La tua canzone

di nevaeh
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo Undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


La tua canzone

1. Capitolo uno

 

 

A Donatella e

a Chiara (scordatelo).

 

Louis Tomlinson è un idiota.

Non che Harry non abbia potuto pensarlo durante quei due anni di amicizia, ma stamattina mattina, mentre esce dall’appartamento che i due condividono diretto verso l’ospedale, è giunto all’amara conclusione che il suo amico è proprio come se l’era immaginato: un idiota. E sfruttatore, anche. E manipolatore. Ma soprattutto un colossale idiota.

Perché una persona completamente – o quasi – sana di mente non se ne mette a rincorrere un’altra mentre nevica, col solo risultato di finire a gambe all’aria per il ghiaccio.

Ovviamente il fatto che si sia fratturato la tibia è stato un caso, ma il ragazzo… no, l’idiota, è riuscito tanto bene nel suo ruolo di manipolatore che adesso Harry, infagottato in un enorme cappotto e in buffo cappello, è costretto a fare la spola dall’ospedale con tutti i generi di prima necessità del suo amico. Che poi tali generi di necessità siano i videogiochi della playstation portatile, i biscotti alla crema di ciliegie e i suoi boxer portafortuna, è tutta un’altra storia.

L’unica fortuna è che dalla sera prima – poche ore dopo che Louis è stato ricoverato – ha finalmente smesso di nevicare e, anche se con qualche difficoltà e con molta attenzione, si può passeggiare. L’ospedale non è molto distante dalla casa, e il cantante ha deciso di lasciare l’ombrello e di farsi due passi, conscio del fatto che così coperto non lo avrebbe riconosciuto nessuno. Affondando il naso nella sciarpa cammina di fianco alle vetrine, lanciando ogni tanto qualche occhiata alla strada e alla folla, sempre troppo di fretta per i suoi gusti; il giovane, che ormai quasi non è più abituato al concetto del camminare per strada come chiunque altro, si sta invece godendo il tragitto, fermandosi anche a comprare una ciambella da un venditore ambulante, che con un sorriso sdentato gli ruba tre sterline e venticinque. Poi, dimostrando enorme coerenza, il cielo decide che per quel giorno è stato troppo sereno, e in un nanosecondo la neve ricomincia a scendere implacabile. Harry soffoca un’imprecazione tra i denti, finendo di mangiare in due bocconi la sua colazione e valutando se continuare a piedi sotto i fiocchi bianchi raggiungere la fermata del tram, che lo avrebbe riparato e portato in ospedale.

 

 

 

Nevica.

Rose guarda scocciata il cielo bianco, sistemandosi le cuffie dell’mp3 e il berretto sistemato in testa. Fortunatamente stamattina ha avuto la geniale idea di prendere il tram, sicura che sarebbe venuto a nevicare in poco tempo. Con un sospiro si guarda intorno mentre il mezzo rallentava all’ultima fermata prima dell’ospedale. In fretta una trentina di persone entrano a rifugiarsi, creando il solito trambusto per obliterare i biglietti e trovare un posto dopo poggiarsi. Con uno scossone il tram parte, Rose getta un’occhiata al di fuori del finestrino, pronta a vedere la solita distesa bianca di strade e palazzi innevati. E invece incontra il riflesso di un paio d’occhi verdi che la scrutano sorridenti. La ragazza rimane un attimo incantata ad ammirarli, prima di voltarsi verso il loro proprietario imbarazzata.

Un ragazzo, infagottato in una sciarpa scura, continua a guardarla senza pudore, girandosi un berretto dall’aria buffa tra le mani. I capelli sono mossi, appiattiti dall’umidità e dal cappello, le labbra rosse e umide, il sorriso bianco e simpatico. Rose pensa che avrebbe attaccato discorso da un momento all’altro, e invece lui si limita a starsene lì a contemplarla, con il suo sorriso e i suoi occhi e le sue labbra. Rose pensa anche che abbia gli occhi più belli che avesse mai visto, e nonostante si senta tremendamente in imbarazzo non riesce a distogliere lo sguardo da quel verde brillante.

Il tempo sembra fermarsi, poi il tram si ferma con l’ennesimo scossone. Rose si costringe a guardarsi intorno, accorgendosi di essere giunta alla sua fermata.

- Scusa – mormora con gli occhi bassi rivolta al ragazzo, facendogli intendere di dover scendere. Quello annuisce e le fa spazio, la ragazza scende in fretta dal mezzo, lanciandogli un’ultima occhiata.

 

 

 

La sua voce.

Harry non riesce credere di essersi comportato in maniera tanto stupida: era solo una ragazza, avrebbe dovuto avvicinarla, scambiarci due parole e magari rubarle un bacio prima di scendere. E invece è rimasto imbambolato a guardarla come un tredicenne alla prima cotta. Scuotendo la testa si accorge che la fermata dalla quale era scesa la giovane è anche la sua, e correndo – continuando sempre a darsi dello stupido – scende al volo dal mezzo in partenza. Sta ancora nevicando e l’ospedale si staglia come un enorme mostro nero in mezzo a tutto quel candore. Harry controlla che nella sacca ci siano tutte le cose che Louis gli aveva ordinato quella mattina ed entra nello stabile attento a non scivolare, continuando invece a pensare a quei occhi scuri che risaltavano sulla pelle chiarissima, quasi trasparente. Scuotendo la testa il ragazzo entra in ascensore e preme il tasto numero quattro, che lo avrebbe portato al reparto ortopedia.

Niall, Liam e Zayn stanno seduti scompostamente al capezzale del paziente, continuando a ridere e scherzare in maniera molto rumorosa e guadagnandosi occhiatacce da una vecchia infermiera che continua a passare lì davanti.

- Ciao a tutti! – esclama il cantante entrando nella stanza; getta la sacca sul letto e si toglie le scarpe, prendendo posto accanto all’amico. Gli altri rispondono più o meno calorosamente, Louis comincia subito a frugare nella sacca alla ricerca di chissà cosa.

- Eccoli! – esclama poco dopo, estraendo i suoi boxer portafortuna con aria estremamente soddisfatta.

Un idiota, appunto.

Harry ride e si mette comodo contro il cuscino, cercando di riscaldarsi. Dal momento che la madre del suo compare non poteva lasciare il suo paese per andare a soccorrere il figlioletto infermo, il riccio si era proposto, tra le altre cose, come balia, accettando di assistere Louis durante la degenza. Il malato in questione gli stampa un bacio sulla guancia sfregandosi le mani come un bambino pestifero, per poi tirare fuori Fifa e PES e cominciare un’appassionante derby United – City. I ragazzi continuano a chiacchierare per parte della mattinata, segretamente felici dell’incidente di percorso di Louis, che aveva rallentato, seppur temporaneamente, i ritmi frenetici ai quali erano ormai abituati. E’ solo intorno all’ora di pranzo che Niall, finita la scorta di tortillas al formaggio, decide che se non avesse mangiato entro due minuti sarebbe andato in crisi d’astinenza, e subito gli altri – Liam escluso, visto che la ragazza lo ha messo a dieta – si mostrano d’accordo.

- Io ho voglia di un trancio di pizza – Louis guarda il suo migliore amico con la sua migliore espressione da cane bastonato e morente – andrei a prendermela da solo ma dopo che per rincorrere qualcuno sono scivolato… -

- Chiaro, chiaro – sbuffa Harry, comunque divertito. Si alza per andare a raccattare le scarpe e raccoglie gli ordini di tutta la compagnia; dopo pochi minuti varca la soglia del bar, frequentato solo da anziani pazienti e operatori dell’ospedale.

E lei è lì.

 

 

 

Anyway, the thing is

What I really mean…

Yours are the sweetest eyes

I never seen.

 

 {e a Elena, perchè è speciale }

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


2. Capitolo due

 


 

- La notizia positiva che la situazione non si è aggravata – dice il dottor Brown entrando nello studio e sorridendo a Rose – quella negativa è che dobbiamo iniziare un nuovo ciclo di cure, per cercare di limitare i danni – aggiunge poi, mentre la ragazza annuisce grevemente.

- Ne abbiamo già parlato, dottore – risponde allora, sorridendo serenamente. Niente cure, niente morfina. Rose vuole vivere, e vuole farlo appieno. Il medico scuote la testa contrariato, poggiandosi al bordo della scrivania e scrutando la sua paziente.

- Rose… - ricomincia, assumendo il cipiglio di padre apprensivo. Perché un po’ il dottor Brown lo è, il padre di Rose. Lo è con i suoi sorrisi, con le sue parole di conforto e con le sue tirata sulla bellezza e l’importanza della vita.

- Dottor Charlie – lo interrompe lei con la sua voce da bambina – sto bene, adesso. Sul serio – lo rincuora. E’ l’unica che chiama il medico per nome, ma dal momento che negli ultimi due anni lo ha visto con una certa regolarità si era concessa questo privilegio.

Il dottor Brown scuote la testa, abituato ormai a quel modo di fare della sua paziente.

- Stai bene? Sul serio, Rose? – le chiede con dolcezza, posando i fascicoli delle analisi e sedendosi al suo fianco – da quanto non esci? Non mi hai mai presentato il tuo ragazzo… - Rose scoppia a ridere, gli occhi scuri brillanti.

- Dottor Charlie – lo rimprovera giocosamente – non sto diventando sociopatica, stai tranquillo – risponde, evitando la seconda parte della domanda. Il medico sorride e abbassa la testa.

- Porta qui il tuo ragazzo la prossima volta, allora – le consiglia ridendo lui, alzandosi e cominciando a sfogliare un fascicolo sulla scrivania. Rose arrossisce e scuote la testa.

- Non ce l’ho il ragazzo, non sono così crudele – risponde in un sussurro.

- Hai detto tu che vuoi goderti la vita – le fa notare il dottore. Rose, non sapendo come ribattere, si limita a sorridere tristemente e ad alzarsi.

- Ci sto provando, dottor Charlie – risponde, mentre raccatta cappotto e borsa – grazie, comunque – aggiunge poi. Il medico annuisce e finge di non accorgersi degli occhi lucidi della giovane, stringendole invece la mano con calore.

- Di niente, piccola – sorride – e vai a mangiare qualcosa, prima di rischiare uno svenimento! –

Rose annuisce e esce dallo studio medico, gettando un’occhiata veloce all’orologio. E’ quasi ora di pranzo, il tempo è volato tra un’attesa e l’altra.

Ormai ha imparato ad attendere. Attenda i bus che la portano in ospedale quando sua madre non può, attende gli esiti delle mille analisi che fa ogni settimana, attende per i colloqui con i dottori, attende… eppure mentre entra nel bar è tranquilla, pronta a continuare ad attendere e a farlo col sorriso sulle labbra.

E lui è lì.

 

 

 

Harry rimane a fissarla come l’ultima volta.

Non riesce a credere alla fortuna che sta avendo, soprattutto dopo che aveva creduto di aver sprecato la sua occasione quella mattina; ma stavolta non ha intenzione di perdere tempo.

La ragazza si è accorta che lui si sta avvicinando e gli rivolge un sorriso, caldo e sincero. Tra le mani ha un cappottino rosso e una borsa, il berretto le copre parte dei capelli chiari.

- Ciao – dice Harry avvicinatosi, dandosi dello stupido, tanto per cambiare. Perché non riesce ad avere un comportamento (quasi) normale?

- Ciao – risponde la giovane. Ha una voce chiara, limpida, come una bambina. Harry si accorge di stare lì come un idiota a sorriderle senza rispondere e cerca di darsi una controllata.

- Ti va di pranzare con me? – le chiede lei, notando il suo disagio. Harry annuisce come uno stupido, limitandosi a seguire la ragazza; si chiede per un secondo se non passi troppo tempo con Louis.

- Cosa prendi? – le domanda, mentre la giovane analizza con lo sguardo il banco del self service.

- Non saprei… un’insalata, credo – risponde lei, indicando alla cameriera la confezione che desidera. Harry le lancia un’occhiata, accorgendosi di quanto sia magra. Spera non sia una di quelle fissate con la linea, proprio non le sopporta.

- Solo? Perché non mi fai compagnia con l’hamburger? – propone, mentre la cameriera prepara il panino che gli aveva ordinato.

- Perché no – accetta lei dopo un tentennamento iniziale, voltandosi a sorridergli – ma l’insalata la prendo lo stesso – aggiunge poi, posandogli un indice sul petto a mo’ di avvertimento – è salutare! – Harry si accorge che un brivido gli ha scosso il petto nel punto in cui il dito della ragazza lo ha appena sfiorato … e che non conosce ancora il suo nome. Il pranzo viene servito e i due si avviano verso uno dei pochissimi tavoli liberi.

- Mi chiamo Harry – dice lui quando si sono messi comodi.

- Mi chiamo Rose – risponde lei – che ci fai in ospedale, Harry? – aggiunge poi, aprendo la ciotola dell’insalata per condirla. Il ragazzo da un morso al panino, pensando che la ragazza abbia un nome meraviglioso.

Stupido.

- Ho fatto uno scherzo al mio migliore amico, lui mi ha rincorso sotto la neve ed è scivolato – racconta, facendola ridere. Harry si sistema meglio sulla sedia, soddisfatto della reazione che ha suscitato nella giovane.

- Sul serio? Scommetto che avete riso per ore – risponde lei.

- Certo – assicura il ragazzo – fino a quando non ci siamo accorti che non era per terra in lacrime per gioco, allora siamo venuti in ospedale – aggiunge imbarazzato, passandosi una mano tra i capelli. Rose sgrana gli occhi.

- Oh, si è fatto molto male? –

- Si è fratturato la gamba, sarà come nuovo in quaranta giorni – la rassicura – tu invece, Rose? – le chiede poi, gustandosi il suono del nome della ragazza.

- Sembra simpatico, questo tuo amico – mormora lei, sviando la domanda. Harry ride annuendo, mentre ripensa a Louis. Si accorge che Rose ha dato un morso al panino e che lo ha già lasciato, come nauseata.

- Come mai sei qui? – ripete ancora. Rose scrolla la testa.

- Solite analisi – risponde sincera, senza tuttavia sbilanciarsi. Non vuole essere compianta, e poi quel ragazzo le sta simpatico.

- Ah ti capisco – Harry è ormai completamente rilassato, rivolge alla giovane un sorriso e nota con piacere che le sue guance si sono deliziosamente arrossate, mentre questa si morde il labbro rendendolo più turgido.

Harry immagina come potrebbe essere baciarla. Rose abbassa lo sguardo sentendosi osservata – e cosa fai dopo? – le chiede poi, cercando il suo sguardo, come fosse in crisi d’astinenza. Gli occhi di Rose lo incrociano a metà strada, grandi e pieni.

- Andrò a casa e… - comincia a rispondere, interrotta però dallo squillo del suo cellulare – Rispondi pure – gli concede, distogliendo lo sguardo con discrezione. – Sono Lou, non ti dimenticare la salsa yogurt per il panino … e Liam chiede se gli compri un sacchetto di patatine, però chiede anche di non dirlo a Danielle, se no lo fa ritornare allo stato di voce bianca – il suo migliore amico è sempre il solito, divertente, rompiscatole e inopportuno; Harry sorride ricordando che al di là della ragazza che gli siede di fronte esiste un mondo, ha degli amici e deve portare loro il pranzo. Pensa che quella ragazza, nonostante la conosca da così poco, sta avendo uno strano effetto su di lui; non sa se bello o brutto, solo … strano.

Il giovane giunge alla conclusione che quella sensazione non gli piace, lo fa sentire troppo scoperto.

Chiude la chiamata dopo aver rassicurato il suo amico e si rivolge verso Rose, che sta girando distrattamente l’insalata nel piatto.

- E? – chiede, tornando al discorso di prima. Rose sobbalza, come se fosse stata interrotta dai suoi pensieri.

- E niente – gli risponde con un sorriso – probabilmente andrò a fare una passeggiata –

- Sotto la neve? –

- C’è qualcosa di più bello della neve? – chiede retorica la giovane, alzandosi e prendendo le sue cose. Harry la imita e si avviano insieme verso l’uscita.

- No, probabilmente no – si ritrova a risponderle. Sono in piedi, l’uno di fronte all’altra.

Baciala, baciala, baciala.

- Bene, allora io vado. Mi è piaciuto pranzare con te – dice la giovane – a presto, Harry – saluta poi, voltandosi per andarsene. Harry capisce di star sprecando la sua ultima occasione.

- E con me? – le chiede raggiungendola e fermandola per un polso. Rose si gira a guardarlo con espressione interrogativa – ci verresti con me a passeggiare? –

Rose sorride mentre le guance arrossiscono nuovamente.

Baciala, baciala, baciala. Harry riesce a guardare solo le sue labbra piene.

- Ci vengo – accetta.

Harry sorride.

 

 

It’s a little bit funny this feeling inside

I’m not one of those who can easily hide.

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


3. Capitolo tre


 

Harry esce dalla stanza del suo amico alle quattro meno dieci, correndo per entrare nell’ascensore che si sta chiudendo. Da quando Rose gli ha dato appuntamento nella hall per uscire insieme non è riuscito a pensare ad altro, nonostante gli altri ragazzi avessero cercato di coinvolgerlo in discussioni e battute. Ha un solo pensiero in testa: lei. Non il concerto che deve preparare, il disco che deve promuovere o i viaggi che deve fare; solo lei. E suoi occhi e le sue labbra e il suo cappottino rosso.

L’ascensore si apre e i due medici che erano con lui escono chiacchierando, subito inghiottiti dalla folla che caratterizza il pronto soccorso. Rose sta seduta sulle scomode sedie pieghevoli del Day Hospital, tra le mani stringe un quadernetto con la copertina a fiori sul quale sta scribacchiando qualcosa, totalmente ignara di quello che le sta succedendo intorno. Harry supera la distanza che li divide e si siede al suo fianco, sfiorandole un braccio con un dito.

- Oh ciao – la ragazza si è voltata di scatto spaventata, per poi rivolgergli un caldo sorriso non appena lo riconosce. Ha un sorriso bellissimo, Harry decide che non vuole vedere altro per il resto della sua vita.

- Cosa scrivi di bello? – le domanda curioso. La giovane scuote la testa e rimette il quadernetto a posto nella borsa.

- Solo qualche pensiero – risponde alzandosi, il ragazzo la imita e si incamminano nella fredda aria invernale. Il silenzio che li avvolge è rilassante, per niente imbarazzato. Rose si avvia verso una stradina secondaria, come se conoscesse il quartiere meglio delle sue tasche.

- Allora Harry, parlami di te – chiede la ragazza dopo un po’, voltandosi a guardarlo. Ha la punta del naso arrossata a causa del freddo, come le gote. Harry pensa sia bellissima… e si stupisce del fatto che non lo abbia riconosciuto.

- Mi sono trasferito qui da una piccola cittadina nel nulla – comincia a raccontare incerto, non sapendo quanto sbilanciarsi: non è normale per lui uscire con una ragazza che non lo guardi in estasi o che non ridacchi istericamente per tutto il tempo – e vivo insieme al mio migliore amico… -

- Quello geniale della gamba rotta? – lo interrompe la ragazza con una risata. Harry fa una smorfia.

Geniale… - riflette ad alta voce – credo dipenda dai punti di vista – Rose ride nuovamente scuotendo la testa, indica un parco con la mano guantata cercando l’approvazione dell’altro, che annuisce. Non c’è molta gente in giro, le strade sono ghiacciate e i due proseguono adagio, attenti a non cadere.

- E nel tempo libero riempi gli stadi di tutta l’Inghilterra – continua per lui la giovane. Allora lo conosce? E non ha sclerato?

- Sai chi sono? – chiede infatti stupito, fermandosi per scrutarla.

- Non vivo mica in Lapponia! – risponde ridendo Rose – e comunque credo ci sia un fan club anche lì – aggiunge, allungando una mano per afferrargli il braccio e invogliarlo a riprendere la passeggiata. Harry – tanto per cambiare – si da dell’idiota e la segue nel viale imbiancato, contento che lei non abbia tolto la mano dal suo braccio.

Non è possibile che si senta tanto felice per uno sfioramento così pudico.

- In effetti… - concorda con un mezzo sorriso – e di te invece cosa mi dici, Rose? –

- Nulla che possa competere con la tua vita da cantante di fama mondiale – si schernisce stringendosi un labbro tra i denti. Adorabile.

- Non ci scommetterei, la mia vita non è sempre rose e fiori come sembra – le fa notare lui, mentre Rose fa una strana espressione e distoglie lo sguardo.

- Sono nata in una piccola cittadina nel nulla – comincia allora lei facendogli il verso – e mi sono trasferita qui con mia madre tre anni fa, quando lei e mio padre hanno divorziato, adesso sto finendo il liceo e… -

- E? cosa vuoi fare da grande? – la invoglia a continuare lui. Rose stringe le labbra.

- Per la verità non mi piacciono i progetti a lungo termine, preferisco costruire giorno per giorno – confida, guardandolo. Harry annuisce, colpito.

- Buon modo di fare – approva – e questo domani lo stai costruendo con qualcuno? – si azzarda a chiedere poi. Rose capisce e scoppia a ridere, scuotendo energicamente la testa.

- E’ il modo più originale per chiedere se sono o no impegnata che io abbia mai sentito! – esclama, mentre Harry si passa una mano dietro la collo, in imbarazzo. Idiota, giusto per non smentirsi mai.

-No, e dieci e lode alla fantasia – risponde. Sorride, Harry mangia con gli occhi quel sorriso – e tu, Harry? – gli chiede poi la giovane, girando un po’ la testa con aria interrogativa.

- Single – afferma annuendo.

- Ho sentito che sei famoso per la tua fama da… dongiovanni – sussurra lei sempre con quella sua voce da bambina.

- E dove lo hai sentito? – Harry si avvicina a Rose, che accenna a un sorriso quando sente la pressione della mano del giovane sul suo fianco.

- In giro – sussurra.

- Non dicono cose vere in giro –

- Non si direbbe – risponde ridendo Rose, accennando alla posizione in cui si trovano. Harry le da ragione con un sorriso e si avvicina al viso della giovane.

- Sai – mormora ancora il giovane, sempre più vicino alle labbra di Rose – in giro dicono anche che sono anche il tipo che bacia al primo appuntamento –

Rose sorride e posa una mano sulle labbra di Harry, ormai a pochi millimetri dalle proprie, per allontanarlo.

- Allora dovrai invitarmi a un appuntamento – gli fa notare. Harry scoppia a ridere di gusto e si allontana, ricominciando a passeggiare.

- Ti va di uscire con me? – le chiede allora, mentre escono dal parco. Si fermano alla fermata del tram, Rose prende il biglietto dalla borsa.

- Sai – mormora avvicinandosi nuovamente al giovane – in giro dicono che non sono una che accetta di uscire al primo invito – gli confida, per poi ridere della faccia stupita di Harry.

Adorabile, assolutamente adorabile.

- Sei appena uscita con me – le fa notare divertito Harry. Rose si morde il labbro riflettendo, poi infila la mano nella borsa e ne estrae il cellulare. Il ragazzo capisce l’idea e tira fuori il suo. Il tram arriva e le porte si aprono con uno sbuffo. Rose finisce di salvare il numero di cellulare del ragazzo e gli sorride, prima di voltarsi per salire a bordo. Poi ci ripensa, torna indietro e gli lascia un bacio sulla guancia fredda.

- A presto – gli dice, prima di salire a bordo. Il tram riparte mentre lei è ancora ferma ad obliterare la corsa, Harry si tocca la guancia con una mano, immobile nella neve.

 

 

 

Rose arriva a casa che era ormai buio, entrando in fretta nella villetta che divide con sua madre.

- Mamma? – chiama, lasciando borsa e cappotto all’ingresso. Dalla cucina arrivano suoni confusi, la ragazza raggiunge la donna che sta trafficando in cucina alle prese con la cena.

- Ciao, cara – la saluta lei con il viso impiastricciato di farina. Rose adora sua madre Hellen, è la persona più imbranata, buffa, tenera e dolce che abbia mai conosciuto.

- Cosa stai cercando di fare? – le chiede con una risata mentre raggiunge il suo cassetto e ne tira fuori alcuni flaconi. Sente la madre deglutire alle sue spalle, ma cerca di non farsi condizionare.

- In teoria la pizza in casa, in pratica chiamo al cinese – risponde con una risata la donna. Due compresse rosse per il dolore, quella blu come copertura.

- Brava – risponde la ragazza aprendo il frigo per recuperare l’acqua – prendimi quegli involtini dell’altra volta, erano meravigliosi! – venti gocce per l’anemia in un bicchiere d’acqua, ancora una compressa gialla, per le ossa. La madre rimane a fissare le operazioni ormai automatiche della giovane, le mani strette al bordo della cucina con tanta forza dal far diventare le nocche bianche.

- Cos’ha detto il dottore? – orami non piange più, Hellen, almeno non davanti a sua figlia.

- Che sono stabile, per il momento – risponde atona Rose, voltandosi dopo aver richiuso il cassetto – sto pensando di ricominciare la terapia –

- Sono contenta che tu voglia ricominciarla – ammette Hellen con un sorriso. Quanto può soffrire una madre?

- Non ho detto che andrò in ospedale domani – sbotta la ragazza – ho detto solo che ci sto pensando –

Hellen rimane in silenzio per qualche secondo, soppesando le parole della figlia, poi annuisce e prendee il telefono per ordinare la cena.

Le due mangiano con la radio di sottofondo, chiacchierando e ridendo fino a sera tarda.

- Domani hai scuola – ricorda Hellen alzandosi. Rose sbuffa e la imita.

- Vuoi una mano a mettere in ordine? –

- No grazie, vai a letto. Buonanotte, cara – le augura la donna sporgendosi a baciarle la guancia. Rose sorride e si avvia verso la sua camera. In silenzio si cambia per la notte e si infilò nel letto, posando il cellulare sul comodino. Questo prende a vibrare dopo qualche minuto, la ragazza si siede e apre la bustina di un nuovo sms in arrivo.

 “How many roads must a man walk down

Before you call him a man?
Yes, 'n how many seas must a white dove sail
Before she sleeps in the sand?
E quanto tempo dovrà passare prima che io possa vederti ancora?

Buonanotte J xx

Harry” 

 Rose sorride leggendo il testo del messaggio, spegne il cellulare e torna a dormire.

 

 

 

But The sun’s been quite kind

While I wrote this song,

It’s for people like you that keep it turned on.

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


4. Capitolo quattro


 

 

Stamattina mi sono chiesta se riuscirò a vedere gli alberi fiorire. Non so perché, è stato il pensiero di un secondo, uno di quelli che non riesci a trattenere. Ed è una cosa insolita, dal momento che solitamente cerco di non farmi condizionare da tali riflessioni malinconiche.

Eppure me lo sono chiesta, e mi sono accorta di avere paura, un enorme terrore di andarmene senza aver potuto godere un’ultima volta del sole tiepido sul viso o dei colori della Primavera. Melenso, vero? Non da me, sicuramente. Mia madre se n’è accorta, non so come sia resistita all’impulso di piangere, anche se ormai ci è abituata, a non farlo davanti a me. Come se non sentissi i singhiozzi dalla sua camera da letto quando crede che io stia dormendo.

Questa è la cosa che mi fa più male, più delle ulcere, della stanchezza e delle febbri e dell’indebolimento. Perché devo far soffrire mia madre e le persone che mi stanno intorno?

Lei continua a darmi forza, e io continuo a darne a lei: starò bene, starò bene… ci spera lei e lo spero io, ed è l’unica cosa che mi fa andare avanti.

Dottor Charlie dice che sono stabile, io voglio godermi la mia giovinezza.

Ho conosciuto un ragazzo ieri, si chiama Harry e mi è sembrato molto dolce. Mi ha invitata ad uscire, ovviamente ho rifiutato. Non sono tanto cattiva, meschina ed egoista da farlo entrare nel mio inferno.

Ha degli occhi stupendi però, e una voce bellissima. Magari in un altro corpo, in un’altra vita…

La professoressa passa con lo sguardo su tutta la classe, senza riprendere Rose che continua a scrivere ignorando bellamente la lezione. La ragazza alza lo sguardo e le sorride, giocando con una ciocca di capelli. La tasca le vibra, tira fuori il cellulare non appena la donna si gira per riprendere a scrivere alla lavagna.

“Stacco alle tre, Lou continua a chiedermi cose assurde!”

Rose ridacchia sottovoce, digitando in fretta la risposta. E’ da quella mattina che lei e Harry continuano a scambiarsi SMS, ed è da quella mattina che lui continua a chiederle di vedersi ancora.

“Io finisco scuola alle tre e mezza” risponde la giovane. Harry seguita a fare il fattorino del suo amico, e Rose crede sia una cosa dolcissima. Invidia quei due.

“Perfetto, vengo a prenderti all’uscita… a proposito, qual è la scuola che frequenti? Xx” la ragazza scuote la testa divertita alzando gli occhi al cielo. Digita velocemente la risposta e rimette il cellulare a posto.

L’unico problema è che la mia vita è questa, e per quanto lo desideri non posso fare nulla per cambiarla.

Rose chiude il quadernetto e rimette la stilografica nella borsa, deglutendo per cacciare indietro le lacrime. La campanella suona, la professoressa chiude il registro e tutti escono dalla classe. Distrattamente si accorge che fuori ha ricominciato a nevicare, gli alberi non fioriranno ancora per tanto tempo.

 

 

 

 

Harry ha corso come un passo per arrivare alla scuola in tempo, soprattutto perché l’edificio si trova esattamente dalla parte opposta rispetto a casa sua, ora però è poggiato contro l’auto lasciata in modo per tenerla calda, e guarda gli studenti che si ammassano per uscire. Un po’ gli mancano, quei gesti… andare a scuola, fare gli scongiuri per non essere interrogati, le risate durante la pausa pranzo e le passeggiate nel pomeriggio, ancora con la divisa scolastica indosso.

Il cappottino rosso di Rose spicca all’attenzione del ragazzo non appena lei mette piede fuori dall’istituto, la borsa a tracolla dondola pigramente contro la su coscia e lo sciarpone gli impedisce di vedere le sue labbra piene e stupende; ma è lì, e si guarda intorno stringendosi per il freddo fino a quando non lo nota. Allora si affretta verso di lui facendogli un segno con la mano, che il giovane ricambia contento.

- Ciao – lo saluta sporgendosi a dargli un bacio sulla guancia.

- Dai entra in auto, che si gela – la invita lui notando la punta del naso della ragazza rosso. Una volta al riparo Rose toglie la sciarpa e gli rivolge un sorriso caldissimo. Harry giura di aver sentito il cuore fermarsi per un istante.

- Com’è andata? – le chiede, immettendosi nel traffico. La giovane sbuffa facendolo ridere di gusto, mentre comincia a cambiare le stazioni radio con una mano.

- Mi chiedo cosa ci sia di così interessante nella letteratura francese del seicento, sul serio – risponde scocciata.

- Me lo sono chiesto anche io, ai tempi – la rassicura Harry senza distogliere lo sguardo dalla strada. Gli piace che lei sia lì, che il suo odore abbia invaso l’abitacolo. Nota che riesce già a riconoscere il suo profumo… mandorle, neve, lei.

- A proposito… mica l’ho capito quanti anni hai! – dice dopo un po’ la ragazza, girandosi per guardalo meglio.

- Credo ti basti andare su un qualsiasi sito di gossip – le fa notare con una risata.

- Nah, non perdo tempo dietro a queste scemenze!

- Non ti faccio notare che mi hai appena dato della scemenza – risponde lui ridendo. Rose arrossisce e si morde un labbro. Harry deve farsi violenza per non accostare e baciarla.

- E questa è stata la figuraccia delle quattro meno un quarto – riflette, la voce melodiosa ridotta a un sussurro. Il giovane scuote la testa e le lancia un’occhiata veloce.

- Tranquilla, neanche a me piace spendere il tempo libero a cercare informazioni sulla vita degli altri – le dice dopo un po’, rompendo il silenzio – ho diciotto anni, comunque – Rose sorride con gli occhi bassi come a volerlo ringraziare, come sempre si morde un labbro in imbarazzo. Harry accosta fermandosi accanto a un elegante bar, scende e apre lo sportello della giovane. In giro non ci sono flash sospetti o ragazzine urlanti, e silenziosamente il cantante ringrazia la neve. Rose scende prendendo la mano che il ragazzo le porge, un po’ per timore di scivolare a causa della strada ghiacciata, un po’ per il piacere del tepore della pelle calda di lui.

Nel bar ci sono pochi clienti, i ragazzi si siedono in fondo al locale in silenzio, liberandosi degli ingombranti cappotti.

- Sono più piccola di te – dice Rose con un sorriso, prima di nascondere il viso dietro al menù – ho diciassette anni – Harry scuote la testa poggia il mento su una mano, guardandola.

- Ah, allora qui sono il più maturo! – esclama

- O il più vecchio, dipende dai punti di vista – gli fa notare Rose ridendo. Harry rimane in contemplazione della sua risata, non sa come sia riuscito a vivere tanti anni senza potersi beare di quel suono.

- Per un anno! Cosa prendi? –

- In realtà non ho per niente fame – risponde lei mettendo giù il menù senza interesse.

- Oh andiamo – la prega – al primo appuntamento non puoi non mangiare nulla! –

- Siamo a un appuntamento? – chiede sgranando gli occhi fintamente sorpresa, Harry sta al gioco e le prende la mano abbandonata sul tavolino.

- E già, attenta perché ti bacerò nei prossimi trenta minuti – le dice serio, facendola ridere.

- Sei carino ad avvertirmi prima, anche se ti sei giocato l’effetto sorpresa – Rose lo guarda per un istante prima di sciogliere la presa delle mani e usarla per passarsela tra i capelli. Harry sbuffa contrariato, non le piace la sensazione di freddo quando non la sfiora. La cameriera, bassina e con un sorriso dolce sul volto, si avvicina e chiede loro le ordinazioni.

- Due cioccolate calde al caramello – ordina per entrambi Harry. Rose lo guarda con aria di rimprovero, il giovane si stringe nelle spalle.

- Devi mangiare, se vuoi crescere – si giustifica. Rose scuote la testa ridendo.

- Parlami dei tuoi amici – gli chiede d’un tratto lei. Harry la guarda confuso un attimo, prima di cominciare a parlare: - c’è Niall, che ha questo accento stranissimo che all’inizio mi faceva sempre ridere e lui si arrabbiava perché diceva che non lo prendevo sul serio, ma è la persona più… genuina che abbia mai conosciuto, è sempre pronto ad ascoltarti, soprattutto se nel mentre sta mangiando. Mangia sempre! – comincia a raccontare il cantante, passandosi distrattamente una mano tra i capelli – poi ci sono Liam e Zayn, che non possono essere più diversi e comunque sono tipo… le due metà della mela, mi spiego? – chiede con un sorriso, Rose annuisce attenta – e mentre Zayn passa più tempo davanti allo specchio di chiunque essere mediamente normale, Liam è… come un padre. Mi prepara la merenda dopo che abbiamo finito in palestra e fa in modo che tutto funzioni sempre, e posso assicurarti che non è facile. Diciamo che è il responsabile della situazione. Poi c’è Louis, che… beh, è Louis e basta. Dategli la Play Station e una carota e lo renderete il ragazzo più felice della Terra. E’ il mio migliore amico, mio fratello – confida, sorridendo involontariamente.

- E tu chi sei, Harry Styles? – Rose lo guarda curiosa, girando distrattamente la cioccolata arriva nel frattempo. Il ragazzo rimane in un silenzio sbalordito per qualche secondo, senza sapere come rispondere.

- Io sono… Harry – si limita a rispondere, confuso. Rose ride.

- Harry e basta?

- Sono Harry – ricomincia allora lui con un sospiro – quello riccio che deve essere sempre essere impeccabile e perfetto agli occhi del mondo. Con la fama di dongiovanni che si è meritato solo a causa di alcune malelingue e che ha una paura assurda di dire la cosa sbagliata o comportarsi nel modo sbagliato o… - Harry si interrompe, accorgendosi di star dando sfogo a quelle paure che non riusciva ad esternare solitamente.

Con lei, solo con lei.

- Mi sembri una persona fantastica, Harry Styles – lo interrompe la ragazza sfiorandogli la mano. Harry sente il suo cuore sussultare.

- Non sai come sono di solito – la contraddice con un mezzo sorriso.

- Forse è proprio per questo – gli fa notare, gli occhi luminosi che lo fissano senza vergogna.

Harry si concede un nuovo sorriso mentre stringe la mano della ragazza. Non c’è bisogno di parole, Rose continua a guardarlo negli occhi, poi con naturalezza abbassa lo sguardo per tornare a consumare la sua cioccolata. Rimangono seduti lì per un po’ di tempo, il giovane scopre che il film preferito di Rose è Neverland, che preferisce il cioccolato bianco a quello al latte e che la sua canzone preferita è “Isn’t she lovely”; a quell’affermazione sorride mesto, generando la curiosità della giovane: - è una delle mie canzoni preferite – si limita a rivelarle, contento di avere qualcosa in comune con lei.

- Mi piacerebbe anche viaggiare – gli dice lei dopo un po’.

- E andare dove? – Harry ha generosamente sponsorizzato la merenda, ora i due passeggiano a braccetto per le strade candide di Londra.

- Non lo so… a volte mi piacerebbe solo salire su un aereo senza destinazione – gli confida con un sorriso triste. Perché triste?

- Dovremmo farlo! – esclama lui con un enorme sorriso sul volto. Dovremmo. Noi. Per un istante si da dello stupido, ricordando che comunque la conosce da soli due giorni. E invece Rose annuisce contenta, stringendosi involontariamente di più al suo braccio.

- Vorrei andare in Italia – confida – e ho sempre voluto mangiare un croissant sotto la Torre Eiffel e… - mentre parla lo sguardo è eccitato, gli occhi sono brillanti e la voce si è alzata si un tono. Harry quasi non presta attenzione alle sue parole.

Baciala, baciala, baciala.

E stavolta lo fa.

Le labbra di Rose sono come le aveva immaginate: piene, calde e profumate. La ragazza rimane un attimo sbalordita, la bocca ancora socchiusa mentre parlava. È un soffio, quasi uno sfioramento, ma ad entrambi sta bene così.

- Ti avevo detto che ti avrei baciata entro trenta minuti – le ricorda il giovane, parlando sulle sue labbra. Rose si stringe nel cappottino rosso.

- Non lo fare – lo avvisa, quasi in un sussurro. Il ragazzo non capisce

- Cosa? –

- Non innamorarti di me – dice nuovamente lei. Harry sorride e le accarezza una guancia, Rose piega la testa per assecondare il movimento. Continua a nevicare, ma nessuno dei due ci fa caso, troppo presi a guardarsi.

E poi è un secondo, e Rose è a terra.

 

 

I don’t have much money, but boy if I did

I’d buy a big house where we both could live.

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


5. Capitolo cinque



 

C’è un cattivo odore.

Harry cammina nervosamente avanti e indietro nel corridoio del Pronto Soccorso, le braccia conserte e gli occhi bassi. Un signore anziano lo guarda stranito, il ragazzo poco dopo gli si siede accanto, senza notarlo veramente. Sospira. Dopo che Rose è svenuta non ha chiaro nella mente tutto quello che è successo: ricorda il suono di una voce che chiamava l’ambulanza, i passi di chi, trovandosi davanti alla scena, era accorso spaventato ad aiutarlo. Ricorda le labbra rosse e socchiuse di Rose. Ricorda di essersi inginocchiato nella neve per assecondare la sua caduta e impedirle di farsi male. Ricorda che qualcuno – forse un paramedico – gliel’ha tolta dalle braccia per portarla in ospedale. E attende.

Un dottore esce dalla doppia porta, guardandosi intorno. Harry senza pensarci si avvicina a lui.

- Tu sei il ragazzo che era con Rose – il dottore è molto alto e ha i capelli brizzolati. Il ragazzo nota la voce ferma e lo sguardo attento mentre annuisce.

- Posso sapere come sta? –

- Non posso dirtelo, ma puoi vederla, se ti va – risponde l’uomo facendogli cenno di seguirlo – non deve essere stato facile per te, suppongo – aggiunge poi, guidandolo all’interno del Pronto Soccorso e poi verso un ascensore.

- Non sapevo come comportarmi – ammette Harry passandosi una mano tar i capelli, imbarazzato. Il medico annuisce.

- Non potevi fare nulla –

- Almeno ora sta meglio? – ritenta il giovane. L’altro annuisce con un mezzo sorriso e si ferma davanti alla porta del Day Hospital; gli fa un cenno come a invitarlo ad entrare.

Rose è nell’unico letto dell’angusta stanza, ha i capelli sciolti sulle spalle e un lenzuolo la copre fino a metà busto. Harry crede di non aver mai visto una visione tanto candida. Lei volta la testa e lo nota, smettendo un attimo di usare il cellulare.

- Ciao – il tono del ragazzo è incerto, come i suoi passi mentre si avvicinano al letto.

- Sei rimasto ad aspettarmi – nota strabiliata la ragazza.

- Non potevo andarmene –

- Non potevi? – Rose sorride, subito imitata dal giovane.

- Non volevo – ammette, prendendo posto sulla poltroncina di fianco al letto. La ragazza sospira e torna per un attimo con lo sguardo al telefono, lo spegne e lo poggia sul comodino.

Non dicono nulla per un po’, anche se la domanda aleggia nell’aria. E’ Harry il primo a prendere parola.

- Sapevo di baciare bene, ma addirittura svenirmi sul posto! – e Rose, che aveva atteso con ansia il suo commento, scoppia a ridere di gusto socchiudendo gli occhi scuri. Può una risata essere tanto dolce?

- Sai cosa so io, invece? Che sei uno sbruffone! – risponde lei voltandosi a guardarlo. Il ragazzo si finge sorpreso, portandosi addirittura una mano al cuore. Dopo qualche secondo tornano seri.

- Lo sai che non è normale svenire  mentre si passeggia per strada – la voce di Harry è ridotta a un sussurro, una mano sfiora quella della ragazza, che ha distolto lo sguardo.

- In effetti il tuo bacio deve avermi sconvolta – tenta di sviare Rose. La mano del ragazzo si posa sotto il suo mento, costringendola a guardarlo.

- Lo so che non ci conosciamo molto ma… -

Appunto – il tono della ragazza è tagliente. Harry sospira e le lascia una carezza, senza smettere di guardarla. E’ bella, anche con gli occhi freddi e l’espressione corrucciata. Un’infermiera entra silenziosamente nella stanza e rivolge un sorriso a entrambi – oh, bambina – la riconosce avvicinandosi al letto – di nuovo? – la ragazza si stringe nelle spalle con un mezzo sorriso, imbarazzata del contatto con Harry. La donna prende il braccio libero di Rose senza tanti complimenti, stringendole il laccio emostatico all’altezza del gomito, lei geme.

- Non riesco a credere che tu abbia ancora paura degli aghi – borbotta la più grande, mentre la ragazza apre e chiude il pugno per far uscire la vena. Harry rimane in silenzio mentre guarda la scena, stranito. Non è la prima volta che sviene, non è la prima volta che va in ospedale, non è la prima volta che fa una flebo. Distrattamente sfiora il braccio della ragazza con un dito, provocandole la pelle d’oca. Rose volta la testa di scatto quando l’ago trapassa la carne, stringendosi il labbro tra i denti.

- Rilassa il muscolo o sentirai dolore – si ritrova a consigliarle, incrociando il suo sguardo. L’infermiera finisce e fissa l’ago con un cerotto – ora puoi muovere il braccio tranquillamente – le annuncia, sistemando il contagocce della medicina. Harry continua a sfiorare il braccio della ragazza.

- Durerà un paio d’ore, poi verrò a toglierla e potrai tornare a casa – spiega la donna – stai attento che non pieghi il braccio, o la medicina non scenderà – si raccomanda poi con il giovane come se fosse stata la cosa più naturale del mondo. Lui annuisce e la guarda uscire dalla stanza, diretta forse verso un altro paziente.

- Mi dispiace – mormora la ragazza sistemandosi meglio sul letto. Harry la guarda stupito.

- Perché? –

- Perché ti ho fatto spaventare e venire qui e… - non trova nemmeno le parole. Il giovane sorride e le prende una mano.

- Stai tranquilla, non ci sono problemi – non è vero, non è per niente vero e lo sanno entrambi. E lei non vuole parlargliene. E Harry si sente di morire.

- No invece, ci sono problemi – la voce di Rose è ridotta a un sussurro, se non avesse visto le sue labbra muoversi avrebbe potuto giurare di essersi immaginato quell’affermazione. E poi una lacrima scende sulla guancia rosata della giovane. Harry si limita ad avvicinare il viso al suo per raccoglierla con le labbra, Rose chiude gli occhi a quel contatto – perché non vai via? – chiede nuovamente.

- Vuoi che me ne vada? –

- No – sussurra lei, stringendogli la mano. Rimangono a guardarsi negli occhi per qualche secondo, prima che lei ricominci a parlare: - si chiama leucemia -.

 

 

 


Rose sente che la mano che stringe la sua è diventata fredda.

- L’ho scoperto due anni fa. Continuavo a non sentirmi bene ed avere la febbre, e una volta ho rimesso sangue, allora mia madre mi portò a fare un controllo – la sua voce è tranquilla, mentre racconta – sai cos’è la leucemia, Harry? – si interrompe per guardarlo in viso. Adesso scappa, pensa. Harry si alza e comincia a camminare per la stanza passandosi le mani sul volto. Ora se ne va, pensa un’altra volta Rose, e sarebbe anche giusto. Perché dovrebbe continuare a stare in quella stanza, con una sconosciuta malata terminale che gli è svenuta mentre passeggiavano? Il ragazzo si ferma dandole le spalle, sospira e vi volta a guardarla.

- No – risponde, senza tuttavia avvicinarsi.

- Volgarmente viene chiamato tumore del sangue – risponde atona. Vuole che lui le si avvicini e che le riprenda la mano. Stava bene, quando le teneva la mano.

- E’ per questo che sei svenuta, prima? –

- Astenìa – si limita a spiegare Rose. Il ragazzo annuisce senza guardarla. Si avvicina di qualche passo al letto e le prende la mano, lei accenna un sorriso.

- Non… -

- Non dico di essere malata quando incontro per la prima volta un ragazzo – lo interrompe Rose intuendo ciò che lui stava pensando. Harry si passa la mano tra i capelli, imbarazzato; la giovane crede che sia molto carino così umano.

- Ora però me lo hai detto –

- Sto aspettando il momento in cui mi saluterai con un “ci vediamo in giro” e te ne andrai senza farti più sentire – rivela con un sospiro Rose.

Harry non risponde, col pollice traccia cerchi immaginari sul dorso della sua mano: - lo hanno già fatto? – è in piedi davanti a lei, lo sguardo basso.

- Cerco di non farli avvicinare abbastanza dal dovermi abbandonare – la ragazza accenna un sorriso. Adesso se ne va. Adesso se ne va.

- Con me non è stato così – Harry alza appena lo sguardo, gli occhi verdi la scrutano. – mi dispiace – mormora lei. Sa che non deve farlo, sa che non deve coinvolgere altri nella sua vita. Sa che…

- Non dispiacerti. Non ho intenzione di andarmene – Rose sgrana gli occhi per un istante, irrigidendosi. Non deve andare così.

- Non dirlo – lo supplica quasi afferrandogli il polso anche con la mano libera. Lui scuote la testa, sciogliendo la presa. Rose rimane ferma mentre lo guarda attraversare la stanza per raggiungere la boccetta della flebo, controllare che questa continui a funzionare correttamente e sfiorargli la pelle arrossata intorno al cerotto.

- Voglio restare – dice semplicemente. La ragazza sospira, scuotendo la testa.

- Stai facendo un enorme errore – lo avverte.

Non farmi innamorare di te, non farmi innamorare di te. Lui si limita a sorridergli, afferrando il telecomando e togliendosi le scarpe.

- Tra poco passano i Simpson – dice contento accendendo il televisore e sistemandosi molto naturalmente al fianco della ragazza, che si stringe per fargli posto. Harry si sistema e la guarda sottecchi, passandole un dito sul profilo della guancia. Il mondo si ferma, per Rose. Ci sono solo i suoi occhi verdi, il suo tocco appena accennato e le sue labbra incurvate in un mezzo sorriso.

Lui è lì. E non ha intenzione di andarsene.

 

 

 If I was a sculptor, but then again no, 

or a man who makes potions in a travelling show.

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Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


6. Capitolo sei

 


 

Rose si sveglia quando comincia a sentire freddo. Controvoglia apre un occhio cercando di mettere a fuoco, fino a soffermarsi sulla figura di Harry che sta parlando con sua madre. 

- Non c’è problema, signora – sta dicendo il ragazzo di spalle a lei, mentre Hellen sospira e si avvicina al letto.

- Rose? Sei sveglia? – le chiede carezzandole la guancia. Lei annuisce pensando al calore del corpo di Harry stretto al suo sul piccolo letto a una piazza, e sorride involontariamente. Il ragazzo rimane in disparte, regalandole comunque un sorriso.

- Che ore sono? –- Le sei e mezza, ce la fai ad alzarti? – subito le mani della mamma scattano ad accompagnare i suoi movimenti, Rose si mette seduta e si passa una mano tra i capelli: - sto bene mamma, non c’è bisogno che mi tratti come una mocciosa – il tono è duro, e la giovane se ne pente un secondo dopo aver parlato. Hellen sospira e cerca di darsi un contegno, Rose si alza e afferra l’uniforme posata alla spalliera del letto. Harry imbarazzato si schiarisce la voce e le fa segno di aspettarla fuori.

- E’ un ragazzo molto dolce – esordisce Hellen, sedendosi sul letto. Rose annuisce arrossendo e si spoglia, rimanendo in intimo – è stato molto carino da parte sua essere rimasto con te, oggi. Era da tempo che non ti vedevo tanto tempo con una persona della tua età – ed è vero, perché da quando aveva scoperto di essere malata aveva deciso di allontanarsi dagli amici in particolare e dai coetanei in generale. E la spiegazione era sempre la stessa: “a che serve che vivano questa storia con me?”. In realtà Rose si dimostrava forte, e diceva di essere serena così, godendosi la sua giovinezza in una solitudine quasi totale.

- E’ molto dolce – si limita a confermare la giovane, un mezzo sorriso sul volto.

- Ti piace? –

- Lo conosco da due giorni, mamma – il tono malizioso di Hellen la fa ridere e sentire in imbarazzo; però sa che non deve farsi troppo condizionare: c’è Harry Styles il ragazzo dolce e un po’ imbranato che è rimasto con lei a guardare le repliche dei Simpson ridendo a crepapelle, e poi c’è Harry Styles il membro dei One Direction, quello bello e impossibile che fa impazzire milioni di ragazzine. Perché dovrebbe perdere tempo con lei? La mamma capisce che pensieri passano nella testa della sua bambina e le si avvicina, posandole poi le mani sulle spalle: - sono contenta che tu abbia un amico, Rose – e le sorride, prima di posarle un bacio tra i capelli. Quando esce dalla stanza Rose rimane un po’ ferma, sovrappensiero: vuole avere degli amici, come tutte le ragazze della sua età.

- Ehi – la voce di Harry la fa voltare di scatto.

- Mi sono addormentata, mi dispiace – mormora lei, abbassando lo sguardo. Il ragazzo ride e le si avvicina, prendendo la borsa dei libri che giace abbandonata su una sedia e i cappotti.

- Credo sul serio che tu passi troppo tempo a scusarti – le fa notare, passandole la sciarpa. Rose si stringe un labbro tra i denti, contenta che lui sia ancora lì – comunque sono venuto a salutarti, devo assolutamente andare a casa ora – ovviamente. Lei annuisce e gli si avvicina timidamente, sfiorandogli la guancia con le labbra. Entrambi rabbrividiscono appena.

- Sono contenta che tu sia rimasto qui, oggi – Harry le accarezza la guancia col dorso della mano.

- Ti chiamo – risponde semplicemente, e si volta per andarsene. Il suo tocco brucia ancora quando Hellen torna nella stanza: - il dottore ha detto che per il momento puoi tornare a casa ma che non devi affaticarti troppo – Rose annuisce distrattamente, infilando il cappotto. Poco dopo sono entrambe in auto, dirette a casa.

- Scusa se non sono venuta prima, ma il mio capo non ne voleva sapere di farmi staccare prima delle cinque e… -

- Non ti preoccupare, davvero – la interrompe la ragazza con un sorriso, per poi voltarsi a guardare il paesaggio innevato fuori dal finestrino.

Oggi sono svenuta daccapo. E’ stato un po’ imbarazzante perché ero con un ragazzo, ma comunque mi ha fatto riflettere, dopo. Solitamente cerco di non pensarci, ma lo so che in realtà la mia è solo ipocrisia: cosa dovesse succedere se dovessi cominciare a svenire più frequentemente? A stare più male? Non ci sarà sempre la mamma o Harry ad afferrarmi mentre cado, e questa è una prospettiva un po’ terrificante. Odio tutto ciò, e odio vedere che non sto facendo nulla per uscirne.

Rose si guarda intorno e si rende conto si essere arrivata a casa. Il suo cane abbaia dall’interno della casa sentendo il rumore della macchina che rallenta, la mamma parcheggia e slaccia la cintura di sicurezza.

- Andrà bene – mormora così piano che Rose pensa di esserselo immaginato. Si passa una mano sul viso, poi esce dall’auto.




Harry arriva a casa sul tardi, Louis sta seduto in salotto con una gamba ingessata e lo sguardo concentrato sulla partita alla Play Station che sta facendo.

- Com’è andata? – 

- Eh… - il riccio lascia il cappotto e si avvia verso la cucina, per cercare di mettere insieme qualcosa per cena.

- Non sembri convinto. E’ antipatica? – ovviamente Louis sa tutto di Rose, o almeno tutto quello che anche Harry credeva di sapere.

- No, lei è fantastica – ed è sincero, Harry, mentre risponde. E pensa al suo sorriso e alle sue labbra e alla sua voce.

- Allora cosa c’è che non va? – e alla sua pelle e al suo profumo. E poi alla sua malattia.

Il cantante scuote la testa e il suo amico capisce il desiderio di cambiare argomento. Perché Louis sarà anche un idiota, ma era il migliore amico che si potesse avere. Il silenzio è interrotto dai rumori del videogioco e dai commenti urlati di Louis, che sta miseramente perdendo. Harry ride sotto i baffi mentre distribuisce la pasta che ha cucinato nei piatti. Mangiano davanti alla tv, commentando lo sport e chiacchierando di tutto e di niente. Harry pensa a Rose, Louis a chissà cosa.

- Credo che andrò a dormire – annuncia il riccio alzandosi e prendendo i piatti sporchi. L’altro annuisce, ha capito che il suo amico ha la testa da qualche altra parte. Mentre sale le scale la tasca dei pantaloni vibra, segnando l’arrivo di un SMS.

“Grazie mille per quello che hai fatto per me, oggi :) xx” Harry sorride pensando a come la ragazza si stia mordendo il labbro, aspettando la risposta.

“I can be your hero babyI can kiss away the pain…Buona notte a te, ti chiamo :) xx” digita velocemente entrando nella sua stanza. Mette via il cellulare e si prepara per la notte, poi accende il pc: deve fare qualche ricerca.




Non ha chiamato.

Nè il giorno dopo, nè quello successivo. Non ha chiamato.

Rose come tutte le mattine controlla la sveglia e si alza in fretta dal letto, rendendosi conto di essere in ritardo. Getta un’occhiata distratta fuori dalla finestra e sbuffa quando nota che il paesaggio è ancora freddo e bianco. Fa la doccia e si prepara per andare a scuola con gesti meccanici, poi scende per fare colazione e prendere le sue medicine. Hellen è già uscita, ma le ha lasciato un biglietto vergato con la solita grafia frettolosa, probabilmente scritto in piedi con un toast in bocca e i cappotto abbottonato. Rose sorride preparando due fette di pane con il burro e si siede al tavolo. Controlla le notifiche al cellulare: nessun messaggio, nessuna chiamata; scuote la testa, non lo ammetterebbe mai ma un po’ ci aveva creduto, in quel buffissimo ragazzo con gli occhi verdi, che le aveva sorriso e le aveva detto che non sarebbe andato via. Eppure sono passate due settimane, e lui è sparito.

E a Rose dispiace, da morire.

La ragazza fa scivolare il telefono nella borsa blu che usa per i libri, infila il cappotto rosso e si guarda intorno controllando di aver preso tutto.La scuola è sempre la solita noia. Tanti professori e studenti che la guardano con un misto di curiosità e compassione, come un animaletto strano ma comunque tenero. Rose odia quelle occhiate, e la scuola in generale. Eppure continua ad alzarsi tutte le mattine, a prendere l’autobus sempre troppo affollato e a sorbirsi le noiose lezioni in classe, e le odiose occhiate della gente.

- E’ per questo che Spinoza critica al res cogitans cartesiana, arrivando alla conclusione la ragione è limitata, e non è possibile sfruttarla a pieno. A questo proposito sarebbe interessante fare un confronto con… - la professoressa riempie la stanza con le sue parole, ma nessuno le presta attenzione: due ragazze davanti a Rose si scambiano bigliettini ridacchiando, un tipo di colore ci prova spudoratamente con la sua compagna di banco, nonostante entrambi sappiano che lui non avrà mai una possibilità. E poi c’è il tipo che gioca col cellulare, quella che si guarda allo specchio in bilico nel borsellino delle matite e una ragazza che prende voracemente appunti, dalla quale tutti correranno in vista del test di fine semestre. La giovane mette fuori il suo quadernino e continua a guardarsi intorno, curiosa.

Cosa si sta perdendo? E per quale motivo?

Controlla l’orologio e sospira contenta quando si accorge che sta per suonare la campanella – di conseguenza possiamo senza dubbio affermare che i concetti di libertà e necessità coincidono, considerando che Dio necessita in quanto segue una regola, ma è libero visto che la regola è stata da Egli stesso istituita … - la professoressa continua a parlare, Rose guarda velocemente fuori dalla finestra trovando il solito panorama candido di neve. E una macchina, ferma di fronte all’entrata. 

E Harry, che aspetta poggiato contro lo sportello.




So excuse me forgetting but these things I do

You see I've forgotten if they're green or they're blue

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Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


7. Capitolo sette



 

Rose esce per ultima dalla classe, avviandosi verso l’uscita lentamente. Lui è lì, e non riesce a pensare ad altro. Dopo due settimane di silenzio, dopo che lei aveva deciso di fidarsi. La ragazza cammina per i corridoi deserti della scuola, abbottonandosi il cappottino rosso che usa tutti i giorni e sistemandosi lo sciarpone: dottor Charlie ha detto che se vuole continuare ad uscire deve stare attenta, e lei non ha intenzione di giocarsi quell’enorme privilegio. Quando esce Harry è nella stessa posizione di qualche minuto prima, poggiato contro l’auto, il naso affondato in uno sciarpone bianco e i ricci scompigliati appena dal vento; Rose guarda un istante il cielo bianco, notando i primi fiocchi bianchi che fluttuano quasi invisibili. E poi gli occhi di lui, che la stanno fissando. Attenti. Colpevoli. Meravigliosamente verdi.

- Ciao – la giovane si avvicina all’auto sussurrando il saluto, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal suo viso. Harry alza un braccio fino a sfiorare il profilo della sua guancia con un gesto quasi impalpabile; Rose vorrebbe urlargli contro tutto ciò che pensa di lui, sfogarsi per l’abbandono, per averla lasciata. Rimane in silenzio, chiudendo gli occhi godendosi il calore delle dita del giovane che passano sulla sua pelle. Perché non l’ha abbandonata, non dopo due incontri e un bacio. Perché non lo può poi tanto biasimare, se ha scelto di andarsene prima.

- Ti va un giro? – le parole di Harry giungono ottavate, coperte dalla sciarpa. Non ha smesso di accarezzare la guancia della ragazza; ragazze e ragazzi continuano a urlare, parlare, ridere. Alcune ragazze lanciano un’occhiata ai due, continuano a camminare e poi si rivoltano verso di loro “ma quello è Harry Styles?”

Rose deglutisce. Non vuole andare con lui, non vuole sorridergli, non vuole che il suo cuore si fermi ad ogni suo sguardo. No.

- Si – non è abbastanza forte, allora. Ha troppo bisogno di… cosa? Un amico?

Di lui, solo di lui.

Harry annuisce e le apre lo sportello, invitandola ad entrare, la ragazza si accorge che ha lasciato il motore acceso così che adesso l’abitacolo è caldo ed invitante. Harry la raggiunge salendo accanto a lei al posto del guidatore. Si immette nel traffico con lentezza, lanciandole uno sguardo ogni tanto.

- Sono stato in Italia – esordisce Harry dopo qualche minuto, infastidito dal ronzio del climatizzatore – credevamo di dover andare a Milano, poi invece ci hanno caricati su un pullman e ci hanno portati a… com’è che si chiamava? – si interrompe, passandosi una mano tra i capelli e lanciandole uno sguardo. Rose guarda fuori dal finestrino, le guance sono diventate rosse così come la punta del naso. Gioca con una ciocca di capelli, si morde un labbro – San qualcosa, comunque. Molto carino… e poi in Francia  – il ragazzo finisce di parlare e attende una risposta, che non arriva per un po’. Rose si volta verso di lui, gli sorride timidamente: - vi siete divertiti? – chiede, educata. In Italia per lavoro. Ovviamente.

E lei vorrebbe comunque urlare. Perché, che diamine, vivono nel duemila e hanno inventato i cellulari. Si da della stupida, ancora. Probabilmente Harry non aveva voglia di sentirla, o di avvisarla. Stupida.

- E’ stato stancante. Non vedevo l’ora di tornare – ammette lui, guardando la strada.

- Ti mancava Londra? –

- Mi mancavi tu – adesso la guarda, e Rose spalanca gli occhi sorpresa. No, è troppo presto. Il momento è sbagliato, il posto è sbagliato. Loro sono sbagliati. Rimangono entrambi in silenzio, Harry si ferma in un’aria di parcheggio e si rilassa contro il sedile chiedendo gli occhi, qualche riccio si posa scompostamente sulla fronte. Rose rimette a posto le ciocche con una carezza e rimane a fissarlo, fino a quando non ricomincia a guardarla.

- Credevo non ti saresti più fatto sentire – ammette in un sussurro continuando la sua timida carezza, sporta verso di lui.

- Mi dispiace, quasi non ho avuto tempo per respirare in questi giorni – Harry richiude gli occhi, lasciandosi sfuggire un sospiro soddisfatto. Gli piace quel tocco, la dolcezza e il calore delle dita della ragazza. Le occhiaie sotto gli occhi risultano abbastanza visibili, la giovane le sfiora, per poi tracciare il profilo del naso.

- Mi piacerebbe se… - comincia a rispondere, per poi bloccarsi. Non può suo serio esporsi tanto, non può.

- Se? –

Rose ci pensa un po’, poi sospira: - se la prossima volta mi avvisassi, non mi è piaciuto stare due settimane senza tue notizie – l’ha fatto di nuovo. Si è lasciata andare, completamente e spontaneamente.

Con lui, solo con lui.

- Mi dispiace, piccola – mormora il ragazzo, aprendo gli occhi. E un bacio, caldo e dolce e gentile.

Caldo.

Come le labbra della ragazza, che rimangono un attimo immobili, prima di assecondare il tocco.

Dolce.

Come la mano di Harry, che accarezza piano la sua guancia avvicinando i due visi fino a fonderli. Il tocco delle sue dita è tenero, un po’ impacciato per via dello spazio ristretto, dei cappotti… della paura di rovinare il momento perfetto con uno sfioramento appena un po’ più marcato.

Gentile.

Come la lingua di lui, che disegna il contorno delle labbra della ragazza, chiedendo timidamente l’accesso. E poi lei si abbandona totalmente, vinta da una forza che non riesce a spiegarsi; piega la testa per assecondare il tocco della carezza e socchiude gli occhi, per  poterlo vedere.

           Stupendo. Assolutamente stupendo.

- Non mi sverrai anche questa volta! – glielo mormora così, sulle labbra. Ad ogni parola equivale un nuovo sfioramento, un nuovo brivido. Rose sorride di riflesso mentre scuote la testa, sta bene così, rannicchiata e con le labbra gonfie e rosse – ti avevo detto che non me ne sarei andato. In giro dicono anche che sono uno che mantiene le promesse – continua il giovane continuando ad accarezzarla. Come se non volesse farne a meno. Come se non potesse farne a meno.

- E’ una cosa più grande di te – lo avvisa nuovamente lei, il cuore in gola. Perché lui ha intenzione di restare, e adesso è lì con lei, e l’ha appena baciata.

- Lo so. Voglio restare lo stesso – Harry le lascia un altro bacio, poi distoglie lo sguardo, sfregandosi le mani – bene, io propongo una passeggiata – annuncia, aprendo la portiera. Continua a nevicare ma i fiocchi sono pochi, e troppo sottili perché si posino. Rose si stringe nella sua sciarpa, attenta che nemmeno un pezzetto di pelle rimanga scoperto; i capelli sono mossi dal vento leggero e per la prima volta in vita sua si preoccupa di come possa sembrare vista da un ragazzo. Non da un ragazzo, da lui.

Harry le sorride, porgendole il braccio con una buffa espressione. La guarda e Rose si sente scoperta, capendo che in realtà le piace essere guardata così.

Da lui, solo da lui.

 

 

 

 

Harry non ha parcheggiato in quel punto per caso. Passeggiano per la strada in silenzio, lei stretta al suo braccio che si guarda intorno con aria rilassata. Harry rimarrebbe a fissarla per ore, e per un po’ lo fa. Il viso tondo, le guance rosse e piene. E poi le labbra, quelle labbra che non abbandonerebbe mai, quel sorriso dolce, e sincero, e… la conosce da così poco. Gli è entrata dentro.

- sono sporca? – Rose lo riscuote dai suoi pensieri. Stupido, pensa per l’ennesima volta. Non può essergli entrata così nel profondo. Perché non è normale comportarsi sempre come un imbranato alla prima cotta e nemmeno che il cuore gli si fermi ogni volta che lo guarda o gli sorride. Come sta facendo adesso. Rose nasconde il naso nella sciarpa, imbarazzata dagli occhi del giovane che sembrano voler imparare a memoria ogni tratto del suo viso. Stupido.

-  Parlami della tua famiglia – le chiede allora per cambiare argomento. Rose sospira mentre lo guarda di sottecchi.

- Siamo solo io e mia madre -

- Parlami di lei, allora – insiste Harry, mentre i due svoltano in una stradina poco frequentata.

- Si chiama Hellen – Rose sorride mentre pronuncia quel nome, Harry si ritrova a pensare che sia tenerissima. Stupido – ed è la persona più forte e fragile del mondo –

Il silenzio segue queste parole mentre entrambi riflettono su quell’unico argomento che non hanno il coraggio di tirare fuori, e che comunque continua ad aleggiare sulle loro teste, nei loro cuori. Rose è malata, e non esistono baci o passeggiate o bufere di neve che possano cambiarlo.

- E tu, Rose? – il giovane pensa alla conversazione che avevano avuto giorni addietro.

“E tu chi sei, Harry Styles?”

- Io cosa? – lei guarda la strada innevata, gli occhi socchiusi e le labbra contratte. Non le piace la piega che sta prendendo la conversazione.

- Tu chi sei, Rose? –

- Mi copi le battute? – ride la giovane. Harry scuote la testa, non gli piace questa sua riservatezza. Di nuovo rimangono in silenzio, prima che Rose sbuffi, - è solo che non mi va di… non voglio sembrare… –

- Ok Rose, è un discorso che affronteremo solo questa volta, e mi piacerebbe molto se mi prestassi attenzione – Harry non ce la fa piùquelle il silenzio segue quelle, si volta verso la ragazza bloccandola in mezzo alla strada e posandole entrambe le mani sulle spalle, accarezzando la stoffa morbida del cappottino – io ora sono qui e non ho intenzione di andarmene o lasciarti da sola o tutte quelle cose che tanto temi, soprattutto perché sono stato io a chiederti di uscire, io ti faccio tutte queste domande. Sono io. E anche se è ancora presto vorrei che tu possa fidarti di me e smetterla di essere così… insicura. Non aiuta né me né te – pronuncia tutte il discorso di getto, trapassandola col i suoi occhi verdi che brillano per la foga. Rose si morde un labbro ricambiando lo sguardo, entrambi non pensano alle persone che continuano a camminare attorno a loro. Nella loro bolla ci sono solo i loro occhi e i loro respiri e il labbro morso dai denti bianchi – voglio essere… - amico? – importante nella tua vita, ma è come se tu non volessi farmici entrare. E’… frustrante -  ammette poi. Vorrebbe solo la sua fiducia, è chiedere così tanto?

- Perché continui a provarci con me? – si lascia sfuggire la giovane, quasi in un lamento, trattenendo tutta via un sorriso.

Harry la imita, avvicinandosi fino a sfiorare il suo naso con il proprio - perché credo ne valga la pena –

- Dovrai avere pazienza, allora – risponde Rose; poi gli si avvicina timidamente e per la prima volta lo abbraccia di sua spontanea volontà, Harry le passa le braccia intorno al corpo esile, stringendola.

E non c’è bisogno di aggiungere altro.

 

 

I hope you don't mind that I put down in words
How wonderful life is while you're in the world.
 

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Capitolo 8
*** Capitolo otto ***


8. Capitolo otto


 


 

Harry è convinto di star rischiando una paresi facciale a forza di sorridere.

I flash dei fotografi stanno accecando, le urla delle fans lo stanno stordendo, le risate dei suoi amici lo stanno innervosendo. Si sente apatico, nervoso, confuso, triste. Gli manca un pezzo.

Lei.

Tre giorni senza poter vedere i suoi occhi. E i suoi capelli, il suo sorriso, il suo cappottino rosso. E crede di star impazzendo. Ormai non si chiede più come sia possibile che gli sia entrata così dentro, così nel profondo. Nel cuore. No, nello stomaco. E vuole soltanto vedere i suoi occhi e i suoi capelli e il suo sorriso. I flash continuano impazziti, donne in abiti attillati con microfoni delle varie televisioni cercando di fare domande, sovrastano il rumore della folla. Louis sorride mentre risponde circa i loro progetti futuri, il suo stato di salute dopo l’incidente, le canzoni che hanno cantato durante lo show quella sera. Harry sente una mano che si posa sul suo braccio, sorride. Il suo migliore amico non gli ha chiesto nulla di Rose, di come gli sia entrata nel cuore – no, nello stomaco – di come lui sia cambiato; ma è lì, e la sua mano gli stringe il braccio continuando a parlare con l’intervistatrice. Perché lui c’è, sempre. Harry sorride per un solo istante, continuando a starsene lì in silenzio. Si guarda intorno, notando come tutti siano impegnati a fare qualcosa, a ridere, scherzare, urlare, cantare, parlare. Vivere. Lui non può invece, perché gli manca quel pezzo. Fondamentale, ora. Come non si sarebbe mai aspettato.

- Andiamo? – ha firmato autografi, ha scattato foto, ha cantato, ballato e recitato la parte del ragazzo famoso che comunque rimane umile e si gode la vita ringraziando ogni giorno di star vivendo il suo sogno. Odia recitare, non crede nemmeno di essere bravo. Non gli importa, però, e preferisce farsi tirare da Louis – santo Louis – fino al backstage, e poi nel camerino. Guarda i suoi amici che cominciano a litigarsi un panino col prosciutto, guarda il cellulare che segna le due e dieci del mattino. Poi Louis, che è già al telefono con la sua fidanzata – anche se a lui verrebbe da dire moglie, visto il rapporto che hanno – e di nuovo il cellulare. Vuole chiamarla, sentire che non è poi così distante.

- Faccio una doccia – Harry si alza, raccattando un cambio dal borsone da viaggio in pelle che usa abitualmente – troppo, per i suoi gusti – e si chiude in bagno, lontano dagli altri, dal cellulare e dalle sue idee assolutamente non buone. Assolutamente. Eppure si tratterebbe di un solo istante, di svegliarla solo per sentire la sua voce, anche una sillaba, una… - Cristo! – odia imprecare, eppure lo ha appena fatto. Odia essere così preso, così dipendente, eppure ormai non può farne a meno. Odia non sapere per quanto lei sarà lì, e odia starsene dall’altra parte della nazione, sotto la doccia, a imprecare e perdere tempo. Che poteva passare con lei.

Patetico.

Quando esce dalla doccia nota con la coda nell’occhio Louis seduto sul lavello, sbuffa e prende un asciugamano bianco che gli viene porto dall’amico – parliamo – decide il più grande, incrociando le braccia al petto. Harry finge di non averlo sentito, apre l’acqua del rubinetto e si lava i denti, poi attacca la presa del phon. Louis se ne sta lì fermo, in attesa. Entrambi sanno che è solo questione di tempo prima che il riccio cominci a parlare, e a Louis sta bene.

- E’ malata –

- La ragazza di cui mi avevi parlato? – non si guardano in faccia, Harry continua ad asciugarsi i capelli, Louis ha la schiena poggiata contro il muro, gli occhi chiusi.

- Si –

- E si riprenderà? – diretto e conciso, come sempre. La qualità che più ammira e odia del suo migliore amico. E si riprenderà? Si. No. Forse. Non lo sa, cosa dovrebbe rispondere? Perché non ne hanno mai parlato, come se fosse un argomento tabù. Non risponde, spegne il phon e indossa i vestiti che ha preparato. Louis scende dal lavandino, mettendosi davanti a lui, le mani sulle spalle – da quanto la conosci? – il suo è un sussurro, quasi. Come se stesse parlando con un pazzo.

- Un mese, più o meno – Louis annuisce lentamente.

- Un mese, Harry. Non un anno, un decennio, una vita. Sembra che ti si sia bloccato il mondo. C’è solo lei, le sue chiamate, i suoi messaggi, le vostre uscite. E basta che andiamo via per due giorni e vai in crisi d’astinenza – il ragazzo si blocca un attimo, riprendendo fiato – sei il mio migliore amico e ti voglio bene, Dio solo sa quanto ti voglio bene, ed è per questo che ti dico che devi andarci piano, con tutta questa storia. Non ti fa bene – Harry rimane in silenzio, ascoltando le sue parole; si passa la lingua sulle labbra per inumidirle, poi scoppia in una risata. Senza gioia.

- Sei il mio migliore amico, Lou? Sei il mio migliore amico e mi stai dicendo di andarci piano nell’unica cosa che mi sta rendendo felice? – non sta urlando, la voce è tranquilla, forse delusa.

- I One Direction non ti rendono felici? –

- Lo sai, quanto è difficile per me – sta sviando la domanda, e questo lo sanno entrambi. Sempre stretto nel suo ruolo di adolescente perfetto, sempre a disagio davanti a tante persone, a tante telecamere, a tante…

- Lei non ti sta rendendo felice – Louis lo scuote, costringendolo a guardarlo in faccia.

- Si, invece –

- Non sei felice, adesso –

- Lo sarei, se fossi a Londra – le parole di Harry rimangono un sospese per un po’, mentre il suo amico scuote la testa.

- Non ha senso, Harry –

- Perchè deve avercelo per forza? Perchè non posso godermi quello che sto vivendo? - e cosa sta vivendo, ora?

Lei, solo lei.

- Ti stai facendo male Harry, e non sono convinto che sarai così forte da riprenderti – il tono di Louis è duro, il tono della voce si è alzato notevolmente.

- Da cosa? Abbiamo diciotto anni, usciamo insieme, stiamo bene – sembra un bimbo testardo, quasi a convincere se stesso della sua affermazione

Louis sospira, incrociando nuovamente le braccia. Poi le rilassa lungo i fianchi – lei non sta bene, Harry –

- Lo so, cazzo! – e ha imprecato, di nuovo.

Per lei, solo per lei. Ma stavolta non va bene, e deve regolarsi.

- Sei in tempo, ancora –

Harry scuote la testa, un mezzo sorriso ironico dipinto sul volto – vai al diavolo, Louis –

Nel camerino regna il silenzio. Zayn e Liam si stanno dividendo un panino, lo sguardo rivolto verso la porta del bagno; Niall dorme sul divanetto, la testa poggiata su una pila di vestiti usati durante il concerto. Harry prende il suo borsone e si avvia all’uscita secondaria, quella usata dai dipendenti per andare a fumare durante le pause. Prende il cellulare dalla tasca, apre la cartella dei messaggi: nuovo sms.

“How I wish, how I wish you were here. 
We're just two lost souls swimming in a fish bowl, 
year after year.

Buonanotte J xx

Il messaggio viene inviato, il ragazzo si stringe un attimo nella felpa che indossa. Guarda verso il cielo, sa che sta per nevicare; Zayn esce fuori in quel momento, si mette in bocca una sigaretta e ne l’accende, in silenzio, posandogli una mano sulla spalla mentre tira una boccata.

Harry chiude gli occhi. E’ solo stanco.

 

 

Rose è solo stanca.

Così tanto che nemmeno riesce ad ascoltare le parole che il medico sta dicendo a sua madre, concitatamente. Vuole chiudere gli occhi, riposarsi, perché è tanto stanca? Eppure lo sa. Lo ha sempre saputo: la stanchezza, i dolori, le crisi. Tutto parte del pacchetto. E questo fa schifo. Non che possa farci molto, ma aveva creduto comunque di poter continuare la sua vita, le sue abitudini. E invece è solo stanca. E gli manca qualcosa, e se lo sente nel petto, nella testa, nello stomaco.

Lui.

- Mi dispiace Hellen, sul serio – dottor Charlie è in piedi davanti a sua madre, che è scoppiata a piangere. Rose la guarda senza capire, cercando di mettere a fuoco il problema. Non le piace che lei stia piangendo, non le piace nemmeno la faccia del medico, e tantomeno il modo in cui la guarda. E sente di provare un nuovo tipo di paura – Rose – il tono del dottor Charlie è serio, formale – abbiamo avuto i risultati delle analisi di questa mattina, e non sono affatto buoni. Non come ci aspettavamo, almeno – la ragazza annuisce lentamente, mettendosi composta sulla sedia dello studio – e alla situazione attuale non possiamo cominciare un nuovo ciclo di radioterapia: il tuo fisico non lo accetterebbe, e comunque sarebbe inutile e potrei dire dannoso – allo stato attuale. Noi. Quale stato? Lei sta bene, è stanca, ma sta bene. Noi chi? Chi può decidere sulla sua vita? Rose deglutisce, si accorge che le tremano due dita della mano destra, posata in grembo: la nasconde con l’altra mano, alza lo sguardo.

- Sto morendo, dottor Charlie? – la voce da bambina è un sussurro, il dottore stringe le labbra.

- Continuiamo le cure, vogliamo darti più tempo possibile –

- Quanto? –

- Il più possibile – ripete il medico, poggiandosi contro la scrivania. Hellen continua a piangere, accanto a lei; Rose ha voglia di imitarla, ma decide di trattenersi. Il dottore non ha risposto alla sua domanda, e di questo sono entrambi consapevoli. La risposta è chiara, ed è sospesa tra di loro. Rose sospira, trattenendo un singhiozzo. Ha sempre pensato che a quel punto sarebbe stata abbastanza forte, senza contare il cuore e il petto e lo stomaco. E’ stanca, non è abbastanza forte da poterlo accettare e rimane lì, ferma sulla sedia scomoda dello studio medico. Vuole andare a casa, vuole che sua madre smetta di piangere, vuole che qualcuno la abbracci e le dica che va tutto bene, che si sistemerà tutto.

La ragazza si alza e prende il cappotto e la borsa – voglio andare a casa – annuncia alla madre, con voce ferma. Non piangerà, non lì, non in quel momento. Hellen annuisce alzandosi e prendendo le sue cose; il medico le guarda in silenzio, risponde al cenno di saluto che gli rivolge la donna. Rose rimane in silenzio per tutto il tragitto fino a casa, sua madre continua a piangere senza posa. E’ la prima volta che lo fa così davanti a lei. Il cellulare della ragazza comincia a squillare: Harry. Rose guarda il cellulare, tentata dall’idea di ignorare la chiamata. Sa che non lo farà.

- Ciao, piccola – la sua voce è allegra, scalda il cuore. Anche quello della ragazza – volevo dirti che sono appena tornato a Londra, ti va se ci vediamo? –

- Magari un’altra volta, Harry – Rose è atona, guarda fuori dal finestrino il paesaggio che scorre imperturbabile – mi dispiace –

Harry rimane un istante in silenzio – cos’è successo? –

- Non credo che sia una… buona idea, parlarne qui –

E il giovane la stupisce, nuovamente – va bene, Rose. Voglio solo che tu sappia che andrà tutto bene, che ci sono io con te e che non ti lascerò sola –

Rose sorride, e per la prima volta abbassa le sue difese completamente.

E piange.

 

 

I know it's not much but it's the best I can do
My gift is my song and this one's for you.

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Capitolo 9
*** Capitolo nove ***


9. Capitolo nove

 

 

 

Sta per rivederlo.

Rose non riesce a pensare ad altro; né mentre sua madre le parla durante la colazione, né sul tram per andare a scuola, tantomeno mentre il professore di fisica spiega i fasci vettoriali. Sta per rivederlo, e le ginocchia le tremano. Come se fosse spaventata, ma in modo positivo. In un modo che in effetti non ha mai provato, e allora forse un po’ la spaventa sul serio. E sta per rivederlo. I suoi occhi, lo sciarpone di lana bianco che – ma non gliel’ha mai detto – lo fa apparire piccolo, ingenuo. Come lei, che disegna ghirigori sul bordo del quaderno, che ha trasformato gli schemi copiati alla lavagna in tante piccole “H”. Ingenua, spaventata, eccitata. Come non si sarebbe mai aspettata, ma ormai ha deciso di non soffermarsi ad analizzare la situazione. Non ne ha il tempo, e non ce la farebbe comunque. Si può sorridere all’agenda a fiorellini aperta sul banco? Si, a quanto pare. E sembrare idiota controllando il cellulare ogni dieci secondi? E guardare fuori dalla finestra cercando di scorgere la sua auto nel traffico, sapendo comunque che lui non c’è?… ma sta arrivando. E non sa cosa farà quando se lo troverà davanti. Lo abbraccerà. Gli darà un bacio. Due, tre, quattro, dieci, cento, mille baci, fino a dover riprendere fiato e poi continuare ancora e ancora. Rose sorride tra sé, passandosi una mano tra i capelli biondi. Sono le undici del mattino, prende un borsellino posato sotto il banco e ne trae due compresse rosse, che manda giù con un sorso d’acqua. Alle undici e trenta dovrà prendere le gocce per l’anemia e a mezzogiorno e un quarto… e le viene da piangere. Di nuovo. Come la sera prima, anzi di più. Perché è malata, e non può sul serio pretendere di frequentare un ragazzo come una persona normale, di innamorarsi come una persona normale. Di vivere come una persona normale. Eppure lei lo è, una ragazza normale. Che sta per morire, che non può più curarsi perché ormai non ne vale la pena. E allora ne è mai valsa? Che senso ha avuto combattere fino a quel momento? I cicli di terapia, le medicine, le crisi… Perché lo ha fatto? Per sua madre, per le persone che ama. E perché nonostante tutto le gambe le tremano mentre guarda fuori dalla finestra, per la trentesima volta quell’ora?

Per lui, solo per lui.

Perché continuerà a combattere. Per cosa, però? Per frequentare la gente, per innamorarsi. Per vivere, per quanto le è possibile. Per il tempo che le resta. Quanto? Non lo sa, ma alla fine nemmeno le importa. Cambierebbe le cose? Sarebbe l’ennesima spada di Damocle sulla sua testa, già presa da troppe preoccupazioni. Rose accende il cellulare, notando un nuovo sms non letto.

“Now I've tried to talk to you and make you understand 
All you have to do is close your eyes 
And just reach out your hands and touch me.

Esci sempre alle tre e mezza? Vi fanno studiare troppo, in quella scuola! Ti aspetto al parcheggio, comunque. Sarò quello allo stadio avanzato di ipotermia :D xx”

Perché poi, alla fine, non è importante quanto tempo resta. Basta solo saperlo usare, e goderselo. E Rose sta per rivederlo, per abbracciarlo e dargli mille baci e respirare e dargliene altri mille. La campana del pranzo suona, Rose si alza e va verso la mesa con gli latri studenti, tenendosi lontana da tutti come ha ormai imparato a fare con fin troppa maestria. Perché non vuole far soffrire il prossimo, si ripete come un mantra per la milionesima volta. No, perché è codarda, e ha paura di affezionarsi, e di soffrire, come una persona normale. Che ama, e vive. La ragazza si mette in fila al self service, prende un panino nella bustina di plastica, una bottiglietta d’acqua, un piatto di insalata.

- Dicono che l’insalata sia radioattiva – la ragazza si gira verso la voce che ha appena parlato – dico sul serio, ci sono certe matricole che giurerebbero di aver visto il camion che la portava pieno di barattoli con quella strana X sopra, mi spiego? – una ragazza con lunghissimi capelli rossi intrecciati le sta sorridendo, mentre Rose si ritrova ad annuire stranita.

-E sono attendibili, queste matricole? –

- Importa? Io ci penserei tre volte prima, ad ogni modo, e non è nemmeno detto che poi la prenderei – la rossa continua a sorridere mettendo un trancio di pizza nel suo vassoio.

- Oh be’, è probabile che sia lo stesso camion che ha portato la pizza che mangerai – Rose avanza nella fila, lasciando tuttavia l’insalata nel piatto. L’altra si stringe nelle spalle, posando un’altra fetta nel vassoio della bionda – molto probabile, effettivamente. Comunque meglio morire con la soddisfazione di aver mangiato una gustosa fetta di pizza, non credi? – Rose si irrigidisce, annuendo. Non le piace come argomento, e non le piace come quella ragazza le si sia avvicinata. Non va bene. Perché è difficile. No, perché lei è codarda.

- Mi chiamo Victoria, ad ogni modo – un mano piccola e curata sventola sotto il suo visto, Rose si ritrova a sorridere mentre gliela stringe.

- Rose –

- Carino. Andiamo da qualche parte a sederci, dai… mancano dieci minuti alla campanella – e senza ulteriori spiegazioni la ragazza viene trascinata verso uno dei tavoli rotondi della stanza, pieno di studenti che chiacchierano, ripetono, copiano, mangiano. Come sempre Rose rimane a fissare tutto, come affascinata –che ti avevo detto? Una pizza meravigliosa! – Victoria morde nuovamente il suo pranzo, con aria trasognata. Rose ridacchia e ne prende a sua volta.

- Non ti ho mai vista, a scuola – il silenzio è rotto proprio da lei, stranamente.

- Nemmeno io – ammette candidamente l’altra ragazza – ma è una scuola grande, quindi… -

Rose annuisce, lanciando l’ennesima occhiata al cellulare.

Lui. Lui. Lui.

- In effetti… che anno frequenti? –

- Il terzo, e tu? – risponde Victoria, per poi prendere un sorso di Coca Cola.

- Quarto – e cominciano a chiacchierare. Di musica, film, attori famosi e ultimi gossip. Come due ragazze normali, come due amiche. E’ possibile chiamare amica una persona che si è appena incontrata?

E’ possibile che una entri nello stomaco dopo nemmeno un mese?

Allora non è possibile rispondere, e Rose non ci pensa.

- Non sei di molte parole, eh? – la rossa ridacchia notando la ritrosia che comunque accompagna ogni sua risposta, prendendo un altro po’ di pizza, Rose arrossisce. Non è di molte parole, è vero, ma la conosce da tre minuti e non può considerarsi di certo la persona più estroversa d’Inghilterra. E poi… la campana suona proprio in quell’istante, riscuotendo Rose dai pensieri.

- Non sono così di solito – si scusa, mentendo – comunque scappo perché ho francese adesso – la ragazza si alza e mette la borsa in spalla, pronta per andare via. Si gira, ci pensa su mentre Victoria la guarda e – se i pomodori non sono sul serio radioattivi e domani mattina non siamo alieni muta forma potremmo… vederci per pranzo – Victoria sorride, annuendo.

Rose si ferma a pensare solo un attimo a quello che è appena successo solo quando è in classe, al sicuro. E’ stato strano chiacchierare con qualcuno che non fosse sua madre o il dottor Charlie o lui. Strano, ma bello come se fosse tornata a respirare. A vivere, come una ragazza normale.

Un passo alla volta.

 

 

 

Sta per rivederla.

Harry non riesce a pensare ad altro mentre prepara i bagagli nel cuore della notte, mentre sale sull’aereo per Londra e mentre sistema gli auricolari con la sua playlist preferita. Non lo fa mai di solito, preferendo rimanere a chiacchierare con Louis. Le cose però sono cambiate, e lui non ha assolutamente voglia di rimettersi a litigare. Perché se è vero che va così d’accordo con il suo migliore amico è proprio per il carattere. Sono testardi, tutti e due. Così tanto da non rendersi conto di quando stanno esagerando, con le immaginabili conseguenze. Non se lo sarebbe mai aspettato, questo è sicuro. Come, se lui è innamorato di una ragazza da tanto tempo e sa come ci si sente? Innamorato. Non che lui lo sia, non è umanamente possibile dopo così poco tempo, ma alla fine il principio è lo stesso: sta bene con lei, non riesce a pensare a niente che non riguardi il suo sorriso o la sua voce. E’ felice. E Louis lo vede, lo sente. Lo sa. Non gli piace litigare con lui, non gli piace che gli sia seduto a fianco e che continui a leggere un libro – lui, che a mala pena sa come si legge – ignorandolo totalmente. Harry sospira, guardando fuori dal finestrino mentre albeggia. Manca così poco all’atterraggio, e sente di essere sempre più vicino a lei. Chissà cosa sta facendo. Perché stava piangendo quando l’ha chiamata? Non gli piace che lei pianga, non gli piace nemmeno l’idea che possano esistere cose che la possano turbare. Si da dello stupido, sentendosi come il protagonista di uno di quei romanzetti per adolescenti o peggio, il personaggio di una fan fiction di seconda scelta. Patetico.

Liam e Zayn russano profondamente testa contro testa seduti nella fila di sedili accanto alla sua, Niall strimpella la chitarra assorto nei suoi pensieri senza curarsi della presenza di alcuni passeggeri infastiditi dal rumore. Louis continua a leggere, nonostante – e di questo sono entrambi consapevoli – sia fermo sulla stessa pagina da quando sono saliti. In un altro momento lo avrebbe apostrofato con una battuta o un commento sarcastico. No, in un altro momento non si sarebbe nemmeno presentata quella situazione. Che schifo, ma sta per rivederla, e non gli importa di nulla. Louis si massaggia gli occhi chiusi spostando gli occhiali dalla montatura nera senza garbo, sospira. Vorrebbe parlare, ed Harry vorrebbe che lo facesse. Sta in silenzio, però, chiude il libro e getta un’occhiata al finestrino, evitando accuratamente il suo sguardo. Come se fosse lui l’arrabbiato. Harry sbuffa, infastidito. “Sei un cazzone” gli vorrebbe dire, “solo un cazzone ipocrita”. Invece sta zitto anche lui, mentre gli occhi del suo amico continuano a guardare fuori dal finestrino.

- Non lo pensavo veramente – Louis mormora quelle parole senza guardarlo, Harry toglie una cuffietta e inarca le sopracciglia – non lo pensavo veramente – ripete Louis, stavolta lo guarda, il riccio spegne l’iPod.

- Perché lo hai detto, allora? –

- Perché ti voglio bene, e non voglio che tu soffra –

- Mi stai comunque facendo soffrire, in questo modo – Harry distoglie lo sguardo, picchiettando contro il vetro del finestrino; il suo amico sbuffa. Entrambi rimangono in silenzio, scandito solo dalle note dolci emesse dalla chitarra di Niall e dal rumore delle hostess che passano tra i passeggeri. E dal ticchettio delle unghie del riccio, innervosito. Addolorato. Perché deve essere tutto così difficile?

- Non stai soffrendo per colpa mia – e si ritorna a toccare il tasto dolente. Harry scuote la testa, preferendo non rispondere. “Perché non se lo merita”, si dice. “Perché non saprebbe come” è la verità. Quella che fa male, quella che fa riflettere. Soffre e soffrirà per lei, e lo sanno entrambi, lo sanno tutti. Comunque rimane difficile da ammettere, e questa è un’altra cosa che fa schifo.

- Smettila, se vuoi aggiustare le cose non è il modo giusto per farlo –

Louis ride, di una risata forzata e roca – non voglio aggiustare le cose. Voglio farti riflettere – cattivo, è soltanto cattivo. Perché si sta comportando così? Non vuole tanto, solo che il suo migliore amico lo capisca – non ti dico di non provarci, ok? Solo… non ti ci buttare a capofitto –

Harry annuisce sospirando, calmandosi – non lo riesco a comandare –  quest’ammissione gli costa non poco sforzo, ma sta parlando con Louis, e lui capisce. Anche se dice cose cattive – no, vere – e se lo fa riflettere.

- Andrai da lei quando atterriamo? –

- Tu andrai da Eleonor? – e Louis non sa cosa rispondere, limitandosi a un “touchè” mentre sorride. Le spalle di entrambi si rilassano, Harry gli porge una cuffietta e agita l’iPod per la riproduzione casuale. E’ facile litigare, molto più difficile è rimettere a posto le cose; ma si può fare.

Un passo alla volta.

 

 

It may be quite simple but now that it's done. 

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Capitolo 10
*** Capitolo dieci ***


10. Capitolo dieci

 

 

 

Harry arriva davanti al Liceo pochi minuti prima del suono della campanella. Ha ancora il borsone di pelle con i suoi vestiti nel bagagliaio dell’auto, presa in fretta dal parcheggio dell’aereoporto e indossa un pantalone nero e il solito sciarpone bianco che gli copre il viso fino agli occhi, per ripararlo dal vento e dai fotografi. Aspetta. Non è più abituato ad aspettare, a dire il vero: sempre di corsa per la prossima intervista, il prossimo aereo, il prossimo concerto. E odia tutto questo. Odia essere famoso, essere sempre al centro dell’attenzione. Odia il non poter svegliarsi alle undici del mattino, non poter stare con la sua famiglia, con i suoi amici. Molti lo invidiano per quello che sta vivendo, ma cosa sta vivendo, alla fine? Solo una bugia. Finti sorrisi, finti abbracci, finte risate, finti rapporti. Perché alla fine ci va d’accordo con gli altri, ma come si fa a considerare veri amici persone con cui sei costretto a stare, a vivere? Forse amici poi lo sono davvero. Louis lo è davvero. O forse no, a ben pensarci. E quali certezze si hanno se l’unica persona della quale ci si fida totalmente ti tradisce? Nessuna. No.

Lei, solo lei.

Ed è passato solo un mese. E si sono visti così poco. E lei gli è entrata nello stomaco come un pugno, che fa male, che scuote. Harry si appoggia contro lo sportello dell’auto, stringendosi nel cappotto. Ha ricominciato a nevicare, e i fiocchi si incastrano tra i capelli mossi, scompigliati dall’acqua. Gli piace starsene lì, a respirare come se nient’altro importasse. Lei sta per uscire, e non vede l’ora di poterla abbracciare. Trema al solo pensiero, senza nemmeno chiedersi quando è diventato così sdolcinato. La campanella suona e gli studenti cominciano ad uscire scompostamente creando un gran chiasso. Harry cerca di vedere i mille visi che gli passano davanti, attento a non farsi scorgere da qualche possibile fan. Non c’è nessun cappottino rosso. Passano i minuti, il parcheggio si svuota velocemente e gli schiamazzi si affievoliscono sempre di più. Lei non c’è. Il giovane si guarda intorno, sperando di vederla spuntare da qualche parte. Prende il cellulare e la chiama. Una, due, tre volte. Squilla sempre a vuoto, poi si inserisce la segreteria registrata che lo invita a lasciare un messaggio. Harry preme con voga il tasto rosso per chiudere la chiamata, sbuffa. Dov’è? Ha un brutto presentimento, non gli piace come sensazione; stranamente pensa per un istante a Louis, poi si da dello stupido e invia la chiamata per la quarta volta. Uno, due, tre, quattro, cinque squilli.

- Pronto? – Hellen risponde con voce stanca, Harry ha un tuffo al cuore.

Prende fiato, cominciando a camminare intorno alla macchina nella fedele imitazione di un idiota. No, senza imitazione - Salve signora, sono Harry. L’amico di sua figlia – attacca, non sapendo bene nemmeno lui come comportarsi. Ha risposto sua madre. Non è una cosa buona, l’ansia gli sta salendo. Si passa una mano tra i capelli ricci e bagnati.

- Ah si – la risposta è atona, il ragazzo ha voglia di chiudere in fretta la conversazione e di gettare il telefono lontano. Invece si costringe a respirare forte per non perdere la calma – dov’è Rose? – non pronuncia mai il suo nome: nei suoi pensieri e quando parla con gli altri è sempre Lei. Lei che non è a scuola e che gli sta facendo avere un infarto.

Hellen sospira, come se dare quella risposta gli stesse costando un immenso sforzo – forse è meglio se la chiami dopo, Harry – si limita a dire. No no no no. Harry scuote la testa, come se la sua interlocutrice fosse lì per vederlo. Cosa le è successo? Vuole vederla, vuole parlarle. Dov’è?

- Cosa… per favore, signora – non è abituato a supplicare, eppure gli viene così naturale. Solo per lei – mi dica dov’è – Hellen sospira nuovamente, si sente un fruscio, poi la donna riprende a parlare – All’oncologia del St. Patrick –

Harry sente che il suo cuore si è fermato per un secondo. Non è possibile, non è assolutamente possibile. Lei non può assolutamente essere in ospedale. No.

- Grazie –

La chiamata viene interrotta, il ragazzo entra nell’auto e mette in moto. Guida troppo veloce, pensa troppo poco ai semafori e ai limiti. No. Non pensa affatto. Non pensa a nulla che non sia lei. Lei, sempre lei. Che è in ospedale, e a lui che non c’era per aiutarla. Ha mentito, aveva detto che ci sarebbe stato per lei. E invece ha tradito la sua fiducia. Si può tradire la fiducia di una persona che si conosce da così poco tempo? Si, decide. Adesso però corre sulle strade innevate, rischiando la sua vita per fare in fretta.

Per lei, solo per lei.

Il parcheggio dell’ospedale è completamente pieno, il dio (qualunque esso sia) che l’ha protetto fino a quel momento ha deciso di lasciarlo perdere. Harry non si scompone, lascia l’auto in doppia fila e chi se ne frega se qualcun altro non potrà tornare a casa perché si troverà la macchina bloccata. Il giovane scende e mette l’antifurto mentre corre verso l’entrata, rischiando di scivolare ad ogni passo; ma chi se ne frega di nuovo. Lei è lì dentro, e lui non c’era quando ci è entrata. Ora però ci vuole essere, in fretta.

Un’infermiera gli lancia un’occhiata annoiata quando arriva all’ingresso del reparto di oncologia, tenendosi la pancia nel vano tentativo di recuperare fiato.

- Non può entrare, torni alle cinque e un quarto –

Harry strabuzza gli occhi, facendosi attento – alle cinque e un quarto? Oh, andiamo! Ho assolutamente bisogno di vedere una persona importante –

- Ah allora potrà vederla – la donna non ha nemmeno alzato lo sguardo dai fascicoli che sta leggendo – alle cinque e un quarto – Harry sbuffa, sbattendo una mano sul bancone.

- La prego, è davvero importante – tenta un’ultima volta. L’infermiera alza appena lo sguardo, inchiodandolo.

- Non posso proprio fare nulla per aiutarti. Le regole sono categoriche –

C’è un piccolo salotto vuoto con i distributori automatici, Harry si siede su una delle scomode sedie di plastica, i gomiti sulle ginocchia e le mani mollemente intrecciate tra le gambe. Vuole solo vederla, è da così tanto che non la vede. Hellen entra nel salotto e si dirige a grandi passi verso il distributore automatico di caffè. Il giovane nota che la donna sta indossando l’uniforme da lavoro, come se non avesse dimenticato di cambiarsi. O non ne avesse avuto affatto il tempo. Lei inserisce una moneta, preme due pulsanti e si passa una mano sul viso, per poi notarlo. Si apre in un sorriso un po’ triste – ciao, Harry –

Il ragazzo si alza e le va incontro – salve, signora – vorrebbe continuare, chiederle come sta sua figlia, cercare di entrare insieme a lei nel reparto. E invece se ne sta lì, con lo sguardo basso e i capelli umidi e in disordine. Non sa cosa dire, come dirlo.

- Mi fa piacere che tu sia venuto – Harry alza lo sguardo e incontra gli occhi stanchi di Hellen, accorgendosi che sono dello stesso colore di quelli di sua figlia, né verdi e né castani.

- Ho cercato di fare il più presto possibile –

- Le farà piacere vederti – Harry ha un tuffo al cuore, quando sente quelle parole. Allora può sul serio rivederla. Adesso. Sorride, suo malgrado, e annuisce. Hellen getta il bicchierino di plastica distrattamente, è strano vedere come si comporti. Come se nulla le importasse più, come se stesse portando il peso del mondo sulle spalle. E forse è così. E forse non riesce a sopportare questo peso. I due si avviano verso il reparto, l’infermiera li lascia passare con un’occhiataccia al giovane. Stanza duecentosette, sulla destra del corridoio principale.

E Rose è lì, che dorme.

Harry si accorge di aver ricominciato a respirare.

 

 

 

Rose apre un occhio, stupita. Perché ha dormito? Cos’è successo? Poi ricorda: era a lezione, stava fingendo di ascoltare il professore che parlava. E poi? Poi un dolore lancinante, la nausea. Ricorda ai aver rimesso, prima. Cos’era? Sangue, se non ricorda male. La sua bocca non se lo è di certo scordato, se non altro. Quello che non ricorda è il calore della mano destra, questo è certo. La ragazza gira la testa, accorgendosi che il collo le fa male; chissà da quanto tempo sta dormendo. La stanza comunque è immersa nell’oscurità, fatta eccezione per la piccola luce proveniente dalla lampadine in dotazione per ogni posto letto. E poi lo vede.

Harry, seduto scompostamente sulla scomoda sedia di stoffa dell’ospedale, sta dormendo beatamente con la testa poggiata sul cuscino e la mano intrecciata alla sua. Rose si commuove per un attimo, passando dolcemente le dita fredde tra i suoi riccioli scompigliati. Sorride, mentre un’infermiera del turno di notte entra per cambiarle la flebo.

- Sei molto fortunata, bambina – la donna è sempre la stessa, ormai, che la conosce come se fosse sua figlia – è arrivato nel primo pomeriggio e non ne ha voluto sapere di andare via. Non mi stupisco che si sia addormentato – mentre parla cambia con gesti automatici la boccetta di medicina, attenta a farla fluire nel giusto dosaggio. Rose strabuzza gli occhi – che ore sono? –

- Le due e mezza del mattino – risponde l’infermiera – è persino riuscito a convincere tua madre a tornare a casa per la notte, un’oretta fa – e si riferisce di nuovo al giovane, che borbotta qualcosa nel sonno facendosi istintivamente più vicino a Rose. Entrambe sorridono a quel movimento.

- Era molto spaventata? – odia quando sua madre deve stare male per colpa sua. Non è abbastanza il male che soffre lei? Dove sta scritto che anche sua madre deve soffrire in questa maniera?

L’infermiera finisce di regolare la flebo e prende la cartella clinica, senza tuttavia rispondere alla domanda. Rose continua ad accarezzare i capelli del giovane, che apre un occhio.

Ehi – borbotta con la voce impastata dal sonno, aprendosi in un sorriso dolcissimo. Rose ricambia, pensando  quanto sembri un bambino con gli occhi lucidi e il maglione stropicciato. Harry alza la testa di qualche centimetro, fino a sfiorare la pelle della ragazza con le labbra.

L’infermiera si schiarisce la voce, sorridendo – tornerò alle sei per cambiarti la flebo, bambina – poi guarda Harry che nemmeno si è accorto di lei, troppo occupato ad accarezzare il viso della paziente: apre la bocca per dire qualcosa ma, quando capisce che non verrà ascoltata, scuote la testa ed esce dalla stanza.

- Quando sei arrivato? – le voci sono ridotte a un mormorio, Rose nemmeno sa dove finisce il suo respiro e comincia quello di Harry. Ha dimenticato di avere l’alito cattivo, il mal di testa, l’orribile ricordo del pomeriggio e le ginocchia arrossate a causa della caduta.

C’è lui, solo lui.

Harry ridacchia, le sposta un ciuffo di capelli solo per poterla toccare ancora – a Londra o in ospedale? –

- Da tutte e due le parti, immagino –

- Da qualche ora… anzi, scusami se mi sono addormentato così ma negli ultimi giorni avrò dormito sette ore, in totale – Rose scuote la testa, mordendosi un labbro sovrappensiero.

- Non sai quanto sia contenta che tu sia qui, adesso – l’ammissione richiede un certo sforzo per la giovane, ed Harry questo lo sa bene. Le accarezza il profilo del viso con la punta delle dita, come se fosse fatta di vetro.

Rose sospira, chiudendo gli occhi a quel tocco. E’ stato così difficile ammetterlo? – mi sono preoccupato – anche l’ammissione di Harry è stata sofferta, e vorrebbe rimangiarsi le parole subito dopo.

- Mi dispiace –

Harry sospira nuovamente, avvicinandosi alla ragazza – ora sono più tranquillo, però –

- Sono ancora in un letto di ospedale –

Il giovane sorride in maniera impercettibile – ma ci sono io con te, adesso –

Le parole rimangono un po’ nell’aria, Rose deve schiarirsi la voce prima di poter riprendere a parlare – ho avuto paura –

- Di cosa? –

- Che non potessi farcela – ed è vero. Ogni passo, ogni  movimento, ogni respiro, potrebbero essere gli ultimi. Ogni dolore, ogni crisi, potrebbero essere quelli fatali. E lei lo sa, e ha paura.

Harry scuote nervosamente la testa – non dire sciocchezze, perché dovresti… non dire sciocchezze – Rose scuote la testa, avvicinando il viso a quello del ragazzo.

Posa per una frazione di secondo le labbra screpolate sulle sue – ho parlato col dottor Brown. Sto morendo, Harry –

 

 

 

I sat on the roof and kicked off the moss
Well a few of the verses well they've got me quite cross.

 

 

E un grazie speciale a Jas per gli splendidi banner e per avermi ricordato che è Domenica e dovevo aggiornare :')

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Capitolo 11
*** Capitolo Undici ***


11. Capitolo undici

 

 

 

 

 

 

L’infermiera alle sei del pomeriggio porta la cena, e Rose storce il naso solo a guardare il vassoio. Non ha mai molta fame ultimamente, non che ci pensi spesso.

- Devi pur mangiare qualcosa, piccola – Harry, seduto a gambe incrociate accanto a lei la guarda esasperato.

- Non mi va, adesso –

L’infermiera, che è rimasta in camera per aggiornare la cartella clinica, emette uno sbuffo – dovresti ascoltarlo, bambina. Lo sai che il dottore vuole che mangi regolarmente –

Rose sospira, incrociando le braccia; non si prende nemmeno la briga di rispondere e invece guarda Harry, che si è alzato per spiare il contenuto del vassoio. Sorride, mentre lo vede annusare un piatto per poi richiudere il coperchio, con un’espressione tutt’altro che positiva – ecco, vedi perché non voglio mangiare? Morirò prima per un’intossicazione alimentare che per il cancro –

Le spalle del ragazzo si irrigidiscono – smettila – e quell’unica parola, che chiunque percepirebbe come un ordine, Rose la intende per quello che davvero è: una preghiera disperata. Non hanno parlato, dopo che la ragazza gli ha comunicato che non è possibile una cura, e adesso sa che non appena l’infermiera fosse uscita l’argomento sarebbe venuto fuori. Lo sa, e ha paura. Di cosa? Di fargli del male, di vedere i suoi occhi brillanti diventare ludici come qualche ora prima. E non vuole. Non vuole essere la causa del dolore di un volto così bello, di un’anima così bella.

- Scusa, Harry – le piace pronunciare il suo nome, e lo fa non appena ne ha l’occasione. Il ragazzo sorride subito, non riuscirebbe a rimanere arrabbiato nemmeno un secondo anche se lei questo non lo sa.

- Ok, allora… - comincia il ragazzo, prendendo in mano la lista del cibo – abbiamo riso lesso, petto di pollo ai ferri e purè di patate – elenca mentre fa un sorriso all’infermiera, che si sta congedando.

L’espressione sul viso della ragazza è abbastanza eloquente – ho già l’acquolina in bocca, guarda –

- Dovrai pur mangiare qualcosa! – ripete Harry sconsolato, poi ci ripensa – magari vado a prenderti un pezzo di pizza al bar del secondo piano –

- Magari – concede la ragazza con un sorriso. Poi, per la prima volta da quando si conoscono,  gli si avvicina per toccarlo, abbracciarlo. Non lo ha mai fatto prima, preferendo aspettare il momento in cui lui le si sarebbe avvicinato, l’avrebbe toccata, accarezzata, baciata; ma ne ha bisogno, ora. E lo fa. Harry è di spalle mentre mette a posto il foglio, sovrappensiero. Rose gli si avvicina lentamente, lo sguardo puntato verso la sua schiena e le guance rosse di imbarazzo. Sfiora il tessuto del maglione pesante che il ragazzo indossa, impercettibilmente. Harry se ne accorge e non osa muoversi, poi Rose decide di spezzare il silenzio, diventato ormai opprimente – molte persone credono che quando si arrivi così vicino alla morte la paura più grande sia quella dell’ignoto. Il non sapere cosa c’è dopo l’ultimo respiro, dopo l’ultimo sguardo – comincia a sussurrare. Harry rimane di spalle, le mani della ragazza continuano a toccargli la schiena come per trarne forza – ci sono alcune persone che si chiedono cosa si provi nell’istante in cui la vita ti abbandona, altre che si chiedono se avranno paura in quell’istante o se l’affronteranno con serenità – la mano piccola e bianca smette la sua carezza per un attimo, il giovane si gira verso di lei e rimane incantato quando nota le sue guance rosse, le labbra piene e gli occhi lucidi. Rose però non ha ancora finito, e Harry non può fare a meno che toccarle una guancia. Per darle conforto, si dice. Per darne a se stesso, è la verità – non posso dire di non esserne spaventata perché sarei un’ipocrita; ma non è da questo che sono terrorizzata –

Harry deglutisce, accorgendosi di avere la bocca asciutta – cosa ti spaventa, allora? –

- Non ho paura di morire. Mi rattrista sapere che non potrò fare tutto –

- Tutto cosa? –

Rose ci pensa su qualche istante, poi sorride intenerita – ne parlammo già, ricordi? Studiare, viaggiare, innamorarmi e creare una famiglia. Ho sempre sognato un bel matrimonio, una casa grande e sempre in disordine e piena di bambini che litigano. All’inizio mi arrabbiavo perché avevo paura di non avere tempo adesso sono terrorizzata perché so che il mio tempo sta finendo e io non… non sono riuscita a fare nulla, e non c’è tempo di recuperare –

Harry rimane impotente mentre due lacrime scendono sul viso di Rose, subito asciugate con foga dalla ragazza. Eccolo, il discorso che era rimasto lì per tutto il tempo. Come sempre, del resto; entrambi troppo vigliacchi per parlarne a quattr’occhi, entrambi solo desiderosi di poter cancellare tutto. Probabilmente sarebbe stato meglio se non si fossero mai conosciuti, se Rose avesse scelto di non andare in ospedale quel giorno, se non fosse mai salita su quel tra. Forse sarebbe stato meglio anche se Harry avesse evitato di fare lo stupido con Louis e avesse evitato di procurargli la frattura. Forse sarebbe stato meglio se avesse preso l’auto, quel giorno, se non avesse mai incontrato quegli occhi e quella bocca e quella pelle riflessi nel finestrino del mezzo pubblico.

- Tu non morirai, Rose – il ragazzo pronuncia con decisione quelle parole, quasi fosse un ordine categorico. Rose si limita a sorridere e a scuotere la testa – io non voglio morire, è troppo presto per me –

- Non morirai, farò tutto il possibile per evitarlo – Harry la guarda negli occhi, come a volerle imprimerle quella promessa nel cuore.

La ragazza scuote la testa, accarezzandogli una guancia – non fare promesse che sai di non poter mantenere –

Harry è frustrato quando risponde – io voglio solo… -

Lo so

- Cosa posso fare? – si decide a chiedere allora, cercando di risultare pratico. Rose si strige nelle spalle – non lasciarmi da sola, non voglio sentirmi sola – non voglio morire da sola, pensa in realtà anche se non lo dice. E’ come se lo abbia fatto, però.

Harry si scioglie in un sorriso – non ne ho intenzione, lo sai –

- E sorridi sempre, odio vederti triste – continua poi la ragazza, facendosi coraggio. Harry alza lo sguardo, incrocia i suoi occhi e annuisce. Rose sorride, gli si avvicina. E poi un abbraccio, che sa di caldo, di intimo. Rose non ha mai provato questa sensazione, ma le piace. E si stringe ancora più forte al ragazzo.

 

 

Harry esce dall’ospedale quando ormai è sera, sperando di ritrovare l’auto nel parcheggio. Un fotografo lo acceca con un paio di flash veloci, e il ragazzo non può fare a meno di masticare una bestemmia tra i denti. Non ricorda bene il momento in cui ha capito di odiare i paparazzi: forse quando lo hanno ripreso in qualche atteggiamento scomodo con una qualsiasi ragazza, forse quando gli hanno per la prima volta rovinato un raro pomeriggio libero, forse in realtà li ha sempre odiati. Perché non può fare il cantante senza che ogni sua mossa debba essere spiata, fotografata e messa sulle riviste per ragazzine? In fondo non chiede tanto: solo vivere il suo sogno. Solo vivere la sua vita, che in questo momento si trova chiusa in una stanza d’ospedale e nemmeno ha fatto in tempo ad accorgersi che è diventata la sua vita.

Lei, sempre lei.

Il paparazzo scatta un’altra fotografia, Harry mette una mano davanti al viso e poi sbuffa e alza il dito medio. Sa che ne pagherà le conseguenze. Non gliene importa, però; in fretta cerca le chiavi dell’auto nelle tasche del giaccone, entra e mette in moto mentre il cellulare comincia a squillare – ti pare possibile che non ho tue notizie da stamattina alle undici che siamo atterrati a Londra? – non è sua madre, non sono gli agenti. Il tono di Louis è scocciato e spaventato insieme, Harry si concede un mezzo sorriso pensando che nonostante tutto è ancora nei pensieri del suo migliore amico.

- Avevo da fare –

Louis dall’altra parte del telefono sbuffa – dove sei, adesso? –

- In macchina –

- Dove sei stato tutto il giorno? – Harry nemmeno risponde a quella domanda, mette la freccia e svolta in direzione dei magazzini Harrods. Cerca di mantenere la calma, eppure sente che qualcosa dentro si sta rompendo. Deglutisce, si inumidisce le labbra con la punta della lingua - Hazza, ti prego – il tono di Louis è cambiato un’altra volta, è serio e supplicante adesso.

- In ospedale – cede alla fine il ragazzo.

- Per lei? –

Harry tira su col naso, come un bambino. Perché bambino in fondo lo è veramente, e non riesce più a fingere, a dire di stare bene, di giocare ad essere perfetto – sta male, Boo

Una lacrima scivola dagli occhi verdi mentre pronuncia quelle pochissime parole, e anche il suo amico trattiene il fiato.

- Dove sei? – ripete allora Louis per la seconda volta. Nel frattempo il più piccolo è giunto all’ingresso dei magazzini e ha parcheggiato l’auto. Istintivamente poggia i piedi sul sedile e si stringe le ginocchia al petto, sempre come un bambino. Un bambino che soffre, che ha paura. Che è stanco.

- Ai magazzini Harrods, nel parcheggio – Harry se ne sta accucciato, gli occhi lucidi e la faccia affondata nelle ginocchia, concentrato solo sulla voce del suo migliore amico.

Si sentono degli strani rumori, poi un’auto che viene messa in moto – non ti muovere, sto arrivando –

- Grazie, Boo

- Andrà bene, vedrai – e Harry, dopo un mese, comincia a crederci.

 

 


Hellen arriva nella piccola stanza d’ospedale con una tavoletta di cioccolato bianco e un caldo sorriso sul volto. Rose le fa posto accanto a sé sul letto, attenta a non toccare il tubicino collegato al braccio.

- Scusa se ci ho messo tanto –

- Tranquilla – Rose stacca un quadratino di cioccolato – Harry è stato con me fino a poco fa –

Hellen le lancia un’occhiata malandrina, da brava mamma ficcanaso qual è – e allora? –

- Non ho intenzione di dirti nulla – la avvisa la giovane reprimendo una risata.

- A tua madre? Oh, alla donna che ti ha messa al mondo e che ti ama con tutto il suo cuore? –

Rose scuote la testa ridendo apertamente, mentre il cellulare squilla avvisando dell’arrivo di un nuovo sms – è imbarazzante, mamma –

Hellen ci pensa – si, forse hai ragione… chi è? – cerca di indagare, anche se dal sorriso della figlia può già intuirlo. Scuote la testa e si alza dal letto, cominciando a mettere in ordine la scrivania per lasciarle privacy. In realtà però rimane a fissarla, bianca e perfetta in quel letto, che cerca di vivere una vita che le sta sfuggendo. Una lacrima le sfugge e subito la fa sparire.

E’ stanca, ma deve essere forte. Per sua figlia. Per se stessa. Le cose andranno bene.

 

 

How wonderful life is while you're in the world 

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Capitolo 12
*** Capitolo dodici ***


12. Capitolo dodici

 

 

 

Rose non ha visto Harry per tutto il giorno, e a dire il vero le manca un po'. Sua madre le ripete che probabilmente ha da fare, che tornerà il prima possibile e che non deve preoccuparsi dal momento che non ce n'è la minima ragione. Invece per la ragazza la ragione c'è: ha paura. Una grande, terrificante, inspiegabile paura. Di rimanere sola di nuovo, che lui parla per uno dei suoi infiniti viaggi e che la lasci. Di nuovo. Non lo sopporterebbe, e odia riconoscere quanto sia diventata dipendente dai suoi occhi, dal suo sorriso, dalla sua voce e dal suo odore. Semplicemente gli manca, e controlla per l'ennesima volta il cellulare sperando in un messaggio o in una chiamata. La porta della piccola stanza si apre e Rose alza un attimo lo sguardo – ciao – Victoria fa capolino dalla porta in quel momento, con un enorme sorriso sul volto e alcune riviste sotto braccio – ho il gelato, Marie Claire e lo smalto: direi che possiamo cominciare! -

Rose sgrana gli occhi quando la sua amica le mostra la vaschetta di gelato al cioccolato bianco, in assoluto il suo preferito – Il gelato a Gennaio? -

– E allora? Il gelato è un dolce, i dolci si mangiano in tutte le stagioni dell'anno – e con queste sante parole mette fine alla conversazione, sedendosi senza riguardi sul bordo del letto. Il come quella strana e simpatica ragazza sia entrata nella vita di Rose rimane tutt'ora un mistero, considerando il fatto che dopo quella chiacchierata nella mensa non si erano più sentite. Eppure eccola, con il suo sorriso amichevole e i capelli rossi legati disordinatamente sulla nuca mentre le mette uno smalto rosa sulle unghie della mano destra. Rose sorride impercettibilmente, ricordando quando l'aveva chiamata come se fossero amiche da anni ed erano rimaste ore al telefono, tanto che Harry alla fine aveva sbuffato ed era uscito dalla stanza visto che non riusciva a dormire. A quel pensiero la ragazza si oscura un secondo: è da quella mattina che non lo vede, e già gli manca da impazzire.

– Allora, dimmi un po' – la rossa alza lo sguardo dal suo lavoro – abbiamo parlato di scuola, di musica, di film, dei genitori e di tutte queste interessantissime cose. Solo una abbiamo saltato: com'è che ti sei trovata ad uscire con Harry-sono-il-più-sexy-del-mondo-Styles? -

Rose arrossisce e abbassa lo sguardo, improvvisamente interessata al bianco delle lenzuola – io non... Cioè... -

– Oh andiamo, cara! - Victoria ride e ricomincia a colorare le unghie dell'altra – abbiamo visto tutti le foto di voi in giro per Londra, di Harry che ti prendeva mentre svenivi e... -

– Ok, ok – la ragazza sbuffa e torna a guardare la sua amica – non mi interessa, non voglio sapere nulla – il discorso rimane sospeso per un po', mentre Victoria torna come niente a chiacchierare di un articolo che ha letto su Vogue. Rose la ringrazia mentalmente, apprezzando la delicatezza che ha mostrato e la sua compagnia. Eppure adesso comincia a pensarci: Harry è famoso, ha una vita piena e interessante che vive ogni volta che non è in sua compagnia, ogni volta che esce da quella stanzetta d'ospedale in cui lei invece è costretta a rimanere. Forse lui è lì in questo momento, a firmare autografi e a sorridere di fronte a qualche telecamera. Per un secondo si da dell'egoista: non gli ha mai chiesto nulla della sua vita, della sua passione, della sua famiglia o della sua casa. E scopre che invece vuole sapere se vive in un appartamento o in una villetta a schiera, quando ha cominciato a cantare o se è felice di fare quello che fa. Non riesce a credere di essere stata così superficiale, troppo presa dalla sua vita e dai suoi problemi e non abituata a dedicarsi agli altri. E scopre che vuole cambiare questa cosa. Vuole dedicarsi a quel bellissimo e sconosciuto ragazzo almeno un terzo di quanto fa lui con lei ogni giorno. Victoria si accorge del silenzio prolungato della bionda e le passa una mano davanti al volto, riscuotendola – lo ammetto, la temperatura bassa non è esattamente l'argomento più interessante del mondo -

Rose sorride e scuote la testa – scusa, ero solo un po' sovrappensiero -

– Capita, tranquilla – Victoria fa un segno di noncuranza – a cosa stavi pensando? - poi, senza che l'altra risponda scoppia a ridere – e che te lo chiedo a fare, al tuo ragazzo vero? -

– Non ne abbiamo mai parlato – la giovane si stringe nelle spalle – dello stare insieme,intendo -

– Come ti fa sentire? - è la domanda di Victoria, pratica.

Rose ci pensa un istante prima rispondere – protetta, al sicuro... felice – si decide a dire poi, abbassando nuovamente lo sguardo imbarazzata.

– Ne sei innamorata? - la domanda lascia un attimo spiazzata Rose, che arrossisce.

– Io non... com'è quando ci si innamora? -

Victoria si stringe nelle spalle – non ne ho idea, però dicono che sei felice quando sei innamorata -

– Ci conosciamo da così poco, quanto tempo serve per innamorarsi? - Victoria si stringe nuovamente nelle spalle, a far intendere che non sa rispondere nemmeno a questa domanda. Rose sorride e si passa una mano tra i capelli, soprattutto quando si rende conto di quanto il loro discorso sia ingenuo e intimo, come solo quello di due amiche potrebbe essere – comunque ti rende felice, e questa è la cosa importante – come ormai l'ha imparata a conoscere, Victoria si dimostra pratica e chiara mentre liquida il discorso e si alza per prendere il gelato e due cucchiaini messi al sicuro in borsa.

– Magari... cosa sai dirmi sulla sua band? - la domanda vorticava nella mente della bionda dall'inizio della conversazione e Victoria sorride, avendolo intuito.– Hanno annullato un tour di sei settimane negli Stati Uniti, e domani sera faranno un concerto qui a Londra. Non so dove però, non sono una loro fan accanita -

Rose si morde un labbro – e perchè hanno annullato il tour? -

– Non ne ho idea, hanno ritirato un premio e dovevano partire la mattina dopo, e invece... - la ragazza si scusa con un sorriso per la scarsità di informazioni e affonda il cucchiaino nel gelato, prendendone un generoso boccone – ad ogni modo... non sai cosa ti sei persa a scuola! Hai presente la Thomson, quella che se ne va sempre in giro con tre chili di phard in faccia e la gonna tanto corta da sembrare una cintura? - Rose annuisce, prendendo a sua volta il gelato – non sai cosa ha fatto l'altro giorno durante la pausa pranzo... - e comincia a raccontare una storia tanto buffa quanto inverosimile, contornata da espressioni divertenti e imitazioni di voci e movimenti. Mentre ride, Rose chiude gli occhi un secondo e ringrazia chi, se c'è davvero qualcuno da qualche parte, ha fatto in modo che potesse incontrare delle persone tanto splendide. Almeno per un po'.

 

 


Harry e Louis scendono dall'auto ignorando i flash che continuano ad accecarli; ormai non ci fanno più nemmeno caso, ma comunque Harry si ripara con gli occhiali da sole.

– Comunque – sta nel frattempo dicendo il suo migliore amico prendendo un sacchetto di plastica dal cofano – dovrebbe essere tutto pronto, giusto? Lo stereo non è così difficile da accendere, alla fine – Harry ride e incrocia le braccia al petto con un po' di difficoltà per via del cappotto blu che indossa.

– Al massimo ti chiamo -

– Come no, sai che romantico? - i due hanno passato la mattinata insieme come non facevano da troppo tempo, e ora sono felici e pronti per ricominciare, più forti che mai. I flash continuano e il più piccolo sospira quando riescono ad entrare nell'ospedale, al sicuro da occhi indiscreti: è nervoso e un po' stanco, non essendo riuscito a dormire molto nei giorni precedenti. Rose è in ospedale da tre settimane e di conseguenza lui trascorre la maggior parte delle sue ora nella piccola stanza al quarto piano del reparto di oncologia, subendosi i rimproveri del team di managment, lo stress delle prove e delle interviste concentrate in poche ore del giorno, le occhiate scocciate degli altri componenti della band che non possono capire. Che non vogliono capire, e riescono solo a lamentarsi di quanto questa sbandata costerà al successo della band. A Harry però non importa, continua a fare la spola tra casa sua e l'ospedale, continua a canticchiare le canzoni di quando era piccolo per distrarsi mentre i managers lo sgridano, a correre come un pazzo per essere sempre nel posto giusto al momento giusto e ad abbasare lo sguardo mentre Liam e Zayn lo guardano con pena e rimprovero. Cosa sta succedendo alla band, ai suoi migliori amici? Basta la minima difficoltà per mettere mandare all'aria due anni di promesse, sacrifici, risate, esprerienze? Harry scuote la testa mentre paga la colazione e prende il sacchetto con quella per Rose, Louis lo guarda con un mezzo sorriso e gli passa il palmo sulla schiena per dargli forza. E nonostante tutto Harry non ha altro pensiero in questo momento: è riuscita a dormire, dopo che lui è andato via? Non sta bene, e la cosa ormai è così palese da essere preoccupante: il viso è sempre più bianco, i denti sono sempre più spesso macchiati di sangue. E poi ci sono i lamenti che maschera durante la giornata e che vengono fuori nel sonno, mentre lui la guarda dalla poltroncina tenendole la mano. Il cuore prende a battere velocemente mentre si avviano agli ascensori. Di cosa, poi? Paura, impotenza. Frustrazione perchè lui è lì, ma può solo rimanere a guardarla. E allora che senso ha avuto l'ultima disastrisa litigata con l'intero staff per cancellare il tour negli Stati Uniti? Harry sa che ne è valsa la pena così come lo sa Louis, che lo ha supportato allora e continua a supportarlo adesso, ridendo mentre gli racconta di un tweet stupido ricevuto da una fan. Harry sorride un istante, pensieroso; le porte si aprono e si trovano immersi in un caos di telefoni che squillano, infermieri e medici che vanno e vengono, parenti che chiacchierano rumorosamente e qualche ragazzino che si rincorre nel corridoio, approfittando della distrazione dei genitori. I due si pentono per un istante per essere arrivati in pieno orario di visite e percorrono quella che ormai è diventato un percorso abituale. La stanza è sempre la stessa, quando entrano trovano Rose e una ragazza con dei capelli decisamente troppo rossi che mangiano gelato e guardano una replica di Skins, comodamente stese a letto.

– Buongiorno, signore – il primo a parlare è stato Louis, che entra e si piazza al fianco della bionda, attratto dal suo telefilm preferito. Harry rimane indietro un secondo, analizzando la figura di Rose: sembra stare bene, ora, soprattutto dopo la nottata che ha passato; la ragazza incrocia il suo sguardo e gli sorride. E la vita di Harry riprende ad avere senso. Automaticamente si sposta accanto al letto e controlla il livello di antidolorifico nella fiala attaccata al braccio di Rose, le sistema un cuscino e le lascia una carezza tra i capelli. Louis attira l'attenzione di entrambe con un commento divertente sulla protagonista della serie e Harry si concede di sedersi su quella che ormai è diventata la sua poltrona. Non può dimenticare la mattina in cui, dopo il suo sfogo nel parcheggio dei magazzini Harrods, Louis gli aveva chiesto di fargli conoscere Rose. Ricorda l'occhiata imbarazzata della ragazza mentre, poche ore dopo, gli stringeva la mano e il commento, “tu sei quello finito gambe all'aria nella neve? Harry mi ha parlato di te!”, che aveva poi sciolto la tensione. E poi ovviamente il suo migliore amico e il suo strano accento erano entrati nella vita di Rose, e lui non può esserne più felice. Rose guarda Harry e allunga un braccio per prendergli la mano, - come stai, stamattina? - ed è strano e bellissimo che sia lei a chiederlo.

– Benissimo, e tu? -La ragazza si stringe nelle spalle, senza rispondere se non con uno dei suoi sorrisi. Il giovane le allunga il sacchetto con il muffin si mirtilli che le ha preso e non si scompone più di tanto quando lei, dopo aver annusato il dolce, glielo restituisce.

- Magari più tardi -

– Magari – le fa il verso lui, e le stringe più forte la mano. Rose chiude gli occhi e in un attimo si appisola, dimentica della presenza degli altri due ragazzi che stanno cercando di decidere quale sia la generazione migliore e dimentica di Harry, che sospira e chiude gli occhi.

 



– Harry? Harry? - Hellen scuote il ragazzo per qualche secondo, e quello si sveglia di soprassalto. Non si è nemmeno accorto di essersi addormentato e come sempre lascia un'occhiata al letto di Rose, tranquillizzandosi quando vede che sta riposando – sono appena uscita dall'ufficio del dottor Brown – ora che ha messo a fuoco la stanza il giovane nota gli occhi gonfi della donna e si accorge anche del tono della sua voce.

– Cosa...? - non finisce nemmeno di formulare la domanda. Non vuole sapere, non vuole sapere, non vuole sapere.

– Non c'è più nulla da fare: ci ha consigliato di riportarla a casa e... -

Non vuole sentire, non vuole sentire più nulla. Per un istante ha voglia di mettersi le mani sulle orecchie per coprire il suono di quelle parole. Hellen si ferma per riprendere fiato un momento e mandare indietro le lacrime – farle vivere serenamente gli ultimi giorni -

Harry rimane immobile per un secondo, poi realizza le parole della donna. E il mondo smette di girare.

 


Anyway the thing is what I really mean

Yours are the sweetest eyes I've ever seen


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Capitolo 13
*** Capitolo tredici ***


13. Capitolo tredici

 

 

“Scrivimi una canzone”

Harry cammina senza staccare gli occhi da terra, incurante di un gruppo di ragazzine che lo segue a qualche passo di distanza nella speranza di ottenere una foto o un autografo. Ecco, la cosa che odia: non si può stare mai un secondo da soli. Il giovane sbuffa e rischia di scivolare a causa della strada bagnata. Ha smesso di nevicare ormai da qualche giorno, ma è troppo presto ancora per sperare in un seppur timido raggio di sole che possa riscaldare Londra; non che Harry abbia il tempo di pensarci, ovviamente.

“Scrivimi una canzone”

La casa che divide con Louis è silenziosa e disordinata, il suo amico sarà sicuramente alle prove. Per un secondo pensa a come abbia giustificato la sua assenza. Sorride senza gioia, poi si guarda intorno e prende la chitarra acustica che Niall ogni tanto lascia nel loro appartamento, un po' per pigrizia e un po' per sbadataggine. Harry non sa nemmeno da che parte si comincia, a scrivere una canzone, né come come si suona una chitarra. Scuote la testa e si passa una mano sul volto a voler cancellare la stanchezza. Da quando ha fatto il concerto, quasi due settimane prima, non mette piede nella Casa Discografica né in nessun posto che non comprenda la sua abitazione, l'auto e la camera di Rose, che ormai conosce a memoria. Lì mangia, dorme, canta, suona, parla e cerca di sorridere. Non piange mai, però, e nemmeno ha intenzione di farlo; o almeno non davanti a lei. Mai più. Rose lo ha capito, e quando vede che sta per scoppiare gli chiede di andare a prendergli una bottiglietta d'acqua, una mela o una coperta, per dargli il tempo di sfogarsi e rinfrescarsi prima di tornare e recitare la sua parte. E ora questo.

“Scrivimi una canzone”

Glielo aveva chiesto così, la sera prima. Non sa nemmeno lui come sia venuto fuori il discorso, e tanto meno sa cosa lo abbia spinto ad accettare. Come si scrive una canzone? Lui non lo sa di certo, dal momento che quelle che cantano sono scritte da tizi che per mestiere sanno come comporre testi che vendono. Magari potrebbe chiedere a qualcuno che ha conosciuto durante il suo periodo di fama, qualcuno come Ed Sheeran o simili, che sappia scrivere roba bella e sentita e riesca a mettere in fila qualche accordo in maniera logica. Potrebbe, certo. Non sarebbe lo stesso, però, ed è per questo che rimonta in macchina alla ricerca di qualcosa che gli faccia venire voglia di essere profondo e carino e di mettere in ordine tutte quelle cose che piacciono tanto alle ragazze. Il problema è solo uno: Rose non è “le ragazze”. Rose è la creatura più bianca che abbia mai conosciuto. Come un angelo, ma pieno di imperfezioni che la rendono ancora più bella. In auto la radio si accende automaticamente su una stazione nazionale, che ha appena finito di passare un vecchio successo degli anni sessanta, poi parte What makes you beautiful a random, e il giovane abbassa il volume scocciato. Non sopporta più tutta quell'ipocrisia, quella falsità. Non sopporta più nemmeno la sua voce, a dir la verità, almeno se non sta cantando per Lei o parlando per farla ridere o per distrarla. E ora deve scrivergli una canzone, e mai nulla gli è sembrato così difficile. Le audizioni per il Talent? Difficili, ma bastava sciogliersi. Le esibizioni ogni settimana? Rischiose, nulla che non si potesse fare, però. Il tour? Le fans? Le interviste? Stressanti, ma le accetti e vai avanti. Mettersi completamente a nudo scrivendo una canzone? Assolutamente infattibile. E' quello che desidera Lei, però, e Harry sa già che non potrà rifiutarglielo. Cos'è la musica, poi? Per i discografici è il denaro, per Zayn, Liam e Niall è lavoro, per Louis è un modo per evadere dalla sua vita vecchia e monotona, per lui è... cos'è? Un modo per realizzare il suo sogno, per vivere la sua mezzora di celebrità prima che una qualsiasi nuova band li soppianti, come Harry potrebbe scommettere. Ora però è solo un modo per conoscersi, per sfogarsi e per raccontarsi; Rose lo sa ed è per questo che ha tanto insistito, stretta a lui nel lettino a una piazza della sua camera.

“Mi piace quando canti” aveva sussurrato sopprimendo uno sbadiglio. Harry aveva smesso per un secondo di canticchiare Isn't she lovely, la sua canzone preferita, e le aveva sorriso.

“Se vuoi posso cantare tutta la notte”

Rose aveva ridacchiato scuotendo la testa, “perchè no” erano state le successive parole, quasi inascoltabili a causa delle sue labbra affondate del maglione del ragazzo “ma la canzone deve essere tua”

“Mia... della band? Non sapevo ti piacesse la musica commerciale”

“Che hai capito! Una canzone tua... tua di Harry, senza il gruppo e i discografici e le macchine fotografiche e gli studi di registrazione” Rose aveva sospirato, stanca “scrivimi una canzone”

Harry arriva nei parcheggi della Casa Discografica e lascia la macchina a un impiegato, prende in fretta la la chitarra che sta abbndonata sul sedile posteriore. Non parla con nessuno e non toglie gli occhiali da sole, che comunque non riescono a nascondere le occhiaie e il viso bianco e stravolto. Dorme poco, e il sonno è diventato leggero: basta un sospiro, un lamento farfugliato o un gemito per riscuoterlo. Gli One Direction sono riuniti in una delle innumerevoli sale riunione e mangiano patatine direttamente dal sacchetto mentre quattro manager danno ordini per i piani della serata. Harry si siede in silenzio accanto a Louis, l'unico a non aver attentato agli snacks, e gli poggia la testa sulla spalla. Gli viene chiesto dov'è stato, cos'ha fatto e perchè è così in ritardo; lui non risponde a nessuna di queste domande preferendo controllare di avere il cellulare acceso, con la suoneria attiva e in una posizione facile da prendere. Ormai nemmeno si illude più che questi gesti siano normali per lui: ogni pensiero, ogni movimento, ogni parola, ogni respiro sono per lei.

Sempre e solo per lei.

La riunione passa in fretta e nessuno fa commenti sul fatto che il ragazzo sia rimasto in silenzio tutto il tempo con gli occhi chiusi e la testa poggiata sulla coscia del suo migliore amico. Nemmeno si è reso conto di essersi addormentato, e quando rimette a fuoco la stanza scopre che gli gira un po' la testa. Automaticamente controlla il cellulare e si da un'occhiata in giro, poi intercetta Niall.

- Ehi, Niall – l'altro si gira, sorpreso: oltre la facciata da fratelli di sangue diverso e tutto il lavoro per vendere l'immagine buona, pura e dolce dei ragazzi, lui e Niall non avevano mai davvero stretto rapporto. Non che si trovassero antipatici, semplicemente erano caratterialmente troppo diversi per poter andare oltre alle quattro chiacchiere scambiate in sala prove e gli scherzi davanti alle telecamere, - mi servirebbe il tuo aiuto, se puoi -

Il ragazzo annuisce e gli si avvicina, con un sorriso timido sul volto. Sa quello che sta passando il suo collega, e ha paura di dire o fare la cosa sbagliata. Louis rimane lì seduto a controllare il cellulare, prestando comunque orecchio alla conversazione.

- Volentieri, che ti serve? -

Il più piccolo fa un cenno alla chitarra con il mento – devi insegnarmi a suonarla -

Niall annuisce – Quando vorresti cominciare? -

- Subito -

L'irlandese annuisce senza fare domande e va a prendere lo strumento per accordarlo – andiamo di là in sala registrazione, magari? Stiamo più tranquilli -

Harry si stringe nelle spalle e lo segue fuori dalla stanza, senza fare storie quando prendono posto in una piccolissima sala insonorizzata. Il giovane decide che quel posto gli piace non appena prendono posto su due sgabelli di pelle.

- Cosa vuoi che faccia, Harry? -

Il più piccolo scuote la testa senza sapere bene cosa rispondere – devo... vuole che scriva una canzone -

Niall si passa una mano tra i capelli, a disagio – Lei? - ovviamente sa di Rose e della sua storia, anche se ha sempre cercato di farsi i fatti suoi e di non impicciarsi nella vita degli altri membri della band. Harry si limita ad annuire – posso aiutarti, se vuoi – si decide allora a dire Niall, - io però non lo so proprio com'è, innamorarsi -

Nonostante tutto Harry accenna a un sorriso – e la chitarra? Come te la cavi con quella? -

- Alla grande – i due si sorridono, poi recuperano carta e penna; Niall tira fuori un plettro colorato dalla tasca posteriore dei jeans.

- Sai come si scrive una canzone d'amore? -

- Assolutamente no, si accettano consigli -

Niall sorride – se dovessi scrivere una canzone d'amore parlerei... di me. Di come mi abbia salvato, di come non possa stare senza di lei e... - il ragazzo smette di parlare, preferendo cominciare a strimpellare qualche accordo alla chitarra. Harry mordicchia la il tappo della penna per qualche secondo, poi annuisce.

E comincia a scrivere.

 

 


Negli ultimi tempi Rose dorme sempre. Quasi non se ne accorge, a dir la verità: un secondo prima sta ascoltando la voce di Harry che canta o chiacchiera o la distrae, e un istante dopo crolla addormentata a metà di una frase, di un uno sguardo, di un sorriso. Dottor Charlie ha detto che è normale, dal momento che a causa del dolore è tenuta sotto morfina già da qualche settimana. Lei odia il non poter essere padrona del suo corpo, delle sue sensazioni, ma sa già che non avrebbe mai il coraggio di chiedere di interrompere la terapia.

- Ben svegliata – Harry le sorride posandole le labbra sulla fronte per una frazione di secondo e improvvisamente ogni cosa torna al proprio posto: non le interessa più se le fa male la pancia, se le gira la testa e se ha l'alito pesante.

- Ciao, che ore sono? - il giovane controlla l'orologio e poi si alza dal suo capezzale.

- Le quattro del mattino -

- E perchè sei ancora sveglio? -

Harry scuote la testa, prendendo un sacchetto con la stampa dei magazzini Harrods – in realtà sono appena arrivato, se non ti fossi svegliata da sola ti avrei chiamato io – mentre dice queste parole tira fuori un basco nero di quelli tipici francesi e un enorme poster, che attacca solertemente di fronte al letto – cosa stai facendo, Harry? -

- Una volta – risponde il giovane tornando a stendersi di fianco a lei – mi hai detto che ti sarebbe piaciuto viaggiare e fare colazione davanti alla Tour Eiffel – Harry tira fuori due cornetti che sembrano essere ancora caldi da un piccolo sacchetto di carta bianca, ne porge uno a Rose, che ha gli occhi lucidi, e la aiuta con gesti delicati a mettersi seduta sul setto – in un primo momento avevo pensato di andare a Parigi per il fine settimana ma poi... - non finisce nemmeno di parlare, perchè la risposta è troppo dolorosa per essere espressa a parole. Non ce l'avrebbe fatta, perchè lei è giovane e ha voglia di vivere e di amare e di viaggiare, ma non sarebbe mai riuscita ad affrontare il viaggio nelle sue condizioni.

- Mio Dio... - nemmeno lei ha la forza necessaria per esprimere tutto quello che vorrebbe dire.

- Bisognerà arrangiarsi – Harry alza il suo dolce a mo' di brindisi – buon appetito, madame! - la ragazza sorride trattenendo le lacrime e si sforza di mandare giù un pezzetto di brioche. Harry finisce il suo in un battibaleno e attacca anche quello di Rose, che scuote la testa e glielo lascia volentieri. I due rimangono in silenzio per un po', il giovane ha messo su La vie en Rose per creare l'atmosfera e adesso quello è l'unico rumore che interrompe il flusso di pensieri. Rose allunga una mano per pulire il ragazzo dal cioccolato rimasto sul bordo del labbro – grazie – sono le uniche parole che sussurra – per questo, per essere qui, per non aver mai perso la pazienza... -

Harry annuisce e cerca un modo per cambiare discorso, senza successo. Non vuole parlare di questo, vuole solo sorridere, baciarla e tirare fuori una battuta come in una qualsiasi coppia normale. Loro non possono, però: perchè non sono una coppia, perchè non possono cancellare dalla loro mente tutta la situazione a comando. Perchè forse loro sono più che una coppia normale.

- Ti mancherò? - Rose si appoggia al petto del ragazzo e chiude gli occhi, già immensamente stanca.

- Perchè dobbiamo parlarne adesso? - il tono di Harry è pari a quello di un bambino capriccioso, Rose sorride contro il suo petto.

- Pensavo che avessimo superato quella fase -

- Quale fase? -

Rose si stringe nelle spalle – quella della negazione, Harry. Ascoltami – la ragazza si gira verso di lui e lo guarda fisso negli occhi – puoi prendere tutta questa... storia come un capitolo della tua vita, di cui parlerai ai tuoi nipoti e che ricorderai con un sorriso tra molti anni -

- Non pensavo potessi essere così insensibile – Harry chiude gli occhi stizzito e volta la testa.

La giovane sospira – credi che per me sia facile? Sai cosa, però? Sono contenta di aver conosciuto te e il tuo strambo migliore amico e Victoria. Sono contenta di non aver sprecato gli ultimi giorni e sono contenta di aver realizzato almeno in parte quello che volevo. Mi sono innamorata, Harry, ho trovato degli amici e ho capito cosa significa essere giovane. Ora mi rendo conto che il mio tempo sta finendo e ho paura, ma sono pronta ad accettarla con un po' più di serenità -

Harry rimane con gli occhi chiusi per tutto il tempo, cercando di trattenere una lacrima. Perchè deve dire queste cose? Perchè deve essere così serena?

- Mi hai chiesto di non lasciarti quando ci siamo conosciuti – il giovane apre gli occhi e le accarezza il profilo della guancia con la punta delle dita. Non riesce più a trattenersi, e stavolta non lo fa – ora te lo sto chiedendo io, ti sto supplicando Rose: non mi lasciare da solo, come faccio se te ne vai? - Anche la ragazza stringe le labbra per trattenere un singhiozzo, - lo sapevi, che sarebbe arrivato questo momento -

- Speravo solo che arrivasse tra molto, molto tempo – e si odia mentre dice questo, perchè non sta facendo la persona forte, le sue spalle sono scosse dai singhiozzi e Rose lo sta abbracciando per consolarlo. Deve essere lui quello che consola, e invece lascia la ragazza gli accarezzi i capelli e gli mormori frasi all'orecchio per calmarlo.

- Io non ti lascio, Harry. Né adesso, né tra un anno né tra una vita intera -

Harry si costringe a sorridere per un istante – sembra tanto una di quelle frasi da film melodrammatico -

- Già – Rose ridacchia, poi avvicina le labbra screpolate a quelle del giovane, sfiorandole – è vero, però. Sei stato la cosa più bella che potesse capitarmi e non ho intenzione di lasciarti andare. In nessuna vita -

Il ragazzo annuisce – non voglio lo stesso -

- Adesso sono qui – gli fa notare Rose con un sorriso; gli occhi le si chiudono, sospira – ho sonno -

Harry ridacchia, spostandole una ciocca di capelli dalla guancia per il puro bisogno di toccarla – vuoi che vada di là -

- No, voglio che mi canti qualcosa -

Il giovane annuisce tra sé e sospira, alzandosi per prendere la chitarra posata ai piedi del letto.

E canta.

Canta tutta la sua frustrazione, tutta la sua paura, tutte le lacrime trattenute e tutti i sorrisi che gli ha regalato. Canta tutte le volte che avrebbe voluto dirle “Ti amo” e tutte quelle che l'ha baciata, per farglielo capire lo stesso. Canta la gioia dell'avercela accanto e la solitudine di quando sarà solo. No, non lo sarà mai perchè lei glielo ha promesso.

Il respiro di Rose si è fatto più pesante e il giovane smette di ripetere gli accordi che Niall gli ha insegnato con tanta pazienza qualche ora prima. Rimane a fissarla continuando a sfiorare la sua pelle distrattamente, continuando solo concentrarsi sul respiro pesante della ragazza.

Rose apre per un secondo gli occhi e gli sorride, poi li richiude.

Harry ricomincia a piangere.

 

And you can tell everybody, this is your song

It may be quite simple but now that is done.


 

Alla mia Mags, perchè è speciale e mi ha aiutata tanto a orari improponibili della notte.

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Capitolo 14
*** Capitolo quattordici ***


14. Capitolo quattordici

 

 

 

Harry si guarda intorno spaesato un secondo dopo aver aperto gli occhi, prima di riprendere coscienza della realtà intorno a lui. Nella prima classe del volo internazionale Sydney – Londra c'è un silenzio rilassante, rotto solo dal mormorio delle hostess che passeggiano tra i corridoi. Il ragazzo spegne l'iPod che era rimasto acceso mentre dormiva e fa scattare lo sguardo verso il suo migliore amico, che riposa beatamente sul sedile di fianco al suo. In fondo se lo meritano anche loro un po' di relax, e non può biasimare tanto Louis se dal momento in cui sono saliti sull'aereo non fa che dormire; d'altronde è l'unico ancora sveglio: Zayn se ne sta con la testa affondata nella spalla di Niall, che russa con la bocca aperta e l'espressione di un bambino. Liam invece è sveglio e fruga nel bagaglio a mano, gli fa un cenno quando si accorge la sua presenza e poi trova il cuscinetto da viaggio che stava cercando, abbastanza soddisfatto dell'impresa. Sono stati molto in giro in questi ultimi mesi. La prima volta in America, poi di nuovo a Londra e daccapo in Canada e Stati Uniti; poi era stata la volta di Australia e Nuova Zelanda, e tutti non vedevano l'ora di poter tornare a casa e riabbracciare i propri cari. Harry sbadiglia e si passa una mano sul volto, come a voler cancellare con un così semplice gesto tutta la stanchezza. E tutti i ricordi. Ventiquattro Aprile duemiladodici, ora locale 15:48: sono due mesi, una settimana, e dieci ore. Harry ormai ha preso l'abitudine di ricordare la data ogni giorno, come se in questo modo la sua presenza, la sua esistenza, la loro storia possa essere catalogato come un qualcosa di effettivamente avvenuto, e non solo frutto di fantasia. In realtà a volte quasi vorrebbe che si tratti di un brutto sogno, svegliarsi e trovarsi ancora Louis con la gamba ingessata, la neve troppo alta per permettergli di andare a piedi e la consapevolezza di dover vivere solo un altro lungo, grigio e tranquillo giorno della sua vita. Non sempre, questo è certo: soprattutto di notte, però, quando l'insonnia lo tiene sveglio e comunque gli incubi continuano a tartassargli il cervello. Incubi con capelli biondi e pelle di porcellana, che sorridono e gli accarezzano il voltocon tenerezza. Harry scuote la testa e guarda fuori dal finestrino. Fa un altro calcolo mentale, automatico anche in questo caso: sono esattamente due mesi, una settimana e dieci ore che non dorme per più di un'ora di fila, e la tensione comincia a farsi sentire. Una mano scatta nuovamente verso il viso, chiude gli occhi per un secondo e si augura di non doverli aprire mai più. Gli piace, questa fissazione del team organizzativo del tour in tutto il mondo, lo aiuta. Semplicemente la regola è una: non creare spazi vuoti. L'importante è non trovarsi mai da solo o senza qualcosa da fare. Che sia un tour, un'intervista, un video, scattare le foto con i fans o cercare di seminarli. Fare sempre qualcosa di utile e potenzialmente distruttivo per la salute fisica, così da lasciar perdere quella mentale. Il problema rimane solo la notte, e Harry si gira nuovamente verso Louis, che ha grugnito e si gira per cercare una posizione più comoda nello spazio angusto del sedile: quante volte è venuto a svegliarlo di notte quando lo sentiva agitato? Quanti thè bollenti gli ha preparato ad orari improponibili? Quante passeggiate all'alba per distrarlo dal dolore? Eppure non c'è nulla che si possa fare. Sono solo due mesi, una settimana e dieci ore che lei se n'è andata, ed è sempre lì, accanto a lui. Non esiste fan con un viso diverso dal suo, non esiste canzone che non parli di lei, non esiste luogo che non ricordi un aneddoto, non esiste pensiero che escluda i suoi occhi e la sua pelle e il suo sorriso. Ed Harry sta male, sta così male che le lacrime non riescono ad esprimere come si sente. Lei gli era entrata nello stomaco, ed ora è questo che lo fa contorcere. Perchè manca una parte essenziale, come se l'ossigeno non sia più così puro, l'acqua così dissetante, la felicità così palpabile.

 Ha pensato fosse Londra il problema, con le strade che ha lasciato bianche e che troverà bollenti e bagnate di pioggia; e allora via in capo al mondo per non guardare, per non ascoltare, per non ricordare. Invece lei è sempre lì nel suo stomaco che si contorce e gli sorride, e nei suoi pensieri gli ruba timidamente un bacio e gli porge il suo panino quasi intatto perchè lo finisca.

Louis apre gli occhi un attimo e se li stropiccia come un bambino, sorridendogli – ehi, Haz – mormora, lasciando cadere le braccia lungo il corpo.

 -Ehi, Boo -

 - Non riesci a dormire? - sanno entrambi che è così e sanno anche entrambi il perchè, ma come sempre il più grande cambia discorso, con una delicatezza che nessuno (lui compreso) avrebbe mai immaginato di possedere – chissà com'è Londra -

Harry nemmeno si sforza di fingere un sorriso, con Louis non ce n'è bisogno – come l'abbiamo lasciata, immagino -

 - Probabilmente hai ragione... Cosa facciamo quando arriviamo? - la domanda è posta con leggerezza, come a volergli far capire che “si, so che stai malissimo ma no, non ho la minima intenzione di lasciarti da solo nemmeno per sbaglio”. Harry si stringe nelle spalle.

 - Non saprei, magari dormire – tenta, poi però ci ripensa – magari andiamo a mangiare qualcosa -

Louis sorride e lo fa per entrambi, chiudendo stancamente gli occhi – magari – gli fa il verso, citando involontariamente il siparietto che faceva spesso Harry con lei.

Lei. Lei. Lei. Nello stomaco. Solo lei.

 - Credo che andrò un attimo in bagno – aggiunge poco dopo Harry. Mossa poco saggia che maledice qualche istante dopo, chiuso nel cubicolo maleodorante della prima classe mentre si getta un po' d'acqua gelata sul volto. Mai rimanere solo, mai concedersi di pensarci, di permettere allo stomaco di ruggire. Il giovane non si guarda nemmeno un istante allo specchio, preferendo asciugarsi il viso con un quadrato di carta poggiato contro la porta del bagno. Non lo fa per timore di guardarsi davvero, di fermarsi ad analizzare gli occhi stanchi e la pelle tirata e le labbra perennemente screpolate e rendersi conto cosa è la vita senza di lei e come lui sia incapace a viverla o anche solo a fingerla. Quando torna a posto trova Louis che legge una rivista con gli occhi semi chiusi; senza dire una parola gli si siede accanto e guarda fuori dall'oblò, maledicendosi ancora una volta per aver pensato per un secondo ai viaggi che lei avrebbe voluto fare, ai posti che avrebbe voluto visitare. Si da dell'idiota e ha anche il desiderio di dirselo ad alta voce. Louis, che non sanno nemmeno loro per quale motivo ancestrale è riuscito a capire la sua frustrazione, gli passa una mano sul braccio senza staccare gli occhi dall'articolo che sta leggendo. “Sono qui”, gli dice quel tocco, “sono qui come tu hai promesso di stare vicino a lei e come lei ora non è più qui per te”.

Louis e Harry non si guardano, ma sulle labbra di entrambi si dipinge un mezzo sorriso.

 

 

 

Londra non è mai stata così soleggiata. Harry quasi si sente preso in giro quando, dopo aver firmato autografi per più di un'ora, è riuscito a varcare le porte dell'aereoporto. Il giovane sbuffa e si getta su una spalla la borsa da viaggio griffata, seguito da Louis a meno di un passo. Non riesce a credere di essere nella stessa Londra candida e malinconica che ha lasciato solo qualche mese prima. No, due mesi esatti. E il dolore è lo stesso. No, il dolore è una volta, due, tre, cento, mille volte amplificato. Cos'era la vita, prima? Com'è adesso? Harry non lo sa, e sale a bordo di un fuoristrada dai finestrini oscurati senza sollevare gli occhi da terra, alzando distrattamente un braccio per salutare i fans che lo hanno seguito. Il suo migliore amico ovviamente è lì e incrocia i suoi occhi per un attimo, e lui ci vede quelli di lei. Come sempre.

Cos'era un sorriso, prima?

Harry scuote la testa e si tiene stretti gli occhiali da sole che non coprono le occhiaie, ma che non fanno vedere lo sguardo stanco.

Cos'era un bacio, prima?

Le strade di Londra si snodano caotiche come sempre, stranamente colorate e troppo rumorose. La scelta migliore è intavolare una conversazione con Louis, la regola è sempre la stessa: non concederti di pensare. Eppure sulle strade ci sono le sue impronte, i rumori delle auto sono la sua risata e il sole nelle pozzanghere la sua pelle. Quanto si può sentire la mancanza di una persona?

Cos'era la vita, prima di Rose?

L'appartamento è sempre disordinato all'inverosimile, ma l'odore fa rilassare istantaneamente Harry: è Louis che gioca alla playstation bevendo il caffè senza zucchero, è il forno che rischia di scoppiare due volte a settimana e i vicini che minacciano la denuncia tutte le mattine; ma è anche le canzoni canticchiate mentre si prepara la cena, gli scherzi telefonici e l'essere chiuso fuori di casa a orari improponibili perchè il tuo migliore amico ha bisogno di intimità con la fidanzata. E' casa, e a Harry è mancata da morire.

 - E' arrivato questo per te – Louis lo segue a qualche passo di distanza, tra le braccia un pacchetto chiuso da carta marrone da imballaggio e alcune lettere posate precariamente sopra. Il più grande gli lancia il pacco, poi va a sedersi sul divano e sospira un contento – casa dolce casa! -

Harry rimane in silenzio davanti al bancone della cucina. Il pacco proviene dallo Yorkshire e lui non ha assolutamente voglia di aprirlo; mentre pensa questo invece gratta via il nastro adesivo e sfila la carta. Il giovane rimane ammutolito per un istante, poi deglutisce e guarda meglio: il quadernetto a fiori di Rose, con il lucchetto dorato e la matita mangiucchiata incastrata tra le pagine, è lì nelle sue mani, e non riesce proprio a crederci. In silenzio si ritira nella sua camera da letto e controlla la data di spedizione; non è molto distante, ma comunque sembra che Hellen ci abbia pensato un po' prima di spedirglielo.

“Ho letto questo diario così tante volte che ormai lo conosco a memoria.

Tu non ci credi, lei non se ne è accorta e io non ho dato importanza alla cosa, ma tu l'hai salvata, Harry.

Voglio che questo diario ce l'abbia tu, che continui ad essere il ragazzo meraviglioso di cui mia figlia si è innamorato e che non ti dimentichi mai di lei.

Grazie per tutto”

Il diario è gonfio come se abbia assorbito tutto il dolore di Rose e di sua madre, Harry lo apre con circospezione sfiorandolo appena con le dita, timoroso forse di romperlo. Si accorge troppo tardi, però, di un foglio piegato in quattro che scivola sul pavimento; il ragazzo lo raccoglie e lo apre. La scrittura è minuta e un po' disordinata, in alcuni punti il foglio è macchiato d'inchiostro come se sia stato bagnato da acqua o lacrime. Harry rimane sul letto con il foglio tra le mani, gli occhi lucidi.

E poi la sente. Non è l'aria proveniente dall'esterno, non è una corrente dalla stanza di Louis di fronte alla sua, non è una folata di vento.

E' lei, sempre lei. E i suoi occhi e la sua pelle e le sue labbra. E sono lì con lui, che lo guardano, lo toccano, gli sorridono.

Perchè lei glielo aveva promesso: sarebbe stata con lui, per lui. In quella vita e in ogni altra.

 


 If I was a sculptor, but then again, no
Or a man who makes potions in a travelling show
I know it's not much but it's the best I can do
My gift is my song and this one's for you.

 

***    ***    ***


Siamo giunti alla fine di questa storia. Devo dire un sacco di cose e ho paura di dimenticarne qualcuna, quindi penso che ora punto qualcosa. Pronti? Via!

  • Gli One Direction non sono di mia proprietà e la storia che avete appena letto è stata scritta per puro diletto e voglia di deprimermi, oh yes.  Rose, Hellen, Victoria e il Dottor Charlie invece sono di mia proprietà: vi piacciono così tanto che volete citarli/nominarli/usarli come guest star? Chiedetemi il permesso, please.

  • L'intera storia è ambientata a Londra, città che io (ancora) non conosco, di conseguenza scusatemi se qualche informazione è sbagliata o poco dettagliata, ho fatto del mio meglio. Lo stesso vale per l'ospedale in cui Rose e Harry si incontrano: non so se esiste davvero un centro chiamato così. Consideratela una licenza, e poi non era essenziale il nome ai fini della trama.

  • Mi è stato detto (a ragione, ovviamente) che è strano che Harry da subito vorrebbe baciarla e/o uscirci insieme. Be', io non ho inventato nulla: da una non so precisamente quale intervista Harry avrebbe detto che se una ragazza gli piace la bacia, la segue su Twitter e le da il numero già al primo incontro. E' vero? Non ne ho la minima idea e nemmeno questo è essenziale ai fini della trama: mi serviva un Harry così e l'ho utilizzato, amen.

  • L'agendina che usa sempre Rose è un chiaro riferimento a quella di Beatrice nel libro “Bianca come il latte, rossa come il sangue”. Ne approfitto per dire che (al contrario di quello che avete ritenuto tutte) non mi sono ispirata né a questo libro né a quello di Nicholas Sparks “I passi dell'amore”, che a dir la verità non ho mai nemmeno letto: odio i film/libro drammatici. Si, lo so che ho scritto una storia drammatica. Si, so anche di non essere prettamente ciò che può essere definito un essere umano normale :')

  • L'intera storia si basa sulla canzone di Elthon Jhon Your Song, di cui è posto un frammento alla fine di ogni capitolo; non è l'unica canzone citata, però: al capitolo tre Harry invia una frase della canzone “Blowing in the wind”, di Bob Marley, anche se decontestualizzata.

  • Il film citato da Rose nel capitolo quattro è “Neverland, un sogno per la vita” e la canzone è “Isn't she lovely”, in evidente omaggio alla (semi) cover di Harry per xFactor.

  • Le informazioni sulla leucemia sono state prese da diversi siti internet (non c'è bisogno che ve li linki, no?) e ha una comodissima enciclopedia medica che avevo persino dimenticato di avere; mi scuso se alcune informazioni sono imprecise o incomplete ma anche in questo caso ho fatto del mio meglio.

  • La canzone usata da Harry al sesto capitolo è “Hero”, di Enrique Englesias. Ascoltatela, è stupenda; la canzone usata (sempre da Harry, si) nel capitolo otto è “Wish you were here” dei Pink Floyd; la canzone citata nel capitolo nove (ma quante canzoni conosce questo? :'D) è “More than words” degli Extreme.

  • Il rapporto tra Harry e gli altri componenti degli One Direction è stato trattato in questa storia con “le pinze”, nel senso che non sono totalmente convinta che questi cinque estranei si trovino tutti d'amore e d'accordo venticinque ore al giorno, Harry e Niall ad esempio. Comunque shippo i Larry (non si era notato mh?) e ce ne sono in abbondanza, ma non credo semplicemente che tutti siano amiconi con tutti. Pensiero mio, amen.

  • Grazie a tutte coloro che hanno letto/recensito/preferito questa storia. Non ero molto sicura all'inizio e le vostre magnifiche parole non hanno fatto che darmi la forza di andare avanti. Comunque sento di dover ringraziare in modo particolare Donatella e Elena (cui è dedicata Hellen), senza cui la storia non sarebbe mai nata e che mi hanno spinta a scriverla e ad andare avanti; Chiara, che è ancora in sciopero e in realtà non so nemmeno perchè la sto citando, ma è la mia migliore amica, la cito dappertutto e magari se non lo faccio qui si offende. Grazie anche a Jas (di nuovo!) per gli splendidi banner, scusa se ti ho fatta impazzire alla ricerca della ragazza bionda di spalle!Un grazie particolare va anche a Mags, che mi ha aiutata tantissimo, che mi ha fatto capire di non essere l'unica pazza del giro e che si ostina a voler rimanere in piedi fino alle tre del mattino per guardare Glee :'D

  • La storia, non appena avrò un po' di tempo, verrà corretta e spariranno anche alcuni punti di questo unico spazio autrice (tipo questo, per esempio). 

     

Sono contenta che la storia vi sia piaciuta e che vi siate affezionate tanto a Rose, a Hellen e agli altri personaggi. Sia io che loro vi ringraziamo per averci accompagnato in questo viaggio tanto breve quanto particolare, e speriamo che vi abbia emozionato almeno un po'.

Grazie.

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