Bad Romance

di Melanyholland
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The King and Two Queens ***
Capitolo 2: *** The Kissing Bandit ***
Capitolo 3: *** Mean Girls ***
Capitolo 4: *** War of the Roses ***



Capitolo 1
*** The King and Two Queens ***


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Titolo: Bad Romance

Autrice: Melanyholland

Summary: Chuck Bass era abituato ad ottenere sempre ciò che voleva. Il suo piano era infallibile e la vittoria avrebbe avuto il dolce sapore delle labbra di Blair.

Timeline: dopo la 2x04 (The Ex Files)

Rating: Arancione

Personaggi Principali: Chuck Bass, Blair Waldorf, Serena Van der Woodsen, Dan Humphrey; Chuck/Blair, Serena/Dan.

Disclaimer: Gossip Girl non mi appartiene, ho solo preso in prestito i personaggi per giocarci un po’.

 

Nota Introduttiva: la 2x04 è uno dei miei episodi preferiti. È geniale nella sua costruzione e vede Chuck al suo massimo splendore. Non ho mai sopportato che il suo piano non avesse seguito alcuno nell’episodio successivo, se non in un fiacco approccio a Blair. Perciò, dopo una lunga e difficoltosa gestazione, ecco la mia versione dei fatti in cui Chuck continua a muovere i fili della lotta fra Serena e Blair a suo vantaggio.

Mi sono presa un’unica libertà rispetto all’episodio: dal confronto finale con Chuck, Blair non capisce che dietro l’ascesa al trono di Serena ci sia lui.

Credo di aver detto tutto.

Buona lettura!

 

 

Bad Romance

 

 

 

 

 

 

1. The King and Two Queens

 

“La gelosia è un’emozione potente.

Ho dovuto creare un mostro per detronizzare Blair.”

“Perché hai voluto detronizzare la regina?”

“Ho le mie buone ragioni”.

 

Chuck & Amanda, 2x04 The Ex Files

 

 

Il piano era riuscito alla perfezione. Chuck aveva sempre saputo di essere un genio della manipolazione, ma quello che aveva creato in quei giorni era di gran lunga superiore ad ogni astuzia precedente. Non solo tutti avevano fatto esattamente quello che lui voleva che facessero, ma né Humphrey, né Serena, né la stessa Blair avevano capito che a muovere i fili era stato lui.  Si era goduto ogni minuto di quel gioco perverso e ora sorrise, malignamente soddisfatto, mentre osservava le ragazze sui gradini fissare rapite Serena, senza curarsi minimamente di Blair. Quest’ultima se ne stava in silenzio accanto alla sua migliore amica, con le mani congiunte in grembo e le gambe accavallate. A guardarla, altera e algida come al solito, si sarebbe pensato che andava tutto bene per lei; ma Chuck, che conosceva Blair meglio di chiunque altro, notò compiaciuto la stretta spasmodica delle sue graziose mani e lo sguardo angosciato dei suoi grandi occhi, prove inconfutabili dell’immenso disagio che la tormentava. Oh, era talmente deliziosa che gli si strinse il cuore.

Tuttavia il gioco non era ancora finito, ricordò a se stesso. Gioire del successo andava bene, ma non doveva perdere di vista l’obiettivo vero, che era e sarebbe sempre stato far sì che Blair tornasse a fargli le fusa nell’orecchio, sensuale e focosa fra le sue braccia. Era giunto il momento di passare alla seconda fase del piano ed errori di distrazione non erano contemplati.

Prima di tutto era necessario che lei gli chiedesse aiuto per riguadagnare il trono. Chuck avrebbe sfruttato il tempo trascorso insieme per riconquistarla e fargli mollare il frigido Piccolo Lord. Era piuttosto sicuro di sé, perché sapeva che Blair, a discapito delle sue dichiarazioni, era ancora fortemente attratta da lui. La foga con cui l’aveva baciato e toccato durante il black-out non lasciava dubbi in proposito. Si godette il ricordo per qualche secondo, prima di abbandonarlo a malincuore per riprendere le sue riflessioni: come aveva detto, la concentrazione era essenziale e non era auspicabile passare il resto della giornata con i pantaloni dolorosamente stretti.

Il piano di seduzione sarebbe andato a buon fine solo se Serena avesse continuato a comportarsi da stronza, quindi Chuck doveva stare attento a rinfocolare in continuazione il suo dolore e la sua ira, contro Humphrey, certo, ma magari anche contro Blair. Non erano ammissibili rimorsi e indietreggiamenti da parte della nuova regina, almeno finché quella vecchia non avesse capitolato di fronte a lui. Non sarebbe stato facile impedirlo, dato il carattere arrendevole e fondamentalmente dolce di Serena, ma Chuck era certo di riuscire, perché… beh, perché lui era Chuck Bass.

Mentre ragionava, si era concesso il piacere di accarezzare con lo sguardo la figura attraente di Blair; la adorava con ogni abito, soprattutto ovvio la adorava nuda, ma i completi che prediligeva per la scuola esercitavano su di lui un fascino incredibile. Quella camicette candide e quelle gonne fino al ginocchio la facevano sembrare così innocente, e dato che Chuck sapeva bene che innocente lei non era proprio –e in gran parte per merito suo, si beò tronfio- l’immagine d’insieme era piuttosto erotica.

All’improvviso, Blair si accorse del suo scrutinio e gli lanciò un’occhiata torva, prima di voltarsi bruscamente da un’altra parte. Chuck non smise di sorridere, divertito.

La vittoria era vicina e avrebbe avuto il sapore delle labbra di Blair.

 

*

 

“Volevo congratularmi di persona con te, sorellina. La tua ascesa è stata così trionfale e rapida che Blair non si è accorta di essere caduta finché non si è ritrovata i lividi sul sedere”.

Serena fece una smorfia alle parole con cui l’aveva salutata.

“Chuck, sei rivoltante. E comunque che ci fai in camera mia?” domandò scocciata, lasciando cadere la borsa dei libri sul pavimento.

“Te l’ho appena detto.” rispose lui. A volte gli venivano seri dubbi sulle facoltà intellettive di Serena; ma in fondo non poteva aspettarsi granché da una che era stata amica di Georgina Sparks e che per di più era bionda.

“Beh, vattene.”

“Credevo che rendere omaggio alla nuova regina fosse d’obbligo.” proseguì Chuck, mellifluo. Il suo vero scopo era ben diverso da quello che aveva enunciato e non se ne sarebbe andato prima di averlo raggiunto.

“Non sono la nuova regina”. Fu la scontata replica della sua cara sorellina, seguita da un sospiro. “Ero arrabbiata con Dan. Volevo solo…” si morsicò un’unghia, alla ricerca di una scusa. “…dargli una lezione, ecco.”

“Non devi giustificarti con me.” ribatté lui e le sorrise complice; Serena non ricambiò ed era prevedibile anche quello. Chuck si avvicinò a lei finché non furono uno di fronte all’altra.

“E sei la regina. Le ragazze ti seguono e non puoi farci niente. Tu sei una vincente, lo sei sempre stata, e loro lo sanno. Lo sentono”. Prese una lunga ciocca di capelli biondi fra le dita e l’annusò allusivo, provocando la reazione disgustata di lei, che si ritrasse di colpo. “Chuck!”

“Blair è, beh, era la regina solo perché tu glielo concedevi.” continuò, imperterrito. “E lei lo sa. Per questo ti odia.”

“Blair non mi odia!” protestò Serena, veemente. “È la mia migliore amica! Tu vuoi metterci una contro l’altra per vendicarti di lei”.

Forse non era così lenta come sembrava, rifletté Chuck, ma sorrise, tranquillo.

“Ti vuole bene, è vero. Ma ti odia anche un po’, perché non potrà mai essere alla tua altezza. Non far finta di non averlo notato”, la zittì perentorio, quando lei aprì la bocca per obiettare. “Oggi ti ha odiata quando l’hai messa da parte, e non si preoccuperà del fatto che siete amiche nel momento in cui deciderà di vendicarsi. Perché lo farà, puoi starne certa.” le assicurò, e fu soddisfatto quando la vide perdere fermezza. Serena gli credeva, ed anche quello era stato previsto. In fondo, come poteva dubitare delle sue parole, dopo quello che Blair le aveva combinato durante l’Ivy Week l’anno prima?

“Le parlerò, se è arrabbiata con me.” mormorò, e Chuck capì che stava rassicurando se stessa, più che lui. “Non voglio litigare con lei”.

Lui sospirò, scuotendo la testa.

“Ritiro quello che ho detto, sorellina. Non hai le palle per essere qualcosa di più dello zerbino di Blair.” commentò, e sorrise nel vedere l’irritazione sbocciare sull’attraente viso di lei. Era il momento di darle il colpo di grazia. La squadrò lascivamente da capo a piedi e inclinò la testa, leccandosi le labbra. “Beh, consolati: ti resta sempre un corpo davvero sexy.”

“Vai fuori.” sbottò lei, infuriata. Chuck obbedì, congratulandosi ancora una volta con se stesso.

Le cose non potevano andare meglio.

 

*

 

Blair ricacciò indietro le lacrime, stringendo le labbra. Tutto quello che le era accaduto negli ultimi due giorni le pesava come un macigno sul petto, troncandole il respiro.

Prima la torbida e vomitevole storia di Marcus e Catherine; Blair si chiese cosa non andava in lei, se tutti i ragazzi con cui aveva una relazione finivano con l’andare a letto con altre donne. Marcus aveva preferito a lei addirittura una quarantenne acida con la faccia imbottita di botox! Era stato così umiliante che si sentiva male solo a ricordarlo e, come se non bastasse, la pezzente di Brooklyn era venuta a conoscenza di tutto prima di lei e l’aveva vista trattenere faticosamente il pianto di fronte alla foto che dimostrava il tradimento. Il pensiero di essersi mostrata così vulnerabile di fronte a Vanessa le bruciava dentro come se avesse avuto un uncino rovente conficcato nello stomaco.

Poi era tornata a scuola, per ritrovarsi davanti le sue minions tutte agghindate con foulard invece di cerchietti. Non aveva fatto in tempo a chiedersi cosa fosse successo, che Serena era comparsa, solo che non era più l’amica leale e preziosa che si era dimostrata da quando era tornata dal collegio, no, quella era la Serena che se l’intendeva con Georgina Sparks e trattava Blair con sufficienza, facendola sentire sempre inferiore, fuori posto, sbagliata. Il modo in cui le aveva avvolto il foulard al collo, come se fosse il suo cagnolino, quel “Vai, corri”, pronunciato con condiscendente arroganza, avevano fatto riaffiorare quelle sensazioni degradanti in un istante. Era stato come essere in un incubo, perché Blair sapeva che doveva dire qualcosa, voleva chiedere a Serena che cosa stava succedendo e perché all’improvviso si comportava da stronza, ma era bloccata, le parole le erano rimaste incastrate in gola e tutto quello che era riuscita a fare era balbettare fiocamente qualcosa su un libro e poi fuggire via, scappare proprio come un animaletto impaurito, sotto gli sguardi di derisione di Penelope, Iz e Hazel.

E di Chuck. Chuck che aveva infierito, invece di aiutarla. Blair ripensò all’anno prima, a come lui si era ovviamente schierato al suo fianco contro Serena, collaborando alla sua vedetta. Si domandò se le cose fossero cambiate. Dopotutto, Serena era sua sorella adesso e Chuck sembrava preoccuparsi sinceramente per lei. Di certo si era impegnato molto per liberarla dall’opprimente problema di Georgina, rischiando addirittura di arrivare al matrimonio di suo padre senza discorso del testimone. Quella considerazione le fece avvertire una fitta bruciante al petto che si rifiutò categoricamente di chiamare gelosia. Più che altro, si sentiva tradita da Serena: se Georgina era stata costretta a lasciare la città era stato soprattutto grazie a Blair. La sua “amica” avrebbe anche potuto ricordarselo, quando si era presentata a scuola per conficcarle un pugnale nella schiena; come del resto avrebbe potuto tenere a mente tutte le altre cose che Blair aveva fatto per lei nel corso degli anni, in primis perdonarla per lo sporco affare con Nate.

Blair sentì la rabbia montarle in petto e l’accolse con il sorriso sulle labbra. Molto meglio essere infuriata che essere disperata, rifletté, perciò continuò a rimuginare su quanto Serena era stata ingiusta con lei finché il dolore non fu seppellito sotto collera e risentimento. Non le avrebbe permesso di spadroneggiare nel suo regno.

Il cellulare trillò dal comodino e Blair guardò il display con una smorfia. Se Serena credeva davvero che poteva comportarsi da vipera e poi telefonarle come se niente fosse, si sbagliava di grosso. Anche ammesso che volesse scusarsi, come era legittimo pensare, Blair giudicò che la sua amica dovesse faticare di più per farsi perdonare. Non bastava una chiamata a riparare il danno, il minimo che Serena poteva fare era presentarsi di persona e implorare la sua clemenza, se la voleva. Magari di fronte a Penelope, Iz e Hazel, aggiunse mentalmente dopo una pausa, sorridendo maligna.

Blair rifiutò la chiamata e decise di andare a fare un po’ di shopping da Bendel’s. Borse e scarpe nuove la mettevano sempre di buonumore e quel giorno ne aveva davvero bisogno.

Quando uscì di casa, non si accorse della limousine parcheggiata dall’altra parte della strada, ma di certo chi c’era all’interno notò lei. Era lì per questo.

 

*

 

Blair ruotò la caviglia di lato per ammirare meglio l’effetto che facevano ai suoi piedi i sandali Manolo che stava provando. Aveva lasciato che la commessa la complimentasse un po’ prima di spedirla via, rendendosi conto che quelle lodi cinguettate in tono tanto gentile quanto fasullo non la facevano sentire meglio, tutt’altro. Concentrata sul riflesso dei propri piedi nello specchio, si accorse di Chuck solo quando la raggiunse la sua voce:

“Carine. Mi piacerebbe vederti con addosso quelle e nient’altro”.

Blair non si voltò, ma lo specchio le permise di osservarlo mentre con un sorrisetto faceva scorrere vizioso gli occhi sul suo corpo, soffermandosi sulle gambe slanciate dai tacchi alti. Sbuffò, seccata.

“Bass, sei l’ultima persona che vorrei vedere in questo momento.”

“Davvero? Credevo fosse Serena.” replicò lui, con uno sguardo scaltro.

Blair lo ignorò, focalizzandosi di nuovo sulle scarpe. Aveva provato quelle blu, ma forse le sarebbe stato meglio un altro colore. Rosso?

“Il modo in cui ti ha soffiato il trono è stato incredibile.” lo sentì proseguire, in tono ammirato. La fitta al petto tornò e Blair maledì se stessa per quella sciocca reazione. Era di Chuck che si stava parlando, uno che apprezzava qualsiasi donna respirasse.

Ma questo non era esatto e Blair non riuscì a lasciarsi passare quella bugia. Chuck trovava attraenti le donne, Chuck voleva fare sesso con le donne, ma non le ammirava. La sola verso cui provava quel sentimento era sempre stata lei.

Le cose però dovevano essere cambiate. Quando aveva visto Serena arrivare in tutto il suo splendore e trattarla come un animale domestico, di sicuro Chuck aveva pensato che lei fosse grandiosa e che Blair fosse patetica. Dopotutto, era stato proprio lui a dirle che il ritorno al trono di Serena era “prevedibile”. Certo che lo era, quando Blair nel confronto era stata così palesemente… inferiore.

All’improvviso, Blair non ebbe più voglia di fare shopping. Fu costretta tuttavia a continuare a fissare i sandali per non dover incontrare lo sguardo derisorio di lui. Purtroppo per lei non era così semplice evitare di ascoltare.

“Avevo quasi dimenticato quanto Serena potesse essere fantastica. Povera la mia Blair, stavolta non sarà così facile riconquistare ciò che avevi. La piccola Humphrey non aveva scampo contro di te, ma Serena è tutta un’altra storia”.

Chuck si era reso conto del disagio crescente di Blair e proprio per questo stava calcando la mano. La sua affascinante ex era maledettamente orgogliosa, perciò, se voleva convincerla ad accettare il suo aiuto, doveva far sì che fosse davvero disperata.

“Serena non sa fare la regina.” protestò Blair freddamente, alzando il capo con fierezza. “Ai suoi tempi non faceva che bere fiumi di alcol e fare sesso con chiunque le palpasse il didietro. Prima di me, la regina della Constance non aveva alcuna classe.”

“Dimentichi che è cambiata”, insisté lui, e Blair era così rigida che sembrava pronta a spezzarsi al più piccolo movimento. “Ammettilo, Waldorf. Hai un bel problema.”

“Non vedo come tutto questo sia affar tuo” ribatté lei e finalmente si voltò a guardarlo. Aveva lo stesso atteggiamento di quella mattina, tutta gelo e austerità, ma di certo ribolliva di furore e desiderio di vendetta. Il freddo fuori, il fuoco dentro.

Dio, quanto la adorava.

Chuck resistette all’impulso di abbandonare ogni piano intellettuale per saltarle direttamente addosso e replicò, in un sussurro: “Mi fa male al cuore vederti così.”

“Tu non hai un cuore.”

“Perciò voglio aiutarti.” proseguì ignorandola, e trattenne un sorriso compiaciuto quando la vide esitare, soppesando la sua proposta. Infine Blair scosse la testa, ma Chuck non ne fu scoraggiato.

“Non voglio il tuo aiuto. Non ne ho bisogno”, si corresse, con orgoglio. “Posso vincere contro Serena anche da sola.”

“Non sembrava, questa mattina.” commentò Chuck in tono di scherno e lei accusò il colpo, voltandosi di nuovo in un frullo di boccoli castani.

Blair rifletté che quella giornata stava peggiorando di minuto in minuto. Non solo aveva avuto la conferma che Chuck era affascinato dalle abilità di Serena, ma addirittura lui pensava che Blair non avesse alcuna possibilità di vincere da sola. La riteneva una povera incapace bisognosa di aiuto e la pietà di Chuck Bass era troppo da sopportare.

Si sfilò i sandali in vendita e si rimise in fretta le sue scarpe.

“Devo andare, adesso.” annunciò sbrigativa, dirigendosi verso l’uscita del negozio. Trasalì quando percepì la mano di lui stringerle il braccio per trattenerla.

“Lasciami!” gli intimò all’istante, cercando di divincolarsi. Le pizzicava la gola e il macigno sul petto era sempre più opprimente. Molti clienti si voltarono verso di loro. Stavano facendo una scenata e non poteva esserci niente di più patetico, pensò Blair, sentendosi sempre meno una regina.

“E tu lasciati aiutare.” ribatté lui, in un tono di comando che la infastidì.

“Ho detto che non ne ho bisogno!”.

Chuck mollò la presa all’improvviso e Blair, che si stava sporgendo in avanti con tutte le forze per liberarsi, perse l’equilibrio sui tacchi. Finì a terra su ginocchia e mani e sentì le lacrime affiorare agli angoli degli occhi, ma non era stato il dolore.

Si sentiva così umiliata.

Chuck non aveva avuto intenzione di farla cadere e si maledì mentalmente, soprattutto quando si accorse dei cellulari puntati su Blair da un paio di ragazze. Un altro aggiornamento degradante su di lei su Gossip Girl l’avrebbe forse resa ancora più disperata e quindi più propensa ad accettare il suo aiuto, ma Chuck sapeva che c’era un limite preciso fra  gioco e crudeltà e anche se in passato non si era fatto scrupoli a superarlo, non si sarebbe comportato in modo simile con Blair.

Un ragazzo diverso da lui, uno come Nate, ad esempio, l’avrebbe aiutata cavalleresco a rialzarsi. Chuck si diresse invece verso le due clienti ridacchianti che avevano scattato la foto della caduta, sperando che non l’avessero già inviata. Erano studentesse della Constance e vedendolo arrivare, sorrisero deliziate; ma cambiarono atteggiamento quando si accorsero dell’espressione buia del suo viso.

“L’avete inviata?” domandò, brusco.

“Ora lo facciamo.” lo rassicurò una, fraintendendolo completamente.

“Non ci provate.” sussurrò, tagliente. Non aveva bisogno di minacciarle dicendo altro, perché sapevano chi era. Infatti, anche se si scambiarono sguardi confusi e stupiti, annuirono obbedienti.  Soddisfatto, Chuck fece per andarsene.

“Ci prendiamo un drink una di queste sere, Chuck?” cinguettò una delle due allusiva, attorcigliandosi una ciocca di capelli biondi con il dito e guardandolo con occhi languidi. Lui la squadrò dal volto pesantemente truccato fino alla punta delle scarpe Gucci e poi sorrise, sprezzante.

“Ho già assaggiato quel drink. È facile da mandar giù e ancor più facile da dimenticare.” commentò indifferente, lasciandosi alle spalle la smorfia offesa di lei. Voltandosi, si accorse che Blair, ora in piedi, lo stava fissando. Una delle calze si era rotta lasciandogli intravedere il ginocchio graffiato e arrossato. Chuck fu tentato di chiederle se voleva che le desse un bacio dove faceva male, ma Blair sembrava davvero provata, gli occhi decisamente troppo lucidi, e lasciò perdere le battute.

“Tutto bene?” le chiese in un sussurro, quando furono di nuovo vicini.

“Mi hai fatto cadere di proposito.” lo accusò lei, accigliata; ma l’aveva detto più per dovere che per reale convinzione.

“Andiamo, Blair. Se avessi voluto farti del male, sarei stato più sottile di così. Lo sai”.

Blair pensò che solo nell’universo di Chuck Bass una frase del genere poteva considerarsi una difesa. Sospirò, scuotendo la testa. Malgrado tutto, gli era grata per aver impedito che la foto della sua imbarazzante goffaggine finisse sul sito di pettegolezzi. Poteva immaginare i crudeli giochi di parole che Gossip Girl avrebbe inventato sulla sua caduta metaforica e fisica ed era davvero felice di non doverli leggere.

“Ti accompagno a casa.” disse lui. Riusciva ad essere arrogante perfino quando voleva fare un favore, rifletté Blair. Insomma, era tanto difficile alzare il tono alla fine quel pizzico necessario a farla diventare un’offerta invece che un ordine?

“Chiamo un taxi.”

“Non c’è motivo. Andiamo”. Blair non si mosse e lui sospirò. “Dai. Non dobbiamo parlare per forza”.

Lei esitò. “Non si parlerà”, stabilì infine e lo seguì, salendo sulla limousine. I taxi non le piacevano granché e immaginò di dovergli un favore, dopo quello che lui aveva fatto in negozio. Peggio per Chuck se si era giocato così male quell’opportunità.

Viaggiarono in silenzio per un po’. Blair osservava New York scorrere attraverso il finestrino; una delle cose che adorava delle limousine era che potevi guardare tutto senza essere scrutata a tua volta. Quando si fermavano ai semafori, molte persone scoccavano occhiate curiose dalla loro parte, chiedendosi probabilmente quale personaggio famoso o importante si trovasse al di là del vetro oscurato.

In limousine, Blair si era sempre sentita ammirata e speciale.

“Qualche bel ricordo?” l’apostrofò Chuck allusivo e lei si accorse solo in quel momento che le era affiorato un sorriso sulle labbra.

“Avevamo detto che non avremmo parlato!” gli ricordò, risentita. Lui fece un sorrisetto insolente.

Tu l’hai detto”.

Blair sbuffò e, decisa ad ignorarlo, si concentrò di nuovo sul mondo all’esterno.

“Programmi con il Piccolo Lord per stasera?” le domandò lui d’un tratto, in tono casuale. Blair sorrise perfida nel percepire la gelosia dietro quell’apparente disinvoltura, ma smise di colpo quando si ricordò che Marcus non era più il suo ragazzo.

Chuck scorse le emozioni che si susseguivano sul viso di lei grazie al riflesso sul finestrino e ne fu parecchio interessato. Sospettò che ci fossero guai in paradiso e ne fu ancora più convinto quando lei, dopo un’esitazione, rispose: “Certo. Marcus non sa stare senza di me. È così dolce”, con voce fin troppo vivace. Le lasciò passare la bugia, comunque.

Per ora.

Blair, da parte sua, sapeva che prima o poi Chuck avrebbe scoperto la verità, ma non voleva affrontare l’argomento dopo quella giornata disastrosa. Era semplicemente troppo. Attese col cuore in gola che lui insistesse sulla questione, tirando un sospiro di sollievo quando dopo molto tempo non le arrivò alcun commento.

Finalmente, la limousine parcheggiò di fronte al suo palazzo.

“Grazie del passaggio.” disse automaticamente, mordendosi la lingua subito dopo. Sperò che Chuck non cogliesse il riferimento, ma quando lo guardò, ovviamente lui stava sorridendo, divertito dalla sua gaffe.

“Se ti dico che sei stata fantastica, ripetiamo anche tutto il resto?” sussurrò seducente, facendo scorrere uno sguardo arroventato su di lei.

“Scordatelo, Bass.” ribatté ostile, e avrebbe potuto finirla lì, ma non riuscì a trattenersi dall’aggiungere, piccata: “Fai le tue proposte oscene a Serena. Sei un suo fan adesso, no?”.

“Gelosa?” la schernì lui, compiaciuto.

“Vai al diavolo”.

Gli diede le spalle e fece per scendere, ma Chuck la afferrò di nuovo per il braccio. Blair si voltò di scatto, ma la protesta rabbiosa che aveva pronta sulla lingua fu soffocata dagli occhi di lui, che la guardavano con intensità, e dalla sua voce, che disse in un sussurro:

“Sei sempre tu la mia preferita, Blair. Lo sai”.

Blair avrebbe voluto replicare qualcosa di velenoso e scettico –Quello che so è che dalla tua bocca escono solo bugie e oscenità, Bass-, ma il modo in cui Chuck la stava guardando le rese impossibile parlare: era lo sguardo del Victrola, lo sguardo della sera del suo compleanno, lo sguardo del discorso del testimone.

Confusa e tormentata da un uragano di emozioni diverse e in contrasto, Blair preferì sfilare il braccio e allontanarsi senza una parola. Chuck continuò a fissarla con adorazione e affetto finché non fu scomparsa dietro le porte del suo palazzo, poi si sfilò il cellulare dalla tasca e spinse uno dei tasti delle chiamate rapide.

“Mike? Ho bisogno che tu scopra qualcosa per me”.

Il piano si stava delineando ed era così facile che quasi non gli sembrava vero.

 

End#1

 

 

 

 

Note dell’Autrice:

 

[1] “Bad Romance” è una canzone del 2009 di Lady Gaga.

[2] “The King and Four Queens” è un film del 1956 con Clark Gable.

[3] Ringrazio in anticipo tutti i lettori, per qualsiasi chiarimento, io sono qui. Per chi sta leggendo Purple Suits and Red Lips, mi spiace che l’aggiornamento tardi così tanto ad arrivare. La mia impazienza verso il telefilm di questi tempi uccide letteralmente la mia ispirazione. Un altro dei motivi per cui ho voluto tornare con questa long-fic ai bei vecchi tempi, quando Gossip Girl era davvero un guilty pleasure e non l’imitazione di una telenovela argentina.

 

Al prossimo aggiornamento!

 

Melany

 

 

 

 

 

  

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** The Kissing Bandit ***


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2. The Kissing Bandit

 

“Ehi, sorellina.”

“Ti ho detto di non chiamarmi così.” sbottò Serena, in automatico. “E vorrei ricordarti che questo è il corridoio delle ragazze. Il St. Jude è di là.”

“Qui il panorama è migliore.” obiettò Chuck, occhieggiando lascivo le scollature di un paio di matricole. Serena sbuffò e roteò gli occhi, poi aprì il suo armadietto e vi infilò un quaderno ad anelli.

“Hai visto Blair?”

“Non recentemente.” mentì lui, con una scrollata di spalle. Oh, sapeva dov’era Blair. Sapeva sempre dov’era Blair.

“Devo parlarle e non risponde alle mie chiamate.” sospirò Serena.

“Ho una cosa per te.”

“Se ti slacci i pantaloni, giuro che ti arriva una ginocchiata lì in mezzo.” lo ammonì lei, con un’occhiataccia. “Esattamente come due anni fa”.

Chuck rise, nostalgico. Quelli sì che erano bei tempi.

“Eri appena uscita da uno sgabuzzino con un cameriere del catering. Pensavo volessi cancellare il ricordo con un’esperienza di qualità.”

“Basta, non ne voglio parlare.” replicò Serena, con il suo solito atteggiamento da verginella oltraggiata. Solo uno come Humphrey poteva cascarci, rifletté Chuck. Per lui, Serena aveva smesso di essere credibile in quel ruolo di vestale innocente quando a un party l’aveva vista tirare su una striscia di coca dagli addominali nudi di uno sconosciuto e poi mettersi a cavalcioni su di lui per baciarlo con la lingua.

Comunque, Chuck la accontentò e le porse un libro di calcolo.

“Che roba è? Non ho matematica, questo semestre.”

“È di Humphrey.”

“E allora perché ce l’hai tu?”

“L’ha dimenticato in classe”.

In realtà, Chuck aveva convinto Lester Creed, un tizio di terza abile coi lucchetti, a rubarglielo dall’armadietto in cambio di un invito assicurato per il Lost Week-End di quell’anno.

Serena inarcò le sopracciglia.

“Ancora non spiega perché ce l’hai tu.” ribatté e Chuck doveva darle credito: era più arguta di quanto ci si aspettasse da lei a una prima occhiata. “Da quando ti preoccupi di Dan?”

“Mi preoccupo per te, sorellina. Siamo una famiglia, ora.” sussurrò teneramente e, al suo verso scettico, proseguì, criptico: “Credo che dovresti dare un’occhiata a pagina ventisei. Sono sicuro che non vorresti cadesse in mani sbagliate.”

“Ma di che parli?”.

Finalmente aveva l’attenzione di Serena, che aprì le mani istintivamente per afferrare il libro appena lui lo lasciò cadere. Chuck non rispose. Le scoccò un sorrisetto e le voltò le spalle per andar via, infilandosi una mano nella tasca dei pantaloni beige. 

Serena lo fissò con le sopracciglia aggrottate finché lui e la sua andatura ciondolante non sparirono dietro un angolo, poi aprì il libro. Era decisamente di Dan. Riconobbe la calligrafia con cui aveva scarabocchiato il suo nome sulla prima pagina e la carta profumava vagamente di waffle e caffé. Un odore che la riportava a piacevoli giornate passate con Dan a casa sua, abbracciati sul letto a vedere un film o a studiare insieme per un esame o semplicemente a baciarsi e fare l’amore.

All’improvviso, si sentì in colpa per come lo aveva trattato, riducendolo a un reietto, scansato da tutti. Forse Dan non aveva avuto tutti i torti: si stava davvero comportando come le Perfide. Certo, vederlo con Amanda l’aveva ferita –come poteva, Dan, aver dimenticato la loro storia, aver dimenticato lei, così in fretta? Come poteva accusarla ingiustamente? - ma forse stava dando troppa importanza alla sua uscita con quella ragazza. A parte parlare di libri noiosi, non avevano condiviso niente. Non come lei e Dan. Quello era prezioso e indimenticabile, speciale.

Sospirò e sfogliò il libro fino alla pagina indicata da Chuck. Quando ci arrivò, vide un foglio rosa pastello accuratamente ripiegato infilato nel mezzo.

“Cosa..?”.

 

Caro Dan,

scusa se al club sono stata un po’ brusca con te, ma ero davvero sconvolta per quello che mi avevano fatto Serena e le sue amiche. Ho parlato con i miei e ho deciso di non frequentare più la Constance. Non è una scuola che fa per me, non ho la forza di oppormi tutto l’anno alle prepotenze e agli scherzi crudeli delle ragazze. Avevi ragione, a proposito, sono davvero cattive e Serena non fa eccezione, anche se finge di no. È esattamente come loro, anzi peggio, perché come dici tu, ha finto per un anno con te di essere migliore.

Perciò lascio la città. Spero non mi giudicherai male per questo, perché sei stato l’unico gentile con me e vorrei che conservassi un buon ricordo del tempo che abbiamo passato insieme, anche se è stato breve. Io di certo non dimenticherò mai il bacio che mi hai dato dopo avermi rincorsa per consolarmi dello scherzo meschino di Serena e le altre. E’ stato il più bello che abbia mai ricevuto.

Mi sarebbe piaciuto stare insieme a te, ma non ce la faccio proprio. Scusa. 

 

Tua,

Amanda

 

Serena sentì gonfiarsi un nodo in gola, zuppo di lacrime trattenute e rabbia. Come aveva potuto? Parlare male di lei alle spalle, credere davvero che non fosse diversa dalle Perfide, come se il loro amore e il tempo in cui la guardava come se fosse la cosa più bella che gli fosse mai capitata, non fosse mai esistito. Come se non l’avesse mai conosciuta davvero. Proprio lui, il primo e l’unico a cui Serena avesse mai davvero aperto il suo cuore con fiducia e onestà, completamente, ora sputava su tutto ciò che avevano condiviso ritenendolo una falsità.

Non riusciva a realizzare quale colpo facesse più male, se quello, o il fatto che avesse baciato quella lì solo a una settimana di distanza dalla loro rottura, perfino dopo quel tacito messaggio che si erano lanciati in ascensore.

Serena? Io continuo...

Lo so. Anch’io... ti amo.

No, era troppo. Non gli avrebbe permesso di umiliarla così. Le guance le bruciarono di vergogna appena si rese conto che solo un momento prima si sentiva in colpa per averlo isolato da tutti. Ma ora non più, anzi, quello era solo l’inizio. Accartocciò il foglio nel pugno e se lo infilò nella tasca del cardigan, irata. Chuck aveva ragione, meglio che occhi indiscreti non lo leggessero: Gossip Girl si sarebbe presa di nuovo gioco di lei e tutti avrebbero pensato che era assolutamente patetica, ancora lì in lutto per la rottura con Dan mentre lui se la spassava con la prima che capitava. Al contrario,  ora avrebbe dimostrato a tutta Manhattan che di Dan non le importava proprio nulla, era acqua passata. Totalmente. Dan avrebbe visto inerme le foto di lei che si divertiva con altri, da solo, nella sua squallida stanzetta da quattro soldi. Perché alle loro feste di certo nessuno lo avrebbe più invitato, ora che lei non era più al suo fianco a tenerlo per mano.

Serena si diresse a passo deciso verso il cortile, mento alzato, occhi ferventi di determinazione e chioma dorata che seguiva indomita ogni suo movimento sui tacchi alti degli stivali di pelle. Chiunque la notò in quel momento –e furono in molti-, non poté fare a meno di pensare che Serena Van der Woodsen sembrava una vera dea.

 

*

 

“Stasera aperitivo al Geisha.” annunciò Blair, sedendosi al tavolo di Penelope, Iz e Hazel. Il suo tono non ammetteva repliche. Aveva deciso che la migliore strategia per riconquistare il potere era dare l’impressione che Serena non glielo avesse mai tolto, come se l’incidente con i foulard fosse così di poco conto per lei da esserle passato del tutto di mente. Purtroppo, Penelope non sembrava avere intenzione di renderle la vita facile, come al solito:

“Viene anche Serena?”

“Se glielo chiedo, lo farà.” ribatté Blair, sprezzante. Serena aveva provato a contattarla almeno una decina di volte, di certo si sentiva tremendamente in colpa. Pertanto, sarebbe stato un gioco da ragazzi convincerla a seguirle al sushi bar. Del resto, pensò Blair piccata, glielo doveva. Insieme a un bel po’ di scuse sentite.

“Adoro il sushi.” cinguettò Hazel e le altre annuirono, rispettose.

“Davvero un’ottima idea, B”.

Blair sorrise soddisfatta, in bocca già il sapore della vittoria. Chuck si sbagliava e glielo avrebbe gettato in faccia presto: riconquistare il trono era stato semplicissimo, anche più che con la piccola Jenny. Del resto, Serena non era mai stata granché nei giochi di potere.

Dovette però riconoscerle che era bravissima nelle entrate in scena a effetto. Si materializzò al loro tavolo con irruenza, le guance accalorate e uno sguardo feroce che Blair non le aveva mai visto. Perfino lei si sentì un po’ in soggezione.

“Stasera ho voglia di ballare. Che ne dite di un giro per i locali più in dell’Upper East Side?”.

Le ragazze si scambiarono occhiate e sorrisetti, mentre Blair avvertì un tuffo allo stomaco e il viso farsi paonazzo.

“Veramente abbiamo già impegni, per stasera, S.” replicò risoluta, grata che la voce non tradisse la sua profonda insicurezza. Eppure, le ragazze sembravano fiutarla lo stesso, come avvoltoi con un animale in fin di vita. La guardavano con scherno e un sorriso divertito a fior di labbra, appena percettibile.

“Ah, sì? Quali?” chiese Serena, sbadatamente.

Geisha.”

“Quel posto è una noia, B.” si lamentò come una bambina capricciosa. A Blair venne davvero voglia di artigliarle la gola e cominciare a stringere. Quello che fece fu restare impalata a fissarla, incredula e sbigottita. Serena non la trattava mai in quel modo. Non da quando era tornata.

“Ma...”

“Su, ho voglia di scatenarmi. Chi è con me?”

“Io ci sto.” aderì entusiasta Penelope, seguita all’istante dalle altre. Blair si sentì di nuovo in un incubo, in balia di eventi che non riusciva minimamente a controllare, bloccata, inerme

“Tu vieni?” le domandò Serena, gettandosi dietro la spalla i capelli biondi. A quel punto, Blair esplose. La sua opinione doveva essere decisiva, doveva essere essenziale. E non solo perché era la regina, ma soprattutto perché era la sua migliore amica! In passato era capitato che Serena non avesse problemi a liquidarla per spassarsela con altri, ma era sempre stato sotto l’influenza manipolatrice di Georgina o di qualche cocktail. Ma stavolta non aveva scuse.

“A fare cosa? Ad agitare il fondoschiena e farmi palpeggiare da un gruppo di ragazzi sbronzi e sudati? No, grazie.” sbottò, furibonda, alzandosi in piedi di scatto. “Non sono una simile sgualdrina, io”.

Serena sembrò cogliere l’allusione, perché si rabbuiò, aggrottando la fronte:

“Bene. Allora divertiti a stare a casa da sola”.

Le ragazze sghignazzarono maligne e fu troppo. Blair dovette andarsene in fretta perché non poteva permettersi una scenata isterica di fronte a tutti e aveva davvero voglia di cancellare a suon di improperi quello sguardo di superiorità e condiscendenza dall’insopportabile faccia di Serena.

Da lontano, Chuck aveva seguito tutto lo scambio. Scoccò un’occhiata compiaciuta verso Serena, attorniata dalle ragazze che chiacchieravano eccitate, poi seguì Blair nella sua ritirata.

 

*

 

Blair arrivò spedita al bagno delle ragazze, fendendo la folla di studentesse riverse nei corridoi per la pausa di metà mattinata.

“Fuori.” sbraitò perentoria, spalancando le porte e le due tizie davanti ai lavandini si scambiarono un’occhiata sorpresa e divertita prima di riporre rossetto e fard nelle borse e obbedire, chiudendo la porta alle loro spalle. Del resto, sapevano chi era.

E ora andranno a raccontare a tutti che Blair Waldorf è entrata in bagno sconvolta e probabilmente si inventeranno anche che stavo piangendo o che so io ed entro stasera sarà su Gossip Girl e l’intera scuola riderà di me.  Tutto per colpa di Serena!

Blair sferrò rabbiosa un calcio al secchio accanto ai lavabi, che rotolò in un tragitto a mezza luna lasciando dietro di sé una scia di salviette per le mani usate. La odiava. Era di nuovo il primo anno di liceo, Serena era la ragazza ammirata e invidiata da tutti e lei era solo l’amica meno bella, meno divertente, meno popolare, quella che viveva nella sua ombra e che qualche volta chiamavano Claire. Anzi, adesso era perfino peggio, perché i riflettori erano stati anche su di lei e Serena glieli aveva soffiati senza sforzo, dimostrando al mondo che Blair non valeva nulla al suo cospetto, che era regina solo per sua gentile concessione e nel caso Serena cambiasse idea, come era accaduto, Blair doveva solo chinare la testa e dichiararsi umilmente sconfitta.

“Oh, se lo può scordare.” dichiarò ostile  e combattiva al proprio riflesso nello specchio. Aveva gli occhi brillanti di lacrime trattenute e le guance rosse. I capelli erano un po’ arruffati, così estrasse una mini spazzola dalla borsa e se li riavviò con qualche affondo brusco nel castano. Cercò di sfogare in quei movimenti la stizza che provava, ignorando deliberatamente la porta di una delle toilette che si rifletteva nello specchio, alle sue spalle, volgare tentatrice di gesti che aveva promesso a se stessa di non compiere più.  

 Quando i boccoli furono di nuovo domati e in ordine –così come gran parte del suo subbuglio interiore-, ripose la spazzola, si applicò uno strato fresco di lucidalabbra Endless Ruby e si chinò per tirare su le autoreggenti bianche, scivolate lievemente durante la corsa. Per farlo con più comodità si era sollevata la gonna scozzese intorno alla vita e ovviamente fu proprio in quel momento che Chuck entrò nel bagno, incurante di limitazioni sociali di così scarso interesse come la divisione dei servizi per donne e uomini.

“Chuck!” lo redarguì, sorpresa e imbarazzata.

“Che fai, cominci senza di me?” la rimproverò lui vizioso, fissando le sensuali gambe abbronzate fasciate dalla seta candida. Prima che Blair facesse ricadere la gonna sulle ginocchia con uno sbuffo seccato, Chuck riuscì a cogliere la V conturbante del suo sesso racchiuso fra le cosce e avvolto in eccitanti mutandine rosse di pizzo.  

Dato che era un adolescente prestante che non ci dava dentro da secoli, si sentì subito prendere dalla voglia di sbatterla al muro, divaricarle le cosce e strapparle gli slip coi denti, prima di baciarla, leccarla e succhiarla proprio lì, fra le pieghe morbide, umide e assolutamente afrodisiache. In pochi minuti, lei sarebbe stata bollente e lui non avrebbe avuto altro sulla lingua che quel sapore peccaminoso e dolce che era squisitamente, semplicemente Blair.

Sarebbe stata l’estasi.

Blair, che conosceva fin troppo bene lo sguardo lustro che Chuck le stava rivolgendo, si sentì arrossire quando lo vide leccarsi le labbra e socchiudere gli occhi in una fantasia di sicuro oscena che poteva vedere solo lui.

“Chuck, non puoi lasciarmi in pace nemmeno nel bagno femminile?” protestò, irritata. Per di più, l’interruzione le aveva permesso di tirare su una calza soltanto, perciò la destra continuava a starsene raggrumata all’altezza sbagliata. Era seccante e scomodo. Tutto era seccante e scomodo in quella giornata pessima, accidenti.

Chuck posò lo sguardo sul suo viso e rispose, in quel tono gentile che era tutto per lei:

“Ho visto che te ne andavi di corsa e sono venuto a controllare che fosse tutto okay.”

“Beh, è tutto okay!” esclamò Blair veemente, la voce incrinata che smentiva le sue stesse parole. Ci mancava solo la preoccupazione di Chuck, a scombinarle i sentimenti già turbati dal tradimento di Serena. Si voltò verso lo specchio e ricominciò a sistemarsi i capelli già perfetti con le mani, tanto per sembrare occupata e farlo andare via.

Ma Chuck non demorse. Blair ascoltò i suoi passi sempre più vicini con crescente agitazione e il movimento sempre più insensato delle dita fra i boccoli.  

“Blair.” la chiamò pacato e lei percepì la sua mano che le prendeva il mento per costringerla a guardarlo. Sottrasse il viso dalle sue dita, ma lo guardò, mordendosi il labbro per trattenere il fiume di parole che sentiva gorgogliarle nel petto, ansiose di riversarsi fuori dalla bocca in un flusso isterico di confessione.

“Lo sai che a me puoi dire tutto.”

“No, non posso.” ribatté, algida, scuotendo la testa e inghiottendo le parole che le ardevano nella gola. “Non ora che anche tu sei dalla parte di... di quella.”

“Non dire sciocchezze. Io sono sempre dalla tua parte.” obiettò Chuck con naturalezza e Blair fece una smorfia incredula, ma lui sapeva che stava per cedere. Ne aveva colti tutti i segni: l’estrema rigidità della postura, i denti che continuavano a torturare il labbro, le mani che tremavano appena, il respiro breve e secco.

“Se vuoi che ti aiuti a detronizzare Serena, devi solo chiedere.”

“Non ho bisogno del tuo aiuto.” ripeté Blair distogliendo gli occhi, cocciuta e orgogliosa.

“Lo sai che insieme siamo invincibili.” insisté Chuck, incalzante, prendendole la mano e posandovi un bacio galante. “Chiedimelo, Blair”.

Blair lo guardò. Chuck sembrava sinceramente intenzionato ad aiutarla. Anzi, sembrava che la faccenda gli stesse particolarmente a cuore. Oh, Blair non era una stupida: sapeva che Chuck voleva approfittare della situazione per tentare di rimettersi con lei, voltando le carte a suo proprio vantaggio.

“E sentiamo, che vorresti in cambio del tuo aiuto?” domandò, inarcando le sopracciglia.

Chuck fece un mezzo inchino e le sorrise, affascinante.

“Solo l’immenso piacere di stare con te”.

Appunto.

“Quindi invece di complottare al telefono mi toccherà vederti di persona per ogni passo del piano?” chiese Blair, derisoria.

Chuck da parte sua era sempre più soddisfatto: Blair aveva praticamente già accettato di lavorare con lui, tutto andava per il verso giusto. Scosse la testa, enigmatico.

“Bass, se vuoi propormi condizioni, sbrigati. La campanella sta per suonare e, al contrario di te, io arrivo sempre puntuale in classe. Certo”, aggiunse, con uno scintillio arguto negli occhi scuri: “Non significa che rinuncerò a contrattare, se ce ne sarà bisogno”.

Chuck la lasciò sulle spine ancora per un po’, approfittando della pausa per rievocare ancora una volta quelle eccitanti mutandine rosse; poi, quando vide che Blair era sul punto di ribellarsi e piantarlo lì come la gattina focosa che era, rispose:

“Voglio un appuntamento. A cena. E soprattutto”, abbassò il tono in un sussurro carezzevole, avvicinando il volto a quello di lei. “Voglio il dopocena.”

“Scordatelo!” sbottò Blair, spingendolo via e ignorando il bocciolo di eccitazione nel bassoventre. “Se speri che faccia sesso con te solo perché mi dai un aiuto, che tra l’altro io non ti ho mai chiesto, sei pazzo.”

“Pazzo di te, Waldorf.” sorrise Chuck, divertito. “E io non ho mai parlato di sesso. Per me”, cominciò, seducente e ruffiano, cingendole i fianchi: “Il premio più ambito è solo un tuo bacio.”

“Una cena e un bacio?”. Blair rise, genuinamente sollevata. “Stai perdendo il tuo talento negli affari, Bass.”

“Dato che la trattativa è per te così vantaggiosa, perché non accettare?” la stuzzicò lui, gli occhi puntati nei suoi e le mani che le accarezzavano i fianchi, possessive. Blair ricambiò il suo sguardo per un po’, soppesando i pro e i contro. Probabilmente Chuck pensava che, trascorrendo del tempo con lei, sarebbe riuscito a riconquistarla. Ma si sbagliava e glielo avrebbe dimostrato. Nel frattempo, poteva  benissimo approfittare del suo contributo nella distruzione di Serena.

Un nemico alla volta, chèrie, un nemico alla volta.

“Beh, ho baciato un mucchio di perdenti giocando a Obbligo o Verità. Per cui....” sorrise, insolente. “Affare fatto, Bass.”

“Bene”.

Chuck sorrise a sua volta, compiaciuto. Blair conosceva quell’espressione, la sfoggiava sempre quando aveva messo a segno un punto. Si domandò se ci fosse un aspetto di quella faccenda che stesse sfuggendo ai suoi accurati calcoli, finché il suono della campanella la riscosse e si allontanò di un passo da Chuck, sottraendosi alla stretta avida delle sue mani.

“Devo andare in classe.” annunciò.

“Non hai dimenticato qualcosa?”.

Blair lo guardò confusa. Confusione che si trasformò in vero e proprio sbigottimento quando lo vide abbassarsi di colpo e infilarle le mani sotto la gonna.

Chuck!” protestò, indignata, afferrandolo per i capelli e strattonando per fargli male.

“Ahia, Waldorf! Voglio solo aiutarti a tirare su anche l’altra calza.” si giustificò lui, restando in ginocchio ma sollevando la testa dalle pieghe della sua gonna con un’espressione offesa e dolorante. “So che ti dà fastidio. Continui a toccarti la gamba con la mano.”

“Se tu non mi avessi interrotta prima, l’avrei fatto io. È  colpa tua!”

“Allora lasciami rimediare.” ribatté lui, in un tono ragionevole che le dava sui nervi, considerando che le stava palpeggiando le gambe in un bagno femminile e quello era tutto fuorché ragionevole.

Comunque, Blair sbuffò e lo lasciò fare, perché era la migliore strategia per toglierselo dai piedi alla svelta e perché, dopotutto, la sensazione delle sue mani che le accarezzavano la coscia non era poi così spiacevole.  

No, aspetta, questo no, si rimproverò mentalmente. Certo che era spiacevole. Era orribile. Sì, sì.

Intanto, Chuck era in paradiso. Fece scorrere le mani sulla coscia, poi insinuò i pollici sotto l’orlo della calza e percepì la pelle liscia, raggiante di calore. Sollevò la lingerie con premurosa lentezza, come era solito fare quando, un anno prima, al contrario gliela sfilava. La gonna gli impediva di guardare, perciò in quel momento fra lui e Blair c’era solo tatto: caldo, morbidezza, il pulsare ritmico di un’arteria, l’indolente scivolare del tessuto fine sulla gamba liscia e viva. Quando finalmente la calza si tese, senza poter più proseguire la scalata, Chuck indugiò e racchiuse la coscia fra le mani per godere ancora un po’ di quella piccola parte di lei che gli stava concedendo. Blair sopra di lui risucchiò l’aria e trattenne il respiro: le sue dita la sfioravano in quel punto in cui era più bollente e bisognosa, accarezzandola appena.

Chuck...”

Chuck sollevò gli occhi e si accorse che lei aveva serrato le palpebre, le guance accaldate e il respiro concitato. Persa ogni inibizione, una mano salì a racchiudere nel palmo la sua delicata femminilità.

“...stop.” sussurrò lei, buttando fuori l’aria in un soffio allarmato. Sollevò le palpebre e lo guardò, ripetendo, più decisa: “Fermati, Chuck, basta”.

Chuck annuì a malincuore, mettendo da parte la sua frustrazione. La voleva. Non aveva mai voluto nessuna così violentemente. Ma doveva essere paziente. Era solo questione di giorni, ormai, se tutto fosse andato secondo i suoi piani.

Ritrasse la mano, ma non rinunciò a posarle con riverenza un bacio sulla coscia, lì dove era coperta dalla gonna scozzese blu, prima di alzarsi in piedi e tornare a sfoggiare il suo sorrisetto vizioso marchio di fabbrica.

“Ci sentiamo oggi pomeriggio per i dettagli, Waldorf.”

“Bene.” acconsentì lei senza guardarlo e Chuck fu lieto di sentire che la sua voce non era ancora del tutto a posto, incrinata e sfiatata.

Sì, ne era certo: di lì a pochi giorni, Blair sarebbe stata sua.

 

End#2

 

 Note dell’Autrice:

 

[1] “The Kissing Bandit” è un film del 1948 con Frank Sinatra.

[2] Lo scambio fra Serena e Dan in ascensore risale alla 2x03 (The Dark Night) e in originale è così:

Dan: Serena? I still...

Serena: I know. Me too. I love you.

[3] Ringrazio tutti i lettori, spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento.

 

Al prossimo!

Melany

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

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Capitolo 3
*** Mean Girls ***


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3. Mean Girls

 

“Non ho ancora capito perché l’hai consegnata a lei, invece che a me.” protestò Blair per l’ennesima volta, mentre rovistava spazientita nei cassetti di Serena.  Chuck le scoccò un’occhiata di apprezzamento, distraendosi un attimo dalla ricerca: Blair era leggermente chinata in avanti e la posizione rendeva la curva sporgente del suo fondoschiena ancora più accattivante.

“L’avrei fatto, se tu avessi accettato il mio aiuto prima.” obiettò in un sussurro di velluto, ammirando il panorama. Era chiaramente una bugia, perché che fosse Serena a ricevere la lettera per prima era essenziale al suo piano, ma la sua affascinante partner questo non poteva saperlo, per quanto intelligente e intuitiva fosse.

Blair sbuffò, chiuse il cassetto e ne aprì un altro, riprendendo la ricerca.

Appena Serena era uscita per la sua notte di follie, indossando un abito striminzito e scollato rosso fuoco che l’avrebbe resa il sogno erotico di chiunque posasse il suo sguardo impudico su di lei, Chuck aveva telefonato a Blair, come d’accordo:

“L’uccellino ha preso il volo. Possiamo cercare la lettera indisturbati, ho l’impressione che non tornerà prima dell’alba.”

“Sei sicuro che non l’abbia gettata via? In fondo, è la prova che Humphrey se l’è spassata con quell’Amanda.”

Chuck aveva sbuffato: “Stiamo parlando di Serena, Waldorf. Ricordi che ha conservato perfino lo snuff movie di Georgina?”.

Blair aveva riso con malignità, lieta di cogliere ogni occasione di rivalsa sulla sua avversaria. Una quindicina di minuti dopo, si era presentata a casa Van der Woodsen-Bass con un Yves Saint Laurent aderente nero e un’espressione combattiva sull’attraente viso.

“Mettiamoci al lavoro. Se Serena ha davvero conservato la lettera, dev’essere da qualche parte nella sua camera”.

Così, Chuck si era ritrovato a trascorrere la serata a rovistare fra gli effetti personali di Serena. La compagnia era deliziosa, ma dovette ammettere che l’intrattenimento poteva essere migliore, soprattutto perché Blair si era rifiutata categoricamente di lasciarlo frugare nel cassetto della biancheria intima della sua sorellastra. Quando Chuck si era offerto volontario per quella particolare incombenza, con un sorrisetto di pregustazione già sulle labbra, Blair gli aveva scagliato addosso uno sguardo tagliente e la borsa dei libri di Serena, esortandolo a cominciare da lì.

“Ah!” esclamò Blair in quel momento.

“L’hai trovata?” chiese Chuck speranzoso, stufo di sfogliare libri e quaderni per trovare quel maledetto messaggio. Avrebbe dovuto dire ad Amanda di scriverlo su qualcosa di più grande, magari un cartellone.

“Questo è mio!” strepitò lei indignata, ruotando su se stessa per fronteggiarlo e brandendo un tubetto dorato di rossetto. “Gliel’ho prestato almeno un mese fa! Non le basta rubarmi il regno, deve soffiarmi anche i prodotti di bellezza!”.

Chuck sbuffò, deluso, poi gli venne in mente un pensiero stuzzicante:

“Dimmi, Blair: che altro vi prestate, tu e Serena?” domandò vizioso, immaginandole che si scambiavano le mutandine nel bagno della Constance, fra una lezione e l’altra.

“Tutto. Siamo come sorelle.” bisbigliò Blair, più a se stessa che a Chuck.

Lo erano. Non c’era nulla che Blair non avrebbe dato a Serena, se lei glielo avesse chiesto. Ma Serena non aveva bisogno di chiedere: lei se le prendeva e basta, le sue cose. Blair ancora non riusciva a credere che, dopo tutto quello che avevano passato insieme l’anno prima, Serena fosse disposta a tradirla di nuovo.

Chuck notò che Blair si era rattristata di colpo e per la prima volta in tutta quella faccenda si domandò se non stesse superando il limite, creando acrimonia fra le due ragazze. Blair sembrava davvero provata e, ne era certo, anche Serena doveva stare male per i dissapori sia con il suo ex che con la sua migliore amica. Poi ricordò a se stesso che Blair e Serena litigavano in continuazione anche senza il suo aiuto, fin da quando avevano i denti da latte, ma che alla fine facevano sempre pace, non importava quali cattiverie si scambiassero durante la faida. Sarebbero tornate tutte abbracci e scambi di rossetti anche alla fine di quella storia, Chuck ne era certo. Anzi, se non ci fosse stato lui di mezzo, sicuramente avrebbero bisticciato per qualcos’altro. Capitava ogni anno. Non c’era nulla di male, quindi, ad approfittare di uno dei loro tanti litigi senza conseguenze a lungo termine. Quanto a Humphrey, non era all’altezza di Serena e del loro mondo. La sua cara sorellina meritava molto di più. Prima se ne fosse accorta, meglio sarebbe stato per tutti.

Così, Chuck sorrise e domandò, lascivo:

“Vi siete mai baciate?”

“Cosa?”.

Le guance di Blair si tinsero di una deliziosa tonalità di rosso acceso.

“Ma che ti viene in mente?”

“Non è un no.” commentò Chuck astuto, lieto di averla distratta dai suoi pensieri malinconici e ora profondamente intrigato da quella nuova prospettiva sul rapporto fra Blair e Serena. “Magari in una di quelle partite a Obbligo o Verità di cui mi parlavi stamattina...” rimuginò, umettandosi le labbra con la punta della lingua.

“Sei disgustoso. Rimettiti al lavoro.” sbuffò Blair, ma era ancora imbarazzata e non aveva ancora smentito la sua idea. Chuck si baloccò con immagini saffiche di Serena e Blair in lingerie provocante e trucco aggressivo –e lo stesso rossetto sulle labbra, ovviamente- finché non notò un cardigan grigio appallottolato che spuntava da sotto il letto, identico a quello che Serena indossava quella mattina.  

Lo raccolse e notò subito il gonfiore della tasca destra. Quando i suoi polpastrelli incontrarono la superficie crespa della carta, sorrise trionfante.

“L’ho trovata, Waldorf.”

“Davvero?”.

Blair lo raggiunse con un sorriso di trepidazione e gli occhi che brillavano. Era bellissima, così emozionata e accalorata. A Chuck venne voglia di baciarla.

Ma quando lei tese la mano per prendergli il messaggio, Chuck ritrasse la sua, fuori dalla portata delle dita affusolate di Blair.

“Beh? Che ti prende?” sbottò lei, passando dalla felicità all’irritazione in un battito di ciglia. Era una delle caratteristiche di Blair che lo facevano impazzire: poteva trasformarsi da dolce micetta a tigre feroce da un momento all’altro, senza alcun preavviso. A Chuck piaceva soprattutto quando accadeva a letto: un istante prima, Blair era lì che gli riempiva di baci il viso e di carezze il petto; un istante dopo, le sue unghie gli marchiavano la schiena e i denti gli mordevano le labbra. Insomma, non sapeva mai cosa aspettarsi da lei, per questo non si stancava mai di possederla. Ogni volta era sempre una sorpresa eccitante scoprire se si sarebbe abbandonata docile fra le sue braccia o se si sarebbe battuta con lui per il dominio, costringendolo a una deliziosa resa.

Cullato dal ricordo conturbante dei loro precedenti amorosi, Chuck la contemplò: Blair aveva legato i capelli in una coda laterale che faceva riversare in una cascata florida di boccoli sulla spalla i capelli castano chiaro, fino a sfiorarle il seno, ma che lasciava il collo scoperto dall’altra parte. Quel collo nudo lo stava facendo impazzire, così allettante e sexy.

“Se la vuoi, rispondi alla mia domanda. Vi siete mai baciate?”

“Abbiamo già fatto un patto ed era che mi aiutassi. Quindi sgancia, Bass.” obiettò lei, asciutta. “O forse vuoi che anch’io non rispetti la mia parte?” lo sfidò scaltra, alludendo all’uscita e al bacio.

Chuck sospirò e, quando Blair tentò di prendere di nuovo la lettera, non oppose resistenza, lasciando che la carta gli scivolasse fra le dita. Doveva ammetterlo, questa battaglia l’aveva vinta lei.

Ma era la guerra che contava, oh sì.

Blair stirò il foglio raggrinzito e lesse le poche righe di Amanda, mentre un sorriso sbocciava sulle sue labbra e si faceva sempre più grande. Ormai aveva la vittoria in pugno. Non doveva fare altro che copiare la lettera in un messaggio a Gossip Girl e Serena sarebbe stata umiliata pubblicamente. Le avrebbe dato un assaggio della sua stessa medicina. Scacciò ogni palpito di senso di colpa che sentì nel suo cuore: Serena se l’era meritato. L’aveva trattata male. Cosa pretendeva, che se ne stesse lì a guardare mentre le rubava tutto, tradendola per l’ennesima volta?

Serena si era cacciata da sola in quella situazione. Doveva rimproverare soltanto se stessa.

Incoraggiata da questi pensieri che misero definitivamente a tacere la sua coscienza, Blair estrasse il cellulare e digitò rapidamente il melenso messaggio di Amanda. Lo avrebbe spedito a Gossip Girl l’indomani, a scuola. Non poteva perdersi la faccia di Serena quando si fosse accorta che stavano tutti sparlando e ridendo di lei.

Ripose il cellulare, dopodichè infilò la prova cartacea nella sua borsa e sorrise a Chuck, che la guardava ammirato. Quella era l’immagine che Chuck doveva avere di lei: vittoriosa e astuta. Niente più ritirate patetiche in bagno, niente più capitomboli che le smagliavano le calze. La vera regina della Constance era bella e trionfante e il suo nome era Blair Waldorf.

“Sembra che la prima parte del piano sia conclusa.” commentò Chuck, soddisfatto.

“Spero per lei che questo le serva da lezione e che si arrenda. Non può competere con me.” affermò, altezzosa.

“Con noi.” la corresse lui, scivolando verso di lei con la sinuosità di un predatore felino. “Per questo dobbiamo stare insieme, Blair. Siamo una coppia perfetta. Inevitabili. Imbattibili...” sussurrò suadente, a pochi centimetri dalla sua bocca. Blair sussultò, ritrovandosi fra le sue braccia, il cuore che le batteva forte e il calore del suo corpo che aumentava vertiginosamente.

“Chuck...”

Blair abbassò le palpebre e sporse le labbra, in attesa del bacio –in fondo, glielo doveva-, ma Chuck corresse la traiettoria e le posò una serie di baci sul collo scoperto, leggeri come il tocco di una piuma, fino all’orecchio. “Sei la mia regina, Blair. Torna con me e regneremo insieme su tutta Manhattan”.

Le baciò l’orecchio, adorante. Blair sospirò, schiacciandosi contro di lui e aggrappandosi alle sue spalle coperte di seta, così solide, forti, maschili. Non faceva sesso da... troppo. Resistere sembrava impossibile, soprattutto mentre le labbra di Chuck si posavano in quel punto vulnerabile dietro il lobo che la faceva sempre rabbrividire per tutto il corpo. Oh, Chuck conosceva bene tutti i suoi punti deboli e non aveva remore a sfruttarli, seduttore sleale e implacabile.    

“Mi vuoi davvero?” chiese lei, con un fil di voce. Chuck la strinse ancora di più a sé, baciandole il mento, la guancia, fino all’angolo della bocca. Il profumo del suo dopobarba la avvolgeva come le sue braccia, riportandola indietro ai momenti passati con Chuck, momenti di pura estasi in cui Blair si sentiva la donna più bella e desiderata del mondo.

“Ti voglio. E tu vuoi me.” le soffiò contro le labbra, tentatore. “Torniamo insieme”. La mano le scivolò bramosa sulla coscia, risalì la sua schiena, lenta e carezzevole. “Dimmi solo sì e sarai mia. Stanotte e tutte le volte che vorrai”.

Il respiro le si mozzò in gola. Era accaldata, era eccitata, non voleva altro che accontentarlo, dirgli di sì e perdersi nel piacere che solo le carezze di Chuck, i baci di Chuck, il sesso con Chuck sapevano donarle.

Ma non poteva, perfino nelle spire della passione e del desiderio se ne rendeva conto. Non poteva, perché avrebbe perso qualcosa di molto più importante, per sempre.

“Prima tu dimmi quelle tre parole.” pronunciò, a fatica e Chuck bloccò all’istante le sue carezze e i suoi baci, rigido. Quando si scostò da lei, Blair sentì subito la mancanza delle effusioni, ma soprattutto, la delusione bruciante che le attanagliò il cuore fu per il rifiuto di accontentare la sua richiesta. Sorrise, ferita:

“Forse non mi vuoi tanto come dici, dopotutto.” provò a dire in tono faceto, ma le uscì in un bisbiglio sconfitto e desolato. Chuck scosse la testa.

“Blair...” borbottò e Blair aspettò, speranzosa, ma non arrivò nient’altro.

Il silenzio era qualcosa di solido che gravava addosso a tutti e due. Blair sentiva che stava per piangere di nuovo, come la malaugurata sera del White Party. Perché Chuck ora non riusciva nemmeno a guardarla, e anche se erano abbastanza vicini da permetterle di sentire ancora ogni afflato del suo respiro, Chuck era tanto distante da essere irraggiungibile. E forse la situazione non era destinata a cambiare, perché chi le assicurava che un giorno Chuck sarebbe stato pronto a dirle quelle tre parole? Certe persone semplicemente non sono fatte per l’amore, per donarsi completamente con fiducia a un’altra persona. Forse anche Chuck Bass era fatto così.

Blair scacciò quei pensieri che le imperlavano sempre le ciglia di lacrime pungenti e disse, in tono squillante:

“Allora ci vediamo domani, Bass”.

Non era il momento di pensare alla sua complicata vita sentimentale. Doveva prima tornare regina. Di Chuck e dei suoi irritanti, sciocchi, patetici blocchi emotivi si sarebbe occupata in seguito.

Visibilmente sollevato dalla finzione che quell’interludio non fosse mai avvenuto, anche Chuck riprese il suo solito atteggiamento disinvolto:

“A domani, Waldorf”.

La accompagnò all’uscita. Blair era appena entrata in ascensore, quando gli scoccò un’occhiata da sopra la spalla e disse, con voce seducente e uno scintillio da bambina cattiva negli occhi:

“Ah, Chuck?”

“Sì?”

“Era il primo anno di liceo. Eravamo entrambe in bikini nella mia vasca da bagno e un po’ brille. Il lucidalabbra di Serena era alla pesca”.

Gli scoccò un’ultima occhiata impertinente prima che le porte si chiudessero. Chuck, da parte sua, si ritrovò improvvisamente la bocca arida e i pantaloni stretti.

E io dov’ero?

Si domandò, disperato e dolorosamente eccitato, pensando che sarebbe stata una lunga, lunga notte insonne.

Blair nell’ascensore sorrise soddisfatta.

La vendetta era davvero dolce.

 

 

End#3

 

 

 

Note dell’Autrice:

 

[1] “Mean Girls” è un film del 2004 con Lindsay Lohan.

[2] Questo capitolo l’ho dedicato quasi tutto a Chuck e Blair. Nel prossimo mi concentrerò principalmente su Serena e Blair e su Dan e Serena, così Dan smetterà di essere un fantasma, sempre nominato e mai nei dintorni, e entrerà a far parte ufficialmente della trama. Non so ancora quanti capitoli durerà la storia, ma sicuramente non molti ancora.

[3] Grazie a tutti i lettori e a chi commenta. Siete adorabili. Le risposte individuali sono state spedite col solito metodo.

 

Al prossimo capitolo!

Melany

   

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Capitolo 4
*** War of the Roses ***


 
Ieri ho trovato una vecchia pennetta e, sbirciando tra i file, mi sono capitati fra le mani alcuni capitoli inediti di questa storia. È da molto che non scrivo fanfiction, così come è da molto tempo che non penso ai personaggi di Gossip Girl, forse perché le ultime stagioni sono state davvero desolanti, fra ZomBart e la rivelazione finale sull’identità di Gossip Girl, entrambe faccende ridicole e senza senso. Era difficile riconoscere nelle macchiette che apparivano sullo schermo i bei personaggi a cui mi ero affezionata nelle prime stagioni.
 
Comunque, ho deciso di pubblicare i capitoli mancanti, perché se c’è anche una sola persona là fuori che è ancora curiosa di sapere come va a finire, non vedo perché dovrebbe essere privato di una conclusione da una mia irragionevole riluttanza a spingere un paio di tasti. Io per prima soffro quando una storia mi viene lasciata a metà e sono da poco stata vittima di “Sanditon” di Jane Austen (nonché di svariate fanfiction, nella mia vita. *Sigh*).
 
Ringrazio di cuore tutte le persone che hanno lasciato commenti allo scorso capitolo e alla storia in generale. Siete adorabili.
 
Buona lettura!
 
 
4. War of the Roses
 
Serena sbadigliò, rilassandosi contro lo schienale della sedia e lasciando che le parole di Mrs Robinson diventassero un mero brusio di sottofondo ai suoi pensieri, decisamente più interessanti di qualunque cosa avesse combinato Roosevelt.
Era tornata a casa alle prime luci dell’alba e la stanchezza le appesantiva le palpebre. Tuttavia, era da molto tempo che non si divertita così tanto: aveva ballato con le ragazze e con un mucchio di avvenenti sconosciuti, aveva mandato giù un arcobaleno di cocktail uno più gustoso dell’altro e, a metà serata, aveva incontrato persino Poppy Lifton, la It Girl più paparazzata del momento. Era stata un’incredibile coincidenza: il guardarobiere aveva scambiato il suo cappotto con quello di Poppy e fin dal primo momento che si erano parlate per chiarire l’equivoco, Serena aveva sentito un’affinità incredibile con lei. Era come se si conoscessero da sempre. I paparazzi poi erano impazziti quando le avevano viste chiacchierare e da quel momento non le avevano più lasciate in pace. Non che a Serena importasse. Era divertente posare per i fotografi e ogni movimento di fianchi sulla pista, ogni sorso di cocktail colorato e ogni risata che scambiava con Poppy allontanavano sempre di più la sua mente da Dan.
E da Blair. Blair che sicuramente ce l’aveva a morte con lei per aver modificato i suoi piani per la serata. Ora che la furia nei confronti del tradimento di Dan e dell’allusione di Blair era passata, Serena capiva che avrebbe dovuto prendere un po’ più in considerazione i sentimenti della sua migliore amica. Quella ragazza era così insicura, nonostante l’apparente forza. Per lei essere regina era tutto. A Serena non importava nulla dell’ammirazione di Penelope, Iz e Hazel –che quella mattina non avevano fatto altro che gironzolarle intorno, cinguettando che si erano divertite e che dovevano rifarlo assolutamente e stasera dove andiamo, S.?. Hazel le aveva perfino portato un caffé. Con tanto zucchero, proprio come piaceva a lei. Serena, che aveva mal di testa per i troppi drink e le poche ore di sonno, aveva accolto con gratitudine il caffé e con gran fastidio tutto il resto, soprattutto perché sapeva che quelle maligne approfittatrici volevano solo essere presentate a Poppy e finire sui giornali con loro. Si nutrivano come parassiti di luce riflessa e Serena non capiva come Blair potesse apprezzare tutto quel finto e interessato servilismo. Comunque, non stava a lei giudicare. Appena suonata la campanella, avrebbe proposto a Blair una serata solo loro due, magari a guardare insieme qualche film di Audrey e a mangiare macarons. Ci teneva a fare pace. Le avrebbe fatto la proposta quella mattina stessa, ma quando Blair era arrivata a scuola, le tre arpie la circondavano chiassose e avide di nuovi programmi per la serata e informazioni su Poppy, così Blair di sicuro si era fatta un’idea sbagliata, perché le aveva scoccato un’occhiata buia e l’aveva superata in fretta, fingendo di non sentire che lei la stava chiamando.
Serena sospirò, guardando l’orologio: ancora venti minuti.
Era insofferente, non vedeva l’ora di uscire di lì e parlare con lei. Non lo avrebbe mai ammesso a se stessa, ma la scalpitante impazienza era dovuta anche alle parole di Chuck, che le si erano insinuate nella coscienza come serpenti dalla lingua biforcuta e dalle zanne velenose in un indifeso prato verde: oggi ti ha odiata quando l’hai messa da parte e non si preoccuperà del fatto che siete amiche nel momento in cui deciderà di vendicarsi. Perché lo farà, puoi starne certa.
No, non avrebbe permesso a quell’insopportabile Mefistofele di creare frizioni fra lei e la sua migliore amica. Era evidente che stava cercando di metterle l’una contro l’altra. Scoccò un’occhiata a Blair, seduta nella fila accanto alla sua, due banchi più avanti. Dalla sua posizione poteva vedere solo il suo profilo: al contrario di molte ragazze –Serena compresa-, Blair sedeva con la schiena perfettamente dritta, le gambe accavallate e lo sguardo puntato davanti a sé, verso la lavagna e la professoressa. La posa da studentessa diligente però non ingannava Serena: Blair le aveva confidato che molto spesso era distratta quasi quanto le altre, ma che non lo avrebbe mai dato a vedere lasciandosi andare scompostamente sulla sedia. “Conto sulle buone referenze di tutti gli insegnanti per la mia domanda per Yale”, aveva dichiarato con un sorriso vittorioso, già sicura che le avrebbe ottenute e, con loro, il posto nella prestigiosa università.
All’improvviso, a Serena venne un’idea per non attendere oltre. Strappò un angolo dalla pagina del suo quaderno e scrisse:
 
B!
Mi dispiace per ieri sera. Mi sei mancata. Che ne dici di passare la serata insieme? Decidi tu cosa fare. Audrey e macarons? ;)
Xo
S.
 
Ripiegò accuratamente il foglietto, scarabocchiò sopra Blair e lo passò a Caroline Somerset davanti a lei. Dopo vari scambi da una mano all’altra, il messaggio giunse a destinazione. Blair scoccò un’occhiata circospetta alla professoressa, poi aprì il foglietto e lesse. Serena attese speranzosa. La vide accigliarsi, appallottolare il messaggio e ficcarselo in tasca, senza degnarla di una risposta o di un’occhiata.
Dire che Serena ne fu dispiaciuta sarebbe riduttivo.
 
*
 
Blair sentì Bonnie Bloom picchiettarle sulla spalla e poi passarle un foglio di carta. Così, controllò che la professoressa non stesse guardando nella sua direzione e lo aprì, leggendo le poche righe vergate nella calligrafia sbadata ma a suo modo femminile di Serena.
Corrugò la fronte. Era evidente che Serena stava cercando di tornare nelle sue grazie. Quell’atteggiamento innocente e falsamente dolce la irritò: ma chi voleva prendere in giro? Quella stessa mattina l’aveva vista pavoneggiarsi con Penelope, Iz e Hazel. Le ragazze avevano contemplato Serena come se fosse una diva, riempiendola di domande e di complimenti, mentre avevano del tutto ignorato lei, benché fosse passata a pochi centimetri da loro. L’unica che l’aveva chiamata era stata proprio Serena, ma l’ultima cosa che Blair era disposta a fare era starsene lì ad ascoltare quanto Serena fosse fantastica. Aveva già abbastanza ammiratrici estasiate, il perché, poi, Blair proprio non lo capiva. Chiunque sarebbe capace di ballare sui tavoli sbronza in abiti osceni. Anzi, il dettaglio veramente irritante era che se Blair si fosse azzardata a comportarsi in quel modo, tutte l’avrebbero giudicata una sgualdrina senza rispetto per se stessa, allontanandola e sparlando di lei. Ma Serena poteva fare qualunque cosa, Serena avrebbe potuto presentarsi alla Constance ubriaca e drogata e tutti l’avrebbero ammirata perché era così ribelle, Serena avrebbe potuto posare nuda per un cartellone di Times Square e tutti non avrebbero fatto altro che dire quanto fosse audace e sexy. Ma Blair, Blair non poteva azzardarsi ad avere una grinza minuscola sulla gonna di Louis Vuitton perché altrimenti tutti avrebbero pensato che era sciattainsignificante.
Accartocciò il messaggio e se lo infilò in tasca, sdegnosa. No, non era giusto. Se Serena pensava di tenersela buona con un film e qualche dolcetto, ottenendo senza sforzo sia la sua amicizia che il suo regno, si stava sbagliando di grosso. Serena sapeva benissimo quanto contasse per lei essere regina, ma le aveva rubato comunque le ragazze. Dunque, aveva fatto la sua scelta e non aveva scelto di certo Blair. Perché allora Blair avrebbe dovuto scegliere Serena?
Guardò l’orologio: sedici minuti al suono della campanella; sedici minuti ancora e Gossip Girl avrebbe ricevuto il blast su Dan e Amanda, mentre Serena la giusta punizione.
Rincuorata da questi pensieri, Blair si permise di scoccare un’occhiata dietro di sé alla sua rivale. Serena incontrò il suo sguardo e sorrise, contenta come una bambina, gli occhioni azzurri fiduciosi.
La fitta di rimorso fu quasi impercettibile.
Quasi.
 
*
 
Bentornata, S.!
La nostra Party Girl preferita ci ha deliziati tutti con un assaggio della vecchia se stessa, ieri notte. Drink dopo drink, gli unici a rimanere a bocca asciutta sono stati i ragazzi che hanno ballato con lei, speranzosi di “gustarla” più profondamente. Sorry, guys.
Chi non è rimasto a bocca asciutta è, sorpresa sorpresa, il nostro Lonely Boy! Incredibile, vero? Eppure, pare che il suo rapporto con A. andasse ben oltre lo scambio di opinioni letterarie, nello specifico fino allo... scambio di saliva.
S. lo sapeva? Fonti molto vicine a lei dicono di sì.
Che tristezza, S.
Non lo sai che affogare i dispiaceri nell’alcol è decisamente anni ‘90?
Più che Party Girl, credo che comincerò a chiamarti Pity Girl. 
 
 
Serena lesse il messaggio inviato da Gossip Girl sentendo un improvviso vuoto allo stomaco. Fonti molto vicine... Chuck? Era l’unico a sapere del biglietto. Ma perché Chuck avrebbe dovuto sbandierare il messaggio incriminante, dopo essersi premurato di consegnarlo a lei? Si guardò intorno –molte ragazze la fissavano e alcune parlottavano fra loro con smorfie compiaciute - finché non incontrò l’espressione soddisfatta della sua migliore amica, che marciava verso di lei a mento alzato e passo spedito.
“Che succede, S.?” esclamò a voce abbastanza squillante da farsi sentire dai gruppetti di studentesse che le accerchiavano e in un tono dolce e liscio come il caramello fuso. “Non dirmi che quello che scrive Gossip Girl è vero! Oh, mi dispiace così tanto!”
Ti vuole bene, è vero. Ma ti odia anche un po’.
“Ma non ti abbattere, S. Solo perché perfino Dan Humphrey si è dimenticato subito di te, non significa che tu abbia qualcosa che non va. O che tu lo amassi molto più di quanto lui amasse te. Ne sono sicurissima, Serena!”. Tono condiscendente, sorriso smagliante e sguardo tenero. Le ragazze ridacchiarono, maligne.
“Come hai potuto, Blair?” domandò Serena, ignorandole completamente. Perché per lei adesso contava solo Blair. La sua migliore amica. Quella che l’aveva appena pugnalata alle spalle.
Blair inarcò le sopracciglia: “Che ti aspettavi? Che stessi lì a guardare mentre mi portavi via tutto? Di nuovo?”, sibilò, perché stavolta voleva che sentisse solo lei. “Hai fatto male i tuoi conti.”
“Non ti sto portando via niente!” protestò lei, ferita e arrabbiata, senza preoccuparsi di abbassare la voce. Una ruga s’incise fra le sopracciglia di Blair e, nonostante tutto, Serena era contenta di essere riuscita a infastidirla.
“Ci vediamo più tardi, S.” cinguettò Blair, per troncare la scenata sul nascere. Si voltò, ma Serena non poteva permetterlo e l’afferrò per il braccio.
“Lasciami!”
“No, Blair! La risolviamo ora. Credevo ci fossimo lasciate alle spalle queste sciocchezze l’anno scorso. Io non ti sto portando via niente!” ribadì, quasi urlando, infervorata. Le guance di Blair si colorirono di accesso furore a loro volta, mentre gli occhi saettarono intorno a loro. Il gruppo di avide iene che le circondava era cresciuto a dismisura e molti cellulari erano puntati contro di loro, sicuramente filmando. Rassegnata per la lite pubblica, ma comunque non meno arrabbiata per esservi stata costretta, Blair ribatté, aggressiva:
“No, perché non puoi. Non riusciresti mai a vincere contro di me”.
Le parole di Chuck, che le erano sembrate velenose quando le aveva ascoltate la prima volta, ora le scivolarono prelibate sulla lingua, insaporite dalla collera:
“Posso vincere quando voglio contro di te, Blair. Sei stata la regina solo perché te l’ho permesso. E tu lo sai”.
Sorpresa e dolore si avvicendarono nel castano prima che Blair incassasse il colpo e ritrovasse la voce per replicare, gelida:
“Vedremo. Se è la guerra che vuoi l’avrai”.
Strattonò il braccio per liberarlo dalla presa di Serena e girò sui tacchi degli stivaletti Balenciaga per lasciare il cortile. La folla era fitta, ma un varco si aprì quasi automaticamente per farla passare.
Serena sospirò, poi si voltò per andarsene a sua volta.
Fu allora che lo vide.
Dan.
 
 
*
 
Dan lesse il messaggio con crescente confusione. Scambio di saliva? A parte la disgustosa scelta di lessico, lui e Amanda non si erano mai baciati. E come facesse Serena ad essere già a conoscenza di un bacio che non era mai avvenuto proprio non riusciva a capirlo.
Insomma, sapeva che Gossip Girl non era certo una fonte affidabile, anche prima delle storie di Jenny a caccia di monetine, ma quel livello di bugie aveva dello sfacciatamente ridicolo.
Una parte di Dan, quella che era ancora profondamente in collera per come Serena e le sue amiche avevano trattato Amanda e poi lui, rendendolo se possibile ancora più isolato, decise che Serena poteva credere a baci inesistenti finché le pareva, non era certo affar suo.
Un’altra parte di lui, nonostante tutto, si augurò che Serena sapesse la verità. Che sapesse che la loro storia era stata così importante da diventare indimenticabile e che le malignità di Gossip Girl erano solo prosa bugiarda e di basso livello. Del resto, le sarebbe bastato rileggere un’altra prosa, molto più sentita e meno sferzante, per ritenere ridicole le insinuazioni del sito di pettegolezzi.
Cos’è successo l’otto ottobre del duemilacinque?
Sono stato invitato per caso a una festa di compleanno. Lì ho incontrato una ragazza. Mi ha detto solo due frasi, ma non l’ho più dimenticata.
Perciò come avrebbe potuto farlo dopo averla stretta tra le braccia, sentendo il tepore del suo corpo snello e formoso contro il proprio? Dopo averla baciata rapito dalla dolcezza del suo fiato e dall’arte delle sue labbra, dopo averla amata così tanto e così a lungo da perdere la concezione di ogni cosa al mondo che non fosse solo Serena, l’oro dei suoi capelli sparso sul cuscino, l’oro della sua pelle nuda sul letto, Serena preziosa e radiosa più dell’abito indossato al Cotillon e dei gioielli con cui si adornava, perché la vera luce veniva da lei, dai suoi occhi e dal suo sorriso.
Dan sospirò e scosse la testa. Non fece in tempo a infilarsi il cellulare in tasca che fu urtato da una ragazza della Constance, a quanto pareva troppo ansiosa di arrivare dove stava andando per scusarsi. No, okay, probabilmente non si sarebbe scusata lo stesso, dato chi era lei e chi era lui, ma Dan non ci badò, ormai abituato a quell’indifferenza generale. In più, cominciava ad essere curioso: la goffa maleducata non era l’unica che correva verso un punto preciso del cortile, dove c’era già un capannello di studenti e Dan voleva scoprire la ragione di quel fermento.
Raggiunse anche lui il gruppo e sgomitò il più possibile verso il centro, finché non udì sorpreso la voce di Serena:
“Posso vincere quando voglio contro di te, Blair. Sei stata la regina solo perché te l’ho permesso. E tu lo sai”.
Superò un altro paio di teste curiose e finalmente riuscì a vedere Serena che teneva per il braccio la sua sempre migliore amica e talvolta acerrima nemica Blair Waldorf. A giudicare dalle loro guance paonazze, dalle sopracciglia aggrottate e dall’ostilità nelle parole di entrambe –Blair aveva appena replicato: “Vedremo. Se è la guerra che vuoi l’avrai” con una veemenza che per Dan era degna di un melodramma recitato da attori dilettanti e sopra le righe- si trovavano nel bel mezzo di uno di quei “talvolta”. Dan comunque fu stupito dall’aggressività di Serena, che l’anno prima era riuscita a restare ragionevole e dolce perfino dopo che Blair aveva perfidamente annunciato ai rappresentanti delle università gli inesistenti problemi di droga di cui Serena era afflitta. Quasi non riconosceva più la sua ex in quella bionda combattiva e sprezzante.
Blair si liberò della stretta di Serena e si allontanò, fendendo la folla di curiosi senza aver bisogno nemmeno di una minuscola gomitata. Dan, che aveva sudato per il suo posto in prima fila, lo trovò fastidiosamente assurdo. Poi i suoi occhi incontrarono quelli azzurri di Serena, che si bloccò per un attimo a fissarlo, stupita di trovarlo lì come se non sapesse perfettamente che il St Judes era proprio accanto alla Constance. Gli parve che il rosso delle sue guance si facesse più intenso e i suoi occhi più lucidi prima che imitasse Blair fuggendo da quel circo di curiosi.
Assecondando un istinto sconosciuto e primitivo, Dan la seguì finché non raggiunsero un punto isolato del cortile, lo stesso dove solevano baciarsi nell’intervallo, fuori dalla portata di cellulari e pettegole.
“Ehi, Serena, aspetta!”.
Serena si fermò, ma non smise di dargli le spalle, rigida.
“Che cosa vuoi, Dan?” chiese, con voce incrinata. Dan capì che era profondamente turbata e, malgrado se stesso e l’isolamento che aveva dovuto subire a causa proprio di Serena, sentì il bisogno di chiarire l’equivoco, di farla stare meglio.
Del resto, certe cose non cambiano mai.
“Non ho baciato Amanda”.
Serena udì quelle parole e subito un’onda di sollievo travolse spontanea il suo cuore, ma non durò. La razionalità la soffocò ancora neonata sotto l’incredulità. A malincuore, sentendosi presa in giro e ancora più sofferente, Serena ribatté:
“Non mentirmi, Dan.”
“Non sto mentendo! Come puoi credere a Gossip Girl invece che a me?” protestò Dan, in un tono indignato e ferito a sua volta. Dan era sempre stato sincero con Serena, sempre. Non era certo stato a causa delle sue bugie su Georgina e dei suoi segreti che avevano finito per lasciarsi, oh no. Era stata Serena quella manchevole, sotto il punto di vista dell’onestà, e ora accusava lui di essere un bugiardo. Incredibile.
“Quindi non l’hai mai baciata? Non le sei corso dietro dopo l’incidente al club per confortarla?”
“No. Non l’ho fatto. Chi ti ha detto queste cose?”
Amanda, Dan”.
Serena girò su se stessa per affrontarlo in un turbinio di capelli scintillanti al sole, gli occhi ferventi di furore, i pugni stretti accanto alle cosce, combattiva come una leonessa. Era così arrabbiata e provata che quasi tremava.
“C-come?”
“Perché Amanda avrebbe dovuto mentire, Dan? Spiegamelo.”
“Io... non ne ho idea”. Dan era sinceramente confuso e sbigottito. “Forse voleva vendicarsi con te per la storia dei capelli, non so.”
“Non è a me che l’ha detto. O meglio, scritto.” si corresse Serena spazientita, confondendo ancora di più il suo interlocutore. “Ma tu lo sai. Hai ricevuto il suo biglietto, no?”
“Quale biglietto?”.
Dan era consapevole di sembrare ottuso e che i suoi tentennamenti stavano facendo irritare ancora di più Serena, invece di calmarla, ma non poteva fare a meno di comportarsi così. Stava davvero perdendo il filo del discorso con tutti quei dettagli senza senso.
Serena si accorse dello smarrimento negli occhi di Dan e per la prima volta si domandò se non fosse lei a commettere un errore. Di nuovo un minuscolo barlume di speranza –Dan è innocente!- sbocciò nel suo cuore, costringendola a ricordare gli avvenimenti degli ultimi giorni. Purtroppo, le prove empiriche del tradimento di Dan erano state sotto i suoi occhi e fra le sue mani, intransigenti: il libro di matematica apparteneva senza dubbio a Dan; la grafia con cui era vergato il nome era la sua, Serena non poteva sbagliarsi perché aveva amato quella calligrafia come ogni altra parte di lui, e tante volte aveva sorriso vedendolo chino su un blocchetto a scribacchiare i pensieri che gli venivano in mente. “Se usassimo ancora i calamai, andresti in giro con la punta del naso perennemente sporca d’inchiostro”, l’aveva preso in giro una volta, affettuosa.
“Anche tu”, aveva ribattuto lui, avvicinando il viso al suo, naso contro naso. Serena aveva riso e aveva inclinato la testa per togliere di mezzo i nasi e baciarlo. 
Il biglietto era rivolto a Dan e per quanto riguardava la mano che aveva tracciato quelle parole velenose, non era di nessuno che conoscesse. Le parole del messaggio, infine, erano perfettamente credibili: del resto Dan l’aveva accusata di non essere diversa dalle Perfide anche di persona, dopo che Amanda era scappata sconvolta per i capelli rovinati; e non si era fatto scrupoli ad abbordare una ragazza il primo giorno di scuola, sotto i suoi occhi, e a portarla in un locale che Serena e tutta la sua cricca frequentavano, come a volerle sbattere in faccia di proposito la sua nuova conquista.
“Perché fai così, Dan?” sbottò rancorosa, e inghiottì il nodo pungente e zuppo di lacrime che aveva in gola.
“Serena, per favore, credimi: non ho mai baciato Amanda.”
“Allora questo non è tuo?” ribatté Serena, estraendo dalla borsa il libro di calcolo che aveva portato con sé proprio per restituirglielo. Dan aggrottò la fronte, prendendo il volume e sfogliandolo.
“Sì, è mio, ma... cosa c’entra?”
“Come puoi dire allora di non sapere niente del biglietto di Amanda? Era proprio lì, fra le pagine.”
“Era...”. Il ragazzo voltò qualche pagina, quasi come se si aspettasse che il fantomatico messaggio saltasse fuori. Scosse la testa e sospirò. “Non lo so, Serena. Non so niente di questa storia. Tutto quello che so è che non ho mai baciato Amanda”.
“Lasciami in pace, Dan.” concluse Serena sconsolata.
Dan avrebbe voluto trattenerla, ma non sapeva come. Era stato onesto e non era bastato. Guardò il suo libro di matematica –non si era accorto che non fosse più nel suo armadietto, del resto aveva algebra solo due volte a settimana, il martedì e il venerdì ed era solo mercoledì-, ma era sicuro di avercelo messo e che fra le pagine non vi fosse alcun messaggio. Si domandò come fosse arrivato a Serena, ma soprattutto di domandò che diavolo stesse succedendo.
Poco lontano da lui, quasi richiamato dai suoi pensieri, Chuck Bass sorrise.  
 
 
End#4
 
 
 
 
 
 
 
 

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