Physical Logical Temptation

di RossaPrimavera
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione e Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo ***



Capitolo 1
*** Introduzione e Capitolo Primo ***



"Su molte cose non erano d'accordo, anzi di rado erano d'accordo su qualche cosa.
Era un litigio continuo, una sfida continua ogni giorno.
Ma nonostante il loro essere così diversi, una cosa importante avevano in comune:
erano pazzi l'uno dell'altra."
 [The Notebook]
 

Physical Logical Temptation
di Elle H. 
 
INTRODUZIONE
"Di una Vita Immensamente Facile"
 

“Take me down to the Paradise City
Where the grass is green and the girls are pretty
Oh, won’t you please take me home”

 
 
Il chiarore di un’alba autunnale sul viso, il tepore setoso delle coperte lungo il corpo,  il gelo del mondo esterno comunicatogli ai polpastrelli, intenti a sfiorare le vetrate delle grandi finestre. Gli occhi ancora pesanti di sonno, il sapore del caffè che gli aleggiava sulle labbra.
Metà della divisa come sempre abbandonata nell’armadio, la borsa coi pochi libri gettata con noncuranza sul sedile posteriore della macchina.
Rabbrividì per il freddo, sorridendo rilassato mentre l'auto prendeva vita sotto le sue mani, il rombo del motore come sua personale colonna sonora.
Per Clay vivere era immensamente facile.
Come poteva non amare quella quotidianità? Per lui tutto era così semplice, ogni sua idea gli appariva come immediatamente realizzabile, tanto che a volte rischiava persino di annoiarsi.
A volte… saltuariamente. Ultimamente fin troppo spesso.
Diede un ultimo sguardo al cielo, di una tinta tra il roseo e l’aranciato che non poteva fare a meno di affascinarlo.
Con nonchalance prese una strada che sarebbe stato capace di percorrere anche ad occhi chiusi. Non che fosse difficile, dopotutto erano cresciuti insieme: più che migliori amici potevano considerarsi fratelli.
“N’giorno Neils” lo salutò appena lo vide, mangiandosi le parole in uno sbadiglio e ricevendo come unica risposta una portiera sbattuta sgarbatamente.
“L’hai chiusa?” commentò ironicamente, recependo solo uno sbuffo esasperato.
“Fammi un favore: ricordami perché odio questa giornata”.
Clay aggrottò la fronte, fingendosi pensieroso.
Le note di una vecchia canzone riempivano l’abitacolo: “Take me down to the Paradise City”.
Ogni mattina si rendeva conto di quanto amasse quella città in ogni sua singola via, piazza ed edificio. Amava persino le persone frettolose capaci di rendere il traffico mattutino invivibile; gente comunque fin troppo sbrigativa per accorgersi di un cielo del genere.
“Non ho mai capito perché odi le elezioni studentesche. Io e gli altri le adoriamo” affermò in tutta tranquillità, mentre Neils gli rivolgeva uno sguardo carico di rancore.
“Si bravo, hai detto bene! A quelli là interessano solo fino a quando possono fare casino, per poi non aver la più pallida idea di quali siano i loro doveri, a parte i cazzi loro. Non capisco nemmeno perché continuiamo a coinvolgerli” ribatté infastidito.
Clay scoppiò a ridere.
“Ma come siamo polemici stamattina!” disse prendendolo in giro, mentre parcheggiava nel consueto posto davanti a scuola. 
Sempre lo stesso, perennemente libero da quando aveva preso la patente, solo due anni prima.
“Amico mio, questo è il nostro ultimo anno… Per quelli là non so, per noi due di sicuro” spiegò con un accenno di sorriso, mostrando la sua perenne, giocosa serietà; erano davvero in pochi quelli che riuscivano a capire quando fosse serio o meno, e Neils era certamente uno di quelli.
“E’ appunto per questo che dobbiamo godercelo fino in fondo, non credi?”
Quando scese gli fece un cenno col capo in una direzione che non aveva ancora considerato con gli occhi, ma dalla quale sapeva perfettamente cosa aspettarsi.
Un capannello di ragazze, a occhio e croce di qualche anno più piccole di loro, si erano prontamente avvicinate. 
Probabilmente avevano passato ore intere a discutere se azzardarsi a rivolger loro la parola.
La più audace tra loro fece un breve passo avanti per prendere la parola.
“Ciao, ci siamo visti all’End of Line sabato scorso… Volevamo essere sicure che quest'anno vi candiderete ancora. Lo farete, vero?” chiese in un impacciato tentativo di attaccare bottone, quasi commovente nella sua incertezza. Quasi.
Clay sorrise affabile, con un fare che le mandò in evidente visibilio.
“Certamente, tesoro” le assicurò, sostituendo quel vezzeggiativo ad un nome che al momento gli sfuggiva, ma ottenendo ugualmente l'effetto desiderato.
“Fantastico! Voteremo tutte per voi, ovviamente!” ribatté la ragazza entusiasta, senza più parole; sicuramente non aveva neppure osato in sperare così tanta cordialità.
Mentre si allontanava con le sue amiche, rese pressoché uguali dalle divise e dall’eccitato cicaleccio, il giovane rivolse un sorriso all’amico.
“E poi che male c’è ad approfittarne? Lo facciamo da sempre, non vedo perché quest’anno debba essere diverso”
E Neils finalmente si concesse a sua volta un sorriso, afferrando la borsa e chiudendo la portiera con molta più gentilezza.
“Certo che sei proprio stronzo, eh?” commentò, mollandogli una leggera gomitata.
Avviandosi però Clay non poté però fare a meno di pensare che, tutto considerato, l’amico aveva le sue ragioni.
Tutto era divenuto col tempo così uguale, così lineare, così abitudinario.
Ed era una gran bella abitudine, niente in contrario, ma come tutte le consuetudini prima o poi finivano per stancarlo.
Aveva iniziato a desiderare ormai da tempo qualcosa di nuovo, qualcosa capace di dare una scossa alla sua dorata esistenza.
Ancora non lo sapeva, ma l’avrebbe avuta, molto presto anche.
Perché la vita per Barclay Durless era immensamente facile.
 
 


 
CAPITOLO PRIMO 
"In Cui si Fanno Nuovi Incontri"
 
“I want you please take me home!”
[Paradise City, Guns N’ Roses] 
 
Era in ritardo. Di nuovo, un’altra volta, per l’ennesima volta.
Non un gran ritardo, solo di una leggera mezzora… minuto più e minuto meno.
Quello era un difetto che portava con sè sin da quando era piccola, doveva averlo ereditato insieme al latte materno, evidentemente.
Avrebbe tanto desiderato essere puntuale almeno una volta nella vita, per le occasioni importanti se non altro.
Perché quel giorno era il suo primo giorno di scuola, e piombare in una classe nuova, a metà ottobre e per giunta in ritardo, non corrispondeva sicuramente ai canonici termini di “cominciare bene”.
La fronte appoggiata al finestrino del pullman, osservò con inevitabile malinconia ogni via, ogni piazza, ogni singolo edificio che le si parò davanti.
Altro che “Take me down to the Paradise City”.
Non le era mai piaciuta quella città, mai. Nemmeno quand'era bambina. Puzzava di ferro ed era perennemente grigia, ma questa non era una novità: per Edie ogni città puzzava di ferro, anche se ci teneva a specificare che non tutte le sembravano grigie.
Quando si ritrovò in strada ne approfittò per specchiarsi in una vetrina, rimirandosi dubbiosa.
Che razza di idea era l’obbligo di una divisa? Era ormai convinta fosse un relitto dell’anteguerra, roba del secolo passato.
Più che un tentativo di unificare lo spirito studentesco ed eliminare le discriminazioni, altro non era che un patetico mezzo di massificazione.
L’omicidio di ogni traccia di individualità. E oltretutto, ad essere pignoli, quegli abiti erano davvero orrendi.
Fu anche per questo che, quando svoltò l’angolo e intravide il bianco edificio poco distante, realizzò che il suo umore non aveva la benché minima speranza di migliorare nel corso di quella giornata. Sopratutto perché quel primo giorno di scuola sanciva definitivamente l’inizio di una sorta di nuova vita, mentre una parte di lei era ancora tenacemente attaccata alla precedente.
“Hundred Roses Institute”. Istituto delle Cento Rose.
Un moderno nome di ispirazione inglese, un nome chiaramente megalomane.
Quel posto vantava la prestigiosa fama di essere una delle migliori scuole private del paese e, a giudicare dalla retta schifosamente alta, doveva esserlo per forza.
Le sembrò, in successione: immensamente grande, incredibilmente bianco e straordinariamente privo di crepe, graffiti o qualsiasi macchia del tempo.
Le sue larghe colonne classiche all’entrata richiamavano un passato che in realtà non aveva mai vissuto.
Provò istintivamente un senso di nausea. Il suo passo verso l’entrata fu lo stesso di un condannato a morte che si appresta a raggiungere il patibolo.
Lo sguardo perso nella borsa alla ricerca dell’orario, fu costretta ad alzare la testa solo quando finì per sbattere duramente contro un corpo altrui.
Barcollò quasi, mentre il contenuto della borsa si spargeva a terra.
“Ehi, ma guarda dove cazzo metti i piedi!” sbottò una voce chiaramente irritata.
“Mi dispiace” mormorò lei in una risposta incolore, senza badare minimamente al suo interlocutore, chinandosi per raccogliere le proprie cose.
“Scusa, puoi ripetere? Magari usando un tono adeguato?” chiese ancora la voce, il tono vivamente risentito.
Edie alzò la testa, ritrovandosi a spalancare lievemente gli occhi dallo stupore.
Non poté fare a meno di rimanere profondamente colpita dal fine, elaborato tribale che decorava la guancia destra del ragazzo, circondandogli l’occhio come una curiosa decorazione. Non aveva mai visto nulla del genere.
Il ragazzo era bello quanto appariscente, eppure in lui c’era come qualcosa che non convinceva.
Non indossava la divisa, ma ad una seconda occhiata si accorse che, oltre la giacca di pelle e i jeans sbrindellati, erano presenti in totale contrasto una camicia bianca e una cravatta blu.
In quell’attimo di silenzio lui la squadrò da capo a piedi, sorridendo come se la stesse valutando.
“Ah però, buongiorno” disse con fare totalmente diverso.
Edie gli rivolse uno sguardo stralunato, rialzandosi.
“Però Axel... ti è venuta addosso proprio una bella figa” commentò una voce alle sue spalle.
La ragazza si chiese come avesse fatto a non vederli: appoggiati al muro dell'entrata e seminascosti dalle grandi colonne vi erano altri tre ragazzi, che esibivano la costante, come il loro amico, di non indossare la divisa.
Uno di loro le si avvicinò a tal punto da farla indietreggiare: non avrebbe saputo dire cosa la intimoriva di più, se l'elevata statura o la muscolatura taurina. 
I lunghi dreads neri, raccolti in un’alta coda, gli donavano una sgradevole nota selvaggia che gli occhi, di un azzurro troppo intenso per essere vero, non riuscivano a mitigare.
“Allora tesoro? Dovresti come minimo scusarti, non credi?”
Edie valutò in un istante se rispondere o meno con la sua consueta acidità, a in un eccesso di ottimismo, stringendosi la borsa al petto quasi fosse uno scudo, mostrò invece un sorriso condiscendente.
“Sì scusatemi, non ho guardato dove stessi andando…” esordì falsamente educata, lasciando cadere la conversazione e facendo per voltarsi.
Il suo interlucutore pareva però di tutt’altro avviso.
“Sai, si vede che hai la lingua lunga… peccato incontrarci qui, preferirei usarla in un altro modo” commentò scoppiando a ridere, presto imitato da tutti gli altri.
Ci fu qualcosa in quella frase lasciva che ebbe il potere di sbriciolare istantaneamente la gentile, bendisposta facciata di convenienza di Edie. Un qualcosa che le fece quasi digrignare i denti dalla rabbia, obbligandola a sforzarsi di mantenere l'autocontrollo.
“Scusa, ma che cazzo vuoi?”
Le risate cessarono all’istante. Bastò uno sguardo per capire che quei ragazzi non erano avvezzi ad aspettarsi reazioni di quel genere.
“Che cosa hai detto?” ribatté il ragazzo col tatuaggio, Axel.
Avanzò a fianco dell’amico come se volesse spalleggiarlo in un qualche scontro, ma lei aveva da un pezzo imparato a preferire le parole ai fatti.
Anche perché altrimenti non sarebbe neppure potuta esser lì a parlare: se mai qualche suo resto fosse riuscito a scampare ad un'eventuale rissa, avrebbero probabilmente dovuto raccoglierlo con un cucchiaino.
“Credo tu abbia sentito benissimo quello che ho detto. E ora per favore spostati, si da il caso che tu stia ingombrando il mio passaggio" 
Dura, fredda, sbrigativa.
Entrambi tacquero increduli, come se facessero fatica anche solo ad elaborare ciò che avevano sentito.
Un attimo dopo il viso del ragazzo più grande iniziò a tingersi di uno sgradevole colore purpureo.
“Ma chi cazzo ti credi di essere,  sfigata?!” sbraitò concitato, i pugni che si stringevano ad evidenziare le nocche.
Edie fece spallucce, mostrando un sorriso che, lo sapeva benissimo, sapeva riscuotere un risultato di profonda irritazione.
“Nessuno in particolare, evidentemente. Ma ti ringazio ugualmente per l'attenzione” sussurrò con una strizzata d'occhio. 
E finalmente, sfruttando lo squisito stupore che era riuscita a creare,  si diresse di gran carriera oltre la soglia.
Affrettò il passo, quasi arrivando a corrire, ma finalmente sorridendo soddisfatta. Un po' per aver straordinariamente mantenuto l'autocontrollo, un po' per il coraggio e la fortuna avuti nel raggirare il pericolo.
Fuori invece il ragazzo aveva fatto  il gesto di seguirla, ma un amico l'aveva prontamente fermato da dietro.
“Lasciami andare, devo sapere chi cazzo è quella stronza, voglio saperlo subito!” sibilò inferocito.
Axel pose una spalla sulla mano dell’amico.
“Stai calmo Brad e lascia fare a noi, che se quella la becchi la sfondi”
Si voltò in cerca di un qualche sostegno fraterno, ottenendo solo un unico, valido suggerimento.
“Perché non lo fai fare a Clay?”
 

 
“Words like violence, break the silence
Come crashing in… Into my little world”

 
 
“Allora, che te ne sembra?” chiese Violet, trattenendo a stento l’entusiasmo.
Vi non era cambiata di una virgola: sempre la stessa malcelata allegria, sempre in perenne contrasto con l'estrema timidezza che tanto la contraddistingueva.
Era solo un po’ più alta, il viso un po’ più maturo, i capelli scuri semplicemente più lisci e lunghi.
Edie le rivolse uno sguardo dubbioso.
“E’ tutto così… strano” esordì, raccogliendo in una parola tutto il suo smarrimento.
Nulla di ciò che aveva visto corrispondeva alla sua immaginazione.
L’Hundred era più grande di quel che si poteva immaginare, con i diversi indirizzi astutamente separati in diverse alee, in modo da creare un’invisibile linea di divisione tra corsi prevalentemente maschili e femminili, in un modello di perfetta organizzazione
Era però bastato veramente poco perché si accorgesse che fosse in realtà solamente una facciata: metà del corpo studentesco vestiva divise “ritoccate”, accorciate o ingegnosamente personalizzate. Ragazzi e ragazzi non facevano altro che mischiarsi tra di loro in ogni attimo di pausa possibile, attimi che parevano non mancare mai. E l’insegnamento aveva dimostrato di non aver nulla da invidiare ad una qualsiasi altra scuola pubblica, decorandosi persino di professori pigri e accondiscendenti.
In generale, le sue impressioni sul grigiore del posto si erano ridotte, nonostante continuasse a provare una sottile inquietudine.
“Sì lo so, con una classe di sole femmine sembra difficile superare l’anno senza litigare, ma davvero sotto sotto siamo unite!” continuò l’amica con un sorriso incoraggiante.
“Sotto sotto siamo unite”. Edie dubitava seriamente della veridicità di quelle parole.
18 ragazze, da quel giorno 19.
Violet non aveva forse notato la marea di bisbigli che le nuove compagne le avevano proposto, già un attimo dopo che aveva fatto la conoscenza di ognuna di loro? Per un attimo si era sentita talmente a disagio da farle considerare seriamente di barattare il suo indirizzo linguistico con un geometra.
“Sì, non sembrano male…” mentì, piuttosto sconfortata.
Si guardò attorno: si trovavano sulle gradinate della grande palestra, che lentamente continuava a riempirsi di tutte le classi quinte dell'istituto per le annuali elezioni studentesche. Era capitata nel giorno giusto, dopotutto le piacevano quelle tipiche riunioni di inizio anno, perfetta parodia di una realtà americana che non poteva altrimenti conoscere.
“Come sono i candidati di quest'anno?”chiese, cercando di smuovere la conversazione.
Lei e Vi erano amiche da sempre, potevano considerarsi persino sorelle. Costrette a separarsi per quattro lunghi anni, l’intento di entrambe era di far ritornare il loro rapporto esattamente allo stato originale. Cosa che dopotutto, non sembrava troppo difficile.
“Sono sempre gli stessi da un paio d’anni, a nessuno salterebbe mai in mente di proporsi al posto loro”
“Perché, che hanno di speciale?” domandò Edie, suo malgrado incuriosita dal tono abbattuto dell'amica.
“Appena li vedrai capirai. Sono tutto loro!” mormorò abbassando la voce, lo sgaurdo fisso sulle dita intente a giocherellare con una delle pieghe della gonna blu.
Edie avrebbe voluto indagare ancora, ma le sue parole vennero precedute da un improvviso silenzio.
Seguito in breve da un'ovazione generale.
“Ecco, cosa ti avevo detto?” domandò retoricamente Violet, indicando il centro della palestra con un cenno della testa.
Edie non poté fare a meno di sgranare gli occhi stupita nel riconoscere i quattro ragazzi con cui si era scontrata quella mattina tra i sei che stavano ora facendo il loro ingresso in palestra.
La sua impressione sulla loro peculiarità venne in breve confermata: per quanto i ragazzi fossero fisicamente diversi gli uni dagli altri, era come se tutti fossero straordinariamente coordinati tra loro, ostentando un'qualcosa di simile che al momento non riusciva a definire.
Per un attimo fu tentata di rivelare a Violet la discussione di quella mattina, ma poi uno dei ragazzi prese il microfono, ed Edie si ritrovò ad aver perso ogni parola.
Quasi non avvertì lo scrosciare di applausi che lo accolse, e udì a malapena il nome sussurrato dall’amica.
Per un attimo il suo umore parve quietarsi, come le nuvole che si diradano al passaggio del vento.
Perché Barclay Durless aveva la fortuna di possedere un’incredibile, totale bellezza.
Il pensiero di Edie era certamente identico a quello di buona metà delle ragazze presenti nella sala, eppure con tutta probabilità ne era consapevole più di ogni altra: lei, studentessa novellina, per la prima volta al cospetto di  tanta idolatriata avvenenza.
Un’occhiata le bastò per recepire i tratti salienti del giovane: i capelli scuri parevano spettinati ad arte, il bel viso, dalla carnagione tendente all'olivastro, era coperto da una barba sottile e ben curata e i suoi tratti si piazzavano in lizza con la corporatura nell'aggiudicarsi il primo posto.
Si voltò verso Vi, notando come anche il suo sguardo dardeggiasse verso il centro della palestra; ma non su Barclay, bensì verso il ragazzo al suo fianco.
“Quello chi è?” le chiese, facendo uno sforzo per regalargli uno sguardo; in confronto al compagno le parve insignificante.
“Neils Dunham” bisbigliò Violet stralunata.
“E da quanto ti piace?”
L'amica si voltò di scatto verso di lei, come se il solo formulare ad alta voce quell’ipotesi fosse un reato.
“Beh, da un po’” concluse infine con un bisbiglio, quietandosi.
Quando Edie riportò il suo sguardo verso il basso, la parola era passata a un altro ragazzo.
Axel, il ragazzo con il tatuaggio sul volto che tanto l’aveva impressionata quella mattina, era ora accanto a Barclay, con gli occhi puntati sulle gradinate come in cerca di qualcosa.
Un attimo dopo si soffermarono in una direzione, con il punto levato ad indicare un punto preciso.
Non cercava qualcosa, ma bensì qualcuno. E quel qualcuno era lei.
Un istante dopo suoi occhi incontrarono quelli di Barclay Durless, e anche a quella distanza riuscì ad individuarne il colore: erano verdi. 
E per un attimo si sentì ferita dalla loro intensità.

 
 
 
"Painful to me, pierce right through me
Can't you understand, oh my little girl..."
 
 
“Ehi, scusami?”
Era il momento di distribuzione delle schede elettorali, e buona parte dei presenti attendeva ansiosamente il passaggio dei candidati. C'era chi sperava in un saluto come segno di riconoscimento, chi in una qualsiasi occasione, nascosta in un sorriso o in uno sguardo in più rispetto agli altri.
Violet si voltò e si trovò faccia a faccia con Clay Durless in persona.
Istintivamente trattenne il respiro, mentre tutte le ragazze attorno a lei puntavano loro addosso lo sguardo con l’attenzione astiosa di un’ arpia.
Non era lui il ragazzo che Violet passava ore ad ammirare, ma indubbiamente non potè fare a meno di rimanere irrimediabilmente colpita: per una come lei quelle poche parole avevano lo stesso valore di un'inaspettato miracolo.
“Sì?” chiese, tremante quasi.
“La tua amica, la rossa, dove è andata?”
“In bagno, credo... ” rispose sconcertata.
Clay sorrise intensamente.
“Capisco. E’ sua questa giacca, vero? Credo che gliela riporterò io”
Tra le ragazze si profuse una selva di bisbigli, a cui il ragazzo non prestò minimamente attenzione.
“E come si chiama questa tua amica?” domandò nuovamente, prima di voltarsi.
“Edie. Edie Alstreim
Violet seguì la sua figura con gli occhi, quasi incredula di fronte a quell’improvviso sviluppo; le compagne si concedettero di alzare la voce, lamentandosi tra loro con palese invidia, e fantasticando ampiamente su quella ragazza fortunata.
Forse, se avessero conosciuto le reali intenzioni del ragazzo, probabilmente avrebbero cambiato idea.
 

“Vows are spoken to be broken
Feelings are intense, words are trivial.
Pleasures remain, so does the pain
Word are meaningless… and forgettable”


 
 
Edie uscì dal bagno ancora intenta a litigare con la scomoda gonna della divisa,tentando di rinfilarvi dentro la camicia alla bell'e meglio. 
Voltandosi per dirigersi ai lavandini si accorse con un tuffo al cuore di una presenza estranea alla sua. Ma non una qualsiasi…
Per un attimo rimase immobile a guardare stranita Barclay Durless, il candidato a rappresentante d’istituto, appoggiato allo stipite della porta con un sorrisetto dipinto sul bel volto.
“Edie, giusto?” chiese, con il fare di chi conosce già la risposta.
La giovane annuì appena, per poi riprendersi in fretta dalla sorpresa. Per quanto potesse essere stupita, non era mai stato il tipo di persona che si ferma di fronte alle apparenze. Bastava osservare quel sorriso carico di sfida per intuire che le intenzioni del ragazzo fossero tutt'altro che nobili.
“Posso fare qualcosa per te?” chiese Edie sulla difensiva.
Evidentemente fu la domanda sbagliata, perché il ragazzo scoppiò in una breve risata.
“Oh credimi, ci sono tante di quelle cose che potresti fare per me!”
Con il piede spinse improvvisamente la porta, chiudendola violentemente, facendo sobbalzare la ragazza.
“Sono certo che non ci sia bisogno di presentazioni” suggerì poi, avvicinandosi a lei.
Edie fece lo sforzo di non indietreggiare, ancorando saldamente i piedi al pavimento piastrellato.
“Dalla regia mi dicono che sei poco presuntuoso” ribatté con un accenno di sarcasmo.
Barclay rimase per un attimo basito, proprio come i suoi compagni quella mattina, ma poi sorrise, se possibile ancor più soddisfatto.
“E a me dicono che hai un gran bel caratterino”
Per un attimo gli occhi di Edie percorsero invano la stanza, in cerca di una qualsiasi via d’uscita, e quando tornarono sulla figura del ragazzo notò la giacca di una divisa femminile tra le braccia conserte.
“Quella è mia, per caso?”
Il ragazzo la sollevò, mostrandogliela.
“Però, sei una ragazza perspicace”
Istintivamente la giovane fece il gesto di avvicinarsi per prenderla, ma lui la sollevò sopra la propria testa, allontanandola dalla sua portata.
Edie incontrò subito la resistenza dettata dall’elevata differenza d’altezza; inutile: era sempre stata bassa, almeno venti centimetri buoni li differenziavano l’uno dall’altra.
Cercò stupidamente di tendere le mani per afferrarla, protendendosi anche sulle punte dei piedi, dettaglio che sembrò divertire enormemente il ragazzo.
“Sai, credo che potresti ottenerla facilmente se usassi anche solo un pizzico di gentilezza” le suggerì, abbassando leggermente il braccio.
“Allora io come minimo dovrei ricordarti il significato della parola coerenza” ribatté sdegnata.
“Coerenza, dici?” chiese Barclay, fingendo di non capire.
“Io non ti ho fatto nulla, non ti ho mai nemmeno rivolto la parola” spiegò Edie, mostrando assieme al risentimento una certa insicurezza.
Clay parve per un attimo valutare ciò che lei aveva appena detto, osservandola con più attenzione.
“In effetti hai ragione. E’ più una questione di cosa non hai fatto… ” insinuò scandendo le parole, continuando ad ostentare un sorriso pieno d'arroganza.
“In che senso?” chiese turbata, ma proprio in quel momento il ragazzo lasciò cadere a terra la giacca, cogliendola di sorpresa. 
Edie non perse tempo a riflettere su quel gesto improvviso, chinandosi per afferrarla, prima di avvertire due mani cingerle saldamente la vita e spingerla duramente contro al muro.
Fu un attimo: Barclay Durless le prese i polsi, sollevandoli sopra la testa, e infilandole un ginocchio tra le gambe.
Con un malcelato accenno di panico la ragazza capì subito che quel ragazzo sapeva esattamente dove farle male e in quale misura dosare la propria forza. Ugualmente tentò di divincolarsi, prima che lui si appoggiasse completamente a lei, schiacciandola col peso del proprio corpo.
I loro visi erano così vicini che Edie poteva sentire il suo respiro sulla pelle, e guardando quegli occhi calcolatori, per un attimo si sentì boccheggiare.
“Bene Edie, ora vediamo di fare i seri. Credo proprio di doverti fare un bel discorsetto riguardo al casino di questa mattina”
“Questa mattina?” domandò, la  voce che lasciò trapelare un'incredibile nota di timore.
“Esattamente. E’ evidente tu sia appena arrivata, altrimenti non mi spiegherei tanta stupidità”
“Stupidità?" chiese nuovamente, sentendosi un'idiota nel ripetere ogni sua parola come un pappagallo.
Poi parve capire l'allusione, e sentì un fiotto di rabbia pervaderla 
"Per cosa, perché ho risposto a quattro stronzi che mi prendevano per il culo e si rifiutavano di farmi passare?” 
Tuttavia tacque, il cuore che accellerò i suoi battiti, quando sentì la fronte di Clay premere contro la propria.
“In certi luoghi ci sono cose che si possono fare, e cose che non si possono fare: è una legge elementare. E qui questa legge è stabilita da noi. E' un concetto piuttosto facile da comprendere, non trovi?”
“No, non lo è. Per niente” rispose la ragazza lapidaria.
“Sei un po’ troppo insolente per i miei gusti Edie, e questo non va affatto bene. E’ richiesto un certo rispetto nei nostri confronti: il fatto che tu sia nuova di queste parti non giustifica la tua maleducazione”
Le parlava come un maestro avrebbe potuto rivolgersi ad un alunno particolarmente indisciplinato, determinato a imporgli un'adeguata educazione.
Ogni attimo costretta tra il muro e quel corpo non faceva altro che aumentare la spiacevole sensazione di trovarsi in trappola. Divisa tra rabbia e un certo timore, faceva fatica persino a scegliere le parole con cui ribattere, ma ugualmente si rifiutò di dargliela vinta.
“E sentiamo, quali sono le cose che non potrei fare?” domandò, in un’aperta provocazione.
“Oh, sono davvero un' infinità per elencarle, ma non ti preoccupare le impararerai col tempo. Volente o nolente” ribatté amabile.
“Quindi devo immaginare siano previste delle sanzioni, nel caso qualcuno non rispetti le vostre... direttive” sottolineò Edie, calcando l'ultima parola con un certo disprezzo.
“Certamente. Questa, per esempio, lo è... O lo era, dipende tutto da te. In effetti ora che abbiamo messo i punti in chiaro potremmo concluderla in altro modo, che ne dici?" suggerì Clay, inclinando lievemente il capo.
La presa attorno ai suoi polsi si strinse e il fiato del ragazzo acquistò una certa presenza sulle sue labbra. Il cuore rischiò di schizzarle via dal petto, e istintivamente chinò la testa, nel tentativo di evitare quella bocca improvvisamente troppo vicina.
“Edie, Edie, Edie.. non dovresti scaldarti tanto. Stai evitando il sogno che anima la mente di buona metà delle tue nuove compagne” disse Clay in una sorta di mezzo rimprovero, abbandonando la presa su di un polso per afferrarle il mento con la mano.
Trovandosi un braccio improvvisamente libero, Edie tentò di colpirlo, ma il suo gesto non parve sortire alcun effetto se non una risata di scherno.
“Il sogno di qualsiasi altra ragazza ignorante forse, che non si accorge di star dietro a gente come voi!" ribatté allora con astio.
Clay si fermò, valutando tutta la rabbia e la sfida contenute in quei grandi occhi scuri. 
"Sentiamo, e come sarebbe la gente come noi?"
Edie non avvertì la nota minacciosa di quel sibilo, avendo ormai sostituito lo sdegno alla paura.
"Gente che non vale un cazzo, abituata ad essere forte coi deboli, e debole coi forti”
Probabilmente fu quell’ultima protesta, così rabbiosa e sincera da parergli perfino ragionevole,  a far scattare qualcosa in Barclay.
Il sorriso scomparve definitivamente dal suo viso, sostituito da una maschera dai tratti duri e severi.
Non incontrò alcuna difficoltà nell'afferrare la ragazza per i capelli:  brutalmente, con crudeltà, tanto che alcune sottili ciocche rosse gli rimasero allacciate tra le  dita.
Prima che Edie potesse anche solo realizzare si ritrovò improvvisamente spinta contro i lavandini, il bordo di ceramica che le si conficcò con violenza nella pancia. La mano di Clay non le lasciò alcuna via di scampo: le spinse la testa nel vano del lavandino, e un secondo dopo un forte getto d’acqua gelida le si infranse sulla nuca, strappandole ogni parola di bocca.
Immediatamente cercò di ritrarsi, ma Barclay insistette, spingendola sempre di più e lasciando che rivoli d’acqua le inzuppassero i capelli e le bagnassero i vestiti, trascinando con sè le sue ultime proteste. 
Quando le permise di ritrarsi i suoi abiti erano ridotti a nient'altro che stracci bagnati; si appoggiò al muro, le mani bagnate che scivolavano contro le piastrelle.
Clay si asciugò le mani sui pantaloni, osservandole il volto scioccato e dalla pelle deturpata da un trucco disfatto, grossolane gocce nere che le rigavano le guance pallide.
Si concesse un attimo per valutare il suo operato, osservando come l’acqua avesse reso trasparente buona parte della camicia candida, lasciando intravedere i profili del reggiseno al di sotto della stoffa.
Nonostante tutto, le sue prime impressioni si confermavano: quella ragazza era certamente troppo carina per la sua impertinenza.
Edie si passò la mano tra i capelli bagnati, strizzandoli.
In silenzio: nessuno scoppio di rabbia, nessun accenno di protesta.
Quella sorta di punzione era stata qualcosa di troppo, aveva definitivamente  valicato un confine che sin da quella mattina era stato fin troppo vivo.
Le sue inquietudini avevano trovato risposta: all’improvviso provò il tremendo impulso di scoppiare a piangere.
Si ritrasse quando il ragazzo allungò ancora le mani verso di lei, ma lui l’afferrò ugualmente, prendendola per una spalla.
“Suvvia, voglio solo ripulirti il viso” mormorò, premendole il polpastrello sotto gli occhi, lì dove le macchie nere erano più vistose. 
Lasciò che il dito seguisse un suo percorso, scivolando fin sotto il mento in un’impalpabile carezza, scorrendo sul collo e poi giù fino ai lembi della camicetta.
La testa china, gli occhi chiusi in un atteggiamento che scambiò per vergogna, preferendo evitare di pensare che fosse dolore.
Non poté fare a meno di stupirsi per che razza di ragazza fosse quella: una che non piangeva, che non si lasciava nemmeno andare ad isterismi.
“Ti ho fatto del male, vero?”
Edie si sforzò di ignorare quella mano che le sfiorava il viso.
“Vattene, per favore”
“Sei proprio incorreggibile allora... voglio sentire la gentilezza nella tua voce” la corresse con un sospiro teatrale.
“Ho detto per favore” ribatté lei duramente.
“Questa non è gentilezza, Edie”
Non lo supplicava nemmeno, come alla fine facevano tutte le altre, qualsiasi cosa avesse scelto di fare.
Qualsiasi cosa si fosse permesso di fare con loro…
Si chiese perché dopotutto non concludere ciò che stava per fare poco prima: tutto di lei lo tentava, perché non prendersi un'ultima soddisfazione dopotutto? Sperava quasi si lasciasse andare, stimolando uno scontro di ben altro tipo.
Riusciva già ad immaginarsela: schiacciata contro le pareti di uno dei bagni, la gonna alzata sopra la vita e le gambe magre strette attorno al suo  corpo.
Quel pensiero gli strappò un sorriso compiaciuto, e prima di valutare la portata di quell’ultima decisione, le alzò il viso e la baciò senza la benché minima delicatezza. Le premette le guance, spronando quelle labbra sottili ad aprirsi per lui, affondandovi la lingua con profondo desiderio.
Per questo fu con una punta di rinnovata rabbia che si accorse che la giovane non rispondeva in alcun modo a quell'assalto appassionato, la lingua inerte contro la sua.
Gli occhi di Edie erano spalancati, sostenevano il suo sguardo con una determinazione mai incontrata prima.
Non crollava, non si piegava; non si concedeva.
Barclay si staccò sconcertato, osservandola pulirsi  con un gesto dignitoso del polso da ogni traccia bagnata di quel bacio.
Si lasciò poi scivolare a terra, raccogliendosi le ginocchia al petto.
Nessuna parola, più nulla.
Per un attimo Edie avvertì lo sguardo del ragazzo soffermarsi su di lei, e allora temette altre ripercussioni.
Ma poi quei piedi cambiarono direzione, volgendosi lenti verso la porta e sbattendola.
Solo quando fu sicura che se ne fosse andato si permise di lasciar fuoriuscire dagli occhi una serie di lacrime silenziose.
Anche questa volta furono di rabbia.


 
"All I ever wanted, all I ever needed
is here, in my arms..."
 

“Allora? Che le hai fatto?”
Eccoli, seduti l’uno accanto all’altro, beatamente intenti a godersi gli ultimi caldi raggi di sole da quello scorcio di tetto.
Sguardo interessato chi più chi meno, erano però tutti come sempre in sua costante attesa.
Clay ignorò la domanda di Brad, infilandosi una sigaretta in bocca con un gesto irritato.
“Le ho solo messo la testa sotto il rubinetto” rispose infine, controvoglia.
“Cosa? Come sarebbe a dire, perché?”
Axel lo guardava scettico, almeno quasi quanto gli altri.
Bradley, Axel, Roy, Connor… Era con loro che trascorreva la maggiorparte delle sue giornate.
Ne avevano passate così tante insieme, ma ancora spesso li sentiva del tutto estranei, distanti anni luce dai suoi pensieri.
“Perché mi girava così” concluse svagato.
Brad si lanciò subito in un monologo su cosa avesse fatto se ce l’avesse avuta tra le mani, ma lui neppure lo considerò.
Evitò lo sguardo di Anya, abbracciata a Connor ma con gli occhi puntati su di lui, dandogli la perenne sensazione di starlo valutando.
Incrociò invece quello di Neils. L’amico non disse nulla, limitandosi a passargli l’accendino in silenzio.
Perché lo sapeva, al pari di lui, che quella smorfia sul viso nascondeva un inconsueto senso di colpa.

 
"Words are very unnecessary
they can only do harm"

[Enjoy the Silence, Depeche Mode]
 
 
 

 
-NOTA AL TESTO e deliri dell'autrice-
Ho sempre desiderato scrivere una storia "stronza", con sprazzi di bullismo e giusto quel po' di erotismo mal represso, su un mondo i cui protagonisti sono solo dei ragazzi: esageratamente snob, terribilmente stile manga, parodia di un tipico telefilm americano pieno zeppo di cliché.
Qualcosa che insomma si trova ad ogni angolo della strada, ma in cui ho deciso di infonderci più passione del previsto.
Ho ancora il timore che sembri una storia intensamente superficiale, ma nutro l'obiettivo di farmi ricredere (e far ricredere voi, belli!)

Piccoli chiarimenti:
1-La storia non è ambientata in nessun posto specifico. E' "sospesa" da qualche parte, in una città simile alla mia, ma al contempo completamente diversa. 
Non so ancora se gli darò nome o se specificherò mai dove si trova; per ora lo lascio alla vostra fantasia.
2-I nomi sono chiaramente anglo/americani, con qualche accenno di francesismo. Questo non ha un particolare motivo, semplicemente sono allergica ai nomi italiani.
Senza dilungarmi oltre, questa è la prima storia originale che mi decido a pubblicare, perché ho un bisogno esagerato di tutto ciò che questo racconto contiene.
Non faccio discriminazioni su chi recensisce o se la legge in incognito, visto che io stessa sono schifosamente pigra e commento ad ogni morte di papa.
E vi avviso, ho la pessima abitudine di aggiornare con estrema lentezza.
Spero che il tutto sia di vostro gradimento, buona lettura e alla prossima!
Elle H. 

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo ***


 “Senza offesa, ma tu rappresenti più o meno tutto quello che disprezzo di questo mondo"
[Rich, Skins]

 

Physical Logical Temptation
di   Elle H.

 


 

CAPITOLO SECONDO
"In cui è facile confondere e venir confusi"


"We are living in the age
in which the pursuit of all values other than 
Money, Success, Fame, Glamour,
has either been discredited or destroyed"

 

Il risveglio è la prerogativa di ogni incubo: se non venisse mai l’ora di riaprire gli occhi, un sogno non potrebbe definirsi come tale.
Ma la vera fregatura dell’incubo sta proprio nel risveglio, quando la sensazione di orrore si mette in testa di seguirti.
E quando pensi di essere al sicuro, in realtà non sei mai fuori pericolo.
Questo era stato per Edie trascinarsi fuori da quello squallido bagno.
Probabilmente senza l’aiuto di Violet non ce l’avrebbe mai fatta, ma Dio solo sapeva con quale coraggio era riuscita a camminare a testa alta nei corridoi affollati, nonostante apparisse completamente a pezzi.
Inutile dire che la notizia aveva impiegato davvero ben poco tempo per compiere il giro dell'intero istituto: all’uscita buona metà del corpo studentesco la guardava tra l’incuriosito e il derisorio, sussurrando che: “Quel gran figo di Clay l’aveva fatta pagare ad una nuova”.
“Quel gran figo di Clay può anche andare a fare in culo” ribadì Edie sepolcrale, stravaccata sul letto con gli occhi fissi al soffitto.
Violet le lanciò un’occhiata preoccupata, gettando poi di conseguenza uno sguardo tutt'intorno.
“Forse per distarti un po' potresti iniziare a dare una sistemata, che dici? Senza offesa, ma questo posto inizia davvero a somigliare ad una discarica”
Né grande né troppo piccola, quella semplice stanza racchiudeva in sè più caos dell’intero appartamento in cui Edie si era trasferita.
Scatole e sacchi della spazzatura, in cui aveva raggruppato la sua moltitudine di averi, regnavano ovunque incontrastati, occupando ogni superficie disponibile tanto da impedire il movimento. Pericolanti pile di libri e vestiti, accatastate le une sulle altre, erano state relegate nell’unico angolo rimasto disponibile, minacciando il crollo ogni qualvolta qualcuno vi passava accanto. E come ciliegina sulla torta a completare quella desolazione, le pareti erano state del tutto dimenticate, lasciate disperatamente bianche e spoglie. Era più che evidente come la ragazza, nonostante fosse tornata da più di due settimane, si ostinasse a non muovere un solo dito per ricominciare la propria vita in quel luogo.
“Non ne ho voglia” ribatté infatti poco dopo.
“Edie potremmo almeno organizzarci per dipingere le pareti, il colore che hai scelto è ancora di là...”
La giovane alzò lo sguardo, incontrando una zazzera di capelli castani sul limitare della stanza.
“Sparisci tu, sono ancora incazzata” sibilò al fratello.
Non era stato come con Violet: le differenze su Riley si notavano a vista d’occhio.
Una volta così simili tra loro, pareva ora esser cresciuto tutto d’un colpo, superandola in altezza e arrivando a dimostrare molto più dei suoi sedici anni; oramai solo alcuni sporadici tratti del volto le ricordavano il proprio, così simile a quello della loro madre.
Ma ciò che più l’aveva scioccata era stato scoprire come il suo fratellino avesse, in quei quattro anni di distanza, sviluppato un incredibile e snervante buonsenso, capace di innervosirla con la propria ragionevolezza sin da quando aveva varcato la porta di quella nuova casa.
“Ehi, come non detto” rispose, alzando le mani e battendo in ritirata.
Non era facile calmare Edie, non quando sapeva di avere ragione.
E purtroppo per i due ragazzi, dapprima preoccupati e poi atterriti, aveva tutti i diritti di farla valere.
“Spiegatemi: cosa ha estromesso dalle vostre calotte craniche l’urgenza di dirmi che quella cazzo di scuola assomiglia ad una schifosa dittatura?” aveva esordito poco prima, urlando quasi. Le scuse erano state pressoché incomprensibili, tanto da lasciarle l’amaro in bocca: non riusciva a capacitarsi di come, nonostante tutto il tempo trascorso, venisse ancora considerata tanto vulnerabile.
Ma in particolare l’idea che vivere in quella città e frequentare quella scuola la condannasse ad un anno di svilimenti e nuovi problemi proprio non le andava giù. 
Violet, inconsapevolmente, non faceva che aumentare il volume della sue paranoie.
“E se Clay tornasse a cercarti? E se si fissasse su di te?"
"Gran bella vita per me" si limitò a ribattere l'amica con serafico sarcasmo.
 "Edie, non scherzare! Se succedesse non immagini che casini uscirebbero... non sei certo la prima che viene presa di mira in questo modo"
“E fammi capire bene, tu saresti persa di una persona del genere?” aveva replicato seccata, riferendosi a Neils Dunham.
Ma era una domanda stupida, Edie lo sapeva bene. Erano bastate poche, sommarie spiegazioni per permetterle di delineare le figure di quei sei ragazzi, capaci di ammaliare e incutere una sorta di timore riverenziale a loro piacimento.
Non aveva mai frequentato una scuola privata, non aveva mai conosciuto la patinata vita della sua stessa città natale.
Come la pessima parodia di un film, era chiaro quali fossero le cose che lì contavano per davvero: i soldi, la fama, la bellezza, il potere.
Tutti elementi che ai membri del suddetto “Comitato Studentesco” parevano non mancare, mentre la povera marmaglia che li circondava si sforzava di conquistare un posto nella loro cerchia dorata.
“Dovrai stare più attenta a parlare d’ora in poi. Le voci girano in fretta all’Hundred, e se loro sapessero…” aveva continuato Violet a redarguirla, con una serie di regole che ad Edie erano sembrate sempre più stupide; dal non poter fumare senza il loro permesso, al ricevere permessi e giustificazioni extra dietro favori dalla dubbia entità.
“Ti prego, dacci un taglio. Questa roba inizia ad assomigliare fin troppo ad un pessimo mischiotto tra Skins e Gossip Girl. E' nauseante"
Quest'ultima battuta aveva segnato la conclusione di quella pessima conversazione.
Era rimasta distesa sul quel letto mezzo sfatto per ore, coperta contro il sottile gelo autunnale da un pesante piumone,  cullata da gracchianti note di sottofondo.
“Hey come on, cut your crap, get it on, I'm kicking back! You've got to, hah hah, to give it to me baby!”
Già appena tornata avrebbe dato qualsiasi cosa per poter scappare altrove.
Anzi, probabilmente neppure quello: vuoi per pigrizia, vuoi per l’assoluta ignoranza sul dove fuggire. Avrebbe preferito semplicemente scomparire, risucchiata da una voragine magari.Come Alice nel Paese delle Meraviglie. Ma quella in cui si trovava non pareva a sua volta una dimensione completamente estranea? 
Poteva quindi già considerarsi un po’ un’Alice a sua volta...Certo, molto più cresciuta e incasinata.
“Vedi non era così fino a tre anni fa… C’erano solo quattro ragazzi viziati e un po’ stronzi, a cui alla fine non si faceva neanche caso. Ma poi al terzo anno sono arrivati Clay e Neils, entrambi ripetenti, e da lì le cose hanno incominciato a cambiare” le aveva raccontato vagamente Vi.
Più ascoltava le navigate nozioni di Violet farsi strada nella sua testa, più si ritrovava a domandarsi in quale delle due metà della scuola avrebbe dovuto annoverarsi: in quella che li osannava, o in quella che ne era terrorizzata? 
Avrebbe forse dovuto passare il resto delle sue giornate a nascondersi nei corridoi?
Ma a giudicare dal senso di nausea che realizzò di provare di fronte a quel quesito, capì di aver già preso inconsapevolmente una propria decisione. 
Era tornata in quella città per ricominciare da capo, per dimenticare quegli opprimenti quattro anni... Quel primo giorno di scuola era stato un totale fuori programma, ma si rifiutava di trascorrere il suo ultimo anno di scuola a litigare con una manciata di idioti megalomani.
Per un attimo Edie tornò a sentirsi forte e sicura di sè, cosciente che se non altro ci avrebbe provato a tenergli testa, a costo di imparare a giocare sporco, ma poi il suo pensiero tornò a quel bagno, a quanto era successo. A quel bacio strappato con la forza che aveva avuto il potere di turbarla.
E riconsiderando l'intensa occhiata carica di desiderio di Clay Durless, per un attimo non fu più così sicura.

 


"Money Success Fame Glamour
For we are living in the age of the thing!"

[Party Monster, Felix da Housecat] 

 

Anya aveva acquisito con il passare degli anni un passo che la distingueva da qualsiasi altra studentessa di quell'istituto; quando muoveva i piedi, questi parevano sincronizzarsi con precisione marziale, ma con tale leggerezza che del soldato aveva come uniche qualità velocità ed efficienza.
Alta e dritta come un fuso, corti capelli biondi a contornarle il viso minuto, solo un cieco non l’avrebbe notata.
Ma non era solo la sua bellezza a far sorgere una serie di bisbigli e commenti mormorati al suo passaggio: al quinto anno di frequenza lì all’Hundred, Anya Faraday era un nome che riscuoteva un certo discreto rispetto.
Ogni giorno si stupiva da sola di come fosse divenuta oggetto di imitazione, venerazione quasi.
La maggior parte delle ragazze dell’istituto sembrava averla eletta come modello per confutare l’impossibile; spesso notava come i loro occhi la seguissero e la studiassero, osservandole il trucco, la pettinatura, persino i suoi stessi movimenti.
Ma nonostante ciò Anya era sempre stata piuttosto riluttante ad elargire consigli alla moltitudine di giovani che l’assillavano, indipendentemente che fossero al primo o al quinto anno, o che possedessero realmente fortunate doti fisiche o materia grigia. Anche perché supponeva che per tediarla con tante idiozie, l’ultima prerogativa doveva mancar loro terribilmente.
Quello che la maggior parte delle ragazze faticava a capire era l’assoluta inutilità di mezzucci per conquistare uno di quei ragazzi; quando però si accingeva a spiegare loro l’ultimo concetto, queste si ostinavano stupidamente a fare orecchie da mercante.
Per quanto le dispiacesse vederle buttarsi senza speranza tra le braccia dei ragazzi del Comitato, non poteva fare altro che limitarsi a pensare che quella era la loro giusta punizione. Non aveva mai avuto la stoffa della babysitter, men che meno per delle bambine troppo cresciute.
In fin dei conti ognuno ha le sue priorità, e quelle di Anya assumevano quasi sempre un unico nome.
Come ogni giorno raggiunse il tetto dell’edificio quasi correndo, rabbrividendo non appena il vento gelido le frustò le guance.
Portava con sé odore di inverno, odore di neve, odore del periodo dell'anno che più amava.
“C’è aria di Natale”
“Ma se mancano ancora due mesi! Pensa ad Halloween, piuttosto”
“Per l’occasione potremmo andare a Parigi, non credi?”
“Halloween a Parigi?”
“Natale a Parigi!”
I più maligni sibilavano che probabilmente quei due avrebbero finito per sposarsi, ma nessuno dei due pareva curarsi minimamente dei pettegolezzi, per quanto comunque avessero un certo fondamento di verità. In realtà non erano mai stati quel tipo di coppia che si sussurrava commossa il “per sempre”, il loro rapporto era sempre stato estremamente particolare, incomprensibile ai più. Connor Lee si differenziava dagli amici solo per questo, perché a costo di sembrar ridicolo, mai gli era passato nella testa di desiderare qualcuna che non fosse Anya.
Anche ora, allacciati l'uno all'altra come ogni intervallo da cinque anni a quella parte, si limitarono ad ignorare lo sguardo critico che li rimirava poco distante.
Un attimo dopo uno schiarirsi di gola li fece trasalire.
“Anya, devo chiederti un favore” esordì Neils.
C’era stato un periodo, non appena l’aveva conosciuto, in cui Anya si era quasi scoperta affascinata da lui.
Ci teneva a specificare il quasi, perché non aveva tardato nell’accorgersi che dietro tanta serietà, oltre un fare tanto rigido quanto compito, Neils nascondeva tutt’altra identità. Con la sua facciata da bravo ragazzo riscuoteva una certa ammirazione, qualità che però era quasi sempre in pieno contrasto con le reali intenzioni.
Perché Anya ben sapeva che, dietro quel fare da falso damerino, Neils Dunham non era nient'altro che un grandissimo figlio di puttana.
Era anche suo il merito, assieme a Clay ovviamente, di aver unito persone tanto diverse sotto un’unica bandiera, accomunandole ad un unico scopo: divertirsi.
Assoggettare completamente l’istituto e instaurare una sorta di monopolio era stata un’idea loro, un concetto che aveva generato diverse conseguenze, più o meno piacevoli.
“Fammi indovinare… Il solito?” chiese la ragazza alzando gli occhi al cielo esasperata.
“Più o meno. C’è una ragazza nuova in classe con te, giusto?”
Anya questa volta aggrottò le sopracciglia, a disagio.
“Sì, Edie. Aspetta… non dirmi che volete farle qualcos’altro”
“Non è che ci sta andando un po’ pesante, questa volta?” suggerì Connor, osservando l’espressione preoccupata della fidanzata.
Neils rise, minimizzando la questione con un gesto della mano.
“Questo lascialo decidere a Clay. E poi, da quando ti preoccupi per delle altre ragazze? Non devi far’altro che portarla stasera” 
Ma Anya pareva tutt’altro che convinta, considerando che quella ragazza aveva riscosso la sua simpatia in tempo record.
“Non mi sto preoccupando, semplicemente è una ragazza a posto, dovrebbe lasciar perdere. E poi non posso certo obbligarla a venire in un posto che eviterebbe come la peste, non è una vittima sacrificale!” ribatté profondamente contrariata.
“Ma certo che puoi, basta che convinci la sua amica, Violet. Anche lei è in classe con te, se non sbaglio”
“Tu che ti ricordi un nome? Mi sorprendi!” lo schernì la giovane.
“Diciamo pure che non è niente male, mi muore dietro da una vita e non vedo perché non considerarla... Lasciale intendere che potrei trascorrere la serata con lei. Ma porta Edie, assolutamente”
Anya rimase basita di fronte alla sfacciataggine e alla meschinità del ragazzo, e gli rivolse un lungo sguardo carico di rancore.
“E se non dovessi farcela?”
“Oh ce la farai, eccome se ce la farai” concluse il ragazzo con un sorriso, che pareva più un ghigno, dipinto sulle belle labbra.

 

"I have a problem that I cannot explain,
I have no reason why it should've been so plain"

 

End of Line.
Baluardo dell’eleganza e della ricercatezza, mecca di un giovane pubblico assetato di patinato divertimento.
Una vera e propria Hollywood per coloro che cercavano una serata sotto le luci di una piccola ribalta.
L’esterno prometteva sorprese, l’interno di certo non deludeva: superfici bianche, ambiente asettico, vetrate tirate a lucido per rispecchiare gelidi giochi di luce.
Edie guardò la folla di ragazzi e ragazze che si accalcavano con diligenza all’entrata, frettolosi di proteggersi dal freddo e lanciarsi nella loro personalissima, luccicante serata.Erano tutti vestiti di una squisita accuratezza, tanto che per un attimo dubitò del proprio inevitabile, semplice aspetto.
“Oh, ora ho capito perché hai voluto che ci vestissimo da zoccole” disse all'amica.
Violet scattò come una vipera, assestandole un pizzicotto poco convinto sul braccio.
“Non sono vestita da zoccola” sillabò contrita.
Vi pareva particolarmente nervosa quel sabato sera: avanzava agitata verso la pista, lisciandosi lo striminzito abito dorato e gettandosi attorno continue occhiate apprensive.
“Hai intenzione di dirmi finalmente il motivo per cui mi hai trascinata qui stasera?” le domandò Edie, avvicinandosi ed immergendosi in quell’atmosfera di buio e luce, lampi blu e argentei che facevano rilucere ogni singola pagliuzza applicata al suo tubino nero.
“Te l’ho detto… Era solo per provare qualcosa di nuovo” le rispose istantaneamente.  
Ben presto Edie fu costretta ad accettare l’idea che l’amica, per la prima volta nel corso della loro lunga amicizia, avesse deciso di nasconderle qualcosa.
La prima tappa fu il bar, dove vide Violet aggrapparsi ad un cocktail quasi fosse un’ancora di salvezza. Valutò attentamente l'amica, non potendo fare a meno di notare come quella sera avesse cercato di rendersi il più appariscente possibile; più guardava il suo abito, più le ricordava l’incarto di un Ferrero Rocher.
Aveva passato diversi minuti a cercare di estorcerle informazioni su quel posto, per il semplice timore di doversi di nuovo ritrovare a contatto con la sgradevole combriccola dell'Hundred, ma aveva ottenuto solo risposte evasive, degli inconcludenti "Forse sì, forse no".
Eppure, osservando la serie di ragazzi e ragazze che le sfilava attorno, dovette ricredersi. Non impiegò poi molto a notare che la maggior parte di quei volti li aveva già intravisti nella sua stessa scuola. Per un attimo fu tentata di trascinare Violet fuori dal locale a viva forza e obbligarla a vuotare il sacco, ma poi si fermò paralizzata ad ammirare la ragazza che si stava facendo strada verso di loro.
Un viso straordinariamente calmo, una bambola di porcellana in abito bianco e labbra cremisi.
Edie era rimasta subito impressionata da Anya, la rappresentante della sua nuova classe, poiché aveva facilmente compreso che era a lei che si ispirava la maggior parte della componente studentesca femminile. Nonostante la trovasse bella e persino interessante, invece di sprofondare nella venerazione non aveva potuto fare a meno di compatirla per la sua posizione, ottenuta per la semplice capacità di sapersi accollare un ragazzo.
“Violet, Edie, che bello che siate venute!” urlò la ragazza sopra al volume della musica, con una confidenza eccessiva rispetto a quella che in realtà possedevano, che risuonò nella testa di Edie come un campanello d'allarme.
Un attimo dopo, senza un apparente particolare motivo, ricevettero un invito al piano superiore, il cosiddetto privé.
E fu in quel momento, salendo delle scalinate trasparenti e osservando dall'alto la folla scatenata, che Edie intuì che quella serata sarebbe stata tutto meno che tranquilla.

  

" Have no questions but I sure have excuse,
I lack the reason why I should be so confused"

 

“Ehi Clay, c’è il tuo nuovo hobby” disse Neils, occhieggiando la sala inferiore da dietro le grandi vetrate del privè.
L'amico però non diede segno di aver sentito, intento a dedicare la sua attenzione da tutt'altra parte.
L’unica cosa che gli perveniva in quel momento erano dei bassi gemiti e inequivocabili sospiri di piacere, che a tratti gli occludevano piacevolmente l’udito: la lingua infilata nella bocca della ragazza sotto di lui, la mano che si dava da fare sotto il suo vestito, quello non era nient'altro che il preludio di un'ottima serata.
Sapeva come comportasi con una donna, o con una ragazzina che fosse... e a giudicare dalla quella soave voce spezzata, la ragazzina in questione doveva apprezzare, eccome se doveva.
Clay alzò la testa e cercò di guardarla in viso, nonostante la fioca luce che attorniava  la zona dei divanetti.
Non era affatto male, decisamente non lo era. Anzi era decisamente carina... eppure tutto di lei era così ordinario.
“Come hai detto che ti chiami, tesoro?” le chiese in modo molto poco galante.
La ragazza smise di contorcersi debolmente, fissandolo ad occhi sgranati.
“Nicole… Te l’ho detto poco fa!” rispose offesa, ma il ragazzo tornò in un attimo a confortarla con le labbra, strappandole un nuovo sorriso.
“Un nome bello quanto te! E allora Nicole, ti piacerebbe farmi compagnia questa notte?” le sussurrò, perfettamente conscio in anticipo della risposta.
Infatti, come previsto, la ragazza annuì con entusiasmo, sorridendo incredula per tanta fortuna.
“Allora a dopo, sai dove trovarmi” concluse strizzandole l’occhio, lasciando che si ricomponesse e si allontanasse in tutta fretta, certo diretta a confessare tanta inaspettata fortuna alle amiche.
Clay si rialzò sistemandosi i jeans e la camicia, gettando uno sguardo al privé ancora semivuoto.
Chi consolidava i propri impulsi erotici, chi affogava il respiro nell’alcool, chi ballava sregolato in preda ad effetti di sostanze tutt’altro che legali.
Sorrise: quel luogo era colonna portante del suo mondo.
Si avvicinò a Neils, dando uno sguardo alla pista in basso.
“Dicevi?”
L’amico gli indicò il bar sotto di loro, dove intravide un’alta ragazza bionda, che riconobbe subito come Anya, intenta a parlare con altre due ragazze. Una di loro,  perfettamente riconoscibile anche sotto le luci bluastre della discoteca, sfoggiava una liscia chioma di capelli rosso cupo.
“Ti dirò, sto facendo un serio pensierino sulla sua amica. Mi sembra il tipo che lo prende da tutte le parti e poi ti ringrazia pure, tu che dici?” lo sentì mormorare divertito. Clay gli sorrise di sbieco e gettò uno sguardo alla ragazza al suo fianco, considerandola appena.
La sua attenzione era tutta per Edie: la scuola non era il luogo migliore per gli incontri, e c'era un motivo ben preciso se aveva fatto in modo di attirarla lì.
Non si scordava facilmente di chi era capace di suscitare in lui qualcosa che combattesse la noia, sopratutto se si trattava di qualcosa di così insolito come quel vago senso di colpa. Ma ora, osservando ogni suo minimo movimento, dal modo con cui valutava le parole della bionda a quello con cui le sue labbra sfioravano il bicchiere, si ritrovò a provare qualcosa di ben più apprezzabile e riconoscibile.
In quel momento, mentre la ragazza si dirigeva lentamente al piano superiore, capì che il suo non era altro che puro e semplice desiderio. 


 

"I know, how I feel when I'm around you"

 

Tutto era previsto, tutto seguiva un copione già scritto e rivisto mille e mille volte.
Il privè non era altro che una sala identica a  quella principale, solo un po' più piccola e adibita ad ala fumatori per i più fortunati. Lì la folla si rarefaceva, i gruppi si discioglievano distribuendosi per lo più in singoli o coppie. La musica era bassa e soffusa, voluta come sottofondo allo straordinario assortimento di ragazzi e ragazze  addossati al bancone del bar o accoccolati sui diversi divanetti.
Edie si guardò attorno guardinga, avvertendo sin dal principio una chiara sensazione di disagio.
“Ti prego andiamocene” chiese quasi implorante, voltandosi verso Violet e trovandola con lo sguardo perso nel vuoto.
O meglio, verso il fondo della sala.
Neils Dunham si avvicinò a loro con passo volutamente lento, l'espressione di chi già pregusta l'esito delle sue attenzioni.
“Buonasera ragazze, come procede la vostra serata?” domandò non appena fu abbastanza vicino, regalando a Violet un sorriso lascivo.
In un attimo Edie comprese l'intera dinamica dei fatti, il motivo per cui Violet aveva tanto insistito per venire in quel locale, e all'improvviso provò il forte desiderio di urlare dalla rabbia. Ma si limitò solo ad esalare un pesante ed angosciato sospiro per la propria ingenuità, suono a cui i due ragazzi non parvero comunque dare il benché minimo peso.
“Lasceresti che ti offra qualcosa?” chiese Neils offrendo la mano alla giovane con fare cavalleresco,  impeccabile sotto ogni punto tranne che per le intenzioni.
Vi si voltò di scatto verso l'amica, quasi fosse una questione di vita o di morte.
“Non ti dispiace, vero?” chiese con occhi supplicanti, ma prima di ricevere anche solo una risposta la sua mano aveva già afferrato quella del ragazzo, lasciandosi condurre altrove.
“Certo, come no, fate pure!” mormorò sarcastica, rivolgendosi al nulla.
Rimase a guardare le loro figure allontanarsi, prima di avvertire due mani posarsi voluttuosamente sui suoi fianchi.
“Dovevo immaginare che ci fossi anche tu, schifoso pervertito” disse ad alta voce, distanziando bene le parole.
Una risata perfettamente riconoscibile fu la risposta.
“Buonasera Edie, è un piacere vederti”
La ragazza questa volta non fece alcuna fatica per sgusciare via dalla sua presa.
“Mi spiace non poter dire lo stesso” replicò asciutta, incrociando le braccia al petto.
Era un gesto di opposizione, di esclusione il suo, il vano tentativo di  allontanare da sé lo sguardo malizioso ed invadente di quel ragazzo.
La squadrò da capo a piedi, gli occhi che si soffermavano sull'esile linea dei fianchi e sull'incavo dei seni, lasciandosi sfuggire un fischio di ammirazione.
“Però, chi l’avrebbe detto… sotto una divisa possono nascondersi interessanti sorprese”
Sorrise avvicinandosi, il chiaro intento di tormentarla dipinto sul viso.
Edie si voltò in cerca di un sostegno, in ogni caso probabilmente inesistente, in Anya, ma la bionda pareva essersi misteriosamente dileguata.
"Non cercare le tue amiche Edie, siamo solo io e te stasera"

Con somma noncuranza, dando ostentatamente la schiena al suo interlocutore, la giovane optò per il silenzio e si diresse verso il bar, determinata a cercare qualcosa cui aggrapparsi per contrastare l'acre sapore di quel mix di solitudine, rabbia, noia, tradimento e l’evidenza che sì, si era decisamente fatta fregare.
Clay sembrava però fin troppo determinato a seguirla, avviciandosi a lei e posandole le mani sulle spalle, sfiorandole delicatamente.
“Alcool? La trovo una fantastica scelta" sussurrò al suo orecchio.
Non appena incontrò lo sguardo del barman, questi ignorò totalmente gli altri avventori, dedicando tutta la sua attenzione al ragazzo.
“Clay, ancora qui vedo”
“Come sempre Danny, dove potrei essere altrimenti?”
Il loro era uno sguardo d’intesa, tutto faceva parte di una routine perfettamente consolidata.
“Cosa ti faccio stasera?”
“Per me nulla, ma per la mia nuova amica…”
Si voltò verso Edie in attesa di una richiesta, ma la ragazza gli rivolse solamente uno sguardo di disprezzo.
“Grazie, faccio volentieri a meno delle tue profferte amorose”
Il barman la guardò per un attimo basito, per poi scoppiare in una grassa risata, beccandosi uno sguardo ammonitore da Clay.
“Sei la prima ragazza che sento rifiutare le proposte del nostro Clay… Sono colpito, davvero" commentò con un sorriso sincero.
"Questo te l’offro io” concluse alzando un bicchiere al suo indirizzo, gesto intercettato da un cenno compiaciuto della giovane.
“Vodka alla pesca e lemon, ti ringrazio”
Clay fece scorrere le mani in avanti, sfiorando il petto della giovane e attirandola a sè.
“Mi sembra di essere stata chiara: levami le mani di dosso” ribadì Edie, precedendo ogni sua possibile parola.
“Anche a me pare di esser stato chiaro, Edie cara: voglio che cambi questo tuo atteggiamento, mi sento così offeso dalle tue crudeli parole” sussurrò fintamente preoccupato, la presa che si stringeva attorno al suo corpo.
Il cocktail arrivò a salvarla da eventuali repliche, facendola sentire quasi in dovere di dimezzarne il contenuto con due sole lunghe sorsate.
Quando tornò a guardare Clay lo trovò seduto accanto a lei, intento ad osservarla con sommo interesse.
"Che cosa vuoi Clay?" esordì diretta, quasi cattiva.
"Che cosa voglio mi chiedi? Non è forse ovvio?" ribatté il ragazzo, piegando la testa divertito.
“L'unica cosa che mi è chiara è che sei un utopista del cazzo" rispose con rabbia, trangugiando un'altra sorsata dal bicchiere, il sapore forte della vodka che la faceva rabbrividire.
"Se credi che i tuoi patetici mezzucci diano i consueti frutti con me, sei decisamente fuori strada” concluse sprezzante.
Edie riconobbe la rabbia nelle sue parole, chiedendosi improvvisamente se tutte quelle parole messe insieme avessero davvero senso compiuto. Aveva ormai intuito che quel Barclay Durless poteva peccare di tutto, ma non certo d'intelligenza.
Languido cinismo, disprezzo dei sentimenti altrui, eppure profonda conoscenza di quali sensazioni e pensieri era capace di suscitare: questo aveva intuito della sua figura, una serie di elementi che lo classificavano come una persona infinitamente calcolatrice.
Che come previsto non parve minimamente turbata da quel compito scatto d'ira.
“Edie, credo che io e te abbiamo incominciato col piede sbagliato…”
“Ti sbagli, non abbiamo incominciato affatto”
“…Eppure mi pare già di intuire che tipo di persona sei, sai?" disse soddisfatto, allungando la mano per sfiorarle con un tocco la guancia.
"Una di quelle che cerca di sembrare forte e sicura di se, ma in realtà tenta solo di nascondere una miriade di debolezze”
Edie liquidò la sua analisi con uno sguardo indifferente.
“E bravo lo psicologo… questa definizione è tua o l'hai cercata su internet?”
“Oh no, semplice deduzione logica” spiegò affabile, ignorando l’ultima frecciatina.
“E sentiamo, le mie debolezze quali sarebbero?”
Portò il bicchiere alla bocca, attenta ad ogni eventuale mossa del ragazzo, che prevedibilmente non tardò ad arrivare.
Ma la sua baldanzosità scemò quando Clay si chinò su di lei, a così poca distanza dalle sue labbra che fu tentata di prenderla e baciarla; invece si mantenne alla propria decisione, avvertendola trattenere il respiro, sentendola fremere nell'attesa, godendo e abusando della sua sorpresa.
“Beh, me per esempio” concluse allontanadosi.
Edie si alzò in piedi con uno scatto repentino, guardandolo indispettita.
Clay si limitò a rivolgerle uno sguardo malizioso, conscio che quel semplice gesto doveva averle procurato qualcosa di ben più che fastidio; e quel che era peggio, ne era cosciente anche lei. Edie infatti scosse la testa innervosita, avvertendo le prime avvisaglie dell'alcool farsi sentire.
Nel tentativo di negare quel nuovo indesiderato, estatico brivido, la ragazza tentò di liquidare Clay dirigendosi spedita verso la zona dei divanetti, determinata a portar via Violet da quel posto orribile, e soprattutto, ben lontano da quel dannato ragazzo.
Ma le sue intenzioni finirono per infrarsi in meno di un istante. Considerò una fortuna aver lasciato il bicchiere sul bancone, altrimenti di certo l’avrebbe lasciato cadere a terra. Relegati nell'angolo più lontano della sala, Neils Dunham non si era fatto scrupolo di adagiarsi sopra a Violet e di slacciarne il vestito; nessuno, eccetto lei, pareva dar caso a quelle labbra che percorrevano il collo e il petto della sua migliore amica.  
Le viscere le si capovolsero di repulsione, tanto che per un attimo fu tentata di avventarsi su di loro come una furia per schiaffeggiare quel manipolatore.
Forse l’avrebbe anche fatto se Clay non l’avesse trattenuta per una spalla.
“Ehi, lasciali in pace, si stanno divertendo” l’ammonì, ma Edie recalcitrò con rabbia.
“No, non si stanno divertendo, per un cazzo proprio!”
“Tu dici? La ragazza mi sembra abbastanza partecipe” ribatté Clay con un sorriso divertito.
Edie si voltò giusto in tempo per vedere Violet, il viso tranquillo quasi irriconoscibile, aprire con impazienza i pantaloni del ragazzo.
Rivoltò la testa impietrita, gli occhi colmi di spaesamento.
Clay non dovette aspettarsi quella reazione, perché nell’incontrare il suo sguardo lasciò scomparire in fretta ogni possibile commento scherzoso.
“Ehi, guarda che mica la sta stuprando, stai tranquilla”
Ma dentro di se Edie avvertì qualcosa creparsi, come era successo poco tempo prima in quel bagno a scuola: se avesse dovuto dare un nome a quella sensazione, o un preciso motivo, non avrebbe saputo farlo.
Colta da un improvviso istinto di impotenza si allontanò in tutta fretta, imboccando la porta e lanciandosi a fatica lungo le scale, urtando le persone e rischiando più volte di cadere. 
Di sotto la musica era più consistente, molto più alta ed energica, un perfetto mix di musica elettronica.
Fu facile perdersi nella folla, cercando conforto tra la moltitudine di luci e colori esplosivi.
Per un attimo fu tentata di prendere qualcos’altro da bere, di mettersi a ballare fino a non sentir più i piedi e lasciarsi cadere a terra, ma desistette in fretta da quel patetico progetto. Quello non era il suo posto, e quelli non erano suoi amici.
Ritirò il cappotto dal guardaroba e uscì fuori nel gelo notturno, rabbrividendo non appena avvertì l'aria fredda infilarsi sotto il vestito.
Edie si appoggiò al muro dell'edificio, ascoltando i rumori all'interno giungere remoti ed ovattati. Gli occhi sospesi sullo spiazzo deserto e sulla strada poco trafficata, si lasciò abbandonare all'angoscia.
Aveva sempre avuto un’alta valutazione di Violet, era sempre stata la sua amica più preziosa, la sua migliore confidente.
A sua volta ne conosceva i desideri, le opinioni, le  aspirazioni… e nulla di quel ragazzo e in generale di quella serata rientravano tra esse.
Per un attimo non riuscì a tollerare che fosse cambiata a tal punto da rendersi irriconoscibile. O forse era lei stessa ad essere cambiata?
Si era forse persa qualcosa in quegli anni di assenza? Era lei la ragazza fuori posto?
Sentì gli occhi riempirsi di lacrime, chiedendosi stupidamente se forse non avrebbe fatto bene a restarsene lontana da quella città che sentiva tanto estranea.
Può essere pur veritiero il detto “gli opposti si attraggono”, ma non specifica che questi terminano sempre col colpirsi e ferirsi, facendo terra bruciata del rispetto.
La porta del locale si aprì all'improvviso facendola sobbalzare, e quando alzò gli occhi leggermente velati da una patina lacrimosa, Clay era davanti a lei.
La guardò perplesso, per una volta senza dire una parola, appoggiandosi accanto a lei.
"Sigaretta?" chiese piano, porgendole il pacchetto, sorridendo nel vederla annuire goffamente.
Per un lungo momento furono solo silenzio e sbuffi di fumo, gli occhi di entrambi che si perdevano nel cielo velato dalle nuvole.
“Che ore sono?” mormorò infine Edie, gettando il mozzicone a terra.
“Le due e mezza quasi… un po’ prestino direi” fu la risposta, con un tono incoraggiante che la sorprese.
Clay le sorrideva in modo molto più gentile del solito, privo di ogni malizia, cosa che per una volta ebbe il potere di rassicurarla.
“Andiamo Edie, ti accompagno a casa” 
Edie scosse la testa.
"Devo tornare con Violet, lo sai" ribatté senza convinzione.
"L'unica cosa che so è che quando uscirà non vorrai rivolgerle la parola" rispose Clay, prendendola delicatamente per la spalla.
"Io non mi fido a restare da sola in macchina con te!" aggiunse scettica, facendolo ridere.
“Ah no? Torna a piedi allora, ma con quelle credimi che attirerai  non poco l'attenzione" replicò Clay indicando le  alte scarpe col tacco che indossava.
"E poi non te lo permetterei" concluse con più serietà, conducendola con fermezza alla macchina.
Edie lo lasciò fare, valutando per un attimo quell'improvvisa gentilezza, chiedendosi stancamente se era un peccato evitare di dubitarne per una volta, una soltanto.
“Ti avviso che questo non conta nulla” lo redarguì prima di salire, evitando di fare commenti sulla pregevole carrozzeria del ragazzo.
“Tranquilla, attenderò con pazienza il giorno in cui ti sdebiterai del favore, non ne dubitare”
Salire su quella macchina le parve qualcosa di blasfemo quasi, totalmente in disaccordo con la realtà, eppure il sedile accolse morbidamente il suo peso e un tepore soffuso giunse a riscaldarla.
“Sei capace di guidare, almeno?”
“Ti prego... potrei farlo anche ad occhi chiusi”
“Dio non voglia!”
Edie sentì la tensione sciogliersi di fronte ad un continuo botta e risposta, mescolato a calde note di sottofondo, una rauca voce rock che se non altro li accomunava nei gusti musicali, mentre la macchina scivolava diligente e silenziosa nel traffico notturno.
“Ti vedo a tuo agio Edie, che ne dici di rimanere su? La prossima fermata è casa mia” commentò quando furono dinnanzi a casa della giovane, un qualsiasi condominio di provincia.
“Gentile da parte tua” ribatté la ragazza con un malcelato sorriso, sollevandosi e stringendosi nella giacca.
“Aspetta ad uscire, ho un domanda" la trattenne il ragazzo, improvvisamente serio.
"Che cosa è successo prima?" chiese, diretto come lo sarebbe stata lei stessa.
Per un attimo Edie trovo impensabile l'idea di rivolgere le sue confidenze proprio a lui, ma poi concluse che più che una confessione, quella era semplicemente l'esatta realtà dei fatti.
“Trovo assurdo che sia bastato un cenno del tuo amico perché Violet cascasse ai suoi piedi in quel modo. Un po' come fai tu, non è così?”
“Non vedo cosa ci sia di male, basta piacersi per...”
“Ma non così! Voi vi permettete di fare tutto quello che volete, e gli altri soccombono. Alla Violet che conoscevo io tutto questo non sarebbe andato giù, e invece ora tutto sembra cambiato.... O forse sono cambiata io” concluse con voce accorata.
Clay compì per la prima volta un gesto insolito: allungò la mano a coprire quella di Edie, prendendola dolcemente tra le sue.
“Non sempre i cambiamenti sono negativi, Edie. Si stanno solo divertendo, che c'è di male? Noi possiamo...”
“No, voi non potetete, eppure lo fate lo stesso. Lascia stare Clay, non riesco nemmeno a trovare le parole giuste per dire tutto quello che penso” completò asciutta, strappando la mano dalla presa del giovane.
Voltò la testa verso la propria strada, misurandone la tranquillità e l’immobilità notturna, sicuramente preferibile all'atmosfera creatasi nell'abitacolo.
Ma anche a quell'ora della notte Clay Durless ce la mise tutta per sorprenderla.
“Perché ti hanno chiamata Edie?” chiese improvvisamente con assoluta tranquillità.
La giovane si voltò incredula.
“E questo che cazzo c’entra?”
“Nulla. Però mi interessa saperlo” rispose facendo spallucce.
 “E allora attaccati” ribatté Edie con freddezza, afferrando la portiera per aprirla, ma Clay fu più veloce: nuovamente, come tante altre volte in quella sera, la prese e la trasse a sé. Con delicatezza questa volta, quasi con dolcezza.
Si ritrovarono improvvisamente vicini, tanto che Edie poté focalizzare l’attenzione su ogni dettaglio del viso del ragazzo, inalando a pieni polmoni un vago sentore di profumo maschile, provando la strana tentazione di appoggiare la testa nell'incavo del suo collo.
“Per Edie Sedgwick” rispose infine.
“Chi?”
“Edie Minturn Sedgwick. Modella e attrice degli anni sessanta, icona della pop art. Non ti dice proprio nulla?”
“No, mi spiace” rispose il ragazzo, scuotendo la testa con un'aria affranta, tradita da un'ombra di sorriso.
“Vatti a vedere Factory Girl allora, anche perché dubito tu sia capace di leggere un libro intero”
“Tu mi sottovaluti Edie, non dovresti"
“Può darsi. Grazie per il passaggio e per... tutto, Clay. Buonanotte" sussurrò, questa volta aprendo la portiera e discendendone senza incontrare interruzioni.
Solo quando fu intenta ad aprire il cancello, che separava la semplice palazzina dalla strada, udì ancora la sua voce.
"Non mi dai il bacio della buonanotte?" chiese passando dinnanzi al cancello, sbeffeggiandola con un ultimo, immancabile commento.
Nel buio si lasciò scappare un sorriso, eppure quando si lasciò crollare sul letto Edie si rese conto della sgradevole sensazione che si era portata appresso dalla discoteca. Era da quando era tornata a casa che non si sentiva così sola, e per un attimo quasi rimpianse di non esser rimasta su quella macchina, fosse stato anche solo per concedergli un bacio della buonanotte. Anche se cercò di negare l'ultima parte, facendo una smorfia al viso che l'osservava avvilito dallo specchio mentre si struccava.
Dall'altra parte della città intanto, percorrendo a gran velocità le strade del centro, Clay pensava e valutava.
All'End of Line aveva un affare in sospeso, si era dato appuntamento con quella bella ragazza di cui al momento gli sfuggiva il nome.
Ma poi invertì la marcia, rendendosi conto che per la prima volta nella sua vita non aveva affatto voglia di scoparsi qualcuno.
A differenza di Edie, che languiva in un mare di delirio incoerente, lui si scompose appena.
Sempre per la prima volta nella sua vita aveva una sola ragazza in testa, un chiodo fisso dai capelli rossi e dall'impertinenza tale capace di stregarlo.

 
 

"I don't know, how I feel when I'm around you"

 


Squilli nella notte, la suoneria di un telefono che infrange un sonno già di per se tormentato.
Edie si svegliò di soprassalto, cercando a tentoni il telefono a terra, arrancando con le mani tra diversi vestiti sparpagliati. 
“Pronto?” borbottò assonnata.
“Sono io”
“Io chi?”
“Io, Clay”
Edie si portò a sedere, sbattendo instupidita gli occhi, osservando la cifra "5.17" dipinta sul visore della sveglia.
“Edie? Ci sei ancora?”
“Si certo io… chi ti ha dato il mio numero?” chiese più perplessa che mai.
Udì la sua risata dall'altro capo del telefono.
“Lascia perdere, ho una domanda”
“Una domanda alle cinque del mattino?”
“Ho appena finito di guardare Factory Girl”
Le labbra di Edie si piegarono inevitabilmente in un sorriso.
“Oh. E quale sarebbe la tua domanda?”
“Tu sei come la vera Edie Sedgwick?”
“Forse, dipende da come ritieni che sia”
“La recensione dice "Alcolica, Decadente e Glamour”
“E secondo te?”
“Una ragazza sola, che nel terrore di vivere non vive, e nel terrore di amare non ama"
Edie trasecolò, ammutolita di fronte ad una risposta tanto inaspettata.
“Buonanotte Clay” mormorò infine.
“Ci ho azzeccato?”
“Ho detto buonanotte" concluse seccata.
“Buonanotte Edie” convenne la sua voce, stranamente roca attraverso il telefono.
Nonostante quella domanda rivelatrice, Edie stranamente non fece fatica a riacquistare il sonno, accoccolandosi tra le coperte con un sorriso.
Sempre dall’altra parte della città, anche Clay Durless prendeva sonno con un improvviso senso di pace.

 

"Around you, Around you, Around you..."
[Roulette, System of a Down]


-NOTE AL TESTO e deliri dell'autrice-

Ad ogni capitolo mi auguro sempre che la storia suoni esattamente come voglio io, e non melensa e superficiale come so che rischia di essere.
Tutto è così perfetto ed irreale che a volte temo di non riuscire a trasmettere quello che voglio davvero, a scrivere un racconto che rifletta in tutto e per tutto l'ideale esteta e la sua contromossa. Fortuna che esistono le recensioni apposta per questo :) Fatevi sentire!

-Mi piacciono tanto i personaggi secondari che inserisco, ad esempio Anya. La trovo formidabile.
-Per curiosità: all'inizio del capitolo, quando Edie è distesa sul letto, sta ascoltando "Cut the Crap" degli Alice in Videoland; invece quando "scappa" dalla discoteca, lo fa sulle note dei Daft Punk, precisamente "Derezzed". In macchina invece mi sono immaginata "Old School Hollywood", sempre dei formidabili System of a Down.
Il mio amore per la musica è legato a doppio filo con la scrittura, non possono essere separate :)
-Consiglio infine a tutti il film "Factory Girl", un vero capolavoro su quel personaggio mozzaffiato che fu la "vera" Edie!

Vi auguro una buona giornata e una devastante fine delle vacanze (io già mi sento morire)
Mi scuso in anticipo per eventuali ritardi nell'aggiornamento, come sempre un grosso ringraziamento a chi ha recensito e ha inserito la storia tra le seguite/preferite, e anche semplicemente a chi legge. Siete i migliori!
Elle H.

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Capitolo 3
*** Capitolo Terzo ***


 

“E’ facilissimo reagire con freddezza alle cose durante il giorno.

Ma di notte è tutto un altro discorso…”

- Ernest Hemingway -

 

 

Physical Logical Temptation

di Elle H.

 

 

CAPITOLO TERZO

“Dove ci si tuffa tra le sfide, e si nuota tra le sorprese”

 

 

 

“Everybody is going to the party

Have a real good time

Dancing in the desert,

Blowing up the sunshine

 

Tutti vanno alla festa, si divertono molto 

 ballando nel deserto, esplodendo 

fino a quando spunta il sole”

-BYOB, System of a Down”- 

 

 

 

Vi erano un’infinità di peculiarità che Barclay Durless avrebbe potuto affermare e confermare di se stesso, e senz’altro una di queste era l’assoluta immunità ai risvegli di cattivo umore.

Quando apriva gli occhi, a dispetto dei qualsiasi impegni quotidiani di varia entità che lo attendevano, per lui era sempre un giorno come un altro, ovvero roseo, piacevole e promettente.

In ogni caso, per quanto la sua vita fosse tutto meno che faticosa, quello era il momento della settimana che prediligeva: l’unico Giorno della Quiete, la cui atmosfera era tanto più placida e rilassante proprio perché conseguenza di un sempre ottimo sabato sera.

Clay attraversò con passo svagato corridoi semibui, i piedi nudi che affondavano nei soffici tappeti, lasciando divagare i pensieri senza particolare meta.

L’elegante sala da pranzo si presentò avvolta nelle prime luci del mezzogiorno, rese innocue agli occhi da grandi tendaggi ancora chiusi: in quella casa semi addormentata, quell’ora rappresentava l’alba domenicale.  

L’ampia tavola era stata squisitamente imbandita, impeccabilmente costellata da porcellane di finissimo gusto: perfetta, e straordinariamente consueta al contempo; una serie di fogli con sottili disegni e minute note scritte in elegante calligrafia si ambientavano con dubbia grazia fra tutto quel ben di dio.

Prima di fare il suo ingresso, Clay rimirò con malcelata vanità il proprio riflesso nello specchio: quello di un ragazzo che, a discapito dei capelli arruffati e gli occhi ancora gonfi di sonno, si consolava valutando la propria semi nudità e i muscoli perfettamente definiti che essa rivelava.

Con un cenno di soddisfatta vanità concluse che non gli costava nessuna fatica per essere così bello.

“Sei consapevole che i pigiami sono composti da due pezzi, maglia e pantaloni, vero?”

Due sguardi identici che si incontravano, occhi verdi talmente comunicativi che avrebbero potuto sostenere una gara per intensità.

“E onestamente, non ho idea di come tu possa mangiare quella roba a quest’ora”

Gli occhi verdi si fermarono critici sulla forchetta che il ragazzo reggeva già tra le dita, intenta ad affondare in commoventi quanto opulenti gioielli di pasticceria.

“Sono in fase di crescita, devo nutrirmi se vuoi che continui a rimanere forte e bello” ribatté con la bocca piena, ricevendo come risposta solo un verso a metà tra una risata e uno sbuffo.

Kiyance Bassant Kapoor, in Barclay; l’unica donna al mondo per cui nutriva una cieca, totale stima, e a dirla tutta, sua stessa madre.

Aveva passato tutta la sua infanzia a fissare ammirato e vagamente intimorito la sua figura vagare per i corridoi di quella casa, intenta a ragionare su taccuini fitti di disegni e parole, con indosso nient’altro che vesti evanescenti, del tutto pure e innocenti nella sua mente completamente smaliziata.

Anni dopo, più cresciuto e con una mentalità sicuramente più aperta sul vasto mondo femminile, si era scervellato sul perché una donna del genere, in possesso di un’esotica, straniera bellezza come la sua, avesse rifiutato chissà quale famosa carriera consacrando la propria vita alla famiglia e all’architettura.

C’erano in effetti molte cose che non aveva mai osato chiederle o approfondire, e questa era una di quelle; le probabili risposte che avrebbe potuto ricevere avevano sempre evocato in lui un vago senso di sconforto.

“Sbaglio o ieri sera sei tornato più presto del solito?” accennò poco dopo sua madre, intenta ad analizzare una bozza, l’ennesima di un’antica dimora in stile liberty che le stava dando non pochi grattacapi.

“Sì, alle due o giù di lì… Ma prima che sfoderi uno dei tuoi soliti commenti mamma, c’è una cosa che vorrei chiederti”

“Mmh?” mormorò la donna, mostrando sempre un cauto interesse per le spiazzanti domande del figlio, di cui era confidente sin da quando l’aveva messo al mondo.

“Tu lo sai chi è Edie Sedgwick, vero?”

Kiyance abbassò i fogli di scatto, esaminando dubbiosa il volto dell’unico figlio.

“E tu da quando hai idea di chi sia qualcuno oltre a te stesso?”

Il ragazzo ignorò la frecciatina, concedendole un sorriso straordinariamente sincero.

“Come sei esagerata … Ho conosciuto una ragazza, si chiama Edie.

Parlando mi ha spiegato che i suoi genitori l’hanno chiamata proprio per quella tizia lì”

Sua madre alzò gli occhi al cielo, riprendendo svogliatamente il proprio lavoro.

“Per quel che mi riguarda potrebbe chiamarsi anche Marilyn Monroe… Ti prego Barclay, almeno questa di cui ti ricordi il nome, evita per favore di portarmela in casa”

Clay scoppiò a ridere, rischiando di soffocarsi col cibo, cercando poi senza risultato di mostrarsi offeso.

“Mi stai parlando come se in giardino ci fosse appostato un harem di ragazze!” protestò, considerando tuttavia che non sarebbe stata affatto una cattiva idea; la madre  al contrario, non era dello stesso avviso.

“Sai, questa casa, oltre a non essere un albergo per te, non è neanche un canile per le tue conquiste, che fai sgattaiolare fuori e dentro casa alle ore più impensabili, razza di figlio morboso” ribadì, facendo impallidire per acidità il caffè che il ragazzo si accingeva a bere.

Era inutile, non c’era storia che tenesse: non aveva mai incontrato qualcuno che sapesse ottenere l’ultima parola come sua madre.

Era formidabile, nessuno poteva essere così aspro e divertente al contempo.

Ma a quell’ultimo pensiero si contraddisse quasi istantaneamente, e l’affermazione materna di poco prima lo portò a rimuginare sulla sera precedente, a quello che era successo… o meglio, non successo.

In cuor suo era consapevole di aver già iniziato a farne una questione personale, e ora si riscopriva a valutare il da farsi con la fredda precisione di un generale che premedita un piano d’attacco.

Per un ragazzo come lui, così sicuro di se stesso, della propria avvenenza e del potere che sapeva esercitare sugli altri, specialmente sulle donne, nulla era più spiazzante di un desiderio non esaudito, o peggio, di un rifiuto.

Con rabbia considerò che aveva avuto ragazze più belle di Edie, o meglio ben più dotate da un punto di vista fisico, e magari persino più intelligenti, per quanto non si fosse dato la pena di appurarlo.

Qualcuna si era mostrata inizialmente titubante, evidenziando timidezza o orgoglio, ma in un modo o nell’altro alla fine si era sempre ritrovata in una delle posizioni da lui preferite, totalmente soggiogata alla sua volontà.

Ma ora con Edie si apriva un nuovo capitolo dell’arte amorosa, una parentesi mai contemplata ma insolitamente stuzzicante, con quel suo modo di fare sospeso a metà tra l’indifferenza e la provocazione.

E all’improvviso si ritrovò a porsi una serie di domande che prima non l’avevano nemmeno sfiorato:

da dove sbucava quella ragazza, si era forse trasferita? E se sì, da dove e per quale motivo?

O se anche aveva sempre abitato lì, perché non l’aveva mai vista?

E come mai si mostrava così diffidente? E perché non si era già fatta un giretto nel suo letto?

In qualche modo queste domande necessitavano di una risposta, e decise risoluto che bisognava porre rimedio a quella situazione che lo rendeva sempre più impaziente.

“Mi serve un favore, mamma. Sai che ogni anno organizzo il week end per Halloween…

Questa volta mi servirebbe una casa abbastanza grande e vecchia, il più suggestiva possibile” proruppe dal nulla il ragazzo, stupendo ulteriormente la madre.

“Quando tiri fuori questi paroloni mi fai quasi preoccupare. Non ti va bene affittare uno dei soliti posti?”

“Non quest’anno… Mi serve qualcosa di tutt’altro genere, qualcosa di grande, qualcosa che lasci a bocca aperta tutti! Puoi aiutarmi?” chiarì, il volto acceso di entusiasmo.

“Credo di poterlo fare dopotutto, per quanto creda che nulla di ciò che potresti fare sappia impressionare quei quattro zotici che ti sei scelto come amici… Fammi avere al più presto il numero dei presenti, e farò due telefonate” concluse tornando a destreggiarsi tra la marea di fogli, questa volta definitivamente.

Il ragazzo sospirò, come sempre senza replicare ai critici consigli della madre, ben sapendo della totale ragionevolezza delle sue parole; ma quello sforzo che voleva fare non era certo per i ragazzi, certo che no…

Aveva ben altro in mente, un progetto nemmeno troppo ambizioso che, se realizzato, avrebbe fatto contenti tutti, se stesso in particolare.

“Oggi pomeriggio vedo gli altri, stasera ti confermo in quanti siamo” concluse allontanandosi pigramente, sbadigliando e chiedendosi se ci fosse qualcosa di male nel tornare a letto e dormire ancora un po’.

 

 

“Next time you point a finger, I might have to bend it back

 Or break it, break it off

Next time you point a finger, I’ll point you to the mirror

It’s just my humble opinion

But it’s one that I believe in

You don’t deserve a point of view, 

 If the only thing you see is you.

 

La prossima volta che punterai il dito,

 te lo ripiegherò all'indietro e lo romperò.

La prossima volta che punterai il dito,

ti farò guardare allo specchio.

E' solo la mia umile opinione… ma è quella in cui credo:

Non meriti un punto di vista,

dato che l'unica cosa che vedi è te stesso.”

-Playing God, Paramore-

 

Dicono che siano i dettagli, le piccole cose ad aiutarci a capire se una persona ci merita.

Ma soprattutto dovrebbero servire a mostrarci quanto non ci merita, e invece sembriamo praticamente ciechi di fronte a quello che è già un fallimento in partenza.

In definitiva, le speranze di Edie erano state in breve deluse: per quanto potesse impegnare tutta se stessa nel recuperare l’amicizia con Violet, restava il fatto che quei quattro anni di separazione restavano pur sempre quattro, lunghi anni; e in quattro anni, purtroppo, le persone sono solite cambiare.

Non aveva più temuto di esagerare quando, con le scuse per il suo pessimo comportamento, l’amica le aveva indelicatamente allegato una serie infinita di novità, delle quali avrebbe fatto volentieri a meno.

A nulla era valsa ogni obiezione, ogni contraddizione al suo visionario racconto: l’entusiasmo per Neils, e di conseguenza per la sua allegra brigata, erano esplosi con la stessa veemenza con cui si erano celati in quegli anni.

Era consapevole che dopotutto il desiderio è padre di tutte le colpe, e aveva già avuto modo di valutare l’irrazionale, sempiterno desiderio di Violet per quel ragazzo di pessima risma, ma …

Ma tra le conclusioni che si era aspettata di vedere, quella proprio non l’aveva considerata.

 “Dai Edie vieni anche tu… Dai ti prego, accompagnami! Parlaci almeno una volta, una sola!”

“Mi prendi per il culo?”

Suppliche lacrimose, e palese acidità: sembrava che il loro rapporto fosse già così da una vita, invece erano solo pochi giorni.

“Scordatelo, non ci vengo a patire il freddo per poter stabaccare su un tetto con gente che odio a morte”

Ora Violet e Neils uscivano insieme, o meglio, trascorrevano incollati l’uno all’altra ogni minuto a loro disposizione.

E anche sorvolando su come trascorressero il loro tempo, preferendo pensarli impegnati in candide ed innocenti discussioni, Edie non poteva fare a meno di sentirsi trascurata.

“Ma dai, cosa ti costa! Dai dai dai, per favore…”

“Scordatelo, potevi andarci prima con Anya”

Violet condivideva ora una discreta parte della medesima aura dorata che attorniava la bionda rappresentante di classe, per cui Edie nutriva ancora un certo rancore; un po’ per la totale mancanza di empatia nei confronti delle ragazze che “svendeva”, ma soprattutto perché odiava ammettere di essersi fatta fregare così facilmente.

Restava il fatto che la vita dell’ultima arrivata si era improvvisamente incrinata: non era ancora riuscita a stabilire un qualche rapporto con le compagne che andasse oltre lo scambio di due parole, la scuola le sembrava ogni giorno più noiosa e l’assenza di Violet, e i suoi repentini cambiamenti, non facevano che confonderla.

E a dirla tutta, era ormai sempre più presente un fastidioso pensiero, ricollegato a doppio filo ad un solo nome; posto proprio lì, al centro esatto di un inferno dantesco.

Alla fine, più per esasperazione che per reale buon cuore, acconsentì a farsi tutti i piani fino alle corte scale che portavano al tetto, luogo di ritrovo perenne per il comitato, a quanto pare indifferente a fenomeni climatici di ogni sorta.

“Sei sicura di voler stare in classe da sola?” chiese ancora Violet, quando ormai erano nel piccolo corridoio che conduceva al tetto, ricolmo degli spifferi che sfuggivano dalle due porte.

“Sicurissima” ribadì Edie, accennando un sorriso convincente.

“Ma magari conoscendoli meglio potresti venire a fare il week end con noi…”

“Alt. Quello non me lo devi neanche nominare, Vi”

“Ma sarebbe un’occasione perfetta per stare un po’ di più insieme…”

“…a te, e a quegli animali là. Scordatelo, te l’ho già detto, non ci verrei neanche morta!” concluse, notando con disappunto che la sua reazione assomigliava sempre più a quella di una bambina che pesta i piedi.

“Ah, davvero? E io che pensavo già di poter trascorrere due giorni assieme a te!”

Clay sbatté la porta dietro di se, allacciandosi la giacca di pelle con una sigaretta già infilata tra labbra e un sorriso strafottente sul volto.

“Lascia la porta aperta, me ne stavo andando” si affrettò a dire Edie, senza venir minimamente considerata; Violet alle sue spalle, un risolino a illuminarle il viso di malizia, scappò sul tetto, lasciandosi congedare con uno sguardo di disprezzo dall’amica.

“Ti prego, non dirmi che anche questa era programmata” chiese la giovane voltandosi, il volto scettico corredato con tanto di sopracciglio alzato.

Il ragazzo sorrise compiaciuto, quasi si aspettasse ormai ogni possibile reazione da lei, e anzi non desiderasse altro.

“Per quanto ami gli intrighi, purtroppo no, non lo era..

Eppure sono proprio felice di vederti Edie, era da domenica che non ti incrociavo. Potevi scrivermi sai?” disse Clay, accendendosi la sigaretta, rimandandole un boccata di fumo sul viso.

“Ho forse una buona ragione per farlo?” ribatté lapidaria, storcendo il naso, strappandogli una risata.

“Quando pensavi di dirmi che verrai con noi questo week end? Le cose non si organizzano mica da sole!”

La ragazza incrociò le braccia, sfoderando un gesto che si ripeteva sempre in presenza del ragazzo, un circolo vizioso in cui lui era sempre capace di ricondurla.

“Forse non hai sentito, Clay: non ho nessuna intenzione di venire” concluse con fermezza.

Ma l’imperturbabile, bel viso del ragazzo ancora una volta non rivelò alcun cenno di delusione.

“Non sarà per Violet, vero? Sai, se non avessimo parlato sabato sera, penserei che sei lesbica e ardi di gelosia per lei. Il che, in tutta sincerità, sarebbe davvero un grandissimo spreco”

Di fronte a quel sorriso sornione, in pieno contrasto con l’irriverente affermazione, Edie si sentì avvampare.

“Lesbica, Io?! Ma se sono etero al… al centodieci per cento probabilmente?”

Clay rise della sua veemenza, lunghi spiragli di fumo che si liberavano dalla sua bocca.

“Questo è davvero buono a sapersi. E allora? Hai forse paura succeda qualcos’altro tra noi?”

“Perché, tra noi è forse mai successo qualcosa? Anche questo mi pare di avertelo già detto: non bastano due minacce campate in aria per impressionarmi” replicò con un cenno beffardo.

“Ah no? E quindi non hai paura di me? Non temi ciò che potrei farti, anche qui, ora?” chiese quasi con incredulità, lasciandosi sfuggire un’altra boccata di fumo dalle belle labbra.

Edie fece spallucce.

“No, affatto”

La sigaretta cadde a terra, una mano del ragazzo si strinse dolorosamente sul suo mento, una morsa che le comprimeva il viso, già fin troppo vicino a quello del suo aguzzino.

Una scena da manuale.

Per l’ennesima volta Edie si trovò a considerare con quale facilità il ragazzo riuscisse a sottometterla, e soprattutto, come si divertisse a farlo; sinceramente non sapeva quale delle due cose fosse peggio.

“Nonostante io ti dimostri ogni volta che devi portarmi rispetto, tu continui a provocarmi... Perché, Edie?

Ma tu lo sai che potrei stuprarti qui, in questo esatto momento?”

L’altra mano corse veloce alla base della sua camicia, estraendola con forza dalla gonna in cui era stata diligentemente infilata quella mattina; sempre quella mano, fredda, gelida, vi si infilò sotto, ponendosi sulla sua pelle e scorrendovi sopra con ingordigia.

“Probabilmente se anche chiamassi aiuto, nessuno ti considererebbe vedendoti con me…”

Il suo viso era incredibilmente tranquillo. Sorrideva ancora, eppure una sottile vena di crudeltà si era creata uno spiraglio, mostrando con quanta serietà avesse pronunciato quella frase.

Poteva, eccome se poteva.

"Toglimi le mani di dosso" sibilò, ma il ragazzo ancora una volta non le prestò attenzione.

Si chinò su di lei esattamente come quel giorno nei bagni, ma al contrario non esitò, lasciando che le sue intenzioni si facessero subito chiare quando le posò le labbra sul collo.

Edie si accorse di trattenere il respiro quando, con un veloce guizzo del braccio, l'invadente mano del ragazzo scorse fino al bordo del suo reggiseno, senza scostarlo ma limitandosi a sfiorarlo attraverso la stoffa.

"Perché non mi assecondi per una volta, Edie? Perché non ti lasci andare un po'?" sussurrò contro la pelle morbida del collo, esasperatamente pallida contro quelle labbra ambrate, intente a strapparle malcelati brividi.

"Sono stanca di sopportare i tuoi tentativi di intimidirmi" ribatté la voce a voce alta, in un’incredibile sforzo, tentando di infrangere quell’atmosfera soporifera, un anfratto del tempo dal caotico significato.

"Allora risolviamo questa situazione una volta per tutte.

Due giorni, soltanto due giorni, in cui mi darai la prova che io non esercito alcun potere su di te"

Le voltò il viso, lasciando che i loro occhi si scontrassero, rispecchiando due personalità decise a fronteggiarsi in uno scontro per l’affascinante supremazia.

"Credi seriamente che io mi lasci incantare da questo stupido trucchetto? Io non devo dimostrarti niente..." protestò la giovane contrariata.

Fu un attimo.

Le labbra del ragazzo si posarono con sorprendente rapidità sulle sue, delineandovi con la lingua un veloce contorno di lascivo desiderio, staccandosi prima ancora che potesse comparire un tentativo di ribellione.

Edie si ritrovò libera da ogni suo tocco un istante dopo, ritrovandosi ancora schiacciata contro la parete e con la medesima espressione di un animale abbagliato dai fari.

"Non è un trucchetto Edie, è una sfida, una scommessa, vedila un po' come vuoi.

Se in quei due giorni non riuscirò a portarti a letto, allora io te lo giuro: ti lascerò in pace, non mi sentirai più" spiegò con attenta autorevolezza.

Edie valutò per un istante quella possibilità, conscia della serietà del ragazzo, consapevole quanto potesse essere determinante quella scelta.

Concluse che poteva benissimo farcela… eppure avvertiva ancora con chiarezza quel veloce bacio arroventato,che le aveva per un attimo infiammato le labbra.

"Ma se vinco io..." continuò Clay, accennando un sorriso.

"Tranquillo, non c'è alcuna possibilità che tu possa vincere. Accetto" proruppe Edie tutto d’un fiato, sorprendendo sia lui che se stessa.

Un attimo dopo già sfrecciava verso la sua classe, tirando la giacca della divisa per celare la camicia scomposta.

L'aula le apparve come un miraggio, fortunatamente deserta, e fu lì che sedendosi al proprio banco, realizzò dell'entità di quell'ultima parola.

"Accetto".

Le dita corsero automaticamente a sfiorarsi le labbra, chiedendosi se la saliva di cui erano umide fosse ancora quella del ragazzo.

Solo ora, a mente fredda, riusciva a realizzare quanto fosse stata stupida quell’improvvisa decisione.

Lasciandosi condurre da un patetico barlume di speranza, dalla ricerca di dignità e dalla rabbia che aveva provato poco prima, si era infilata con le sue stesse mani in un vicolo cieco.

Perché lo sapeva, eccome se lo sapeva, di non avere alcuna speranza di superare due giorni senza scontrarsi con le seducenti capacità di Clay.

Quel pensiero era l’esatto contrario di quello del suo avversario: ora seduto tra gli amici sul tetto, un'altra sigaretta più fortunata tra le labbra, era conscio più che mai di aver vinto in partenza.

Si sarebbe gustato appieno quella vittoria, forse una delle più dolci che aveva pregustato.

Perché era per questo che Clay continuava a sfidarla... gli piaceva farlo.

 

 

“Everybody, everybody, everybody livin' now 
Everybody, everybody, everybody sucks 

It's a violent pornography, 
Choking chicks and sodomy… 
The kinda shit you get on your TV.

 

Tutti, tutti, tutti coloro che stanno vivendo adesso 
tutti, tutti, tutti sono dei leccapiedi 

E' una pornografia intensa, 
Ragazze strangolate e sodomia… 
la merda che vedi per televisione. 

-Violent Pornography, System of a Down- 

 

Inspira, espira.

Inspira, espira.

Inspira, espira.

Un’altra volta, e un’altra ancora, costante esercizio di autocontrollo che andava avanti sin da quel pomeriggio, preludio di un gelido, catastrofico sabato di festa.

Aveva iniziato a metterlo in pratica mentre preparava i pochi bagagli, fino a quando Clay si era presentato sotto casa sua, portando suo fratello a lasciarsi penzolare dal davanzale della finestra per meglio ammirare quella macchina lucente.

“Cristo, in strada è ancora meglio… Ma che cazzo Edie, puoi fartela con uno che ha un’Audi r8 spyder” aveva mugolato quasi commosso.

“Chiudi quella cazzo di bocca, Riley” era stata la secca risposta della sorella, che per quel che la riguardava avrebbe ampiamente preferito demolire quella macchina, con il suo conducente dentro possibilmente.

Inspira, espira.

Durante il viaggio, cercando di distrarsi con qualsiasi cosa: il cicaleccio di Violet accanto a lei, i sarcastici commenti di Neils sulla cronaca della partita, persino la musica o il paesaggio fuori, ma a nulla era servito; gli occhi di Clay rimanevano fissi su di lei ogni volta che potevano, riflessi nello specchietto retrovisore incuranti della strada.

Rimandavano un chiaro, malizioso messaggio: “Hai perso, io ho vinto”.

“Hai perso, io ho vinto”

Quel messaggio non faceva che torturarla, ogni minuto che passava l’ansia sembrava montarle addosso, facendola pentire amaramente della scelta fatta.

Era riuscita a distrarsi solo un attimo, quell’attimo necessario a permetterle di ammirare con quale determinazione e accuratezza il ragazzo avesse organizzato quei due giorni dedicati ad Halloween.

Una festa che pareva così ridicola, e al contempo eccitante, se ambientata proprio lì, in quel tripudio di volumi e stucchi bianchi e rosati, una grande villa ottocentesca messa al servizio dei mica tanto onesti desideri di quella masnada di ragazzi.

Perché non erano pochi, non erano per niente pochi: la giovane elité dell’Hundred Rose Institute e della città stessa pareva essersi riunita tutta lì; non che a lei potesse fregargliene di meno, era stato l’eccitato commento di Violet ad avvertirla.

Ora si trova seduta a quella tavola, senza aver ancora proferito che poche, scarne parole, staccando raramente gli occhi dal piatto per non dover incontrare quelli tentatori di Clay, e in definitiva, per non doversi scontrare con nessuno dei commensali.

Perché lo sapevano, molti di quei ragazzi e quelle ragazze che non aveva mai visto, perché lei era lì:

il frutto di una sfida, di una scommessa, inconcepibile e ridicola per lei, abituale ed estremamente divertente per loro.

E mentre squisite pietanze venivano servite da lusinghiere mani di camerieri, sicuramente più avvezzi ad una clientela selezionata, sfrecciavano davanti ai suoi occhi prontamente inghiottite da bocche voraci e incapaci di gustarne il sapore, fu conscia più che mai che non esagerava.

No, non esagerava affatto.

Perché erano anni, quattro lunghi anni, che non si sentiva così a disagio, la sua abituale sicurezza che vacillava pronta a creparsi e rovinare da un momento all’altro.

“Vi, dopo dormi con me, vero?” chiese poco dopo all’amica,  sedute nella stessa grande ed elegante sala di poco prima con due bicchieri dal contenuto altamente alcolico già tra le mani

Violet la guardò con evidente stupore, mordendosi appena il labbro in un gesto di sorpresa.

“Credevo dormissi… cioè, stessi con Clay stanotte. Io sto con Neils...” proferì lentamente, come una scusa.

“Aspetta: io sono qui per chiuderla con Clay. A me lui non interessa, tu lo sai questo, vero?” chiese trattenendola, sempre più incredula.

Violet accennò un sorrisino tirato, come di chi sta per rivelare un segreto.

“Andiamo Edie… sappiamo come andrà a finire, guarda che non c’è nulla di cui vergognarsi” disse, auto includendosi in quel gruppo di persone che, fino a pochi giorni prima, disprezzava.

Sapevano cosa? Quasi avrebbe voluto chiederlo.

Forse riuscivano a vedere qualcosa a lei precluso? O per amore di scommesse già effettuate, si interessavano ad una vicenda che non li riguardava nemmeno da lontano?

Sentì su di se per tutta sera il peso dei commenti e degli sguardi delle altre ragazze, che andavano dall'invidioso al derisorio.

Voleva quasi ribattere, moriva dalla voglia di tappar loro la bocca con un commento sagace, ma c'era qualcosa che le impediva anche solamente di cercare di ignorarle; forse l'esagerata inferiorità numerica e la sensazione di sentirsi un pesce fuor d'acqua, forse il desiderio di non dare spettacolo.

Ma la verità, ne era perfettamente consapevole, era una sola: il timore per quanto sarebbe successo dopo.

Così si impose di cercar di bere qualcosa, di cercare di ambientarsi in quel loro assurdo halloween, che ormai aveva quasi perso del tutto il fascino che esercitava su di lei da bambina.

Ora, come poteva vedere, era stata declassata ad una mera occasione per bere e svagarsi esageratamente.

Solo si chiedeva perché, tra tutte le location disponibili, era stata scelta proprio quella, con tutte le spese che aveva dovuto portare.              

Le risposte giunsero in ogni caso dalla metà serata in poi.

Col buio la casa pian piano assunse un’aria sempre più tenebrosa e al contempo seducente: i lunghi corridoi fiocamente illuminati ispiravano intimità, inducevano le coppie, appena formatesi o consolidate che fossero, ad avventurarvisi.

La musica, un insieme di dub step ed elettronica di dubbio gusto, sparata da potenti woofer da discoteca, diveniva sempre più assordante, portando la gente a farsi fin troppo invadente.

Quando Edie si chiuse alle spalle la porta della propria camera, sperando ardentemente che nessuno l’avesse notata scivolare lontano dalla sala, tirò un sospiro di sollievo.

Prima aveva ammirato estasiata la camera che le era toccata in sorte: incredibilmente grande ed affascinante, estremamente curata nei dettagli di due secoli prima.

Ora che invece sapeva che la sorte non c’entrava assolutamente nulla, il letto a baldacchino che troneggiava al centro della stanza, dalle intatte coperte di un viola opaco, assumeva tutt’altro significato.

Non era neanche l'una, le grida e la musica continuavano ad imperversare, e lei era lì indecisa sul da farsi, sfiorandosi distratta gli abiti che aveva selezionato con tanta cura per soddisfazione personale, ben lungi dall'essere altrui.

"Sai, adoro quelle calze: ti fanno delle gambe bellissime, estremamente sensuali"

Edie si immobilizzò, senza voltarsi. Non questa volta, nonostante l'avesse più che colta di sorpresa.

La porta svolse il suo dovere, producendo un profondo tonfo quando venne chiusa e un antico clangore quando la chiave venne rigirata nella toppa con determinazione.

"E' bella la camera, non credi? Mi è sempre piaciuto il viola, l'ho scelta apposta per noi"

"Ti sbagli, qui stanotte dormiremo io e Violet" mormorò, avvertendo la gola farsi riarsa, quasi qualcuno le avesse prosciugato la saliva.

Clay rise ad alta voce.

"Ma davvero? E Neils con chi sta facendo sesso al momento, con un fantasma, dato il tema della serata?"

Come previsto, la giovane si voltò, un'espressione sconvolta sul viso.

"Che cosa hai detto...?"

"Hai sentito bene, si stanno dando da fare in quella stanze…

Ma chi non lo farebbe con letti tanto allettanti? Sembra quasi che ti chiamino" rispose il ragazzo, avvicinandosi sempre più a lei, lasciandola indietreggiare sino a sedersi, sgualcendo le coltri setose.

Con riusciva a preoccuparsi per Violet, forse neppure voleva, ma con lui davanti era senz’altro impossibile.

Clay si avvicinava a lei perfettamente consapevole di averla in pugno più che mai, conscio che questa volta non poteva in alcun modo sfuggirle.

"Ci sono un po' di cose che desidero chiederti prima, Edie. Le ho domandate anche a Violet, ma lei si è rifiutata categoricamente di rispondermi. Sai dirmi perché?"

"Non capisco di cosa stai parlando" mormorò la giovane, seriamente confusa, mentre il ragazzo prendeva posto accanto a lei.

"Per esempio, perché ti sei iscritta a questa scuola solo in quarta. Dove sei stata in questi quattro anni? Dubito fossi in questa città, in un modo o nell'altro ci saremmo incrociati.... se ti sei trasferita, da dove e perché l'hai fatto?"

Clay la guardava seriamente interessato, senza neanche lontanamente intuire la voragine che con quelle domande stava per riaprire, sopratutto in quel momento di debolezza.

"Queste sono cose personali... Non mi piace parlarne" si affrettò a rispondere lei, evitando il suo sguardo.

"Allora credo proprio dovrò scoprirle da solo… per quanto possa essere faticoso, mi interessi troppo, Edie" concluse, sospirando con fare teatrale.

Le prese quasi distrattamente una ciocca di capelli rossi tra le dita, accompagnandogliela dietro l’orecchio,  soffermandosi diverse volte ad accarezzarle lievemente il viso.

"Lo vedi quel dipinto?" chiese indicando con un cenno una delle pareti, cui era appeso una raffinata copia di un dipinto raffigurante Cupido, angelico dio dell’erotismo e della bellezza, con tenui colori suffusi.

"Shakespeare diceva che l'Amore guarda non con gli occhi ma con l'anima, e perciò l'alato Cupido viene dipinto cieco. Tu che ne pensi?"

Di fronte all'espressione stranita della giovane, tutt’altro che interessata alle sue parole ed incredibilmente tesa, il ragazzo cercò di trattenere un’altra risata, palesandola con l’ennesimo, seducente sorriso.

"Io penso che tu debba lasciarti andare, Edie…  decisamente" concluse, un istante prima di sospingerla sulle coperte, montandole sopra con sorprendente agilità.

Eccolo, il momento tanto atteso e temuto era giunto, la resa dei conti che ora avrebbe tanto desiderato evitare.

Era facile ed umiliante perdere: Edie non aveva forza di volontà, completamente ottenebrata non osava neppure opporsi.

Neanche tanto segretamente gioiva nell'avvertire le mani di Clay risalire sulle sue cosce, sfiorando l'orlo delle parigine, infilandosi sotto la larga maglietta nera e posandosi questa volta con decisione sul suo seno.

"Non sbaglio mai le mie valutazioni... Sei davvero niente male Edie, davvero niente male..." sussurrò, chinandosi su di lei.

Clay constatò che per una volta non osava ribellarsi, ma al contempo non prendeva pienamente parte alla suo desiderio, pronto a divampare come una fiamma in quel momento.

Le tolse quasi con rabbia la maglietta, spogliandola come una bambola, incontrando le sue esili mani quando cercò di privarla del reggiseno.

Smanioso le catturò le labbra con le proprie, prendendole il sottile viso in una mano, tentando con l'altra di privarla di quel primo, inutile capo.

Era un baratro di perdizione: le mani di Clay si muovevano in voluttuosi ed instancabili palpeggiamenti sui suoi seni, le dita che tratti le solleticavano con inaudita bravura i capezzoli; si sarebbe lasciata certamente scappare una serie di colpevoli sospiri di piacere, se la sua bocca non fosse stata impegnata in altro.

La sua lingua timidamente cercava di approcciarsi all'altra, titubando se rimanere inerte o lasciarsi avvolgere dalla sua intrigante gemella.

Quando il pensiero di concedersi, se non altro per un bacio, si affacciò alla sua mente, quelle labbra perfette si allontanarono dal suo viso.

Si guardarono come sorpresi dai propri gesti: Clay era affannato, i begli occhi verdi ottenebrati da un  velo di bruciante desiderio.

Quando, sempre fissandola, si chinò sul suo petto per prenderle un capezzolo tra le labbra, Edie fu costretta ad ammette a se stessa che mai, mai nella sua breve vita aveva visto nulla di più intrigante.

Gemette: non una volta, non due, ma svariate volte sotto quella lingua esperta e precisa, con movimenti a tratti esasperanti e in altri forse fin troppo coinvolgenti.

Le mani si facevano via via sempre più indiscrete, scendevano lungo il suo corpo, premevano contro i suoi fianchi, le slacciavano gli attillati pantaloncini lasciandoli cadere a terra.

Con le dita si avvilupparono alle sue natiche, avvolgendole, quasi giocandovi a separarle per testarne morbidezza ed elasticità.

"Mio dio Edie... sei perfetta cazzo..." sussurrò il ragazzo contro quella pelle lattescente, ancora bagnata della sua saliva.

Un gesto ripetuto e ripetuto per un numero indefinito di volte, nello stesso identico modo e con lo stesso identico desiderio: guardandola, mantenendo un predominio visivo, legandola a lui con gli occhi come nemmeno catene d'acciaio avrebbero saputo fare, con due dita le abbassò le semplici mutandine nere.

O almeno, ci provò, perché incontrarono la ferrea disapprovazione di altre due mani.

"No..." bisbigliò Edie, improvvisamente timorosa di un contatto ben più profondo.

"Andiamo… dai, per favore” disse, sorprendendosi quasi a pregarla per superare quell’ultimo divieto.

Le mani della ragazza non erano comunque mosse da una grande convinzione, non dovette nemmeno sforzarsi per eludere la loro sorveglianza.

Gioì segretamente, un piccolo piacere che sempre pregustava come primo atto dell'amplesso, nello sfiorare quel giovane corpo, proprio lì nel suo punto più segreto.

Lo percorse un paio di volte, come prendendo confidenza con un nuovo territorio, per poi porvi un dito nel suo punto più sensibile.

Seguì con trepidazione ogni singolo tremito del suo corpo, restò incredibilmente affascinato da come inclinava di lato la testa, dal modo in cui inarcava la schiena e apriva le labbra tremanti in un muto gemito di autentico piacere.

Qualcosa, non seppe neppure lui capire esattamente cosa, gli fece capire che probabilmente quella era la prima volta che qualcuno si adoperava a farla godere in quel modo, dettaglio che non fece che aumentare la sua impazienza.

Quell’esile viso era un libro aperto, le emozioni contrastanti che doveva provare erano state sostituite da un unico desiderio decisamente più pressante.

Lei stessa ne era consapevole, ogni suo pensiero le pareva ovattato, solo una cosa era importante:

Clay non doveva fermarsi, non doveva assolutamente fermarsi, ed era superfluo dire che ne desiderava ancora, e ancora, e ancora…

Glielo sussurrò anche tra i denti quel "Ti prego... continua", una supplica inutile per lui, incantato dal piacere che era stato capace di creare, inutile per lei, perché aprì uno spiraglio nella barriera di autocontrollo che aveva tentato di creare, lasciando tramutare la sua voce in una chiara e limpida approvazione.

Poi qualcosa cambiò.

Fu un mutamento dapprima impercettibile, il minimo cambiamento del dito che si spostava, che affondava dentro il suo corpo con ingordigia, penetrandola forse con fin troppo affanno.

Edie spalancò gli occhi di scatto, e quando Clay ne incontrò lo sguardo, quei due pozzi scuri per la prima volta gli trasmisero un chiaro significato.

Nessuno dei due aveva idea di chi avesse detto che il tempo guarisce tutte le ferite; Edie sapeva solo che le cicatrici rimangono, che certi tagli non si richiudono mai, che basta sfiorarli per riaprirli... per poi scoprirsi incapaci di richiuderli.

L’insicurezza l’aveva condotta sull’orlo di un precipizio, un abisso di ricordi ad attenderla con dura ingordigia sotto di sé.

Chiuse le gambe con uno scatto, piegandosi su un lato per coprire la propria nudità, quasi lui non l'avesse vista fino a quel momento.

Edie aveva gli occhi sgranati, sentiva già le lacrime strozzarle la gola, premerle da dietro gli occhi.

Le sembrava quasi di sentirli come coltelli, ricordi rimasti incollati alle cicatrici degli eventi passati.

Bastava così poco a farli riemergere: prima una domanda impertinente, ora un semplice contatto fisico.

Avvertì Clay alzarsi accanto a lei, ricomporsi brevemente.

"Sei vergine, vero?" domandò inaspettatamente, infrangendo quel cupo silenzio; aveva un tono di voce strano, ed Edie non si voltò a guardarlo, annuì semplicemente.

Clay sospirò.  “Mi par di capire che non si farà più niente stasera, vero?" chiese ancora, ora chiaramente irritato, del tutto insensibile alla sua debolezza.

Lo udì allontanarsi con rabbia, lasciar perdere su di lei una serie di bestemmie e imprecazioni sdegnate e chiudere la porta sbattendola dietro di se, abbandonandola.

E solo allora, quando si ritrovò sola con se stessa e persino ancora nuda, Edie riuscì finalmente a lasciar scorrere le lacrime, a piangere con tutto il risentimento che aveva celato per così tanto tempo.

Pianse per la moltitudine di problemi che bene o male aveva causato, per le separazioni che aveva portato, per i cambiamenti che erano stati imposti  a lei e agli altri.

Pianse per le incomprensioni con Violet, pianse per il nuovo mondo in cui non riusciva ad ambientarsi, pianse perché lo sapeva, lo sapeva e lo ammetteva, di aver probabilmente perso la testa per Barclay.

Pianse per lui, per non essere riuscita a soddisfare il desiderio di entrambi, per essere probabilmente riuscita a farsi odiare.

E infine pianse per se stessa: per quello che aveva dovuto subire.
Per il destino che con lei si era rivelato così inclemente, deturpandole l’adolescenza.

 

 

“I was born with the wrong​ sign, in the wrong​ house
With the wrong​ ascen​dancy
I took the wrong​ road
That lead to the wrong​ tende​ncies
I was in the wrong​ place​ at the wrong​ time
By the wrong​ reaso​n and the wrong​ rhyme
On the wrong​ day of the wrong​ week
Used the wrong​ metho​d with the wrong​ techn​ique

 

Sono nato con il segno sbagliato, nella casa sbagliata
con l’ascendenza sbagliata
ho preso la strada sbagliata

che portava a tendenze sbagliate
Ero nel posto sbagliato al momento sbagliato
per la ragione errata e la rima sbagliata,
nel giorno sbagliato della settimana sbagliata
Ho usato il metodo sbagliato con la tecnica sbagliata”

-Wrong, Depeche Mode- 

 

 

Si svegliò di soprassalto, lanciandosi una lunga occhiata intorno prima di balzare a sedere tra quelle coperte che avvertì subito come estranee.

Al buio ne sfiorò la consistenza, ricordandosi di dove si trovava, di come prima si era rivestita e infilata nel letto; sotto le dita, gli occhi erano ancora gonfi di pianto.

Cercò il telefono, osservando le cifre “O3:47” pararsi di fronte ai suoi occhi, portando un po’ di fredda luce nella stanza.

Quasi si lasciò sfuggire un singulto di sorpresa nell'intravedere la forma del corpo di Clay, il placido viso addormentato, al suo fianco.

Nonostante tutto, era tornato lì a dormire con lei.

Eppure  in quel momento non riuscì a infonderle alcun senso di conforto.

L'arredamento ottocentesco che tanto aveva apprezzato all’inizio, ora le pareva improvvisamente rigido e grottesco, ogni mobile pareva nascondere anfratti e proiettare una moltitudine di ombre poco rassicuranti, che vincevano i pochi spiragli di luce notturna che le pesanti persiane concedevano.

Esitante sgusciò verso il bagno, in un insano tentativo di calmarsi, ma persino seduta sulla tazza del water paure infantili l'assalirono, tramortendole sia con la paura del buio, sia che con patetiche storie di demoni e fantasmi.

Era tutto così incredibilmente irragionevole, eppure in quell'assurda dimensione che è la notte, nulla pare mai ridicolo o stupido.

Ispira, espira.

In barba al tentativo di calmarsi, quasi corse tra le coperte, tremando per il  freddo e sfregandosi i piedi gelati, puntando alla cieca il telefono tutt'intorno per un'esasperante, infinita serie di minuti.

"Che cazzo stai facendo?" mormorò improvvisamente Clay con voce impastata, facendola trasalire.

Lo vide massaggiarsi gli occhi intontiti dal sonno, guardarla con sguardo dubbioso.

"Niente, niente" si affrettò lei a rispondere, rinfilandosi tra le coperte con il cellulare ancora stretto in una mano sotto al cuscino.

"Hai freddo?” suggerì il ragazzo con un filo di divertimento, noncurante del buio, venendo accolto dal solo silenzio.

"Aspetta… non dirmi che hai davvero paura! Sarebbe il colmo, visto che ho scelto questo posto apposta per…" aggiunse, sempre più colpito dall'esilarante scena.

"Fatti i cazzi tuoi Clay" sbottò irritata la ragazza, interrompendolo, arrabbiata per i suoi sciocchi timori e l’impressione sempre più peggiore che le attribuivano.

Ma Clay la sorprese, facendo il gesto più impensato, ed estremamente carino, che potesse compiere.

Edie si sentì attirare dolcemente per i fianchi, trascinata ancora raggomitolata tra le braccia del ragazzo.

Le sue mani gelide si scontrarono contro un petto incredibilmente caldo; in effetti tutto di Clay pareva bollente, dalle sue mani che le sfioravano gli arti nel tentativo di scaldarli, al suo respiro che sapeva ancora di fumo e alcool.

"Vedi Edie? Alla fine ho vinto io: sei venuta a letto con me" sussurrò infrangendo il silenzio, in un eroico tentativo di sdrammatizzare.

"Beh, alla fine hai vinto tu davvero" ammise lei controvoglia.

"Tu dici? Eppure non mi sento affatto soddisfatto"

"Mi dispiace" mormorò impacciata.

Il silenzio si propagò, le mani che tuttavia rimanevano intrecciate, intente a sfiorarsi appena.

La tentazione cullava la mente della giovane: sentiva sotto le proprie dita muscoli perfettamente definiti, sapeva che vicino a lei, celato dal buio, riposava chi era riuscito, per un agonizzante attimo di piacere, a cancellarle ogni timore del proprio corpo.

"Barclay... quando riuscirò a farlo, un giorno ti racconterò tutto…" mormorò improvvisamente, usando il suo nome per intero, sapendo già in anticipo la stupidità del gesto che stava per compiere.

"Mmh?" accennò il ragazzo, prima che sentisse due labbra gelide e sottili posarsi timidamente sulle sue.

Per un istante rimase basito, ma poi le accolse con un tenue, sincero sorriso.

Le pose dolcemente la mano dietro la nuca, avvicinandola più a se, gestendo quel bacio azzardato con incredibile perizia.

Avvertì un inconsueto spasmo allo stomaco quando Edie si aggrappò al bordo dei suoi pantaloni, ancorando visi solo per la ricerca di un appoggio, per sentirsi più vicina a lui.

Finalmente entrambi assistevano a quello che era un bacio davvero ben riuscito, che pareva aver più significato di qualsiasi altro gesto di quell’inconsueta serata: labbra che si cercavano, lingue che vorticavano senza fretta, bocche che si rincorrevano in cerca di ogni briciola di ossigeno.

Halloween era terminato, la notte faceva il suo corso: calò definitivamente su quella villa che di terrificante non aveva più davvero nulla.

Calò su ogni suo abitante: sul personale di servizio, che aveva già intravisto un’ingente serie di danni di cui occuparsi.

Calò sui pochi rimasti ancora svegli, concludendo la festa abbracciati alle poche bottiglie rimaste.

Calò sulle coppie raffazzonate, su quelle perfette, su quelle nuove: calò su Anya, che dormiva abbracciata a Connor come fosse la donna più felice del mondo, così come calò su Violet, nuda per la prima volta tra le braccia di un uomo, sveglia con gli occhi fissi al soffitto con l'infausta sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato.

E calò su Edie e Clay: il loro bacio sembrava essere durato per ore intere, prima che entrambi riuscissero a prendere sonno, storditi da una nuova, deliziosa emozione, accoccolati in una curiosa posizione a cucchiaio.

I loro respiri invadevano la stanza in una lenta nenia, quasi perfettamente sincronizzati.

Dalla parete Cupido li osservava: le parole di Clay non avevano avuto effetto, il suo sguardo li sorvegliava più implacabile che mai.

 

 

 

-Note al Testo e Deliri dell'Autrice-

Sono in ritardo, in un terribile, mostruoso ritardo. Mi dispiace, davvero, ma purtroppo questo è un mio difetto: con mille idee per la testa, finisco un po' per pigrizia un po' per troppi impegni, a non riuscire a concludere nulla. Quindi beh: sorry :3

Il capitolo è abnorme, o almeno così mi pare: mi spiace per chi salterà i pezzi o si arrenderà a metà, purtroppo volevo descrivere questi momenti in maniera perfetta, e questo mi pare di essere riuscita a farlo (yeeee! **)

Leggendo lo scorso capitolo, una mia amica mi ha chiesto se quest'"opera" non assomiglia troppo a Gossip Girl; può darsi, non è assolutamente voluto, ma parto dal presupposto che ci sono ragazzi che vivono realmente in questo modo. Io non sono (fortunatamente) tra questi, e neppure Edie. 

Edie, passiamo a lei: immagino già alcuni possibili commenti, dalla serie "Ma che cazzo fa? Ma le palle le tira fuori si o no? Ma Clay, ma gliela dai o non gliela dai?". Ok, detto così fa ridere, ma lei è forse il personaggio che mi sta più a cuore. Spoiler o non spoiler, vi prego di non giudicare troppo duramente il suo personaggio, a tratti insicuro da far schifo e in altri così sicuro da sembrare arrogante: nel suo passato ci sono avvenimenti non tanto facili da digerire, annuncio solo questo v.v

Per concludere, non nomino i personaggi così alla cazzo: Anya (che un'attenta lettrice ha paragonato a quella gnoccona di Agyness Deyn, e ha pienamente ragione, LOL) e persino Kyance Bassant (leggasi "Basshan") Kapoor, la fighissima madre di Clay, hanno la loro fondamentale importanza. E a proposito, la madre è l'identica copia a colei che considero una delle donne più belle al mondo, Aishwarya Ray **

Bene, credo di aver detto tutto. Spero sia di vostro gradimento anche questo capitolo, grazie a tutti coloro che seguono questa storia e recensiscono, e un grazie particolare a  smokeonthewater,  BabySgala,  Miss Havisham,  Giu_Olly e  nemy salvatore  

Alla prossima :3

 

Elle H.

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