Keep followin' your daily routine.

di _diana87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Oggi è davvero un gran giorno per cominciare a lottare. ***
Capitolo 2: *** Guardare il mondo mentre va a fuoco. ***
Capitolo 3: *** Non fare niente di stupido, non pensare a fare l'eroina. ***
Capitolo 4: *** Le grandi storie d'amore battono i pronostici. ***
Capitolo 5: *** Che ne è di quel posto che chiamavamo casa? ***
Capitolo 6: *** Forse siamo semplicemente un uomo e una donna soli. ***
Capitolo 7: *** Ma anche noi piangiamo come le stelle a testa in giù? ***
Capitolo 8: *** Tu credi nel destino? Io ciecamente. ***
Capitolo 9: *** Muro di pietra, muro invisibile. ***
Capitolo 10: *** A una cosa serve la guerra: a rivelarci a noi stessi. ***
Capitolo 11: *** L'Inferno è qui. ***
Capitolo 12: *** Quando la magia finisce, subentra la fede. ***
Capitolo 13: *** Aisha. ***
Capitolo 14: *** A volte anche i più forti cadono giù. ***
Capitolo 15: *** Il terrore è diventato un altro inverno, un evento meteorologico. ***
Capitolo 16: *** Come una lama sottile. ***
Capitolo 17: *** La guerra, se ci penso bene, ha un suo fondo di correttezza. ***
Capitolo 18: *** Questa non è più la tua guerra, Kate. ***
Capitolo 19: *** La cosa più difficile al mondo è viverci. ***
Capitolo 20: *** Mi avevano avvertito di seguire la routine quotidiana e di non distrarmi mai. ***



Capitolo 1
*** Oggi è davvero un gran giorno per cominciare a lottare. ***


TRAMA

Ho iniziato a leggere un libro sulla guerra del Vietnam di Oriana Fallaci e ho avuto questa ispirazione: spero di essere riuscita a fare un bel lavoro e di non aver deluso nessuno, ce l'ho messa tutta, questa storia la sento dal profondo :)
Buona lettura :)

 

 

 

Keep followin' your daily routine.

 

 

 

Oggi è davvero un gran giorno per cominciare a lottare.

 

 

 

Oggi è uno di quei giorni in cui niente deve andare storto.

La terapia continua ad andare bene, tu stai bene, Kate, continuo a ripetere a me stessa, illudendomi, immaginandomi che non c'è niente che non vada in me, quando so che dentro mi sento morire... che mi manca il fiato a volte... che continuo a sentire gli spari, le urla delle persone, il sangue, l'ospedale, e poi il vuoto.

 

Oggi è uno di quei giorni in cui mi siederò dietro la mia scrivania, tirerò su i capelli, e inizierò a prendere sul serio il primo caso che mi capita nelle mani.

Cammino per la strada, sentendo la gente che mi viene addosso, chi lo fa di proposito, chi per caso.

Non sento niente.

Non provo niente.

Mi manca il contatto umano, e quando sono tra le persone, mi sento come persa.

Sono circondata da tanti newyorkesi che vanno a lavoro o a scuola frettolosi, ed io mi sento vuota.

Arrivo finalmente davanti al 12esimo distretto; mi guardo intorno sospettosa, sempre all'erta, come se qualcosa potrebbe accadere da un momento all'altro. E' stupido, lo so.

Durante alcune nostre sedute, Roger, il mio psicanalista da qualche mese dopo la sparatoria, lo chiama "sesto senso". Io allora ribatto "No, è intuito femminile", e così iniziano una serie di battibecchi amichevoli che spaziano tra la filosofia e l'ambientalismo; mi piace Roger, è un buon amico.

Con lui non sono mai in soggezione. Lui non mi costringe a guardarmi alle spalle, anzi, mi dice di guardarmi dentro, nel mio cuore.

"Ma io non riesco a guardarci dentro, dovrei fare una lastra!" dico io ironicamente, "Kate, Kate, il cuore ha le sue prigioni che la ragione non conosce", risponde Roger, sempre pronto a trovare una risposta ad ogni cosa.

Guardo quell'enorme costruzione davanti a me. Tengo la borsa più stretta, mordendomi il labbro. Poi faccio un bel respiro e chiudo gli occhi.

 

Oggi è uno di quei giorni in cui niente e nessuno potrà rovinare questa splendida mattinata.

Poi un'esplosione, come un cannone.

E poi ancora, fuoco, fiamme, rumore di sirene.

La gente intorno a me, scappa e si rifugia. Qualcuno grida, i bambini piangono, le persone anziane pregano, gli uomini coi cellulari in mano, interrompono le loro conversazioni per vedere il distretto in fiamme. Il fumo inizia a salire in alto, raggiunge il cielo, quasi a mandare un segnale d'aiuto da lassù. Vedo il distretto sgretolarsi davanti a me, con mattoni che volano a destra e sinistra. Istintivamente, metto una mano davanti il viso per coprirmi.

In una frazione di secondo, salto in aria, all'indietro, e cado a terra, sbattendo la testa.

L'ultima cosa che ricordo, seppur è in ricordo offuscato, è il volto di un uomo, che sopra di me chiama flebilmente il mio nome.

"Kate, Kate... non lasciami... resta con me..."

Castle.

Sì, oggi è davvero un gran giorno per cominciare a lottare.

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Capitolo 2
*** Guardare il mondo mentre va a fuoco. ***


Non sto sognando

Hola!! Si continua a postare... voi come va?
Io non vedo l'ora che arrivino le vacanze per starmene a casa XD

ps: per chi non l'avesse notato, ho cambiato di poco la trama... tanto per rendere ancora le cose più tragiche XD


Guardare il mondo mentre va a fuoco.

 

 

Non sto sognando.

L'orrore è reale.

Il 12esimo distretto è andato, sparito.

Un attimo era qui, e l'attimo dopo non c'è più.

Mi stropiccio gli occhi, cercando di capire qualcosa, di razionalizzare, ma c'è troppo, troppo fumo, oddio.

Il mio scrittore mi aiuta a rialzare da terra, poi mi porge qualcosa: il nostro caffé quotidiano, ovvero "il nostro bacio mattutino", come ultimamente amiamo chiamare questo rito, che ormai è una routine da 3 anni.

La prima cosa che faccio è controllare i miei capelli per assicurarmi che stiano in ordine; poi lui fa un gesto carino per me... un altro, dopo avermi portato il caffé... e sono appena le 9 di mattina... mi tocca i capelli, scrutandomeli, per vedere se è rimasta della fuliggine.

Mi sento una bambina e come una piccola ragazzina, mi lascio toccare la testa da quest'uomo così fiero e così coraggioso qual è.

"Niente, sei pulita."
"Mi resterà il bernoccolo, vero, Castle?"

Faccio gli occhi a cuoricino, in un certo modo, lui sorride davanti a me, con i suoi occhi azzurri, così profondi quanto l'oceano.

"Certo che no, Beckett."

Mi dà una pacca sulla testa, proprio come un padre con sua figlia.

Richard Castle mi ha toccata non solo esternamente, ma anche dentro. Mi ha rapito l'anima il giorno in cui è entrato come "partner" nel distretto.

Col suo agire da bambino di 12 anni, ha saputo consolarmi, esserci quando ne avevo bisogno, ha ficcato il naso nell'omicidio di mia madre, ma lo ha fatto solo per aiutarmi. E' rimasto con me dentro quella cella frigorifera, quando entrambi pensavamo di morire. Mi ha seguito fino a Los Angeles per risolvere il caso di un mio ex collega. Era lì quando mi spararono...

Mi tocco la testa, ho un mancamento.

"Beckett, Beckett! Ti tengo io..."

E mi è vicino adesso, esattamente dove è giusto che sia.

"Detective Beckett?"
"Sì."
Un uomo vestito elegantemente giacca e cravatta, sfoggia un distintivo dell'FBI nascosto dentro la tasca della sua giacca.

"Permette qualche parola?"
Guardo l'uomo e poi Castle, che mi fa segno di andare.

"Certo."
"Bene, ci segua."

Do un'ultima occhiata al distretto dietro di me: quel posto non è stato solo un lavoro per me. Era la mia casa, il mio rifugio segreto, la mia Isola che Non C'è, il mio mondo. E ora cosa ne era rimasto? Mi trattengo dal non espormi troppo, senza piangere, mi ripeto, sii forte Kate, fai vedere chi sei. Ogni giorno, è una lotta continua. Il mio mondo se n'era andato, scomparso. Anche lui, dopo mia madre e Royce.

Guardo il mio mondo mentre va a fuoco e io non ho potuto fare nulla per impedirlo.

 

"Detective Beckett, abbiamo ritrovato questo messaggio sotto alcune macerie..."

L'uomo alla Men In Black mi mostra un pacco alquanto sospetto, con un messaggio apparentemente cifrato sulla sua superficie. Poco dopo mi rendo conto che non è un messaggio in codice, ma che molto probabilmente è una lingua mediorientale.

"Ho poca dimestichezza con le lingue del Medio Oriente, ma è possibile che sia... ebraico, arabo, turco?"
"E' arabo, detective. Più precisamente l'antico persiano parlato in Iran."

Mi scappa una risatina, che copro con una mano sulla bocca. E' assurda questa situazione. Non che il terrorismo sia assurdo, non è questo ciò che voglio dire. L'America vive costantemente sotto il bersaglio di Al Qaeda da ormai 10 anni. E' assurdo che un pacco del genere sia finito nel nostro distretto.

"Mi perdoni, agente..."
"McNeil."
"Agente McNeil... lei vuole farmi credere che l'organizzazione mondiale terroristica ha preso di mira la città di New York?? Che succede, a questi musulmani non bastava farci soffrire con le Torri Gemelle? Cos'altro vogliono?? Oh no, aspetti... si stanno vendicando perchè abbiamo ucciso loro Bin Laden, vero?? Assurdo!"

Cerco di scandire per bene la parola "assurdo". Forse esagero perchè l'agente McNeil, alias Men In Black, mi guarda davvero male.

In effetti la mia voce sta diventando un tantino stridula e il mio agitare le mani sta attirando l'attenzione generale.

Mi sento gli sguardi addosso, quello di Castle in primis. Cerco di ricompormi, ma sento un brivido percorrermi la schiena.

"Detective, sta bene?"

Mi stringo le maniche del mio giubbotto di pelle. Poi mi avvolgo con le braccia. Sento anche freddo.

Il tizio di Men In Black continua a parlare, ma io lo sento a malapena. Riesco a captare qualche parola qua e là. Non ho voglia di sentire nessuno.

"...terrorismo internazionale... addestramento... Iran..."

Poi qualcuno mi prende per il braccio, riportandomi alla realtà.

"Beckett..."
E' Castle. Si era preoccupato per me e opportunamente mi aveva raggiunto, sorreggendomi, ancora una volta. Ultimamente non mi riconosco più. Mi sento così debole... che mi sta succedendo?

"Castle... ho bisogno di... sedermi... un secondo.."
"Detective Beckett, qui c'è in gioco il futuro delle popolazioni! Il terrorismo non può essere ignorato---"

"Per la miseria, ma non lo capite che la mia partner è sotto shock??!"

Castle urla contro McNeil prendendolo per il colletto della giacca.

"Ha visto il distretto dove lavora frantumarsi davanti ai suoi occhi! Se dice di essere preoccupato per la salute mondiale, allora non può ignorare che la mia partner è ancora scossa da quanto ha visto! Lei è indelicato!"
"Signor Castle... capisco la sua preoccupazione, ma..."
"L'ho già sentita questa storia. Volete parlarci? Prendete un appuntamento!"

Ancora in piedi davanti a loro li vedo battibbeccare. Castle si sta battendo. Per me. Spesso mi sono trovata a pensare che non fosse solo il mio scrittore e io la sua musa, ma lui il principe e io la fanciulla in pericolo. Tranne per quella volta quando rimasto come ostaggio nella banca, fui io a salvarlo.

McNeil gentilmente porge a Castle un biglietto da visita, poi mi guarda fisso negli occhi. Sono occhi gelidi i suoi, di chi ha visto troppo nella vita e conosce tanti di quei segreti che neanche la Casa Bianca può rivelarci. Poi, si allontana per scomparire in un macchinone blu.

Il mio scrittore si avvicina a me, apparentemente preoccupato per la mia salute.

"Stai meglio ora?"
"Sì, grazie."
"Sempre."
Sorridiamo. Entrambi conosciamo l'importanza di quella parolina magica. Ci incamminiamo lontani dal distretto ormai in cenere, mentre in lontananza si sentono le auto dei pompieri accorrere.

"Cosa ti ha dato l'agente McNeil?"

"Un appuntamento. Vuole che te, Ryan ed Esposito vi presentate al Quartier Generale."
Mi porge il biglietto.

"Vuoi dire all'FBI?? E per cosa?? Non sarà mica un rimprovero per aggressione a pubblico ufficiale?"

"No, no.. " ride, "penso intendesse sul serio quando prima parlava di un certo addestramento per forze armate speciali della polizia."

Il mio pensiero va a Royce Montgomery. Lui sì che era un poliziotto speciale. Un vero eroe. Meritava lui più di me di andare a questo addestramento.

 

Quel pomeriggio, sul tardi, sono in auto con Esposito al mio fianco, e Ryan seduto al sedile posteriore. Noi tre non parliamo, preferiamo non dire nulla. Quell'attentato che ci ha colpiti nel privato deve restare tra di noi. Perchè funziona così. Se c'è una cosa che l'America ha imparato dopo l'11 settembre, è quella di non confondere il pubblico col privato se non vuoi essere chiamato a testimoniare quanto accaduto... se non vuoi essere al centro del mirino... io ci sono stata al centro del mirino... letteralmente e metaforicamente.

I miei agenti guardano fuori il finestrino, poi Ryan fa segno che siamo arrivati. Davanti a noi, una cinquantina di auto parcheggiate... ognuna di loro porta un diverso nome di polizia... riesco a leggere Miami, Los Angeles, Las Vegas.

"E così questa è l'FBI."
"Come la descrivono nei film, fratello."
Ryan ed Esposito si scambiano degli sguardi compiaciuti che mi fanno sorridere. Immagino che si credano qualche attore in un film d'azione, tipo Ben Affleck in "Alta Tensione", oppure Matt Damon in "The Bourne Identity."

Usciamo dall'auto, io cammino avanti a loro ed entro nella struttura. Finora mi ero solo immaginata come poteva essere la sede dell'FBI, dal vivo però è tutt'altra cosa. Una segretaria è impegnata a filtrare delle telefonate... un'altra sta inviando fax... un'altra ancora parla in tedesco, credo, poi con naturalezza, prende un altro telefono e cambia lingua, come se nulla fosse. Alcuni uomini in nero ci passano vicino, poi vedo McNeil avvicinarsi a noi.

"Vi aspettavamo. Il 12esimo distretto? Bene, seguitemi."
Poco dopo siamo in ascensore. McNeil pigia il pulsante verso il 20esimo piano, e quindi mi sorge una domanda spontanea: quanti piani avrà questo edificio?

Alcuni minuti dopo, l'agente ci conduce in una stanza abbastanza grande: al centro vi è un enorme televisore dove posso vedere il Presidente degli Stati Uniti che sta preparando dei fogli davanti a sé... evidentemente ha in mente un discorso da farci, data la gravità della situazione.

Poi c'è un tavolo rettangolare e molte sedie... non so dire quante, fatto sta che ci sono circa una settantina di agenti di polizia tra quelli seduti e quelli in piedi.

Io e i miei uomini restiamo in piedi vicino la porta, mentre McNeil prende il posto di comando a capo tavola. Cala il silenzio, tutti appizzano le orecchie. Io, Ryan ed Esposito facciamo altrettanto.

"Signori, se siete qui oggi vuol dire che la situazione è di portata mondiale. Ed è grave. In ognuno dei vostri distretti questa mattina, intorno alle 8-9, sono stati consegnati dei pacchi bomba. L'origine è iraniana, come abbiamo potuto constatare dalle nostre interpreti, e il messaggio è chiaro. Ora ve lo leggo."
Prende un telecomando e dal centro del tavolo compare una specie di diapositiva trasparente... fantastico, sembra di essere in un film di fantascienza. Siamo fighi, noi americani.

"Nel nome di Dio, il clemente, il misericordioso. I pacchi bomba non sono che l'inizio. Molti dei nostri profeti della jihad sono morti, e siccome la morte vuole morte, noi iraniani siamo gli unici mediorientali a possedere la bomba atomica. Se non vi arrenderete al nome di Allah, vedremo come far sganciare l'ordigno. Israele sarà il nostro primo bersaglio. E noi sappiamo quanto a voi americani sta a cuore Israele..."

McNeil ritira l'immagine, poi tutti iniziano a bisbigliare tra loro. Io sono a dir poco sconvolta. Guardo Esposito e Ryan e anche loro non sono da meno. In un gesto commovente, ci stringiamo le mani.

"Signori per favore..." McNeil cerca di ristabilire l'ordine, "vi metto in collegamento col Presidente...mi sente, signore?"
"Sì la sento benissimo...miei cari concittadini, la situazione è grave, come già ripetuto. Voi siete qui oggi perchè siete stati selezionati tra i migliori agenti del nostro paese. Partirete l'indomani per l'Iran dove l'agente McNeil vi inizierà ad un addestramento insieme ai nostri marines. L'obbiettivo è impedire questa catastrofe mondiale. Vi aspetto domani alle 10 qui sotto al quartier Generale."

La videoconferenza si chiuse in un attimo. Io cercai di assimilare quanto era appena accaduto. Accadde tutto in una frazione di secondi, e in un attimo mi ritrovai al distretto.

 

Erano le 13, ora di pranzo. Guardo la sedia vuota accanto a me, poi do un'occhiata all'orologio. Dov'è finito Castle? Di solito è puntuale.

"Ehilà, Beckett!"

E infatti eccolo arrivare: i soliti due caffé da una parte, e un cinese take away dall'altra. Adoro il cinese.

"Castle... pensavo non arrivassi più!"
"Preoccupata per me?"
"Uhm uhm."
La sua faccia diventa seria. Si acciglia e ha lo sguardo assorto. Ha qualcosa da dirmi.

"Sputa il rospo, Castle." dico mentre prendo il mio caffé e inizio a gustarmi gli spaghetti alla piastra.

"Sono stato alla casa editrice oggi... Gina mi ha affidato un incarico molto impegnativo... dice che se esce bene sarà un reportage-racconto che scalerà le classifiche, meglio della saga di Nikki Heat" sorride tra sé, poi torna a farsi serio... sguardo fisso su di me, "Kate, andrò a scrivere un libro a Gerusalemme, in Israele, raccontando la primavera araba in corso. Partirò domattina."
Il mio cuore per un attimo si interrompe. Vorrei stringergli la mano, so che vorrei farlo, invece so che è il mio turno per parlare adesso.

"Sono stata alla riunione nella sede dell'FBI. Il Presidente ha selezionato me e altri agenti del paese per addestrarci in Iran insieme ai marines. Rick, sanno che l'Iran minaccerà Israele se l'America non si converte ai voleri dei terroristi. Partirò domattina anche io."
Il mio mondo stava letteralmente andando a fuoco. Ora anche l'uomo che amo sarà esposto al pericolo, e io non potrò fare nulla per salvarlo, stavolta.

Castle mi prende la mano e me la stringe. Me la stringe così forte, come se consapevoli, sappiamo che sarà una delle ultime volte in cui ci vedremo. Io ricambio e intrecciamo le nostre dita, giocherellando con indici e pollici. Trattengo una lacrima che so sta per cadere. Lui si schiarisce la voce.

Poi, ci lasciamo le mani e, silenziosamente, continuiamo a mangiare.

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Capitolo 3
*** Non fare niente di stupido, non pensare a fare l'eroina. ***


E

E' tipo una settimana che non mi fermo mai O.o maledetta uni!! E mi è toccato andare anche di sabato, vi rendete conto, sennò la Miss-laureata-Cepu che lavora al governo si incazzava -.-'

Vabbeh bando alle ciance, ecco il nuovo cap!!

 

 

 

Non fare niente di stupido, non pensare a fare l'eroina.

 

 

 

L'indomani mattina, il risveglio non è mai stato così dolce.

Sento odore di caffè, non resisto.

Mi rigiro nel letto... poi mi rendo conto di non essere nel mio letto... e che la camera non è la mia camera.

C'è uno zaino sui bordi della scrivania e una ragazza si sta pettinando i suoi folti capelli rossicci di fronte lo specchio.

Mi strofino gli occhi e mi stiro gambe e braccia.

"Ben svegliata, Kate!" mi ritrovo la ragazza davanti a me e per poco non mi spavento cadendo dal letto.

"Oh ciao Alexis... dormito bene?"
"Sì e tu? Tutto bene?"

E' timorosa. Ha paura di chiedermi altro, perchè sa che in fondo "non va tutto bene", dato che tra poche ore dovrò essere al dipartimento di Stato Federale insieme ai miei uomini e altri agenti speciali come me, pronti per salpare alla volta dell'Iran. No, la verità è che non sto affatto bene.

"Tutto okay, tesoro." mento spudoratamente, e so di mio di esserne incapace.

Seguo la scia dell'odore di caffè e mi alzo dal letto.

"Tuo padre già è sveglio? A che ora ha l'aereo per Gerusalemme?" Martha arriva come una furia in camera di Alexis, non notando che io sono ancora seduta a gattoni sul letto.

Subito mi faccio una cipolla per non sembrare appena svegliata. La donna si accorge di me.

"Oh Kate, darling... non volevo disturbare..."

"Non si preoccupi, Martha, sono già sveglia!"
In ogni caso, la colazione è pronta, quando vuoi."
Faccio un cenno di assenso con la testa timidamente, poi noto Martha e Alexis scambiarsi delle occhiate preoccupate e scendere nel loft.

 

Sono rimasta da sola nella stanza e mentre mi do una sistemata, ripenso a ieri.

Richard è stato gentile e premuroso nell'ospitarmi a casa sua. La cena con la sua famiglia è stata deliziosa, quello che mi ci voleva.

E quello di cui noi due avevamo bisogno: più tempo per stare da soli prima della grande partenza, io in Iran, lui in Israele.

Sembra tutto così irreale. Dopo 4 anni passati l'uno vicino all'altra, improvvisamente siamo separati da altre forze più grandi di noi.

Ieri sera, quando io e lui sedevamo sul divano, non servivano parole, ma solo i nostri sguardi che parlavano per noi. E ovviamente ci stringemmo la mano, giocando con le nostre dita... intrecciandole, e promettendoci di stare attenti, scherzando che magari ci si poteva vedere di sfuggita sulla striscia di Gaza, o magari tra un confine e l'altro. Io a ripetergli, "Castle, non si gioca con queste cose! Se ti beccano al confine ti fanno fuori!" e lui che rideva e ribatteva, "Ma io sono Richard Castle, il più grande scrittore che la storia avrà**, non avranno il coraggio di farmi fuori!".

Ripongo i miei pensieri, mentre al collo indosso l'anello a collanina di mia madre. La bacio prima di rimetterla dentro la maglia, al sicuro.

Non sono vestita appariscente. Ho il completo nero giacca e pantaloni, e sotto una maglia bianca a maniche corte. Scarpe comode, immaginando che al QG ci daranno le tute mimetiche.

Poi do un'ultima occhiata al sole che fa capolino: l'ultimo sole che vedrò nascere a New York, prima di partire per la missione.

 

Mi incammino verso il loft, quando sento le voci confuse di Castle e sua figlia. Discretamente mi avvicino alla porta per origliare. Vedo Castle preparare il suo borsone; anche lui è vestito comodo, stessi abiti neri; e Alexis davanti a lui che gli prende le mani e lo blocca mentre sta mettendo i suoi pantaloni dentro il kit da viaggio.

"Ti prego papà, posso venire anche io?"
"Non insistere, Alexis. Non è una vacanza!"
"Ma papà io sarò preoccupata per te... come posso starmene qui senza far nulla?"
"E venendo con me pensi che risolverai qualcosa? Pensa a tua nonna che sarà preoccupata il doppio!"

Questa parole creano indugio nella piccola Castle, che ritira le mani dal padre, il quale ora la guardava con sguardo severo. Castle posa le mani sulle spalle della figlia. Sorrido nel vedere una scena così intima, così dolce.

"Tesoro, ti prometto che non mi accadrà niente, capito? E se dovessi temere il peggio, giuro che ti chiamerò... hai sempre Skype, giusto? Bene, ora fammi finire di sistemare queste cose."
Ritorna sulle sue cose, e vedendo che Alexis sta per uscire dalla camera, mi allontano, correndo nel loft. Per poco inciampo e cado dalle scali.

"Kate... che ci facevi dietro la porta?"
Mi giro e dietro di me c'è Alexis che si gratta la testa con sguardo interrogativo.

Decisamente non sono proprio brava a mentire.

 

Colazione di fretta e in furia, molto silenziosa.

Io tengo lo sguardo fisso sulla mia tazza di caffè, Castle fa altrettanto. Siamo una di fronte all'altro, ma nessuno dei due preferisce parola.

Martha e Alexis si guardano a vicenda e alzano le spalle. Dopo alcuni minuti, il silenzio viene rotto dalla piccola di casa.

"Io vado a lezione..." si avvicina al padre e lo abbraccia fortemente e Castle in risposta le accarezza i capelli.

Poi Alexis saluta me, regalandomi un suo braccialetto... carina e premurosa, proprio come tutti i Castle.

Infine, saluta sua nonna con un bacio, prima di uscire di casa.

 

Perfino in macchina, quella nostra della polizia, il SUV, per strada, io e Castle siamo silenziosi.

Lui ha deciso di accompagnarmi prima al QG, e poi lui si dirigerà in aeroporto.

Siamo arrivati davanti all'immensa struttura. Scendiamo dall'auto, e vedo il mio scrittore, qualche passo dietro di me, che resta ad ammirare l'immenso palazzo.

"Wow... questo sì che è un bel posto di lavoro!" ha la bocca aperta, sembra un ragazzino che vede per la prima volta le montagne russe.

"Si chiama FBI, Castle."

Ci guardiamo e sorridiamo. Dopo il caffè mattutino, ora è il turno delle nostre battute.

Poi Castle fa qualcosa di insolito ma che al tempo stesso mi mette in soggezione.

Si pone davanti a me, spingendomi contro l'auto, in modo tale che mi ritrovo con le spalle contro la macchina. Poi alza le braccia e le mette addosso l'auto. Mi trovo in trappola, imprigionata tra le sue braccia e il suo sguardo sopra di me.

"Katherine Beckett, promettimi una cosa: non fare niente di stupido, non pensare a fare l'eroina, questa è la guerra, non un'imboscata. So che ti sentirai persa, spaesata, e avrai paura alla vista delle pallottole... ma è proprio in quei momenti che tu devi pensare a me che ti dico Stay with me, stay with me. Me lo prometti?"
Sembra mi abbia letto nel pensiero. Proprio quando pensavo di aver lasciato, almeno per oggi, i ricordi della sparatoria a miei danni, lui la rievoca e mi dice di non dimenticarla, ma di farla riemergere, perchè, come Roger dice "solo affrontando la paura si può riuscire a sconfiggerla." Sembra un ragionamento contorto, ma è così.

Gli sorrido e a mò di sfida inizio a parlargli quasi sussurrando.

"Richard Castle, io ti prometto che non farò niente di stupido, nè gesti eroici. Ma tu promettimi di fare altrettanto..." poi gli do un bacio sulla guancia, dolcemente, delicato... le sue guancie sono fredde per via del tempo ed essendo solo le 8 di mattina, in confronto alle mie labbra: vellutate e calde.

Infine, lui cala le braccia e prende le mie, e ci lasciamo andare ad un caloroso quanto disperato abbraccio. Non so perchè ma sembra che abbiamo la sensazione che sarà l'ultimo che ci daremo...

"Ehilà, piccioncini!"

I miei pensieri e il nostro abbraccio sono interrotti. Ci voltiamo e vediamo Ryan ed Esposito a giocare al "feed the birds" con le mani, quanto sono scemi.

Io e Castle ci allontaniamo un po' imbarazzati, poi ci salutiamo: un velato "ciao" prima che lui entri in auto e ci saluti per l'ultima volta con la mano...

 

"Agenti, siamo qui oggi per una missione: andare in Iran e fermare qualsiasi occasione di attacco terroristico."

McNeil, l'agente incaricato dell'FBI, che io chiamo anche "Man in Black" perchè mi ricorda vagamente Tommy Lee Jones, parla dritto e composto davanti a noi agenti, ognuno in fila davanti a lui, e tutti sull'attenti. La situazione potrebbe farmi ridere, ma sento che non devo: siamo tutti soldati pronti per andare in battaglia.

"Tuttavia, dato che Israele sembra essere il primo obbiettivo dei nostri nemici, il Presidente degli Stati Uniti mi ha dato ordine di perquisire la zona per evitare che ci siano pacchi bomba nascosti nel paese..."
Mentre McNeil parla, appena sento questa cosa di Israele, il mio cuore ha un sussulto.

"...vogliamo andare prima a Tel Aviv e poi ci sposteremo a Gerusalemme, dove sono attesi giornalisti e scrittori per l'occasione..."

Gerusalemme.

Castle.

"...proprio perchè ci sarà una gran folla, i terroristi potrebbero approfittare della confusione per mandare o pacchi bomba o kamikaze da farsi esplodere in pubblico. E' successo in passato, e accadrà di nuovo."
Oh mio Dio.

"Per avvantaggiarci, ci divideremo in due squadre: la prima andrà insieme al sergente Douglas, che vedete alle mie spalle, a Tel Aviv. La seconda verrà con me a Gerusalemme. Allora, chi vuole unirsi a me?"
Automaticamente, come se fossi un robot senz'anima e cervello, alzo la mano.

"Bene, la detective Kate Beckett è la prima della mia squadra."
Sembro una marionetta. I miei occhi sono fermi e fissi, incoscienti del pericolo a cui sarò esposta. Intorno a me, mentre i sergenti parlano, vedo sagome di persone alzare la mano a manetta. McNeil e Douglas indicano gli agenti prescelti, e questi si schierano vicino al proprio sergente scelto.

 

Esposito e Ryan non possono fare altrimenti e alzano la mano anche loro. Dove vado io, vengono anche loro.

Improvvisamente mi rendo conto del pericolo a cui sono esposti i miei colleghi e amici.

"Non fare niente di stupido, non pensare a fare l'eroina, questa è la guerra, non un'imboscata."
Improvvisamente le parole che Castle mi aveva detto prima non hanno più senso.

 

 

 

**da dove viene questa citazione? Vediamo se qualcuna indovina... :) indizio: da una mia FF.

 

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Capitolo 4
*** Le grandi storie d'amore battono i pronostici. ***


4

Hola!!
Come va?? Io settimana di cazzeggio, sono stata poco a lezione huahuahuahua mi sono rotta, voglio il Natale!
Vabbeh per ora accontentatevi di questo capitolo, tzé. :)

 

 

 

Le grandi storie d'amore battono i pronostici.

 

 

 

Esposito è preoccupato. Lo vedo dimenarsi, guardare a destra e a sinistra, cercare un appiglio, un barlume, uno spiraglio di luce.

Ma l'unico barlume è quello che vedo nei suoi occhi. E' una luce piccola piccola, ma la conosco benissimo.

E' la stessa lucina che avevo quando mi recai in quella banca dove Castle era tenuto in ostaggio insieme a sua madre, e io temevo il peggio.

Quella lucina si chiama speranza.

Vedo Javier davanti a me e mi accorgo che ho un uomo che spera.

Spera di rivedere la donna che ama prima della partenza in Israele.

Lui e Lanie hanno rotto da un po', ma so che in fondo, nei loro cuori, tengono ancora l'uno all'altra. Lanie la conosco troppo bene. E' orgogliosa, è testarda, e non ammetterebbe mai che le mancherà Esposito, ora che lui partirà.

Poi improvvisamente, succede l'imprevisto.

Sembra di assistere ad un film vecchio, stile Hollywood anni '40, con quelle grandi storie d'amore strappalacrime, della serie, lui sta per partire, lei arriva in tempo per salutarlo. Beh questo è quello che più o meno sta accadendo.

Guardo la mia migliore amica dall'altra parte della strada, attraversare lentamente la corsia.

Guardo il mio amico ispanico accanto a me, seguire Lanie con lo sguardo e andandole incontro.

La scena si consuma in una manciata di secondi.

Appena Lanie ed Esposito si congiungono, lei gli da degli spintoni, poi fa a pugni contro il suo petto; è incazzata perché lui sta per andarsene in guerra. Lui si arrabbia a sua volta, poi le prende il volto tra le mani e la bacia appassionatamente. E' così potente quel bacio che tutti gli agenti di polizia intorno a noi, compresi l'FBI, si voltano per assistere alla scena. Ryan inizia a piangere come un bambino, poi tira fuori una foto di Jenny dal suo portafoglio; è quella del loro matrimonio. Jenny non è potuta venire a salutarlo per problemi di salute, ha un po' di febbre, ma ha promesso di chiamarlo tramite Skype.

Lanie scansa di nuovo Javier, però stavolta è lei a prenderlo e baciarlo. Poi quando si separano si guardano minacciosamente.

L'amore è strano.

L'ho sempre detto che le grandi storie d'amore battono i pronostici.

"Signori, lo spettacolo è finito, ora siete pregati di trovarvi tutti qui ed entrare! Abbiamo un aereo da prendere!"

E così ci siamo incamminati, con un grande sforzo, verso dei grossi macchinoni che in breve tempo ci hanno portato in aeroporto. Davanti a noi un bestione della tecnologia, il sogno di ogni americano: l'Air Force Two, l'aereo del vice Presidente degli Stati Uniti.

 

L'aereo si presenta come un Boeing 757-200, denominato C-32 all'interno delle forze statunitensi. L'agente Samuel McNeil ci ha spiegato che per questioni di sicurezza, Presidente e Vicepresidente non viaggiano mai sullo stesso aereo. Equipaggiato con motori Pratt & Whitney PW2040, di cui io non so praticamente nulla, ma annuisco all'agente per non sembrare maleducata.

All'esterno, l'aereo è a metà bianco nella parte superiore, e metà blu nella parte inferiore.

L'AF2 si presenta diverso all'interno rispetto all'AF1. 45 posti per passeggeri e 16 per l'equipaggio. Tuttavia, su questo aereo siamo molti di meno. O almeno così sembra.

Posso contare che oltre noi del 12esimo distretto di NY, io, Esposito e Ryan, ci sono altre due squadre.

Una è di Miami ed è capitanata dall'agente Laura Cambridge, una donna quasi mia coetanea, e al suo seguito due agenti, uno con un nome francese che non ricordo, l'altro è inglese e lo capisco dai suoi capelli rossicci.

L'altra squadra è di Los Angeles ed è lo stesso capitanata da una donna, Bridget Farrow, e al suo seguito altri due agenti, americani anche loro.

Vedere altre due donne a capo di una squadra di polizia mi fa sentire fiera come una leonessa: questo dimostra la potenza delle donne.

Altro che sesso debole!

Ryan ed Esposito hanno già familiarizzato con gli altri agenti di polizia ed ora stanno sfoggiando le loro pistole con orgoglio.

Io me ne sto un po' in disparte; guardo fuori dal finestrino il panorama. Non c'è molto da vedere in realtà, molte nuvole, qualche uccello che intravedo da lontano. Chissà ora dove sarà Rick... chissà se è già atterrato a Tel Aviv...

"Ehi, tu devi essere Kate Beckett..."
Le due donne interrompono i miei pensieri. Vedo Laura porgermi la mano.

"Piacere, io sono Laura Cambridge, e lei è Bridget Farrow."
"Molto piacere."

Ricambio io sorridendo.

Poi si siedono vicino a me.

E io che volevo un po' di pace e tranquillità...

Laura sembra una donna vissuta; forse per il fatto che vive a LA, vive la vita programmandola ogni giorno. Ha i capelli neri mossi, lunghi e folti.

Bridget, invece, sembra che provenga da una famiglia benestante, parla con quell'accento americano sofisticato. Per certi versi mi ricorda un'attrice di "Beautiful".

"Dicevo a Bridget che sono davvero eccitata di questa missione!! Sai noi a Los Angeles facciamo tutti la solita vita, tra sparatorie varie, e qualche volta prendiamo dei vip in custodia... ma mai missioni terroristiche in quelle zone di guerra!!"
"Anche noi a Miami, solita vita, solito tram tram! Però stare insieme ai marines sarà una bella esperienza... chissà se vale sul nostro curriculum! Tu che ne dici, Kate?"
Ma la Kate dentro di me non parla. Vede solo queste due persone parlare così entusiaste tra di loro della guerra, come se vedere uomini uccidersi tra di loro sia una cosa emozionante. Loro non hanno provato cosa vuol dire essere nel mirino, dall'altra parte della staccionata... quando un killer ti punta la pistola contro.

Scommetto che loro ogni giorno si svegliano e pensano a chissà qualche attore difenderanno oggi.

Io mi sveglio ogni giorno e ringrazio Dio di essere sopravvissuta, di essere viva.

"Sì, credo sia una cosa emozionante."

La mia bocca parla, ma il resto del mio volto è inespressivo.

Poco male, Laura e Bridget neanche se ne accorgono.

 

Dopo 9 ore di volo, finalmente sento che siamo atterrati. Sono le ore 12, secondo l'ora locale di Tel Aviv. A New York sarebbero le 19. Odio il fuso orario.

Sono più rincoglionita del previsto, ma mi faccio forza, per la mia squadra.

McNeil ci ha già dato delle disposizioni, così velocemente ci immettiamo in dei carri che ci porteranno alle trincee, dove già i marines stanno facendo addestramento. Mezz'ora di viaggio e arriviamo che è già ora di pranzo.

Ryan si lamenta che ha fame e ha lo stomaco che gli brontola. Imbarazzato, cerca di coprirsi.

Mi fa tenerezza. Chissà se ha già sentito Jenny... sicuramente gli mancherà.

"Eccoci arrivati, questo è il nostro accampamento. Seguite l'agente Tacker che vi fornirà le tute mimetiche. Pranzeremo e poi inizieremo l'addestramento."
Si presenta questo enorme omone nero davanti a noi; l'agente Tacker ha circa 40 anni, brizzolato e mi ricorda molto il carcerato di colore del "Miglio Verde".

Ormai identifico tutti con i nomi dei personaggi cinematografici.

 

"Queste tute sono brutte, non si possono avere altre?"
"Bridget, devi sempre lamentarti?!"

Le mie due colleghe sono proprio delle top model. Io mi adeguo a tutto per fortuna. Lego i miei capelli a cipolla e mi guardo allo specchio: in confronto a quelle due, anche senza trucco sono niente male.

Poi qualcosa cattura la mia attenzione.

"Mi scusi, agente McNeil... sa dirmi chi c'è dentro quella trincea? E' sorvegliata da marines."
Attiro la sua attenzione, poiché McNeil è impegnato a scrivere col suo blackberry. Poi finalmente alza lo sguardo in direzione della trincea che gli sto indicando.

"Oh lì dentro ci sono giornalisti e scrittori. Sono giunti da più parti del mondo per seguire in diretta il conflitto. Io dico che vogliono farsi ammazzare. Si credono tutti Oriana Fallaci. Bah."
Si incammina incazzato scuotendo la testa, e torna a maneggiare col suo blackberry.

Io resto imbambolata.

Rick Castle è dentro quella trincea.

E' a pochi metri da me.

Il mio scrittore.

"Allora, quando si mangia?"

Ryan mi fa capolino da dietro sfregandosi le mani. Poi il mio stomaco fa un suono imbarazzante. Sì, è proprio ora di mangiare.

 

Mangio frettolosamente, troppo eccitata al pensiero che vedrò Rick prima del previsto. Però allo stesso tempo non posso fare a meno di ascoltare questi marines che raccontano la guerra quaggiù.

"... Sapete, noi abbiamo combattuto anche la seconda guerra del Golfo e quella del Kosovo... in quegli anni hanno iniziato a seguirci i giornalisti e gli scrittori coi loro computer... attrezzature un po' scomode, ma se la sono cavata bene... il più delle volte..." racconta uno, un signore sulla cinquantina.

"...io ero lì quando Osama Bin Laden è stato ucciso... che blitz fantastico, e ora questi stronzi musulmani che cosa fanno? Ci attaccano di nuovo! Ma questa volta la vinceremo la guerra, sì, faremo fuori anche questo Ahmadinejad..." dice un altro, più giovane rispetto al primo. Avrà una ventina d'anni e il che mi spaventa.

"Tu sei partito volontario per la guerra?" gli chiedo, azzardando.

"Certo, questa è un'occasione per fare l'eroe per la mia patria.. essere ricordato!"

Non fare niente di stupido, non pensare a fare l'eroina.

Le parole di Rick ancora mi risuonano nella testa. Mi passo una mano sulla fronte, scacciando il pensiero.

"Perchè è così importante per te fare l'eroe?"
"Perchè voglio aiutare a sconfiggere questi terroristi. Perchè qualcuno deve farlo. Ognuno deve avere il suo lieto fine."
Questo soldato così giovane sembra uscito dal mondo delle favole. Al giorno d'oggi credere in un mondo migliore sembra un miraggio. Ma chi sono io per dire che questo non è possibile? Non sono forse io ad aver detto che l'amore batte i pronostici?

Un cellulare squilla. Ryan lo controlla frettolosamente e il suo viso s'illumina.

"Scusatemi, è mia moglie!"
Sono contenta, finalmente si possono sentire. Esposito diventa cupo. Mi avvicino a lui, mettendomi al posto vuoto di Ryan e gli prendo la mano.

"Lanie ti chiamerà, vedrai. Sai com'è fatta... è orgogliosa ma supererà questa cosa."

Mi piace dare fiducia ai miei uomini, rende fiduciosa anche me.

 

Qualche ora più tardi, sono nella mia trincea a sistemarmi, quando qualcuno chiede se gentilmente può entrare.

"Ehi Ryan... certo, ma chi c'è con te?"
Il mio agente si sposta per mostrare una sagoma a me famigliare.

"Castle."
Lui sorride.

"Ciao Beckett."
Come dicevo, le grandi storie d'amore battono i pronostici.

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Capitolo 5
*** Che ne è di quel posto che chiamavamo casa? ***


Quinto capitolo

Che ne è di quel posto che chiamavamo casa?

 

 

 

"Ehi Castle."

"Ehi Beckett."

Suona un po' banale questo nostro saluto.

Ma al momento l'unica cosa che conta non sono le parole, quanto i gesti.

Sorrido, sono imbarazzata e lo constato dalle mie mani sudate, forse mezze sporche. Ma siamo a Tel Aviv, nel Medio Oriente. La terra la tocchi ovunque e dappertutto. Giuro di aver visto anche qualche scorpione nel nostro campo, ma McNeil mi ha rassicurato che sono innocui questi di Tel Aviv, e che dovrei tenere piuttosto gli uomini, non gli animali.

"Vi lascio soli."

Brav'uomo, Kevin Ryan. Con gentilezza chiude la tenda della trincea, lasciando spazio a Rick che entra. Mi fa così strano vederlo. Mi sembra addirittura più magro, ma forse mi sbaglio. Forse il sole di Israele mi offusca le idee.

Rick è come l'avevo lasciato. Jeans blu, un po' sporchi, camicia blu scura, tenuta fuori sopra i pantaloni. Capelli sbarazzini.

"Fa proprio caldo qui, eh? Altro che New York." dice lui guardando intorno alla tenda.

Frettolosamente mi assicuro di non aver lasciato nulla fuori posto, come se fosse casa mia. Mi accorgo che quelle due "barbie" di agenti, Laura e Bridget, hanno lasciato della biancheria su di un tavolo. In mezzo a dei mitra. Complimenti, quelle due sembra proprio che non soffrano il caldo.

"Sì, è vero. Non sono abituata a questo clima..."
"Per non parlare che poi la notte la temperatura scende sotto gli zero gradi."
"Insomma la tua ex moglie ti ha mandato in un posto davvero confortevole!"
"La ringrazierò anche da parte tua!"
Storgo la bocca rispondendo della sua ironia, e poi gli tiro dietro il mio giubbino anti-proiettile, che lui evita egregiamente abbassandosi.

Siamo qui in tempo di guerra e riusciamo a parlare solo del tempo, io e il mio scrittore.

"E' bello vederti. Non ci speravo più." mi dice lui e dolcemente si avvicina prendendomi il viso da sotto il mento.

Fuori ci sono 35 gradi, ma io sto tremando. Vicino a lui io provo una miriade di sensazioni che neanche io saprei descrivere. Freddo, poi di nuovo caldo. Quando mi parla con la sua voce così bassa, quasi come un sussurro, è lì che mi sciolgo come un ghiacciolo al sole.

"Infatti dovevamo andare subito a Teheran, ma c'è stato un cambiamento di rotta. E McNeil ha preferito dividere la squadra in due spedendoci a Tel Aviv e poi Gerusalemme, quella più sotto attacco. Tu piuttosto, dovevi già essere a Gerusalemme..."

"Sì ma cambio di rotta. Hanno detto che dobbiamo seguire i marines come segugi."

Mi accorgo che parliamo senza staccare lo sguardo l'uno dall'altra. In questo momento non m'importa di essere sporca e sudata. Lui si allontana iniziando a passeggiare per la tenda, poi torna a rivolgersi a me.

"Sono un po' geloso di questo McNeil. Lui ti potrà vedere più spesso di me!"

Rido.

"Ma Castle... potrebbe essere mio padre!"

"A proposito... hai chiamato il tuo vero padre? Sa che sei qui?"
Abbasso la testa, farfugliando qualcosa. Quando faccio così, Rick sa che sto mentendo.

"Beckett..."
"Lo farò, Castle, te lo giuro."
"E' tuo padre e tu sei l'unica famiglia che gli resta."
"Lo so, d'accordo? Dì un po', sei venuto qui per parlare di mio padre, o cosa?" sentenzio, ponendomi davanti a lui accigliata, mano sul fianco.

Castle fa retro front alzando le mani.

"Okay, okay... scusa. Devo rientrare alla mia base."

Distolgo lo sguardo. Di nuovo. Devo averlo offeso aggrendolo in questo modo. Ma quando si parla della mia vita privata, dei miei affetti, alzo il mio muro.

Fa per andarsene, poi si ferma.

"E' stato bello vederti, Kate. Davvero."

Il suo sguardo da cucciolo offeso mi fa tenerezza. Ma io troppo orgogliosa non dico nulla e così il mio scrittore sparisce tra la sabbia, mescolandosi tra i vari marines tutti vestiti uguali.

"... anche per me, Rick." sussurro io, infine, quando lui è ormai lontano.

 

Ci fanno sudare parecchio. Ci fanno correre. Ci spremono fino all'osso. Ma questi agenti, questi marines, questi uomini così fieri di aver combattuto le guerre, non sanno che noi siamo solo umili poliziotti? Che è successo al mondo? Che ne è di quel posto che chiamavamo casa?

Dopo 2 ore di allenamento per "rinforzare i muscoli", così lo chiama McNeil, è il turno del tiro al bersaglio. Dovremmo usare dei mitra abbastanza potenti e subito rido quando una delle Barbie, Bridget, prende una di queste armi e si lamenta perché le si è spezzata un'unghia. Ancora mi domando come abbiano fatto a fare i poliziotti.

"Forza, muovete quel culo! Qui siamo in guerra, non è mica una passeggiata!"

McNeil "Man in Black" sbraita contro gli altri agenti. Il povero Ryan ha un po' di fifa.

"T-tocca a me?"
"Tranquillo, bro. Se vuoi passo io avanti..." Esposito dà una pacca alle spalle del collega.

"N-no proverò. Fatemi le condoglianze."
Ryan deglutisce prima di farsi avanti, impugnare il mitra e prendere la mira.

"Ryan è un po' spaventato, ma se la caverà." mi sussurra l'ispanico, leggendomi quasi nel pensiero. "Tu invece, ti senti pronta?"
"Uff, che domande... certo!" rispondo io, seria.

In realtà dentro ho paura.

Paura perchè quando impugno quel mitra per fare una prova, vedo quel bersaglio e un flashback mi compare immediatamente.

Ritorno con la mente a un anno fa, al funerale di Roy... me colpita e accasciata a terra.

Poi con la mente, torno a qualche mese fa. Quando per ogni sparo mi nascondevo. Avevo paura di uscire allo scoperto. E fu solo grazie ad Esposito che riuscì a cavarmela. Ma ora qui, è diverso. Tutto è così strano. E difficile. A volte penso che magari in Paradiso, da mia mamma, si starebbe niente male...

"Vogliamo muoverci, agente Beckett?"
Ero così immersa nei miei ricordi che non mi rendo conto che è il mio turno. Ryan ha quasi centrato la mira, colpendo la sagoma dell'omino sull'orecchio. Esposito ha colpito sul fianco invece.

"Sì, agli ordini, generale."
Impugno di nuovo il mitra e guardo l'obbiettivo. Respiro fortemente, non accorgendomi che dalla fronte mi cade qualche goccia di sudore. L'ansia sale. Mi preparo a premere quel grilletto... riguardo l'obbiettivo... dietro di me sento incitazioni e grida... ma è tutto così offuscato... è come se fossi diventata sorda d'un tratto. Mi guardo attorno, mollando l'arma... perché gira tutto così veloce? E l'ultima cosa che vedo sono i miei uomini gridare il mio nome, prima di accasciarmi a terra, priva di sensi.

 

"Stay with me, Kate... I love you, Kate. I love you."
"Stay with me... She's my best friend, you understand?"

Le voci continuano a parlarmi... Rick che mi dice "ti amo" per la prima volta... Lanie che mi accompagna con la barella in ospedale, appena dopo la sparatoria.

 

Poi apro gli occhi. Erano solo dei ricordi. Non sono con Rick, non sono in ospedale con la mia migliore amica.

Sono in trincea, stesa sul letto e vicino a me ci sono Ryan ed Esposito, e poco più in là Bridget, Laura e i loro agenti. Sono tutti preoccupati per me.

"Finalmente ti sei svegliata!"
"Ci hai fatto prendere un colpo."
"Ragazzi..." abbraccio i miei due colleghi, i miei due amici. "E' bello vedere volti famigliari." sussurro a loro, e una lacrima mi scende sul viso.

"Fate largo, fatemi passare..."

Alzo lo sguardo per vedere McNeil sull'uscio della tenda. E' visibilmente preoccupato, lo vedo dal suo volto e mi lancia delle occhiate cercando di scrutarmi.

"Andate via, tutti fuori. Lasciatemi da solo con l'agente Beckett."
"Attenta ad Hannibal Lecter." mi sussurra Ryan prima di lasciare la tenda insieme a tutti gli altri.

Cerco di ricompormi e controllo che la mia collanina con l'anello di mamma sia ancora attaccata al collo... ma... non la sento. Agitata, mi metto a cercarla. Sotto al cuscino, sotto il letto, su quella sottospecie di comodino...

"Cercavi questa, agente?"

McNeil intanto si è seduto sul lettino e dondola la collanina di mia madre.

"Grazie." dico io timidamente, prendendomela.

McNeil è lì davanti a me. Ancora sta cercando di capirmi. Poi si schiarisce la voce.

"Kate Beckett... io capisco che non deve essere facile per voi agenti abituati a ben altri arresti e sparatorie ma, quando ho selezionato te e la tua squadra, l'ho fatto in base a dei criteri. Voi siete uno dei distretti che ha chiuso maggior casi negli ultimi 3 anni di tutta New York. E tu sei un'agente qualificata.. ma c'è qualcosa che mi sfugge. Oggi non eri la Beckett che mi avevano tanto raccomandato."

Lo guardo. Lo stesso sguardo che rivolsi a Rick quasi un anno fa, quando venne a trovarmi in ospedale. Per un attimo ho un deja-vu che scompare subito. Davanti a me non c'è Rick Castle, ma Samuel McNeil. Non ci sono dei fiori, ma solo la collanina di mia madre. Non sono nel letto d'ospedale, bello e pulito. Sono nel lettino di una trincea. Fuori non c'è la frenetica città di New York. Fuori c'è l'Inferno.

In lontananza riesco a sentire degli spari e forse qualche urla. Mi mordo un labbro trattenendo le lacrime.

"Mi dispiace, agente McNeil..."
"Dammi del tu e chiamami Samuel, per favore." mi tende la mano.

"...Samuel. Mi dispiace per il mio comportamento."
"Non devi dispiacerti, Beckett. Sai, per comportamenti di oggi, noi lo chiamiamo Sindrome dei Marines."
"Sindrome dei Marines?"
"La sindrome che prende ai giornalisti o a chiunque entri in contatto coi soldati della trincea. Tutto oggi hai ascoltato diverse storie di uomini, o più semplicemente ragazzi, che hanno affrontato diverse guerre e hanno imparato a distinguere il pubblico dal privato. Hanno capito che la loro casa è diventata la guerra. Io ho 58 anni, Kate. Sono stato in Vietnam nel '74 quando la guerra era ormai agli sgoccioli... ero poco più che un ragazzo. Sono andato volontario e sai perchè? Per fare l'eroe. Ero anche io come questi ragazzi che vedi oggi, Kate... non devi meravigliarti. Quando impugnano un mitra o un fucile, hanno paura. Quando sparano, la paura scompare... si sentono forti. Sanno che il mondo è ai loro piedi. Qui non si scherza con la vita. E la maggior parte delle volte non facciamo amicizia tra di noi. Ricordo che durante la guerra del Golfo, andai a bere due birre con due soldati come me. L'indomani, i due morirono. Fucilati e poi impiccati. Loro avevano una famiglia, come me. Una famiglia che il giorno del funerale mi disse che senso ha tutta questa guerra... e ho visto negli occhi delle loro figlie... una di loro mi ha chiesto perchè gli uomini si uccidono a vicenda... non ho saputo rispondere. Se hai bisogno di parlare, te lo ripeto. Ci sono dei psicologi qui a tua disposizione."

Stringe la mia mano e nei suoi occhi vedo lo sguardo di un padre che ha lottato tanto per la sua famiglia e ha perso molto. Magari, anche per uccidere un altro uomo, lui ha ucciso un diritto umano. E la sua famiglia forse non l'ha mai capito.

Quest'uomo qui davanti mi sta dicendo che è normale avere paura quando si afferra una pistola e si uccide un altro uomo... ma la mia paura è un'altra. La paura di rivivere quello che ho vissuto io. Perchè so fin troppo bene cosa vuol dire sentirsi sull'orlo di una rottura di nervi quando la tua vita è appesa ad un filo.

Quest'uomo qui davanti mi trasmette calore umano. E nei suoi occhi io mi vedo come la figlia che lui aveva cercato invano di far ragionare sul senso della guerra. Un senso, che io, al momento, non riesco a capire.

"Grazie, Samuel. Lo prenderò in considerazione." ricambio il suo gesto e poi lui mi congeda con il saluto dei marines.

Trovo il coraggio di alzarmi... mi fa ancora un po' male la testa, ma posso farcela. Posso affrontare l'Inferno là fuori.

Ma cambio improvvisamente opinione quando mi affaccio dalla mia tenda.

Soldati che corrono a destra e a manca. Uno di loro si è ferito; è quel giovane che mi raccontava del blitz a Bin Laden.
"Che succede, soldato?"
"Questo coglione si è ferito al braccio mentre era in addestramento."

"Portatelo in infermeria, forza!" urla Tacker, l'omone grosso che mette tutti sull'attenti.

 

Questo posto mi fa paura.

La mia vocina interiore si fa sentire. E' quella voce che tutti i bambini hanno fin dall'infanzia, ma che col passar del tempo, quando si diventa adulti, nessuno più ascolta. Chiudo gli occhi e lascio per un attimo Beckett in disparte, per permettere a Kate di parlare.

Dov'è mia madre?

Dov'è mio padre?
Dov'è Rick?
Dov'è Montgomery?
Che ne è di quel posto che noi chiamavamo "casa"?

Voglio tornare a casa.

 

 

 

Angolo dell'autrice:
Questa storia continua ad essere sempre più drammatica, lo ammetto e il bello è che mi viene naturale scriverla XD

In questo cap ho voluto dare spazio alla figura del sergente McNeil che Kate ha subito identificato come un padre e mi piaceva esplorare il rapporto tra questi due... ovviamente non interferirà con la storia tra Kate e Rick... i nostri beniamini si ritroveranno subito, non temete :)

Spero continuerete a seguirmi e se non vi è chiaro qualcosa, contattatemi :)
Alla prossima!!

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Capitolo 6
*** Forse siamo semplicemente un uomo e una donna soli. ***


Sesto capitolo

In questo capitolo si ragiona pesantemente sul senso della guerra XD

Dai, che un po' di riflessione filosofica di sabato sera fa SEMPRE bene LOL

 

 

 

Forse siamo semplicemente un uomo e una donna soli.

 

 

 

 

Sono già passati 4 giorni da quando siamo qui. Questo tempo l'abbiamo impiegato lavorando e addestrandoci sul campo, avendo giornalisti e scrittori al nostro seguito. E con scrittori includo anche il mio.

L'agente McNeil ordina e il sergente Tacker ci comanda a bacchetta. In qualche modo sembriamo soldati giocattolo; uno ad uno, in fila indiana, a volte tenendoci per mano, per impedire di cadere.

Proprio l'altro giorno, ci siamo buttati per terra, abbiamo strisciato nel fango, cercando di non toccare il filo spinato che era sopra di noi. Bridget e Laura, le due agenti di polizia donne, si tenevano per mano perché non erano abituate a fare queste cose. Io le guardavo e sorridevo, poi ho teso anche io la mano a loro, aiutandole a rialzarsi.

Esposito se la cava abbastanza bene col lavoro sul campo, al contrario di Ryan, che ha subito qualche scottatura a stare al sole per tutto il giorno. Io e Javier lo prendiamo in giro perché ha una pelle abbastanza delicata, quindi è arrivato Castle che gli ha teso una crema solare. Siamo una squadra e siamo una famiglia.

Ho osservato Rick in questi giorni: ci segue come un'ombra, è attento a ciò che i soldati dicono, e loro ormai l'hanno soprannominato "il cavaliere oscuro". Rick è teso, lo percepisco, perciò aspetto il momento per andargli a parlare. L'ultima volta non ci siamo lasciati molto bene... abbiamo quasi litigato ed è caduto il silenzio tra noi. Tuttavia non gli dirò del mio svenimento, no; la Kate che è dentro di me deve essere forte e smettere di pensare alla sparatoria di un anno fa.

"Giornata pensate, eh?" mi avvicino a lui, mani nella tasca mimetica.

Rick alza lo sguardo dal suo computer e mi sorride, poi chiude lo strumento.

"Ciao guerriera... beh anche per te è stata una giornata pesante."

Guardo le mie mani ancora visibilmente sporche di fango e un po' me ne vergogno. Ma lui si avvicina a me, posa il suo tablet e con un fazzoletto inizia a pulirmi la guancia destra.

"Hai un po' di sporco qui... spero non ti dispiaccia se io..."
"No, no... va tutto okay."

Ci guardiamo negli occhi, intensamente. Dio mio quanto siamo vicini. Riesco quasi a sentire il suo cuore battere, e poi sento il mio che va all'impazzata.

Le guancie mi vanno a fuoco, ma chi se ne frega. Ho dimenticato che pochi giorni fa abbiamo avuto quelle incomprensioni e ho scoperto di aver dimenticato cosa vuol dire avere le sue mani sul mio viso.

"Grazie." riesco fievolmente a dire.

"Sai, Becks volevo dirti che..."
"Mi dispiace per l'altra volta---" diciamo insieme, ci blocchiamo e ridiamo.

"Sì anche a me dispiace. Non so cosa mi sia preso. Scusami se ti ho aggredito in quel modo, Castle."
"Immagino che stare sul campo sia una cosa che manda sui nervi chiunque."
"Ripeto, la tua ex moglie non poteva scegliere posto migliore dove mandarti!"
Mi fa un sorriso di comprensione. Molto spesso è proprio vero che un gesto vale più di mille parole.

"Spero di rivederti presto, Kate..." mi stringe le mani e sento che mi sta porgendo qualcosa.

Quando ci ritiriamo scopro che nella mia mano c'è qualcosa.

"Un profumo?"
"E' alle ciliegie, so che ti piace la fragranza."

Istintivamente annuso la mia giacca da militare.

"Castle, mi hai preso un profumo perchè...?"

"Perchè puzzi... non essere sciocca, Kate! Sei una donna straordinaria, a mio avviso una delle migliori in circolazione. Devi farti sentire, gli altri devono capire che quando sento odore di ciliegie, stai arrivando te."

Arriccio il naso. Mi sta forse prendendo in giro?

"Non accigliarti, sono serio!" alza le mani in segno di difesa e questo mi fa sorridere ancora.

Un sorriso genuino, se ne vedono pochi qui in giro.

"Vi stiamo disturbando?"
Entrambi ci voltiamo, io nascondo il profumo dietro la schiena, per vedere Esposito e Ryan scambiarsi occhiatine maliziose. Sento odore di deja-vu.

"N-no stavamo solo..."
"Sì ci stavamo solo..."
"Sì sì, abbiamo capito!" dice l'ispanico e intanto continua a far spallucce insieme al suo collega.

Con discrezione, Castle mi fa un inchino, io gli porgo la mano stando al suo gioco, e lui me la bacia, lasciando Ryan ed Esposito basiti. Poi saluta anche loro col saluto da marinaio e ritorna nella trincea degli scrittori.

Si sta alzando del vento. E siamo in mezzo al deserto. Non promette nulla di buono.

 

La notte in trincea è stata la peggiore della mia vita. Non solo resti in dormiveglia per la tempesta di sabbia che si abbatte ogni dieci minuti, spazzando via perfino dei residui di armi inusate gettate lì durante il giorno... ma devi anche subirti spari in lontananza, che poi terminano con una bomba lanciata in aria... e senti un rumore tipo un fischio insidioso... sì perché si insidia nelle tue orecchie, poi passa attraverso i tuoi nervi e giunge al cervello, causandoti un grande mal di testa. Mi agito, muove i piedi, cercando una posizione comoda, ma invano. Ora capisco perché questi marines di giorno sono sempre così stressati. Questo gran casino notturno fa venire i nervi a fior di pelle a chiunque.

Il giorno dopo, i soldati iniziano a recuperare i mezzi dell'armeria andati perduti con la tempesta della notte; il sergente Tacker aiuta gli altri suoi sottoposti a rimettere in moto un camion. Io osservo tranquilla da uno scorcio della mia tenda la situazione lì fuori. Un mano si porge sulla mia spalla, delicatamente.

"Queste tempeste di sabbia sono rare in queste zone, ma quando avvengono sono una vera scocciatura."
Seguo quella mano ruvida, con un anello a stemma di una famiglia, poi mi volto per vedere l'agente McNeil accanto a me.

"Me ne sono accorta."

C'è una breve pausa mentre entrambi guardiamo il movimento dei soldati lì fuori. Ora anche i miei due colleghi sono andati in loro soccorso, trasportando dei barili contenenti polvere da sparo, credo.

"Ho notato che spesso è venuto a trovarti Richard Castle..."
"Lo conosci?"
"Ho letto Nikki Heat. E quando ho conosciuto te, ho capito tutto."
Arrossisco leggermente, portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Questa mattina li ho tenuti sciolti, quindi prego vivamente che non ci siano altre raffiche di vento.

"Lui tiene a te, vero? Ma uomini e donne in guerra... è una brutta cosa... se lo fanno o è per morire insieme per una giusta causa, oppure perchè sono persone sole..."

Improvvisamente McNeil s'imbrunisce e inizia a camminare lentamente dentro la tenda e si guarda le sue medaglie. Capisco che c'è qualcosa che mi sta tenendo nascosta. Qualcosa che non vuole che io sappia. Qualcosa che potrebbe farmi venire un sacco di dubbi.

"Che intendi dire?"

Si morde il labbro, poi si toglie quel berretto militare, giocandoci con le mani, e torna a toccarsi quelle medaglie che ha sul petto della sua uniforme. Ne posso contare una decina... ma del resto, come mi aveva raccontato, Samuel McNeil ha passato la guerra del Vietnam, poi quella del Golfo del '91... deduco anche la guerra in Iraq e ora questa.

"Samuel... quale uomo e quale donna pensano che morire in guerra sia per una giusta causa? Almeno che non siano persone molto stupide..."
"...oppure sono persone tristi e sole." la sua voce si appassisce, gli occhi sono arrossati.

Qualcosa gli è tornato alla mente. Ma io voglio indagare, da brava detective che sono. Non capisco come questi marines concepiscano la guerra. Probabilmente non lo capirò mai. Ho visto Royce morire al posto mio, e ancora sono qui a pensare che dovevo essere io al suo posto... forse morire per la persona a cui si vuole bene... forse sarà questo il senso di tutto questo combattere, di questo partire insieme? Un uomo e una donna alla guerra, proprio come Rick ed io.

"Ma ci deve essere un altro modo, Samuel, per battere l'infelicità e la solitudine, non pensi?"
"Forse... uhm... una buona bottiglia di vino del '78 e sono felice come una Pasqua!"
Ride in un modo strano... isterico... amaro. Sta rispolverando altri ricordi dolorosi e dopo questo posso capire che ora sta tirando in ballo una donna che ha amato. Magari l'ha conosciuta sul campo, combattendo in qualche guerra. L'amore veramente non conosce tempo e spazio.

"Tu sei un uomo pazzo." gli dico quasi per rassicurarlo, lui però mi guarda assecondandomi.

"Non siamo forse anche noi un po' pazzi? Stare qui a parlare di cose che non hanno senso, rivangando tempi passati, guardando ai nostri amori e dolori lontani... aaah" guarda l'orologio "è tempo di ritornare sul campo, c'è un altro addestramento."

Lascia la tenda e io resto a contemplarlo. Quell'uomo ha sofferto veramente tanto nella sua vita che ora vive la guerra come il suo pane quotidiano. Forse siamo veramente tutti uomini soli, alla fine dei conti.

 

Tutto questo ragionare mi ha messo fame. Ma Tacker, l'omone nero, ci tiene sulle spine, e anche oggi ci fa armeggiare l'artiglieria pesante. Odio questi mitragliatrice M134 Minigun. E' pesante, è troppo grande per i miei gusti, e non riesco a tenerla in piedi. Tocca sparare e giocare al tiro al bersaglio, anche oggi. Ma oggi non sono in vena di tiri di perfezione, quindi la sagoma non la colpisco affatto. E se lo faccio, la prendo per i piedi.

"Beckett, non mi sembra quello il modo di sparare!! Non stiamo mica dando da mangiare ai piccioni!!"

Tacker urla contro di me, ma riesco a sentirlo poco dato che per non sentire i colpi del mitra mi sono messa due cuffie gigantesche.

Però vedo con la coda dell'occhio che a sentire la parola "piccioni", Esposito e Ryan si sono guardati in modo preoccupante.

 

"Somebody feeds these birds!!"

"Castle, avanti! C'è un caso da risolvere, per piacere..."

"Dai che ho visto un sorrisino... eccolo là... ops... eccolo!!"

"Sei uno scemo."
"Mi sei mancata anche te."

 

Mi è venuto un flashback di quando Rick era stato in vacanza agli Hamptons con Gina, mentre io avevo passato l'estate al distretto, da sola. Era tornato e aveva avuto il coraggio anche di immischiarsi in un caso di omicidio! Ma tuttavia non aveva mai perso il buonumore e neanche il suo senso dell'umorismo con quella battuta su Ryan ed Esposito, e su come loro fossero degli uccellini a cui badare...

"Avanti, vi sembra quello il modo di sparare?? Non stiamo qui a pettinare le bambole!!"

Tacker urla di nuovo e stavolta il mio pensiero va alle mie colleghe e agenti Bridget e Lauren.. così delicate, così fashion, che non riesco proprio a vederle maneggiare quei mitraglieri.

Alzo lo sguardo e vedo Rick in lontananza, insieme ad altri due scrittori, probabilmente suoi amici, visto che ci sta parlando animatamente. Poi lui mi rivolge uno sguardo, continuando comunque a chiacchierare con i suoi colleghi.

 

La sera su Israele è una cosa spettacolare. Una persona normale pensa che essendo un paese mediorientale non ci sia granché, se non palazzi e chiese, invece Tel Aviv è industrializzata quasi quanto Dubai. Da lontano si ergono immensi palazzi pieni di luci colorate, e sicuramente ci saranno anche autostrade vaganti...

"Ho quasi finito 50 pagine... dici che a Gina andranno bene?" Rick sbadiglia e si siede accanto a me, mostrandomi il suo tablet.

Siamo sul dirupo di una roccia, ecco perchè si vede molto bene la visuale della città da lontano. Siamo seduti e ci gongoliamo le gambe, oscillandole avanti e indietro. Tengo i capelli sciolti, indosso una maglia a maniche corte bianca, e i pantaloni mimetici della marina.

"Beh direi di sì... magari se ingrandisci il carattere sembrerà che le pagine sono di più!" cerco di fare l'intellettuale, prendendolo in giro.

"Divertente, detective, molto divertente." mi fa una smorfia e io ricambio con una linguaccia.

Torniamo ad osservare il paesaggio e inspirare l'aria tranquilla di quella splendida serata con un cielo stellato... uno dei più belli che abbia mai visto... forse perchè sono accanto all'uomo che amo.

"Sai, Rick... oggi McNeil mi ha fatto uno strano discorso sugli uomini e le donne che vanno in guerra..."
"Oh ti prego, niente sentimentalismi!"
"Stammi a sentire, potrebbe essere utile per il tuo reportage."
Imbroncia la faccia, fa finta di pensarci su roteando gli occhi.

"Va bene."
"Okay." prendo un bel respiro e cerco di formulare il discorso a mente "Secondo te perché i soldati combattono? Voglio dire, partono per lasciare la propria famiglia, pur sapendo che potrebbero incontrare la morte... perché lo fanno? Io non riesco ancora a capacitarmi, Castle. Dicono che lo fanno per una giusta causa, oppure sono solo uomini soli..."

"E tu perchè credi siamo qui, Beckett?"

Ma Rick mi sta facendo una domanda alla quale non so darmi risposta. O meglio... sarebbe più sensato dire perché è il governo che ci ha scelti, ma sarebbe banale. Sento che la sindrome dei Marines di cui parlava McNeil si sta impossessando di me. E' come un pensiero che s'insinua, lentamente, molto piano, e mi sussurra. Magari è quel rumore assordante che sentivo nelle notti passate in trincea.

"Non lo so, Rick. Onestamente non riesco ancora a trovare una risposta."
"Forse siamo semplicemente un uomo e una donna soli."

Ci guardiamo per un istante, prima gli occhi, poi le labbra. Ma quella sera non è fatta per posare le labbra le una sulle altre, anche se il desiderio c'è, eccome. Appoggio la testa sulla sua spalla, lui fa altrettanto, posando la sua testa sulla mia e restiamo così, senza dire nulla, a guardarci questo fantastico panorama.

 

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Capitolo 7
*** Ma anche noi piangiamo come le stelle a testa in giù? ***


Scusate il ritardo ma causa studio non potevo aggiornare

Scusate il ritardo ma causa studio non potevo aggiornare!

Ho fatto un esonero di diritto (il famoso esonero lol) e vi dico solo che ho copiato per filo e per segno sui riassuntini grazie al prof e assistenti che interrogavano agli studenti... Dio benedica gli studenti Erasmus!!
Vabbeh bando alle ciance, ecco il nuovo cap!! Non vi anticipo nulla u.u

 

 

 

Ma anche noi piangiamo come le stelle a testa in giù?

 

 

 

Sembra incredibile ma è già passata una settimana e domani salperemo alla volta della città santa.

Sono stata con Bridget e Laura al mercato nei pressi di un villaggio qui vicino... è povero, ma ci sono cose particolari, che almeno per me, una donna occidentale, non indosserebbe mai. Ho comprato un velo di cotone, color bianco, molto semplice e con perline colorate ai lati.** Le donne israeliane lo chiamano "snood" e messo in testa crea una specie di cappuccio.

Vorrei usarlo per qualche serata speciale, ma qui in guerra come si fa a trovare un'occasione simile?

Il sergente Tacker mi ha addirittura consigliato di tagliarmi i capelli altrimenti in addestramento avrebbero causato problemi.

Da una parte sono stanca di farmi una cipolla per tenermi i cappelli sopra, ma dall'altra mi piace troppo averli lunghi.

 

Verso pranzo, soldati, giornalisti e scrittori, ci siamo riuniti tutti insieme a mangiare. Qualcuno su un tavolo, altri da un'altra parte... in ogni caso è una scena molto intima che dà il senso di essere in famiglia. Poi alcuni si alzano e prendono altro cibo, altri si radunano in cerchio. Di nuovo la Sindrome dei Marines si fa sentire anche in questa occasione. Abbiamo delle tazze con dentro una zuppa deliziosa che ci ha preparato il cuoco addetto delle trincee, tale Zac. E' un ragazzo canadese di circa 26-27 anni, che si era arruolato per fare il marine, però alla visita medica lo avevano scartato perchè troppo magro. Così lui si era accontentato di fare il cuoco, seguendo sul campo i soldati. Racconta però che molto spesso in addestramento gli fanno sparare qualche colpo, il che a lui non dispiace.

"Certo, una cosa è stare sul campo e fare queste cose... un'altra è farlo quando sei in addestramento. Mi capisce, agente... signora...?"
Rido di fronte l'evidente imbarazzo di Zac.

"Chiamami Kate... ho qualche anno più di te, per carità, non sono ancora una signora!"

Poco più in là, vedo Rick assistere ad un'animata discussione tra un suo collega scrittore e un soldato. I due si stanno puntando le dita uno contro l'altro, ma Rick è lì che prende appunti, quasi divertito. Sembra che stia assistendo ad un incontro di boxe. Per certi versi non cambia proprio mai, resta sempre un bambino di 12 anni, in fondo.

"Voi scrittori ci rappresentate come degli eroi di guerra, che si alzano la mattina convinti di andare a fare una scampagnata... ma chi vi credete di essere? Voi non sapete cosa vuol dire stare qui, cazzo!!" urla il soldato dai capelli biondi, alto e muscoloso.

"Nessuno ha mai detto che siete degli eroi... eroe è una persona che si batte per degli ideali, che sacrifica se stessa per ciò in cui crede e poi torna a casa... morto! E lo Stato gli regala una medaglia al valore... ecco qua!" dice lo scrittore, minuto, moro con degli occhiali da vista molto costosi, che ogni tanto sistema sul naso, dandosi quell'aria superba.

Rick si da dei colpi sulla fronte, coprendosi il volto, forse vergognandosi per quelli della sua "razza".

"Ma io ti spezzo in due, razza di pagliacc---"

Deve intervenire McNeil per separare i due e far tornare il soldato biondo sull'attenti.

"Soldato, ti sembra questo il modo di dare il buon esempio davanti ai nostri concittadini? Siamo qui per servire il paese, non per fare figure di merda!"
"Signorsì sergente!" fa il soldato, mettendosi sull'attenti.

Improvvisamente è diventato rigido e si è stato zitto. Poi McNeil fa segno agli altri di continuare e osservo Rick che alza una mano lentamente.

"Posso dire qualcosa?"
"Certo."
Oddio e ora cosa mi combina?

"Prima di tutto volevo riferire che qui non ci sono solo scrittori che parlano di guerra e di eroi. Ma ci sono anche scrittori che come me, parlano di eroine..."
Sto temendo il peggio... se osa mettere in mezzo cose come "musa" o Nikki Heat, giuro che lo ammazzo...

"...che sono fonte di ispirazione per molti di noi, sopratutto per me! Ogni scrittore ha la sua propria musa, sapete?"
Bridget e Laura lo guardano come due oche giulive, poi le vedo che confabulano tra loro e rivolgono sguardi verso di me... perfetto, Kate si prepara alla sua figura di merda. Ci penserà Beckett a prendere Rick Castle a calci in culo.

"Oh mio Dio ma lui è Richard Castle, lo scrittore di Nikki Heat!!"
"E Nikki Heat è Kate Beckett, la sua musa!!"
Sento gli sguardi dei militanti su di me... immagino cosa staranno pensando... mi ci vedono in quelle scene tratte dai libri di Castle, vestita sexy e in atteggiamenti provocanti col suo scrittore... mai sentita così in imbarazzo. Raggiungo Rick pronta per metterlo da parte.

"Veramente non era questo che volevo dire..." Castle cerca di salvare la situazione, ma ormai è troppo tardi.

"Lo scrittore e la sua musa che combattono il crimine... qui in guerra!" fa Laura con lo sguardo sognante.
"Com'è romantico!" conclude Bridget, nel momento in cui sto per prendere Rick per un orecchio e rimproverarlo, ma ormai sembra essere diventato palese a tutti che tra me e lui c'è qualcosa che va oltre i libri.

Abbasso lo sguardo, rinunciando ad incenerire Castle, mentre lui si sistema la sua camicia e poi mette un braccio attorno alla mia vita, portandomi vicinissima a lui.

"Beh ci avete scoperto!" dice poi sorridendo.

Quando trovo il coraggio di alzare lo sguardo, vedo McNeil scuotere la testa e guardarmi torvo.

 

"C'è qualcosa che non va? Cos'era quello sguardo? Devo aspettarmi la paternale?" irrompo nella tenda dove il sergente McNeil sta preparando quelli che a prima vista sembrano piani di guerra.

Ma lui non alza minimamente il viso.

"E' per quel discorso su un uomo e una donna in guerra, vero? Hai paura che possa succedere qualcosa che comprometta la missione?"

Continuo a far domande, di cui so non riceverò alcuna risposta. Il sergente continua a sistemare i suoi documenti, poi passa ad un tavolo dove ci sono dei piccoli carro armati in miniatura, che sistema appositamente sopra una mappa, come se stesse giocando alla battaglia navale.

"E' per via del suo passato, vero? Di questa donna che ha conosciuto sul campo... se n'è innamorato... e l'ha persa in guerra... teme che possa succedere lo stesso tra me e Rick Castle?" mi azzardo a dire, mordendomi subito il labbro, quasi come se volessi rimangiarmi ciò che ho detto.

Non sono mai stata brava ad esternare i miei sentimenti e dire quello che provo, ma quest'uomo forse mi ricorda troppo mio padre, e sentendo la mancanza della figura paterna reale... trovo il sergente McNeil come mio appiglio. La verità è che non sono neanche mai stata brava nelle relazioni con gli uomini.

Samuel McNeil si alza lentamente guardandomi fissa negli occhi. Poi mi porge una foto... è un po' sbiadita, però riesco a riconoscere un lui da giovane con accanto una ragazza. Entrambi vestiti con le tute mimetiche.

"E' davvero brava come detective." mi dice e poi si allontana tornando ai suoi carri armati di plastica, a giocarci, così come se non fosse successo nulla.

Trattengo le lacrime perchè anche stavolta il mio intuito non ha sbagliato, proprio come mia madre... lei non mancava mai un colpo, per questo è stata uccisa, credo... ma ora mi sento in colpa... e mi sorge un'altra domanda: ma la guerra può cambiare davvero un uomo? Io ho sempre detto che dopo che si è visto la morte in faccia, inizi ad apprezzare la vita. Ma loro dicono che quando vai e vieni da una guerra, è come se fossi andata e venuta dall'Inferno... e la tua vita non è più la stessa.

Ho bisogno di stare con qualcuno con cui posso sentirmi davvero a casa... ma prima devo fare una telefonata.

 

Sono visibilmente sconvolta e ancora sopra pensiero, non mi accorgo di scontrarmi con Rick.

"Ehi, Kate..." mi prende per il braccio, voltandomi verso di lui, "che succede?"
Crollo per l'emozione, diventando un salice piangente... perchè sto piangendo... non riesco a fermare le lacrime, poi prendo la collanina di mia madre che ho sul collo.

"Ho bisogno di chiamare mio padre, Rick."
Lui non dice nulla, ma fa un cenno di assenso con la testa, asciugandomi le lacrime.

"Prima però bisogna togliere queste dal tuo viso altrimenti bagnerai tutto il mio tablet!"
"Scemo." gli dò uno spintone e improvvisamente mi torna il sorriso.

Com'era quella canzone degli Oasis? Ah sì, and after all, you're my wonderwall. Rick Castle, sei il mio muro delle meraviglie. Ma non glielo dirò mai... forse.

 

Rick mi adagia il suo tablet sulle gambe, skype è già aperto. Scorro con le dita sullo schermo, ma sono sudate, sto tremando e combino un casino. Allora lui prende lo strumento e scorre la lista di skype per me, finché trova il contatto di mio padre... ci clicca su, alza il volume e in sottofondo si sente un "tu tu"...

Il mio scrittore fa per andarsene, riportando il tablet sulle mie gambe, ma lo fermo, facendogli segno di sedersi accanto a me. Finalmente appare qualcosa... oh mio Dio, c'è mio padre dall'altra parte dello schermo.

"Kate, tesoro... come stai? Tutto bene laggiù?"

Non mi chiede neanche perchè me ne sono andata senza avvertirlo. Probabilmente non c'è bisogno ora di fare questa domanda, sarebbe troppo sciocca.

"Papà... papi..." dico piangendo, e con la tuta mimetica mi asciugo le lacrime dal viso.

"Kate, sono qui, parlami bambina mia..."
"Papà mi spiace essermene andata sena dirti nulla... è stato tutto così improvviso... mi manchi... e mi manca mamma..." dico alla fine, senza più fiato in bocca.

"C'è qualcuno lì con te?... oh ciao Rick... ho sentito che anche gli scrittori hanno seguito i giornalisti lì in Israele..."

"Sì signor Beckett... qui fa un caldo bestiale... meglio New York! Com'è lì il tempo?"
Capisco che Castle sta perdendo tempo mentre io cerco di riprendermi e questo mi fa piacere. Lui mi capisce sempre. Sempre. Faccio segno a Rick che ora sono in grado di riprendere la conversazione.

"Papà, scusami davvero, io---"
"Zitta Kate, per l'amor del cielo! Pensa piuttosto a tornare a casa sana e salva, okay? Ma sono sicuro che accanto a Rick non corri nessun pericolo... vero figliolo?" gli fa l'occhiolino, oddio.

"Ti voglio bene, papà."
"Anche io, Kat."

Semplicemente chiudiamo la conversazione. Torno a respirare di nuovo. E' stato breve ma intenso.

"Grazie, Castle."
"Sempre." fa lui sorridendomi e io ricambio facendo lo stesso, e poi stringiamo le mani.

 

Sta calando quasi la sera su Tel Aviv e il sergente McNeil ci ha portati ad osservare un po' la zona fuori dalla metropoli, la parte povera. Qui gli scrittori e i giornalisti hanno modo di completare il loro reportage, mentre i marines si incontrano con la gente povera. Indosso quel velo bianco che ho comprato la mattina al mercato e l'ho adagiato intorno ai miei capelli. Un po' di trucco, leggero, e voilà. Dalla mia tenda scruto Castle chiacchierare allegramente con Esposito e Ryan. Poi finalmente li raggiungo. Rick deve trattenere il fiato per qualche secondo vedendomi. Esposito e Ryan diventano più composti e l'ispanico si mette a fischiare.

"Wow Becks... c'è una festa da qualche parte?"
"Spiritoso. Allora Castle, ti sei imbambolato?"

Atteggiarmi come quella che seduce mi fa ricordare quando andammo sotto copertura in quella discoteca, qualche giorno dopo il nostro primo bacio... sotto copertura anche quello. Solo che non mi metto ad ancheggiare e non ho neanche un abito nero succinto. Indosso una maglia lunga color azzurra e un paio di jeans... molto semplice, appunto.

"N-no stavo solo vedendo... e... wow."

"Anche tu." sorrido "Andiamo, forza. McNeil ci attende."

 

Attraversiamo un villaggio sopra delle gip, uno di quei tanti che il governo chiama "villaggi non riconosciuti", piccoli agglomerati senza servizi basilari, che non vengono neanche segnati sulle cartine geografiche perchè si ritengono situati in territorio instabile, tra il Sinai e la Giordania. E' ormai sera, una luna piena in cielo e una miriade di stelle.

Ci fermiamo e appena scendiamo alcuni bambini ci vengono incontro. Vedo marines che sono a proprio agio in mezzo a loro... li abbracciano e poi regalano qualcosa ai piccoli. Le madri si apprestano a prendere i loro figli per paura che possano urtare i soldati... ma loro si ritirano e continuano a saltellare.

"Quanta povertà e pensare che siamo a pochi km dalla città..." dice Ryan contemplando il paesaggio, poi si allontana appena sente squillare il suo i-phone: è Jenny. "Oh scusate... la mia sposa mi chiama."
"Vai fraté, nessuno ti tiene!" lo sollecita Javier, che subito si fa cupo.

"Nessuna notizia da Lanie?" chiede Castle.

L'ispanico scuote la testa mentre io e Rick ci guardiamo e ci sfioriamo le mani, per poi stringerle. Non ci accorgiamo che una bambina mi sta tirando i pantaloni, cercando di attirare la mia attenzione. Ma la sua lingua non la conosco... per me arabo o aramaico sono la stessa cosa, quindi non saprei proprio decifrarlo.

"Scusate, i piccoli si avvicinano quando vedono qualcosa che gli piace..." McNeil si avvicina per spostare la bambina, "in questo caso lei pensa che tu sia una principessa uscita dalle favole."

"Ma no, lasciala." gli faccio e poi mi avvicino alla piccola, avrà avuto all'incirca 6 anni.

"Che cosa sta dicendo?" chiede Castle al sergente.

Samuel ascolta attentamente quella lingua gutturale incomprensibile per i nostri orecchi americani.

"Dice che Kate somiglia alla principessa Sherazade de 'Le mille e una notte'... ha letto una storia del libro proprio ieri ma c'è qualcosa che non riesce a capire... ti vuole chiedere se..." si ferma un attimo e poi fa una strana faccia, non capendo forse cosa vuole dire la piccola "ma anche noi piangiamo come le stelle a testa in giù...?"

Io e Rick ci guardiamo.

"E che vuol dire?" chiediamo insieme.

"Non ne ho idea." dice il sergente con quell'aria malinconica, come quella che aveva quando qualche ora prima mi aveva porto quella foto di lui e una ragazza... e poi si allontana silenziosamente. La bambina lo segue e poi chiama la sua "ummi" che in arabo è "mamma".

Io e Rick restiamo a guardare lo scenario, uno affianco all'altra.

"Quel sergente nasconde tante cose, vero?"

"Credo che la guerra lo abbia segnato più di quanto non voglia dirci."

Torniamo a prenderci per mano, poi Castle mi guarda coi suoi occhi azzurri... anche se questa sera sembrano più cristallini del solito... più profondi... con le mani mi sfiora la guancia destra... poi la sinistra... infine posa le mani sul mio volto, afferrandolo, quasi con la disperazione, come se quel momento fosse davvero l'ultimo. E l'unica cosa che so è che quegli occhi azzurri e limpidi si chiudono e si sente solo il rumore di un bacio... sotto le stelle... e la mia testa non è in giù, ma è al settimo cielo.

 

 

 

 

** in pratica Kate col velo sarebbe come Stana in questa foto *-* http://i2.listal.com/image/1221467/600full-stana-katic.jpg

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Capitolo 8
*** Tu credi nel destino? Io ciecamente. ***


Salve

Salve! Come avete passato questo Natale? Spero tutto ok!!

Approfitto per ringraziare tutti quelli che hanno aggiunto questa storia nei preferiti, nelle ricordate e nelle seguite.

E ora un bel capitolo!

 

 

 

"Tu credi nel destino? Io ciecamente."

 

 

 

La dolce e fredda brezza della sera e successivamente della notte, ha lasciato spazio al calore inebriante del mattino. Quando i primi raggi del sole colpiscono il deserto, essi sono caldi, e a toccarli quasi ti bruci, ti disintegri. Mia madre mi raccontava spesso storie dei popoli orientali e io gli chiedevo perchè siamo noi gli occidentali e perchè dobbiamo essere così diversi gli uni dagli altri quando poi alla fine siamo stati creati a immagine e somiglianza di Dio? Un'altra domanda di cui tuttora cerco di dare risposta... ma ad essa si è aggiunto il perchè gli uomini combattono tra di loro se siamo fatti tutti della stessa pasta?

Questa mattina mi sono svegliata con una nuova sensazione. Mentre siamo sulle nostre gip e suv, dirigendoci verso Gerusalemme, mi tocco le labbra, ripensando a quel bacio della scorsa sera. Un bacio disperato, con l'intenzione di non consumarsi in fretta, ma che lentamente iniziava a prendere fuoco... e iniziava ad ardere proprio come fa il sole sul deserto a prima mattina. Ora riesco a capire la sensazione. Sorrido.

"Becks stamattina è di buon umore..." sento Esposito che spettegola con Ryan.

"Forse ha fatto un bel sogno!" risponde ingenuamente l'irlandese.

"Uhm più che sogno, io direi un bell'incontro... ieri sera..."

Alzo lo sguardo, riprendendomi e dò una botta ai piedi dei due amici che sono seduti avanti a me.

"La volete smettere! Sembrate due comari!" arrossisco lievemente e mi stringo con le mie braccia, rannicchiandomi.

"Allora perchè stai arrossendo?" continua l'ispanico.

"Ho caldo!" rispondo a metà tra l'essere scocciata e metà divertita "E poi non è vero che siete due comari, eh?"
Stavolta sono loro due a diventare rossi, sentendosi un po' imbarazzati. Mi mordo il labbro e mi arriccio una ciocca di capelli che pende da un lato, giocandoci. Anche Ryan e Esposito capiscono che li sto prendendo in giro, perciò si guardano, mettono le braccia conserte e si fingono generali, mettendo petto in fuori e pancia in dentro. Il loro atteggiamento del fingere di "non respirare" provoca una risata in me e negli altri 3 agenti di polizia che sono seduti insieme a noi. Gli uccellini hanno colpito di nuovo.

"La vogliamo piantare qua dietro? Non stiamo mica al circo!! Un po' di contegno!!"

Impeccabile come sempre, l'agente Tacker si affaccia dal posto di passeggero vicino al guidatore, che è McNeil, e ci ruggisce facendoci stare zitti. Ingrugna i denti come un segugio e poi guarda con quegli occhi neri e profondi, guardandosi a destra e a sinistra. Infine, richiude una specie di tenda che separa i due agenti da noi poliziotti.

"Pitbull si è arrabbiato..." dice Kevin sottovoce.

"...e quando lo fa diventa un Mastino!" conclude Javier, e poi si danno il cinque.

Di nuovo una risatina tra gli agenti, mentre il Mastino Tacker si affaccia di nuovo per farci star zitti, e tutto è calmo. Nessuno fiata.

"E dai, Tacker, lasciali respirare almeno... non sono mica agenti come noi!" McNeil, dal posto di guidatore, cerca di tenere a bada il Mastino.

"Signorsì signore."

Ecco che Javier e Kevin hanno dato un nuovo soprannome: il Mastino Tacker.

 

Arrivati nella base militare, subito ci fanno riunire con gli altri agenti comandati dal sergente Mike Douglas. All'inizio Douglas era stato assegnato a Tel Aviv e noi a Gerusalemme, poi si sono invertiti i ruoli. McNeil ha detto che "Fa parte del protocollo", senza però darci ulteriori spiegazioni. E così abbiamo seguito gli ordini. Gli scrittori e i giornalisti sono invece attesi nel pomeriggio. A loro è riservato un trattamento migliore, visto che sono più esposti al pericolo e non sono addestrati come noi. Non vedo l'ora di rivedere Rick...

"Ben arrivato, agente McNeil. Com'è andato l'addestramento a Tel Aviv?"
"Questi poliziotti sono ancora estranei al territorio, ma la tecnica ce l'hanno. Magari servirà ancora un po' di perfezionamento, sergente Douglas."

Samuel McNeil e Mike Douglas ci squadrano uno per uno, mentre noi ordinatamente siamo disposti in file e righe, corretti nel portamento, senza muovere un muscolo, senza guardarci intorno. Poi il sergente fa un passo avanti, mettendosi le mani dietro la schiena e schiarendosi la voce.

"Benvenuti a Gerusalemme. Questa non è una scampagnata, qui vedrete gente passarvi vicino tranquillamente e non sospettare nulla della vostra presenza, ma quando meno ve l'aspettate, preparatevi a venire a contatto con una bomba, donne kamikaze e mine antiuomo. L'agente McNeil vi fornirà in dettaglio quali sono i posti più pericolosi da evitare. Godetevi il soggiorno nella città santa."

Si congeda salutando McNeil, poi ci volta le spalle, incamminandosi verso la sua tenda.

"Che bel saluto di benvenuto..."
"Zitto, Ryan!" gli dò una gomitata, parlando come lui a bassa voce, a denti stretti, per paura di essere sentita.

McNeil ci guarda e aggrotta un sopracciglio.

"Questa è Gerusalemme, forza diamoci da fare."

 

Ho il cuore in tempesta, perchè il mio unico pensiero è rivedere il mio Rick. Ma degli scrittori e giornalisti nessuna traccia. Devo pensare ad altro, non voglio stare con il batticuore fino a quando non lo rivedrò. E nessuno vuole dirci nulla. Gli addestramenti proseguono anche qui, anche oggi dopo pranzo. Ma furbamente, sgattaiolo dagli armamenti e decido di esplorare un po' la zona. Ho rubato una cartina dalla tenda di McNeil, sperando non se ne accorga, e sto seguendo alcune tracce che lui ha segnato. Questa città non sembra essere così pericolosa. Eppure sono sempre le apparenze che ingannano. Da quest'altura dove mi trovo, fuori le mura della città, posso vedere al centro la famosa cupola della Roccia che si erge fieramente, col suo centro dorato. Con molta attenzione, scendo dall'altura, reggendomi su delle rocce e aiutandomi così a scendere, fino a seguire una specie di sentiero che mi porta nella città.

Anche qui la gente è come quella di Tel Aviv, solo meno "metropolitana" come città. Donne col velo, bambini che giocano per le strade, uomini che guidano macchine o taxi e che si fermano ad osservare le ragazze per le vie. Cautamente mi copro il viso anche io, allungando il mio velo di seta bianco che comprai al mercato qualche giorno fa, e me lo faccio cadere sopra le spalle, in modo da nascondere i capelli lunghi. Mentre passeggio e osservo i mercati e qualche negozio, sento gli sguardi dei passanti su di me e questo mi fa innervosire. Qualcuno parla in una lingua a me sconosciuta, indicandomi. Forse non è stata un'idea saggia allontanandomi dalla base...

"Anti americanyya?"

Sei americana? mi chiede un uomo, venendomi addosso di proposito contro la spalla e facendomi in parte un po' male. Io non rispondo e semplicemente continuo a camminare in avanti.

Ora anche le donne mi guardano male e si rinchiudono nelle loro case. Mi sento estranea nel vero senso della parola. Poi mi volto solo per vedere l'uomo di prima insieme ad altri due, che mi sta seguendo.

Continua ad andare avanti, piccola Kate, non voltarti.

Mi sembra di sentire la voce di mia mamma... ma poi scuoto la testa, questo è impossibile.

Non fare niente di stupido, non fare l'eroina.

Ora sento la voce di Rick nella mia testa.

Devo proprio stare male... forse il sole del deserto mi sta dando troppo alla testa... ma del resto siamo a Gerusalemme, c'è anche la Sindrome di Gerusalemme... vuoi vedere che torno a casa e sono convinta di essere un Messia?

Mi avvicino ad un muro di una casa... mi gira la testa... e la voce di mia mamma mi rimbomba in testa... mi accascio a terra... sto perdendo i sensi... e questi tre uomini sono davanti a me... chinati su di me... ma è tutto così scuro...

 

"Katie, non cacciarti nei guai... fai la brava bambina..."

"Ma mamma, io voglio solo giocare con quei bambini!"

"Quei bambini sono dei musulmani, Kate. E i loro genitori sono sospettati di essere responsabili di una strage avvenuta in Libano..."

"Che cos'è una strage?"

"Hanno fatto del male a delle persone innocenti, Katie..."
"Ma i bambini non c'entrano nulla, vero mamma?"
"Certo che no, bambina mia."
"E allora perchè non posso giocarci?"
"Perchè sono bambini cattivi. Tu vuoi stare dalla parte dei buoni o dei cattivi, Kat?"
"Quando sarò grande combatterò il crimine, mamma... diventerò una supereroina... come Wonderwoman!"

 

"Kate, riprenditi... riesci a sentirmi? Kate! Dottore, crede che si rimetterà?"
"Lo spero... forse le è mancata l'aria... non è facile respirare l'atmosfera di Gerusalemme."
I due uomini parlano a pochi metri da me. Apro a fatica gli occhi solo per scoprire di ritrovarmi di nuovo in un ospedale... sono proprio una fragile, non c'è niente da fare... a volte mi chiedo perché sto facendo la poliziotta se mi manca il fegato di affrontare certe persone che vogliono farmi del male?

"Oh si è ripresa..."

Samuel McNeil si avvina a me, sentendomi la fronte, e con fare molto paterno, lo vedo prendermi la mano e guardarmi con occhi preoccupati.

"Ma che t'è preso? Allontanarti dalla base così, senza dire nulla?"
"M-mi spiace... io..."
"Non farlo mai più!" mi dice e nel suo tono di voce, percepisco quello di un padre arrabbiato perchè sua figlia si è allontanata da casa e gli ha fatto prendere uno spavento.

"Kate, sono il dottor Amir..." l'uomo col camice bianco si avvicina porgendomi una medicina "l'agente McNeil mi ha detto che non è il primo svenimento. Magari è il sole del deserto a cui non sei abituata... hai una carnagione chiara. Questa è una medicina utile per i giramenti di testa, la consigliamo per i turisti in visita a Gerusalemme che svengono e poi si risvegliano in ospedale convinti di essere il Messia!" ride e McNeil fa lo stesso.

"La Sindrome di Gerusalemme." dico sorridendo.

"Sì proprio quella. Per fortuna a te non è successo. Nel sonno però chiamavi tua madre..." dice il dottor Amir, guardandomi e sicuramente starà pensando che sono una povera ragazza orfana che non sa cosa fare senza una figura maschile al suo fianco.

"Beh vi lascio soli."
Il dottore si congeda, mentre Samuel si siede sul lettino dove mi sistemo comoda, per vederlo in viso. Sospira.

"Ah Kate, cosa devo fare con te?"

Ingenuamente alzo le spalle arricciando la bocca, come una bambina.

"Tu credi nel destino? Io ciecamente." gli dico, dopo qualche secondo. Lui mi guarda come se avessi appena detto la più grande stronzata del mondo. "Mia madre mi raccontava sempre storie di mediorientali... di come siano diversi da noi... e io non ci credevo, perchè non volevo crederci... c'erano bambini musulmani nella mia classe alle elementari... ma lei mi impediva di giocarci perchè i loro genitori erano dei terroristi..." rido nervosamente, giocherellando con il panno del lenzuolo "...prima ho sentito la sua voce, quando ero inseguita da quei tre uomini e credo che lei mi stesse avvertendo del pericolo... di non fidarmi di loro... perchè non sono buone persone... è assurdo, lo so, ma ho come avuto la sensazione che lei fosse qui, con me." lo guardo e lui si allontana come se iniziasse a pensare che sono veramente matta.

Il mio è uno sguardo di disperazione... in quel momento avrei tanto desiderato la mamma accanto a me... a proteggermi...

"Kate, io sono un uomo razionale e non ho mai creduto a queste cose in seguito alle perdite che ho subito nella mia vita ma... quando vedo una persona fragile come te, non posso che---"

"Fragile?! Tu pensi questo di me??" lo interrompo prima che possa finire, furente e gli punto il dito contro. "Perchè tutte le persone sono così interessate a salvarmi? Prima Rick che mi accusa delle scelte che faccio in campo amoroso, poi tu che fingi di essere mio padre per colmare il vuoto che hai dentro... per aver perso una figlia... io---" mi blocco appena vedo il suo sguardo.

Prima o poi la verità doveva venir fuori, ma l'ho ferito. Così come avevo ferito Rick con quel "You wanna know what we are? We are over." E' più forte di me. Quel muro che ho dentro... non so quando verrà abbattuto, perchè continuo a costruirne sempre uno più forte.

"Hai ragione, Kate, scusami." Samuel si mette le mani avanti e imbarazzato si gratta la testa "Volevo solo dirti che quei tre uomini che stavano cercando di violentarti, erano ex terroristi di una strage nel Libano meridionale avvenuta nell'87."

Un colpo di fulmine mi colpisce. Un lampo mi attraversa. E in attimo rivivo la scena con mia madre nel momento della mia semi-coscienza. Quei bambini con cui volevo giocare da piccola... i loro genitori... sono gli stessi che volevano abusare di me oggi?!

Coincidenza, caso, destino. Io ci credo ciecamente e adesso lo so.

"Sono loro quei padri di quei bambini con cui volevo giocare quando ero piccola." gli dico e poi lui mi guarda "Adesso credi nel destino? Io ciecamente." concludo fermamente.

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Capitolo 9
*** Muro di pietra, muro invisibile. ***


Buon anno a tutti

Buon anno a tutti!! :) eccomi qui col nuovo cap.

Tra l'altro ho letto che l'Iran ha inviato 2 missili a lungo raggio come "esercitazione" che hanno sfiorato Israele... ecco, non voglio portare sfiga con questa storia XD

Nel frattempo, vi auguro una buona lettura!!


 

Muro di pietra, muro invisibile.

 

 

 

Tornare alla vita di tutti i giorni non è mai facile.

Ricordo ancora di aver sentito una frase del genere da alcuni soldati durante il pranzo. Non riesco a ricordare il volto della persona che ha pronunciato ciò, era tutto così offuscato, e inoltre i miei ultimi giramenti di testa non mi hanno fatto bene.

 

C'è sempre quel muro che ti separa da ciò che è reale, come la tua famiglia, i tuoi affetti... e ciò che non è più reale, come la guerra. Arrivi ad un certo punto, che non riesci a distinguere più nulla.

E se anche il mio muro fosse esattamente così?

 

Dopo quel pomeriggio passato in ospedale, ho camminato un po' zoppicante fino all'accampamento. Samuel McNeil ha dovuto aiutarmi, appoggiandomi a lui con un braccio attorno la sua vita, e con l'altro posato in avanti, cercando di camminare da sola. Fortunatamente avevo indosso la mia tuta mimetica e questo deve avermi aiutato a stare in piedi. Se fossi stata con un vestito, la cosa sarebbe andata a mio svantaggio.

Quello stesso giorno, ero anche impaziente di tornare in trincea per un altro motivo: avrei rivisto Rick, il mio Rick. Ma degli scrittori, ancora nessuna notizia. Qualche giorno dopo, Tacker ci ha spiegato che il gruppo di scrittori e giornalisti è stato fermato lungo il confine, essendosi avvicinati troppo alla striscia di Gaza per fare qualche foto, alcuni musulmani, insospettiti, li hanno fermati, facendo loro molte domande. Nessun trattamento, nessun ferito, ci hanno assicurato, tuttavia, alcuni di loro sono rimasti scossi dall'incontro faccia a faccia "col nemico".

In conclusione, i nostri amici sono arrivati a Gerusalemme proprio ieri sera. Ed è da ieri sera che vengo a distendermi accanto a Rick, di tanto in tanto, appena posso. Lui è uno di quelli che è rimasto colpito dai musulmani, e da quando è arrivato, ha mangiato poco e ha preferito recuperare il sonno perduto.

Mi tolgo la giacca, resto col pullover color azzurro a collo alto. La notte si avvicina, e inizia a fare freddo, ma giacendo vicino a Rick, col suo corpo caldo, è come se avessi una stufetta di 40 gradi personalizzata. Sciolgo i capelli per adagiare meglio la testa, poi mi infilo sotto le coperte, mettendomi laterale, in modo da guardare il suo profilo mentre dorme. Sorrido. Lui sembra un orsacchiotto quando dorme. Non è la prima volta che lo guardo dormire. Mesi fa, quando restammo ammanettati insieme, mentre una tigre voleva mangiarci, ci svegliammo esattamente in questa posizione. Poggio un braccio sul suo torace, e lui muove le labbra, ma è un movimento impercettibile... forse sta sognando... e inconsciamente, mi stringe la mano, poi sussurra qualcosa... forse il mio nome? O magari un bel piatto di pasta?

"Kate, il sergente Douglas vuole veder--- ops, scusate!"

Mi volto di scatto, ricomponendomi nella mia posizione e vedo un Kevin Ryan imbarazzato davanti l'uscio della tenda. Poggia le mani davanti la faccia, coprendo tutto il volto... manco stessimo facendo chissà cosa, io e Castle.

Gli faccio segno di fare silenzio, dò un'ultima occhiata a Rick, assicurandomi che stia dormendo, poi mi alzo e raggiungo il mio collega, che nel frattempo è già uscito dalla tenda.

"Scusami, Becks, non volevo interrompere!" fa lui, agitando le mani.

"Ryan, tranquillo, davvero. A proposito, cosa stavi dicendo?" cambio discorso, schiarendomi la voce, per assumere una posizione più autoritaria.

Kevin indica Mike Douglas mentre osserva un missile abbastanza grande, insieme a McNeil, Tacker e altri soldati.

"Il sergente Douglas vuole vederci. In base a quello che ha trovato oggi."
"Forse vuole parlarci di questo missile... troppo grande per i suoi gusti, vero?"
Osserviamo la scena. Il gruppo di uomini sembra preoccupato. McNeil è pensieroso, Douglas fa una faccia costernata, Tacker sembra un gorilla pronto al combattimento.

 

"Ma sono pazzi a fare riunioni in accampamento anche di sera? Non lo sanno che arrivati ad un certo orario dobbiamo andare a dormire?" Kevin parla sottovoce lamentandosi. Muove lievemente le labbra, convinto che nessuno possa vederlo.

"Che c'è, hai paura di perdere l'episodio di The Vampire Diaries in diretta?" Javier Esposito invece lo prende in giro, sempre facendo una faccia seria.

Il bello di quei due è che non si capisce quando sono seri o quando scherzano, perchè sono capaci a non muovere un muscolo e a non mostrare alcun movimento facciale.

"Ehi, è un episodio importante!!" replica l'irlandese alzando un po' il tono della voce, e questo fa attirare l'attenzione dei militari su di lui. "Ops, scusate!" risponde lui, sentendosi osservato.

Accanto ai miei due colleghi e amici, non riesco a trattenere qualche sorriso, poi faccio segno a loro di prendere posto. McNeil e Douglas sono appostati in fondo alla sala, entrambi in piedi sopra un palco rialzato, ognuno sulla propria postazione. Sembra di assistere ad una campagna presidenziale. Infatti mi aspetto di veder apparire il Presidente degli Stati Uniti in diretta mondiale sul maxi schermo. Gioco un po' con la mia immaginazione, cercando di ingannare il tempo, ma la fantasia svanisce subito appena compaiono foto del missile che hanno ritrovato, seguite da altre con donne e uomini che camminano accanto ad altri altrettanti missili o bombe, per finire con un'immagine di un gruppo di bambini che gioca col pallone davanti il buco dove, si presume, sia esplosa una mina precedentemente.

Quel marines che parlava di muro tra il reale e la fantasia, aveva così dannatamente ragione. Ma la cosa che più mi lascia incantata è: come fa la gente di questo posto a non accorgersi di essere nel bel mezzo di un conflitto? In sottofondo, la voce possente di McNeil mi riporta alla realtà.

"... Ahmadinejad ha in mente un solo scopo: eliminare Israele dalla cartina geografica. E per farlo, ha bisogno di missili come questo" McNeil mostra la foto del missile grande che avevo visto prima con Ryan.

"Quello è un missile terra-mare a lunga gittata, signore?" chiede uno dei militanti seduto in prima fila.

"Sì soldato. Il governo iraniano ha fatto sapere che è stata solo un'esercitazione, ma noi non ne siamo sicuri in seguito a queste foto che io e il sergente Douglas vi abbiamo mostrato." poi fa segno al suo collega di continuare, che risponde asservendo.

"La popolazione israeliana è tranquilla, ma è nostro dovere continuare a sorvegliare la città. Domani mattina sarete mandati ad ispezionare la zona, andrete fino al Muro del Pianto, dove, come ogni sabato, si riuniscono alcuni ebrei per pregare."

La riunione prosegue per un'altra oretta, dopo di che, i comandanti ci lasciano liberi di tornare nelle nostre tende. Quando sono vicina all'uscita, io, Ryan e Esposito vediamo Rick, visibilmente scosso anche lui da ciò che sta accadendo.

"Vi lasciamo soli." dice Javier e poi prende Kevin sottobraccio, che ci guarda come un ebete, e si allontanano.

Castle ed io ci guardiamo per un po', prima di riuscire a spiaccicare qualche parola. Mi stringo le spalle, abbassando la testa per calciare la sabbia con gli stivali neri. Rick mi prende il mento, delicatamente, con la mano, alzandolo, in modo che mi ritrovo a guardarlo negli occhi.

"Hai freddo? Vuoi che ti presto il mio giaccone?"
"Ma no, Rick, sto... bene." mento e lui, che conosce il mio giochetto del dire le bugie, si toglie il suo giaccone color sabbia, per mettermelo sulle spalle.

Poi mette una mano intorno al mio collo e insieme ci incamminiamo. Raggiungo quella mano e la intreccio con la mia, creando una specie di legame indissolubile.

 

"Hai sentito quello che hanno detto lì dentro? Hai paura?" mi chiede e io rabbrividisco, ma non per il freddo.

"Onestamente? Sì."
"Mi hanno raccontato del tuo svenimento, qualche giorno fa... cosa pensavi di fare tutta sola?" la sua voce ora è di rimprovero. Ritira il braccio intorno a me, e torna a guardarmi in faccia. Ha ragione. Cosa pensavo di fare? E ora cosa dovrei raccontargli? Dovrei dirgli che mi sentivo sola, che lo aspettavo e stavo ingannando il tempo andandomi a cercare i guai? Mordo il labbro, cercando di scostare lo sguardo ghiacciato di lui su di me.

"Mi mancavi, Rick." sospiro incredula, che finalmente l'ho detto. Ho detto la verità. Ma so già che me ne pentirò. Lui scioglie lo sguardo gelido, e mi guarda con gli occhi da cucciolo.

"Kate, tu sai che non potevamo comunicare... già è tanto che quei musulmani non ci hanno torturato per sapere la verità... se avessimo rivelato la vostra posizione, sarebbe stata la fine! Non potevo far sapere nulla..."
"Ma hai una vaga idea di cosa significa stare qui in mezzo, Castle?? Io non credo di farcela ad impugnare di nuovo un'arma."
"Kate..." mette le mani sopra le mie spalle, per poi stringermi a sé con tutta la forza possibile. "Non sarai mai da sola. L'ho promesso a tuo padre, ricordi? Affronteremo tutto se stiamo insieme." e mentre mi parla mi accarezza i capelli.

"Sempre?" chiedo, ancora immersa tra il calore del suo corpo.
"Sempre."

 

L'indomani mattina, il sole picchia già forte. Sono le 11 e necessito di occhiali da sole perchè non riesco a stare fuori con questa temperatura. Mi copro i capelli con il mio velo bianco, maglietta bianca a maniche corte e pantaloni neri confortevoli. McNeil ci ha detto di andare in città senza indossare le tute mimetiche per non destare nell'occhio. Questo sabato mattina, noi siamo semplicemente dei turisti in vacanza a Gerusalemme.

"Sarà una specie di copertura, insomma... figo!" l'entusiasmo di Ryan coinvolge tutti, soldati, scrittori e giornalisti.

Rick indossa un completo blu griffato e occhiali da sole blu scuro, tanto per completare l'abbigliamento.

"E qualcuno invece deve andare alla cerimonia degli Oscar, vero, Castle?" dice Esposito, poi gli fa l'occhiolino dopo averlo squadrato da capo a piedi.

"Lo so, sono un tipo piuttosto figo."
"Attento alle israeliane, Castle!" gli dice Ryan, poi getta un'occhiata su di me.

Come se una semplice osservazione potrebbe rendermi gelosa... okay, ammetto che potrebbe rendermi gelosa, sul serio, se accadesse una cosa simile.

Mentre lasciamo che i due piccioni Javier e Kevin vanno avanti a noi, io e Rick ci prendiamo per mano.

"Questa non è una gita romantica, Castle, quindi niente smancerie!" lo metto in guardia, facendo l'indifferente. Dentro di me però sto ridendo a crepapelle.

"Va bene, prometto di fare il bravo!" risponde lui, e poi fa il finto offeso facendo delle smorfie.

Lo guardo e rido.

 

Arriviamo al centro città verso mezzogiorno, accompagnati dalle nostre suv. Siamo io e la mia squadra, quella di Laura di Bridget e qualche reporter, pronto a far foto. C'è poca gente in giro. Douglas ci ha detto di fare i turisti, di girare per la città a nostro piacimento, senza però perderci. Fortunatamente abbiamo i cellulari o i cerca-persona, quindi c'è sempre un modo per rintracciarsi.

Io e Rick decidiamo di entrare in un bar per prendere qualcosa da mangiare. Per fortuna che gli avevo detto "niente smancerie"... mentre ordiniamo due caffé espressi e due brioches, appena tiro fuori il portafogli, lui mi blocca facendo segno che intende pagare lui... come un vero gentiluomo. Secondo me, Castle è convinto di essere il mio fidanzato ed io la sua fidanzata. Ci mancano i fiori e che mi dica di nuovo "Always" e allora stiamo messi davvero bene.

Arriva ciò che abbiamo ordinato e mentre mangiamo e beviamo, ci guardiamo sorridenti come non mai. La vita è davvero strana... in tutti i posti del mondo dove potevamo uscire, dovevamo farlo proprio a Gerusalemme e nel bel mezzo di una guerra? Avevo immaginato diverse volte un prototipo di un nostro appuntamento e di certo non mi sarei vestita così, ma con un bel vestito nero, corto fino alle ginocchia e con una piccola spaccatura ai lati... proprio quello che avevo visto con Lanie qualche mese fa da Gucci.

"Un mio amico giornalista del New York Times dice che a Gerusalemme c'è altro da vedere oltre il Muro del Pianto."
"E cosa esattamente si può vedere in un giorno?" gli chiedo leccandomi le labbra con la lingua, assaporando ciò che rimane del caffé. Rick è visibilmente eccitato dal gesto e io ovviamente ne approfitto. Siamo turisti in copertura, giusto? Non c'è nulla di male.

"Ah... eh..." povero Rick... l'ho fatto anche imbarazzare, perchè ora balbetta anche, cercando di calmarsi asciugandosi le mani con il fazzoletto sul tavolo. "La Cupola, quella grossa che si vede in lontananza... la Cupola... della Roca..."
"Della Roccia, Rick!" gli dico passando la mano sopra la sua e rendendolo ancora più nervoso.

Per l'agitazione, lui muove troppo la mano, facendo cadere quel poco di caffé che gli era rimasto dentro. Forse ho esagerato. Ridiamo, io allegramente, lui nervosamente ancora imbarazzato. Sembra un adolescente alla sua prima cotta...

E poi...

Tre scoppi.

 

Sembrano uccelli entrati dentro la vetrata del bar... uccelli che svolazzano all'impazzata, rompendo con forza il vetro. Grazie ai miei riflessi, ho fatto in tempo ad abbassarmi, spingendo Castle insieme a me, e ci siamo riparati sotto il tavolo. Gli scoppi aumentano e sono potenti, incessanti. Stringo la mano a quella di Rick, nella speranza che prima o poi finiscano di sparare. Dura qualche altro minuto, poi quando ci siamo assicurati che tutto è tornato tranquillo, io e il mio scrittore ci rialziamo da terra.

"Stai bene?" mi chiede, e io mi controllo un attimo per vedere se effettivamente sto bene.

"Sì e tu?" e lui mi risponde facendo cenno con la testa.

Poi guardiamo gli altri che sono con noi nel bar. Incredibilmente, spalanchiamo la bocca. Gli abitanti di Gerusalemme si sono abituati al terrore. Qualcuno è rimasto seduto sulla sedia, ad aspettare che il gran casino finisse, così convinto che tanto lo sparo non lo avrebbe raggiunto. I due proprietari, un uomo e una donna sulla quarantina, marito e moglie, tornano a servire i tavoli, pulendo dove è rimasta della fuliggine e spazzando dove ci sono vetri rotti a terra.

Fuori dal bar, i nostri soldati, scrittori e giornalisti, ci raggiungono, assicurandosi se stiamo bene. Poi altra gente compare da dietro gli angoli. Queste persone si strappano i capelli, urlano incessantemente, e poi si riversano per le strade dannandosi. Sono evidentemente turisti che, come noi, reagiscono in altro modo. Io sono ancora sbalordita dalla reazione degli abitanti invece.

Guardo gli sprazzi di fumo e il fuoco che costeggia il bar e voglio raggiungere quelle nuvole grigie... acchiapparle come fossero farfalle. Perciò tendo le braccia, sono di nuovo una bambina, e cammino verso di loro, ma Rick mi prende per il braccio.

"Dove vai, Kate?"
La proprietaria del bar, mi prende l'altro braccio.

"Si calmi, signorina. Si sieda."

La guardo come se mi avesse detto che sono un'aliena. I "nostri" stanno ad ammirare una casa mentre va a fuoco, ma gli abitanti prendono tranquillamente delle casse d'acqua e spengono lentamente il fuoco. Come faccio a restare calma in questa situazione?

Io vedo davanti a me un muro di pietra che mi impedisce di oltrepassare la fantasia, quell'immaginazione che ognuno ha da bambino... quella che ti inculcano fin dalla culla del "lieto fine". Allo stesso tempo, c'è un muro invisibile che mi impedisce di superare le mie paure, di lasciarmi del tutto andare con Rick, l'uomo che amo. Neanche il Muro del Pianto, fatto di pietra, potrà farmi rassicurarmi del tutto. Pregare non servirà a nulla, ora che sento la guerra così vicina a me.

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Capitolo 10
*** A una cosa serve la guerra: a rivelarci a noi stessi. ***


Salve

Salve!! Mi scuso per il ritardo ma dopo feste e festini, serate tardi (senza "hangover" giuro!!), ho ritardato. Devo pure studiare e scrivere degli articoli. Uddé ce la farò?

Intanto approfitto per dire che siamo a metà storia! :) grazie a tutti quelli che recensiscono, leggono e la seguono :)
Buona lettura!!

 

 

 

A una cosa serve la guerra: a rivelarci a noi stessi.

 

 

 

Sono passati alcuni giorni da quell'attentato. Io e Rick siamo stati subito soccorsi perché sotto shock. Ma la paura è rimasta. Nonostante McNeil ci avesse detto di consultare uno psicologo, noi ci siamo rifiutati, guardandoci negli occhi e sicuri di quello che volevamo fare. Io ho pensato subito a Roger, convinta che se avessi consultato un'altra persona, l'avrei tradito. Avrei tradito il nostro segreto professionale.

Rick si è chiuso a scrivere durante questi ultimi due giorni. Lo vedo segregato nella sua tenda, manco fosse Anna Frank, intendo a scrivere il suo reportage. Mi ha detto che è qualcosa diverso da Nikki Heat. C'è pur sempre la passione, ma è vista in maniera differente. Sta cambiando, sta crescendo anche lui. Lo vedo dal suo sguardo così posato, così sicuro, così pacato.

 

E' sera. Sono nella mia tenda, come sempre. Dopo una spazzolata ai miei folti capelli, indosso qualcosa di pesante per la notte, ormai consapevole che la temperatura scende sotto lo zero. Davanti al mio portatile ho scritto due e-mail. Una per Roger, l'altra per mio padre, raccontando loro cos'è successo negli ultimi giorni e assicurandoli che ora sto bene. Quella per Roger è stata inviata, mentre quella per mio padre tentenna.

Sono indecisa. C'è quel "ti voglio bene" finale che mi impedisce di premere il tasto "invia". Cancello le tre parole e poi le riscrivo. Un meccanismo che sto facendo da un paio di minuti.

Indecisa. Quelle tre parole sono difficili da dire, come lo sono state quelle dette da Rick un anno fa... "I love you. I love you, Kate." ma io dico, proprio in punto di morte doveva dirmi che mi ama? Lui mi ama... Arrossisco ogni volta che ci penso e mi ritrovo a coprirmi il viso, vergognandomi, anche se sono sola nella mia stanza. Anche se è notte.

Dopo alcune insistenze, premo il tasto "invia" e l'e-mail conclusa con "ti voglio bene" è stata inviata a mio padre. Chiudo il portatile, spengo la luce fioca della mia lampada, sentendo i lamenti di Laura e Bridget che non riescono a dormire, e vado a letto anche io.

 

L'indomani vengo svegliata da urla dei soldati, chi grida a destra e chi a sinistra. Mi affaccio fuori la tenda, i capelli ancora spettinati. Stropiccio gli occhi cercando di mettere a fuoco la scena.

"Forza Armostrong, metti quell'arnese dentro il carro! Corri Jones, non hai più fiato? Non è una passeggiata al Central Park! Hudson, quelle pistole vanno messe insieme alle altre, ma che hai in testa? Le scimmie urlatrici?"

Tacker come al solito sta sbraitando contro i suoi marines. Esposito e Ryan hanno ragione a chiamarlo Mastino, direi che gli si addice meglio di Pitbull. L'addestramento è terminato. E' incredibile come il tempo sia passato in fretta.

Sono così assorta dal correre degli uomini e la sabbia leggermente alzata, che non mi accorgo di sentire odore di caffé sotto di me. Abbasso lo sguardo e c'è una tazza calda. Sorrido, seguendo la mano e poi il braccio di chi mi sta offrendo la colazione. Al mio lato destro c'è Rick. Lui ricambia il sorriso, poi mi sposta una ciocca di capelli caduta accidentalmente davanti il mio viso. A volte sono le piccole cose che contano. I piccoli gesti quotidiani, le poche parole, gli sguardi. Credo che una relazione come la nostra non abbia bisogno di discorsi e parole al vento.

Dopo aver bevuto il nostro caffé mattutino, mi porge il suo tablet.

"Ho scritto 20 pagine di reportage. Vorrei che lo leggessi. Lo so che ti piace leggere, so che sei la mia fan numero uno... devo ricordarti qual è il tuo nick nel mio sito?"
Gli dò una gomitata e lui fa finta di lamentarsi. Come una sfrontata prendo il suo tablet, storcendo la bocca.

"Va bene, gli darò un'occhiata..." fingo di fare l'indifferente.

Lui se ne accorge, poi faccio per rientrare nella tenda, ma Rick mi prende per il polso, costringendomi a guardarlo negli occhi. E mi stampa un bacio sulla fronte. Un bacio delicato, caldo. Appena rientro, posso percepire ancora quel calore. Mi chiudo e inizio a leggere attentamente.

 

E' una lettura che mi sta occupando ormai da mezz'ora. Rick aveva ragione, è così intenso, così diverso da Nikki Heat. E' pur sempre una storia d'amore e c'è passione... ma è vista tutto dalla parte della guerra. C'è un soldato americano di nome Nathan, in missione di Iraq, che incontra questa donna israeliana, Maha, e se ne innamora. Hanno una relazione contrastata perchè c'è la guerra a dividerli e le lotte religiose al suo interno: infatti lei è un'immigrata israeliana in territorio iracheno. Mi soffermo su una parte di un paragrafo che mi colpisce dritto al cuore.

 

"Gli spari sono terminati. Nathan e il suo commando si dividono per cercare qualche persona ancora viva tra la polvere e gli ultimi sprazzi di cemento degli abitacoli. Chiamano i loro nomi; qualcuno risponde, qualcun altro no. Ha perso già 3 uomini stamattina, non vuole perderne altri. Immediatamente pensa alla sua ragazza Maha e teme il peggio. Gli abitanti di Gerusalemme ignorano un pericolo che Nathan sente appena mette piede fuori dal suo abitacolo.

Corre per salvare un bambino intrappolato tra due blocchi di cemento.

Si volta e corre per salvare una donna e il suo cane, bloccati tra due mura.

Il suo pensiero vola e si posa sulla sua ragazza morta tra le macerie. Sostituisce l'immagine dell'orrore con quello della sua ragazza viva che grida aiuto tra le macerie.

C'è molta polvere intorno, Nathan non vede nulla ma segue il suono della voce di Maha. Lui sa che lei è ancora viva. In lontananza si alza un braccio che debolmente si muove. L'indice è rivolto verso il cielo. E' una preghiera, una richiesta d'aiuto a Dio.

Nathan si avvicina e dall'indice scorre del sangue che copre tutto il braccio della donna. Sul dito medio c'è una anello e il soldato riconosce che è Maha.

"Maha, ana Nathan, kaifa haluki? Ana bahebak." Maha, sono Nathan, come stai? Ti amo.

Le sussurra mentre si appresta a togliere i residui di quel muro pesante che le è crollato addosso. Dall'altra parte, sente Maha rispondergli che sta bene e che anche lei lo ama. Il suono della sua voce è flebile e Nathan sa che deve sbrigarsi a salvarla perchè ogni secondo è prezioso. In un secondo la tua vita potrebbe cambiare.

Quando la riporta a casa, Nathan e Maha si abbracciano, si baciano, si tengono stretti. Lei ha metà viso ustionato, ma è sempre bellissima. Quella notte si tengono ancora più stretti perchè la guerra potrebbe spazzarli via. Per sempre. Il sesso quella notte sarà una lotta alla sopravvivenza. Un desiderio inespresso, una gara tra la vita e la morte. Si annusano, si toccano, si respirano l'uno sull'altra, senza mai staccarsi gli occhi di dosso..."

 

"Guarda com'è assorta..."
"Già, non si è manco accorta di noi da quando passa il suo tempo con Richard Castle..."

Alzo lo sguardo dal tablet per vedere Bridget e Laura davanti a me. Braccia incrociate e sguardo malizioso.

"Scusatemi, Rick voleva che leggessi il suo reportage." rispondo seccata, spegnendo lo strumento.

"Ah l'amore..." Bridget sospira e poi guarda Laura "Tu ne sai qualcosa, vero, di storie d'amore impossibili?"

Laura abbassa lo sguardo e quando lo rialza sorride ma è malinconica. Si siede vicino a me.

"Tu e Rick avete qualcosa di speciale. E' la classica situazione dove tutti sanno che due persone si amano, tranne i diretti interessati." ride.

Bridget prende un bicchiere d'acqua poi si avvicina all'uscio.

"Vi lascio sole." e fa un segno d'assenso a Laura. La detective di Los Angeles dai capelli neri ha qualcosa da dirmi, me lo sento.

"E' successo qualcosa?" dico scuotendo la testa.

Laura sembra più forte di Bridget, che invece è davvero la classica Barbie, invece ha anche un lato abbastanza fragile. Più o meno come me. E ho notato questa somiglianza ultimamente quando aiutava Bridget a rialzarsi da terra dopo un duro addestramento. Oppure quando sistemava le armi nelle mani dei suoi agenti.

"Si chiamava James. Era il mio superiore nel mio dipartimento. Lui era forte, un uomo puro, di casa, un po' come il tuo Rick."
Ancora sorrido quando la gente lo chiama "il tuo Rick".

"Io invece ero una matricola, inesperta ma testarda. Inevitabilmente ci siamo innamorati, ma la nostra storia non era ben vista all'interno della polizia. Il capitano ci ordinò di rompere altrimenti avremmo perso il lavoro. James non voleva lasciarmi, mi amava troppo. Anche per me era così, ma la mia è una famiglia benestante e di successo. Se avessi lasciato il mio lavoro, loro mi avrebbero tagliato i beni e mi avrebbero disconosciuto dal patrimonio di famiglia. Fui costretta a mentire all'uomo che amavo, dicendogli che avevo finto di essere innamorata di lui..." sta iniziando a piangere e poi tira fuori dalla sua maglietta una catenina con delle iniziali: "J & L 4EVER". Dovevano essere davvero presi l'uno dall'altra. Tuttavia ancora non capisco dove Laura voglia arrivare. Le metto una mano sulla spalla, cercando di consolarla.

"...in ogni caso, lui non la prese bene, si arrabbiò e dopo qualche giorno sparì dal distretto... io ero disperata, ma il capitano mi promosse e così ora eccomi qui, a distanza di due anni... una detective della omicidi... che cosa ci ho guadagnato? Nulla. Ho solo perso l'amore della mia vita per colpa del mio stupido orgoglio e dei troppi film."
"Non è troppo tardi, Laura! Puoi chiamarlo, dirgli che sei qui..." le dico, scuotendola, ma lei mi sorride, immersa nelle sue lacrime.

"E' troppo tardi, invece. Lui si è fatto una famiglia a Seattle e vive felice. Quello che voglio dirti è..." si riprende, trattenendo le lacrime "non sprecare la tua vita, Kate. Tu e Rick vi amate. Non impedire a te stessa di non essere amata, abbatti quel muro... altrimenti perderesti l'amore della tua vita, come me."

Mi stringe la mano e insieme ci diamo conforto. Ora ho capito il senso del suo discorso. Se la guerra serve a qualcosa è a rivelarci a noi stessi.

"Mi spiace averti sottovalutato, Laura." le dico e inizio a togliere qualche mattone al mio muro.

Lei mi guarda, si alza, ricomponendosi appena tira fuori uno specchietto dal suo giubbotto antiproiettile.

"Non preoccuparti, Kate. So che posso apparire frivola dall'esterno, ma non ci faccio più caso." tira fuori un rossetto rosso e si sistema di fronte lo specchietto, poi passa al fondotinta. "Ad ogni modo, non dire nulla a nessuno di questa storia... forse quando sarò morta potrai parlarne."
Mi viene voglia di tirarle un pugno. Stringo i pugni, invece, mi alzo e le tolgo quel beauty case che ha davanti.

"Tu non morirai, Laura, smettila di fare così!"

"Che ne sai? Sono stata una debole! Avrei potuto ribellarmi alla famiglia e scegliere James, invece sono stata codarda e ho rinunciato a lottare!"
"Ma lui deve sapere..." faccio enfasi su quella parole d'ordine, ma mi rendo conto che sto sprecando solo fiato.

"Ci vediamo sul campo, Kate." si congeda salutandomi tristemente, e se ne va con la consapevolezza che morirà senza aver rivelato all'amore della sua vita tutta la verità.

La domanda è: ne vale la pena alla fine?

 

La sera è scesa. L'ultimo tramonto a Gerusalemme. L'indomani suoneranno delle campane, ma sarà un suono di guerra. Un urlo di battaglia.

La vita stessa è una lotta. E' come la descrive Castle nel suo reportage. Vince la legge del più forte. Non puoi essere debole, devi lottare, altrimenti cadi e non ti rialzi più. Io non voglio essere così. Vorrei cercare di essere quella in grado di rialzarsi da sola, senza la mano di nessuno. Poco a poco, posso farcela a buttare giù quel muro. E stanotte, una buona parte di quei mattoni cadrà giù.

Nessuno dei due si arrenderà stanotte. Ho deciso di prendere Rick in disparte, di lasciarci andare. L'ho portato nella sua tenda, ci siamo baciati, abbracciati, dapprima riscaldandoci per il freddo, poi lentamente ci siamo svestiti per dare inizio alla nostra danza. Il sesso è un'esplorazione; ci osserviamo, ci tocchiamo l'un l'altro, curiosi, come se fossimo le uniche creature sulla Terra.

Poi ci avvinghiamo, di nuovo ci baciamo... la passione si accende, arde, finché brucia. Non ci arrenderemo. Continueremo a lottare per sopravvivere, non solo stanotte, ma all'intera guerra. Perché la sensazione di perderci è tanta, per questo stanotte dobbiamo stare insieme, perché potrebbe essere la nostra ultima possibilità. L'indomani, lui resterà qui in Israele, io verrò spostata in Iran. E sarà l'inizio di tutt'altro.

Non ci arrenderemo: io combatterò in un paese, lui farà lo stesso in un altro. Insieme metteremo alla luce le verità di questo posto, io con le armi, lui con le parole.

Tra me, ringrazio Laura e la sua storia densa di significato. E di nuovo ripeto a me stessa: a una cosa serve la guerra: a rivelarci a noi stessi.

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Capitolo 11
*** L'Inferno è qui. ***


Nuovo capitolo

Nuovo capitolo, nuova storia... hope you enjoy :))

E poi basta, non ho niente da aggiungere... recensite, recensite :))

 

 

 

L'Inferno è qui.

 

 

 

L'indomani mattina il sole brucia così tanto che sembra di essere all'Inferno. Seduti dietro i nostri pick up, silenziosi, nelle nostre tute mimetiche, col berretto abbassato, noi donne capelli tirati su. Assonnati, nessuno di noi fa una piega. Né dice una parola. L'aereo è partito prestissimo stamattina da Tel Aviv e in due orette siamo arrivati in territorio iraniano.

Gli scrittori e i giornalisti sono rimasti a Gerusalemme: per loro la missione si è fermata lì. Dovranno stare attenti ad evitare con cura mine antiuomo, perché gli attentati non si possono prevedere. Fortunatamente Rick ha un carattere abbastanza socievole, quindi ha fatto amicizia con molti reporter sul campo, che di guerre ne hanno viste abbastanza. Loro sanno cosa evitare e cosa no. Rick si fida di loro. E io di lui.

Rick Castle.

Mi tocco le labbra e poi le braccia. Mi stringo a me stessa, cercando di assaporare l'ultimo gusto... cercando di ricordare che sapore aveva Rick nella notte passata insieme. Quando passava delicatamente le sue dita sul mio corpo, tracciando il mio profilo... una caccia al tesoro per trovare una piccola imperfezione, che evidentemente non trovò. Sorridenti, uno davanti all'altro. Nudi, ma senza nessun imbarazzo, ci siamo guardati e abbiamo sussurrato un "ti amo", come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Chiudo gli occhi e poi li riapro, meccanicamente. Mi sembra assurdo che il tempo insieme sia voltato così in fretta. Qualcuno urla "Siamo arrivati!". E' Tacker. Siamo di passaggio a Teheran. Il nostro obiettivo nei prossimi giorni sarà la centrale nucleare di Bushehr.

 

Uno ad uno, velocemente, scendiamo dai nostri motori, ma la scena si presenta a me a rallentatore.

C'è una bambina a pochi metri da noi. E' sola. Indossa uno straccio che sembra un sudario. Capelli ricci, carnagione scura. Piange. Piange tenendosi il dito in bocca. L'Inferno è qui.

Vorrei prenderla, stringerla tra le braccia e dirle che va tutto bene... non importa se non capirà la mia lingua, un abbraccio è un simbolo universale. Così mi ritrovo a correre verso di lei e a portarla lontano da quel posto dove la sabbia si mescola con il sangue... è salva, è al riparo.

Sostituisco l'immagine della bambina sana e salva, per ritrovare la piccola stesa a terra, posizione di croce, con una grossa macchia di sangue sul petto e altro liquido che le esce da intorno a sé. L'Inferno è qui.

"Beckett, andiamo..." Ryan mi prende da sotto il braccio. Ancora stordita, faccio segno al mio amico di guardare la bambina iraniana morta a terra. Lui con forza mi strattona via, e io non posso fare a meno di staccare gli occhi di dosso da quella scena. "Andiamo, andiamo!"

 

Bridget stringe una catenina con crocefisso tra le sue mani e mormora qualcosa, forse una preghiera. La cosa mi stupisce. Capisci di non conoscere mai a fondo una persona finché non ci vivi assieme. Sul campo, come anche nel distretto, ci siamo costruiti una famiglia. Basando le nostre convinzioni sulla fedeltà e l'affidabilità reciproca, convinti che nessuno della famiglia ci tradirà mai...

La bionda detective si blocca dal pregare. Mi guarda quasi con vergogna, si ricompone, e infila il suo crocefisso al suo posto: dentro la maglia. Non era mia intenzione spaventare nessuno. Faccio per dire qualcosa, ma lei si allontana e va a fare altro.

 

Abbiamo allestito una specie di accampamento per la notte. I nostri superiori sono occupati a parlare tramite computer super tecnologici col Pentagono. L'indomani ci sarà il vero Inferno. Rabbrividisco e mi stringo ancora di più nella mia tuta mimetica. Poi sento dei passi arrancare e vedo Esposito fare capolino dalla tenda dove io e le ragazze siamo accampate.

"Ehi, Becks... c'è una persona per te..." mi porge il computer e il mio volto si illumina.

Penso a Castle o a mio padre...

"Katherine Beckett, come hai osato mettere in pericolo la tua vita e non dire niente alla tua migliore amica?!"

Lo schermo del pc assume una luce diversa. Lanie Parish è rossa dalla rabbia, ma non tradisce la sua emozione nel rivedermi. Seppur virtualmente.

"Contenta di rivederti anche io, Lanie!"

"Non fare la spiritosa... Javi--- Esposito mi ha detto tutto..." si corregge nel pronunciare il nome del suo ex fidanzato, come se negasse l'evidenza che in realtà tiene ancora a lui. Io guardo Esposito e lui esce dalla tenda a gambe levate, reo confesso del suo crimine.

"Comunque" continua la mia amica "certo che mi manchi! Ma non riuscivo a mettervi in contatto con voi, ragazzi..."
"La connessione è pessima qui giù... però hai chiamato Espo alla fine?" cambio argomento, tanto per stuzzicarla un po'.

Lanie rotea gli occhi prima di rispondere.

"Sì... diciamo che è così... non gli ho dato un degno arrivederci prima della partenza, quindi... almeno una chiamata era dovuta..." continua a fare l'indifferente guardandosi le unghie delle mani.

Sorrido e sento che la linea sta già per lasciarci. Tristemente devo congedare Lanie.

"E' ora... la linea fa davvero schifo... scusami!"
"Mi raccomando pensa a non farti uccidere... e tieni d'occhio Javier e Kevin!... e dà un bacio a Castle!" mi fa l'occhiolino prima di chiudere la conversazione su skype. Che abbia capito cos'è successo tra me e lui? Sono davvero così facile da leggere in faccia?

 

La notte a Teheran non è sicura come quella in Israele. Qui siamo in campo nemico, siamo più vicini al pericolo di quanto vogliono farci credere la tv con i loro film. Nel buio ho sentito delle esplosioni non distanti dal nostro accampamento. Istintivamente mi sono rannicchiata ancora di più sotto le coperte della mia brandina, con la convinzione che sarei stata più nascosta e meno esposta al pericolo. Ero al buio, ma ero al sicuro. Una credenza che avevo fin da quando ero piccola. Convinta che sotto le coperte nessuno mi avrebbe visto e quindi nessuno mi avrebbe fatto del male.

Ma il buio quando si è grandi, assume un'altra dimensione, e si fa chiamare paura. La paura dell'ignoto, dell'oscurità, ci avvolge. Anche Bridget e Laura si sono svegliate, coi capelli arruffati, hanno alzato lo sguardo e hanno visto dei fuochi accendersi in lontananza. L'Inferno è qui.

"Ma è il 4 luglio là fuori?" ha detto Laura ironizzando, prima di tornare a rimettersi sotto le coperte come Bridget e me.

Non abbiamo passato una bella nottata e la mattina ne subiamo i postumi.

Occhiaie come borsoni d'acqua calda e ovviamente capelli scompigliati come pezzi di carta stracciata. Decisamente non è il mio look migliore.

Di nuovo, impacchettiamo le nostre cose e ci dirigiamo verso Bushehr, attraversando il deserto.

 

"La produzione di uranio e l'esercitazione al nucleare continua a procedere ininterrottamente..."
Samuel McNeil si gratta la testa preoccupato, mentre continua a scrutare con ansia i documenti che la Casa Bianca gli ha inviato per e-mail. Non è buona educazione origliare, ma mi sono ritrovata a stare seduta dietro il pick-up degli agenti e non ho potuto farne a meno. Bridget e Laura davanti a me continuano a parlare di bigiotteria e io sto con un orecchio rivolto verso di loro e uno verso i guidatori.

"Intende dire che quelle esplosioni provenivano di nuovo dalla centrale?" chiede Douglas, seduto al comando del mezzo.

"Sì amico mio." dice McNeil mostrando segni di sconforto.

Ritorno a guardare le mie colleghe... così ingenue, così spensierate... neanche loro si rendono conto del pericolo a cui stiamo andando incontro...

Tre esplosioni.

Di nuovo.

E stavolta in pieno giorni.

"Sergente, sergente! Sanno che stiamo qui!" un soldato marines urla dalla radio alla nostra.

McNeil prende il trasmettitore, si mette in contatto col suo gruppo, e parla a tutti i suoi soldati.

"Prendete le armi che avete a vostra disposizione e sparate!"
"Sì, sergente!"

La conversazione si chiude. Prontamente prendo un'arma da fuoco e la passo a McNeil, poi ci lanciamo sguardi d'intesa. Il Man in Black si alza dal suo sedile e inizia a sparare all'indietro. Noi ci abbassiamo, coprendoci la testa con le braccia e sento una danza di proiettili passare da una parte all'altra... sopra la nostra testa. Se solo mi alzo di poco, uno di essi potrebbe colpirmi. L'esperienza mi dice che non è una buona pensata.

McNeil si impegna per proteggere il suo pick-up, mentre Douglas guida malamente a destra e sinistra, sbanda, cercando di evitare quante pallottole il più possibile. La danza diventa insopportabile... fa male... quei proiettili volano da una parte all'altra con sempre più foga.

Vorrebbero trapassare il suono e romperlo. Ma non ci riescono.

"Ma questi iraniani non finiscono mai le munizioni?" sussurra Laura, ancora facendo dell'ironia.

Riesco a malapena a sentirla con questo frastuono.

"Laura, quanto sei ingenua! Sono i re degli armamenti, ti pare che finiscono subito i proiettili?!" la rimprovera Bridget al suo fianco.

Vorrebbe tirarle un colpo in testa ma sa che se lo fa probabilmente verrebbe uccisa.

"Forse li abbiamo seminati..." urla McNeil, ancora nella sua posizione dritta.

"O forse ci hanno rinunciato..." dice Douglas guardando lo specchietto retrovisore.

McNeil mormora qualcosa che non riesco a capire, poi si rimette in contatto con i suoi.

"Siamo riusciti a spaventarli un po'... sappiate che però il peggio deve ancora arrivare... passo e chiudo." lentamente ritorna a sedersi al suo posto, mentre noi passeggeri di dietro ci guardiamo spaventati.

McNeil non ha il coraggio di guardarci in faccia invece.

"Che vuol dire...?" chiedo spaventata e con un filo di voce tremolante. Ma lui non risponde, fa segno al suo secondo di continuare a proseguire per la strada, dove in lontananza c'è un posto di blocco. "Samuel, che cosa vuol dire? Che significa?? Noi vogliamo essere pronti a combattere, ma se non ci avvertite del problema reale, come possiamo??" lo scuoto, cercando delle risposte.

Ancora una volta è silenzioso. E questo silenzio sta uccidendo mentalmente me e gli altri.

"Ti prego..." chiedo ancora una volta, sfiancata, con gli occhi degli altri che mi osservano e soffrono insieme a me.

Da dietro vedo McNeil abbassare lo sguardo, lucidare la sua arma appena usata e soffiarci dentro.

"La verità è che... nessuno ci aveva preparato a questo che dovrà avvenire."

L'Inferno è qui.

 

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Capitolo 12
*** Quando la magia finisce, subentra la fede. ***


Tra pochi giorni ho l'esame ma non temete... l'aggiornamento non può mancare!!
Buona lettura e ancora grazie a chi legge e segue questa storia :)



Quando la magia finisce, subentra la fede.

 
 
 
"E' stata un'offensiva, agente... lei lo sa, il governo lo sa, non possiamo non dare l'allarme..."
"Sei pazzo? Così richiameremo l'attenzione della stampa internazionale! I giornalisti verranno qui, noi dovremmo fare una conferenza stampa... e avremmo altre vite a cui guardare! Agente McNeil, non lo ascolti..."
"Sai che ho ragione, Tacker... non possiamo starcene zitti... altrimenti il governo non ci invierà gli aiuti!"
"Chiudi il becco, Douglas! Il governo sa che siamo nei guai, ci penseranno loro!"
Rispettivamente Wallace Tacker e l'agente speciale Mike Douglas discutono animatamente intorno ai marines e tutti noi, rivolgendo le loro attenzioni a Samuel McNeil, il quale, inerme, continua a fissare il vuoto davanti a lui.
Stiamo dietro di un tavolo, dove McNeil è al centro tra i due agenti-soldati. Braccia allungate verso i due lati del tavolo, tamburellando con le dita sul legno... cercando un segno dal cielo... o in questo caso, la manna dal cielo.
Noi poliziotti "improvvisati marines" e il resto dei soldati guardiamo questo scambio di pareri da una parte all'altra, muovendo la testa da Douglas e Tacker, come se stessimo guardando insieme la stessa partita di tennis.
"Basta!! Mi avete stancato!!" McNeil ferma il match sbattendo le mani sul tavolo.
I due agenti colpevoli si zittiscono immediatamente e portano le mani dietro la schiena, mettendosi in posizione di attenti.
"Sisignorsì signore."
Samuel li osserva accigliato e passeggia per quel piccolo quadrante osservandoci. Ho quasi paura del suo sguardo così impenetrabile. Non riuscirei neanche ad immaginare quali siano i suoi pensieri. Del resto ha ragione, la situazione è veramente grave.
"La verità è che... nessuno ci aveva preparato a questo che dovrà avvenire."
Le sue parole rimbombano nelle nostre teste come tamburi e poi vanno a svanire lentamente come un eco in lontananza.
Loro dicono di non sapere cosa ci aspetta, ma il Governo sono sicura ne sa qualcosa. Altrimenti non ci avrebbero portati qui.
Come se mi avesse letto nel pensiero, Samuel inizia a spiegare la sua teoria alla sua troupe.
"Il Governo sa qualcosa. Ma mandare qui giornalisti e reporter sarebbe pericoloso. Sappiamo che ogni giorni ciascuno degli inviati rischia la propria vita in questo 
territorio e qualcuno di essi muore. La verità è che gli iraniani si aspettavano un nostro arrivo e il Governo sapeva dell'offensiva. Del perchè non ci abbia 
avvisato... non lo so neanche io." conclude amareggiato e rivolge lo sguardo verso di me.
A quanto pare, ho ottenuto la risposta che cercavo.
Siamo davvero in guerra.
Quanto vorrei che Castle fosse qui con me... lui saprebbe come tendermi la mano e attraversare una strada buia verso una luce fioca e distante... ma ho 
promesso a me stessa che ce l'avrei fatta... ho promesso che avrei abbattuto mano a mano il mio muro... e ho promesso alla mia amica Lanie e a mio padre che 
sarei tornata sana e salva a casa.
Posso farcela.
"Siamo in guerra, signori. Stanotte dormite caldi e premoniti perché l'indomani cercheremo prima di avere un incontro diplomatico col presidente iraniano. In 
caso contrario, se ci venisse respinto... beh... sapete come andrà a finire. Buona notte."
McNeil ci congeda e in file scomposte ci riposiamo nel nostro accampamento. Quante volte dall'inizio di questa missione avremo cambiato letto? Non ricordo 
neanche più che giorno è.
 
Come al solito, io, Laura e Bridget stiamo riposando nella stessa tenda. Cerco di fare dei calcoli mentalmente, cercando di ripercorrere ogni giornata passata fuori 
casa, ma è inutile. Quindi prendo il mio cellulare, vado nell'applicazione dell'agenda elettronica, e inizio a contare i giorni.
"Cosa stai mormorando?" mi chiede Bridget mentre spazzola i suoi folti capelli biondi.
Quando la chiamavo "Barbie" non avevo tutti i torti. A occhio e croce ha dei capelli lunghi quanto i miei e quasi più mossi. Come farà a mantenerli così con tutto 
questo cambiamento di temperatura è un mistero.
"Ah ciao Bridget.. sto contando i giorni, cercando di capire da quanto tempo è che siamo fuori casa."
La bionda detective si accovaccia insieme a me sulla mia brandina.
"Facile. Sono passati 21 giorni dall'inizio della missione. Incredibile, vero?"
La guardo sbalordita.
"Incredibile è come fai a ricordarlo! A me sembra sia volato..."
"Perchè passavi più tempo con lo scrittore che con noi ad addestrarti." mi dice facendo l'occhiolino.
Arrossisco leggermente. Faccio per dire qualcosa ma lei mi blocca.
“Volevi sapere perché stringevo tra le mani quella catenina col crocefisso?”
Boccheggio, incerta su cosa rispondere. Sarebbe una curiosità da scoprire, perché non si finisce mai di capire una persona.
“Bridget, non devi, davvero---“
Ma lei mi risponde tutt’altro, iniziando a fare un discorso che io neanche so che fine avrà.
“Questo posto è incantato. Adoravo Aladdin da piccola... mi ricorda il mondo delle favole. Poi improvvisamente si è colpiti da un attentato. Le persone piangono, altre muoiono. Ed è proprio nel momento in cui finisce la magia che subentra la fede.” Prende il crocefisso che ha dentro la maglia, si toglie la catenina e me la offre.
“Dovresti pregare anche tu qualche volta. Ora come mai, è l’unica certezza che ci resta.”
Prendo la catenina. È un bel crocefisso. Sicuro è argento. Lo noto da alcune perline che luccicano ai lati della croce. Ora che ci penso, credo che mia madre non ne abbia mai avuta una.
“E’ molto bella, ma... io tento a credere nel razionale.” Gliela restituisco con cura e lei se la riprende manco fosse una reliquia.
“Se dovesse servirti, fammelo sapere.”
Ci congediamo pensando alla notte che passeremo, mezze sveglie o in dormiveglia. Colpa dei soliti fuochi ed esplosioni che ci saranno durante la notte.
 
“Piccola Kate, un’azione diplomatica è quando due paesi tentano di parlare prima di passare alle armi.”
“Perché dovrebbero passare alle armi, mamma?”
“Perché i loro messaggi non sono stati compresi, oppure non intendono accettare la pace.”
“Uhm non capisco.”
“Sono discorsi difficili per una bambina di 8 anni, Kate. Adesso andiamo a dormire, okay?”
 
Questa era più o meno la spiegazione che mi dava mia madre. Ed è più o meno quello che sta succedendo ora. Noi cerchiamo di immaginare la dinamica, ma siamo solo poliziotti, non soldati. Il massimo per noi quando si parla di diplomazia è negoziare col nemico. Si negoziano gli ostaggi, le informazioni. Noi diamo ad un delinquente ciò che vuole, e in cambio vogliamo che lasci in vita delle persone.
McNeil e Douglas tornano sfiniti dal loro meeting virtuale col Presidente iraniano, seguiti da un traduttore. Hanno esaurito le loro forze. Hanno le fronti sudate e sui loro occhi traspare niente se non che hanno lavorato duramente per concludere la trattativa.
Chiedevano all’Iran di fermarsi con i loro test nucleari e di non danneggiare l’America perché noi americani veniamo in pace. Ma gli iraniani non si fidano di noi perché siamo alleati di Israele, ed Israele è loro nemico. Se noi difendiamo Israele, l’Iran ci attacca. Concetti basilari di storia che in un momento come questo diventano utili.
Mentre Douglas prosegue avanti, McNeil si sofferma su un gruppetto formato da me, Esposito e Ryan. Ci guarda e scuote la testa da sinistra a destra. Si avvicina a me e posa la sua mano sulla spalla destra. È pesante, è affaticato. Cerca un appiglio, perché non sa come gestire la situazione. È affranto, pensava di risolvere un conflitto con le parole. Ma in un mondo come questo, le parole servono a poco. Ha il viso corrugato che lo fanno apparire più vecchio di quanto non lo sia. Si allontana a passo lento. Sta perdendo le forze. Resto imbambolata a pensare, se non fosse per i miei due colleghi che mi riportano alla realtà.
“Beckett?... Becks?” sento dire in lontananza... ma Esposito e Ryan sono qui vicino a me. Mi volto e sono uno a fianco all’altro. Uno alla mia sinistra e l’altro alla mia destra. Come due angeli custodi.
Nervosamente mi gratto la testa, cercando le parole per dire qualcosa... qualcosa che evidentemente anche loro hanno capito. Finalmente li fronteggio, cercando di apparire più alta, più composta.
“Siamo ufficialmente entrati in guerra con l’Iran.”
 
I giorni che ne seguiranno saranno difficili. Ci armiamo, ci mettiamo le tute militari, prendiamo anche l’elmetto dei soldati, e a gruppi di cinque persone saliamo sui nostri pick-up militari, mimetici anche questi, come il nostro abbigliamento.
Ryan ha salutato Jenny tramite skype, dicendole tutto ciò che sta accadendo. Comunque, in un modo o nell’altro, sarebbe venuta a saperlo tramite il telegiornale. E poi loro due hanno un rapporto di assoluta fiducia e di amore reciproco. Jenny è scoppiata a piangere allo schermo e Kevin ha fatto lo stesso. Ci è voluto l’aiuto mio e di Esposito per far chiudere la conversazione. È dura, lo sappiamo, ma non abbiamo altra scelta. Javier ha fatto lo stesso chiamando Lanie e finalmente le ha detto quello che prova. Dice che dopo il matrimonio di Kevin e Jenny ha capito di amarla. Io non posso far altro che sorridere, sono contenta per loro. Tuttavia, non ho voluto chiamare Rick. Non adesso. Lui ha altro a cui pensare. Mi bastano le sue parole piene di coraggio per farmi andare avanti. Adesso la Beckett che è in me, la parte forte, deve lasciare la piccola Kate alla spalle. Deve farcela da sola.
Il territorio è ostile; c’è un misto di emozioni tra la paura e l’eccitazione. Ad essere contenti sono soprattutto i giovani marines che si sono arruolati per conoscere la guerra, per far parte di un mondo del tutto nuovo. Ora come ora, non vedo cosa ci sia di eccitante nell’uccidere un'altra persona in battaglia. Nel nostro pick-up siamo io, due soldati che non conosco e c’è anche quel giovane soldato che all’inizio della nostra missione, mentre ci addestravamo, ci raccontava i suoi sogni e le sue speranze. È il soldato del blitz a Bin Laden.
“Gliela faremo vedere noi a questi iraniani di merda... Dio benedica l’America!” urla, alzando il mitra verso il cielo.
Tacker, alla guida del pick-up, ferma all’improvviso, poi lo fa sedere, strattonandolo.
“Sei rincoglionito o cosa, soldato?! Vuoi morire qui invece che in battaglia?!”
“N-nosignore… io…”
“Tu cosa??” lo prende per il colletto e vedo la rabbia nei suoi occhi, diventati rossi come il sangue. Sta quasi per strozzarlo.
Cerco di fermare la furia del Mastino.
“Basta, sergente! Non vede che lo sta uccidendo??” con forza mi metto tra i due e Tacker si ritira. Mi guarda da capo a piedi.
“Agente Beckett... ne vedrà di gente morire...”
Le sue parole sono dure e mettono paura. Torna al volante del veicolo e io aiuto il giovane soldato a rimettersi seduto.
“Grazie agente.”
“Di nulla.” Gli sorrido lievemente e torno al mio posto.
 
Ci addentriamo verso la città che è un tumulto di genti e di grida. Le persone sono allarmate mentre indicano il fumo provenire dalla centrale di Bushehr. Quei bastardi hanno continuato ad attivare i loro sistemi, e ora tutto il nucleare si sta lievemente espandendo per la città. Corriamo con i nostri pick-up ma veniamo sorpresi da un gruppo di soldati iraniani che ci bloccano. Hanno puntato i loro mitra contro di noi. Siamo circondati da altri uomini a piedi, che ci puntano con altri fucili. Tacker resta fermo, come il resto di noi. I due soldati più anziani non muovono un muscolo, ma li vedo che cercano di prendere le loro pistole dal fodero, nascosto per bene nei pantaloni. L’iraniano a capo del suo veicolo urla qualcosa ed ecco che gli uomini a piedi azionano le armi e...
Bang bang!
Due colpi secchi al cuore ai due soldati.
Non urlo. Cerco di aprire bocca ma è come se le parole non mi uscissero. Sangue. C’è tanto sangue. La testa di uno di loro è zompata dall’abitacolo. Mi giro all’indietro e poso la testa come se fosse morta. Poi chiudo gli occhi. Non voglio vedere altro orrore. Il giovane soldato fa qualcosa di stupido. Si alza, grida e poi si prepara a sparare, ma viene seccato prima che possa farlo.
Una decina di colpi che gli trafiggono il corpo...è quello che riesco a pensare perché non sto guardando. Il mio corpo è inerme. Non riesco neanche a piangere. Sono del tutto bloccata e Dio solo sa perché.
Il capo dei soldati iraniani se la ride e parla di nuovo in farsi ai suoi uomini.
Uno di loro è vicino a me... sento il freddo del metallo dell’arma posizionata vicino alla mia tempia destra...
Poi, con uno scatto, Tacker aziona il suo super mitra che ha sotto i pedali e fa fuoco. Spari dietro e davanti. Sangue, pallottole. Di nuovo urla. Tacker è agguerrito. Quando sento che non c’è più pericolo, salto fuori dal pick-up.
Tacker fa lo stesso.
“Corra agente, corra! Non si guardi indietro!”
Continua a ripetere di correre, mentre continuo a fare quella che sembra una maratona. In lontananza, lui continua a sparare. Spara a più non posso.
Ho il fiatone, e devo anche essermi slogata una caviglia. Ma continuo a correre. E prego Dio come Bridget mi aveva detto di fare.

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Capitolo 13
*** Aisha. ***


Hello

Hello! La prof ha posticipato l'esame di una settimana. In compenso ha scombussolato tutto i miei piani -.-''

Vabbeh eccovi un altro capitolo "succulento" concentrato molto su Kate.

Ps: sembra che oltre a Marlowe, anche Obama legga le mie FF O.o XD

 

 

 

Aisha.

 

 

 

Corro.

Ho il fiatone.

E' tutto buio intorno.

Sento il cuore battere a mille.

Ma quanti battiti al minuto avrò?

Respiro a bocca aperta, come se nei polmoni non avessi più ossigeno.

Ma è così nero intorno a me.

Poi una voce che mi chiama, lentamente. E' quasi un sospiro. Delicato.

"Kate!... Kate! Non voltarti!... Kate, continua a correre!"

Giro la testa verso la voce. E' Rick.

Mi tende la mano, è vestito di nero. Che ci fa qui? Non è in Israele?

"Kate... stai attenta! Ti avevo detto di non fare niente di stupido..."

"Rick, Rick! E' stato un attentato, non potevo prevederlo!" cerco di giustificarmi.

Ancora lui chiama il mio nome. Cerco di raggiungerlo, ma non ci riesco. Più mi avvicino, più lui si allontana, fino a diventare un puntino all'orizzonte.

 

"Riiiick!" mi alzo di scatto, tutta bagnata, e mi accorgo che stavo facendo un sogno.

Mi guardo intorno. Mi trovo in una casa. Accanto a me, su un tavolino, c'è la mia uniforme.

Osservo la mia veste: è un vestito lungo a tinta unica color azzurro con degli orli dorati sulle maniche e sul collo. Mi agito, cerco di capire dove sono finita, e quando faccio per alzarmi dal letto, una donna vestita di nero, con un burqa in testa, si mette davanti a me, bloccandomi.

Dice qualcosa in farsi, che non capisco. Riesco solo a vedere i suoi occhi azzurri, dato che è l'unica parte del corpo, a parte le mani tatuate, che è scoperta. I suoi occhi sono pieni di speranza, e hanno l'impressione di aver pianto lacrime amare. La donna indica un'altra ragazza più giovane, forse sua figlia, che si trova seduta su una sedia vicino la porta della stanza. La ragazza, con una maglia e pantaloni, mantenendo sempre un velo in testa, si avvicina verso di me e sua madre.

La donna le parla in farsi, poi la ragazza si rivolge verso di me.

"Ciao, sono Aisha, questa è mia madre Magda. Benvenuta in nostra casa."

Parla in una lingua un po' incerta, ma riesco comunque a capirla. Le sorrido.

"Piacere, io sono Kate. Aisha, puoi aiutarmi a capire cosa mi è successo?"

Magda dice a sua figlia qualcosa, poi Aisha si siede e la donna si congeda, lasciandoci sole. Decido anche io di accomodarmi sul letto. Gambe incrociate, giocherellando con una ciocca di capelli che ho legato.

"Eri per terra, sembravi svenuta... io e mamma ti abbiamo trovato... portato in casa nostra e curato." prima di parlare guarda in alto e sembra che mentalmente cerchi le parole, o comunque traduca dall'arabo all'inglese. Però se la cava abbastanza bene. E' giovane, Aisha. Avrà al massimo 20 anni. Osservando la sua camera, vedo molti libri, tra cui dizionari di alcune lingue. Sicuramente starà studiando lingue.

"Oh. Grazie per avermi salvata, allora!" le prendo le mani in segno di riconoscenza, ma lei si discosta, abbassando la testa. "Cosa succede? Cosa ho fatto...?"
"Scusa... non siamo molto ospitali con gli stranieri... ci proibiscono di fare queste cose..." fa segno di toccarsi le mani.

"E' proibito avere contatti umani?" la mia domanda sembra uno stridulo.

"Solo noi donne." risponde lei, ancora sguardo abbassato.

Improvvisamente entra nella stanza un'altra ragazza. Agita le mani in aria e sembra gridare fieramente un qualche suo credo. Aisha le si avvicina e cerca di calmarla. Odio fare da spettatrice e non capire niente di ciò che mi succede intorno. Quando faccio la poliziotta, sono sempre la prima che si informa e che sa le cose. Ma qui è completamente un'altra storia.

"Aisha, cosa sta dicendo?"

La ragazza è preoccupata, ma non più di tanto. Scuote il capo verso quella che sembra essere sua sorella e la fa stare zitta. La sorella allora si toglie il velo, arrabbiata, lo butta a terra, e ci salta sopra. Poi esce guardandomi da capo a piedi: se ne è accorta che sono americana.

"Mia sorella Jamila è indignata con nostro ordinamento. Oggi ci sarà rivolta in piazza... solo noi donne... contro ordinamento che ci fa portare questo..." e indica il suo velo. "Bruceremo chador in piazza per protestare... rivogliamo nostra libertà!"

Aisha sembra convinta di ciò che dice. E questa sembra un'opportunità da non perdere. Raccoglierò queste informazioni per poi passarle a Rick e aiutarlo col suo reportage... Dio quanto mi manca. Il suo respiro, il suo sorriso, il suo calore... il nostro bacio mattutino... Respiro e mi faccio forza. Scendo dal letto e raggiungo le donne della casa che stanno tutte radunate in cucina.

"Aisha, ho deciso di aiutarvi nella vostra rivolta." parlo lentamente ma ferma e decisa, per far capire alla ragazza il mio pensiero.

Lei parla con le altre donne. E' preoccupata stavolta, mentre l'anziana signora mi guarda, rivolge lo sguardo verso al cielo ringraziando Allah credo, e infine Aisha mi dà il responso. Un cenno con la testa.

"Sarà pericoloso signorina Kate. Vuoi accettare lo stesso?"
"E' il mio lavoro."

 

Il sole è caldo e indossando questi abiti lunghi mi chiedo come facciano le donne di qui a non soffrire il caldo. Le donne si sono date appuntamento nella piazza di Teheran per iniziare la loro protesta. Alcune sono già in posizione: gruppi che urlano tenendo per le mani dei grossi cartelli scritti in arabo. Protestano a gran voce. Altre hanno già tolto i loro veli e posati a terra. Poi hanno acceso il fuoco e li hanno bruciati. Il fuoco che arde nelle loro vene è solo simbolico. Niente in confronto alla grande nube nera che si diffonde nell'aria.

Aria di cenere. Aria di rinnovamento. Perchè come una fenice rinasce dalle ceneri, così sta facendo questo paese oggi.

Aisha e la sua famiglia si aggregano alla massa e io le seguo, coprendo il volto con il velo, lasciando solo intravedere i miei occhi.

Arriva uno squadrone di militari iraniani sopra ad una gip altrettanto militare. L'uomo al comando cerca di fermare la rivolta urlando, ma le donne continuano a fare peggio. E' una gara a chi alza di più la voce. Poi prendono di mano la gip e ci salgono sopra. La scaraventano a terra. Qualche fucile e mitra viene sparpagliato a terra.

Temo il peggio. Guardo Aisha e la sua famiglia e poi un soldato che sta puntando il suo mitra contro di loro. Tutto accade in un istante che riesco a vedere a rallentatore. Corro verso il soldato e prima che spari, riesco a buttarlo a terra, fiondandomi contro le sue gambe. Gli strappo il mitra di dosso e lo punto contro il comandante della gip militare.

Quello urla qualcosa, un "E' americana!" e si prepara ad ordinare ai suoi uomini di farmi fuoco. Sono coraggiosa, stavolta non scapperò. Continuo a puntare il mitra contro di lui, mentre gli uomini armati mi hanno circondato.

Non c'è via di scampo, ma se proprio devo morire, meglio farlo da martire, aiutando le persone e facendo qualcosa per cui valga la pena lottare.

Non cercare di fare l'eroina.

Ti ho mentito Rick. In questo momento ho tradito la tua fiducia. Ma sono una poliziotta, ed è nel mio istinto lottare contro le ingiustizie.

I grilletti sono puntati, quasi pronti a sparare.

Poi all'improvviso.

Le donne urlano e si gettano contro i militari. Esse sono senza veli, e le più giovani hanno macchiato la loro faccia di nero, il colore dell'odio. Come soldatesse fiere. Come leonesse agguerrite per difendere il loro territorio. Abbasso il mitra. I militari sono a terra, faccia verso il terreno, con le donne che posano i loro piedi contro le loro teste e un'arma tenuta salda nella mano.

Mi guardano e mi sorridono.

 

Qualche ora dopo, il tg locale e poi quello internazionale, avrebbero detto che le donne in Iran hanno combattuto e hanno ottenuto la loro libertà. Il presidente avrebbe proclamato un nuovo diritto, quello di non indossare più veli o burqa. La guerra più grande per loro è finita.

 

Tornata a casa di Aisha, mi appaiono dei volti famigliari. Sono Esposito, Ryan, McNeil e Tacker, che si è salvato, riportando solo un braccio rotto.

Sorrido sincera e non nascondo il mio desiderio di abbracciarli.

"Becks, ci sei mancata!" Esposito è il primo a venirmi incontro, seguito poi da Ryan, che è ormai in un fiume di lacrime.

"Avanti, Kevin, non fare il timido e vieni ad abbracciarmi!" gli faccio e lui dopo un attimo di esitazione, si lascia andare, bagnandomi tutta la spalla destra.

Sono i miei ragazzi. I miei colleghi e i miei amici. E voglio bene a loro.

McNeil si schiarisce la voce, troncando quel momento intimo.

"Te la sei cavata bene, Kate. Tacker mi ha detto che sei corsa per evitare gli spari. Da vera soldatessa."

Gli faccio un segno da militare, poggiandomi sull'attenti. Non tradisco il mio imbarazzo, piuttosto lascio che il mio orgoglio esca fuori.

Mia madre sarebbe fiera di me.

Montgomery sarebbe fiero di me.

"Sergente Tacker, lei sta bene? Come se l'è cavata?" chiedo all'uomo di colore col braccio rotto.

"Ci ho solo rimesso un braccio, ma sono vivo e vegeto. Non bastano 4 pallottole a buttarmi giù." risponde lui con uno sguardo fiero e modesto. "Allora, torniamo nel nostro accampamento?"

"Certo." dice McNeil e tutti noi lo seguiamo.

 

Ho salutato la famiglia di Aisha, augurandole il meglio ore che hanno guadagnato ciò che volevano. Loro mi hanno fatto dei regali. Lei e la sorella Jamila un paio di orecchini, la loro madre un amuleto porta fortuna.

Ho quasi i miei dubbi, ma la guerra mostra la gente per quella che è davvero.

Sto imparando che non bisogna giudicare le persone dalle apparenze.

Pensavo che Bridget e Laura fossero due Barbie, invece nascondono un'anima pura con dei sogni infranti e delle speranze.

E Tacker, non è così Mastino e severo. Mi ha salvato la vita.

Vorrei che riuscissimo a sopravvivere tutti dopo questa missione, ma in realtà, sappiamo che non è così.

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Capitolo 14
*** A volte anche i più forti cadono giù. ***


A volte anche i più forti cadono giù

E con questo cap entriamo nella parte drammatica della storia, quindi siete avvisate!!

A proposito, ho deciso di terminare prima questa storia e poi dedicarmi interamente a Castle versione Padrino, per non creare confusione.

In più ho una longfic Jisbon da scrivere.

Ma si, posso farcela.

(le ultime parole famose)

 

 

 

A volte anche i più forti cadono giù.

 

 

 

Wallace Tacker è un'altra di quelle persone che non riesci a capire a fondo finché non lo vedi in azione.

Esposito e Ryan si divertono a chiamarlo "Mastino" quando sbraita e dà ordini dentro e fuori il campo.

Poi arriva una sera, una di quelle tante, in attesa della battaglia dell'indomani, quando ci si ritrovava seduti in circolo, tutti intorno al fuoco, come in qualche vecchio film western. C'era anche Rick con noi.

"Vi ho mai raccontato quando durante la Guerra del Golfo ho ucciso 3 iracheni a mani nude? Li ho presi, uno per uno, strozzandoli e poi, visto che non morivano, ho piantato dei paletti nei loro cuori, così... sbam! Morti come vampiri... e per assicurarmi che fossero davvero morti ho sparato 3 volte... bang, bang, bang!"

Rideva come un pazzo tra una portata e l'altra, mentre i giovani soldati erano quasi intimoriti dalla sua presenza. Rick e gli altri scrittori riportavano tutto ciò che diceva, scrivendo, prendendo appunti. Guardavo Rick e lui alzava il sopracciglio come risposta. Gli affascinava la guerra. Era un modo diverso per parlare di gente morta, secondo lui.

Altre volte, avevo visto Tacker aiutare i suoi soldati, durante un addestramento sul campo. E lo faceva a piccoli gesti: alzando un fucile quando era troppo basso, ricordando ad un altro di legarsi l'elmetto anche nella parte sotto il mento, oppure sistemare la giacca militare ad un altro soldato, quando questo l'aveva abbottonata troppo veloce e aveva sbagliato nel coordinare i bottoni. Erano questi i gesti che mi sorprendevano.

 

Oggi è un altro giorno, un'altra battaglia. Sembra che ciò che ho vissuto a Teheran con quelle donne sia solo un ricordo ormai. Sfocato nella memoria ma non nel mio cuore. Ci prepariamo verso un posto di blocco. Sarà la solita storia: ci chiederanno i documenti e se siamo in regola ci faranno passare, altrimenti ci spareranno. E' una procedura ormai tipica in questa zona e alla quale ci siamo abituati.

"Segui la routine quotidiana e andrà tutto bene." mi aveva detto McNeil, abituato anche lui ai procedimenti di guerra, dato che ha passato la sua intera vita in campo di battaglia, piuttosto che stare con la sua famiglia.

"Non distarti mai." mi aveva avvertito Aisha, lei che con la sua cerchia di donne combattono tutti i giorni contro qualcosa che neanche loro conoscono.

Al posto di blocco è andata; siamo salvi e possiamo passare.

Ogni giorno che passa ci rende più vicini alla centrale nucleare, dove McNeil pensa di fare irruzione.

"Ho pensato a una cosa divertente" dice Ryan, camminando quatto quatto tra me e Esposito e sogghignando tra sé "e se uccidessimo il presidente iraniano buttandolo in una di quelle grosse vasche piene di acido? Sarebbe figo, non trovate?"

Esposito alza un sopracciglio.

"Guardi troppi film, fratello..."

"Perchè? Molti mafiosi italiani lo fanno!" risponde lui tranquillamente.

Javier mi guarda e io capisco che è il momento che riporto Ryan con i piedi per terra.

"Capisco il tuo entusiasmo, Ryan, ma se dici una cosa del genere ai sergenti, ti rispediscono a New York a calci nel culo!" dico in tono severo, ma sotto sotto me la rido con Esposito.

Conosciamo l'eccitazione del nostro amico. Se venisse rispedito in patria sarebbe più che contento, dopo aver ricevuto la bella notizia che diventerà padre: infatti Jenny è incinta!

 

L'idillio è rotto quando veniamo coperti da una serie di esplosioni, con fumo e pietre che sono lanciate verso di noi. E accade tutto in una manciata di secondi.

"Copritevi le spalle! Al riparo!" McNeil, a capo del commando è il primo ad abbassarsi e coprirsi la testa e lo stesso facciamo noi.

"Preparate le armi! Stanno sparando!" urla Douglas invece e con coraggio affronta la pioggia di esplosioni, pur sapendo che ci sono mine antiuomo ovunque.

Ma lui sembra conoscere la zona, e riesce a schivarle correndo da una parte all'altra della strada... una strada cittadina che improvvisamente è diventata un deserto... o peggio ancora, un cimitero.

Io e i miei compagni ci teniamo le mani. Quando finiscono le esplosioni, ci viene ordinato di attaccare la zona e seguire Tacker che ha già puntato uno squadrone di iraniani. Quando passiamo, dietro di noi un ragazzo viene fermato di botto dall'omone nero.

"Soldato! Legati la parte inferiore dell'elmetto se non vuoi che ti salti la testa!"

"Sisignore" risponde quello, leggermente intimidito e poi quando ha finito, corre verso il suo reggimento.

 

"Mi hanno raccontato come durante la seconda guerra del Golfo, Tacker avesse questa cosa di dire ai suoi soldati di legarsi bene l'elmetto. Sapete perchè lo fa? Qualche giorno dopo lo scoprii. Mi disse che aveva visto alcuni suoi compagni morire per colpa di un elmetto legato male... soldati a cui era saltata fuori la testa, completamente dall'altra parte del corpo... ed era impressionante come sembrava che il corpo si muovesse ancora, nonostante fosse senza commando della testa... una cosa da film dell'orrore..."

Il soldato Jones ci racconta questo aneddoto, quasi come se ci leggesse nel pensiero. Poi rabbrividisce al ricordo di quel racconto e corre in avanti, col mitra puntato verso il nemico. Immediatamente, io, Espo e Ryan controlliamo che i nostri elmetti siano legati.

 

La guerra è in atto. Iraniani da un lato, americani da un altro. Descrivere il momento è difficile.

Immaginare che sia una partita di ping pong forse rende tutto più semplice.

Il nemico ti attacca, lancia la palla, tu però non devi colpirla come si fa nel gioco, bensì schivarla. Quindi salti da una parte, e rispondi con un altro colpo. Il tuo nemico fa la stessa cosa. La schiva. Capita però che riesce bene il colpo, quindi il nemico cade giù a terra. Morto stecchito. E il gioco continua ad andare avanti. La palla passa da una parte all'altra del campo. Però non sono due giocatori, bensì uno squadrone composto da una ventina di persone. Non è neanche una partita di calcio, dove quando cadi a terra per un fallo subito, poi ti rialzi. Qui se cadi a terra, muori. O se sei fortunato, puoi riportare qualche ferita.

Tacker ha voluto andare in battaglia, nonostante il braccio rotto, lui è uno di quelli forti.

Di nuovo spari. Esplosioni. Esposito sembra piuttosto battagliero e riesce ad abbatterne un paio di quei kamikaze, salvando la vita della povera Laura, che non sapeva più come difendersi. E se in una vita precedente fosse stato un soldato della seconda guerra mondiale?

Gli iraniani sono forti, hanno armi potenti. Se tirano fuori i loro mitra riescono a ricreare una bomba ad alto contenuto nucleare per quanto è potente la forza del suo suono.

Uno di loro è posizionato davanti a me e sta per sparare ma il suo sparo viene schivato. Sono stata brava, mi sono girata dall'altra parte. Mi giro per vedere chi abbia colpito e mi prende un colpo.

Tacker è stato colpito dritto al cuore. Una macchia rosso sangue esce dalla sua bocca e si espande dal suo cuore. Vorrei raggiungerlo per dirgli qualcosa, ma un braccio mi prende e mi porta via. In lontananza, Tacker mi guarda e dal suo labiale percepisco un "Ottimo lavoro, agente" flebile.

Non si può lasciare un uomo così in fin di vita. Che giustizia è mai questa?

 

Wallace Tacker è morto. Il Pentagono è già stato informato qualche ora dopo. Riuniti e accampati da una parte della città, siamo molto stanchi e affaticati. Qualche soldato è ferito e viene curato da alcuni medici che sono intervenuti sul posto.

Raggiungo McNeil che ha appena terminato una conversazione con la Casa Bianca, tramite il suo portatile, seduto nella caffetteria adiacente.

"Dobbiamo recuperare il corpo di Tacker, non possiamo lasciarlo così."

Lui chiude il portatile e si rivolge verso di me.

"Kate, ti prego---"

"E' un uomo, Samuel! Non possiamo non riportare almeno la salma ai suoi parenti per dargli una degna sepoltura!"

Si alza, arrabbiato e si accanisce contro di me.

"Se avessi dedicato una degna sepoltura ad ogni soldato che muore in battaglia, a quest'ora avrei aperto una pompa funebre!"

Sto zitta e attonita, accorgendomi che tutti hanno rivolto gli sguardi verso di noi. Qualche soldato tossisce per calare la tensione. Ma io sono ancora forte e ho ancora del fiato da sprecare.

"Parli così solo perchè tu non hai una famiglia... ma forse potresti cominciare a farlo ora. Tacker merita di essere ricordato, merita di avere una medaglia d'onore, concediglielo... per favore." concludo abbassando la voce e mettendogli una mano sulla spalla.

Mi rendo conto di essere stata abbastanza dura, ma è la verità.

 

Circa tre ore dopo, recuperiamo il corpo di Tacker. Il suo corpo è quasi diviso a metà, spaccato da quel colpo profondo al cuore, che gli ha fatto fuoriuscire qualche organo interno. Poco importa, il viso è ancora riconoscibile.

Non oso immaginare la scena, ma è più forte di me. Immagino che appena la bara marrone approda sul territorio americano, in aeroporto ci siano moglie e figlia ad attendere. La moglie si aggrappa alla bara e piange. La figlia, poco più che ventenne, cerca di consolare sua madre, facendo la forte, ma poi piange anche lei.

Quando ti strappano un genitore in questo modo e sei piccola, non comprendi molto il senso. Ma quando sei grande e muore qualcuno della tua famiglia, sei già consapevole del dolore. E vedi la morte sotto la sua vera prospettiva.

Ad esempio, non capisco perchè uno forte come Tacker, in grado di sopravvivere a qualunque guerra, sia invece morto.

E perchè siamo stati catapultati in questa guerra della quale nessuno conosce il senso?

Guardo il volto dei soldati ancora apparentemente addolorati per la morte di uno dei loro sergenti. Li vedo poi asciugarsi le loro lacrime, impugnare un'arma, e prepararsi per lo scontro dell'indomani. Così, come se niente fosse.

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Capitolo 15
*** Il terrore è diventato un altro inverno, un evento meteorologico. ***


Il terrore è diventato un altro inverno

Okay si sono formate squadre pronte ad uccidermi perchè sto facendo morire dei personaggi XD

posso dirvi che è il contesto è di guerra, quindi non potevo fare altrimenti XD

spero che continuerete lo stesso a seguirmi perchè la storia avrà un lieto fine, quindi non abbandonatevi! XD

 

 

 

Il terrore è diventato un altro inverno, un evento meteorologico.

 

 

 

Quando si è in guerra, il tempo sembra non passare mai.

Poi improvvisamente, ti rendi conto che si è fatto sera solo perchè il sole non c'è più.

Siamo impegnati tutti i giorni, tra addestramenti e combattimenti. Il tempo sembra non passare mai.

Eppure, ti rendi conto che sei entrata a far parte di questo mondo militare.

E te ne accorgi perchè inizi a parlare come i marines... inizi ad adattarti a tutto quel sangue versato e quelle lacrime amare sui cadaveri che giacciono a terra... una terra quasi dimenticata da Dio, dove si combatte per qualche valore, per un'idea che è stata dimenticata.

Il terrore diventa parte di te.

Sono passati quattro giorni dalla morte di Tacker, e il reggimento ha già perso altri 2 uomini. Giovani anche loro. Altra carne da macello messa in pasto agli squali.

Oggi ci spingeremo verso la parte nord della città di Qom-Fordow dove si ritiene sia stato scoperto un giacimento di uranio. L'obbiettivo è fermare questo orrore. Per arrivarci, dobbiamo come al solito affrontare il fronte iraniano. Pronti coi loro mitra a spararci.

Siamo stanchi, non ne possiamo più. Se la guerra tra Oriente ed Occidente avrà mai un fine, spero arrivi subito...

"Kate... sono venuto appena ho potuto..."

 

Stavo lavandomi il viso quando il mio scrittore è qui, in carne e ossa, davanti a me.

Mi tremano le mani. Lascio andare l'asciugamano a terra. Col viso leggermente scosso, lui più di me, gli cammino come uno zombie per abbracciarlo.

Non credo sia vero. Forse sto sognando.

Mi avvicino e lo tocco. Devo toccarlo, tastarlo, per vedere se è reale. Come una non vedente, gli tocco i lineamenti del viso, passando dalla fronte alla bocca. Poi arrivo alle orecchie e infine mi perdo nei suo capelli.

"Kate, Kate, sono io!" mentre arrivo a toccargli il dorso, Rick cerca di togliermi le mani di dosso, ma io scoppio in lacrime.

Mi lascio andare, e lui mi abbraccia, coccolandomi tra le sue braccia. Rischio di bagnargli tutta la camicia blu cobalto.

"S-sei tu, Rick?"
"Sono proprio io. Non ti lascio più adesso." e mi bacia i capelli, odorandoli, cercando di realizzare anche lui che è davvero lì con me.

 

E mantiene la sua promessa. Restiamo insieme tutta la mattinata. Gli racconto degli ultimi avvenimenti e lui fa lo stesso. Iran ed Israele sono due mondi diversi. Due realtà che sembrano non incontrarsi mai, invece lo fanno di continuo.

"E' così diverso Gerusalemme. Gli abitanti sono pacifici, non sono proprio come noi newyorkesi, che siamo più frenetici. Vivono costantemente nel pericolo ma ormai ne sono consapevoli."

"Un po' come noi."

Lui mi guarda, scuote la testa, non capendo. Al che mordo il labbro e sorrido maliziosamente.

"Viviamo costantemente nel pericolo di una relazione ma ormai siamo consapevoli dei nostri sentimenti, quindi... ci siamo abituati in qualche modo."

Appena capisce cosa sto dicendo, mi prende per la vita e mi stringe a sé.

"Katherine Beckett... immagino che quel muro che ti eri costruita dentro stia per essere abbattuto o sbaglio?"

Mi riempie di baci sul naso, poi passa alle guance.

"Castle, basta dai, mi fai il solletico!" cerco di togliermelo di dosso, ma non oppongo nessuna pressione, tanto è così piacevole averlo vicino a me... dopo queste settimane in cui siamo stati separati.

Dei colpi di tosse ci interrompono. Sono Bridget e Laura che ci salutano timidamente, riportandoci alla realtà. La dura realtà, purtroppo.

"Scusate se vi interrompiamo, ma c'è un prigioniero iraniano e vogliono che lo interroghiamo." dice Bridget, poi guarda Rick e si mette a fare un po' troppo l'oca.

"Oh ciiiiiao signor Castle!" le due lo salutano con una vocina un po' troppo stridula.

Storgo la bocca ingelosita e Rick sembra goderci nel vedermi così.

"Ragazze, per voi sono Richard o Rick, se preferite---" gli dò una gomitata così la smette di fare il gallo ogni volta, e lui fa finta di essersi fatto male.

Mi mancavano anche questi giochetti quotidiani. Ci liberiamo dalla presa e io raggiungo le altre due detective.

Prima però mi giro verso di lui. "Ci vediamo dopo, Rick?"
"Aspetta, voglio seguirti. Sai come mi piace vederti quando fai il culo ai cattivi ragazzi!" e mi rincorre come un cagnolino.

 

Arriviamo in una tenda, dentro c'è un tavolo e delle sedie. Dall'altra parte del tavolo c'è il nostro terrorista fatto prigioniero. E' giovane avrà la mia età, ma sembra dimostrare 50 anni per quanto abbia il volto sudato, trasandato anche negli abiti. E' stempiato. Ci guarda con disprezzo e odio. Accanto a lui c'è il nostro traduttore, Yahir. Dietro di loro, McNeil e Douglas, con le braccia incrociate e sguardo severo. Ci fanno segno di sederci sulle tre sedie posizionate apposta per noi. McNeil fa un passo avanti e ci mostra un file.

"Lui si chiama Yusuf, ha 32 anni e stamattina lo abbiamo sorpreso mentre innescava una bomba vicino alla nostra base... vedete cosa riuscite a scoprire, se fa parte di qualche cella terroristica e se può dirci qualcosa sulle centrali nucleari..."

Yusuf ringhia e i due sergenti lo fanno star zitto. Io, Bridget e Laura leggiamo qualche pagina di quel file. Poco dopo sento dei passi; è Rick, appena arrivato. Mi volto per guardarlo un attimo, ma non posso mostrare segni di simpatia. Ritorno su se stessa e c'è Yusuf che fa una strana risatina. Adesso mi innervosisco.

"Yusuf, che cosa stavi facendo con quella bomba stamattina?"

Il traduttore Yahir traduce per Yusuf, che ribatte nella sua lingua. Poi Yahir traduce di nuovo.

"Non vuole dirvelo. Altrimenti i suoi capi gli tagliano le mani."

"Digli che un terrorista può fare anche a meno delle sue mani!" interviene acida Laura, alzandosi dalla sedia. La riprendo.

"Laura, qui non siamo a Miami, stai tranquilla... Yusuf, cosa non ci stai dicendo?"

Quello ride di nuovo e parla. Yahir traduce.

"Dice che se parla, gli tagliano anche la lingua... e che... le bombe sono solo un diversivo... voi americani sapete cose che neanche noi sappiamo..." vedo Yahir confuso nel tradurre e impacciato.

Questa cosa confonde anche me. E se... Yusuf mi capisse? I suoi occhi parlano. Stanno dicendo cose che la sua lingua non può dire. O non vuole dire.

"Vi spiace se restiamo da sole con lui?"
"Ma Kate, sei sicura di capire cosa dica?" mi chiede Bridget preoccupata.

"Sì... credo che lui sappia parlare inglese più di noi." rispondo e il terrorista mi guarda con lo sguardo colpevole di chi è stato appena scoperto.

"Come volete... forza, usciamo."

McNeil e Douglas lasciano la tenda. Poi notano Rick sull'entrata.

"E lei cosa ci fa qui?"
Non sapendo che fare, Rick alza il suo tablet come un bambino innocente.

"Io... scrivo!"

 

"Ora che stiamo da soli, ci vuoi dire cosa sta succedendo?? Che vuol dire che le bombe sono un diversivo?"

Yusuf ride sarcasticamente e sempre più alto. Bridget e Laura non capiscono, io sono sempre più decisa però a scovare la verità. Se questo potrà servire a dare senso a questa guerra, io devo saperlo.

"Signorine..." lui si schiarisce la voce "...siete state mandate qui insieme agli altri poliziotti per salvare il mondo... così vi han detto... ma la verità è un'altra."

Mi stupisco del suo inglese così perfetto.

"Vai avanti."

"Vi lanciamo bombe perché non vogliamo che vi avviciniate alle nostre centrali... ma sopratutto perchè stiate lontani dai giacimenti di uranio... il vostro governo non vi ha mandato per distruggerli, ma per prenderli per sé..." ride soddisfatto e di nuovo amaramente "Non lo sapevate? Oh bene, questo non può che far piacere al nostro governo... dietro ogni guerra armata c'è sempre una guerra politica ed economica, dovreste saperlo meglio di me... io sono solo un uomo servitore di Allah e del suo paese."

Questa cosa ci lascia basite. Lasciamo la tenda, chiamando i sergenti e il capitano, che si occuperanno di sistemare il prigioniero.

Rick mi guarda strano, sa che qualcosa è successo lì dentro. Io non riesco né a guardarlo e né a sentirlo quando mi chiama per nome.

Yusuf continua a guardarci pericolosamente.

Poi Laura mi prende per il braccio, scusandosi con Rick e mi ritrovo in mezzo a lei e Bridget.

"E ora che facciamo? Dobbiamo dirlo a McNeil?"
"Io credo che lui lo sappia già, Laura. Non è vero Kate? Tu che pensi?"

Boccheggio prima di proferire parola. Loro mi guardano come se fossi pazza.

"Aspettiamo. Lui ce lo dirà, prima o poi."

Non voglio credere che Samuel McNeil mi abbia mentito. Non voglio credere che mi abbia tenuto tutto nascosto, dopo quello che ha fatto per me standomi vicino. No, non voglio che lui sia un altro Royce Montgomery.

 

Fa sempre più freddo qui la notte. Il terrore sembra diventare un altro tempo. Un evento meteorologico a cui ci stiamo abituando troppo. La notte diventa il momento del terrore più assurdo. Lampi e tuoni si trasformano in esplosioni. Ci svegliano e corriamo fuori dalle nostre tende mettendoci al riparo. Laura e Bridget stanno correndo, Esposito e Ryan aiutano altri soldati a mettersi al riparo.

Non vedo Rick fino a quando non mi prende per mano e mi conduce al sicuro. Dopo circa un'ora - un'ora dico, nel cuore della notte, sono pazzi? Non dormono mai? - McNeil e Douglas chiamano tutti a raccolta, ma manca qualcuno...

Laura compare all'orizzonte urlando e disperandosi. Poco dopo, arriva una barella: c'è Bridget su quel lettino, il viso metà ustionato.

"E' morta, Kate."

Attira la mia attenzione e cerco di scuoterla per farla riprendere. Ha il viso nel pallone. Rick mi aiuta, reggendola, per paura che possa cadere per l'emozione.

"C'era una bomba diretta verso di me, lei si è messa avanti, buttandomi dall'altro lato della strada, così è stata ferita al volto... ma le ferite erano multiple sul resto del corpo... e---" scoppia a piangere, coprendosi il volto con le mani "Dovevo essere io quella a morire, sono io quella debole... perchè è morta lei, invece???"

Mi pone una domanda alla quale sto ancora cercando una risposta. Ovvero: che senso ha tutto questo orrore?

Io e Rick ci guardiamo. Gentilmente mette la sua giacca sopra di me per coprirmi dal freddo della notte. Il terrore è diventato un altro inverno, un evento meteorologico. Noi tre ci avviciniamo al resto dello squadrone. In silenzio, con Laura che copre le sue lacrime.

Samuel McNeil si accorge di noi e quando vede Laura e poi me e Rick insieme, sempre inseparabili, qualcosa sul suo volto cambia. Qualcosa di inaspettato, che neanche io saprei descrivere. Forse neanche lui si aspettava tutto questo casino. La guerra e le sue conseguenze. Credo che Castle abbia trovato materiale a sufficienza per il suo reportage.

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Capitolo 16
*** Come una lama sottile. ***


La trama si infittisce care lettrici

La trama si infittisce care lettrici... come andrà a finire questa storia?

Al capitolo l'ardua sentenza! XD

 

 

 

Come una lama sottile.

 

 

 

Sono furiosa.

Forse perchè la verità fa male come una lama sottile o perchè la persona di cui mi fidavo di più tra i marines mi aveva tenuto nascosto qualcosa di grosso?

O forse perchè odio essere americana proprio ora?

Avrei dovuto intuire prima quali erano i doppi scopi del governo.

Sei una detective Kate, cazzo!

Tacker è morto.

Bridget è morta.

Almeno una ventina di soldati del nostro reggimento sono morti.

Non posso permettermi di veder morire altra gente. Che sia la guerra oppure no.

Questo mi riporta di nuovo ai ricordi con mia madre.

 

"Mamma perchè un uomo uccide un altro uomo? E' questa la guerra?"
"Kate, piccola mia, non dovresti fare queste domande! Non devi fare i compiti o giocare coi tuoi amici?"
"Non mi piace. Io voglio scoprire la verità!"

 

Scommetto che neanche mia madre sapeva la risposta alle mie domande.

Decido di affrontare Samuel McNeil una volta per tutte.

Non posso sbagliare. Eccolo lì, seduto tutto intento nelle sue carte militari. Ignaro che siamo tutte pedine non del suo gioco, ma bensì di qualcosa di più grande... qualcosa che neanche lui immagina. Dio non gioca a dadi col mondo? A me sembra che qui lo stia facendo.

McNeil corruga la fronte... sembra che quelle carte sudate lo stiano facendo diventare pazzo. Non si capacita di qualcosa. Forse qualcosa è andato storto nel suo piano che sembrava perfetto. Quale era? Ah sì, quello in cui prendeva un paio di poliziotti e li buttava nel mezzo di una battaglia, ignari per cosa stavano combattendo.

Mi avvicino, decisa. Sono davanti al suo tavolo, ma lui continua a fissare quelle carte con le mani nei capelli. Mi schiarisco la gola, e finalmente alza lo sguardo.

"Kate, cosa ci fai qui?" scompiglia le carte, togliendole dal tavolo, convinto che io non possa vederle.

Troppo tardi. Mossa furba ma non è servito. Ho potuto vedere che è un documento del Pentagono e sono segnati degli ordini con punti rossi: in quei posti indicati ci sono i giacimenti di uranio.

Ancora lo ripeto: mi fa schifo sentirmi un'americana.

"Io ho bisogno di parlarti... in privato."

Scuote la testa, confuso. Poi si alza dal tavolino e mi fa segno di seguirlo.

"Non qui. Seguimi."

 

Arriviamo in un'altra postazione di trincea, e lui si assicura che la tenda sia accuratamente chiusa. Di nuovo mi schiarisco la voce e chiudo le mani a pugni, restando dritta e composta. Prendo un bel respiro.

Il suo sguardo però mi blocca. E' gelido e preoccupato allo stesso tempo. Che abbia intuito qualcosa? O c'è davvero altro che lo preoccupa? Forse è come pensavo... la situazione gli sta sfuggendo di mano e non sa come gestirla.

"Cosa volevi dirmi Kate? Anzi, ti anticipo io... la salma di Bridget ha già raggiunto il territorio americano. L'indomani verranno fatto i funerali. Ho fatto come hai detto tu, perché è giusto così... è la cosa giusta da fare." conclude con un sorriso stanco. Quasi rarefatto.

Mi fermo per un momento. Ruoto gli occhi cercando di distogliere lo sguardo. Lui prende a camminare per la stanza.

"Sai c'è un protocollo da seguire, come ben sai, ma... ti confesso che niente sta andando come avevamo previsto."

Ecco ci siamo.

Forse sta arrivando il momento della verità o almeno così spero. Cero di fingere, cosa che normalmente non mi esce bene.

"Che vuoi dire?"
Faccio finta di guardarlo senza capire.

"Ci sono state troppe perdite. Non posso sopportarlo. Perciò credo che cambieremo un po' le carte in tavolo."

"Ah." dico con un fondo di delusione.

McNeil continua a camminare avanti e indietro.

"Già. Stiamo cambiando dei piani. Presto verrete informati. Tu cosa volevi dirmi?"

Piani che stanno per essere cambiati.

Ma non mi dice nulla sui giacimenti di uranio che stanno cercando.

E ora cosa gli dico? Penso di fretta, all'unica cosa che mi viene in mente.

"Rick Castle è venuto qui per mostrarmi il suo reportage. Lui l'ha terminato e voleva farmelo vedere perchè lavoriamo nella stessa squadra, lo sa...!"

Sorride e lentamente si avvicina all'uscita della tenda. Poi torna a guardarmi.

"Kate, non c'è bisogno che ti giustifichi riguardo Rick. L'abbiamo capito tutti che state insieme." sorride "Solo, cerca di mandarlo via. Qui rischia grosso."

E fa segno di uscire.

"Sì... lo farò." mi congedo.

Appena metto fuori dalla tenda, vengo sbalzata all'indietro. Una fuliggine si alza da davanti a me, facendomi strisciare all'indietro.

 

"Un attentato! Un attentato!" urlano alcuni marines, correndo da una parte all'altra, con le loro armi in mano.

"Maledetti, di nuovo... prendete le mitra, state sui carri!" McNeil si aggrega al gruppo.

Io resto inerme a terra, incredula.

Non posso più sopportare di nuovo lo stesso scenario, tutti i giorni è la stessa storia.

"Kate, alzati da terra, presto!"

Ryan e Esposito mi aiutano, uno mi tiene per il braccio destro, l'altro per il sinistro.

Come un burattino.

"Dobbiamo metterci al sicuro, Becks..."

"Castle... dov'è Castle?!" urlo, liberandomi dalla loro presa, alla ricerca del mio scrittore.

Rapidamente e attentamente, corro, coprendomi il volto con entrambe le braccia, mentre le esplosioni intorno a me continuano ad ardere. E' come se avessi i fuochi d'artificio nelle orecchie. Beh il suono è più o meno quello, solo in maniera più amplificata.

Come d'addestramento, salto ad ogni ostacolo, gridando il nome di Castle.

"Kate! Kate, sono qui!"

Tossisco perchè il fumo dei lacrimogeni mi sta dando alla testa. Poi alzo lo sguardo: Rick è a pochi metri da me, mi fa segno con le braccia. Sventola le braccia come una bandiera. La mia ancora di salvezza, la bandiera americana. Faccio per raggiungerlo, ma lui fa una faccia strana, prima di gridare qualcosa... è più veloce di me, mi prende per la vita e mi butta a terra.

Rick è sopra di me, ma si lamenta. Si lamenta troppo. Cerco di rianimarlo, di farlo stare tranquillo.

"Castle... sono qui, cosa succede? Cosa---"

La sua gamba destra sta sanguinando. Sta perdendo decisamente troppo sangue.

Lo aiuto a mettersi seduto, lui si tocca la gamba ma gli fa un dolore atroce. D'improvviso tutto tace. Niente più scoppi, solo ondate di fumo nero che si levano dal suolo fino al cielo.

"La... mia... gamba... non me la sento, Katee..."

E' un dolore straziante. Inizio a chiedere aiuto, disperata. Dove sono finiti tutti? Non lasciatemi da sola qui con Rick. Devo salvarlo, devo capire cos'ha.

Quest'ultimo attacco era fatto per uccidermi. Lui mi ha protetta.

Arrivano dei militari che lo portano su una barella. Lentamente, adagio, dico a loro di fare piano. Vorrei andare con lui. Automaticamente le mie gambe lo seguono, ignara degli altri che mi chiedono "Come stai Kate? Cos'hai Kate? Dove stai andando Kate?"

Non vi sento, smettetela di parlare.

 

Rick è chiuso da due ore dentro quella maledetta tenda con alcuni medici. Ho sentito le sue urla agghiaccianti. Non è un film dell'orrore. E' l'orrore della guerra. Ad ogni suo lamento ho mozzicato un'unghia. Come se quel dolore lacerante fosse il mio. Sono rimasta in piedi per due ore, camminando da una parte all'altra, con l'occhio sempre fisso sulla tenda. Espo e Ryan mi hanno offerto la loro cena e qualcosa da bere, ma io ho rifiutato. Non mangio da ore ormai, il mio corpo ne sta risentendo, e ho notato di essere anche dimagrita. Non m'interessa.

Finalmente esce un camice bianco. Ha le mani in tasca e un viso pallido.

"Dottore, come sta?" mi avvicino subito supplicandolo di una buona notizia. I suoi occhi non si tradiscono.

"Sarò sincero con lei signorina... il suo fidanzato ha subito una grave lesione alla gambe... i legamenti sono stati compromessi..."

"Mi sta dicendo che ha una... gamba... rotta?" non riesco neanche a dirlo, figuriamoci a pensarlo. Al momento non m'importa che l'ha chiamato "il mio fidanzato", visto che è realtà.

Castle è sempre stato così energico.

Il medico fa un sì con la testa e non professa altro.

"Mi spiace."

Sto per scoppiare in lacrime. Rick ha una gamba rotta. Ed è colpa mia se si è ridotto così. Prima che crollo, arrivano Esposito e Ryan, i miei due angeli custodi a rimettermi su.

"Dottore, ma potrà tornare a camminare, oppure...?" azzarda a chiedere Ryan.

"Non lo so dire... mi spiace... la frattura è molto grave... non escludiamo che possa---"

"Mi stia a sentire, la mia amica tiene a lui, quindi sia sicuro su ciò che sta dicendo!" Esposito l'ha preso per il colletto.

"Javier, tranquillo!" io e Ryan lo riprendiamo e lui torna composto. Almeno per ora.

Il medico continua a dire "mi spiace".

Io non sono molto d'accordo.

 

"Kate, non ha detto che ha una gamba fuori posto... forse c'è ancora speranza..."

"Bro..." con la coda dell'occhio Esposito fa star zitto Ryan. Cercano di starmi vicino, lo apprezzo.

In lontananza, Samuel è rimasto ad osservare la scena. Mentre io e i miei amici entriamo nella tenda di Rick, il mio sguardo si incrocia con quello del sergente, che subito si scosta e con le mani in tasca si allontana.

Ho visto il suo volto. Corrugato più del solito. Ansioso più del solito. Forse ho visto anche il senso di colpa nei suoi occhi. Forse dovrò aspettarmi la paternale.

Mi aveva detto di allontanare Rick. Mi aveva detto che ci sono state troppe perdite, troppe vite umane perse.

Forse è arrivato il momento in cui ammetterà la verità finalmente.

"Andate dentro ragazzi. Io vi raggiungo dopo."

Lascio Esposito e Ryan andare da Castle, io seguo McNeil fino alla sua postazione.

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Capitolo 17
*** La guerra, se ci penso bene, ha un suo fondo di correttezza. ***


CAP

Manca poco al finale!! Che ne sarà di Rick? E Kate?

Ma sopratutto... la verità riguardo la missione salterà fuori?

Lo scoprirete solo... leggendo! XD

Ah primo esame del 2012 è andato, ora ne ho un altro a febbraio e poi se ne riparla a giugno XD

 

 

 

La guerra, se ci penso bene, ha un suo fondo di correttezza.

 

 

 

"Adesso dovrai dirmi la verità, Samuel..." lo confronto, senza mezzi termini, pugni chiusi, sguardo felino "...cosa sta succedendo qui? Cosa stiamo realmente facendo qui in Iran?"

McNeil sa che non può sottrarsi al mio sguardo.

Sa che prima o poi la resa dei conti sarebbe arrivata.

Mi aspetto che rigiri la frittata per l'ennesima volta e che magari s'inventi che sono furiosa per il ferimento di Rick e quindi dovrei calmarmi. Invece prende un'altra direzione del tutto inaspettata. Sospira, è stanco.

"Che cosa sai, Kate?"

"So quello che mi ha detto il terrorista, tale Yussuf, che voi ci avete fatto intervistare."

E' stanco, è stufo. Stanco della guerra, stufo di mentire e mentirmi. Continua a sospirare, si siede, si rigira i pollici e poi mi invita a fare lo stesso.

"Cosa ti ha detto?"
Ecco che esce di scena Kate ed entra Beckett, la tosta detective del 12esimo distretto. Fa' finta che sia un altro dei tuoi interrogatori. Comportati come se fosse la solita routine.

"Le bombe che loro ci mandano è un diversivo per tenerci impegnati, in modo che noi soldati e poliziotti pensiamo sia una guerra. Mentre voi comandati sapete che è solo una strategia per avvicinarci sempre di più ai giacimenti di uranio. Perchè non volete distruggerli... volete appropriarvene!" sbatto il pugno sul tavolo della nostra tenda. Sicura e decisa, non stacco mai gli occhi di dosso dall'agente. "E' così, vero??"

Di nuovo quello sguardo stanco. Forse anche rassegnato. Ha gli occhi lucidi quest'uomo davanti a me, e improvvisamente si è fatto piccolo.

"Non posso più mentirti, Kate. Perciò ti dirò la verità. E' così." fa delle pause tra una frase e l'altra in modo che io immagazzini per bene le informazioni ricevute.

Come un computer, analizzo parola per parola e giungo alla conclusione che almeno è stato sincero... ma la Beckett che è in me, rialza di nuovo un muro. E poi mi alzo anche io, sconvolta da tale dichiarazione.

Che la verità fa male, non è una novità

"Mi spiace, Kate, ma cerca di capire il perché io l'abbia fatto..."

"Il protocollo, non è vero?" le mie braccia sono posizionate ai lati del tavolo, in modo che possa guardare Samuel in faccia. "E che mi dici di tutti quei soldati che sono morti? Che mi dici di Tacker? Bridget? E..." non riesco a pensare a cosa potrebbe succedere a Rick.

Non posso e non riesco neanche a pronunciare il suo nome.

Samuel sospira e si passa le mani sudaticce e increspate di cenere nei capelli.

E' disperato. Ma il suo sguardo sembra essere sincero.

Quello di uno che si sente in colpa. E fa bene ad esserlo.

Fa' per fermarmi, allungando il braccio. Ma io mi scosto, mi allontano sempre di più, e vado in retro marcia, come i gamberi.

Scuoto la testa, non voglio il suo braccio verso di me. Non voglio che mi fermi cercando di spiegarsi.

La colpa è in parte la sua: avrebbe dovuto dire almeno a me cosa stava succedendo realmente. C'è gente qui che è morta e che sta morendo. Come si fa a scherzare su queste cose?

Un altro passo indietro e lascio quell'uomo solo e rinchiuso nella sua tenda, sinonimo di clausura.

 

E' notte fonda. Ho passato molte ore al capezzale di Rick.

Gli ho toccato la fronte con una mano per sentire se i tremori si erano calmati, e con l'altra gli ho stretto la mano. Ad ogni ora che passavo lì, la stringevo sempre più forte.

Mi sono addormentata al suo capezzale. Lui disteso sul letto, posizione supina, immobile come una statua. Io seduta e con la testa poggiata accanto al suo corpo, un corpo sempre caldo.

I medici dicono che è un buon segno se è caldo, e io rispondo che lui ha sempre avuto una temperatura corporea superiore alla norma. Ricordo quando restammo chiusi in quella specie di cella frigorifera. Io stavo congelando, rischiavo l'ipotermia, ma lui mi ha teso il suo cappotto e mi sono coperta con quello, prima di perdere del tutto i sensi, accoccolata al suo fianco. Lui invece mi stringeva, mi abbracciava e mi diceva che sarebbe andato tutto bene...

Mentre il mio cuore è in tumulto per l'uomo che amo, al di fuori i combattimenti continuano.

 

Urla, schiamazzi, balzi in aria, non si finisce mai. Me ne sto dentro, al sicuro, ma non posso fare a meno di sentire. Un orecchio poggiato sul lettino e l'altro che ascolta, in silenzio. Stringo i pugni.

Dopo tutto quello che ho visto in un mese che sono stata qui, potrei considerare questa missione come un massacro. Ma un massacro è diverso da una guerra. La guerra, se ci penso bene, ha un suon fondo di correttezza. Tu ammazzi me, io ammazzo te. Siamo pari, moriamo, e non ci pensa più nessuno. Ma dal massacro non si può scappare. Uccide o ferisce centinaia di persone, tutte in un solo colpo.

Tu mi ammazzi Rick, io ammazzo te.

Tolgo dalla mia testa quell'orribile pensiero e mi decido a raggomitolarmi ancora di più su me stessa. Continuo a sentire le grida, richieste d'aiuto, ma pazienza. Non sono in vena di fare nessun gesto eroico. Beckett l'eroina si fa da parte per dar spazio a Kate la fuggiasca.

Di tanto in tanto, nei miei pensieri, mi rintano inginocchiata in un angolino piccolo e oscuro, per non sentire il mondo fuori di me. Perchè fuori il mondo è brutto. C'è la guerra, c'è un massacro. E io ne faccio parte.

 

Il sole del giorno dopo scaccia via i brutti pensieri, il sangue, i feriti, le armi, e riappacifica gli animi dei senza speranza. McNeil e Douglas fanno il resoconto dei morti. Una lista sempre più lunga che di giorno in giorno diventa difficile stilare. La regola del fare il censimento al contrario. Un bollettino di guerra in diretta.

In confronto a quei morti trasportati in barella con le braccia che escono penzolanti e macchiate di rosso da quei lenzuoli beige, le mie tre cicatrici non sono nulla. Ne ho una sulla fronte e due sulle braccia in posti che preferisco non guardare. Mentre osservo altra carne da macello che viene deposta nelle bare marroni pronte per essere spedite in terra di ritorno, come se fossero pacchi postali, il mio sguardo duro e severo incrocia quello di McNeil che quasi si vergogna mentre richiama gli ultimi dispersi nella battaglia della notte.

Un clacson all'orizzonte ci interrompe e interrompe i miei pensieri. E' un camioncino bianco con un disegno di un bambino bianco con sfondo rosso. Sono i Medici Senza Frontiere.

Dal camioncino scende uno squadrone composto da cinque persone, e uno di questi è di New York e viene da parte del Sindaco.

"Siamo qui per Richard Castle."

Dio sia lodato.

 

Conduco i medici all'interno della tenda. Quello di New York resta con Rick, mentre gli altri quattro vanno a curare i soldati feriti degli ultimi giorni.

Una goccia di sudore trabocca da McNeil.

"Meglio tardi che mai."

Lo sento dire dietro di me, mi ha seguito, e gli rispondo senza guardarlo.

"Già."

Rick si alza lentamente dal lettino, e con cura fa attenzione alla sua gamba. Riconosce il medico e si danno la mano in segno di amicizia. Un sorriso lieve, visto che entrambi guardano la condizione di quella gamba e non possono essere felici. Io e Rick ci guardiamo e senza farmi vedere dagli altri gli lancio un bacio con la mano. Poi esco dalla tenda.

Sento di nuovo dei passi e mi giro: Samuel mi sta seguendo. Sono a dir poco seccata e sbuffo, poi riprendo a camminare. Ho il passo pesante coi miei scarponi neri, alzo tanta sabbia dietro di me.

"Kate ascolta..." mi blocco e poi dice quelle parole che danno il colpo di grazia "mi dispiace..."

Mordo il labbro.

"Ti dispiace?!" e lo aggredisco con le parole. "Io non so più se fidarmi di te, anzi... non voglio più avere niente a che fare con te!"

Bang.

Bang bang.

Sono colpi di pistola simbolici, ma in quel momento è come se fossero veri.

Io sono stata tradita da chi mi fidavo di più, e lui dice solo che gli dispiace. Forse ha perso le parole dopo avergli detto queste cose vere?

Mordo di nuovo il labbro inferiore, alzo un po' di sabbia con la mia camminata e ritorno da Rick nella tenda, da chi davvero mi ama e tiene a me.

 

"Sono davvero un pezzo di legno... guarda la mia gamba... potrei fare Pinocchio!" Rick si diverte punzecchiando la sua gamba destra, coperta di gesso.

Gli lascio il segno del rossetto rosso baciando il gesso duro, bianco e freddo.

"Cosa racconterai a tua madre e ad Alexis?"

Lui mi guarda e tace. Poi prende un gran sospiro.

"Cosa devo raccontare? Vediamo..." rotea gli occhi fingendo di inventare "...ciao mamma, mi hanno sparato alla gamba destra, forse è rotta, forse no, ma sto bene, tranquilla... un po' di riposo e riprenderò a camminare! Ah, le bombe sono diventate una routine..."

"Non fare lo scemo, Rick..." gli sorrido dolcemente e lui mi stringe entrambe le mani.

Ci guardiamo intensamente negli occhi. I suoi occhi blu profondi mi avvolgono e ogni volta mi calmano. Mi mettono una tranquillità assurda.

"Kate, so cosa stai pensando.. non devi sentirti in colpa per quello che mi è successo, okay? Sono stato io a cercarmela... e non me ne pento."

Mi prende per il mento e mi avvicina al suo volto. Un bacio velato, semplice, in cui ci assaporiamo come se fosse l'ultima volta.

La guerra e la sua correttezza. Gente armata che spara a gente armata. Gente che spera si riunisce con gente senza speranza. Questo è l'effetto contrario che produce questa situazione.

Mentre ci abbracciamo ponendo i nostri cuori a contatto uno con l'altro, entrambi sembriamo avere la mentre altrove, chiedendoci cosa ci porterà questa guerra, e sopratutto che fine sarà di noi?

 

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Capitolo 18
*** Questa non è più la tua guerra, Kate. ***


CAP

Olè manca poco alla fine... in compenso fa un freddo cane!! 
Buona lettura :)

ps: capitolo un po' crudo all'inizio, stavolta vi avverto prima...non impressionatevi XD per questo ho alzato di nuovo il rating :)

 

 

 

Questa non è più la tua guerra, Kate.

 

 

 

C'è rimasto ben poco dell'ospedale del campo. Le tende insanguinate, sopratutto ai bordi, le barelle posate un po' da una parte e un po' dall'altra.

Le "armi" dei chirurghi buttate e impiastrate di rosso... si gioca alla vita come se fosse un gioco.

Odore di morfina.

Quante storie si potrebbero raccontare in questo campo... sono sicura che Rick le inserirà nel suo reportage.

A un giovane soldato era state amputate entrambe le gambe; non avrebbe più camminato, non avrebbe più corso, il giovane soldato Harold. Lui gridava che voleva morire in battaglia, morire come un eroe, perchè voleva che lo si ricordasse così. Invece ora si lamenta perchè dovrà portare il fardello di essersi ridotto ad essere una nullità; senza arti inferiori, senza servizio militare, a cosa avrebbe significato la sua vita? Mi hanno detto che stanotte ha tentato il suicidio, il giovane soldato Harold. Lui urlava che preferiva morire piuttosto che vivere così in agonia. Allora l'hanno sollevato da terra, e con adagio l'hanno messo sul lettino. Si lamenta, Harold.

E stamane lo guardo senza farmi notare. Ha gli occhi rossi. Rossi di rabbia o rossi perchè ha pianto? Stringe le mani, Harold, mentre un'infermiera gli prepara le medicine.

Un altro soldato, già sulla trentina, ha fatto Rambo la scorsa notte, lanciandosi contro uno scontro a fuoco. Si è ridotto ad uno straccio, il povero John. Aveva messo perfino la giacca in pelle sopra la tuta mimetica, perchè faceva più effetto. Ha urlato, un urlo di guerra, prima di scagliarsi contro quel campo... non l'avesse mai fatto, povero John. Le mine antiuomo gli hanno strappato metà del viso. L'altra metà è ancora intatta per miracolo, perchè correndo è riuscito a coprirsi col braccio, il quale è ridotto a brandelli. L'esplosione è stata talmente forte che gli ha tolto la gamba sinistra, mentre l'altra è viva per miracolo, perchè mentre saltava, per evitare un'altra mina, la sinistra era più in alto della destra. Povero John. Stamane guarda il cielo limpido, con metà viso, e piange. Il soldato John piange.

 

Ritorno nella mia tenda, perchè Rick si lamenta e chiama il mio nome. Ha la fronte sudata. Si tocca la gamba; gli fa molto male. Apre lentamente gli occhi.

"Buongiorno mia musa... sono in Paradiso?"

Sorrido dolcemente e lo bacio sulle labbra.

"Ma se non mi sono neanche lavata ancora!" gli sussurro mordicchiandogli l'orecchio.

"E allora vai... perchè non voglio una fidanzata che puzza!" mi dà una botta al braccio e iniziamo a "lottare" con le mani.

Poi ci blocchiamo rendendoci conto di cosa è appena successo.

Guardandoci intensamente negli occhi, lui mi ha appena detto che sono la sua fidanzata.

Per la prima volta, abbiamo ammesso di stare insieme, di essere una vera coppia. Del resto, cosa fanno le coppie innamorate? Si alzano la mattina dopo aver dormito insieme, fanno colazione e chiacchierano del più e del meno, lasciandosi andare di tanto in tanto a qualche coccola.

E' esattamente quello che è appena successo, tranne per la colazione.

Un brontolio imbarazzante di stomaco ci distoglie... dò un'occhiata fugace alla sveglia del campo: direi che è ora di colazione!

Senza dire nulla, lui mi dice "Caffé caldo e cornetto, come sempre!"

Gli sorrido e lo bacio per l'ultima volta prima di uscire.

 

Odio le macchinette del caffé. Oppure sono loro che odiano me? Fatto sta che ogni volta che tento di usarle, queste fanno immediatamente a fuoco. E ne ho appena rotta un'altra. Tossisco per il fumo, per fortuna il caffè è intatto. Poi sento dei passi pesanti che si avvicinano. Mi volto solo per vedere Esposito e Ryan con le loro pistole puntate verso di me...

"Oh è solo la macchinetta del caffè che va a fuoco!" dice Ryan tra un colpo di tosse e un altro.

Faccio segno ai miei colleghi di allontanarsi prima di svenire. 

Dopo aver raggiunto l'uscita, mi guardo i vestiti: puzzano di fumo, direi che è il caso di una doccia.

"Che volevate fare lì dentro con quelle pistole?"
"Pensavamo ci fosse un altro attentato, qualche bomba, sai... qui non si può mai essere sicuri!" risponde Esposito, sempre composto e ordinato, anche a prima mattina. Il mio dubbio se nella sua vita precedente fosse stato un marine sta quasi per diventare certezza.

"Castle come sta?" chiede Ryan guardando la colazione per due che ho tra le mani.

"Direi meglio... è solo affamato!"

"E' solo Castle!" rispondono i due in coro.

Ci lasciamo andare ad una fragante risata che ci fa ricordare i tempi al distretto... se solo ci penso che dovremo andare in una nuova struttura... mi viene da piangere. Dopo l'attentato al 12esimo distretto, non era rimasto praticamente più nulla. Poi il mio pensiero si sposta su Rick. Nelle sue condizioni, dovrà stare a casa al riposo per un bel po'. Il che significa niente casi da risolvere insieme sul campo... forse niente più caffè la mattina... in ogni caso, lui deve tornare al più presto a New York.

 

Le mie preoccupazioni sono fondate anche stavolta. McNeil ci ha riunito per parlare degli ultimi avvenimenti e ha preso la decisione di far ritornare in patria alcuni dei militari, almeno quelli gravi, per farsi curare, dato che l'ospedale del campo ha quasi esaurito i kit di emergenza. Si arrabbia con i soccorsi perchè sono arrivati in ritardo. Poi chiama il Pentagono; è agitato, lo vedo dalla mano che regge il telefono, tremolante. Parla con uno dei nostri traduttori, poi gli tocca la spalla per consolarlo. Questo si congeda e va via.

Lentamente si avvicina a me, finalmente, e inizio ad agitarmi perchè non so cosa i suoi occhi, più freddi che mai, vogliano dirmi.

"Kate... ho analizzato la situazione e gli ultimi avvenimenti di questi giorni e sono giunto ad una conclusione..." fa qualche pausa prima di riprendere parola e questo non può che rendermi ancora più nervosa. Mordo il labbro e ora anche le unghie per quanto sono impaziente. "Tu e la tua squadra, Rick compreso, dovete tornarvene a New York."

E poi arrivano quei momenti in cui dentro di te, prendi un piccone e inizi a buttar giù quel muro che tanto ti dà fastidio. Anche se quel piccone è pesante e tu ti senti debole, sai che puoi farcela... e ce l'hai fatta... quel muro è solo un brutto ricordo. Ma qualche mattone credo mi sia ancora rimasto.

Scuoto la testa, non realizzando del tutto la cosa.

"Cosa? Come? Non capisco..."

Dovrei essere felice. Tornare a casa dopo tutto questo tempo. Sentirmi veramente libera. Vedere un orrore diverso da questo qui, vedere un sangue diverso rispetto a questo che sgorga da ogni pezzo di tuta militare. Eppure...

"Questa non è più la vostra guerra, Kate. E poi avete Rick Castle da curare... da male, Kate..."

Continua a ripetere il mio nome. E lo fa con quel tono snervante.

"Non agitarti, Kate. E' per il tuo bene, Kate."

Finchè poi esplodi come una di quelle tante mine anti uomo che circondano la zona di guerra.

"La smetti di chiamarmi per nome?! E' insopportabile!" metto le mani sulle tempie... la testa mi sta scoppiando... sto esplodendo. "Perchè mi mandi via? Non vuoi che scopra più altre cose che tenete nascosto?? Perchè mi stai facendo questo?"

E poi scopri perchè non sei del tutto felice all'idea di andartene.

Ti stai affezionando a quel posto, Kate, che te lo ammetta oppure no.

"Pensavo di farti un favore, di aiutarti... perchè non vuoi andartene, piuttosto..." anche Samuel è preoccupato per me... non capisce la mia reazione, o forse sì?

"Ma che ne sarà degli altri poliziotti... di Laura e la sua squadra?"

Le lacrime stanno scendendo da sole. Il battito cardiaco è incontrollabile.

"Se ne andranno quando lo dirò io. Vai a prepararti, domani tu e gli altri partirete." mi accompagna fuori dal suo "ufficio", prendendomi per il braccio, come un padre con sua figlia.

"Ma---"

"Che c'è?"

Gli occhi di Samuel sono ancora freddi. C'è quel luccichio lontano però, in profondità, che ti fissa e sembra dirti di farti coraggio, di dire la verità.

"Non ti starai mica... affezionando a questo posto?"

Scuoto la testa e mi asciugo le lacrime. Poi dò un'occhiata alla tenda di Samuel. Non mi sono mai accorta che oltre ad essere piena di mappe, è composta anche da foto di militari... diverse foto, scattate nei diversi anni in cui è stato in servizio. Ce ne sono un paio anche di lui e Tacker. Lui segue il mio sguardo ed entrambi lo posiamo sulla foto di una famiglia felice... quella di Samuel con quella che era sua moglie e sua figlia. Un quadretto felice, almeno in apparenza. Quasi ignaro di ciò che li avrebbe separati: la guerra, un nemico invisibile che mai verrà sconfitto.

"Kate, la guerra più grande da combattere è quella contro noi stessi. So che ora ti senti parte di questo posto, che senti gli altri militari come una tua famiglia... ma questo è il mio mondo ormai. Tu hai ancora una possibilità di avere una vera famiglia... amici veri... affetti reali."

Di nuovo quella sensazione di avere gli occhi lucidi. Lui ha ragione. Me ne rendo solo conto adesso.

Questa non è più la tua guerra, Kate.

Samuel mi prende il viso, voltandolo verso di sé e poi mi asciuga gli occhi con un fazzoletto, preso a casa dalla sua tasca.

"Torna a casa, Kate."

 

Sono ancora con il broncio.

Sto con Esposito, Ryan e con Rick seduti in aeroporto, in attesa del nostro volo... ma mi sento strana. E' come se una parte di me non avesse abbandonato del tutto il campo di battaglia.

Abbiamo salutato Laura e gli altri prima di andar via, di lasciare per sempre queste terre mediorientali. Laura era abbastanza preoccupata, ma doveva apparire sicura perchè la sua squadra conta su di lei. McNeil ed io ci siamo salutati con un cenno di mano: lui è sicuro di ritornare dalla guerra, sa che vincerà anche stavolta.

Rick zompetta, a fatica si tiene in piedi, aiutandosi con delle stampelle che ci hanno dato sul campo. Ha preso molta morfina. Javi e Kevin gli hanno detto di appoggiarsi a loro, ma lui è testardo: vuole camminare da solo e ce la farà. Questo è lo spirito giusto. Lo guardo, sorrido e non posso fare a meno di essere fiera del mio uomo. Anzi, del mio fidanzato.

"Becks, tutto okay?" la voce di Ryan mi riporta sui miei pensieri.

"...sì." esito un po' prima di rispondere, incerta persino sulle mie parole.

"Bugiarda!"

Sospiro.

"E va bene. Vuoi sapere che c'è? Ce l'ho ancora un po' con McNeil."

Kevin annuisce e guardiamo Javier e Rick che litigano alla macchinetta delle merendine.

"Sai credo che lui ci abbia mandato via per salvarci la vita. Sopratutto la tua."

Lo guardo e quasi quasi non riesco a riconoscere Kevin Ryan in questo momento. Da quand'è che è diventato così saggio?

"Io e gli altri abbiamo notato i continui momenti di tensione, prima con i militari morti, poi con il ferimento di Castle... lui ti ha detto che fa parte del protocollo e ci ha mandato via per dimostrarti che non voleva ferirti, ma il contrario... questa è solo la mia spensierata opinione, Becks!"

Ricordo la sindrome dei marines. Samuel aveva capito che stavo diventando parte integrante della guerra, l'ha capito e mi ha mandato via.

Il nostro volo sta per arrivare.

Mentre ci affrettiamo a prendere i nostri bagagli, io aiuto Rick a stare in piedi, penso alle parole di quell'agente che ho paragonato tante di quelle volte a Royce Montgomery... anche in questo ultimo gesto, non ho potuto fare a meno di pensare al mio ex capitano.

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Capitolo 19
*** La cosa più difficile al mondo è viverci. ***


CAP

Penultimo capitolo!

Siete ancora con le lacrime agli occhi?

Tranquille, è quasi finito il dramma XD

 

 

 

La cosa più difficile al mondo è viverci.

 

 

 

Aria di casa. Aria di New York.

Clacson, gente che parla inglese, taxi, gente per le strade e smog.

Mi è mancata questa città, nonostante i suoi difetti.

Ma non è il momento per i sentimentalismi. Ora dobbiamo portare Rick urgentemente in ospedale.

Durante il volo, il mio fidanzato si è lamentato per il dolore alla gamba destra; sul suo sedile non riusciva a distendersi, a stare tranquillo.

L'effetto dei tranquillanti stava svanendo.

Ho tenuto per un rigetto quando dal piede, seppur ingessato, sono iniziate a scendere delle gocce di sangue: c'era un piccolo foro sotto il calcagno, che era bucato.

L'ho rimproverato perchè doveva dar retta a me e farsi aiutare da Javi e Kevin nel camminare; ma lui testardo com'è ha voluto fare tutto da solo.

"Ce la faccio Kate a camminare, non sono mica un bambino!"

Non è un bambino, ma continua costantemente a comportarsi come tale.

 

Arriviamo all'ospedale più vicino. Lui viene trasportato in terapia intensiva; sta perdendo altro sangue. La sua gamba sta cedendo... sta perdendo forma... e sangue. Temo che potrebbe perderla... ma non voglio neanche pensarci.

"Kate, oh darling... siamo arrivate appena ci hai chiamate!"

Col suo modo di fare, Martha mi abbraccia facendomi fare una giravolta. Poi è il turno di Alexis.

"Come sta papà?" mi chiede costringendomi a guardarla nei suoi occhi impregnati di lacrime.

"Lo stanno visitando... andrà tutto bene." le poso una mano sulla spalla, e la tengo premuta per farle capire che ci sono.

 

Il tempo passa inesorabilmente. Quando sei in ospedale, sopratutto, e una persona a te cara lotta tra la vita e la morte, il tempo sembra non passare mai.

Finché poi ti prende a calci in culo, o si fa beffe di te. Ed ecco che improvvisamente arriva il momento tanto atteso... e tu non lo vuoi, non vuoi sapere nulla, e vorresti che il tempo si fermasse... volevo che il tempo si fermasse quando stavo con Rick... ogni momento con lui non è stato tempo sprecato.

Alexis giocherella con la collanina al collo per ingannare il tempo. Martha passeggia da una parte all'altra del corridoio. Kevin chiama Jenny ogni 5 minuti. Javier è al telefono con Lanie e sembra che finalmente vogliano riprendere a vedersi.

Capisci quanto sia essenziale il tempo in momenti come questi.

E intanto anche la televisione è un buon compagno quando vuoi ingannare il tempo.

"... i combattimenti a Bushehr continuano ininterrottamente, giorno e notte. Nel frattempo, sembra che gli attacchi verso il centro di Gerusalemme si siano calmati, anche se la popolazione non ha mai smesso di continuare la solita routine quotidiana..."

Tutti in ospedale si sono fermati e hanno alzato lo sguardo verso quel grosso schermo che trasmette onde sonore e visive. Io, Ryan ed Esposito ci guardiamo; quel posto lo conosciamo troppo bene.

"...come vedete, la gente a Gerusalemme è tranquilla. Lo stesso non si può dire in Iran. Sembra che dopo aver rinunciato come obbiettivo di attaccare la città santa, il Presidente iraniano ha lasciato un comunicato dicendo che non intende comunque smettere di produrre uranio e che le centrali nucleari non cesseranno di esistere. Il governo americano in tutta risposta ha detto che intraprenderà azioni diplomatiche finchè i giacimenti di uranio verranno presi sotto custodia dai maggiori studiosi nostrani..."

Scuoto la testa disgustata. Il nostro governo ha rigirato la cosa, facendosi passare per paladino della giustizia. Lo sanno che i giacimenti di uranio servono per produrre altre armi... però loro fingono dicendo che vogliono per sé quella risorsa per poterla studiare!

La guerra non finirà mai, è davvero un nemico invisibile che nessuno riuscirà mai a sconfiggere.

E poi finalmente...

"Dottore, come sta mio figlio?"

Martha è la prima ad agguantare il medico chirurgo di turno e chiedergli di Rick. Noi la seguiamo a ruota, creando un piccolo circolo intorno al medico, il che è quasi buffo.

Il medico ci guarda preoccupato, abbassa la testa, ci scruta, e quasi vorrebbe leggere i nostri cuori per rassicurarci e dirci la verità... io invece vorrei solo leggergli la mente...

"Abbiamo fatto tutto il possibile, ma... ha perso molto sangue...e..."

Le parole sono offuscate, il medico aggrotta la fronte ed è sinceramente dispiaciuto. Martha si stringe ad Alexis e piangono. Io devo sedermi perchè non riesco a reggere alla notizia. Esposito e Ryan si mettono ai miei lati, abbracciandomi. Mi copro il viso per non farmi vedere che sto piangendo...

"...i primi militari sono tornati oggi dall'Iran... andiamo in aeroporto per incontrarli... restituisco la linea."

Qualcuno spegne la televisione e le immagini, tutto intorno a me diventa improvvisamente buio.

 

Sono passate due settimane da quel terribile giorno in ospedale.

Ancora una volta il tempo ci ha tradito, è inafferrabile.**

Corre e non si ferma mai.

Ho avuto notizia che oggi in aeroporto arriveranno il commando di McNeil e gli altri, perciò mi sono vestita diversa dal solito.

Capelli tirati su da una cipolla, trucco non troppo pesante, il solito mascara e matita nera sugli occhi, maglia beige con i bordi neri... quella che mi piace tanto... poi jeans neri attillati, tacchi e in mano reggo il mio impermeabile beige.

Mi alzo in punta dei piedi, attendendo l'arrivo dei militari, quando finalmente scorgo tra la folla qualche volto famigliare.

"Kate! Kate!"

Laura mi corre incontro abbracciandomi. Che gioia rivederla sana e salva.

"Laura, che bello vederti! Come stai??"

Mostra con orgoglio alcune ferite sulle braccia.

"Ferita, ma felice. Sono rinata!"

Restiamo un po' a parlare, poi Laura si blocca improvvisamente, cambiando espressione del viso.

"Kate... è lui."

Mi indica di guardare a qualche metro più in là.

C'è la fila per fare il check-in direzione Francia. C'è un uomo distinto, sulla quarantina circa, in giacca e cravatta blu scuro, che osserva e rilegge i biglietti aerei. Il viso concentrato a leggere. Poi, come se avesse letto nel pensiero di Laura, alza lo sguardo verso di lei. E' lui, James, l'uomo che lei ha amato, e si sono amati, prima che le incomprensioni li dividessero. E' stata Laura a raccontarmi la sua storia e a incitarmi ad essere onesti sui propri sentimenti altrimenti si rischia di perdersi.

All'inizio lui non la riconosce, corruga la fronte per mettere bene a fuoco. Laura gli sorride dolcemente, un sorriso lieve, uno di quelli genuini che io e Castle usavamo fare prima di stare insieme come coppia. Allora James riconosce in quel sorriso la sua Laura, quella poliziotta che aveva amato così tanto anni fa e ricambia quel gesto, teneramente. La guarda. Anche se lei indossa quella sporca tuta mimetica, quei capelli neri scompigliati, raccolti da un chignon sulla testa, e solo due ciocche lasciate libere dietro le orecchie, lui sa che è sempre la sua Laura. Quella matricola testarda che conobbe e amò. E chissà, forse ama ancora. Perchè li guardo e penso che c'è ancora qualcosa tra loro, che non può finire là questa storia. James sorride, si inclina in avanti come per fare un inchino: è orgoglioso dell'operato della sua ex matricola. Lei si gonfia e lo saluta con il saluto militare.

Si fanno segni di assenso con la testa prima che lui torni a rivolgersi a quella che appare la sua famiglia: sua moglie dai capelli biondo platino, semplice dell'aspetto, e una ragazzina di circa 10 anni che reclama per l'attenzione del proprio papà.

Il mio sguardo da felice diventa triste. Triste per Laura, la quale ha inclinato quel sorriso.

"Dovresti andare a parlargli, Laura. E' la tua occasione."

"No, preferisco tacere... è meglio così." mi sorride amaramente "Ma sai, Kate... dopo tutto sono contenta lo stesso di averlo rivisto."

"Non avevo dubbi." rispondo mostrando il lato romantico che di solito nascondo.

"Sono contenta perché vedendomi così gli ho dimostrato che non sono cambiata: sono sempre la sua ex matricola testarda e innamorata di lui."

Continuiamo a guardare quell'uomo che è così felice con la sua famiglia, mentre abbraccia sua figlia e sua moglie.

"Io e James non facciamo più parte della vita dell'altro e per me va bene così. Ho trovato in Iran la mia famiglia." e mentre dice ciò, raggiunge i suoi compagni di distretto, lasciandomi il suo contatto. "Chiamami qualche volta e non dimenticarti di invitarmi al matrimonio col tuo Rick!"

"Cosa??" le faccio un po' spaventata dall'idea del matrimonio.

Ma Laura non mi sente, è troppo lontana ed è già arrivata ad abbracciare i suoi compagni. Si abbracciano e ballano una danza tutta loro, che forse hanno inventato sull'aereo del ritorno in patria. Anche se sembra una danza caraibica. E' buffa. Mi fa ridere.

Giro la testa distrattamente verso l'uscita e il sorriso, il respiro si bloccano. 

E' Rick.

 

Rick Castle mi sorride. Ha alcune cicatrici in viso e con le stampelle ancora non riesce a camminare del tutto, ma la sua voglia di raggiungermi è tanta che cerca di sforzarsi più che può. 

In ospedale gli avevano detto che ha qualche muscolo rotto, qualche perdita c'è stata, ma può ripristinarsi col tempo. Ci vorrà molta terapia, ma pian piano riacquisterà l'uso dalla gamba destra.

"Abbiamo fatto tutto il possibile... ha perso molto sangue... e... non c'è possibilità che riacquisti del tutto l'uso della gamba destra, visto che qualche muscolo si è rotto ed è difficile che si ricostruisca... ma col tempo e con molta terapia e sopratutto buona volontà, il vostro amico ce la farà."

Gli vado incontro e lo aiuto ad appoggiarsi a me, ma Rick, non curante del fatto che non riesce a camminare, mi prende per la vita. Mi abbraccia, e mi fa girare come una degna Martha Rodgers farebbe. Quella giravolta mi provoca sempre un po' di mal di testa, ma non è proprio il giorno per pensare a questo. Finalmente uno di fronte l'altra, ci lasciamo andare ad un bacio appassionato. Con un braccio lo aiuto a restare in piedi e con l'altro tocco il suo torace, sempre bello tosto... i suoi pettorali, il suo cuore che batte all'impazzata man mano che il bacio si fa più intenso. Incuranti del fatto che ci sono centinaia di persone intorno a noi.

Lì siamo solo io e Rick. Lo scrittore e la sua musa, che combattono il crimine.

Sempre insieme.

 

Dicono che la cosa più difficile al mondo sia viverci.

E che per farlo bisogna essere coraggiosi e vivere nelle memorie di chi ci ha lasciato.

Ma sopratutto bisogna vivere per chi è ancora con noi e condivide la nostra gioia.

Il mondo non è bello e buono, ma vogliamo credere che ci sia ancora del bello e del buono in questo mondo.

Dopo esserci staccati dal bacio, io e Rick ci sorridiamo e poi guardiamo insieme lo spettacolo della vita.

 

Un militare che saluta la sua famiglia: la moglie in lacrime la bacia, col figlioletto in braccio. Poi saluta anche l'altro ragazzo, più grandicello e gli tocca la testa. Il ragazzo non riconosce quell'uomo davanti a sé, forse non vede il padre da un sacco di anni, quindi la madre gli spiega chi è. Allora il ragazzo si avvicina e abbraccia suo padre, dopo un attimo di esitazione.

Una ragazza lascia andare i suoi zaini a terra per correre verso i suoi genitori, più anziani, stanchi, ma sempre sorridenti. Sembra che non abbiano perso le speranze di rivedere la loro figlia, partita per la guerra e tornata sana e salva.

Una bambina corre urlando "papà" e va ad abbracciare quell'uomo, un po' stempiato, che ricambia quel gesto, facendo fare una giravolta a sua figlia.

Una donna, ormai stanca delle fatiche, piange e corre mentre va da sua figlia, accompagnata dai nonni. Chissà forse non la vedeva da anni.

Piangono quando si rivedono, anche gli uomini, ma non è una scusante. Tutto è ben accetto oggi.

 

Io e Rick ci guardiamo e sorridiamo, pensando entrambi alla stessa cosa. Ancora mi meraviglio che siamo riusciti a sopravvivere a tutto questo. E mi rende conto di quanto sia grande l'amore che ci lega. Un legame indissolubile. Lui è ancora un po' traballante, ma con tanta forza di volontà, riuscirà a camminare di nuovo. Si avvicina e mi bacia l'orecchio sinistro, facendomi venire il solletico.

Spostando lo sguardo altrove, intravedo Samuel McNeil: sta aiutando gli altri militari a smontare dei pacchi e altre attrezzature. E' stato l'uomo chiave di tutta la guerra e la vicenda. E' stato il mio secondo padre, la mia guida, la mia speranza. Nonostante ci avesse nascosto delle cose di portata mondiale, ha saputo sempre fare del suo meglio per proteggermi. Non c'è una famiglia per lui, ma credo l'abbia trovata nei ragazzi che sono stati con lui in ogni missione. Continuo a fissarlo nella speranza che rivolga il suo sguardo verso di me.

E alla fine lo fa verso la mia direzione. Ci fissiamo per un attimo. Lui vede Rick accanto a me, ancora intento a mordicchiarmi l'orecchio e io a spostarlo perchè mi sta facendo di nuovo solletico. Samuel sorride vedendomi felice. Infine, senza dire nulla, ci salutiamo col saluto militare. Lui sull'attenti, io no per ovvi motivi, portiamo la mano dritta sul lato della testa e facciamo un segno di assenso.

Poi torna alle sue cose e scompare tra la folla.

Credo che sentirò ancora parlare di lui.

E infatti, qualche giorno dopo, mentre sarei stata a coccolare e curare Rick, sarebbe arrivato un pacco da parte del governo e di McNeil: una medaglia al valore tutta per me...

 

 

 

*questa cosa dei militari che riabbracciano i famigliari mi è stata ispirata da questa foto http://www.terraligure.it/blog/militari_iraq2.jpg praticamente scrivevo il capitolo e piangevo anche io.

** frase che ho ripreso da "Gocce di memoria" di Giorgia, Vulpix sarà contenta ;)

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Capitolo 20
*** Mi avevano avvertito di seguire la routine quotidiana e di non distrarmi mai. ***


CAPITOLI PROSSIMI

Epilogo della storia! Ebbene sì siamo giunti alla fine miei cari lettori!

Grazie per avermi seguito, letto e recensito.

Spero con questa storia di avervi trasmesso belle sensazioni, di avervi fatto commuovere, e di essere riuscita, almeno in parte, a rappresentare la guerra in tutte le sue forme.

Buona lettura e alla prossima FF! :)

 

 

 

Mi avevano avvertito di seguire la routine quotidiana e di non distrarmi mai.

 

 

 

 

La gioia della vita. Dell'essere sopravvissuto, è questo che ti rende vivo.

E vedere quelle famiglie riunite, ti rende vivo.

Ancora abbracciati, io e Rick ci guardiamo e facciamo nasino sorridendoci.

"Direi che questo è proprio il finale giusto per il tuo reportage, Rick. Cosa ne pensi?"
"Che è bellissimo, mia dolce musa. Proprio come te!"

Ci baciamo dolcemente. Perchè la vita si deve assaporare giorno per giorno. Perchè essa ha un sapore dolce...

 

...

 

SEI MESI DOPO

 

...

 

Quelle immagini scompaiono sfogandosi in bianco.

Dopo sei mesi, molte cose sono cambiate. Siamo prima di tutto cambiati noi.

Io e Castle siamo andati a vivere insieme. Abbiamo preso un appartamento in centro, bello assolato e super tecnologico.

Anche stamattina ci siamo svegliati abbracciati, come succede da ormai sei mesi. Ci contiamo le cicatrici che abbiamo sul corpo, una ad una, le osserviamo e ne percorriamo la loro lunghezza con le dita nude, fredde o calde che siano, basta che diano emozioni... qualcosa di vero, di reale.

Rick continua a fare la fisioterapia per riacquistare del tutto l'uso della gamba destra. Ha quasi terminato. Il medico dice che sta facendo grandi progressi. Per ora, sono io a portargli il caffé la mattina, sia al letto e sia al distretto.

E poi arriva quello scossone che ti butta giù. Letteralmente.

Senti cadere una matita, oppure rompere qualcosa, e ti butti a terra, riparandoti sotto un tavolo. La gente al distretto o per strada ti guarda male, non capisce.

Una volta mi sono raggomitolata per ore dentro al bagno, perchè in cucina era caduta una pentola e io non riuscivo a rialzarmi più. Che ne sa la gente del perchè reagiamo in questo modo? Che ne sanno perchè tremo ancora oggi appena sento un leggero rumore, uno scoppio o uno sparo?

"Beckett, tutto okay? Cosa ci fa lì a terra?" la Gates mi offre la sua mano per rialzarmi. Guardo Castle, poi Esposito e Ryan.

Loro sanno perchè faccio così. Lo fanno anche loro.

 

Mesi fa, quando Kevin e Javier tornarono dal fronte erano diversi. Freddi, distaccati.

Kevin non riusciva a parlare con sua moglie, non riusciva ad aprirsi. E ci servì la psicologa per fargli uscir fuori le parole. Col passar del tempo, tutto si stava stabilizzando. Sa che deve essere forte perchè tra un mese diventerà padre.

Javier era freddo. Neanche il calore prorompente di Lanie riusciva a scioglierlo. Lei però aveva capito tutto e gli era stato vicino, volente o nolente che lui fosse. E aveva imparato ad accettare la sua condizione.

Io mi ero abituata all'idea di non avere più il vecchio distretto ma di andare in uno completamente nuovo, ma sapevo che non era la stessa cosa.

Il reportage di Castle è stato pubblicato con successo, Gina era contentissima degli incassi, e ovviamente sembrava più felice dei soldi che del suo ex marito...

Per quanto riguarda alcuni dei militari conosciuti in Iran, ho perso molti contatti. So che Samuel McNeil continua ad andare in missione in Medio Oriente, appena può, parte col suo solito squadrone. Non pensa più alla sua vecchia famiglia; ormai si è rassegnato all'idea che loro non vogliano più avere nulla a che fare con lui.

Laura è diventata una donna coraggiosa. L'altro giorno ho sentito al telegiornale che è stata un grado di interrompere una rapina... lei da sola, in una banca. Ha preso, con molta agilità, la pistola di mano al rapinatore e gliel'ha rivoltata contro. Quando l'ho chiamata stentavo a crederci. Mi ha detto che si è fidanzata con un architetto.

 

Ogni volta che passo davanti ai luoghi di culto, soprattutto quelli musulmani, mi fermo, li guardo un attimo e poi vado avanti.

Sono come un fantasma che si muove per la città, in mezzo a quel milione di persone che cammina intorno a me.

E' questo il modo per sopravvivere.

"Non bisogna mai distrarsi e mai schierarsi."

Così mi aveva detto una volta McNeil. Questo è ciò che continuo a ripetermi nella testa.

Il segreto per continuare a sopravvivere dopo un simile contatto come quello che ho avuto io, è quello di vivere la vita quotidianamente.

Eppure non è così semplice.

 

Oggi pomeriggio io e Rick siamo usciti per un caffé. Lo aiuto con le sue stampelle, anche se lui dice di voler fare da solo, lo sa che non ci riesce. Camminiamo, io sotto braccio a lui e andiamo nella nostra caffetteria preferita, una vicino al nuovo distretto. E' un locale carino, con le tendine rosse e la scritta "Caffé Tour". Qui ci sono tutti i tipi di caffé del mondo. Lo aiuto a sedersi e poi ordiniamo il solito. Ed ecco che succede di nuovo...

La cameriera fa cadere dei piatti vicino a noi. Io e Rick tremiamo ma ci prendiamo le mani, uno di fronte all'altro, chiudendo gli occhi, e pensando mentalmente "E' solo qualche piatto caduto, non sono spari". Questo non è più l'Iran, qui siamo negli Stati Uniti. Dobbiamo ancora ricordarcelo per non perdere il controllo.

La cameriera si scusa, poi si avvicina chiedendoci se vogliamo dell'altro, dopo averci visto agitati.

Rick ricorda che a Gerusalemme succedeva più o meno la stessa cosa. Tutti erano così cordiali con i forestieri, gli abitanti erano abituati agli attentati giornalieri invece.

La signorina ritorna portandoci dei muffin con cioccolato all'interno. Offerta della casa. Ce li avvicina per paura di non averli visti. Gli altri del bar ci guardano in un modo strano, circospetto. Forse ci hanno riconosciuto alla tv, dopo il ritorno a casa dalla guerra. Forse.

 

"Segui la routine quotidiana", mi aveva detto McNeil. "Non distarti mai." mi aveva avvertito Aisha.

 

Gentilmente prendiamo il dolce e sorridiamo alla cameriera, tanto per allontanarcela.

Non è uno di quei giorni per accettare una gentilezza fuori dall'ordinario. Non voglio pietà da nessuno. Se devo continuare a vivere, ben venga.

Forse ho capito la risposta a uno dei miei tanti interrogativi. Il tempo passa, le cicatrici restano. Sopratutto quelle di guerre.

Un uomo torna dopo alcuni mesi dalla guerra e a casa sua moglie non lo riconosce più. Ne ho sentite di storie come queste.

Ma io e Rick siamo forti. Abbiamo superato una guerra insieme, supereremo tutto, se cammineremo mano nella mano.

Il mio muro è stato abbattuto, ora non ho più difese. Ma che me ne faccio delle difese se ho il mio scrittore al mio fianco?

La gente intorno a noi mormora e ci indica.

Sì, forse ci hanno riconosciuto.

Rick mi guarda e mi sussurra di non farci caso, di continuare a seguire la routine quotidiana.

Addento il mio gustoso muffin e insieme a Rick guardiamo i passanti dalla vetrata della caffetteria. Dopo la colazione sappiamo che ci aspetta del lavoro al distretto. Un nuovo caso da risolvere, un nuovo mistero da svelare.

La mia Beckett interiore parla alla piccola Kate, che ormai più piccola non lo è.

Certe guerre interiori sono destinate a non sparire facilmente.

Continua a seguire la routine quotidiana.

Non distarti mai.

Ma sopratutto, non lasciare che un attentato pubblico di colpisca nel privato se non vuoi essere chiamata a fare da testimone ai posteri.

 

 

 

FINE.

 

 

 

Angoletto dell'autrice:

Beh che dire?

Ho lasciato un finale un po' così, in sospeso ma sopratutto introspettivo.

Quello che volevo trasmettere con questo epilogo è che nonostante Kate e gli altri siano tornati nella loro patria, sani e salvi, la vita ha ripreso a scorrere lentamente. Segnati ormai da una guerra che hanno visto con i loro occhi, devono mettere a frutto quello che hanno imparato per non distrarsi e non perdere il controllo per isolarsi: seguire la routine quotidiana.

Grazie di nuovo per l'attenzione, restituisco la linea XD

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