Billie Joe's Dark Side

di Mike72
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


L'uomo aprì gli occhi.

Il suo sguardo inquadrò il soffitto, bianco accecante sebbene tutte le imposte fossero chiuse, che lo ricambiò come ogni mattina da vent'anni a quella parte.

Come ogni mattina da vent'anni si girò sul fianco sinistro e le cifre della sveglia di Adie proiettate sull'armadio gli dissero l'ora: 9:52 .

Si stiracchiò sotto le lenzuola, assaporando il silenzio della casa a quell'ora del mattino e lasciando vagare lo sguardo per la stanza, soffermandosi sui contorni sfumati dei mobili dovuti alla fioca luce che filtrava dalle imposte chiuse. Girò nuovamente la testa verso sinistra e scoprì che erano passati esattamente dieci minuti da quando aveva aperto gli occhi, l'orologio ora segnava le 10:02 .

Qualcosa non andava.

Qualcosa decisamente non andava.

Sbuffando, chiedendosi perché mai dopo vent'anni in quella casa non avessero ancora imparato le regole della convivenza, si tirò su puntellandosi sui gomiti e urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.

« ADRIENNE! »

Non appena ebbe urlato il nome della moglie la stessa donna entrò nella stanza, trafelata, con il giornale sottobraccio e il vassoio della colazione in mano.

« Tesoro... »

« Adrienne! » la interruppe il marito facendole a malapena aprire bocca. « Diamine, Adrienne! Possibile che dopo ben vent'anni di convivenza tu ti ostini ancora ad essere in ritardo? »

« Amore mio, lo so, io... »

« Due minuti, Adrienne! Due minuti! Sai cosa vuol dire due minuti di ritardo della colazione per una celebrità importante come me? »

« Ma tesoro, il ragazzo del latte è arrivato in ritardo, non ho potuto farci niente... »

« Ah! » esclamò l'uomo senza smettere di puntellarsi sui gomiti. « Ah, colpa del ragazzo del latte, eh? Benissimo! La ditta mi sentirà, ora per favore vediamo di fare questa colazione perché già andiamo male, oggi ».

Adie sospirò, come faceva ogni giorno da vent'anni, senza ovviamente farsi sentire, poi appoggiò vassoio e giornale sul letto, aiutò il marito a mettersi seduto e dopo avergli sistemato la colazione sulle gambe e avergli dato il giornale andò ad aprire imposte e finestre per far entrare la calda luce di settembre.

« Amore, hai visto che bella giornata oggi? » disse guardandolo sorridente mentre una folata di vento entrava nella stanza e le agitava i capelli.

« Adrienne, chiudi quella finestra, lo sai che il vento mi fa venire mal di gola » rispose lui lapidario con lo sguardo fisso sul giornale.

Tutta la gioia che Adie aveva provato appena una frazione di secondo prima se ne andò assieme alla folata di vento, come ogni mattina da vent'anni.

 

* * *

 

Billie Joe Armstrong posò l'enorme tazza vuota di caffè americano, con tanta acqua e latte come piaceva a lui, sul piattino del vassoio, accanto ad un altro piattino dove giacevano i resti del croissant alla marmellata di fichi. Spostò il vassoio sull'altra parte del copriletto, si girò di novanta gradi e si trovò i piedi infilati nelle pantofole, come ogni mattina.

Andava già meglio.

Si alzò, sentendosi fresco e riposato e pronto a scattare come una gazzella. Si diresse in bagno, dove sapeva che lo aspettavano i suoi vestiti scelti dalla moglie, e cominciò a farsi la toeletta.

Dopo essersi vestito prese dall'armadietto accanto allo specchio la scatola di lenti a contatto, ne aprì una e la mise sulla pupilla destra, che cambiò immediatamente colore trasformandosi da un castano scuro ad un bel verde brillante. Fece la stessa operazione anche per l'altro occhio e di colpo diventò il Billie Joe Armstrong che impersonava tutti i giorni: quello con i magnifici occhi verdi che tutti credevano naturali; quello che passava i giorni a suonare la chitarra e comporre nuove melodie per i Green Day; che dedicava la vita alla moglie e ai figli e che si disperava quando a settembre doveva ricordare la morte di suo padre.

Lui non era niente di tutto ciò.

Sorrise agli occhi verdi del suo riflesso che lo fissavano.

Guardò l'ora nell'orologio appoggiato sulla mensola. Avrebbe dovuto sbrigarsi, o avrebbe tardato all'appuntamento con la band.

Un'altra giornata era cominciata.

 

_____________

Mike 72's Corner

 

Bene! Questa, come ho già detto, è la mia prima FanFic... spero vi piaccia! L'idea mi è venuta di colpo, non mi ricordo neanche come, e mi sono chiesta perché mai non avrei dovuto scriverci qualcosa a proposito. Premetto che io penso tutto il contrario di quello che scrivo, adoro i Green Day e non penserei mai che Billie indossi le lenti a contatto o che sia uno sclerato che si fa portare la colazione ogni mattina alle 10 in punto... Mi auguro che non sia così! So anche che vi sembrerà un po' esagerato, ma è proprio questo che mi diverte :)

 

A presto,
 

Mike72

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Billie uscì di casa poco dopo aver messo piede fuori dal bagno. Dopo aver dato un bacio sulla fronte della moglie si chiuse la porta d'ingresso alle spalle e si girò ad osservare l'enorme e magnifico giardino della sua villa, le mani sui fianchi in un gesto di profonda soddisfazione. Joseph e Jakob erano a scuola, Adie sarebbe andata a fare la spesa e avrebbe telefonato alla ditta del latte per lamentarsi sulla consegna ritardataria, mentre a lui toccava solo andare a casa di Tré per incontrarsi con i suoi amici di sempre.

Sarebbe stata un'altra giornata – l'ennesima – dove si sarebbero divertiti a non finire chiacchierando allegramente mentre i tre garzoni del parrucchiere vicino a casa del batterista facevano la barba a tutti e tre a domicilio.

Salì sull'immenso e luccicante SUV targato California, parcheggiato nel cortile di casa appena accanto alla Mercedes di Adie, e mise in moto mentre il cancello automatico si apriva qualche metro più in là. Guidando l'enorme macchina per le stradine della collina di Oakland si ritrovò a pensare quando aveva dovuto fare quello stupidissimo servizio fotografico con quell'orribile Ford vecchia e arrugginita, che secondo i fan lui custodiva amorevolmente in garage e con cui andava in giro tuttora.

Ha!

Lui?

Con quella macchina?

Ma cosa credevano?

Fin da quando era diventato milionario, subito dopo l'incredibile successo di Dookie, non aveva fatto altro che cambiare una macchina ogni tre anni, massimo cinque. E adesso, da circa due anni, aveva quel meraviglioso SUV che adorava alla follia, con interni in pelle e ogni genere di comfort, con cui andava in giro appena poteva anche solo per fare trenta metri. Più che altro lo usava per non essere assalito per strada.

Dio, quanto odiava la gente.

La considerava appiccicosa, noiosa e assillante. Non appena metteva piede fuori casa veniva attaccato e sommerso da una massa di gente che gli chiedeva di tutto: uomini che gli chiedevano di baciare la loro testa calva; ragazzine urlanti che pretendevano tremila foto nelle posizioni più cretine (per lei, per la migliore amica, per il migliore amico, per la nonna, da mettere su Facebook e chi più ne ha più ne metta); altre ragazzine che gli chiedevano di presentare loro Joey o di baciarle; vecchiette che domandavano autografi per i nipoti...

A proposito di vecchiette.

Ce n'era una che stava attraversando l'incrocio proprio in quel momento, mentre Billie arrivava a tutta velocità dalla collina. Si fermò in tempo, le gomme stridettero sull'asfalto, il muso della macchina arrivò a mezzo metro dalle gambe della vecchietta e quella fece un salto di almeno tre metri mentre si girava a guardare il terrorista che l'avrebbe spiaccicata sulla strada se non si fosse fermato.

Lui aprì il finestrino, imprecando mentalmente contro l'aria bollente del settembre californiano, e si sporse abbastanza per riuscire a vedere la donna in faccia.

« Ehi, nonna, tutto bene? »

La vecchia lo guardava con occhi pieni di terrore, ma dopo qualche secondo riuscì ad annuire debolmente.

« S–sì... »

« Riesce ad arrivare dall'altra parte della strada con le sue gambe? »

« Sì, grazie... »

« Perfetto, » sbuffò Billie spazientito, « allora si muova che ho fretta! »

La donnina lo guardò scandalizzata, poi si sistemò lo scialle violetto che aveva avvolto attorno al collo e si incamminò verso l'altra parte della strada con aria stizzita.

Billie emise un sospiro di sollievo non appena tornò nel rilassante e tiepido gelo della macchina e partì con una sgommata dopo che la vecchietta ebbe sorpassato il muso dell'adorato SUV.

 

* * *

 

« Ehilà, Billie » gli disse Tré circa mezz'ora dopo aprendo la porta di casa.

« Ciao, Tré, ciao Mike » ribatté l'altro salutando anche il bassista. « Allora Tré, chiami quei tizi? »

« Ovvio! » rispose l'altro, e preso in mano il telefono digitò un numero alla velocità della luce. « Pronto, Zack? Sono Frank. Ciao. Senti, mandami quei tuoi tre ragazzi... Sì, loro. Perfetto. Ciao ».

« Arrivano? » domandò Mike quando il batterista ebbe posato il cordless sulla base.

L'altro annuì, e il primo si passò con un sorriso soddisfatto una mano sulla barba che non rasava da settimane, commentando: « Ottimo, avevo proprio bisogno di una sbarbatina ».

Circa dieci minuti dopo suonarono alla villa del famosissimo batterista Tré Cool tre ragazzi sui vent'anni, due ragazzi e una ragazza, che si presentarono con una busta con dentro tutto il necessario per effettuare il servizio che la band richiedeva circa ogni settimana.

Quando entrarono dentro la villa i tre giovani assunsero un'espressione sperduta ed emozionata, e la ragazza in particolare si mise ad osservare tutti i cimeli e soprammobili che Tré teneva sparsi per il salotto, dato che era la prima volta che veniva, guardando in modo particolarmente stralunato e anche un po' disgustato il tappeto di pelliccia bianca spalmato davanti al divano. Billie la notò.

« Ehi, ragazza, hai qualcosa da ridire su quel tappeto? » la apostrofò.

L'aveva regalato lui a Tré, quel tappeto, e non sopportava che la gente lo criticasse. Lei si girò di scatto, guardandolo con occhi meravigliati.

« Io... No, assolutamente niente in contrario ».

Quella frase, detta in quel modo, risuonò così “incompleta” alle orecchie di Billie che dovette concentrarsi per non perdere la calma.

« Non... Non credi che manchi qualcosa alla fine della tua frase? »

« Mi scusi? » chiese l'altra con un'espressione incredula.

Billie prese un enorme respiro, mentre sentiva la rabbia ribollire nelle viscere e gli sguardi interessati degli altri quattro puntati addosso.

« Ragazza, » disse guardandola con fare ammonitore, « non so chi tu ti creda di essere, ma so che se per caso volessi farti licenziare andrei dal tuo datore di lavoro seduta stante e tu ti ritroveresti sbattuta per strada. Punto primo, » le disse alzando un dito minaccioso, « non si critica per nessun motivo quel tappeto. E punto secondo: quando parli a noi tre devi rivolgerti chiamandoci per cognome, visto che non siamo tuoi amici, quindi per te saremo il signor Armstrong, il signor Pritchard e il signor Wright. Sono stato chiaro? ».

La ragazza lo guardava sempre più stralunata, probabilmente domandandosi chi le avesse consigliato di fare quel lavoro.

« S–sì ».

« Prego? »

« Sì, signor Armstrong ».

« Perfetto, cominciamo a capirci ».

Un silenzio imbarazzato cadde tra tutti e sei, mentre la giovane parrucchiera dava delle ultime, minuscole sbirciate al tappeto senza osare commentare. Dopo qualche secondo Tré ruppe l'atmosfera gravosa che era caduta nella stanza.

« Be'... allora andiamo, forza! La mia barba aspetta da secoli una spuntatina ».

 

 

________________

Mike 72's corner

 

Ok, devo ammettere che questo secondo capitolo non mi convince del tutto, ma non mi sono concentrata molto questo weekend ed è venuto fuori questo... Speriamo vi piaccia :D

 

Ringrazio Vale e Dave che mi ossessionano in continuazione per scrivere nuovi capitoli, _Misa_ e Gloria Jailbird per aver inserito questa storia tra le seguite e tutti quelli che leggono :)

 

A presto!

 

Mike72

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


« Va bene così, signor Armstrong? »

« Mmmmh... »

Billie girò la testa a destra e a sinistra, passandosi una mano sulle guance e osservandosi da tutti i lati nell'enorme specchio che gli stava di fronte, nella sala da bagno di Tré. Erano seduti lì da circa venti minuti su tre comodissime sedie in pelle, ognuno con il suo garzone che gli radeva la barba, di fronte ad un enorme specchio che si allungava per la maggior parte della parete.

« Sì, va bene. Già che ci sei dammi una spuntatina anche ai capelli, è da un secolo che non li taglio e ricrescono troppo in fretta... Diamine, sarò pieno di doppie punte ».

La ragazza si lasciò sfuggire un lieve sospiro, al quale Billie non aveva voglia di rispondere, e prese dalla busta un paio di forbici per capelli cominciò a tagliuzzare le punte della chioma corvina.

Dopo circa un quarto d'ora i tre ragazzi levarono le tende, venendo accompagnati alla porta da Tré mentre gli altri due si sbattevano davanti alla televisione, e quando arrivò il momento di ricevere il compenso per quella mezz'oretta di lavoro uno dei due maschi si girò verso il batterista e cercò imbarazzato di introdurre il discorso.

« Ehm, signor Wright, per quanto riguarda il... »

« Compenso? » lo interruppe Tré. « Non ti preoccupare, giovanotto, ho già pensato a tutto io! »

I tre rimasero lievemente spiazzati ma anche compiaciuti: chiedere soldi non era mai una faccenda piacevole né facile; osservarono il batterista mentre rientrava in casa e prendeva da una mensola il portafoglio e restarono ancora più sbalorditi quando l'uomo lo aprì di fronte ai loro occhi scoprendo una mazzetta di banconote da 50 e 100 dollari.

« Accidenti, » bofonchiò Tré, « non ho spiccioli! Billie, Mike, voi ne avete? » domandò agli altri due spaparanzati sul divano.

I due amici tirarono fuori dalle tasche i rispettivi portafogli, senza staccare lo sguardo dalla televisione da cui provenivano delle risate registrate, e dopo averci buttato un occhio solo Mike rispose, dicendo che “Ieri non aveva prelevato e quindi aveva solo due pezzi da 100”.

Tré sbuffò, mentre i tre ragazzi si domandavano tramite sguardi quanto volesse dargli per non mollare la banconota da 50, poi si illuminò e si cacciò una mano in tasca.

« Quanto facciamo, dodici? » chiese loro senza tirare fuori la mano.

« Ehm... »

Il ragazzo che aveva parlato all'inizio rispose titubante, scambiando un'occhiata con gli altri due e decidendo che alla fine dodici dollari a testa per mezz'ora di lavoro non era poi così male.

« Sì, grazie signor Wright ».

« Perfetto » ribatté Tré tirando fuori dalla tasca due banconote sgualcite e mettendogliele in mano. « Ecco qua, divideteli senza litigare. Se la matematica non è un'opinione dovrebbero essere... Uhm... Tre a testa? »

« Quattro » lo corresse la ragazza. « Dodici diviso tre fa quattro ».

« Ah già! » esclamò il batterista battendosi una mano sulla fronte. « Oggi sono proprio fuso... Be', tanto di guadagnato per voi allora! A presto » e chiuse la porta in faccia a tutti e tre.

 

* * *

 

« Diamine, » esclamò Tré buttandosi sul divano accanto a Mike, « prima o poi mi dissangueranno quelli là ».

« Davvero » ribatté Billie. « Quanto gli hai dato alla fine? Diciotto? »

« Diciotto? » replicò l'amico indignato. « Ti ha dato di volta il cervello? Gli ho dato dodici e che se li facciano bastare! »

« Bei tempi quelli in cui dovevamo fare la fame per avere dei soldi » commentò Mike con un sorriso nostalgico.

« Fossimo stati ai “bei tempi” non gli avrebbero dato neanche un dollaro a testa, a quelli! »

« Dai, Tré, shhh! » lo zittì Billie. « Sta iniziando il Jersey Shore! »

 

Dopo quaranta minuti il Jersey Shore finì, lasciando Billie pieno di dubbi e perplessità perché avrebbe dovuto aspettare la prossima settimana per la nuova puntata, e i tre amici decisero di chiamare il ristorante cinese di College Avenue per farsi portare il pranzo. Mentre aspettavano seduti sul divano con in mano una birra a testa, Mike fece una domanda a Billie, sovrastando la voce di un tizio in camicia bianca e capelli tinti che pubblicizzava schiuma da barba spalmandosela anche dove non avrebbe dovuto.

« Ah, Billie, hai scritto nuove canzoni ultimamente? »

Billie si girò verso di lui, scambiando uno sguardo anche con Tré, poi dopo qualche secondo dove cercarono di reprimere la ridarella tutti quanti scoppiarono a ridere fragorosamente per venti secondi buoni.

« In effetti non scrivo niente da un po', » sospirò Billie con un sorriso mentre Mike e Tré non smettevano di ridacchiare, « devo sentirmi con la mia ispirazione... Ripensandoci potrei chiamarla! Tré, prendo il telefono ».

Detto questo si alzò, afferrò la birra dal tavolino basso di fronte al divano e prese il cordless sulla mensola accanto alla porta, sul quale compose un numero abbastanza lungo. Dopo tre squilli una voce maschile dall'altra parte della cornetta rispose.

« Pronto, parla Jason White ».

« Jason! » esclamò Billie tenendo alto il telefono. « Sono Billie! »

« Billie? » ribatté l'altro con tono perplesso. « Ciao. Ehm... Come stai? »

« Splendidamente! » replicò Billie senza notare il tono strano della risposta. « Tu? »

« Io... tutto bene, grazie ».

« Bene, bene. Sono qui con Mike e Tré che ti salutano! »

« Ah, grazie... Salutali ».

« Sì, sì... Senti, Jason, » cominciò Billie con un tono più che allegro, « ho pensato di chiamarti perché eravamo qui, con Mike e Tré, che parlavamo, e ad un certo punto Mike mi ha chiesto: “Billie, hai scritto nuove canzoni ultimamente?”. Quindi io mi sono detto: “Mike ha ragione, dovrei chiedere alla mia ispirazione! Ed eccoci qua ».

« Ah... » mormorò Jason, il cui tono di voce passò dal perplesso all'incerto. « Ecco, io... Sì, ho qualcos– »

« Perfetto! » esclamò Billie senza lasciargli finire la frase e scambiando un'occhiata d'intesa con gli altri due. « Sapevo che sarebbe stato il momento giusto per chiamarti. Allora ci vediamo qui da Tré tra... Uhm... diciamo un paio d'ore? »

« Tra... Un paio d'ore? »

« Tra un paio d'ore! » confermò Billie. « Ci sono problemi? »

« Ehm... » disse Jason con tono esitante. « In realtà dovrei accompagnare Linda alla festa di una compagna di scuola... »

« Sono sicuro che tua moglie la accompagnerà al posto tuo per non sottrarti al nostro impegno » ribatté Billie con tono consolatorio. « Allora ci vediamo alle due e mezza, a dopo! »

« A dopo » salutò Jason con un sospiro.

Billie chiuse la conversazione e posò nuovamente il cordless sulla base, prendendo un sorso di birra con aria soddisfatta e girandosi verso i due amici ancora sdraiati sul divano.

« La nostra fonte di ispirazione è in piena attività » annunciò trionfante.


_____________
Mike72's corner

Be', finalmente ho aggiornato la storia! Scusate ma era da un secolo che non avevo un po' di tempo libero e non mi potevo concentrare come si deve. Questo capitolo mi piace molto, soprattutto perché penso (forse qualcuno l'avrà già capito) a quello che verrà nel prossimo (muahahahahahahahaha è.é)...
Grazie come sempre a Vale e Dave, a coloro che hanno inserito la storia tra le seguite, a quelli che recensiscono e a quelli che leggono :)

A presto prestissimo!
Mike72

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Alle due e quaranta il campanello di casa Wright trillò tutto allegro, facendo correre un rapido sguardo tra i tre uomini seduti al tavolo della cucina, di fronte ad una scatola di cibo cinese e alla televisione. Billie guardò l'ora sul suo orologio.

« È in ritardo » fu l'unico commento.

Tré non badò all'amico e schizzò ad aprire la porta d'ingresso. Gli comparve davanti un Jason un po' abbacchiato, con la chitarra su una spalla e l'amplificatore in mano, il viso leggermente pallido e delle lievi occhiaie di chi ha dormito un sonno disturbato.

« Ehilà Jason! » esclamò il batterista gioviale stringendo la mano al chitarrista.

« Ehi Tré... » rispose l'altro con un sorriso stanco.

« La mia ispirazione! » esclamò Billie uscendo dalla cucina in compagnia di Mike e dirigendosi verso il nuovo arrivato a braccia aperte. « Il tuo cervello è sempre attivo, eh? Tanto da farti arrivare in ritardo! »

« Ehm... sì... » ridacchiò Jason debolmente mentre salutava anche il bassista con una stretta di mano. « Scusate ma ho dovuto discutere per l'ennesima volta con Wynona perché insisteva sul fatto che avrei dovuto accompagnare io Linda alla festa, quindi... »

« Oh non importa, Jason, non ti preoccupare, » lo tranquillizzò Billie mettendogli una mano sulla spalla, « lo sappiamo bene che non ci hai mai saputo fare con le ragazze... Del resto anche ai tempi del liceo era così, o sbaglio? »

« Veramente... » cercò di ribattere l'amico, ma Billie, che in qualunque situazione quando partiva con un discorso non stava zitto un attimo, continuò imperterrito.

« Eh, sì, me lo ricordo bene! Non riusciva mai a beccare perché era troppo timido e le ragazze lo evitavano, così veniva da me e io gli consigliavo sempre come fare. È così che è nata la nostra profonda amicizia, non è vero Jason? »

« Sì, pr-proprio così » confermò l'altro annuendo per niente convinto.

« Com'è che si chiamava quella ragazza? Jodie? Che poi si è messa insieme a me... Evidentemente il nostro timidone qua non era proprio il suo tipo, poverina, un così caro ragazzo... »

« Ehm, , si chiamava Jodie, e , si è messa con te appena dopo avermi scaricato, » lo interruppe Jason, ora leggermente infastidito, « ora volete sentire le canzoni che vi ho portato? »

« Ma certo, caro il nostro Jasy, ovvio! » rise Billie. « Andiamo di là? »

Gli altri annuirono e tutti e quattro si spostarono in una stanza accanto alla cucina, isolata all'interno, in cui Tré teneva la sua batteria preferita e dove provavano le canzoni nuove prima di andare in studio. Si sedettero dunque ognuno nel suo posto riservato: Tré dietro alla sua fedele batteria, Billie e Mike sul lato opposto della stanza appoggiati al muro, Jason in piedi al centro della stanza, la chitarra fuori dalla custodia.

« Ehi, Jasy, vuoi una sedia? » domandò Billie.

« Oh... no, grazie, sto bene così ».

« Bene, perché altrimenti ti avrei detto “Vattela a prendere”! » esclamò l'altro scoppiando a ridere a squarciagola insieme agli altri due.

Jason ridacchiò a sua volta, senza mai esserne troppo convinto, infilò la chitarra a tracolla e la attaccò all'amplificatore, poi provò qualche accordo a caso borbottando intanto che gli altri smettevano poco alla volta di ridere. Quando cadde il silenzio, mentre Mike reprimeva l'ultimo sorriso idiota con una smorfia, il secondo chitarrista si schiarì la voce e spiegò quello che aveva portato.

« Bene... Allora... Io ho scritto una decina di canzoni... All'incirca... Tredici, e due sono d'amore, mentre le altre... Boh... sempre le solite cose diciamo, un po' di politica... »

« Sì, sì, perfetto, » lo interruppe Mike grattandosi dietro l'orecchio, « ce ne fai sentire qualcuna o vogliamo passare qui tutto il pomeriggio? Io ho da fare a casa ».

« Su, Mike, non mettere fretta al povero Jasy che rischia di emozionarsi! » rise Billie, anche se tutti i presenti sapevano fin troppo bene che lo diceva solo per stuzzicarlo come dai tempi del liceo.

Jason, tuttavia, fece finta di non aver sentito e si sistemò lo strumento sulla spalla, prese il plettro dalla tasca dei pantaloni e cominciò a suonare una serie di accordi melodici e ritmati, che facevano pensare molto alla “old-school” degli Sweet Children alle prime armi. Dopo due giri attaccò con le parole, la voce resa un po' rauca dall'emozione come ogni volta che presentava una nuova canzone alle persone di cui era schiavo da molti anni.

 

I saw you standing alone

With a sad look on your face

You call him on the phone

Looks like he left you without a trace

Tears falling out of your eyes

He's living in a disguise

You've been feeling bad for so long

You wonder if it's right or wrong

 

Why do you want him?

Why do you want him?

 

[N.D.A: so benissimo che questa canzone è vecchia di secoli ma visto che non avevo voglia di inventarmi dei versi e questi mi sembravano perfetti quindi fate finta che non esista :)]

 

Quando finì con un accordo lungo passarono parecchi secondi prima che qualcuno proferisse qualcosa, poi Billie batté le mani in uno schiocco sonoro e si alzò dalla sedia sulla quale era spaparanzato fino a poco prima, avvicinandosi a Jason con un sorriso enorme e anche un po' inquietante.

« Jason... Il nostro caro, piccolo, tenero Jason... »

Jason sorrise debolmente mentre l'altro gli appoggiava una mano sulla spalla e gli circondava le spalle in modo fraterno, sebbene lui odiasse Billie e gli altri due dai tempi del liceo.

Si erano conosciuti in un modo indefinito, parlando con una banda di amici al Gilman dopo uno degli ultimi concerti degli Sweet Children, e quando Billie aveva scoperto che Jason suonava la chitarra e un sacco di altri strumenti gli aveva chiesto se avesse mai voluto entrare nella band ed erano diventati grandi amici. Inizialmente il giovane Jason riteneva che Billie fosse un ragazzo ribelle, con un gran senso dell'umorismo e un'enorme voglia di fare, al punto che costringeva l'amico di infanzia Mike a passare la nottata in bianco a suonare piuttosto di studiare un po' per il giorno dopo o lavorare per guadagnare qualcosa con cui vivere; solo dopo, invece, quando ormai era troppo tardi tirarsi indietro, scoprì che Billie – anche se Mike non era da meno – era una persona falsa e stronza, che ingannava le ragazze che gli morivano dietro e fingeva di comporre loro canzoni d'amore mentre prendeva frasi di canzoni sconosciute e li metteva insieme e, soprattutto, che si divertiva un mondo a prenderlo per il culo, chiamandolo con quel nomignolo – Jasy – che lo faceva imbestialire ogni volta. Ad un certo punto Jason aveva anche provato a staccarsi dal gruppo, ma sia che era troppo timido, sia che Billie l'aveva ricattato nel suo solito modo subdolo e viscido, il povero chitarrista non aveva potuto dire di no ed era diventato l'oggetto preferito degli sberleffi degli altri. Quando poi Al era andato via, litigando a morte con Billie perché aveva capito qual era la vera piega che stavano prendendo le cose, Tré era spuntato poco dopo, attirato dalla voglia di comandare di Billie e Mike, e si era inserito subito mentre Jason era stato scartato. Sollevato, sperando di essere riuscito a staccarsi completamente da quel gruppo di amicizie pericoloso, Jason aveva ricevuto una chiamata circa dieci anni dopo dallo stesso Billie, che ricordandogli il ricatto con cui l'aveva trattenuto la prima volta lo aveva reinserito nella band come secondo chitarrista. E poi avanti, negli anni, sempre sfruttato e sbeffeggiato dai tre Green Day che facevano il bello e il cattivo tempo. Si era sposato con Wynona, avevano avuto Linda, ora le cose cominciavano pure ad andare male e in vent'anni non era riuscito a dimenticarsi di lei...

« Vai, Jasy, avanti con le altre canzoni! »

La voce di Billie dritta nell'orecchio destro lo svegliò dal mondo dei sogni in cui era sprofondato, dicendogli che doveva illustrare a quei nani bastardi le altre canzoni che aveva composto negli ultimi mesi.

Nella mente gli si era appena delineata l'immagine di una ragazza sui venticinque anni, con lunghi capelli mossi castani raccolti in una coda, una corona di fiori bianchi in testa e un bellissimo vestito bianco lungo fino ai piedi, abbracciata ad un ragazzo all'incirca della stessa età con corti capelli ossigenati e gli occhi di un verde brillante...

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Billie Joe Armstrong aprì gli occhi con un orribile presentimento nel cervello. Si girò verso la sveglia, pensando che Adie fosse di nuovo in ritardo con la colazione, ma scoprì che erano le 9:53 e quindi sarebbe arrivata solo tra qualche minuto.

Cos'era che lo preoccupava in quel modo?

Era forse il PD, il Parents' Day alla scuola di Joey e Jakob, per cui avrebbe dovuto andare dai professori facendosi dire quanto erano bravi i suoi figli con il rischio di essere assalito per strada?

O era il giorno del Ringraziamento o di Natale, e quindi avrebbe dovuto avere tutti i parenti in casa? No, perché era Settembre...

Settembre.

Nello stesso istante in cui pensò quella parola bussarono alla porta e Adie entrò, immancabilmente con il vassoio della colazione in mano e il giornale sottobraccio.

« Buongiorno, amore » disse sorridente.

« Buongiorno » bofonchiò Billie pensieroso mentre si metteva seduto e lanciava uno sguardo all'ora proiettata sull'armadio: le 10 precise. Almeno questa volta Adie era stata puntuale.

Srotolò il giornale mentre la moglie apriva leggermente la finestra, e quando gli occhi gli caddero sulla data il suo cuore ebbe un sussulto.

September 10.

Restò immobile a guardare quel 10 per secondi interminabili, per poi passarli sulla scritta ripetutamente come avesse avuto un tic.

10 Settembre.

La mente volò per un attimo indietro nel tempo, esattamente a trent'anni prima, mostrando l'immagine di un bambino sui dieci anni con corti capelli castano–ramati e occhi castani, in piedi di fronte ad una bara con sopra un bellissimo mazzo di fiori bianchi. Due uomini calavano la bara in un buco rettangolare scavato nell'erba, nel bel mezzo di una serie interminabile di lapidi tutte ordinate in file l'una accanto all'altra. Intorno al buco, un gruppetto di gente si stringeva gli uni agli altri, e in particolare una donna sulla cinquantina era circondata da cinque ragazzini di varie età che dovevano essere suoi figli, tanto le somigliavano. Il bambino era distante dai fratelli e non si stringeva a nessuno, né tanto meno si faceva contagiare dai visi lacrimosi dei presenti. La bara veniva collocata sul fondo della buca e i due uomini inforcavano due pale e cominciavano a tirarci della terra sopra, mentre il prete borbottava una litania di cui non si capiva neanche mezza parola.

« Hai dormito bene, tesoro? »

La voce di Adie spazzò via il flash che per un attimo aveva offuscato la mente di Billie Joe Armstrong, riportandolo alla realtà.

« Sì, bene... » borbottò, l'immagine del cimitero ancora davanti agli occhi.

« Tesoro... » esordì ancora la moglie, « Sai che giorno è oggi? »

Billie alzò lo sguardo su di lei, inspirando profondamente mentre lo faceva, e urlandole addosso tutta la rabbia che provava in quell'istante.

« SE SO CHE GIORNO È OGGI? MI STAI CHIEDENDO SE SO CHE GIORNO È OGGI?! CERTO CHE SO CHE GIORNO È OGGI! PENSI CHE IO NON LO SAPPIA? CREDI CHE UNA CELEBRITÀ COME ME NON SAPPIA OGNI VOLTA CHE SI SVEGLIA CHE GIORNO È? »

Si bloccò, respirando velocemente e senza smettere di fissare la moglie.

«Diamine, Adrienne, mi stupisco che ti abbiano dato quella maledetta laurea con l'intelligenza che ti ritrovi! » esclamò alla fine.

Adie non replicò, limitandosi ad abbassare lo sguardo, lasciando che gli insulti del marito volassero alla sua anima e la tagliassero a metà come mille coltelli.

« Lo smoking è già in bagno » disse con una voce che si sentiva a stento.

Billie non disse una parola mentre la moglie usciva dalla camera e richiudeva silenziosamente la porta. Stizzito, richiuse il giornale di scatto senza neanche aver letto il titolo dell'articolo di apertura, mangiò in tre secondi, si precipitò in bagno e cominciò a lavarsi. Appeso alla gruccia sul termosifone, lo smoking nero da cerimonia con appena sotto le scarpe eleganti, la camicia bianca e la cravatta nera sembravano fissarlo mentre si faceva la barba con apparente calma.

 

Vi chiederete il motivo di tutta questa preoccupazione, be', diciamo che il mio Billie Joe Armstrong, o se preferite il suo lato oscuro, ha sempre detestato la famiglia, e in particolare il padre... Tra poco scoprirete il perché ;)

 

* * *

 

Il SUV si fermò appena dopo l'entrata del cimitero, stridendo sulla ghiaia, appena prima di un'altra macchina color verde petrolio. Le portiere si aprirono e quattro persone in completo nero ne uscirono, formando una comitiva silenziosa che varcò il cancello spalancato in mezzo alle due siepi. La famiglia Armstrong camminò lungo il vialetto segnato dalla ghiaia, superando la chiesetta, la casa del becchino, e finendo in un vastissimo prato popolato solo da file interminabili e ordinate di lapidi di pietra. A dire la verità, in quel momento le lapidi non erano le uniche protagoniste della scena. Esattamente al centro del prato, un capannello di circa quindici persone chiacchierava a bassa voce; chi più distante, chi in coppia, chi a gruppi di tre o quattro, tutti quanti stavano nei pressi di una lapide particolare che Billie conosceva molto bene. Non appena lui, la moglie e i figli si avvicinarono al resto della compagnia, tutti gli sguardi piombarono su di loro, facendo salire l'irritazione di Billie ad un livello ancora più alto che affondò le mani nelle tasche dei pantaloni. Nel contempo un uomo sulla sessantina, con una folta barba bianca grigia, si staccò dalla folla per avvicinarsi a loro.

Era Alan, il maggiore dei fratelli Armstrong, e tra tutti quello che Billie odiava maggiormente.

Per tutta la vita, Alan aveva sempre creduto di fare da padre al fratello minore, cosa che in effetti avrebbe potuto essere senza problemi, dato che aveva 22 anni in più. Be', di conseguenza a questo fatto di parecchia importanza, Alan non aveva mai resistito all'impulso di rimproverare Billie per qualunque cosa facesse, spesso assecondato dall'ennesimo uomo che la madre si portava a casa e quasi sempre quando questa era incapace di aprire bocca. Dopo che Andy era morto (non che prima la situazione fosse migliore) Alan si era auto–eletto patriarca della famiglia, privilegiando tutti quanti all'infuori del fratello minore e costringendolo a stare nei limiti imposti dal padre che, come ripeteva in continuazione, “Era un grande uomo che sebbene non fosse più con loro era come se non se ne fosse mai andato”.

Solo cretinate.

Per come la pensava Billie, al contrario di tutti i suoi fratelli e sorelle, suo padre era sempre stato uno sfigato. Musicista occasionale e camionista per il resto del tempo, Adrew Armstrong non aveva mai contemplato la possibilità di fare dei soldi. Il suo motto era “L'uomo conta l'amore, non i soldi”. Un motto stupido, che andava perfettamente d'accordo con l'idea familiare di armoniosità e felicità e che li aveva quasi lasciati sulla strada quando era morto. Un peso sulla schiena in meno, che qualche anno dopo aveva consentito a Billie di andarsene da quella casa di idealisti sfigati per sfondare nel mondo della musica insieme a Mike.

Di tutta quella famiglia riunita intorno alla lapide che ora guardava lui e Alan lui era stato l'unico a diventare veramente qualcuno, a concludere qualcosa nella vita.

Alan gli arrivò di fronte con pochi passi, e quando furono l'uno davanti all'altro si fermarono per fronteggiarsi con sguardi ostili.

« Ciao, Billie » gli disse con la sua tipica voce profonda.

« Ciao, Alan » rispose l'altro.

Era da quasi un anno che non lo vedeva, che non vedeva nessun membro della sua famiglia dalla quale cercava di staccarsi il più possibile.

« Addirittura in compagnia, vedo » aggiunse il fratello maggiore.

Billie pensò in un attimo all'ultima volta che era andato in quel cimitero: esattamente 10 anni prima.

« Se è un problema me ne vado, non è certo la mia massima aspirazione stare qui » replicò freddo, sperando che l'altro si zittisse e lo lasciasse in pace.

Riuscì nel suo intento. Superò il fratello maggiore, senza degnarlo di ulteriori sguardi, e si avvicinò alla lapide insieme al resto della gente, seguito a ruota dalla moglie e i figli. In cuor suo sperò che tutta quella farsa finisse il più presto possibile.



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Mike72's Corner

Eccoci qua! I'm back!
Solo per informazione, non sono morta ;)
Questo capitolo devo dire che non mi soddisfa molto, ma tant'è...

A presto!
Mike72

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


« Buongiorno, signor Armstrong ».

« Buongiorno ».

« La prego, si sieda ».

Billie si svaccò sul minuscolo sgabellino accanto a quello del conduttore radiofonico, battendo il sedere su un cuscino che sembrava più duro di una pietra e imprecando mentalmente.

Si era già svegliato male quella mattina, perché sapeva cosa lo avrebbe aspettato alle 11 e non aveva nessuna voglia di presentarsi a quell'impegno decisamente scomodo e insensato, sebbene fosse troppo tardi per rifiutare. Aveva dormito male, si era dovuto alzare un'ora prima del previsto, il giornale del 14 Settembre gli aveva ricordato che di lì a due mesi sarebbe stato il Giorno del Ringraziamento e avrebbe rivisto tutti i suoi parenti, mangiando la brioche alla marmellata di mirtilli aveva sbriciolato nel caffè e l'aveva dovuto bere con tutti i pezzetti dentro, e come se non bastasse andando in bagno aveva battuto il mignolo del piede contro lo spigolo della porta e si era fatto un male del diavolo.

Era quindi, nell'ordine, scazzato, svogliato e nervoso.

Circa due settimane prima l'avevano chiamato a casa, chiedendo la sua presenza per un'intervista al programma Who's On Today? sulla stazione radiofonica KUSF di San Francisco. Billie sapeva benissimo che l'avrebbero tempestato di domande sul memorial di suo padre eccetera, ma con un'enorme dose di stupidità e neanche un minimo di cervello aveva accettato senza pensarci due volte. L'idea delle domande relative solo alla morte di suo padre anziché a lui non aveva neanche intaccato minimanente quella del fatto che se fosse andato a farsi intervistare sarebbe stato sentito in tutto la California, aumentando quindi ulteriormente la sua popolarità.

Gli era toccato quindi, appunto, alzarsi un'ora prima, prendere la macchina e guidare per mezz'ora fino allo studio dove sarebbe andato in onda per circa un'ora. Si era lasciato alle spalle Oakland sul Golden Gate Bridge*, tuffandosi nel traffico delle centinaia di camion e pendolari che ogni giorno a quell'ora passavano su quel maledetto ponte, e proprio mentre osservava nell'auto accanto una ragazza con i capelli rosso fuoco gli era venuto in mente che aveva finito le sigarette.

Tutto, diamine, tutto ma non le sigarette!

Si era anche immaginato tutta la scena: sarebbe entrato in un negozietto dove era sicuro che le vendessero, avrebbe cercato di fare più in fretta possibile, non avrebbe avuto neanche il tempo di dire "Un pacchetto di Lucky Strike blu" che sarebbe entrata una ragazzina tutta piercing e trucco che lo avrebbe riconosciuto, avrebbe lanciato un urletto stridulo e gli avrebbe chiesto di essere sommersa di autografi, foto e chissà cos'altro. E se gli fosse andata male la suddetta ragazzina sarebbe stata accompagnata da un esercito di amiche uguali a lei che avrebbero domandato le stesse identiche cose.

Avrebbe preferito evitare il tutto, ma siccome sapeva che era impossibile si era rassegnato e aveva deciso che le avrebbe comprate appena uscito dalla radio, un orario in cui con un po' di fortuna i ragazzetti erano ancora a scuola.

« In onda tra otto minuti! » strillò una voce femminile, ricordandogli che non aveva ancora neanche iniziato l'intervista.

« Sì, giusto » borbottò Robert Finnigan, il conduttore radiofonico che l'avrebbe intervistato. « Signor Armstrong, dovrebbe mettersi le cuffie ».

Billie prese un paio di enormi cuffie nere appoggiate sul tavolo di fronte a lui e se le infilò, badando bene a sistemarle in modo che non rovinassero la piega che gli era venuta quella mattina che gli dava un'aria particolarmente giovane e attraente. Del resto, se agli MTV Awards era stato più volte votato come uno dei cantanti più sexy del mondo, era tutto dovuto a quella piega.

« Provi a parlare nel microfono » disse ancora Finnigan.

« Che cosa dovrei dire? » chiese Billie stizzito guardando un affare penzolante dal muro che si trovava dritto davanti alla sua bocca.

« Non saprei, una cosa qualsiasi, dobbiamo solo vedere se funziona ».

« Be', allora mi dica come funzionerà quest'intervista, dato che purtroppo non sono nato imparato e non ho idea di come andremo avanti, poi potrò provare a parlare ».

« Oh, perfetto. Dunque, tra circa... »

« Cinque minuti! » strillò nuovamente la voce femminile, perforando i timpani a Billie nonostante avesse addosso le cuffie.

« Dicevo, » riprese Finnigan, « tra cinque minuti partirà il conteggio alla rovescia, alla cui fine ci sarà la sigla che introduce il nostro programma. Quando terminerà la sigla comincerò a parlare io, salutando gli ascoltatori eccetera e presentando il soggetto che intervisterò oggi, cioè lei. A quel punto le darò il benvenuto, lei saluterà gli ascoltatori e poi inizierò a farle le domande preparate dai registi del programma e impiegheremo in tutto circa un'ora, contando anche due spazi per la pubblicità e quattro canzoni che metteremo come intermezzo ».

« Mmh ».

« Ora potrebbe dire qualche parola nel microfono, per favore? ».

« Certamente, se sapessi cosa devo dire » rispose Billie ulteriormente stizzito.

Robert Finnigan sospirò visibilmente, sebbene cercò di farlo in modo che il suo interlocutore non potesse notarlo.

« Qualsiasi cosa, non lo so... Descriva brevemente la sua famiglia ».

Non avrebbe potuto fare domanda migliore.

Billie si avvicinò leggermente al microfono penzolante e disse giusto quattro parole per rendere quella situazione meno seccante possibile.

« Ho cinque fratelli maggiori: Allen, David, Marcy, Holly e Anna. Mia madre si chiama Olivia... Devo parlare ancora per molto? »

« No, no, è perfetto, grazie ».

Billie sbuffò. Se come "Qualsiasi cosa" gli aveva chiesto di descrivere la sua famiglia, c'era da chiedersi fino a che punto sarebbero arrivati di lì a un'ora.

Sarebbe stata un'intervista molto lunga.

 

* * *

 

 

Billie Joe Armstrong uscì dallo studio radiofonico ancora più scazzato, svogliato e nervoso di quando era entrato.

Era stata un'intervista semplicemente agghiacciante. Robert Finnigan gli aveva fatto quaranta minuti di domande assolutamente inutili e banali, rigirando sempre sugli stessi argomenti, che mai nessun giornalista o intervistatore di qualunque giornale stupido gli aveva mai rivolto. Poco fa c'è stato un memorial per i trent'anni dalla morte di tuo padre eccetera, che rapporto avevi con lui, eri molto giovane quando lui è mancato, come sei andato avanti e bla bla bla. Poi, per chiudere in bellezza, una domanda ancora più stupida e banale di tutte quelle precedenti.

« Sono passati ormai due anni dal vostro ultimo album e ancora non si sente di nuove idee: come spieghi ai fan questa lunga attesa? »

Billie aveva dovuto rispondere altrettanto stupidamente, dicendo che "tutti insieme avevano deciso di prendersi una bella vacanza" e che comunque qualche mezza idea ce l'avevano, cosa abbastanza vera dato che Jason aveva già buttato giù una decina di canzoni.

Entrò in macchina, sbattendo violentemente la portiera, e accese l'aria condizionata. L'aria gelida che cominciò ad uscire dalle bocchette esattamente davanti alla sua faccia lo rilassò leggermente, ricordandogli che si era ripromesso di comprare le sigarette. Prese dunque il portafoglio dalla tasca dei pantaloni, stupendosi di quanto fosse sottile e leggero al tatto, e lo aprì, rivelando una situazione alquanto desolante. Una sgualcita e solitaria banconota da cinquanta dollari lo fissava dalla tasca più grande, quasi implorandolo di essere spesa perché stava cominciando a sentirsi sola, abituata ad essere accompagnata da altri due o tre pezzi da cento. Billie la guardò preoccupato, poiché la carenza di pezzi di taglio maggiore al cinquanta indicava che il denaro in casa cominciava a scarseggiare.

Decise quindi seduta stante che appena sarebbe arrivato a casa avrebbe chiamato Jason per dirgli di muovere il culo a scrivere le ultime cretinate, al fine di sbatterle al più presto in cima alle classifiche di tutto il mondo e avere di nuovo il conto in banca straboccante di denaro.

Prese dunque le chiavi dell'auto dall'altra tasca dei pantaloni, le inserì nel cruscotto e si avviò verso un negozietto nei pressi del ponte dove sapeva che avrebbe trovato quello che cercava.

Arrivato esattamente di fronte al Corner Shop fermò la macchina, controllò che per strada non ci fosse nessuna figura umana di età compresa tra i dodici e i vent'anni, prese un respiro profondo, si preparò la frase da dire, aprì la portiera dell'auto e uscì. Quando la campanella sopra la porta d'ingresso tintinnò, un uomo sulla cinquantina dietro al
bancone alzò gli occhi dalla pagina dello sport del giornale del mattino, su cui c'erano due giocatori di football che si picchiavano in campo, e fissò Billie con uno sguardo profondamente annoiato.

« Desidera? »

Billie inspirò profondamente, immaginando una vocina stridula di ragazzetta che chiamava il suo nome appena dopo la fine della frase.

« Un pacchetto di Lucky Strike blu ».

Stranamente, la vocina non si manifestò. Solo un tram passò sferragliando nella via di fronte al negozio, senza essere seguito dal tintinnio di alcuna campanella. Mentre l'uomo dietro al bancone prendeva le sigarette da uno scaffale e batteva il prezzo sulla cassa, Billie non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo.

« Sono dieci dollari e sessanta** ».

Billie allungò all'altro la banconota da cinquanta, ricevendo in cambio sigarette e resto, ed era sul punto di andarsene soddisfatto quando la campanella appesa sopra la porta tintinnò e un filo della bollente aria settembrina californiana entrò nel negozio. Un orribile presentimento colpì Billie, i soldi ancora in mano nell'atto di riporli dentro al portafoglio, e un brivido freddo gli scivolò lungo la schiena. Guardò il negoziante, che aveva posato gli occhi sul nuovo cliente e sorrideva.

« Aaaah, buongiorno, signora Parker! Come sta? »

Billie si girò di scatto, puntando gli occhi su quella che era nient'altro che una vecchia all'incirca di ottant'anni, con tanto di cappellino e borsetta a fiori.

« Buongiorno, signor Wiston! » rispose la signora Parker. « Si tira avanti, pensi che ieri... »

Non appena cominciò a parlare a raffica Billie infilò il resto delle sigarette nel portafoglio e fece per uscire, approfittando del fatto che nessuno badava a lui, anche se non credeva che una vecchia di ottant'anni avrebbe potuto mai sapere della sua esistenza. Non se lo
augurava, almeno. Aveva appena messo la mano sulla porta nel gesto di aprirla quando la voce della signora Parker lo bloccò esattamente dov'era.

« ... E quindi lo stavo dicendo alla mia amica Caroline quando... Ehi, lei, fermò lì! »

Billie quasi si congelò con la mano sulla maniglia. Non era possibile. D'accordo, era famoso in tutto il mondo e le "sue" canzoni erano ascoltate da uomini e donne di tutte le età, ma non era materialmente possibile che avesse anche delle fan provenienti dal
Paleolitico! Mentre cercava di andarsene in qualche modo, la vecchia gli si era piazzata davanti e lo osservava con i suoi minuscoli occhietti grigi.

« Ci siamo già visti, giovanotto? » gli domandò.

« No, non credo proprio » replicò Billie cercando di nascondere il viso.

« Io invece credo di sì. Si lasci guardare bene in faccia ».

Billie si girò lentamente, impossibilitato di fare altrimenti. La vecchia lo scrutò, sembrando particolarmente interessata e in grado di riconoscerlo.

« Mmmmmh... » mormorò. « Lei ha l'aria di uno famoso... Quegli occhi... » Diede uno sguardo alle braccia tatuate, adocchiandole in modo esperto. « Tutti quei tatuaggi... »

Billie non ce la faceva più, sentiva il cervello della vecchia che lavorava e lo sguardo interessantissimo del negoziante che lo fissava... Cos'era, una risonanza magnetica per caso? Un esame a raggi X? Poi, dopo un tempo che parve interminabile, la signora Parker parlò.

« Aaaaah, ecco! L'ho riconosciuta! »

Era finita.

« Lei è David Beckham, non è così? »

Billie ci rimase semplicemente di sasso. Mai e poi mai nella sua vita, da quando era famoso, gli era capitato di essere confuso con un'altra celebrità. Poche volte non era stato riconosciuto, e aveva approfittato dell'occasione per fuggire dalla situazione, e molte altre volte era stato bloccato per strada per circa mezz'ora a distribuire firme e
parecchi dei suoi magnifici sorrisi prima che fosse riuscito ad andarsene. Ad ogni modo, non era mai stato confuso con qualcun altro. E con David Beckham poi! Una stella del calcio! Aveva il fisico di chi giocava a calcio, lui?

La signora Parker continuava a fissarlo, aspettando una risposta che arrivò dal proprietario del negozio.

« Ehm... Signora Parker... Io non credo che questo signore sia il famoso David Beckham, il calciatore... È sicura di non essersi confusa? »

« Non è David Beckham? » disse la vecchia stupita e quasi delusa. « Be' allora... Frank Sinatra? »

Billie guardò preoccupato il negoziante, temendo per la salute mentale della vecchia che andava, secondo lui, degenerando ogni secondo che passava. D'accordo, non si sarebbe mai aspettato di essere confuso per qualcun altro, per un calciatore come David Beckham, ma ancora di meno si sarebbe aspettato che la vecchia lo prendesse per un cantante morto da almeno dieci anni.

« No, signora Parker, » disse infatti il negoziante, « la stella Frank è deceduto 13 anni fa... »

Guardò Billie indicandogli con gli occhi di andarsene, mentre lui prendeva la vecchia sottobraccio e la distraeva raccontandole la vita di Sinatra, che evidentemente conosceva a memoria. Billie non se lo fece ripetere due volte, e appena i due furono voltati dall'altra parte aprì svelto la porta e sgusciò fuori.

Entrò in macchina distrutto, buttando sul sedile accanto il pacchetto di sigarette e aprendolo immediatamente. Accese la prima Lucky, impiegandoci un secolo perché l'accendino non voleva decidersi di funzionare, e spalancò tutti i finestrini, mettendo in moto la macchina.

Diede un ultimo sguardo al negozio, stampandoselo in mente e giurando a se stesso che non ci sarebbe mai più tornato.

Quando fu sul Golden Gate Bridge prese il cellulare e chiamò Jason, sbraitando che doveva muoversi a finire di scrivere quelle tre cagate e già che c'era che si inventasse delle melodie. Due settimane dopo avrebbero cominciato a provare.
 

 

*Golden Gate Bridge: il famoso ponte rosso che collega San Francisco al continente.

**So che sembra assurdo ma in America le sigarette costano un sacco. Non
per niente ci sono pochissimi fumatori! (e Billie è uno di quelli hehe)



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Mike72's Corner


Yeeeeeee, ce l'ho fatta! Chiedo umilmente scusa a tutte le lettrici per essere sparita ma ci sono state le vacanze e in più mi è morto il monitor del computer dove avevo salvato tutto il capitolo DDD:

    Spero di essermi fatta perdonare con questa cosa lunghissimissima ;)

A presto!!

Mike72

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Capitolo 7
*** Epilogo ***


Apro gli occhi.

Il soffitto della camera da letto, bianco accecante come da vent'anni a questa parte, sembra ricambiare il mio sguardo perso a contemplare il vuoto.

Sono esausto, nonostante la dormita profonda. Il sonno non mi riposa più. Ogni giorno è diventato una fatica da portare avanti fino a che non cala il buio, quando c'è una plausibile scusa per tornare a dormire. Ogni volta che chiudo gli occhi ho la sensazione di potermi riaddormentare e dormire per altre dieci ore, sebbene questo non accada mai.

Tendo le orecchie, sperando di cogliere ancora qualche suono nonostante la casa sia ormai deserta da circa quattro mesi. Tutto è in uno stato di completo degrado, sembra quasi abbandonata: piatti sporchi di settimane nel lavandino, la lavatrice straboccante di roba mai asciugata, due dita di polvere su tutti i mobili, erbacce ovunque in giardino, alghe nella piscina che sembra diventata una palude.

Perché tutto ciò?

In realtà non lo so nemmeno io.

Mi giro sul fianco sinistro, verso l'armadio, aspettandomi di trovare davanti agli occhi delle cifre proiettate da una sveglia che non c'è. È incredibile, dopo quattro mesi immagino ancora che quella sveglia sia lì al suo posto, come tutte le mattine, e che come tutte le mattine indichi le 9:52.

Ora al posto della sveglia c'è il mio telefono.

Mi giro sul fianco destro, allungo un braccio, lo prendo in mano e lo accendo, cercando di tenere il più possibile tutto quanto sotto le coperte. A Oakland in inverno fa freddo, anche se non sembra.

Good morning, Billie Joe! mi dice il messaggio iniziale.

Buongiorno, penso tra me e me.

Sto diventando pazzo.

Il display del cellulare segna le 9:59 di Mercoledì 17 Febbraio. Fino a prova contraria ancora il giorno del mio compleanno.

Ma quanti anni saranno? Quaranta? Quarantuno? Trentanove?

Non ho voglia di fare il calcolo, e sinceramente non mi interessa neppure saperlo. Sarà comunque una giornata come tutte le altre.

Schifosa come tutte le altre.

« Tanti auguri, Billie, anche se non sai nemmeno quanti anni ti porti addosso » borbotto ad alta voce.

Sto decisamente impazzendo.

Dò nuovamente un'occhiata all'ora sul telefono. Le 10:00 in punto, ora di colazione. Almeno, ora di colazione fino a quattro mesi fa. Da quando sono rimasto solo non la faccio neanche più, la colazione.

Ma poi, perché sono rimasto solo?

Perché la casa è in stato di abbandono?

Richiudo gli occhi, mortalmente stanco. Sento che questa volta potrei davvero addormentarmi di nuovo e dormire per altre sette o otto ore.

O magari per sempre.

O magari potrei risvegliarmi e scoprire che tutto quanto era un maledetto, fottutissimo, orribile sogno.

Voglio comunque farmi del male, prima che succeda qualunque cosa, ricordando il motivo per cui ora la mia casa e (soprattutto) la mia vita fanno schifo.

Vago nella mia mente, alla ricerca di un seppur confuso ricordo. Vado indietro nel tempo di quattro mesi, trovando una cartella immaginaria in cui sono contenute tutte le foto che cercavo. La apro, e immediatamente immagini sparse e confuse si sovrappongono tra di loro alla velocità della luce, creando un video incomprensibile e disordinato. Un po' di ordine, insomma! Dunque, prima veniva quella lì, poi quella... No, aspetta, quella era dopo, e in mezzo ci stava quell'altra... E all'inizio? Cos'era successo all'inizio? Ah, sì, ecco, ora ricordo.

Ora ricordo.

Ora ric...

 

* * *

 

[N.D.A.: È sottinteso che Billie sia appena tornato dall'intervista a San Francisco (capitolo 6).]

 

Billie aprì la porta di casa, entrando nel salotto rinfrescato dal condizionatore e respirando profondamente di sollievo. Vide i suoi figli sdraiati sul divano davanti alla televisione, Jackob che mangiava avidamente da un pacco di Pringles al peperoncino e Joey che teneva una gamba allungata pigramente su di lui.

« Ciao, papà » dissero in coro i due ragazzi.

« Si può sapere cosa guardate? » sbottò Billie senza neanche rispondere, sentendo delle voci urlanti provenienti dalla televisione.

« È la nuova puntata del Jersey Shore! » spiegò Jackob esaltato.

« Davvero? » chiese il padre avvicinandosi interessato al divano. « È iniziato da tanto? Cos'è successo? »

Jackob gli spiegò brevemente che Snooki aveva baciato Ronnie e ci era andata a letto, quindi Sammi si era incazzata di brutto e si stavano per picchiare. Tutto questo in venti minuti di trasmissione. Billie si sedette sulle briciole di Pringles, accanto al figlio che parlava, e incollò lo sguardo allo schermo, deciso a non perdersi un minuto di più del reality.

Dopo circa mezz'ora la puntata del Jersey Shore finì, con Snooki e Sammi che si erano picchiate pesantemente e tutti gli altri che ci avevano messo un quarto d'ora a separarle. In tutto questo, Ronnie era rimasto senza uno straccio di ragazza*.

Billie ci mise qualche minuto per accorgersi che nella mezz'ora passata davanti alla TV non aveva visto Adie da nessuna parte, né ne aveva sentito la voce. Cosa abbastanza strana.

« E vostra madre dov'è finita? »

« È di là al telefono » bofonchiò Joey indicando la cucina con il pollice, senza staccare lo sguardo dall'enorme schermo che tutti e tre avevano di fronte.

Billie si alzò a fatica, spinto dall'estrema necessità di chiedere a Adie che fine stessero facendo tutti i soldi ricavati dai precedenti album, e si avviò in cucina. La porta era chiusa, cosa doppiamente strana.

« E allora cos'è successo? Davvero? Ma è incredibile! »

Billie si fermò, sentendo la voce della moglie che rideva al telefono. Dalla cornetta usciva una voce non distinguibile, ma l'uomo immaginò che fosse una delle amiche del liceo di Adie o la madre, che la chiamava in continuazione.

Ma sarebbe stata più di mezz'ora al telefono con sua madre?

Avvicinò l'orecchio alla porta, sebbene non ce ne fosse bisogno, deciso ad ascoltare la conversazione.

« Mmmh, Giovedì dici? Non lo so, Jase, devo vedere... »

Billie rimase di sasso.

Jase?

Conosceva una sola persona che poteva avere quel soprannome, e di certo lui non l'avrebbe mai chiamata così.

Aprì dunque la porta di scatto, facendo irruzione in cucina e facendo fare alla povera Adie un salto di almeno venti centimetri.

« Billie! Santo cielo, caro, mi hai fatto prendere un colpo... » esalò la donna con una mano sul petto e l'altra che stringeva il telefono. « Com'è andat– »

Billie indicò l'apparecchio con il mento e lei chiuse la conversazione, perplessa, riuscendo a sussurrare qualcosa di incomprensibile prima di schiacciare il fatidico pulsante.

« Chi era? » sibilò lui, sospettoso.

« Nessuno, tesoro... Solo Jason che chiedeva se... se aveva lasciato qui i suoi spartiti dato che non li trova più... Sai, mi ha detto che l'hai chiamato... »

« E cosa devi fare Giovedì? » sibilò lui ancora più sospettoso.

« Oh, per quello niente, mi ha chiesto se andava bene che venga qui a cercarli e io non so se sono a casa, forse... Forse devo andare al cinema con la mia amica Charlotte... »

« Mmh » bofonchiò Billie poco convinto.

Quello sfigato... Ora provava anche a fregargli la moglie? E dire che era anche costretto a portarselo dietro, solo perché era grazie a lui che i Green Day erano in cima alle classifiche Rock di tutto il mondo!

Decise in quell'istante che se avesse beccato di nuovo Adie in una conversazione del genere avrebbe ucciso entrambi.

Aprì il frigo e ne tirò fuori una bottiglia di Heineken, stappandola nervosamente con il cavatappi appoggiato accanto al fornello, e cominciò appena dopo il primo sorso ad urlare addosso alla moglie, chiedendo il motivo per cui il loro conto in banca si stava svuotando. L'aveva sempre detto lui che si faceva troppo shopping in casa.

 

* * *

 

Passarono le settimane, e più trascorrevano i giorni, più Billie si accorgeva che in casa c'era qualcosa che non andava per il verso giusto. I piatti si accumulavano nel lavandino, prima sempre vuoto e pulito come fosse stato nuovo, il cestino della spazzatura traboccava un po' troppo spesso e il telefono squillava in continuazione.

Soprattutto, la telefonata era quasi sempre per Adie.

Ogni volta, ogni singola volta che squillava il telefono, non si faceva neanche in tempo ad alzarsi o ad allungare una mano che Adie era già lì, anche se fino ad un secondo prima era in lavanderia a mettere i vestiti nell'asciugatrice o al piano di sopra a cambiare le lenzuola. Era come se avesse avuto un radar nelle orecchie. E, come se non fosse bastato, appena prendeva in mano il telefono si chiudeva in una qualsiasi stanza e ci restava almeno un quarto d'ora, a discutere con chissà chi di chissà quali cose.

Un'altra cosa che Billie aveva avuto modo di notare era che l'accumulo dello sporco in giro per la casa era dovuto principalmente al fatto che proprio in casa mancava spesso la presenza femminile, ovvero colei che puliva, rassettava, faceva i letti, il bucato, cucinava e se aveva tempo usciva a prendere una boccata d'aria. O, meglio ancora, a fare la spesa.

In poche parole, si parlava ancora una volta di Adie.

Inoltre, quelle due volte su tre che Billie era riuscito ad afferrare la cornetta prima di Adie, con lei trepidante che attendeva che lui gliela passasse, era Jason che rispondeva al "Pronto?", informando il cantante su ciò che stava componendo e poco dopo domandando la presenza di Adie, visto che, a quanto diceva lui, Wynona voleva parlarle. A quel punto Billie passava l'apparecchio alla moglie e lei, immancabilmente, si rifugiava in cucina parlottando fitta fitta.

In poche parole, facendo due più due e riunendo i vari pezzi, risultava che:

  1. Adie veniva cercata costantemente al telefono, non si sa bene da chi e non si sa bene perché;

  2. Sempre Adie non era mai a casa, o perlomeno dava quest'impressione: usciva appena dopo aver dato la colazione al marito, tornava per preparare il pranzo, riusciva, ritornava per cena. A volte usciva anche la sera, dicendo che andava al cinema con questa o quell'amica, ma per il resto nessuno sapeva dove andasse.

  3. Wynona e Adie dovevano avere ottimi rapporti, dato che si parlavano apparentemente almeno due volte al giorno, e ad un tratto avevano cominciato ad uscire insieme molto frequentemente. Cosa che a Billie non risultava.

La situazione quindi puzzava, e anche tanto, ma Billie non aveva alcuna voglia di indagare. Era abbastanza preso dalle prove per il nuovo album, e siccome con Mike e Tré aveva constatato che servivano soldi subito, aveva schiaffato tutti quanti in sala prove tre ore al giorno, tre giorni alla settimana. Se fosse andato tutto secondo i piani verso Gennaio i soldi avrebbero ricominciato ad affluire nelle loro tasche, senza più smettere almeno fino all'anno seguente.

 

* * *

 

Quel giorno, quel fatidico giorno che non avrebbe mai dimenticato, Billie rincasò verso le quattro del pomeriggio, tornando da una mezza giornata passata in allegria a casa di Mike con i suoi due compagni di avventure.

Era appena sceso dalla macchina e si stava avviando verso la porta di casa, con la brezza di inizio Ottobre che gli rinfrescava il viso e gli agitava leggermente i capelli. Passò davanti alla finestra della cucina, rimasta aperta per lasciar entrare un po' d'aria, e appena l'ebbe superata sentì provenire da lì delle voci che discutevano animatamente. Erano indiscutibilmente due persone, un uomo e una donna, e non appena Billie riconobbe i timbri di entrambi si bloccò sul posto. Conosceva più che bene le persone che stavano parlando.

Tornò indietro, fermandosi davanti alla finestra aperta. In mezzo alla stanza, Adie e Jason si fronteggiavano, con solo il bancone e i quattro sgabelli a separarli. Adie appariva spaventata, o perlomeno incredibilmente stupita, mentre Jason era tutto rosso in faccia e sventolava un foglio che a Billie sembrò incredibilmente familiare.

« Jason... Calmati... » balbettava Adie.

« Jason un corno! » urlava il chitarrista sventolando il foglio. « Adie, tu le hai lette le parole di questa canzone! Le hai lette! »

« Sì, Jason, ma... »

« E ricordi il ritornello, » la interruppe Jason respirando profondamente, « lo so che lo ricordi ».

Adie annuì, poi dopo qualche secondo canticchiò timidamente il pezzo della canzone a cui alludeva l'altro. Aveva una voce flebile, tutto sommato intonata, con cui cantò una musica che Billie aveva già sentito, ma non ricordava dove.

Quando smise ci fu un attimo di silenzio, poi Jason riprese a parlare, stavolta con calma.

« Be', immagino che tu abbia capito... »

« Capito cosa, Jase? » chiese Adie perplessa, vedendo che l'altro aveva smesso di urlare.

« Che... Che questa canzone parla di te ».

Billie, che interessatissimo seguiva la conversazione da qualche minuto, ci rimase semplicemente di sasso. O di merda, se pensate di capire meglio il concetto.

Cioè, fermi tutti. Qualcuno metta in pausa, ingrani la retromarcia, torni indietro, blocchi tutto!

Jason aveva scritto una canzone per Adie?

Jason aveva scritto una canzone per Adie?!?!?!

Non poteva essere vero, semplicemente non poteva!

Inutile dire che questa dichiarazione, così esplicita e diretta, senza intermezzi, senza balbettii né altro, aveva completamente spiazzato entrambi i coniugi Armstrong, l'una dentro e l'altro fuori casa.

Adie non sembrava più in grado di dire una parola. Era appoggiata al fornello, le mani che tremavano e stringevano forte il bancone come se stesse per crollare da un momento all'altro, la bocca semiaperta e lo sguardo perso. Jason la guardava dal centro della stanza, ora non più rosso in faccia come prima, il foglio con sopra le parole della canzone ancora in mano.

« Adie... » disse dopo attimi interminabili di silenzio, « Io ti ho visto piangere per lui, ti ho vista con i miei occhi più volte, proprio come dice la canzone. Ogni volta ti ho consolata, quando ho potuto, ti ho consigliato cosa fare e come agire... e ti ho vista sorridere, ed è stato bellissimo. Ma poche volte ti ho vista ridere insieme a lui, fare battute, scherzare, troppe poche volte ti ho vista veramente felice... »

Alle prime parole di Jason, Billie si bloccò un'altra volta. Gli era scattato un meccanismo nel cervello che, sommando la melodia cantata da Adie qualche secondo prima, aveva composto la scena a casa di Tré in cui la "sua ispirazione" aveva cantato una canzone intitolata Why Do You Want Him?. Lui l'aveva preso in giro come al solito, dandogli del romantico, sdolcinato, sentimentale eccetera, e ora veniva a scoprire che quella canzone in realtà era dedicata a... sua moglie?

Da questo, dedusse quindi che indubbiamente Jason parlava di lui quando diceva che Adie aveva pianto per qualcuno.

E con disprezzo, per giunta, ingrato ipocrita del cazzo! Lui gli aveva donato la fama e i soldi che non aveva, lui l'aveva portato sulla via del successo insieme ai Green Day, quando avrebbe potuto benissimo scaricarlo, lui aveva fatto tutto! Lui, lui, lui! Lui, Billie Joe Armstrong! E che dire poi di Adie? Sempre lui, sempre Billie l'aveva sposata e le aveva garantito una vita piena di agi e soddisfazioni, eliminando l'ansia dei problemi economici, del lavoro, del badare ai figli... E lei lo ripagava così? Cedendo alla dichiarazione del primo sfigato che passava per strada?

Con questi pensieri in testa, Billie si diresse quasi al galoppo verso la porta d'ingresso. La aprì, entrò come un uragano in casa e si diresse dritto verso la cucina, senza neanche badare al fatto che Cleveland** lo guardava incuriosito dallo schienale del divano. La porta era chiusa, e Billie non badò neanche a sentire cosa si stessero dicendo gli altri due che la spalancò e fece irruzione nella stanza, attirando su di sé gli sguardi terrorizzati della coppia.

« Billie! » esalò Adie con un gridolino. « N–Non è come sembra... »

« Ah, voglio proprio vedere! » minacciò lui guardandola. « E TU! », abbaiò a Jason, « Giù le mani da mia moglie! »

Jason, infatti, vedendo che la situazione andava rapidamente degenerando, appena aveva visto Billie irrompere furioso nella stanza aveva superato il bancone e gli sgabelli che lo separavano da Adie e le aveva afferrato le mani, che teneva ancora strette e non sembrava aver intenzione di lasciare.

« Adie! » disse guardandola, e la donna si girò angosciata per fissarlo dritto negli occhi.

Anche Billie guardò Jason, e notò che la sua espressione era totalmente diversa da com'era quando lui si era appostato fuori dalla finestra. Era totalmente diversa da qualsiasi espressione che avesse mai visto sulla sua faccia in più di vent'anni che si conoscevano. Jason era determinato, adesso, e pareva che nessuna cosa al mondo avrebbe mai potuto intimidirlo come al suo solito e farlo scendere dal piedistallo su cui si trovava.

« Adie... » ripeté, senza smettere di tenere le mani di lei nelle sue.

Sospirò.

« Ti amo, Adie. Ti amo, ti amo, ti amo. Ti amo adesso come ti amavo vent'anni fa e come ti amerò fino alla morte. Ti ho sempre amata più di chiunque altra e devi credermi quando dico che lui non ti merita. E sai perché lo dico? Perché tutte le canzoni come 2,000 Light Years Away, She, Extraordinary Girl, Last Night On Earth, When It's Time, non sono nate a causa di Wynona o altre, ma solo ed esclusivamente perché esistevi tu ».

Prese un respiro profondo, mentre tutto intorno il silenzio regnava. Non un cinguettio, un fruscio, un rumore per strada. Anche la brezza ottobrina aveva smesso di agitare le foglie del giardino per ascoltare la più bella dichiarazione d'amore mai esistita.

« Adie, » proseguì, « sei tu che ridi insieme a me anche se non posso vederti, sei tu che urli in silenzio, tu sei straordinaria in un mondo ordinario che non mi appartiene, tu sei colei a cui spedisco tutto il mio amore, tu mi sveli quand'è ora di dirti che ti amo... E mi spiace per non essere stato in grado di dirtelo prima. Ho sperato di dimenticarti con Wynona, davvero, e ho riprovato ancora con la nascita di Linda, ma non ce l'ho fatta, e ogni sera da vent'anni mi addormento pensando a te. Perdonami ».

La sua voce si spense, e delicatamente le mani lasciarono la presa su quelle della donna. Sia Adie che Billie erano basiti, stupefatti, increduli e chi più ne ha più ne metta. Adie sembrava avesse perso completamente l'uso della parola: fissava Jason con la bocca semiaperta e la sua espressione era illeggibile. Billie, a sua volta, faceva andare gli occhi dalla moglie al chitarrista e viceversa, come se fosse stato in una specie di trance, incapace di fare altro.

 

[Avete capito ora chi è la ragazza in abito da sposa della visione avuta da Jason (capitolo 4)? ;)]

 

Dopo qualche secondo di silenzio totale, tuttavia, si risvegliò e si accorse dello stato catatonico in cui si trovava. Lo sguardo gli cadde su Jason, che guardava Adie con un lieve sorriso sulle labbra ma non osava più toccarla. Improvvisamente, rendendosi conto di ciò che era appena successo, la rabbia mista all'istinto omicida gli fece contrarre la mascella e serrare i denti. Con un grido e un ringhio si lanciò verso il chitarrista, che si girò verso di lui con occhi terrorizzati.

« Billie! NO! » urlò Adie.

Il marito non la ascoltò e continuò la sua corsa verso un Jason assolutamente sconvolto. Quando questi si rese conto che l'altro a breve gli avrebbe messo le mani addosso, tuttavia, si lanciò dietro al bancone in un tentativo disperato di ripararsi con gli sgabelli. Billie gli corse dietro, mentre Adie si buttava al suo seguito per cercare di fermarlo. Dopo aver girato per due volte intorno alla stanza, con Jason che abbatteva sgabelli nel tentativo di bloccare l'impeto rabbioso e omicida dell'altro, questo si ritrovò braccato contro il bancone. Nel frattempo Adie aveva agguantato il marito per il braccio, esattamente di fronte al chitarrista, e lo supplicava con una vocina isterica di lasciar stare, di non pensare a ciò che era appena accaduto, ma Billie non sembrava la sentisse e guardava Jason con uno sguardo di fuoco.

All'improvviso, un soffio di aria fresca colpì il chitarrista esattamente sul collo, provocandogli un brivido che gli fece rizzare tutti i capelli che aveva in testa. Nello stesso identico istante un'idea gli illuminò la mente, facendogli realizzare che aveva alle sue spalle la finestra ancora aperta. Per un attimo pensò che era un'idea totalmente folle, che non avrebbe mai potuto farlo e si sarebbe rotto il collo, ma vedere Billie che avanzava verso di lui gli fece pensare che se non si fosse dato una mossa il collo ce l'avrebbe avuto rotto comunque. Se non peggio.

Sono pazzo.

Appena l'ebbe pensato, non sapendo assolutamente cosa e soprattutto come fare, decise di seguire l'istinto. Fece leva con le braccia e si sedette sul bancone, trovandosi di fronte alle facce di Adie e Billie che lo guardavano sbigottiti. A quel punto si tirò su in piedi, colpendo con il piede una tazzina da caffè e mandandola a terra in frantumi, alzò la testa e guardò Adie. Lei lo fissava con lo sguardo spaventato, completamente ignara di quello che stava per fare, come del resto lo era lui. La guardò intensamente, fissandosi l'immagine bene in mente poiché sapeva che non l'avrebbe rivista tanto presto.

Poi senza dire una parola si girò e si lanciò fuori dalla finestra spalancata, mettendosi a correre attraverso l'immenso giardino degli Armstrong appena ebbe toccato terra***. I due coniugi non fecero neanche in tempo a rendersi conto di ciò che era appena accaduto che lui aveva già scavalcato il cancelletto d'ingresso e si era dileguato nel nulla.

 

* * *

 

Il taxi frenò, esattamente di fronte agli scalini che portavano al cancelletto della villa. Billie Joe Armstrong aprì la portiera e uscì, trovandosi davanti alla sua dolce casetta che non vedeva da circa tre giorni. Respirò profondamente, contento di essere di nuovo a Oakland. Pagò velocemente il tassista, prese la minuscola valigia che si era portato e si diresse su per le scale, assaporando il momento in cui si sarebbe svaccato sul divano davanti alla TV.

Mentre camminava per il giardino, trascinandosi dietro la borsa, vedere la porta d'ingresso che si avvicinava sempre di più gli fece pensare a quello che era capitato solo la settimana precedente, quando Jason si era dichiarato a Adie di fronte a lui stesso.

Se solo ci ripensava bolliva di rabbia.

Se poi ricordava, con fastidio, ciò che aveva dovuto fare appena dopo che Jason era sparito, gli fumavano le orecchie.

Per la prima volta in vent'anni di convivenza, infatti, aveva dovuto alzare le mani sulla moglie. E questo ovviamente lo seccava parecchio, dato che così era lui che passava per quello che si era comportato male. Neanche il week-end trascorso a New York con Mike e Tré, richiesti insieme a lui per un'intervista, era riuscito a cancellare l'accaduto. Ovviamente ne aveva parlato con i due amici, che l'avevano sostenuto dicendo che aveva fatto solo bene, che Jason era proprio un nano bastardo e che Adie aveva dovuto assolutamente essere rimessa sulla retta via, tuttavia non riusciva ancora a perdonarsi di aver potuto compiere un gesto così plebeo. Non che avesse rimpianto ciò che aveva fatto, per carità, ma aveva dovuto metterci ben un'ora per convincersi di aver fatto la cosa giusta.

Mentre si avvicinava alla porta d'ingresso, ad ogni modo, notò che la casa aveva un aspetto strano. Tutte le finestre che davano sul giardino erano chiuse, comprese quelle del secondo piano, nella piscina c'erano parecchie foglie che non avrebbero dovuto esserci e nessun cane o gatto era sdraiato al sole a riposare come al solito.

Molto strano.

Appena fu arrivato di fronte all'enorme portone suonò il campanello, aspettando che qualcuno gli venisse ad aprire al più presto. Nessuno rispose.

Risuonò, con lieve impazienza, e ancora una volta nessuno venne ad accoglierlo all'entrata.

Doppiamente strano.

Mentre prendeva le chiavi dalla valigia, ora decisamente spazientito, si chiese come diamine fosse possibile che nessuno fosse lì ad aspettarlo, sapendo perfettamente che lui sarebbe ritornato quel giorno.

Aprì la porta, chiusa totalmente con quattro giri di chiave, ed entrò in casa.

« Ehilà? »

Niente. Nessuno venne a salutarlo, nessuna figura femminile uscì dalla cucina, nessuno che potesse assomigliare ai suoi figli scese dalle scale del piano di sopra.

« Adrienne? » chiamò ancora, alzando la voce. « Joseph? Jackob? »

Nulla, nessuna risposta.

Saranno andati a fare un giro.

Alzò le spalle, lasciando la valigia davanti alla porta e andando a svaccarsi sul divano, esattamente come aveva premeditato appena aveva posato piede in terra californiana. Prese il telecomando, pronto ad accendere la TV, quando appena ebbe posato lo sguardo di fronte a sé notò uno strano bigliettino appiccicato sull'apparecchio. Incuriosito, si alzò e si diresse verso il mobile per staccarlo, poi si risedette sul divano.

Era un foglietto semplice, probabilmente preso da un quaderno, su cui c'erano parecchie parole scritte con una calligrafia elegante e minuta, che a Billie sembrò di avere già visto. Le lettere erano ravvicinate tra loro e traballanti, con sbavature d'inchiostro qua e là, il che significava che il tutto era stato scritto di fretta e da una persona in preda al nervosismo.

Billie non aveva nessuna voglia di sapere cosa ci fosse scritto là dentro, visto che il biglietto era anche parecchio lungo, ma pensando che forse vi era spiegato il perché di tutta quella strana situazione si fece forza e cominciò a leggere.

 


Caro Billie,

 

immagino che tu ti stia domandando il perché di tutto questo. Di come mai le finestre siano chiuse, la piscina sia piena di foglie e non ci sia nessuno che prenda il sole, né persone né animali. Tutti in famiglia sapevamo benissimo che saresti tornato oggi da New York, ma per un motivo particolare non siamo in casa. Non è perché siamo al cinema o allo Shopping Mall di Berkeley a fare un giro, e neanche a vedere Joey che suona con i suoi amici o Jackob che fa la partita di Baseball.

Vorrei poterlo dire in un modo meno schietto, ma non ho molto tempo e perciò non posso farlo.

Semplicemente non siamo in casa perché non torneremo mai più a Oakland.

Hai letto bene, non torneremo mai più.

Non credo che tu potrai mai capire quant'è difficile per me scrivere questa lettera, come non hai mai capito niente di tutto quello che ho provato a dirti o farti capire in vent'anni. Però io ci provo lo stesso. Non riesco a trovare un punto d'inizio per ciò che stai leggendo, perché non so neanche esattamente dove arriverò alla fine, ma posso dire che tutto è cominciato poco dopo l'anniversario della morte di tuo padre.

Già da qualche tempo non mi sentivo bene a casa. Non che fosse cambiato qualcosa nel nostro stile di vita, anzi, era invariato come lo era sempre stato da quando vivevamo insieme, ma era qualcosa di diverso, che veniva dall'interno.

Mi sentivo cambiata io.

La vita insieme a te non mi entusiasmava più. Non che l'abbia mai fatto, a dire il vero, ma mentre prima mi sentivo tutto sommato in pace con me stessa, in quei giorni mi sentivo in conflitto con la mia stessa anima. Più che altro, perché mi ero accorta di aver trovato qualcun altro che mi faceva stare meglio di quanto stessi a casa. Forse l'avrai già capito, quella persona era Jason. Durante queste settimane, in cui avevo cominciato ad uscire molto spesso, il telefono squillava sempre per me eccetera, era sempre Jason. Tutto è iniziato quando io ho risposto una volta al telefono, mentre lui cercava te, e siamo stati più di dieci minuti a chiacchierare e scherzare in allegria. Dieci minuti non sono tanti, lo so, ma è più di quanto io abbia mai fatto con te da quando ti conosco. Riassumendo, io e Jase abbiamo cominciato a darci appuntamenti, all'insaputa tua e di Wynona, e all'insaputa di entrambi abbiamo scoperto di stare veramente bene insieme, ognuno in pace con se stesso e con il mondo.

Alla fine, be', vedi tu stesso come sono andate le cose. Casa deserta, tutti spariti... Jason mi ha intercettata al supermercato una settimana fa, mentre facevo la spesa, appena dopo l'accaduto in cui eri presente anche tu. È corso da me e mi ha detto che non dovevo essere spaventata, anzi, e che avremmo dovuto approfittare del fatto che tu saresti stato via un intero week-end per fuggire insieme.

Ha detto proprio così, “fuggire insieme”. Io e lui con Joey e Jackob e se volevamo anche gli animali. Inutile dire che mi ha immediatamente convinta, poiché in quel momento ho scoperto di amarlo anch'io.

Billie, voglio dirti una cosa in questa lettera che non ho mai avuto il coraggio di dirti.

Io non ti ho mai amato.

Non so esattamente perché io ti abbia sposato. Forse semplicemente non avevo nessun altro con cui stare o nessun posto migliore dove andare, diciamo che tu e la California mi sembravate l'abbinamento migliore, in confronto ai miei e al Minnesota.

Detto questo, cerco di chiudere questa lettera, sono le 09:00 e siamo in partenza.

Non provare a cercarci. Nessuno dei nostri amici sa che stiamo partendo né dove siamo diretti, Wynona stessa e Linda lo scopriranno oggi con una lettera del genere da parte di Jason. Non provare a telefonarci, abbiamo tutti cambiato numero di telefono e quello che avevamo prima è stato cancellato.

Sul bancone della cucina c'è la copia delle carte del divorzio che ti ho fatto firmare martedì, mentre guardavi il Jersey Shore, e dato che come al solito non mi stavi considerando hai scritto senza fare una piega. Sappi solo che da sabato non siamo più marito e moglie****.

Detto questo devo proprio andare, dobbiamo partire o troveremo traffico.

Addio,

Adie

 

 

Billie smise di leggere.

Non era possibile. Non era neanche lontanamente possibile.

Adie l'aveva... L'aveva...

Be', l'aveva lasciato.

Se n'era andata.

Aveva preso figli, animali e bagagli ed era sparita nel nulla. Aveva fatto il passo più lungo e azzardato di tutta la sua vita, che Billie non credeva avrebbe mai potuto fare. Per non parlare di Jason.

Rilesse la lettera, provando ad individuare un indizio che gli dicesse che era tutto uno scherzo, che non l'aveva fatto sul serio, ma non ne trovò. La rilesse ancora, più e più volte, imparando a memoria ogni piccola sbavatura e cercando ossessivamente qualsiasi cosa che gli potesse dire da che parte erano andati, dov'erano diretti, ma Adie non faceva riferimento a nulla. Non parlava di macchine, autobus, aerei, navi, di assolutamente niente. Per quanto ne sapeva Billie, tutti avrebbero potuto essere ancora a Oakland come in viaggio verso il Maine o il Cile, dalle due parti opposte del continente.

Dopo qualche minuto di ricerche a vuoto e tentativi d'interpretazione del biglietto, Billie si buttò sull'ultima speranza che gli era rimasta. Prese rapidamente il cellulare dalla tasca, volò sulla rubrica e la scorse febbrilmente per pochi istanti, fino a quando non arrivò al nome “Adrienne”. Appena ci capitò sopra schiacciò su “Chiama” e attese.

Avanti, rispondi.

Nessun suono uscì dal telefono, neanche il tipico tuuuu dell'altro cellulare che squillava.

Rispondi, diamine, rispondi!

Bip!

« Siamo spiacenti, il numero da lei chiamato è inesistente ».

Un altro “Bip”, rapido e istantaneo come il precedente, interruppe la chiamata. Billie non ci poteva credere.

Non era vero, non poteva essere vero.

Mentre l'ansia accelerava il suo battito cardiaco si precipitò di nuovo sulla rubrica e chiamò tutti gli altri: Jackob, Jason e Joey; ma nessuno gli rispose. Ad ogni chiamata passava qualche secondo di silenzio, poi la stessa voce registrata gli diceva che il numero non esisteva più. Così per dodici volte, poiché lui non voleva convincersi che il tutto stesse accadendo veramente.

Abbiamo tutti cambiato numero di telefono e quello che avevamo prima è stato cancellato”... “Nessuno dei nostri amici sa che stiamo partendo né dove siamo diretti”...

Le parole gli rimbombavano in testa, come se la voce stessa di Adie le stesse ripetendo ossessivamente.

Spariti, svaniti nel nulla.

Era rimasto solo.

 

* * *

 

Apro gli occhi.

Diamine, mi sono addormentato di nuovo. E questa volta sul serio.

È stato orribile ricordare tutto quanto. Sembra tutto così incredibilmente... vicino.

Però, fermi tutti, manca ancora una cosa da ricordare.

Già, perché mia moglie può avermi lasciato, d'accordo, può essere scappata con il chitarrista della mia band, d'accordo... Ma qual è la mia situazione adesso?

Be', ve lo dico io.

Poco tempo dopo la scomparsa dei quattro fuggitivi, sebbene io mi fossi raccomandato con Mike e Tré di non parlarne assolutamente con nessuno, la notizia è venuta fuori.

Già, è spuntata come un grillo sulle prime pagine dei giornali di tutta Oakland, e poco dopo anche su quelli del web.

Tutta colpa di quella stupida di Wynona, che non potendo credere al fatto che l'ex-marito l'avesse lasciata con un palmo di naso si è precipitata alla polizia per denunciare la sua scomparsa. Inutile dire che li hanno cercati ovunque, ma di loro non si è vista neanche l'ombra, neanche una punta di un'unghia. Sembrano davvero essere svaniti nel nulla.

Per quanto riguarda i Green Day, be'... Ci siamo ritrovati senza ispirazione. Jason ha fatto sparire tutte le partiture e i testi che aveva scritto, e avevamo provato e ultimato solo la prima canzone. Nel frattempo la casa discografica ci diceva che dovevamo fare in fretta, altrimenti non avremmo visto neanche un soldo, così abbiamo dovuto arrangiarci, io, Mike e Tré. Noi, che non avevamo mai scritto una canzone in tutta la nostra vita.

Be', che dire? Ci abbiamo provato.

Già, ci abbiamo provato, ed è uscito uno schifo. Un vero schifo.

Inutile dire che i fan e soprattutto le radio non l'hanno apprezzato per niente, quest'ultimo album. La nostra popolarità è calata a picco, non abbiamo ricevuto nessun Grammy Award e per di più, poco tempo dopo, si è scoperto il vero lavoro di Jason all'interno dei Green Day.

Proprio così, tutti hanno scoperto tutto quanto.

Non so come sia successo esattamente, diciamo che è accaduto e basta. Adesso i Green Day non esistono più, su Facebook la pagina ufficiale è passata da più di venti milioni di fan a mille scarsi e su Twitter non mi segue più nessuno. Io, Mike e Tré, poco tempo fa il simbolo della riscossa del Punk-Rock, siamo caduti nel dimenticatoio della scena musicale mondiale, buttati in cantina come un divano vecchio e ormai inservibile.

E per di più io sto raschiando il fondo del mio conto in banca.

E dire che solo quattro mesi fa avevo tutto quello che un uomo può desiderare: fama, soldi, famiglia...

Non ho mai più sentito la voce di nessuno di loro, meno che mai di quel bastardo che mi ha rovinato la vita. Nessuno sa ancora che fine abbiano fatto, e probabilmente nessuno lo saprà mai.

Eppure, dopo tutto, li invidio, i quattro fuggitivi. Li invidio poiché credo fermamente che al momento siano le persone più felici al mondo.

Ma perché improvvisamente mi sento le guance bagnate e gli occhi che bruciano?

Stupide, stupide lacrime.

 

 

 

 

 

*N.D.A.: io assolutamente NON guardo il Jersey Shore, Dio me ne scampi. I nomi dei tizi li ho trovati su Wikipedia e ho inventato delle relazioni.

**Cleveland: per chi non lo sapesse, il gatto degli Armstrong.

***N.D.A.: vi ricordo che, abitando in una villa, tutti si trovano al piano terra, quindi non immaginate che Jason si butti dal secondo o terzo piano per salvarsi dalla furia omicida di Billie xD

****Ok, è impossibile che Adie e Billie si separino in così poco tempo, ne sono perfettamente consapevole. Io non ho la più pallida idea di come si svolga un divorzio (se ci vada un incontro con entrambi i coniugi o altro) e mi sono affidata completamente a Wikipedia, che dice che in America ci va un periodo di attesa dai sei mesi ai due anni prima della separazione, quindi perdonatemi se la cosa è totalmente irreale. Diciamo... uhm... licenza poetica?






 

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Mike72's Corner

 

 

Be', miei cari, questa è la fine (possiamo dirlo, no?) di questa FanFic, che ha appassionato moltissimo me mentre la scrivevo e spero anche voi mentre la leggevate ;)

Questo epilogo vi sembrerà incredibilmente drammatico, lo so e mi dispiace, ma devo ammettere che non avevo più idee e visto che già da un pezzo rimuginavo su questa fine ho pensato di darci un taglio. Dieci pagine di Word come conclusione non mi sembra affatto male!

Finisco di stancarvi, dopo questo capitolo eterno non è bene che anche il mio commento sia interminabile. È stato bellissimo, ma si sa, il bel gioco dura poco. Spero di avere presto altre idee frizzanti e originali, e tornerò solo ed esclusivamente se avrò qualcosa di degno da proporvi.

Ringrazio tutti coloro che hanno letto, recensito, seguito e amato questa storia, o anche solo coloro che ci hanno dato un'occhiata e non sono più tornati. Ringrazio i Green Day per avermi dato la possibilità di scrivere questa storia e Billie Joe Armstrong per essersi prestato a fare da protagonista, sebbene abbia dovuto recitare la parte oscura (e spero inesistente) di sé.

Grazie di cuore a tutti quanti.

A presto!

 

Mike72

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