale depresso!

Bussò energicamente più volte e –miracolo dei miracoli!- al terzo tentativo qualcuno gli aprì.

Era Tomo, con stampata in faccia la sua solita espressione di apatia, che –vedendolo- gli fece un cenno col capo. Per non essere scortese gli sorrise e varcato l’uscio sentì un coro provenire dal salone principale.

“Vai Juuuude!”

Tese i muscoli, bloccò i passi e la sua vista sembrò calare all’improvviso. Gli occhi gli si appannarono e temette di diventare cieco tutto d’un tratto. Ma quello, in tale frangente, rappresentava il problema minore.

Lui era lì, sopra quel dannato tavolo, senza maglietta, con una puttanella appiccicata addosso ed era… felice.

Una scossa gli attraversò la schiena. Era il segnale. Ciò che lo avvertiva che doveva sparire da lì; prima che qualcuno s’accorgesse di lui.

Scoppiò fragorosamente a ridere quando si rese conto di star correndo di nuovo, dopo soli pochi minuti che s’era fermato, soltanto in senso opposto.

Rideva, rideva da solo. Sì, aveva decisamente bisogno di dormire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Ssssssalve a tutti! :3 Wow, non credevo di ricevere così tante recensioni! °---° E poi ri-wow, 12 persone mi seguono! Incredibile! .___.'' Thank you so much <33 Beh, che dire? Spero che anche questo capitolo vi inciti a volerne sapere di più... Diamine, mi ci sto impegnando sul serio, come credevo che MAI avrei fatto! Meglio così, no? XD Comunque grazie per l'attenzione e al prossimo capitolo! ;3

Gli amici di Rob e Jude che ho menzionato sono:

-Jared, Shannon e Tomo dei 30stm;

-Rachel Mcadams;

-Jake Gyllenhaal;

-Patrick Dempsey;

-Kelly Reilly;

-Ewan Mcgregor;

-Cameron Diaz;

-Noomi Rapace.

In più troviamo Sarah Michelle Gellar mora!

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Capitolo 4
*** #3 - And nobody here’s perfect . ***


-In my veins.

~ Capitolo 3 – And nobody here’s perfect .

 

Non sapeva dove aveva trovato la forza di uscire, quel pomeriggio.

Dopo la sua bellissima esibizione, si era ubriacato e aveva fatto sesso con Sarah. Non che si ricordasse granchè, ma sapeva benissimo che si era svegliato alle due del pomeriggio, solo perché era stato tirato giù dal letto da Kelly, tanto i postumi della sbronza lo aveva devastato.

Sempre con l’aiuto della migliore amica si era dato una sistemata alla ben’e meglio per non sembrare uno degli zombie usciti dal video musicale di Thriller e alle quattro avevano raggiunto gli altri al solito bar in centro.

« Spero caldamente che nessuno avesse i cellulari a portata di mano ieri sera. » esordì Jude ridendo.

« Se fossi in te non starei così tranquillo! » rise a sua volta Jared.

Ma sì! Che gli importava se il video del suo ballo senza maglia fosse finito su Youtube?! In quel momento, proprio niente.

« Ehi! A proposito! Dov’è Rob? » domandò all’improvviso Patrick, sorseggiando una coca cola.

Il biondo spalancò impercettibilmente gli occhi. Già! Alla fine non era venuto…

« Abbiamo suonato a casa sua prima, ma ci ha aperto sua madre e ci ha detto che era uscito già da un’ora. » Jared fece spallucce.

Il fratello schiacciò la lattina di the, oramai finita, che aveva tra le mani: « Non me ne frega se non è qui adesso! Doveva venire ieri sera! » Trovò il pieno consenso di Rachel, che fino a quel momento era rimasta in disparte a fissare le persone che passavano fuori.

« In realtà… è venuto. » Tutti gli occhi delle persone presenti si voltarono verso l’angolo destro del tavolo.

« Che dici, Tò? » chiese Jude, con una punta di ansia nella voce, ma nessuno la notò.

« Robert è passato ieri sera, ma voi eravate nel pieno dello spettacolo e se n’è andato dopo sì e no un minuto. » spiegò Tomo.

Il liquido presente nel bicchiere di Jude tremò vagamente, influenzato dalla lieve convulsione che la mano che lo reggeva aveva avuto.

« Cosa?! » sbottò Rachel, colpendo il tavolo con un pugno. Quell’esclamazione arrivò alle orecchie del biondo come uno schiaffo in piena faccia.

« Non ci credo! Io lo ammazzo! Ma perché non si è fermato?! » domandò Shannon, incredulo. Come se Tomo potesse davvero saperlo. A Jude sembrò che il timbro di voce di tutti fosse aumentato all’improvviso. Capì, con incredulità, di non riuscire a distinguere le parole che uscivano dalle labbra dei suoi urlanti amici e si spaventò.

« Scusate io… » tutti si zittirono quando Jude si alzò e parlò. « …non mi sento granchè bene. Che botta tremenda che ho preso ieri sera! » ridacchiò, ma nessuno reagì di conseguenza. « Credo che me ne tornerò a casa. » si mise una mano davanti agli occhi e fece per avviarsi verso la porta del bar, ma una voce lo fermò: « Ehi! Vuoi che ti riaccompagni? » era Kelly.

« No, tranquilla. Vado da solo. » fece un sorriso sghembo e uscì nascondendo la bocca sotto la sciarpa.

Sulla strada per casa sua ebbe un capogiro, tanto forte che dovette fermarsi a sedere su una panchina. Affianco a lui una signora dall’aria gentile gli aveva chiesto se andava tutto bene e lui le aveva sorriso dicendole di non preoccuparsi.

Sì, era la sbronza. Non c’erano altre spiegazioni. Ah, non avrebbe mai più scommesso con Rachel e non avrebbe mai più bevuto così tanto!

 

*

 

Mandò mentalmente quel tizio a farsi fottere. Quella roba non valeva così tanto, merda!

« Che ladro! » bofonchiò a denti stretti Robert.

Si infilò in tasca il suo recente acquisto e si diresse verso la scuola.

La sera prima, nella cassetta delle lettere, aveva trovato un paio di volantini. Li aveva arraffati con fare interessato. Sì, perché in quel momento voleva pensare a tutto tranne a quello che aveva visto.

Uno dei suddetti volantini riguardava una serie di incontri in una specie di catapecchia non molto distante da casa sua, l’altro, invece, era della sua scuola. Illustrava una serie di attività che si svolgevano la domenica nel suo istituto. Si sorprese nell’apprendere quella notizia; non l’aveva mai saputo prima.

Si interessò particolarmente alla voce: “Fotografia”. Aveva sempre voluto provare, ma sentiva che i suoi amici lo avrebbe preso per il culo paragonandolo ad una ragazzina con una qualche vena artistica mancata, se solo avesse accennato loro l’idea.

Ma a quanto pareva nessuno aveva notato la sua assenza, nessuno si era preoccupato di sapere dov’era… Magnifico! Ora poteva fare quel che voleva!

Venne fatto passare da un ragazzo, probabilmente del suo stesso anno, solo dopo aver mostrato il volantino.

« A cosa sei interessato? »

Al moro sembrò di trovarsi in un film. Forse aveva visto una scena simile da qualche parte, ma non rammentava dove.

Si guardò un po’ intorno e poi rispose: « Vorrei… provare con fotografia. » Si immaginò la reazione di Rachel… rideva; gli rideva in faccia.

« Bene, tieni questo. » quello strano ragazzo biondiccio gli porse un foglietto, simile ad un biglietto da visita. « Fai vedere questo all’aula polifunzionale e sei dentro. » La sua convinzione di essere finito in un film aumentava ogni secondo di più.

Iniziò a camminare alla volta della classe e, ad ogni passo, notava dei particolari nei corridoi a cui non aveva mai fatto caso. Vedeva quell’edificio con occhi diversi, quel giorno. Come se vi fosse entrato per la prima volta. Non gli dava l’idea di luogo di tortura e perenne disperazione come faceva di solito. Era tranquilla e lo rilassò completamente.

Immerso in quelle strane constatazioni oltrepassò di qualche passo la porta dell’aula dove sarebbe dovuto entrare e una voce lo riscosse. « Ehi, tu! Più in fondo di qui non c’è nessun tipo di attività in corso. »

Robert sussultò per la paura e si voltò incontrando nel suo campo visivo un ragazzo tutto sorridente. « Oh… » si grattò la testa, imbarazzato, realizzando che quello sconosciuto aveva ragione. « …ero immerso nei miei pensieri e non mi sono accorto di dove andavo. » rise lievemente.

« Posso aiutarti? » chiese gentilmente il moretto, uscendo del tutto dall’aula.

« Beh, se sei nel club di fotografia sì. » disse Robert e vedendo il volto del ragazzo davanti a lui illuminarsi capì che sì, era del club di fotografia.

Venne avvicinato e gli fu stretta la mano. « Io sono Tobey Maguire. Molto piacere! E tu sei? »

« Robert, Robert Downey Jr. » rispose alla stretta.

Venne trascinato subito dentro la classe e lì dentro apprese che non solo Tobey faceva parte del club, ma che ne era a capo.

« Quindi… sei dell’ultimo anno. » disse Tobey.

Non sapeva come erano finiti a passeggiare nel cortile della scuola, ma quel ragazzo lo aveva messo dannatamente di buon’umore e non era riuscito a trattenere per sé quella proposta.

« Già… e mi aspettano gli esami. » fece una faccia riluttante che provocò una risata nell’altro.

« Io posso rilassarmi ancora per un annetto circa… » rise ancora.

Robert sorrise e alzò il capo verso il cielo… Stava iniziando a diventare buio.

Calò il silenzio, rotto solo dal suono dei loro passi, e il maggiore pescò dalle tasca il cellulare.

« Lo so che sono stato io a proportelo, ma… » L’attenzione di Tobey tornò su Robert.

« Devi tornare a casa, giusto? » gli posò una mano sulla spalla. « Tranquillo, vai pure. Tra poco anche io devo dileguarmi. »

Robert si sorprese di tanta gentilezza e rispose: « Beh, ci si becca in giro allora. »

« Spero di rivederti anche domenica prossima. » sorrise Tobey, salutandolo con la mano, quando erano oramai distanti di una decina di passi.

Il moro si ritenne più che soddisfatto di quel pomeriggio. E pensare che era andato là solo per non pensare troppo. Ci aveva guadagnato un corso di fotografia e una nuova conoscenza! Davvero non male!

*

 

Guardò soddisfatto le foto che aveva scattato insieme a Tobey, usando una professionale, poggiandole sparse sul letto. Prese tra le mani la sua preferita: aveva messo a fuoco un albero innevato nel cortile, lasciando però in primo piano, sfocata, una gocciolina di condensa, oramai secca, presente sul vetro della finestra.

Si ritrovò a fissare la neve, presente in ogni suo scatto. Quella stessa bianca neve che gli ricordava ogni cosa…

Balzò in piedi e, quasi incespicando, si diresse verso la porta della sua stanza. Lì, appeso, vi era il suo cappotto. Infilò una mano nella tasca destra e ne tirò fuori quello che aveva comprato appena uscito di casa.

Era incredibile di come si ricordasse ancora dove la vendevano.

S’avvicinò alla finestra e l’aprì, ignorando il messaggio di aiuto che gli lanciò tutto il corpo.

Venne scosso dai brividi, ma se ne fregò e iniziò a prepararsi una canna. Ci mise qualche secondo e, accesala, iniziò a fumare. Al primo tiro tossì talmente forte che credette di poter essere sentito dai suoi genitori, ma poi pensò che casa sua era troppo grande e che i suoi erano comunque troppo distanti.

Si sfogò, pianse, rise, fumò e nonostante l’erba stesse facendo effetto sulla sua lucidità, comprese…

“Non puoi negarlo!” diceva una voce maligna nella sua testa.

« …Jude. » sorriso amaro, tra le lacrime.

 

*

 

Avrebbe voluto ammazzare Jared. Eppure gli aveva sempre detto che non voleva essere invischiato con le ragazze della sua scuola.

Quando, quella mattina, appena aveva chiuso l’armadietto, s’era ritrovato davanti una Sarah tutta sorridente e frizzante aveva maledetto ogni singolo santo presente in cielo.

« Buongiorno! » salutò lei. Jude quasi non si trattenne dal tapparsi le orecchie. La sua voce era risuonata squillante e contenta e il biondo credette per un attimo che il suo apparato uditivo ne avesse risentito all’istante.

« Ciao… » rispose lui, senza il minimo coinvolgimento.

Si voltò verso il corridoio, ignorando lo sguardo ora quasi triste della moretta, e vide che tutta la combriccola dei suoi amici stava arrivando. Bene! Lo avrebbero tolto dai guai.

Alzò un braccio così da poter essere visto e l’unico del gruppo che lo imitò fu Jared. Oh, gliel’avrebbe fatta pagare in un qualche modo!

« Guardate un po’ chi c’è! La coppietta novella! » esordì Rachel non appena il gruppo fu loro vicino.

Jude la fulminò con lo sguardo, ma Sarah lo precedette nel dire qualsiasi cosa: « No, ma che coppietta? » aveva poi riso, fintamente. « Io e Jude non stiamo insieme. Non sia mai! » terminò, sgranando gli occhi, probabilmente per enfatizzare il concetto.

Ok, ora sì che era confuso. Se lei non voleva stare con lui perché si era presentata a due centimetri dalla sua faccia appena era entrato a scuola? Doveva star fingendo, in uno dei due casi. Ma in quale?

« Sì, Rachel… Cosa vai a pensare? » La diretta interessata si acquietò, notando la sfumatura rabbiosa nella voce del biondo.

Solo quando Ewan e Jared iniziarono a conversare con Sarah, Jude s’accorse di lui. Se ne stava dietro tutti con lo sguardo fisso fuori dalla finestra. Zaino tenuto su una spalla sola; una mano a tenere le bretelle unite, l’altra nascosta in tasca. Cappotto nero, felpa verde scuro, jeans semi-strappati e converse. Sembrava fuori dal mondo in quel momento e rimase per qualche istante ad osservarlo. Gli occhi leggermente chiusi; segno che stava scrutando qualcosa in particolare. Non c’aveva mai fatto caso prima, ma scoprì che stringeva lievemente le labbra ogni tre secondi quando era concentrato su qualcosa. Era incredibile di quanta inconsapevole precisione avesse quel gesto!

« Ehi, Jù! » Shannon gli diede una pacca sulla spalla per richiamarlo all’attenzione. Probabilmente anche Robert aveva sentito pronunciare il suo nome con insistenza, infatti s’era voltato verso il diretto interessato ed aveva sfoggiato un’espressione quasi disgustata quando aveva constatato che il biondo lo stava guardando. Jude la prese male, molto male.

« Che vuoi? » si girò verso il maggiore dei Leto, quasi ringhiando. Shannon sussultò per la sorpresa e piantò di fronte a sé le mani, in segno di difesa. « Wo! Tranquillo. » aveva alzato un sopracciglio, occhi semi-sgranati.

« Che hai, Jude? » chiese Ewan. Tra le persone del gruppo era calato il silenzio. Solo ogni tanto si sentivano le parole sconnesse delle persone che passavano affianco a loro.

Il biondo digrignò i denti. Lui lo stava osservando… Non poteva sopportare oltre il pensiero di essere guardato in quel modo.

« Ah, lasciatemi in pace! » esordì alla fine, ingoiando quel boccone amaro. In realtà avrebbe voluto scansare tutti, avvicinarsi a Robert e tirargli un altro pugno in faccia. Chiuse gli occhi mentre si dirigeva in classe, ma all’improvviso capì e si fermò in mezzo al corridoio.

Non era Robert quello che voleva far sparire, era lui stesso che desiderava svanire dalla faccia della Terra.

 

*

 

Per fortuna i loro orari non avevano mai coinciso quel giorno, ma stranamente non era riuscito a trattenere l’irritazione. Aveva risposto male, non solo ai suoi compagni, ma persino al professore! S’era beccato una nota disciplinare e un bonus di un’ora e mezza in punizione, quel pomeriggio. Davvero grandioso!

« Credevo che oramai gli studenti dell’ultimo anno avessero smesso di essere chiusi qui dentro. » Il bidello di turno nella classe delle punizioni ruppe il silenzio che s’era creato cinque secondi dopo che Jude era entrato, circa mezz’ora prima.

Il biondo sbuffò pesantemente quando sentì quella noiosa constatazione. Odiava quando la gente cercava di attaccare bottone con trovate davvero poco originali.

Il bidello, constatando che nessun tipo di discorso avrebbe tolto dalla faccia di quel ragazzo quella sottospecie di cipiglio incazzato, lasciò perdere e tornò a leggere quello che probabilmente era un giornale porno.

Jude fissò con intensità per una decina di secondi i pannelli presenti sul tetto dell’altra ala dell’edificio scolastico. Quando distolse lo sguardo il riverbero della luce permase nei suoi occhi. Non provò nessun fastidio, anzi… sin da piccolo aveva sempre adorato quegli strani disegni che si formavano davanti ai suoi occhi ogni volta che li manteneva puntati su una fonte di luce troppo a lungo. La madre lo sgridava ogni volta, ma lui ridacchiava, non curandosene e fuggiva via.

La sua mente viaggiò lontano… Inspiegabilmente riaffiorò il ricordo di quando, a 7 anni, si ruppe il braccio destro. Aveva avuto una paura tremenda, quella volta. Tutti i suoi amici se n’erano andati a casa e anche lui stava tornando. Era solito sfrecciare con la bicicletta vicino al marciapiede e sul suo cammino, quel giorno, si era parato un gattino. Per evitarlo girò di scatto il manubrio e finì addosso al marciapiede; il braccio rimase inevitabilmente schiacciato tra il bordo di questo e la bicicletta. Sul momento non si rese conto dell’accaduto, ma quando la pelle aveva cominciato ad assumere una tonalità violacea, aveva compreso che qualcosa non andava. Casa sua era parecchio lontana e non appena cercò di muovere qualche passo le prime fitte di dolore lo colpirono. Lanciò un urlo e le lacrime gli rigarono il volto contro la sua volontà. Cercò di essere il più razionale possibile e di non perdere il controllo. Respirò profondamente, ancora scosso dai singhiozzi, e creò nella sua testa una mappa del circondato. Ricordò che c’era un ospedale poco distante da lì e iniziò a correre verso la direzione che la sua memoria gli aveva suggerito. Non si era sbagliato! Pochi minuti dopo fu dentro. Rammentava che una giovane infermiera era corsa subito da lui e gli aveva chiesto cosa fosse successo… Solo dopo che gli fu messo il gesso aveva avuto la forza di aprire bocca e di informare i medici di chi fossero i suoi genitori.

Quando vide sua madre, ebbe paura. Era arrabbiata, glielo si leggeva in volto. Prima che potesse dire o fare qualsiasi cosa, però, l’infermiera era intervenuta in sua difesa dicendo alla donna che era stato davvero bravo e non si era mai lamentato e che non era da tutti raggiungere da soli un ospedale.

L’aveva scampata con una settimana di punizione e una serie di baci strazianti, tutti in una volta. Ridacchiò sommessamente a quel ricordo. Sua madre era piuttosto incoerente; lo sgridava e subito dopo lo riempiva di baci. Bah! Le mamme… non le avrebbe mai capite davvero!

All’improvviso si ricordò di come Robert, quella mattina, fissasse intensamente fuori dalla finestra.

La neve, il pugno allo stomaco, il freddo alla schiena, il dolore ai polsi, il pugno scaraventato sul naso dell’altro… il bacio.

Scattò in piedi, facendo quasi cadere la sedia e fissando preoccupato l’orologio si accorse che proprio in quel momento il suo tempo di “detenzione” era finito.

Ignorò il saluto del bidello e uscì con fare nervoso.

Perché? Perché fra tutto… proprio quello?!

Svoltò un angolo per sfociare nel corridoio dove si trovava la sua classe e appena fu entrato in questo ogni cosa perse senso, suono, colore. Tutto diventò improvvisamente più cupo e indefinito. Quando vide quel verde scuro animare il grigiore tutt’attorno, perse un battito.

Stava venendo incontro a lui. Occhi bassi, un libro fra le mani, capelli più scompigliati dall’ultima volta.

Passò un secondo, o forse un attimo. Il moro alzò lo sguardo, lo vide e lo oltrepassò.

Niente. Nulla. Il vuoto.

Jude sentì dentro sé un lievissimo suono, poi un’immagine balenò nella sua mente.

Era lui da bambino e si trovava ai bordi di un pozzo. Aveva tra le mani un sassolino, che istanti dopo venne gettato nella cavità.

La decisione. Sì, aveva deciso…

Un piccolo tonfo risuonò nel suo cuore.

Si voltò, strinse i pugni e inspirò a pieni polmoni.

Era ora di finirla.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Ok, questo capitolo è parecchio concentrato di eventi e decisamente più lungo degli altri. La neve sembra volermi bene. Sono barricata in casa e questo significa che avrò più tempo per scrivere. *---* Beh, grazie delle recensioni e di seguirmi. <33 Siete una delle ragione per cui continuo a scrivere... e poi perchè oramai sono in fissa con 'sta fanfiction e giuro che la finirò! ò__ò/ Ok, sto sclerando... mi dileguo! :3 (Ps: Il Tobey Maguire è proprio quel Tobey! Spiderman, in sintesi XD) Bye everyone! <33

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Capitolo 5
*** #4 - All that you rely on will leave in the morning . ***


-In my veins.

~ Capitolo 4 - All that you rely on will leave in the morning .

 

Se avesse continuato a inspirare aria anche solo un istante di più, i suoi polmoni sarebbero di sicuro esplosi. Non fece, però, caso alla leggera fitta che sentì all’altezza dello sterno, tanto era concentrato.

Ora o mai più. Pensò.

« Ehi, Rob! » disse. Tono di voce piatto; stava cercando di trattenere il più possibile le emozioni.

Il moro si fermò, passando il libro da una mano all’altra, grattandosi poi la testa.

Jude ebbe un lieve mancamento quando questi si voltò. Ancora quello sguardo… silenzioso, ma rabbioso. Il biondo si ritenne quasi soddisfatto, però… In fondo il fatto che si fosse fermato e voltato stava a significare che lo avrebbe ascoltato –e se gli fosse andata bene, anche risposto!-.

« Potremmo smetterla adesso, che ne dici? » domanda retorica. Abbozzò un sorriso, di sfida, iniziando ad avanzare verso l’altro. Sentiva il brivido del pericolo invadergli la spina dorsale, sudore freddo imperlargli la fronte. No! Non avrebbe ceduto!

« Di che parli? » da quanto non sentiva la sua voce? Poco importava. Quel suono era incredibile e allo stesso modo inquietante.

« Mi stai evitando, è palese! Ma lo faccio anche io. » disse, aprendo ancora un po’ gli occhi, puntandosi le mani al petto. Smise di camminare quando Robert parlò: « Oh, andiamo Jude! » tono sarcastico, sorriso forzato. « Sii onesto con te stesso almeno ‘sta volta. » suggerì il moro, inarcando un sopracciglio e allargando le braccia. C’era nel suo tono di voce un qualcosa di accusatorio.

« Che diavolo dici? » non capiva. Si sorprese poi nel constatare che la distanza tra loro era diminuita. Capì che era stato Robert ad averla ridotta, quando questi fece un altro passo verso di lui.

« Come al solito non ci arrivi, Judsie. » rise lievemente. Quel ghigno sadico che dì li a poco gli si era stampato sul volto, stava facendo pian piano crollare le sue certezze –ma quali?- iniziali.

Un rumore metallico gli ferì l’udito, tanto che si portò la mano destra al corrispettivo orecchio. L’altra rimase ferma, costretta da qualcosa. Sentì freddo, poi immediatamente caldo alla nuca. Questa volta costrinse gli occhi a restare aperti, perché sapeva; sapeva che se li avesse chiusi anche solo per un secondo tutto sarebbe svanito nel buio.

Gemette, colto di sorpresa. Girò la testa di lato e realizzò che Robert lo stava letteralmente spalmando agli armadietti. Solo quando la stretta al polso sinistro aumentò, si rese conto della reale vicinanza dei loro volti, dei loro corpi. I loro nasi quasi si scontravano e una scossa attraversò tutto il corpo di Jude quando il ricordo del sapore di quel bacio passato gli annebbiò i sensi.

« Ho notato che te la sei passata bene! Come si chiama?! Ah sì, Sarah! Un modo niente male per non pensare, vero? » inveì, provocando l’eco del metallo alle spalle di Jude.

Cos’era quella? Gelosia? O solo pura e semplice voglia di rinfacciargli cose non inerenti ai fatti?

« Che cazzo c’entra questo? » Non gliene fregava nulla della questione del ballo, di lui che aveva visto tutto, in quel momento.

« Te la sei scopata? » chiese, aggressivo.

« Smettila! Smettila di sfuggirmi! Non è di questo che volevo parlare… » cercò di divincolarsi usando il braccio libero, ma prontamente Robert catturò anche quello. Iniziò a dimenarsi, si sentiva quasi in pericolo.

« Non ti agitare… Non voglio farti nulla stavol- »

« Non è cambiato niente! Non te ne devi vergognare, Rob! » sussurrò il biondo.

Robert venne colto di sorpresa, e anche se quello del ragazzo appiccicato a sé era stato solo un sussurro, a lui era sembrato un grido, un fortissimo grido. Proprio non se l’aspettava.

« Eri confuso… Suzan ti aveva appena lasciato ed eri in cerca di confor- » smise di parlare. Robert l’aveva lasciato andare di scatto. Sentì improvvisamente freddo; sentì la mancanza di quel corpo contro il suo.

Il moro s’era voltato verso le finestre del corridoio, aveva le mani sui fianchi. Era agitato, nervoso, incazzato. Le sue gambe si muovevano come animate da impulsi di frenesia.

Si voltò e Jude credette di poter morire. « Non hai capito niente, Jude… » sguardo fisso, ma vuoto. Colmo di lacrime che lottava per trattenere e non far precipitare sulle sue guance, oramai arrossate. Tutta la rabbia che aveva scorso poco prima, era svanita; sostituita da amarezza e rassegnazione.

« Io- »

« No! » lo interruppe. Ma non c’era davvero nulla da interrompere. Jude non sarebbe riuscito comunque a dire altro. Sempre io, io, io. « Non ero confuso, cazzo! Non cercavo “conforto”, come dici tu! Ho fatto quel che ho fatto perché volevo farlo! » urlò alla fine, agitando le braccia. Una lacrima –bastarda!- lo tradì. « Ho avuto paura e sono fuggito. Paura di quello che avevo appena fatto. Paura di perderti… e tutto… per uno stupido bacio. »

Tutto gli fu chiaro. Comprese che Robert stava mettendo in gioco, in quel preciso momento, tutto se stesso. Preoccupato a morte delle conseguenze, ma stufo… Stufo di tenersi tutto dentro. In un certo senso era simile a lui… No! Non poteva fare nemmeno un lontano paragone. Lui era un codardo, un egoista. Aveva pensato solo a sé sin dall’inizio.

« Mi capisci, Jude?! Mi sono semplificato la cosa! Ho facilitato la vita a me e a te. Non avrei sopportato di sentirti dire “Con te non voglio avere più nulla a che fare, sei un frocio del cazzo!”. » rise, amaramente. « Mi sono risparmiato quest’umiliazione e sai perché? Perché io lo sono davvero… sono davvero gay. » confessò infine. Le lacrime smisero di scendere, come se la realtà fosse penetrata nel suo io, dopo quella frase, asciugando ogni dolore. « Ci ho riflettuto. Cazzo, se ci ho riflettuto! Sono corso via col cuore a mille; spaventato per quel che avevo fatto, ma mi sentivo –nel profondo- bene. » disse. « Sai? Credo di essere stato un po’ egoista… ma era la prima volta in tutta la vita ed ero soddisfatto. Ero… contento? Ma sì, diciamo così… » smise di sorridere, quel sorriso amaro che ogni secondo di più stava attorcigliando l’animo di Jude. « Com’è Jude? Com’è essere egoisti? »

Jude fece scivolare le mani vicino ai fianchi. Colpito a morte, da quelle parole…

Non vedendo alcuna reazione da parte dell’altro, Robert piegò un angolo della bocca verso l’alto, in un ghigno, soffiando via dal naso quell’aria che vi era rimasta per troppo a lungo, in attesa, anch’essa, di una risposta.

Raccolse il libro che aveva inconsapevolmente lasciato cadere a terra, quando aveva costretto Jude alla parete, e si infilò una mano in tasca. Un passo, un altro ancora… risuonavano come i rintocchi di un orologio. Era l’ora dell’addio.

Jude lo seguì con lo sguardo… incapace di fare altro. Eppure una vocina nella sua testa stava urlando e impazzendo. Gli ordinava di fermare Robert, ma non le diede retta… non ci riuscì.

Era finita. L’aveva perso.

 

*

 

Aveva chiuso la questione. La loro amicizia era finita, era vero; ma non poteva continuare a vivere a lungo in quel modo. Si sentiva una merda, ma non doveva.

Ho fatto la cosa giusta, continuava a ripetersi.

Sarebbe andato avanti, come rinato, con la sua nuova vita. Non gli riusciva ancora facile accettare quello che era, ma non aveva nessuna intenzione di rinnegarlo.

Prima di tutto, però, doveva porre fine anche al resto. Non voleva allontanarsi per sempre, ma voleva prendere le distanze per un po’.

« Yo, Shà! » disse quando il maggiore dei Leto rispose al telefono. « Possiamo vederci? Dobbiamo parlare. »

« Ehi, così mi spaventi davvero! Eravamo fidanzati e non me l’ha detto nessuno? » rise.

Robert sghignazzò leggermente « Dai, sono serio! »

« Oh sì, non ne ho dubbi! » lo stava prendendo per il culo, era chiaro.

« Che ne dici della vostra saletta? »

Sentì Shannon smettere di respirare per qualche istante. « Rob, sei sicuro che vada tutto bene? »

« Non me l’hai chiesto… » constatò, iniziando a giocherellare col bordo della sua t-shirt di Iron Man. Capì di aver spiazzato l’amico quando questi sospirò.

« Avevi detto che non volevi più tornarci. » disse infine.

« Lo so, ma… mi pare l’unico posto ideale. »

Alla fine Shannon non aveva obiettato oltre. C’era un qualcosa di profondo e solenne nella voce di Robert che stava iniziando a farlo preoccupare; non l’aveva mai sentito così serio.

 

*

 

Percorrere quella strada gli faceva riaffiorare troppi ricordi, tanto che dovette iniziare a contare quanti alberi vedeva pur di tenere la mente occupata.

Era lì che aveva passato tutti i pomeriggi della sua adolescenza da quando aveva conosciuto i fratelli Leto, ovvero otto anni prima.

In quella via avevano distrutto a colpi di mazza da baseball la macchina del guardiano del parco poco distante da lì perché li cacciava sempre dando loro dei “teppistelli dei miei stivali”; aveva fatto il suo primo giro in motorino e aveva rischiato di investire il povero Tomo; aveva provato la sua prima canna e aveva abbordato una ragazza che passava di lì. E infine tutti insieme avevano avuto quell’idea malsana che l’aveva poi portato ad abbandonare per sempre quel luogo.

Quella strada rappresentava una parte della sua vita a cui teneva più di ogni altra cosa, ma non avrebbe mai voluto tornare a quei tempi.

Si insinuò, dopo aver contato trenta alberi, in una viuzza privata e aprì un cancelletto diroccato ornato da un cartello che proclamava a grandi lettere “Keep out!”.

Quel piccolo giardino non sembrava essere cambiato per niente, eppure Shannon, Jared e Tomo continuavano a recarvisi.

Ebbe una fitta al cuore, quando si trovò di fronte all’entrata; rimase immobile sul tappetino d’ingresso senza riuscire ad andare oltre. Ridacchiò e si diede del coglione.

Si sedette sui gradini poco distanti che portavano ad un’abitazione e decise che nell’aspettare l’amico avrebbe fumato un po’.

Pensò che quasi sicuramente il moro avrebbe inveito contro di lui, gli avrebbe dato dell’idiota codardo e avrebbe minacciato di picchiarlo se avesse solo provato ad allontanarsi, ma lui era fermo e convinto della decisione che aveva preso. Se avesse continuato a vivere allo stesso modo di prima sarebbe rimasto schiacciato.

« Yo! » si voltò; era arrivato. « Siamo sicuri che non sei un miraggio? » Robert sorrise e l’altro gli si avvicinò.

« E’ davvero strano essere qui… » confessò, con una nota di malinconia nella voce.

« Ma per nulla al mondo torneresti indietro, giusto? » fece l’altro, allungandogli un braccio. Robert lo afferrò, senza rispondere, e i due si avviarono all’interno della saletta. Il minore cercò di trattenere l’ansia che gli stava martoriando corpo e anima.

Quando entrò gli sembrò che l’odore di tutti i momenti passati là dentro gli si insinuarono nelle narici, come a volerle pregare di non dimenticare. Robert ricordava che in quel buco di stanza c’era sempre stato un odore particolare di un qualcosa che nessuno era mai riuscito ad identificare.

Shannon sparì per qualche istante in un ripostiglio adiacente e ricomparve con due birre in mano.

« Wow, pure il frigobar adesso! » esclamò Robert, sorpreso.

« Era l’unico modo che avevamo per sopravvivere. » si giustificò l’altro.

Si sedettero, il maggiore dei Leto sul suo sgabello da batterista e Robert su una delle casse dell’amplificatore e subito dopo essersi sistemato, iniziò a parlare.

Lì, in quella via avevano tutti insieme avuto l’idea malsana di formare un gruppo. Avevano tutti gli elementi a disposizione. Jared sarebbe stato il cantante, Tomo suonava la chitarra, Shannon era batterista già da appena nato e lui avrebbe fatto la seconda voce e il tastierista. I primi tempi tutto era nuovo e sembrava andare a gonfie vele… Avevano affittato quella stanza per tre pomeriggi la settimana e non c’era una volta che fossero mancati. Potevano essere dei perdigiorno per il resto, ma il loro gruppo, la loro musica veniva prima di tutto.

Un giorno, però, venne la fine… Robert si infortunò gravemente una mano durante una partita di baseball e, nonostante l’operazione andata a buon fine, gli era stato annunciato dai dottori che non avrebbe più potuto suonare. Dopodichè si creò l’inferno... Il loro gruppo si sciolse e lui iniziò a bere e scappò anche di casa. Suonare il pianoforte, la tastiera, era tutto per lui… era la sua passione. Quando un giorno vide Jared e Shannon fare a pugni a causa sua, capì che non era giusto; capì che loro avrebbero dovuto continuare quel sogno anche per lui. Disse loro che se non avessero riformato il gruppo entro una settimana lui non avrebbe rivolto loro più la parola e i tre ubbidirono, col pensiero che non sarebbe comunque più stato lo stesso.

Il proprietario della sala, loro grande amico e fan, essendo venuto a conoscenza della storia, aveva regalato loro quel piccolo angolo di paradiso.

« Hai delle cose da sistemare nella tua vita, eh? » chiese infine Shannon.

Cos’era quello? Cosa aveva appena visto sul volto del suo amico? Era… un sorriso di approvazione e rassegnazione? Gli stava tacitamente dando il suo appoggio nonostante non avesse accennato a tutti i particolari che lo spingevano ad allontanarsi dal loro gruppo?

« Io… » cominciò, ma un gesto della mano dell’altro lo fece tacere.

« Prenditi il tempo che ti serve… A Jared e gli altri lo spiegherò io. » si rigirò tra le mani la lattina di birra ormai vuota, sorridendo per chissà quale motivo. Alzò lo sguardo, vedendo che Robert non diceva null’altro. « Che c’è? »

« Perché non controbatti? Perché non mi picchi? Perché non cerchi spiegazioni?! » era sconvolto.

Shannon rise e parlò: « Robert… sai dove sei, vero? » l’altro annuì. « Ecco, questo mi basta a capire che è davvero importante quello che devi fare. Il resto non conta. Fa’ ciò che ti farà stare meglio e torna da noi ancora migliore. » ricevette una pacca sulla spalla.

Da quando il suo amico era diventato così? Cosa si era perso? Con chi aveva passato i suoi giorni fino a quel momento? Non lo sapeva, ma non voleva essere da meno. Voleva trovare anche lui e fare sua quell’armonia che traspariva chiara e forte dagli occhi di Shannon.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_____________________________________________________

Ok, ecco il secondo nodo importante della storia. Spero di essere riuscita a rendere bene la parte iniziale di Rob e Jude; ci ho davvero sudato sette camice! =__= Non so per quanto ancora si prolungherà la fic, ma credo che entro una decina o quindicina di capitoli si concluderà... Boh, vedremo! Ringrazio tanto chi mi segue e chi recensisce! Vi adoro *w* Al prossimo capitolo! <33

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Capitolo 6
*** #5 - It's more than you can take . ***


Perchè un po' di angst ci sta sempre! ♥

{Capitolo dedicato interamente a Judsie!}

Ps: I'm back. é__è/

 

-In my veins.

~ Capitolo 5 – It’s more than you can take .

 

Sua sorella era da un’amica e i suoi genitori chissà dove. Perfetto! Gli serviva un po’ di tranquillità. Non avrebbe sopportato neanche per un secondo le assillanti domande di sua madre e le continue intromissioni di sua sorella. Fortunatamente il padre lo lasciava per lo più in pace.

Restò per quasi due minuti fuori casa, non riuscendo a trovare la chiave giusta nel mazzo. Le mani gli tremavano e anche quando aveva trovato quel che cercava non era stato capace di infilarla nella serratura. Solo dopo un’imprecazione urlata nella sua testa e un profondo respiro era entrato in casa.

Si sentì finalmente al sicuro, inebriato da quell’odore familiare. Si tolse malamente le scarpe e si diresse in cucina. Aveva la gola secca; dell’acqua sarebbe bastata.

Aprì lo sportello di una credenza e ne estrasse distrattamente un bicchiere. Storse un angolo della bocca quando constatò che non c’era acqua fuori dal frigo. Era tornato a casa a piedi ed era quasi morto di freddo; l’acqua gelata non gli andava per nulla a genio in quel momento, ma nemmeno nessun’altro liquido, per cui smise di fare lo schizzinoso e aprì l’elettrodomestico. L’ondata di fresco che gli raggiunse il viso lo invitò a fare di fretta. Prese la bottiglia, si versò il liquido e richiuse tutto.

Non appena afferrò il bicchiere un’immagine gli balenò in testa.

“Ho fatto quel che ho fatto perché volevo farlo!”

Gemette, spaventato e il vetro gli sfuggì di mano. Vide la traiettoria dell’oggetto verso il suolo come a rallentatore. Gli occhi sgranati; troppo esterrefatto per il brutto scherzo che la memoria gli stava giocando. Perché? Perché? Perché?

Il rumore acuto e fastidioso del bicchiere infranto contro il pavimento lo riscosse dai brividi che lo avevano colto all’improvviso. Fissò con sguardo vacuo i frammenti luccicanti a riflesso con la luce della cucina e si strinse nelle spalle, non riuscendo a fermare quella sottospecie di singhiozzo affannoso che gli faceva mancare l’aria. Iniziò a sudare freddo, sentiva il cuore pulsargli nelle orecchie, ogni muscolo tendersi fino a fare male e quella voce… nella sua testa.

“Egoista! L’hai perso!”

« Basta… » sussurrò. Che gli stava succedendo? « Bastaaa! » gridò, tirando un pugno contro la superficie del frigorifero, che tremò leggermente. Sentì dolore alla mano, ma non se ne curò. « Non me ne frega niente di lui! Niente! » aprì tutti gli sportelli che gli capitarono sotto mano. Malato, frenetico, spaventato a morte, incazzato, frustrato, angosciato.

E quando una lacrima venne a contatto con le sue labbra, sbarrò gli occhi e il suo cuore smise di battere per un secondo. Tutti i malesseri scomparvero e lui iniziò. Iniziò ad tirare fuori bruscamente tutto ciò che veniva a contatto coi suoi polpastrelli. Altri bicchieri, piatti, scodelle, posate. Gettò tutto ovunque. Gli occhi vagavano impazziti da un frammento all’altro squadrandoli. Li vedeva… Quei bastardi dei suoi ricordi. Voleva distruggerli, tutti quanti. Si lasciò cadere a terra e sentì chiaramente dei vetri conficcarsi nella sua carne.

Perché? Cosa lo sconvolgeva a tal punto? L’idea di aver perso l’amico? Il ribrezzo che provava nei suoi confronti? O il suo stesso atteggiamento di impotenza di fronte alla realtà che Robert gli aveva sbattuto in faccia?

Schiantò violentemente le mani a terra e si ferì. Il rosso del sangue, in contrasto con le mattonelle color crema, gli disturbò la vista. Alzò un pugno, pronto a scaraventarlo a terra, ma il campanello di casa lo fermò. Quel rumore gli entrò nel cervello e parve riscuoterlo da quello stato di follia che l’aveva rapito. Si alzò faticosamente mormorando un “Arrivo” come se chi fosse fuori ad aspettare potesse davvero sentirlo e non appena fu in piedi capì ciò che aveva realmente fatto. Voleva mettersi le mani tra i capelli, ma l’urgenza di andare ad aprire e il sangue che gli sporcava le mani, lo fecero desistere.

Corse di là, con le braccia penzoloni lungo i fianchi e fece una fatica enorme ad allungare il braccio verso la maniglia della porta, tanto questo gli tremava.

Aprì, piano piano, come se al di là vi fosse un qualcuno di cui avere paura e ciò che si ritrovò davanti era niente meno che Sarah, con stampato in faccia un sorriso sincero, che morì non appena egli fu completamente visibile sulla soglia di casa. Sgranò lievemente ma rapidamente gli occhi e si portò una mano alla bocca.

« Oh… Oh mio Dio! » sussurrò, incredula e spaventata.

Voleva mandarla via, mandarla a quel paese dicendole che se avesse provato a dire a qualcuno quello che aveva visto l’avrebbe ammazzata con le sue stesse mani, ma contrariamente a tutto ciò, si scostò dalla porta per farla passare sussurrando un “Vieni”.

Lei si fiondò dentro e balbettò un qualcosa di incomprensibile, spaventandosi ancora di più alla vista del disastro in cucina che si intravedeva dal breve corridoietto d’entrata.

« Jude! Stai bene? Che ti è successo? » gli si fiondò vicino afferrandogli delicatamente le braccia. Tremava come una foglia.

« Brucia come l’inferno. » rispose il biondo, digrignando i denti.

Non solo le sue ferite; non solo quelle bruciavano come le fiamme dell’inferno. La consapevolezza di aver perso completamente il controllo di sé per lui, per colpa sua.

« D-Dobbiamo chiamare un’ambulanza! » sbraitò Sarah, lasciandolo libero e agitando le braccia. Era frenetica e il rumore dei suoi tacchi gli stava martellando il cervello.

« Non ce n’è bisogno… Ho seguito un corso di primo soccorso e poi queste non sono ferite profonde. Andare in ospedale sarebbe inutile. » tono atono, come se stesse recitando dei versi a memoria.

« Ma ne sei sicuro? » Paura.

Irritazione. « Sì, cazzo! Ora piantala! »

Sarah incupì lo sguardo e lo trascinò con sé verso il bagno; non ebbe voglia di opporsi. Tanto cosa cambiava?

« Hai intenzione di dirmi che è successo o continuerai a stare zitto? » Jude ringhiò leggermente dal dolore. La ragazza aveva stretto troppo forte la benda attorno all’avambraccio, quando aveva enfatizzato sulle ultime parole della sua domanda; ovviamente arrabbiata.

Doveva dirglielo? Di sicuro non era un dovere. Poteva farlo? Certo che poteva. Voleva dirglielo?

« Scatto d’ira. » sillabò, mentendo in parte. « Mi è caduto un bicchiere e non c’ho visto più. Ho perso la pazienza. » si fermò puntando per la prima volta da quando erano entrati nella stanza lo sguardo sugli occhi verdi della ragazza. « Non guardarmi come se fossi un alieno. Capita. » si giustificò, tornando a rivolgere l’attenzione al vetro della porta scorrevole della doccia.

« Quanto siete irascibili v- »

« A proposito… tu che sei venuta a fare? »

Se ne accorse, la prese alla sprovvista. Questa aprì la bocca per poi richiuderla subito dopo, segno di pura sorpresa. « Volevo vederti… » Jude rimase interdetto da tanta franchezza. « …è un problema? » chiese infine, abbassando leggermente il tono di voce.

Era quasi ridicolo tutto ciò. Lui impazziva, lei suonava alla sua porta, entrava, lo aiutava e lui quasi si dimenticava di chiedere perché fosse lì. Gli istanti prima, davanti la porta, quasi erano volati via e aveva perso la cognizione del tempo, non ricordandosi come quando e perché Sarah lo avesse trascinato in bagno e avesse iniziato a medicarlo.

« No, non è un problema. » Ok, perché aveva risposto in quel modo? Aveva atteso tantissimo prima di aprir bocca e poteva benissimo permettersi di non rispondere più. In fondo, voleva soltanto stare solo in quel momento a riflettere su cosa diavolo gli fosse preso, invece le aveva anche sorriso. Cominciava seriamente a sospettare che la sua prima ipotesi su Sarah fosse errata. Magari era una brava ragazza che per una sera aveva deciso di divertirsi, oppure era semplicemente un’eccelsa attrice.

Non capiva perché con lei facesse sempre il contrario di ciò che realmente aveva in testa!

« Le ginocchia? » lo ridestò, con quella domanda.

« Oh, giusto. » se n’era dimenticato. Non facevano male, né bruciavano. « A quelle penserò io da solo. »

Sarah storse la bocca, infastidita. « Potrebbe venirti un’infezione se non disinfetti il tutto al più presto. » Dio, gli sembrava di sentire sua madre!

« Ho detto… che farò da solo. » diminuzione di pazienza.

Alla fine la moretta s’era arresa, con non poca resistenza, e –dopo che si furono diretti in salotto e Jude si fu adagiato poco elegantemente sul divano- gli aveva portato del ghiaccio.

« Sai che non credo alla cazzata dello scatto di rabbia, vero? » Tono saccente, decisamente fuori luogo; nervosismo, sudore.

« Sta’ zitta… PIANTALA! » poteva quasi percepire i suoi pensieri; si addentravano dentro di lui e li sentiva. Irritanti, fastidiosi, prepotenti.

Scattò in piedi, stava impazzendo e doveva stare solo.

« Esci da casa mia! » la gola gli bruciò, per quanta enfasi mise nelle parole.

« Non prima che tu mi abbia spiegato cosa ti succede! » Rimase sorpreso dalla risposta e dal tono con cui era uscita dalla bocca della ragazza, alzatasi a sua volta per fronteggiarlo.

Nonostante tutto… nonostante tutto quello che era successo non riusciva a comprendere perché avesse ancora a che fare con Sarah. Lei… non era nulla, sennonché una scopata post-festa. E allora perché stava ancora a sentire cosa diceva? Perché sentiva di doverle una risposta?

« Jude io… » iniziò lei, stringendo un pugno vicino al petto, avanzando di un passo. « Voglio solo aiutarti. »

« Perché? » non riuscì a trattenere quella domanda. Ma non era granchè convinto di voler sapere cosa si celava dietro la sua improvvisa voglia di risposte.

« Bella domanda. » ancora più spiazzato.

Il biondo si voltò del tutto verso Sarah, che aveva in quel momento lo sguardo basso. Non voleva sbagliarsi, ma gli sembrava che stesse tremando; forse spaventata della sua ostilità che andava e veniva. Come biasimarla? Non si capiva nemmeno lui stesso.

Sorrise amaramente, non essendo capace di fare altro « Nessuno può aiutarmi… » esordì infine, facendo tornare l’attenzione della ragazza su di sé. Questa fece uno sguardo dispiaciuto e sospirò tristemente poco dopo.

Rassegnazione?

A Jude sembrò di sentirle proferire un “Capisco…”, ma comprese comunque che la mora se ne sarebbe andata sconfitta, poiché iniziò a muovere dei passi attorno al divano per dirigersi verso l’entrata.

« Scusa il disturbo. » disse, anticipando di poco il biondo, facendogli rimanere la bocca semi-aperta.

Anche in quel frangente non disse nulla, trattenendo quelle poche parole che sembravano essere sorte nella sua gola, limitandosi ad osservarla muoversi.

In verità sentiva che forse l’unica in grado di stargli vicino era lei; lei che non lo conosceva poi così bene, ma che voleva comunque aiutarlo, capirlo. Lei che gli era sembrata tutta un’altra persona, lei che anche in quel momento non riusciva ad afferrare fino in fondo.

Sentì il frusciare del suo impermeabile e capì che se l’era allacciato e facendo lievemente raschiare a terra un tacco, aprì la porta di casa.

“Se continui così rimarrai completamente solo… Egoista!”

Credeva seriamente di star uscendo di senno. Non solo sentiva la voce dei suoi pensieri che –contrariamente alla sua volontà- gli propinava continuamente l’appellativo di egoista, ma quando le ferite cominciarono a prudere e bruciare ignorò completamente quegli allarmi e iniziò a correre; evitando –come a volersi fare ancora più del male- di prendere qualcosa per coprirsi.

Quando sbattè la porta di casa, ringraziò Dio di avere le chiavi in tasca, altrimenti il ritorno sarebbe stato leggermente problematico. Quasi gli lacrimavano gli occhi a causa delle sferzate che il vento glaciale sbatteva contro il suo viso e tirando su col naso per il troppo sforzo, dopo pochi passi si fermò non potendone più. Il sangue in circolo troppo velocemente anche a causa delle ferite e di un mal di testa che aveva cominciato a insediarsi nei suoi neuroni.

« Sarah! Aspetta! » la chiamò. La mora era a venti metri da lui, ma si voltò lo stesso data la tranquillità della via dove si trovava casa Law.

Come al solito non riuscì a decifrare l’espressione di lei. In parte sembrava sorpresa, ma dall’altra l’inclinazione di occhi e bocca lasciavano quasi intendere che si fosse aspettata quel suo gesto pazzo.

« Non so cosa mi stai accadendo, ma almeno sono in grado di capire che se rimango da solo mi farò ancora di più del male. » quasi urlò, tutto d’un fiato.

Il perché avesse improvvisamente bisogno di qualcuno al suo fianco, gli rimase ignoto, ma sentiva che doveva superare quel brutto periodo.

Sarah, mano sulla tracolla della borsetta, aprì la bocca e la richiuse subito dopo, inclinandola in un sorriso.

Jude sussultò quando la moretta cominciò ad avanzare verso di lui in quella che sembrava una vera e propria corsetta faticosa a causa dei tacchi; ancora il sorriso ad ornargli il volto.

« Sei davvero strano, Law. » proferì lei, appena gli fu di fronte, con un lieve accento sarcastico.

« Sì, ma tu mi tieni compagnia molto bene. » tentò un sorriso. Non seppe come gli uscì, ma quel pomeriggio salutò la ragazza con la sicurezza che l’avrebbe rivista più di un’altra sola volta.

 

 

 

 

 

 

 

 

____________________________

Ok, sì. Sono una sconsiderata, lo so. Ma sapete... la scuola, il tempo che non c'è e- sì, sono tutte scuse. u__ù9 Diciamo che non ero ispirata e la mia testolina era annebbiata da altro, ma d'ora in poi produrrò di più, anche se con un ritmo tendenzialmente lento. E' maggio e la scuola mi opprime più del solito! Ma sappiate comunque che io sono qua e non abbandonerò questa storia! Bye, belli! Al prossimo capitolo {interamente dedicato a Robbino} ♥ 

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Capitolo 7
*** #6 - Oh you run away, I am not what you found . ***


{Capitolo interamente dedicato a Rob ♥}

 

 

-In my veins.

~ Capitolo 6 - Oh you run away, I am not what you found . 

 

Robert ricordava perfettamente quando il suo cervellino aveva iniziato a mandargli segnali di aiuto: la sera prima aveva litigato con Susan e quel giorno – per educazione fisica – la sua classe sarebbe andata in piscina. Lui e Jude erano conosciuti come il duo che impiega sempre secoli per prepararsi e neanche quella volta le cose furono diverse. Quando rimasero solo lui e il biondo nello spogliatoio e quest’ultimo s’era tolto gli slip, Robert aveva sussultato involontariamente, in preda ad una specie di attacco d’asma improvviso. Jude s’era rivestito in fretta e furia notando che c’era qualcosa che non andava nell’amico, ma il maggiore lo aveva rassicurato dicendogli che si sarebbe ripreso e che andava tutto bene. Nonostante avesse creduto di crepare lì su quella panchina di legno, la sua reazione al corpo di Jude lo aveva decisamente sconvolto maggiormente e gli aveva lasciato addosso una strano senso di terrore che non lo aveva abbandonato poi per giorni.

Forse era soltanto un brutto scherzo che il suo io gli stava giocando. Era difficile anche per lui, che era un ragazzo non propriamente brillante, ma di mentalità aperta, pensare di cambiare radicalmente la visione del mondo e di sé stessi nell’arco di… quanto, due settimane?!

Aveva tentato diversi metodi per “verificare” ciò che sia il suo cervello sia il suo cuore si ostinavano a fargli credere. Probabilmente anche il fatto di non essere mai realmente riuscito ad avere una vera e propria relazione stabile con una ragazza, aveva influito sul suo modo di essere. Dopo avervi meditato, comprese che più le ragazze che aveva frequentato provavano ad avvicinarsi a lui, più lui tendeva ad essere diffidente e distaccato; come se non volesse che il suo spazio privato fosse violato. Magari era sempre stato gay e doveva semplicemente scoprirlo! Anche se avrebbe preferito che ciò si verificasse in circostanze meno disastrose.

Jude. Anche lui era stato oggetto dei suoi pensieri. In fondo era grazie a lui, o meglio dire a causa sua, che aveva realizzato di essere quello che era.

Dopo il confronto con l’altro, Robert aveva riflettuto parecchio, come mai aveva fatto in vita sua, ma era comunque giunto alla conclusione che non poteva fare altrimenti, doveva allontanarsi ed allontanarlo da sé. Sentiva, però, che il disprezzo del suo amico gli avrebbe logorato presto l’animo, ma come tutte le altre cose ci avrebbe fatto i conti.

Quella mattina aveva quasi rischiato di svegliare l’intero quartiere, quando, entrato in bagno, aveva prestato attenzione alla sua figura riflessa nello specchio. Un grido talmente forte era risuonato nell’aria che lui stesso si sorprese di quanta voce potesse avere appena sveglio. Diamine, era un mostro! Le sue occhiaie erano talmente scavate che sembrava che la sua pelle fosse corrosa e il suo aspetto in generale tradiva una devastazione interiore da fare concorrenza ad un depresso complessato. E sicuramente la sua barba incolta non migliorava la visione generale…

Dopo quella pessima esperienza Robert capì che aveva decisamente bisogno di aiuto, ma… chi poteva aiutarlo? Aveva inizialmente pensato a Shannon, ma non poteva riavvicinarsi a lui e agli altri senza aver prima sistemato almeno un po’ le cose e così escluse tutti quanti quelli del suo gruppo. Anzi, in quei giorni aveva deciso che non sarebbe andato a scuola, così da lasciare il tempo a Jared e gli altri di metabolizzare il suo distaccamento senza che questi inveissero contro di lui alla prima occasione.

Quindi… chi rimaneva?

Con quell’interrogativo in testa se ne andò in camera sua, dopo aver pranzato solo con la cameriera che lo serviva. Aveva decisamente messo in tensione quella povera donna; durante tutto il pasto non aveva fatto altro che tamburellare le dita sul ripiano del tavolo e il piede a terra; facendolo sembrare insoddisfatto. La poverina non era riuscita neanche per un secondo a frenare il tremolio delle labbra e delle mani, rischiando più volte di far cadere tutto il cibo. Solitamente Robert compieva quei gesti inconsapevolmente, ma quel giorno era seriamente spazientito poiché non sapeva a chi rivolgersi. Andare da uno psicologo strizzacervelli era fuori questione, anche se i suoi non avrebbe di certo obiettato, ma pensò che rivolgersi a qualcuno con una laurea in materie umane sarebbe stata l’ultima, ma proprio ultima, spiaggia.

Entrando nella sua stanza non potè che pensare a quanto fosse disordinata. Anche questo suo aspetto era cambiato: prima se ne sbatteva e basta, ma in quel frangente si accorse che forse un minimo d’ordine avrebbe dovuto esservi; tanto per far sembrare civile la persona che vi dormiva dentro. Notò anche una pila di fogli sulla scrivania, e ebbe l’impulso di andare a bruciarli da qualche parte, compiendo un rogo di vanità; ma un flash improvviso attraversò la sua mente. Quei giorni sarebbe mancato da scuola, quindi chi gli avrebbe portato i compiti e le cose da studiare? Di solito era lui che se ne occupava… Era più logico, però, far svolgere quel compito ai fratelli Leto dato che vivevano di fronte, ma la condotta scolastica dei due aveva fatto desistere Robert a priori.

Poco male, si sarebbe beccato delle sgridate dai professori.

Dopo essersi grattato la testa, pensò che fosse meglio almeno dare una parvenza di ordine tra i quaderni e i libri così si mise a sistemare anche quei dannati e fastidiosi fogliacci.

Frugando tra questi, un foglietto di medie dimensioni, vagamente più rigido degli altri e di colore verde, spiccò ai suoi occhi.

“Club di fotografia: a cura di Tobey Maguire.”

Robert, preso da un strano impulso di curiosità, scorse a gran velocità, senza però perdersi una parola, le righe scritte sul volantino, fino ad arrivare a ciò che cercava.

« Sì, c’è anche il suo numero! » esultò il moro.

Non sapeva se stesse facendo la cosa giusta; era da un po’ che gli sembrava di mettere il piede sempre nella parte sbagliata della strada, ma tentare non aveva mai nuociuto a nessuno e poi, quel Tobey sembrava un tipo apposto.

 

*

Pensava che si sarebbero ritrovati in un bar, dato quello che gli aveva accennato il ragazzo al telefono, ma seguendo le sue indicazioni, Robert giunse alla conclusione che probabilmente si era sbagliato.

Ringraziò il cielo: nei bar il rischio di incontrare qualcuno di molesto o inappropriato era sempre presente.

Calciò l’erba, mani in tasca, preda della più incredibile noia. Era venti minuti che stava aspettando il suo coetaneo in quel parco, che a primo impatto gli aveva suscitato un senso di profondo abbandono, ma che poi aveva rivalutato come tranquillo e ideale.

Alzò lo sguardo al cielo e contemplò le nuvole. Pensò che le cose erano degenerate talmente in fretta che ancora non era riuscito a realizzare la complessità, e conseguente gravità, della situazione.

Il respiro gli mancò per un attimo, una folata di vento gli ovattò l’udito.

“Ne vale davvero la pena? Riuscirai davvero a vivere senza la sua amicizia?”

La memoria lo riportò a quella dannata mattina. Il lieve sfioramento delle sue labbra con quelle del suo migliore amico riaffiorò tra i suoi sensi. Si morse l’interno della guancia, digrignando i denti.

“A che cazzo stavo pensando?”

« Ehi! Scusami se ti ho fatto aspettare! »

Si voltò e vide Tobey rallentare dopo la corsa.

Camicia a scacchi neri e verde scuro, jeans in parte strappati, converse e giacca di pelle. Dopo aver osservato la sua diversa acconciatura, commentò mentalmente, pieno di vergogna, che era decisamente carino.

Sorrise « Ho avuto degli impicci e non sono riuscito ad arrivare prima! »

« Ah, non ti preoccupare. Sono arrivato da poco anche io. » mentì. Non voleva fargli pesare il suo abbondante ritardo.

I due si addentrarono nel piccolo angolo verde e si sedettero su una panchina diroccata.

« Mi dispiace di averti chiamato e chiesto di uscire, senza il minimo preavviso. »

Si stava scusando; Robert aveva solo in quel momento realizzato che forse era stato parecchio indiscreto e che Tobey avesse potuto definire quell’invito decisamente strano.

« Di che ti scusi? Mi fa piacere aiutare. »

Robert distolse lo sguardo dal sassolino che aveva continuato a fissare da quando si era seduto, e lo puntò verso il moretto, sbalordito.

« L’ho capito dal tuo tono di voce. » non si scompose alla sorpresa del maggiore. « Hai vacillato alla fine, nel chiedermi se mi andava di vederci e così ho dedotto che doveva trattarsi di qualcosa di serio. » scorse con la schiena ed appoggiò la testa allo schienale della panchina, chiuse gli occhi e inspirò tranquillamente.

« Sembri uno psicologo, lo sai? » disse Robert divertito, contagiando con la sua risata anche Tobey.

« Con me puoi parlare di tutto, ricordalo. »

Robert si perse nei suoi occhi e sorrise.

« Perché lo fai? »

« Posso essere sincero? » Robert annuì. « Non ne ho idea. Sarà perché ti ho preso in simpatia, sarà perché sono un cretino che si prodiga per tutti; non lo so. Mi va e lo faccio. »

Robert notò che l’altro si stava impappinando e si convinse; gli avrebbe confidato tutto quanto. Si fidava profondamente di lui anche se lo conosceva appena e sapeva di non sbagliarsi sul suo conto.

Se non avesse avuto più un briciolo di orgoglio e virilità, gli avrebbe urlato in faccia che gli voleva bene o lo avrebbe abbracciato.

Robert prese un grande respiro e schiarì la voce « Ti è mai capitato di trovarti immerso sino al collo in una situazione senza rendertene conto? Ed esserne il fulcro? »

Tobey rise sommessamente « Sono una persona abbastanza sveglia, e no; non mi è mai successo. » rispose e si beccò subito dopo un pugno sulla spalla.

« Ehi! Mi stai dando dell’idiota? »

Il minore sembrò non aver sentito né il colpo, né la domanda seccata dell’altro, perché continuò imperterrito a ridere di gusto, fino a quando non si risistemò per l’ennesima volta sulla panchina. Questa volta si girò completamente verso Robert, gambe incrociate e sguardo ora serio.

« No, non mi è mai capitato, ma scommetto che a te sì. »

Robert respirò rumorosamente e abbassò gli occhi rattristato. « Già » assentì. « Ed è complicato. Dannatamente complicato; e non so cosa fare. Io stesso ho voluto allontanarmi per non fare del male ai miei amici, ma ora… sono decisamente messo male. »

Tobey sembrò percepire la tristezza dell’altro e sorrise timidamente « Che è success- »

« Sono diverso. » sguardo oramai cupo, spento, rassegnato.

Il moretto trattenne il fiato, preso alla sprovvista. « Diverso? »

Il maggiore dei due si morse il labbro inferiore. Gli veniva da piangere, ma non poteva. Si era ripromesso di affrontare la cosa da adulto; non voleva scoppiare in lacrime di fronte a Tobey. « Non sai quanto è difficile parlarne. Me ne rendo conto solo ora. Io… » si portò una mano davanti agli occhi, senza voler accennare ad alzare la testa.

Tobey si accorse che il tempo stava diventando decisamente pessimo e i suoi presentimenti furono accertati da un tuono in lontananza. Non sapeva perché, ma forse capiva cos’era quel peso enorme che vedeva aleggiare sopra l’animo dell’altro. Probabilmente era inconsciamente consapevole di ciò che stava passando e quella sensazione gli stava provocando una strana reazione; era nervoso e non riusciva a smettere di torturarsi le mani.

« Io sono… gay, Tobey. » esordì, alla fine. Una freccia che squarcia l’aria, un uomo che corre attraverso un prato sconfinato. La scia di un aereo nel cielo. Avrebbe potuto paragonare tutte queste cose alla sua dichiarazione. Schietta, coincisa e assolutamente chiara.

Tobey non era mai stato un ragazzo sicuro di sé, e il fatto che tutti lo avessero sempre chiamato “Sfigato nerd!” non aveva di certo aumentato la sua autostima.

Però durante il secondo anno di liceo, due anni prima, aveva incontrato una persona speciale che gli aveva cambiato la vita; per molti aspetti, in molti sensi.

Odiava quella persona, ma poi aveva imparato a conoscerla ed apprezzarla, sino ad innamorarsene perdutamente.

L’amore incondizionato che provava lo aveva portato a trovare la forza di confessarsi, ma ciò che ottenne fu un “Diventa più forte; affronta il mondo e poi torna da me.”

Lo fece, perché quel sentimento valeva più di tutto, perché per quel sentimento sarebbe stato capace di scalare una montagna e correre per tutto il pianeta. A scuola rispose a tono a chiunque provò ad insultarlo o ad attaccare briga con lui e aveva anche tirato un pugno ad un bullo; che poi glielo aveva rifilato con tanto di interessi, ma lui ne era uscito vittorioso. Lui aveva affrontato il mondo senza paura ed era pronto.

Ma si sa, nella vita, non si è mai pronti abbastanza. E lo stesso fu per Tobey…

Non riuscì mai a mostrare a Matt con quanto coraggio aveva conseguito ciò che lui sapeva che sarebbe riuscito a fare. Non ebbe abbastanza tempo.

Matt gli fu portato via da un tragico incidente d’auto, il giorno stesso in cui Tobey aveva vinto, aveva vinto per lui.

Abbassò il capo, non voleva vedere quelle lacrime. Quelle lacrime in cui probabilmente si sarebbe specchiato.

“Fottuto riflesso del passato.” Pensò, sorridendo amaramente.

« Non piangere, Robert… ti prego. » voce strozzata.

Il maggiore sussultò e si toccò uno zigomo. Stava… davvero piangendo?

Si asciugò in fretta con la manica della felpa e forzò un tono di voce tranquillo. « Lo so, sei sconvolto. Mi dispiace, i- »

Un tocco caldo, come un sorso di the che scende lieve e delicato lungo la gola, deliziando i sensi, dando pace. Fu così che trovò l’abbraccio del più piccolo; uno sprazzo di serenità, una bolla che poteva proteggerlo, seppur brevemente e illusoriamente, da quella che era l’orribile realtà.

Non si agitò molto per quel gesto; era come se lo aspettasse da quando si erano incontrati, ma qualcosa non andava. Tobey non diceva nulla.

« A volte per alcuni la diversità è un punto d’incontro, lo sai Rob? » sussurrò. A Robert sembrò che l’altro fosse sul punto di seguirlo a ruota nel suo pianto silenziosamente doloroso, ma interruppe quel pensiero cogliendo il senso di quelle parole.

Sgranò gli occhi e posò le mani aperte sulle spalle dell’altro, lo fissò negli occhi… e comprese ogni cosa.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Salve a tutti! Eccoci qua col capitolo dedicato a Robertino. :3 Beh, non ho granchè da dire; spero solo di riuscire ad aggiornare presto! E dal prossimo capitolo: SVOLTA! (della serie: era anche ora. y.y ma per questa storia voglio far sviluppare le cose con calma, anche perchè se non lo facessi non verrebbe com'è stampata nella mia mente *sproloqui senza senso;* Ok, me ne vado, che è meglio. Alla prossima carissimi :) ♥ 

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