Yesterday, love was such an easy game to play.

di broken wings
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** stay young and invincible. ***
Capitolo 2: *** but say that you'll stay. ***
Capitolo 3: *** how many special people change? ***
Capitolo 4: *** we weren't meant to be grown ups. ***
Capitolo 5: *** life is hit and miss, and this I hope I think I know. ***
Capitolo 6: *** and it's never gonna be the same 'til the life I knew comes to my house and says: ***



Capitolo 1
*** stay young and invincible. ***


Yesterday, love was such an easy game to play.

Ho deciso di intitolare la storia con il famoso brano dei Beatles, Yesterday, perché il racconto che qui troverete comincia dal principio, da quando gli Oasis non esistevano neppure, da quando tutto doveva ancora nascere e tutto doveva ancora essere vissuto. 
Grace è un personaggio puramente inventato, tuttavia il nome l'ho scelto dopo aver visto un'intervista dove Our Kid diceva che questo nome fosse probabilmente uno dei suoi preferiti. Sulla base di questa esclamazione ho creato questa fanfiction, immaginando che storia ci fosse dietro a quel nome, quella ragazza.
Riguardo Peggy, Tommy, Noel, Liam Gallagher e il resto dei personaggi realmente esistenti, non ho alcuna intenzioni di offenderli, né di dare descrizione veritiera dei fatti o caratteri di ciò che troverete. 
Tengo tuttavia a precisare che avvenimenti come la violenza del padre Tommy nei confronti della moglie, o l'espulsione dalla scuola di Noel, sono realmente accaduti.
Rispondo ed accetto ogni sorta di critica purché sia costruttiva e motivata. 
Non so quanti capitoli verranno pubblicati, non ho alcuna idea di come formulare proseguimenti e continui, quindi aspetto che arrivi la cosiddetta ispirazione e che mi aiuti per il secondo capitolo. Il primo, mi è venuto giù quasi automaticamente, quindi non riponete troppa fiducia in questa FF! :)
Nel frattempo grazie per la lettura, e buon proseguimento (?) 


 



Stay young and invincible.


 

- Psss, Grace, è per te! Indovina di chi è?
La bambina sbuffò, succedeva con frequenza ogni mercoledì di ogni settimana. Controllò con attenzione che la maestra non li stesse vedendo: non avrebbe mai voluto essere ripresa di fronte alla classe, né tanto meno che la signorina Johnston leggesse il foglietto accartocciato che puntualmente riceveva ogni mercoledì della settimana. Sapeva già cosa c'era scritto:
ti vuoi mettere con me? 
Si - No 

Mike, il suo compagno di banco mostrava una risatina quasi di compassione nei confronti dell'altro bambino. Non si dava pace. Lei strappò il foglio proprio di fronte ai suoi occhi e gli disse, alla fine della lezione: 
- William, no, no e no. Che devo fare per farti smettere di mandarmi bigliettini?
- Mi devi dire di sì! Ti prego, ti prego, ti prego! 
fece dunque il bambino, con i suoi occhi verdi già sognanti. 
- Ma se ti dico di sì, poi te la finisci? 
- Certo! 
- Va bene, allora stiamo insieme. 
La bambina se ne andò con la coda di cavallo che le svolazzava da destra a sinistra, verso le sue amichette che sorridevano e parlavano bisbigliando stupite dell'accaduto. Liam rimase a guardarla quasi ipnotizzato. 
- Hey William, riprenditi. 
gli fece dunque Mike, appoggiando la sua mano sulla spalla dell'altro bambino.
- E' la cosa più bella di tutta la mia vita!
esclamò l'altro.


- Allora, andiamo a casa insieme? 
- Mh. Che pappa.. 
In realtà tornavano sempre da scuola insieme, però il fatto che lui gliel'avesse dovuto chiedere, rendeva il tutto più ufficiale e serio. Lui saltellò lungo il marciapiede allegro, ma Grace lo fermò giusto in tempo, osservando:
- Oggi non aspettiamo Noel? 
- Ah, è vero. 
fu perciò la risposta delusa del bimbo, che dall'euforia si era addirittura dimenticato di lui. Si sedettero così sulla vecchia panchina di legno sbiadito di fronte alle scuole superiori, dove di lì a poco sarebbe dovuto uscire il fratello. Attesero cinque minuti in silenzio, seguiti poi da altri cinque, e da altri cinque ancora. Aspettarono mezz'ora ma alla fine non uscì più nessuno dal cancello arrugginito di quell'edificio. 
- Io ho fame. Andiamo a casa. 
suggerì perciò la bambina.
- Ma Noel non c'è.. 
- Starà a casa! I miei mi aspettano per pranzo. 
- Ma stamattina siamo andati a scuola insieme, non puo' stare a casa.
- Dai, muoviti Liam, anche Peggy si arrabbierà se non ci sbrighiamo! 
Grace si alzò con volto autoritario, vide il bambino con un volto terribilmente affranto, e per spingerlo a seguirla gli porse la propria mano, accompagnando quel gesto con un sorriso rassicurante. Ovviamente Liam la seguì. 
Aveva la mano che gli sudava in un modo mai provato prima, e si vergognò immensamente per questo. Così, quando arrivò il momento di separare le strade e rientrare ognuno nella propria abitazione, William ne fu in parte sollevato. 
- Ciao, dopo usciamo a giocare, no?
- Ok!
- E poi dovresti spiegarmi matematica, che non l'ho capita tanto..
La bambina fece una breve risatina. 
- Va bene, però digli a tua madre di preparare i panini buoni con il salame. Il succo di frutta l'ha comprato ieri mamma.
Chiuse il piccolo cancello del giardino dietro le sue spalle, e lo salutò poco prima di chiudere anche la porta di casa. Dalla finestrella, Liam potè vedere Grace che abbracciava calorosamente il padre in soggiorno, il quale le toccava teneramente i lunghi capelli mori. 
Purtroppo la situazione non era la stessa in casa sua: quando entrò vide Noel seduto a tavola, e d'impulso gli venne da sorridere. Ma poi, si accorse che sua madre si trovava di fronte a lui, chiaramente sconvolta. 
- Hai fatto venire qui il preside della scuola, Noel.. che figure mi fai fare? Tu.. tu non capisci che non si devono fare questo genere di cose? Cos'ho sbagliato, con te? 
Peggy era quel genere di madre che non riusciva neanche ad arrabbiarsi con i propri figli, gli voleva bene ed era tutto ciò che aveva. 
- Non hai sbagliato niente, mà. Non è colpa tua. Era solo un fottuto scherzo! 
- Non dire parolacce in questa casa.
- Si, mamma.
- E ad ogni modo, era uno scherzo di cattivo gusto. Dovrai crescere prima o poi! 
- Tutti i miei compagni hanno riso! E' stato davvero divertente! 
- Non hanno riso con te, hanno riso DI te. E' diverso. E' grave.
- Hanno riso di Mr. Gilbert, non di me! Dovevi vedere la sua faccia! Era pieno di farina, completamente bianco! E' stato bellissimo!
- Dannazione, Noel. Queste cose non vanno fatte, punto! Ti hanno espulso, lo capisci?! Hai soli quindici anni! Che ne farai della tua vita?! Sei un ragazzo intelligente, avresti potuto studiare, stavo già mettendo.. sai, dei soldi da parte. 
- Mamma mi dispiace, ma lo studio non fa per me. Rinchiudersi in una stanza, per anni, sopra a dei libri.. e per cosa? Per un foglio di carta che ti dice che sei così intelligente da poterti permettere un buono stipendio? E' una stronzata assurda. Preferisco lavorare come fruttivendolo, piuttosto!
Peggy rimase in silenzio per un po', poi si voltò verso Liam, si scusò con lui e lo salutò con un bacio affettuoso. 
- Io ho aspettato Noel per mezz'ora.. 
mormorò il bambino chiaramente offeso. 
- Non lo dovrai più aspettare, torni a casa da solo da oggi in poi. Ormai sei abbastanza grande. 


Ma arrivò un giorno che portò con se tanta, tanta, tanta neve e la scuola venne chiusa la mattina stessa senza preavviso, a Manchester non erano abituati a cambi di clima del genere. Grace e Liam tornarono perciò a casa, e quest'ultimo desideroso di una buona cioccolata calda, decise di invitare la bambina in casa sua. Si sentiva un po' di trambusto dalla strada della via, e inizialmente William credette che fosse Noel mentre litigava con Peggy, su chissà quale problema riguardante il futuro del ragazzo. Ma c'era una figura ben più alta del quindicenne, di fronte a sua madre. E sua madre, aveva un volto ben più spaventato di quando era in loro compagnia. Inizialmente, la donna, neanche vide i due bambini sull'uscio della porta. 
- Vattene Tommy. Vattene. 
Continuava ad indietreggiare e la sua voce tremava, le scendeva del sangue dal labbro ed aveva l'occhio sinistro viola. Liam si voltò d'impulso verso Grace: aveva gli occhi sbarrati e si aggrappò al braccio dell'amico. 
- Non urlare.. 
le bisbigliò William. Nel frattempo vagò con lo sguardo lungo la casa, e vide sconcertato che Noel si trovava in pigiama nascosto sulle scale, senza fiatare, mentre guardava la scena. Dagli occhi gli si leggeva la paura, ma non era una buona giustificazione per rimanere lì impietrito senza muover dito.
-  Tommy.. Ti prego.. C'è Noel di sopra e potrebbe svegliarsi.. 
L'uomo scoppiò in una rumorosa e finta risata, aveva un tono di voce squallido quando disse:
- Dai, vieni Peggy. Vieni qui. Non ti faccio niente, ci divertiamo un po', facciamo.. 
- Smettila! Vattene! Mi fai schifo, vattene!
Silenziose lacrime rigavano il volto di Peggy e diventavano rosacee quando incontravano il sangue delle piccole ferite che le unghie del marito avevano provocato nel suo viso. 
- Forse non hai capito ciò che intendevo dire.. 
Si avvicinò lentamente alla donna, le strinse i polsi così forte che la madre cominciò un urlo disperato. Anche Grace piangeva, e Liam capiva tristemente come le cose sarebbero andate avanti, se lui stesso non avesse fatto qualcosa. Si avvicinò alla scrivania accanto la porta d'ingresso, prese un souvenir che i nonni gli avevano portato da non so quale posto: era di pietra, abbastanza pesante e con un'infrenabile impulso lo lanciò, colpendo il tendine del ginocchio destro di Tommy. L'uomo si piegò a terra e la madre guardò sconvolta la presenza di tutti quei bambini nella stanza. Noel scese le scale di corsa, si avvicinò al padre e dopo un forte calcio allo stomaco, gliene diede un altro dritto in volto. Liam si avvicinò a Grace, che purtroppo tremava ancora e Peggy corse verso i due dando loro un abbraccio di una forza travolgente. 
- Scusatemi, vi prego perdonatemi.. 
- Mamma, non ti preoccupare.. Non è niente..
Grace non riusciva a dire una parola, e una volta staccatesi dall'abbraccio, la donna si voltò rabbiosa verso il marito:
- Non tornare mai più. Mai. Prendi le ultime cose e vattene sul serio. 
Tommy si alzò dolorante da terra, lanciò uno sguardo duraturo a Noel e la madre si affrettò di avvicinarsi a quest'ultima, accarezzandogli protettivamente i capelli. A testa alta soprassò la cucina ed il salone, dirigendosi verso le scale per fare le valigie. Finalmente. 
- Sono curioso di sapere come manderai avanti questi tre figli!
disse, una volta arrivato all'uscio della porta. Non fece in tempo a terminare la frase che Liam sibilò qualcosa come:
- Sono curioso di sapere che ne farai della tua vita! Anzi, no.. Non me ne può fregar di meno.
Noel sorrise, e Grace si aggrappò ancora più forte alle braccia del bambino.
- Fatti rivedere da queste parti e chiamo la polizia, è una promessa. 
L'uomo si voltò versò la porta e la chiuse dietro di sè. Peggy si avvicinò alla porta, poi alla finestra e lo vide uscire dal giardino senza mai voltarsi. 
- E' finita..
Verso mezzogiorno e tre quarti Grace dovette tornare a casa per il pranzo, William decise di accompagnarla fino alla strada che divideva le loro case. 
- Mi dispiace per oggi
cominciò lui.
- Non è colpa tua
- Ho deciso io di prenderci la cioccolata calda. Potevamo benissimo tornare ognuno a casa propria e dormire.
- Non lo sapevi..
- Mi dispiace
La bambina si sedette lungo il marciapiede e Liam si accorse che tremava ancora. Lei si sentì il peso del suo sguardo su di se e fece, come per giustificarsi:
- Ho soltanto un po' di paura.. Ora passa..
- Lascia stare, non passa. Io ho questa paura da anni.. A casa tua non succedono queste cose ma io vorrei soltanto che non ne parlassi con i tuoi. Ho la mamma migliore del mondo e non vorrei che venisse giudicata o che altro.
- Non ne farò parola, giuro.
Lui si avvicinò e le lasciò un leggero bacio sulla guancia e prima che lei rientrasse, aggiunse:
- Ah, Grace!
- Sì?
- Se stanotte hai paura, accendi la luce e spegnila per due volte consecutive. Penso che la mia cameretta affacci sulla tua. L'altro giorno ti ho visto mentre saltavi sopra il letto, era una scena buffa.
La bambina rise, e William pensò che fosse la cosa più bella della giornata.

 

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Capitolo 2
*** but say that you'll stay. ***


Yesterday, love was such an easy game to play.

Questo è l'ultimo capitolo dell'introduzione alla fanfiction, dal terzo capitolo comincerà la storia ambientata nella fine degli anni ottanta, dove Liam e Grace saranno quindicenni, e Noel un ventenne.
Grazie per le recensioni, accetto sempre consigli, spunti ed idee per uno svolgimento :) 


 


But say that you'll stay.
 
 

Dopo quattro giorni lei trascinava la piccola rossa valigia lungo il viale di Burnage, lui scostò la leggera tenda biancastra, rovinata e consumata dal tempo, e la vide di nascosto cercando di non farsi scoprire. Non voleva che lui la vedesse andar via. Lei appoggiò con fatica il bagaglio accanto la macchina, lui credette che partisse senza neanche dare un'ultima occhiata al giardino dove giocavano da sempre, al cancello dove ogni volta si erano dati appuntamento, alla porta di casa dove per lei era successo il disastro. Ma proprio quando credette che la bambina si fosse già dimenticata di lui, ecco che il suo volto velocemente si girò verso la finestra di casa sua, la stessa dove in quel momento la stava spiando. Lei lo fissò, lui la fissò, nessuno sorrise, nessuno pianse, nessuno si salutò, ma entrambi sapevano che si sarebbero mancati da morire.

Il giorno dopo l'accaduto, Grace lo aveva aspettato in fondo alla strada: non di fronte casa sua, come avevano sempre fatto. Quella mattina, quando Liam uscendo dal giardino scorse la figura della bambina in attesa di lui in un posto leggermente più lontano da quello solito, cominciò a farsi qualche domanda. Ben presto decise di lasciar stare, credendo che non fosse in fondo nulla di rilevante. Era eccitato dall'idea di avere la sua prima fidanzata e riguardo gli avvenimenti della giornata precedente già non ci pensava più. Non era una novità la presenza di Tommy, e la violenza che lo accompagnava era divenuta quasi familiare, scioccante sì, ma pur sempre familiare.  
- Ieri ho acceso e spento le luci della camera per due volte come mi avevi detto tu, però non è successo nulla.
Mormorò la bambina, senza neppure salutarlo o accennargli il perché di quello spostamento. Lo guardava ancora con lo stesso sguardo spaventato che aveva ieri, probabilmente aveva dormito poco a causa degli incubi, e a sentire la sua voce insicura e tremolante, Liam si sentì improvvisamente catapultato a sua volta in quelle cattive sensazioni. 
- Mi dispiace... io già dormivo.
- Avevi detto che se avevo paura dovevo farlo, e tu avresti rimediato. 
Grace si voltò e cominciò a camminare più velocemente del solito, il bambino la seguì in silenzio, non sapeva cosa dire e si sentiva imbarazzato. Provava a guardarla negli occhi ma aveva i capelli che le coprivano il viso, così si ritrovò a dover abbassare lo sguardo sulle vecchie scarpe bucate che indossava, neanche fossero un gran bello spettacolo. 
- Ma te la sei presa?
- No, affatto. Non è quello.
Liam annuì, e solo poi, le chiese:
- Allora cosa c'è?
Lei cominciò a mangiucchiarsi le unghie, lo faceva sempre quando era in ansia e lui l'aveva imparato a forza di osservarla quando le maestre la interrogavano di fronte la classe intera. 
- Ma niente.
- Non è vero. Cos'è successo?
- Ho soltanto sonno.
- E sei ancora la mia fidanzata?
- Certo.
- Va bene. 
Ma quella mattina non si presero per mano, non passarono assieme la ricreazione, lei non si sedette vicino a lui e sopratutto, al suono dell'ultima campanella sgattaiolò via dalla classe prima che lui potesse dirle qualcosa. Liam si sbrigò nel rifare lo zaino, prese la cartellina e neanche controllò che ci fosse tutto il materiale necessario per i compiti a casa, uscì di corsa, attraversò il lungo corridoio facendo a spintoni tra gli altri alunni per poi ritrovarsi all'uscita dell'edificio da solo, vagando con lo sguardo in cerca del suo viso sorridente nascosto chissà dove. Dov'era finita Grace? Si avvicinò arreso al cancello, inizialmente tentato ad aspettare il fratello. Rimase sconcertato con se stesso, quando si ricordò che neanche lui era lì: "aveva chiuso con la scuola", gli aveva detto. Doveva andare a casa da solo? Non lo aveva mai fatto in quei suoi dieci anni di vita, mai, neppure una volta. 
"Fatti coraggio" pensò, nel preciso istante in cui una macchina blu gli passò proprio di fronte. Era un modello di vettura che vedeva praticamente sempre, non era appassionato di automobili, ma quel modello... quel modello gli ricordava qualcosa. Alzò lo sguardo e cercò di focalizzare meglio l'immagine, così si accorse presto che nel finestrino posteriore c'era la mora coda di cavallo della sua amica, e che quella alla guida doveva essere sua madre. Perché c'era stato bisogno di tornare a casa in macchina, quando erano sempre andati insieme?
" Si è arrabbiata perché non sono stato sveglio con lei, ieri, dev'essere stato questo. " 
Arrivò anche la mattina seguente e Grace era sempre lì, in fondo alla strada. Quando lui la salutò da lontano, lei sorrise e comprese che i problemi degli altri giorni dovevano esser stati già dimenticati e sorpassati. 
- Stanotte sono stato sempre sveglio, ma tu hai dormito. Non hai acceso e spento alcuna luce!
Disse lui con entusiasmo ed enfasi, prima ancora di augurarle una buona giornata. 
- Già. E' bello che tu sia rimasto sveglio per me.
- Già. Perché ieri sei sparita con la macchina? Il pomeriggio ti ho suonato in casa ma non mi ha risposto nessuno, dov'eravate andati?
Grace cominciò a sgranocchiarsi le unghie, lui pensò che prima o poi, quando le unghie sarebbero finite, lei avrebbe cominciato a mangiarsi dita intere. A quel punto non avrebbe più potuto prenderla per mano, così le diede un leggero schiaffo, togliendole le dita dalla bocca e lei ricambiò con uno sguardo di rimprovero.
- Quante domande, Liam!
- Rispondimi però. Oggi vieni con me a casa?
- Non posso.
Lui rimase in silenzio e mormorò un "ok". Quella notte non sarebbe di certo rimasto sveglio per lei.
Arrivò la terza mattina: niente occhiaie, niente sbadigli, niente notti in bianco. Era sveglio, carico e sopratutto competitivo. Perché sì, ormai era diventata una sorta di competizione: doveva mostrarsi indifferente, impassibile e duro, proprio come lei. A dirla tutta, aveva preso lezione da Noel, che in quel periodo si vantava con il fratellino di aver lasciato dopo soltanto due mesi la fidanzata con cui aveva scopato per la prima volta. 
- Pomicia da far schifo e quando me la faccio, devo metterle un sacchetto in testa per godere davvero. 
sentì dire ad un suo amico, una volta. 
- Ciao. 
- Ciao Liam!
Silenzio. 
- Allora, quand'è che finirai anche di aspettarmi prima di andare a scuola?
- Che intendi?
- Ah, giusto, e quand'è che finirai anche di salutarmi?
- Liam..
- Magari potresti avvertirmi, così non rimango indietro.
- Liam, io..
- Non possiamo stare insieme. 
Appena chiuse la bocca al termine della frase, si avviò quasi correndo verso la strada per la scuola e nel frattempo pensava che una volta tornato a casa, sarebbe andato dal fratello e gli avrebbe detto: "Io ho baciato sulla guancia una ragazza dopo soltanto un giorno e l'ho lasciata dopo due settimane, impara da me!" Sarebbe stato un grande. Era stato un grande.
Questa volta fu infatti lui ad ignorare totalmente Grace, a sedersi in classe vicino al primo compagno che si era già sistemato, ad evitare di stringerle la mano, a fuggire durante la ricreazione, ma lei era più insistente di lui: riuscì a strapparlo dalle grinfie del football e a spingerlo violentemente in un angolo del cortile. 
- Abbiamo chiuso, fattene una ragione.
Esclamò Liam ridendo. In realtà avrebbe voluto fare tutt'altro che ridere, avrebbe voluto che tutto fosse come prima, perché per quanto facesse finta di non capire, sapeva che dietro a quei problemi c'erano soltanto Tommy e Peggy. 
- Adesso tu mi ascolti, William. 
La guardava con quegli occhi marroni, che sembrava stessero prendendo fuoco dentro la pupilla. Ebbe quasi paura di lei, e cercò di sopprimere il tutto urlando:
- Non ci torno con te!
- Non ce n'è bisogno!
- Certo! Dici così perché sei orgogliosa!
- Io mi trasferisco, vado da un'altra scuola e cambio anche casa! E sai di chi è la colpa?!
Grace sputò le parole dalla bocca, senza neanche poterle controllare. Lo sapevano entrambi di chi fosse la colpa, non c'era neppure bisogno che lo dicesse, ma ormai Liam la stava sfidando.
- Di chi è? Su, dillo, forza! Vediamo dove arriva la tua cattiveria. 
- E'... è... è mia... Non avrei dovuto dirlo ai miei... tu, tu me l'avevi detto... Ma mamma lo sapeva che c'era qualcosa che non andava... lei... lei ha indovinato subito... ma io non l'ho negato, perché sai... ero sconvolta...
Si era seduta nella terra bagnata del cortile, aveva le spalle al muro e la testa piegata, non aveva neppure il coraggio di guardarlo in faccia. 
E nonostante tutto, il primo pensiero a cui Liam pensò fu sua mamma Peggy. Se avesse saputo tutto questo, sarebbe rimasta delusa, abbattuta, scoraggiata. Lui doveva proteggere sua madre, lei non ne avrebbe dovuto sapere niente, costasse quel che costasse.
- Va bene, non importa. Quando partite?
Le sue parole uscirono aspre, dure da sentire nella bocca di un bambino qualunque. Ma William Gallagher non era mai stato un bambino qualunque, non con le esperienze che aveva avuto, almeno. 
- Domani sera... Scusa Liam, mi mancherai tanto.
Domani sera Peggy avrebbe dovuto fare qualcosa, fuorché guardare dalla finestra la famiglia di Grace andarsene a causa loro. Lui la abbracciò forte, perché le si leggeva in viso che era tutto ciò di cui aveva bisogno. 
- Non piangere, magari un giorno ci incontreremo di nuovo.
- Davvero?
- Te lo prometto. Burnage non è poi così grande.

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Capitolo 3
*** how many special people change? ***


Yesterday, love was such an easy game to play.

Ed eccoci qui nella fine degli anni '80, in questo capitolo non ci sarà affatto la figura di Liam ma sarà tutto più incentrato sulla vita da ventenne di Noel. Non voglio anticiparvi nulla comunque.
E' da tempo che ho questo capitolo chiuso in un documento Microsoft Word nel desktop del computer, ho impiegato abbastanza tempo per scriverlo tutto e non so quanti errori ortografici o di sintattica ci potrete trovare!
In ogni caso, buona lettura.
Grazie per le recensioni, accetto sempre consigli, spunti ed idee per uno svolgimento :)


 


How many special people change?
 
 



Noel terminò l’ultima sigaretta del pacchetto, la acciaccò lentamente con la scarpa destra sul marciapiede sporco di una strada di Burnage. Entrò nella piccola officina: era grande quanto un garage e lui fu sicuro che doveva effettivamente aver avuto quella funzione chissà quanti anni prima.
- Ciao.. sono Noel. Ero venuto qui un po’ di giorni fa, se ti ricordi..
Aveva un’espressione decisamente svogliata, gli si leggeva in volto che era lì per costrizione di chissà chi. Un uomo sulla cinquantina alzò il viso smettendo di fare il lavoro che stava compiendo, poi ricambiò lo sguardo controvoglia e gli disse:
- Ah sì, l’apprendista. Prego, sono Edric, entra pure.
In realtà il ragazzo si era già seduto su una sedia all’angolo, ma fece finta di nulla e non se ne curò. Piuttosto si guardò intorno e pensò che quello fosse il genere di stanza che avrebbe avuto bisogno di una modernizzata: il muro era grigiastro (sicuramente in principio era addirittura bianco), pieno di ragnatele agli angoli e in fondo vi era un tavolino di legno con una vecchia cassa. Noel era convinto del fatto che lì non avrebbe guadagnato una fottuta sterlina, ma almeno avrebbe fatto tacere Peggy dicendole che effettivamente adesso aveva un lavoro. “Lavorare”, come se lì ci fosse qualche cliente da soddisfare.
Il silenzio cadde nella stanza e l’uomo tornò ad incurvarsi su un aggeggio con cacciavite e chiave in mano. Noel, chiaramente impazientito, decise di interromperlo con un banale:
- Ehm, allora..
Edric si bloccò e lo guardò nuovamente, questa volta con più interesse.
- Oh, si, perdonami. È che dovresti parlare con mio fratello, probabilmente è di sopra.
- Di sopra?
- Sì, di sopra in casa. Se apri quella porta a sinistra ci sono delle scale che ti portano alla sua abitazione.
- Devo.. devo andare su?
- Oh no. Non credo abbia molto da dirti: come vedi non c’è quasi niente da fare qui e lui ha praticamente affidato a me il lavoro in questo buco di posto.
Noel lanciò un’occhiataccia a tutti gli aggeggi sparsi sul tavolino che l’uomo maneggiava con tanta abilità, e si chiese se lo stesse prendendo per il culo: “Allora che cazzo stai facendo, tu? Le unghie?”
- Il lavoro per mia madre è come un’etichetta, uno status. Non importa che lavoro tu faccia, l’importante è che lavori. Odia vedermi dormire tutto il fottuto giorno, bah.
Il tipo fece spallucce, evidentemente non gliene fregava nulla del suo rapporto con Peggy e Noel decise di proseguire tralasciando i fatti personali:
- Allora, posso venire qui a fingere di lavorare?
- Certo, apriamo sempre alle 8.00 ma magari vedi di venire puntuale.
Si guardò intorno annoiato, che avrebbe fatto tutte quelle ore lì dentro? Così Noel si alzò ed insistette:
- Fantastico. Ma qualcosa me la vuoi insegnare?
Era solito cambiare mestiere con la stessa frequenza per cui si cambiava le mutande, così in cinque anni aveva avuto la possibilità di aver conosciuto ogni singolo pub, bar, negozio, officina e bancarella del posto. Per un tempo aveva addirittura lavorato con Paul nell’impresa del loro padre, ma Noel non aveva la stessa pazienza ed il buon cuore di suo fratello, così si ritrovò presto a sputargli un bel “vaffanculo”in faccia e a licenziarsi. Forse l’unico motivo per cui rimase al lungo in quell’officina con quell’uomo asociale, era per il fatto che lavorare lì era come starsene chiuso in casa, con la differenza che almeno non c’era una madre a rompere i coglioni sul significato delle sue giornate o sull’utilità delle sue scelte.
In una settimana imparò tutto ciò che aveva da sapere e riguardo i due clienti giornalieri, era sempre Edric ad occuparsene. Dopo quei primi giorni cominciò a portarsi giornali da leggere, poi dei fumetti e quando comprese che erano insufficienti per poter riempire il suo tempo libero, cominciò addirittura a portarsi la chitarra classica di sua madre. E fu davvero una benedizione. Quelli erano i giorni in cui cominciò ad appassionarsi alla musica: girovagava tra i banconi di un piccolo negozio di dischi poco lontano dall’officina ed al bancone vi era spesso una bionda ragazza dal seno prosperoso che attirava ancor di più il suo interesse. Cominciò con i Beatles e fu amore a primo ascolto: le voci così armoniose e al tempo stesso aggressive, la melodia, le parole, quei quattro erano dannatamente perfetti. E chi ascoltando Yesterday non è mai stato preso dall’impulso di afferrare una chitarra ed imparare a suonarla? Questo è ciò che accadde al ragazzo: si ritrovò a farfugliare in soffitta alla ricerca della chitarra che Peggy diceva di “avere ancora da qualche parte”, e dopo averle dato una spolveratina, anziché chiedere aiuto a sua madre pensò di prendere lezioni dalla ragazza del negozio di musica. Lo pensò seriamente ma comprese l’assurdità dell’idea quando notò che la tipa richiedeva soldi addirittura per accordare delle fottute corde, e soprattutto, quando la vide pomiciare all’uscita del negozio con un palestrato di minimo vent’anni più grande di lei. “Fanculo”
- E da quanto suoni la chitarra, ragazzo?
Domandò Edric improvvisamente entusiasmato guardando per la prima volta il giovane con lo strumento tra le braccia.
- Ehm, in realtà da l’altro ieri.
- Si vede: a meno che tu non sia Paul McCartney, quello non è il verso giusto per impugnare una chitarra.
- Hai l’aria di uno che la sa lunga. Allora maestro, hai qualcos’altro da insegnarmi?
Borbottò Noel lievemente offeso e gli occhi dell’uomo s’illuminarono:
- Considerando che non sai neppure da dove cominciare..
- Chiariamo: non ti do neanche una sterlina.
- Chiariamo: io ti do le basi, e il resto lo fai tu.
- Affare fatto.
- Perfetto.
Quella mattina non entrò nel negozio di dischi ma ci passò avanti mostrando la testa alta e una quantità di autostima eccessiva.
 
 
 
“I can’t tell you the way I feel, because the way I feel it’s oh, so new to me. I can’t tell you the way I feel, because the way I feel it’s oh, so new to me! This is confusion, am I confusing you? This is confusion, am I confusing you? “
- Mi stai decisamente confondendo. Che cazzo di testo è?
Ridacchiò Edric da dietro il tavolino, mentre si mangiucchiava le sue enormi unghie sporche. Noel alzò uno sguardo intimidatorio e l’uomo aggiunse:
- Oh, non prendertela dai! Però che c’entra il titolo “Columbia” con il resto del pezzo?
- Hai mai scritto una canzone, tu?
L’uomo scosse la testa.
- Allora non venire a rompere alla mia. È fottutamente perfetta!
Edric fece spallucce:
- Ho soltanto detto un consiglio, non ti scaldare. Alla fine non è male.
- Non è male? È grandiosa!
- Sei troppo gasato a mio avviso, sappilo.
Per quanto l’uomo non lo avrebbe mai ammesso, si stava davvero affezionando a Noel: non aveva figli e sua moglie era morta in seguito ad un cancro un anno prima, tutto ciò che aveva era quella piccola ed inutile officina, la famiglia di suo fratello e questo ragazzo presuntuoso dalle folte sopracciglia. Sua moglie Mary se n’era andata in un piovoso 18 marzo e dopo il frettoloso via vai di conoscenti che con una pacca sulla spalla ti sussurravano le proprie condoglianze, Edric rimase solo, ma solo davvero. Viveva nella cara e grande Londra in un appartamento a 1 km da Green Park e dopo solo un mese comprese che quella città non aveva spazio per lui, il mantenimento ed i risparmi non bastavano neanche più per pagare l’affitto. A quel punto fu suo fratello a farsi vivo proprio nel momento più drastico e disperato della sua vita, offrendogli di vivere con lui a Burnage nella stanza degli ospiti. Fino al 18 marzo avrebbe rifiutato un’offerta del genere, aveva una certa dignità e chiedendo elemosina ai familiari con che faccia si sarebbe guardato allo specchio? Ma quando sei ridotto a supplicare il proprietario del palazzo buttandoti a terra per rimandare il pagamento dell’affitto, di fronte alla gente che sale e scende le scale.. cos’altro puoi fare? Quella città trovava lavoro per giovani, universitari, minorenni e figli scappati di casa, ma per un cinquantenne senza uno straccio d’istruzione non aveva proprio spazio. Lui conobbe la giovane Mary in un pub, avevano ancora diciannove anni e lui lavorava lì da poco, grazie a delle spintarelle da parte del padre. Lei sognava di fare l’insegnante, era appena uscita dalla scuola con ottimi voti e aveva così tanti progetti in testa, erano diversi ed avevano diversi obiettivi e principi. Ad ogni modo, le offrì da bere, la ascoltò mentre sognante le parlava del suo futuro, dei corsi che avrebbe dovuto fare per diventare una buona maestra, la guardava mentre sorrideva così facilmente ma mai senza un motivo. Mary continuò a frequentare quel locale e tra una portata e l’altra Edric si innamorò di lei come mai gli era capitato prima, inutile a dirlo. Si sposarono e insieme mantennero una buonissima qualità di vita basata su agi e buone condizioni sia sociali che economiche: lei portava in casa un guadagno maggiore rispetto a quello del marito, è vero, e nonostante questo avrebbe potuto far scandalo in un piccolo quartiere, nella grande Londra nessuno se ne curava così tanto.
Ma le disgrazie accadono tutte insieme, no? Edric perse il lavoro due mesi prima che sua moglie si ammalò, e dal 1987 al 1988 era cambiato non solo psicologicamente o economicamente, ma anche e soprattutto fisicamente. Non si tingeva più i capelli, non si tagliava più la barba ed era bianchiccio e senz’altro più debole rispetto a prima. Il lavoro lì all’officina richiedeva senz’altro pochissimo sforzo, eppure c’erano giornate in cui voleva soltanto gettarsi nelle coperte del letto e restare lì fino a quando il suo cuore non avrebbe cessato di battere. E quel giorno era sempre più vicino, se ne stava rendendo conto.
Non ne parlò mai con suo fratello e cercò di nascondere la stanchezza fisica che tendeva ad aumentare sempre di più coi giorni. Allora l’arrivo di Noel fu davvero una salvezza e per quanto quel ragazzo fosse un po’ troppo sgarbato, sicuro di sé e prepotente, per quanto lo facesse incazzare, annoiare e distrarre dal lavoro, il suo animo giovane e ribelle ravvivò sempre più le sue ultime giornate.
 
 
 
- Passami quella cazzo di birra, Noel!
- Fammi dare un ultimo sorso, stronzetto
- Ho sete, dannazione! L’ho pagata io!
Il ragazzo si asciugò con la manica della camicia bluastra le labbra e passò la bottiglia di vetro all’amico con un movimento poco stabile.
- Ti sei ubriacato anche stasera, mi fai schifo, cazzo!
Noel si passò la mano in viso e fece segno di stare zitto, come se Peggy potesse sentirlo.
- Stai z..zitto!
- Vaffanculo Noel. Non puoi andare fuori con un po’ di alcool e qualche sorso di birra.
- Non.. non rompermi i coglioni, merda!
Mark scosse la testa in segno di disapprovazione mentre finiva l’ultimo sorso rapidamente.
- È proprio uno sfigato.
Gli altri due amici scoppiarono in una fastidiosa e finta risata mentre con gli occhi cercavano già il fondoschiena di qualche ragazza abbordabile, ma Noel non aveva neppure capito che stavano parlando di lui, così si voltò dall’altra parte ed iniziò a fare dei ridicoli movimenti che avrebbero dovuto somigliare forse a qualche mossa di ballo. C’era decisamente troppa gente per un buco di stanza del genere o magari era lui a non essere abituato a delle feste di quel tipo. L’ultima a cui era stato ad essere sinceri, era quella del compleanno di Liam in casa sua circondato da sfigati mocciosi e brufolosi alle prese con le prime rimorchiate. A dir poco ridicoli.
- Ma che roba è questa musica di merda?!
Urlò Noel fermandosi all’improvviso dal suo stupido ballo, come se si fosse accorto solo in quel momento di che genere di pezzi il Deejay mandasse. Si aspettò di trovare i suoi tre compagni dietro di lui ma quando si voltò, si ritrovò faccia a faccia con una finta bionda che lo guardava perplesso.
- Bhè, effettivamente conosco musica migliore.
Improvvisò dunque la ragazza facendosi passare lentamente una mano tra i lunghi capelli. Noel fece automaticamente una risatina da ebete e senza pensarci troppo (anche perché la quantità di alcool non glielo avrebbe permesso comunque) strinse il proprio braccio sinistro attorno alla sua vita e spingendola a sé un po’ troppo violentemente le ficcò in bocca la lingua. Non ricorda neppure se lei ricambiò quella specie di pomiciata, non ricorda neppure se e quanto durò, sta di fatto che ad un certo punto sentì una mano posarsi bruscamente sulla sua spalla e strattonarlo via dalla bionda con aggressività.
- Ehi amico, che cazzo fai?!
Primo pugno dritto in faccia. Sangue dal naso?
- Chi cazzo sei?!
Calcio allo stomaco. Sbocco in arrivo?
- George.. George stai fermo!
- Che cazzo vuole ‘sto cristiano?
- George calmati..
- Sta proprio fuori! Guardalo! Cazzo, sta per vomitare pure l’anima!
- George, lascialo fare..
Come risposta, George rise di fronte la figura del tipo che a terra si stava premendo le mani alla pancia, sdraiato dolorante.
- Gli hai fatto male, cretino!
Sbottò lei accucciandosi a terra vicino al ragazzo. Gli prese il volto tra le mani e lo guardò attentamente per la prima volta: aveva dei capelli totalmente incasinati, bagnati probabilmente dal sudore e puzzava d’alcool e fumo, aveva le labbra secche e un po’ di barba che non si era curato di tagliarsi. Un po’ di sangue gli colava dal naso ma nonostante i suoi occhi fossero gonfi e rossi, quando il loro sguardo si incrociò le prese una forte fitta al cuore, allo stomaco e tutto ciò che comprendeva una parte del corpo. O dello spirito. Era come se quello sguardo lo avesse visto altre cento volte, qualcosa di familiare in lui la attraeva in un modo decisamente assurdo.
- Ti.. ti sei fatto male?
Mormorò stupidamente la ragazza non pensando affatto al volume troppo alto della musica che rimbombava nelle casse. Il tipo a terra biascicò qualcosa e allora comprese che era inutile restare lì a parlare: Strinse la sua piccola e delicata mano a quella grande e rovinata del ragazzo provando ad alzarlo da terra senza ottenere ottimi risultati.
- Mi vuoi dare una cazzo di mano?!
Gridò esasperata a suo cugino il quale intanto continuava a fissare in cagnesco lo sfigato che aveva picchiato poco prima. Controvoglia e con neppure un minimo di sforzo George fece rialzare Noel, il quale tentava con tutte le sue forze di restare in piedi mantenendo l’equilibrio. Balbettò un “grazie” poi girò i tacchi e se ne andò prima che in quelle condizioni potesse ancora fare qualche danno. Riuscì miracolosamente ad arrivare all’uscita, salvo sì, ma non molto sano, e una volta appoggiatosi al muro di una fredda strada di Burnage si ficcò due dita in gola e vomitò tutte le porcate che aveva inghiottito in quella sera. Certamente non avrebbe più messo piede in una discoteca, o almeno fino a quando non ne avrebbe trovata una con musica decente. La ragazza invece si fermò in mezzo alla pista con lo sguardo fisso nel vuoto, promettendosi che non avrebbe dovuto dimenticare mai quel volto. Gli ricordava qualcosa, qualcuno. Ed era una cosa importante, ne era certa.
- George, sei il cugino più coglione, geloso e stronzo che io potessi avere.
 
 
 
Pioveva da tre giorni interi, pioveva a dirotto da quando Edric se n’era andato. Noel lo aveva visto lì accucciarsi sulla sua vecchia sedia di legno, gemere e poi fare un forte tonfo a terra.
Edric Morgan li aveva lasciati. Era andato. Morto. Finito.
Il ragazzo lo guardò ad occhi serrati, il cuore faceva cento battiti al secondo ma prese fiato, si fece coraggio ed inghiottì tutto il magone. Si avvicinò velocemente all’uomo, non respirava di già. Tentò di trattenere lo shock e salì quelle scale che mai aveva avuto l’occasione di percorrere, tremava. Non sapeva cosa aspettarsi dietro la porta, cosa dire e a chi parlare ma fortunatamente si ritrovò il fratello di Edric proprio di fronte a lui che con un solo sguardo capì tutto e corse rapidamente nell’officina.
Ed ora eccolo lì al funerale sotto un cipresso in disparte. Ci saranno state sì e no una trentina di persone tutte con un ombrello rigorosamente nero, fazzolettini candidi e le parole del prete che rimbombavano nel silenzio assordante di quel pomeriggio. Aveva una tomba di poco valore accanto a quella della madre (Mary era stata seppellita a Londra) in un piccolo cimitero di Burnage ma Noel, sotto il cappuccio della sua felpa completamente bagnata non voleva stare lì, in mezzo a tutte quelle persone di cui non aveva neppure idea di chi fossero. Dopo una breve occhiata alla folla si lasciò scivolare contro la corteggia del possente albero, si sedette noncurante tra il fango e l’erba molle e fissò il proprio sguardo sulla scura tomba.
A sessantaquattro metri da lui, una finta bionda teneva gli occhi puntati sul cipresso dove un ragazzo si era volutamente isolato. Si voltò dalla madre ed indicando Noel sussurrò:
- È lui quello che lavora all’officina di papà?
- Non so, è probabile. Papà lo ha invitato al funerale d’altronde. Se non sbaglio avrebbero anche dovuto parlare di come e se avrebbe voluto proseguire il lavoro. Vallo a chiamare, magari si sente escluso.
La ragazza annuì comprensiva e si allontanò silenziosamente dalla folla, avvicinandosi sempre di più al cipresso in disparte. Il ragazzo le stava di spalle, così lei rallentò il passo e mise il proprio ombrello sulla testa del tipo in modo da offrirgli un riparo migliore da quello dei rami di un albero. Lui alzò immediatamente lo sguardo scocciato: se stava lì, da solo, era perché voleva restare da solo, cazzo.
Ma lei si ritrovò ad incrociare gli stessi occhi del sabato sera precedente, magari meno gonfi ed arrossati, ma pur sempre dannatamente incredibili. Un sorriso contrastante alla situazione che li circondava si formò automaticamente nel viso della giovane:
- Ti sei ripreso dalla sbornia dell’altra volta?
Noel riconobbe qualcosa di familiare in lei, forse l’aveva conosciuta in discoteca?
- Sinceramente non ricordo nulla.
Lei ridacchiò e continuò:
- Mi dispiace se George ti ha fatto male, è ancora geloso della sua cuginetta preferita.
Ah, era quella della pomiciata? Ma no, dannazione, c’era altro.. altro di più impresso, importante. Chi era?
- È tutto passato, non preoccuparti.
La guardò e pensò che chiunque lei fosse poco importava: era fottutamente bellissima. Continuavano a sorridersi ed a guardarsi come due perfetti cretini.
- Che sciocco, ti sto facendo bagnare tutta.
- No, figurati.. Riparati tu sotto l’ombrello!
- Possiamo entrarci bene tutti e due. Vieni qui.
La invitò a sedersi sulle sue gambe cosicché non si sarebbe dovuta sporcare con il fango pur di stare relativamente comoda. Imbarazzata si ritrovò sopra di lui con i visi non molto distanti, lui poteva sentire il suo profumo di bagnoschiuma ai.. frutti di bosco? Come per farlo tornare alla realtà, lei gli disse:
- Lavori tu all’officina, no?
- Diciamo di sì, non si può proprio definire lavoro.
- Hai visto tu.. insomma.. Edric morto?
Smisero di sorridere e Noel spostò il suo sguardo altrove, nonostante gli occhi della ragazza continuassero ad osservarlo.
- Sì.
- Dev’essere stato terribile.
- Ho visto cose peggiori.
- Peggiori della morte? È difficile da credere.
- Puoi anche non crederci.
- Non.. Non intendevo offenderti.
- Era tuo parente?
- Zio. Era un uomo silenzioso, diffidente, non l’ho conosciuto molto. Anzi, non l’ho conosciuto per niente.
- Ho imparato a conoscerlo, era un grande uomo.
- A proposito, se vuoi raggiungerci anziché restare qui solo soletto..
- Non sto da solo. Ho te!
- Non sai neppure il mio nome!
- Piacere, Noel.
- Piacere, Grace.
E la loro memoria si fece chiara: Noel pensò a quanto fosse cresciuta bene, pensò che se Liam l’avesse rivista si sarebbe subito messo in carica per riconquistarsela, pensò anche che una ragazza tanto bella non se l'avrebbe dovuta far rubare.. neppure da suo fratello.
Grace pensò a come avesse lasciato la famiglia Gallagher, pensò a Liam e a come avesse chiuso duramente con lui. Si ricordò di quella mattina e terribili flashback le si fiondarono in mente, tentò rapidamente di toglierseli dai pensieri.
Non avevano mai avuto un vero e proprio rapporto d'amicizia, erano più che altro conoscenti ma si vedevano quasi ogni pomeriggio, erano buoni conoscenti.
E adesso? Adesso entrambi riflessero a quanto con il tempo fossero cambiati e a quante cose si fossero persi.  
“Vedremo di rimediare” pensarono nello stesso momento.

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Capitolo 4
*** we weren't meant to be grown ups. ***


Yesterday, love was such an easy game to play.

Buongiorno o buonasera a tutti!
Mi accorgo sempre più con quanta lentezza mi ostino a pubblicare un nuovo capitolo, perdonatemi!
Il fatto è che l'ispirazione tende sempre a mancare e se poi ci metto di mezzo anche l'autocritica, gli errori ortografici, di sintattica e robe varie andiamo a finire davvero tardi.
Comunque, basta con queste osservazioni di cui, onestamente, non ve ne può importare più di tanto, e parliamo della storia senza anticipare troppo. Che dire? Siamo ancora al punto in cui vi ho lasciato nel capitolo precedente quindi troverete sempre Noel/Grace e qualche accenno a Liam senza che intervenga però in prima persona (siate pazienti, date tempo al tempo e vedrete che tornerà prima di quanto voi ve lo immaginiate al centro del racconto!)
Che altro? Boh, buona lettura e scusate ma oggi avevo voglia di scrivere una introduzione che non si limitasse a quest'ultima fase di ringraziamenti e consigli :)
Grazie per le recensioni, accetto sempre consigli, spunti e idee per uno svolgimento :)



We weren't mean to be grown ups.



Seguiti i dieci minuti riempiti da tempestive domande su Liam, su cosa fosse cambiato in questo arco di tempo e da esclamazioni sempre di sorpresa, Noel gettò la propria testa all’indietro esausto con le mani sotto la nuca.
Aveva risposto con cura e sincerità ad ogni singola curiosità della ragazza ma neanche una questione era stata diretta alla vita personale del ragazzo che aveva di fronte agli occhi. Si sentiva uno stupido, uno sciocco, un credulone per aver soltanto potuto pensare che Grace potesse interessarsi a lui anziché a suo fratello Liam. D’altro canto, Noel era soltanto “il fratello del suo migliore amico d’infanzia” e per sempre avrebbe occupato quel ruolo. Anzi, magari adesso che lei avrebbe avuto la possibilità di riallacciare i rapporti con lui, sarebbe addirittura diventato “il fratello del suo attuale fidanzato”. Fanculo, la vita era una cazzo di ingiustizia. E fanculo due volte, Noel se ne sarebbe trovata un’altra trenta volte più figa di Grace.
Mentre lui era bloccato nei suoi pensieri e dibattiti tra cuore-testa, non si accorse del silenzio che era calato tra di loro. Lei osservò l’espressione abbattuta che il ragazzo aveva stampata in volto e forse comprese di aver lasciato andare un po’ troppo l’euforia e l’eccitazione del primo momento. Si accucciò accanto a lui, posò la testa sulla sua spalla e con il suo braccio destro si avvicinò lentamente prima al fianco e poi alla pancia di Noel.
- Ehi, cos’hai? Malinconia dei vecchi tempi?
Mormorò Grace mentre lui con lo sguardo, vagava altrove. Sapeva che non era per quello che lui fosse così giù di morale, sapeva di aver esagerato ma solitamente lei nascondeva i suoi errori e le sue mancanze, era troppo orgogliosa.
- No.
Rispose perciò crudamente Noel, che a sua volta non aveva voglia più di scherzare con quella tipa. Non doveva affezionarsi a lei, perché non sarebbe mai stata sua. Quel coglione di Liam gliel’avrebbe fregata, era praticamente sicuro e sarebbe successo prima o poi.
- Sai… continuo a non capire una cosa però.
- Dimmi.
- Bhé, mamma… ecco, lei mi ha trascinata via da quel quartiere perché aveva timore di…
- Sì, di noi, lo so.
- Ecco. E allora non si è accorta di avere un Gallagher in officina?
- Io non ho mai conosciuto tuo padre, lui non ha mai conosciuto me prima che io venissi a lavorare da voi. E tua madre non sa di avere un Gallagher in officina, dal momento che tecnicamente non lo sa neppure tuo padre.
Lei fece una breve risata ma, infastidita dallo sguardo negato del ragazzo, passò delicatamente la mano sulla guancia di Noel facendogli perciò voltare il viso verso di lei. Aveva un po’ di barba che le prudeva sul palmo della mano e sussurrò con una voce più affascinante di quanto lei stessa pensasse di avere:
- Deduco che tu passeresti nei casini se mamma ti dovesse scoprire.
- Mi licenzierebbe probabilmente, ma considerando che Edric è morto e l’officina è perciò andata a puttane, diciamo anche che sono già licenziato.
Grace lasciò scendere la mano dal volto del ragazzo e con un tono lievemente offeso borbottò:
- Non vedi l’ora di andartene.
Noel improvvisò un sorrisino compiaciuto. Forse, nonostante tutto, lei poteva essere comunque interessata a lui, no? Forse non era tutto perso, forse doveva soltanto combattere per ciò che voleva, fare i passi giusti senza sbagliare, mostrarsi disponibile ma non troppo. Non doveva caderle ai piedi, doveva tenersi comunque distaccato.
- Vuoi che io rimanga soltanto per avere un valido motivo per rivedere Liam?
Voleva saperlo, voleva saperlo se era soltanto un banale mezzo per arrivare al suo stupido fine.
Ma a dirla tutta, lei non sapeva come Our Kid fosse cambiato nel suo periodo di assenza, non lo sapeva quale effetto le avrebbe dato, non sapeva bene quale dei due fratelli la prendesse di più. E proviamo anche a capirla: chi può scegliere tra un ragazzo misterioso a cui hai sempre affidato poco, che improvvisamente si dimostra affascinante ed interessante e tra un altro ragazzo di cui però tutto ciò che sai sono i vecchi ricordi sbiaditi di quando eri piccola? È come scegliere tra una memoria e una realtà effettiva. Risulta complicato.
Ad ogni modo Grace non voleva perdere Noel e basarsi su delle idee, dei pregiudizi e dei presupposti riguardanti il “nuovo” Liam risultava soltanto ridicolo e insignificante. Doveva tenersi ciò che aveva.
Lei sorrise dolcemente e passò il suo indice su una ciocca di capelli del ragazzo il cui respiro ormai era poco distante dalla sua bocca. Odorava di sigarette.
Noel d’un tratto si fermò bruscamente, si scansò lontano abbandonando così le vane speranze di un bacio e alzò il proprio busto dalla terra ancora umida mettendosi a sedere. Prima che la ragazza potesse fare qualche domanda, sentì la voce di suo padre venirle da dietro che le diceva:
- Vedo che hai fatto presto conoscenza, Grace.
Questa volta fu lei ad alzarsi rapidamente da terra, passandosi le mani sul sedere per togliersi la sporcizia del fango che sicuramente le era rimasta appiccicata nei suoi jeans.
- Ehi, ciao papà.
- Il funerale è finito da un po’.
Grace si voltò distrattamente verso il cimitero e fingendosi stupita e seriamente dispiaciuta spiegò:
- Ah, già. Avevo invitato lui a venire giù ma mi stava dicendo che si sentiva fuori luogo e quindi sono rimasta qui a tenergli compagnia. Mi sembrava brutto lasciarlo solo, no?
Il ragazzo, ancora seduto a terra, si limitò a guardare i due dal basso mentre parlavano. Il padre poi, voltandosi verso Noel disse:
- Allora, dobbiamo discutere della questione dell’officina. Ho una certa fretta, c’è mia moglie che mi aspetta in macchina spazientita.
Lanciò un’occhiataccia alla figlia e poi continuò:
- Dimmi cosa vuoi fare, vuoi continuare a lavorare? Dovrai impegnarti di più, dovrai pensare ai clienti e sostituire tutto il lavoro di Edric. Non penso che tu ne sia in grado e sinceramente parlando, non converrebbe neppure a me. Quell’officina non porta guadagno, ma solo spesa. Figuriamoci poi nelle mani di un ventenne poco motivato.
- Allora non mi stai chiedendo cosa io voglia fare, mi stai soltanto dicendo educatamente che mi stai licenziando.
L’uomo fece una risatina infastidita e voltandosi verso Grace commentò qualcosa come “perspicace, il tipo”, ma il ragazzo finse di non averlo sentito e disse alzandosi:
- Allora domani vengo a riprendermi la roba?
- Quando vuoi.
- Va bene.
Noel girò i tacchi e dando un rapido sguardo alla ragazza se ne andò senza dire nulla. Si sentì il peso delle occhiate che i Morgan continuavano a dedicargli, forse il padre le stava pure dicendo di non prendere esempio da quelli come lui, di tenersi alla larga dai ragazzi in quel modo sgarbati e “poco motivati”. Grace era una Morgan, e i Morgan non potevano farsi confondere con gente di quel calibro. Magari quell’uomo stava addirittura ricordando alla figlia di quando se ne andarono tempo prima da quel quartiere perché c’erano i vicini di casa pericolosi e violenti che l’avrebbero potuta danneggiare. Noel si accese una sigaretta, inspirò profondamente e desiderò per la prima volta in tutta la sua vita di vivere altrove. Aveva una reputazione che gli aveva sputato in faccia Thomas Gallagher, senza che lui, Peggy, Paul e Liam potessero farci niente. I Gallagher erano legati a un determinato trattamento, a delle determinate giustificazioni, a delle determinate compassioni in quel fottuto quartiere. E non potevano farci niente se non ignorare tutto il più possibile. Se avesse potuto, sarebbe scappato con il primo treno che avrebbe incrociato alla stazione. Lo avrebbe fatto davvero.


Il pacchetto delle Benson & Hedges era finito, in circostanze diverse lo avrebbe buttato in un cestino ma questa volta lo gettò di proposito a terra. E ci sputò anche sopra. E magari se le fosse uscita la pipì ci avrebbe anche pisciato sopra. La porta dell’officina era aperta, così lui entrò e diede una rapida occhiata a tutta la stanza. Avrebbe potuto dare una verniciata ai muri sporchi, avrebbe potuto lavare il pavimento e pulire il tavolo dalle grosse macchie di grasso e olio, avrebbe potuto anche spolverare le credenze. Avrebbe potuto tagliargli le erbacce che gli crescevano in giardino se soltanto John Morgan glielo avesse chiesto. Ma non l’aveva fatto, aveva preferito la strada più semplice ed economica: licenziarlo. Peggy gli aveva suggerito di calmarsi perché incazzandosi non avrebbe risolto nulla, gli aveva detto che di gente così ne avrebbe incontrata spesso e che doveva soltanto continuare per la sua strada e riiniziare da capo come aveva fatto già altre trecento volte. Allora cos’è che lo faceva incazzare davvero?
Noel prese la chitarra abbandonata sulla sedia dove era solito passare i pomeriggi: la sfiorò delicatamente come era solito fare. La trattava come fosse una delle ragazze più belle di tutta l’Inghilterra: si approcciava ogni volta a lei cautamente e con dolcezza, poi magari poteva anche premere quelle corde con violenza, gettarla sopra ad un divano o lasciarla incustodita per tutta la giornata. Ma nell’approccio iniziale doveva essere sincero.
Cominciò così a canticchiare Columbia, e quando ne ebbe abbastanza cominciò con dei nuovi accordi. Preso dalla rabbia, il suono armonioso della sua chitarra classica alleviò ogni suo stress.
Sol, Re, La-, Do, Re.
Maybe, I don’t wanna know, how...
Si fermò. Ricominciò.
Maybe, I don’t really wanna know, how your garden grows...
Si fermò di nuovo: la porta collegata alla casa dei Morgan si era aperta. Non si voltò, sapeva già che era John che con uno sguardo severo gli suggeriva di andarsene di lì in fretta. Chinò il capo verso le corde della sua chitarra in silenzio ma rimase stupito quando sentì la voce di Grace alle sue spalle dirgli:
- Continua, ti prego.
Noel si voltò e la vide lì, di nuovo a pochi centimetri da lei. Portava una coda dalla quale cadevano disordinatamente ciocche di capelli e questa volta non profumava di chissà quali fiori o frutta particolare, questa volta era lei e basta, senza alcuna maschera di odori o di trucchi in viso. Aveva una voglia irrefrenabile di baciarla lì, con lo strumento posato ancora tra le sue ginocchia, con il plettro ancora tra le sue dita e le idee per una nuova canzone ancora in testa. Voleva baciarla lì, perché poi sarebbe stato troppo tardi, perché poi sarebbe tutto cambiato. Grace capì ciò che quell’improvviso silenzio stava a significare e prima che Noel si decidesse a baciarla lei lo fermò dicendo:
- Sei consapevole del fatto che mia madre potrebbe scendere da un momento all’altro?
- Sarebbe una cosa molto eccitante, non trovi?
- Da morire.
- Sono già stato licenziato, non può farmi nulla ormai.
- Può vietare di vedermi con il tipo che veniva a lavorare insieme ad Edric all’officina, però.
- Ah, perché tu vorresti vederti con il tipo che lavorava con Edric all’officina?
- Ho sentito che sa strimpellare la chitarra, potrei avergli appena trovato un lavoro.
- Interessante. Tipo, che lavoro?
- Potrebbe insegnarmi a suonarla.
- Un lavoro non dovrebbe comprendere anche del denaro? Ho sentito dire che tuo padre lo odia quel tipetto... com'è che ha detto? "Poco motivato", ah sì.
Grace rise mostrando così i suoi denti completamente bianchi e dritti.
- Mio padre lo ha licenziato dall’officina, ma ancora non lo ha licenziato come insegnante. E poi è un po' stronzo con chiunque, in realtà non odia nessuno.
- Sbaglio o sei una ragazza che osa molto?
- Fino all’ultima possibilità.


Noel ridacchiò e si voltò ad osservare il volto della ragazza a pochi metri dietro di lui e poi fermandosi le disse:
- Sei.. preoccupata?
Il suo cuore continuava ad urlargli “fermala, sei ancora in tempo, inventati una scusa e andatevene da lì” e più si sforzava per sotterrare quella voce, più quelle grida si facevano oppressanti. Non gli era mai capitato di pensare prima al bene di una ragazza e poi al suo. Aveva preso una scelta che avrebbe sicuramente peggiorato la situazione, l’umore e ferito i proprio sentimenti; ma se non l’avrebbe fatto tutto questo sarebbe toccato a Grace e lui non voleva vederla triste.
- No, Noel...
La ragazza improvvisò un sorriso, si fermò come per rimangiare le parole che doveva ancora pronunciare, ma incoraggiata dallo sguardo fiducioso del ragazzo aprì la bocca e disse:
- Ho... Bhè... Sai, sono stata...
- Non aver paura, dimmi.
- Mi dispiace dirlo, non è una bella cosa.
- Non importa.
- Sono stata un po’ traumatizzata da quella volta a casa vostra, sai, quand’ero più piccola e...
Lei si fermò nuovamente ma questa volta lui riprese il suo discorso:
- Hai paura dei vecchi e brutti ricordi, lo so. Te n’eri andata pochi giorni dopo l’accaduto se non sbaglio. Ricordo tutto, ricordo come hai lasciato Liam, noi.
Alla pronuncia di quel nome lei sorrise più sicura:
- Ma devo farlo, devo. Sto morendo dalla voglia di incontrarlo nuovamente, mi è mancato così tanto.
- Immagino! Bhè.. te l’ho detto: è un sacco cambiato.
Borbottò Noel in preda a una crisi interiore di gelosia ma Grace continuò smanettando:
- E se fosse ancora arrabbiato con me? Forse non vuole vedermi, forse mi odia! E... come sto? Magari mi trova più brutta e più grassa...
Il ragazzo sbuffò ma tanto la ragazza non se ne accorse neppure: era presa da lei e Liam. Lei e Liam. Liam e lei.
- Stai benissimo, sei... bellissima.
Grace improvvisò un sorriso nervoso, bloccò il suo discorso per pochi secondi e poi continuò:
- Magari lo disturbo, forse sta studiando!
Sempre più spazientito Noel si voltò e continuò a camminare lungo il viale:
- Non studia mai.
- Bhè, forse sta con gli amici! Poi gli rompo e non vede l’ora che io me ne vada!
- Ma a casa mia ci vieni per la chitarra o per Liam?
Sbottò infine il ragazzo. Grace si fermò nuovamente, poi raggiunse salterellando Noel e da dietro portò le sue braccia intorno al suo collo. Le stampò un bacio sulla guancia. Si era messa il profumo, tanto profumo. E quello cos’era? Lucidalabbra, certo.
- Scusa Noel, capiscimi.
- Certo che ti capisco.
- Oh, bene.
- Anche perché siamo arrivati.
Lei prese un respiro profondo, sorrise. Noel aprì il piccolo cancello che con un forte cigolio si aprì.
- Prego, prima le signore.
- Ma grazie, signor Gallagher.
Lei passò di fronte a lui e lentamente attraversò il piccolo giardino: era meno curato di quanto se lo ricordasse, l’erbaccia cresceva dappertutto e non c’erano tracce di fiori. Due o tre piccoli vasi si trovavano all’angolo, ma erano rotti e sporchi di terra. Forse era lei che da piccola non ci aveva mai fatto caso? Forse era sempre stato così.
- Peggy e Paul sono al lavoro, finiscono entrambi tardi.
Grace annuendo si mise di fronte la porta aspettando che l’amico arrivasse di fianco a lei e diede un’occhiata al muro all’esterno della casa che non era stato più imbiancato da quando se n’era andata: c’erano ancora i piccoli scarabocchi che aveva fatto tempo prima con Liam e soltanto alla vista di questi si emozionò. Noel tirò fuori la chiave dalla tasca destra del giacchetto marrone, la inserì nella serratura e con non poca facilità aprì la porta.
- Permesso…
Grace si ripromise di cancellare tutte le scene che aveva visto in quella stanza, pensando piuttosto ai pomeriggi passati a giocare ai pirati sul divano, o a finire i compiti nel tavolo della cucina, o ancora a disegnare storie sdraiati lungo il pavimento. Era tutto come prima, non era cambiato nulla e le sembrò per un attimo di essere ancora una bambina. Liam, comunque, non era lì.
- Cosa vuoi fare? Chiamiamo Liam o cerchiamo la chitarra?
Che domanda stupida, era ovvio che lei avrebbe voluto rivedere suo fratello. Non a caso un sorriso imbarazzato le si formò in volto, Noel impassibile annuì e cominciò a gridare il nome di Our Kid in tutta casa. Nessuna risposta.
- Andiamo in camera sua.
- Ehm, non sarebbe meglio che io aspetti qui?
- Che c’è? Ora ti vergogni?
- No.. cosa c’entra?
- Dai, vieni, sali.
Questa situazione stava spazientendo Noel, ma ad ogni modo prima o poi si sarebbero dovuti vedere quei due ed era meglio che questo avvenisse presto, cosicché potesse togliersi subito quel fastidioso dente. Allungò la mano e Grace la strinse forte: sudava. Salirono le scale rapidamente, prima porta a sinistra ed ecco la stanza di Liam e Noel. Quest’ultimo cominciava a sentirsi di troppo lì dentro, aveva racimolato abbastanza soldi da potersi permettere di condurre una vita da solo senza dover vivere ancora sotto il tetto della mamma. Aveva un amico, Bonehead, che recentemente cercava un coinquilino per il suo appartamento. Chissà, forse avrebbe accettato: sua madre non glielo aveva neppure impedito.
Grace intanto gironzolava incuriosita nella parte a destra della stanza, guarda caso proprio quella di Liam. Aveva un poster enorme dei Beatles accanto al letto e un tamburello sul comodino. C’era un posacenere colmo di cicche di sigarette e qualche vestito buttato a terra distrattamente. A dirla tutta non era tanto interessante quanto la zona di Noel che invece era colma di CD, fotografie, fogli scritti e disegnati in matita e poi a penna. Ma era la targa sopra i rispettivi comodini con il nome inciso “Liam” e “Noel” che fregava il tutto.
- Non c’è… probabilmente starà in giro.
Lei annuì delusa, poi si voltò di scatto verso Noel e lo spinse per farlo uscire dalla camera. Lui sapeva che Grace sarebbe rimasta lì a frugare tra i cassetti di Liam in cerca di un qualche ricordo di lei, sapeva che Grace avrebbe voluto restare in quella stanza fino al ritorno di suo fratello e sapeva anche, però, che non voleva far dispiacere Noel mostrandogli quanto interesse avesse effettivamente nei confronti di Our Kid. Lui tentò di apprezzare lo sforzo.
- Va bene. Suoniamo la chitarra?
- Volentieri.
Scesero nel salotto vuoto e tra un minuto e l’altro, Grace, incrociando gli occhi di Noel, pensò che alla fine non poteva desiderare niente di più.

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Capitolo 5
*** life is hit and miss, and this I hope I think I know. ***


Yesterday, love was such an easy game to play.

È passato un sacco di tempo dall'ultima volta che ho aggiornato questa fanfiction che è ancora soltanto agli inizi. Ricomincio ora presa da un attacco di scrittura, sperando che voi siate ancora qui a leggere. Siccome è passato un bel po' dall'ultimo capitolo, potreste rileggervi qualcosa indietro cercando magari di ricordarvi a che punto della storia siamo arrivati.
Scusatemi tantissimo per aver abbandonato il racconto. Spero che sappiate perdonarmi.
Grazie per le recensioni, accetto sempre consigli, spunti e idee per uno svolgimento :)



Life is hit and miss, and this I hope I think I know.



In quel periodo Peggy lavorava come cameriera in un ristorante a 10 km distante dalla sua abitazione: non era molto comodo sotto questo aspetto, dato che tornava a casa soltanto nella tarda notte per dormire, e poi ripartire la mattina presto. In compenso le offriva uno stipendio abbastanza adeguato e, per la gioia dei suoi figli, la casa era praticamente sempre libera.
La loro madre infatti, non avendo patente e quindi macchina, era costretta a chiedere continuamente passaggi alla proprietaria del ristorante o, in casi eccezionali, a chiedere l'autostop per strada.
In quei mesi Grace continuava a prendere ogni sabato lezioni di chitarra per due ore, ma ogni volta che accennava soltanto un pagamento a Noel per il suo lavoro, il ragazzo lo rifiutava sempre senza accettare contraddizioni. Era un tipo piuttosto testardo.
Inoltre Liam non era mai presente in casa: soltanto una volta lo vide di sfuggita in una panchina poco distante da quel quartiere, mentre era tra le braccia di una ragazza dai capelli color fuoco, con le gambe attorcigliate alla sua vita e la testa posata sulla sua spalla. Rimase abbastanza sconcertata da quella visione e non appena lui si accorse di avere i suoi occhi addosso, Grace si voltò dall'altra parte e cominciò a camminare velocemente verso la sua casa.
Da quel giorno, comunque, non pensò più al suo vecchio amico di infanzia, perché secondo lei era evidente che la stesse evitando per qualche misterioso motivo.
Poco importava, alla fine, considerando che i suoi rapporti con Noel cominciavano a migliorare sempre di più. Le sue amiche erano totalmente ossessionate da questa storia, quasi più di quanto lo fosse lei stessa:
“È così eccitante il fatto che i tuoi genitori non abbiano neppure idea di chi sia in realtà il tuo insegnante di musica!”, “Quindi è un vero hooligan, no? Ruba, beve, fuma! I miei genitori mi ucciderebbero se sapessero che io mi frequenti con un tipo del genere! Loro vogliono conoscere ogni singolo ragazzo che saluto soltanto, e guai che non abbia dei genitori avvocati o dottori!”
In realtà, i loro sciocchi commenti le facevano soltanto ricordare quanto fossero diversi e quanto il loro rapporto potesse essere facilmente contrastato dalla sua famiglia. Eppure, quando erano insieme in quella stanza, da soli, con la musica che li circondava e basta, sembravano veramente uguali, indistruttibili, sembravano un'unica anima in due corpi differenti. Sentiva la sua presenza intorno, seduto dietro di lei che le sfiorava delicatamente le mani per migliorare il suono della chitarra. Si sentiva protetta nella stessa casa dove tempo prima si era sentita fragile e in pericolo.
Ma non si erano mai baciati, mai. Neanche quando lei si voltava per guardarlo, e lo trovava già lì, con il viso a pochi centimetri dal suo e il respiro lento che andava a tempo con quello della ragazza.
Accadde una sabato pomeriggio che, avendo piovuto a dirotto, Grace volle comunque andare da Noel nella sera, per non perdersi neppure una lezione con lui.
Si presentò alla porta della casa senza averlo neppure avvertito, non avendo il suo numero di telefono per comunicargli la decisione: “Sorprendilo! In questo modo magari si sbriga a baciarti e a chiederti di uscire! Quale migliore occasione se non il sabato sera?!” le suggerì Polly, una sua amica.
Così, Grace stava lì, incerta sul da farsi, intenta a tornare indietro e lasciare stare per quella settimana.
Non era abituata a suonare il campanello, dato che Noel le lasciava sempre la porta aperta in attesa del suo arrivo. Forse quel sabato l'aveva chiusa, data la sua assenza. Magari non la aspettava più. Presa da questi pensieri posò la mano sulla gelida maniglia e la abbassò, mentre la porta si apriva lentamente. Neanche quel sabato era chiusa a chiave. Ma ora?
Sussurrò un: “Permesso?”, mentre lentamente avanzava sopra il tappeto marrone.
- Noel? Sei in casa?
Nessuna risposta.
- Noel? C'è qualcuno?
Continuava a camminare e a guardarsi intorno: la sala era completamente spenta, ma non osò accendere la luce. Ce n'era piuttosto una accesa nel piano di sopra.
- Noel? Paul?
Salì le scale lentamente, senza far rumore. Sentiva dei rumori provenire dalla camera di Noel e di suo fratello. Per qualche assurdo motivo aveva le mani sudate, le strofinò sul giacchetto grigio mentre il cuore le continuava a battere inspiegabilmente veloce.
I suoi “Noel?” ormai erano diventati dei sussurri incomprensibili, c'era una voce femminile in quella stanza. Una voce femminile che ansimava. Ansimava! O così le sembrava. Cominciò a credere di essere diventata pazza, forse si stava immaginando tutto? Oh dannazione, perché era andata dentro la casa senza suonare il campanello?! Perché aveva soltanto sperato di piacere a Noel?!
Si avvicinò alla porta, e più si avvicinava e più si sentiva male, sarebbe voluta entrare e vederlo lì solo per confermare il fatto che era un illusa, una sciocca illusa!
Posò l'orecchio sul vecchio legno e lo sentiva, la sentiva.
S'immaginò il suo corpo stringersi su quello della ragazza, s'immaginò le sue grandi mani tra i lunghi capelli di un'altra, s'immaginò il suo viso nel momento esatto del piacere, mentre perso negli occhi di lei si accalorava in quella strana fredda serata di fine inverno.
La testa cominciò a girarle, si appoggiò su un comodino che era nel corridoio, ma con la luce spenta urtò su dei libri che vi erano appoggiati sopra facendoli cadere uno per uno.
Restò un secondo in silenzio, muta, in attesa di una conseguenza a quel baccano che aveva provocato, mentre sentiva una voce dalla stanza esclamare qualcosa e avvicinarsi alla porta.
Senza raccogliere nulla, corse giù per le scale più in fretta che poteva, mordendosi le labbra e trattenendo le lacrime. Tremava. La porta si aprì, si accesero le luci delle scale e del piano di sopra. Dei passi rapidi la seguivano, e più lei correva e più sentiva la sua presenza lì vicino, quasi accanto a lei. Non si voltò. Si ripeteva di non voltarsi. Non si voltò.
- Ma che cazzo...?!
Sentì dietro di lei. Una mano forte la strinse sul braccio. Grace si passò la lingua sulle labbra sentendo il sapore del sangue misto alla sua saliva, e intanto le lacrime scendevano già incontrollate sulle guance.
Ma quando la forza della mano la spinse per voltarsi, lei si ritrovò di fronte ai suoi occhi, quelli azzurri di Liam Gallagher. Liam Gallagher seminudo davanti a lei. In quel momento non si sa bene chi dei due avesse l'espressione più stupita.
- Che cazzo ci fai qui?!
- Liam. Io... Credevo fossi... Noel!
Sospirò Grace mentre si sforzava nel guardarlo negli occhi.
- Cazzo Grace, m'hai fatto prendere un colpo! Noel non c'è. Se n'è andato a prendere una fottuta birra con i suoi amici!
L'aveva chiamata con il suo nome. Lui si ricordava di lei, lui sapeva ancora di lei. Doveva perciò anche sapere che ogni sabato pomeriggio era in casa sua. E comunque non era mai venuto a vederla.
- Scusa! Scusa! Io, non volevo. Bhè, salutami Noel. E, ehm, buona serata. A entrambi!
Pronunciò quelle parole così velocemente che Liam non ebbe neppure il tempo di risponderle, ma solo il tempo di guardarla come si guarda una bambina dopo che si è sporcata la faccia con la cioccolata di un gelato in piena estate.
Chiuse la porta alle sue spalle e corse via da quella casa ripensando al casino che aveva combinato in così poco tempo. Che figuraccia! Che figuraccia! Con quale faccia si sarebbe fatta rivedere in quella famiglia?
Sentì il rumore della porta aprirsi e lui, noncurante del suo aspetto, gridarle:
- Grace!
Lei non si voltò, continuò a correre lungo il freddo marciapiede illuminato a tratti da qualche lampione.
Soltanto quando fu abbastanza lontana dalla casa dei Gallagher prese fiato, rallentò il passo fino a fermarsi in mezzo alla strada.
“Era Liam” ripensò tra sé e sé.
Poi riprese il cammino decisa ad eliminare quanto accaduto quella sera. Anche se sarebbe stato difficile.

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Capitolo 6
*** and it's never gonna be the same 'til the life I knew comes to my house and says: ***


Yesterday, love was such an easy game to play.



And it's never gonna be the same 'til the life I knew comes to my house and says: "Hello!"



Il giorno successivo, uno strano sole invadente la svegliò, mentre i suoi raggi le battevano sopra il viso accecandola già di prima mattina. Amava la domenica proprio per questo: perché erano i piccoli dettagli a svegliarla, ad augurarle un "Buongiorno", e non una dannatissima sveglia rumorosa che la costringeva a sbrigarsi per correre a scuola. Eppure, dopo essersi stropicciata bene gli occhi e dopo aver sbadigliato un paio di volte, si accorse che non era la romantica luce della nuova giornata ad aver interrotto i suoi sogni, ma un fastidiosissimo rumore che, a quanto pare, proveniva dal suo giardino.
Si alzò, si infilò velocemente le ciabatte e prese un maglioncino rosso che teneva per casa. Si voltò verso la finestra intenta ad aprirla, ma presto si accorse che qualcuno ci stava lanciando contro dei piccoli sassolini. Sbuffò innervosita. No, non sarebbe stata una Domenica affatto piacevole. Controllò l'orario: 10.30, i suoi genitori dovevano essere appena partiti per la messa, magari si erano dimenticati qualcosa in casa, ma perché non usare il benedetto campanello? Non era cosa da loro rischiare di rovinare il vetro con del terriccio, non era cosa da loro nemmeno accovacciarsi in giardino e sfiorare soltanto una piccola pietra. Aprì di scatto la finestra ma, non appena si affacciò, un sassolino la colpì proprio sulla guancia destra, lasciandola esterrefatta ed estremamente incazzata.
- Buongiorno anche a te, emerita testa di cazzo!
Urlò allora la ragazza allontanandosi da lì. Diede un'occhiata allo specchio per controllare quella piccola chiazza rossa che si stava formando sul suo viso, e mentre si massaggiava delicatamente quella parte del volto sentì una rumorosa risata maschile che poi, le rispose:
- Non era proprio mia intenzione, Grace!
Rimase un attimo impietrita perché non si stava rendendo conto di chi fosse sotto casa sua. Un maschio? Noel? Ripensò improvvisamente alla figuraccia della sera precedente e tutto cominciava ad essere più chiaro: Liam aveva sicuramente parlato con suo fratello, ma ora con quale faccia sarebbe tornata da quest'ultimo? Si sistemò rapidamente i capelli e, lasciando la finestra aperta gli gridò:
- Dammi un secondo e arrivo!
Corse verso il bagno, si lavò velocemente e si mise gli abiti che ieri sera aveva lasciato disordinatamente accanto al lavandino. Si spruzzò qualche goccia di profumo e si lavò i denti, quando sentì una voce dirle:
- Ti sbrighi ad uscire da questo bagno? Ti ho aspettata già abbastanza!
Sconvolta, aprì la porta con un dubbio che le offuscava quasi la mente, e voltandosi, infatti, verso la sua camera, trovò Liam Gallagher seduto sul davanzale mentre sbuffava controllando impazientemente il suo orologio da polso.
Grace inarcò le sopracciglia:
- Buongiorno Liam...
- Buongiorno anche a te, Grace!
Lo squadrò da capo a piedi, e poi commentò dicendo:
- Fai come se fossi a casa tua!
- Praticamente come hai fatto tu ieri sera.
Rispose prontamente il ragazzo. Lei arrossì e fece una lieve risatina:
- Dai, scusa. Ti ho già detto che non era mia intenzione.
Lui annuì.
- Allora, come mai sei venuto qui?
Liam si alzò in piedi, si morse distrattamente il labbro superiore e si guardò intorno mentre camminava lentamente.
- Posso fumare?
Chiese dunque, girandosi verso di lei.
- Beh... no!
Fece un sorriso beffardo, prese dalla tasca del suo giacchetto un accendino verde e un pacchetto da venti di Benson & Hedges.
- Neanche se te ne offrissi una?
- Fai come vuoi.
Si posò così la sigaretta tra le labbra e, mentre la accendeva, cominciò sorridendo:
- Ti ho vista un po' sorpresa ieri sera.
Grace non rideva affatto.
- Mi sono già scusata per questo. Allora, cosa vuoi?
Liam si sedette in fondo al suo letto fumando lentamente.
- Ehi, rilassati. Volevo soltanto salutarti, insomma, sei scappata via così velocemente che non ho fatto in tempo neanche a chiederti come tu stessi.
Tutta quella situazione la stava infastidendo, si sentiva presa in giro, non si sentiva a proprio agio, la stava mettendo in difficoltà.
- Sto bene. Ora che hai risolto il tuo dubbio non penso che tu abbia altri motivi per rimanere.
- Pensavo ti facesse piacere rivedere il tuo vecchio caro amico. A quanto pare mi sbagliavo, colpa mia! Ma tu, piuttosto, non hai nulla da chiedermi?
A che gioco stava giocando? Grace rimase appoggiata all'uscio della porta.
- Ne hai parlato con Noel?!
Più che una domanda, sembrava un'affermazione. Rimase quindi stupita dalla risposta:
- E cosa avrei dovuto dirgli? "La tua fidanzatina ti è venuta a trovare ieri, ma ha trovato soltanto me e Caroline, e purtroppo non è voluta aggiungersi a noi due"?
Lei sorrise sollevata e mormorò:
- Sei sempre il solito, Liam.
Lui si voltò verso di lei:
- No, da piccolo non avevo una vita sessuale così attiva.
Rise.
- Beh, sarebbe stato preoccupante!
Il ragazzo fece un ultimo tiro di sigaretta, prima di posarsi nuovamente sul davanzale pronto per gettarsi dalla finestra e uscire così di casa. Ora, quasi delusa da questa visita improvvisa, Grace si avvicinò a lui:
- Mi ha fatto comunque piacere rivederti.
Lui le sorrise in modo beffardo e la guardò un'ultima volta, poi si voltò e si buttò da lì cadendo neanche troppo goffamente sul giardino della sua casa. Dopodiché si mise le mani in tasca e tornò lungo il viale, con la sua tipica camminata che, neanche dopo tutti questi anni, aveva cambiato di una virgola.
Chissà come aveva fatto a trovare la sua strada di casa, chissà come mai avesse voluto farle questa visita. Con questi dubbi per la testa, notò l'accendino che aveva lasciato distrattamente sul suo letto, lei lo prese e lo mise nel cassetto della sua scrivania. Sicuramente non avrebbe riferito una sola parola a Noel, di quanto accaduto.

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