The son of rage and love

di Nina Rigby
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Jesus of Suburbia ***
Capitolo 2: *** Holiday ***
Capitolo 3: *** Boulevard of Broken Dreams ***
Capitolo 4: *** Are we the waiting. ***
Capitolo 5: *** Saint Jimmy ***
Capitolo 6: *** Give me novacaine ***
Capitolo 7: *** She's a rebel ***
Capitolo 8: *** Extraordinary girl ***
Capitolo 9: *** Letterbomb (part1) ***
Capitolo 10: *** Letterbomb #part2 ***



Capitolo 1
*** Jesus of Suburbia ***


“Il rumore dei piatti che si schiantavano sul muro non riusciva a coprire le grida. Dormi Jimmy, perché non sei già a letto? Perché non si riesce a dormire, perché non so cosa sta succedendo, perché non capisco perché tutti debbano sempre urlare qui. -Sei una puttana-so che è una brutta parola. Voglio andare in cucina, voglio farli smettere, voglio dire a papà che mamma non è una puttana, e che deve venire a darmi la buonanotte. Ma non succede mai, è così tutte le sere. Silenzio, mamma sta piangendo. –Io me ne vado-e la porta sbatte. Cosa vuol dire se ne va? Scendo le scale di corsa, è tutto distrutto. Torna a letto Jimmy.”

 

 

 

Accesi la macchina e partii, mia madre mi guardava dalla finestra. Mi sentivo bene, ero finalmente riuscito a prendere tutto ed andarmene, finalmente andavo a San Diego. Già, finalmente.

Nessuno aveva provato a trattenermi, nessuno tranne mia madre. Ma io non volevo più saperne di lei, non potevo sopportare un altro giorno quella schifosa casa. Ci eravamo trasferiti lì dopo che quel figlio di puttana di mio padre ci aveva lasciati. Odiavo quel paese, pieno di depressi drogati come me e bravi figli di papà che andavano a messa tutte le domeniche. Era il paese dell’autodistruzione, era il paese dove se volevi una canna la trovavi dietro l’altro.

E un povero bambino ferito come me, non poteva che cascarci.

Mia madre non era mai in casa, e se ci tornava era sempre ubriaca o con un uomo attaccato alle labbra. Aveva sempre un odore orrendo.

Poi viene a dirmi che lei ha fatto molto per me, che mi ha dato una casa e un’educazione. E con educazione si intendono due anni in un istituto in centro, poi sono stato espulso definitivamente per aver drogato la figlia del preside nel bagno delle femmine. Fanculo, ha voluto lei provare. In giro raccontano anche che l’ho stuprata, e questa è una cazzata enorme. Sono uno perbene io, mi chiamano persino il Gesù di Periferia. Solo che al posto di pani e pesci moltiplicavo spinelli e pastiglie. Mi viene da ridere a pensarci, che vita di merda.

Accesi la radio e iniziai a cantare a squarciagola.

Ora stavo andando a conquistare San Diego, ora stavo scappando da anni di bugie messe in bilico da mia madre, da tutti. Scappavo da quelle poverette che mi volevano solo per una notte, scappavo dai supermercati in cui ho rubato, scappavo da quelle orrende scritte di sangue lasciate sul muro.

Scappavo da tutto quel dolore che tenevo nascosto da anni, e che cercavo di buttare fuori dalle vene o nel fumo. Non sarebbe successo più. Non ero più Jimmy, il bambino che ha sofferto e che si è gettato nell’autodistruzione.

 

Sono il figlio della rabbia e dell’amore,

sono il Gesù di Periferia.

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Capitolo 2
*** Holiday ***


 

Holiday




Quando arrivai a San Diego il sole era tramontato già da un po’. Era bellissimo. Le luci delle insegne, dei lampioni, delle finestre dei locali sembravano librarsi in quel mondo costantemente a colori brillanti. Mi sentii come un bambino davanti all’albero di Natale che i miei non avevano mai comprato, come un principe davanti al suo castello in una fiaba che nessuno mi aveva mai letto.

L’adrenalina scorreva veloce sulla schiena, non riuscivo a staccare gli occhi da quello spettacolo.

Entrai nel primo locale che vidi, era piccolo e puzzava. Ma la musica era alta quel tanto che basta che stordirti, e capii subito che lì dentro c’era abbastanza alcool da farmi ubriacare.

Mi avvicinai al bancone e ordinai della vodka, poi iniziai a puntare gli occhi su qualche ragazza.
Che tristezza, erano poco più che bambine che si vendevano per un po’ di droga. Cosa ne sarebbe stato di loro? Forse quello che ne sarà di me.

Non volevo pensarci, così un po’ alla volta mi svuotai due bicchieri di vodka e uno di rum. Come si stava bene. Mi avvicinai a un tizio che se ne stava in un angolo della pista da ballo, e mentre camminavo iniziai a sentire la testa che girava. Era così bello, ogni volta. Non mi sarei mai stancato di sentire i pensieri evaporare col calore che scendeva nella gola, e la testa svuotarsi e il corpo perdere il controllo. Avevo imparato quei segnali e ogni volta che li sentivo arrivare mi sembrava di rincontrare dei vecchi amici. Forse gli unici che abbia mai avuto.

-Hey bello, ce l’hai un po’ di polverina per me?-dissi ridendo.
Il tizio scosse la testa, ma tirò fuori appena dalla tasca un paio di pillole.
Le comprai e corsi in bagno a mandarle giù. Non sapevo tra quanto avrebbero fatto effetto.
Poi corsi sulla pista, perché volevo una bella ragazza che mi facesse compagnia.

-Ciao splendore-urlai nelle orecchie a una ragazza alta e bionda, una di quelle talmente truccate da sembrare bambole.
Le chiesi di ballare e lei accettò, sapevo di piacere alle ragazze.

All’improvviso sentii una strana euforia invadermi tutto, faceva caldo, tanto caldo. Il sangue sembrava essersi fatto fuoco.
Presi per mano la ragazza bionda e ordinai da bere per tutti e due.
-Dobbiamo festeggiare -gridai- siamo in vacanza!-e esplosi a ridere.

Non ricordo esattamente cosa successe dopo, so solo che la bionda mi portò fuori dal locale e mi fece salire sulla sua macchina. Deve essere stata ricca quella ragazza, perché aveva una Mercury Monterey decapottabile del 1968, ne sono sicurissimo perché me ne intendo di auto. Avevo paura a guidarla, perché era un gran pezzo di macchina e io ero fatto e ubriaco.

Ma poi lei deve avermi convinto, perché mi ricordo di aver visto le luci scorrere veloci, la musica risuonare nelle orecchie. E andavo sempre più veloce, più veloce.

Non ero mai stato così vivo, non avevo mai sentito come in quel momento i battiti del cuore sfiorarmi la pelle e i capelli alzarsi verso un cielo che brillava.Strinsi il manubrio e mi alzai in piedi, mentre alle mie spalle il mondo si spegneva. Era questo quello che cercavo, quello che volevo provare.




E la mia vacanza era appena iniziata.





 

Ehm..ciao! 
Volevo solo ringraziare chi mi ha letto e chiedervi di avere pietà di me, so che questo capitolo è un disastro -.-"
Quindi, ci sentiamo e fatemi sapere che ne pensate (?)
Ok *va a sotterrarsi per non uscire mai più*
Bye

HM

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Capitolo 3
*** Boulevard of Broken Dreams ***


Boulevard of Broken Dreams



Mi svegliai con le tempie che pulsavano e la prima cosa che riuscii a fare fu vomitare sul ciglio della strada. Dov’ero?
Ah sì, la Mercury Monterey della bionda.
La guardai distesa scompostamente sui sedili, con una gamba che usciva dalla macchina. Le presi un polso per controllare che stesse bene. Non si sa mai, non è la prima volta che faccio un incidente e qualcuno finisce in ospedale. Ma lei dormiva tranquillamente, intenta a smaltire la sbornia col sonno. Lei era viva.
Ed io? Potevo definirmi vivo?
Con l’ubriacatura se n’era andato quel senso di vitalità, quella sensazione di euforia e frenesia.
Ero morto, ero di nuovo quel ragazzo apatico e insensibile scappato da casa.

Guardai il mio riflesso nello specchietto della macchina: gli occhi spenti, la bocca che non ricordava nemmeno più come sorridere, le occhiaie che calcavano le guance magre. Ero uno schifo, mi sentivo uno schifo. Cos’ero diventato? Una macchina che va avanti ad alcool? Incapace di provare sensazioni se non se ne ha una buona dose giù per lo stomaco? No, non volevo, non voglio.
Non sono io.
La bionda stava bene e la sua stupida auto anche, quindi pensai di lasciarli lì da soli e di allontanarmi.
 
Iniziai a camminare in una strada deserta, non passava un’anima giuro!
Era così angosciante quel silenzio che mi sembrava sentirlo riecheggiare dentro di me. Forse era la mia ombra che mi spingeva avanti alle spalle, l’unica che mi seguiva e che non mi abbandonava come facevano tutti. Forse era il mio cuore che stava implodendo o semplicemente spegnendosi, donandomi gli ultimi battiti soffocati dall’ansia.
E infatti era l’ansia che mi pervadeva ora, e come sarebbe potuto essere diversamente?
Mi trovavo lontano da casa, senza nessuno, senza speranze. Ero uno stupido, avrei dovuto capire sin dall’inizio che la mia vita era inutile e che i miei sogni non si sarebbero mai realizzati, mai.
I miei sogni si erano infranti, e mi stavano solo ferendo mentre ci camminavo sopra. Erano vetri taglienti che riflettevano il mio volto a pezzi, come caleidoscopi rigiravano la mia immagine a loro piacimento.
 

 
Spero solo che qualcuno mi trovi, che qualcuno mi guidi.
La solitudine si insedia sempre più velocemente in me.
Qualcuno mi aiuti








Ow, questo capitolo mi piace *W* non mi era mai successo :DD Quindi deve piacere anche a voi, e dovete lasciare tante belle recensioni u.u
Ciaociao

Nina (ho cambiato nome, LOL)

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Capitolo 4
*** Are we the waiting. ***


ARE WE THE WAITING




Ormai era passata una settimana da quando avevo deciso di lasciare casa mia e venire a vivere nella "grande città".

Non era come credevo, non lo era davvero. Innanzitutto dovevo dormire nella mia stupida auto, non avevo soldi per stare in un hotel o comprarmi cibo e droga e sigarette. Cosa credevo di fare quando son scappato da quelle quattro mura? Sì le odiavo, ma erano pur sempre quattro mura con un letto ed un frigo. Guardatemi adesso.

 

Improvvisamente iniziò a piovere, e con piovere non intendo quattro gocce incapaci di formare una misera pozzanghera. Le nuvole si scontravano tra loro, come leoni inferociti che lottano per un pezzo di cielo. Velocemente le strade divennero solo un riflesso del divampante grigiore sopra la mia testa. Si stava allagando tutto, la gente intorno a me correva affannosamente al riparo. Che cretino! La mia macchina era parcheggiata ad almeno un chilometro e mezzo da dov'ero ora, praticamente dall'altra parte della periferia. E ora dove andavo? Il primo riparo che mi comparve davanti fu un campanile.

Già, il fottuto campanile di una chiesetta dirottata. 

Mi venne quasi da ridere mentre salivo bagnato fradicio le scale dell'edificio. Io in una chiesa? Dio doveva mandar giù il secondo diluvio universale per vedermi in un posto pieno di croci e campane. 

E così aveva fatto.

 

Quando raggiunsi la parte più alta del campanile mi sporsi per guardare fuori. Le nuvole se ne stavano andando e le stelle sembravano scoprirsi con prepotenza tra loro. Erano le prime stelle sapete, quelle più luminose, quelle che inaugurano la notte. Erano bellissime e iniziai a piangere come un idiota.

 

Nonostante la notte stellata, lentamente le luci della città iniziarono a scendere su di me.

I grattacieli e tutte quelle persone col naso all'insù mi affollavano la testa, mi soffocavano. Era tutto un innalzarsi verso l'alto, tra punte di edifici e dita rivolte alla luna. Mi setivo così strano, sembravano puntate su di me.

-SIAMO NOI L'ATTESA-gridai- SIAMO NOI L'ATTESA SCONOSCIUTA.

Non mi ascoltava nessuno.

La odiavo questa città, la voleva rosa nelle fiamme. La mia città, quella che cercavo davvero...era ormai andata persa

Ricominciai a urlare:-SIAMO NOI L'ATTESA- perchè non mi ascoltava nessuno?-non capite?-bisbigliai.

C'era solo altro silenzio, c'era solo isolamento popolato da favole, che lasciava che si sentissero i miei singhiozzi.

La rabbia, l'amore, la mia vita, il Gesù di Periferia.

Era tutto una bugia, una fottuta bugia. Io non esistevo, non ero nulla, c'era il nulla.

-SIAMO NOI L'ATTESA SCONOSCIUTA-misi tutte le mie forze in quelle ultime parole.

Poi svenni.









 

Buonsalve. Inizio dicendo che il capitolo precedente non se l'è cagato nessuno. Questo si basa su una delle mie canzoni preferite, quindi ci terrei davvero tanto ad avere un vostro parere. Anche per sapere se continuare o no.
Ciao

Nina

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Capitolo 5
*** Saint Jimmy ***


Saint Jimmy
 

Quando mi risvegliai, la prima cosa che sentii fu un intenso odore di medicine e malattia. Aprii gli occhi e subito li richiusi per la troppa luce. Le tempie mi pulsavano.
Sentii delle voci sempre più vicine, dicevano qualcosa tipo “Si è svegliato!” o “Ha aperto gli occhi!”. Ma dov’ero finito?
Evidentemente mi ero posto questa domanda a voce alta, perché subito mi sentii rispondere:
-Sei all’ospedale Saint Jimmy, ti ha portato qui stamattina il parroco della chiesa qui accanto. Ti ha trovato svenuto, evidentemente avevi bevuto troppo, hai sbattuto la testa e…
-Com’è che mi hai chiamato?-esclamai sbarrando gli occhi. Mi accorsi che stavo parlando con un’infermiera. Aveva delle belle tette: un classico.
-Veramente non sappiamo il tuo nome…
-Ma come, prima l’hai detto!-sbottai- Mi chiamo Jimmy.
-Ah ora capisco!-sorrise apprensiva - dicevo che questo ospedale si chiama Saint Jimmy”
A questo punto fummo interrotti dalla voce di una vecchia signora.
-Ragazzo mio, non è un caso, no no, non lo è,- sembrava stesse parlando con sé stessa- è il tuo santo lassù che ti ha portato qui, ti ha salvato la vita, ragazzo mio, proprio così.
Non risposi. Perché avrei voluto dire a quella vecchia balena di non dire certe cazzate.
Se davvero esisteva qualche santo o dio, avrebbe dovuto muovere il culo per aiutarmi tempo fa. E per come stavano ormai le cose, avrei preferito crepare in quel fottuto campanile.

La mattina seguente mi svegliai presto. Un dottore mi aveva detto la sera prima che, dopo un ulteriore notte di riposo, mi sarei ristabilito completamente per lasciare l’ospedale.
Io non ero stupido. Sapevo che avevano trovato nel mio sangue tracce di alcool e droghe leggere.
Sapevo che non gliene fotteva un cazzo del fatto che ero solo, senza un posto dove stare, e che appena uscito di qui mi sarei ubriacato di nuovo.
A dirla tutta, a nessuno fotteva un cazzo di me.
La vecchia signora compagna di stanza stava ancora dormendo. Mi alzai silenziosamente e mi chiusi in bagno.
Accesi le luci, e subito il mio gemello di vetro comparve nello specchio davanti a me.
Avevo un occhio nero, dovevo essere caduto, e qualche punto di sutura sul mento. I polsi erano fasciati, nascondevano i segni della rabbia.
Più mi guardavo, più mi detestavo.
Più mi detestavo, più volevo uccidermi.

Ripensai alle parole della vecchia. Un santo. Un patrono del rifiuto, con una faccia d’angelo e un gusto per il suicidio. Nato da una puttana e il maestro del terrore, Edgar Allan Poe. Il prodotto della guerra e della paura. Me lo immaginavo camminare tra le luci della città con una bisaccia piena di erba della migliore qualità appesa al collo.
Fissai negli occhi il mio gemello di vetro e subito un ghigno comparve sulle sue labbra. Mi accorsi che era bellissimo. Splendeva quasi. Le ferite sul suo volto venivano da una guerra in Oriente, in cui aveva combattuto con i 40 ladroni e Ali Babà. Tra le mani stringeva il suo rasoio come una pistola, sembrava il capo di una banda di sicari leggendaria, dalla quale ogni mamma mette in guardia il suo bambino. Il suo sguardo profondo mi disse di asciugare le lacrime rimaste sulle mie guance.
“Sbrigati” sembrava dire “O ti darò io qualcosa su cui piangere”
Mise il rasoio tra me e lui. “Dammi un po’ di sangue.”
Stracciai le fasce ai miei polsi e iniziai a premere la lama. Il sangue arrivò poco dopo.
Saint Jimmy, scrissi sullo specchio.
 


Uscii quasi correndo e presi le mie cose. Dovevo svolgere le ultime pratiche.
-Come ti chiami?-chiese stancamente la portinai.
- Saint Jimmy.-la baciai sulle labbra- Ma non dirlo troppo forte.





 Ci ho messo un'eternità ad aggiornare perchè questo è uno dei passaggi più importanti della storia e volevo fare una cosa fatta bene. Eeee niente, è venuto un disastro. Jimmy amore mio perdonami T.T
Ah, ringrazio le tre persone che hanno lasciato una recensione, le cinque che hanno messo la storia tra le seguite e la pazza che l'ha messa tra le preferite :)
Anche se fa schifo, me l'ha lasciato lo stesso una recesione? :D
Baci,
Nina

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Capitolo 6
*** Give me novacaine ***


Give me novocaine

 

 

 

Quando ritornai alla mia macchina, la trovai distrutta dal temporale e con disegni osceni incisi sulla fiancata. Bestemmiai pensando a qualche stupido bambinetto e a quel suo modo di divertirsi.
Decisi di fare una camminata per la periferia. Mi piaceva il degrado.
Dopo un po’ vidi un gruppo di ragazzi seduti a terra, con le spalle appoggiate al muro di un palazzo. Erano vestiti come me, ma contrariamente a me, ridevano come pazzi.
Mi chiedevo cos’avessero da divertirsi così tanto quando vidi che uno di loro aveva in mano una siringa.

Feci un passo indietro.

Di droghe ne avevo provate tante, dalle canne fino a qualche pastiglietta leggera leggera.
Ma una di quelle potenti, quelle che dalle vene ti vanno dritte al cervello…Non so se per paura o cosa, non le volevo.

Quei ragazzi li incontrai nel momento sbagliato però. Avete presente quei momenti in cui tutto non ha più un senso, in cui ti costa fatica anche respirare? Sentivo l’ansia premere sulle pareti del mio corpo: ero stanco, confuso, i demoni dentro di me si agitavano pronti a sopraffarmi.
E vedere quelle risate e la falsa spensieratezza scatenò qualcosa in me.

“Sei un idiota” mi sussurrò Saint Jimmy tra le labbra, prima di passarci la lingua lentamente. Da quando era diventato così reale il mio patrono.
“Cos’hai da perdere?” disse fissandomi negli occhi. “Nulla”
Di nuovo pensavo ad alta voce.

Un ragazzo del gruppo si voltò verso di me. Aveva i capelli verdi ed era a torso nudo.
Mi avvicinai a lui con una sicurezza mai provata.
-Ciao ragazzino-esclamò- come ti chiami?
-Saint Jimmy.
-Un santo- scoppiò a ridere- ci stai prendendo per il culo vero?
Non era arrabbiato, anzi, rideva come un dannato. Si inginocchiò e si fece il segno della croce prima di continuare a parlare- e da dove verresti, Saint Jimmy?
- Arabia o giù di lì, in realtà non lo so nemmeno io.
Una ragazza che mi fissava ammaliata sullo sfondo si fece avanti:
-Sai che sei un tipo interessante?- mi scoccò un’occhiata maliziosa da far schifo- mi piacerebbe conoscerti meglio.
-Potresti iniziare presentandoti.
-Potrei, ma prima dovresti venire nel mondo bello bello in cui sono io- e si mise a sogghignare anche lei.
Tirò fuori dalla tasca del chiodo un laccio e lo avvicinò al mio avambraccio.
-Ti va?

Stavo per rifiutare, quando sentii qualcuno mordermi un orecchia. Sapevo benissimo chi era, non mi voltai nemmeno. “Fa male?” “Non sentirai nulla, promesso Jimmy” Decisi di fidarmi del Santo e mi affidai alle mani della ragazza. Con abilità fermo lo scorrere del mio sangue. Poi prese una siringa da una bustina trasparente e la riempì con un liquido giallastro.

Mentre lo iniettava nelle mie vene mi guardava dritto negli occhi. All’inizio erano azzurri, poi vidi due pesci nuotare al loro interno, e alla fine sembravano perdere acqua.
-Sono Liv comunque. E quella che c’è nel tuo sangue ora si chiama Novocaina.

Annuii. La droga circolava già per il mio corpo e dio, era fantastico. Quell’ansia che poco prima mi opprimeva ora sembrava uscire dalle mie labbra insieme ai miei respiri. Il mondo non era mai stato così bello. I colori erano accecanti, il mio peso equivaleva a quello di una piuma. Credevo che anche solo con un soffio di vento sarei volato via.

I ragazzi attorno a me continuavano a urlare e a danzare su loro stessi. Era tutto un cerchio, un cerchio perfetto e colorato. Era la perfezione e l’infinito che usciva dai miei occhi. Ero dove volevo essere: con Saint Jimmy, con i ragazzi, con quella figa di Liv.
-Tutto ok?- disse ridacchiando e i suoi occhi diventarono due coperchi di pentole in metallo, come quelle di mamma, proprio uguali.

“Come quando rimanevano ore sui fornelli perché nessuno le toglieva, come quando sei stato un giorno intero senza mangiare perché mamma non c’era e il frigo era vuoto. Avevi 9 anni e quella sera rubasti per la prima volta…” “Vaffanculo” sibilò Saint Jimmy.

Nonostante l’euforia crescente in me sentivo anche la malinconia affiorarmi sulla punta del naso, come una goccia che ballonzolava su quel punto. Non capivo nulla.
-Dammi un lungo bacio della buonanotte e sarà tutto ok-mormorai.
Le labbra di Liv sfiorarono le mie e dopo poco le nostre lingue fecero altrettanto.

“Mamma non ti dava mai il bacio della buonanotte”Vaffanculo”

Interruppi per pochi secondi quel bacio della buonanotte e guardando il cielo sospirai “Oh novocaina” come se la stessi supplicando.
Poi tornai a spingere il mio viso contro il suo.



 

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Capitolo 7
*** She's a rebel ***


She’s a rebel

 

 

 

Le giornate passavano tra il prendersi sbornie e smaltirle. Dopo un po’ persi la cognizione del tempo, dello spazio, di me stesso. C’eravamo solo io, Saint Jimmy e la Novocaina. Un po’ come il Padre il Figlio e lo Spirito Santo. La trinità dell’autodistruzione.

I tempi in cui mi sentivo solo e abbandonato erano passati. Ora grazie a loro il mondo era così popolato, così pieno di battiti vitali e ansimi. La notte e il giorno non erano più scanditi da orologi o dalla luce o dal genere di persone che popolavano le strade. Con la Novocaina era diverso. Con la Novocaina il tempo era mio, tutto era mio.
Diciamo che eravamo noi tre, il resto del mondo mi era apatico. Non so per quanto tempo restai immerso in quell’universo confuso a colori brillanti, non so nemmeno se, senza l’incontro con Whatsername, non ci sarei restato per sempre. Il pensiero, che una volta mi avrebbe stragasato, ora mi dà i brividi.

Perché sarebbe stato come morire.

 

 

 

La luce del sole stava lasciando posto a quella delle insegne dei vari locali della periferia. Come al solito stavo andando da Liv, che era ormai diventata la mia spacciatrice personale. Quel giorno non ero riuscito a rubare nulla, il supermercato era stranamente circondato da poliziotti.
“Qualche figlio di puttana che si è fatto scoprire” pensai.
Così mentre camminavo verso il quartiere di Liv, dovetti fermarmi e sedermi. La bottiglia di vodka che mi ero scolato poco prima a stomaco vuoto mi stava dando alla testa, praticamente non riuscivo a ritrovare l’equilibrio. Alcuni conati, ma il mio stomaco era vuoto.
Seduto a terra mi sentivo uno straccio, le lacrime stavano per riaffiorare dopo tanto tempo…dov’era Saint Jimmy?

Alzai lo sguardo con rassegnazione.
E la vidi.

Oh non fu un colpo di fulmine o cazzate varie, credo che lei non mi abbia nemmeno guardato in faccia quella sera. Niente fuochi d’artificio o stronzate da romanzo rosa. Niente farfalle nello stomaco o campane che suonano. E’ solo che se ci ripenso adesso mi viene da piangere, tanto è stato importante per me quell’istante.

Per prima cosa pensai che era bellissima. Se ne stava con i gomiti appoggiati al balcone, come una Giulietta di periferia.
I capelli neri erano lunghissimi, le coprivano completamente le spalle esili. Gli occhi incavati, di un verde brillante, sembravano brillare di luce propria. Erano truccati pesantemente di nero, e ciò li rendeva ancor più luminosi. Occhi così li vedi poche volte nella vita.

Di solito quando una ragazza mi piaceva la prima cosa che pensavo era “Questa me la scoperei di brutto”.
Ma lei, lei no, assolutamente no. Non l’avrei toccata nemmeno con un dito lei, tanto sembrava surreale e sul punto di svanire.

Accade qualcosa dentro di me. Mi sentii come sveglio dopo un lungo letargo, e intorpidito me ne tornai alla macchina, il suo viso impresso all’orizzonte.
Steso sul cofano guardavo le stelle e pensavo a lei. Di sicuro era una ribelle, gliel’avevo vista, l’anima, le si leggeva in faccia tanto era pura.
Il mio cuore sembrava sul punto di scoppiare. Mi pareva di avere in petto una bomba che lei avrebbe potuto disinnescare a suo piacimento. Oltre che ribelle, era dannatamente pericolosa. Mi resi conto che ora come ora, mi sarei buttato giù da un ponte per lei.

Mi chiesi se anche lei era come me, sei anche lei provava quel senso di disagio e di estraneità che provavo io. Mi chiesi se stava dormendo, immaginai i suoi sogni. Stava sognando quello che pensavo?

Qual è il suo nome? Whatsername?

Prima di chiudere gli occhi, vidi i suoi riflessi sulla superficie della luna.
Sì, era decisamente bellissima.











 

Un grazie a tutti quelli che seguono la storia, siete diventati un bel po' *w*
Questo capitolo è strano, mi sembra diverso dagli altri. Spero vi piaccia comunque c:

Baci

Nina

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Capitolo 8
*** Extraordinary girl ***


EXTRAORDINARY GIRL
 
 
 
 
Non so se c’è un preciso momento in cui ti rendi conto di essere innamorato di una persona.
Forse quando le tue giornate iniziano a girare attorno a lei.
Forse quando il mondo diventa così diverso, ora che la conosci.
Forse quando tutto riprende ad avere un senso, e vorresti migliorare le cose, vorresti essere migliore per farti amare.
Forse quando cerchi i suoi occhi ovunque, anche la sera sotto le coperte, accendi la luce per vedere se è al tuo fianco.

 


Per me è stato un po’ così. Ogni notte cercavo i suoi lineamenti delicati tra le costellazioni. Ogni pomeriggio rimanevo ore a fissare quel balcone, e se lei usciva, ci limitavamo a guardarci negli occhi.
Ero così felice la prima volta che mi vide, il solo fatto che lei sapesse della mia esistenza, il solo fatto che lei restasse lì a fissarmi con un mezzo sorriso sulle labbra. Dio che sorriso!
Iniziai a pensare che forse l’amore esiste, che ora come ora l’avrei sposata, e l’avrei resa felice e sarebbe stata così bella in costume al mare o mentre passeggiava al mio fianco tra le vie incasinate della città. Sarebbe stata così bella mentre telefonava alle sue amiche e si rigirava il filo del telefono tra le dita, o mentre appoggiava la testa sulla mia spalla guardando qualche stupido film alla tv, ma comunque io avrei guardato lei.
Volevo fare tutte quelle cazzate inutili che fanno le persone innamorate e per bene. Per lei l’avrei fatto, avrei fatto di tutto.



Sono sempre stato fisicamente resistente, ma quella volta ero sull’orlo dell’infarto. Era pieno inverno, si gelava da rimanerci secchi. Erano passati mesi ormai da quando vivevo a San Diego.
Ed erano cambiate molte cose.
Quel pomeriggio d’invero erano passati due mesi e 23 giorni dall’ultima volta che:
-avevo visto Saint Jimmy
-mi ero ubriacato
-mi ero fatto di Novocaina.
Ed erano passati anche due mesi e 23 giorni dalla prima volta che l’avevo vista.
Stavo tornando da lavoro (ebbene sì, avevo iniziato a lavorare come commesso nel supermercato dove prima rubavo ogni giorno). Adoravo lavorare. Immaginavo Whatsername che mi chiedeva come era andata a lavoro o che mi faceva trovare la cena pronta.
Beh ma questo non vi interessa.
Stavo passando davanti a quel benedetto balcone per tornare alla macchina, come tutti i benedetti giorni, quando vidi che un pezzo di stoffa era legato leggermente al poggiolo.
D’impulso lo strappai. C’era scritto qualcosa:
“Stavo per scoppiare a ridere quando mi hai chiamata Giulietta. Sì, l’hai detto ad alta voce.
Scommetto pensavi non ti avessi nemmeno notato. Ti sbagli, e di grosso.
Comunque non so se hai mai letto Shakespeare, ma Romeo e Giulietta non passavano le giornate a fissarsi. E Romeo ci saliva su questo fottuto balcone. Fa niente, sono scesa io da te. Ci vediamo alla tua macchina (lo ammetto una volta ti ho seguito). A dopo”
 

Mi accasciai a terra, il mio cuore sembrava volesse uscire a tutti i costi dal petto da quanto spingeva sulle costole. Mi mancava il fiato, credevo stessi per morire, eppure contemporaneamente ridevo così sinceramente. Lanciai un’ ultima occhiata al pezzo di stoffa bianco: le scritte per l’emozione erano diventate un groviglio scuro. 
Tre secondi dopo stavo correndo come un dannato verso la mia macchina. Tre secondi dopo la trovai seduta vicino alla ruota, mentre si girava una sigaretta.
Sei una ragazza straordinaria- fu tutto ciò che riuscii a bisbigliare. Tra la corsa e l’emozione avevo perso l’uso dei polmoni.
-Non è vero- disse ridendo, ma lo sguardo che riservava alla sua sigaretta era di una serietà inquietante.
-Dimostramelo allora, perché al momento penso tu sia ciò che di più straordinario ci sia al mondo riunito in una sola persona. Anzi non puoi…non sembri nemmeno una persona, devi essere un angelo o qualcosa del…-mi interruppi. Stavo parlando a vanvera come un perfetto ritardato.
-Senti Jimmy…
-Come sai il mio nome?
- La targhetta sulla tua camicia. Pagano bene a quel supermercato?
Tolsi la mia targhetta da commesso imbarazzato, poi la incitai a continuare.
-Jimmy non so perché pensi questo di me. Non mi conosci nemmeno. Io sono una stramba, lo possono vedere tutti. Sono una che sbatte la testa sul muro per cercare di cambiare le cose, perché tutto non faccia costantemente così schifo. Io voglio cambiarlo sto mondo, io voglio essere coraggiosa, voglio camminare per la strada a testa alta. Passo le giornate chiusa da sola in quella schifo di casa, sempre sola…sono sempre stata sola. Non ho una famiglia. Non ho amici. Sono debole Jimmy, non faccio altro che consumarmi sulle mie lacrime. E..
 

Stava piangendo, era scossa dai singhiozzi. Mi sedetti vicino a lei. La sua testa scura era affogata tra le ginocchia magre, le gambe fasciate dai jeans strappati tremavano impercettibilmente. Lei non se ne rendeva conto, ma era la persona più forte che avessi mai conosciuto. Le accarezzai il braccio e lei allora alzò la testa per avvicinarla alla mia. La abbracciai appena, temevo di spezzare quelle braccia così magre. E così stretti aspettammo la notte.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** Letterbomb (part1) ***


LETTERBOMB
 
 
 
 
Le prime gocce di sangue iniziavano ad affiorare sulle mie nocche e sul muro si era formata una piccola crepa, niente a che vedere con lo squarcio che avevo dentro.
La lettera giaceva inerme sulle piastrelle da quattro soldi della cucina di Whatsername. Due pagine scritte fitte, riempite dalla scrittura sbilenca della ragazza. Ricordo di averle detto una volta che era impossibile capire la sua grafia. Aveva riso, aveva scherzato rispondendo che tanto non siamo così romantici da spedirci lettere o scriverci poesie.
Ma il finale tragico-romantico purtroppo, quello non ce l’ha risparmiato nessuno.
Una notte di baci, di “ti amo” ripetuti all’infinito. Tiamoanch’iotiamodioquantotiamojimmytiamotiamopiccolatiamotantissimo.
Una lettera, una bomba sul tavolo della cucina. BANG!
 
Sei morto Jimmy. Sono morto Jimmy.
 
 
Sapevo di non essere fatto per la convivenza, sapevo che avrei rovinato tutto, non sarei mai riuscito a fare le “cose per bene”. Eppure quando Whatsername mi aveva detto di essere pronta, di aver capito che ero quello giusto, come potevo non accettare?
Quello giusto eh. Ma se tutto in me è così sbagliato, come pretendevo di essere quello giusto per lei?
E poi eravamo giovani, giovani e senza speranza, con passati graffianti e graffi sulla pelle. Lo stare troppo assieme ci ha distrutti, ci ha schiantato al suolo.
 
Diluviava, come al solito. Ridendo io e lei trascinavamo la mia macchina sotto casa sua. Non era molta la strada, ma io non sono un tipo troppo forzuto e lei più che spingere si limitava a ridere di gioia. Parcheggiai davanti alla sua porta. Insieme frugammo ogni angolo dell’auto alla ricerca di qualcosa che potesse servire. I miei miseri stipendi del supermercato erano ben nascosti sotto il sedile. Sul cofano, un pacchetto di Lucky Strike sgualcito. Era lì da secoli, probabilmente. Raramente fumavo sigarette, le avevo da tempo sostituite con le canne.
Non c’era nient’altro, e me ne vergognai. Anzi no, c’era anche un k-way sul bagagliaio. Che però poco serviva contro la pioggia scrosciante di San Diego. Salimmo le scale correndo, tenendoci per mano. Lei teatralmente aprì la porta della camera da letto e disse “Benvenuto nella nostra casa, signor Rag(e)son.”
Ricordo che stavo per piangere, stavo per piangere perché non credevo si potesse essere così felici. Mi avvicinai a lei, le strinsi i fianchi, le accarezzai i capelli.
“E’ la casa più bella del mondo” dissi, e lo pensavo davvero. Lo pensavo nonostante il telefono staccato, le ragnatele sul soffitto e gli spifferi alle finestre.
“E il signor Ragson si chiedeva se per caso le andasse di diventare la signora Ragson” abbassai immediatamente lo sguardo, col cuore in gola. Non so ancora da dove partivano quelle parole. Probabilmente da un posto del cuore che nemmeno sapevo di avere.
Lei non rispose, né quella notte né mai. Si limito a baciarmi la fronte, in punta di piedi.
E nulla avrebbe avuto più senso che noi due a sfiorarci sotto le lenzuola, mentre della bufera che c’era fuori restavano solo i nostri vestiti bagnati sul pavimento.
 
 
 

























Ehm..ciao (?)
Quanto mi mancava il mondo delle ff. Avevo pensato di iniziarne una nuova, ma mi sarebbe davvero dispiaciuto lasciare incompleta questa qui. Quindi eccomi! Il capitolo è breve e incompleto, ma grazie alla scuola sono piena di impegni, poi c'è la palestra, canto, teatro....
insomma finirò il capitolo il prima possibile, prometto che non sparirò di nuovo per mesi D:
mi scuso con tutti quelli che mi seguivano, e spero che continuino a farlo.

Buona lettura

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Capitolo 10
*** Letterbomb #part2 ***


Caro Jimmy,
             
dio mi sento un’idiota ad iniziare così. E’ la prima fottuta lettera che scrivo in tutta la mia misera vita, e lo sto facendo anche per un pessimo motivo. E l’unica cosa che so sulle lettere è che si scrive la data in alto a destra (ma preferisco tu non sappia in che giorno l’ho scritta) e che si inizia con caro/a e il nome.
Sto sparando cazzate, lo so, ma non immagini neanche che casino ho in testa. O forse sì, anzi sì, lo sai. Questo mi fa stare ancora peggio.
Credo di aver capito cosa mi ha spinto a scrivere queste parole, o molto più semplicemente cosa ha mandato a puttane la nostra storia.
Parto dal fatto che è colpa mia. In parte.
Parto dal fatto che sono nata, 20 anni fa, in questa casa, in quella che per un po’ abbiamo chiamato nostra. La casa dove abbiamo fatto l’amore la prima volta, la casa dove mi hai chiesto di sposarti e io ti ho risposto con il bacio più allusivo della storia, la casa dove tornavi con la targhetta del supermercato dove ti pagano una miseria ma tu continui a lavorarci solo per gettare sul tavolo quella busta sottile e dire “Amore stasera usciamo”.
La casa dove mi passavo il rossetto sulle labbra e speravo di lasciartelo sulle guance, la casa dove ti ho visto svegliarti nei tuoi capelli in disordine e lo sguardo chissà dove. La casa dove ho sperato, sperato così tanto che non so se riuscirò a sperare ancora per il resto della mia vita.
La delusione non vale mai la speranza Jimmy, fidati.
Ma non è finita.

Il portone d’ingresso è in legno marcio, i cardini cederebbero ad una spinta e il buco della serratura si potrebbe aprire con una forcina di quelle che mi metto in testa io e tu le smuovi con le dita e sembro uno spaventapasseri. E mi incazzo.
Quel portone l’ho aperto tante volte, ma di solito erano gli altri a chiuderlo. Mi correggo, a sbatterlo.
C’è mio padre, che barcollando ha sceso quelle scale e credo sia inciampato e abbia sbattuto la testa. Perché deve essersi dimenticato di me.
C’è mia madre, con i suoi tacchi alti e le calze sgualcite, e il profumo da quattro soldi. C’era lei che voleva ricominciare, “Devo dare una svolta alla mia vita e non è mai troppo tardi”, ma non poteva farlo assieme a me.
C’è chi è restato per una notte, o anche meno. E con la camicia aperta è uscito, per quel portone.
C’è chi ci stava davanti tenendolo socchiuso e mi chiedeva di farmi un giro, girandosi bustine bianche tra le dita.
C’è chi bussava per sbaglio e per dispetto.
C’è che l’ho sempre odiato, quel portone.
E poi ci sei tu.
Tre e quarantacinque di un venerdì notte. Tu che sali le scale, tu che biascichi il mio nome e inizi a strisciare. Tu strisci, le tue parole strisciano. Ti chiedo se hai bevuto mentre le prime lacrime spingono sotto le palpebre.
Mi rispondi che anch’io bevo. E’ diverso. No, è la stessa cosa.
Inizi a sparare cazzate, Saint Jimmy è tornato e via dicendo.
Iniziamo ad urlare.
Inizio a pensare: dov’è che l’ho già vista questa scena?
 
Ed è in quel preciso momento che capisco quanto io sia fottutamente sbagliata. Un aborto delle relazioni sociali, uno scarto tossico di un ospedale asiatico, la merda che hai sotto i piedi. In quel momento mi odio come non ho mai odiato nessun altra cosa. Non posso stare con te, non potrei mai stare con un altro.
Guardami. Guardami veramente. Sono una di quelle che nascono nel fango e aspettano la morte in un ospizio che ti paga lo stato. E non hanno soldi per un funerale, e comunque nessuno ci verrebbe.
Se penso che sono ancora in questa casa dove tu potresti tornare all’improvviso, mi assale l’angoscia. Non devi più vedermi capito?
Oh Jimmy io ti amo ma rovinerei tutto prima o poi. Ti rovinerei.
Sono stata io a farti tornare a casa ubriaco e drogato. Sono il tasso alcolico del tuo liquore e l’acido che infiamma lo stomaco e inibisce la mente. Una catalessi umana, pericolosa. Mi devi lasciar perdere.
Perché sono fuoco e sei un bambino a cui piace giocare. E’ questo è tutto, è davvero tutto.
 
Non cercarmi e non ti cercherò, non pensarmi e ti starò distante.
Ce li hai ancora presente Romeo e Giulietta no? Il balcone e tutta la storia. L’amore uccide, uccide chi come noi non ne ha mai avuto e poi ne ha troppo. Overdose, ce ne intendiamo qualcosa io e te.
E’ finita Jimmy. Per davvero.
 
Ma io ti amo ancora, e voglio che tu questo lo sappia.
 
Addio,
 
 
Whatsername.

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