Hunter: la caccia cominci!

di Kiary92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Roma, 27 Gennaio 2010, ore 00.23.

I suoi passi non facevano il minimo rumore.
Camminava con calma, come se non avesse nulla da fare, anche se la sua missione era molto urgente.
Di giorno non sarebbe passato inosservato: pantaloni neri, giubbotto nero, guanti neri, stivali neri e occhiali da sole, neri, naturalmente. Sembrava un’ inno ambulante all’ oscurità. Ma la notte era il suo regno, e nessun mortale poteva individuarlo.
Purtroppo, la preda non era mortale.
Poteva avere vent’anni, forse qualcuno di più. Capelli castani, perennemente in disordine, occhi di un colore particolare, nocciola ma con una fascia verde ai bordi. I lineamenti, affilati eppure pieni, sembravano perfettamente adatti all’ espressione calma che portava, o che tentava di portare, sempre.
Il ragazzo stava controllando una specie di Gps che teneva al polso, seguendo il segnale che l’avrebbe portato alla fine di quella nottata. Hai fianchi portava due pistole calibro 9 con quindici colpi in canna, aveva un pugnale infilato in uno stivale e dalla schiena spuntavano le else di due katane. Molte persone che appartenevano al giro si stupivano che insistesse a portare armi così antiquate, considerando l’ ottima offerta di mitragliatrici e lanciafiamme, ma lui non ragionava così. Preferiva la furtività alla forza, e aveva scoperto che non esisteva nemico che, una volta decapitato, si alzasse per ricominciare a combattere.
Svoltò l’angolo per ritrovarsi in Piazza San Pietro. In qualsiasi altra occasione si sarebbe fermato e avrebbe fatto il turista, ma non quella volta. Non con un demone categoria pesi massimi che scorrazzava in giro.
Si fermò vicino a una delle colonne, controllando il segnale. Stava diventando sempre più forte ....
Fu il suo sesto senso al salvarlo. Effettuò un salto mortale all’ indietro proprio nel momento in cui il demone gli saltava addosso. Atterrò con grazia e estrasse le katane, pronto a combattere. Il demone si girò di scatto e ringhiò, frustato dal fatto che la vittima gli fosse sfuggita. Era un demone piuttosto comune, sebbene potente. Alto circa tre metri, sembrava un’ incrocio tra Hulk e una rana. Emanava un puzzo disgustoso, più che sufficiente a sconfiggere la maggior parte degli avversari. Il mostro non attaccò. Si fermò e studiò il nemico.
Il ragazzo si affrettò a spegnere gli occhiali e l’ auricolare, prima che cominciassero a inviargli inutili informazioni sul suo avversario. Oramai ne aveva ammazzati così tanti che ne conosceva le capacità a memoria. Com’ era prevedibile il demone si accucciò sulle quattro zampe da rana e si preparò all’attacco. Per evitare di rimanere schiacciato, il giovane si mise a correre, scalando una delle colonne della Piazza talmente in fretta che chiunque avrebbe giurato che il cilindro di marmo doveva essere orizzontale, invece che verticale. L’ enorme rospo demoniaco saltò comunque, afferrando la roccia per non scivolare, mancando il suo bersaglio di un paio di metri. Proprio mentre il demone attaccava di nuovo, il ragazzo saltò, spingendo le spalle verso il basso. Mentre gli passava dietro approfittò della velocità aggiuntiva della caduta e lo colpì, lasciando due ferite lunghe e profonde sulla schiena del mostro. Atterrò leggero sulla strada, come se non fosse caduto da un’ altezza di sette metri. Il demone a causa del dolore perse la concentrazione e sbatté violentemente la testa contro la balaustra, cadendo poi di schianto sulla schiena. Si era appena ripreso e stava per voltarsi quando sentì un dolore lancinante alle gambe, che cedettero immediatamente. Poco dopo si sentì la canna di una pistola puntata alla nuca. Il ragazzo era in piedi sulla sua spalla. La luna illuminava il cielo, facendo luccicare sia la pistola modello Beretta nella destra che la katana che teneva nella sinistra, sporca di sangue.
Il demone gracchiò - Non uccidermi. Ti darò tutto ciò che vorrai -
- Buffo.... - commentò l’altro - Voi demoni vi sforzate di parlare solo quando non avete più scampo -
Visto che la tattica della corruzione non aveva funzionato, il rospone passò alle minacce - Io servo un padrone molto più potente di .... -
- Dicono tutti così. - sbuffò il ragazzo, mentre due spari interrompevano il monologo del mostro. Passò la katana sulla pelle del rospo per pulirla, poi segnò il tipo di demone e la sua classe su un taccuino elettronico e se ne andò, lasciando ai regolari il compito di pulire la scena.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Il ragazzo entrò in macchina e partì, ringraziando il cielo che a quell’ora il raccordo anulare fosse praticamente deserto. Imboccò la strada che portava a Nord e scollegò il cervello, lasciando che fossero i suoi riflessi ad avvertirlo in caso di pericolo. Arrivò a Verona in meno di quattro ore, battendo qualsiasi record. Parcheggiò l’ auto e si diresse a piedi verso il centro. Gli piaceva la città di notte, senza torme di turisti che incasinavano le vie, bloccandosi nei punti più stretti per fare fotografie. Imboccò una delle stradine che si snodavano dietro l’Arena, arrivando velocemente a una porta in apparenza normale. Suonò il campanello.
- Chi è?- chiese la voce preregistrata.
- L’ ombra che caccia le ombre - rispose, e la porta si aprì con un leggero scatto.
Entrò trovandosi davanti un’ altra porta. Bussò. Uno spioncino si apri e due occhi lo fissarono.
- Parola d’ ordine?- chiese il guardiano, ostile.
- Apri, idiota!- esclamò il ragazzo, a tono.
L’uomo ridacchiò - Bentornato, Hunter - disse aprendo la porta.
Senza dire una parola si infilò nell’ascensore e scese nel sotterraneo. Uscito si ritrovò in un vasto ambiente pieno di gente. Alcuni lo salutarono, altri lo ignorarono e altri ancora lo insultarono. Ignorò tutti e si diresse verso la porta con su scritto Direttore. La segretaria lì a fianco si stava limando le unghie e non si accorse subito di lui.
- Ciao - esclamò, abbandonando la lima non appena lo vide. Aveva circa trent’ anni, con lunghi capelli neri e occhi scuri.
- Cosa ti porta da queste parti?-
- Affari - rispose il moro, togliendosi gli occhiali.
Lei lo guardò con aria furba - Centri qualcosa col casino che è successo a Roma quattro ore fa?-
- Non so di cosa stai parlando - mentì candidamente.
Gli occhi della donna lampeggiarono - Meglio così. Sono dovute intervenire tre squadre, dei testimoni avevano visto il demone, le telecamere fortunatamente non hanno registrato niente, ma il marmo era pieno di crepe.... -
- Una vera disgrazia - commento l’ altro, cercando di distrarla - Il Capo è libero?-
 - Sì, ti sta aspettando - Hunter le rivolse un cenno - Grazie, ci vediamo -
 Aprì la porta ed entrò.
Il locale era modesto, considerando che era l’ ufficio privato di uno degli uomini più importanti della Pianura Padana. Mobili semplici, tappezzeria elegante ma sobria. A contrastare con tutto questo c’ era la scrivania di legno d’ ebano laccato, un vero capolavoro che si diceva fosse appartenuta il primo direttore della Sede a Verona. Se la voce era vera la scrivania risaliva al 1700 circa, e non era stata spostata da allora.
Il Capo, com’era affettuosamente chiamato dai sottoposti, era un uomo piccolo sulla tarda cinquantina, coi capelli grigi e molte più rughe di quanto l’ età richiedesse. Indossava un completo giacca e cravatta grigio, intonato con gli occhi spenti di chi ha visto troppo e non riesce a dimenticare. Lo accolse con un sorriso - Benvenuto, P.... -
- Hunter, finché sono qui, Capo - lo interruppe il ragazzo, ben sapendo che i muri avevano le orecchie, gli occhi e forse anche una bocca.
- Ma certo - assentì l’uomo - Cos’hai per me?- Hunter gli passo il taccuino elettronico. - Demone di classe A, eh? Non hai perso lo smalto. -
I demoni venivano classificati in sei classi di pericolosità. Le classi A, B e C erano i demoni che potevano essere gestiti da normali Agenti, anche se i classe A erano molto pericolosi e di solito servivano dei veterani del settore per tenerli a bada. Le classi gamma, beta e alpha richiedevano l’ intervento degli Agenti Speciali, chiamati Doppio Zero.
Il Capo controllò alcuni dati, poi disse - Il pagamento verrà effettuato al solito conto. C’è altro che devi dirmi?-
- No - rispose Hunter.
L’ uomo lo fissò - Perché non torno alla Sede? Lo sai che abbiamo bisogno di te. -
Il ragazzo sospirò. Ogni volta che lo incontrava, il Capo gli faceva quella domanda.
- Lo sa il perché - rispose, forse per la millesima volta.
- Già, lo so -
Un breve silenzio si allargò tra i due, e il ragazzo fece per alzarsi - Se non c’è altro, Capo.... -
Il direttore si riscosse - A dire il vero qualcosa c’è. Mi serve il tuo aiuto per un caso molto particolare. -
- Mi dica -
- C’è un agente che vuole raggiungere il grado di Doppio Zero. E’ abile, ma inesperto. Vorrei che lo aiutassi a farsi le ossa. -
- Non ci sono degli addestratori specializzati per questo?-
- Si, ma sono tutti occupati. E poi, perché usare un addestratore quando si può avere un vero Agente Doppio Zero a portata?-
- Ex Doppio Zero. - lo corresse Hunter.
Il Capo sorrise - Non fa differenza. Sei il migliore -
Il ragazzo ignorò il complimento. - Qual è il vero motivo?-
Il direttore sospirò - Sempre acuto e sospettoso, eh? Ti dirò la verità. L’ Agente è superiore alle capacità degli addestratori. Non sono in grado di insegnargli nulla. Ha raggiunto il massimo punteggio all’ esame della Sede Centrale -
Quest’informazione risvegliò l’ interesse del moro. - Ma perché io?-
- Perché solo tu possiedi delle capacità paragonabili alle sue. Te lo chiedo come favore personale -
Hunter capì di essere fregato. Non poteva dire di no al Capo, aveva fatto tanto per lui e anche adesso che non lavoravano insieme lo trattava da amico e gli lasciava una porta aperta nel caso volesse tornare.
Sconfitto, annuì - Solo perché è lei, Capo. Devo prendere l’ Agente da qualche parte o pensate voi a mandarlo a casa mia?-
- Pensiamo noi a tutto. Ora è meglio che vai a casa. E grazie -
- E’ sempre un piacere -

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Hunter non tornò subito a casa sua. Effettuò il suo giro di ronda, passando da tutti coloro che potevano potenzialmente possedere informazioni riguardanti attività criminali o soprannaturali in città. Finì quasi a mezzogiorno. Fece un’ altro giro, stavolta di puro piacere, cercando libri interessanti. Poi recuperò la macchina e si diresse a casa per il meritato riposo. Parcheggiò davanti a casa ed entrò. Si fece una doccia veloce e si buttò sul letto. Già si immaginava la fatica che avrebbe richiesto occuparsi di un aspirante Agente Speciale. Quindi era meglio riposare.
Si svegliò verso le sette di mattina, quando il cielo aveva appena iniziato a schiarirsi. Indossò abiti casual, non aveva in mente avventure quel giorno: jeans, maglia e felpa con cappuccio. Si diresse in cucina e prese l’ultima fetta di torta. Avrebbe dovuto prepararne un’ altra. Mangiando accese il Pc portatile sul tavolo e iniziò a controllare se qualcuno, durante la notte, gli aveva inviato un’ e - mail. Improvvisamente il cellulare abbandonato nel giubbotto iniziò a vibrare. Il ragazzo non controllò chi lo aveva chiamato.
- Pronto Capo. è successo qualcosa?-
- No, volevo solo sapere se l’Agente è già arrivato - Qualcuno, o qualcosa, si mosse nella cucina piena di ombre. Silenziosamente si avvicinò a Hunter....
- Non ne sono sicuro, Capo - rispose quest’ultimo, dandogli le spalle.
L’ ombra si avvicinò di un altro passo.... e si trovò un pugnale puntato alla gola.
- Bè, fammi sapere -
- Ci conti - rispose il moro, chiudendo la comunicazione.
Senza voltarsi Hunter prese un piccolo aggeggio che sembrava una di quelle macchinette da carta di credito che si vedono nei supermercati.
- Non parlare. Se sei l’ Agente che mi hanno affidato, allora passa la tua tessera identificativa nella macchina. - L’ intruso obbedì. Dopo pochi secondi lampeggiò una luce verde. - Ottimo -
Le tessere identificative degli Agenti contenevano un chip che riconosceva solo il DNA del legittimo proprietario. Se il DNA non era quello giusto, la tessera si disattivava. Anche il più abile mutaforma non poteva duplicare il DNA, quindi la tessera era un metodo sicuro per riconoscere un Agente.
Hunter ripose il pugnale nel cassetto del tavolo. - Scusa per l’ accoglienza, ma la prudenza non è mai troppa - Si girò verso l’ Agente.... e si bloccò. Era una ragazza di non più di diciott’anni, con lunghi capelli neri che assomigliavano a un mare notturno. La sua pelle perfetta era di un candore assoluto che, alla luce debole del mattino, pareva vagamente luminescente. In contrasto, gli occhi erano di un profondo blu oceano. Indossava la tuta aderente tipica degli Agenti, che lasciava ben poco spazio all’ immaginazione. Più bassa del ragazzo di circa cinque centimetri, era slanciata ma non esile. Al contrario, aveva curve sinuose. Hunter dovette far ricorso a tutta la sua forza di volontà per evitare di arrossire.
- Piacere - le disse, porgendole la mano.
La ragazza sorrise - Agente 81 - disse lei, stringendola.
Il moro rispose al sorriso - Probabilmente dovremo convivere per parecchio tempo, quindi tanto vale darci del tu e usare i nostri veri nomi. Io mi chiamo Paolo -
Il sorriso della ragazza si allargò - Elena -
- La donna più bella del mondo - disse Paolo, ricordandosi della leggendaria Elena di Troia.
Fu il turno dell’ Agente di arrossire - Non credo di meritare tale titolo -
- Forse no  - la prese in giro lui - Bene, dato che sei qui, possiamo iniziare a parlare di cose serie. Inizio io. Perché ti sei avvicinata così di soppiatto?-
- Volevo vedere se ero in grado di cogliere di sorpresa il leggendario Hunter - rispose la ragazza.
Un luccichio divertito attraversò gli occhi dell’ ex Doppio Zero - Si sparla ancora di me, alla Sede?-
- Abbastanza. Il mio vecchio allenatore diceva che sei menefreghista, sgradevole e senza il minimo concetto di lealtà e senso del dovere -
- Devi fargli i miei complimenti, la prossima volta che lo vedi. è riuscito a rendersi antipatico senza fare nemmeno lo sforzo di fare la mia conoscenza - disse lui con falsa serietà.
Risero di gusto. Poi fu il turno della ragazza di fare le domande - Allora, posso chiederti come mai te ne sei andato dalla Sede?-
L’ espressione di Paolo si incupì all’ istante - Non credi che sia troppo presto per farmi una domanda del genere?-
Lei intuì che non era il caso di insistere - Hai ragione, scusa -
- Non importa - disse lui, rilassandosi. Non aveva senso prendersela per così poco. - Cosa sai di me?-
- Tutto - rispose - Sono una tua grande ammiratrice. Conosco il tuo vecchio numero da Agente, quanti e quali nemici hai sconfitto, che eri l’ Agente Speciale 0011... - si bloccò, intuendo all’ istante di aver parlato troppo.
Difatti il ragazzo la guardò sorpreso - Come fai a saperlo? Le informazioni sui Doppio Zero sono Top Secret!-
La mora si agitò, imbarazzata - Ho dato un’ occhiata agli archivi.... - borbottò “Che scusa patetica” pensò subito dopo.
Paolo la fissava divertito - Lo sai che non sta in piedi, vero?- Lei non rispose. - Ne parleremo un’ altro giorno. Ora ascoltami bene. Da adesso inizia il tuo “tutoraggio” con il sottoscritto. Ci sono alcune regole fondamentali. Non distrarti, perché lo dirò una volta sola -
Elena si fece seria.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


- Per prima cosa, devi capire che qui non siamo tra altri Agenti. Là fuori non esiste alcuna regola, se non quella del più forte. Dimenticati il manuale e tutte le lezioni sui diritti civili con cui ti hanno indubbiamente riempito il cervello. Se qualcuno ti attacca prima lo stendi e poi gli fai delle domande. Io cerco sempre di non uccidere nessuno, ma non mostrare pietà: loro non ne avranno. In secondo luogo, come ben saprai me ne sono andato dalla Sede due anni fa. Di conseguenza non ho orari di lavoro, la paga è quella che mi danno quando porto a termine un incarico, mi sia stato affidato dal Capo o da un privato. Sinceramente non ho capito perché ti abbiano affidato a me, considerando che possono passare mesi prima che qualcuno mi contatti, ma ormai è fatta. Finché alla Sede non decideranno altrimenti dovrai seguirmi e obbedire ciecamente ai miei ordini. Almeno in teoria -
- E in pratica?- chiese la mora.
- Nella pratica non ho nessuna intenzione di fare una cosa del genere. Finché sei a casa mia sei mia ospite, e potrai fare ciò che vuoi, ovviamente nel rispetto che spero mostreresti nei riguardi di chi ti ospita -
- Quindi non hai intenzione di sottopormi a test psicologici, esercizi di lotta o simili?- chiese la ragazza, stupita.
- Non credo che servano, considerato che il Capo mi ha detto che hai preso il massimo dei voti nei test della Sede Centrale - rispose - Ma se vuoi posso -
- Perché?-
- Perché cosa? -
- Perché mi tratti così? Da ospite e non da allievo? è perché sono una ragazza?-
Il ragazzo fece un gesto vago - In parte. Temo di avere il grosso difetto della galanteria. Tratto le donne con maggior gentilezza degli uomini. è più forte di me. D’ altra parte non mi sembra il caso di far pesare a qualcuno la sua posizione di subordinazione. Potrei ricattarti e obbligarti, per esempio, a fare i lavori di casa al posto mio. Ma poiché semplicemente non è giusto, tratto tutti come miei pari. Quindi, per rispondere alla tua domanda, no, non ti tratto così solo perché sei una ragazza. Questo fatto si rifletterà in altre situazioni -
- Ho a che fare con un nobiluomo di altri tempi - commentò lei, divertita.
- Non hai idea di quanto ciò mi abbia incasinato la vita. Sarebbe tutto molto più facile se fossi un bastardo come ce ne sono tanti. Ma in fondo non mi dispiace - sospirò lui.
- Allora, Signore - disse Elena, marcando scherzosamente l’ ultima parola - Qual’ è il mio primo incarico?-
- Beh, intanto dobbiamo sistemarti in casa. Hai un bagaglio, vero?-
Lei annuì - Si, l’ho lasciato sul retro -
- Bene, allora portalo nella camera in fondo al corridoio. Intanto se vuoi posso prepararti qualcosa. Caffè?- chiese.
- Volentieri -
- E già che ci sei cambiati -
- Perché? I vestiti hanno qualcosa che non va?-
- In sé no. Ma non è il caso che tu vada in giro con quelli quando non siamo in missione. Ti.... espongono - spiegò.
La ragazza arrossì vistosamente quando afferrò il significato della frase - D’accordo - farfugliò prima di andare a prendere la sua valigia.
Paolo non riuscì a impedirsi la lanciarle un’ occhiata mentre lasciava la stanza. Prese la moca e preparò due tazzine. Il suo udito ben allenato sentì il rumore del trolley sul pavimento. Poi sentì la sua voce che diceva - Sei sicuro che posso mettere la valigia in questa stanza?-
- Certo -
- Non mi sembra una stanza degli ospiti.... - commentò lei.
- Probabilmente perché non lo è -
- E tu dove dormi?- gli chiese.
- Sul divano -
- Non puoi lasciarmi la tua stanza!-
- L’ ho appena fatto -
La ragazza entrò in cucina. Si era messa una tuta sportiva con panna. - Anche questo è dovuto al tuo senso di giustizia?-
- No, questo è solo uno stupido attacco di gentilezza. Comunque se non ti dispiace dormire sul letto faccio sempre in tempo a riprendermelo - rispose scherzosamente.
La moca cominciò a fischiare. Versò il caffè e prese il barattolo dello zucchero. - Quanti cucchiai?-
- Due -
- In arrivo - disse, mettendone quattro nel suo. Le passò la tazza.
La ragazza soffiò per raffreddare il liquido - Posso farti una domanda?-
- Io non ho peli sulla lingua. Se non riguarda il mio passato come Agente posso rispondere a qualsiasi domanda -
- In pratica mi nasconderai le informazioni più interessanti -
- Se la metti su questo piano... -
- Va bene. Perché hai deciso di diventare un’ Agente?-
Paolo scoppiò a ridere. - Molto astuto. Una domanda che riguarda la mia carriera da Agente senza toccarla effettivamente. Non mi stupisce che hai preso il massimo dei voti nel test d’ interrogatorio -
- Non mi vuoi rispondere?-
- Non ho detto questo - rispose lui senza smettere di ridere.
Elena attese pazientemente che l’ attacco di ilarità cessasse.
- Vuoi sapere cosa mi ha spinto a diventare un’ Agente? Te lo dirò - Improvvisamente divenne triste - Ma non è una bella storia. Sei pronta?-
Lei annui. Cominciò a raccontare.
 
 
Verona, 13 Ottobre 2006, ore 14,48.
Stava gironzolando per Piazza Erbe senza alcuna meta specifica. Non aveva intenzione di tornare subito a casa, avrebbe fatto quattro passi tanto per rilassarsi. Si guardò attorno. La piazza era quasi deserta, il che era abbastanza strano. Da che avesse ricordi, era sempre piena di gente, tranne che con il tempo più brutto. Ma il sole splendeva nel cielo, la temperatura era abbastanza mite per il periodo, non tirava vento. Improvvisamente fu consapevole di qualcosa, una sorta di vibrazione nell’ aria che gli fece immediatamente venir voglia di andarsene da lì. Cercando di capire che cosa provocasse questa vibrazione diede un’ ulteriore occhiata nelle vicinanze. Fu allora che la vide. Era una donna di circa trent’anni, con lunghi capelli fiammeggianti. Indossava un lungo cappotto bianco, che si intonava con la pelle candida. Se Paolo non avesse avuto un grande spirito d’osservazione non si sarebbe accorto degli occhi della donna, dello stesso rosso infuocato dei capelli. Intuì all’istante che chiunque fosse era una persona da evitare, così riprese a camminare. Una fitta d’ ansia lo percorse quando si accorse che la donna sembrava seguirlo. Cercò di rilassarsi, pensando che probabilmente era solo un’ attacco di paranoia. La rossa infilò una mano nel cappotto. Paolo deviò, passando vicino a un gruppo di liceali impegnati in una qualche attività a lui ignota. Si voltò verso la donna per controllare se lo stava ancora seguendo.
Qualcosa brillò.
Un urlo lacerante squarciò il silenzio della piazza. Una delle ragazze si era accasciata a terra, con un pugnale piantato nel petto. I suoi compagni fuggirono. All’ improvviso dal nulla sbucarono decine di individui vestiti di nero, che si diressero verso la donna. Questa ringhiò in modo tutt’ altro che umano, tirando fuori un paio di lunghi coltelli. Ma tutto questo non gli interessava. Riusciva solo a guardare la ragazza riversa al suolo, uccisa da un pugnale destinato a lui. Perché aveva visto distintamente dove la donna l’aveva lanciato. Non era molto bravo in matematica, ma anni di videogiochi gli avevano abituato a prevedere la traiettoria degli attacchi. La ragazza si era spostata per un motivo che non avrebbe mai scoperto, prendendosi la pugnalata al posto suo. Si avvicino al corpo, guardando il volto della studentessa. Si sentivano urla e spari, ma era come se qualcuno gli avesse messo dei tappi nelle orecchie. Si inginocchiò al suo fianco. Aveva qualche anno in meno di lui, il volto dolce era macchiato di sangue. Gli occhi castani era ancora aperti.
Scostando i lunghi riccioli color rame glieli chiuse. Qualcuno lo afferrò per le braccia. Ma non gli importava.
Lo portarono da qualche parte e lo fecero sedere su una sedia. Qualcuno lo scosse. Riemerse dallo stato di intontimento in cui era sprofondato. Si trovava in una specie di ufficio, semplice ma elegante, a esclusione della scrivania in ebano. Un ometto dai capelli grigi e dagli occhi spenti lo fissava.
- Dove sono?- chiese, ancora vagamente stordito.
- Al sicuro - gli rispose l’uomo.
Pausa. - Chi era?- chiese.
- La donna che ti ha attaccato... - iniziò lui, ma fu interrotto.
- La ragazza. Chi era?-
Tristezza, sul volto del suo interlocutore. - Si chiamava Clara Simonetti -
Silenzio - Immagino che tu sia sconvolto, ma devo dirti qualcosa di molto importante. Mi ascolterai?-
Cenno di assenso.
- Il mio nome è Ivo Tamburi. Sono il direttore della Sede veronese di un’ associazione che combatte la presenza di creatura soprannaturali. Ma tutti mi chiamano semplicemente Capo - Paolo si riscosse - Creature soprannaturali?-
- Esatto - rispose.

La successiva mezz’ ora passò come un lampo confuso. Il Capo gli parlo di demoni, vampiri, licantropi, un antico Patto, e molto altro ancora. Alla fine del discorsoci fu un lungo silenzio. Alla fine si arrischiò a chiedere - Perché voleva uccidermi?-
- Non lo sappiamo. Ma sappiamo quello che succederà adesso.
- Ossia?-
- Hai due possibilità. Puoi tornare a casa tua e cercare di dimenticare ciò che è successo. Forse ci riusciresti, o forse no. Purtroppo il demone non mollerà tanto facilmente. Potrebbe metterci anni, forse decenni, per tornare, ma alla fine dovrai affrontarlo. E a quel punto non si limiterà a ucciderti, ma troverà i tuoi familiari, i tuoi amici, e li eliminerà tutti -
- Qual’ è l’ alternativa?- chiese.
- Puoi unirti a noi. Ti addestreremo per fare di te un Agente -
- E cosa dirò ai miei genitori?-
- Non potrai dirglielo. Non potrai nemmeno più vederli. Se scegli di diventare uno di noi, la tua esistenza sarà cancellata. Ufficialmente, sarai morto insieme alla ragazza -
Paolo rifletté a lungo. Valeva la pena di rinunciare alla sua vita, ai suoi affetti, per seguire una strada difficile, irta di pericoli? Ma la sua vita precedente era svanita nel momento stesso in cui Clara Simonetti era caduta a terra, morta. Non sarebbe mai riuscito a liberarsi da quell’ immagine. Con la testa piena della figura della ragazza morta, morta a causa sua, guardò il Capo. Nei suoi occhi c’ era solo determinazione. Aveva preso la sua decisione.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Un lungo silenzio accompagnò la fine del racconto di Paolo.
Dopo un paio di minuti Elena parlò. - Quanti anni avevi?- sussurrò. La sua voce vibrava appena.
- Diciannove - mormorò lui, e non nascose la sua tristezza.
- Non dovevo chiedertelo - disse lei, dispiaciuta.
- Non importa, mi fa bene. Mi fa ricordare perché vado avanti -
La ragazza gli appoggiò delicatamente la mano sul braccio. - Non è colpa tua -
- Lo so - sospirò lui - Ma non mi sento meglio -
Un altro lungo silenzio si allargò tra i due.
- Hai più rivisto la tua famiglia?- gli chiese, maledicendosi subito dopo per aver fatto una domanda così stupida.
Lui non parve farci caso - Si, ma da lontano. Non potevo più avvicinarmi quando ero Agente, ma ero sempre nei paraggi quando uscivano di casa... - la voce del ragazzo era sempre più triste.
Improvvisamente disse - Ma adesso basta parlare di queste cose. Cosa vuoi fare?-
- In che senso?- chiese lei.
- Beh, non ha senso rimanere qui a non far niente. Vuoi andare da qualche parte? o hai in mente qualche attività?-
La mora esitò un attimo - Vorrei fare un giro in centro... - disse, titubante.
- L’ istinto femminile dello shopping si fa sentire, eh? D’accordo - trangugiò la sua tazza ancora fumante con un solo sorso. - Partiamo tra un mezz’ora. Preparati -
Venti minuti più tardi erano pronti. Lui non si era cambiato, mentre lei indossava un paio di jeans e un giubbotto di pelle nera.
- Che macchina hai?-
Il ragazzo la guardò, sorpreso - Non l’ hai vista?-
Lei scosse la testa - No, sono entrata dal retro -
- Allora ti presento la mia piccola - sorrise lui, aprendo la porta di casa.
La ragazza sgranò gli occhi, esterrefatta. La casa si Paolo era elegante ma discreta, con mobili semplici e pareti intonacate di bianco. Quindi non si era aspettata la magnifica auto sportiva nera che si trovava parcheggiata lì davanti.
- Audi R8 V12 TDI - annunciò il ragazzo - Modificata dai ragazzi del Settore Meccanica -
- E’.... splendida!-
Lui rise - Mi sono concesso un piccolo regalo -
Entrarono nella vettura e subito le saltò all’ occhio che il cruscotto non era come sarebbe dovuto essere.
- Cosa intendevi con “modificata”?-
- Intendevo che hanno tolto qualche optional inutile e aggiunto qualcosa di utile -
- Cos’è questo?- chiese la mora, indicando un pulsante rosso molto vicino al cambio semiautomatico.
- Non toccarlo - le rispose - E’ una sorpresa -
- Come hai fatto a permetterti quest’ auto?-
- Sei fortunata, non riguarda il periodo in cui facevo l’ Agente. Dunque, mi sembra che sia successo più o meno l’ anno scorso - Paolo accese il motore. - Ero in Guatemala per conto del Capo. Un vampiro che gestiva un grosso cartello della droga era troppo sicuro del suo potere. Si era preso delle.... libertà con gli abitanti del luogo -
Il motore ruggì quando Paolo accelerò, mettendo la prima e immettendosi nella strada.
- Così, quando l’ ho eliminato, ho colto l’ occasione e ho aperto la sua cassaforte. C’erano circa dieci milioni di dollari in banconote, due lingotti d’oro, mezzo chilo di diamanti taglia e cinque chili di eroina. Ho preso tutto e sono tornato a casa -
- Cosa te ne sei fatto dell’ eroina?-
- L’ ho fumata - rispose lui, tranquillamente. Scoppiò a ridere davanti alla sua espressione. - Scherzo, l’ho bruciata. Pensavi davvero che facessi certe cose?-
- Non saprei... - rispose lei, ironica - Ormai non so più cosa aspettarmi da te -
Risero entrambi. Poi la naturale curiosità di Elena riemerse . - Non ti sembra, come dire.... immorale, spendere i soldi in questo modo?-
- E perché?- le chiese lui, sinceramente stupito.
- Insomma.... li hai rubati -
- A lui non servivano. Comunque non li ho tenuti solo per me. Ho fatto numerose donazioni anonime a diverse società. A Medici Senza Frontiere, tanto per citarne una. In fondo è meglio che gli abbia presi io. Se fossero finiti in mano ad altri narcotrafficanti sarebbe stato peggio, non trovi?-
Lei annuì. Il ragazzo accese la radio, e nell’ abitacolo risuonò la sigla di RTL 102,5.
Il silenzio tra i due si allargò ancora una volta. Ma non era il silenzio di due persone che non avevano nulla da dirsi, bensì quello si due persone che non avevano bisogno di dirsi qualcosa. L’ ex Agente si ritrovò a sorridere.
 

Il tragitto non fu propriamente tranquillo, perché Paolo sembrava non badare a cosette come i limiti di velocità, anche se faceva attenzione a mantenere un distanza di sicurezza dai veicoli lungo la strada. Perciò viaggiava alternativamente ai cinquanta e ai centoventi all’ ora. Tuttavia non mise mai una marcia sopra la terza.
Arrivarono a Verona con un notevole anticipo, così fecero un sosta al bar. Parlarono del più e del meno, poi il ragazzo disse - Sai, mi sono reso conto che tu sai un sacco di cose su di me, mentre io non so quasi niente su di te. Non mi pare corretto -
- E cosa vorresti sapere?- chiese lei.
- Niente di privato, solo alcune informazioni base. Per adesso mi accontento di sapere da quanto sei Agente e a che età lo sei diventato -
Lei sorrise. - Sono Agente da due anni, e sono entrata nell’ organizzazione a venti -
Lui alzò un sopracciglio. - Sei giovane, per essere un Agente -
- Detto da quello che è diventato la recluta più giovane nella storia è un complimento - Ridacchiò. - D’accordo, non insisto - Dette un’ occhiata all’ orologio in acciaio che portava al polso. - Sono le nove e mezza passate, possiamo iniziare questo giro di negozi - Girarono per le successive due ore. Ogni tanto Elena si fermava in un negozio, ma solo raramente comprava qualcosa. Naturalmente era Paolo a pagare.
- Non devi - gli disse la ragazza, quando saldò il conto del primo vestito.
- Primo, sei mia ospite e quindi pago io. Secondo, non credo che tu abbia molti soldi. Quindi non discutere, che tanto non cambio idea.

Verso mezzogiorno si fermarono a mangiare qualcosa, poi Paolo decise che era meglio tornare a casa.
- E se io volessi fare un’ altro giro?- chiese lei, con uno sguardo malizioso.
- Abbi pietà di me!- la supplicò lui con falsa tristezza, portandosi dietro le borse.
Ridendo tornarono a casa. Il ragazzo poggiò le borse in camera e si diresse in salotto. Lei lo seguì. Come nel resto della casa, le pareti erano bianche. Su una si trovava una grossa libreria. La ragazza guardò incuriosita i titoli. Tra gli altri spiccavano il Ciclo dell’ Eredità, Harry Potter, Artemis Fowl, la serie del Mondo Emerso, il Signore degli Anelli, e una lunga serie di volumi scritti da un certo R. A. Salvatore.
- Ti piace leggere - commentò.
- Mi aiuta a rilassarmi - spiegò, accendendo una TV piatta che sembrava parte della libreria.
- Guardi i Griffin?-
- Sono forti. A te non piacciono?-
Si sedette di fianco a lui su divano. - Al contrario. Li adoro -
Risero insieme alle battute e alle situazioni comiche al limite del surreale del cartone. Una volta finito, Paolo si alzò e andò in cucina, dove cominciò a preparare un impasto.
- Cos’è?-
- Torta artigianale. Per domani. Mi vuoi dare una mano?-
Lei indietreggiò - No, rischierei di far saltare in aria la casa -
- Come vuoi - ridacchiò lui.
Dopo aver messo la torta in forno e programmato il timer le disse. - Stasera devo incontrare un amico. Ti va un giro in città?-

Erano le sette. Si trovano in via Mazzini e stavano entrando in un bar. Paolo diede una rapida occhiata in giro, poi si diresse verso un tavolino in un’ angolo. Quando fu vicino disse - Max, ti ho trovato -
L' uomo di nome Max si girò verso di lui. Aveva quarant’ anni circa, una barba corta color miele e capelli dello stesso colore. Gli occhi erano di un azzurro chiaro, quasi slavato. Era pallido come un lenzuolo.
- Sei uscito di casa, finalmente - esclamò lui, sorridendo. I suoi occhi si posarono su Elena. - E questa bella signorina chi è? Non sapevo che andassi in giro a rimorchiare. La prossima volta vengo con te -
Il ragazzo rise - Questa è Elena, e non l’ ho rimorchiata. Mi è stata affidata -
- Dal Capo? Ha usato la solita scusa del favore personale, immagino -
Lui annuì. - Tu e il tuo onore. Ma stavolta ti è andata bene. Mi ricordo ancora di quella volta in cui... -
- Si, si, la solita vecchia storia. Elena, questo Massimo del Castello - La ragazza gli strinse la mano. - Il miglior informatore di Verona e dintorni, nonché.... vampiro -
L’ Agente si irrigidì - Regolarmente iscritto, naturalmente - concluse il ragazzo. - Lei invece è Elena... - . Esitò, rendendosi conto che non conosceva il cognome.
- Martinelli - completò lei.
Il vampiro spalancò gli occhi, sorpreso. Paolo strinse il tavolo così forte che il legno scricchiolò. Per un istante, nessuno si mosse.
La ragazza sorrise con aria di scusa. - A quanto pare sapete di mio padre -
- E’.... famoso, nel giro - ammise Max, lanciando un’ occhiata all’ ex Agente.
Il ragazzo si ricompose - Molto famoso. Senti, Max, perché mi hai chiamato, l’altro ieri?-
Il vampiro smise di sorridere. - Mi sono giunte voci relative ad un possibile problema -
- Cioè?-
- Non so niente di preciso, ma domani sera ci sarà un’ incontro al solito posto. Lì riuscirò a saperne di più. Verrai anche tu?-
Paolo ci pensò per un’ attimo. - D’accordo. Sarà una buona occasione per mostrare a Elena il lato oscuro di Verona -
Il non- morto si alzò. - Allora ci vediamo domani. Stammi bene - lo salutò, uscendo dal locale. I
l ragazzo rimase fermo a fissare nel vuoto.
- Tutto ok?-
- No. Andiamo a casa -
 

Il ritorno a casa fu silenzioso. Paolo non parlò per tutto il viaggio. Parcheggiò l’ R8 in un piccolo garage e entrò in casa. Elena lo seguì, preoccupata. - Sei arrabbiato?- gli chiese.
- No - rispose lui. Poi le chiese - Tu padre è Alberto Martinelli?-
- Si - rispose.
Il moro colpì il ripiano di pietra della cucina. Con forza. La ragazza pensò che era un miracolo che la pietra non si fosse frantumata. - Perché non me lo hai detto?- le chiese, con la voce che vibrava.
- Non credevo che fosse importante... - si giustificò.
Lui la fulminò con un’ occhiata - Tuo padre è un mezzo vampiro e non lo ritieni importante?-
I mezzi vampiri, nati da padre vampiro e da madre umana, erano uno dei tanti grattacapi dell’ organizzazione. Né vivi né non- morti, non potevano essere classificati a prescindere come una minaccia, ma nemmeno potevano essere lasciati senza controllo. Potevano nutrirsi sia di sangue che come un normale umano, ma avevano le caratteristiche fisiche dei vampiri e questo li rendeva pericolosi. Spesso erano mentalmente instabili, perché la madre moriva poche ore dopo il parto nel 99% dei casi, ed era difficile che il bambino non si sentisse colpevole. Il trauma spesso portava alla schizofrenia, e il fatto che il padre fosse un vampiro non contribuiva di certo a migliorare la situazione.
- Non credevo che ti importasse... -
- Non me ne frega niente che sia un mezzo vampiro, dannazione. Ma hai idea di cosa ha fatto?-
Lei lo sapeva, naturalmente. Era vissuto come un normale essere umano fino all’ età di sessant’anni. Poi si era innamorato di una giovane donna umana. Dato che i mezzo vampiri non invecchiano, era stato ricambiato, ma la ragazza era rimasta incinta. Era un fatto senza precedenti, non si avevano notizia di figli nati da coppie miste mezzo vampiro - umano. Dopo nove mesi nacque una bambina: Elena. Ma la madre morì. Alberto impazzì, si diede alla macchia abbandonando la figlia. Divenne un mostro, un’ assassino, ma da qualche parte era ancora umano, perché ogni tanto andava a trovare la figlia, all’orfanotrofio, e la lasciava sempre dei regali. Poi venne catturato e rinchiuso in una delle celle delle Sedi italiane.
- Lo so che ha fatto cose terribili, è in prigione per questo... -
Le parole della ragazza ebbero un effetto sorprendente su di lui. Parve afflosciarsi. - No - disse.
- No, cosa?- gli chiese, spaventata dal suo improvviso cambiamento.
- Non è più in prigione -
Elena sentì una fievole speranza. Dopotutto era suo padre, e voleva avere l’ opportunità di conoscerlo e vivere con lui. - Lo hanno liberato?- chiese.
Il tono speranzoso della mora parve gli parve una pugnalata - E’ fuggito -
- Quindi è latitante - disse lei, delusa e spaventata allo stesso tempo.
- No - ripeté lui, sempre più triste.
- E allora... -
- E’ morto - scattò lui, incapace di sopportare oltre. - L’ho ucciso io - mormorò subito dopo.
Un silenzio molto spiacevole si allargò nella cucina.
- Tu.... hai.... mio padre... - balbettava Elena, incapace di accettare il fatto.
- Si - rispose lui, non osava alzare gli occhi.
La ragazza non disse niente. Si mosse in direzione della camera da letto.
- Elena... - la chiamò, spaventato dal suo silenzio.
Lei non rispose. Lui la raggiunse e le strinse un braccio.
- Non toccarmi!- urlò, scostandosi con violenza e spingendolo contro il muro con forza sufficiente a frantumargli le costole, se fosse stato un comune umano. Fuggì in camera.
Paolo non si mosse subito, era troppo scosso dalla vista dei suoi occhi pieni di lacrime per reagire. Ma quando sentì i suoi singhiozzi attraverso la porta si fiondò in camera. o l’ avrebbe fatto se non fosse stata chiusa a chiave. Batté un paio di colpi su legno, ma l’ unica risposta che ricevette fu un - Vattene! Non voglio vederti!-
- Elena, ti prego... - la supplicò, ma lei non cedette.
- Va via!- urlò. La sua voce era carica di rabbia e di dolore.
Capendo che non c’era nulla da fare, il ragazzo tornò in cucina. Si sedette su una sedia e si afferrò la testa con le mani. Un’ unico pensiero gli attraversava la mente - Perché io?- 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


- Perché io? -
Paolo non riusciva a pensare che a questo. Perché dovevano capitare tutte a lui? Prima Clara Simonetti, poi Elena. Perché di tutti gli aspiranti Agenti Speciali il Capo gli aveva inviato l’ unica a cui avesse ucciso il padre? Il solo ricordo di quello che era successo a Parigi gli fece venir voglia di vomitare, ma controllò l’impulso. Si rese conto che poteva sapere perché gli era successo. Bastava fare una telefonata....
Senza indugio prese il cellulare e digitò il numero del Capo, uscendo fuori per non farsi sentire. L’ uomo rispose al terzo squillo. - Hunter! è successo qualcosa?-
- Può dirlo forte! Perché mi ha affidato la figlia di Martinelli?- il ragazzo cerco di controllarsi, neanche lui sapeva il perché della sua rabbia.
Non gli piacque affatto il silenzio che seguì. Alla fine il Capo commentò - Glielo hai detto -
Qualcosa nel suo tono paralizzò Paolo. Era troppo calmo, non c’era traccia di sorpresa nella sua voce, come se l’ evento fosse previsto.... o voluto.
Una rabbia primordiale lo consumò quando capì. - L’ ha fatto apposta!- urlò - L’ ha mandata da me perché voleva sapere se poteva fidarsi di lei! I Doppio Zero devono eseguire gli ordini anche se sono contrari i loro principi, voleva vedere come avrebbe reagito per giudicare se fosse adatta all’ incarico! Non posso credere che si sia abbassato a tanto! Si rende conto di cosa ha fatto? L’ ha distrutta! E non pago ha fatto in modo che lo scoprisse da me! L’ assassino! L’ uomo che idolatrava! Lei sa come mi sento adesso?
- Hunter... - disse l’ uomo, cercando di rabbonirlo. Non ottenne l’ effetto sperato. Paolo perse completamente il controllo.
- SPERO CHE ABBIA ALTRI EX DOPPIO ZERO A PORTATA DI MANO, NON SOLO PERCHE’ ELENA NON VORRA’ PIU’ AVERE A CHE FARE CON ME, MA SOPRATTUTTO PERCHE’ CON LEI HO CHIUSO!- Il ragazzo chiuse la comunicazione ma, tutt’altro che rilassato dalla conversazione, tirò un pugno al muro. Una ragnatela di crepe si allargò sulla parete di cemento armato.
Paolo cercò di controllarsi. Si passò una mano sul volto, respirando profondamente. La rabbia c’era ancora, ma com’era sua abitudine analizzò la situazione. Ovviamente quello che aveva fatto il Capo era perfettamente logico. Lui avrebbe fatto lo stesso al suo posto. La colpa di tutto era solo sua.
- Mi sono affezionato a lei. E non dovevo. Non è colpa del Capo. Non poteva prevederlo -
Nonostante tutto, però, l’espediente gli parve troppo crudele. Non era necessario che lo incontrasse di persona.
- Naturalmente dopo avermi conosciuto avrebbe fatto ancora più fatica ad accettare il fatto che ho ucciso suo padre - ragionò - Che piano perfetto! Ora nel migliore dei casi mi odierà e non vorrà più vedermi, nel peggiore mi odierà e tenterà di uccidermi! E la cosa buffa è che non posso farci niente. Non posso uccidere anche lei... -
Con la testa piena di questi foschi pensieri rientrò in cucina. Avrebbe dovuto chiamare qualcuno per sistemare il muro, ma al momento non ne aveva le forze. In più temeva che se avesse sentito la voce di qualcuno si sarebbe messo a urlare. E non aveva voglia di doversi difendere da una denuncia per aver svegliato e minacciato qualcuno nel cuore della notte. Così si limitò a sedersi e a pensare.

Il sole riscosse Paolo dalle sue riflessioni, brillando attraverso le finestre. Dovevano essere passate almeno dodici ore.
Il ragazzo si guardò attorno, semiaddormentato, e notò che qualcosa era cambiato. I singhiozzi che provenivano dalla sua stanza, che avevano composto un tristissimo sottofondo musicale alle sue già cupe elucubrazioni, erano cessati.
Non riusciva a capire se Elena se n’era andata senza che se ne accorgesse o se era ancora in camera. Si alzò sospirando - Caviamoci questo dente - pensò, dirigendosi lentamente verso la porta. Una volta arrivato bussò piano.

Passò molto tempo. Paolo si era ormai convinto che se ne fosse andata quando udì un leggero scatto.
Il ragazzo non osò muoversi. La porta non si aprì. Udì distintamente il rumore di qualcosa che veniva appoggiato sul letto. Esitò. Non sapeva cosa pensare. Si fece coraggio ed entrò.
Elena era seduta sul suo letto, nella stessa posizione in cui era rimasta, probabilmente, per tutta la notte. Aveva gli occhi arrossati e le guance rigate dalle lacrime. Lo sguardo, solitamente allegro, era spento. Gli fece una pena infinita. Si avvicinò cautamente alla ragazza, ancora incerto su cosa avrebbe potuto fare.
- Perché l’ hai fatto?- gli chiese. La sua voce aveva una sfumatura che non riuscì a identificare.
- Missione - spiegò - Dovevo fermarlo. In un modo o nell’ altro -
- Non volevi ucciderlo, vero?-
Stavolta Paolo riuscì a identificare la sfumatura. Era supplica. Gli si strinse il cuore - No - rispose, sedendosi di fianco a lei. Le passò un braccio intorno alle spalle, nel tentativo di consolarla. La ragazza cedette. Le lacrime ricominciarono a scorrere. Si aggrappò a lui. - Perché tu? E perché lui?- gli chiese, ma il ragazzo non aveva la risposta. La strinse delicatamente, in quel momento le parve più fragile di un bicchiere di cristallo. Pianse a lungo.
Quando sentì che si stava calmando, Paolo le disse - Mi dispiace tanto, Elena. Io non volevo che succedesse. Non volevo.... Non volevo... - La ragazza si calmò pian piano, asciugandosi le lacrime. - Com’ è successo?-
- Sei sicura di volerlo sapere?- Annuì.
Per la seconda volta in pochi giorni Paolo prese fiato e cominciò a raccontare.
 
Parigi, 3 Ottobre 2009, ore 14.32.
La sua preda era vicina. Lo sentiva. Percepì l’ eccitazione della caccia unita al sollievo. Finalmente sarebbe riuscito a farla finita. Quel bastardo si era fatto seguire per mezza Europa. Prima Praga, poi Barcellona, seguita da Monaco, Dublino, Amsterdam, Varsavia, Odessa, Lisbona e Mosca, addirittura. Ma questa volta non sarebbe arrivato con poche ore di ritardo, abbastanza da sentire le coperte ancora calde.
Hunter guardò la Torre Eiffel, dove il suo bersaglio era salito. Chissà cosa aveva intenzione di fare. Sapeva di essere braccato, altrimenti non sarebbe fuggito in quella maniera, ma a meno che non avesse intenzione di buttarsi non poteva sfuggirgli. E nemmeno un mezzo vampiro poteva cadere da più di cinquanta metri e sperare di sopravvivere.
Il ragazzo lasciò da parte questi interrogativi e cominciò a salire. Raggiunse il primo piano. Quando le porte si aprirono si trovò davanti una sala semidesertica, come il giorno in cui era stato attaccato dal demone. Ora sapeva che dipendeva dalla tensione emanata dalle creature dell’ ombra. Gli umani di solito erano poco sensibili a tale tensione, tanto che potevano vivere per anni a fianco di vampiri senza accorgersene, ma nei momenti di pericolo tale tensione raggiungeva livelli talmente elevati da far fuggire più o meno velocemente qualunque umano.
Lanciò una rapida occhiata alle persone nella terrazza, ma lui non era lì. Così riprese a salire. Arrivato all’ ultima terrazza controllò se per caso il bersaglio era nei paraggi. Infatti era lì.
Indossava un cappotto di cuoio sgualcito che aveva visto tempi migliori. Portava, per qualche oscuro motivo, un paio di occhiali da sole. La sua pelle era di un bianco innaturale, in netto contrasto con i folti capelli corvini.
Alberto Martinelli si girò pigramente verso di lui. - E così mi hai trovato - disse senza la minima traccia di paura. Sembrava annoiato.
Hunter lo guardò dritto negli occhi. - Arrenditi, Martinelli. Non puoi fuggire. Consegnati senza tante storie agli Agenti e vedrai che tra qualche decennio sarai libero -
- Mi sa di no, ragazzino. Adesso sono già libero. Perché dovrei farmi arrestare? - rispose il mezzo vampiro.
- Se sconterai i tuoi crimini poi potrai vivere senza essere braccato fino alla fine della tua vita. o della tua non- vita.... Certo che con voi mezzosangue si fa fatica a decidere. Ma lasciamo perdere. So che hai una figlia, Martinelli. Non vuoi provare a redimerti, per amor suo? è tutto ciò che ti rimane. Pensaci -
Per un’ istante, quando il suo avversario abbassò lo sguardo, pensò che avrebbe accettato. - No, ragazzo, tu non puoi capire. Ho perso la mia donna, e questo è stato un dolore immenso, ma come mi sentirei se dovessi perdere anche mia figlia? Lei non vivrà in eterno, io sì. E quando lei raggiungerà sua madre nel sonno eterno, cosa rimarrà di me, se non un guscio pieno di odio e di dolore? Non intendo cambiare strada adesso. E ho scoperto che il sangue fresco è molto meglio di quello dei donatori... -
Hunter guardò con un misto di pietà e disgusto l’essere che aveva davanti. Era un’ uomo distrutto, il dolore per la morte della sua compagna aveva lasciato una ferita troppo profonda per poter essere guarita. Ma aveva scelto la strada del sangue, e per questo era giusto che pagasse. E forse l’ isolamento lo avrebbe fatto rinsavire. Valeva la pena di provarci.
- Te lo ripeto per l’ultima volta, Martinelli. Arrenditi -
Il mezzo vampiro non gli rispose. Con un’ urlo gli si avventò contro.
Paolo roteò su sé stesso, evitò il goffo attacco e gli sferrò un calcio sulla schiena. Martinelli rotolò per qualche metro, poi si rialzò e tentò di attaccarlo di nuovo. Il ragazzo evitò anche questo assalto. L’ uomo non usava nessuna tattica, cercava di sopraffarlo con la pura forza e velocità che il suo sangue di vampiro gli conferiva. Ma per un combattente esperto e non propriamente “umano” come Hunter era un gioco da ragazzi battere un simile avversario.
Mentre il mezzo vampiro gli saltava addosso per la terza volta l’ ex Agente gli afferrò un braccio, lo distese e lo colpì al gomito. Carne e pelle si lacerarono quando frammenti di osso si staccarono, mentre il gomito si piegava dalla parte opposta rispetto a quella che la natura avrebbe voluto. L’ uomo cadde in ginocchio.
Paolo non si fece commuovere dai lamenti. Sapeva che il braccio sarebbe guarito in un paio
di giorni. Ma il mezzo vampiro non era disposto a cedere. Con uno scatto cercò di buttarlo a terra. Lui rispose colpendolo con una spallata allo stomaco. Gli afferrò le gambe e lo alzo da terra, con l’ intenzione di rovesciarlo sulla schiena. Ma doveva aver calibrato male le forze, perché il suo avversario volò in aria come se non pesasse più di un fuscello.
Il tempo parve rallentare mentre il ragazzo calcolava mentalmente la traiettoria del corpo. Sarebbe finito oltre la ringhiera. Paolo si mise a correre, raggiunse il bordo dalle terrazza e si allungò, cercando di afferrarlo....
Lo mancò. Di poco. Per un’ attimo, mentre gli passava davanti, aveva avuto l’ impressione che sorridesse. Guardò impotente Alberto Martinelli che precipitava per trecento metri, fino alla strada.
Il ragazzo diede un pugno alla ringhiera metallica, piegando il ferro. Non doveva finire così. Certo, la missione prevedeva di rendere inoffensivo il bersaglio, e quindi tecnicamente aveva compiuto il suo dovere. Ma non era così che doveva finire....
Le sirene della polizia lo convinsero a muoversi. Non sarebbero riusciti a provare che lo aveva ucciso lui, ma non era il caso di farsi trovare nei paraggi. Lasciò la torre e si diresse alla stazione, deciso a prendere il primo treno per l’ Italia. Non poté trattenersi dal dare un’ occhiata a ciò che rimaneva di Alberto Martinelli. Mentre fissava i resti martoriati del mezzo vampiro mormorò - Hai trovato la pace ora, Martinelli?-

 
Paolo concluse il racconto con lo stesso tono con aveva usato mentre fissava il mezzo vampiro.
Il silenzio che si allargò tra i due giovani era denso di tristezza.
Elena non riusciva a staccare gli occhi da quelli del ragazzo. In essi c’ era una grande tristezza. Gli dispiaceva davvero per quello che era successo. Gli passò le braccia attorno al petto. - Non è colpa tua -
Lui scoppiò a ridere - Ho già sentito questa frase -
Lei non lo mollò. - Mi dispiace per come ho reagito prima. Non dovevo. Ma era mio padre... - Una lacrima le scivolò per la guancia.
Paolo l’ asciugò - Non scusarti. è normale -
La ragazza stava per piangere ancora - Abbracciami - sussurrò.
Lui l’ accontentò. Cercò di trasmetterle tutto il conforto che poté.
Dopo molti minuti le disse. - E’ ora di dormire. Stasera dobbiamo incontrarci con Max, ti ricordi?- fece per staccarsi, ma lei lo trattenne.
- Non lasciarmi sola. Ti prego -
- Non ti sembra di correre un po’ troppo? Ci conosciamo solo da due giorni - replicò lui, cercando di scherzare.
- Ti prego - ripeté lei, e il suo tono fu sufficiente a farlo vacillare.
- Non mi sembra il caso, Elena. Davvero - disse lui, serio.
- Ti prego - ripeté lei per la terza volta. Lo stava praticamente supplicando.
Il ragazzo cedette. - D’ accordo, ma promettimi che farai la brava - rispose, non proprio scherzosamente.
Si distesero sotto le coperte. Lei gli appoggiò la testa sul petto. - Grazie, Paolo -
- E di cosa?- chiese lui.
- Di essere mio amico -
Elena si svegliò molte ore dopo, quando il cielo era già scuro. Cercò Paolo, ma si era già alzato, anche se non da molto. Le coperte avevano ancora il suo odore.
Si alzò lentamente. Ripensando a quello che aveva fatto si diede della stupida. - Ma cosa avevo in mente? Mi sono comportata come una bambina! E in più l’ ho costretto a dormire con me - Al pensiero sentì un forte calore sul viso. - Chissà cos’ ha pensato. è troppo gentile per non ascoltare una supplica come quella, ma anche abbastanza cavaliere da sentirsi a disagio. Sono un’ idiota!-
Si diresse in cucina. Lui era lì. Stava preparando un pranzo leggero - Buona sera - le disse.
- Ciao - lo salutò lei, sedendosi.
Le mise davanti una fetta di torta e una tazza di cioccolata calda. - Mangia qualcosa, ho la sensazione che la serata sarà movimentata -
Lei diede un morso alla torta. Era squisita. - Buona. Come l’ hai fatta?-
- Latte, uova, farina, zucchero, un po’ di burro e lievito - rispose, prendendo una fetta anche per lui. - La lascio lievitare per un paio d’ ore e poi la metto in forno. Niente di particolare -
- Sei un’ ottimo cuoco - commentò lei.
- Ho imparato da mia madre - rispose, mentre un velo di tristezza gli oscurava gli occhi.
La ragazza prese la tazza. - Paolo.... scusa per stamattina. Non dovevo costringerti a rimanere -
- Tu ti scusi troppo spesso. Quello che è fatto è fatto. Ma non devi preoccuparti. Non potevo certo rifiutare - disse lui, bevendo un sorso di cioccolata.
Finirono di mangiare in silenzio. - Dov’ è che dobbiamo incontrarci con Max?- chiese la ragazza.
Lui sogghignò. - Sarà una sorpresa -
Era mezzanotte in punto. Paolo indossava i vestiti da missione, mentre Elena non si era cambiata. Stavano camminando in Piazza Bra. Non erano armati, ma non servivano le armi.
- Mi vuoi dire adesso dov’ è che stiamo andando?- gli chiese la ragazza.
Lui si limitò ad entrare nell’ Arena. Paolo scese nei sotterranei, con Elena che lo seguiva. Si sentiva un brusio intenso. Girata l’ ultima svolta si trovarono al centro di una bolgia.
Decine di persone affollavano gli antichi corridoi, parlando animatamente o bevendo qualcosa. Paolo sembrava essere una presenza nota. La sua sola presenza bastava ad aprire un varco in mezzo alla folla. Elena osservò le diverse emozioni che affioravano sul volto dei presenti. Alcuni sembravano arrabbiati, altri ammirati. La maggior parte, comunque, era intimorita.
Raggiunsero uno spiazzo che si doveva trovare pressappoco al centro dell’ Arena. Lì era stato montato un palcoscenico in cui lottavano vari personaggi. Il più appariscente era un uomo calvo che aveva le stesse misure di un armadio a due ante, che indossava solo un paio di pantaloni per mettere in risalto la muscolatura possente.
- Che posto è questo?- chiese al ragazzo.
- Un raduno. Quelli che vedi qui sono tutti vampiri o licantropi. Ogni tanto si riuniscono per un po’ di sana competizione tra rivali o semplicemente per potersi rilassare senza essere costretti a nascondere la loro natura - spiegò lui.
- Non ne ho mai sentito parlare... - obiettò la ragazza.
- Non lo sbandierano in giro. Comunque sia questo è il posto migliore per scoprire se ci sono problemi. Max sarà qui tra poco, se non è già arrivato. Vieni - disse, conducendola verso un tavolino. Indicò un balcone poco distante.
- Se vuoi bere qualcosa puoi ordinare lì. Fai il mio nome e non ci saranno problemi -
I due Agenti rimasero seduti per un paio di minuti, poi Max li raggiunse - Ciao, giovani. Ho delle notizie - disse, sedendosi.
- Non buone, presumo - commentò Paolo, alla vista della faccia scura dell’ amico.
- Sembra che stia per arrivare a Verona un gruppo di vampiri selvatici - dichiarò l’ uomo.
- Cazzo - imprecò il ragazzo. Era un bel problema.
- Già - assentì il vampiro. - Non ci voleva. Un branco di assassini che ignorano il Patto non aumenterà certo l’ afflusso di turisti -
- Mi stupisco sempre che ci siano vampiri che scelgano di rinunciare ad avere sangue garantito per diventare fuggiaschi - confessò Elena.
- Per alcuni una vita da criminali ricercati è un prezzo relativo da pagare per l’ eccitazione della caccia - disse l’ ex Agente. - Bisogna avvertire il Capo. Sai quanti sono?- chiese, rivolto a Max.
- Non proprio - ammise quest’ ultimo - Ma sembra che non siano più di quattro -
- Non molti - commentò lui.
- Già. Senti, ho una notizia importante, ma vorrei parlartene in privato -
Paolo lanciò un’ occhiata a Elena. - Puoi parlare tranquilla. -
- In privato!- ribadì il non- morto.
Sorpreso, il ragazzo si alzò. - Ok. Elena, scusami un secondo -
Lei gli fece segno di non preoccuparsi. Ancora vagamente sorpreso per la richiesta, il ragazzo seguì Max.
Il vampiro lo condusse oltre ad un muro. - Paolo, devi stare attento. Prima o poi lo scoprirà e a quel punto chissà come potrebbe reagire... -
- Se ti riferisci a Elena allora i tuoi timori sono infondati. Gliel’ ho detto ieri sera -
Max sbatté le palpebre, interdetto. - Cos’ hai fatto?-
- Hai capito benissimo -
- E... lei come l’ ha presa?-
- Secondo te?- ribatté Hunter, sarcastico.
- Domanda stupida. Ma mi sembra che ti segua ancora... -
- Lo sai che sono una persona affascinante - scherzò lui, perché in effetti si stupiva che Elena l’ avesse perdonato.
Max rise. - Va bene. Ora ascoltami. Ci sono voci non confermate riguardo la presenza di... - il vampiro esitò.
- Di?- lo incalzo l’ altro.
- Una donna con gli occhi rossi - concluse.
Paolo sentì il sangue che gli si ghiacciava nelle vene. - E’ tornata - sussurrò, mentre il ricordo di quel giorno gli riempiva la mente.
- Così pare -
La sensazione di gelo scomparve, sostituita da una determinazione feroce. - Deve sperare di non incrociarmi per strada, o le staccherò la testa con le mie mani - ringhiò con rabbia. Riprese il controllo. - Grazie, Max. Tienimi informato - Il vampiro annuì.
Il ragazzo fece per tornare da Elena, ma girato l’ angolo la vide circondato da tre o quattro ragazzi. Presagendo che la situazione stava per degenerare si affrettò a raggiungerla.
- Sei sola, piccola?
La voce riscosse Elena dalle sue riflessioni. Un quartetto di ragazzi le si erano avvicinati. Dovevano essere licantropi, non avevano l’ aspetto dei vampiri. Erano palesemente ubriachi. La ragazza riusciva a sentire l’ odore di alcol.
- No - rispose, cercando di farli sloggiare.
Il più grosso non parve sentirla. - Non va bene che una ragazza così carina giri da sola. Vieni con noi - Le afferrò un braccio.
Lei si liberò con uno scrollone. - Non sono sola, scimmione. Sparisci -
La sua resistenza parve eccitare il gruppetto. - Focosa la ragazza. Ci divertiremo - commentò uno.
Paolo giunse in quel preciso istante, mettendosi protettivamente tra lei e i lupi mannari. Non apprezzarono la cosa.
- Levati dalle palle - disse il capo, spingendolo.
Lui non arretrò di un millimetro. - Signori - esordì, cercando di evitare la rissa. - Siete in errore. La ragazza è con me. Non roviniamoci il piacere della festa per una piccolezza -
- Facciamo quello che vogliamo - rispose il licantropo, aggressivo.
Nella voce di Hunter si insinuò un lieve tono di minaccia. - Non vale la pena di discutere per questo -
- E se decidiamo di prenderci la ragazza e di riempirti di botte? Cosa farai, umano?- ringhiò l’altro.
Per risposta lui si levò la giacca e la passò a Elena. Poi diede le spalle al gruppetto.
- Bravo, scappa - lo derisero, fraintendendo le sue intenzioni.
Senza dire una parola Paolo salì sul ring con un’ unico balzo. L’armadio umano lo fissò. - E tu chi sei?-
Lui non rispose. Fece scricchiolare rumorosamente la nocche. - Allora pelatone, pensi di riuscire a durare più di un minuto contro di me? Sto aspettando. Fatti sotto!-

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


L’intera sala si bloccò. Tutti fissarono il ragazzo. Nessuno parlò.
- Tu sei matto, ragazzino. Sparisci - gli rispose il colosso. Era alto almeno due metri e doveva pesare almeno il doppio del ragazzo, ma quest’ ultimo non retrocesse, anzi.
Con uno scatto fulmineo che la maggior parte delle persone colsero come un macchia confusa Paolo percorse i tre metri che lo separavano dal gigante e lo colpì con un pugno atomico dritto allo stomaco. L’ uomo indietreggiò boccheggiando.
- Forse adesso mi prenderai sul serio - commentò.
L’ armadio semovente gli si scagliò addosso. Lui lo schivò senza fatica. - Sei lento. Non colpiresti una roccia nemmeno se ce l’ avessi davanti. Forse ti servono gli occhiali - lo sbeffeggiò.
Urlando come un ossesso la massa di muscoli cercò di afferrarlo, ma l’ ex Agente lo colpì con una veloce raffica di pugni.
- Puoi fare meglio di così. o forse no - lo provocò il ragazzo.
L’ uomo cercò di schiacciarlo, ma Hunter gli rifilò un ginocchiata sullo sterno, lo colpì con un manrovescio e gli falciò le gambe con un calcio, buttandolo a terra. Cocciutamente lui si rialzò. Il pugno diretto al volto del ragazzo venne prontamente intercettato. Con una torsione Paolo spedì nuovamente l’ avversario al tappeto. Con uno sforzo titanico si rialzò di nuovo, caricando il moro e sferrando una raffica di pugni.
Con consumata abilità Hunter evitò tutti i colpi tranne l’ ultimo, che bloccò afferrando il polso del gigante. Lentamente e senza alcuno sforzo glielo torse. Un millisecondo prima di spezzarglielo lo mollò, roteò su sé stesso volteggiando in aria e lo colpì con un devastante calcio rotante sullo zigomo.
Il colosso volò oltre il ring e atterrò sopra un tavolino, polverizzandolo e spendendo ovunque pezzi di vetro, schegge di legno e bevande varie. Per un secondo si mosse, cercando di rialzarsi. Poi si arrese e svenne.
Tranquillamente, come se non avesse appena steso centocinquanta chili di muscoli in quaranta secondi, Paolo scese dal palco e tornò da Elena. La ignorò e si rivolse al licantropo - Hai qualcosa da dire?-
Lui e i suoi compagni svanirono in meno di dieci secondi.
Sogghignando si girò verso la ragazza. - Mi ridai la giacca?-
Senza una parola gliela restituì. Nell’ ambiente il silenzio era così denso che sembrava liquido.
- Meglio andare. Oserei dire di aver dato abbastanza spettacolo per oggi -
Seguiti dal silenzio stupefatto che ancora aleggiava i due uscirono dall’ Arena. La ragazza ancora non riusciva a proferir verbo. Lo seguì meccanicamente. Parlò solo dopo un po’. - Dove siamo?- chiese, accorgendosi di non conoscere quella zona di Verona.
Lui sorrise - Questo è Ponte Pietra, una meraviglia dell’ architettura romana. è in piedi dalla fondazione della città -
- Interessante, ma perché siamo venuti fin qui?-
- Volevo farti vedere una cosa. Guardati attorno -
Lei obbedì. La prima cosa che le saltò all’ occhio erano le molte luci che brillavano sulle colline nello sfondo, ancora coperte di alberi. Poi il suo sguardo vagò sul fiume, illuminato dalla luce dei lampioni. Non vide nulla di particolarmente interessante. - Cosa dovrei vedere?- - Solamente la città. Non riesci a capire? Forse no. La verità è che il nostro lavoro ci chiude gli occhi, Elena. o forse è l’ essere umano che è fatto così. Non riusciamo a goderci la vita semplicemente per quello che è. Non riusciamo ad apprezzare la semplice bellezza. Qui intorno la città vive, piange, ma noi ci ricordiamo che è così solo quando salviamo la vita di un’ innocente o quando non riusciamo a farlo - Scoppiò a ridere. - Scusami, sto divagando. Ti ho portato qui perché la città di notte mi piace, e volevo mostrartela -
Elena lo fissò, sbalordita. Paolo era una continua fonte di sorprese. Non si era immaginata nemmeno in sogno che potesse dire cose del genere. Guardò di nuovo il panorama, ma con occhi diversi. - Hai ragione. è bellissima - mormorò. Il ragazzo sorrise, e lei non poté che sorridere a sua volta. Rimasero a lungo, vicini, ad ammirare la città, che sotto il loro sguardo pulsava, scorreva.... viveva.
 
 
Stavano percorrendo Corso Porta Nuova, diretti al parcheggio in cui Paolo aveva lasciato l’ auto. Elena faticava a stargli dietro. - Paolo, rallenta!-
Lui la guardò, sorpreso. - Scusa, è tanto che non cammino con qualcuno. Mi sono dimenticato che non tutti reggono il mio passo - Rallentò un attimo.
Con più calma ripresero a camminare. Ora che non doveva usare tutto il fiato che aveva per stare al passo la ragazza decise che le dovesse spiegare alcune cose. - Come hai fatto a stendere quel mostro?- chiese, riferendosi all’ episodio dell’ Arena.
Tentò di eludere la domanda con grazia. - Non l’ hai visto? Alla Chuck Norris!-
- Non insultare la mia intelligenza. Eri il miglior Doppio Zero dalla Sede, questo lo sanno tutti, ma c’è una bella differenza tra uccidere demoni armato e con una squadra alle spalle e sconfiggere un licantropo di un quintale e mezzo a suon di calci! Come fai ad essere così forte?-
Lui si bloccò. Preoccupata, cercò i suoi occhi. Ma ciò che vide furono due pozzi pieni di dolore. - Mi dispiace, ma non sono pronto a parlarne. Non ancora. Tu non conosci la sofferenza dei Doppio Zero. Ancora non sai cosa significa esserlo. E ora che ti ho conosciuto, preferirei che non lo scoprissi - Lei indietreggiò, l’ amarezza nella sua voce l’ aveva colpita con la stessa forza di un pugno. - C’ è troppo sangue sulle mie mani. Sangue di persone che potevano, dovevano essere salvate. Persone come tuo padre -
- Non è stata colpa tua - cercò di consolarlo. - Io ti ho perdonato... -
- Ma io non mi sono perdonato - esclamò lui. - Io potevo salvarlo! E non l’ ho fatto! Ora vivrò nel rimorso non solo di aver spento una vita, ma di averla anche rovinata a te!- si interruppe. - Non sono un’ eroe, Elena. So che molti lo pensano, che tu lo pensi, ma non lo sono. Non avrei mai voluto essere un’ Agente. Se potessi dimenticherei tutto quello che so e tornerei a casa mia. Voglio rivedere mio padre, mia madre, mio fratello e perfino quella rompi anima di mia sorella... -
- E allora perché non lo fai? Perché non torni da loro?- gli chiese, arrabbiata.
- Perché non posso dimenticare. Ormai so che cosa succede. Come potrei vivere in pace sapendo che, se mi ritirassi, ancora più persone che posso aiutare moriranno. Ci sarebbe ancora più sangue.... Il mio destino è segnato. Finché vivrò sarò un Agente. Almeno qui - concluse, portandosi una mano petto.
La ragazza lo abbracciò. Stupito, cercò di liberarsi, ma con poca convinzione. - Paolo, è proprio per questo che sei un’ eroe - gli disse, tenendolo stretto. - Perché combatti anche se non vuoi. Perché preferiresti mille volte rimanere a casa, ma ogni volta che c’è bisogno di te sei in prima linea, a rischiare la vita per una causa in cui credi - si staccò, guardandolo negli occhi con tale intensità da costringerlo ad abbassare lo sguardo. Gli appoggiò la mano sulla guancia. - Tu sei un’ eroe, Paolo. Lo so. Non permettere ai sensi di colpa di distruggerti -
Lui non parlò subito. Le afferrò la mano e gliela strinse. - Grazie, Elena. Ma ci vorrà ancora tempo perché possa sentirmi pronto a raccontarti il mio passato. Alcuni ricordi sono troppo dolorosi -
Lei voleva dirgli che non voleva altro che liberarlo da quel dolore, ma si trattenne.
- Cosa mi prende? Perché mi lascio andare in questo modo?-
- Capisco - rispose.
Lui non disse nulla, la sua mano era ancora stretta attorno a quella di lei. Rendendosi improvvisamente conto di quello che stava facendo la lasciò andare.
- E’ meglio che ci muoviamo - disse, nascondendo il suo imbarazzo.
Ripresero a camminare, fianco a fianco. Raggiunsero la macchina e si sedettero, in silenzio. Paolo era ancora stupito del suo comportamento.
- Devo essere malato. Perché le ho detto quelle cose? Devo controllarmi -
L’ Audi partì con un rombo. Il ragazzo la mise in strada, mentre i suoi pensieri ancora vagavano sulla conversazione di poco prima.
Poco distante una figura osservava la scena dal tetto di un’ edificio. Portava un lungo cappotto bianco, i suoi capelli avevano lo stesso colore del fuoco. Gli occhi erano in ombra, ma brillavano nell’ oscurità come due tizzoni ardenti. Sorrise, rivelando canini affilati. - Il gioco si fa interessante -

Provincia di Verona, 1 Febbraio 2010, ore 6.03
Elena si stiracchiò languidamente, cercando di emergere dal sonno. Come al solito, le arrivò l’ odore di caffè. Sbuffando si diresse in cucina.
- Buongiorno - la salutò Paolo, intento a tagliare due fette dalla torta casereccia. - Dormito bene?-
La ragazza mugugnò qualcosa di incomprensibile. Si sedette. Una tazza di caffè si materializzò sotto il suo naso.
- Non mi sembri in gran forma - commentò. - Non riesci a dormire?-
Non l’ avrebbe mai ammesso, ma la verità era che da quando erano andati all’ Arena cercava di svegliarsi prima di lui per sorprenderlo mentre dormiva. Finora non aveva avuto molto successo.
- Tu come fai a essere sempre sveglio? Non dormi mai?-
- Solo quando ho voglia - rispose lui, e non riuscì a capire se era serio o no. Borbottando bevve un paio di sorsi.
- Non dovresti sforzarti in questo modo. Ti fai solo del male - le disse.
La mancanza di sonno evidentemente non aiutava il buonumore. - Ma taci. Non sei mica mio padre -
Seguì un lungo silenzio. - Scusa -
- Non fa niente - rispose lui.
Un altro paio di sorsi aiutarono l’ Agente a levarsi il sonno di dosso e a schiarirsi la mente. - Allora che si fa oggi?-
- Non ho niente in programma. Tu cosa vuoi fare?-
- Mi sento un po’ giù di forma. Mi piacerebbe una piccola seduta d’allenamento -
- Si può fare - disse Paolo, finendo la sua fetta di torta con due morsi.
Pochi minuti dopo i due erano in un vasto ambiente illuminato da vari faretti. - Questa è la mia cantina. Se vuoi fare un po’ di allenamento questo è il posto giusto - Indicò una porta laterale. - Puoi cambiarti lì. Ci sono degli armadietti, ma non so se ci sono vestiti adatti -
- Come mai hai costruito un posto del genere?-
- Ogni tanto il Capo mi manda dei potenziali Agenti e mi chiede di testarne le capacità. Ovviamente li massacro ogni volta, ma continuano ad arrivarne. Così, per evitare di rompere qualcosa, ho riadattato lo scantinato a palestra -
La ragazza sparì dietro la porta. Aprì un paio di armadietti a caso, ma la maggior parte dei vestiti era troppo grande per lei. Sospirò - Perché tutti gli Agenti sono degli armadi? Beh, tutti tranne Paolo. Eppure ha la forza di un leone -
La mora si fermò a riflettere sull’ inspiegabile forza fisica dell’ ex Doppio Zero. Di sicuro non era un licantropo, non era previsto che i non- umani potessero entrare nell’ organizzazione e comunque sarebbe apparso nella scheda. Né era un mezzo vampiro, se ne sarebbe accorta. In effetti le storie sulla sua attività di Agente mettevano sempre in evidenza la sua straordinaria abilità, non aveva mai sentito dire che fosse particolarmente forte....
No, doveva essere successo qualcosa prima che smettesse di lavorare per la Sede, e forse la stessa cosa che lo aveva convinto a lasciare l’organizzazione. - Ma cosa?- si chiese.
Relegò la domanda in un angolo del cervello. Quando sarebbe stato il momento Paolo le avrebbe spiegato tutto. Ritornò ad aprire gli armadietti. Alla fine trovò un paio di pantaloni e una maglietta a maniche corte, rigorosamente nera, che le andavano piuttosto bene. Soddisfatta uscì dallo spogliatoio e trovò il ragazzo già pronto, vestito come lei. Mentre lo guardava si accorse che non era “pompato”, i muscoli non erano gonfi, anche se erano evidenti. Era strano, le aveva dato sempre l’ impressione di essere un tipo robusto, ma in realtà aveva il fisico atletico e le spalle larghe di un nuotatore, non di un lottatore....
Si riscosse quando lui la guardò. - Stai benissimo - le disse, senza malizia.
La ragazza arrossì violentemente. - Grazie -
- Non ti avrò mica messo in imbarazzo? Ti ho solo fatto un complimento - rise lui.
- Certo che no!- protestò lei, diventando ancora più rossa.
- Ho capito - disse lui, sghignazzando. - Cominciamo?-
La suoneria del cellulare rimbombò nella stanza. Con due passi Paolo raggiunse il giubbotto abbandonato su una panca e rispose. - Capo?-
- Hunter, so che in questo momento non sei molto felice di sentirmi... -
- Non si preoccupi, Capo. La situazione è sotto controllo. Mi permetta di scusarmi. Ho reagito in maniera esagerata -
Il direttore sospirò. - Sono contento di sentirtelo dire. Temevo di aver perso un valido alleato -
- Cosa la porta a chiamarmi?-
- C’ è un demone di classe C che sta dando un po’ di problemi ai miei uomini -
- Mi ha chiamato per questo? Potrei offendermi -
- Il demone sta devastando Piazza Erbe. Stiamo cercando di isolarlo, ma dobbiamo anche evacuare i civili. Se raggiungi la zona ci dai una mano eviteremo molte vittime -
Paolo fece un paio di conti. Ci avrebbe messo una quindicina di minuti ad arrivare in zona, se gli Agenti avevano sgomberato la strada e portato via le persone. - Arrivo - disse, interrompendo la telefonata.
- Che succede?- gli chiese Elena.
Paolo afferrò katane, pistole e pugnale. - C’è del lavoro da fare - rispose.
Paolo guidò in maniera molto sportiva, sorpassando quelli che andavano troppo piano, ossia tutti. In venti minuti era sul lato nord di piazza Erbe. La zona era deserta come il giorno in cui era stato attaccato, ma non altrettanto silenziosa. Urla terrorizzate e profondi ruggiti risuonavano nel Centro Storico.
- Situazione - disse il ragazzo al primo Agente che vide. Elena quasi non lo riconobbe. Era sparita la luce che di solito gli brillava negli occhi, era sparito il suo sorriso. Era tornato l’ Agente Speciale 0011, Hunter.
- Siamo riusciti a portare in salvo tutti i civili, ma il demone è ancora fuori controllo -
Paolo diede una rapida occhiata alla piazza. Individuò subito il mostro, una sorta di gorilla rossiccio con gambe ridicolmente piccole e braccia esageratamente grandi, che stava urlando in mezzo ai banchetti.
- Non ho tempo da perdere per queste cazzate - sbuffò - Dammi quel fucile - disse all’ Agente, indicando il grosso fucile a pompa che portava.
- Come?- disse quest’ ultimo.
- Dammi quel cazzo di fucile, Agente!- esclamò.
Vedendo che esitava glielo strappò letteralmente dalle mani, mirando al gorilla. Per un momento rimase immobile, prendendo la mira, poi premette il grilletto.
Il proiettile percorse roteando la linea che Hunter aveva stabilito, conficcandosi nella spalla del demone.
L’ urlo scimmiesco della creatura infernale fu così forte da frantumare un paio di finestre.
- Bel colpo - si complimentò l’ Agente.
- L’ ho mancato - ribatté l’ ex Doppio Zero - Miravo alla testa -
Elena lo guardò stupefatta. L’ aveva mancata si e no di un paio di centimetri.
- State indietro - disse, estraendo le katane.
Il grosso gorilla aveva individuato il terzetto e si stava dirigendo verso di loro urlando. Il ragazzo gli corse incontro. Quando mancavano un paio di metri all’ impatto si bloccò, mettendosi a gambe larghe e mulinando le lame in un doppio fendente diretto alle costole del mostro. Colto alla sprovvista quest’ ultimo non riuscì ad evitare che le lame affilate lo colpissero, aprendo due profondi squarci sanguinanti. Il ragazzo fu rapido a evitare un brutale manrovescio, scivolando sotto il braccio teso. Rinfoderate le spade ed estratte le pistole gli sparò due colpi all’ ascella , ma la resistenza soprannaturale del demone lo salvò. Paolo si buttò in mezzo ai banchetti continuando a sparare, ferendo più volte il suo avversario al petto e alle braccia. Con un balzo felino arrivò in cima al monumento, una specie di cappella stilizzata - non aveva mai capito cosa fosse - per poi saltare all’ indietro per sfuggire ad un pugno che crepò la pietra. Furioso, il demone lo seguì. L’ ex Agente prese la mira, mentre saltava il gorilla demoniaco non poteva evitare facilmente le pallottole.
Una serie di click gli annunciò che aveva finito i proiettili. E gli ricordò che, nella fretta, si era dimenticato i caricatori di riserva. Imprecando in una mezza dozzina di lingue Paolo eseguì una fenomenale giravolta aerea, sfruttando il successivo pugno del demone come appoggio. Atterrò sul selciato con le pistole nella fondina e le mani sulle else della katane. Stufo di tutta la situazione decise di chiudere la partita. Si girò di scatto, evitò l’ ennesimo pugno, recise i tendini del braccio sinistro del gorilla con un fendente. Il braccio, che stava per essere appoggiato a terra, non resse il peso del mostro e cedette. Il demone fu abbastanza veloce da usare l’ altro braccio per reggersi, ma la testa si era abbassata pericolosamente. Con un lampo d’ acciaio Paolo calò le katane sul collo esposto.
La testa del demone cadde per terra un secondo prima che il corpo crollasse.
Il ragazzo ripulì la lame sporche di sangue sulla pelliccia rossiccia del gorilla, mentre un squadra di Agenti armati fino ai denti irrompeva nella piazza. Ignorandoli ritornò dall’ Agente. - Riferisca al Capo che la situazione è sotto controllo -
Si rivolse alla ragazza. - Andiamo?- Lei annuì.
Salirono in macchina e tornarono a casa. Una volta rientrati Paolo era tornato quello di sempre.
- Ti va ancora di fare quel piccolo allenamento?- le chiese.
La ragazza non poté nascondere la sua sorpresa. - Non sei stanco?-
- Chi, io? Quattro giorni fa ho ucciso un demone classe A da solo. Avversari del genere me li mangio a colazione con latte e panbiscotto. Ma se hai paura di farti male... -
- Certo che no! è che un Agente normale... -
- Io non sono normale - la interruppe lui.
Lei si zittì. Quella era un’ affermazione che non poteva negare.


Una decina di minuti più tardi i due si trovavano nella palestra, pronti per l’ allenamento.
- Cominciamo?- le chiese.
Lei annuì e partì all’ attacco.
L’ ex Agente dovette ammettere che Elena era molto brava. Aveva ereditato dal padre una forza e una velocità di gran lunga superiori a quella di un normale umano, anche se inferiori a quelle di un vero vampiro o mezzo vampiro. Tuttavia compensava con un’ abilità nelle arti marziali che solo un maestro possedeva, combinata con una certa creatività che la portava a inventare nuove mosse in grado di confondere anche il più esperto combattente.
Dal canto suo l’ aspirante Doppio Zero paté avere un’ assaggio della leggendaria abilità dell’ Agente Speciale 0011. Sapeva che possedeva una forza mostruosa e un velocità accecante, e l’ aveva visto in azione abbastanza da capire fin dove poteva spingersi. Ma sperimentare sulla propria pelle cosa voleva dire affrontarlo era un esperienza sconvolgente. Sembrava intoccabile. Sgusciava sotto i colpi come un serpente, bloccava pugni che potevano trapassare l’ acciaio come se fossero la manate di un bambino. Non attaccò mai, si limitò a difendersi, compito che richiedeva una certa fatica. Dopo una mezz’ora era sudato e aveva il fiatone, ma Elena era distrutta. Faceva fatica persino a muoversi.
- Meglio che ci fermiamo - le disse - Non sei più in grado di combattere -
Lei si limitò a fare si con la testa, non aveva abbastanza fiato per rispondere a parole. Il ragazzo le cedette l’ uso della doccia, si sarebbe lavato dopo. Mentre si rilassava sotto il getto d’acqua calda la ragazza ripensò all’ allenamento. Si era divertita, nonostante tutto. Era stato interessante confrontarsi con Paolo, le dava un’ idea di cosa fosse necessario per essere un Doppio Zero. - Però lui non vuole che lo diventi - ricordò, mentre le sue parole le rimbombavano nella mente - Tu non conosci la sofferenza dei Doppio Zero -
- Cosa voleva dire?- si domandò la mora, mentre l’ acqua le scorreva sul viso.
Il ricordo dell’ allenamento le aleggiò nel cervello, facendole rivedere ogni colpo sferrato e ogni singolo movimento del ragazzo. Rivide la sua maglietta, fradicia di sudore, che si incollava al corpo, lasciando intravedere il fisico scolpito....
Si strappò ai suoi sogni ad occhi aperti - Ma che sto facendo?-
Turbata, cercò di calmare il cuore che batteva forte. - è il mio maestro. Il mio maestro e il mio amico. Nient’altro - si ripeté, cercando di convincersi.
Ma ormai non ne era più tanto sicura.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Uscì dalla doccia avvolgendosi nell’accappatoio che aveva comprato non più di qualche giorno prima. Era ancora stupefatta per i suoi pensieri. - Non posso concedermi simili fantasie - si disse.
La voce di Paolo la fece sobbalzare. - Hai detto qualcosa?-
- Ma che fai, mi spii?- ribatté la ragazza, girandosi per controllare che la porta fosse ancora chiusa. Lo era.
- Stavo passando e ti ho sentito parlare. Ti serve niente?-
- No, pensavo a voce alta - rispose la mora.
- Se hai bisogno fammi un fischio - disse, allontanandosi.
Elena si appoggiò la mano sul petto, sentendo il cuore scoppiarle. - Non va bene. Non va affatto bene -
Più tardi stavano mangiando un piatto a base di patate arrosto e pollo allo spiedo. Elena piluccava il cibo, immersa nei suoi pensieri. Paolo la guardava preoccupato, ma non disse niente. Finì di mangiare e sparecchiò, per poi risedersi e aspettare che dicesse qualcosa. La ragazza uscì dal suo mutismo all’ improvviso. - Quanto resterò qui?-
Lui la fissò, perplesso. - Non mi hanno dato una scadenza precisa. Immagino che resterai finché non ti ordineranno altrimenti -
- Capisco - disse lei, cupa.
- Ho fatto qualcosa di sbagliato?- le chiese, credendo che la colpa fosse sua.
- No - rispose lei, con la stessa voce funerea.
- Elena - le disse - Se non vuoi rimanere qui devi dirmelo. Convincerò il Capo a farti assegnare ad un’ altro. Almeno la mia opinione conta ancora qualcosa per lui -
Lei alzò lo sguardo dal tavolo. - Non ti importa se me ne vado?-
- Non ho detto questo! Ma non posso obbligarti a fare quello che non vuoi - le rispose.
La ragazza rimase in silenzio per un po’. - Non devi preoccuparti. Non mi dispiace stare qui. Ho altri problemi -
- Posso aiutarti?-
- No, ma grazie - rispose lei, sorridendo per la prima volta nella serata.
Lui rispose al sorriso. - C’ è una soluzione per il tuo problema. C’è sempre una soluzione. Non abbatterti e continua a sperare. Alla fine passerà tutto -
- Magari fosse così - pensò a mora. - Grazie per l’ aiuto -
Poche ore dopo Elena stava tentando di addormentarsi, ma i pensieri turbinanti le impedivano di prender sonno. Si rigirava continuamente nel letto, facendo cigolare rumorosamente le molle, finché la voce di Paolo non la raggiunse dal salotto, scocciata. - Elena, puoi darti una calmata? Gradirei che il mio letto fosse ancora intatto domattina -
La ragazza sussultò, aveva dimenticato che normalmente Paolo dormiva in quel letto, anzi che ci aveva dormito anche un paio di giorni prima, con lei....
- Scusa - gli rispose.
- Elena, non devi continuamente pensare al tuo problema, qualunque esso sia. Non migliorerà certo la situazione. Rilassati e vedrai che la soluzione arriverà quando meno te l’ aspetti - riprese il ragazzo più dolcemente. - Buonanotte -
- Buonanotte - disse lei, avvolgendosi nelle coperte.
Era buio. Per un’ attimo non capì dov’era, poi gli occhi si abituarono all’ oscurità.
Paolo era disteso sul letto, nudo dalla vita in su. Elena si sentì arrossire. Poi i suoi occhi videro le bende che gli coprivano il fianco sinistro. Erano completamente rosse di sangue.
La ragazza sentì qualsiasi traccia di calore abbandonarla. - Paolo!- esclamò, spaventata.
Lui la guardò. Ogni movimento sembrava costargli una fatica immensa. Non disse nulla. Si limitò a sorridere.
Un fremito lo percorse, il sorriso divenne una smorfia. Si irrigidì per un momento, poi si rilassò.
- Paolo!- urlò, terrorizzata. Lo toccò. Era gelido. Cercò il polso, ma non sentì niente.
Una marea di emozioni la travolsero. Tristezza, perdita, abbandono, dolore.... - Paolo! Nooooooo!-
Si svegliò di soprassalto, urlando. Per un’ attimo fu troppo sconvolta per rendersi conto che Paolo non era di fianco a lei, poi la realtà si fece evidente. Si prese il volto tra le mani, singhiozzando. Sentiva ancora il dolore straziarle il cuore come se le avessero infilato dei coltelli roventi....
Paolo entrò nella camera con tanto impeto che quasi scardinò la porta. Spade in pugno esaminò velocemente la situazione. - Elena! Stai bene?-
La ragazza non rispose. Continuò a singhiozzare. Dopo essersi assicurato che non ci fossero pericoli buttò via le katane e si avvicinò al letto. Si sedette di fianco a lei. - Tranquilla. Era solo un’ incubo - le sussurrò dolcemente.
Lei lo abbracciò forte, piangendo senza ritegno. Era un sensazione meravigliosa, sentirlo vivo vicino a lei. Non poteva crederci. Si godette il calore del suo corpo, ricordava ancora quando lo aveva sentito freddo come un pezzo di ghiaccio...
Lui rispose all’ abbraccio. Le accarezzò i capelli, cullandola dolcemente. - E’ finito. è tutto finito - le ripeté.
La ragazza lo strinse più forte, come se temesse di vederlo sparire da un momento all’ altro. Lui le passò la mano sulla schiena, mentre l’ altra continuava ad accarezzarla. Lentamente si calmò. - Scusa, ti ho svegliato - disse, senza mollarlo.
Paolo non fece il minimo tentativo di liberarsi. - Non importa. Non è successo niente -
La ragazza fremette, ma non era per il freddo. Paolo si sbagliava. Qualcosa era successo. Ora aveva capito.

 

Per Elena i giorni seguenti furono contemporaneamente un sogno e una tortura. Un sogno perché, dopo aver finalmente capito quello che provava, stare con Paolo era tutta un’ altra cosa. Si sentiva leggera, amava tutto di lui, il suo sorriso, la sua voce, il suo essere spiritoso pur non essendo eccessivo. D’ altra parte fu una tortura perché, nonostante tutto, non se la sentiva di dichiararsi, temendo di rovinare tutto. Così doveva continuamente frenarsi, ricordandosi che lui era un Agente molto più esperto, un veterano che aveva visto molto e che non dimenticava facilmente. Lei sapeva che si sentiva in colpa per la morte di suo padre e che forse era proprio per questo che era gentile. Non riusciva a capire cosa provava per lei. Così, un giorno, decise di fare una prova.
Fino a quel momento Elena non era mai uscita da sola. Seguiva sempre l’ ex Doppio Zero. Fu quindi comprensibile la sorpresa di quest’ ultimo quando gli si piazzò davanti e gli chiese - Mi presti la macchina?-
- Perché?- volle sapere.
- Voglio fare un giro. Starò via solo qualche ora - rispose lei.
- Allora ti accompagno - disse lui, mettendo via il giornale e alzandosi.
- No!- esclamò. Lui la guardò stupito. - Devo vedermi con una persona -
Gli occhi del ragazzo divennero due fessure. - E chi sarebbe questa persona?- le chiese, calcando l’ ultima parola.
- Un vecchio conoscente -
Parve esitare per un attimo, poi disse - Mi prometti che starai attenta e non farai niente di stupido?-
- Parola di scout - rispose, facendo il saluto.
Le lanciò le chiavi. - Cerca di portarmela indietro intera - scherzò, riprendendo il giornale.
 

Elena andò all’ appuntamento con un vecchio compagno della Sede.
- Allora... - le chiese lui dopo un po’ - Com’ è Hunter?-
Lei esitò, riflettendo su quanto poteva rivelare. - Hai presente tutte le voci che girano su di lui? Ecco, togli tutte quelle negative. è così -
Paolo stava preparando il pranzo quando il cellulare squillò. - Capo -
- Ho delle notizie per te. Su Elena. Ma non ti piaceranno -
Lui rise - Suvvia, cosa può aver mai combinato?-
Glielo disse. E aveva ragione. Non gli piacque per niente.

La ragazza tornò molto tardi, verso le nove di sera. Non aveva intenzione di fare così tardi, ma si era persa nella conversazione con quel vecchio compagno. - Sono tornata!- annunciò, andando in cucina. Paolo era lì. Elena capì all’ istante che qualcosa non andava. L’ espressione di calma serena che portava di solito era stata sostituita da un’ espressione cupa che non gli si addiceva. - Ti sembra l’ ora di tornare?- le chiese, irritato.
- Ho perso la cognizione del tempo... -
- Perché non mi hai detto che ti trovavi con un tuo ex?-
- Mi hai spiato?- gli chiese, stupita.
- Me l’ ha detto il Capo. Non dovevi farlo -
- Sei geloso?- lo stuzzicò lei.
Si era aspettata diverse reazioni. La più probabile era che le dicesse “no” e le fornisse un valido motivo per cui non avrebbe dovuto incontrare quel ragazzo, con cui aveva avuto una storia in passato. Una meno probabile era che non rispondesse. L’ ultima, che più che una possibilità era una speranza, era che le dicesse “si”. Quello che non si era aspettata era che esplodesse.
- SPARISCI PER TUTTA LA GIORNATA E L’ UNICA COSA CHE TI VIENE IN MENTE E’ DI CHIEDERMI SE SONO GELOSO!?-
Capì all’ istante che aveva ragione. Non poteva lasciarlo senza notizie per tutto il giorno. Lui sapeva che era perfettamente in grado di difendersi, ma quando i nemici erano demoni non era il caso di abbassare la guardia. Doveva essersi preoccupato da morire. Cercò di dire qualcosa, la le corde vocali avevano deciso di prendersi una pausa caffè, così rimase muta.
Paolo era semplicemente furioso - Ora ascoltami bene! Sturati le orecchie e accendi il cervello! Tu non ti puoi innamorare di qualcuno!-
La ragazza non l’ aveva mai visto così. Era terribile. Ma più del suo tono la colpirono le sue parole. Si sentì punta sul vivo. Lui non poteva sapere, naturalmente, ma le fecero male lo stesso. La rabbia le ridiede la voce. - Posso fare quello che voglio!- urlò.
- No, non puoi!- ribatté lui, a tono.
- Perché?-
- Perché è pericoloso!-
- Sono in grado di difendermi da sola!- gridò.
- Quanto sei ingenua. Non è pericoloso per te, ma per lui!-
Elena fu talmente scioccata dalla risposta che non riuscì a parlare. Aprì e chiuse la bocca diverse volte, come un pesce.
Il ragazzo continuò, con un tono di voce più basso ma comunque arrabbiato. - Stai per diventare un’ Agente Speciale. I nemici di quel livello non sono come gli altri demoni. Sono subdoli. Giocano sporco. Se tu ti affezioni a qualcuno ti rendi vulnerabile, perché loro possono usare questa cosa contro di te. In più metti in pericolo un’ altra persona. Pensi che si facciano pochi scrupoli a rapire qualcuno, se serve ad attirati in trappola? Pensi che esiterebbero ad ucciderlo, una volta che ti hanno catturata o uccisa? Non puoi innamorati - La rabbia lentamente lasciava la voce dell’ ex Doppio Zero. - Vorrei che non fosse così, ma non sta a me decidere. Quando sei entrata per la prima volta alla Sede hai fatto una scelta. Hai deciso la tua strada. Questo è il prezzo da pagare. Devi accettare le conseguenza della scelta che hai compiuto quel giorno - Ora era triste. Neanche a lui piaceva, ma aveva sperato che Elena fosse libera dai vincoli che l’ essere Agente Speciale comportava. Sospirò - Dormici sopra -
La ragazza andò in camera e si distese sotto le coperte. Solo allora si concesse il lusso di piangere. Piangeva perché Paolo aveva ragione. Piangeva perché aveva capito che anche se lui l’ amava non sarebbero mai potuto stare insieme. Piangeva perché, ora che le aveva detto tutto questo, capì che lo stava mettendo in pericolo.
Paolo sentì i singhiozzi della ragazza anche se lei tentava di non farsi sentire. Si odiava per quello che le aveva detto, ma soprattutto perché lui era il primo che aveva infranto quella regola non scritta dei Doppio Zero. Le era piaciuta fin dal primo momento che l’ aveva vista, e ora le diceva che non poteva amare. Cercava di proteggerla, ma così facendo non faceva altro che metterla in pericolo. Era proprio un’ ipocrita.

 

Il mattino dopo Elena trovò Paolo pronto per uscire. - Che succede?- gli chiese.
- Il Capo mi ha chiesto di fare rapporto -
- Devo venire anch’io?-
- Se ti va... -
La ragazza andò in camera e indossò un paio di jeans e una maglietta color porpora.
 

Raggiunsero la Sede in una mezz’ora. Appena entrati molti salutarono Elena. Le parole rivolte al ragazzo non furono altrettanto amichevoli. - Invidiosi - sbuffò, ignorandoli.
Raggiunsero la porta con la scritta Direttore. Stavolta la segretaria non era distratta.
- Ciao - li salutò.
Paolo rispose al saluto - Ciao. Quanto tempo è che non ci vediamo?-
- Una settimana - rispose lei . - Come se non lo sapessi benissimo!-
- Troppo tempo - ridacchiò lui.
Elena era stupefatta. Da quando Paolo era così aperto con qualcuno? Sentì una fitta di gelosia.
- Il Capo ti aspetta - disse la donna. I suoi occhi scuri si puntarono sull’ Agente. - Ma lei non può entrare. Sono sicura che capisci -
- Ma certo - concordò Hunter. Si rivolse direttamente alla ragazza - Non fare sciocchezze - le disse, prima di entrare nell’ ufficio.
Elena non fu affatto felice di dover rimanere in compagnia di quella donna. Continuò a fissare la porta finché non sentì che diceva - E così tu sei l’ Agente 81. Molto piacere. Io sono Clara - Le tese la mano.
Le lanciò un’ occhiata omicida - Elena - disse, gelida.
Clara ritrasse prudentemente la mano. - Posso farti una domanda?-
Lei avrebbe voluto risponderle con un secco “no”, ma le venne in mente Paolo. Lui non avrebbe fatto una cosa del genere. - Dimmi pure - si costrinse a rispondere.
- Cosa ne pensi del nostro ex compagno?- le chiese, sinceramente interessata.
Esitò. Alla fine rispose - E’.... diverso.... dagli altri Agenti. Non so bene come spiegarlo. è come se fosse... -
- Sé stesso - completò Clara. Rise davanti all’ espressione sconcertata dell’ Agente. - Ero già segretaria del Capo quando fu arruolato. Lo conosco bene. Guardati attorno. Tutti quanti, qui, indossano una maschera. Nascondono sotto di essa tutte le loro paure, le loro ansie. Hunter non è così. Lui è rimasto lo stesso ragazzo che si unì all’ organizzazione non per vendetta, ma perché sentiva che era giusto - La donna sorrise, come se stesse rievocando un ricordo felice. - Non incontrerai mai più uno come lui. Sai, la maggior parte degli Agenti dopo un paio d’ anni perde l’ entusiasmo che aveva all’ inizio.... o muore. Lui no. Crede ancora negli ideali che lo spinsero a rinunciare alla sua vita. Onore, onestà, giustizia, fedeltà, amicizia... -
- Ma come fa?- le chiese.
- Uno dei più grandi misteri della modernità. Come fa l’ ex Agente Speciale 0011, il miglior Agente dell’ ultimo secolo, lo spietato cacciatore di demoni, a essere sempre allegro, sempre disponibile, sempre presente per chi ne a bisogno? Come fa a ignorare gli orrori che combatte? Come è riuscito a mantenersi puro, quando il suo lavoro gli impone di non esserlo? Non lo so, Elena. Ma posso dirti una cosa. Sei molto fortunata a essere stata assegnata a lui. Non esiste qualcuno che possa temprarti meglio. Conosco gente che sarebbe disposta a fare qualsiasi cosa per essere al tuo posto. Soprattutto belle ragazze - scherzò.
All’ Agente non piacque affatto l’ultima parte del discorso, e doveva essere abbastanza evidente, perché Clara aggiunse subito - Scherzavo, non c’è bisogno che fai la gelosa -
- Io non sono gelosa!- esclamò subito lei.
La donna ghignò malignamente - Guarda che si vede che sei stracotta, è inutile che neghi -
La faccia della ragazza divenne dello stesso colore della maglia. - Si nota così tanto?- si domandò.
- Non importa - disse a voce alta - Non mi vuole - continuò, un po’ triste.
- Gliene hai parlato? Wow, hai fatto in fretta -
- No, non gliene ho parlato. Ma lui... - Non riuscì ad andare avanti.
- Non è detto che l’ abbia capito. è una delle persone più acute che conosca, ma a volte non è molto sveglio. E non ha l’ occhio femminile per certe cose -
- Però... -
Con tono serio Clara le disse. - Ascoltami. Tu non puoi nemmeno immaginare quello che ha passato. E non è mai stato un tipo molto espansivo. Ha bisogno di tempo, non è disposto a fidarsi senza aver conosciuto a fondo una persona. Ma tu gli piaci. Anche questo si vede. Non te lo dirà mai, è troppo timido, ma fidati di me. Farà la cosa giusta -
Elena la guardò con gratitudine. - Grazie, Clara. Sei molto gentile. Ma perché mi aiuti?-
- Perché? Perché Hunter ha sofferto tanto in vita sua, anche se è molto giovane. è la persona migliore che conosca, è mio amico, e io voglio che sia felice. E con te.... non lo so.... mi sembra più sereno. Perciò non arrenderti -
La ragazza rifletté sulle sue parole. Ora che ci pensava, si rendeva conto che Paolo era davvero quello che lei aveva definito scherzosamente “un nobiluomo di altri tempi”. Clara aveva ragione. Meritava di essere felice.
Sperava solo di essere anche lei parte di quella felicità.

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