Una vendetta crudele di Alexandra_ph (/viewuser.php?uid=165023)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Una vendetta crudele
Nota
dell’autore:
Questo
racconto è la continuazione di Fly with me
ed è stato scritto nella primavera del 2003; la mia ispirazione, a quei
tempi, procedeva
in una direzione completamente diversa e non riusciva più a
riallacciarsi alle puntate della
settima serie, che stavo vedendo ma che trovavo un pò "poco shipper".
Mi
ero resa conto che stavo creando una specie di "storia parallela"... ma
che avrei potuto farci? Nulla, credo... E così ho lasciato ce la mia
ispirazione procedesse, sperando che piacesse a chi avesse letto...
Esattamente
oggi, che ripubblico le mie storie, mi auguro altrettanto: spero che
piaccia anche a voi. Buona lettura!
UNA VENDETTA
CRUDELE
Capitolo
1
“Sei
il solito arrogante presuntuoso!”
“Tu,
invece, sei il solito bulldozer!”
Le
voci del colonnello MacKenzie e del
capitano Rabb risuonarono alte anche attraverso la porta chiusa
dell’ufficio
del colonnello. Il tenente Sims alzò il capo dai documenti che
stava preparando per l’ammiraglio e cercò, con lo sguardo, il volto di
suo
marito. Il tenente Roberts le rispose con il suo solito cenno, che
esprimeva
rassegnazione e al tempo stesso poneva una domanda.
Harriet
guardò in direzione dell’ufficio dal
quale, ora, non provenivano più voci. Dai vetri, tuttavia, si potevano
vedere
due persone che si fronteggiavano con aria bellicosa. Ad un certo punto
il
colonnello girò attorno alla scrivania e si fermò un attimo davanti al
capitano, per dirgli qualcosa. L’espressione era corrucciata. Poi fece
per
uscire, una mano già sulla maniglia della porta, ma il capitano la
fermò,
prendendole l’altro braccio. A quel punto il colonnello diede uno
strattone per
liberarsi e uscì, brontolando ad alta voce, infastidita: “Vai al
diavolo,
Harm!”
“Mac,
aspetta…” il tono del capitano Rabb
sembrava dispiaciuto, mentre la seguiva, uscendo anche lui dall’ufficio.
“Ne
ho abbastanza!” Mac si girò come una furia
verso il capitano “… è inutile continuare a discutere con te!”
“Signori!”
la voce autoritaria dell’ammiraglio
Chegwidden si alzò sopra le altre, gelando l’atmosfera della stanza.
Tutti si
voltarono. Il colonnello e il capitano ammutolirono e si misero subito
sull’attenti.
“Ammiraglio…”
dissero contemporaneamente.
L’ammiraglio li guardò per una frazione di secondo con aria severa.
Poi
disse deciso: “Capitano, colonnello. Nel
mio ufficio. Immediatamente!”
“Sissignore!”
risposero entrambi.
L’ammiraglio
li fece entrare; quindi si chiuse
la porta alle spalle. Non prima, però, d’aver rivolto un’occhiata
severa agli
altri presenti, che si erano immobilizzati ad osservare la scena. Lo
sguardo
non poteva essere frainteso: significava “lo spettacolo è finito!” Il
personale
dell’ufficio obbedì automaticamente.
Harriet,
confusa, abbassò il capo sui
documenti ai quali stava lavorando. Non capiva più nulla. Erano passati
circa
due mesi dalla sera in cui aveva parlato col capitano Rabb, per
raccontargli
come il colonnello MacKenzie fosse sconvolta, mentre lui era disperso
in mare
durante una tempesta. Aveva colto immediatamente in Harm uno sguardo di
pura
felicità, quando gli aveva comunicato la notizia che il matrimonio tra
Mac e
Mic Brumby non sarebbe più stato celebrato. Pensava che le cose, tra il
capitano e il colonnello, fossero state chiarite e che i due avessero
capito,
finalmente, di amarsi. Invece sembrava che tutto fosse cambiato. Non
solo
quelli che vedeva varcare la soglia dell’ufficio ogni mattina, non
sembravano
per nulla due persone innamorate... Addirittura non sembravano più
neppure amici.
Anzi: sembrava proprio che non si sopportassero nemmeno. Scosse
tristemente la testa, pensando quanto,
a volte, gli uomini e le donne potessero essere stupidi e buttassero al
vento
qualsiasi possibilità d’essere felici. Sia lei che Bud avevano
continuato a
sperare che Harm e Mac, i loro più cari amici, finalmente si mettessero
insieme. A quanto pareva, però, non sarebbe mai successo. Tornò a
concentrarsi sui documenti che stava
preparando: meglio rimettersi subito al lavoro e non dare
all’ammiraglio un
motivo per arrabbiarsi anche con lei.
Nel
frattempo, il tenente colonnello Sarah
MacKenzie e il capitano di fregata Harmon Rabb stavano subendo, in
silenzio,
una bella lavata di capo da parte dell’ammiraglio Chegwidden.
“Allora,
mi dite cos’è questa storia?” tuonò
l’ammiraglio. “Da quando lei è rientrato in servizio, capitano, sembra
che non
riusciate più ad andare d’accordo. Che vi succede?”
“Nulla,
signore” risposero all’unisono il
capitano e il colonnello. Uno sguardo del loro superiore,
tuttavia, li
fece pentire della risposta: all’ammiraglio non piaceva essere preso in
giro.
Assolutamente no!
“Vede,
signore, abbiamo una divergenza
d’opinioni riguardo al caso che stiamo seguendo” disse il capitano, con
tono
conciliante.
“Ah,
davvero?” domandò sornione l’ammiraglio.
“Oggi si tratta di una divergenza d’opinioni sul caso… E l’altro
giorno? E la
scorsa settimana? E un mese fa? Me la racconti giusta, capitano!”
Mac
guardò Harm di sfuggita: l’ammiraglio non
avrebbe lasciato correre, questa volta. Harm ricambiò il suo
sguardo rapidamente e
cercò di calmare l’ammiraglio: “Davvero, signore, si
tratta di divergenze…”
“Capitano,
non mi prenda per uno stupido! Voi
due avete lavorato assieme per anni e, nonostante, a volte, abbiate
avuto divergenze
d’opinione, non vi siete mai comportati come state facendo da alcune
settimane
a questa parte. Per la precisione da quando lei…” e guardò il capitano
“… è
rientrato in servizio dopo la sua brutta avventura in mare, e lei… “ e
questa
volta squadrò il colonnello “… non si è più sposata con Brumby. Cos’è
successo,
tra voi due?”
“Forse
abbiamo lavorato per troppo tempo
assieme…” suggerì il colonnello MacKenzie.
“Cosa
intende, colonnello? Che non vuole più
lavorare assieme al capitano Rabb?” chiese l’ammiraglio, con un tono
che stava
ad indicare quanto fosse infastidito dall’eventualità di dover
modificare certe
sue decisioni.
“No,
no, signore! “ si affrettò a replicare
Mac. “Lo dicevo solo per spiegare il motivo per il quale, ultimamente,
non
andiamo d’accordo.”
“E
come pensa di risolvere la cosa, se
continuerà a lavorare col capitano?” l’ammiraglio la osservava con aria
divertita, ora.
“Ecco,
signore…” iniziò Mac, ma Harm la
interruppe: “Ammiraglio, lei ha ragione.” Mac guardò Harm con
una luce omicida negli
occhi. Lui continuò, evitando il suo sguardo:
“Vede,
signore, io e il colonnello abbiamo soprattutto delle divergenze
personali.
Tuttavia, ritengo che possiamo risolverle a breve, da persone civili!”
L’ammiraglio
scrutò sia il capitano, sia il
colonnello. Si divertiva un mondo metterli alle strette.
“D’accordo,
capitano, vedrò di crederle sulla
parola. Lei cosa ne dice, colonnello? Pensa di riuscire a risolvere i
suoi
problemi con questo diavolo d’uomo?” chiese con aria divertita.
“Farò
il possibile, signore” rispose Mac,
sospettosa di fronte all’aria quasi amichevole che aveva assunto
l’ammiraglio.
“Bene,
signori, perché non ho
nessun’intenzione di modificare la mia decisione di farvi lavorare
assieme! Ora
potete andare” e li congedò, sempre con un sorriso divertito negli
occhi.
Harm
e Mac uscirono dall’ufficio
dell’ammiraglio in silenzio. Si rivolsero uno sguardo carico d’astio e
molto
eloquente: entrambi ritenevano che la colpa fosse dell’altro. Negli
uffici del
Jag nessuno fiatò, quando li videro dirigersi alle rispettive scrivanie
senza
rivolgersi più la parola. Harriet seguì con lo sguardo prima
l’uno, poi
l’altra. Dopodiché si alzò dal suo posto e bussò alla porta
dell’ammiraglio.
“Mi
scusi, ammiraglio. Le ho portato i
documenti che mi aveva richiesto.”
“Ah,
tenente, grazie” e allungò una mano per
prenderli. Il tenente Sims si congedò e fece per voltarsi ed uscire, ma
la voce
di Chegwidden la fermò: “Harriet, aspetti un momento, per favore”
Lei
lo osservò, titubante.
“Si
sieda, la prego...”
Harriet
si sedette in silenzio, aspettando che
l’ammiraglio parlasse.
“Lei
sa cosa sta succedendo tra quei due? ”
chiese, facendo un cenno del capo in direzione della porta.
“No,
signore”, rispose Harriet.
“N’è
sicura, tenente?” le chiese di nuovo, con
uno sguardo indagatore “ero convinto che lei e il colonnello foste
amiche.
Inoltre il tenente Roberts è amico del capitano…”
“Mi
creda, ammiraglio: anche io e Bud non
siamo riusciti a capire cosa sia successo. Quando il capitano tornò
dalla
convalescenza dopo il naufragio, fui proprio io a dirgli della reazione
del
colonnello e del fatto che il matrimonio era stato annullato. Lo vidi
felice,
alla notizia… Pensavo che avrebbe parlato con Mac… Pensavo che si
sarebbero
chiariti. Quei due sono innamorati pazzi l’uno dell’altra, signore!”
disse con
enfasi, ma subito, osservando lo sguardo dell’ammiraglio continuò “Oh,
mi
scusi…”
“Lasci
stare, Harriet” la fermò l’ammiraglio
“anch’io sono convinto che siano innamorati. Quello che non capisco è
il loro
comportamento da un po’ di tempo a questa parte… Credevo che, almeno
lei,
sapesse qualcosa in più. Ma, a quanto pare, brancoliamo tutti nel buio!
Pensavo
di dover tenere a bada solo il capitano, di solito è lui che mi rende
la vita
un inferno!” e ricambiò il sorriso che era comparso sul volto del
tenente Sims
a quelle parole “… ma ora ci si mettono tutti e due! Possibile che il
capitano
sia riuscito a contagiare anche il colonnello, con la sua speciale
capacità di
crearmi problemi?” domandò quasi a se stesso.
Harriet
sorrise di nuovo. Le piaceva proprio
quell’uomo! Talvolta la sua aria burbera la intimidiva, ma lei aveva
potuto
costatare in molte occasioni che la sua severità spesso era solo una
facciata,
la maggior parte delle volte imposta dal suo grado. Dietro
quell’aria da duro, si celava un cuore tenero, ma guai a chi si fosse
fatto
sfuggire un commento simile! Eppure, lo si capiva da come si
preoccupava per tutti
loro... e non perché ne andava del lavoro, anche se era quello che
voleva far
credere a tutti. L'Ammiraglio considerava i sui subalterni un po’ come
se
fossero tutti figli suoi; in particolare aveva una predilezione per
Harm e Mac.
Bastava ricordare la preoccupazione che aveva avuto dipinta in viso,
mentre il
capitano Rabb era disperso in mare. E l’aria paterna con cui aveva
osservato il
colonnello MacKenzie, mentre era sconvolta, nell’attesa di notizie...
No; l'ammiraglio Chegwidden poteva anche
pensare di essere un duro, ma lei, ormai, lo conosceva bene!
“Se
dovesse capirci qualcosa, me lo verrebbe a
dire? So che non dovremmo intrometterci nella loro vita privata, ma
quei due
ragazzi mi stanno preoccupando. Ultimamente sembrano sempre sul punto
di
sbranarsi a vicenda…” disse pensieroso. Poi, notando lo sguardo
compiaciuto e quasi
tenero del tenente, si riprese immediatamente e aggiunse con tono più
severo:
“Non
tollero che sul lavoro ci si porti dietro la vita privata! Devono
smetterla! Altrimenti sarò costretto a prendere seri provvedimenti!”
Harriet
represse un sorriso e rispose: “La
terrò informata, signore.” Detto questo, uscì. Per poco non si
scontrò con Mac.
“Colonnello…
sta uscendo?” le chiese,
vedendola con la cartella dei documenti.
“Si,
Harriet… me ne vado. Ne ho abbastanza per
oggi!” disse, rivolgendo uno sguardo seccato in direzione di Harm che
la stava
raggiungendo lentamente. Tornando a guardare Harriet, aggiunse con aria
cospiratrice: “Inoltre ho un appuntamento“
“Un
appuntamento romantico?” l’apostrofò Harm,
scrutandola con aria divertita.
“Eccoli
che ricominciano!” pensò Harriet tra
sé.
“Molto
romantico…!” rispose Mac con uno
sguardo sognante; quindi continuò, rivolgendosi al tenente con voce
dolce:
“Buona serata, Harriet”. Poi, guardando negli occhi Harm, disse: ”Buona
serata
anche a te, capitano!”, e gli lanciò un bacio sulla punta delle dita,
con la
chiara intenzione di prenderlo in giro. Infine se ne andò.
Harriet
osservò Harm fissare per qualche
secondo la porta chiusa dietro di lei e poi ritornare nel suo ufficio,
scuotendo il capo.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Capitolo
2
Finalmente
quella terribile
giornata lavorativa poteva
dirsi chiusa!
Uscì
dall’ufficio e s’incamminò verso l’auto.
Stava per salire, quando un’inspiegabile sensazione lo colse… Si guardò
attorno,
scrutando attentamente le persone che passavano sul marciapiede. Una
donna lo
osservò compiaciuta, rivolgendogli un sorriso, quasi un invito.
Contrariamente
al suo solito, non accennò neppure a ricambiarlo. Si sentiva
teso, irrequieto. Aveva la strana
sensazione che qualcuno lo stesse osservando. Si guardò ancora
un attimo attorno, poi decise
di lasciar correre: forse quella giornata in ufficio lo aveva reso
talmente
nervoso, che s’ immaginava certe cose.
Eppure…
Difficilmente
il suo istinto lo traeva in
inganno. Di solito lo aveva sempre usato in tutte le occasioni in cui
si era
trovato in pericolo, e ce n’erano state parecchie nella sua vita.
Ecco
di cosa si trattava: di una sensazione di
pericolo imminente! Non aveva visto nulla, tuttavia, che
potesse
avvalorare la sua sensazione…
Per
nulla rassicurato, decise comunque di
salire, mettere in moto l’auto, ed andarsene da lì. Se qualcuno lo
stava
seguendo, meglio farlo uscire allo scoperto. Guidò lentamente, tenendo
sempre d’occhio lo
specchietto retrovisore. Non notò niente di sospetto. Ad ogni modo,
avrebbe
espresso le sue preoccupazioni all’ammiraglio, l’indomani, se avesse
avuto
ancora quella sensazione.
Sempre
che l’ammiraglio Chegwidden lo stesse
ad ascoltare, dopo la sfuriata di quel pomeriggio! Accidenti,
come si era arrabbiato! Lui e Mac
non avrebbero potuto continuare così, altrimenti li avrebbe cacciati
dal Jag.
Avrebbero dovuto trovare una soluzione. Harm, tuttavia,
pensava che
l’ammiraglio si divertisse anche un mondo a fare il burbero. Era
meglio, in
ogni caso, non sfidare troppo la sorte... Meglio non correre il rischio
di fargli prendere una decisione che entrambi non avrebbero gradito.
Arrivò
a destinazione e spense l’auto. Scese e
si guardò attorno. Nulla: tutto sembrava normale. Recuperò dal
sedile la borsa e chiuse l’auto.
Dopodiché si avviò verso l’ingresso del palazzo.
Non
si accorse che un’auto scura aveva
parcheggiato proprio di fronte, senza che nessuno scendesse…
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo
3
Sarah
MacKenzie sorrise, mentre sfilava le chiavi dalla
serratura, entrando nel suo appartamento. Aveva sentito una voce
maschile
provenire dal bagno: lui era già arrivato e stava canticchiando sotto
la
doccia.
Aveva fatto
più tardi del previsto. Uscita dall’ufficio, con un taxi era andata a
ritirare
l’auto dal meccanico. Una settimana prima un guasto ai freni l’aveva
costretta
a portarla ad aggiustare. Fortunatamente si era accorta del problema
mentre
stava andando piano: era riuscita a sterzare e non aveva tamponato
nessuno.
Rabbrividì all’idea di cosa sarebbe potuto succedere, se solo il guasto
si
fosse verificato in un momento in cui stava andando a maggior
velocità. Quella sera anche il meccanico aveva confermato
d’aver
trovato strano quel guasto. L’auto era relativamente nuova e in ottimo
stato.
Inoltre lei stessa era una maniaca dei controlli: l’ultimo risaliva
appena a
tre mesi prima. Tuttavia non aveva saputo dirle altro. Se sospettava
una
manomissione, certamente il lavoro era stato fatto in maniera accurata,
in modo
tale da non lasciare traccia. Impossibile, quindi, accertarlo. Andare
alla
polizia non sarebbe servito a nulla: sapeva quanto fossero necessarie
prove
concrete perché le forze dell’ordine prendessero in considerazione
l’ipotesi di
un attentato alla sua vita.
Magari era stato davvero un caso. Doveva trattarsi di un
caso! Del resto chi avrebbe potuto avere l’intenzione di farle del male
di
proposito? Decise di non pensarci più: meglio gustarsi la serata
piacevole che
l’attendeva, anziché continuare a tormentarsi con quelle supposizioni.
Posò la
cartella da lavoro, si sfilò velocemente le scarpe
e si diresse verso la camera per spogliarsi. Voleva raggiungerlo al più
presto!
Una bella doccia con l’uomo che stava canticchiando oltre la porta era
proprio
quello che le ci voleva, dopo la giornata appena trascorsa in
ufficio. Era stata dura con l’ammiraglio. Non sarebbe stato
facile,
nei prossimi giorni, a meno che… Doveva riflettere
attentamente su come risolvere la situazione, per
evitare di incappare ancora nelle ire di Chegwidden, altrimenti poteva
dire
addio alla sua carriera al Jag.
Accidenti! Le
cose, così, non potevano andare avanti!
Ora, però,
non aveva nessun’intenzione di pensare anche a
come risolvere i problemi che aveva in ufficio. Al momento voleva
concedersi
una bella doccia rilassante… e non solo!
Un capogiro
le fece perdere l’equilibrio…
Cosa le stava
succedendo? Altre due volte, nel corso
dell’ultima settimana, le era capitato d’avere questi improvvisi
giramenti di
testa. Forse si trattava solo di stress causato dalla tensione in
ufficio e
dalle preoccupazioni per la faccenda dell’auto… Si sedette,
fece un profondo respiro e cercò di calmare
l’ansia. Domani avrebbe fatto un salto dalla sua dottoressa, per capire
cosa
non andava. Aveva sempre avuto una salute di ferro... Strani, questi
giramenti.
L’unico problema che, fin da ragazza, aveva avuto quando era sotto
tensione,
era il suo ciclo che ritardava. Aveva
imparato a convivere con il problema, anche su suggerimento della sua
ginecologa. La dottoressa le aveva spiegato che spesso, il corpo,
reagisce in
maniera strana allo stress della mente. In alcune persone fa venire
l’ulcera,
altre soffrono d’emicranie terribili, altre ancora hanno ritardi.
Bhè... ora
andava molto meglio! Doveva trattarsi proprio di stress, se
dopo
pochi respiri lenti e profondi immediatamente la situazione era
migliorata.
Non aveva davvero motivo di preoccuparsi.
La voce
nell’altra stanza continuava nel suo monologo
musicale. Era ora di raggiungerlo!
Prestando
attenzione a non fare rumore, entrò di soppiatto
in bagno. Aspirò immediatamente il profumo maschile che vi aleggiava e
si sentì
subito meglio. Poi, attraverso il vetro appannato della doccia, vide il
suo
corpo e sentì un calore invaderla completamente. Non si trattava del
caldo del
vapore… e neppure derivava dal capogiro di poco prima. Era inutile:
ogni volta
che posava gli occhi su di lui, reagiva come una ragazzina!
Aprì la porta
della doccia e gli sfiorò la schiena con la
mano. Pur avendola sentita, non si voltò immediatamente. Lei capì che
desiderava che lo raggiungesse. Allora entrò sotto il getto d’acqua
calda e gli
si avvicinò, cingendolo da dietro, e posando le labbra sui suoi
muscoli. Lentamente lui si voltò tra le sue braccia, la
strinse a
sé e le cercò le labbra. Sarah rispose a quel bacio, come ad ogni altro
che lui
le dava.
La cena
avrebbe atteso ancora un po’…
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Una vendetta crudele
Capitolo
4
L’uomo
sull’auto scura posò il binocolo sul sedile. Poteva
tornarsene a casa. Oramai era certo che non sarebbero usciti fino al
mattino
dopo.
Bene, bene,
oramai sapeva quale era il suo tallone
d’Achille! Dopo giorni di pedinamento, alla fine era riuscito a
capirlo.
Avrebbe dovuto sospettarlo già da tempo. Solo che certi avvenimenti lo
avevano
fuorviato.
Chi poteva
immaginare che ora avrebbe potuto disporre di
una così potente arma per piegarlo, finalmente, alla sua volontà? Era
sufficiente aspettare il momento giusto, per coglierlo
con la guardia abbassata. E poi avrebbe potuto mettere in atto la sua
tanto
desiderata vendetta!
Da quanto
tempo aspettava un momento simile... Con un ghigno che voleva essere un
sorriso, pregustò la scena,
immaginandola nei minimi dettagli... Quanto odiava quell’uomo!
Doveva riuscire ad avere la meglio su di lui, altrimenti
non sarebbe più riuscito ad avere pace.
Vide un
poliziotto aggirarsi tra le auto in divieto di
sosta, e subito si riscosse dai suoi sogni di vendetta. Doveva
andarsene da lì.
Non poteva permettersi di essere notato, soprattutto da un poliziotto.
Mise in moto
l’auto e scivolò lentamente nel traffico
serale, abbandonando la sua postazione sotto la casa del colonnello
MacKenzie.
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Una vendetta crudele
Capitolo
5
Ogni giorno
che passava, adorava sempre di più quell’uomo!
Sarah era
stesa a letto, pigramente abbandonata a
contemplare Harm, che si era fermato sulla soglia della camera con in
mano un
vassoio pieno di leccornie. Aveva una fame che avrebbe divorato tutto,
lei sola! Ma
sapeva che lui non glielo avrebbe permesso. Di solito divideva il
vassoio
carico di cibo, che quasi ogni sera le preparava, in due parti uguali:
tutto
quello che si poteva definire “vegetariano” era rigorosamente suo. A
lei era
concesso tutto il resto. Sarah lo adorava, perché, nonostante a lui non
piacesse
nulla che fosse anche lontanamente parente con un animale, per amor suo
si
sforzava di cucinarle i suoi piatti preferiti, che di solito erano
spesso a
base di carne.
“Uhmmm, che buon
profumo!” disse, con sguardo famelico. Harm capì subito che questa
volta lo
sguardo non era rivolto a lui, ma al cibo.
“Cos’hai
preparato di buono? ” chiese, mettendosi seduta.
Lui la guardò e pensò che, contrariamente a lei, avrebbe ritardato
ancora oltre
la cena, lasciando anche raffreddare quello che aveva preparato con
cura, pur
di amarla di nuovo.
Era
incredibile come non n’avesse mai abbastanza di lei!
“Harm! Che
fai lì? Vieni a sederti qui, vicino a me “ gli
disse, picchiettando leggermente con la mano sulle lenzuola al suo
fianco. “Ho
fame! Ho intenzione di mangiare tutto quello che mi hai preparato ”
continuò
poi.
Harm sorrise
e si sedette accanto a lei. Era bello vederla
così felice. E così affamata! Da qualche settimana non faceva altro che
divorare tutto quello che lui preparava. Forse anche quel mezzogiorno,
aveva
saltato il pranzo…
“Non hai
mangiato neppure oggi?” le chiese, sfiorandole
una guancia con tenerezza.
“No. Anche
oggi avevo lo stomaco chiuso. Sarà per tutte le
litigate che faccio col mio partner in ufficio!” disse, mentre si
portava alla
bocca un pezzo di bistecca al sangue.
Come faceva
ad ingurgitare quella roba? Eppure aveva
un’aria estasiata. Doveva piacerle proprio! Harm la trovò molto sexy,
anche
mentre divorava la carne…
“Dobbiamo
parlare proprio di questo…” replicò, mentre
assaporava il suo pasto rigorosamente senza carne.
“Lo so…”
sospirò Sarah. “ L’ammiraglio era proprio
arrabbiato oggi, vero? ” gli chiese, con un sorriso negli occhi.
“Quanto sono
stata stupida a suggerire che i nostri problemi potessero derivare dal
fatto
che lavoriamo troppo assieme! Pensa se mi avesse preso alla lettera e
avesse
deciso di dividerci. Magari ti avrebbe messo in coppia con la Singer “
lo
prese in giro, continuando imperterrita a mangiare.
“Diventeresti
una belva se io lavorassi in coppia con il
tenente Singer!” replicò lui, divertito.
“Quella ti
sbava dietro! Non fa altro che aspettare
l’occasione per poterti saltare addosso. Gioisce ogni volta che ci vede
litigare” disse lei, aggredendo un altro pezzo di carne come se avesse
nel
piatto tanti pezzetti del tenente Singer.
“Ammettilo:
sei gelosa!” la istigò Harm.
“Non sono
gelosa! E’ che non la sopporto”
Lui la guardò
divertito, in silenzio. L’aria sorniona con
cui la osservava stava ad indicare che non le credeva.
“E va bene!
D’accordo. Lo ammetto. Sono gelosa! Potrei
strozzarla, ogni volta che ti fa delle moine ” ammise. “Anzi, meglio
ancora: potrei ridurla in tanti pezzettini… ” ribadì, alludendo al
piatto dove prima
c’era un’enorme bistecca e al momento ne restavano pochi pezzi.
“Ecco che
tiri fuori il Marine che c’è in te!” ridacchiò
Harm.
“Sapere che
sono gelosa gonfia il tuo Ego maschile, vero?
” lo stuzzicò lei.
“No… vederti
gelosa mi fa venire solo voglia di far
l’amore con te…” rispose lui, con una luce divertita negli occhi. Ma la
sua
voce era profonda, seria, e le procurò un brivido lungo la schiena.
“Ad ogni
modo, ” proseguì “ l’ammiraglio non permetterà
più litigate come quella di oggi. E se non ci sforziamo di litigare, mi
spieghi
come facciamo a non far capire che siamo follemente innamorati e che
stiamo
assieme? Ho sempre voglia di baciarti anche quando mi tratti in quel
modo
odioso! ” aggiunse, col suo solito sorriso affascinante che la seduceva
sempre.
“Ah… e così
sarei io a trattarti in maniera odiosa? E tu?
Tu che mi dici che sono un bulldozer? ” replicò lei, cercando di fargli
il
solletico.
“Un bulldozer
molto affamato! ” ripeté Harm, afferrandola
a sua volta.
“Lasciami,
Harm… Voglio finire la mia bistecca!”
“Oh, al
diavolo la tua bistecca! Vieni qui…” e così
dicendo la prese tra le braccia e iniziò a baciarla. Un bacio
possessivo,
esigente, meraviglioso. Simile a tanti altri che le aveva già dato in
quei due
mesi trascorsi dalla notte in cui le aveva chiesto di sposarlo. Ma
ognuno
diverso a suo modo. E sempre fantastico...
Sarah si
rassegnò a terminare più tardi il suo pasto e
rispose al bacio con passione.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Una vendetta crudele
Capitolo
6
Proprio
non andava!
Quella mattina aveva pure la nausea.
“Allora
sei d’accordo,
Sarah?” La voce di Harm, che si stava vestendo in camera, la costrinse
a fare
un respiro profondo e deglutire, sforzandosi di rispondere soffocando
il conato
di vomito che l’aveva colta. Quasi certamente stava covando una
bell’influenza. Un
po’ strano, in
estate… Forse si trattava di un altro virus…
“Sarah!”
la chiamò di
nuovo Harm, non sentendo risposta.
“Si,
sono d’accordo”
si decise a rispondere. Magari se avesse provato a mangiare qualcosa…
Ma la
sola idea la faceva star peggio.
“Che
cos’hai?” chiese
premuroso lui, raggiungendola in cucina, mentre si stava facendo il
nodo alla
cravatta. Era una giornata di fine estate, grigia e piovosa e Harm
aveva optato
per l’uniforme blu, completa di giacca e cravatta, al posto di
quell’estiva
bianca. Più
probabilmente l’aveva scelta
perché doveva incontrarsi con il segretario della Marina assieme
all’ammiraglio
Chegwidden. Quella sera avrebbe dovuto pensare lei alla cena: quando
Harm
incontrava il segretario, di solito dopo era nervoso per tutta la
giornata. E
la stessa cosa accadeva all’ammiraglio!
Oramai aveva portato da lei
molti cambi di
vestiario, il suo spazzolino e il suo dopobarba, con tutto il
necessario per
radersi. Per la verità, entrambi avevano duplicato certi effetti
personali, per
poterli avere a disposizione in ognuno dei loro appartamenti. Avevano
deciso, di
comune accordo, di passare le notti a volte da lei, altre
nell’appartamento di
Harm, per destare meno sospetti, qualora qualcuno si fosse preso il
disturbo di
cercare di capire cosa stava succedendo tra loro.
Si
divertivano un
mondo a giocare agli amanti clandestini, anche se avevano già deciso
che,
presto, si sarebbero sposati.
Ad
onor del vero era
stata lei ad insistere che provassero a convivere per un po’. Fosse
stato per
Harm, l’avrebbe sposata la sera stessa in cui glielo aveva chiesto.
Però Sarah
voleva che lui fosse davvero certo della sua decisione. Aveva sempre
sperato di
poter diventare sua moglie, ma lo conosceva molto bene e sapeva che le
sue
relazioni non duravano mai troppo a lungo. Harm non voleva sentirsi
prigioniero
di una donna, e Sarah non desiderava assolutamente che questo accadesse
con
lei. Era anche vero che lui
non aveva mai chiesto a nessuna delle altre sue donne di
sposarlo. Sarah, comunque,
voleva essere certa che le cose tra loro funzionassero, prima di
affrontare il
matrimonio. Anche per se stessa. Già con Mic le cose si erano protratte
fino al
punto del non ritorno, e se non ci fosse stato l’incidente in mare,
probabilmente
ora sarebbe moglie di un uomo che non amava davvero.
Non
aveva dubbi
riguardo ai sentimenti che provava per Harm. Non avrebbe potuto amare
un uomo
più di quanto amasse lui! E in quei due mesi aveva avuto talmente tante
dimostrazioni di quanto Harm l’amava, che anche la paura, provata
inizialmente,
che lui potesse stancarsi della loro storia, l’aveva finalmente
abbandonata.
Non
lo aveva mai visto
tanto felice e sereno: faceva di tutto per stare con lei il più
possibile,
anche se i loro impegni spesso li costringevano a trasferte, e non
sempre
assieme. E mai, mai una volta, aveva colto in lui segni d’insofferenza,
come le
era capitato di osservare mentre stava con Renee, oppure negli ultimi
tempi
della sua relazione con il tenente Parker, quando Harm voleva tornare a
pilotare i caccia e Jordan non capiva il suo desiderio.
Ad
ogni modo aveva
preferito, al momento, non dire nulla, neppure in ufficio. Quando il
suo
matrimonio con Mic era stato annullato, certe persone, invadenti e
maligne,
avevano fatto un sacco di domande, esprimendo curiosità e pena per il
mancato
matrimonio. Non
voleva che una cosa del
genere potesse accaderle ancora. Sarebbe stata loro
intenzione, quindi, far sembrare che il loro rapporto fosse amichevole
come
prima. Solo che non c’erano riusciti. Sia lei che Harm facevano fatica
a
nascondere la felicità che provavano nello stare assieme. Avevano
preferito,
allora, una soluzione diversa. Fingere di essere arrabbiati e litigare.
Così
riuscivano a reprimere la voglia di baciarsi che avevano in ogni
momento!
All’inizio
si erano
divertiti molto nel mettere in atto il loro piano. Ora, però, stava
diventando
stancante. Inoltre, dopo la sfuriata di Chegwidden del giorno prima,
avevano
dovuto rivedere le cose, decidendo di ritornare, poco alla volta, allo
spirito
amichevole di sempre, per arrivare gradualmente a diffondere la notizia
del
loro legame.
“Tesoro,
hai un
aspetto terribile” disse Harm mentre la baciava sul collo.
“Grazie…”
rispose lei
un po’ imbronciata “ che bel complimento, mio caro!”
“Non
voleva essere un
complimento, ma una constatazione” rispose Harm, divertito dal tono di
lei.
“Non voglio litigare! Abbiamo deciso di cambiare tattica… ricordi?”
“Lo
ricordo. Ora
dobbiamo tornare ad essere i grandi eterni amiconi...”
“Cos’è
questo tono
leggermente polemico?”
“Niente…”
“Mac,
cosa c’è?”
“Cominci
già a
chiamarmi Mac…”
“Cosa
intendi? Un
sacco di volte ti chiamo Mac!”
“Già…
Mi hai sempre
chiamato Mac, quando non stavamo assieme. Da due mesi, invece, mi hai
sempre
chiamato Sarah…”
“Ma
solo quando siamo
soli.”
“Perché,
vedi qualcun
altro ora?”
Che
cosa le stava
capitando? Era strana, quel giorno. Di solito non era così petulante e
noiosa…
Harm la guardò in volto e notò un pallore che di solito non aveva.
“Sei
sicura di star
bene?” chiese di nuovo, dolcissimo.
Vide
due lacrime
spuntare nei suoi splendidi occhi. Preoccupato l’abbracciò e chiese di
nuovo:
“Sarah, cos’hai?”
“Nulla…
Sei sicuro
che, tornando a comportarci da amici, non ti passi la voglia di
sposarmi?”
“Sarah!”
disse lui,
sollevandole il viso “davvero credi che non vorrei più sposarti? Ti
ricordo che
sei stata tu ad insistere per non farlo subito. Fosse dipeso da me,
saremmo già
sposati da quasi due mesi!”
“Scusami…
Hai ragione.
E’ solo che oggi mi sento strana… Ad ogni modo, ora che sono tra le tue
braccia, mi sento molto meglio.”
“Bene.
Ora, però, devo
andare. Altrimenti mi dovrò sorbire un’altra sfuriata dell’ammiraglio!
Ci
vediamo più tardi in ufficio?” chiese Harm, prima di baciarla.
“Si”
Dopo
che lui fu
uscito, Sarah si sedette a pensare: che strano! Anche il suo umore
cominciava
ad avere troppi alti e bassi, per i suoi gusti. Perché mai si era
comportata
con Harm come una donna piagnucolosa? Non sopportava quel genere di
donna. E
lei non lo era. Inoltre
era sicura
dell’amore di Harm. Eppure…
Sbalzi
d’umore,
capogiri, nausee mattutine… e poi il suo ciclo che ritardava. Aveva
dato la
colpa, come sempre, allo stress. Se non fosse stata certa del
contrario,
avrebbe potuto pensare di essere incinta. Lei e Harm, però, erano
sempre stati
molto attenti…
Sempre?
Oh,
Dio! Forse non
sempre…
Ritornò
con la mente
alla sera in cui lui l’aveva raggiunta a casa sua, poco dopo essere
tornato
dall’ospedale. Ricordava
ancora
com’erano stati travolti dal desiderio… Avevano fatto l’amore…
e non avevano usato nulla! Ora lo ricordava con certezza. E da allora
erano
passati circa due mesi…
Fece
un rapido conto e
sorrise. Altro che virus! Aspettava un bambino! Ecco perché si sentiva
tanto
strana!
Un
bambino di Harm...
Dio, che gioia!
Chissà
come l’avrebbe
presa lui? Ne sarebbe stato felice? Doveva esserne sicura, prima di
dirgli
qualunque cosa. Con un’improvvisa
energia ritrovata, chiamò la dottoressa e si preparò rapidamente:
l’avrebbe
ricevuta a metà mattina.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Una vendetta crudele
Capitolo
7
L’uomo
sorrise
maligno, quando la vide uscire con un’aria estasiata dal negozio per
bambini
dove l’aveva vista acquistare un paio di scarpine di lana, quelle che
si
mettono ai neonati.
E
così era vero! Il
bel colonnello aspettava un bambino.
Il
sospetto che aveva
avuto quando l’aveva seguita in ospedale e l’aveva vista uscire
sorridente
dallo studio di una ginecologa, era stato confermato dall’acquisto di
poco
prima.
Non
riusciva a credere
che la fortuna stesse girando così dalla sua! E il padre non poteva
essere che
l’uomo che lui odiava tanto. Ecco finalmente giunto
il momento di mettere in atto il suo piano! Quale momento migliore che
portargli via la sua donna, appena scoperto che sarebbe diventato
padre? Così
gli avrebbe portato via sia la donna, sia il figlio. La sua vendetta
sarebbe
stata ancora più crudele!
Bastava
aspettare fino
all’indomani. Certamente la cara mammina non avrebbe atteso un altro
giorno per
comunicargli la lieta notizia. Altrimenti perché acquistare le scarpine?
Che
tenera! Sotto
quell’uniforme dei Marines si nascondeva uno zuccherino. Chissà, forse
avrebbe
potuto assaggiarlo un po’, prima di sbarazzarsene.
Salì
in macchina e se
ne andò, per prepararsi a mettere in atto il suo piano. Avrebbe agito
subito
l’indomani. Meglio
non aspettare oltre. Anche quella
mattina, quando l’aveva visto uscire e salire in macchina, si era
accorto che
era guardingo, come la sera prima.
Quell’uomo
aveva in
istinto infallibile. Sembrava avesse un radar, al posto del cervello!
Non
voleva correre il rischio di metterlo troppo in allarme.
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Una vendetta crudele
Capitolo
8
“Sarah”,
chiamò Harm
entrando in casa.
Era
molto preoccupato.
Non aveva fatto altro che stare in ansia per lei, da quando aveva
saputo,
rientrando dall’appuntamento con il segretario, che aveva chiamato per
comunicare che non sarebbe andata in ufficio perché non si sentiva
bene. Non
avrebbe dovuto lasciarla, quella mattina. Era pallida, strana…
Le
ore al lavoro gli
erano sembrate interminabili. Avrebbe voluto chiamarla a casa, per
avere
notizie, ma aveva sempre avuto qualcuno intorno. Perché non rispondeva?
“Sarah!”
chiamò di
nuovo.
Nulla.
Si tolse la
giacca, posò il berretto dell’uniforme, sciolse il nodo alla cravatta e
slacciò
i primi due bottoni. Poi realizzò che dalla cucina arrivava un
delizioso
profumo di cibo… Se gli aveva preparato
la cena, non doveva stare così male!
Si diresse in cucina,
ma non la trovò; in compenso vide il forno acceso, dove stavano
cuocendo delle
lasagne. Nel lavandino una fila d’utensili e piatti usati. Sorrise.
Sarah che
aveva cucinato per lui! Non accadeva spesso. Di solito era lui che
cucinava per
lei.
Chissà
dov’era finita?
Mentre si dirigeva in camera, si sfilò la camicia dai pantaloni e
slacciò i
bottoni sul fondo, come sua abitudine. Aprì la porta della camera e
vide il
letto vuoto. Anzi, non era vuoto. Al centro vi era un pacchettino,
avvolto in
una carta giallo pallido. Un biglietto col suo nome stava appoggiato
vicino.
Incuriosito, si avvicinò e lo prese in mano: era molto leggero.
“Perché
non lo apri?”
la voce di Sarah lo fece voltare, sorpreso.
La
guardò e rimase
senza parole. Era stupenda! Indossava una
leggerissima camicia da notte di seta azzurra, lunga fino ai piedi, che
non le
aveva mai visto. Di solito, per dormire, preferiva indossare le sue
t-shirt
perché, così diceva, adorava essere avvolta dal suo profumo. Oppure non
indossava nulla. Harm la trovava irresistibile in entrambi i casi.
In
quel momento non
era irresistibile: era un sogno! Rimase fermo ad
osservarla: lei si mosse leggermente e lui notò che sul fianco
l’indumento si
apriva fino alla coscia, lasciando scoperta la pelle leggermente
abbronzata.
Non
era irresistibile.
Era molto provocante!
Lei
gli si avvicinò,
infilò le mani sotto la camicia aperta e lo baciò. Lui rispose al
bacio, anche
se un po’ sorpreso. Pensava di trovarla ammalata, invece…
“Che
succede?” chiese,
indicando il regalo. “Non è il mio compleanno.”
“Aprilo…”
rispose lei,
dolcemente.
Si
sedette sul letto e
aprì il biglietto. Solo cinque parole: Con
tutto il mio amore. La
guardò
incuriosito, ma lei non disse nulla. Allora si decise e aprì il
pacchetto. Quando vide il
contenuto, non capì immediatamente. La guardò di nuovo e vide sul suo
viso un
sorriso di pura felicità e una luce speciale negli occhi. Allora
comprese.
“Sei
sicura?” chiese,
quasi timoroso di aver inteso male.
“Sono
stata dalla
dottoressa, oggi.“
“Da
quando?” chiese di
nuovo, con un sorriso.
“Circa
due mesi”
rispose Sarah, sollevata, vedendo che sorrideva.
“Lo
sentivo! E’ successo
la prima notte, dopo che sono tornato dall’ospedale, vero?”
“Penso
di si” disse
lei, intenerita dalla sua contentezza.
“Oh,
Sarah, è
meraviglioso!” La sollevò tra le braccia, stringendola forte, e
cominciò a
girare su se stesso, colto da un impeto di felicità.
“Avremo
un bambino!”
disse poi, cadendo sul letto con lei ancora tra le braccia.
“Harm,
lasciami…”
ridacchiò Sarah.
Ma
lui non la lasciò.
Voleva disperatamente baciarla e lo fece.
“Lo
desideravo tanto…”
le disse all’orecchio, tra un bacio e l’altro.
“Davvero?”
chiese lei.
“Temevo che non ne saresti stato troppo entusiasta!”
“Perché
pensavi così?”
“Non
so… un figlio è
un impegno serio…”
“E
temi che io non
voglia impegni seri?”
“No…
ma un figlio è
qualcosa in più del matrimonio. Comporta tante responsabilità…”
“E
per quale motivo
credi che ti abbia chiesto di sposarmi? Io voglio una famiglia con te.
L’ho
desiderato dalla prima notte che ho trascorso tra le tue braccia.”
“Oh,
Harm…”
“Quando
abbiamo fatto
l’amore appena sono rientrato dall’ospedale, mi sono subito accorto che
non
avevamo usato protezione… Immediatamente mi è venuto il dubbio che
potessi
averti messo incinta, ma la cosa non mi ha per nulla turbato. Al
contrario: mi
sono scoperto felicissimo all’idea! “
“Io,
invece, me ne
sono resa conto solo questa mattina. Dopo la mia scena patetica di
stamani, ho
cominciato a ripensare ai disturbi strani che avevo in questi giorni:
capogiri,
nausea, umore volubile… mi sembrava impossibile, siccome eravamo sempre
stati
attenti, anche se ero in ritardo. Ma a me succede, quando sono sotto
tensione.
Poi ho ripensato a quella notte di due mesi fa e mi si è accesa una
lampadina.
La dottoressa ha solo confermato quello che oramai già sapevo.”
“Sapessi
quanto ti
amo, in questo momento…” disse guardandola negli occhi e sfiorandole
una
guancia. Poi continuò: “Sei bellissima, sai?”
“Chissà
se la penserai
ancora così fra qualche mese, quando diventerò grossa…” disse lei,
divertita.
“Sarai
ancora più
bella… “ la rassicurò lui, con voce roca. Poi iniziò ad accarezzarla e
lei,
come sempre, si abbandonò a lui.
Prima,
però, gli
ricordò, sussurrandogli all’orecchio: “Forse è meglio spegnere il
forno, o
troveremo le lasagne carbonizzate…”
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Una vendetta crudele
Capitolo
9
Quella
mattina
sembrava che anche il tempo avesse deciso di assecondare la sua gioia.
Solo il
giorno precedente era una giornata grigia e piovosa; invece quel giorno
il sole
splendeva in un cielo limpido, senza neppure una nuvola.
Harm
era stato
fantastico, con lei! Ancora più premuroso e dolce del solito. Anzi,
forse fin
troppo apprensivo! Un sorriso le illuminò
il volto, quando ripensò alle mille raccomandazioni che le aveva fatto
prima di
uscire e raggiungere il suo appartamento, per prendere un fascicolo che
aveva
scordato di recuperare la sera precedente. Dubitava molto che in
ufficio sarebbero riusciti a nascondere la loro felicità. Tutti
avrebbero
immediatamente capito che c’era sotto qualcosa… Pazienza! Avrebbero
accelerato
i tempi previsti per comunicare la lieta notizia.
Stava
per salire in
macchina, quando uno stridio di freni turbò la quiete di quella
mattina. Si
voltò di scatto e vide un’auto che aveva fatto appena in tempo a
frenare,
evitando così di travolgere in pieno un anziano signore che stava
attraversando
la strada. Sarah, tuttavia, lo
vide a terra. Un altro paio di
passanti si era voltato, per capire cosa stava succedendo, ma lei era
già
arrivata vicino all’uomo, che si stava rialzando a fatica. Sembrava più
spaventato, che ferito, ma Sarah voleva esserne certa.
“Come
si sente?”
chiese, preoccupata.
L’anziano
uomo la
guardò un attimo; poi le sorrise, incerto: “Bene, credo.”
“Venga
con me,
l’accompagno in ospedale per un controllo” disse Sarah.
“No,
non si disturbi,
sto bene” rispose lui. Però, mentre faceva un passo, barcollò
leggermente.
Sarah
cercò di
sorreggerlo. Anche il giovane dell’auto che stava per travolgerlo lo
guardò
preoccupato: “Mi scusi, non l’ho vista…”
“Ha
ragione, sono
sbucato fuori all’improvviso” rispose il vecchio signore. “Mi sembrava
di avere
visto il mio gatto, sotto quell’auto parcheggiata… Sa, sono due giorni
che non
torna a casa e sono preoccupato…” disse, con la voce tremante, rivolto
a Sarah.
“Capisco”
rispose lei,
mentre altre persone si avvicinavano. “Tutto bene, signori, non è
nulla”
comunicò ai passanti, prendendo in mano la situazione. Poi, rivolta
all’uomo
che aveva creato il problema, disse: “Lasci le sue generalità al
negozio lì
accanto, qualora fosse necessario. Ci penso io ad accompagnare il
signore in
ospedale per un controllo…”
“Lei
è molto gentile,
signora” rispose il giovane, prima di dirigersi nel negozio che lei
aveva
indicato. Aveva riconosciuto la divisa della Procura Militare, e non
avrebbe
mai osato disobbedire. Sarah fece un cenno al proprietario del negozio,
che
conosceva, visto tra le persone che si erano avvicinate. Sarebbe
passata più
tardi a recuperare i dati, nel caso l’anziano signore n’avesse avuto
bisogno. Anche una
signora andò con il
giovane: aveva visto la scena e poteva essere un’utile testimone.
“Venga
con me, ora. La
mia auto è proprio lì…” disse, rivolta all’infortunato.
Lo
osservò, mentre in
silenzio la seguiva: non era molto anziano, sulla sessantina forse, con
una
corporatura che sembrava più robusta di quanto le era apparsa in un
primo
momento. Il viso, però, pareva più vecchio… Era strano: era come
se volto e fisico appartenessero a due persone diverse, e fossero stati
uniti
assieme da un buffo scherzo della natura.
Salirono
sull’auto di
Sarah e lei mise in moto, diretta all’ospedale. Dopo aver svoltato a
sinistra,
lasciando alle spalle la strada di casa sua, sentì su di sé lo sguardo
dell’anziano signore. Si voltò a guardarlo e quello che vide la
paralizzò.
Una
pistola era
puntata contro di lei.
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
Una vendetta crudele
Capitolo
10
Uscì
dall’ascensore
fischiettando. Poi si diresse verso l’ufficio di Mac, prima ancora di
posare
borsa e documenti nel proprio. Non vedendola, si guardò attorno e
scorse il
sergente Galindez.
“Galindez,
il
colonnello è dall’ammiraglio?”
“No,
signore. Non è
ancora arrivata” rispose il sergente.
Harm
guardò l’orologio
e chiese: “Per caso ha telefonato anche questa mattina per avvisare che
non
sarebbe venuta?”
“No,
capitano. Nessuna
telefonata.” Galindez lo osservò, incuriosito. Il capitano Rabb
sembrava
preoccupato, ora. Prima, allegro e sorridente, ora preoccupato. Quei
due erano
davvero divertenti, pensò tra sé: fino il giorno precedente, sembravano
sul
punto di sbranarsi a vicenda e adesso… Fu distolto dai suoi pensieri
dalla voce
del capitano che domandava di nuovo: “Sa se doveva andare da qualche
parte,
prima?”
“No,
signore. A
quest’ora, il colonnello sarebbe già dovuta essere qui, come ogni
mattina. Lei
è sempre molto puntuale…” replicò Galindez.
“Già…
a differenza del
sottoscritto, vero? ” sottolineò, divertito Harm.
“Signore,
non mi
permetterei mai…” si scusò il sergente.
“Lascia
stare,
Galindez…” lo congedò allegro il capitano, con un gesto della mano,
prima di
dirigersi nel suo ufficio.
Ma
quando fu dentro,
l’aria allegra lo abbandonò subito. Per quale motivo Mac non era ancora
arrivata? Cosa poteva esserle successo? Calma, amico! Perché
andava subito a pensare che le fosse successo qualcosa? Magari aveva
semplicemente trovato traffico ed era un po’ in ritardo…
Oppure
era sulle
nuvole, proprio come lui, e si era fermata davanti a qualche negozio
per bimbi!
Del resto, non lo aveva fatto anche lui, quella mattina?
Giocattoli!
Lui
aveva perso ben
quindici minuti davanti al negozio di giocattoli, ad ammirare quel
grande orso
esposto in vetrina. Quella sera stessa sarebbe passato a comperarlo.
L’avrebbe
già acquistato se non fosse stato trattenuto dal tipo di spiegazioni
che
avrebbe dovuto fornire in ufficio, se si fosse presentato con un orso
grande
quasi quanto lui, in braccio!
Provò
a concentrarsi
sui documenti prelevati da casa, che doveva esaminare. Ci provò, ma fu
inutile. Da quella mattina,
immagini di Sarah col pancione s’insinuavano continuamente nella sua
mente…
accompagnate da altre di loro due assieme al loro bambino…
Sarebbe
stato un
maschio o una femmina? Non aveva importanza.
Era sufficiente, per lui, che fosse sano e che, sia Sarah sia il
piccolo,
stessero bene. Si allungò sulla
sedia, le gambe accavallate alle caviglie, un dito che sfiorava le
labbra,
nella sua solita espressione di quando era pensieroso… Se fosse stato
un
maschietto, avrebbe potuto insegnargli a volare… E perché no ad una
bambina?
Fu
così che lo trovò
il tenente Roberts, quando mise dentro la testa nell’ufficio del
capitano Rabb
per avvertirlo che c’era una telefonata per lui.
“Non
ha detto chi è,
capitano. Cosa faccio? Gliela passo?”
“Si,
Bud, grazie”
rispose Harm, ritornando a fatica sulla terra. Quando alzò la
cornetta e sentì la voce contraffatta all’altro capo, gli si gelò il
sangue.
“Buongiorno,
paparino…
ti manca tanto la futura mammina?”
Harm
si alzò in piedi,
all’improvviso: “Chi sei? Cosa vuoi?” gridò al telefono.
Bud
guardò Galindez:
anche lui aveva colto la voce preoccupata del capitano.
“Calma,
paparino!”
continuò lo sconosciuto. “Bella donna, il tuo colonnello! Un po’
testarda…
proprio come te. Ho dovuto legarla, per farla star tranquilla...” lo
sfidò.
“Lasciala
stare! Giuro
che se le torci un solo capello, ti ammazzo con le mie stesse mani!” la
rabbia
gli esplose in corpo, assieme al terrore per Sarah.
“Tu
non puoi più dirmi
quello che devo fare. Sono io che detto le regole, questa volta”
replicò
l’uomo con odio.
“Cosa
vuoi?” chiese di
nuovo Harm, la voce dura e decisa.
“A
parte spassarmela
col tuo bel bocconcino? “ lo stuzzicò di nuovo.
“Maledetto…”
gridò,
sbattendo una mano sulla scrivania.
Sentendo
il colpo, Bud
si preoccupò moltissimo. Il capitano Rabb era solitamente calmo, al
telefono.
Doveva essere successo qualcosa di molto grave.
“Voglio
te, capitano...”
proseguì la voce sconosciuta.
“Chi
sei? Come ti
trovo?” domandò deciso Harm: se quel bastardo voleva lui, lo avrebbe
accontentato subito, purché lasciasse immediatamente libera Sarah.
Sentì la
paura serrargli la gola, come una mano che lo stringeva dall’interno.
“Vuoi
sapere troppe
cose. Ci risentiamo” e la voce interruppe la comunicazione.
“Maledizione!”
sbottò
Harm, scaraventando sulla scrivania la cornetta del telefono. Poi uscì
come una
furia dall’ufficio, dirigendosi verso l’ascensore.
“Capitano…”
cercò di
fermarlo Bud.
“Dì
all’ammiraglio che
rientro al più presto” gridò, mentre l’ascensore si chiudeva sul suo
volto
stravolto dall’ansia e dalla rabbia.
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
Una vendetta crudele
Capitolo
11
Non
si era mai sentita
tanto stupida in vita sua. Come aveva potuto essere così irresponsabile
e dare
un passaggio ad uno sconosciuto? Ma quel maledetto, l’aveva
architettata bene!
Farsi passare per un povero vecchio, e per di più infortunato…
Chi
poteva essere?
Cosa voleva da lei?
Frustrata,
provò a
divincolarsi, ma l’aveva legata troppo bene e non riusciva neppure a
muoversi.
Dov’era
finito, ora?
Erano circa tre ore, ormai, che era nelle sue mani.
Sentì
il suo stomaco
brontolare: quella mattina non aveva mangiato granché. La nausea le
aveva
impedito di ingerire null’altro, oltre ad un paio di fette di pane
integrale e
adesso aveva fame. E sete. Aveva moltissima sete. Ora avrebbe dovuto
nutrirsi
ancora meglio di quanto già non facesse… la dottoressa glielo aveva
raccomandato tanto! Prima
di andare in
ufficio sarebbe dovuta andare in farmacia ed acquistare tutte le
vitamine che
le aveva prescritto. Non voleva che il suo prezioso bambino potesse
risentire
in qualche modo della mancanza di vitamine. Sapeva quanto erano
importanti,
soprattutto nei primi mesi di gestazione.
Una
lacrima premeva
prepotente per uscirle dagli occhi: il suo bambino… Oddio, il suo
piccolissimo bambino! Che cosa sarebbe successo al suo cucciolino?
Ripensò
alla felicità
letta negli occhi di Harm, quando gli aveva comunicato la notizia, e
non riuscì
più a trattenere le lacrime. Scivolarono sul suo viso, senza che lei
potesse
impedirselo.
Harm...
Quanto doveva
essere preoccupato anche lui, ormai!
Cercò
di non pensare
alla preoccupazione di Harm. Non avrebbe retto, altrimenti. Meglio
concentrarsi
per cercare di capire dove era stata portata. Si guardò
attorno, ma
la stanza anonima in cui si trovava, non le diceva nulla. Un tavolo,
due sedie
(su una delle quali era legata lei), un cestino per la carta, un
termosifone,
una piccolissima finestra, in alto, e la porta. Soltanto quello.
Non un letto, non un lavandino…
Dopo
che si era
accorta dell’arma puntata contro di lei, il “vecchietto” che aveva
soccorso
l’aveva costretta a scendere, l’aveva legata, le aveva infilato un paio
d’occhiali oscurati, per impedirle di vedere la strada, ma nello stesso
tempo
non destare sospetti, e aveva guidato per parecchie miglia, sempre con
la
pistola a portata di mano. Sarah
aveva provato a capire la direzione che
aveva preso, ma non c’era riuscita. Neppure ascoltare attentamente
rumori e
suoni, l’aveva aiutata. Per un po’ aveva sentito il classico rumore del
traffico cittadino; poi sembrava che avessero imboccato una strada più
tranquilla, ma non avrebbe saputo dire per dove. Erano scesi dall’auto
circa
un’ora dopo che erano partiti da casa sua. Quindi l’uomo l’aveva spinta
brutalmente in quella stanza, l’aveva legata alla sedia, le aveva tolto
gli
occhiali, ma l’aveva imbavagliata, per impedirle di gridare. Questo le
faceva
sospettare che si trovassero in un luogo vicino a zone abitate o,
quantomeno,
che c’era la possibilità che qualcuno potesse passare accanto.
Dopodiché
se n’era
andato e non era ancora tornato.
Un
rumore alla porta
la fece sussultare. Vide la maniglia che si abbassava e il suo rapitore
entrò
nella stanza. Aveva con sé un sacchetto che depositò sul tavolo e aprì:
conteneva del cibo e dell’acqua.
“Allora,
bel
colonnello, come stai?” chiese l’uomo, con una voce molto diversa da
quella del
vecchietto spaventato, mentre le toglieva il fazzoletto alla bocca.
Sarah
non rispose, ma
lo guardò con odio: le era sembrato di riconoscere quella voce…
“Non
rispondi, eh?
Mangia questo” disse, cercando di imboccarla con pezzi del sandwich che
aveva
estratto dal sacchetto.
Pur
avendo fame, Sarah
voltò la faccia di lato, rifiutando il cibo. Non voleva sentirsi
completamente
nelle mani di quell’uomo.
“Non
hai fame?” chiese
lui. “Strano! Pensavo che una futura mamma dovesse mangiare per due”,
continuò
poi, sghignazzando nel vedere l’aria di sorpresa e angoscia negli occhi
della
sua prigioniera.
Un
brivido di puro
terrore percorse la spina dorsale di Sarah: lui sapeva che aspettava un
bambino. Come faceva a saperlo? Probabilmente l’aveva pedinata…
“Chi
diavolo sei? Cosa
vuoi da me?” chiese duramente, fissandolo negli occhi.
“Da
te? Nulla… “
rispose l’uomo, ma poi si corresse: “Proprio nulla, forse, no… Prima di
portare
a termine la mia vendetta, potrei anche divertirmi un po’ con te…”
ridacchiò,
mentre le infilava una mano sotto la gonna, accarezzandole la coscia.
Sarah
cercò di
divincolarsi, ma era inutile: l’aveva legata troppo bene.
“Bastardo…
non
toccarmi!” gridò.
Un
violento schiaffo
la fece tacere di colpo.
“Zitta!
Stai zitta!
Chiudi quella maledetta bocca…” la ammonì lui. “Siete degni l’uno
dell’altra,
voi due. Anche tu, testarda come quel grand’uomo con cui te la spassi.
Il caro
paparino! Ma dopo che avrò messo in atto il mio piano, non sarà più
tanto
spavaldo come il solito. M’implorerà, anziché dare ordini: vedrai! Ora
mangia e
taci!” le intimò, costringendola ad aprire la bocca per ingerire del
cibo.
Sarah
obbedì, suo
malgrado. Mentre mangiava, imboccata da lui, la sua mente cercava
febbrilmente
delle risposte.
Harm...
L’uomo si era riferito
al padre di suo figlio. Doveva essere a conoscenza di molte cose. A
quanto
sembrava, sapeva di lei e di Harm. Era inutile cercare di nascondere i
fatti.
Decise di farlo parlare.
“Cosa
vuoi dal padre
di mio figlio?” gli chiese, dopo aver bevuto dell’acqua.
Lui
la guardò
divertito: “Perché non lo chiami col suo nome? Pensi che non sappia chi
sia?
Cosa voglio dal capitano Harmon Rabb jr?” ripeté beffardo.
“Si,
cosa vuoi da
lui?” domandò di nuovo Sarah. A quanto sembrava, quell’uomo sapeva
anche del
padre di Harm…
“Io
voglio… LUI! Non
voglio qualcosa da lui… Voglio LUI!”
“Perché?”
chiese
ancora lei.
“Mi
ha rovinato la
vita. Quel maledetto l’ha sempre avuta vinta! Fin dalla prima volta che
l’ho
conosciuto… Ma questa volta sarò io a piegarlo alla mia volontà… E tu e
il tuo
prezioso figlioletto servirete allo scopo! Mi ha intimato di non
torcerti un
capello, al telefono. LUI osa ancora dire a ME cosa fare! E’ sempre
stato un
presuntuoso arrogante, ma questa volta mi pregherà in ginocchio…”
rispose
l’uomo con rabbia.
Sarah
lesse odio allo
stato puro negli occhi del suo carceriere. Ebbe paura per sé e per
Harm… Chi
era quell’uomo che lo odiava tanto?
“Perché
vuoi fare del
male a me e al mio bambino?” domandò Sarah.
“Non
a te e a tuo
figlio… Alla sua donna e al suo prezioso bambino! Il tuo più grave
errore è
stato quello di metterti con lui. Avresti dovuto sposare l’australiano…”
Sarah
deglutì: sapeva
anche di Mic. Non era, quindi, un pazzo qualsiasi che l’aveva
sorvegliata per
pochi giorni. Si trattava di qualcuno che conosceva Harm da tempo.
“Non
amavo Mic…”
sussurrò appena.
“Lo
so. Il tuo grande
amore è sempre stato il caro Harm! Ora sarà la tua rovina. Tu e tuo
figlio mi
servirete da esca, per attirarlo nella mia trappola. Quel presuntuoso
non
lascerà mai la sua donna e suo figlio nelle mie mani, senza cercare di
liberarvi. Lo costringerò a cercarti per giorni, dandogli inizialmente
indizi
falsi… Poi, quando deciderò che avrà sofferto abbastanza, gli dirò come
trovarmi. E quando finalmente arriverà, metterò in atto la mia
vendetta!” disse
l’uomo con soddisfazione.
“Lo
vuoi uccidere?”
chiese Sarah, triste.
“Sì,
ma non subito…
prima dovrà impazzire di rabbia quando mi vedrà spassarmela con la sua
donna… e
poi soffrire le pene dell’inferno quando ti ucciderò davanti ai suoi
occhi… Quando ucciderò te, incinta di suo figlio. Dovrà arrivare ad
odiarmi
quanto lo odio io, prima di ucciderlo!”
Sarah
lo guardò
sconvolta: quell’uomo aveva architettato un piano perfetto per
distruggere
Harm.
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
Una vendetta crudele
Capitolo
12
Se
non gli fosse
servito per avere altre informazioni, avrebbe strozzato Webb in quel
preciso
istante, con le sue stesse mani, provandoci anche gusto!
“Perché
non me lo hai
detto prima?” chiese con rabbia.
“E’
successo quando
eri in ospedale” rispose Clayton Webb, con suo solito fare tranquillo,
anche se
avvertiva già le mani di Rabb attorno al proprio collo.
“E
dopo?” grido Harm
“perché diavolo non ti sei degnato di dirmelo dopo?”
“In
quei giorni
soffrivi d’amnesia e non potevi sopportare notizie che avrebbero potuto
ritardare il tuo processo di guarigione…” cercò di spiegare Webb.
Ma
Harm lo interruppe
come una furia: “Ti ho chiesto perché dopo non mi hai detto nulla!”
Clayton
non si
scompose e proseguì nel suo resoconto, apparentemente per nulla turbato
dall’odio che leggeva negli occhi del capitano Rabb.
Per
lui, quell’uomo,
era uno stimolo continuo.
Harmon
Rabb e Clayton
Webb si assomigliavano in molte cose, pur essendo, all’apparenza,
diversi sia
nell’aspetto, sia nel carattere: entrambi molto intelligenti e acuti,
pronti
all’azione e rapidissimi nel prendere decisioni. Ma, mentre Webb era
sempre
calmo ed enigmatico, il capitano Rabb, se fatto arrabbiare, diventava
una furia
e non lo nascondeva. Si rispettavano a
vicenda, anche se Harm non sopportava quando Clayton lo coinvolgeva, a
volte a
sua insaputa, nelle sue operazioni top-secret della CIA, e Webb
impazziva ogni volta
che Rabb agiva di testa sua, senza seguire i suoi ordini.
“Pensavamo
di riuscire
a catturarlo di nuovo, prima che tu ti riprendessi e venissi a saperlo.
Anzi,
eravamo convinti che cercasse di ucciderti mentre eri in ospedale. Per
questo
motivo avevo ordinato che ci fosse sempre qualcuno a tenerti d’occhio…”
disse
Clayton.
“Quindi
mi hai usato
come esca?” chiese, duro, Harm.
Clayton
sorrise,
enigmatico come sempre. Non riusciva mai ad imbrogliarlo. Harm scopriva
sempre
quando cercava di nascondergli qualcosa. Se non fosse stato per quel
suo
carattere impulsivo e poco incline ai compromessi, sarebbe stato un
magnifico
agente segreto! Possedeva un intuito infallibile, che sempre lo traeva
d’impaccio, a dispetto della sua natura, che, invece, lo cacciava
spesso nei
guai.
“Diciamo
che lo potevi
essere, sì. Ma non si è fatto vivo. Allora abbiamo pensato che avesse
placato
la rabbia nei tuoi confronti e avesse preferito dileguarsi, magari
andandosene
all’estero, per non correre il rischio di finire di nuovo dietro alle
sbarre.
Non immaginavo che potesse cercarti ancora. Sei sicuro che si tratti di
lui? Mi
hai detto che hai saputo che Mac ha aiutato un vecchietto ad andare in
ospedale, ma non c’è mai arrivata. Magari è un pazzo qualunque…” disse
Clayton.
“Dimentichi
che Clark
Palmer è un mago nei travestimenti. Una volta mi ha rapito, ha usato la
mia
faccia per crearsi una maschera che lo facesse assomigliare in tutto e
per
tutto al sottoscritto e poi ha preso il mio posto in tribunale,
riuscendo a
beffare persino l’ammiraglio” gli ricordò Harm.
“Inoltre
non c’è
nessuno che mi odi quanto lui! Non ho mai ben capito perché ce l’abbia
sempre
avuta con me, fin dalla prima volta… Quell’uomo ha una vera fissazione
nei miei
confronti! Ora ha rapito Mac…” continuò con ansia.
Clayton
lo guardò di
sottecchi: Harm era troppo turbato, per essere solo in ansia per la sua
collega. Ci doveva essere sotto qualcos’altro. La sua mente di spia
cominciò a
lavorare.
“Perché
mai ha rapito
Mac se è te che vuole?” chiese.
“Perché
sa quanto
tengo a lei… lo ha fatto per arrivare a me” rispose Harm, sicuro.
“E
quanto tieni a
lei?” chiese dubbioso Clayton. Sapeva dell’amicizia che legava quei
due, ma
rapire una collega, per arrivare ad Harm…
“E’
la mia migliore
amica, lo sai, Clay! E’ la mia partner sul lavoro… Palmer lo sa e l’ha
rapita
per questo” rispose Harm, cercando di minimizzare la sua ansia per
Sarah. Se
Clayton avesse solo immaginato il vero legame che c’era tra loro due,
avrebbe
fatto di tutto per tenerlo all’oscuro di qualunque notizia, pur di non
averlo
tra i piedi. Non avrebbe mai sopportato di avere alle calcagna un
innamorato
angosciato per la sorte della sua donna e di suo figlio nelle mani di
uno
psicopatico. Cercò di non pensare a quel bambino che ancora non
conosceva, ma non
ci riuscì. Era in ansia da morire per Sarah e per la creatura che
portava in
grembo.
“D’accordo,
allora.
Cerchèrò d’indagare. Proveremo a mettere sotto controllo il tuo
telefono a casa
e in ufficio per tentare di rintracciare la telefonata. Ma tu fammi
subito
sapere se si fa ancora vivo…” disse Webb. Poi chiese: ”L’ammiraglio sa
già di
Mac?”
“Non
ancora… glielo
dirò appena torno in ufficio” rispose Harm, prima di aprire la porta e
uscire
dall’ufficio di Clayton Webb.
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
Una vendetta crudele
Capitolo
13
L’ammiraglio
Chegwidden sembrava un animale in gabbia. C’erano due casi importanti
da
preparare e il colonnello MacKenzie e il capitano Rabb erano
spariti! Si era informato da
Galindez e aveva saputo che lei non era ancora arrivata e neppure aveva
avvertito. Mentre il capitano se n’era uscito di corsa, poco dopo aver
ricevuto
una telefonata che, a quanto sembrava, lo aveva fatto molto arrabbiare.
Cosa
accidenti stava
capitando a quei due? Pensava che la sua lavata di capo di due giorni
prima
avesse fatto capir loro che non avrebbe più tollerato certe situazioni,
in
ufficio. Invece… La porta
dell’ascensore si aprì e l’ammiraglio vide il capitano Rabb dirigersi
verso il
suo ufficio, con passo deciso.
“Capitano!”
lo fermò
con autorità.
Harm
si voltò verso
l’ammiraglio. Chegwidden vide che aveva il volto tirato e la sua
classica
espressione, di quando era furioso con qualcuno… Di solito quello
sguardo era
riservato in particolar modo a Clayton Webb!
“Capitano,
cosa è
successo?” chiese, più preoccupato, che arrabbiato, ora.
“Signore”,
rispose
Harm “il colonnello MacKenzie è stata rapita”
Bud
e Galindez, che
stavano ascoltando, si guardarono contemporaneamente.
“Cosa
sta dicendo,
capitano? N’è sicuro?” chiese l’ammiraglio.
“Ho
ricevuto una
telefonata dal rapitore. Poi sono uscito a controllare. Sembra che Mac,
uscita
di casa, abbia assistito un vecchietto che un’auto aveva quasi
investito. Lei
si è offerta di accompagnarlo all’ospedale, per un controllo, anche se
non
sembrava ferito, ma solo spaventato. All’ospedale non è mai arrivata…”
spiegò
Harm, con voce spenta.
“Per
quale motivo è
stata rapita? Cos’ha detto l’uomo al telefono?” chiese l’ammiraglio.
“Per
arrivare a me…” e
lo sguardo di Harm, a quelle parole, si fece rabbioso “Quel maledetto
vuole me!
E ha rapito Sarah…”
Chegwidden
scrutò il
capitano in silenzio. Era la prima volta che lo sentiva pronunciare il
nome di
battesimo del colonnello.
“Palmer
non avrà pace
finché non mi avrà nelle sue mani… “ continuò
Harm.
“Palmer? Clark Palmer? Come
fa sapere che si tratta di lui, capitano? Glielo ha
detto al telefono?”
“No.
Quello
psicopatico ha deciso di giocare al gatto e al topo con me. Vuole
portarmi
all’esasperazione… “ replicò il capitano.
“Ma
Palmer è a
Leavenworth” dichiarò Chegwidden.
“Credevamo
fosse lì.
E’ evaso qualche mese fa, nel periodo in cui ebbi l’incidente in mare…”
disse
Harm.
“Chi
glielo ha detto?”
chiese l’ammiraglio.
“Webb”
rispose secco
Harm, con uno sguardo che faceva intendere quanto, per poco, non fosse
stato
sul punto di ucciderlo, per non averglielo detto prima. Poi raccontò
all’ammiraglio quello che aveva saputo da Clayton Webb.
“Webb
ha assicurato
che metterà i telefoni sotto controllo. Ma Palmer è troppo furbo perché
si
faccia rintracciare da una telefonata…” continuò “Non ci resta che
aspettare il
prossimo contatto e sperare che mi dica come raggiungerlo.”
“Capitano,
non
intenderà mettersi nelle mani di quel pazzo? ” chiese Chegwidden.
“E
cosa dovrei fare?
Lasciarci Sarah?” rispose Harm.
L’aveva
chiamata di
nuovo Sarah… L’ammiraglio, ancora una volta, si sorprese.
“Capitano,
dovrebbe
lasciar agire gli uomini di Webb… Sanno come muoversi…”
Ma
Harm lo fermò,
furioso: “E dovrei starmene con le mani in mano? E’ per causa mia che
lei si
trova nelle mani di quello squilibrato, e io dovrei lasciare che altri
risolvano la faccenda al posto mio? Lei non capisce, ammiraglio…”
“Capitano!”
lo
rimproverò Chegwidden, anche se in cuor suo sapeva che avrebbe fatto la
stessa
cosa. Ma non poteva permettere che si consegnasse a Palmer e finisse
anche lui
nelle mani di quel pazzo. Di certo, l’ex agente del DSD non avrebbe
rilasciato
comunque Mac. L’unica speranza era riuscire a liberarla e catturare
Palmer. Lo spiegò ad Harm il
quale, per tutta risposta, lo aggredì di nuovo: “Allora io andrò con
gli uomini
di Webb.”
“Capitano,
non glielo
permetto” replicò l’ammiraglio con tono autoritario. “E’ un ordine!”
“Al
diavolo i suoi
ordini!” gridò Harm.
Galindez
vide
l’ammiraglio irrigidirsi, mentre stava per pronunciare qualcosa contro
il
capitano, ma non n’ebbe il tempo, perché Harm continuò, ancora più
alterato:
“Nessuno
m’impedirà di
provare a salvare Sarah!” gridò, rivolto contro Chegwidden. “Si tratta
della
donna che amo. E di nostro figlio. E non permetterò che quel bastardo
me li
porti via...”
A
quelle parole, Bud e
Galindez si guardarono, stupiti. L’ammiraglio, invece,
osservò per un secondo il capitano Rabb, che sembrava sul punto di
crollare;
poi gli fece un cenno e aprì la porta del proprio ufficio, entrando
dopo di
lui.
Harm
si accasciò sulla
sedia davanti alla scrivania dell’ammiraglio, con la testa tra le mani,
disperato. Non sapeva più cosa
fare. Non aveva mai provato tanta paura, in vita sua, come in quel
momento. Si
sentiva impotente e furibondo. Avrebbe spaccato qualunque cosa, se
questo fosse
servito a fargli riavere Sarah sana e salva.
“Harm…”
disse
l’ammiraglio “devi reagire. Lei non vorrebbe vederti così.”
Lui
alzò il capo e lo
guardò, con gli occhi lucidi.
“Signore,
mi scusi per
poco fa…” disse con voce spenta.
“Lascia
stare…” replicò
l’ammiraglio, osservandolo a sua volta. Non lo aveva mai visto così
distrutto.
Era arrivato a pensare che nulla potesse piegare il suo spirito ribelle
e
combattivo. A quanto pare, solo l’amore c’era riuscito.
“Perché
non avete
detto nulla?” chiese, riferendosi al fatto che avevano tenuto nascosto
la loro
relazione.
“E’
stata lei, a
volerlo. Temeva che cambiassi idea dopo un po’ e non voleva essere di
nuovo
compatita, come con Brumby…” rispose Harm.
“Così
avete finto di
litigare?” chiese Chegwidden, con un mezzo sorriso.
“Non
saremmo riusciti
a nascondere i nostri veri sentimenti, altrimenti. Ma dopo il suo
discorso
dell’altro giorno, avevamo deciso di cambiare tattica. Nel frattempo
abbiamo
scoperto che Sarah aspetta un bambino…”
“Congratulazioni,
Harm” disse l’ammiraglio.
“Grazie,
A.J.” rispose
Harm. Non lo chiamava più così da quella volta che lui gliene aveva
accordato
il permesso, mentre lo stava aiutando a liberare sua figlia Francesca.
“Dovresti
sapere
quello che sto provando…” disse Harm, ricordandogli proprio quella
volta.
“Sì,
so quello che
stai provando…” rispose l’ammiraglio. “Proprio per questo ti sto
spronando a
reagire. Devi essere lucido, per pensare e riflettere sul da farsi.
Cercheremo
di prenderlo, quel pazzo! Non perderai Sarah e tuo figlio.”
Harm
lo guardò e comprese ciò gli aveva appena detto l’ammiraglio: non lo
avrebbe lasciato solo contro
Palmer.
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
Capitolo 14
Il
fuoristrada
rallentò e Sarah si chiese se si trattasse di un’altra sosta oppure se
erano
giunti alla fine del loro viaggio.
Erano in auto da quasi
due giorni e lei si sentiva a pezzi, benché avessero fatto qualche
breve sosta per la benzina. Aveva provato a dormire un po’,
per recuperare le forze, tuttavia si sentiva completamente distrutta,
probabilmente anche per via della gravidanza; inoltre le
doleva la schiena, a causa
delle ore trascorse sempre nella stessa posizione.
L’auto
si fermò e
sentì l’uomo scendere.
Chissà
dov’erano?
Doveva essere un posto molto assolato, perché aveva davvero tanto
caldo.
Sentiva il calore del sole sul corpo da ore, fin dal mattino presto,
anche se in quel momento la sensazione era diventata quasi
insopportabile. Aveva la gola e le labbra
secche... sarebbe stata capace di uccidere, pur di avere
dell’acqua e un letto in cui stendersi e riposare.
La
portiera dalla sua
parte si spalancò e Sarah si sentì afferrare senza delicatezza e tirare
giù
dall’auto.
“Scendi!
Siamo
arrivati…” le ordinò il suo carceriere.
Lei
obbedì senza fiatare.
Ormai aveva adottato quella tattica, per evitare di innervosire
ulteriormente
l’uomo che l’aveva sequestrata. Voleva lasciargli credere di avere il
controllo
della situazione. Se si fosse mostrata docile e non lo avesse fatto
infuriare,
magari si sarebbe fatto scappare qualche dettaglio che poteva tornarle
utile.
L’atteggiamento che aveva usato all’inizio della sua brutta avventura,
non le
aveva giovato molto. Se n’era accorta subito. Se si ribellava, l’uomo
diventava
immediatamente più guardingo, più nervoso e la trattava male. E,
soprattutto,
non proferiva parola. Invece lei aveva bisogno di farlo rilassare,
affinché
parlasse e, magari, si lasciasse sfuggire qualcosa.
Strattonandola
per un
braccio, l’obbligò a seguirlo. Il terreno sotto ai suoi piedi era
accidentato e
polveroso e Sarah, con gli occhiali oscurati che le impedivano di
vedere,
faceva fatica a muoversi.
“Sbrigati!”
la
rimproverò l’uomo impaziente.
“Perché
non mi togli
gli occhiali, così riesco a camminare meglio” chiese Sarah,
gentilmente. Voleva
fargli credere di sottostare al suo volere. Invece la sua unica
preoccupazione
era di capire dove la stesse portando. L’uomo sembrò pensarci
qualche secondo, infine prese una decisione e le sfilò gli
occhiali. La luce improvvisa e
molto forte accecò per qualche attimo Sarah. Poi, pian piano che i suoi
occhi
si abituarono, misero a fuoco un volto che riconobbe immediatamente,
anche se
lo aveva visto solo una volta.
Il
sorriso beffardo di
Clark Palmer comparve sul viso dell’uomo che la teneva prigioniera
appena si
rese conto che lo aveva riconosciuto. E tutto, nella mente di Sarah,
iniziò ad avere una spiegazione: la voce che le
sembrava di aver già sentito si accoppiò al volto e tutti i discorsi
che lui le
aveva fatto parvero avere un senso. Un senso molto tragico, ma
finalmente un
senso.
“Tu…”
sospirò
sconvolta.
“Salve,
colonnello
MacKenzie!” la salutò, divertito, Palmer.
Clark
Palmer. Era
nelle mani di Clark Palmer! L’uomo che odiava Harm da anni. Fin dalla
volta in
cui il capitano di corvetta Harmon Rabb lo aveva battuto sul suo stesso
territorio, alla sede della Bradenhurst Corporation. Era accaduto
mentre
seguiva il caso di un aereo fatto precipitare dalla collisione con un
“oggetto
volante non identificato”, in seguito risultato essere il prototipo di
una nuova
arma segreta. Lei non aveva partecipato all’indagine, ma ricordava che
Bud
aveva lavorato al caso con Harm per capire la causa dell’incidente. Era
successo anni
addietro, poco prima che lei commettesse il grave errore di lasciare il
Jag per
lavorare in uno studio privato con il suo ex, Dalton Lowne… Harm e Bud
si erano
anche fatti arrestare, durante quella missione.
Palmer,
a quei tempi,
era un agente del dipartimento di sicurezza della Difesa, e aveva
cercato con
tutti i mezzi di fermare l’indagine di Harm. Ma il capitano Rabb, come
al suo
solito, non si era arreso ed era riuscito ad averla vinta su Palmer.
Ricordava
ancora l’espressione divertita e ammirata di Bud quando le aveva
raccontato del
pugno che Harm era riuscito a restituire a Palmer, proprio sotto gli
occhi
esterrefatti del colonnello che aveva voluto l’inchiesta!
In
seguito Palmer era
diventato l’incubo di Harm: ogni volta che non si trovava in carcere,
cercava
di fargli del male. Ma Harm era sempre riuscito a cavarsela. Anche ora
Palmer
avrebbe dovuto trovarsi rinchiuso nella prigione di Leavenworth,
proprio a
causa di un’altra brillante intuizione di Harm. Invece era
lei, in quel momento, a
trovarsi nelle mani di quel pazzo.
“Sorpresa
di vedermi,
colonnello MacKenzie?” L’uomo sembrava divertirsi un mondo a beffarsi
di lei.
“Come
hai fatto ad
evadere da Leavenworth?” gli chiese, seguendolo.
“Trucchi
del mestiere”
rispose divertito lui.
Intanto
si stavano
dirigendo verso un luogo ben preciso, che le sembrò familiare. Cominciò
a
prestare più attenzione a dove la stava conducendo e si guardò attorno.
“Dove
siamo?” chiese,
quando realizzò che si trovavano in una zona completamente sperduta.
Solo delle
rocce qua e là, interrompevano un paesaggio che le ricordava molto il
deserto
dell’Arizona, dove era stata una volta in missione con Harm. Per la
precisione,
durante la loro prima missione insieme.
“Non
serve che tu lo
sappia…” rispose Palmer, invitandola a seguirlo in una specie di grotta
ricavata dentro ad una roccia più grande delle altre.
Anche
quell’entrata le
ricordò immediatamente il luogo dove suo zio Matt, anni prima, si era
rifugiato
con i suoi Marines, quando aveva rubato la Dichiarazione
d’Indipendenza…
Possibile cha Palmer l’avesse condotta nel vecchio nascondiglio di zio
Matt? A
Red Rock Mesa? Eppure, non poteva sbagliarsi… quel luogo così
particolare le
era rimasto impresso fin dalla prima volta che l’aveva visto in
compagnia di
Harm. Appena fu all’interno
della grotta, non ebbe più dubbi: l’aspetto del luogo era troppo
singolare
perché potessero essercene due identici al mondo!
“Lo
hai riconosciuto,
vero?” le domandò Palmer, divertito.
Sarah lo osservò
attentamente. Quell’uomo era
più furbo del diavolo e sapeva più cose di lei e Harm di quanto loro
stessi
riuscissero a ricordare… Come faceva ad avere tutte quelle
informazioni? Non li
conosceva neppure, a quei tempi!
Istintivamente capì
quale sarebbe stato il gioco di Palmer con Harm. Ricordò quello che le
aveva
detto quando ancora la teneva prigioniera a Washington o nei dintorni,
e
dovette riconoscere la furbizia sadica di quell’uomo. Le aveva
assicurato
che avrebbe fatto impazzire Harm a cercarla, mettendolo su false piste.
“Sei
molto furbo…”
cercò di lusingarlo.
“Hai
capito, vero?
Complimenti, colonnello, sei molto sveglia anche tu. Mi sono sempre
piaciute le
donne sveglie! Capisco come tu possa piacere al nostro caro Harm. Devo
ammettere che ha dimostrato, finalmente, buon gusto! Certamente di più
di
quando stava con la bionda regista…”
Palmer
le diede da
bere e le indicò un letto molto spartano.
“Riposati,
ora…
Ritorno più tardi e mi servirà la tua completa collaborazione, per far
divertire un po’ il nostro caro ragazzo!” e dicendo questo la legò alla
testata
e uscì dalla grotta.
Sarah
si domandò dove
potesse andare, in quel luogo sperduto, ma decise di non pensarci e
approfittarne per riposarsi. Se voleva tener testa a Palmer, avrebbe
dovuto
ricorrere a tutte le sue energie.
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
Capitolo 15
Era
tornato in ufficio
dopo la seconda notte insonne. Aveva dormito a casa
sua, solo per timore che Palmer lo cercasse al telefono e non lo
trovasse.
Altrimenti avrebbe dormito da Sarah, nel letto che avevano condiviso
solo due
notti prima, per sentirsi più vicino a lei.
Dio,
come gli mancava!
Era senza di lei solo da due notti, e già non riusciva più a
sopportarlo…
Avrebbe voluto almeno poter sentire il suo profumo…
Al
diavolo! Non era
quello, ciò che voleva! Lui la voleva di nuovo tra le sue braccia, sana
e
salva.
E
se Palmer l’avesse
cercato da Mac?
Non
sapeva quanto
avrebbe potuto resistere ancora senza notizie: il giorno precedente, in
ufficio, non era riuscito neppure a sfogliare un documento. Non aveva
fatto
altro che fissare il telefono, che continuava a restare muto. Palmer
doveva
aver sospettato che il suo apparecchio era stato messo sotto controllo.
Ma Webb
era convinto di fare la cosa giusta.
Dannazione
anche a
Webb! Perché non lo aveva avvertito prima, che Palmer era di nuovo in
libertà?
Avrebbe potuto prestare più attenzione a certe sue sensazioni… sarebbe
stato
più in guardia. E non avrebbe mai lasciato sola Sarah.
Inutile
tormentarsi…
se Palmer lo avesse voluto nelle sue mani, avrebbe dovuto dargli quello
che gli
aveva chiesto due giorni prima, dopo che lo aveva ricontattato, al
termine del
suo incontro con l’ammiraglio.
Aver
potuto parlare
con l’ammiraglio Chegwidden gli aveva permesso di riacquistare la
lucidità e la
freddezza necessarie per portare avanti le trattative con
determinazione e
razionalità, anziché buttarsi alla cieca nelle mani di quello
psicopatico. Il terrore
provato per Sarah e il loro bambino stava per fargli commettere
l’errore più
grossolano: accettare che fosse Palmer a condurre il gioco. Invece
doveva
assolutamente essere lui a mantenere il controllo della situazione, se
voleva
avere qualche speranza di liberarla.
Quando
Palmer lo aveva
richiamato, aveva preteso, prima che il rapitore potesse fare qualunque
proposta, d’essere sicuro che Sarah fosse ancora viva. Altrimenti la
partita
poteva dirsi chiusa. Aveva colto del risentimento nella voce ancora
contraffatta
all’altro capo del telefono, ma ormai era troppo tardi per tornare
sulle
proprie decisioni. Anche quando Palmer lo aveva minacciato di uccidere
la sua
donna, era stato irremovibile: se non avesse sentito di persona la voce
di Mac,
oppure se non avesse avuto un messaggio che stava ad indicare che
proveniva
davvero da lei, non avrebbe ascoltato oltre.
Palmer
aveva
riattaccato inferocito. E da allora più nulla.
Erano
passati quasi
due giorni e il telefono non aveva più squillato. Né a casa, né in
ufficio.
E
se avesse preso la
decisione sbagliata? Se chiedergli una prova che Mac fosse ancora viva
avesse
solo accelerato la sua fine? Palmer era un pazzo, un pazzo pericoloso…
Anche se
aveva un atteggiamento da intellettuale raffinato, lui stesso
si
definiva un “artista della morte”… Quante persone aveva già ucciso,
sostenendo che era a causa del suo lavoro, e senza
provare il benché minimo rimorso?
Al
diavolo! L’ex
agente del dipartimento di sicurezza della Difesa non uccideva solo
perché
costretto. Ci provava gusto! E aveva affinato tecniche perfette per non
lasciare tracce. Webb e i suoi uomini lo stavano sottovalutando, come
sempre.
Si
prese la testa fra
le mani: si sentiva distrutto. La tensione e la stanchezza stavano
avendo la
meglio su di lui. Se solo avesse saputo come muoversi. Se solo fosse
stato
certo che Sarah era ancora viva... Era sicuro che l’adrenalina avrebbe
ripreso a
scorrere velocemente nelle sue vene, ridandogli la carica che in quel
momento
sembrava averlo abbandonato.
“Capitano…”
la voce
del tenente Roberts lo fece trasalire.
“Oh,
Bud… sei tu”
disse con aria stanca, osservando il tenente e la
moglie fermi sulla soglia del suo ufficio. Fece loro cenno d’entrare.
“Non
volevamo
disturbarla… Come sta?” chiese dolcemente Harriet.
Harm
la guardò e non
disse nulla, ma i suoi occhi chiari erano lucidi.
Harriet
capì, senza
bisogno che lui parlasse. Gli si avvicinò, per confortarlo; suo marito
la stava
osservando, mentre posava una mano sulla spalla del capitano Rabb. Non
appena sentì il
conforto di quella mano, Harm si voltò verso il tenente Sims e fece
quello che
nessuno mai si sarebbe aspettato dal coraggioso e spavaldo capitano di
fregata
Harmon Rabb jr.: abbracciò Harriet e tra le sue braccia pianse.
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Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
Capitolo 16
Doveva
pensare
velocemente: Harm voleva dal suo rapitore un segno che lei era ancora
viva.
Palmer glielo aveva detto quando l’aveva svegliata per darle da
mangiare.
Sembrava
piuttosto
infastidito dal fatto che Harm non si piegasse immediatamente alla sua
volontà.
Ma, in fondo in fondo, lei era convinta che lo ammirasse anche, per
quello. Due menti
tanto intelligenti, pur odiandosi, era impossibile che non provassero
anche
ammirazione reciproca. Aveva colto anche in Harm la stessa sottile vena
di
compiacimento, ogni volta che accennava a Palmer, a quello che aveva
tentato di
fargli e a come lui fosse sempre riuscito a farlo rinchiudere in
prigione. Il
capitano Rabb odiava quel pazzo, ma nonostante questo, non riusciva a
nascondere il piacere della sfida cui l’intelligenza diabolica di
Palmer lo
metteva di fronte. La stessa cosa doveva
accadere all’ex–agente del DSD. Altrimenti non si spiegava la sua
fissazione
nei confronti di Harm. Batterlo era diventata la sua ragione di vita!
Due
menti acute,
intelligenti e raffinate. Se soltanto non ci fossero state di mezzo la
pazzia e la
morte, sarebbe stato un match davvero interessante.
Palmer
aveva detto che
poteva scordarsi di parlare col suo amato: avrebbe dovuto pensare ad un
messaggio
sufficientemente personale, affinché Harm potesse essere sicuro che
giungeva
proprio da lei. E guai se avesse fatto scherzi! L’avrebbe uccisa
immediatamente.
Sarah
aveva chiesto
qualche momento da sola, per potersi concentrare su cosa riferirgli,
onde
evitare di commettere errori. Il rapitore aveva risposto che le avrebbe
concesso solo quindici minuti, non uno in più.
Ne
erano già trascorsi
sei.
Sapeva
quale avrebbe
potuto essere un messaggio adatto: era sufficiente ricordare ad Harm
una delle
frasi d’amore che lui le aveva detto quando gli aveva rivelato del
bambino.
Ma
lei voleva dargli
un indizio affinché lui potesse raggiungerla, cogliendo di sorpresa
Palmer, che
lo avrebbe immaginato in un altro luogo, condotto laggiù da uno dei
suoi
tranelli. E questo non era così semplice. Doveva formulare un messaggio
“in
codice”, che il rapitore non avrebbe capito, ma che allo stesso tempo
fornisse
indicazioni ad Harm per capire che lei era viva e dove si trovava.
Si
concentrò al
massimo, cercando di superare la stanchezza del viaggio. Anche se aveva
potuto
riposare un po’, le ore in auto e le due notti quasi insonni l’avevano
provata
duramente.
L’unica
possibilità
che aveva di uscire da quella situazione, tuttavia, era riuscire a
trovare una
maniera per comunicare con Harm. Lui non l’avrebbe abbandonata. Di
questo era
assolutamente certa. Così com’era sicura che avrebbe fatto tutto quello
che il
suo aguzzino gli avrebbe chiesto, pur di salvarla!
Ma doveva fare in modo che Harm fosse un
passo avanti, per permettergli d’avere la meglio sull’uomo che lo
voleva distruggere.
Determinata
nella sua
decisione, continuò a spremersi le meningi. Quando Palmer la raggiunse,
lei era
pronta.
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Capitolo 17 *** Capitolo 17 ***
Capitolo 17
Clayton
Webb congedò
con un cenno del capo, l’agente che gli aveva appena riferito notizie
riguardo
al ritrovamento dell’auto del colonnello MacKenzie.
A
dire la verità, di
notizie ce n’erano ben poche da comunicare. L’auto di Mac era stata
ritrovata
in una strada alla periferia della città. Un agente di pattuglia alla
zona
l’aveva notata abbandonata da due giorni e aveva controllato la targa,
che lo
stesso Webb aveva segnalato alla centrale di polizia non appena Harm
gli aveva
comunicato la notizia del rapimento di Mac.
L’auto
non aveva fatto
altro che confermare i sospetti di Harm: tra le varie impronte
ritrovate, ce
n’erano alcune che appartenevano a Clark Palmer. Che, a quanto
sembrava, non
aveva alcun’intenzione di nascondersi troppo.
Harm
aveva ragione
anche in quello, quando sosteneva che stava giocando con lui al gatto e
al
topo… Se avesse voluto non farsi scoprire, certamente avrebbe trovato
il modo
di non lasciare impronte, oppure di non far ritrovare l’auto così
presto.
Clayton era certo di questo! Palmer era troppo furbo, per non
considerare
questo genere di dettagli.
Il
capitano Rabb aveva
ragione su tutta la linea. Ma di questo, Webb era stato sicuro fin
dall’inizio.
Aveva imparato presto a capire che dell’intuito di Harm ci si poteva
fidare. Se
solo non fosse stato così intransigente su alcuni dettagli…
Alzò
il telefono e
chiamò Rabb per comunicargli la notizia.
Quando
terminò la
telefonata, si sentì più irrequieto di prima. Harm gli aveva assicurato
che non
c’erano state altre chiamate da parte del rapitore, dopo l’ultima del
giorno
del sequestro. La cosa gli parve strana, e lo disse a Rabb. Lui, di
malavoglia,
gli spiegò come, proprio durante quell’ultima telefonata, avesse
richiesto al
rapitore una prova che Mac fosse ancora viva.
Il
fatto che non si
fosse fatto più sentire poteva significare solo due cose: o che voleva
portare
Harm all’esasperazione, oppure che Mac…
No,
non riusciva
neppure a pensare ad un’eventualità simile. Quel fottuto figlio di
puttana non
poteva averla già uccisa! L’aveva rapita solo per attirare Harm nella
sua
trappola. Se così era, che motivo aveva di ucciderla subito? A meno che
le cose
non fossero andate storte per qualche motivo…
Rivide
il volto del
colonnello MacKenzie, il suo sorriso, i suoi occhi, il suo corpo… Aveva
sempre
ammirato la sua intelligenza e la sua grinta. E l’aveva sempre trovata
una
bellissima donna… Se non si fosse accorto subito di quanto fosse
innamorata del
capitano Rabb, probabilmente avrebbe cercato di uscirci insieme.
Ma sapeva che sarebbe stato pericoloso. Era il genere di donna di cui
ci si
poteva innamorare e lui non poteva permettersi di innamorarsi. Non con
il tipo
di vita che conduceva. Ma, soprattutto, non di una donna che amava un
altro.
Pensò
a Rabb e a Mac:
insieme avrebbero formato una splendida coppia! Già lo erano sul
lavoro, ma
avrebbero potuto esserlo anche nella vita privata. Un po’ come sua
madre e suo
padre: entrambi agenti segreti, con la stessa passione per il loro
lavoro.
Harm
e Mac erano
fenomenali assieme! Entrambi brillanti e intelligenti, si completavano
a
vicenda. L’istinto di Rabb trovava sempre conferma nella riflessività
del
colonnello, mentre l’intransigenza di Mac era smorzata
dall’imprevedibilità di
Harm. Erano sempre in sintonia, anche quando sembrava il contrario. Ma
allo
stesso tempo erano anche in competizione e questo non faceva altro che
evidenziare maggiormente le eccellenti qualità di entrambi.
L’ammiraglio
Chegwidden si era trovato due ottimi elementi, per la sua squadra! I
migliori.
Clayton,
tuttavia, non
riusciva a capire Harm. Si era mai accorto dei sentimenti della sua
collega e
amica? Per quale ragione continuava a trovarsi donne completamente
inadatte a
lui, quando aveva accanto quella giusta? Era
certo che anche il capitano Rabb provasse dei sentimenti per Mac. Se
fino ad allora avrebbe anche potuto dubitarne, la reazione
dell’ufficiale al
sequestro della sua collega non gli aveva lasciato dubbi. Anzi! Gli
aveva fatto
addirittura sospettare che ci fosse dell’altro, tra quei due. Aveva
provato la
stessa sensazione anche poco prima, al telefono. La voce di Harmon Rabb
era
troppo affranta, per non fargli pensare che tenesse a Mac più di quanto
fosse
capace di ammettere anche con se stesso.
Webb
rifletté per un
attimo sulle implicazioni di quella considerazione: se davvero Rabb
amava la
donna che Palmer aveva rapito, certamente non si sarebbe tenuto in
disparte
durante la caccia all’uomo. Avrebbe preteso di parteciparvi. Se non,
addirittura, di consegnarsi nelle mani del rapitore senza pensare alle
conseguenze. Considerato il suo spirito ribelle e sempre pronto
all’azione, non
avrebbe esitato un attimo. E questo, per Webb e i suoi uomini, avrebbe
significato complicazioni.
Complicazioni
con la
“C” maiuscola.
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Capitolo 18 *** Capitolo 18 ***
Capitolo 18
Clark
Palmer guardò il
foglietto che Sarah MacKenzie gli aveva appena consegnato. Vi era
scritto il
messaggio per Rabb. Quello che gli avrebbe fornito la prova che la sua
donna
era ancora viva. Lo
lesse attentamente,
cercando di scoprire eventuali significati reconditi. Conosceva
l’intelligenza
del colonnello e non la sottovalutava. La donna avrebbe potuto cercare
di
trasmettere un messaggio in codice al suo uomo, per fornirgli qualche
indizio
su dove si trovasse.
Era
stato indeciso
fino all’ultimo se rivelarsi a lei oppure tenerla all’oscuro della sua
identità. Ma poi, il piacere della sfida, aveva prevalso sulla
cautela. Trovava sempre estremamente
eccitante mettere alla prova l’intelligenza del suo avversario,
chiunque fosse,
per poi coglierlo di sorpresa e dimostrargli la sua superiorità. E
godere
dell’espressione dell’altro, quando si rendeva conto di essere stato
battuto.
Ne traeva un piacere quasi fisico.
Solo
Rabb era sempre
riuscito a spiazzarlo. Era per questo motivo che l’odiava tanto! Lui
era certo
d’essere migliore, più astuto e più intelligente di
quell’avvocato-pilota che
si credeva tanto un dio! Eppure, fino a quel momento, quel maledetto
aveva
sempre avuto la meglio. Ma sarebbe stata l’ultima volta... Di questo,
Rabb poteva
starne certo!
Rilesse
ancora una
volta il messaggio.
“Ricordi dov’eravamo quando mio padre mi chiese dove
ti avevo incontrato
e io risposi in un giardino di rose?”
Palmer
cercò di mettere a fuoco quello che sapeva dell’incontro tra il
colonnello e il
capitano: l’ammiraglio li aveva presentati a Washington, appena dopo la
cerimonia per la consegna della medaglia al valore a Rabb, anni prima.
E
proprio lì aveva lasciato un messaggio per il capitano, certo che al
primo
indizio fasullo che gli avrebbe fornito, lui sarebbe andato anche lì a
cercare
la sua donna.
Aveva
previsto tutte
le sue mosse. Mai sottovalutare l’avversario, era il suo motto! E Rabb
era un
avversario che non doveva essere assolutamente sottovalutato.
Il
suo indizio sarebbe
stato: “Cercami dove ci siamo incontrati”.
Solo
cinque semplici
parole. Ma che potevano avere ben due significati.
Che lo avrebbero condotto al “giardino delle
rose”, come, a quanto sembrava, i due innamorati amavano definire il
luogo del
loro incontro, oppure fino in California, dove c’era la sede, oramai
abbandonata, della Brudenhurst Corporation. Il luogo del SUO incontro
con Rabb.
Sorrise
soddisfatto
all’idea di sapere Rabb che girovagava a destra e manca per cercarlo. E
più non
lo trovava, e non trovava la sua donna, più avrebbe desiderato
trovarlo! E lui
sarebbe stato pronto ad accoglierlo, appena si fosse ritenuto
soddisfatto di
averlo fatto penare a sufficienza e gli avesse detto dove raggiungerlo.
Rilesse
un’ultima
volta il biglietto che aveva tra le mani, senza cogliervi nessuna
stranezza. La
frase sembrava un’innocua banalità tra innamorati… Probabilmente, in
occasione
di quella domanda, si erano trovati in qualche luogo strano, speciale,
che nel
loro cuore di teneri amanti aveva acquistato un significato
particolare. Il
colonnello lo riteneva una prova sufficientemente intima per essere
sicura che il
suo uomo avrebbe capito che lei era ancora viva.
Sarah
stava osservando
Palmer col cuore in gola. Sperò ardentemente di essere riuscita nel suo
intento. Non si aspettava certo che lui non si ponesse degli
interrogativi sul
messaggio che aveva pensato per Harm, ma le sembrò che lo rileggesse
con troppa
attenzione.
Formulò
mentalmente
una preghiera, affinché il significato nascosto di quella frase
passasse
inosservato e quando vide Palmer prendere in mano il cellulare e
comporre un
numero, capì che la sua preghiera era stata esaudita.
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Capitolo 19 *** Capitolo 19 ***
Capitolo 19
Harm
guardò di
sfuggita l’ammiraglio e gli fece un impercettibile cenno col capo.
“D’accordo
Clay! Farò
come vuoi tu…” sospirò infine, guardando negli occhi l’agente della
CIA. “Ma
ricordati, voglio essere tenuto informato ogni ora”.
“Certo,
Harm” rispose
Webb. Alla fine era riuscito a convincerlo. Dopo più di mezz’ora a
discutere
col capitano Rabb, aveva ottenuto che lui non partecipasse alle
indagini.
Al
termine di due lunghe
giornate di completo silenzio, finalmente il terzo giorno Palmer aveva
richiamato. Si era presentato con
la sua voce, non più contraffatta. Ormai aveva raggiunto il suo primo
scopo,
quindi non doveva più mantenere celata la sua vera identità. Aveva
dapprima
letto il messaggio di Mac, quindi aveva dato il suo: “Cercami
dove ci siamo incontrati”.
Webb
aveva chiesto
conferma ad Harm riguardo il messaggio del colonnello; lui era sembrato
inizialmente perplesso, ma immediatamente dopo aveva annuito: Mac era
ancora
viva!
Dopodiché
avevano
cercato di capire insieme il significato della frase di Clark Palmer.
Webb
aveva subito pensato al Mojave Desert, in California, dove si trovava
la sede
della Bradenhurst Corporation, poiché era il luogo dove Rabb e Palmer
si erano
conosciuti. Harm, tuttavia, lo aveva sorpreso, indicandogli, come luogo
possibile, anche il giardino della Casa Bianca, dove lui e Mac si erano
incontrati per la prima volta, dopo la cerimonia in cui il presidente
Clinton
lo aveva decorato della sua prima medaglia al valore. Webb era
scettico, ma
Harm gli aveva assicurato che, conoscendo Palmer, col termine “Cercami” poteva aver giocato di
proposito, usandolo sia per riferirsi a se stesso, sia a Mac.
L’ammiraglio
aveva annuito, ricordando l’incontro, di cui lui stesso era stato
l’artefice.
A
quel punto, il
capitano Rabb aveva iniziato a perorare la sua causa: voleva andare con
gli
uomini di Webb.
Clayton
era
assolutamente contrario all’idea. Se la sua intuizione era esatta e se
Harm
amava davvero il colonnello, sarebbe stato un grande errore averlo tra
i piedi.
Si ricordava ancora di quella volta, quando si era nascosto su una nave
in
disarmo… si era finto morto nell’esplosione, per salvare il super
conduttore
termico che Palmer e l’agente Paul Candella volevano rubare. Harm, con
l’aiuto
di Mac, era riuscito a capire, da un nome anagrammato che aveva dato a
sua
madre per farle sapere che stava bene, che lui era ancora vivo e che si
era
nascosto proprio nella vecchia nave dove aveva fatto credere di essere
morto.
Lo aveva raggiunto, per aiutarlo. Ma quando Palmer, che nel frattempo
aveva
ucciso Candella e li aveva trovati, lo aveva minacciato di uccidere il
tenente
Parker, Harm aveva esitato. Jordan Parker era la donna di Rabb, a quei
tempi, e
quell’attimo d’esitazione aveva permesso a Palmer di avere il
sopravvento su di
loro. Poco importava se, alla fine, Harm era riuscito a riprendere il
controllo
della situazione: Clayton lo aveva visto esitare a causa dei sentimenti
che
provava per una donna, e questo avrebbe potuto essere fatale per
entrambi.
Webb
ricordò al
capitano Rabb proprio quell’episodio e, finalmente, gli sembrò convinto
a
lasciarlo lavorare solo con i suoi uomini. Comunicò ad Harm che avrebbe
verificato prima il luogo del suo incontro con Mac, in seguito avrebbe
immediatamente guidato i suoi uomini migliori in California.
Sentì
su di sé lo
sguardo di Rabb e Chegwidden, mentre usciva dall’ufficio
dell’ammiraglio.
Non
appena Webb si fu
chiuso la porta alle spalle, Harm trascrisse su un foglietto il
messaggio di
Sarah e, in silenzio, lo porse all’ammiraglio.
A.J.
Chegwidden lo
lesse, poi guardò il capitano Rabb con aria interrogativa, ma lo vide
fare un
sorriso, mentre una luce divertita gli illuminò per un attimo lo
sguardo.
Quello stesso sguardo che per due giorni aveva espresso solo ansia,
rabbia e
dolore. Allora capì che Harmon Rabb era stato più furbo di Clayton
Webb.
L’ammiraglio
si
sedette sulla poltrona, invitò Harm a fare lo stesso e poi disse:
“Spiegami
tutto”.
Il
capitano Rabb pareva
aver ritrovato di colpo tutta la sua energia. Finalmente sapeva dove si
trovava
Mac!
Un
moto d’orgoglio gli
riempì il cuore, al pensiero della donna fantastica di cui era
innamorato: nonostante fosse prigioniera di uno psicopatico, era
riuscita a prendersi gioco
di lui e a fargli arrivare un messaggio in cui, non solo gli comunicava
che era
viva, ma gli diceva anche dove si trovava.
Doveva
ammettere che
Palmer, questa volta, aveva superato davvero se stesso! Ma Sarah era
stata più
furba di lui. All’inizio, il messaggio gli era parso strano: era
assolutamente
sicuro che nessuno fosse a conoscenza di come Mac amasse definire il
luogo dove
si erano conosciuti. Glielo aveva sentito dire una sola volta, a suo
zio Matt,
quando lo avevano raggiunto in Arizona, nel suo nascondiglio. Ricordava ancora la
conversazione tra i due,
mentre tutti e tre si trovavano all’aperto, in mezzo al deserto…
“Dove hai incontrato questo marinaio, Sarah?”
“In
un giardino di rose, zio Matt”
Harm
l’aveva guardata
sorpreso: il tono dolce con cui lei aveva risposto a suo zio l’aveva
intrigato.
Si erano conosciuti da poco e fino a quel momento tutti gli sforzi che
aveva
fatto per affascinarla, come era solito fare quando incontrava una
bella donna,
sembravano essere stati vani. Lei lo aveva addirittura consegnato nelle
mani di
suo zio, puntandogli una pistola alla schiena. Aveva quasi perso le
speranze di
vederla sciogliersi un po’… fino a quella frase.
Nel
messaggio, però,
si riferiva a suo padre, non a suo zio. Era questo particolare ciò che
all'inizio lo aveva reso
perplesso. Lui non aveva mai parlato con il padre di Mac… non lo
aveva mai neppure conosciuto. Che si fosse sbagliata, sopraffatta dalla
paura?
No, non Sarah! Ricordava il suo sangue freddo tutte le volte che si
erano
trovati in pericolo. Lei era come lui… anche nei momenti peggiori, la
sua mente
funzionava sempre in maniera razionale. Allora…?
Poi,
finalmente aveva
capito! Sarah aveva riconosciuto dove era stata portata, ma sapeva
anche chi la
teneva prigioniera e, soprattutto, doveva sapere che anche Palmer era a
conoscenza del legame tra quel luogo e suo zio Matt… Quindi aveva
tentato il tutto
e per tutto, modificando il particolare che avrebbe potuto insospettire
il suo
rapitore, certa che il loro affiatamento nel lavorare assieme gli
avrebbe
permesso di capire il significato nascosto di quel messaggio.
Harm
riferì tutto
questo all’ammiraglio e poi lo osservò mentre sorrideva e mormorava
compiaciuto: “Complimenti, colonnello!”
“Sei
ancora deciso ad
aiutarmi?” domandò Harm.
“Capitano,
il piano
non è cambiato. Si prepari. La voglio sul luogo dell’appuntamento fra
quindici
minuti… E’ un ordine!”
Harm
scattò
sull’attenti e rispose: “Sissignore!”
L’ammiraglio
lo
osservò uscire rapido dal suo ufficio; poi si concesse un breve
sorriso, prima
di prepararsi anche lui per la missione: non aveva mai visto Rabb
obbedire così
prontamente, e con entusiasmo, ad un suo ordine.
E,
soprattutto, senza
discutere!
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Capitolo 20 *** Capitolo 20 ***
Capitolo 20
“Maledizione!”
sbottò
Webb quando lesse il biglietto di Palmer che Steve gli aveva appena
consegnato.
“Un
altro buco
nell’acqua?” domandò l’agente Logan.
“Già…
Palmer ci ha
giocato anche questa volta!”
“Che
cosa dice il
biglietto?”
Clayton
Webb guardò
sconsolato il pezzetto di carta che teneva tra le mani: si vergognava
quasi a
leggerne il contenuto a Steve Logan. Palmer li aveva beffati come degli
scolaretti!
Quando
era giunto sul
luogo dell’incontro tra Mac e Harm, era ancora molto scettico: era
convinto
che, in quel caso, Harm avesse preso un abbaglio. Figurarsi se Palmer
avrebbe
portato la sua prigioniera in un luogo tanto in vista! Lui era certo
che non
avrebbero trovato nulla. Infatti
aveva
visto solo un biglietto in cui Palmer prendeva in giro il capitano Rabb.
Quindi
il luogo
dell’incontro non poteva essere che la sede della Bradenhurst
Corporation!
Invece,
ad attendere
la sua squadra speciale di agenti e tiratori scelti, c’era solo un
altro
biglietto di Palmer.
“Ciao, Harm! Ti stai divertendo? Io moltissimo! Mi è
sempre piaciuta la
caccia al tesoro… soprattutto quando sei tu a giocarci! Inoltre sto
così bene in
compagnia del tuo bel colonnello, che non voglio che arrivi troppo
presto a
rovinarmi il divertimento! Dovresti sapere quanto si sta bene con lei
tra le
mani…”
“Questo
messaggio farà
andare in bestia il capitano Rabb, signore” disse Steve.
Webb
non poté che
essere d’accordo col suo collega: altroché andare in bestia! Harm
sarebbe
diventato una furia scatenata. E a lui sarebbe stato impossibile
controllarlo. A volte Clayton Webb era
stanco del suo lavoro… E, chissà come mai, ogni volta che gli capitava
di
sentirsi così, c’era di mezzo Harmon Rabb!
Fece
un sospiro e
prese il telefono: dopo aver composto il numero del cellulare di Harm,
attese
di sentire la voce del capitano per comunicargli quello che avevano
scoperto.
Ma il telefono segnalava che l’utente non era raggiungibile. Clayton
si domandò
perplesso come mai Harm avesse il cellulare spento. Riprovò col numero
diretto
del suo ufficio e non ottenne nessuna risposta. Allora chiamò l’ufficio
dell’ammiraglio: magari Harm si trovava da lui…
“Ufficio
dell’ammiraglio Chegwidden…” la voce di Tyner lo scosse dai suoi
pensieri.
“Sono
Webb. Mi passi
l’ammiraglio. E’ urgente!”
“L’ammiraglio
non è in
ufficio, signor Webb.”
“Allora
mi rintracci
il capitano Rabb…”
“Mi
spiace, signor
Webb, anche il capitano è fuori…” rispose, esitante, la voce del
segretario
dell’ammiraglio.
“Quando
li posso
trovare?” Webb stava cominciando a spazientirsi. Harm lo aveva
tormentato,
facendogli promettere che lo avrebbe avvertito subito, in caso di
novità, e ora
non si faceva neppure trovare…
“Non
me lo hanno
detto, signore” rispose Tyner.
A
Webb,
improvvisamente, fu tutto chiaro. Accidenti ad Harmon Rabb! E accidenti
anche
ad A.J. Chegwidden! Erano riusciti ad imbrogliarlo. E lui, come un
ragazzetto alle prime armi, c’era cascato in pieno!
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Capitolo 21 *** Capitolo 21 ***
Capitolo 21
L’ammiraglio
Chegwidden ammirò la calma e la freddezza con cui il capitano Rabb fece
atterrare dolcemente il suo biposto, sul terreno arido che aveva deciso
di
utilizzare come pista d’atterraggio improvvisata. Sapeva che
Rabb era un
ottimo pilota di caccia, ma non aveva mai volato con lui… e soprattutto
non su
un aereo che gli ricordava piuttosto un giocattolo, pilotato da un uomo
la cui
unica preoccupazione, al momento, era quella di liberare la donna di
cui era
innamorato dalle mani di un killer psicopatico. Eppure avrebbe
dovuto
immaginare che Harm, quando si sarebbe trovato in volo, avrebbe
dimenticato
tutto e si sarebbe trasformato in un essere perfettamente in sintonia
col suo
aereo.
Ciò
che aveva
sentito su di lui, come pilota, doveva essere vero!
Rabb
era famoso, come
il padre, per essere un abile pilota, intuitivo e molto freddo,
soprattutto
quando si trattava di tirarsi fuori da situazioni spiacevoli. Del resto ricordava ancora
la motivazione
addotta per la sua seconda medaglia al valore, quella che lui stesso
aveva
avuto l’onore di appuntargli al petto. Harm, pur di non abbandonare due
suoi
compagni alla mercé del nemico, tramite un gancio dell’aereo in avaria
appoggiato al cupolino del suo caccia, era riuscito a spingere il
Tomcat dei
compagni oltre le montagne, fino al mare, dove un mezzo di soccorso
aveva
potuto recuperare il pilota e il suo secondo in territorio neutrale. Ma
le frasi scritte
nel breve discorso per elogiare il suo coraggio, non sottolineavano ciò
che
chiunque avesse volato con lui avrebbe intuito all’istante: il piacere
che
Harm provava, e dimostrava, quando era in volo.
Appena
l’aereo toccò
terra, i due uomini scesero e terminarono di prepararsi per la
missione. Harm,
poi, si adoperò per qualche minuto attorno al motore dell’aereo. A.J.
attese
con pazienza, finché lo vide riporre soddisfatto un pezzo
dell’ingranaggio
nello zaino. Sorrise, e Harm ricambiò il sorriso: doveva ammettere che
quel
ragazzo lo sorprendeva sempre! Aveva fatto una cosa logica, per evitare
che
qualcuno (se mai qualcuno fosse transitato in quella zona completamente
deserta) potesse rubare l’aereo. Sapeva
quanto Harm ci tenesse a quel vecchio Stearmen: era di suo padre, e
avrebbe
fatto il possibile per evitare che qualcuno se n’appropriasse. Tuttavia, ciò che lo aveva
sorpreso maggiormente era il sangue
freddo che stava dimostrando da quando, finalmente, aveva avuto la
certezza che
Mac fosse ancora viva. Superati i momenti di rabbia e impotenza non
appena
aveva saputo del rapimento del colonnello, era ritornato ad essere
lucido e
pronto all’azione, attento ad ogni dettaglio. Lo dimostrava anche il
fatto che
avesse persino pensato di rendere inutilizzabile il suo aereo, prima di
abbandonarlo
nel deserto.
“Andiamo?”
chiese
Harm.
“Andiamo”
rispose A.J.
S’incamminarono
sul
terreno polveroso, senza parlare, ognuno concentrato sui propri
pensieri,
riflettendo sui particolari della missione che stavano per compiere.
Erano
uomini addestrati al combattimento, con esperienze di guerra e capaci
di
ragionare, cercando di prevedere le mosse del nemico. Eppure,
nonostante
avessero un piano e fossero determinati a portarlo a termine, entrambi
sapevano
che quella sarebbe stata una delle prove peggiori della loro vita.
E,
mentre il sole
calava lentamente sul deserto dell’Arizona, l’ammiraglio Chegwidden non
poté
fare a meno di rivolgere una breve invocazione al cielo, affinché loro
due,
anche se soli, riuscissero a liberare Mac, e Harm potesse finalmente
riabbracciare la donna che amava.
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Capitolo 22 *** Capitolo 22 ***
Capitolo 22
S’infilò
nella
fenditura della roccia, che fungeva da entrata, cercando di scivolare
il più
possibile contro la parete della grotta. All’esterno il cielo era ormai
completamente
buio, ma dall’apertura s’intravedeva un debole chiarore.
Si
muoveva cauto,
attento a non fare il minimo rumore. Aveva lasciato lo zaino nascosto
dietro un
masso, all’esterno, per essere più libero nei movimenti. Con sé portava
soltanto la sua pistola e un coltello infilato negli anfibi da
combattimento.
Era
concentrato al
massimo, per percepire ogni eventuale suono che provenisse
dall’interno: voleva
riuscire a coglierlo di sorpresa, anche se sarebbe stato difficile.
Conosceva
molto bene il suo avversario, e sapeva che non trascurava mai un
dettaglio.
Sperava solo che, anche questa volta, come tutte le altre, riuscisse ad
essere
un passo davanti a lui.
Avanzando
lentamente,
arrivò nel punto in cui lo stretto corridoio si apriva in uno spazio
più largo,
meglio illuminato. Prima di uscire allo scoperto, cercò di analizzare
la scena
che gli si presentò davanti.
Su
un letto sistemato
alla sua sinistra nella parete di fondo, legata e imbavagliata, Mac
stava
dormendo. O, almeno, così sperava in cuor suo…
Dall’altro
lato, su
una sedia, Palmer gli voltava le spalle. Era seduto ad un tavolo, e
guardava un
monitor. Probabilmente un computer… Harm non n’era certo, perché la
figura
immobile gli copriva la visuale dello schermo. Oppure avrebbe potuto
anche essere…
Decise
di giocare il
tutto e per tutto e, puntando la pistola contro la figura seduta, gridò:
“Fermo,
Palmer! Non ti
muovere!”
In
effetti, restò
immobile. Ma quando Harm sentì la canna di un’arma che gli premeva
sulla
schiena, capì che il fantoccio al computer non si sarebbe mai mosso in
ogni
caso.
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Capitolo 23 *** Capitolo 23 ***
Capitolo 23
Purtroppo
non stava
sognando. La voce che aveva
sentito era veramente quella di Harm, ma non si trattava di un sogno.
Altrimenti lo avrebbe fatto finire diversamente. Nel suo sogno, Harm
l’avrebbe
slegata, abbracciata e lei non avrebbe avuto così paura… Invece le
braccia che
la stringevano non erano quelle dell’uomo che amava. Lui non le avrebbe
mai
fatto scivolare la canna della pistola dalla tempia, al collo, fino sul
fianco…
in una carezza di morte, solo per provocare l’uomo legato sulla sedia.
Sarah
sentì il cuore
venirle meno, più nel vedere Harm imprigionato da Palmer, che nel
sentire il
freddo del metallo scorrerle sul corpo. Era riuscita nel suo intento e
Harm
aveva capito il suo messaggio, ma in questo modo non aveva fatto altro
che
attirarlo prima nella trappola di Clark Palmer. E ora li avrebbe uccisi
entrambi…
Pensò
a quanto fosse
ingiusto, a volte, il destino. Finalmente, dopo anni in cui aveva amato
in
silenzio quell’uomo, era stata ricambiata. Aveva già temuto di averlo
perso
solo due mesi prima, ma quella volta, la fortuna lo aveva assistito.
Sperare
che le cose potessero risolversi al meglio anche questa volta, sarebbe
stato,
forse, chiedere troppo. Eppure, proprio ora
che erano felici insieme e che la loro vita avrebbe potuto essere
ancora più
completa con l’arrivo del loro bambino… proprio ora non poteva credere
che
tutto dovesse finire in una grotta, nel deserto dell’Arizona, a causa
di un pazzo!
Sentì
lo sguardo di
Harm su di sé e si rese conto che, nonostante tutto, lui cercava di
trasmetterle sicurezza. Come faceva? Come riusciva a farla sempre
sentire
meglio, anche in una situazione simile? Cercò di ricambiare quel suo
sguardo e
fece un accenno di sorriso, solo per fargli capire che a lei era
sufficiente
essere con lui…
“A
quanto pare sei più
sveglio di quanto mi aspettassi! Oppure ho sottovalutato il bel
colonnello?”
domandò l’ex agente del DSD.
“Ti
conosco da tempo,
Palmer, e ormai so come ragioni” disse, calmo, Harm. Poi rivolse di
nuovo lo sguardo su Sarah: Dio, come sembrava affaticata! Il suo viso
era
pallido e aveva delle profonde occhiaie. Gli sembrò anche che fosse
dimagrita.
Inoltre aveva scorto nei suoi occhi una luce triste che non aveva mai
visto
prima.
“Dove
hai lasciato i
rinforzi?” chiese di nuovo Palmer, divertito. Harm non si stupì di
cogliere
quel tono, nelle parole del suo persecutore. Sapeva bene che per
quell’uomo,
tutta la faccenda era come un gioco. Una sfida. Una crudele sfida tra
loro due
che purtroppo, questa volta, aveva coinvolto anche Mac.
“Sono
solo” rispose il
capitano Rabb.
“Vuoi
dire che hai
lasciato a casa il nostro comune amico Clayton? Oppure lo hai spedito a
cercarmi
negli altri posti? Povero Webb, come spia vale ben poco…”
“Ti
ripeto che sono
solo. Ho sempre saputo che vuoi me… Ora mi hai. Lascia libera lei”
disse Harm
deciso. Era l’unica cosa che gli importasse…
“Dovrei
lasciarla
andare? “ domandò Palmer, quasi a se stesso. Poi, rivolto a Mac:
“Sentilo!
Vuole ancora dirmi quello che devo fare… Cosa ti avevo detto? Non trovi
anche
tu che sia dannatamente arrogante?” Pronunciò quelle parole quasi con
dolcezza,
sfiorando il viso di Sarah con una carezza, a solo uso e consumo del
suo
prigioniero.
Harm
restrinse solo
impercettibilmente gli occhi, ma non fece nessun cenno d’aver colto la
provocazione.
Freddo. Doveva restare
freddo il più
possibile….
“A
cosa ti serve lei,
se ora hai me? Hai quello che volevi, no?”
“E
chi ti dice che non
mi serva anche lei… o che non VOGLIA anche lei? Ti assicuro che il tuo
bel
colonnello, fino ad ora, mi ha tenuto compagnia in modo davvero
piacevole… “
replicò Palmer, prima di voltare bruscamente il viso di Mac verso di sé
e
infliggerle un bacio sulle labbra.
La
lasciò quasi
subito, per gustarsi l’espressione del capitano, con un’aria trionfante
negli
occhi.
A
quel punto Harm capì
che doveva stare al suo gioco. Doveva distrarlo e dargli quello che
voleva.
Fece uno scatto sulla sedia, come se volesse saltargli addosso.
Palmer
rise e
continuò: “Sei così prevedibile, capitano! Ad ogni modo, ho in serbo
per te una
bella sorpresa… Non immagini neppure il divertimento che ti ho
preparato!” Così
dicendo, aveva slegato Mac dal letto e la stava sospingendo verso di
lui,
sempre puntandole contro l’arma.
Harm
notò che lo
sguardo di Sarah, alle parole di Palmer, era diventato, se possibile,
ancora
più triste. A quanto pareva, lui l’aveva messa a conoscenza dei suoi
piani
crudeli, probabilmente solo per torturarla e farla soffrire ancora di
più.
Mentre
li osservava
avvicinarglisi, Harm colse un impercettibile movimento alla sua
sinistra,
appena alle spalle di Sarah.
“Ora
perché non vi
salutate con un bel bacio, per l’ultima volta? Come vedi, sono
comprensivo…”
disse Palmer, sempre con quel suo tono divertito e spinse Mac contro di
lui,
strattonandola per un braccio.
Harm
vide che aveva le
lacrime agli occhi e pensò di non riuscire a resistere oltre. Avrebbe
voluto
asciugargliele con le labbra, ma non poteva pensare a quello, ora.
Non
appena Palmer
gliela avvicinò, si mosse rapidamente e si buttò a terra, cadendo sul
fianco
sinistro. Quel movimento repentino sorprese Sarah, che scivolò in
avanti e
cadde sulle ginocchia, proprio vicino a dove terminavano le gambe della
sedia
sulla quale era legato.
Ma
la manovra del
capitano Rabb colse ancora più di sorpresa Palmer, che si voltò di
scatto alla
sua destra, verso Harm, pronto a sparargli… All’improvviso,
scorse
un’ombra con la coda dell’occhio che lo distrasse dal suo intento.
Prima di
realizzare cosa fosse, sentì un calcio colpirlo alla mano con la quale
impugnava l’arma. Quindi un pugno in pieno viso lo fece sbalzare
all’indietro,
mentre la pistola scivolava a pochi metri di distanza. Senza ben capire
cosa
gli fosse appena successo, cercò istintivamente di recuperarla, ma uno
stivale
gli bloccò a terra il polso…
Allora
sollevò gli
occhi, risalendo con lo sguardo sulle gambe fasciate nella mimetica,
fino a
cogliere il volto accigliato di A.J Chegwidden che, tenendolo sotto
tiro,
scuoteva la testa in segno di diniego.
Clark
Palmer si
accasciò al suolo: Harmon Rabb l’aveva sconfitto un’altra volta.
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Capitolo 24 *** Capitolo 24 ***
Capitolo 24
L’elicottero
di
soccorso si stava sollevando in cielo; un altro attendeva pronto, poco
distante
dall’aereo del capitano Rabb, per riportare a Washington l’ammiraglio
Chegwidden e Clayton Webb, che avevano in custodia Palmer.
Non
appena si era resa
conto che l’ammiraglio aveva disarmato il rapitore, Sarah era riuscita
in
qualche modo a slegarsi i polsi e poi si era precipitata a liberare
Harm,
ancora a terra e legato alla sedia. Nel frattempo l’ammiraglio aveva
immobilizzato Clark Palmer ed era uscito dalla grotta con il
prigioniero per
chiamare i soccorsi, lasciandoli soli.
Nello
stesso istante
in cui Mac era riuscita a liberarlo, Harm l’aveva immediatamente
stretta tra le
braccia: non gli sembrava vero poterla finalmente riavere con sé… Lei
si era
rifugiata nel suo abbraccio e lui l’aveva sentita singhiozzare. Tutta
la
tensione e la paura accumulate in quei giorni l’avevano davvero
provata. Aveva
bisogno di lui, di poter piangere tra le sue braccia…
Harm
l’aveva tenuta
stretta, sussurrandole dolci parole rassicuranti, mentre le accarezzava
i
capelli. Lasciò che si sfogasse. Poteva capirla: anche lui
aveva fatto la stessa cosa con Harriet e, se non fosse stato per il
fatto che
era lei, in quel momento, ad aver bisogno di conforto, forse avrebbe
pianto
anche lui tra le sue braccia. Ma voleva rassicurarla, farla sentir
meglio e non
turbarla oltre. Tuttavia, quando Sarah lo aveva guardato finalmente in
viso, si
era accorta che anche gli occhi chiari di Harm erano umidi. Allora lo
aveva
baciato, gli aveva accarezzato il viso e si era stretta di nuovo a lui,
come se
avesse temuto di non poterlo più fare.
Harm
era preoccupato
moltissimo per la sua salute: temeva che l’esperienza vissuta fosse
stata
talmente traumatica, che avrebbe potuto avere conseguenze sulla
gravidanza.
Sapeva che era una donna forte, abituata a superare qualunque tipo di
difficoltà,
ma chiunque, al suo posto, sarebbe stato tanto preoccupato. Desiderava
moltissimo quel bambino…
Sarah
aveva cercato di
rassicurarlo, ma Harm era stato irremovibile e aveva preteso di
attendere i
soccorsi, prima di riportarla a casa. Voleva essere sicuro che non
avesse
bisogno di un ricovero in ospedale.
Aveva
finalmente
tirato un sospiro di sollievo, quando il medico che aveva visitato
Sarah lo
aveva rassicurato, dicendogli che l’aveva trovata bene, nonostante la
brutta
avventura. Stanca, affamata, ma stava bene! Sia lei, sia il bambino che
aspettava.
Harm
aveva chiesto,
quindi, al dottore se poteva riportarla a casa sull’aereo, anziché
farla andare
senza di lui sull’elicottero di soccorso. Il medico ci aveva pensato un
attimo
e poi aveva dichiarato che non ci sarebbero stati problemi. Quella
donna aveva
certamente più bisogno di stare con l’uomo che amava, anche se su un
giocattolino volante, piuttosto che tra sconosciuti in un mezzo magari
più
sicuro.
Mac
si voltò verso
l’ammiraglio e lo abbracciò, con le lacrime agli occhi. Gli sussurrò
all’orecchio: “Grazie”, poi si scostò da lui.
L’ammiraglio
la guardò
e sorrise, facendo appena un cenno con lo sguardo. Infine strinse la
mano che
il capitano Rabb gli porgeva, mentre anche lui gli stava dicendo: “
Grazie,
A.J.”
Accidenti!
La
situazione stava diventando troppo sdolcinata. Doveva porvi rimedio
immediatamente. Decise di assumere la sua aria più autoritaria e disse:
“Vi
concedo solo pochi
giorni di vacanza. Poi voglio entrambi in ufficio! Sulle vostre
scrivanie vi
aspetta un bel po’ di lavoro…” Quindi si voltò verso Webb e strizzò
l’occhio.
Harm
sorrise, prese
Sarah per mano e si diresse verso l’aereo. L’aiutò a salire e si
sistemò al suo
posto. Ma prima di infilarsi le cuffie, la fece voltare, sporgendosi
verso di
lei per darle un bacio. Sarah
lo ricambiò, felice. Poi ricordò che,
quando due mesi prima le aveva chiesto di sposarlo, le aveva anche
domandato:
“Vola con me”.
Rispose nella sua mente ancora una volta sì, nello stesso
istante in cui lui accendeva il motore dell’aereo.
L’ammiraglio
osservò i
suoi due pupilli, mentre Harm iniziava le manovre per il decollo: era
certo che
si sarebbero lasciati presto alle spalle quella brutta avventura.
Avrebbero
avuto tante altre cose alle quali pensare, nei prossimi
giorni… Sorrise al pensiero
che forse, negli uffici del Jag, finalmente avrebbe regnato un po’ di
pace!
Sarebbe toccato al colonnello MacKenzie, da quel momento in poi, tenere
a bada
il capitano Rabb.
La
sola idea lo
rendeva di ottimo umore.
FINE
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