L'anello della discordia

di Elpis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La boutique degli orrori ***
Capitolo 2: *** Il piano di Tsuyoshi ***
Capitolo 3: *** Champagne e aragoste ***
Capitolo 4: *** Un anello rosa confetto ***



Capitolo 1
*** La boutique degli orrori ***









                     La boutique degli orrori





 

 
 

 
 

Sento il sudore freddo gocciolarmi lungo la spina dorsale. La commessa davanti a me non si zitta un minuto. Mi sta rincretinendo con un sacco di informazioni sul significato delle pietre e con dei luoghi comuni tanto banali da farmi venir voglia di vomitare sui suoi preziosi diamanti. Maledette le donne e la loro parlantina.
Ripensandoci è tutta colpa delle “chiacchiere fra donne” se mi trovo in una gioielleria a scegliere un anello di nozze. Almeno quello era l’obbiettivo iniziale: ora spero solo di riuscire ad uscire senza aver prima commesso un omicidio.
Tutto è iniziato quando Tsuyoshi ha deciso di “fare il passo avanti” – un’altra delle espressioni melense che solo le donne e Tsu possono usare – con Aya e le ha chiesto di sposarlo. Si stringevano per mano quando ci hanno comunicato la notizia e fra tutti e due erano talmente rossi e in imbarazzo da sembrare due scolaretti. Ma ovviamente sono stato l’unico a pensarla così: le ragazze hanno lanciato dei gridolini di gioia e hanno letteralmente rapito Aya per sapere i particolari. Inutile dire che Kurata era quella che urlava e schiamazzava più di tutte.
<< Allora? Quale preferisci? >> mi chiede la commessa, speranzosa.
<< Ehm … >> cerco di temporeggiare.
Per quale cazzo di motivo ce ne devono essere così tanti? Non ne bastava un unico tipo e festa finita? Per non parlare del costo. Con il prezzo di uno solo di quegli anelli potrei mangiare sushi per un anno.
Perchémi sono lasciato convincere a fare una cosa del genere?
Che domande. Per Kurata, ovviamente. Kurata che era un sacco invidiosa. Kurata che aveva confidato ad Aya: “Se quell’idiota di Akito non si sbriga a farsi avanti lo mollo e  supplico Naozumi di riprendermi! “ Erano state le sue parole letterali.
Aya ne aveva parlato con Tsuyoshi e, inutile dirlo, quello era corso a riferirmelo, in una specie di telefono senza fili dell’orrore.
<< Vuole che le faccia vedere altri modelli? >> chiede la commessa di fronte al mio mutismo.
<< Ehm… >> mi ripeto, sentendomi sempre più cretino.
<< Vado un attimo a vedere cosa ho in magazzino. >> decide la commessa, guardandomi con compassione.
La sua schiena non fa in tempo a scomparire dietro alla porta che già mi sono fiondato fuori da quel luogo di torture. Mi appoggio al muro, poco distante, facendo dei profondi respiri per calmarmi. Ho il cuore che mi batte a mille, neanche avessi fatto la maratona. Tiro un calcio ad un palo, che risuona sinistramente.
Come volevasi dimostrare, non ce l’ho fatta.




 
 
Ciao a tutti!
Come promesso ecco questo nuovo esperimento. Questa ff sarà molto corta: quattro capitoletti e tutti tendenzialmente brevi. Sono stata a lungo indecisa se pubblicarla o meno, alla fine ho deciso di farlo ma mi riservo il diritto di “ritirarla” se le vostre recensioni fossero troppo severe o negative ( il che non significa che non dobbiate criticare, anzi fatelo senza pietà! ). Probabilmente aggiornerò la prossima settimana, non prima.
Detto questo vi ringrazio anche solo per aver letto, un saluto e un bacio.
Ely 

 

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Capitolo 2
*** Il piano di Tsuyoshi ***









                                 Il piano di Tsuyoshi







 

 
 
 
Punto numero uno: portare Kurata in un ristorante alla moda.
Punto numero due: farle passare un romantico dopocena.
Punto numero tre: condurla in un luogo tranquillo.
Punto numero quattro: mettermi in ginocchio e darle l’anello ( quella parte avevo deciso di saltarla).
Punto numero cinque: chiederle di sposarmi.
 
Questo era il grande piano di Tsuyoshi. Fosse stato per me avremmo mangiato del sushi e poi ci saremmo chiusi in camera da letto. La proposta gliela avrei fatta sotto le lenzuola. Ma quando avevo osato pronunciare quelle parole a voce alta Tsuyoshi aveva dato di matto, distruggendo mezza casa prima che riuscissi a fermarlo con il classico colpo tra capo e collo. Quando aveva ripreso coscienza mi aveva assicurato che la mia idea era il modo più sicuro per prendermi un no grosso come una casa.
E io ovviamente gli avevo creduto. Me l’ero pure mandato a memoria il suo piano idiota e avevo organizzato una serata perfetta: avrei portato Kurata a mangiare pesce in un ristorante del centro, poi a teatro a vedere uno spettacolo noiosissimo che però lei adorava, infine mi sarei dichiarato mentre passeggiavamo al chiaro di luna. Mi era ripetuto tutti i passaggi – come un mantra – mentre l’andavo a prendere in macchina: ristorante, teatro, passeggiata, dichiarazione, ristorante, teatro…
Un piano infallibile aveva detto Tsuyoshi.
Allora per quale cazzo di motivo mi trovo in un parco giochi a guardare Kurata saltare sui gonfiabili, con in mano un secchio pieno d’acqua e un’aragosta? Un’aragosta viva, specifichiamo.
Eh, Tsuyoshi? Per quale cazzo di motivo?



 
 
 
 
Ciao a tutti!
Allora scusate questo capitolo ancora più delirante, nel prossimo (che sarà anche un bel po’ di lungo) si farà un po’ di chiarezza sui “piccoli” inconvenienti che il nostro Akito ha dovuto affrontare…
Ringrazio tutte le persone che hanno commentato il prologo, siete state davvero carinissime!  : )
Un grosso bacio
Ely 

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Capitolo 3
*** Champagne e aragoste ***


           







 

                                                                             Champagne ed aragoste


 

 
 

 
 
 

E pensare che la serata era incominciata bene. Mi ero fermato sotto casa sua alle otto in punto e per una volta in vita sua Sana era stata puntuale. Aveva aperto la porta con indosso un esiguo pezzo di stoffa che lasciava in bella mostra le gambe lunghe e sottili e con dei tacchi alti su cui barcollava appena. La tentazione di disdire tutto e trascinarla in camera da letto era stata difficile da dominare.
<< Allora? Si può sapere dove mi porti? >> mi aveva chiesto dopo un bacio leggero a fior di labbra.
<< Lo vedrai. >> avevo risposto laconico ingranando la marcia e appuntando lo sguardo sulla strada, sforzandomi senza successo di pensare solo al traffico.
Avevamo raggiunto il ristorante dopo appena dieci minuti e avevo dovuto ammettere fra me e me che era un posto molto elegante. La sala era grande, ariosa, con un gigantesco lampadario a goccia che pendeva sopra le nostre teste e una vetrata da cui si intravedeva la città sottostante, illuminata dalla flebile luce dei lampioni. Con un brivido di raccapriccio per l’altezza mi ero tenuto a una prudente distanza di sicurezza, osservando l’espressione stupita di Sana. I suoi occhi marroni avevano abbracciato la stanza, i tavoli con le linde tovaglie ricamate, l’argenteria lucente, il pavimento in marmo.
<< Aki, sei sicuro che sia il posto giusto? >> mi aveva chiesto con gli occhi sgranati.
Ma che fiducia, Kurata.
<< Sì, certo. >> avevo assentito atono mentre un cameriere ci veniva incontro.
Ci aveva accompagnato a un piccolo tavolo in disparte, proprio accanto a un gigantesco acquario colorato. Kurata lo aveva fissato incantata per qualche momento.
Mi ero seduto, stringendo convulsamente il menù e cercando di ignorare i prezzi esorbitanti. Nonostante gli insistenti tentativi di Tsu mi ero rifiutato di mettermi la cravatta, ma sentivo comunque un nodo in gola, che premeva fastidiosamente. Sana fissava i pesci in estatica ammirazione, apparentemente ignara del mio disagio.
<< Come sono andate le prove del vestito? >>
Quel pomeriggio Aya era passata a prenderla ed erano andate a misurare le pompose bomboniere che avrebbero indossato il giorno delle nozze. Per la verità non mi interessava affatto sapere quante ore avevano passato davanti allo specchio: il mio era solo un maldestro tentativo di attirare la sua attenzione e magari entrare anche in tema “matrimonio”.
<< Uh? Bene, bene. >> aveva risposto mentre con  l’indice giocherellava con una gigantesca aragosta che muoveva le sue antenne contro il vetro.
Avevo i palmi delle mani sudate e un blocco all’altezza dello stomaco. Non so cosa avrei dato perché quella tortura finisse il prima possibile.
<< Stai bene, stasera. >> avevo aggiunto mentre i miei occhi si soffermavano sullo scollo del vestito.
A questa parole Sana si era girata, fissandomi negli occhi con perplesso stupore, come se non le avessi mai fatto un complimento in vita mia. Be’ d’accordo era abbastanza raro, ma  non sono mai stato un tipo da smancerie… Mi ero pentito un po’ di non averle fatto altri apprezzamenti in passato quando vidi come le sue labbra si incurvavano in sorriso dolce, anche se un po’ confuso, e  un tenue rossore le incendiava le guance.
Il cameriere, venuto a prendere le ordinazioni, mi aveva salvato da dire qualcosa di sdolcinato e molto stupido.
<< I signori sono pronti per ordinare? >>
Lo avevo fissato, mentre Sana riprendeva a picchiettare contro il vetro dell’acquario e a fare delle buffe smorfie.
<< Non è che per caso avete del sushi? >> avevo chiesto speranzoso.
Quello mi aveva osservato schifato, come se avessi detto una bestemmia.
<< Temo di no, signore. >> aveva risposto compunto, girandosi verso Sana. << Ma vedo che alla sua signora piace quell’aragosta. >>
Sana si era girata, guardandolo con uno dei suoi sorrisi sbarazzini.
<< Oh sì! È troppo simpatica con quelle antennine… >>
<< Forse le piacerebbe che gliela servissi cotta al vapore? >> aveva suggerito, speranzoso.
Sana si era come congelata.
<< Come, scusi? >> aveva chiesto, fissandolo con la bocca spalancata.
Il cameriere era parso dispiaciuto.
<< Forse la preferisce cucinata in altri modi? >>
E da lì era iniziato il disastro.
 Sana si era alzata infuriata, sostenendo che era una barbarie mangiare l’aragosta dopo averla esposta così, come un trofeo, e che lei non lo avrebbe mai fatto. Il cameriere aveva cercato di rabbonirla, per poi esplodere con un irritato “Se non ci pensa lei a mangiarla, stia pur sicura che lo farà qualcun altro! “
Kurata aveva fissato l’aragosta come se fosse una figlia e io avevo sospirato osservando con rammarico la bottiglia di champagne che non avevamo nemmeno aperto e la serata romantica che sfumava senza nemmeno essere incominciata.
Eravamo usciti dal ristorante senza aver mangiato niente, in compenso in un secchio colmo d’acqua Kurata si era fatta mettere l’aragosta (viva) che pesava almeno quanto costava. Con il senno di poi avrei dovuto rinunciare a tutto e portarla a casa.
Invece mi ero ostinato a proseguire con quella pagliacciata e con lo stomaco che borbottava per la fame mi ero diretto verso il teatro.
Lo spettacolo era “Madama Butterfly”, un’insulsa tragedia stucchevole che mi annoiò fin dalle prime battute. Ma Sana era così presa, con i begli occhi luccicanti e i piccoli denti che mordicchiavano le labbra piene, che per un secondo mi ero illuso che sarei riuscito a salvare la serata. Fu a metà del primo atto che le mie speranze furono tragicamente deluse. La ragazza che le era accanto si sporse e le chiese a mezza voce:
<< Mi scusi ma… lei è per caso Sana Kurata? >>
Era bastata quella domanda che un animato brusio era iniziato a serpeggiare per la sala. Kurata aveva cercato di negare con un risolino stridulo, ma questo sembrava aver convinto ancora di più la folla. Alcuni avevano iniziato a sgomitare e a torcere il collo, nel disperato tentativo di fissarla, mentre i più audaci si erano alzati in piedi, chiedendole un autografo. Nel giro di cinque minuti metà pubblico ci aveva accerchiato, spintonando ed urlando ad alta voce, completamente ignara dell’opera e dei suoi attori. La protagonista era scoppiata in lacrime per l’umiliazione, fuggendo dal palco. 
Avevo strappato a forza Kurata dalle mani di quei dannati impiccioni e mi ero diretto a passo sostenuto verso la macchina, ringhiando per la frustrazione. Ignorando le sue lamentele, l’avevo incitata a salire, rassegnato a portarla a casa: decisamente avevo perso la speranza di passare una serata romantica.
Ma mentre guidavo Sana avevo visto il lunapark e mi aveva implorato di fermarmi, fissandomi con quei suoi occhi cioccolato a cui non sapevo dire di no. Avevo accostato, passandomi una mano fra i capelli e maledicendo tutti i Kami che mi venivano in mente. Lei invece non sembrava particolarmente dispiaciuta per aver saltato sia la cena che lo spettacolo ed era sfrecciata verso i gonfiabili, facendo gli occhi dolci al bigliettaio fino a quando quello non aveva chiuso un occhio sulla sua età e l’aveva fatta entrare comunque.
Così eccomi qui: frustrato, a digiuno e con l’aragosta appresso perché Sana temeva che potesse soffrire di solitudine se lasciata in macchina. La osservo saltare in alto, con le gote accese e il fiatone - il vestito che le si solleva fino alle cosce - ed avverto un dolore sordo al petto. Maledizione! Il calcio che pianto al distributore di palline a cui sono appoggiato è talmente forte che sento il piede formicolare. Avverto un tonfo sinistro e mi piego per controllare di non averlo rotto: ci mancherebbe solo di doverlo ripagare per concludere in bellezza la serata.
Un piccolo oggetto rotondo attira la mia attenzione, lo afferro rigirandolo fra le dita. Una pallina di plastica con dentro la sorpresa. Quando i miei occhi decifrano l’immagine che c’è sopra un sorriso amaro mi si dipinge sulle labbra: il regalo all’interno è niente meno che un anello colorato, di plastica. Davvero il destino ha un pessimo senso dell’umorismo!
<< A-chan!! >> urla Sana sbracciandosi e correndo nella mia direzione.
Ficco la pallina in tasca e ricaccio indietro il mio malumore, sforzandomi di apparire indifferente e non profondamente amareggiato. La vedo venirmi incontro con i capelli arruffati e il trucco un po’ sbavato. È così dannatamente bella e viva che le viscere mi si contraggono dolosamente.
Voglio passare tutta la vita con te, Kurata. Il solo pensiero di perderti mi fa piegare le ginocchia.
Vorrei avere il coraggio di dirgliele quelle parole, invece mi ritrovo a indicare sbuffando la macchina e ad intimarle di muoversi. Sana mi fa la linguaccia, da bambina dispettosa, poi però si mette buona sul sedile, fissando la strada.
All’improvviso, mentre ormai pochi isolati ci separano da casa, sussulta e mi ordina concitata:
<< Gira qui! >>
<< Come? >> chiedo perplesso e quella pazza si allunga sul volante, quasi strappandomelo di mano.
<< Qui a sinistra! >> urla, rischiando di farmi uscire di strada.
Il tempo di raddrizzare la macchina e accosto, fissandola infuriato:
<< Volevi farci ammazzare per caso? >>
<< Quante storie! Non è colpa mia se sei lento a capire! >> mi rimbecca, uscendo e sbattendo la portiera prima che possa ribattere.
<< Che aspetti? >> mi chiede da fuori.
Mi slaccio la cintura e la raggiungo, ancora incazzato per il suo comportamento infantile. Kurata mi prende la mano e mi guida nel parco, praticamente deserto a quell’ora di notte.
Solo quando ci fermiamo di fronte al gazebo in cui mi sono innamorato di lei tanti anni fa, sento finalmente che la rabbia scivola via, sostituita da uno strano calore che mi brucia la pelle.



 



 
 
Ciao a tutti!
Ecco infine svelato il grande mistero dell’aragosta. Un enorme grazie a chi commenta, segue o mette fra i preferiti questa ff. Rimane solo l’ultimo capitolo ( giuro che provo a metterci un pizzico, giusto un pizzico, di romanticismo in più), che sarà pubblicato la prossima settimana.
Un saluto e un bacio
Ely 

 

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Capitolo 4
*** Un anello rosa confetto ***










                       Un anello rosa confetto
 







 

 

  Kurata dondola i piedi avanti e indietro, seduta sotto il gazebo.
<< Però sarebbe bello se un giorno ci sposassimo anche noi, eh Akito-kun? >>
È tutta la sera che mi arrovello per pronunciare quelle stramaledettissime  parole e lei invece le dice, così, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Semplice e spontanea, neanche stesse parlando del tempo. Da quale cazzo di pianeta vieni Kurata?
Un alito di vento spinge le ciocche ramate dei suoi capelli verso di me. Ancora incredulo per la frase che le ho sentito pronunciare, respiro il loro profumo misto a quella della sua pelle. Forse è quello che mi ottenebra i sensi, fatto sta che la mia mano scatta automaticamente, come dotata di vita propria. Fruga per un secondo nella tasca della giacca e le porge la pallina di plastica che ho preso alla macchinetta.
Kurata la osserva perplessa, poi la prende fra le mani e impiega circa  mezzo minuto per aprirla. Il mezzo minuto più lungo della mia vita.
Infine sposta la mano sotto la luce del lampione e schiude le piccole dita. Appena vedo il contenuto mi viene un conato di vomito.
Tra il pollice l’indice stringe un piccolo anello, di quelli per bambini, di un nauseabondo rosa confetto. Ma quel che è peggio è che in cima c’è l’immagine schiacciata di un pony con una criniera dorata e due dentoni enormi e sporgenti. E, ciliegina sulla torta, fa pure l’occhiolino.
Credo di avere una paralisi facciale. O forse un danno cerebrale. Probabilmente entrambi.
Come cazzo ho fatto a darle quella schifezza? Ho davvero passato un’ora e mezzo in gioielleria sudando freddo e lanciando montagne di accidenti a Tsuyoshi per poi propinarle quell’obbrobrio? Forse è solo un brutto sogno. Un incubo. Oppure la scempiaggine  di Kurata è contagiosa e mi ha irrimediabilmente infettato.
La diretta interessata ride.
<< La dovrei considerare una propost… >> inizia a chiedermi ironica.
 Si interrompe, probabilmente perché vede la mia espressione sofferente. Vorrei mettermi a ridere e dirle che stavo solo scherzando “Non è che pensavi davvero che volevo sposarti, eh Kurata?”; ma non riesco a muovere un solo muscolo della faccia e dalle labbra mi esce  una specie di gemito.
Chiudo gli occhi, aspettando di sentirla ridere in quel suo modo sguaiato e  dire che quella era la peggiore dichiarazione del secolo, anzi no del millennio, dell’intera storia del creato. E ovviamente che mi tiri l’anello dietro. Attendo ancora qualche secondo ma l’urlo non arriva. Apro cautamente le palpebre e guardo  Kurata.
Rimango per un attimo interdetto. Ha gli occhi lucidi e un’espressione dolce dipinta sul viso. Ho un moto di speranza: forse non l’ha presa così male, dopotutto.
Senza parlare mi porge la mano sinistra, sollevandola all’altezza del mento. Con un singulto recepisco l’invito e le infilo quell’affare di plastica all’anulare. Ha le dita così piccole che le sta alla perfezione. Un goccia le bagna il dorso della mano. Alzo lo sguardo chiedendomi perché proprio in quel dannato momento doveva mettersi a piovere ma in cielo non si vede nemmeno una nuvola. Fisso il volto di Kurata e mi accorgo della lieve scia che quell’unica lacrima ha lasciato sulla sua guancia. Sulle labbra ha disegnato il sorriso più luminoso che le abbia mai visto.
Mi prende il volto fra le mani e mi bacia per un lungo, interminabile momento nel quale mi fa dimenticare tutto: l’irritazione per la serata, l’imbarazzo per quello stupido anello, persino il mio nome. Forse dopotutto non ucciderò Tsuyoshi.
Quando si stacca ho il respiro affannoso e vorrei solo portarla in camera da letto.
<< Vuoi davvero che ci sposiamo Akito? >> mi chiede con gli occhi che brillano.
Annuisco. Non sono ancora del tutto sicuro di aver ritrovato l’uso della parola.
<< UAHHHHHH! >> mi bercia nell’orecchio assordandomi. << Come sono felice! Credevo che non me l’avresti mai chiesto! >>
È saltata in piedi con uno scatto di reni e adesso sta improvvisando uno strano balletto.
<< Oppure che ci saremmo sposati vecchi decrepiti e che la mia truccatrice sarebbe impazzita nel tentativo di nascondermi le rughe! Aahaha! >>
Sospiro. Quattro minuti e ventisette secondi. Non è riuscita a rimanere seria per più di quattro minuti e ventisette secondi nemmeno quando le ho fatto la proposta di matrimonio. È un caso irrecuperabile. Ma non bastava un semplice sì, Kurata?
<< Mi sposo, mi sposo. Mi sposo con Akito… >> cantilena come una bambina.
<< C’è una condizione. >> la interrompo prima che con la sua voce squillante attiri una torma di giornalisti.
<< Eh? >> Si interrompe e mi fissa perplessa.
<< Domani ti passo a prendere con la macchina e andiamo insieme in una gioielleria. Scegli l’anello che ti pare, butti quel… quel coso e soprattutto non dici a nessuno che te l’ho regalato. >>
Fisso con orrore l’anello rosa e il pony ammiccante che adorna il suo anulare. Qualsiasi ragazza normale sarebbe stata sollevata da quella proposta e l’avrebbe accolta con gioia. Ma Kurata di normale non ha proprio niente e infatti si mette di nuovo a urlare come una pazza, stringendo la mano sinistra al petto come se fosse un tesoro prezioso.
<< Non se ne parla nemmeno! Non ho la minima intenzione di toglierlo, figurati buttarlo! Non lo staccherò dal mio dito per un solo secondo, nemmeno per dormire.  Lo metterò anche il giorno del mio matrimonio! Anzi… >> la fisso allucinato mentre prosegue nel suo sproloquio. << Chiamerò mio figlio Occhiolino e mia figlia Dentona. Farò scrivere nel testamento che voglio essere seppellita con questo indosso e…>>
<< Come non detto. Ritiro la mia proposta. >> mormoro con sconforto.
Mi guarda con la boccuccia ancora aperta e un’espressione così incredula e ferita che non posso fare a meno di sorridere. Appena capisce che sto scherzando si rilassa e inizia a picchiettare i pugni sulla mia spalle.
<< Ma cosa dici? Non lo puoi fare, sai? Non ti libererai mai più di me, capito zuccone? Dovrai sopportarmi per tutta la vita ed io ti costringerò ad essere felice! >>
La guardo con una luce divertita negli occhi, il suo viso a pochi centimetri di distanza.
<<  È una minaccia? >> le chiedo fingendomi spaventato.
Abbandona il tono scherzoso e mi stringe le braccia intorno al collo.
<<  È una promessa. >> sussurra prima di baciarmi.
 
 
 



 
Ciao a tutti!
Ed anche questa miniserie è finita…Cosa ne pensate del finale? Lo preferivate più romantico e canonico? Spero tanto di no e che anche questo capitolo vi abbia strappato un sorriso!
Adesso che anche questa serie è conclusa penso che mi prenderò una pausa da questo fandom (se vi interessano penso che mi troverete comunque in quelli di harry potter e twilight); ma non illudetevi, non vi siete ancora liberati di me: ho iniziato a scrivere l’ultima ff di questa serie che si intitola “Linee Intricate” e parla dei vari personaggi di Kodocha in versione adulta. Vi lascio un piccolissimo spoiler, nella speranza di incuriosirvi!
 
Asako le rivolse un’occhiata dubbiosa, poi i suoi occhi si spalancarono. Si mordicchiò le labbra con espressione pensosa prima di chiederle, senza l’ombra di imbarazzo:
<< Quando è stata l’ultima volta che hai avuto il ciclo? >>
Sana sussultò, sorpresa dalla domanda. Che c’entravano le mestruazioni con il fatto che vomitava da dieci minuti buoni?

 
Bene, detto questo vorrei ringraziare personalmente tutte le persone che mi hanno lasciato un commento: grazie mille a –Jessica, ryanforever, tokykia, Orihimechan, Paola19, -Silvia123-, sabry92, silvia97 e  Nensy-Cullen!! Le vostre recensioni mi hanno fatto veramente, veramente piacere!
Un grosso bacio e a presto!
Ely
 

  
  

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