La pioggia sul roseto

di Margaret Moonstone
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


La pioggia sul roseto
 
                                                        PROLOGO
 
Beatrìce ascoltava la pioggia, assorta.
 
Era la sua musica preferita, una dolce melodia che non era mai uguale; le dava sicurezza.
Percepiva il suono di ogni singola goccia che cadeva dal cielo abbandonando la soffice culla delle nuvole per andare a morire sulla terra, nel giro di un attimo, infrangendosi sulla pietra dura delle strade già bagnate dal sangue trasparente delle sue compagne.
 
Si avvicinò alla finestra.
Il vetro trasparente e rigato dalle lacrime del cielo rifletteva l’immagine del suo viso.
La pelle candida, bianchissima, sfumata solo sulle gote di un rosa lieve e gentile.
Non un’imperfezione su quel volto angelico; la bocca pareva dipinta da un artista con un pennello sottile intinto in un colore estratto da petali delle rose più pure, il collo lungo e minuto, il corpo perfetto, dalle curve morbide e sinuose, la pelle soffice e profumata.
I capelli ricadevano lunghi ben più sotto le spalle, in eleganti ciocche ondulate del colore del grano, dai riflessi infuocati.
Gli occhi, di un blu che chi non li avesse visti di persona non avrebbe mai potuto immaginare, continuavano a fissare fuori dalla finestra, la pioggia.
 
Beatrìce era bellissima, una bellezza impossibile, inumana.
 
La sua perfezione era …sbagliata: nessuna creatura sulla terra poteva permettersi di essere perfetta.
Proprio per questo, la Natura l’aveva punita, impedendole di poter vedere la propria bellezza.
 
Beatrìce era cieca.
 
Era questa l’unica cosa che faceva di lei una donna, che ricordava al mondo che anche una creatura così splendida non era perfetta, che lei era un essere umano come tutti, e non un angelo.
 
Due occhi blu, specchi di un mondo interiore che apparteneva solo a lei; era il suo mondo, unico, fatto di suoni, sensazioni e sogni.
 
Solo sognando Beatrìce vedeva le immagini scorrerle nitide davanti agli occhi, immagini che le rimanevano impresse, scolpite nella memoria come tutti i ricordi che invano cercava di cancellare.
 
Beartrìce ascoltava la pioggia, assorta.
E ogni goccia che si infrangeva al suolo era un nuovo proiettile nel suo cuore, una nuova lacrima da quegli occhi che non potevano fare altro che piangere

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


                  CAPITOLO I
 
Beatrìce si svegliò di soprassalto, il cuore a mille e la fronte imperlata di sudore.
 
Era una notte come tante altre; nel castello regnava la pace e tutte le finestrelle erano buie, segno che il coprifuoco era passato e tutto il personale di corte si era coricato da un pezzo.
Il cielo era limpido e le stelle brillavano come non mai; la fredda luce della luna piena conferiva al castello un’aria spettrale, accresciuta dal silenzio tombale che aleggiava nell’aria fredda .
 
La giovane scostò il lenzuolo e balzò giù dal letto, con un gesto rapido infilò un mantello scuro sulla camicia da notte candida e decorata con finissimi pizzi e ricami, e in preda all’angoscia corse giù dalle scale inciampando continuamente e sbandando qua e là alla ricerca di appigli per non precipitare in fondo alla stretta gradinata che collegava la sua stanza, nella torre, al cortile interno.
In fretta aprì il portone di legno e se lo richiuse alle spalle con un colpo che fece rimbombare tutto l’interno della costruzione, dopodiché riprese a correre in direzione della fontana al  centro del giardino, lungo i sentieri di ghiaia che aveva percorso mille volte insieme alle altre ragazze della reggia.
 
Correva e intanto ripercorreva il sogno terribile da cui si era appena svegliata, sforzandosi di non dar retta all’istinto che le diceva che qualcosa di brutto stava davvero succedendo.
 
Isabel, la sua dama di compagnia, stesa a terra sotto la fontana in un lago di sangue. Un urlo orribile, una voce maschile, una figura scura che frugava nel grembiule del cadavere alla ricerca di qualcosa.
E poi la pioggia.
 
Scacciò l’immagine dell’incubo e si fermo a riprendere fiato.  Solo allora si rese conto di non avere idea di dove si trovasse.
La paura le aveva annebbiato tutti i sensi: si era persa.
 
Prese a correre senza sapere dove andava, il cuore le sfondava la gabbia toracica, i piedi nudi che calpestavano la ghiaia le dolevano. Inciampò e cadde a terra.
Rimase lì immobile cercando di riprendere il controllo; c’era profumo inebriante, segno che doveva trovarsi nelle vicinanze del roseto ,e quindi della fontana.
Si calmò un poco,  e fece per alzarsi, ma sentì qualcosa toccarle delicatamente il collo.
Si mise in piedi di scatto e indietreggiò.  Chi è??  voleva gridare, ma l’urlo le si smorzò in gola: le bastò un altro tocco, questa volta più in alto, sulla guancia, per capire esattamente a chi si trovava davanti.
 
-“G-Gabriel…?”
Al solo pronunciare quel nome un brivido la percorse da capo a piedi.
Quel nomele riportava alla mente immagini dolorose, ricordi che aveva sperato potessero rimanere sepolti per sempre in qualche anfratto del suo cervello, ma che ora a tradimento saltavano fuori più vivi che mai, cancellando in un attimo tutti gli sforzi che aveva fatto per non farli riaffiorare.
 
Un sentimento troppo grande per arrendersi alla morte, due cuori che erano stati puniti per aver continuato ad amarsi là dove nessuno poteva più permettersi di amare niente fuorché un Dio sul quale nessuno sapeva la verità; una punizione crudele, una ragazza bellissima… e un colombo nero.
 
Le immagini smisero di tormentarla solo quando si accorse delle lacrime che erano affiorate.
Con uno sforzo immane le ricacciò indietro, e attese una risposta.
 
-“B-Bea…”
 
La giovane fece per tendere un braccio verso di lui, come infinite volte aveva fatto in passato, ma improvvisamente avvertì qualcosa di strano, come se una presenza sconosciuta si stesse facendo avanti silenziosamente, eppure era sicura di non aver sentito passi, non c’era nessun altro a parte lui.
 
Accadde tutto in un attimo: sentì il suo braccio afferrarla con forza per la vita, il suo alito caldo le accarezzò il collo, e subito dopo due denti aguzzi le affondarono nella carne, con la delicatezza del bacio più dolce e la forza del predatore assetato.
Non provò dolore, solo una sensazione di gelo e come se tutto dentro di lei confluisse in un unico punto: le labbra che anni prima la avevano baciata e ora si stavano nutrendo di lei.
 
Prima di perdere i sensi le parve di sentire qualcuno tossire e sputare, poi un grido atroce, e… una luce?
                                                                           
                                                                                 *   *   *
 
Quando aprì gli occhi non realizzò subito cosa fossero quegli strani puntini bianchi che vedeva brillare sopra di se’. –Il dolore fa brutti scherzi- pensò.
Ma quando una fitta la costrinse a girarsi su un fianco, mancò poco che non svenisse un’altra volta: il castello, i sentieri, le aiuole… lei li vedeva!
 
Si alzò in preda all’agitazione, correva a destra e a sinistra con gli occhi sbarrati, non sapeva se ridere o piangere - faceva entrambe le cose – e il pensiero di come fosse stata possibile una cosa del genere non la sfiorava nemmeno… il fatto che un vampiro l’avesse appena morsa, poi, sembrava l’avesse completamente rimosso!
Ora c’erano solo lei e ciò che poteva finalmente vedere:  sentiva che ogni cosa che guardava le apparteneva, non era più sola, il mondo era suo!
 
Ma l’euforia non durò a lungo: un’immagine, un’immagine orribile, le fece rimpiangere l’oscurità che la proteggeva fino a poche ore prima.
 
Isabel, la sua dama di compagnia, stesa a terra sotto la fontana in un lago di sangue. Un urlo orribile, una voce maschile, una figura scura che frugava nel grembiule del cadavere alla ricerca di qualcosa.
E poi la pioggia.
 
 
Ok, spero che il capitolo vi sia piaciuto e di non avervi annoiati. Perdonatemi per il prologo un po’ lungo…
Avrete capito che il passato della mia protagonista è piuttosto complicato, e emergerà nel corso della storia, se vorrete seguirmi.
Nel caso abbiate dubbi, il nome della protagonista si pronuncia alla francese (Beatrìs) anche se non so nemmeno se esiste in Francia un nome così…
Inoltre voglio precisare che il racconto si svolge in un’epoca inventata, con riflessi medievali.
Questa storia nasce dalla voglia impellente di scrivere, dalla mia passione per tutto ciò che è fantasy e non ha niente a che fare con la realtà, e anche dalla mia ammirazione per coloro che non possiedono la vista e comunque riescono a cavarsela anche meglio di noi…!
E’ la mia prima ff, e siccome scrivere è la mia passione, ho BISOGNO di voi e delle vostre recensioni, per capire se ho qualche speranza o è il caso di darmi all’ippica…
Grazie per aver letto il mio primo capitolo,
a prestissimo!!!

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


CAPITOLO II
 
La trovò il giardiniere, all’alba, accasciata sul corpo di Isabel.
Disse che sembrava posseduta: tremava, gridava frasi sconnesse e piangeva probabilmente da tutta la notte.
 
La trascinarono via a forza, le diedero uno strano intruglio che il medico aveva definito “sedativo” , e la costrinsero a stare chiusa in camera finché non si fosse ripresa.
Ma come poteva starsene con le mani in mano quando della sua migliore amica non rimaneva che una macchia nera di sangue nel cortile?
 
Isabel era l’unica persona con cui aveva instaurato un legame profondo da quando era successa quella cosa che la aveva riportata sulla terra. Già… 
ora che Gabriel era tornato- Gabriel era tornato…!-  tutte le sue certezze erano crollate, non riusciva a capacitarsi di nulla.
 
Innanzitutto chi aveva ucciso Isabel –Isabel…al solo pensiero le veniva la nausea- e perché?
E poi…a cosa era dovuto il prodigio dell’improvviso ritorno della sua vista? Era forse legato al morso del vampiro? Il vampiro… perché non era morta, perché non si era trasformata anche lei in una rediviva? Perché aveva avuto la sensazione di trovarsi di fronte a Gabriel mentre l’essere al quale era al cospetto non era altro che un non-morto?
Già, perché il pensiero che fosse stato Gabriel a morderla non voleva nemmeno prenderlo in considerazione…
 
Mille domande le affollavano la mente confusa mentre , seduta sul grande letto a baldacchino, si rigirava tra le mani una piuma nera.
L’aveva trovata tra i capelli di Isabel, gliela aveva tolta con delicatezza e poi si era scordata di averla in mano, così se l’era portata dietro fino in camera,  e ora continuava a  stuzzicarla per scaricare la tensione.
 
All’improvviso, fissandola, un brivido la scosse: quella era una piuma di colombo… nera… !
No. Non poteva essere. Era tutto un sogno, basta, non voleva più pensare a quella storia, voleva continuare a vivere nel suo guscio di annoiata nostalgia, come aveva fatto fino a quel momento.
Sei proprio sicura, Beatrìce, di voler vivere per sempre nella nostalgia?
 
No, no che non era sicura. Sapeva benissimo di cosa aveva bisogno, di chi aveva bisogno per continuare a vivere, ora più che mai.
 
Beatrìce aveva appena sedici anni quando, insieme al suo ragazzo, morì per mano  di una banda di persone che si definivano “spiritisti”, un gruppo di ciarlatani disperati in cerca di creduloni a cui spillare soldi. Solo uno di loro faceva sul serio, e Bea lo conosceva bene. Era un amico di famiglia (ai tempi lontani in cui aveva avuto una famiglia…), un uomo da cui tutti cercavano di tenersi alla larga. Correva voce infatti  di donne da lui sedotte che erano poi misteriosamente scomparse, e tornavano alla vita dopo anni per rapire i sacerdoti e ucciderli nei modi più truci; altri, invece, sostenevano di averlo visto più volte al cimitero in piena notte, con una bellissima fanciulla bionda il cui corpo avvenente emanava una luce propria. Erano tutte dicerie, sì, ma Bea aveva sempre saputo che c’era qualcosa di stano attorno alla figura dell’uomo, fin dal giorno in cui l’aveva visto la prima volta, e lui l’aveva fissata a lungo con lo sguardo carico di disprezzo e apprensione.
Quella sera, quella maledetta sera, i suoi sospetti avevano avuto conferma.
 Erano successe cose strane, quella sera, la maggior parte delle quali non le aveva ancora comprese. Ricordava solo lo sguardo di lui in fin di vita, carico di odio, mentre si contorceva come posseduto da uno spirito oscuro, e lanciava su lei e il fidanzato, Gabriel Sincloude, la sua ultima maledizione.
 Del periodo immediatamente successivo alla sua morte Bea non ricordava niente, era buio totale; quello che era successo dopo, invece, le era ben presente.
Si era ritrovata in mezzo a un’immensa distesa di quella che pareva essere neve, ma era di un colore diverso, nuovo, imparagonabile a qualsiasi altro colore conosciuto sulla terra.
Aveva camminato a lungo spinta da un desiderio sconosciuto, sempre nella stessa direzione, e per la prima volta aveva avuto la concezione del Nulla.
Dopo giorni, o forse anni, o forse dopo un istante, era impossibile da stabilire, si era trovata davanti  se stessa, morta, sdraiata in mezzo a quella sostanza dal colore strano che solo in quel momento aveva compreso essere Luce.
 Aveva pianto a lungo, fino a che una fanciulla l’aveva presa per mano, e portata con sé in un luogo meraviglioso, pieno di creature angeliche e il cui infinito potere era annientato da una Luce che costantemente splendeva su di esse.
Aveva trascorso lì molto tempo, finché un giorno (se così si poteva chiamare) aveva scorto in lontananza Gabriel, il suo Amore, venirle incontro.
 Era nudo, come lei del resto, e disperato, glielo si leggeva nello sguardo. Si erano abbracciati, baciati, nell’inconscia consapevolezza che quello che provavano l’uno per l’altra era sbagliato, ma non potevano farne a meno.
Avevano fatto l’Amore.
Per la prima volta, nel luogo peggiore che potessero scegliere.
 E dopo, si erano ritrovati in una nebbia scura, orribile, densa di volti spaesati che li fissavano. E sopra di loro una Luce, dolorosa, che li attraeva verso di sé e più si avvicinavano, più si sentivano male.
Un uomo, vestito di stracci ma dal corpo perfetto li aveva raggiunti, e aveva gridato loro “Peccatori! Ciò che avete osato è troppo anche per il Signore, l’amore che provate l’uno per l’altra non merita né il Paradiso né l’Inferno!”.
Poi il buio. Non riusciva a muoversi né a parlare mentre, nel Buio, vedeva Gabriel mutarsi lentamente in un uccello, e volare via leggiadro sbattendo le ampie ali rivestite di soffici piume nere.
Non l’aveva rivisto mai più.
Ma tutte le notti lo aveva sognato, volare maestoso per tornare da lei, un’umana.
Un Angelo bandito dal cielo costretto a vivere per sempre nell’ombra di una vita ormai consumata ma troppo ricca di ricordi per poter essere lasciata andare.
 
-“Beatrìce!!”
Non sapeva quanto avesse dormito, ricordava solo di essersi sdraiata e aver sprofondato la testa nel cuscino, per tentare di soffocare i pensieri dolorosi.
 
La piuma. Non c’era più. Dove diav…
 
-“Beatrìce!!”  Madre Anastasia, la suora che da sempre si occupava delle faccende pratiche di corte, nonché dell’educazione più che severa delle giovani dame, fece irruzione nella stanza spalancando rumorosamente la porta. “Che ci fai lì sul letto? Vestiti, tra mezz’ora si va al rosario per la povera Isabel…Gesù mio, come sei conciata?? Forza, avrai tempo dopo per i piagnucolii …”
 
                                                                                   *   *   *
 
Beartìce odiava le funzioni. Nonostante le toccasse andare in chiesa ogni domenica, non si era mai abituata a tutti quei crocefissi, raffigurazioni, statue di cui, anche se non li vedeva, avvertiva la presenza e l’influenza dolorosa.
Ora era terribile. Faceva il possibile per tenere lo sguardo basso e respirava profondamente, ma non poté fare a meno di portare gli occhi al maestoso altare dietro il quale un giovane prete dall’aria goffa faceva il suo dovere. E fu allora che vide, in una delle prime file, un uomo dall’aspetto magnifico, con folti capelli corvini e occhi neri, che la fissava, tra i capi chini delle vecchie dame che pregavano sommessamente.
Quando incrociò il suo sguardo, l’uomo si voltò, dopo averle rivolto uno strano sorriso.
                                                                                   *   *   *
 
Faceva freddo fuori dalla chiesa, ma non si sarebbe mossa finché non avesse visto uscire l’uomo misterioso.
Quando quello arrivò, ella si alzò e gli si fece incontro. Prima che la ragazza potesse rivolgergli la parola, lui si inchinò e si presentò: “Thomas Altière, vedovo da ieri sera della dolce Isabel Davids.”
 
Era troppo impegnata a fissarlo con un misto fra sorpresa e orrore, per accorgersi della piuma nera che gli sbucò dal taschino della giacca.
 
 
Ciao a tutti!! Allora, molti degli interrogativi della scorsa volta sono stati svelati e… ne sono arrivati di nuovi! Siete un po’curiosi?? Anche se per ora non sono in molti a seguire la storia, cercherò di portarla avanti meglio che posso… ovviamente anche grazie ai vostri pareri, che sarebbero molto preziosi ;)!
Grazie alla prossima!
*..lady Black Rose..*

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


                                                             CAPITOLO III
 
-“Mi faccia scendere immediatamente!!” strillò Beatrìce cercando di divincolarsi dalle braccia possenti di Thomas Altière, che l’aveva sollevata e cercava di issarla su quella che doveva essere una carrucola in disuso da secoli.
-“Stia calma signorina Beatrìce, e non si agiti, sono qui per aiutarla e lei mi sta rendendo le cose più difficili del previsto…ahi!” Un piccolo piede gli arrivo dritto in faccia e la ragazza riuscì finalmente a liberarsi dalla presa.
-“Io non la conosco neanche, come osa mettermi le mani addosso?? Non ho nessuna intenzione di farmi portare da nessuna parte, lei è solo un impostore: Isabel non aveva nessun marito, era a un passo dal prendere i voti…”provò una stretta al cuore nel pronunciare la frase.
-“Bè, questo non significa che in passato non abbia potuto amare un uomo, non le pare? Accidenti signorina, la facevo più perspicace!”
Era troppo! Bea fece un passo avanti per scostarsi e allontanarsi il più possibile da quel tipo che prima in chiesa l’aveva fissata con insistenza e poi aveva preteso di “conoscerla meglio di quanto credesse” e di “avere delle cose molto importanti da dirle”.
Ancora non sapeva come si fosse fatta convincere a seguirlo fin lì, in quella specie di spiazzo nel bosco ai margini del paese , che odorava di funghi e muschio selvatico.
Forse per via della sua irresistibile bellezza, del suo profumo intenso, o dell’aria sicura e protettiva che emanava.
 
Nel tentativo di correre via, mise un piede in fallo, e scivolò nel baratro che Thomas voleva farle attraversare con la carrucola.
-“Aiuto…aiutoo!! “
 
Fortunatamente non era alto come sembrava,  e la ragazza si sbucciò solo le ginocchia, rotolando in mezzo alle foglie secche e fermandosi a gambe all’aria vicino a una roccia, col largo vestito a balze nero a lutto ormai strappato e tutto sollevato.
 
Thomas non riuscì a trattenere una risatina. –“Tutto bene signorina? Io glielo avevo detto di lasciar fare a me… desidera una mano?”
 
Con un balzo incredibile di cui Bea non riuscì a capacitarsi, l’uomo le piombò a fianco e le tese un braccio.
-“Non osi toccarmi! Sto bene, se non le dispiace me ne torno a casa…”
-“Mi permette di accompagnarla?”
-“No!”
-“Accidenti, siamo scontrosi… di questo non mi aveva parlato il suo amico Gabriel…”
 
Bea si voltò di scatto, improvvisamente bianca in volto. –“Lei c-conosce…”
-“Mmm…ho trovato un modo per catturare la sua attenzione!” le labbra dell’uomo si incurvarono in un sorriso malizioso. –“Direi che lo conosco piuttosto bene…e anche lei a quanto pare!” si avvicinò e sfiorò con le dita lunghe i segni impercettibili sul collo della giovane. –“Un bacio di sangue…” mormorò, mentre continuava a accarezzare delicatamente la pelle di lei, improvvisamente incapace di reagire, ipnotizzata da quel tocco dolce e irreale.
 
Dopo qualche istante Bea tornò in sé, scostandosi bruscamente e dandogli le spalle. –“Che cosa vorrebbe dire? Se pensa che sia stato Gabriel a farmi una cosa del genere si sbaglia di grosso! “
-“Se permette credo di saperne un po’più di lei, se solo mi facesse spiegar…”
-“Ora basta mi lasci stare!” corse via mentre la luna piena, i rami degli alberi, il terreno dissestato diventavano sempre più sfuocati ai suoi occhi gonfi di lacrime.
Non sapeva dove stesse andando, le importava solo di scappare, il più lontano possibile da quell’uomo che non le piaceva per niente.
Era davvero solo da quell’uomo che tentava di scappare?
                                                                                *   *   *
Erano appena pochi minuti che camminava, anche se a lei sembrava fossero passate ore, e l’idea di essersi addentrata nel bosco in piena notte le piaceva sempre meno.
Forse era solo un’impressione, ma ad ogni passo avvertiva mille rumori agghiaccianti intorno a sé, e si sentiva terribilmente osservata.
 
All’improvviso, una risata. Sinistra, agghiacciante, diabolica.
Un’ombra uscì dal folto della foresta, e le sbarrò la strada.
Una figura incappucciata, piuttosto imponente, col viso nascosto e una spada al fianco.
Una spada che aveva qualcosa di familiare.
 
La risata risuonò di nuovo, più forte e stridula, provocandole un brivido che le avvelenò tutte le articolazioni, improvvisamente paralizzate dal terrore.
 
-“Thomas…” fu tutto quello che la sua voce tremante riuscì ad articolare in un sussurro, prima che quella creatura – creatura, perché sul fatto che non fosse umana Beatrìce non aveva dubbi- le si avventasse contro.
La afferrò brutalmente con le mani sporche di terra, la sbatté contro un albero e la immobilizzò con il proprio corpo. –“Sei finita ragazzina, una volta per tutte…”
 
In quella voce Bea riconobbe tutto il disprezzo che quell’uomo infernale aveva nutrito per lei fin da quando era bambina, tutto l’odio che lei aveva ricambiato, e aveva continuato a provare negli anni della sua amara solitudine.
L’aveva già uccisa una volta, non gli era bastato: con qualche arcano trucco l’aveva riportata in vita per poi godere facendola morire di nuovo.
 
Alzò lo sguardo per avere la conferma di chi fosse il mostro che si apprestava a ucciderla, e vide gli occhi grigi di Ivan Rotten strabuzzare improvvisamente  in un lampo di sorpresa e dolore, e il viso impallidire mentre due mani forti gli si avvinghiavano al collo nel tentativo di strangolarlo.
 
Thomas Altiere stava ritto e apparentemente calmo alle spalle di Ivan, come se immobilizzare un uomo armato tenendolo per il collo fosse un gesto del tutto irrilevante.
-“Al suo servizio, signorina!”- così dicendo strattonò il malcapitato facendolo ruzzolare per terra, ma esso riuscì a rialzarsi e brandì pericolosamente la spada nella sua direzione.
Sempre senza ombra di emozione sul viso, Thomas sguainò la sua e costrinse l’avversario ad arretrare. In poco tempo i due sparirono a colpi di spada nel folto della foresta, lasciando la fanciulla sola col proprio terrore.
 
Sconvolta, si era lasciata scivolare ai piedi dell’albero, e ora se ne stava lì raggomitolata su se stessa a tremare come una foglia per l’aria gelata sulla pelle scoperta dagli strappi del vestito.
E, ovviamente, non era solo il freddo che la scuoteva.
Gabriel non era l’unico a essere tornato. Anche Ivan Rotten lo era, e la cosa la inquietava. Non perché aveva tentato di ucciderla, non perché lui era cattivo.
Perché lui era morto.
 
Cosa doveva fare ora? Scappare. Era la cosa migliore. No, non poteva  farlo, quell’uomo rischiava la vita per lei, doveva restare. Restare e sapere. Era stanca di fuggire, voleva sapere.
Era in pericolo. Perché non scappava? Cos’aveva quell’uomo misterioso di così maledettamente attraente da costringerla a rimanere inchiodata lì a morire di paura solo per aspettarlo?
A quest’ora potrebbe essere morto, Beatrìce…che senso ha stare qui? No, lui non sarebbe morto, ne aveva la certezza. Era troppo…troppo…troppo “qualcosa” per morire. Cosa? Cos’era lui? Dio Beatrìce! Non ti starai mica innamorando di un perfetto sconosciuto?! No. Impossibile. E’ bastato solo un pensiero a Gabriel per… No. Bea vattene.
Faceva freddo. Il gelo fendeva la pelle come una lama sottile, che rimarcava sulle sue ferite facendole bruciare.
E lei se ne stava lì come una perfetta idiota ad aspettare che qualcuno le spiegasse cosa stesse succedendo.
                                                                                 *   *   *
 
Era fragile, molto fragile. Bastava un soffio per spezzarla in due.
Era nata e cresciuta nel pericolo e aveva imparato a essere diffidente.
Aveva imparato ad avere paura.
No, in fondo non lo aveva mai imparato. Si era sempre vergognata di mostrare agli altri i propri timori, per questo si era abituata a celarli dietro una maschera impenetrabile di continuo orgoglio .
La persona più sfacciatamente orgogliosa che possa esistere sulla faccia della terra”, gliel’aveva descritta il suo amico, e in effetti col tempo aveva potuto constatarlo, osservandola e tenendola d’occhio giorno dopo giorno, senza che mai lei desse segno di accorgersene.
 
E adesso era lì, seduta davanti a lui con i suoi adorabili occhi blu che lo scrutavano preoccupati e curiosi come quelli di una bambina.
Se fosse stato ancora in grado di provare sentimenti, non avrebbe resistito a quello sguardo.
Ma lui non potevae questo era un bene.
 
-“Ora che siamo al sicuro potrebbe spiegarmi che diavolo sta succedendo?” Sorrise. –“O forse neanche questo vestito è di suo gradimento?”
Si riferiva a quando, poche ore prima, il suo salvatore era ricomparso da dietro un albero e, esaminandola da capo a piedi, aveva stabilito che era impresentabile e fermarsi a parlare in una locanda, oltre a destare sospetti, sarebbe stato imbarazzante.
Così erano stati costretti a camminare per una buona mezz’ora fino alla casa di un vecchio amico di Thomas, fuori città per affari, e dopo non poche proteste da parte di Beatrìce erano entrati dal balcone sentendosi liberi di approfittare dei pochi viveri nella dispensa e degli abiti della moglie dell’ “ospitale” padrone di casa.
-“Ora si fida di me?”- domandò lui serio.
-“Ha appena messo fuori gioco un uomo pericolosissimo che, come ho potuto vedere con i miei occhi anni fa, era già morto… è ovvio che non mi fido di lei!”
Thomas non poté fare a meno di sorridere. –“Be’, le consiglio di imparare a farlo, perché d’ora in avanti non la perderò di vista un secondo, sarò la sua guardia personale.”
-“Una sorta di angelo custode?”
-“Diciamo pure diavolo custode.”
 
 
Eccomi!! Sono un filino in ritardo, ma questo capitolo proprio non voleva uscire… non so come mai, ma nonostante sia il primo in cui è presente un po’ di azione, mi sembrava… moscio! Ma sta a voi giudicare… quindi recensite!!
Ah, poi mi sono divertita a “ricreare” i personaggi come li immagino io, ma li avrete prossimamente perché…mi devo ehm…ancora impratichire con le pubblicazioni, è già tanto se riesco a postare le storie…! In ogni caso sono solo “bamboline vestite”, mettere le foto non mi sembrava il caso perché modificano l’immagine che uno si è fatto del personaggio…. Va be’!!
Alla prossima :)
*..lady Black Rose..*
 

                                                                                                                              
 

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


                                                                   CAPITOLO IV
 
Il silenzio nella stanza si era fatto opprimente, lo si poteva percepire come fumo denso che aleggiava nell’aria intorno a loro, emettendo come un fischio che perforava le orecchie e imponeva loro di tacere.
Beatrìce sapeva che se avesse rotto quel silenzio qualcosa dentro l’uomo che aveva di fronte avrebbe superato il punto di massima tensione e si sarebbe spezzato distruggendo l’equilibrio che si era creato. Sarebbe stato come gettare una pietra sulla superficie piatta di un laghetto, e vedere la pellicola trasparente dell’acqua frantumarsi in una miriade di spruzzi, come uno specchio rotto in mille pezzi.
Schegge di vetro che lacerano la pelle facendo colare minuscole gocce di sangue, avrebbero fatto solo male.
 
Era buio, nella casa del mercante, l’unica luce era quella debole delle lampade a olio della strada su cui dava la finestra spalancata accanto al tavolino a cui erano seduti, uno di fronte all’altro, in silenzio.
 
-“Lei può vedermi, non è vero?” la domanda improvvisa di Thomas la fece sussultare. Non lo aveva ancora detto a nessuno. Annuì.
-“E… sa perché?”
-“No-  rispose dopo alcuni secondi-  però… è accaduto subito dopo che mi sono risvegliata dal morso di…ecco io… non so cosa stia succedendo, lei non può capire…”
L’uomo la guardò negli occhi serio.
Era chiaro che lui poteva capire.
-“Ora mi ascolti bene. Sono tante le cose che ho da dirle e che la riguardano direttamente, ma la prego di farmi parlare e di non interrompermi, non è facile neanche per me.
 
Beatrìce intrecciò le mani in grembo e si concentrò su un punto a caso alle spalle dell’ uomo che si apprestava a dirle finalmente la verità.
 
Thomas iniziò a parlare. La sua voce grave infondeva tranquillità, le parole la cullavano in uno strano torpore di cui non riusciva a capacitarsi, come se stesse vivendo un sogno, pur essendo ben sveglia e padrona di sé stessa.
Le sue parole erano sorgente pura da cui lei attingeva finalmente la tanto agognata verità, la dissetavano, tirandola fuori dalla lenta agonia che aveva rischiato di risucchiarla per l’Eternità.
 
-“Venivo da una famiglia molto religiosa, gente capace di tenerti a digiuno per giorni se solo saltavi una messa. Ero considerato una specie di pecora nera: non ero un grande osservante, avevo un istinto ribelle e la lingua tagliente, ma non avrei mai fatto male a nessuno. Agli occhi dei miei genitori ero un buono a nulla, per questo, quando mi ritrovai sul luogo di un delitto, nemmeno loro vollero credere alla mia innocenza.
Allora era diverso: erano tempi loschi, regnava la corruzione, così a mio padre bastò elargire una cifra considerevole alla guardia che mi sorprese per far sì che la cosa passasse inosservata. Ma non me la sarei cavata così facilmente: i miei mi sottoposero a punizioni e sacrifici terribili, e quando decisero che avevo “espiato”, mi indussero a confessarmi al loro prete di fiducia.
Chiese e sacramenti non mi erano mai piaciuti, ma dovevo accettare: mio padre minacciava di togliermi i viveri, e io sapevo con certezza che il suo non era solo un modo per spaventarmi.
E così mi recai nella vecchia chiesa di Saint George, per incontrare il sacerdote che mi avrebbe liberato da un crimine che non avevo mai commesso. Ricordo il terrore nei suoi occhi quando mi vide, e poi nulla. So solo che tre giorni dopo venni ritrovato da un amico al vecchio cimitero, sdraiato a fianco a una lapide, privo di sensi. Ero confuso, mi sentivo malissimo e non ricordavo cosa mi fosse successo, ma il peggio doveva ancora venire. Edgar, il mio amico, sosteneva che fossi cambiato, e che la mia vicinanza in qualche modo lo turbasse. Non era il solo: tutti quanti mi evitavano, c’era chi sosteneva di non conoscermi nemmeno, e quando chiesi a Edgar della mia famiglia, lui rispose che da tre giorni non se ne avevano notizie.
Quando tornai a casa, uno spettacolo orribile mi si parò davanti: mio padre, mia madre, le mie tre sorelle…erano tutti morti. Avevano squarci alla gola e ferite su tutto il corpo: c’era sangue ovunque. Solo Eveline, la mia sorellina più piccola, sembrava scomparsa. Mentre osservavo quello scempio, con orrore mi resi conto di non provare nessun tipo di rabbia, sgomento…nessuna emozione. L’idea di tutto quella violenza quasi mi elettrizzava.
Spaventato, una paura di me stesso che esisteva ormai solo nella mia ragione, non nei sentimenti, corsi via e, guidato da un istinto tutto nuovo, mi ritirai nei boschi. Mi accorsi di essere cambiato: sentivo la malvagità scorrermi nelle vene, ma, con quel briciolo di umanità che ancora mi rimaneva, promisi che non avrei fatto nulla di crudele, a nessuno. Diventavo ogni giorno più debole, avevo bisogno di violenza per nutrirmi, ma non sarei mai ceduto. Non mi sarei mai arreso al demonio che si stava impossessando di me. Per impedirmi di compiere qualsiasi gesto malvagio, passavo la maggior parte del tempo a dormire, per terra, in mezzo alle foglie: non avevo nulla da temere, anche le bestie feroci non osavano avvicinarsi.
Una volta sognai una donna bellissima, con qualcosa di famigliare. Mi disse di essere simile a me, una giovane che in punto di morte era stata trasformata da qualcuno in angelo, e che poi era stata scacciata dal Paradiso perché la sua anima non era quella immacolata di un autentico essere divino. Mi spiegò che a me era successa la stessa cosa, con la differenza che io ero stato destinato all’Inferno. Funzionava così: qualcuno, in possesso di qualche arcano segreto, stava scegliendo, in base a cosa non ci è dato saperlo, uomini o donne da uccidere e indirizzare verso Inferno o Paradiso, Bene o Male. Così, quando queste anime giungevano nei potenti centri delle due entità, venivano subito riconosciute come intruse, magari a causa di gesti che richiamavano la loro umanità, ed erano bandite. Angeli e demoni tornavano così sulla terra, come creature ripudiate da Dio, non più umane né divine: vampiri. E ’così che nascono le stirpi di redivivi: il primo componente di ogni dinastia diventa tale perché perde la sua umanità ma non gli è concesso morire una seconda volta; la sua esistenza si protrae per l’eternità. Di solito questo avviene ad autentici angeli e demoni, che compiono errori fatali, questa volta, invece, c’era qualcuno che manovrava questo processo per creare nuove stirpi. Ciò era strano: come saprai tutti i vampiri presenti sulla terra erano stati sterminati durante la Guerra, eppure c’era qualcuno che, secoli dopo, tentava di riaffermare la loro presenza.
Quella notte compresi molte cose, e solo al termine del sogno riconobbi in quella donna colei del cui omicidio ero stato accusato. Volevo capire, volevo sapere chi compiva un gesto simile e perché. Decisi di tornare al cimitero dove tutto era partito, alla lapide dove ero stato ritrovato. Era molto antica, e le scritte illeggibili, ma consultando alcuni archivi riuscii a risalire al nome del proprietario: Ivan Rotten. Venni a conoscenza di molte dicerie sul suo conto: in tanti sostenevano di averlo rivisto più volte, dopo la sua morte, di solito nei pressi delle chiese; gli si attribuivano gli omicidi più cruenti, e si vociferava che potesse essere addirittura discendente di Lucifero. All’epoca erano tutti molto superstiziosi, non bisognava fidarsi più di tanto, ma che qualcosa di oscuro girasse attorno a quell’uomo era ormai certo. Iniziai una ricerca esasperata di quell’individuo, ma non ce n’era traccia.
Erano ormai passati anni, quando mi decisi a tornare nella chiesa di Saint George, dove era iniziato il mio incubo. Scoprii che era stata rasa al suolo, e al suo posto era sorta una residenza regale, abitata da una vecchia  che in passato era stata regina, e dalla sua cerchia di giovani dame. E lì riconobbi Isabel, la ragazza del sogno. Riuscii a introdurmi nel palazzo, e quando la raggiunsi lei non parve sorpresa: mi parlò di aver conosciuto a corte un’avvenente giovane, che, era certa, aveva subito il nostro stesso destino. Era diversa però, mi disse, infatti non era stata trasformata in vampiro, e pareva avere ancora molte caratteristiche umane. Forse lei poteva aiutarci…tu, Beatrice, potevi aiutarci. La tua vita era molto importante, così decidemmo di tenerti all’oscuro di tutto, per non esporti a pericoli. Nel frattempo ci rendemmo conto di come lo stare vicini l’uno all’altra placasse la nostra sete di sangue, e diminuisse anche la nostra intolleranza agli oggetti consacrati. Io non avevo mai ucciso nessuno, ma lei sì: ci vuole una certa forza per resistere a certe tentazioni, e lei non poteva possederla. Mi pregò di starle vicino, così non avrebbe più avuto bisogno della morte degli altri per vivere, se quello si poteva chiamare “vivere”…
Lei rimase a corte e, per non dover mai uscire alla luce del sole, finse di voler prendere i voti: come sai, il regolamento di madre Anastasia prevede che per i primi anni le giovani suore si dedichino esclusivamente alla preghiera, restando sempre chiuse a palazzo. Le costò terribili sforzi vivere tra cerimonie e oggetti consacrati, e probabilmente senza la mia vicinanza non ce l’avrebbe fatta, ma non aveva scelta: non poteva perderti d’occhio per un solo istante.
Io invece passavo le giornate in un rifugio nel bosco, quello dove prima avrei voluto portarti, e di notte Isabel mi raggiungeva di nascosto. Stavamo bene insieme. Non ci amavamo, non avremmo potuto farlo, ma eravamo “necessari” l’uno all’altra.
Imparai a nutrirmi di animali, e fu proprio durante la caccia che un giorno mi imbattei in un uccello strano, nero, diverso dagli altri volatili presenti in natura. Non appena lo morsi, un sapore orribile mi invase la bocca e la gola. Più che sangue, pareva veleno, che rischiava di corrodermi le viscere. Ma il disgusto passò in secondo piano quando mi resi conto che l’uccello si stava lentamente trasformando in un essere umano. L’immagine di Gabriel, del tuo Gabriel, si sostituì a quella del colombo lasciandomi sbalordito. Lui non parlava, aveva il terrore nello sguardo e tremava convulsamente.
Ne parlai con Isabel. Secondo lei anche tu eri uno di noi, eppure non riusciva a spiegarsi il perché del volatile. Solo quando lui, tre giorni dopo, riprese ragione capimmo che era come te: diverso anche da noi, probabilmente per un errore, non era mutato in vampiro. Secondo Isabel era perché il Male non riusciva a prevalere in voi, ed eravate rimasti in stato neutrale. Ma per Gabriel le cose cambiarono: io l’avevo morso. Il suo sangue mi disgustava perché era in parte divino, ma lo avevo comunque trasformato. Lui era il primo discendente della stirpe di vampiri inaugurata da me.
Noi Beatrìce, io, te, Isabel e chissà chi altro, siamo Anime di Mezzo, non redivivi. Chi viene morso lo è… Gabriel lo è. Ma noi no. Tu poi, tu hai qualcosa in più. Tu puoi aiutarci a capire e a salvare le vite innocenti che Rotten sta usando per il suo piano ancora sconosciuto.
Continuando, la prima cosa che Gabriel chiese quando riprese coscienza eri tu. Volva vederti, ma noi riuscimmo a convincerlo che sarebbe stato troppo pericoloso: ancora non era abituato a gestire la malvagità che aveva dentro, e avrebbe potuto farti del male. Così ogni giorno, con l’aiuto e il sostegno di Isabel, ti osservavo al castello e portavo a Gabriel tue notizie. Lui era sempre più inquieto, sapevamo che non lo avremmo trattenuto per molto.
E infatti l’altra notte è scappato da te. Isabel è arrivata per fermarlo, ma il suo furore era troppo e l’ha uccisa. L’avrebbe fatto con te se lei non fosse intervenuta. Ti ha morsa, ma tu non sei divenuta una vampira, perché come credevamo, hai qualcosa di più. In compenso hai perso la cecità, unica caratteristica umana.
E adesso Gabriel è scomparso, Ivan si è rifatto vivo, Isabel è morta e io non ho la minima idea di cosa faremo. Ma qualcosa faremo, Bea, non possiamo continuare così. Se mi aiuterai potremo finalmente uscire da questo incubo.
Ce la faremo, vedrai. Andrà tutto bene."
                                                                                  *   *   *
 
Silenzio. Dopo tutto questo, silenzio.
Dentro di lei però regnava il caos.
Era esausta, pareva avesse vissuto di persona il racconto di Thomas.
Era confusa, le faceva male la testa e non era sicura di aver davvero capito bene.
Era spaventata, ora sapeva che per anni aveva vissuto ignara di un pericolo terrificante.
Era frastornata, mille emozioni le scoppiettavano nel cuore indecise su quale dovesse prevalere. Senza sapere cosa pensare, senza sapere se essere arrabbiata, triste, impaurita…senza sapere niente, in balia dei propri sentimenti, pianse.
 
Thomas con molto tatto le lasciò un po’di tempo per ricomporsi, dopodiché si avvicinò e con infinita dolcezza le posò una mano sulla spalla. –“Ti capisco, so cosa provi”, fu un sussurro quasi impercettibile ma che le carezzò la mente regalandole un minimo di conforto.
 
-“Un ultima cosa Beatrìce, poi ti lascerò in pace. Tu sei diversa, ma pur sempre un’Anima di Mezzo. Anche se non possiedi certe caratteristiche, come l’indifferenza ai sentimenti, ne hai altre che ti accomunano a noi: la bellezza, l’influenza dei sogni e… la possibilità di vedere davvero lo spirito che si è impadronito di te.”
La ragazza lo fissava senza capire.
-“Beatrìce, tu cosa vedi quando ti guardi allo specchio?”
La domanda la spiazzò: fino al giorno prima era stata cieca, e per il resto non aveva avuto occasione di specchiarsi.
Senza attendere risposta, Thomas estrasse dalla tasca un elegante, piccolo specchio da signora, e glielo porse.
 
Prima che l’oggetto andasse in mille pezzi, lasciato cadere dalle sue mani tremanti per lo stupore e lo sconforto, Beatrìce riuscì a scorgere nitidamente nel suo riflesso i tratti inconfondibili del ragazzo che amava e che, a quanto pareva, stava diventando il suo peggior incubo.
 
Fortunatamente i miei infiniti impegni mi hanno lasciato un briciolo di tempo, che ho subito impiegato per far procedere la mia storia. Sì, capisco che possa risultare tutto un po’complicato, ma preferivo rivelare una volta per tutte come stavano le cose, o almeno una parte delle cose…! Che ne dite? Se lo trovate un po’…pesantino non esitate  comunicarmelo!! Davvero, volevo ringraziare Darkry, Nereis e Nye per le recensioni che hanno lasciato e che (mi auguro) lasceranno ancora. Grazie anche a chi  mette questa storia tra seguite o ricordate…avere anche un vostro parere mi farebbe felice!
 Detto questo vi saluto!:D
Un bacio
*…lady Black Rose…*

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Capitolo 6
*** Capitolo V ***


                                                                       CAPITOLO V
 
Gabriel stava davanti a lei, tra i loro volti c’erano pochi centimetri. Il suo Amore, bello più che mai, ora era lì. Avrebbe potuto sfiorarlo, sentire il tocco della sua pelle così caldo e rassicurante; avrebbe potuto abbracciarlo, stringerlo, cercare il contatto mancato per così tanto tempo…voleva posargli la testa sul petto, come faceva sempre, e respirare a fondo il suo profumo che le penetrava ovunque e le annebbiava la mente in uno stato di pura, ebbra felicità. Avrebbe davvero potuto avere tutto questo.
Avrebbe potuto toccarlo, ma tutto quello che avrebbe sentito sarebbe stata la fredda durezza di un semplice specchio sotto le dita tremanti.
 
-“Beatrìce, è ora di andare”. Thomas comparve nella stanza balzando dentro attraverso la finestra aperta.
Aveva passato la giornata nel suo rifugio nel bosco. Era più sicuro: quella casa era piena di finestre che lasciavano filtrare troppa luce e, avevano scoperto curiosando, c’erano rosari e crocefissi dappertutto.
Beatrìce invece, immune a tutto questo, era rimasta chiusa nella casa del mercante, seduta immobile davanti allo specchio nella stanza da letto.
 
-“Andare dove?” chiese un filo di voce e una punta di irritazione.
-“Mmmm… vediamo, per oggi le nostre priorità sono :ritrovare un pericoloso vampiro scomparso, cercare notizie su un pazzo maniaco che trasforma le persone in demoni, fare in modo che nessuno a palazzo si accorga della tua assenza, evitare che io senza Isabel mi trasformi in un demone sanguinario… seratina leggera, non ti pare?”
 
A Beatrìce quello non sembrava decisamente il momento di fare del sarcasmo, perciò si limitò a sbuffare e si alzò pigramente dalla sedia incrociando le braccia al petto.
-“E da dove dovremmo cominciare?” avrebbe voluto mostrarsi indifferente, ma la voce le era uscita più debole del previsto.
Thomas spostò lo sguardo da lei al cortiletto che si vedeva dalla finestra, per poi tornare su di lei con un sorriso che non aveva proprio niente di promettente.
-Se lo può scordare! Non salterò mai giù da quella finestra…per chi mi ha preso? Per una pazza suicida?!”
-“Avanti Bea, ti tengo, fidati di me!”
-“Mai!”.
                                                                                   *   *   *
Beatrìce atterrò con una grazia inaudita sul prato incolto del giardino, cercando in tutti i modi di mascherare il proprio stupore. Si rese conto troppo tardi di avere ancora un braccio serrato intorno alle spalle di Thomas, e lo ritrasse subito.
“Ma come fa?” avrebbe voluto chiedergli, insomma… le era sembrato di essere una piuma che ondeggiava lentamente prima di arrivare illesa al suolo, più che un corpo di cinquanta chili avvinghiato a uno di almeno settanta che si lanciava a rotta di collo da dieci metri di altezza.
-“Voi quasi-vampiri non amate le porte, non è vero?” disse invece, acida.
-“Noi quasi-vampiri non amiamo essere visti andare a zonzo per le città come se niente fosse, soprattutto se usciamo dalle case altrui…”
-“Oh, ma certo, immagino che lanciarsi giù dalle finestre invece dia molto meno nell’occhio…”
Lui si portò una mano alla fronte esasperato, e si limitò a sorridere.
 
Ma perché sorrideva? Dentro  di lei regnava il caos, sentiva la tristezza consumarla nel profondo cercando in tutti i modi di contenerla e lui…sorrideva?!
Come faceva  a non capire che il suo sarcasmo era l’unica arma che le restava per non lasciarsi andare?
Sentiva la rabbia crescerle dentro sempre di più. Perché non la lasciava in pace…non aveva un minimo di compassione?
Poi un pensiero improvviso: no, lui non aveva compassione.
Non poteva provare compassione.
Era per questo che la voleva…lui l’aveva cercata quando ormai nessuno più si curava di lei. Le aveva rivelato segreti troppo pericolosi sciogliendo i dubbi che l’avevano sempre tormentata. Le aveva dato la possibilità di riscattarsi e mettere fine alla sua nostalgia. Thomas aveva bisogno di lei per ricominciare a vivere davvero. E lei aveva bisogno di lui. Perché erano nella stessa situazione.
Confusi.
Spenti.
Soli.
 
Sì, doveva seguirlo. Doveva andare avanti a tutti i costi se voleva tornare ad avere una vita.
Non che seguire Thomas fosse un problema: quell’uomo aveva qualcosa di terribilmente affascinante che le impediva di lasciarlo solo davvero. Nonostante lo odiasse –per principio, dopo il rapimento e tutti quei racconti- sentiva in qualche modo di non poter fare a meno di lui. Come la prendeva con sicurezza, come la guardava con quel sorriso incomprensibile…
Le ci vollero un paio di secondi per ricordare a se stessa che lo odiava.
“Per Gabriel” si ripeté alzando lo sguardo verso il suo enigmatico compagno, dopodiché in silenzio iniziò a camminargli a fianco cercando di convincersi che fosse davvero solo “per Gabriel” che continuava imperterrita a seguirlo.
                                                                              *    *    *
Quella ragazza ce la stava mettendo tutta per farlo uscire dalla grazia di Dio.
“Non che io non sia già fuori dalla grazia di Dio…”considerò mentalmente Thomas, trattenendo a stento un sorrisino stupido. Non gli ci era voluto molto per capire che Beatrìce non era il genere di persona con cui si poteva scherzare, specialmente in un momento delicato come quello. Il suo fissarlo diffidente, la sua ostilità dopo essersi abbandonata piangente tra le sue braccia poche ore prima, il suo continuare ostinata a dargli del lei..
Era esattamente come Gabriel –e anche Isabel- l’aveva descritta: non avrebbe mai ammesso di avere bisogno di aiuto, o di stare soffrendo, a costo di negare l’evidenza con i suoi insulti patetici.
Era molto carina…
Andiamo, chi voleva prendere in giro? Era pazzesca! Cioè, aveva quel genere di bellezza che sembra sempre troppo pura per essere toccata, la bellezza irraggiungibile di un essere ultraterreno…
Di un Angelo.
Sorrise di nuovo. Ora lei era molto vicina, camminava alla sua destra mantenendo una  distanza minima per non far sospettare niente tra di loro che fosse più in là di un’amicizia distaccata.
Averla a fianco lo tranquillizzava, come succedeva con Isabel: si sentiva al sicuro dalle forze oscure con cui doveva lottare quotidianamente. Però era anche inquieto…possibile che stesse provando simpatia per la sua protetta?
No. Impossibile. Si sbagliava, in fondo era così tanto che un’emozione non gli penetrava il cuore che forse non avrebbe saputo riconoscerla. Già, probabilmente era solo il freddo.
“Eh sì, c’è una certa arietta...”
 
E va bene, era patetico. Che gli piacesse o no, dentro di lui stava succedendo qualcosa di anomalo. Perché i brividi di certo non era il freddo a provocarglieli…
Stava provando dei sentimenti! Che sentimenti era ancora presto per dirlo, un passo alla volta… Stava provando dei sentimenti! E allora perché non era felice? Perché si sentiva a disagio… compromesso?
“Sciocchezze Thomas, questa ragazza ti ricorda Isabel”
Certo, Isabel…se avesse potuto ne sarebbe stato certamente innamorato, forse lo era anche, e ora il suo ricordo lo tormentava.
Riuscì finalmente a distrarsi dalle sue riflessioni, e prese a osservare il buio della stradina cercando di convincersi che fosse davvero solo Isabel la causa di tutto.
                                                                               *    *    *
 
-“Senti freddo Beatrìce?”
Alla fine non si era potuto trattenere dal farle la domanda.
-“Mmm. No, sto benissimo.” La risposta, più simile a un mugugno, fu accompagnata da un violento tremito.
Le porse un mantello decisamente fuori misura, che lei rifiutò immediatamente.
-“D’accordo, quanto deve andare avanti questa storia? Abbiamo camminato per più di due ore e neanche una parola! Sai, tanto per cortesia, o per sapere se sei ancora viva, se preferisci… la gente ogni tanto lo fa… Come sta oggi? Bel panorama, eh! Mio figlio è un vero tesor…”
-“Perché Gabriel? Perché lo specchio ha riflesso Gabriel? Cosa significa?”
 
Di nuovo quegli occhi smarriti, bellissimi, puntati su di lui per una risposta che li facesse sentire meglio, più protetti. E non era lì per quello, in fondo? Per proteggerla.
Ma la risposta era semplice: “ Non lo so.” Non sapeva niente. Non aveva idea, ma non poteva mostrarlo. Doveva proteggerla.
-“Non saprei Beatrìce, è strano… di solito il riflesso ci mostra il volto di chi siamo, non di chi amiamo… e per te che sei una donna l’immagine avrebbe dovuto essere femminile. Ma lui ti ha comunque morsa, magari l’effetto non era ancora finito…”
Non era convinto nemmeno lui delle sue stesse parole, e Beatrìce lo capiva. Ma la sua voce le dava conforto, così annuì e abbassò la testa.
 Intanto Thomas rimuginava. Non su quale fosse la risposta, ma su come avrebbe potuto dirlo a Beatrìce. Perché improvvisamente era chiaro.
 
-“Gabriel è con lui” le prese il braccio in modo da fermarla e guardarla dritto negli occhi, non poteva mentirle “lui, l’artefice di tutto tiene in ostaggio Gabriel perché vuole qualcosa da te. Chiunque sia non sa cos’è l’amore, perciò pensa che tu possa facilmente dimenticarlo.  Per questo ti costringe a vederne il riflesso: così non potrai dimenticare. E questo gli farebbe   comodo, perché vuole portarti da lui. Ti vuole, non so il motivo, ma è chiaro come il sole che lui vuole te. “
 
Beatrìce chiuse gli occhi e all’uomo parve che avesse smesso di respirare. Si era fatta pallida, pallidissima. Sbatté le palpebre e un attimo dopo era di nuovo in cammino, come se niente fosse.
-“Allora, si può sapere dove siamo diretti?”
-“Domani notte ci sarà la luna piena, e andremo al vecchio cimitero dove il mio amico Edgar mi aveva ritrovato, se esiste ancora. Ho l’impressione che potremo capirne di più. Nel frattempo dobbiamo allontanarci il più possibile dalla città: quando a corte si accorgeranno della tua assenza inizieranno le ricerche, e non possiamo permettere che ti trovino insieme a una “bestia” come me, sembrano così religiosi…”
-“Oh, per questo possiamo stare tranquilli: siamo così tante a palazzo che nessuno noterà una mancanza…io poi…non gliene è mai importato niente di me, ero solo un peso…sono sicura  che saranno beati e sereni, ignari di tutto…”
                                                                              *    *    *
Nel palazzo regnava il caos completo.
Le ragazze erano già abbastanza tese per l’omicidio di Isabel, e da quando avevano saputo del presunto “rapimento” erano terrorizzate, per usare un eufemismo.
-“Povera cara, le volevo bene come a una sorella…” piagnucolava una giovane dama con le trecce, che nemmeno ricordava l’ultima volta in cui aveva rivolto la parola a Beatrìce.
-“Che facciamo, dobbiamo scappare o faremo la stessa fine!” strillava un’altra, più egocentrica.
 
L’allarme era stato lanciato da suor Anastasia, quando, al ritorno dal rosario, aveva perso di vista la giovane. Nel giro di un minuto la notizia si era diffusa ovunque, arricchitasi di particolari fantasiosi. Secondo alcune voci Beatrìce era scappata con una carrozza insieme a un principe misterioso, inoltre, sostenevano altri, la sua veste stava prendendo fuoco mentre gridava aiuto dalla cima del campanile della chiesa. Infine qualcuno confermava sicuro  di averla avvistata in piazza grondante di sangue mentre baciava con passione un uomo vestito da frate.
 
Madre Anastasia, ignorando i pettegolezzi della altre suore e facendosi largo tra la folla di ragazze spaventate, si precipitò ad aprire il portone, aspettandosi di trovarsi davanti le guardie che aveva mandato a chiamare poco prima.
Invece, a piegarsi di fronte a  lei con un inchino plateale, fu un uomo che, chissà per quale motivo, era sicura non avesse niente a che fare con la giustizia.
Il suo aspetto era elegante e fascinoso: un uomo sulla cinquantina con un ‘impeccabile capigliatura argento, due occhi grigi gelidi e circospetti, e una serie di rughe marcatissime in ogni angolo del volto . Gli abiti erano di una classe sorprendente, il profumo di colonia inebriante.
Tuttavia c’era qualcosa di sgradevole che traspariva da quell’individuo, qualcosa di strano che non si riusciva a identificare, e questo innervosiva ancora di più.
Il ragazzo che gli stava dietro, invece, era un libro aperto. Nonostante il mantello e il copricapo che impedivano di coglierne i tratti, si vedeva che era spaventato.
Infatti, quando la suora, dopo essersi scambiata qualche battuta con l’altro, li invitò a entrare, il giovane indugiò, e il più anziano gli ordinò con un cenno di rimanere fuori.
 
-“Desidera qualcosa? Posso farle preparare una camera, se vuole fermarsi”
-“Oh, no la ringrazio” la voce suadente e l’espressione strana del viso mettevano a disagio la vecchia suora “sono qui per parlare con lei di alcune faccende importanti. Ho saputo dell’increscioso incidente che è costato la vita a una delle vostre fanciulle” fece una pausa e si mise a sedere su una panca  “ e della recente scomparsa di un’altra…”
Madre Anastasia annuì ansiosamente.
-“Ed è per questo che sono venuto: si da il caso che io sia un lontano parente di Beatrìce, ed ero arrivato in città per parlarle dell’eredità di un vecchio zio venuto a mancare il mese scorso… sa, c’è in ballo molto denaro, e ho come il sospetto che il rapimento della ragazza sia in qualche modo legato a questo.”
La suora pendeva dalle labbra dell’ospite, dopotutto non aveva mai saputo nulla sulla famiglia di Beatrìce.
-“In qualche modo mi sento in dovere di contribuire alle ricerche, anche perché potrei sapere qualcosa in più sulla ragazza. Ma non è abbastanza, quindi se lei avesse qualche informazione precisa su Beatrìce, dopo che ha vissuto qui per tutti questi anni…”
-“Oh certamente! Posso mostrarle la sua stanza, o gli archivi dove annotiamo le attività svolte…”
-“Bene bene non perdiamo tempo, allora” sbottò l’uomo con un sorriso tirato e l’irritazione stampata in volto.
-“Giusto. Ma prima ho qualcosa per lei. Sa, qui si insegna alle giovani donne l’amore per il Signore, e siamo tutti molto devoti…è tradizione donare ai forestieri un rosario…ecco, tenga, sarà il suo segno di riconoscimento finché starà con noi..”
 
L’uomo indietreggiò alla vista dell’oggetto, cercando di mantenere la calma.
-“No, non credo sia necessario…”
-“Oh non faccia complimenti! Non si rifiutano i regali…anzi mi dica il suo nome, la presenterò alle ragazze…”
La suora allungò il rosario  verso di lui, sorridente.
-“No davvero, io non…”
-“Coraggio, e mi dica il suo nome…”
 
Un secondo, un tonfo sordo.
Madre Anastasia cadde a terra, morta.
L’uomo non si era mosso.
Il rosario scivolò sotto un mobile.
Mentre un rivolo di sangue bagnava il tessuto nero del velo, lo sconosciuto si alzò, ghignando.
-“Ivan Rotten. Il mio nome è Ivan Rotten”.
 
 
 
Sì lo so lo so. Chiedo perdono per il clamoroso ritardo, sono stata molto presa, e quando non ero presa “l’ispirazione” andava in ferie… Comunque, dato che questo capitolo è piuttosto lunghino ma non succede granchè, prometto che il prossimo arriverà presto, approfittando del ritorno dell’ “ispirazione”! Come al solito vi ringrazio tutti, vi adoro anche solo per aver letto… Recensioni ben accette!
A presto, anzi a prestissimo :D
*..lady Black Rose..*

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Capitolo 7
*** Capitolo VI ***


So bene che il mio ritardo è assolutamente imperdonabile, e anche che in fondo non valeva la pena di aspettare tanto per un capitolo del genere, ma…ehm..meglio tardi che mai! Immagino che non vi ricordiate più nulla dei capitoli precedenti, e come darvi torto? Se non avete voglia di andarveli a ripassare vi rinfresco la memoria: avevamo lasciato Bea con Thomas mentre si dirigevano verso il cimitero per scoprire qualcosa in più sul “casino” in cui erano stati coinvolti, mentre nel palazzo di Beatrìce era arrivato un certo Ivan per chiedere informazioni, ma la suora che lo aveva incontrato era morta misteriosamente senza che Ivan muovesse un dito… Sì non è il massimo della chiarezza ma… va beh insomma, vi lascio al capitolo!
 
 
                                                                     CAPITOLO VI
 
-“D’accordo signorina, capisco il suo sconforto ma ora, la prego, cerchi di calmarsi…”
L’agente Finnigan stava sprofondato in una poltrona, la fronte sudata e un’espressione che andava ben oltre l’esasperazione, mentre gesticolava agitando la pipa spenta che reggeva nella mano.
 
La ragazza seduta di fronte a lui tremava come una foglia, e il suo viso era una maschera di panico.
-“Io…i-io… l’assassino, l’ho v-visto… un uomo…è scomparso!”
-“Bene” Finnigan si passò una mano tra i capelli unticci “direi che per oggi può bastare. Vada pure a dormire, cara, ne ha bisogno, e veda di rimettere in ordine le idee…”
La giovane annuì, scattò in piedi e, dopo essersi congedata con un inchino, scomparve in fondo al corridoio.
 
Un attimo dopo un uomo grassoccio e pelato, sulla cinquantina, fece irruzione nella stanza.
-“Allora, giornata pesante, eh?”
Finnigan annuì, lo sguardo vacuo. -“Crede che sia davvero stato un semplice incidente? Voglio dire, sul corpo non ci sono tracce di occultamento…la suora aveva una certa età, un piede in fallo, un colpo alla testa e… Eppure qualcosa non quadra. La ragazza scomparsa e poi… in molte testimoniano la presenza di un uomo misterioso… “
-“Ah, Finn… quante volte te lo avrò ripetuto? Se dovessimo stare a sentire tutte le sciocchezze delle donne… Andiamo! Io dico che si è trattato di un incidente, e riguardo alla ragazza scomparsa…beh, non è affar nostro, se ne occuperanno ai piani alti, casomai. Suvvia andiamocene!”
 
Finnigan non si mosse. La mano si bloccò a mezz’aria puntando la pipa verso un punto imprecisato, e l’uomo tese le orecchie.
L’agente Smith lo guardò stranito. L’altro rimase in attesa, immobile, finché due guardie muscolose dal volto teso si precipitarono nella stanza trascinando un giovane terrorizzato.
-“L’abbiamo preso!” gridò una delle due.
 
Smith balzò sulla sedia, mentre il compagno, per nulla sorpreso, fissava il trio intensamente, come se sapesse già che la scena si sarebbe svolta in quel momento.
-“Venendo qui lo abbiamo sorpreso nascosto dietro a una colonna, non appena ci ha notati si è messo in fuga, ma non c’è voluto molto a prenderlo…”
La guardia strattonò il giovane con una punta di orgoglio come se fosse stato un trofeo, per poi afferrarlo più saldamente e chiedere –“Che ne facciamo?”
 
Finnigan parve svegliarsi da uno stato di torpore. –“Fatelo sedere.”
L’uomo spintonò il fuggitivo verso una poltrona, per poi sparire dalla stanza insieme all’altra guardia.
-“Beh, che ci facevi nascosto in giardino?”
 
Il ragazzo era bianco come un lenzuolo, il volto scavato e il terrore che gli si leggeva negli enormi occhi verdi. Si guardava intorno, muoveva la testa a scatti convulsamente, e sembrava incapace di proferire parola.
-“Allora?” esclamò Smith, seccato “come ti chiami?”
Il giovane sgranò gli occhi in preda al panico. Prese ad agitarsi sulla poltrona, poi serrò le palpebre, il volto contratto in una smorfia di dolore. Pareva combattere una lotta interiore.
-“Io…” la voce suonava disperata “io…” Smith passava lo sguardo da lui alla finestra, carico di aspettativa, mentre Finnigan lo scrutava serio  con un’espressione indecifrabile, senza distogliere gli occhi un secondo.
-“Io…non lo so”.
                                                                                     *   *   *
 
Beatrìce aprì un occhio, ancora avvolta dal torpore del sonno, e subito lo richiuse.
In fondo non si era ancora abituata del tutto al fatto di poter di nuovo vedere, e ogni volta che la luce filtrava nella fessura delle sue palpebre appena sveglia, era una rincuorante quanto fastidiosa sorpresa.
Le ci volle un po’ per abituarsi alla luce abbagliante, e quando riuscì a mettere a fuoco il luogo attorno a sé, si rese conto di non avere idea di dove si trovasse.
Era distesa su dell’erba verde, su un fianco, la testa rivolta verso quello che sembrava un cancello. Doveva essere mezzogiorno, perché il sole era alto nel cielo e il caldo era semplicemente soffocante.
Beatrìce si mise a sedere, massaggiandosi le tempie, e la sua schiena trovò un appoggio duro. Si voltò, aspettandosi una roccia, ma quello che vide le fece accapponare la pelle.
Una lapide.
 
Lanciò un urlo, a metà tra la sorpresa e l’inquietudine, e subito dopo udì una risata provenire da oltre il cancello, in un angolo tra gli alberi così ombroso da impedire la vista.
Beatrìce si alzò di scatto, arretrò di qualche passo e gridò, con la voce più incrinata di quanto non volesse –“Chi va là?”
 
La risata le giunse all’orecchio più forte, e con essa il suo proprietario.
Thomas si fece avanti dal suo nascondiglio, mantenendosi però sempre nell’ombra,  con un sorriso divertito e le mani tese in avanti come per proteggersi da qualcosa.
 
-“Tu!”
Beatrìce, sollevata ma allo stesso tempo furiosa, gli puntò un dito contro, minacciosa.
-“Che significa? Cos’è questo posto? Cos’è? Dimmelo! Immagino sia opera tua se mi sono risvegliata in un cimitero!”
 
Thomas si sedette incrociando le gambe, trattenendo a stento una risata.
-“Eri talmente stravolta che alla prima sosta che abbiamo fatto sei crollata su una panchina, così ho dovuto portarti fin qui in braccio e… beh quello mi sembrava il posto più confortevole…”
-“A fianco a una lapide?!” gridò, cercando di mantenere un’espressione incollerita, ma era così assurdo da dire che le venne da sorridere.
-“Preferivi il mausoleo antico? Sai, ho pensato che lì, sola soletta in quell’edificio cadente in mezzo alle bare sarebbe stato un po’…inquietante?”
 
Beatrìce non trovò da ribattere.
Fece per aprire il cancello del cimitero, ma era bloccato. Rivolse al compagno uno sguardo prima interrogativo, poi sempre più truce.
Lui fece un sorrisetto innocente.
-“Ehi, che c’è? Chiuderti dentro mi sembrava la cosa più sicura da fare! Sai che per me non è il massimo stare lì, tra croci e cose del genere…ma ti ho fatto la guardia tutto il tempo da fuori! Solo, ho preso una precauzione in più nel caso mi fossi momentaneamente ….assopito”
-“Ti sei addormentato mentre ero lì dentro?!” Beatrìce aveva l’aria sconvolta, più di quanto non lo fosse realmente.
-“No! Giuro, sono stato sveglio tutto il tempo a guardarti…sei molto bella quando dormi, sai?”

Suo malgrado, la ragazza si sentì arrossire. Armeggiò con aria concentrata con il lucchetto del cancello, per mascherare la cosa, prima di aggiungere, secca: -“Hai intenzione di farmi uscire?”
-“Certo che no! Per cosa credi che siamo qui, secondo te?”
-“Mah, avrei detto una scampagnata…”
-“Oltre a quello” ribattè lui sorridendo “…su, lì intorno da qualche parte dovrebbe esserci la tomba di Rotten… trovarla sarà un’impresa, ma almeno avremo la data di nascita e, cosa più importante, di morte. Potrebbe essere il primo passo…”
 
Beatrìce era scioccata, questa volta realmente. –“Devo fare tutto io? Ma questo posto è enorme! E poi odio i cimiteri… hai intenzione di darmi una mano?”
Thomas aveva un’aria tutto tranne che collaborativa. –“Sotto questo sole? In un camposanto? Forse non ti è ancora del tutto chiaro che io non sono…”
-“Ho capito ho capito! Chissà perché invece al rosario di Isabel non ti facevi nessun problema a gironzolare in messo ai crocefissi…va beh, io vado, non ti muovere e stai in guardia, non voglio che succeda niente, ne a me ne a te”.
 
Era preoccupata per lui. Gli dava del tu. Forse stava cominciando a sbloccarsi un po’…
In altre circostanze la cosa avrebbe fatto sorridere Thomas, ma in quel momento non ci fece caso. In realtà non la aveva nemmeno ascoltata, era rimasto alla cosa che aveva detto prima, che lo aveva fatto riflettere….
                                                                                 *   *   *
Chissà perché invece al rosario di Isabel non ti facevi nessun problema a gironzolare in mezzo ai crocefissi…
 
Già, perché?
Come aveva fatto a non pensarci prima, cosa lo aveva portato in quella chiesa?
Beatrìce, ovvio. Doveva prenderla, a tutti costi, dopo quello che era successo.
Era così preso dagli avvenimenti che si era buttato nel luogo sacro senza la minima precauzione, eppure, senza nemmeno farci caso, non aveva sofferto minimamente.
C’era una sola persona che poteva trattenerlo dagli istinti inumani, una sola presenza che aveva un effetto positivo su di lui. E non era Beatrìce.
Era Isabel.
Isabel. Era viva, allora, e più vicina di quanto immaginasse.
Se era così, doveva trovarla.
Forse non era così semplice. Avrebbe dovuto prima occuparsi della ragazza, e di Rotten.
Se Isabel non si era fatta viva, significava che non doveva cercarla.
A meno che non si nascondesse di sua spontanea volontà… a meno che non fosse qualcuno a trattenerla…
 
Thomas si sdraiò con la schiena sull’erba, scacciando quei pensieri assurdi. Da lì, in quel rifugio ombroso tra gli alberi, poteva intravedere uno squarcio di cielo.
Avrebbe voluto provare una fitta di nostalgia, sentirsi triste per quel mondo in cui ormai non era il benvenuto. Niente.
Era vuoto, completamente vuoto.
Ma nella sua mente capiva ancora come andavano le cose. Sapeva esattamente quando avrebbe dovuto provare una qualche emozione, e a volte cercava anche di riprodurla, di immaginarla. A ogni situazione associava un sentimento, e al sentimento un colore, e al colore un suono e al suono una reazione fisica.
Ripeteva questo schema ogni volta, ormai gli veniva automatico. Si era ripromesso di non perdere l’abitudine: anche se era inutile, o stupido, era un ultimo appiglio a quello che era stato il suo vivere di un tempo, e non voleva abbandonarlo.
No, non voleva diventare una bestia. Non l’avrebbe data vinta a chiunque lo avesse condannato a un destino del genere.
 
Pensò a quella ragazza, Beatrìce, e gli venne da sorridere.
Non capiva bene il perché, ma gli faceva questo effetto. Non sapeva se fosse esattamente un sentimento, ma sicuramente era un passo avanti…
Pensò a lei, se la vedeva mentre camminava cauta fra le lapidi, sussultando a ogni soffio di vento… Sorrise di nuovo.
Una delle poche cose curiose da quando era diventato “vuoto” era che riusciva perfettamente a leggere gli stati d’animo degli altri. Gli sembrava di guardare dentro le persone, erano così traboccanti di vita rispetto a lui che indovinare il loro carattere era un gioco da ragazzi.
Beatrìce era un libro aperto.
Aveva un modo di mascherare la debolezza con il sarcasmo che gli faceva… tenerezza.
Era indifesa, e dolce, in fondo.
Troppo dolce per poter vivere così amaramente.
L’avrebbe aiutata anche a costo di…
 
Un urlo misto di rabbia e paura echeggiò dal cimitero.
 
Thomas scattò in piedi. Era lei, era in pericolo.
Corse più veloce che poté, sbloccò il lucchetto imprecando e si diresse verso dove aveva sentito gridare.
“Sto arrivando, sto arrivando” pensava mentre correva, e non osava immaginare cosa fosse potuto succederle. No, era tutta colpa sua, non avrebbe dovuto lasciarla da sola.
Era uno stupido, stupido, e adesso?
 
Man mano che si addentrava nel cimitero sentiva la pressione del luogo sacro respingerlo. Gli fischiavano le orecchie, faticava a andare avanti, si sentiva un macigno, ma continuava a correre.
Corse finché non la vide, immobile con i capelli dorati sulla faccia, che si fissava le mani.
“E’ viva” fu il suo primo pensiero, prima di avanzare verso di lei.
Le tese le braccia. –“Che è successo?” ma lei scappò.
Si guardò indietro aspettandosi chissà quale pericolo incombente, ma non c’era niente.
Non capiva, e intanto seguiva Beatrìce che correva impazzita.
Poi se ne rese conto.
Stava scappando da lui.
                                                                                       *   *   *
-“Non toccarmi!” gridò Beatrìce, a terra inciampata, vedendolo avvicinarsi.
-“Lasciami stare!” gli disse ancora mentre si chinava su di lei, con la voce strozzata e acutissima.
Era stata una stupida.
Come aveva potuto fidarsi?
-“Beatrìce cos’hai? Dimmi cos’è successo!”
Aveva il coraggio di chiederlo, di rivolgerle la parola. Avrebbe fatto prima ad ammazzarla, perché non lo faceva?
Indietreggiò carponi, la caviglia stortata che le  faceva troppo male.
Scivolò sull’erba il più lontano possibile da lui, finché la sua schiena non incontrò una lapide e dovette fermarsi.
-“Tu…t-tu mi hai morsa!”
Si accovacciò su se stessa e gli mostrò i polsi martoriati in maniera abbastanza evidente, con ancora i segni lasciati dai denti. Non ci aveva fatto caso all’inizio, le maniche erano troppo lunghe e il sangue si era già rappreso senza sporcarle… ma come aveva fatto a non accorgersi?
-“Mi hai morsa…” ripeté, più piano, con le lacrime agli occhi.
-“Io mi fidavo di te!” sbraitò, facendolo quasi sussultare “mi fidavo! E poi tu te ne approfitti così! Sei una bestia! Cosa vuoi da me? Vuoi uccidermi? Fallo! Non mi interessa più, fallo..!”
Pronunciò l’ultima parola come una supplica.
Si era bevuta tutte le sue sciocchezze… era una stupida! Come aveva potuto?
 
Thomas la guardava scioccato.
-“Non…non sono stato io!”
Di nuovo. Stava mentendo di nuovo. Aveva la faccia tosta di mentirle ancora! Non si sarebbe fidata, non un’altra volta. Sarebbe tornata a casa, e avrebbe continuato a vivere come se niente fosse successo. Avrebbe dimenticato tutte quelle sciocchezze, e forse anche Gabriel.
-“Beatrìce credimi non sono stato io!
Thomas la scuoteva con forza, ma lei lo percepiva appena. Si prese la testa tra le mani, cercando di scacciare quella che da rabbia si era trasformata in tristezza. Disperazione.
Non avrebbe mai dimenticato, ma, cosa peggiore, non avrebbe potuto fare niente. La sua unica, debole speranza era crollata e lei era di nuovo sola.
-“E allora chi è stato?!” urlò tra le lacrime.
-“Non lo so. Ma non io Beatrìce, ti prego credimi…”
 
La guardava negli occhi. E lei non sapeva che fare. Le sembravano così sinceri…
Ecco, stava cadendo di nuovo nella trappola, si stava di nuovo facendo abbindolare da quel mostro travestito da gentiluomo! O forse davvero non era stato lui? Ma allora chi? Non c’era nessun altro… O così credeva lei, non poteva saperlo con certezza… Che fare?
Quei due occhi neri continuavano a interrogarla, senza staccarsi dai suoi. “Ricordati” si ripeteva lei “ricordati che oltre quegli occhi non c’è niente, non c’è compassione, nessun cuore su cui poter fare affidamento…”
Ma alla fine scoppiò.
Gli gettò le braccia al collo, tra le lacrime, mentre singhiozzava –“Ti prego dimmi che mi posso fidare di te”
                                                                               *    *    *
Di nuovo, di nuovo quella sensazione.
Ma ora più forte, molto più forte… Stringeva la ragazza tra le braccia e sentiva le sue guance bagnate di lacrime premere sulla spalla. E da quel punto una fitta di calore lo aveva inondato, non sapeva cosa fosse, ma di certo lo faceva sentire molto più…vivo.
 
Ma non aveva tempo per badare a quelle cose adesso.
Erano in pericolo, in grave pericolo…
Chiunque avesse morso Beatrìce nella notte non poteva essere troppo lontano… Ma come aveva potuto essere così irresponsabile? Come aveva fatto a non accorgersi di nulla? Era stato sveglio tutta la notte e non aveva notato niente…
-“Certo” le sussurrò in un orecchio facendola rabbrividire “finché ci sono io non ti succederà niente di male”.
 
Lei annuì e Thomas la strinse ancora più forte.
Non avrebbe dovuto promettere ciò che non poteva dare, sapeva di essere praticamente impotente di fronte a ciò a cui andavano in contro, ma si ripromise che avrebbe dato tutto se stesso pur di  non vedere quella ragazza soffrire.
 
“Dobbiamo andarcene da cui” pensò, e con orrore, puro orrore per la prima volta dopo tanto tempo, avvertì improvvisamente sotto la lingua un aroma debole, dolce e aspro allo stesso tempo.
“Che diavolo è?” chiese a se stesso, come per rassicurarsi, ma sapeva bene qual era la risposta.
 
D’altronde, per una creatura come lui, non c’era sensazione più familiare, appagante, dell’inconfondibile sapore del sangue.
 
 
Rieccomi!! Cosa ne pensate? Accetto qualsiasi critica, anche le più oltraggiose, in fondo me lo merito…
Grazie a tutti voi che siete arrivati fin qui, e anche a Darkry che in un certo senso mi ha spinta a darmi una mossa!;)
Bene, a presto! (sicuramente più presto dell’ultima volta..!)
Baci
May

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