From Sue Storm to Diana Prince

di RobTwili
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Spring Ball ***
Capitolo 2: *** You can't fall in love with your best friend ***
Capitolo 3: *** Good night, Dwarfy ***
Capitolo 4: *** First time is not always the best ***
Capitolo 5: *** Proposal-Epilogue ***



Capitolo 1
*** Spring Ball ***


zmac
Questa storia è uno spin-off di ‘The revenge of the nerd’. Questi avvenimenti  si possono trovare in parte narrati nel Capitolo 15 e capitolo 16. Ricordo che questa storia si concentra sulla coppia di amici Zac e Mac.
 
 




Non mi sentivo per niente tranquilla in camera di Ashley.
Era come stare nella tana del lupo.
Perché, in quella camera dipinta di rosa, Ash mi stava trattando come una cavia.
Prima ero stata costretta a provare un’infinità di vestiti, se così si potevano chiamare quei pezzi di stoffa colorati che coprivano a malapena la linea del sedere, e poi mi aveva truccato e acconciato.
C’era qualcosa nel suo sguardo che mi spingeva a pensare che Ash mi vedesse come una bambola a grandezza naturale.
«Perfetta» mormorò soddisfatta, appoggiando la piastra sul tavolo di fianco a noi.
«Posso legarmi i capelli adesso?» chiesi, giocando con l’elastico che tenevo tra le mani.
«Non ci provare» mi puntò addosso la bottiglietta di lacca, per minacciarmi.
«D’accordo». Alzai le mani in segno di resa, sperando che non mi colpisse con lo spray.
«Dunque, riuscirai a fare quello che ti ho detto?» si informò, spruzzandomi una quantità eccessiva di lacca.
«Ash» sospirai, preparandomi a ripetere la solita storia, «non piaccio a Zac, quindi del tuo piano non me ne faccio davvero nulla».
Perché dovevo chiedergli di ballare e poi avvicinarmi a lui per baciarlo?
Zac non mi vedeva nemmeno come donna, impegnato com’era a guardare i film di Natalie Portman e a pensare all’ipotetica cugina di Ash.
Kenzytrina.
Perché Ashley aveva deciso di giocare sul soprannome che usava per chiamarmi quando aveva fretta. Kenzy.
«Io scommetto queste Jimmy Choo che Zac questa sera non riuscirà a toglierti gli occhi di dosso. Ora, indossa questo vestito, su! Io vado a prendere una cosa in bagno». Si allontanò, quasi saltellando.
Incredibile quanto andare a quel ballo l’avesse messa di buonumore.
Indossai il vestito con qualche problema, contorcendomi mentre cercavo di agganciare la zip sul retro.
«Ferma, potresti romperlo» strillò Ash allarmata, facendomi sussultare per la sorpresa.
Qualche secondo dopo le sue dita sfiorarono la mia schiena, prima di chiudere la zip.
«Fai un giro per farti ammirare» mi ordinò, indietreggiando di un passo.
Girai velocemente su me stessa, sentendo Ashley sbuffare irritata.
«Le scarpe. Tieni, indossa queste». Prese da una confezione un paio di scarpe, le stesse che mi aveva costretto a comprare una settimana prima.
Scarpe con il tacco.
Talmente alte che con quel tacco non ne avevo mai viste.
Non ero nemmeno sicura che fosse legale mettere in commercio scarpe così poco comode.
«Fanno male» mi lamentai, facendo roteare la caviglia per cercare di dare sollievo al dolore che sentivo al piede.
«Zitta, e adesso gira lentamente» ordinò di nuovo, agitando la mano.
Quando parlava in quel modo mi spaventava.
Era decisamente meglio non contraddirla.
Feci come aveva detto e cominciò a battere le mani, felice.
«Un capolavoro. Questa volta mi sono superata» si complimentò da sola, mentre guardavo il mio corpo.
C’era qualcosa che non mi convinceva.
«Tu sei sicura che questo vestito sia della mia taglia?» mormorai, guardando quel piccolo pezzo di stoffa marrone che continuava a sollevarsi a ogni respiro che facevo.
«Sei perfetta Mac. Questo vestito è stato creato per te» osservò, girandomi attorno.
Istintivamente portai le mani sul sedere, per tirare la stoffa un po’ più giù.
Perfetta io… e lei che cos’era? Con quel vestitino blu faceva invidia.
«Sì, certo. Si sono dimenticati un pezzo, però. I jeans sotto» sbottai, cercando un metodo perché non scendesse troppo sul seno e non si alzasse sul sedere.
Impossibile.
Ogni volta che lo tiravo su rischiavo di far vedere il mio sedere, se cercavo di coprirmi un po’ più le gambe, quella quasi inesistente massa grassa che avevo sotto alle clavicole tendeva a fuoriuscire.
«Dai Mac, pensa che sei una donna, una bellissima donna. Questa sera nessuno riuscirà a toglierti gli occhi di dosso. Nemmeno Zac» bofonchiò, sistemandosi il mascara, mentre mi sedevo sul suo grande letto comodo e torturavo il suo cane di peluche.
«Zac nemmeno si accorgerà di me. E quando capirà che sono io si chiuderà in un mutismo schifato. Ci scommetto i sette hard disc esterni che mia mamma mi ha regalato per il compleanno» sbottai.
Ashley si stava infilando una giacchina e, dopo aver controllato l’ora, mi accorsi che dovevamo partire.
«Li perderai i tuoi cosi esterni. Non so nemmeno cosa sono, e non saprei che farmene, quindi è inutile che scommetta, ma sappi che se lo facessi li perderesti». Mi fece una linguaccia, mentre teneva aperto il portone di casa perché uscissi prima di lei.
«Come no» sibilai, agganciandomi la cintura di sicurezza mentre Ash accendeva il motore.
«Speriamo non ci siano intoppi come l’ultima volta» sussurrò soprappensiero Ash, accendendo l’autoradio.
«Sono sicura che tutto andrà benissimo» cercai di rassicurarla.
Alex non avrebbe avuto il coraggio di fare scenate dopo l’ultima festa.
Se l’avesse fatto si sarebbe dimostrato… idiota.
Molto più idiota di quanto in verità non fosse.
O forse era proprio così idiota.
«Siamo arrivate» sospirò Ash, spegnendo il motore.
Potevo vedere John, Francis e Zac in piedi.
Ero quasi sicura che ci avessero viste arrivare: stavano guardando tutti e tre nella nostra direzione.
«Posso tornarmene a casa?» piagnucolai, non più sicura di voler scendere da quell’auto.
Anzi, pensandoci, non avevo mai voluto nemmeno salirci.
«Senti, tu devi accompagnarmi, è chiaro? E adesso porta il tuo sederino fuori dalla mia macchina e incamminati sculettando verso Zac. Quando arrivi lì lo prendi per la giacca e lo baci».
La cosa spaventosa era che Ash non stava scherzando.
«Mi fai paura» bofonchiai, scendendo.
Meglio non contraddirla.
Non glielo avevo fatto notare, ma mi sembrava agitata.
«Cristo, Mac! Potresti almeno sorridere?» mormorò affiancandosi a me, «sembra che tu sia qui perché costretta». Si sistemò un ricciolo che le era sfuggito sulla guancia e prese un respiro profondo.
«Perché, non lo sono?» le feci notare a bassa voce, per non farmi sentire dai ragazzi.
Spostai subito lo sguardo su Zac e per un momento il respiro si bloccò.
Era assolutamente perfetto.
Quel completo metteva in evidenza le sue spalle larghe, sottolineando la sua altezza.
Non sapevo se una giacca potesse far sembrare un uomo più alto, ma con Zac sembrava possibile.
I suoi capelli, come sempre indomabili, ricadevano sulla sua fronte, sfiorando gli occhiali.
Riuscivo quasi a vedere il blu dei suoi occhi. Lo stesso blu che diventava brillante quando cominciava a ridere o era felice.
«Ciao ragazzi» salutò Ashley.
Io invece continuai a tenere lo sguardo basso, imbarazzata.
La verità era che avevo paura di un giudizio negativo da parte dei ragazzi, soprattutto da parte di Zac.
«Presenta tua cugina». Un sussurro che non ero sicura di aver sentito.
Quando però Ash, John e Francis cominciarono a ridere, capii che non me lo ero immaginato.
Zac non si era accorto che ero io?
Un po’ di trucco, un paio di scarpe con il tacco e un vestito cambiavano così tanto l’aspetto di una persona da renderla irriconoscibile o questo era successo solo perché lui era… Zac?
«Ragazzi, lei è Mac». Ashley mi circondò le spalle con un suo braccio, stringendomi appena, come se avesse voluto farmi coraggio.
Mi costrinse a fare un passo in avanti, ma abbassai di più lo sguardo, imbarazzata.
Nessuno parlava e sentivo tre paia di occhi scrutarmi.
Non mi piaceva essere al centro dell’attenzione. Non mi era mai piaciuto e mi piaceva ancora meno esserlo se indossavo un minivestito.
«Sei bellissima» sussurrò Francis, aprendosi in  un sorriso radioso.
Ero felice che qualcuno potesse trovarmi anche lontanamente carina, ma sapevo che per Francis ero presentabile anche con quel pigiama con gli orsi.
«Mac?» sussurro Zac, facendo un passo verso di me e piegandosi leggermente sulle ginocchia per controllare il mio viso. «Non… no! Non puoi essere tu!» sbottò, alternando sguardi tra il mio viso e il mio corpo.
Alzai finalmente gli occhi, guardandolo.
Possibile che non riuscisse a riconoscermi?
«Sono io». Magari mi avrebbe riconosciuta dalla voce.
Sbarrò gli occhi, sorpreso.
«Ma… le tue felpe? Dove sono? E perché non hai le Converse? No, non sei Mac. Sei anche truccata». Scosse energicamente il capo, per negare l’evidenza.
Certo, non gli piacevo. Ecco tutto.
«Vogliamo entrare? Avrei un po’ di freddo» disse Ash, attirando l’attenzione su di lei.
La ringraziai mentalmente, avvicinandomi a John che sembrava più triste del solito.
I suoi occhi erano spenti.
Mi guardai attorno, rimanendo sorpresa: Hannah non c’era.
«John, Hannah è in palestra, vero?» chiesi a John, affiancandomi a lui.
«Sì. Non me lo ricordare» sbottò, infilando le mani in tasca. Sembrava arrabbiato.
«Dai, una volta entrato potrai rimanere con lei. Lascia stare i commenti». Ero sicura che si comportasse in quel modo perché gli dava fastidio il giudizio della gente.
Tutti a scuola sapevano di lui e Hannah, che cosa avrebbero pensato non vedendoli arrivare assieme? 
«Entri con me, Mac? Questa sera sei bellissima e susciterò l’invidia di tutti. Magari faccio ingelosire Hannah che correrà da me» ridacchiò. Sembrava felice del suo piano. 
«D’accordo» acconsentii, avvicinandomi a lui, «tanto non ho un cavaliere». Non ne avrei mai avuto uno, visto che continuava a camminare dietro di noi, rimanendo in silenzio.
Zac era stranamente silenzioso.
Gli unici momenti in cui Zac non parlava erano due: quando Natalie Portman era davanti a lui o mentre dormiva.
Ash e Francis cominciarono a parlare tra di loro e non riuscii a trattenere un sorriso quando Francis mi fece l’occhiolino.
Chissà di che cosa stavano parlando.
Con un sospiro mi avvicinai a loro, attirando l’attenzione di Ash. «Ashley, puoi venire un momento?». Con un gesto del capo le indicai di spostarsi qualche passo per non farci sentire.
«Che c’è?» chiese, divertita ma preoccupata.
«Che c’è? Mi sento una stupida, ho fatto tutto per niente, non si è nemmeno accorto di me. Io me ne torno a casa» borbottai, portandomi una mano al collo per restituire ad Ash la collana che mi aveva prestato.
«Non ci pensare nemmeno. Tu non ti schiodi da qui fino a quando non te lo dico io. E comincia a sorridere un po’, che quando ti arrabbi diventi brutta». Mi trascinò di nuovo versi i ragazzi.
Ottimo, avrei parlato con John.
Il mio sogno però durò poco, visto che si accorse di Hannah dall’altra parte della palestra e ci salutò per raggiungerla.
Di male in peggio.
Potevo parlare solo con Francis e con Zac. Ero quasi sicura che Ashley avesse qualche piano diabolico in mente per farmi rimanere da sola con Zac.
Quando cercai di avvicinarmi a lui, si allontanò da me, raggiungendo Francis e costringendolo a incamminarsi verso il tavolo del buffet.
«Fai un sorriso, altrimenti ti uccido» mi intimò Ash, facendomi ridere.
Nonostante continuassi a pensare che non piacevo a Zac, non riuscivo a non ridere alle finte minacce di Ashley.
Forse perché ero felice per lei, che sembrava a suo agio a fianco di Francis.
Non ne avevo mai parlato con lei, men che meno con Francis, visto che non mi andava di dargli false speranze, ma mi sembrava che Ashley avesse cominciato a guardarlo in modo… diverso.
Lanciai uno sguardo a Zac e Francis, sembrava che la loro discussione fosse animata. Zac continuava a indicare un punto non molto distante da noi, portandosi una mano tra i capelli e sistemandosi gli occhiali.
Istintivamente guardai chi c’era nelle vicinanze. Dietro di noi, seduta di fianco a un fiore di carta gigante, c’era Hilly, una ragazza del terzo anno.
Certo, probabilmente Zac stava parlando di lei.
Vidi Francis tenersi la pancia per il troppo ridere, appena prima di avvicinarsi di nuovo a noi assieme a Zac.
«Francis, che ne dici di ballare?» propose Ashley, prima che potessi ammazzarla.
Eccolo lì, il suo piano diabolico.
Costringermi a rimanere da sola assieme a Zac. Ottimo, non aspettavo altro.
Lei e Francis si allontanarono, dirigendosi verso la pista.
Zac era di fianco a me, stranamente in silenzio.
«Bella festa» mormorai, cercando di iniziare un discorso.
Sembravamo due estranei.
«» sbottò, tornando poi a guardare un punto indefinito dalla parte opposta.
Non voleva guardarmi, ottimo.
Voleva fare finta di non conoscermi? Bene, l’avrei aiutato.
Incrociai le braccia al petto, guardando dalla parte opposta.
Era chiaro: non gli piacevo; però, con quel comportamento da idiota, sembrava che mi odiasse.
Stavo per chiedergli che cosa ci fosse di così raccapricciante in me da non potermi nemmeno parlare quando Ashley si avvicinò a noi con un sorriso.
«Zac, voglio ballare con te, andiamo». Gli prese la mano, trascinandolo in mezzo agli altri ragazzi che stavano ballando.
Francis si avvicinò a me, sorridendo impacciato.
«Immagino di dover parlare con te, no?». Ero quasi sicura che si fossero divisi i compiti.
Ash avrebbe cercato di capire qualcosa da quella testa dura di Zac e Francis sarebbe rimasto con me.
«Ballare, non parlare» puntualizzò, facendomi ridere.
Francis soppesava sempre le parole, lui era un ragazzo speciale, l’avevo sempre pensato.
«Allora, che cosa ti ha detto quella strega?». Guardai Ash che cercava di imitare i movimenti scoordinati di Zac. Anche lo sguardo di Francis si posò su di loro.
«Niente di importante…». Stava mentendo. Lo capii dall’occhio destro, che si socchiuse appena.
Quando Francis mentiva succedeva sempre.
Decisi di non metterlo in imbarazzo e posi una domanda che mi spaventava. Forse era la risposta a spaventarmi di più.
«E… lui?». Non pronunciai nemmeno il suo nome, imbarazzata.
Forse semplicemente infastidita.
«Ehm…». Imbarazzato, ecco cos’era. Abbassò lo sguardo, arrossendo appena.
«Naturale. Non gli interesso». Mi ero illusa di potergli piacere, esponendomi in quel modo con Ash. Le avevo confidato che Zac mi piaceva e con il suo carisma mi aveva costretta a vestirmi in quel modo stupido per cercare di attirare la sua attenzione.
Era tutto inutile, a Zac non ero mai piaciuta e probabilmente non mi avrebbe mai vista come una donna. Per lui ero Mac.
«No, Mac. In verità si è accorto improvvisamente che sei bellissima, ma lo sta negando». Certo, doveva essere quella la verità. Francis cercò di sorridermi, forse per trasmettere un po’ di buonumore.
Peccato che in quel momento non ne avessi nemmeno un po’.
«Oh, quindi siamo alla fase della negazione?» chiesi, ironica.
Negazione, certo.
E per quanto si sarebbe protratta questa fase?
Per sempre, vista la mia fortuna con il sesso maschile.
«Direi di sì. Ma sono quasi sicuro che adesso Ashley gli sta facendo una bella ramanzina…». Assieme a Francis guardammo Zac e Ash.
Erano in mezzo alla pista a parlare.
Non ballavano più e continuavano a ricevere spinte dai ragazzi che erano attorno a loro.
Ash era arrabbiata, stava urlando, anche se la sua voce non riusciva a sovrastare la musica, e puntava l’indice sul petto di Zac, spintonandolo.
«Che diavolo sta succedendo?» mormorai, guardando Francis.
«Non lo so. Ma credo sia meglio se andiamo a controllare» disse Francis, mentre ci avvicinavamo a loro.
A pochi passi da loro, Ash sembrò accorgersi di noi, perché smise di parlare, accostandosi a Francis. «Vieni Francis, andiamo a prendere una boccata d’aria». Lo prese per mano, costringendolo a uscire dalla palestra.
Mi ritrovai da sola, a pochi passi da Zac.
Non sapevo che fare, ma Zac mi anticipò, avvicinandosi a me.
«Bel vestito» mormorò, indicandomi con un gesto del viso.
«Grazie» risposi, sinceramente stupita.
Si era accorto che stavo indossando un vestito.
«Ti sta… bene» continuò, schiarendosi la voce in imbarazzo.
Era un complimento?
«Grazie» tornai a dire, decisamente senza parole. «Anche tu stai bene». Lanciai uno sguardo alla camicia bianca che gli accarezzava le spalle.
Involontariamente cercai di deglutire un po’ di saliva.
«Allora… è vero?» chiese all’improvviso, facendomi sussultare.
«Cosa?». Mi stavo per strozzare con la mia stessa saliva.
Speravo con tutto il cuore che Ash non avesse parlato per far circolare l’aria nella sua bocca.
«Quello che mi ha detto Ash». Fece un passo verso di me, costringendomi a indietreggiare.
Non mi piaceva averlo troppo vicino, cominciavo a parlare a vanvera o a offenderlo.
Quando assorbii le sue parole, spalancai le labbra sorpresa.
Ash aveva cantato.
«Io… ecco, la verità è che… sì, insomma… voglio dire… ma tanto ho capito che tu non… quindi non importa e… ecco, non preoccuparti». Un discorso davvero sensato il mio.
Nemmeno gli attori ubriachi che ritiravano i premi agli MTV Movie Awards ringraziavano così.
«Vorrei sapere se è sì o no». Era serio, tremendamente serio.
Non c’era nemmeno l’ombra di un sorriso sul suo volto e la piccola cicatrice che aveva sulla guancia non si vedeva.
«Sì» ammisi, abbassando lo sguardo imbarazzata.
Era la serata più umiliante di tutta la mia vita.
Non avevo mai passato momenti peggiori.
«Posso sapere il perché?» chiese, stupendomi.
Il perché? Ci doveva essere un perché?
Mi sembrava ovvio; la sua bellezza era un motivo sufficiente.
«Non sei riuscito a capirlo?». Ero stupita. Zac voleva che gli dicessi che era bello?
«Non capisco il perché. E mi dispiace, perché io non provo lo stesso verso di te».
La stoccata fece più male del previsto.
«Potevi anche dirlo con un po’ più di tatto, idiota» sbottai, allontanandomi da lui.
Possibile che dovesse piacermi un simile cretino?
«Mac, dannazione, ferma» urlò, seguendomi.
«Che cosa devi dirmi, ancora? Il concetto è chiaro, non ti piaccio. Ci sono, l’ho capito. Posso tornarmene a casa o devi umiliarmi di più?». Ero talmente arrabbiata che continuavo a stringere i pugno per non tirargli uno schiaffo.
«Cosa? No, non hai capito. Non è vero che non mi piaci. Ash mi ha detto che mi odi» cercò di scusarsi, guardando i suoi piedi.
«Odiarti?». Ero confusa. Perché mai Ash avrebbe dovuto…
«Ash» mormorammo assieme, cominciando a ridere subito dopo.
«Mi hai dato dell’idiota?» brontolò, guardandomi arrabbiato.
«Sì, perché tu hai…» cominciai a dire, prima che prendesse il mio viso tra le sue mani e posasse le sue labbra sulle mie.
Non riuscii a trattenere un gemito sorpreso, chiudendo gli occhi e lasciando che Zac mi baciasse.
Le sue labbra, le stesse che avevo guardato per anni, stavano accarezzando le mie, giocando in un modo… strano.
Non riuscii a trattenermi e gli morsi il labbro, cominciando a ridacchiare.
«Auch» si lamentò, lasciando il mio viso e portando una mano alle labbra per controllare che non ci fosse sangue. «Andiamo a cercare Ash e Francis». Prese la mia mano, costringendomi a seguirlo.
Quel gesto, così istintivo, mi fece ridere ancora di più.
Ero davvero felice.
«Forse dovremmo lasciarli da soli» mormorai, mentre Zac camminava verso il parcheggio.
«No, sono sicuro che Ash vorrà sapere qualcosa. Oh, eccoli». Indicò la panchina sotto la quercia.
Ash e Francis stavano parlando.
«Zac, lasciamoli da soli» tornai a ripetere, senza che mi desse ascolto.
«Ragazzi, finalmente vi abbiamo trovato! Cavolo, abbiamo guardato dappertutto!» disse Zac, costringendomi a fermarmi davanti a loro.
Ero sicura che avessimo interrotto qualcosa, non ci avevano sentiti arrivare, immersi nel loro discorso. 
«Zac… andiamocene». Cercai di tirare il suo braccio per costringerlo ad allontanarsi. 
«Oddio» sussurrò Francis, guardando le nostre mani intrecciate. 
«Che cosa è successo?» chiese Ashley, cominciando a sorridere. 
«Io… noi…» balbettò Zac, sistemandosi gli occhiali sul naso per l’imbarazzo. Aveva perso tutto il coraggio nato dopo il nostro bacio.
«Oddio, sono così felice» strillò Ashley, correndo ad abbracciarmi, mentre non riuscivo a non ridere per la vergogna.
Francis continuava a rimanere seduto, senza dire nulla.
Qualche minuto dopo Ash lo richiamò da parte, parlando con lui.
Sembrava lo stesse riprendendo per qualcosa.
Quando Francis ritornò a sedersi sulla panchina davanti a noi, cercò di sorridere, aggiungendo che era felice per noi.
Stava mentendo. L’avevo capito io e anche Zac.
Lo stesso Zac che cominciò a lamentarsi con Francis perché non era felice per noi.
Sembrava quasi… geloso.
Non riuscii a non arrossire, al pensiero che qualcuno potesse essere geloso di me.
Sapere poi, che quel qualcuno era Zac mi faceva imbarazzare ancora di più.
Francis chiamò Zac, allontanandosi da noi.
«Dimmi subito cosa è successo» borbottò Ash, spostandosi perché potessi sedermi anche io sulla panchina.
«Gli hai detto che lo odiavo, così abbiamo litigato. Non riusciva a capire perché lo odiassi, ma io ho interpretato male. Credevo mi stesse chiedendo perché mi piaceva, così mi sono arrabbiata e stavo per andarmene, solo che mi ha seguito e quando abbiamo capito che era perché tu avevi inventato quella strana scusa… be’, mi ha baciato» terminai in un sussurro, abbassando lo sguardo.
«Lo sapevo che avrebbe funzionato» esultò, fiera di se stessa.
Non riuscii a trattenermi e cominciai a ridere, felice.
Stava cominciando a dirmi quello che era successo tra lei e Francis, quando una voce ci interruppe.
«Ciao» borbottò Zac, facendo un mezzo sorriso. 
Alzai involontariamente lo sguardo, abbassandolo subito dopo e sistemandomi una ciocca di capelli. 
«Aww» mormorò Ash, senza trattenersi. 
«Smettila». Le tirai una leggera gomitata perché la smettesse di prendermi in giro. 
«Andiamo dentro a ballare un po’? Perché altrimenti il ballo finisce e noi non abbiamo ballato». Ashley si alzò in piedi, avvicinandosi a Francis con un sorriso. 
«Questa è proprio una buona idea» ribatté Zac, circondando le mie spalle con un braccio. 
Di nuovo, quel gesto così istintivo da parte di Zac mi stupì, facendomi sorridere.
Ballammo senza smettere mai di ridere; quando John e Hannah decisero di tornare a casa, non riuscii a  bofonchiare un «grazie» imbarazzato ad Han che mi disse che io e Zac eravamo una bella coppia.
Nonostante avessi in tutti i modi corrotto Zac a ballare sempre più canzoni, capii, incrociando il mio sguardo con quello di Ash, che era giunto il momento di tornare a casa.
Una volta arrivati alle nostre macchine, nel parcheggio, Ash mi abbracciò con la scusa di salutarmi, e mi sussurrò che ci saremmo trovate la mattina successiva per aggiornarci.
Zac si accorse che Ash mi aveva sussurrato qualcosa, ma riuscii a non svelargli cosa mi avesse detto.
Non appena Ash salì in macchina, Francis sospirò.
«Che dite se torniamo a casa?» propose, aprendo la portiera dell’auto. 
«Va bene, tanto devi solo andare a casa di Mac» ridacchiò Zac, cominciando a fare il solletico sui miei fianchi, mentre cercavo di salire in macchina.
Dannazione, sapeva che soffrivo il solletico! Ero quasi sicura che avrebbe utilizzato quel metodo per farmi cedere. 
«Mi fate solo un piacere?» domandò Francis, guardandoci dallo specchietto retrovisore. 
«Cosa?» chiedemmo io e Zac all’unisono, cominciando poi a sghignazzare. 
«Evitate di fare come quelle coppiette che stanno sempre a sussurrarsi cose all’orecchio e poi ridono da sole? È davvero snervante. Se dovete dire qualcosa quando siamo tutti assieme, fate in modo che tutti riescano a sentirla». Sembrava davvero serio. 
«D’accordo». Cercai di mascherare un sorriso malamente, ma vedere Francis così preoccupato e serio mi metteva di buonumore. 
«Lo prometto. A meno che non ci sia qualcosa che non potete sentire». Zac mi fece l’occhiolino, e io gli diedi una piccola pacca sulla spalla perché la smettesse di fare l’idiota. 
«E, un’altra cosa. Non fate troppo gli appiccicosi. Non usate nomignoli imbarazzanti». Quello non sarebbe mai successo, ne ero sicura.
«Ci sto» risi, slacciandomi la cintura di sicurezza quando Francis arrestò l’auto davanti a casa mia. 
«Bene, a domani Francis». Zac mi sorprese, scendendo dall’auto subito dopo di me.
Capii perché avesse detto a Francis che doveva solo andare a casa mia.
Ma, si era fermato perché voleva parlare con me?
«Ci vediamo. E… grazie» sussurrai, allungandomi con il viso verso di Francis perché Zac non potesse sentirmi. 
«Tanto io e te dobbiamo parlare» mi minacciò lui, mentre chiudevo lo sportello.
«Che cosa ci fai qui?» chiesi a Zac, guardandolo con un sorriso.
Mi aveva seguito e si era seduto sul dondolo.
«Volevo solo salutarti» ghignò, prendendo una mia mano e attirandomi verso di lui.
Cominciai a ridere, appoggiando la fronte sulla sua spalla.
«Dovrai farti due chilometri a piedi» constatai, alzando il viso per guardarlo negli occhi.
«Fa niente, un po’ di movimento non ha mai ucciso nessuno».
Quando si accorse che ero rabbrividita per il freddo, le sue braccia circondarono le mie spalle, cercando di scaldarmi.
«Grazie» sussurrai, dandogli un bacio sulla guancia.
«Solo così mi ringrazi?» piagnucolò, sporgendo il labbro inferiore come un bambino.
«No, hai ragione». Mi avvicinai alle sue labbra, mordendole.
«Mac» urlò, prima di cominciare a farmi il solletico.
Cominciai a ridere, contorcendomi tra le sue braccia.
Sentii il rumore della serratura del portone di casa che si apriva e entrambi ci immobilizzammo, spaventati.
«Zy?».
Sospirai di sollievo, sentendo la voce di mia sorella.
«Ciao Sally» dissi, scendendo dalle ginocchia di Zac e sedendomi sul dondolo.
«Ciao piccola» la salutò Zac, sventolando la mano.
Sally cominciò a ridere, stringendo il pupazzo tra le piccole braccia.
«Che cosa ci fai sveglia a quest’ora?» chiesi, sistemandomi il vestito che si era alzato.
Sally si avvicinò, arrampicandosi sul dondolo e prendendo posto tra di noi.
«Ti ho sentito ridere». Mi guardò, giocando con il suo peluche.
«Eri in camera di mamma?» azzardai.
Il letto di mamma era sopra al portico. Probabilmente Sally aveva sentito la macchina di Francis rallentare e si era svegliata.
«» mormorò, colta sul fatto.
«Però adesso dobbiamo tornare a letto, perché è tardi». Mi alzai, prendendola in braccio e facendola ridere.
«Zac, rimani con noi?» chiese, innocentemente.
«Mi piacerebbe, ma è meglio se ritorno a casa, la mamma mi aspetta». Si alzò dal dondolo, avvicinandosi a noi e stampando un bacio sulla guancia di Sally.
«Corri a nanna, arrivo subito» sussurrai al suo orecchio, prima di appoggiarla a terra.
«Ciao» ridacchiò, correndo verso le scale.
«Meglio se rientro». Indicai la porta aperta dietro di me, non sapendo che fare.
«Buonanotte» mormorò, posando le sue mani sui miei fianchi per avvicinarmi a lui.
Prima che potessi rispondergli le nostre labbra si incontrarono di nuovo.
Le lasciai giocare, portando una mano tra la sua chioma scura.
«Zy?» chiamò qualcuno, spaventandomi e costringendomi a fare un passo indietro, «perché non arrivi?».
Quando mi accorsi che Sally era davanti alla porta di casa, ancora con il suo coniglio di peluche tra le braccia, cercai di calmare il mio respiro.
«Arrivo» dissi, cercando di non sbranarla.
Mai come in quel momento mi sarebbe piaciuto essere figlia unica.
«Meglio se vado. Ci vediamo domani» sussurrò Zac, sorridendo prima di incamminarsi.
«Andiamo a letto, su». Presi Sally in braccio, subito dopo essermi tolta quei trampoli dai piedi.
«Zy, sei bella stasera, più di sempre» mugugnò, mentre le rimboccavo le coperte.
Non riuscii a non sorridere, accarezzandole il piccolo visino rilassato. Si era già addormentata.

 
 
 
 
 
 
Buooongiorno!
Benvenute a chi non conosce i nerd e grazie di essere qui a chi sa cosa le aspetta! :)
Dunque, come c’è scritto sopra, questi personaggi appartengono tutti alla Long Story ‘The revenge of the nerd’. Ho pensato di dare un po’ più di spazio a Mac e Zac (che non sono i due personaggi principali) perché sono una coppia che amo.
Sarà una mini long, questa, credo di massimo cinque capitoli.
I vestiti sinceramente ora non ricordo se li avevo messi nel capitolo dei nerd, ma per sicurezza li posto nel gruppo.
In ogni caso, Roberta RobTwili è il profilo FB e Nerds’ corner il gruppo per gli spoiler.
Credo di aggiornare una volta a settimana, quindi, ringrazio già da ora chi ha perso tempo per leggere e chi (se ci sarà qualcuno) lascerà un commentino!

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Capitolo 2
*** You can't fall in love with your best friend ***


zmac
Questa storia è uno spin-off di ‘The revenge of the nerd’. Questi avvenimenti  sono collocati tra il capitolo 16 e il capitolo 17. Ricordo che questa storia si concentra sulla coppia di amici Zac e Mac.
 
 




«Che cosa ho fatto?» mormorai, portandomi una mano tra i capelli.
Socchiusi gli occhi, distogliendo lo sguardo dal soffitto verde.
Continuavo a ricordare la serata trascorsa, soffermandomi sulle immagini più importanti.
Zac, i suoi occhi, le sue labbra, il nostro bacio.
L’avevo baciato. Non una volta, non due.
Però ero stata ricambiata.
Non riuscii a trattenere un gemito frustrato tirando il lenzuolo fin sopra i capelli per nascondermi.
Perché avevo dato ascolto ad Ash?
Sì, certo, lei sapeva un sacco di cose sui ragazzi e non si era sbagliata nell’ipotizzare che potessi piacere a Zac, ma… Zac era uno dei miei migliori amici.
Il mio migliore amico, dopo Francis.
E ci eravamo baciati.
Precisamente che cosa avevo pensato quando si era avvicinato a me?
Che era bello, certo.
Ma…
«Oh». Strattonai il lenzuolo, mettendomi a sedere sul letto.
Dovevo assolutamente parlare con Ash, chiederle un consiglio.
Allungai il braccio per prendere il cellulare dal comodino e digitai un messaggio.
Erano le otto di mattina e probabilmente Ash stava dormendo, ma non mi interessava.
Doveva venire da me.
Era in debito con me, dopo che mi ero fatta conciare come Barbie Malibu in versione castana.
Aspettai qualche minuto, torturando le lenzuola gialle con le dita.
«Avanti» sbottai, prendendo il cellulare tra le mani e guardando lo schermo in attesa del messaggio.
Con una smorfia malefica, digitai il numero di Ash, prima di inviare la chiamata.
Se non si era ancora svegliata l’avrei fatto io per lei.
«Pronto?» mugugnò qualcuno, dopo svariati squilli.
«Ash, vieni a casa mia subito. Ho bisogno di te». Telegrafica e preoccupata.
«Ma chi parla?» chiese, la voce ancora roca a causa del sonno.
«Audrey Hepburn. Ash, chi vuoi che sia? Sono Mac» sbottai, arrabbiata.
Chi poteva mai chiamarla alle otto e mezza di domenica mattina?
«Mac? È successo qualcosa ieri sera?». Sembrò risvegliarsi improvvisamente.
«Sì. Ho bisogno di te» piagnucolai, calciando le coperte che scivolarono a terra.
«Qualcosa di male? Ti ha fatto qualcosa che non volevi?» chiese. Dal suo tono mi sembrava preoccupata.
«No. Cosa stai dicendo?». Spalancai gli occhi stupita.
Perché mai Zac avrebbe dovuto fare qualcosa di male?
Zac era… Zac.
Non avrebbe mai avuto il coraggio di fare qualcosa di male a qualcuno, non uccideva nemmeno un ragno perché secondo lui avrebbe sofferto.
Mi alzai, cominciando a camminare su e giù, lasciando che i miei piedi nudi sprofondassero nel morbido tappeto.
«Ok, arrivo tra mezz’ora» borbottò, prima di chiudere la chiamata.
Aprii la porta della camera lentamente, cercando di non fare rumore.
La porta della stanza di mamma era aperta e il letto vuoto; quindi lei era già andata al lavoro.
Mi avvicinai alla camera di Sally per controllare: era distesa nel suo lettino e dormiva.
Vederla così tranquilla e rilassata mi donò un sorriso che non riuscii a trattenere.
Socchiusi la sua porta perché non si svegliasse a causa del rumore e, dopo aver preso un paio di jeans e una maglia, andai a farmi una doccia.
Sapevo che Ash era sempre puntuale, per questo cercai di rimanere sotto al getto caldo il minor tempo possibile.
Era difficile però; trovavo sempre rilassante sentire i muscoli sciogliersi a contatto con l’acqua calda e in quel momento dovevo cercare di sgombrare la mente da quello che era successo la sera prima.
«Stupida» sbottai, tirandomi un pugno in testa. Quel gesto mi fece scivolare; sbattei contro la parete di vetro del box doccia.
Ci mancava solo una botta sul naso.
Meglio uscire da quella doccia, prima di ritrovarmi con il naso rotto o peggio, con una gamba ingessata.
Dopo essermi asciugata e vestita, scesi le scale chiudendo tutte le porte perché Sally potesse dormire.
Andai in cucina, aprendo un pacco di biscotti mentre camminavo attorno al tavolo rettangolare.
Non mi piaceva fare colazione seduta, dovevo sempre muovermi.
Quel giorno, poi, con tutto quello che avevo da dire, non riuscivo a rimanere ferma nello stesso posto per più di tre secondi.
Il mio cellulare vibrò, spaventandomi.
Era Ash, mi aveva mandato un messaggio perché le aprissi la porta.
Corsi all’entrata, rischiando di sbattere contro il legno: non ero riuscita a fermarmi in tempo.
Dovevo darmi una calmata.
Respirai a fondo, abbassando la maniglia e lasciando che Ash entrasse.
«Mio Dio, Mac! Che cosa è successo?» chiese spaventata, appoggiandomi le mani sulle spalle.
Non si era nemmeno truccata, riuscivo addirittura a vedere qualche traccia del trucco della sera precedente.
I suoi capelli erano raccolti in una coda scomposta, alcune ciocce ricadevano sulle spalle coperte da una magliettina verde scuro.
«Ho fatto un casino» ammisi, sedendomi sul divano di fianco ad Ash.
«Che cosa è successo? Raccontami». Era davvero in pensiero per me, potevo vederlo dal suo sguardo e dalla sua mano che stringeva la mia, per infondermi coraggio.
«Io… ci siamo baciati Ash». Scossi la testa cercando di scacciare quell’immagine che si presentava ancora una volta nella mia mente.
Mi sembrava di rivivere la sensazione di nuovo.
La morbidezza della sua bocca sulla mia, i suoi denti che torturavano il mio labbro.
«Ok, di questo parliamo dopo, che cosa è successo?» chiese, avvicinandosi un po’ di più a me.
«Il problema è proprio questo» piagnucolai, portandomi una mano tra i capelli e tirandomi qualche ciocca.
«Credo di non capire» mormorò confusa, irrigidendosi appena.
Come faceva a non capire?
Era semplice: l’avevo baciato e mi ero pentita di quel gesto.
«Ash, l’ho baciato. Cioè, ci siamo baciati, ma… è Zac! Ho fatto un errore, non dovevo. Ed è tutta colpa tua». Se Ash non avesse scoperto che avevo una cotta per Zac fin dall’asilo probabilmente non ci sarebbero stati problemi.
«Colpa mia? Perché è colpa mia?». Il suo volto assunse un’espressione divertita, mentre si sistemava meglio sul divano e prendeva un cuscino per stringerlo tra le braccia.
L’avevo vista fare quel gesto molte volte, anche mentre guardavamo un film.
«Perché tu mi hai detto di provarci, e io alla fine gli ho detto che mi piace e adesso lui mi ha detto che gli piaccio e…» cominciai, fermandomi poi per prendere fiato.
«Ti ho detto, gli hai detto, ti ha detto… sei ripetitiva, Mac» ghignò, senza nascondere il suo sarcasmo.
«Senti, Ash, per me non è tutto così facile, non è che tutti cadono ai miei piedi o altro, ok? Sono timida, non faccio parte delle cheerleader o delle infermiere, non vado alle feste ubriacandomi e non credo nemmeno che qualcuno mi abbia mai vista come una vera ragazza. Non ho una lista infinita di amici che si credono tali solo perché sanno il mio nome, ma posso giurare di averne tre che conosco dall’asilo. Francis, John e Zac. Ora, che io abbia una cotta per uno di loro da circa…» mi fermai un attimo, per capire da quanti anni mi piacesse Zac, «… quattordici anni lo sapevo solo io. Il fatto che tu l’abbia scoperto mi sta bene, non lo dirai a nessuno, almeno così hai detto, ed è perfetto. Ma non puoi venirmi a dire che non ho ragione se dico di non voler stare con Zac» conclusi, respirando per riprendere fiato.
«Mi sarebbe piaciuto registrarti. Hai esattamente elencato tutti i motivi per cui tu devi frequentarlo». Era seria, tremendamente seria.
Perché non riusciva a capire quello che le stavo dicendo?
«No, Ash, non capisci. Tu non conosci Zac come lo conosco io…» iniziai, prima che Ash battesse le mani soddisfatta.
«Appunto, e questo è già un bene. Conosci tutti i lati del suo carattere e sai quello che gli piace e quello che gli dà fastidio, capisci?» concluse, soddisfatta.
«Quello che capisco è che non è giusto che due amici decidano di frequentarsi». Eccolo, il vero problema.
Distolsi lo sguardo da Ash per concentrarmi sul ricamo delle tende dietro di lei.
Qualcosa bruciava vicino ai miei occhi, costringendomi a socchiudere le palpebre.
«Oh, Mac» sussurrò Ash, abbracciandomi.
«Che c’è?». Rimasi immobile, stupita da quel gesto improvviso.
Perché mi aveva abbracciata?
«Non devi piangere. Perché vedi il lato negativo in tutto? Tu e Zac siete perfetti assieme, e sono sicura che non succederà niente di male se vi frequentate». Mi sorrise, sciogliendo l’abbraccio.
«Primo non sto piangendo» puntualizzai, togliendomi una lacrima che stava scendendo lungo la mia guancia, «e secondo… sì. Succederà qualcosa, ne sono sicura. Se dovessimo litigare Francis e John che cosa faranno? Di chi rimarranno amici? Non voglio obbligare nessuno a fare delle scelte. Non mi piace pensare di poter avere questo potere su una persona». Guardai le mie mani cercando di sfuggire al suo sguardo.
«Adesso riesco a capire perché tu e Francis siete amici da così tanto tempo. Dio, lo sapete che esiste anche l’ottimismo? Che cosa ci guadagnate a essere così pessimisti?»
«Che cos’ha Francis?». Perché Francis doveva essere pessimista?
Sì, ero la prima a pensarlo, ma non l’avevo mai detto a nessuno.
Tranne a Francis, ovviamente.
«Sembrava posseduto ieri sera quando vi ha visti. Perché ha detto che se vi lasciate non può scegliere. Dio, un po’ di ottimismo! Siete così belli assieme» concluse, con un sorriso.
Possibile che per lei fosse tutto così semplice?
Se due persone stavano bene assieme il gioco era fatto?
Funzionava così?
«Ash» sospirai, pronta per dirle che forse non era il caso di continuare quella storia, se così si poteva chiamare, visto che era durata per qualche ora.
«No, Mac. Adesso mi ascolti e fai quello che ti dico. Tu, oggi, vai da Zac e ci parli. Gli fai capire che hai intenzioni serie e che ti piacerebbe stare con lui. Fate quello che volete, baciatevi, graffiatevi, urlate, cantate, ballate, saltatevi addosso… quello che volete, ma assolutamente non devi lasciarlo, ok? Perché posso garantirti che per la prima volta in quasi sei mesi, ieri sera sono riuscita a vedere Zac davvero felice. E sai qual è stato il momento esatto in cui me ne sono accorta? Quando vi stavate tenendo per mano. Non so chi dei due fosse più contento, se tu o lui. Posso garantirti che eravate davvero perfetti. E non ti sto dicendo questa cosa perché ho qualche scopo o altro, semplicemente perché tu sei una mia amica e ci tengo. Voglio vederti felice e so che questo può succedere se tu e Zac sarete una coppia». Ammiccò verso di me, sistemandosi una ciocca di capelli.
Abbassai per un attimo lo sguardo concentrandomi su un piccolo elefantino di vetro che c’era sopra al tavolino davanti al divano e, dopo aver preso un po’ di coraggio, decisi di affrontarla.
«Sai, non ti ho mai sentito parlare così tanto» sogghignai, guardandola. «Forse hai ragione, non dico di no, però… non lo so, Ash…». Respirai profondamente, non sapendo che dire.
«Vedi? Non riesci a trovare una giustificazione per non farlo. Provaci Mac, per una volta fai qualcosa di istintivo. Ieri sera ti sei divertita, no? Mi hai detto che vi siete baciati»
«Sì, è stato… bello. Però non ci ho pensato. Cioè, l’ho fatto stamattina quando mi sono svegliata. Forse perché ieri sera era tutto strano». Feci spallucce.
Mi stavo comportando come una bambina.
Peggio, stavo parlando come una bambina cocciuta.
«Siete davvero belli assieme» mormorò, incapace di nascondere un sorriso.
«Dovrò parlarci, insomma» mi arresi, capendo che forse era giunto il momento di pensare un po’ meno e agire di più.
«Fallo, vai da lui e parlagli. Discutete di qualcosa, sono sicura che andrà tutto bene. Ho un certo sesto senso per queste cose» si vantò, facendomi una linguaccia.
«Se non dovesse funzionare almeno avrò un motivo per odiarti» la punzecchiai, facendola ridere. «E con Francis? Come è andata?».
Non ne avevamo mai parlato espressamente, ma ero sicura che il sentimento di Francis fosse corrisposto.
Ash sembrava imbarazzarsi quando parlavamo di lui, e molte volte chiedeva tante piccole cose, come se le interessasse conoscerlo.
Forse, in fin dei conti, Ash non era l’unica ad avere un certo senso per quelle cose.
«Bene… hai visto, no? Ci siamo salutati, così». Fece spallucce, distogliendo lo sguardo dal mio e cominciando a guardare il televisore spento e la libreria piena di libri.
«Ash?» la chiamai, sperando che tornasse a guardarmi.
Mi stava nascondendo qualcosa, ne ero sicura.
«Eh?» ribatté, fingendosi interessata alla trama del cuscino che stava ancora stringendo tra le braccia.
«Che cosa è successo?» chiesi, curiosa.
Sapere che i ruoli si erano invertiti mi faceva ridere.
«Come?» domandò, tergiversando la mia domanda.
«Che cosa è successo tra te e Francis ieri sera?». Non potevo chiederlo in modo più esplicito.
«Diciamo che… ecco, volevo dirgli che… mi ero divertita al ballo. Volevo ringraziarlo». Arrossì, distogliendo di nuovo lo sguardo dal mio.
«È così, insomma? Io devo dirti tutto e tu mi racconti bugie?». Perché stava mentendo, lo sapevo.
In quei mesi avevo imparato a riconoscere i gesti del suo corpo mentre raccontava una bugia.
«Mac, sei insopportabile» sbuffò, appoggiando la nuca sullo schienale del divano. «Sono andata da lui per parlare, ok? Abbiamo parlato e poi me ne sono tornata a casa. Tutto qui, non c’è altro e non è successo niente. Tra le due sei quella che ha fatto più esercizio, baciando Zac» concluse.
Sembrava che per fare quella confessione si fosse sforzata.
«Sei andata a casa di Francis dopo il ballo?» domandai, non riuscendo a trattenere una risatina.
«Sì, dovevo chiarire, non l’avevo fatto a scuola e volevo farlo. Abbiamo parlato per un paio di minuti, l’ho salutato e sono tornata a casa, non c’è davvero altro» mi assicurò.
Sentimmo lo scatto di una serratura e entrambe ci zittimmo.
«Zy?» bisbigliò Sally, sbadigliando.
«Ehi, dormigliona» ridacchiai, avvicinandomi a lei e prendendola in braccio, «hai riposato o no?» chiesi, facendole il solletico.
Sally cominciò a contorcersi tra le mie braccia, costringendomi a sedermi sul divano per non cadere.
Non era più così piccola e iniziavo a non avere più forza per rimanere in piedi tenendola in braccio.
«» riuscì ad articolare con fatica, tra una risata e l’altra. «Zy, basta». Le sue manine fecero forza perché la smettessi di farle il solletico.
Mi fermai, aspettando qualche secondo perché potesse riprendere a respirare.
«Zac?» chiese Sally, guardando prima me e poi Ash.
Ashley non riuscì a trattenere una risata e cominciò a ridere, riparandosi con il cuscino.
«Zac è a casa, Sally» spiegai, cercando di frenare l’istinto omicida verso Ash.
«Credo lo vedrai spesso, però» ghignò la mia amica.
«Ash» strillai, ammonendola.
Perché doveva sempre dire cose senza senso?
Sally avrebbe cominciato a fare domande all’infinito, costringendomi a dire molto più di quanto volessi.
«Perché lo vedrò spesso? Anche Francis?» chiese Sally, allargando il suo sorriso a dismisura.
«Lo vedrai spesso perché assieme a Francis e Ash guarderemo tanti film». Come giustificazione per una bambina di cinque anni andava bene.
«Che bello! E posso guardare anche io i film con Francis?». Alla sua domanda non riuscii a trattenere un sorriso.
La cotta che Sally aveva per Francis mi faceva sempre ridere.
Era divertente vedere quanto diventasse timida quando c’era Francis in casa. Forse sarebbe stato ancora più divertente se Ashley e Francis fossero riusciti a fare qualche passo avanti nel loro strano rapporto.
Possibile che nessuno dei due avesse il coraggio di fare la prima mossa?
Dovevo strigliare per bene Francis.
«Mac, io andrei a casa, Eric è tornato e dovevamo andare in spiaggia» mormorò Ash, alzandosi dal divano e prendendo la sua borsa blu tra le mani.
«Certo, vai pure. Ci sentiamo più tardi, ok?» le dissi, facendo scivolare Sally dalle mie ginocchia al divano.
«Sicuro. Ciao Sally». Ashley fece un gesto con la mano, per salutare la mia piccola sorellina che ricambiò con il suo sorriso sdentato.
Senza quel dente davanti diventava buffa ad ogni risolino.
Non appena Ashley si chiuse la porta alle spalle, mi avvicinai a Sally, accucciandomi davanti a lei perché potesse guardarmi dritta negli occhi.
«Sally, voglio fare una sorpresa a Francis, ma ho bisogno del tuo aiuto». Il suo sguardo si illuminò, quando sentì il nome di Francis.
Annuì solamente, senza interrompermi.
Quel suo stare attenta a quello che stavo per dire mi fece sorridere.
«Devo andare da Francis per parlare di una cosa, però non puoi stare a casa da sola. Posso portarti dalla nonna? Passo a prenderti tra un’oretta. Che ne dici?» proposi, quasi sicura che avrebbe accettato.
«Ok» acconsentì, scendendo dal divano e saltellando verso le scale.
«E al ritorno ci fermiamo a mangiare nel ristorante che ti piace tanto e poi andiamo a prendere uno di quei lecca-lecca giganti, ti va?». Quando sentì le mie ultime parole, Sally si fermò, guardandomi.
«Lecca-lecca?» domandò, mentre i suoi occhi si illuminavano.
«Gigante» precisai, quando corse verso di me per abbracciarmi.
«Andiamo dalla nonna».

 
 
 
 
 
Buonasera ragazze!
Eccomi con il secondo capitolo Zmac.
So che è pesante, ne sono consapevole e mi scuso!
Prometto che i prossimi tre saranno totalmente diversi, con tante battute e tanto movimento (in tutti i sensi).
Non ho altro da dire, spero che siate ancora vive, nonostante la pesantezza, però mi sembrava giusto che Mac riuscisse a capire quello che era successo la sera precedente, ecco.
Come al solito QUI c’è il gruppo spoiler e QUI il mio profilo.
Alla prossima settimana!

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Capitolo 3
*** Good night, Dwarfy ***


zmac
Questa storia è uno spin-off di ‘The revenge of the nerd’. Questi avvenimenti  sono collocati tra il capitolo 17 e il capitolo 18. Ricordo che questa storia si concentra sulla coppia di amici Zac e Mac.
 
 




«Mac? Che cosa ci fai qui?». Socchiuse la porta dietro di lui, guardandomi sorpreso.
«Io… ecco…» sospirai, cominciando a torturarmi le dita delle mani.
Era imbarazzante e infantile dire che ero corsa da lui perché mi mancava?
Si appoggiò allo stipite della porta, incrociando le braccia al petto.
C’era un sorriso beffardo sul suo volto.
I suoi occhi, di quell’azzurro così intenso, mi scrutavano divertiti.
«Allora?» chiese, sistemandosi poi gli occhiali, in attesa di una mia risposta.
Spostai lo sguardo imbarazzata, fissandolo sul cespuglio di rose bianche che c’era poco distante da noi. Da piccola adoravo nascondermici dietro nelle nostre partite a nascondino; rimanevo per ore ad annusare il profumo delle rose.
«Così» mentii, facendo spallucce. Speravo che non scoprisse la bugia che avevo appena detto.
«Va tutto bene?». Si avvicinò di un passo, prendendo il mio mento tra le sue dita e costringendomi ad alzare lo sguardo.
«Sì» finsi di nuovo, sfuggendo ai suoi occhi.
Non riuscivo a raccontare bugie, ancora meno quando quei suoi grandi occhi azzurri mi scrutavano.
«Menti» sbottò, prendendomi per mano e costringendomi a entrare in casa.
«Zac» piagnucolai, cercando di opporre resistenza.
Sapevo che era inutile.
Era molto più alto e molto più forte di me.
Sentii lo scatto della porta di casa dietro di me e sospirai, socchiudendo gli occhi.
Il profumo di vaniglia, lo stesso che c’era da quando ero piccola, mi inebriò, rilassandomi appena.
«Che cosa succede?» tornò a domandare, stringendo la sua presa sulla mia mano.
Sentii le guance infiammarsi per l’imbarazzo di quella domanda.
«Io… ero passata di qua per salutarti, ok?» borbottai, sapendo che non sarei riuscita a resistere poi molto alle pressioni di Zac.
Nessuna battutina di scherno, nessun commento stupido.
Nel suo volto si aprì un sorriso mentre mi abbracciava.
Stupita da quel gesto inaspettato, rimasi immobile per qualche secondo, prima di riuscire a capire che il suono martellante che sentivo era il battito del cuore di Zac.
«Quanto è romantica la mia nanetta?» sogghignò, scompigliandomi i capelli.
Nanetta?
«Ehi» sbottai offesa, facendo forza con le mani sul suo petto perché la smettesse di abbracciarmi, «chiamami nanetta un’altra volta e poi non potrai più farlo» minacciai, incrociando le braccia sotto al seno, offesa.
«Ma sei una nanetta, in confronto a me» sghignazzò, avvicinandosi di un passo.
Indietreggiai, istintivamente. Non volevo che la sua vicinanza mi impedisse di ragionare.
«Solo perché sei alto quasi un metro e novanta e io sono venti centimetri in meno di te non devi permetterti di offendermi». Tornai a dire, fingendomi offesa.
«Cosa?» ridacchiò, incapace di trattenersi. «Mac, ma cosa stai dicendo? Io credo che al massimo tu sia alta un metro e sessantacinque, non lo sfiori nemmeno con le dita il metro e settanta». Fu costretto ad appoggiarsi al divano di fianco a lui per il troppo ridere.
«Stupido» sbottai, prima di dargli le spalle. Aprii la porta di casa e in pochi passi uscii.
Che cosa avevo pensato?
Non ricordavo chi era Zac?
Quello sempre pronto a offendermi con frecciatine stupide?
Perché ero andata proprio da lui?
Oh, sì, perché la sera prima ci eravamo baciati.
«Dove stai andando?». Sentii la sua voce vicina a me. Talmente vicina che il suo fiato caldo mi solleticò il collo, regalandomi un leggero brivido.
Lo ignorai, esattamente come feci con Zac.
Peccato che non volesse lasciarmi andare.
Mi sentii mancare la terra da sotto i piedi e qualcosa mi strinse i fianchi.
«Adesso rientriamo» soffiò al mio orecchio, mordendomi poi il collo in modo scherzoso.
«Lasciami subito, stupido» mi lamentai, cercando di spostare le sue mani dai miei fianchi.
Inutile. Mentre mi dimenavo Zac aveva già chiuso la porta di casa con un calcio.
«Ora, piccola peste, calmati» ghignò, abbracciandomi senza però farmi appoggiare i piedi sul pavimento.
Sospirai, lasciando cadere le braccia.
Se credeva che mi arrendessi per così poco si sbagliava.
Quando allentò la presa sulla mia vita, piegando le gambe per riportarmi a terra, pizzicai un suo braccio con tutta la forza che avevo.
«Mac» strillò, lasciando la presa sui miei fianchi e scostandomi, «perché diavolo devi fare queste cose? Sembri una bambina. Stavo scherzando, volevo essere romantico!» sbottò, massaggiandosi il segno rosso che gli avevo lasciato sul braccio.
«Romantico? Lascia che ti spieghi una cosa, Zac: non sei romantico se chiami la tua… ragazza ‘nanetta’. Non lo sei nemmeno un po’, ok? Magari lo sei stato quando mi hai sussurrato che saremmo tornati in casa, ma non di certo quando mi hai chiamato in quel modo stupido. Si presuppone che il ragazzo faccia complimenti, ti faccia sentire importante, unica e bellissima. Ma non so nemmeno perché sto dicendo queste cose, visto che sono senza senso». Mi sistemai con un gesto seccato la maglia che si era alzata; poi, senza dire nulla, aprii di nuovo la porta per uscire.
La mia mano si intrappolò in qualcosa di caldo e grande, che mi impedì di compiere un nuovo passo.
Sentii Zac attirarmi verso di lui, tanto che sbattei contro il suo petto mugolando infastidita.
Qualcosa di caldo circondò il mio viso, costringendomi a chiudere gli occhi.
Riuscivo a distinguere tutte le dita di Zac, il suo palmo, la punta del suo indice destro che mi accarezzava la tempia.
Schiusi le labbra istintivamente, quando il fiato caldo di Zac si infranse sulla mia bocca.
Annullò la distanza, regalandomi un bacio dolce e lento.
Lasciai le nostre labbra libere di giocare, mentre portavo le mie mani tra i suoi capelli.
Le sue mani abbandonarono il mio viso, scendendo sulle spalle, sfiorandomi la schiena. Si posarono sui miei fianchi, stringendoli appena.
Mi sentii sollevare da terra e non riuscii a trattenermi: lasciai che le mie labbra si tendessero in un sorriso.
«Che c’è? Non è romantico nemmeno questo?» borbottò, lasciandomi andare dolcemente.
Non risposi, nascosi solamente il viso contro il suo petto, ridendo felice.
Forse in fondo in fondo, anche Zachary Bolton possedeva un po’ di romanticismo.
«Mi dispiace Mac, è scomodo baciarti, voglio dire» sussurrò impacciato, indicando prima le mie labbra e poi le sue, per farmi notare la differenza di altezza.
«Dai, scemo» dissi, vergognosa, sedendomi sul divano e guardandolo perché facesse lo stesso. «Dobbiamo aiutare Francis e Ash». Ecco il secondo motivo per cui mi trovavo lì.
Zac aggrottò la fronte, confuso.
«Non capisco» mormorò, puntellando il gomito sullo schienale del divano e appoggiando la tempia sul palmo della mano.
Un raggio di sole lo colpì in viso, regalandomi una sfumatura dei suoi occhi blu che non avevo mai visto.
«Ash piace a Francis, ma lei non l’ha mai confessato. Ora, io so per certo, anche se non me l’ha mai detto, che anche a lei piace Francis. Ho parlato con tutti e due, questa sera guardiamo un film da me. Solo noi quattro. Dobbiamo inventarci qualcosa, capisci? Voglio che Francis e Ash diventino una coppia». Abbassai il tono della voce, come se qualcuno potesse sentirmi.
«Perché non John e Hannah?» chiese, confuso.
«Perché saremmo in troppi, e non voglio. Deve essere una cosa… intima, insomma, non voglio che si sentano gli occhi puntati addosso. Francis deve essere tranquillo. Come facciamo?». Ero preoccupata, non sapevo come farli avvicinare.
«Potremmo guardare un film horror. Qualcosa che fa veramente paura ad Ash, così si avvicina a Francis per farsi consolare» propose Zac, sorridendo.
«Sei un genio» esclamai, inginocchiandomi sul divano per abbracciarlo. «Lo sapevo». Appoggiai la fronte sul suo collo, inspirando il suo profumo.
«Mi fai il solletico» ridacchiò, appoggiando la sua mano sul mio mento, per allontanarmi da lui.
«Dobbiamo costringerli a rimanere seduti vicini, ok? Noi ci prendiamo un divano e loro dovranno per forza sedersi sull’altro. Ah sì» ricordai improvvisamente, «dobbiamo togliere tutti i cuscini ad Ash, altrimenti usa quelli per nascondersi». Mi sembrava non ci fosse altro. «Tutto chiaro?» domandai, senza nascondere un sorriso soddisfatto.
Se il nostro piano avesse funzionato, Francis e Ash sarebbero diventati al più presto una coppia.
Ero convinta che servisse solo una spinta. L’attrazione tra di loro era troppa per non essere notata.
«Sembra un piano malvagio, Mac» mormorò Zac, giocherellando con una ciocca dei miei capelli.
«Lo è. Ma nessuno deve capirlo. Comportati normalmente, fai lo scemo come sempre, ok?» gli intimai, guadagnandomi una sua occhiataccia.
«Lo scemo, eh? È così che mi vedi?» si lamentò, smettendo di torturare i miei capelli e avvicinandosi a me con il viso.
«Non mi fai paura, Zac. Ti conosco dall’asilo e non hai mai fatto del male a nessuno». Sapevo che non mi avrebbe di certo ferito.
«Non voglio farti del male, voglio farti soffrire, è diverso» puntualizzò, con un ghigno sadico.
«Zac» sospirai, preparandomi a spiegare di nuovo quel concetto.
Non riuscii a cominciare nulla però, perché le mani di Zac si portarono sui miei fianchi facendomi il solletico.
Cominciai a ridere, contorcendomi tra le sue braccia.
«Te l’avevo detto. Voglio solo farti soffrire, nanetta» rise, non smettendo di torturarmi.
«Zac» ansimai, tra una risata e l’altra, sperando che smettesse di torturarmi.
«Non sento niente, mi dispiace. Sto allenando le mie dita. Si chiama ginnastica» disse, diabolico, aumentando la velocità con cui mi stava facendo il solletico.
«Zac, non… respiro» tossii, ormai a corto di fiato.
Le sue dita smisero di torturarmi, stringendosi poi suoi miei fianchi per farmi sedere lentamente sul divano.
«Va meglio?» chiese, scostandomi una ciocca di capelli dal viso.
«Sì». Respirai a fondo, cercando di far tornare il battito del mio cuore alla normalità.
Non era facile concentrarsi su quello però, con il petto di Zac appoggiato alla mia schiena.
«Io… io devo andare. Ci vediamo questa sera?» bofonchiai, alzandomi goffamente dal divano.
«Certo, arrivo da te un po’ prima?» propose, accompagnandomi verso la porta.
«Ok, come vuoi». Un sorriso si formò involontario sulle mie labbra, facendo sorridere anche Zac.
«A dopo, allora». Prese il mio viso tra le sue mani prima di piegare le gambe per darmi un bacio.
«Ciao» soffiai sulle sue labbra, felice.
 
Chiusi la porta, mordendomi il labbro per non strillare a causa della felicità.
Corsi velocemente in soggiorno, saltellando davanti a Zac.
«Siamo stati bravissimi» esultai, non smettendo di muovermi.
«Mac, calmati» ghignò, rimanendo disteso sul divano.
Quella frase, il suo voler rimanere da me ancora per qualche minuto… mi aveva stupito.
«Hai ragione, ma sono così felice» strillai, incapace di trattenermi.
Speravo solo che Francis e Ash fossero già partiti, altrimenti sicuramente mi avrebbero sentita.
«Mac, parla piano» sogghignò, sistemandosi il cuscino che aveva sotto alla testa.
«Secondo me si baceranno, ne sono quasi sicura. Erano così belli quando se ne sono andati. Li hai visti Zac? Hai visto quanto erano belli?» chiesi, sedendomi sul divano e costringendolo ad appiattirsi contro lo schienale morbido.
«Sì, Mac, li ho visti. C’ero anche io, sai?» scherzò, divertito dalla mia felicità.
«Sono così felice per loro, se lo meritano». Cominciai a giocherellare con il bordo della maglia di Zac, senza smettere di sorridere.
Francis si meritava Ashley. Anche lei si meritava il mio amico.
«Potrei essere geloso, sai?» mormorò divertito, facendomi ridere.
Appoggiai la fronte sulla sua spalla, rimanendo seduta.
«Geloso di Francis? Lui è un mio amico, Zac» spiegai, appoggiando il capo sul suo petto e distendendomi di fianco a lui.
«Anche io ero un tuo amico» puntualizzò, abbassando lo sguardo per scrutare la mia reazione.
Non riuscii a rispondere, abbassai il viso, sperando che non si accorgesse del rossore delle mie guance.
«Mac?» domandò, dopo alcuni secondi di silenzio.
Sentivo ancora le guance in fiamme e non avevo il coraggio di alzare il viso.
Ero sicura che mi avrebbe preso in giro, schernendomi perché mi piaceva da sempre.
Sospirò, prima di portare le mani sui miei fianchi per farmi scivolare sopra di lui.
Sussultai sorpresa quando sentii il suo corpo caldo sotto al mio.
«Che stai facendo?» borbottai, guardandolo confusa.
«Perché non hai detto nulla?». Si sistemò il cuscino sotto alla nuca, per potermi guardare meglio.
«Io… ecco… perché…» iniziai a dire, concentrandomi sulla lampada accesa, di fianco alla TV.
«Aspetta, non dirmi che è perché ti piacevo» esordì all’improvviso, cogliendomi di sorpresa.
Non credevo che Zac sarebbe stato in grado di capirlo da solo.
La mia esitazione fu una conferma per lui.
«Lo sapevo! Parlo il donnico! L’ho sempre detto» si vantò, stringendo involontariamente i miei fianchi.
«Zac, non serve che ti monti tanto la testa» farfugliai imbarazzata, cercando di scivolare giù dal suo corpo.
«Non mi scappi» sibilò, fintamente arrabbiato.
«Non farmi il solletico, non ci provare» lo ammonii, alzando un indice contro il suo viso.
«Altrimenti?» mi provocò, allargando quel ghigno a dismisura.
Ci pensai. Doveva pur esserci un modo per ricattarlo.
Ci doveva essere qualcosa che…
«Zac» urlai, quando le sue mani cominciarono a torturarmi senza sosta.
Mi dimenai, cercando di scappare.
Quando finalmente riuscii ad alzarmi dal divano, Zac mi attirò verso di lui, facendomi sedere sulle sue ginocchia, per continuare la sua tortura.
«Non respiro» mi lamentai, ormai completamente senza forza.
Zac si fermò, sistemandomi i capelli dietro la schiena e dandomi un bacio sulla guancia.
Almeno ci provò, perché voltai il viso di scatto, facendo incontrare le nostre labbra.
Sussultai al contatto con la sua bocca, e mi abbandonai  contro di lui sentendomi fremere.
Strofinò la punta del suo naso contro al mio, sussurrando poi «questo è un bacio eschimese, lo sapevi?».
Il suo fiato caldo che entrava dalle mie labbra schiuse per solleticare la mia lingua, i suoi occhi così azzurri vicini ai miei, quella fossetta sulla guancia sinistra… prima ancora di pensarci cominciai a baciarlo.
Senza staccare le nostre labbra, Zac mi fece spostare sul divano, fino a quando non mi sedetti sulle sue ginocchia.
Le mie mani corsero tra le sue ciocche corvine, giocandoci.
Le sue dita sfioravano le mie gambe, salendo lentamente per poi scendere.
Baciare Zac mi stava facendo perdere la cognizione del tempo.
All’improvviso, qualcuno suonò il campanello di casa.
«Chi è?» sussultai, smettendo di baciare Zac.
Oddio, e se fosse stata mamma?
Cosa le avrei raccontato?
Zac era spettinato e le sue labbra erano gonfie.
Non volevo nemmeno immaginare come ero conciata.
«Tua madre?» sussurrò Zac, sgranando gli occhi per il terrore.
«Non… non lo so». Cercai di alzarmi, cadendo dopo che con il piede avevo urtato il tavolino.
«Mac… mi uccide». Zac si portò le mani tra i capelli, scompigliandoli ancora di più.
«Stai qui, vado io. Se senti che è mia mamma assumi la faccia più normale che puoi». Cercai di sistemarmi la maglia che si era alzata e, dopo essermi raccolta i capelli in una coda perché non si vedesse che si erano arruffati, camminai lentamente verso la porta.
Speravo con tutto il cuore che non fosse mamma.
Un venditore di enciclopedie alle undici di sera era troppo improbabile?
Abbassai la maniglia con gli occhi chiusi, tenendo lo sguardo basso per non vedere l’espressione di chi c’era alla porta.
Converse blu.
«Mac, tutto bene?» mormorò la voce di Francis. 
Francis.

Che cosa ci faceva a casa mia? «Che cosa ci fai qui?» sbottai, guardandolo confusa, sollevata e irritata.
Ero felice che non fosse mamma, ma… aveva interrotto un momento romantico. 
«Stai bene? Sembri sconvolta» ripeté, appoggiandomi una mano sulla spalla. 
«Muoviti, entra». Presi una manica della sua felpa, strattonandolo perché entrasse in casa. 
«Mi vuoi dire che cosa c’è che non va?». Non risposi, camminai solamente verso il soggiorno.

Sentivo la presenza di Francis dietro di me. Un’ulteriore prova della sua presenza fu vedere il volto di Zac rilassarsi. 
«Francis Seth Hudson, ti odio» gridò Zac, appoggiando la nuca allo schienale del divano con un sospiro. 
«Oh. Voi… voi stavate». Continuava ad alternare gli sguardi tra me e Zac, senza aggiungere altro.

Io non riuscivo a rispondere; un po’ perché mi vergognavo e un po’ perché ero quasi sicura di essere ancora senza voce. 
«Sì, Francis. Stavamo pomiciando» sbottò Zac, facendomi ridere.

Non aveva di certo utilizzato strane metafore. Diretto, come sempre. 
«Scusatemi» sussurrò Francis, evidentemente imbarazzato, «non volevo interrompervi».

Sembrava davvero mortificato e mi fece tenerezza. Dovevo per forza spiegargli la situazione: «Non è perché ci hai interrotto, è perché non sapevamo chi potesse essere». Mi sedetti di fianco a Zac, sul divano. 
«Adesso, potresti gentilmente spiegarmi che diavolo sei venuto a fare a casa della mia ragazza a mezzanotte e mezza passata?» domandò Zac incrociando le braccia al petto, subito dopo essersi sistemato la maglia.

«Io… Ashley… noi…» cominciò a balbettare Francis, senza spiegare nulla. 
«Eh?» chiese Zac, sistemandosi gli occhiali sul naso con un gesto involontario. 
«Ci siamo baciati». Francis non si trattenne e dopo quella confessione cominciò a ridere.

Baciati?
«Cosa?» strillai, alzandomi in piedi e correndo verso di lui. «Francis, ripetilo». Appoggiai le mie mani sulle sue spalle, scuotendolo appena. Volevo accertarmi che fosse la verità ma che soprattutto fosse vero. 
«Ci siamo baciati. Cioè, l’ho baciata prima io, poi me ne sono andato e lei mi ha ricorso e ci siamo baciati. Un bacio vero. Non proprio vero vero, insomma…». Gesticolava, tanto. Segno evidente di quanto quella cosa l’avesse agitato. Non sapeva se guardare me o Zac, così alternava gli sguardi. 
«Con la lingua o no?» domandò pratico Zac, guadagnandosi una mia occhiataccia. «Che c’è? Ho chiesto» si difese, facendo spallucce. 

Stava diventando un po’ troppo volgare, oltre al fatto che si atteggiava troppo da saputello.
«No. Ma… non era come a Stanford» spiegò Francis. 

Forse questa volta nessuno dei due si era pentito.
Magari il mio desiderio di vederli come coppia si sarebbe avverato.
«Oh, Francis! Sono così felice per voi» urlai gioiosa, abbracciandolo di slancio. 
«Ma… ma non abbiamo detto niente, perché è arrivato Eric, ed è subito entrata in casa». Aspettò che sciogliessi l’abbraccio prima di spiegarmi come erano andate le cose.

Eric?
Il fratello di Ash? 
«Eric vi ha visti?» domandai, sorpresa. 
«Sì… per quello abbiamo smesso di baciarci…». Si schiarì la voce, guardando Zac. Seguii il suo sguardo e lo trovai con la bocca aperta, come un pesce lesso. 
«Eric ti ha visto e sei ancora vivo?» tornai poi a chiedere, concentrandomi su Francis. 
«Se non sono morto e non sto comunicato tramite la mia proiezione astrale, direi che sono ancora vivo. Ma credo sia solo perché Ashley l’ha costretto a rientrare» scherzò. 

Era felice, si poteva vedere anche dal bellissimo sorriso che non nascondeva.
«Ti ha riconosciuto?» domandò Zac, alzandosi dal divano. 
«No, non credo». Sembrava abbastanza sicuro, ma c’era qualcosa che non aveva detto, potevo capirlo dal suo sguardo che non voleva incontrare il mio. Quando Francis faceva così non era completamente sincero. 
«Che figata! Adesso quando lo saprà suo padre ti troverai senza una gamba» ghignò Zac, strofinandosi le mani, soddisfatto. 
«Zac…» lo ammonii, tirandogli uno schiaffo sullo stomaco. Non era il momento di scherzare; ero un po’ preoccupata per Francis. 
«Che c’è? Lo sanno tutti che il padre di Ash è protettivo e geloso. Adesso che Eric sa che qualcuno ha baciato la sua sorellina, Francis deve guardarsi le spalle. Non potrà stare tranquillo nemmeno quando dorme» sottolineò Zac, circondandomi le spalle con un braccio. 
«Grazie Zac… mi hai davvero rassicurato» mormorò ironicamente Francis, sedendosi sul divano. 
Quella battuta di Zac aveva messo di malumore Francis.

«Non dire così Francis» sussurrai, sedendomi di fianco a lui. Si era appena baciato con Ashley, non poteva essere triste.
«E cosa dovrei dire? Non sono di certo come Alex, io. Anche se dovessi davvero piacere ad Ashley, suo padre non mi accetterebbe mai» sbuffò, passandosi una mano tra i capelli. 
«Non deve mica decidere suo padre, no? Deve decidere Ashley» sbottò Zac. 

Quella sua frase, così vera, mi fece sorridere.
Zac aveva pienamente ragione e io stessa la pensavo come lui, ma avevo conosciuto i genitori di Ash e sapevo che suo padre era protettivo con lei.
Qualcosa però mi faceva credere che non fosse totalmente contrario a Francis.
Era un ragazzo intelligente, con la testa sulle spalle, che sapeva quello che voleva, a differenza di Alex, interessato solo al football.
«Tu non capisci… per te è facile, la mamma di Mac ti conosce e sono sicura che quando lo saprà sarà felicissima. Ma, lui…» continuò Francis, appoggiando i gomiti alle ginocchia. Mi faceva tenerezza. 
«Felicissima di cosa, ragazzi?». Sussultammo tutti e tre non appena la voce di mia mamma parlò alle nostre spalle. 

Da dove era arrivata?
Perché nessuno l’aveva sentita chiudere la porta di casa?
E soprattutto… quanto era riuscita a sentire del nostro discorso?
«Ops» sussurrò Francis, guardando me e Zac. «Io… io andrei a casa, adesso… ci vediamo domani»  balbettò pieno di vergogna, incamminandosi verso la porta. 

Gentile da parte sua.
Lasciava che fossimo io e Zac a confessare la nostra storia, cominciata da un giorno, tra l’altro.
«Credo che andrò a casa anche io…» farfugliò Zac, infilandosi la felpa per andare via. 
No, non mi avrebbe lasciata da sola.

Avremmo affrontato quell’argomento assieme. «No, Zac… rimani». Appoggiai una mano sul suo braccio, trattenendolo. 
«Tesoro, che succede?» chiese perplessa mamma guardandoci entrambi.

Dovevo dirglielo. Dovevamo dirglielo.
Presi un respiro profondo, prima di iniziare a parlare.
«Mamma… io e Zac…» cominciai, incapace di continuare.
Era molto peggio di quello che mi ero sempre immaginata.
Un po’ perché temevo una sua reazione esagerata e un po’ perché era la prima volta e non sapevo bene quali parole utilizzare.
«Io e Mac stiamo assieme» tagliò corto Zac, stupendomi.
«Come, prego?» chiese mamma stupita.
Non era arrabbiata, semplicemente… sorpresa.
«Io e Mac stiamo assieme» ripeté Zac, cercando la mia mano per stringerla.
Aumentai la presa, infondendogli un po’ di coraggio.
«Oh ragazzi» esclamò mamma, avvicinandosi a noi e abbracciandoci felice. «Sono così contenta! Zac, ti conosco da quando portavi il pannolino e so che sei un bravo ragazzo. Tratta bene la mia bambina». Interruppe l’abbraccio, per accarezzarmi una guancia.
Potevo sentire le mie gote bruciare per l’agitazione.
Però aveva reagito bene, almeno non si era arrabbiata.
«Io… sì, spero di sì» mormorò Zac, sistemandosi gli occhiali e spostandosi con un gesto meccanico i capelli dalla fronte.
«Vuoi una fetta di torta? Volete una fetta di torta per festeggiare?» chiese mamma, tutta eccitata per la notizia.

«No, credo sia meglio tornare a casa. È tardi» si scusò Zac, mortificato.
«Oh, sì. Certo. Allora vi saluto, io vado a riposare, visto che domani mattina devo svegliarmi presto». Ci sorrise, prima di cominciare a salire le scale, salutandoci.
«Be’, l’ha presa meglio del previsto» bofonchiai, ancora scossa.
«Sì, la torta» ghignò Zac, mentre gli pizzicavo un fianco.
Non doveva offendere mia mamma!
«Ehi! È stata gentile, non fare in modo che se ne penta».
Ero ancora incredula.
In ventiquattro ore mi ritrovavo con un ragazzo e una mamma che lo approvava.
«D’accordo, allora è meglio se torno a casa». Si avvicinò a me, abbracciandomi.
Le sue braccia mi strinsero talmente forte che mi mancò il respiro per qualche secondo.
«Zac» tossii, sperando che la smettesse.
Con una strana smorfia circondò il mio viso con le sue mani e si abbassò per darmi un bacio.
«Buonanotte, nanetta» soffiò sulle mie labbra, uscendo subito dopo.
Non l’avevo nemmeno salutato.
Si era chiuso la porta di casa mia alle spalle, lasciandomi intontita per quel bacio.

 
 
 
 
 
 
Salve ragazze!
Ecco un altro capitolo di questo spin-off. È il penultimo: ce ne sarà solo un altro e poi l’epilogo.
Credo che la storia non vi abbia pienamente soddisfatto e ammetto che mi dispiace, in ogni caso il prossimo capitolo tratterà una parte solo di Zac e Mac che nella storia principale non è nemmeno accennata.
Come sempre vi ringrazio per aver letto, aggiunto la storia ai preferiti, seguiti e da ricordare e me agli autori preferiti!
alla prossima settimana!


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Capitolo 4
*** First time is not always the best ***


zmac
Questa storia è uno spin-off di ‘The revenge of the nerd’. Questi avvenimenti  sono collocati durante e dopo il capitolo 20 . Ricordo che questa storia si concentra sulla coppia di amici Zac e Mac.
 
 




Guardare un film con Zac non era mai semplice.
Se la vicinanza del suo petto con la mia schiena era il primo motivo di distrazione, il secondo di certo era il suo continuo torturarmi.
«Sta fermo» ridacchiai, tirandogli una gomitata sullo stomaco quando le sue dita cominciarono a stuzzicare il mio fianco. 
«Auch! Ti stavo solo facendo il solletico» si lamentò, massaggiandosi lo stomaco. 
«Sai che soffro il solletico» borbottai, cercando di non disturbare Ash e Francis che stavano guardando il film seduti nell’altro divano.

Per sicurezza portai un braccio lungo il fianco, riparandomi.
Un dolore poco sotto la spalla mi fece strillare: quello scemo mi aveva morso. «Zac» gridai, cercando di muovere il braccio per tirargli una nuova gomitata. Lui fu più veloce di me: mi bloccò le braccia lungo i fianchi, impedendomi qualsiasi mossa. 
«Gne gne gne. Non puoi più farmi male» ghignò. Probabilmente credeva di avere la vittoria in pugno.

Non sapeva quanto si stava sbagliando. 
«Scommettiamo?» proposi, quasi sadicamente. 
«Quello che vuoi» rispose, decisamente troppo tranquillo. 
Senza riuscire a rimanere seria, allungai la gamba in avanti per  poi ritirarla. Sentii il mio tallone scontrarsi con la sua gamba.

«Mac» urlò, spintonandomi poi giù dal divano.
Quando mi resi conto di quello che era successo, non riuscii a trattenere una risata, ma cercai di tirargli un pugno, sgridandolo di nuovo: «Sei uno stupido». 
«Mi hai fatto male, io non ti ho morso così forte» piagnucolò, massaggiandosi la gamba. 
«Shh! È la fine del film, voglio vedere se i due protagonisti si mettono assieme» si lamentò Francis, ricordandomi che non eravamo soli.

Come una bambina, decisi di chiedere un suo parere, sicura di aver ragione. 
«Francis! Non hai visto che mi ha spinto giù dal divano?» chiesi, indicando poi Zac, che fingeva di massaggiarsi la gamba, come se gli facesse davvero male. 
«Perché lei mi ha tirato un calcio! È stata legittima difesa» si giustificò, mettendosi a sedere sul divano.

Non era una scusa valida. Aveva cominciato lui! 
«Tu mi hai morso, per questo ti ho tirato il calcio» specificai, aspettando di sentire la sua nuova scusa. 
«E la tua gomitata? È iniziato tutto da te. Diglielo Francis! Ditele che è colpa sua se ho dovuto spingerla giù dal divano! Diteglielo!». Si alzò in piedi, avvicinandosi a Francis e Ash.
«Ragazzi, dai…» mormorò Francis. Sembrava divertito dal battibecco. 
Ashley non riuscì a nascondere una risata, probabilmente irritando Zac che la sgridò: «Non c’è niente da ridere! Dille che è colpa sua, Ashley! Ha iniziato lei, sì o no?». Cercava di corromperla per far vedere che aveva ragione.
«Svizzera. Non mi metto in mezzo» sentenziò Ashley. 
«Peggio dei bambini» bofonchiò Francis, coprendosi poi il viso con una mano.

No, era una questione di principio, avevo ragione io: tutto era cominciato perché Zac mi aveva fatto il solletico. Dovevano capirlo. 
«Sei tu che mi hai fatto il solletico. Logico che se mi istighi io rispondo» brontolai avvicinandomi a lui e puntandogli un dito contro il petto. 
«Mi stai provocando? Perché tanto perdi. Sei una nanetta, e io sono un uomo» replicò, avvicinandosi di un passo e sorridendo sadicamente, per farmi notare la differenza di altezza tra di noi. 
Francis e Ash parlottarono tra di loro, ma non feci caso alle loro parole, impegnata com’ero a vincere quella lotta di sguardi con Zac.

«Ci vediamo domani a scuola, buona serata» salutò Francis. 
«A domani» sibilai, non staccando il contatto visivo con Zac.

Dovevo vincere io. 
«Notte» borbottò Zac. 
«Mac, ricordati che tua mamma ritorna questa sera» ridacchiò Ashley facendomi sbuffare infastidita.

Non sapevo a cosa si stesse riferendo, ma ricordavo che mamma sarebbe arrivata a minuti; lo sapevo meglio di lei.
«Mi dispiace, ma ho ragione io, nanetta» insisté Zac, torreggiando su di me.
Il mio naso sfiorò il suo petto, ma non mi fece paura.
«Hai cominciato tu, quattrocchi». Incrociai le braccia sotto al seno, indietreggiando un po’: averlo così vicino mi confondeva sempre le idee. Quei suoi occhi così blu sapevano sempre ipnotizzarmi.
«Devi sempre avere l’ultima parola, eh?» mormorò, alzando gli occhi al soffitto e sistemandosi gli occhiali.
«Solo quando ho ragione» ribattei, indietreggiando di un nuovo passo, perché lui si era avvicinato ancora di più a me.
«Secondo questa logica tu hai sempre ragione» commentò.
La strana smorfia che fece, sottolineò la fossetta che aveva sulla guancia sinistra.
«Di solito sì, non mi esprimo se non sono sicura».
Sembravo molto più tranquilla di quanto in realtà non fossi.
Le ginocchia mi tremavano e c’era poco ossigeno in quella stanza.
Speravo non fosse per la vicinanza di Zac, anche se una parte di me sapeva che era quello il motivo.
Semplice, scientifico: il corpo di Zac produceva calore, calore che agitava gli atomi attorno a me che gli ero vicina e quindi l’ossigeno diventava rarefatto. Non c’era questa spiegazione nei libri, ma… era scienza, sì!
«Ti faccio paura, nanetta?» ghignò, avvicinandosi ancora a me.
Ma che cosa gli prendeva?
A ogni mio passo indietro, lui cercava di azzerare le distanze.
D’accordo che “a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”, ma… mi metteva a disagio.
«No che non mi fai paura» sbottai, sentendo il mio piede sbattere contro qualcosa.
Mi guardai in giro velocemente, cercando di capire quali fossero le possibili vie di fuga.
Il frigo alla mia destra, un mobile bianco alla mia sinistra.
Sicuramente poco dietro di me c’era la tavola da pranzo.
Non credevo di essere indietreggiata così tanto.
«Ah no? E se ora fossi in trappola?» sussurrò, quando sentii il bordo del tavolo contro la mia schiena.
Spalancai gli occhi stupita: non sapevo che dire.
«La mia nanetta è in trappola, la mia nanetta è in trappola» canticchiò, appoggiando le mani sul bordo della tavola e intrappolandomi definitivamente.
«Zac» sibilai, appiattendomi contro la superficie di legno, mentre il suo viso si faceva sempre più vicino.
«Questa volta non hai ragione, niente ultima parola» soffiò sulle mie labbra, prima di baciarmi.
Un mugolio sorpreso sfuggì dalla mia bocca, mentre le sue mani si posavano sui miei fianchi per farmi sedere sulla tavola.
Lo assecondai, lasciando poi che le mie mani corressero tra i suoi capelli, per stringerne qualche ciocca.
«Zac…» mugolai, quando la sua mano corse sotto la maglietta che portavo, per solleticarmi la pancia.
Sentii le sue labbra tendersi in un sorriso, prima che i suoi denti cominciassero a torturare il mio collo.
«Zy!» strillò qualcuno, facendo scoppiare la bolla che si era costruita attorno a noi.
Aprii gli occhi di scatto, sobbalzando.
Zac, spaventato, indietreggiò fino a sbattere la schiena contro il frigo. «Cazzo» sbottò, portandosi una mano tra i capelli.
Sally corse in cucina, ridendo non appena mi vide seduta sulla tavola.
«Sa-Sally?» bofonchiai stupidamente, cercando di tornare lucida.
Quella mia domanda la fece ridere ancora di più, mentre mi prendeva una mano costringendomi a scendere dalla tavola.
«Ciao Zac» salutò, agitando la manina.
«Ciao Sally». La risposta di Zac, così fredda, mi fece ridere.
Trovai il coraggio per guardarlo e mormorai uno «scusa» appena prima che mamma entrasse.
«Ciao mamma» salutai, cercando di sorridere.
Il suo sguardo si soffermò per qualche istante su di me, sembrava studiare qualcosa sul mio viso.
«Dov’è Zac?» chiese, guardando poi verso le scale che conducevano al piano di sopra.
«Qui, mamma» ridacchiò Sally, correndo a prendere la mano di Zac per farle vedere che era lì davvero.
«Ciao» sussurrò lui, cercando di sorridere.
Mi accorsi in quel momento che i suoi capelli erano tutti in disordine.
«Tutto bene?». La domanda di mamma mi stupì.
Aveva forse capito quello che stavamo facendo prima che arrivassero?
«Sì, certo» borbottò Zac, passandosi una mano tra i capelli e peggiorando la situazione di quel cespuglio castano. Magari mamma poteva pensare che i suoi capelli erano in disordine per quel motivo.
«Sally, su che andiamo a dormire».
Mamma prese la borsa che aveva appoggiato sul divano e sorrise per incentivare Sally a seguirla.
«È tardi, vado anche io» spiegò Zac, scompigliando i capelli a Sally e indossando la felpa che si era tolto per guardare il film.
«Ciao» salutò Sally, mentre saliva la scala davanti a mamma.
Quando sentii la porta a soffietto chiudersi, sospirai sollevata.
«Che cosa ti era saltato in mente?» proruppi, spintonandolo.
«Cosa?» chiese, confuso. Sorrideva maliziosamente, gli occhi ammiccanti e ironici.
«Perché ti sei comportato così?» lo accusai, indicando stupidamente la cucina con il tavolo, dietro di noi.
«Scusami, mi sembrava che non ti desse così fastidio» ghignò, innervosendomi ancora di più.
«Be’, avrebbero potuto vederci. Cosa avresti detto a mia mamma se ti avesse trovato con la mano sotto alla mia maglia?» mi sfogai, cercando di mantenere un tono basso perché non potessero sentirci al piano di sopra.
«Che mi piace sua figlia, e che deve cercare di capirmi, visto che ho diciotto anni e gli ormoni che ballano come se fossero sottoposti a uno stimolo elettrico» si giustificò, tranquillo.
Spalancai gli occhi, sorpresa.
«Tu… tu diresti a mia mamma che…» iniziai a dire, rinunciandoci subito dopo.
Possibile che Zac non capisse che tutto quello che diceva era… dolce?
Le opzioni erano due: non se ne rendeva conto, oppure, lo faceva volutamente.
«Che cosa dovrei dirle? Mac, è più grande di noi, sa come vanno le cose» sogghignò, sistemandosi sulla schiena il cappuccio della felpa blu che aveva appena indossato.
«Vai a casa, è meglio» mormorai, capendo che se fosse rimasto lì avrei cominciato a baciarlo di nuovo.
I miei ormoni sembravano impazziti dal ballo di primavera. Si erano svegliati improvvisamente e non volevano riaddormentarsi.
«Ci vediamo domani pomeriggio? Vieni a casa mia?» chiese, abbracciandomi.
Casa sua.
I suoi genitori lavoravano, quindi saremmo stati solo noi due.
«Io… ehm… a casa tua…» bofonchiai, cercando di nascondere il rossore che mi aveva imporporato il viso.
«Mac, tutto bene?». Era preoccupato. Infatti mi scostò i capelli dalla fronte, tastandomela per verificare che non avessi la febbre.
«Sì, tutto bene. Ok, vengo a casa tua». Presi un respiro profondo, cercando un po’ di coraggio e sorrisi.
In fin dei conti andare a casa sua era… normale.
Perché avevo pensato che ci fosse un secondo fine nella sua richiesta?
«Ottimo. A domani» soffiò sulle mie labbra, prima di baciarmi. «Buonanotte, nanetta».
Non mi lasciò nemmeno il tempo di rispondere. Si chiuse la porta di casa alle spalle, lasciandomi, ancora una volta, a guardare il vetro colorato.
Dannazione, quel comportamento cominciava a darmi fastidio! Zac sembrava comportarsi come un supereroe, con le uscite a effetto.
 
«Forza Mac, non è la prima volta che vai a casa di Zac, su» mormorai tra me e me, camminando su e giù, davanti alla casa di Zac.
Mi avvicinai al cespuglio di rose bianche: speravo che almeno il loro profumo potesse calmarmi un po’.
«Mac? Che ci fai qui fuori? Non dovevi arrivare mezz’ora fa?». La porta di casa si aprì all’improvviso e mi guardai attorno, in cerca di un posto per nascondermi.
Stava parlando con me?
«Mac? Tutto bene?» chiese scendendo i tre scalini e appoggiando le sue mani sulle mie spalle.
Dovevo calmarmi, smetterla di pensare al fatto che io e Zac eravamo da soli.
Era già successo. Sì, non eravamo ancora una coppia, ma era già successo.
«Sì, ciao» mentii, alzandomi in punta di piedi per dargli un bacio.
Per un secondo i suoi occhi mi sembrarono confusi, poi però sorrise, annullando la distanza tra i nostri volti.
«Dai, entriamo» mormorò, circondando le mie spalle con il suo braccio.
Chiuse la porta con un calcio, prendendo la mia borsa con i libri di scuola e cominciando a salire la scala, verso la sua camera.
Studiavamo sempre in camera sua, sì.
Presi un respiro profondo, salendo i gradini lentamente.
Quando mi ritrovai davanti alla porta della sua camera, mi tranquillizzai subito.
Quante volte ero entrata in quella stanza dalle pareti verdi?
Quante volte avevo visto quei poster di supereroi?
Sentii il battito del mio cuore rallentare, mentre, felice, mi sedevo sul letto di Zac, di fianco a lui.
«Arrivo subito, mi manca l’ultima domanda di fisica. Tu cosa devi fare?» chiese, incrociando le gambe e appoggiandoci il libro sopra per scrivere.
«Ho finito tutto» bisbigliai, alzandomi per camminare un po’.
«Perché tu sei un genietto» sogghignò, facendomi ridere.
Mi avvicinai al comò, guardando le foto che c’erano sopra.
Io, lui, Francis e John. Ce n’erano davvero tante, molte scattate nel corso degli anni.
Mi soffermai a guardare l’ultima foto, scattata proprio quell’estate.
Eravamo in spiaggia, Zac e Francis mi tenevano sollevata da terra, per potermi lanciare in acqua.
Si vedeva l’ombra di John, che stava scattando la foto.
Non riuscii a trattenere un sorriso, sfiorando con i polpastrelli la cornice.
Il mio sguardo si spostò sul bat segnale, di fianco alla foto.
Guardai Zac, impegnato a scrivere sul suo quaderno e agii d’istinto: presi il bat segnale, nascondendolo in tasca dei miei jeans; poi, facendo l’indifferente, mi sedetti di fianco a lui, proprio mentre chiudeva il libro, soddisfatto.
«Finito» esultò, lanciando il libro sulla scrivania.
«Zac! Il tuo bat segnale! Si sta illuminando» strillai, indicando il punto in cui doveva esserci la piccola torcia.
Zac si alzò dal letto, raggiungendo in pochi passi il comò per controllare.
«Dove l’hai messo?». Spostò il suo sguardo su di me, furioso.
Non riuscii a trattenermi e cominciai a ridere, appoggiando la schiena sul letto e portandomi le mani sullo stomaco.
«Mac, non sto scherzando, sai che sono geloso del bat segnale» sbottò, avvicinandosi a me.
Non risposi, continuando a ridere.
«Mac, non costringermi a torturarti, su». Sembrò pregarmi, nonostante potessi scorgere anche una nota divertita nella sua voce.
«Non l’ho preso io, sarà stato Batman» scherzai, asciugandomi una lacrima.
«Ultimo avviso, giuro: ridammi il bat segnale o sarà guerra». Diventò improvvisamente serio, divertendomi di più.
Cercai di smettere di ridere, ma non ci riuscii perché Zac, sospirando, si tolse gli occhiali, appoggiandoli al comodino di fianco al letto in segno di sfida.
«Sarà la terza guerra mondiale, non avrò pietà di te». Si arrotolò le maniche della felpa fino ai gomiti, piegando poi la testa prima da una parte e poi dall’altra, per distendere i muscoli del collo.
Sentii le sue mani sui miei fianchi, per farmi il solletico e cercai di ripararmi.
Inutilmente, visto che Zac saltò sul letto, incastrandomi tra il suo corpo e il materasso.
Con una mano intrappolò le mie mani sopra alla mia testa e con l’altra continuò a farmi il solletico.
Seduto sopra alle mie gambe non mi permetteva di muovermi, grazie anche al fatto che il solletico mi toglieva la forza.
«Mac, se non mi dici dove l’hai nascosto entro un minuto passo alle maniere forti» mi minacciò, stringendo la presa sui miei polsi.
«Mai» urlai, cercando di respirare.
«L’hai voluto tu» sibilò, facendomi ridere di nuovo.
Si chinò, avvicinando il suo viso al mio per poi deviare verso il mio collo.
Sentii distintamente i suoi denti mordermi.
«Zac» strillai, tra le risate, sperando che smettesse di farmi male.
Mi morse più forte e la presa sui miei polsi si fece più salda.
«Nella tasca dei jeans» ansimai, contorcendomi sotto di lui per scappare a quella tortura.
Cominciò a ridere, dandomi poi un bacio dove mi aveva morso.
«Mi piace farti il solletico, perdi tutte le forze e alla fine cedi».
La sua mano liberò i miei polsi, per poi scendere fino al mio viso, spostandomi un ciuffo di capelli.
«Che bella che sei» mormorò, sorridendo.
«Perché sei senza occhiali, se ce li avessi non lo diresti» bofonchiai, spostando lo sguardo e tornando a guardare il comodino.
«Che scema. Io lo penso davvero, sai?».
Mi baciò la punta del naso, costringendomi a guardarlo di nuovo.
«Sì, certo. Sono bella come Natalie Portman» ironizzai, guardando i suoi occhi, così vicini al mio viso.
«Lei è vecchia e ha anche un figlio. Tu… tu sei giovane e sei qui con me» sussurrò, accarezzandomi la guancia con la punta delle dita.
«Certo, sono un ripiego, insomma». Solo perché io ero lì. Solo per quello ero bella?
‎«Stai scherzando, vero? Mac prima del ballo di primavera eri come... la donna invisibile adesso sei... Wonder Woman» cercò di consolarmi, il solito sorriso dolce stampato sulla faccia.
Probabilmente quella era la cosa più romantica e allo stesso tempo più nerd che potesse dire. 
Zac mi aveva appena paragonato a due supereroine.
«Questa cosa non mi piace» borbottai, sbuffando.
«Perché?» chiese, sorpreso, puntellandosi sui gomiti per guardarmi meglio.
«Perché tutti i supereroi con il mantello sono sfigati» spiegai, sapendo che con quella frase l’avrei offeso.
«Ehi, stai offendendo Batman, il più grande».

Portò le sue mani sui miei fianchi torturandoli di nuovo.
«Almeno non ho offeso Flash» precisai, appoggiando le mie mani sulle sue, perché si fermasse.
«Se l’avessi fatto a quest’ora non saresti qui» sghignazzò, mordendomi una guancia.
«Zac, possibile che tu non… auch» mi lamentai, quando per sbaglio mi tirò una testata sul naso.
Si massaggiò la fronte, mentre cercavo di capire se mi avesse rotto qualcosa.
«Scusa» sussurrò, lasciandomi una scia piccoli bacetti sul naso e arrivando lentamente alle mie labbra.
Sospirai, quando con la lingua tracciò il contorno della mia bocca, chiedendomi il muto permesso di entrare.
Le mie mani corsero tra i suoi capelli, attirandolo verso di me.
Sentii una carezza sul mio braccio, prima che qualcosa di caldo si appoggiasse sul mio stomaco, scendendo sotto alla mia maglia.
«Sei il CCS per il mio HTML? È un invito?» soffiò sulle mie labbra, facendomi  rabbrividire.
«Stupido» ridacchiai, tirandogli una ciocca di capelli un po’ più forte.
«Mac, sono sincero, se continuo così non la smetto».
Il respiro veloce, gli occhi lucidi. Zac era bellissimo.
«Ok» ansimai, regalandogli un bacio dolce.
Il mio cuore sembrava battere all’impazzata, un martellare continuo che sovrastava tutti gli altri rumori, anche i sospiri di Zac quando le mie mani scesero ad accarezzargli la schiena.
La dolcezza di Zac in ogni gesto, i nostri movimenti impacciati, il tremolio delle mie mani.
Le sensazioni nuove che mi avevano travolto e la sensazione del corpo di Zac contro al mio, le sue labbra a baciarmi e la sua voce a ripetermi che tutto sarebbe andato bene.
 
«Oggi pomeriggio per favore vieni a casa mia» sbottò Zac, costringendomi ad appoggiare le spalle all’armadietto dietro di me.
«Perché?» chiesi, cercando di capire che cosa non andasse bene.
«Perché sì» ribatté, non riuscendo a nascondere un sorriso.
La verità era che non avevo più messo piede a casa sua da quasi una settimana.
Precisamente dal pomeriggio in cui avevamo fatto l’amore.
C’era qualcosa che mi bloccava, una sensazione strana.
L’idea di aver fatto qualcosa di male, di averlo deluso.
Non era andata esattamente come mi ero aspettata, e temevo che anche Zac non fosse soddisfatto.
Così, con mille scuse, avevo cercato di non rimanere più sola con lui, con il terrore che potesse rimproverarmi qualcosa.
Ne avevo parlato con Ash, lei mi aveva assicurato che era normale: per entrambi era la prima volta e questo forse andava a nostro svantaggio, ma ero convinta di aver sbagliato qualcosa.
Zac sembrava diverso, si comportava in modo diverso.
Subito dopo scuola mi fermai a casa sua, aspettando che mi aprisse la porta dopo che avevo suonato il campanello.
«Ciao, nanetta» mi accolse, aggiungendo anche un sorriso.
«Ciao» bofonchiai, mentre mi abbracciava, stritolandomi.
Trattenendomi tra le sue braccia, entrò in casa, chiudendo poi la porta.
«Come stai?» chiese, circondandomi il viso con le sue mani e intrappolandolo.
«Bene, perché?». Ero sospettosa, quando si comportava in modo strano c’era sempre qualcosa dietro.
«Sei strana, ultimamente» mormorò, sfiorandomi le tempie.
Socchiusi gli occhi, cercando di calmarmi.
Se ne era accorto.
«No, non… no» mentii, sperando che mi credesse.
«Mhh, ok. Vuoi vedere che cosa ho comprato oggi?» mi domandò, improvvisamente di buonumore.
«Sì, certo». La sua felicità mi contagiò, facendomi sorridere.
«Guarda» sussurrò, aprendo il portafogli e tirando fuori una bustina.
Spalancai gli occhi, stupita dalla frase che c’era scritta e dal disegno.
«Mi hai fatto venire a casa tua per farmi vedere questo… coso?» sbottai, alzando il tono della voce, stizzita.
«Preservativo Mac, puoi dirlo, non è una parolaccia» rise guardando di nuovo la bustina. «Hai visto è in tema Star Wars! “Non sarò tuo padre”. Non è geniale?» continuò, mettendomi la confezione davanti agli occhi perché leggessi con attenzione.
«Senti, Zachary, se devi dirmi qualcosa riguardo a quello che è successo la settimana scorsa, fallo. Ma non girarci attorno, perché mi fai innervosire».
Incrociai le braccia sotto al seno, pronta per litigare.
«Io dovrei dire qualcosa? Sei tu che ti sei chiusa a riccio».
Si sistemò gli occhiali, in un gesto arrabbiato.
«Perché so di aver fatto qualcosa di sbagliato ma non mi hai detto cosa». Una nota isterica nella voce, appena prima che qualcosa di caldo scivolasse lungo la mia guancia.
«Quanto sei scema» sogghignò, abbracciandomi.
Quel gesto, inaspettato, mi sorprese.
«Cosa vuoi dire?» biascicai, con le labbra appoggiate alla sua maglietta.
«Credi che io mi stia comportando in modo distaccato perché la settimana scorsa qualcosa è andato male? Ti sbagli, Mac, credimi. Casomai è il contrario: averti accanto mi fa tornare alla mente la sensazione della tua pelle sotto alle mie dita, e rischio di deconcentrarmi. Però so che per te non è stato così» concluse, una nota triste nella voce.
Sentii la presa delle sue braccia diminuire, per darmi l’opportunità di andarmene.
«No, è stato strano. Non come me l’aspettavo, ecco» confessai, rimanendo abbracciata a lui.
Il contatto con il suo corpo mi rilassava.
«Mi sono informato, solo la prima volta è così, poi migliora» sussurrò, accarezzandomi i fianchi lentamente.
«Ti sei… informato? Ti prego, non dirmi niente, non voglio sapere niente» commentai imbarazzata, sciogliendo l’abbraccio e cominciando a gesticolare con le mani.
Zac cominciò a ridere, portando poi una mano a scompigliarmi i capelli. «Vieni qui, nanetta» mormorò, alzandomi perché potessi baciarlo.
Per aiutarlo circondai la sua vita con le gambe, portando le mie braccia ad allacciarsi intorno al suo collo.
Zac brontolò qualcosa sulle mie labbra, lasciando poi le sue mani libere di scorrere lungo la mia schiena.
Quel gesto fu in grado di incendiarmi il corpo, costringendomi a stringermi di più a lui.
«Mac» ansimò, quando involontariamente mi strusciai contro di lui.
«Sì?». Appoggiai la fronte alla sua, cercando di calmare il respiro troppo accelerato.
«Se non vuoi… riprovarci, fermiamoci».
Continuava a tenere gli occhi chiusi, con le labbra a qualche centimetro dalle mie.
«Riproviamoci» lo rassicurai, catturandogli le labbra.
Le sue braccia mi strinsero di più, mentre ci scambiavamo un bacio lento e dolce.
«Mac… as-aspetta. Dobbiamo arrivare in camera, meglio che non cammini mentre ti bacio, o ti sbatto addosso a qualche muro e ti faccio male». Cominciò a salire le scale giustificandosi per ogni bacio rubato e non riuscii a trattenere una risata che soffocai sulla sua spalla.
«Ok, Huston, arrivati a destinazione» scherzò, mentre la mia schiena si appoggiava al suo materasso.
Presi un respiro profondo, cercando di calmarmi.
Sarebbe andata meglio, sì.
Lo capii subito, quando le mani di Zac scivolarono sotto alla mia maglia, seguite dalle sue labbra.
C’era un’atmosfera diversa, sembrava avere più confidenza con il mio corpo.
Quel suo accarezzare e baciare mi rilassava ed eccitava, facendomi desiderare sempre di più.
«Zac» chiamai, costringendolo ad abbandonare la mia pancia.
«Mhh?» mugugnò, senza smettere di lasciare piccoli baci.
«Muoviti» ordinai, facendolo ridere.
«No, oggi deve andare bene anche per te, così poi non ti comporti più da psicopatica» bisbigliò, avvicinandosi alle mie labbra e lasciando che il suo corpo sovrastasse il mio.
Mi fidai.
Come potevo non farlo, davanti a quegli occhi così sinceri?
Lasciai che lentamente mi spogliasse, accarezzando la mia pelle e facendomi fremere di desiderio.
Il suo corpo contro al mio e il rumore dei nostri baci.
Qualcosa di diverso dalla volta precedente, qualcosa di unico.
Sentire la voce di Zac invocare il mio nome riuscì ad amplificare a dismisura il piacere che stavo provando, esattamente come sentire il suo corpo abbandonarsi sopra al mio, stanco.
Il suo fiato a solleticarmi il collo sudato e le sue labbra a lasciarmi una scia di baci verso le mie.
Ancora una volta, Zac aveva avuto ragione.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ok, ehm… direi che Francis è stato più fortunato ma, insomma… lì il discorso era completamente diverso, su! :)
E poi, un fondo di verità mi piace metterlo sempre, nelle storie!
Questo era l’ultimo capitolo, il prossimo è l’epilogo e molto probabilmente sarà un Zac pov, giusto per dare un po’ di equilibrio a tutta la serie.
Ieri ho cominciato la mia nuova storia che si chiama ‘You saved me’. Se volete farci un salto siete le benvenute.
Per le risposte alle recensioni… tarderanno un po’, mi dispiace, ma sono sommersa di impegni.
Comunque ci vediamo la prossima settimana per l’epilogo, ma come sempre prima vi ricordo il GRUPPO SPOILER oppure il mio PROFILO FB. Se mi chiedete l’amicizia per favore ditemi almeno che siete lettrici. Grazie.

 


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Capitolo 5
*** Proposal-Epilogue ***


zmac
Questa storia è uno spin-off di ‘The revenge of the nerd’. Questi avvenimenti  sono collocati prima dell'epilogo. Ricordo che questa storia si concentra sulla coppia di amici Zac e Mac.
 
 




Idiota, ecco come mi sentivo.
Perché, camminando avanti e indietro, in quella piccola stanza, mi sentivo proprio così.
Hugh, il mio compagno di camera, si era gentilmente offerto di passare la notte nella stanza di un nostro compagno di corso, vista la situazione delicata nella quale mi trovavo.
Mentre aspettavo, cominciai a pensare che nemmeno l’idea che avevo avuto era delle migliori.
Tutti quei sotterfugi per cercare di stupirla, i favori chiesti a Francis e le ore passate in video chat con lui.
«Zac, apri». La sua voce mi fece trasalire, tanto che lasciai cadere i miei occhiali per terra.
Riuscii a raccoglierli al secondo tentativo, avvicinandomi alla porta a grandi passi per non farla attendere.
«Ciao» salutai, appena il suo bellissimo viso si tese in un sorriso.
«Ciao. Su, fammi entrare». Era ancora arrabbiata, e aveva ragione.
Però, forse il suo umore sarebbe cambiato, una volta vista la mia sorpresa.
Da quella mattina fingevo di non ricordare che fosse il nostro anniversario: tre anni prima, proprio quella sera, ci eravamo scambiati il nostro primo bacio, durante lo Spring ball.
«Allora? Che problemi ha questo PC?» sbottò, senza nemmeno avvicinarsi per darmi un bacio. Era davvero arrabbiata, sapevo quanto teneva a quella data, proprio per quel motivo mi ero organizzato da un paio di mesi.
«Non lo so, un hacker credo. C’è sempre una scritta quando cerco di aprire un file» spiegai, sedendomi sul letto di fianco a lei e nascondendo le mani perché non notasse quanto stavo tremando.
«Vediamo che cos’ha» sospirò, sistemandosi il mio PC sulle ginocchia.
Trattenni il respiro quando la schermata del PC diventò nera; continuavo a tenere lo sguardo fisso sul volto di Mac, pronto a captare ogni sua singola reazione.
Quando il messaggio comparve sullo schermo, cominciò a ridere, guardando il soffitto. «Che razza di hacker idiota è? Poteva almeno fare qualcosa di diverso. Originale, certo, ma “Vuoi sposarmi?”, cioè…» parlò, tra le risate, non capendo quello che in verità stava succedendo.
Ero un idiota, ecco il vero motivo.
Perché il mio era stato un piano stupido, che tra l’altro non aveva nemmeno funzionato.
Non riuscii a dire nulla, continuavo a guardarla, la sua testa abbandonata all’indietro, in preda a un attacco di risate che non riusciva a placare.
«Togliamo questa cosa» bofonchiò, asciugandosi una lacrima e tossendo. Schiacciò qualche tasto, aggrottando leggermente le sopracciglia, confusa. «Ma…» sussurrò, quando comparve una finestrella sullo schermo, «Zac… qualcuno ti ha installato questo virus, vedi? Questo numero indica che è qualcosa caricato direttamente, non l’hai preso navigando in internet. È stato Hugh?». Alla sua domanda capii che era giunto il momento di farmi coraggio.
Portai la mano in tasca, tastando il cerchietto d’oro.
Sì, era quello giusto.
«Mac, vuoi sposarmi?» chiesi, inginocchiandomi davanti a lei, e tenendo l’anello tra il pollice e l’indice.
Il suo sguardo saettò dall’anello ai miei occhi, per poi tornare di nuovo all’anello.
«È… è uno scherzo, vero?» mormorò, incredula. Continuava a guardare l’anello tra le mie dita, divertita, preoccupata ed emozionata.
«No, oggi è il nostro terzo anniversario e io voglio sposarti». Cercai di sorridere, sistemandomi gli occhiali che erano scesi sul naso.
«E me lo stai chiedendo con un anello con la faccia di Darth Vader sopra?» strillò, indicando l’anello, allibita.
Cominciai a ridere, sapendo che quella era esattamente la reazione che mi ero aspettato.
«Veramente questo era l’anello di prova, per vedere se mi avresti risposto sì o no. Aspetta…» mi giustificai, portando la mano in tasca e trovando il vero anello, «Mac, vuoi sposarmi?» tornai a chiedere, tenendo una mano sul polso perché stavo tremando decisamente troppo.
«È per me?». Indicò l’anello, con gli occhi che si stavano riempendo di lacrime.
«Se tu mi dici di sì, credo che lo sia» ironizzai, facendola ridere.
«Tu mi stai chiedendo di sposarti? E hai creato un programma per chiedermelo?». Vidi una lacrima sfuggire lungo la sua guancia e le circondai il volto con le mani, dandole un bacio sulle labbra.
«Mac, voglio sposarti più di quanto un elettrone sia attratto da un protone» spiegai. Cominciò a ridere per il mio riferimento alla chimica.
«Così tanto?» rise, tra le lacrime di gioia.
«». Non riuscii ad aggiungere altro, perché Mac spostò il PC dalle sue gambe, avvicinandosi a me per baciarmi.
Le sue braccia circondarono il mio collo e non riuscii a trattenere un sorriso: interpretavo il suo gesto come una risposta affermativa alla mia domanda.
«Mac» soffiai sulle sue labbra, quando mugolò infastidita perché avevo interrotto il bacio, «dovremmo ringraziare Francis, è stato lui a chiederti tutte quelle cose per il programma. Da solo non sarei mai riuscito a crearlo» spiegai.
«Sì, sì. Lo ringraziamo domani» ghignò, portando una mano sul mio petto e spingendomi verso il pavimento.
«Mac, dai» sghignazzai, prendendola in braccio e appoggiandola delicatamente con la schiena al materasso. «Prima almeno indossa l’anello».
Presi la sua mano sinistra e infilai il piccolo cerchietto d’oro all’anulare, poi le baciai il dito.
«Sai?» bisbigliò, avvicinando la mano al viso per guardare meglio il diamante, «quasi quasi preferivo l’altro».
A quella sua affermazione non resistetti, portai le mani sui suoi fianchi e cominciai a farle il solletico, ridendo del suo contorcersi sotto di me e del suo strillare il mio nome per convincermi a fermarmi.
Inutile. Non avrei smesso per un bel po’, appena prima di passare a una tortura diversa.

 
 
 
 
 
 
 
 
Ci siamo, eh?
Sono terminate anche le avventure di Zac e Mac, e ufficialmente la serie dei nerd è conclusa.
Io volevo davvero ringraziare tutti quanti, chi ha solo letto, chi ha recensito qualche capitolo e chi l’ha fatto con tutti.
Avevo pensato a un sacco di cose da dire, ma in questo momento non mi ricordo nulla.
In ogni caso, per qualsiasi cosa, NERDS’ CORNER è il gruppo e ROBERTA ROBTWILI è il mio profilo. Per favore se mi aggiungete agli amici almeno ditemi che siete lettori, grazie.
Per chi fosse interessato, YOU SAVED ME è la mia nuova originale.
Grazie ancora.
Rob.

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