Awake

di LyndaWeasley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mai giudicare un libro dalla copertina ***
Capitolo 2: *** Intolleranze ***
Capitolo 3: *** L'errore del Sentenziatore ***
Capitolo 4: *** Proprio come Harry Potter ***
Capitolo 5: *** Svisti e imprevisti ***
Capitolo 6: *** Una No-ia al Museo ***
Capitolo 7: *** Doccia scozzese ***



Capitolo 1
*** Mai giudicare un libro dalla copertina ***


Dedico questa storia a tutti gli amanti degli Warblers,
perché loro sono ON.
And remember:
Once Warbler, always Warbler
 
*lancia granite*

 

 

AWAKE

 

 

Capitolo I.

Mai giudicare un libro dalla copertina

 

 

 

 

Thad fissava la bacheca con occhi adoranti in stile cartoon.

Era bello come alcuni avvisi affissi dagli insegnanti riuscivano a tirare su il morale di uno studente, soprattutto se uno di quelli recitava : “Il giorno 13 settembre l’Accademia rimarrà chiusa per disinfestazione”. Accadeva di rado, ma era pur sempre qualcosa.

Lo sguardo di Thad si spostò un po’ più in basso, su un post-it verde acido era stato appiccicato sopra al regolamento scolastico generale.

Jacob ce l’ha piccolo.

Jacob era il bidello più rompipalle che una scuola potesse avere, ma nonostante tutto a Thad dispiacque leggere di quell’umiliazione pubblica: così, con un sorriso ebete e l’aria un po’ incerta, strappò via il biglietto e lo gettò nel cestino accanto. Forse era un po’ mattacchione, ma rispettava le persone, anche se queste si chiamavano Jacob ed erano bidelli odiosi.

Subito dopo la sua attenzione venne catturata da un altro post-it – questa volta arancione fluorescente – che recitava: Messaggio per i novellini: cambiate scuola finché siete in tempo, qua non cambiano mai la carta igienica nei bagni.

Thad scoppiò a ridere, attirando l’attenzione di alcuni passanti. Beh, quello non l’avrebbe tolto di certo! Era dementissimo... e per di più anche vero.

Scosse la testa, ancora sghignazzando per la frase appena letta, quando la sua attenzione venne catturata nuovamente da un altro messaggio: in questo caso non era scritto su un foglietto, bensì era inciso sulla superficie di sughero della bacheca. C’era scritto in caratteri cubitali: Thad Harwood puzza.

Ma co-? Come si permettevano!? Chiunque fosse stato meritava come minimo un calcio dove non batte il sole; aggrottò la fronte, infuriato, e sfregò sul pannello di legno come se cercasse di togliere quella scritta, ma l’unica cosa che ottenne erano delle schegge infilzate nelle dita.

Imprecò sonoramente, per poi rovistare nel cestino della spazzatura ed estrarne il fogliettino gettato pochi minuti prima: lo appiccicò sopra la scritta accusatoria rivolta a lui, che venne coperta da “Jacob ce l’ha piccolo”.

Mi dispiace, Jacob, pensò, ma già la mia reputazione qui a scuola è pari ad una mosca in tutto l’universo. La tua non rischia, è già sotto terra.

Sentendosi un po’ in colpa per quel gesto, girò i tacchi e fece per dirigersi verso il dormitorio, quando una voce lo richiamò.

«Thad! Ehi, Thad!».

Un ragazzo panciuto lo raggiunse in men che non si dica, illuminandosi con un sorriso. «Ti ho cercato dappertutto, dov’eri?».

Thad sorrise. «Ciao, Trent. Sono sempre stato qua, perché?».

«Ma come? Non ti ricordi?» gli chiese Trent, gli occhi leggermente sbarrati per la sorpresa.

Il ragazzo aggrottò la fronte. «Ahem... no».

«Ma dai! Non facciamo altro che parlarne da settimane!» esplose l’amico.

Fu come se un fulmine colpisse Thad. Si batté pesantemente una mano sulla fronte. «Oh, cacchio! Oggi è il compleanno di Flint! Diamine, come ho fatto a dimenticarmene? E’ che sono troppo presto da questi ultimi compiti. Cavolo, e adesso? Ce l’avrà a morte con me perché stamattina non gli ho nemmeno fatto gli auguri!».

Trent lo fissò accigliato. «Thad, il compleanno di Flint è stato la settimana scorsa».

Se possibile, Thad sprofondò ancor di più nell’abisso, vergognandosi come mai in vita sua. Addirittura più di quella volta in cui, per una scommessa, era entrato in un negozio di orologi per chiedere l’ora.

«Oh... questo significa che ho fatto una misera figura, vero?».

«Io direi pure di merda» lo corresse Trent, sghignazzando. «Comunque ora, nell’aula canto, si sta per esibire quello nuovo. Cioè, quello forse nuovo. Sai come sono fatti Wes e David! Vogliono prima fare una specie di provino e vedere come se la cava di fronte a tutti e se agli altri Warblers può piacere. Ho sentito che questo qui è bravetto, comunque».

Thad si era completamente dimenticato di quel provino. Con tutte quelle cose che erano accadute durante la settimana appena passata – tra cui il fatto che gli fosse piovuto in camera perché quelli di sopra avevano lasciato il rubinetto della vasca da bagno aperto... due volte –, era passato in ultimo piano. Non era così grave, no?

Tuttavia non era necessario che Trent lo sapesse.

«Ah, ero convinto fosse questo pomeriggio» mentì, deglutendo. «Lo conosciamo?».

Trent scosse il capo. «Io no» disse. «Nick mi ha detto che frequenta il corso di Storia assieme a lui e Jeff, ma che non si sono mai rivolti la parola».

Chissà come sarebbe stato avere un altro Warbler nel gruppo. Thad non riusciva ad immaginare qualcuno che sostituisse Blaine, ma d’altronde ormai lui se n’era andato e loro avevano bisogno di una voce in più. Diciamo che quello non era un vero e proprio ‘rimpiazzo’, ma solo un arrangiamento.

Improvvisamente Trent spostò lo sguardo sulla bacheca.

«Oh, lo hanno già tolto. Lo immaginavo» sogghignò.

«Che cosa?».

«Avevo scritto-» ma s’interruppe di colpo. «Ah, no, eccolo!» disse indicando il post-it in basso a destra. Jacob ce l’ha piccolo.

Thad spostò lo sguardo dal post all’amico, dall’amico al post.

«Ma... sei stato tu!» rise, indicandolo. «Non ci posso credere, è una cosa meschina!».

«Non quanto lui!» si giustificò. «E’ un pazzo... io sono buono e caro, ma non vedo l’ora che lo licenzino, sul serio. E ora andiamo, o faremo tardi!».

 

 

L’aula canto pullulava di studenti: c’era anche qualche ‘sconosciuto’ qua e là, probabilmente erano amici del ragazzo che si sarebbe presentato al provino. Thad riconobbe anche qualche suo compagno di corso che però non aveva niente a che fare con il coro. Evidentemente la voce del provino aveva viaggiato velocemente in tutta la scuola e i più curiosi erano accorsi ad assistere.

D’altronde era una specie di evento importante. Forse da quel giorno in poi, gli Warblers avrebbero avuto un voce in più che non fosse Blaine.

«Trent, dimmi la verità» disse Thad senza preavviso.

«Mh?».

«Hai inciso tu sulla bacheca “Thad Harwood puzza”?».

Il ragazzo si voltò verso Thad con un sopracciglio alzato e si rivolse a lui in tono offeso. «Per chi mi hai preso?».

«Beh, per uno che appiccica foglietti in cui informa l’intera scuola che il bidello non è ben piazzato!» rispose.

«Shhh!» lo riprese Trent, poggiandogli una mano sulla bocca, quando notò che alcuni ragazzi lì vicino si erano voltati a causa del volume fin troppo alto della voce di Thad. «Lo sanno in pochi, okay? Comunque no, non sono stato io».

Meglio per te, vecchio mio, pensò Thad. Non che lo avrebbe ucciso se fosse stato lui, ma avrebbe di certo trovato il modo per vendicarsi.

Thad spintonò via alcuni ragazzi che lo stavano ostacolando nell’attraversata della sala, per poi raggiungere il suo gruppo di compagni: a giudicare dalle loro facce... no, non c’era niente da giudicare. Non riusciva a comprendere se fossero contenti del fatto che di lì a poco ci sarebbe stato un provino di ammissione – cosa che non accadeva da molto tempo – o se fossero in disaccordo... o se non gliene fregava assolutamente niente. Vide Flint ridere con gli altri, e si chiese se si fosse offeso del fatto che si era dimenticato il suo compleanno.

Notò Wes e David che confabulavano in un angolo, come al solito. Il primo era passato all’Accademia per un saluto ai suo ex compagni, prima di buttarsi completamente nello stile di vita universitario; a Thad mancava un sacco, davvero. I corsi erano iniziati da poche settimane e già loro sentivano la sua mancanza come non mai. Soprattutto David, con il quale aveva un rapporto decisamente più stretto rispetto agli altri.

Già che c’era, gli avevano chiesto se gli avrebbe fatto piacere presenziare al provino e a dare la sua approvazione: ovviamente non aveva rifiutato. Era nel suo carattere da ‘comandante’.

«Stanno decidendo in che modo spaventare il novellino, cosicché rimarremo per sempre perseguitati solo dall’ombra di Blaine?» azzardò Thad indicando i due ragazzi.

Jeff arricciò l’angolo della bocca. «Visti da questa prospettiva sembra che stiano pomiciando»

«Anche da qua» commentò Flint, inclinando la testa leggermente.

«Se sposto la testa un po’, lo sembra anche da qui» aggiunse Trent.

«Che stiano pomiciando davvero? Thad, vai a vedere».

Thad roteò gli occhi al cielo. Possibile che fossero sempre così invadenti e rompipalle?

In quel momento David voltò lo sguardo verso di loro – probabilmente si era sentito osservato e gli stavano fischiando le orecchie – e corrugò la fronte in vista dei compagni che li stavano fissando, curiosi. Conscio del fatto che ognuno di loro era convinto che provasse qualcosa per Wes, fece spallucce e tornò a parlare con l’amico, ormai rassegnato.

«Eddai, lasciateli in pace» intervenne Nick, sorridendo. «David è super etero, ha anche la ragazza!».

«Dicevano la stessa cosa di mio cugino Mark, e ora è sposato con il suo giardiniere!» azzardò Richard.

 Anche Thad sorrise e poco dopo si ritrovò accasciato sulla poltrona accanto a Jeff. Era curioso di vedere come se la sarebbe cavata quello nuovo, ma nel contempo non vedeva l’ora di tornare nel dormitorio a farsi una lunghissima doccia ristoratrice. E poi doveva finire anche i compiti di Algebra, o avrebbe preso l’ennesimo brutto voto.

Si stava quasi per appisolare, quando la voce di Trent lo fece tornare alla realtà.

«E’ quello?».

«No, quello lì a sinistra» lo corresse Nick.

«Eh, quello con i capelli biondi».

«No! Quello che sta camminando verso Wes...».

«Ce ne sono due che stanno camminando verso Wes!» brontolò Trent.

«Quello con i capelli sul castano... marroncino... quasi biondo».

«Nick, se avessi tra le mani una spranga te la sbatterei sulla fronte!».

Thad scoppiò a ridere, seguito a ruota dagli altri. «Ma dici quello con quintali di pece sui capelli?».

«Sì, quello che si è appena grattato il pacco» disse infine Nick, con un sospiro.

«Quello che dicevo io! Quello biondo!» ululò Trent.

«Ma non è biondo!».

«Ragazzi, avete rotto le palle!» esplose Jeff, leggermente intontito da tutto quel confabulare.

Ci fu un attimo di silenzio poi risero, catturando l’attenzione di tutti, perfino del diretto interessato – il quasi nuovo Warbler: Thad si accorse che li stava fissando con uno sguardo perplesso, come per dire “e io dovrei far parte di quel gruppo di squilibrati?”. E non aveva tutti i torti, sinceramente. O magari era uno squilibrato anche lui e stava analizzando i suoi simili.

Era ancora perso nei suoi pensieri e neppure si era accorto del fatto che il ragazzo avesse spostato lo sguardo su di lui. Lo fissò per un millesimo di secondo, cercando di capire che tipo di persona fosse: a Thad piaceva fare quella specie di giochetto, guardare qualcuno negli occhi per cercare di vedere qualcosa, di capirne l’essenza. La maggior parte delle volte ci riusciva, a parte in un’occasione tempo addietro, quando aveva conosciuto Nick... al primo sguardo aveva pensato che fosse la persona più gay e nerd del mondo, ma aveva sbagliato completamente su entrambi i campi.

Distolse lo sguardo dal ragazzo facendo finta di nulla, per poi realizzare di non essere riuscito nel suo intento: a prima vista gli era sembrato una persona quasi... timida. Ma non ne era del tutto sicuro.

«Sembra coccolo» commentò Jeff, facendo spallucce.

Nick scosse la testa. «Non ci scommetterei» disse solamente, attirando a sé gli sguardi curiosi dei compagni.

Però sì, aveva la faccia simpatica, secondo Thad.

Qualche istante dopo il ragazzo raggiunse il centro della sala, dove i compagni strumentisti lo attendevano per cominciare il provino: Thad non aveva idea di cosa avrebbe cantato, ma sperava non fosse una canzone noiosa o deprimente. Già stava facendo scendere tutti i santi perché era costretto a stare lì, mentre il suo cervello e le sue gambe optavano per tornare in dormitorio.

«Sebastian» disse la voce di Wes, «puoi cominciare».

Sebastian rivolse un sorriso smagliante a tutti e con un cenno fece intendere di essere pronto: gli strumentisti cominciarono a suonare e a Thad prese un infarto.

Quella musica...

Il ragazzo cominciò a cantare e ci fu un mormorio di approvazione in tutta la sala: aveva una bella voce – non particolare, come quella di Nick, ad esempio – ma era piacevole e intonata. E se la stava cavando benissimo, rendendo davvero giustizia agli artisti originali.

Thad deglutì così forte che Jeff, accanto a lui, si voltò per dargli una piccola spintarella.

«Forte, eh?» sorrise.

Sì, forte, fin troppo.

Quella era la canzone preferita di Thad da sempre. E quel Sebastian la stava interpretando nel migliore dei modi. Tra i trilioni di canzoni che esistevano al mondo, lui era riuscito ad azzeccare quella che più faceva battere il cuore a Thad tanto era bella.

In base a quanto il cervello di Thad riusciva a captare, quel ragazzo era davvero capace di stare al centro dell’attenzione: alcuni tra gli Warblers, quando fecero avevano fatto il provino per entrare a far parte del gruppo, avevano un po’ lasciato a desiderare a causa dell’agitazione, ma lui sembrava davvero adatto per un pubblico.

Si voltò verso Wes e David e notò che annuivano involontariamente entrambi. Ciò significava che Sebastian sarebbe stato accolto a braccia aperte nel gruppo.

Sarebbe stato strano, Thad già lo sapeva, però suppose che era tutta questione di abitudine. Poi meglio uno in più che uno in meno, no?

Quando gli strumentisti suonarono l’ultima nota di “What about now” degli Westlife, tutti applaudirono, ammirati. Perfino Sebastian concedette un piccolo applauso a se stesso.

Tutti gli Warblers si alzarono e lo raggiunsero per complimentarsi e David se ne uscì con un “ti faremo sapere”, anche se praticamente era già nel gruppo. Era giusto per dare un po’ più di ufficialità alla cosa, lui e Wes erano fatti così.

Thad raggiunse gli altri e si complimentò anche lui con Sebastian, che gli sorrise.

«Sei stato forte!» si congratulò Trent, stingendogli la mano.

«Grazie, sarebbe un onore per me esibirmi con voi» rispose Sebastian, ampliando ancora il suo sorriso – per quanto fosse possibile. Thad percepì una strana sensazione e non riusciva a spiegarselo: tutti lo prendevano sempre in giro per questo, ma la maggior parte delle volte aveva ragione. Era come se tutto quello, il provino, la riunione, i sorrisi, le battute, Sebastian... fossero la più grande farsa mai messa in scena.

Perché avrebbe dovuto pensarlo? Non c’era niente a suggerirglielo, se non quella stupida sensazione.

«Thad, che hai?» lo sorprese Nick, leggermente preoccupato.

Thad si accorse che, perso nei pensieri, aveva corrugato la fronte talmente tanto che ora gli pizzicava. E doveva avere anche una faccia da ebete proprio in quel momento. «Oh, no, niente! Stavo guardando... le scarpe di Sebastian. Mi piacciono» mentì.

Sebastian inarcò elegantemente un sopracciglio. «Sono identiche alle tue».

«Lo so» deglutì l’altro, «per questo sono belle».

Jeff gli lanciò un’occhiata indecifrabile e così fecero gli altri compagni, per poi scoppiare a ridere. Anche Thad accennò un sorriso imbarazzato.

«Ora devo andare» li informò Sebastian. «Devo prepararmi per il test di domani... E’ stato un piacere cantare per voi!».

Tutti annuirono e si congratularono ancora con lui, mentre si voltava per andarsene.

E Thad avrebbe giurato su tutta la sua collezione di bustine di zucchero di aver visto un ghigno malefico attraversare il volto di Sebastian prima che uscisse dalla stanza. Qualcosa glielo suggerì nella sua testa: sì, quella era la più grande farsa a cui avesse mai assistito, più di quella volta in cui sua madre si era finta sua nonna per entrare al cinema con gli sconti per anziani.

 

 

 

 

 

 

 

To be continued...

 

 

 

 

 

Angolo Me.

 

Tadàààààààà! Buonasera!
Come avrete ben capito dagli avvertimenti – e se non l’avevate capito... .__. – questo è il primo capitolo della mia Long Fiction sugli Warblers, ambientata durante la terza stagione di Glee.
Avevo in mente una valanga di cose da dire, di anticipazioni, di avvertimenti, ma ora non me ne viene in mente nessuna, ed è tutta colpa di un video Niff che sto continuando a vedere/piangere da circa un’ora e mezza.

Comunque non temete: qua Sebastian è stato fin troppo carino. E io non faccio mai Sebastian puccioso *risata diabolica*
Questa storia non sarà basata solo su Sebastian/Thad, ma anche su altre ship che ultimamente mi uccidono le cervella. Ah, e se state pensando “che palle! Un’altra Sebastian/Thad... ora spuntano come funghi”, beh in questo caso dovete sapere che lo ship per questa coppia è partito da me e dalla mia collega Somo, ecco... prima non ce n’era manco l’ombra. Insomma, a chi poteva venire in mente di associare due personaggi che non hanno un briciolo di contatto nel telefilm? A me, e per un motivo che ho già spiegato nella mia prima Seb/Thad u.u
Stessa cosa per le Niff, comunque .-. prima non le cagava nessuno, e ora... xD
Ma evito di esprimermi, purtroppo di questi tempi l’originalità è molto rara.

Aaaaaaanyway, spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto e che continuerete a seguirmi *w* Ovviamente nella storia inserirò TUTTI gli Warblers, non saranno sempre gli stessi al centro dell’attenzione! Spero di renderla una cosa piuttosto interessante e spero che voi mi aiuterete nell’impresa (:

E ci terrei a ribadire che io ho amato fin dall’inizio, amo tuttora e amerò sempre Sebastian ;_; L’ho amato quando nessuno ancora lo conosceva ♥

Beh, ora vi lascio in pace! Approfondirò altri vostri dubbi nelle risposte alle recensioni e nel prossimo capitolo.

Grazie in anticipo a chi lascerà un parere ** (ancora non sono una cannibale)

 

Lin ♪

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Capitolo 2
*** Intolleranze ***


Lo so che potrebbe sembrare una cosa completamente idiota (e forse lo è), ma questo capitolo volevo dedicarlo a Curt Mega,
semplicemente perché le sue parole mi risollevano sempre il morale.
Perché svegliarsi alla mattina e leggere
ciò che scrive, mi riempie il cuore
*vomita arcobaleni e fluff*
Anche se non lo leggerà mai (meglio così!). Ma conta il pensiero, giusto?

Capitolo 2.

 Intolleranze

 

 

 

 

 

 

Erano entrambi sdraiati sul letto a pancia in giù, gli sguardi fissi l’uno nell’altro e la testa poggiata a peso morto sulle mani.

 Gli occhi di Jeff vantavano un colore talmente strano che Thad ci si perse per qualche istante: ovviamente non si era mai soffermato ad osservarli – non ne aveva mai avuto motivo – ma in quel momento i loro sguardi sembravano attratti come calamite e non poté fare a meno di notarlo.

 Sentiva un fastidioso brusio attorno a loro e la cosa lo infastidiva un po’. Ma... non poteva voltarsi. Non poteva fare niente. Proprio non era il momento più adatto.

«Chi vuole un muffin al lampone? Li ha fatti mia sorella, quindi vi avverto che potrebbero essere letali... però hanno un aspetto invitante» ruppe il silenzio Richard.

 Thad deglutì, trattenendo a stento una risata. Non...

«Tutto apposto! Sono ottimi!» continuò Richard qualche secondo dopo con la bocca piena, dall’altra parte della stanza. «Però credo ci abbia messo delle bacche da giardino sopra... questi cosi non sanno affatto di lampone. Oh no... credo sia concime»

E Thad scoppiò a ridere, sputacchiando da tutte le parti.

Ecco, ora ci mancava anche questa. Ma non poteva tirar fuori l’inutile argomento sorella-muffin più tardi? Il biondino rompipalle lo avrebbe preso in giro a vita per quella perdita.

 «Ah!» saltò su Jeff, facendo un balzo e mettendosi in ginocchio sul letto. «Ho vinto io! Di nuovo! Non mi batterai mai a Sguardo Magnetico, Thad Harwood!».

«Sguardo Magnetico?» ripeté quest’ultimo, aggrottando la fronte. «Questo giochetto ha un nome? Comunque non è giusto! Richard, la prossima volta te li ficco negli occhi quei cavolo di muffin!».

Thad era sicuro che Richard non l’avesse fatto apposta: lui era così, un ragazzo imprevedibile e davvero fuori dal mondo. Lo aveva capito subito la prima volta che si erano incontrati, come aveva capito che sarebbe stato comunque un buon amico. Però, ecco, ogni tanto dava l’impressione di essere davvero fuori dalle righe.

E lì dentro, tra quelle mura, lui, Thad, aveva bisogno di amici. A parte gli Warblers non aveva nessun altro, perché nessuno aveva mai capito appieno che persona fosse: o era forse lui che non era riuscito ad esprimere il meglio di se stesso? Fatto sta che le uniche persone su cui poteva contare erano i suoi compagni di coro.

 Talvolta però sentiva distanti anche loro, come se non dessero gran importanza alla loro amicizia... però sapeva che erano solo pensieri suoi dovuti allo stress, in realtà ognuno dimostrava la propria amicizia in modo diverso. Nel vero senso della parola.

 «... e poi gli ha tirato pacco. Penso che lui avrebbe preferito che questo avvenisse figurativamente, capite?» stava dicendo Richard, sogghignando e scuotendo la testa. Poi, quando si accorse che tutti i presenti lo stavano fissando accigliati, aggiunse: «”Tirare pacco”... tirare il pacco! Lui è un uomo... ha il pacco... Dai, ragazzi, non potete essere così privi di senso dell’umorismo!».

«Richard, sei un idiota» se ne uscì Jeff, lanciandosi sulla poltrona accanto a Nick e continuando a canticchiare un motivetto che aveva a che fare con “sono il re di Sguardo Magnetico”.

«Non posso distrarmi un attimo che parlate già di zozzerie» disse Thad. «Solo voi riuscite a trasferire l’argomento dai muffin ai cazzi. Siete incredibili».

 Ed era vero, delle volte da una cosa apparentemente insignificante, come un porfido, riuscivano a tirare fuori di quelle porcate che...

«Vabbè, io vado a mettermi il pigiama» borbottò Nick con uno sbadiglio, scrollandosi Jeff di dosso e dirigendosi strisciando verso il bagno. «Questa uniforme oggi mi strozza, non so».

«Sì, dopo me lo metto pure io» concordò Jeff, tirandosi leggermente il colletto della camicia e allentandosi i primi bottoni.

 Erano nella stanza di Thad, Nick e Jeff quella sera. Avevano deciso di passarla in modo tranquillo e pacifico – almeno una volta, insomma! – e poi Thad aveva promesso a Nick che lo avrebbe aiutato a studiare Chimica per il test del giorno dopo: non era una cima ma se la cavava abbastanza con le formule, così si era offerto di aiutarlo. Solo che avrebbe dovuto immaginare che, con Richard e Jeff al seguito, non sarebbe riuscito a fare più di un quarto d’ora di lezione. Così avevano finito per giocare a Risiko, a Taboo e a “Sguardo Magnetico” – come era stato battezzato da Jeff.

 Nick tornò dal bagno qualche minuto dopo, con un orribile pigiama a righe rosse e marroni, che lo faceva sembrare un carcerato moderno. A quanto pareva non era l’unico a pensarlo, perché Richard accennò ad un sorriso ebete.

 Nel giro di dieci minuti, erano tutti in pigiama – uno più orrido dell’altro, stando al parere di Thad. Aveva come l’impressione che, se fosse entrato qualcuno, avrebbe certamente frainteso la situazione che si era creata in quel dormitorio: se prima sembravano un “gruppo di studio” – seguito subito dopo degenerato in un “gruppo di deficienti” –, ora era come se fossero nel bel mezzo di un pigiama party. E un pigiama party con soli uomini non era una cosa molto etero.

Sogghignò tra sé e sé.

D’un tratto sentì un rumore che proveniva dalla finestra aperta.

«Avete sentito anche voi?» bisbigliò Thad.

«Sì... cos’era?» domandò sottovoce Jeff, guardandosi intorno.

«Non ne ho idea. Andiamo a controllare?».

«Perché state tutti parlando sottovoce?» disse Richard mantenendo un tono normale, alzandosi in piedi e dirigendosi verso la finestra. «Siete tutti dei cacasotto! T’oh, venite pure a vedere, qui non c’è niente».

 Era in piedi di fronte alla finestra e stava indicando l’oscurità all’esterno: non seppe perché, ma a Thad venne in mente la scena di un film Horror in cui “l’eroe di turno”, per fare il figo, si era avvicinato ad una porta per cercare di rassicurare gli altri e, improvvisamente, era stato trucidato. Rabbrividì. Per un attimo sentì il bisogno di urlare a Richard di scappare, di mettersi in salvo, ma poi si rese conto che sarebbe sembrato patetico. E poi loro erano alla Dalton, non in un film Horror.

«Anzi no, vedo qualcosa...» aggiunse poi Richard, assottigliando lo sguardo. «... è la tua ragazza, Nick! Sta proprio qua sotto... Ciao, Sally!».

Nick quasi si strozzò con la manciata di caramelle che si era ficcato in bocca un attimo prima: si alzò dalla poltrona – ignorando le proteste di Jeff per avergli calpestato un mignolo – e si affacciò alla finestra accanto all’amico.

Okay, tutta quella situazione era assurda. Che ci faceva Sally fuori dall’Accademia alle undici di sera? Era per caso impazzita?

 «Sally!» tentò di urlare Nick, cercando di non fare troppo baccano: gli risultò alquanto difficile, dato che c’erano più o meno sei metri di altezza a separarli. «Che ci fai qui? E’ tardi!».

La ragazza di sotto lo salutò animatamente con la mano, sorridendo e facendo oscillare la coda scura. «Non è mai tardi per salutare il proprio amore!».

 Richard si lasciò trasportare in una perfida imitazione di Cupido rivolta a Jeff, il quale finse di vomitare e svenire. Thad aggrottò la fronte: già era del parere che Sally fosse completamente con le rotelle fuori posto, ora pensava che fosse proprio pazza. Osservò con attenzione Nick e notò che non era del tutto a proprio agio: stava strusciando i piedi l’uno contro l’altro e lanciava loro delle occhiate incerte di tanto in tanto. Erano una coppietta tanto carina – lui intelligente e lei cretina – però non era convinto fossero fatti l’uno per l’altra.

E questo Nick lo sapeva perché Thad era stato sincero con lui fin dall’inizio, da quando aveva portato la ragazza alla Dalton per la prima volta, tre mesi prima.

«Come sei dolce!» le disse. «Ma ora torna a casa! E’ pericoloso stare fuori a quest’ora!».

 «Sì, amore mio!» gridò lei senza alcun ritegno e lanciandogli un bacio. «Ci vediamo presto!».

 E scomparve al di là dei cespugli.

Nick si voltò verso i compagni, frizionandosi i capelli con una mano: si accasciò di nuovo sulla poltrona e chiuse gli occhi.

«E’ proprio cotta di te, eh?» intervenne Thad, sghignazzando.

«Già» rispose lui. «E io di lei... ma delle volte esagera, mi fa preoccupare».

 L’argomento “Sally” si concluse dopo quell’ultima frase, dato che – secondo Thad – tutti la pensavano come lui, e forse non era il caso di ricordarglielo a Nick. Tuttavia lui rimase serio e pensieroso per tutto il resto della serata, fino a quando non andarono a dormire.

 

 Sembravano passate ore da quando Richard aveva lasciato il dormitorio e da quando la stanchezza li aveva colti all’improvviso, ma nel momento in cui Thad si svegliò e gettò una fugace occhiata alla sveglia, realizzò che erano appena le due e mezza: ciò significava che aveva dormito... mezz'ora.

Cazzo.

Lasciò da parte le imprecazioni e si ricordò il motivo per cui si era svegliato: un rumore. Un rumore proveniente dal corridoio. Maledì con tutto se stesso chiunque o qualunque cosa lo avesse svegliato.

Si mise a sedere e accese la luce: in quel momento anche Jeff e Nick si svegliarono, rivolgendogli occhiatacce sullo zombie andante.

«C-che succede?» brontolò Jeff sbadigliando.

«Non avete sentito?» mormorò lui, sfilandosi le coperte e raggiungendo in punta di piedi la porta, per poi appoggiare un orecchio sulla superficie. «Quei rumori».

«La smetti di sentire rumori? Magari è solo una mosca che sbatte contro il muro» disse Nick intontito dal sonno, ricoprendosi con le coperte fin sopra la testa.

«No...» disse Thad sottovoce, intimandogli di fare silenzio.

Ora i rumori non c’erano più. Era come se qualcuno si stesse trascinando pesantemente da una parte all’altra del corridoio, non ricordandosi evidentemente che era notte fonda e che la gente aveva voglia di dormire.

Ma lui era sicuro di averli sentiti. Mandò a farsi fottere la sua maledetta curiosità e aprì piano la porta, cercando di non fare rumore.

 Il corridoio era illuminato solamente in parte dalla luce che proveniva dalla sua stanza ma, nonostante tutto, riuscì a vedere la sagoma di una figura a pochi passi da lui. Con il cuore che batteva a mille, prese un ombrello dal porta ombrelli accanto a lui e lo impugnò come se fosse un’arma. Deglutì: se fosse stato un professore, era in guai seri.

Tutto questo accadde in una frazione di secondo e, non appena la luce illuminò uno sprazzo di corridoio, la figura si voltò, scoprendo il volto di un ragazzo.

Thad sospirò, socchiudendo gli occhi. E imprecando.

«Si-può-sapere-cosa-ci-fai-a-quest’ora-in-giro-per-i-corridoi-porca-di-quella-vacca?» scandì bene lui, cercando di trattenersi dal saltargli addosso e strangolarlo.

Nel frattempo Nick e Jeff lo raggiunsero e si affacciarono alla porta.

«Cercavo il gabinetto» disse tranquillamente Sebastian.

 «Ci hai fatto prendere un colpo! E poi che cazzo dici, ogni camera ha un cesso privato!» saltò su Thad, sbattendo involontariamente l’ombrello contro lo stipite della porta. Non gli importava un fico secco di essere sgarbato, quel Sebastian aveva appena interrotto uno dei sogni più realistici e belli che avesse mai fatto e non meritava certo comprensione.

 «Dato che non ero nella mia camera cercavo il bagno in corridoio» rispose semplicemente Sebastian, accennando ad un sorriso.

 Thad prese a fissarlo: in quel momento lo stava davvero odiando per averlo svegliato per una cosa così stupida. Già aveva ore di sonno arretrate – che avrebbe potuto recuperare non andando al provino, quella mattina – e ora ci si metteva pure lui a fare le scappatelle notturne. Notò che senza l’uniforme della Dalton, sembrava ancora più magro.

«Terra chiama Thad, passo» disse Jeff, accanto a lui. «Continui ad imbambolarti come un pirla».

 «No... mi piace il suo pigiama». Ma co-

 «Se vuoi ti do l’indirizzo di dove vado a comprare i vestiti e le scarpe, così ci fai un salto, eh?».

«Grazie» rispose stupidamente Thad, rendendosi conto di aver appena detto una cazzata colossale. Di nuovo.

Sebastian rispose con un sorriso sghembo, mantenendo comunque un’aria pacata.

«Qualcuno mi spiega perché stiamo cazzeggiando sulla porta a quest’ora della notte?» intervenne Nick, con la frangia che gli copriva quasi completamente gli occhi assonnati e con la schiena curva.

Già, bella domanda. Thad aveva talmente tanto sonno, che stava cominciando a vedere un Sebastian con quattro occhi, due bocche e due nasi... e la cosa era piuttosto inquietante. La tentazione di sbattergli la porta in faccia era talmente forte che dovette richiamare a sé tutte le sue forze per non farlo.

Avrebbe anche voluto dirgliene quattro per averlo svegliato a notte fonda, ma si sentiva talmente stanco che non gli uscirono nemmeno le parole.

«Vi va una tazza di cappuccino?» se ne uscì improvvisamente Sebastian, interrompendo quel lungo silenzio imbarazzante che si stava creando.

«Ma... siamo in piena notte!» esclamò Thad con uno sbadiglio.

«E allora?» disse l’altro, accennando un sorriso. «Non è mai tardi per un cappuccino».

«No, infatti è troppo presto... sono quasi le tre, non è neanche l’alba» replicò Thad.

Sebastian fece spallucce.

«Io ci sto!» disse Jeff. Prese una felpa e raggiunse Sebastian nel corridoio. «Dai, venite anche voi!».

 Nick, per tutta risposta, alzò dolcemente il dito medio per poi voltarsi e lanciarsi di peso sul letto: Thad avrebbe giurato che si fosse addormentato giusto un momento prima di cadere sul letto. In quanto a lui, non aveva la benché minima voglia di girovagare per l’Accademia alla ricerca di un cappuccio a quell’ora della notte. E poi aveva quelle fottutissime ore di sonno da recuperare.

«Thad?».

«No, grazie» rispose lui, facendo un cenno con la mano. «Ho sonno».

«Come vuoi! Non aspettarmi alzato» lo salutò Jeff, seguendo Sebastian verso l’ignoto.

«Non avevo alcuna intenzione di farlo, sinceramente».

E imitò Nick, lanciandosi a braccia aperte sul letto e addormentandosi all’istante.

 

 

Quando la mattina dopo si svegliò, Jeff non era ancora tornato.

 Thad non era molto sicuro di volersi alzare: stava così bene accoccolato al suo piumone azzurro, che quasi gli faceva tristezza il fatto di dover affrontare una nuova giornata all’insegna di lezioni, compiti e prove.

 Con molta fatica si tirò a sedere, accecato dai raggi luminosi che penetravano dalla finestra. In quel momento Nick uscì dal bagno, asciugandosi i capelli con un asciugamano: si guardò intorno, dubbioso.

«Ma Jeff?» domandò.

 Thad intanto stava facendo una battaglia con le sue palpebre, che non ne volevano sapere di restare aperte.

«N-non lo so» borbottò. «Evidentemente la colazione è durata più del previsto».

«Eh?».

 «Stanotte è andato con un cappuccino a farsi Sebastian, non so» replicò Thad. Perché doveva fargli delle domande così difficili a quell’ora del mattino?

 «A fare cosa?».

«Eh?».

 «Hai appena detto che Jeff è andato con un cappuccino a farsi Sebastian! Sei forse impazzito?» saltò su Nick, non sapendo se ridere o rimanere esterrefatto: optò per una via di mezzo, dato che gli comparve sul volto un’espressione del tutto assurda.

 Thad richiuse gli occhi – ancora un istante e sarebbe crollato di nuovo dal sonno – e tossicchiò. Spiegò ad un Nick quasi incredulo – che non ricordava affatto di essersi svegliato qualche ora prima, causa sonno – quello che era accaduto e il racconto sembrò lasciarlo un po’ perplesso. Inarcò un sopracciglio, lanciò l’asciugamano bagnato sul letto e cominciò a preparare i libri da portare a lezione.

In quel momento Jeff entrò nella stanza, Thad non seppe se essere sollevato dal fatto che lui era vivo e vegeto, o se prendere uno spavento per le ombre scure che contornavano i suoi occhi. C’era da dire che durante la notte – dopo che il suo magnifico sogno era stato infranto da quei rumori –, aveva sognato che Sebastian fosse un licantropo, quindi le sue preoccupazioni per il biondino erano giustificabili.

 «Che... sonno» borbottò Jeff, dirigendosi con fare da zombie verso il suo letto.

Nick, con uno scatto felino, lo bloccò. «Non se ne parla neanche! Se ti stendi ora, non ti alzi più!».

 «Meglio, così rimarrò per tutta la vita sdraiato a dormire. Ahhh!».

 «Pensa che dopo dovremmo fare altri provini per sostituirti negli Warblers» lo rimproverò bonariamente Nick.

«Ma io ho sonno».

«Potevi evitare di fare baldoria tutta la notte!» disse il moro, cercando di non ridere alla faccia ebete di Jeff. «Ora vai in bagno e fatti una doccia, così ti svegli almeno un po’. E vedi di non affogare!».

Jeff acconsentì con un cenno debole della testa e si chiuse in bagno.

«E se dovesse scivolare e battere la testa?» domandò Nick, preoccupato.

«Vai a controllare» disse Thad, cercando di alzarsi.

«Non ci penso nemmeno! Vacci tu!».

«Senti, sto cercando di impiegare tutte le mie forze per non barcollare ad ogni passo, non ho proprio il tempo di andare a vedere se sta affogando o s- che cos’è?» domandò poi Thad, aggrottando la fronte. Infatti dal bagno proveniva uno strano rumore... Thad si chiese se il suo destino fosse quello di sentire continuamente rumori strani, dato che in quei giorni sembrava stesse diventando un hobby.

«Sta vomitando» sospirò Nick, abbattuto. «Vado ad aiutarlo».

Jeff... aveva bevuto? No, non era possibile, non faceva mai queste cose a scuola. E poi non era un tipo che amava bere: la faccia con cui era entrato poco prima nella stanza non era quella di un ubriaco... magari era semplicemente influenza o un virus.

La questione era semplice: se Sebastian gli aveva fatto qualcosa – anche solo per sbaglio –, lo avrebbe ucciso. Forse era davvero un licantropo, lo aveva portato nella sua combriccola di animali e lo aveva morso... Ma cosa diavolo andava a pensare?

 Qualche minuto dopo, Nick uscì dal bagno, con la faccia persino più bianca di quella di Jeff.

 Thad non lo aveva mai visto in quelle condizioni, eccetto quella volta in cui aveva perso l’orologio di suo padre giocandolo a Poker. Sapeva che Nick odiava quel genere di cose, odiava il vomito e tutto ciò che lo riguardava, ma non pensava fino a quel punto: ricordò quella volta in cui si era preso un virus influenzale e aveva passato ben una settimana in condizioni simili. Eppure era entrato in quel bagno per Jeff.

Aveva perfino la fronte imperlata di sudore, come se si fosse sforzato insieme a Jeff per rigurgitare.

 E in quel momento che Thad provò un gran moto d’affetto per Nick, perché era una delle persone più buone e tolleranti che avesse mai avuto l’onore di conoscere: aveva addirittura messo da parte il suo orrore per il vomito per aiutare un amico. Non seppe perché, ma cercò di immaginarsi la scena di lui che accarezzava la fronte di Jeff con un panno umido mentre cercava di rassicurarlo, mentre gli diceva che sarebbe passato tutto, proprio come fanno le madri con i propri figli.

Si sentì fiero di essere suo amico.

«Ehi... tutto a posto?» domandò timidamente Thad.

L’amico tirò su col naso, sedendosi poi sul letto.

 «Quel deficiente è intollerante al latte» sospirò. «Per questo motivo la sua anima è stata riversata nel nostro gabinetto. Avevamo dei sospetti già da un po’, e lui è andato a bersi una tazza intera di caffellatte... si può essere più scemi?».

«Oh...». Thad non aveva la minima idea di questa storia. «Ma è una cosa certa?».

L’altro scosse la testa. «No, però quando ha cominciato ad accusare dei disturbi allo stomaco, ha eliminato il latte alla mattina e i tre quintali di formaggio che si mangia per pranzo, e sembrava essergli passato almeno un po’».

 Ora che ci pensava bene, ricordava che spesso Jeff si era lamentato di disturbi alla pancia e giù di lì. Sperò soltanto che dopo quella vomitata apocalittica – che a giudicare dai rumori era ancora in corso – sarebbe stato bene.

 Thad si alzò finalmente dal letto e si diresse verso il bagno: nemmeno lui amava granché il puzzo di vomito, ma voleva risparmiare a Nick una seconda disgustosa scenetta.

Quando entrò, vide immediatamente Jeff chino sul lavandino dove si stava lavando le mani.

Gli si avvicinò titubante e gli poggiò una mano sulla spalla. «E’ tutto a posto?».

«Sì, sto bene» rispose Jeff voltandosi e mostrando tutto il suo malaticcio splendore a Thad: aveva gli occhi gonfi di lacrime per lo sforzo e la fronte tutta sudata. Faceva un po’ paura, a dire il vero.

«Non si direbbe...» commentò Thad. «Sembra tu abbia vomitato anche la cena del Natale scorso!»

«Sono incinta, in realtà» disse Jeff, abbandonando la sua faccia cadaverica per dare spazio ad un sorriso un po’ tirato.

Anche Thad sorrise e abbracciò forte l’amico, contento che si fosse ripreso: giurò su se stesso che d’ora in avanti avrebbe fatto di tutto per non permettere a Jeff di mangiare troppi latticini. Aveva preso un bello spavento.

Sciolse l’abbraccio e quando si ritrovò a guardare il compagno negli occhi, si accorse che la sua espressione era del tutto cambiata.

«Mi fai paura» commentò Thad aggrottando la fronte.

«Thad» cominciò lui, deglutendo e fissandosi i piedi. «Ho davvero bisogno di sapere che posso fidarmi di te».

Panico .

Quello  non era un tono che lui usava spesso per dire qualcosa. Somigliava vagamente a sua madre quando stava per improvvisare un discorso sul suo futuro accademico... quindi, per farla breve, era un tono abbastanza preoccupante.

«Sai che non dovresti avere dubbi su questo...» rispose in un sussurro.

 Jeff sospirò e affondò la faccia nelle mani. Quando ne riemerse, ci volle qualche secondo prima che sollevasse lo sguardo, puntandolo dritto negli occhi di Thad.

«Bene» disse serio, «perché devo confessarti una cosa che riguarda Nick».

 

 

 

 

 

To be continued...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo Me.

 

 

Prima di iniziare a sparare qualunque cavolata, volevo dire che non mi aspettavo tutto questo entusiasmo da parte vostra *_*

In tanti avete messo la storia tra i preferiti e in tantissimi tra i seguiti! Ancora non ci credo! *_*

Beh, sappiate che sono contentissima che vi sia piaciuto il primo capitolo, e spero vivamente che questo vi abbia altrettanto soddisfatti! Spero solo che non mi odierete per il finale, LOL.

Diciamo che non accadono vicende troppo importanti e che Sebastian sta ancora ‘dietro le sue quinte’, come dico sempre io: chissà cosa passa per la mente del bel fanciullo. Ah, ci tenevo a precisare che lui non sapeva niente della presunta intolleranza ai latticini di Jeff xD Giusto per evitare di farvi pensare che lui c’entri qualcosa col suo malessere!

Comunque non allarmatevi: già nel prossimo capitolo le cose si smuoveranno un po’. Se siete a conoscenza di come tratto di solito Sebastian nelle mie fan fiction, sappiate che sarà lo stesso. Qua sembrerebbe più gentile e pacato.

 

In questo capitolo ho voluto descrivere un po’ il clima che c’è tra gli Warblers, un po’ una cosa generale. E ci tengo a precisare che l’intolleranza di Jeff ai latticini non è una cosa buttata lì a caso; sarà ripresa più avanti per un motivo ben (tristemente) preciso.

E poi con questa scena ho voluto marcare l’amicizia (?) tra Nick e Jeff *________* non sono adorabili? Io li amo. Sempre. Ovunque. E comunque ♥

 

Ah, Richard è un Warbler che esiste veramente, eh! Per chi non lo conoscesse è interpretato da John Hall, ed è quello che in “Uptown Girl” fa quello strano gesto con il braccio... e che canta un meraviglioso Mash Up di “Little Lion Man/Just the way you are”, che vi consiglio caldamente!

 

Prima di lasciarvi a fare qualunque cosa vogliate fare, vi linko così a caso il mio profilo Twitter, dove trollo nel tempo libero e ogni tanto spoilero qualcosuccia!

Cliccate quiiiii

Grazie a chi è arrivato fino a qui e a chi commenterà *o*

Un Arcobaleno per tutti,

Lin.

 

 

Ps: Penso che d’ora in avanti alle recensioni risponderò nel capitolo successivo... vedremo :)

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Capitolo 3
*** L'errore del Sentenziatore ***


Solita dedica iniziale:
questa volta è per Somo e Marzia, perché – finalmente – dopo circa due annetti riusciamo
a passare un weekend cazzeggiando assieme.
E perché voglio loro un bene immane e non so cosa farei senza di loro.
Banalità a fiotti, ma tant’è...
Anyway, vi dementamo ♥
E anche ad Elisa, perché mi manca tanto e perché non riuscirò a ringraziarla mai abbastanza!
Love ya, sistah ♥

 

 

 

Capitolo 3.
L’errore del Sentenziatore



Erano passati tre giorni da quando Sebastian era diventato un membro effettivo degli Warblers.

Il giorno dopo l’audizione, David se n’era uscito con un “ci serve un’altra voce dato che Blaine se n’è andato... Sebastian potrebbe fare al caso nostro”. Da lì capirono che ormai dovevano rassegnarsi ad avere un rimpiazzo – per quanto riguardava la presenza scenica – al loro vecchio amico: in fin dei conti Sebastian non era poi così male, aveva una bella voce ed era di bella presenza. Il tutto stava nel farci l’abitudine.

Thad si rigirò nel letto, ancora assonnato: seriamente, sembrava una donna incinta. Aveva sempre sonno, sempre fame e ultimamente non aveva mai voglia di fare un tubo. Fortuna che c’erano i suoi amici che lo trascinavano di qua e di là altrimenti, fosse stato per lui, avrebbe passato il suo tempo libero accoccolato tra le coperte. Mangiando.

Aprì gli occhi, ritrovandosi praticamente accecato dai raggi di luce che entravano prepotenti dalla finestra. Guardò di striscio la sveglia, fregandosene del fatto ch- perdinci! Erano le otto e un quarto! Alle otto e mezza avrebbe dovuto avere un compito estremamente difficile di Algebra, per il quale aveva studiato come un dannato il giorno prima. Se solo fosse arrivato anche di un solo minuto in ritardo, non se lo sarebbe perdonato. Odiava sforzarsi per niente.

Saltò su con uno scatto che gli fece quasi perdere l’equilibrio e capitombolare giù dal letto e corse a perdifiato in direzione del bagno, non preoccupandosi di Nick e Jeff che stavano preparando uno zaino con tutta la calma possibile e immaginabile.

Thad pensò di star battendo un record: se tutto fosse andato come aveva calcolato, sarebbe riuscito ad essere pronto in un minuto e mezzo. E sarebbe anche riuscito ad arrivare in tempo per il compito e prendere un bel voto, come meritava.

Si accorse di essersi imbambolato e si maledì, lanciando l’asciugamano nella doccia e uscendo all’impazzata, ritrovandosi attirando l'attenzione dei compagni che lo scrutavano perplessi.

Non sopportava quando la gente lo fissava come fosse un fenomeno da baraccone – anche se ogni tanto riusciva perfino a diventarlo, doveva ammetterlo –, quindi si limitò a lanciare ai due amici un’occhiataccia, prima di buttarsi nel letto a recuperare i calzini.

«Thad...» cominciò Nick, ma fu subito interrotto.

«Shhh! Sto cercando di ricordare le ultime formule!».

«Thad...» ritentò Jeff.

«Shhh!».

Nick mollò lo zaino a terra e si avvicinò a Thad, prendendolo saldamente per le spalle. «Se non ti dai una calmata ti ficco quel calzino in bocca» esordì con fare serio continuando a scrollare Thad. «Si può sapere che cos’è tutto questo baccano?».

Thad lo spintonò di lato, scendendo dal letto. «C’è-il-compito-di-Algebra! » scandì bene lui, come impazzito. «Ieri ho studiato tutto il pomeriggio per cercare di strappare almeno la sufficienza e spero per te che questo tuo intervento non comprometta la mia media!».

Nick e Jeff si guardarono interdetti, rivolgendo poi a Thad un’occhiata curiosa.

Infine Jeff scoppiò a ridere.

«Oggi è mercoledì» cominciò, «e c’è la disinfestazione».

«Appunto! Il mercoledì c’è sempre Algebra nelle prime due ore e-» Thad si bloccò. «Oggi è... il 13?».

«Eh già» sghignazzò Jeff, non riuscendo a trattenersi.

«E siamo... a settembre» continuò l’altro, ancora pietrificato.

«A quanto pare» concordarono gli altri due all’unisono.

Thad imprecò, maledicendo tutto e tutti: come era riuscito a confondere i giorni? Il pomeriggio prima lo aveva passato a cercare di inculcarsi quelle stupide formule in testa e lo aveva fatto per niente. Ecco perché gli altri avevano continuato a lanciargli occhiate curiose per tutto il tempo. Non era mai successo prima d’ora e solitamente era lui a prendere in giro quelli a cui capitavano situazioni simili.

Si lanciò di peso sul letto affondando la faccia nel cuscino, ignorando le risate dei suoi due coinquilini. In quel momento li odiava, ed era meglio se gli stavano alla larga.

«Dai, visto che il compito è dopodomani, non hai studiato per niente» cercò di incoraggiarlo Jeff.

«Vai a fare in culo».

Non solo si era quasi ucciso rischiando di scivolare sulla saponetta in bagno poco prima, ma aveva anche fatto una pessima figura: scambiare i giorni... passare una giornata intera convincendosi che il giorno dopo ci sarebbe stato un compito e scoprire che, in realtà, era la giornata dedicata alla disinfestazione, che tra l’altro attendeva già da un po’: si poteva essere più imbecilli? Okay che tanto era abituato a fare figuracce – anche se era una cosa che non sopportava – però ci mancava pure questa.

«Comunque, mentre ieri eri intento ad affogare nei lib-» e qui Jeff ricevette una cuscinata in pieno volto, «dicevo... mentre ieri studiavi, noi stavamo progettando di andare a fare un giro in centro. Ci stai?».

«Mh» mugugnò lui. «Tutto pur di uscire da qui».

«Perfetto! Quindi alza le chiappe e andiamo fuori. Richard e gli altri ci stanno aspettando!» esclamò il biondino, entusiasta.




Alla fine si erano seduti al tavolo di un locale con una bellissima vista sul parco.

Il posto lo aveva scelto Nicholas, il più piccolo tra tutti gli Warblers, dato che lo frequentava spesso assieme alla sua ragazza e Thad dovette ammettere che era davvero molto carino: era leggermente sopraelevato rispetto al resto del paesaggio, in modo da avere la vista completa del parco di fronte. C’erano molti alberi, giochi per bambini e un sacco di panchine su cui sedersi.

Thad sorrise tra sé, immaginando il giorno in cui avrebbe frequentato assiduamente quel parco con la sua futura ragazza. Voltò lo sguardo verso i suoi amici e sospirò: proprio in quel momento, si chiese per quale motivo tutti pensassero che l’Accademia Dalton fosse frequentata da ragazzi considerati delle brutte copie di Percy Weasley. A guardarli sembravano uno più scemo dell’altro, e non davano di certo l’impressione di essere dei secchioni. Forse era la divisa che ingannava. Sì, doveva essere decisamente per quello.

Richard aveva le gambe stiracchiate su di una sedia e stava giocando con il Nintendo, mentre Nicholas lo stava ammirando; Flint stava facendo un solitario; Trent era intento a giocare a morra cinese con Jeff, entrambi si dondolavano sulla sedia; Nick aveva appena messo della musica con il cellulare e ora stava giochicchiando con esso.

... Ce ne fosse stato uno di loro in una posa normale.

Thad era indeciso se ridere o se far finta di non conoscerli ma, visto che stava con loro e quindi la seconda opzione non era purtroppo adottabile, decise di optare per la prima.

«Ma Richard, sei proprio una schiappa, eh!» se ne uscì improvvisamente Nicholas, confiscando il Nintendo dalle mani dell’amico con aria offesa.

«Non è colpa mia! Vallo a dire a Luigi».

«Lo sanno tutti che Mario è più forte di Luigi, e tu ti ostini ancora a scegliere lui!» rispose l’altro, scuotendo la testa e iniziando a premere i piccoli tasti convulsamente.

«Ragazzi, state seriamente litigando per Super Mario?» commentò Nick dall’altra parte del tavolo, ancora intento a trafficare con il telefono.

«Mario Bros!» esclamarono gli altri due all’unisono, come per rimproverarlo. Nick roteò gli occhi al cielo.

Poco dopo arrivò la cameriera a prendere le ordinazioni e Thad si stupì del fatto che non fosse ancora fuggita via strappandosi i capelli. Lui ordinò un semplice drink, mentre alcuni di loro si divertivano a farla impazzire inventando miscugli di bevande stranissimi.

Thad posò lo sguardo su Nick, seduto accanto a lui e notò che aveva un’espressione un po’ accigliata mentre fissava lo schermo del suo cellulare.

«Hai finito i soldi?» domandò.

Nick non rispose.

«Yu-hu?» riprovò Thad gesticolando, questa volta attirando la sua attenzione.

«Eh?».

«Dicevo, hai finito i soldi?».

Nick scosse la testa. «Perché?».

«Boh, c’hai una faccia!» spiegò Thad, avvicinandosi leggermente con la sedia. «Proprio la faccia di uno che è rimasto senza credito».

Aveva qualche idea sul motivo per cui l’amico stesse in quelle condizioni – e non era di certo per il credito residuo, stava solo scherzando – , ma fece comunque finta di niente: voleva che fosse lui a parlargliene, non gli piaceva impicciarsi negli affari altrui.

«E’ solo Sally» disse poggiando il telefono sul tavolo. «Dice che mi ama».

Thad alzò un sopracciglio. «E tu la ami?».

«Sì, certo!» rispose Nick sistemandosi meglio a sedere. «Cioè, sì... forse... oh, non lo so. Cupido è un gran coglione».

A quella frase gli venne in mente la sua ultima ragazza e convenne che sì, Cupido era un gran coglione. Però Nick gli faceva tenerezza... sembrava che volesse davvero bene a Sally, ma forse non era quella giusta. Lei era una brava ragazza, per carità, ma era... così incredibilmente cretina e possessiva. C’erano state delle volte in cui perfino a Thad aveva dato particolarmente fastidio il suo essere così appiccicosa e irritante: se fosse stata la sua ragazza le avrebbe già fatto ‘ciao ciao’ con la manina da un bel pezzo.

«Le voglio bene» disse infine.

«Lo so» rispose Thad, reprimendo la gran voglia di abbracciarlo. Non voleva che gli altri si accorgessero del suo stato d’animo o che cominciassero a fare battutine su loro due, mettendolo a disagio. «Forse dovresti solo prenderti una pausa... giusto per capire i tuoi sentimenti».

«No, non sopporto queste cose» replicò Nick. «Per adesso lascio le cose come stanno, poi si vedrà».

In quel momento Thad si accorse che Jeff li stava osservando: la sua espressione era neutra, forse leggermente curiosa e Thad gli fece un cenno con il capo per farlo stare tranquillo e per fargli capire che no, lui non avrebbe rivelato nulla di quello che gli aveva confessato qualche giorno prima.

Poggiò una mano sulla spalla di Nick, sorridendogli. Era convinto che prima o poi avrebbe fatto la scelta giusta. Non meritava di stare male.

Poco dopo arrivò la cameriera con un vassoio pieno di bicchieri colorati e ci fu un attimo di tranquillità, mentre tutti erano intenti a sorseggiare le loro bevande. Non sembravano nemmeno loro, tanto erano calmi e silenziosi.

«Jeff, ma quella biondina dell’altro giorno?» se ne uscì Flint, che era appena riuscito a concludere una partita a solitario.

Jeff quasi si strozzò con il suo drink, che era di uno strano colore azzurro.

«Q-quale biondina?».

«Quella che era con te al Game Shop lo scorso week-end! Mi ero scordato di chiedertelo».

«Ehm... quella era mia sorella» disse Jeff, tirando quasi un sospiro di sollievo.

«Oh». Flint corrugò la fronte. «Comunque ve l’ho detto che esco con la mia ex vicina di casa? L’ho sempre saputo che aveva un debole per me».

«Flint, non interessa a nessuno» disse Richard, che stava ammirando la prodezza di Nicholas con il suo Nintendo. «Mannaggia, perché io non riesco a superare questo livello?».

L’altro fece spallucce. «Io ci gioco da quando ho dieci anni!».

Thad sorrise agli amici e poi tornò ad osservare il parco di fronte a lui: c’era una lieve brezza, ora, e si stava così bene. Avrebbe dato qualunque cosa per rimanere lì per sempre... anzi no, prima avrebbe dovuto prendere almeno un dieci in un compito di Algebra e poi finire di leggere il ciclo di Narnia. Poi sarebbe stato libero di oziare in quel parco per sempre.

Ad un certo punto sentì qualcosa, come una melodia provenire da lontano.

«Ragazzi... lo sentite anche voi?» domandò senza distogliere lo sguardo dal verde di fronte a lui.

Jeff alzò gli occhi al cielo. «Oh, ma cos’è, hai fatto l’abbonamento ai rumori dell’ambiente? Sei stato forse colpito da raggi radioattivi e ora hai l’udito amplificato? Ora non dirmi che senti anche quando le formiche si lamentano per un mal di pancia!».

Tutti scoppiarono a ridere, perfino Thad. Oh, non era colpa sua se aveva un buon udito!

«Comunque sì, sento qualcosa anche io» concordò Trent assottigliando lo sguardo. «Sembra... una canzone».

«Qualcuno sta cantando, sì».

«Viene da laggiù».

«Sì, guardate». Nick indicò un punto indistinto al centro del parco, dove un gruppo di quattro o cinque ragazzi erano seduti per terra.

«Chi sono?» domandò Thad.

«Ah, chi lo sa! Perché non converti i raggi radioattivi per far sì che ti permettano una vista acuta?» scherzò Jeff, guadagnandosi un piccolo calcio sotto il tavolo.

Poco dopo i ragazzi si alzarono, decisi ad andare a controllare chi fossero i componenti di quel piccolo gruppetto: Richard lasciò una banconota su tavolo, guadagnandosi così l’ammirazione di Trent, dato che era la prima volta che offriva lui.

Quando si avvicinarono abbastanza da accorgersi che si trattava dei loro compagni di scuola – tra uno schiamazzo e l’altro –, decisero di aggregarsi e di passare del tempo assieme. Alcuni di loro rimasero in piedi a canticchiare, mentre Thad andò a sedersi accanto al nuovo arrivato, Sebastian, e ad un altro ragazzo di cui conosceva solo il nome: Sebastian non sembrava degnare della minima attenzione l’altro ragazzo, che invece ogni tanto si girava a guardarlo come se cercasse di catturare la sua attenzione.

Non appena Thad si sedette, Sebastian si voltò per un secondo verso di lui, senza smettere di tenere il ritmo di “What ya gonna do” con il piede, per poi tornare a guardare in direzione degli altri compagni. Non aveva mai avuto l’occasione di scambiarci qualche parola, tranne quella notte in cui aveva quasi fatto irruzione in camera sua. Comunque era strano, avrebbe detto che Sebastian non era tipo da stare stravaccato per terra, per di più sull’erba.

Si accorse che aveva spostato lo sguardo su di una coppietta che si scambiava effusioni non molto lontano da loro, e Thad sogghignò.

«Carina, eh?».

Sebastian mugugnò, continuando a tenere lo sguardo fisso. «Dici?».

«Beh, sì» rispose quello, un po’ interdetto. «Ma non è il mio tipo».

«Neanche il mio» sospirò Sebastian, spostando lo sguardo questa volta sui compagni.

Che tipo davvero strano.

«Tu ce l’hai la ragazza?».

Sebastian scoppiò a ridere, facendo voltare anche alcuni compagni. Cosa aveva detto di così sbagliato? Gli aveva solo fatto una domanda, non aveva diritto di essere deriso in quel modo.

«Dici sul serio, Thad Harwood?» chiese lui, continuando a sorridere. Thad non poté fare a meno di constatare che avesse un sorriso bellissimo.

«Che c’è di sbagliato?» si offese.

«E pensare che mi avevano detto che tra tutti sei quello che capisce le persone al volo con un solo sguardo» lo prese in giro Sebastian. «Sul serio non hai capito?».

Oh, ma lo stava prendendo in giro o cosa? Quel tono di strafottenza mascherato con dell’ironia non gli piaceva affatto.

«Ma capire cosa!?».

«Oh, Thad, Sebastian è gay! Lo hanno capito persino gli alberi!» li interruppe Trent, abbandonando momentaneamente il suo duetto improvvisato con Flint.

...

Okay, doveva ammettere che non l’aveva capito.

Perché non l’aveva capito?

Forse era stato troppo intento a trovare un senso alla sua esistenza per capire che in realtà era solo gay. E forse adesso lo stavano prendendo in giro perché era certo di aver assunto un’espressione del tutto idiota.

«Il criceto ha smesso di correre?» scherzò Sebastian, ancora ridendo.

Ehi... ma tutte quelle confidenze?

«Eddai» l’interruppe Richard, «glielo si legge in faccia! Senza offesa, Sebastian» si affrettò ad aggiungere.

Sebastian scosse la testa. «Ciò che sono non mi offende».

Eppure lui non l’avrebbe mai detto: lui che, solitamente, riusciva a leggere dentro alle persone. Quella era la seconda volta che sbagliava... anche se con Nick ogni tanto aveva qualche ripensamento, soprattutto sull’essere nerd.

Stava di fatto che si sentiva un tantino umiliato e sperò con tutto se stesso di non perdere il suo titolo di Sentenziatore a scuola: odiava ammetterlo, ma lo faceva sentire un po’ sopra la media. D’altronde lui non era un ragazzo popolare, quindi sapere di avere qualcosa di speciale lo faceva sentire diverso. E lo era.

«Il fatto è che non mi interessa granché, quindi non avevo nemmeno speso tempo inutile a pensarci» rispose Thad dopo poco.

Jeff si mise a fare l’imitazione di... di cosa, esattamente? Sembrava stesse subendo un’anestesia lombare.

«Che stai facendo?» gli chiese Trent.

«E’ Thad che si arrampica sugli specchi!».

Thad sbuffò, subendo le risa di tutti gli altri.

Non doveva farsi abbattere da quello, dopotutto stava passando una bella giornata in compagnia dei suoi amici e in un bel posto. Poteva forse chiedere di meglio?

Magari del cibo. Sussurrò una vocina proveniente dal suo stomaco. Sì, aveva davvero molta fame ed era quasi ora di pranzo.

Nessuno sembrava pensarla come lui, a quanto pareva erano tutti presi con le improvvisazioni di qualche piccola esibizione giornaliera. C’erano alcune persone che, quando passavano, si fermavano ad osservarli con espressioni alquanto allibite e Thad non ne capiva il motivo: erano bravi e spigliati, cosa c’era di così strano? Voltò lo sguardo alla sua sinistra e si ritrovò a fissare gli occhi di Sebastian.

Distolse lo sguardo prima di ritrovarsi a giocare involontariamente a Sguardo Magnetico.

«Hai una faccia così strana» sospirò Sebastian, facendo nuovamente voltare Thad.

Ma che-? Lui una faccia strana? Che poi, certe considerazione poteva benissimo tenersele per sé, non aveva nessun diritto di parlargli in quel modo. E con quel tono.

«Scusa, come?».

«Sì, cambi espressione con la stessa frequenza di un battito cardiaco».

Se non fosse per il fatto che lui odiava quel tipo di cose, gli avrebbe già tirato un pugno in faccia. Improvvisamente ebbe come la sensazione che quell’anno non sarebbe stato facile, non dopo che Sebastian era entrato a far parte degli Warblers. E la cosa lo sconcertava un po’: lo aveva percepito lo stesso giorno dell’audizione, non appena il diretto interessato era uscito dalla stanza con un ghigno malefico stampato in faccia. Aveva come dei brutti presentimenti: magari non era nulla, era solo la sua mente che faceva degli strani giochetti, ma tant’è...

«Ma... ma come ti permetti, scusa?».

«Era solo una considerazione» disse l’altro, facendo spallucce. «Siamo un po’ suscettibilini?».

«Io non sono suscettibilino! Come reagiresti se ti venissi a dire che... che... che sembra tu ti metta della colla di pesce nei capelli ogni mattina, eh?» lo rimbeccò Thad, sperando di averlo in qualche modo offeso.

Il nuovo Warbler arricciò un labbro. «Ti direi che non sai riconoscere il gel dalla colla di pesce. E’ grave».

Perché lo innervosiva così tanto?                                                                             

«E ti direi anche che la colla di pesce non si chiama ‘colla’ perché incolla» continuò Sebastian, come se la cosa fosse ovvia.

Thad sbuffò. «Oh, ma dai, questa proprio non la sapevo! Grazie per avermi illuminato, Sebastian, ora la mia vita ha un senso».

In tutta risposta l’altro gli diede una spallata – quella che tra due amici potrebbe essere considerata “amichevole”, ma che in realtà sembrava una presa per il culo – e poi tornò ad osservare i compagni che stavano ancora canticchiando: Trent era intento a fare una una specie di girotondo assieme a Richard, finché non perse l’equilibrio e cadde per terra, suscitando le risate dei compagni.

«Ho dato un senso a così tante vite che nemmeno puoi immaginare» riprese Sebastian, senza degnare Thad di uno sguardo. «La tua sembra alquanto... boh, piatta. Stare con me ti farà solo che bene, Thaddino».

Lui, d’altro canto, lo scrutò con espressione indignata. Faceva proprio sul serio. E poi... Thaddino? Era forse uno scherzo?

«Tu neanche mi conosci!» saltò su lui, che stava seriamente cominciando a seccarsi. Se prima era solo innervosito dalle battutine apparentemente serie, ma che nascondevano velatamente innumerevoli prese in giro, ora la presenza di Sebastian non solo lo metteva a disagio, ma lo infastidiva parecchio. «E la colla di pesce che metti nei capelli mi urta i nervi».

Thad voltò lo sguardo verso i suoi amici, deciso a non dare soddisfazione a Sebastian: anche se la cosa più semplice da fare era semplicemente alzarsi e andare a sedersi da un’altra parte. Solo che gli pesava giusto un po’ il culo.

In quel momento si accorse che Jeff lo stava osservando e gli accennò un sorriso. Chissà se si era ripreso... Dopo la sua ‘confessione’ non aveva mai avuto modo di parlarci seriamente e ci stava male per questo. Magari aveva solo bisogno di starsene un po’ per le sue.

Come se gli avesse letto nel pensiero, il biondo si avvicinò a Thad e fece un cenno di saluto a Sebastian.

«Ehi, Thad» lo salutò.

«Jeffucciolo!» lo prese in giro, facendogli posto accanto a lui.

«Chiamami ancora una volta in quel modo e ti infilo una manciata di terra in bocca» ribatté Jeff, ridendo.

«Lo dici ogni volta, ma la mia bocca casualmente rimane sempre vuota!».

«Ma lo sapete che sembrate davvero equivoci?» se ne uscì Sebastian. «Insomma, ‘Jeffucciolo’, infilarsi robe in bocca, eccetera».

Thad implorò qualsiasi presenza divina di materializzarsi lì all’istante e far fuori Sebastian. Jeff sorrise debolmente – aveva preso in simpatia Sebastian – mentre lui stava concentrando tutte le sue forze per non tirargli un pugno in quella faccia perfetta. Si voltò verso Jeff e notò che c’era qualcosa che non quadrava. Mimò con le labbra la frase “se hai bisogno di parlare andiamo da qualche parte” e Jeff rispose con un’alzata di spalle: allora Thad annuì e disse, sempre mimando “qua non è il posto giusto per parlare... alziamo le chiappe e andiamo a sederci dove c’è quella fontana”.

«Cos’è questo strano rumore?» disse ad un certo punto Sebastian.

«Anche tu senti rumori di continuo? Caspita, voi due siete fatti l'uno per l'altro!» borbottò Jeff, sghignazzando. «E comunque era solo Thad che bisbigliava».

«Sì, ecco...».

«Dai, andiamo a farci una passeggiata» continuò Jeff, alzandosi e tendendo una mano a Thad per aiutarlo  – come se non fosse capace di alzarsi da solo. Anche Sebastian si alzò, schiaffeggiandosi il sedere per pulirlo dalle erbacce.

«Eh no, bello, io e Jeff ce ne andiamo per conto nostro!» sbraitò Thad.

«Non avevo alcuna intenzione di seguirvi, a dire il vero. Mi fa solo male il coccige» rispose quello. «Come siamo simpatici, comunque».

«Da che pulpito... Forza, Jeff, andiamo» disse Thad dirigendosi verso il centro del parco con l’amico. «Sono forse sporco?» aggiunse poi, contorcendosi per controllare i pantaloni.

«Sì, qualche filo d’erba qua» disse Jeff, togliendoglieli.

E Thad si accorse che Sebastian stava sghignazzando a quella scena un po’ equivoca.

«Insomma?» mugugnò Thad, dopo cinque minuti in cui Jeff si guardava i piedi e lui meditava su come cercare di evitare altri spiacenti incontri con Sebastian a scuola.

Jeff alzò lo sguardo. «Insomma cosa?».

«Beh... quella cosa! Non fare il finto tonto: ammetto che delle volte posso sembrare un imbecille, ma non sono così stupido... e poi ci tengo agli amici» brontolò Thad.

Non capiva: prima Jeff si confidava con lui, poi cercava in tutti i modi di evitare l’argomento. Se non voleva condividere quella sottospecie di segreto con qualcuno avrebbe potuto fare a meno di metterlo in mezzo. Perché sì, ora lui si sentiva messo in mezzo e non aveva idea su come comportarsi.

«Ah... sì, vabbé, mi è passata».

«Ti è... passata» ripeté Thad.

«E’ quello che ho detto».

«Forse sono io ad essere rimasto nel Medioevo, ma come caspiterina fa a passarti? Io mi tormenterei l’anima per un sacchissimo di tempo!» saltò su il moro, non capendo esattamente dove volesse andare a parare l’amico.

«Beh, capita... credo».

«No che non capita! Senti, Jeff» riprese Thad, concentrandosi al massimo per cercare di improvvisarsi buon consolatore, «quel giorno ho visto come stavi, ovvero come non ti ho mai visto prima d’ora».

«Avevo appena vomitato il pranzo del battesimo!» protestò Jeff, sulla difensiva.

«No! Te lo si leggeva in faccia che c’era qualcosa che non andava, altrimenti non saresti nemmeno andato a farti Sebastian con un cap- cioè, scusa, a farti un cappuccino con Sebastian. E’ la seconda volta che lo ripeto, è normale?». Era preoccupante.

«Credo sia il subconscio» rispose Jeff, felice di aver cambiato argomento. «Magari hai in testa il pensiero “farsi Sebastian” e lo associ a qualunque cosa».

«Ritira quello che hai detto o ti tiro un pugno».

«Ehi, hai cominciato tu!».

«Comunque dicevo, c’era qualcosa nei tuoi occhi che non avevo mai visto. Sembravi... non so, spaventato, forse. E quando mi hai confidato quelle cose sembravi sincero». Ed era vero, Thad riusciva ancora a ricordare le sue espressioni durante il racconto. «In fondo non c’è nulla di male e nemmeno di cui preoccuparsi».

«Una veggente mi ha predetto che sarei finito con il mio migliore amico e io non mi dovrei preoccupare?» lo rimbeccò Jeff, alterandosi un po’ sul posto.

«Beh, lo hai detto tu stesso, è una ‘veggente’! Sai quante minchiate sparano, quelli là».

«Oh, lei no... tu non la conosci... segue mia madre da parecchi anni e le ha sempre predetto il giusto. E’ incredibile. Anche io ero scettico una volta, ma sono successe troppe cose e io non so più che pensare».

Thad si avvicinò di più all’amico, facendogli sentire che in quel momento gli era vicino, che avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutarlo e che poteva contare su di lui.

«Ti spiace raccontarmi ancora cosa è successo?» disse.

Jeff annuì, cominciando a torturarsi le mani. «Allora, quel giorno mia madre e la Donna erano giù in salotto che chiacchieravano... Io sono sceso un attimo in cucina perché avevo fame e mi sono preparato due hamburger e un panino con la Nutella. Poi, passando per il soggiorno – dovevo passarci per forza – lei mi chiama e mi dice: “Ehi, tu! Vieni qua un attimo”. Così io mi sono avvicinato a loro e lei continuava a guardarmi in modo strano... hai presente come Nick guarda la sua ragazza? Ecco, in quel modo. E poi mi dice: “Ah, lo sapevo, l’ho sempre saputo” e continuava a fissarmi con quegli occhi a palla giganteschi. Io le rispondo: “Cosa?” e lei annuisce e comincia a dirmi che io sono convinto di essere eterosessuale, ma in realtà devo solo abituarmi ai miei veri sentimenti. Ha anche descritto Nick, eppure non lo ha mai visto».

Jeff respirò a lungo, aveva esposto il monologo tutto ad un fiato senza staccare gli occhi dalle sue scarpe. D’altronde era pur sempre di una veggente che si stava parlando, non si poteva essere sicuri al cento percento che dicesse la verità. Thad era convinto che ci fosse qualcuno seriamente in grado di focalizzare energie sulle persone, ma era pur sempre questione di probabilità... forse.

«Mettiamo il caso che sia vero... che problema ci sarebbe?» intervenne infine lui.

Jeff scosse la testa. «Non lo so, nessuno, credo. Ma io non voglio, capisci?».

«Ehm... no, non capisco».

«Nick è il mio migliore amico! E a me piacciono le donne!».

«Da quello che mi hai raccontato, quella donna non ti ha dato delle date ben precise. Magari è solo questione di tempo» replicò Thad saggiamente.

«Grazie, Thad, mi stai aiutando molto» borbottò l’altro.

«Senti, io penso che tu non debba far altro che lasciar correre il tempo. Ora ti piacciono le donne? Bene, divertiti con loro e fai quello che ti pare. Se un giorno ci sarà qualcosa con qualche uomo questi sono solo affari tuoi, a me basta che tu stia bene con te stesso! E anche a te basterebbe questo, credo. E credo anche che questa cosa ti abbia preoccupato così tanto perché in fondo è quello che sei... ».

A quelle parole Jeff fece una cosa che Thad non avrebbe mai potuto immaginare: lo abbracciò, e lui si sentì bene.

 

***

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo Me.

 

Buonaseeeeeeera! :D

Visto? Ce l’ho fatta ad aggiornare in fretta! Dato che domani parto per tre giorni, credevo di dover attendere il mio ritorno per poter pubblicare, invece eccomi qua.

Questo capitolo è stato un vero parto: nella mia mente era strutturato in un modo, e invece ne è uscito tutt’altro. Doveva essere l’Epic Chapter e invece è uno Sciall Chapter XD

Spero comunque vi sia piaciuto almeno un po’.

Okay, Sebastian ha cominciato a prendere di mira Thad... s’è notato? Beh, io personalmente li adoro e non vedo l’ora di far smuovere un po’ le cose.

E... che ne pensate di Nick? Per tutto il tempo in cui ho scritto le scene Niff – anche se separatamente – mi sono rattristita un sacco .__. E Jeff... uh, cribbio, lui e le sue seghe mentali! Immagino che tutti pensavate che avesse confessato a Thad di essere innamorato perso di Nick... e inveeeeeece :D

Servirà ai fini della trama, giuro, in questi capitoli nulla è messo alla cazzo di cane. Giusto per essere chiari.

Bbbbbbene, prima di abbandonarvi e tornare a finire le valige, volevo ringraziare tutte le persone che hanno messo questa storia tra i seguiti (siete cresciuti UN SACCO!) e tra i preferiti, ma soprattutto Thalia, Sere, Weh, Soraya, Rin, Marzia e Klainer che hanno commentato il capitolo precedente! Grazie *O* ♥

Ancora non mangio le persone, quindi se lascerete un parere (anche costruttivo) mi farete solo che felice (:

Grazie ancora a tutti e spero davvero che questo capitolo vi abbia soddisfatti!

Tanti unicorni per tutti,
Lin.

 

 

Ps: Prima di lasciarvi a fare qualunque cosa vogliate fare, vi linko così a caso il mio profilo Twitter, dove trollo nel tempo libero e ogni tanto spoilero qualcosuccia! Oh Yeaaaaaah!

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Capitolo 4
*** Proprio come Harry Potter ***


Solita dedica iniziale:
vorrei dedicare questo capitolo ad Alessio.
Perché? Perché gli voglio un bene dell’anima, ed è più di un semplice amico ;_;
Grazie di tutto, non riesco a descrivere a parole quanto ti sono grata per tutto quello che fai/hai fatto per me.
Non vedo l’ora di rivederti *-*
Tanti arcobaleni per te ♥

 

 

 

 

 

 

Capitolo 4.

Proprio come Harry Potter

 

 

 

Thad stava giochicchiando con l’astuccio.

Aveva passato talmente tanto tempo a tormentare la cerniera che, dopo un’ora e mezza, si era praticamente rotta. Si stava annoiando da morire durante quella lezione e non aveva con sé l’ipod per ascoltare musica, così si era dovuto arrangiare torturando qualsiasi cosa gli capitasse tra le mani, e quella era la volta della povera cerniera.

Non aveva la benché minima voglia di mettersi ad ascoltare una lezione di Letteratura: non l’aveva fatto per due anni, figurarsi se avrebbe dovuto cominciare proprio in quel momento. E poi era Nick quello sempre attento, avrebbe copiato i suoi appunti come al solito e sarebbe filato tutto liscio. Nel peggiore dei casi, si sarebbe preso un’ammonizione per non aver studiato, tutto lì. Anche se... aveva già una bella collezione di ammonizioni, una in più forse non era il caso.

Stava pensando a quell’inizio anno e a come le cose erano cambiate. Con l’assenza di Blaine nel gruppo era tutto diverso e a lui mancava molto. Non che fossero stati migliori amici, ma si era ritrovato spesso a scherzarci e anche a parlarci seriamente. Era una ragazzo con la testa sulle spalle, sempre pronto ad essere presente per gli altri e anche molto divertente.

Ma Blaine non era l’unica cosa ad essere cambiata, anche lui lo era: si sentiva più riflessivo e – in varie occasioni – molto pignolo e rompiballe. Già, il fatto che una persona si desse del rompiballe da sola non era molto coerente. Era un po’ anomalo, a dirla tutta.

Durante gli anni precedenti, invece, era stato l’anima del gruppo, sempre pronto a nuove avventure – aveva dato inizio a un’incursione nei condotti d’aria della scuola, tanto per citarne una – con i suoi compagni fidati... Gli mancava essere così. Nonostante tutto non riusciva a capire: nel periodo estivo non era successo niente di particolarmente incisivo nella sua vita da fargli cambiare comportamento. Era successo tutto ad un tratto, e basta. Era solo cresciuto?

Probabilmente la cosa migliore da fare era accantonare tutti i suoi pensieri negativi e svagarsi come meglio poteva, almeno in quell’ultimo anno di scuola.

All’improvviso, colto da una forte ondata di energia positiva, decise che da quel momento avrebbe cercato di essere migliore, o almeno più divertente: forse così anche i suoi compagni avrebbero smesso di lanciargli frecciatine ogni tanto.

... Ma come poteva cominciare il suo progetto di “miglioramento di personalità” quando, voltandosi sorridente, si accorse che Nick stava dormendo? Nick, proprio colui che avrebbe dovuto fargli copiare tutti gli appunti di quel giorno – che, vista la parlantina continua della professoressa, come minimo erano sei pagine di roba.

Sbuffò, scacciando via gli insulti amichevoli che il suo cervello stava congiurando contro Nick, per poi... domandarsi perché si fosse addormentato. Okay, Nick era uno studente quasi modello: ogni tanto si perdeva in chiacchiere con lui e Flint durante le lezioni, ma per il resto aveva dei voti ottimi ed era sempre concentrato per dare il meglio.

Quindi, il fatto che proprio in quel momento dormisse, era una cosa davvero sospetta.

«Harwood?».

«E’ stato il maggiordomo».

La voce della professoressa lo colse all’improvviso e lui disse la prima cosa che gli era venuta in mente. Occazzo, e adesso? Era dalle nove di quella mattina che lei continuava a cianciare e lui non aveva nemmeno idea dell’argomento che stava trattando. Non sapeva nemmeno cosa c’entrasse il maggiordomo...

«Tralasciando il fatto che non stiamo giocando a Cluedo» cominciò la professoressa, leggermente seccata, «volevo solo chiederti se per piacere potevi abbassare la tapparella, visto che mi arriva tutto il sole il faccia».

«Oh...».

Thad deglutì, ignorando il continuo sghignazzare dei suoi compagni di classe, eseguendo poi la richiesta dell’insegnante, dato che era quello seduto più vicino alla finestra.

Tornato a sedersi, evitò accuratamente lo sguardo della vecchia megera, sperando con tutto se stesso che non gli facesse domande sull’argomento del giorno: ebbe fortuna, lei preferì lasciar perdere l’ignoranza di Thad e continuare la lezione. Forse nemmeno aveva voglia di ripetere la spiegazione dall'inizio.

Tanto meglio, però sicuramente la volta dopo l’avrebbe interrogato e senza gli appunti di Nick era fregato: sperò di poter confidare almeno in Jeff ma, non appena voltò lo sguardo verso il compagno di banco, si accorse che non aveva fatto altro che riempire il blocco degli appunti con la scritta “non devo dire bugie”. Ogni quadratino conteneva una lettera e Thad pensò che fosse la cosa più cretina che un ragazzo potesse fare.

Ma co-?

«Non sapevo di avere Harry Potter come compagno di banco» disse sottovoce, tirandogli una piccola gomitata.

L’amico sogghignò. «Grazie al cielo i miei genitori sono vivi e non sono una pigna in culo».

«Harry non è una pigna in culo, ha i suoi problemi, come tutti del resto» replicò Thad, prendendo il suo quaderno e cominciando a scarabocchiarlo. Poco dopo tirò fuori dall’astuccio le forbici e cominciò a ritagliare accuratamente il foglio, guadagnandosi occhiate furtive da Jeff.

«Ecco, tieni: non puoi essere Harry Potter senza occhiali!» e porse al compagno i residui del foglio che stava ritagliando.

Jeff soffocò a stento una risata, indossando gli occhiali finti disegnati da Thad, che rise a sua volta.

Gli erano mancati quei momenti... e pensare che era stato tutto naturale, non aveva minimamente pensato alle sue pippe mentali di poco prima.

Thad avvicinò il viso a quello di Jeff. «E io che confidavo in te per gli appunti!».

«Ma di solito non è Nick che te li passa?».

«Sì, ma...» cominciò facendo un cenno alle sue spalle, «... qualcosa mi dice che oggi non li ha presi».

Si voltarono entrambi e Nick stava ancora dormendo, con le braccia incrociate sul banco e la testa appoggiata. A giudicare dalla faccia del biondino, anche lui era rimasto sorpreso a quella scena: beh, d’altronde non era normale che lui dormisse durante una lezione.

«Che diavolo...?» disse Jeff.

«Non lo so» rispose l’altro. «Magari l-».

Ma Thad s’interruppe quando un aeroplanino di carta planò con precisione sul suo banco. Durante tutta la sua carriera scolastica aveva sempre sognato che un giorno accadesse una cosa del genere: era una stupidaggine, lo sapeva, ma era un piccolo e inutile segreto che si portava avanti da molti anni. Jeff gli rivolse un’occhiata divertita, mentre Thad si voltava per vedere chi gli avesse lanciato quel foglietto.

Quando scoprì il mittente sorridergli raggiante, tornò con lo sguardo sull’aeroplanino per poi avvicinare il viso a quello di Jeff.

«Da quand’è che Sebastian frequenta il nostro stesso corso di Letteratura?».

Jeff aggrottò la fronte. «Questa è la... mmh, credo quinta lezione».

«E perché non me ne sono mai accorto?».

«E io che ne so!».

Okay, questo era strano. Perché Thad non se n’era mai accorto? Forse perché Sebastian si sedeva sempre in fondo all’aula e non aveva mai avuto modo di notarlo, o forse perché, dopotutto, non ci aveva mai pensato. Poi lui era sempre uno degli ultimi ad arrivare in aula e, tra uno sbadiglio e l’altro, non aveva mai buttato occhiate in giro.

Dopo il loro piccolo diverbio in quel parco, qualche giorno prima, non avevano mai avuto occasione di parlare: non che a Thad interessasse particolarmente, ma non l’aveva proprio notato in giro per i corridoi della scuola. Aveva deciso che avrebbe fatto il superiore e che avrebbe dimenticato l’ironia che Sebastian aveva inserito in ogni frase rivolta a lui in quel giorno, per dimostrare che non era una pigna in culo e che era perfettamente in grado di metterci una pietra sopra..

Respirò a fondo e rivolse a Sebastian un enorme sorriso – cosa che gli costò almeno la metà delle sue forze – tornando poi con lo sguardo sul banco.

«Che significa?» domandò Jeff, accigliato.

«Cosa?».

«Quella specie di sorriso... sembravi una iena ridens» commentò, soffocando una risata. «Comunque che c’è scritto nel foglio? Una dichiarazione d’ammmmmore?».

Thad sbuffò e aprì l’origami, scoprendo che, all’interno, non c’era proprio niente. Vuoto totale.

«Boh» fu il commento di Thad. «Forse voleva solo rompere le balle».

«Può darsi» rispose l’altro, tornando a scarabocchiare il foglio. «Forse pensate che non sooon bello, nanananana».

«Dovremmo farla con gli Warblers» propose Thad, sorridendo. «La canzone del Cappello Parlante... magari per le Provinciali».

 

 

 

«TU!».

La voce di Thad irruppe all’improvviso nella sala studio quel pomeriggio, dove Nick, Nicholas e Ethan stavano facendo i compiti: o meglio, Nick e Ethan facevano i compiti, mentre Nicholas li ricopiava.

«Io...».

«Tu avresti dovuto prendere appunti a Letteratura!» sospirò lui, lasciandosi cadere sulla sedia libera accanto a loro. Nick alzò elegantemente un sopracciglio.

«Anche tu, in teoria» rispose solamente. «Ero stanco».

«Thad, se vuoi io li ho presi» intervenne Ethan soddisfatto, porgendogli il suo quaderno.

Grazie al cielo esisteva Ethan. In quel momento lo avrebbe baciato, ma non gli pareva il caso. Sfogliò velocemente per vedere quanto materiale avrebbe dovuto ricopiarsi, e rimase un po’ deluso.

«Ma... Ethan, almeno la metà di questi appunti parla di come cucinare pancake».

Ethan abbassò lo sguardo.

«Eh, lo so» rispose lui, «mi sono accorto solo dopo un’ora che stava parlando di pancake... era la prima volta che prendevo appunti, mi sono fatto prendere la mano».

Thad scoppiò a ridere, dando una pacca amichevole sulla spalla di Ethan.

«La prossima volta andrà meglio, le buone intenzioni c’erano» disse saggiamente lui, continuando a picchiettare benevolmente l’amico. «Anche io ogni volta entro in aula con tutta la buona volontà  ma, non appena quella inizia a parlare, l’abbiocco mi accoglie per il resto dell’ora».

Anche se in quell’ultima lezione, non era stata del tutto colpa dell’insegnate: era stato l’aeroplanino mandatogli da Sebastian e l’improvviso fingersi Harry Potter di Jeff a distrarlo del tutto. Era una congiura: e non era la professoressa a farlo addormentare con i suoi monologhi, ci pensavano i suoi amici a distrarlo. Beh, Sebastian non era proprio suo amico, a dire il vero: Thad inizialmente aveva fatto il minimo indispensabile per parlarci normalmente, per mantenere un rapporto simile all’amicizia, solo che la faccetta da bravo ragazzo di Sebastian nascondeva una stronzaggine che Thad aveva visto ben poche volte. Come il giorno dell’audizione...

«E poi-».

Tutto accadde in una frazione di secondo: Jeff piombò come un razzo nella stanza, prese senza tanti complimenti Nick per un braccio e lo trascinò fuori.

Ma co-? Nick e Jeff si erano trasformati in due macchioline velocissime, quasi si spaventò. Sembrava che sia Ethan sia Nicholas avevano avuto la stessa reazione di Thad, viste le loro facce.

Cos’era successo? Ora la curiosità gli stava divorando le budella. Magari voleva raccontargli della veggente... Naah, non c’era tutta quella fretta: e poi conosceva Jeff, sotto sotto era molto timido, non avrebbe mai inscenato una cosa simile. Non importa, glielo avrebbe chiesto quella sera, giusto per farsi un po’ i cavoli suoi.

«Perché Jeff non si era iscritto alla gara di corsa dell’anno scorso? Avremmo potuto vincere, invece di far gareggiare Trent» commentò Nicholas, approfittando dell’assenza momentanea di Nick per copiargli spudoratamente gli appunti.

Ethan trafficò nella sua borsa, per poi estrarne un termos. «Volete un po’ di cappuccino? Viene direttamente da Neverland! La cameriera ha una cotta per me, così me lo faccio preparare ogni giorno e me lo porto qui a scuola».

Neverland era il bar accanto all’Accademia: gli studenti lo frequentavano da sempre ed era un posto carino per passare un po’ il tempo senza allontanarsi troppo dai confini della scuola.

Thad, stranamente, sussultò.

«Mmh, no, grazie. Io e i cappuccini non siamo più in buoni rapporti».

«Motivo?».

«Lasciamo perdere, và. Lunga – e terribile – storia» borbottò Thad, ricordando che non una, ma ben due volte, aveva accennato l’idea di “farsi Sebastian con un cappuccino”.

Disgustato, rabbrividì e si sistemò meglio sulla sedia: per qualche strano motivo era rimasto con mezzo sedere di fuori, provocandogli delle piccole fitte di dolore all’osso sacro. Si passò una mano sul viso.

Poggiò anche lui la borsa sul tavolo e cominciò a tirar fuori i quaderni: qualcosa gli diceva che avrebbe passato metà pomeriggio a ricopiare gli appunti e il tempo restante a studiarli. Indi per cui, prima si dava da fare e meglio era.

Un attimo dopo l’aeroplanino di carta scivolò fuori dal quaderno, attirando l’attenzione dei suoi amici.

«Ah» disse solamente, non ricordando di avercelo ficcato dentro alla borsa qualche ora prima.

«E quello sarebbe?» domandò Ethan.

Nicholas sbuffò. «Uno si aspetta che la gente riconosca un aereo quando lo vede!».

«Lo so che è un aereo!» brontolò l’altro. «Ma non sapevo che Thad si dedicasse agli origami».

«Io non mi dedico agli origami» rispose Thad. «Me lo ha mandato Sebastian durante la lezione... non chiedetemi il perché».

Gli altri due si scambiarono un’occhiata eloquente, che infastidì un poco Thad.

Non seppe il perché, ma improvvisamente nella sua mente si costruì una scena in cui tutti gli Warblers sedevano in aula canto a fare origami: la cosa lo preoccupò abbastanza e gli fece capire che aveva decisamente bisogno di bere un caffè.

Gesticolò in direzione di Ethan. «Ci ho ripensato. Dammi un po’ di quel cappuccino o avrò in testa orgiagami per tutta la vita».

Sia Ethan che Nicholas lo squadrarono.

«Thad... orgiagami?».

«Eh?».

«Hai appena detto orgiagami al posto di origami» constatò Nicholas, indeciso tra lo scoppiare a ridere e l'essere scioccato. «Ethan, ti prego, dagli quel caffè».

Aveva davvero detto ‘orgiagami’? Perché aveva detto orgiagami? Okay, la cosa era alquanto imbarazzante. Un attimo prima gli era comparsa nella testa l’immagine degli Warblers che facevano origami, e subito dopo aveva detto quella parola.

E, ne era certo, era tutta colpa del fatto che fossero tutti maliziosi, là dentro! Una manica di decerebrati! Stavano contagiando anche lui. Prima il cappuccino e ora gli origami...

Fece finta di niente.

«E’ una battuta!» soffiò, ridendo istericamente. «Andiamo, non capite più le mie battute?».

Fortunatamente non c’erano né Jeff né Nick, testimoni del fatto che quelle che chiamava ‘battute’ in realtà non lo erano.

Thad finse un’aria tristemente offesa, suscitando risolini da parte dei suoi amici. Fortunatamente sembrava che si fossero bevuti la faccenda della battuta. Tirò un sospiro di sollievo.

«Comunque non ho idea del perché Sebastian mi abbia lanciato questo coso» disse poi, scaraventando l’aereoplanino su e giù, soppesandolo. «E’ pure fatto male... quest’ala è stortissima».

Era vero: se magari quel ‘coso’ voleva essere una specie di offerta di pace, almeno che si sarebbe potuto prendere la briga di farlo in maniera decente, non spiegazzando alla bell’e meglio un pezzo di carta per farlo somigliare vagamente ad un aereo.

«Magari... boh, forse non voleva fare un aereo» intervenne Ethan, continuando a fare i compiti.

« E cosa dovrebbe essere, allora?».

«Non so... una scopa volante?».

«Con le ali? Sì, mi pare giusto».

«Ma che ne so!» replicò Ethan. «Forse è solo impedito!».

«Vabbè, cavoli suoi» convenne Thad, infilando finalmente l’aereo nella borsa.

«A me sembrava un po’ Fierobecco con l’artrite, tipo» constatò Nicholas, suscitando grosse risate da parte dei due compagni. Thad non riusciva a smettere di ridere: doveva ammettere che quella battuta lo aveva del tutto disarmato e gli era venuto un flash del vero Fierobecco con l’artrite. Continuò a ridacchiare anche mentre, sempre quello scemo di Nicholas, si destreggiava in una pessima imitazione dell’ippogrifo.

Ma quanto potevano essere imbecilli i suoi amici? Forse era proprio per questo che li amava così tanto.

«Comunque non poteva essere Fierobecco» riprese il discorso Ethan, mantenendo lo sguardo fisso sui compiti. «Sebastian odia Harry Potter».

Silenzio. Un silenzio abbastanza inquietante.

Sebastian... lui... odiava Harry Potter? Com’era possibile che qualcuno odiasse quel capolavoro? Vabbè che lui era tutto strano, a partire dalla punta più liscia dei suoi capelli all’unghia del piede. Ma...addirittura odiarlo. Thad credeva che non avrebbe mai avuto il dispiacere di incontrare qualcuno a cui non piacesse Harry Potter, non lo credeva possibile.

«Lui... credo che non lo guarderò più in faccia!» saltò su Nicholas, indignato tanto quanto Thad.

Ethan scrollò le spalle. «Ognuno ha i suoi gusti» disse. «E poi nemmeno a me fa impazzire, e pur mi parli e mi guardi in faccia da anni».

«Da ora non lo farò più» rispose l’altro, ridendo.

«Ecco forse il motivo per cui lui non mi è mai andato a genio... a pelle, proprio» rifletté Thad, picchiettandosi le dita sul mento. «Forse il mio io sentiva che non gli piaceva Harry Potter, per questo non siamo mai andati d’accordo».

«Acuta osservazione, Thad» lo sorprese una voce, facendolo voltare all’improvviso: ma nella stanza apparentemente c’erano solo lui, Nicholas – che cercava ancora accuratamente di evitare lo sguardo di Ethan – e quest’ultimo.

Thad strizzò gli occhi. «Che strano, mi era parso di sentire la voce di Sebastian».

«Può essere» confermò Ethan, «è da tutto il pomeriggio che se ne sta sdraiato sul divano, prima o poi doveva dire qualcosa».

Altro momento di silenzio. Questa volta ancora più inquietante di quello precedente.

Sebastian... era stato sdraiato sul divano tutto il tempo e Thad non lo sapeva? Perché non gliel’avevano detto prima?

Thad si voltò verso lo schienale del divano: se c’era davvero Sebastian là dietro, allora aveva ascoltato tutta la conversazione. Non che avessero detto chissà che, ma se, proprio in quell’occasione, Thad avesse voluto rivelare un segreto ai suoi amici? O chiedere un consiglio riguardante qualcosa di personale?

In quel momento si sentì un po’ preso in giro e la cosa non gli piacque per niente.

Si alzò e fece il giro del divano, trovandosi davanti agli occhi un Sebastian sdraiatoci bellamente sopra con un braccio appoggiato sopra gli occhi: se non fosse che aveva appena aperto bocca, probabilmente Thad avrebbe pensato che stesse dormendo.

Lo fissò per qualche secondo, sconcertato. «Ci hai spiato per tutto il tempo!» brontolò indicandolo, anche se l’altro non lo poteva vedere.

«Stare sdraiato su un divano pubblico per riposare non significa spiare» rispose di rimando Sebastian con tono tranquillo.

«Sì, ma... e odi Harry Potter!» lo accusò.

In effetti quello non era proprio ‘spiare’, ma doveva pur trovare qualcosa per giustificarsi.

«Io non odio Harry Potter» replicò. «Semplicemente non mi interessa. E il tuo sguardo accusatorio, in questo momento, mi sta irritando tanto quanto Hermione Granger».

«...Ma se hai un braccio davanti agli occhi?».

«Posso immaginarlo».

Ah, beh. Ora sì che era tutto chiaro. Non era chiaro, invece, cosa Thad ci facesse ancora lì in piedi con le braccia penzolanti.

Sebastian si ricompose, togliendo il braccio dalla faccia e sedendosi all’incirca composto: aveva un lieve segno rosso sulla fronte, dovuto alle pieghe delle maniche, e l’aria leggermente assonnata. Se avesse avuto i capelli scuri e il viso meno bello, probabilmente lo avrebbe scambiato per Nick: oh, in quel momento erano praticamente uguali. Non che fosse un complimento, dato che Nick si portava avanti da due settimane un bel paio di ombre scure sotto agli occhi.

Che anche Sebastian avesse problemi con qualcuno? Sicuramente non con una ragazza, dato che qualche giorno prima aveva scoperto che era gay. Magari con un ragazzo...

Alzò lo sguardo e lo puntò su Thad.

«Sai, in questo momento sembri proprio Harry» disse pacato.

Eh..?

«Proprio uguale, oh!» fu il commento sarcastico proveniente dal tavolo in cui gli altri due stavano ancora ‘studiando’.

«E perché mai?» domandò Thad, sinceramente curioso.

«Beh, sei una piaga, stai facendo la vittima, sembra tu stia sempre in mezzo a questioni che apparentemente non ti riguardano e hai un segno rosso sulla fronte, proprio lì» concluse indicando un punto indistinto sulla sua faccia.

Se gli avesse fracassato il tavolino – dove Sebastian aveva appena appoggiato i piedi – sulla testa, lo avrebbero rinchiuso in prigione? Perché era proprio quello il suo desiderio.

Istintivamente si mise una mano sulla fronte, ma sapeva che non ci avrebbe trovato niente. Lo stava solo prendendo in giro. E invece qualcosa c’era, qualcosa in rilievo... e Thad si ricordò che, qualche giorno prima, aveva sbattuto la testa contro l’anta dell’armadio nella foga di cercare i calzini. Cavolo.

«Io non somiglio a Harry» replicò. «Ho entrambi i genitori vivi e non mi mancano venticinque diottrie».

Sebastian fece spallucce, sorridendo tra sé.

Però... riguardo all’essere sempre in mezzo a tutto, di essere sempre l’involontario protagonista della situazione. Forse un po’ di ragione ce l’aveva. Al momento era solo il ramo sui cui si stavano aggrappando Nick e Jeff, ognuno dei due con problemi apparentemente diversi, ma che in qualche modo si ricollegavano. E, per qualche strana ragione, ogni volta che succedeva qualcosa cercavano sempre il suo parere e lui finiva per ritrovarcisi in mezzo.

«Tu mi sembri tanto Malfoy, invece» ribatté. «Ti lascio immaginare il perché».

In realtà avrebbe voluto dire Voldemort, ma forse sarebbe sembrato un po’ troppo cattivo: e poi Sebastian avrebbe potuto replicare con un “ma io un naso ce l’ho”, e Thad non voleva essere ancora preso in giro. C’era anche da dire che Thad amava il personaggio di Voldemort, quindi non avrebbe mai potuto associarlo a Sebastian.

«Io posso essere Luna Lovegood?» azzardò Nicholas, alzando una mano. Tutti risero, perfino Sebastian ridacchiò sommessamente.

Thad dovette ammettere che questa specie di gioco stava risultando abbastanza divertente: associare loro stessi ai personaggi del romanzo che più amava al mondo stava risultando un simpatico passatempo.

Nella mezzora successiva Jeff era diventato Ronald Weasley, Trent lo avevano associato a Neville Paciock, Nick era un ibrido a metà tra Remus Lupin e Sirius Black e Richard, non si sa come, era diventato Rubeus Hagrid.

Thad nemmeno si accorse che, nel frattempo, era seduto sul divanetto accanto a Sebastian, i gomiti appoggiati sullo schienale e la testa appoggiata sopra.

Si ritrovò a domandarsi a che fine avessero fatto Nick e Jeff. Da quando quest’ultimo si era precipitato a rotta di collo nella stanza e aveva prelevato l’altro senza tante cerimonie, non si erano più visti in giro. Ed era passata più o meno un’oretta. Avrebbe tanto voluto andarli a cercare, ma ben due cose glielo impedivano: prima cosa, meglio se li avesse lasciati soli... magari era una cosa tra loro due. E come seconda cosa gli pesava il culo.

«Che hai, Thad?» lo richiamò Ethan alla realtà. Lui si scosse un attimo.

«Niente» rispose.

«Troppi Nargilli per la testa» rispose Sebastian, e gli altri ridacchiarono.

«Ma tu non avevi detto che Harry Potter non ti interessava? E conosci anche i Nargilli» borbottò Thad.

«Ho detto che non mi interessava, ma non mi pare di aver accennato al fatto che non lo conosca» disse lui, sistemandosi in una posizione più o meno regale. In quel momento tutto di lui gli ricordò Lucius Malfoy. Possibile? Perfino il tono di voce.

Thad scrollò le spalle e prese a fissare un angolo del tavolo, che in quel momento aveva assunto un’aria parecchio interessante. Si ritrovò a pensare a quanto fosse strano quel ragazzo, Sebastian. Un giorno lo odiava, il giorno dopo era indifferente, quello dopo ancora pareva quasi simpatico, poi non lo sopportava... Aveva avuto un impatto strano nella sua vita scolastica da quando era diventato Warbler – prima nemmeno era al corrente della sua esistenza – e perfino in quel momento non sapeva cosa pensare.

Probabilmente sarebbe rimasto un’incognita per tutto l’anno.

 

 

Erano passate due ore quando Nick fece ritorno nell’aula studio, seguito a ruota da Jeff: la sua andatura era apparentemente normale, ma Thad lo conosceva ed era sicuro sul fatto che fosse successo qualcosa. Il suo sguardo era spento, così come quello di Jeff.

Ma che diamine prendeva a tutti quanti? Proprio il giorno in cui la sua coscienza gli aveva suggerito di smetterla di essere così nervoso! Sembrava che avesse tutto contro.

Lo sapeva che Sebastian non c’entrava nulla con quello che era successo a Nick – qualsiasi cosa fosse successa! – però, da quando era entrato a far parte degli Warblers, aveva portato con sé un’ondata di negatività non indifferente. Sogghignò, figurandosi Sebastian travestito da calamita e con una specie di onda anomala nera al seguito.

Nick piombò di peso sulla sedia, sistemando i suoi appunti per poi gettarli tutti in borsa. Cercava di dimostrare un’aria serena... non riuscendoci, ovviamente.

«Oh, ma guarda un po’ chi è tornato!» esclamò d’un tratto Nicholas.

«Dove siete stati? Ci stavamo preoccupando» disse Ethan, prendendo esempio da Nick e cominciando a mettere via i compiti.

«Forse nella Stanza delle Necessità» ridacchiò Sebastian. Anche Thad rise e, a pensarci bene, era la prima volta che una battuta di Sebastian lo faceva ridere: non che fosse granché divertente, ma tant’è... «Lo sanno tutti a cosa la usavano gli studenti di Hogwarts, in realtà».

Ecco. Ci mancava solo lui a mettere a disagio i suoi amici. Dopo tutte le pippe mentali che si stava facendo Jeff in quel periodo, Sebastian non avrebbe dovuto dirlo – anche se non poteva saperlo. Ma era comunque colpa sua.

«Ma tu sei sempre così malizioso?» borbottò Thad, contrariato.

«Oh, andiamo! Non dirmi che, se non fossi uno studente di Hogwarts, non la useresti proprio per quello».

«Beh...».

«Io lo farei».

«Non eravamo in nessuna Stanza delle Necessità!» saltò su Jeff, all’improvviso. «Sally è venuta a trovare Nick, siamo solo andati un po’ in giardino con lei».

C’era qualcosa nell’espressione di Nick che non lo convinceva: sì, forse Sally poteva anche essere stata alla Dalton fino a poco prima, ma dalle loro espressione non sembrava fosse stata una visita di piacere. O meglio, forse l'intenzione c'era, ma... Nick non la pensava allo stesso modo. Poteva essere?

Non importava, Thad non disse nulla davanti agli altri, ma avrebbe chiesto spiegazioni a Jeff più tardi. Gli lanciò un’occhiata indagatrice e, come risposta, lui scosse la testa e lo guardò come per dire “ti spiegherò”. Bene.

Improvvisamente, non seppe come o perché, le sue parole scritte di quella mattina “non devo dire bugie”, stavano cominciando ad acquisire un senso. E se...?

«Nick-Quasi-Senza-Testa».

Nicholas lo disse quasi in un sussurro, mentre contemplava con fare interessato Nick che stava chiudendo la cerniera della borsa: quest’ultimo bloccò la mano a mezz’aria, per poi lasciarla cadere di peso.

«Scusa, come?» rispose inarcando un sopracciglio.

Okay, quella situazione era a dir poco comica: Nick scrutava Nicholas con fare sospetto, Jeff aveva la fronte aggrottata e gli occhi stralunati, Ethan ridacchiava sotto i baffi e Sebastian era sull’orlo di una risata isterica.

Infine fu Thad a scoppiare a ridere come un matto e gli altri lo imitarono qualche istante dopo: perfino Nick abbandonò la sua aria da finto-felice per unirsi agli amici.

«Mi chiedo solo...perché?» esordì Jeff, tenendosi la pancia.

«Boh». Nicholas fece spallucce. «Stavamo parlando di Harry Potter e, osservando Nick trafficare con quella cerniera, mi è venuto in mente Nick-Quasi-Senza-Testa!».

«Non ti facevo così demenziale, Nicholas Flamel!» commentò Nick.

«Okay, ora siamo pari».

A Thad parve di stare nel mezzo di un branco di scimmie. Però adorava quelle scimmie con tutto se stesso.

E in quel momento era felice, perché non avrebbe potuto desiderare una compagnia di amici migliore: in quel periodo si sentiva anche un po’ scemo e sdolcinato, dato che si ritrovava spesso a pensare a quanto fosse fortunato ad averli. Mancava solo che si mettesse a scrivere “Warblers per sempre” nei blocchi degli appunti, con tanto di cuoricini.

Un conato di vomito anti-romanticità lo colse qualche istante dopo.

Il suo sguardo cadde un attimo su Sebastian, stravaccato accanto a lui, e non poté fare a meno di pensare a quanto gli mancasse Blaine: forse c’era un motivo ben preciso per cui il neo Warbler si comportasse in quel modo, e Thad giurò a se stesso che un giorno l’avrebbe scoperto.

E, facendo una panoramica sui compagni in quel preciso istante – influenzato ormai dalla ‘giornata Harry Potter’ –, notò come ognuno di loro aveva un’aria vagamente angelica, da farli sembrare dei piccoli Grifondoro. Ma lui lo sapeva... sapeva che, in realtà, era circondato da una combriccola di stronzetti Serpeverde.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo Me.

 

 

*una granita alla fragola la colpisce in fronte*

Ma buonasera! (:

Immagino di essere... ehm... un po’ in ritardo, vero? Non vi dirò che questo capitolo è stato un parto perché mi mancava l’ispirazione e la voglia, perché non è vero: più che altro è stato un po’ difficile da scrivere perché in testa ce l’avevo in un determinato modo e... beh, ne è uscito tutt’altro. Tuttavia non è che mi dispiaccia troppo com’è venuto, però ammetto che non è niente di quello che avevo in mente.

Come al solito .___.

Aaaaanyway! Che ne pensate? :3

Non so come mi sia venuta in mente l’idea di un “capitolo tributo”, ma tant’è... Oddio, spero che in giro non ce ne siano di simili °° Non girovagando molto – diciamo pure per niente – nel fandom di Glee, non potrei saperlo. Vabbè, pace.

In questo capitolo non succede niente di particolarmente emozionante, almeno per me: ho voluto marcare l’amicizia tra gli Warblers e, come dico sempre, niente è messo/scritto a casaccio, tanto per. Se sto agendo in questo modo è perché sotto sotto c’è qualcosa u__ù

Non dico altro.

Vorrei ringraziare tutte le persone che hanno aggiunto la storia tra seguiti/ricordati/preferiti: siete tantissimi, sul serio e non so come ringraziarvi. In primis Rin, Sere, Klainer, Soraya, Weh e Marzia per aver commentato il capitolo precedente! Grazie ragazze, le vostre recensioni sono sempre magnifiche  <3

Se volete lasciarmi un parere, sappiate che non sono ancora una cannibale (:

 

Un arcobaleno per tutti,
Lin.

Ps: Prima di lasciarvi a fare qualunque cosa vogliate fare, vi linko così a caso il mio profilo Twitter, dove trollo nel tempo libero e ogni tanto spoilero qualcosuccia! Oh Yeaaaaaah!

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Capitolo 5
*** Svisti e imprevisti ***


La dedica di questo capitolo va a
Silvia, Barbara e Francesca.
Perché vi voglio bbbbene
e perché Arryn, Lannister e Martell vincono sempre u_u
(Ho qualche dubbio sui Lannister, Babi... LOL)
Siete le Nerds del mio Thrones

 

 

 

 

 

Capitolo 5.

Svisti e imprevisti

 

 

 

 

 

[...] Tutto accadde in una frazione di secondo: Jeff piombò come un razzo nella stanza, prese senza tanti complimenti Nick per un braccio e lo trascinò fuori.

 

A Nick mancava l’aria, anche se lui e Jeff avevano appena varcato la soglia dell’entrata principale e di conseguenza erano fuori dall’edificio. Avevano corso talmente velocemente che sembrava si fossero teletrasportati e si fossero ritrovati direttamente in giardino.

Respirò a fondo, poggiando le mani sulla ginocchia come per reggersi: fuori faceva abbastanza caldo, quel giorno, in più era sudato a causa della corsa e sembrava che la sua faccia stesse bollendo.

«Ma co-?» riuscì a bisbigliare, indagando con lo sguardo l’amico che gli stava di fronte: anche Jeff sembrava un po’ accaldato e sudaticcio.

Abbassò nuovamente la testa e chiuse un attimo gli occhi, per poi cominciare a respirare lentamente. Per quale motivo Jeff lo aveva trascinato con tanta foga in giardino? Doveva assolutamente finire di ricopiare quei maledetti appunti che non era riuscito a prendere durante la lezione. Ed era stanco, dannatamente stanco.

Quando alzò lo sguardo capì il perché di tutta quella situazione: Sally se ne stava accucciata sul muretto, lo sguardo perso nel vuoto e la borsetta di pelle di serpente stretta tra le braccia.

Oh, no. Che ci faceva lì?

Ma soprattutto, perché il suo primo pensiero era stato ‘oh, no’?

Lui le voleva bene ma non sopportava quando lo andava a trovare a scuola: certo, era un gesto molto carino da parte sua, però sembrava come se andasse lì apposta per controllarlo. Come se potesse tradirla con qualcuno. Erano tutti ragazzi. Figurarsi.

Lei non si accorse della sua presenza fino a quando lui e Jeff la raggiunsero, un po’ titubanti.

«S-Sally» la chiamò. «Che cosa ci fai qui?».

Lei voltò lo sguardo e gli sorrise, correndogli in contro per abbracciarlo.

«Nick, amore» e lo baciò.

Sembrava strana, forse meno pazzoide del solito. E non gli era ancora saltata addosso, il che era un po’ strano.

«Che ci fai qui?» ripeté lui.

«Non mi vuoi?» scherzò Sally, ma continuando a mantenere un tono... normale, che non le si addiceva.

«Sì, ma pensavo fosse successo qualcosa».

Lei scosse la testa. «Niente» disse scompigliandogli un po’ i capelli. «Però vorrei parlarti».

Ecco. Era palese che ci fosse qualcosa, d’altronde non si sarebbe scomodata per fare tutta quella strada. O forse sì, non sarebbe stata la prima volta, a dire il vero. Nick si voltò verso Jeff, che li stava osservando: era strano pensarlo, ma avrebbe preferito che l’amico se ne andasse, non voleva che assistesse a scenate di qualunque genere. E poi era imbarazzante parlare con la propria ragazza di cose personali e con lui lì ad ascoltare. Vabbè che poi, una volta saliti in dormitorio, gli avrebbe comunque raccontato tutto, ma il fatto che qualcuno assistesse alle sue questioni di prova non gli piaceva particolarmente.

Jeff evidentemente capì ma, prima che potesse parlare, Sally intervenne. «Oh, no. Lui può restare».

«Sally...» tentò Nick.

«No, davvero. Riguarda anche lui».

Riguardava anche Jeff? Stava seriamente cominciando a preoccuparsi. A meno che non fosse come l’ultima volta, quando lo aveva raggiunto a casa sua tutta agitata, per poi dirgli che era invitato al funerale del suo criceto.

E poi lei e Jeff non è che avessero un vero e proprio rapporto: erano usciti tutti insieme davvero poche volte, quasi nemmeno si conoscevano.

«Non è niente di pauroso!» aggiunse lei, guardando gli sguardi curiosi dei due ragazzi che si trovava di fronte. «E’ solo che... voglio vederti di più».

Già si era immaginato qualcosa come “non sei quello giusto per me”, oppure “mi sono trovata un altro”, oppure “mia madre mi ha comprato un nuovo criceto”. Era soltanto questo. Voleva vederlo di più. Improvvisamente sentì un moto di affetto verso di lei, che ricambiò il sorriso e le si avvicinò ulteriormente. Era così bella... Le passò una mano tra i capelli mossi e la attirò a sé.

«Sally, lo sai che lo farei volentieri» disse, «ma il frequentare la Dalton è un problema per chi vorrebbe avere una vita sociale».

Lei ridacchiò, la bocca ancora premuta sul suo petto.

«Lo so, ma non ti sto chiedendo di lasciare la scuola».

Eh, ci mancherebbe! Si ritrovò a pensare Nick, probabilmente dopo aver assunto un’espressione ebete.

«Mi riferivo ai fine settimana» aggiunse Sally, facendosi un po’ più seria. «Insomma, quando torni a casa passi la maggior parte del tempo... con loro! Soprattutto con lui» e indicò Jeff.

Nick deglutì.

«Voglio dire, li vedi tutti i santi giorni qua a scuola, ci dormi pure assieme. Quando torni a casa vorrei che mi dedicassi più tempo, il tempo che mi spetta... vorrei che fossimo una coppia normale» continuò lei, gesticolando. «Andare al cinema, mangiare un gelato al parco, scambiare intimità... proprio come tutte le coppie!».

Okay, forse non aveva tutti i torti. Quando nei fine settimana Nick tornava a casa, si ritrovava quasi tutte le domeniche con Jeff, Richard e Trent per passare il pomeriggio a giocare a calcetto al parco – se era una bella giornata – oppure a farsi sanguinare gli occhi davanti alla Playstation: la metà delle volte Sally stava con loro, ma evidentemente quello non era un atteggiamento da ‘coppietta normale’. Però le serate andavano spesso a trascorrerle insieme.

Nick voltò lo sguardo verso l’amico, notando che sembrava un po’ in imbarazzo.

Però... non si poteva paragonare il trascorrere il tempo tra amici a scuola e fuori, era totalmente diverso. Alla Dalton facevano sì quello che volevano, ma c’erano comunque delle regole da rispettare e pomeriggi interi da trascorrere sepolti nei libri.

Non c’era paragone, proprio no. E lei lo stava mettendo a disagio.

«E se Jeff ha un po’ di cuore, sicuramente capirà, vero Jeff?» aggiunse lei, rivolgendo al biondo un grande sorriso. Jeff arricciò gli angoli della bocca, in modo da assumere un’espressione molto buffa, ma annuì.

«Ecco, visto?» disse ancora Sally. Stava facendo tutto da sola. «Mi ami o no?».

Era la prima volta che glielo chiedeva e lui non aveva alba di cosa risponderle. L’amava? Certo che no, ci aveva pensato talmente tante volte da farsi rinsecchire il cervello... però le voleva un bene dell’anima, che a volte scambiava per amore. Insomma, cosa cavolo doveva pensare?

«S-sì» mentì.

Ah, errore. Avrebbe dovuto dirle di no, ma cosa avrebbe detto Sally? Lo avrebbe piantato lì all’istante.

Lei, per tutta risposta, sorrise raggiante e gli stampò un bacio sulla bocca. «Lo sapevo! Ti amo anche io e ho già prenotato per il cinema sabato sera. Ci vediamo presto, Nick!» e lo baciò di nuovo, per poi scomparire sculettando per il vialetto.

 

 

«Aspettate un attimo» ruppe il silenzio la voce di Trent. «Mi state dicendo che sabato non ci sarà il torneo di bocce a casa di Richard?».

«Già» confermò Jeff, lanciandosi di peso sulla sedia tra Trent e Ethan.

Thad ringhiò. Stavano progettando quel maledetto torneo già da un mese, non riusciva a credere che avrebbero dovuto annullare tutto per colpa di Sally. Non sapeva perché, ma ultimamente stava cominciando a non sopportarla per davvero: prima rendeva Nick così nervoso e triste, poi se lo accalappiava tutto per sé per il fine settimana.

Era tutta colpa sua se Nick era immerso in un mare di depressione fino al collo e ancora non riusciva a capire come lui riuscisse a stare a galla. Fosse stato al suo posto l’avrebbe lasciata immediatamente. Stava troppo condizionando il suo umore e la sua vita ed era una cosa che Nick non si meritava.

«Nick, ci stai davvero tradendo per lei?» domandò Flint.

«E’ più o meno la stessa accusa che ha rivolto lei nei nostri confronti» rispose Jeff.

«Ma io non vi sto tradendo!» replicò lui per l’ennesima volta, quella sera. «Il pomeriggio lo passeremo assieme, poi la sera andrò con Sally al cinema».

«Sì, ma... il torneo di bocce! » saltò su Thad, rivolgendogli un’occhiataccia.

Nick si passò una mano sul volto.

«Tanto le bocce le vedrà comunque anche al cinema, vero?» intervenne Sebastian rivolgendo al compagno un grande sorriso.

Nick arrossì e sogghignò, mentre Thad si sporse in avanti per poi scoprire che Sebastian era seduto a due sedie di distanza da lui. «E tu da dove sbuchi?».

«Mi sono seduto prima di te a tavola, Thaddino».

Questa era la terza volta in poco tempo in cui faceva la figura del fesso davanti a tutti: prima con il fatto che Sebastian frequentava il suo stesso corso di Letteratura da cinque lezioni e lui non lo sapeva; poi aveva passato mezzo pomeriggio a parlare del più e del meno con i suoi amici in aula studio, per poi scoprire che Sebastian era sdraiato sul divano da prima che lui arrivasse; e, infine, non si era accorto che aveva preso posto prima di lui in mensa.

In un modo o nell’altro Sebastian gli stava sempre attaccato al culo e la cosa lo urtava. Sicuramente nemmeno lo faceva apposta.

«Ma quando arriva la cena?» sbuffò Sebastian poco dopo, poggiando la testa a peso morto sul braccio. «Il mio stomaco protesta».

Thad avrebbe voluto tanto rispondere ‘anche le mie orecchie protestano’, ma se ne stette buono e in silenzio, chiedendosi come mai avesse sempre quell’incessante bisogno di rispondere male al compagno di scuola. Capitava solo con lui e non sapeva spiegarselo.

Qualche istante dopo, l’anziana cameriera servì loro la cena: cosce di pollo con patate, il piatto preferito di Thad.

«Grazie» disse, mentre la vecchina gli poggiava il piatto sotto al naso.

Nicholas, che era seduto accanto a lui, cominciò a trangugiare in modo osceno le sue cosce di pollo, finendone una mentre Thad stava ancora dando il primo morso alla sua.

«Guarda che non scappano, Nicholas» commentò.

«Cfomunque fenfavo c-» cominciò lui, con la bocca piena di carne.

«Per carità, finisci di masticare!».

Nicholas deglutì. «Dicevo che potremmo lo stesso rintanarci a casa di Richard per il torneo e abbandonare Nick al suo destino».

Thad ridacchiò.

«Detta così sembra una cosa davvero brutta» commentò. «Comunque se lo meriterebbe! Però noi, da bravi amici, aspetteremo un giorno in cui saremo tutti assieme»

«No, Nicholas ha ragione» intervenne Nick. «Voi fatelo pure! Stiamo programmando questa serata da parecchio tempo, mi dispiacerebbe se doveste annullare tutto per colpa mia».

E così fecero, la serata rimase come da programma e tutti furono felici e contenti... più o meno.

Forse Nick era il ‘più o meno’. Ancora non riusciva a capire come facesse a stare ancora con lei: insomma, se non si sta bene con una persona, che motivo c’è di trascorrerci del tempo e intimità? Thad non se lo spiegava. Doveva ammettere che ultimamente ci aveva pensato spesso – tutto pur di non pensare ai compiti – ed era arrivato alla bizzarra conclusione che Nick stesse nascondendo qualcosa.

«Thad, sei sporco di sugo sul naso» commentò Sebastian poco dopo.

Mannaggia, come faceva a sporcarsi sempre ogni volta che mangiava? Era un disastro, solitamente anche con la verdura gli riman- ehi, un momento: come aveva fatto Sebastian, che era a due sedie di distanza da lui dalla stessa parte del tavolo, a vedere che si era sporcato? Si voltò verso di lui e notò che stava beatamente mangiando il suo pasto, senza neanche degnarlo di uno sguardo. Che si fosse immaginato la sua voce? Okay, sarebbe stato davvero strano se si fosse immaginato la voce di Sebastian che gli faceva notare il suo essere sbadato.

«Ha ragione, proprio qui, Thad» disse poi Trent – che era seduto davanti a lui – toccandosi il naso per mostrargli dove evidentemente era sporco.

Si pulì con la mano per poi tornare con lo sguardo alla sua destra.

La suoneria del cellulare di Jeff ruppe il silenzio. «Pronto?... Ah, ciao!... Sì sì, certo... Sabato? Guarda, la sera non posso perché ho un impegno con i miei amici... Domenica mattina? Sì, certo, va bene!... A presto!» e chiuse la chiamata, accennando ad un leggero sorriso. «Samantha» disse poi.

«Samantha!?» esclamò Richard, assottigliando lo sguardo. «E’ un nome da donna!».

«Ma dai! Non l’avrei mai detto!».

«Intendevo dire, hai un appuntamento con una ragazza! Yu-hu, Jeff finalmente si dà da fare» sghignazzò Richard.

«Samantha è la mia migliore amica da quando ho visto la luce, quindi risparmiati i tuoi pensieri maliziosi» rise a sua volta Jeff, rimettendo il telefono in tasca.

L’espressione che comparve sul volto di Richard non fu del tutto convincente, ma non aggiunse altro. Thad conosceva Samantha, era uscita con loro un paio di volte e l’aveva trovata carina: simpatica, non rompi balle, spiritosa... insomma, tutto il contrario di Sally.

Era, in un certo senso, un Jeff  femmina.

All’improvviso una musica familiare ruppe il silenzio. Ma co-?

«Oh» disse Trent, trafficando col suo cellulare. «E’ la sveglia».

«Tu hai L’ultimo dei Moicani come sveglia, Trent?» disse Thad, aggrottando la fronte.

«Sì, amo quel film» rispose. «Avevo messo la sveglia per ricordarmi di chiamare mia madre, ma... non ricordo cosa dovevo dir- ahhh giusto! La gita!».

La gita? Forse Thad si era perso qualcosa.

«Quale gita?» domandò Jeff, come se gli avesse letto nel pensiero. Lui e Jeff erano così molto spesso, comunque: Thad pensava una cosa e Jeff la diceva ad alta voce o viceversa. A volte faceva paura.

Trent si compose. «La gita al Museo d’Arte Italiano, quello che sta in centro città vicino al cinema» spiegò. «Tutti quelli del corso di Letteratura ci andranno, è la settimana prossima».

«Ma tu non sei nel corso di Letteratura» rispose Jeff.

«E invece sì! La professoressa mi avvertito ieri, dopo che ero andato a iscrivermi. Mi aveva chiesto anche di dirvelo, ma me n'ero scordato».

Wow, dopo tre anni quella sarebbe stata la prima volta in cui li avrebbero portati in gita. Thad aveva sempre immaginato come sarebbe stato uscire con i suoi compagni fuori da scuola, ma non inteso cazzeggio totale come erano soliti fare nei fine settimana, proprio in gita. Era strano, ma non ne aveva mai fatte in vita sua.

Si sentì felice, avrebbe passato un’intera giornata al di fuori dell’ istituto scolastico assieme a Nick, Jeff e ora anche Trent e... Sebastian. Già, anche lui faceva parte del corso. Vabbè, lo avrebbe ignorato, semplice.

E poi, una cosa che lo avrebbe fatto sentire davvero figo sarebbe stata sfoggiare il suo blazer in giro per la città: era uno dei suoi sogni segreti – assieme a quello di ricevere un aeroplanino di carta durante una lezione, cosa a cui ci aveva pensato Sebastian.

Come se lo sapesse... Come quella volta del provino in cui aveva cantato la sua canzone preferita. A pensarci bene, c’erano tante cose che Sebastian faceva come se le leggesse parola per parola nella sua mente e questa cosa lo spaventava spesso.

Sentì qualcosa sfiorare la sua coscia sinistra e si voltò di scatto verso Nicholas.

«Ehi, Hudson*, togli quella mano di lì sennò te la trancio!».

Ma subito dopo si accorse dell’immane errore e dell’ennesima figuraccia, perché l’amico aveva entrambe le mani immerse nel piatto stracolmo di cibo.

«Chemminchia stai dicendo, Thad?» si offese.

Thad, rendendosi conto dell’accaduto, si schiaffò la mano sulla fronte. «Scusa, credevo mi stessi toccando la coscia» si giustificò. «E’ che ho comprato da poco il cellulare nuovo e ha una vibrazione così strana».

Lo tirò fuori dalla tasca e aprì il messaggio, ignorando gli sguardi allibiti degli amici.

Spero che la prossima volta che ci vedremo non indosserai quell’orrenda camicia a righe.

... Eh!? Ma che-? Questa persona aveva decisamente sbagliato numero: punto primo, non aveva il numero in rubrica e punto secondo, lui non metteva mai camicie a righe, le aveva sempre trovate orripilanti.

Sorrise tra sé e prese a digitare i tasti.

Quella camicia era bellissima.

Okay, stava davvero fingendo di essere il vero destinatario di quel messaggio. Tanto, probabilmente, se il mittente avesse continuato a mandagli messaggi si sarebbe reso conto che aveva sbagliato numero e avrebbe smesso. Oppure era una bella figacciona e avrebbe concluso qualcosa... Un'altra vibrazione lo sorprese. Sempre lo stesso numero.

Sì se ti piace andare in giro vestito da clown.

Forse sì, era una ragazza. Thad si agitò sulla sedia col sorriso ebete ancora stampato in volto.

Mi piacciono i clown, okay?

Simpatia portami via.

Che fai, sfotti?

Se proprio insisti...

Ma che porc-! Non ti facevo così.

Lo so che sono troppo bello per sembrare umano, ma lo sono.

Era un maschio. Ora, non sapeva perché, ma si sentì in imbarazzo.

Infilò il cellulare in tasca e chiuse lì la questione: aveva già le sue cose a cui pensare, figurarsi se avrebbe speso tempo per gente arrapata che aveva sbagliato numero. Alzò lo sguardo e sia Jeff sia Trent lo scrutavano con cipiglio.

«Beh?» sbottò poi.

Gli altri due si guardarono. «Hai una faccia, Thad...».

«La sua» ridacchiò Richard.

Thad alzò gli occhi al cielo. «Era solo mia madre!».

 

 

Era incredibile quanto facilmente la sua stanza si potesse confondere con una discarica: sembrava come se un uragano avesse scagliato ogni cosa fuori posto. In quel momento maledisse con tutto se stesso Nick e Jeff – soprattutto Jeff – che erano i creatori di quella nuova ‘arte contemporanea’.

«Prima o poi gli faccio leccare tutto, a quei due» disse ad alta voce.

Non che lui fosse una specie di Mastro Lindo, ma almeno aveva la decenza di raccattare le sue cose e accumularle sulla sedia, piuttosto che lasciarle per terra in modo che tutti le potessero calpestare. E poi Jeff si lamentava con lui se le sue magliette bianche avevano le impronte.

Rovistando tra la poltiglia di calzini a terra, trovò il quaderno degli appunti che Jeff stava cercando da tre giorni. Si batté un palmo sulla fronte, ridacchiando: lo avrebbe appoggiato sul letto del compagno e, quando questo gli avrebbe chiesto dove lo aveva trovato, avrebbe risposto che era piovuto dal cielo, senza dargli alcuna spiegazione.

Si sedette sul suo letto, il cappuccio della felpa tirato sulla testa e il quaderno in mano. Cominciò a sfogliarlo e, già che c’era, avrebbe visto se c’era qualcosa che gli mancava: ultimamente non riusciva a stare molto attento alle lezioni, quindi era meglio avere qualche appunto in più.

Rimase un po’ interdetto quando, già alla terza pagina di formule chimiche, trovò degli appunti decisamente non scolastici scritti ai lati dei fogli: frasi ricopiate e tratte da vecchi poemi, citazioni di libri – soprattutto di Harry Potter – e anche da film. Thad si ritrovò nella pagina che, qualche giorno prima, aveva completamente riempito di ‘non devo dire bugie’.

Provò un moto di tenerezza per Jeff e di tristezza quando, in fondo all’ultima riga, scoprì che aveva aggiunto ‘... a me stesso’.

Sentì la porta della stanza aprirsi e poi chiudersi con un tonfo: chiuse il quaderno e lo lanciò a terra, nel caso fosse entrato Nick. Invece, a sorprenderlo, fu una voce totalmente diversa.

«Sei proprio cattivo, Sebastian» trillò una voce sottile. «Nella mappa che mi avevi dato la tua camera era segnata al primo piano!».

Ma co-?

«E ho fatto una figuraccia perché tutti i tuoi compagni mi guardavano male» continuò.

Thad rimase in silenzio, domandandosi che cavolo ci facesse una bambina alla Dalton! Doveva voltarsi e fargli vedere che – per fortuna – lui non era Sebastian o rimanere lì, fermo, sperando che se ne andasse?

Ma non fece in tempo a decidere cosa fare, che sentì delle piccole braccia cingerlo. Oddio.

«Mi sei mancato tanto, Sebbie!» disse la piccola, stringendolo ancora più forte. «Ma cosa vi danno da mangiare qua? Sei ingrassato».

Thad, completamente imbarazzato, le prese le mani e se la scrollò di dosso, voltandosi. A quel punto la bambina lo guardò con gli occhi spalancati e strillò: era carina e davvero molto piccola... forse aveva nove o dieci anni. Aveva capelli lisci e biondi e il suo visetto sarebbe stato adorabile, se non fosse stato per la bocca spalancata ancora per lo stupore, che le dava un’aria buffa.

Si avvicinò a lei e le tappò la bocca con una mano. «Shhh!».

Lei gliela morse e si allontanò.«E tu chi sei?!».

«No» rispose Thad, tenendosi la mano. Maledetta vermiciattola! «Tu chi-!».

Thad non riuscì a finire la frase che Sebastian aprì la porta della stanza: ma si erano messi tutti d’accordo nell’invadere i suoi alloggi? Prima una bambina un po’ sclerotica e poi lui.

Sebastian rimase sulla soglia, lo sguardo che andava da Thad – che si stava stringendo ancora la mano morsa – alla piccola bambina dall’aria scandalizzata.

«Sarah!» esultò Sebastian, leggermente sorpreso. «Che cosa ci fai qui? Sei da sola?».

Lui si avvicinò alla piccola, ignorando completamente la presenza di Thad.

Lei scosse la testa. «Volevo venire a trovarti e poi ho incontrato questo qui che si è scambiato per te!».

«Io non mi sono scambiato per lui! Diciamo che è l’ultimo dei miei pensieri» si difese Thad, un po’ seccato.

Sebastian alzò un sopracciglio. «Ah, quindi è nella lista dei tuoi pensieri?».

«N- sai cosa intendo!».

«E comunque, Thaddino» continuò lui, stringendo la piccola a sé, «che volevi fare a mia sorella, eh?».

Sua... sorella?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Hudson non è Finn, ma bensì il cognome di Nicholas!


Angolo Me.

 

Credo che stessi dando da mangiare ai dinosauri l’ultima volta che ho aggiornato [...]

La prima scusa è che c’era la Niff Week (che non ho manco concluso) e la seconda scusa... non c’è ;_; Quindi chiedo immensamente perdono per questo immane ritardo. Spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo: finora è il più corto che ho scritto, ma diciamo che ne sono abbastanza soddisfatta. Certe parti non sono venute come me le immaginavo, ma per il resto sono contenta (:

Finora è il più corto che ho scritto.

Beh, spero lo siate anche voi!

... Che ve ne pare della sorellina di Sebastian? LOL

Non pensate che questa sia la sua prima e ultima apparizione *fischietta*

Ringrazio infinitamente Weh e Soraya, che hanno avuto la pazienza di recensire lo scorso capitolo. Un grazie anche a tutti coloro che hanno inserito la storia tra seguiti/ricordati/preferiti, siete tanti tanti u_u

Per il resto... aspetto opinioni/consigli!

Un arcobaleno per tutti,

Lins ♥

Ps: Prima di lasciarvi a fare qualunque cosa vogliate fare, vi linko così a caso il mio profilo Twitter, dove trollo nel tempo libero e ogni tanto spoilero qualcosuccia! Oh Yeaaaaaah!

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Capitolo 6
*** Una No-ia al Museo ***


Questo capitolo volevo dedicarlo a

tutti coloro che, almeno una volta nella vita, si sono detti

ad alta voce e con tono convincente: “Io ce la posso fare”.

 

 

 

 

Capitolo 6.

Una No-ia al Museo

 

 

 

 

Quella era una di quelle situazioni talmente imbarazzanti che Thad avrebbe preferito ingoiare quintali di prugne secche piuttosto che viverle. E con ‘imbarazzanti’ intendeva che la vergogna gli usciva fuori da ogni poro della pelle.

Lui era seduto sul suo letto, la schiena rigida e lo sguardo indagatore e confuso; Sebastian se ne stava appoggiato all’armadio con le braccia dietro la schiena e uno sguardo indecifrabile, mentre la piccola Sarah era accovacciata sul tappeto, le gambe strette tra le braccia e gli occhi puntati su Thad.

«Però hai una faccia buffa» se ne uscì lei, rompendo il silenzio con la sua vocetta squillante.

Thad non riuscì a capire se quella fosse una considerazione seria o se lo stesse solamente prendendo in giro. Il fatto era che il viso di quella bimba lo confondeva così tanto... la conosceva da cinque minuti e aveva usato già mezza dozzina di espressioni per rivolgersi a lui. Ora che la guardava bene, somigliava davvero molto a Sebastian: la stessa forma del viso, lo stesso taglio di occhi – anche se quelli di lei erano di un brillante marrone scuro – e, in qualche modo, quando Thad la guardava, gli sembrava di vedere un piccolo Smythe con i capelli lunghi.

Non che la cosa fosse granché rassicurante.

«Tanto per curiosità» cominciò Thad, decidendo di ignorare la precedente critica di Sarah «e se uscissi dalla mia stanza e lasciassi voi due soli – sempre nella mia stanza?».

In effetti non aveva ancora realizzato bene il motivo per cui fossero tutti e tre ammucchiati là dentro, ognuno sulle sue. Guardò Sebastian, che in quel momento sembrava stesse trovando estremamente interessante una macchia scura sul soffitto.

Si sentiva un tantino in trappola: la presenza di ben due Smythe lo stava preoccupando. Già quando ce n’era solamente uno nei paraggi, la cosa non gli piaceva granché.

«Non vedo perché io e mia sorella dovremmo restare nella tua stanza» disse Sebastian.

«E’ quello che mi sto chiedendo da quando siete entrati» rispose Thad. «Anzi, a dire il vero io non capisco perché tutti e tre dovremmo restare segregati qua dentro» saltò su.

Improvvisamente si vergognò un sacco della confusione che regnava in quella stanza: non ci aveva pensato sul momento ma, quando la sua attenzione si focalizzò su una piramide ben costruita di calzini sporchi – probabilmente di Jeff –, arrossì lievemente.

Fregandosene di entrambi, si alzò e si stiracchiò. Aveva il sedere intorpidito e non vedeva l’ora di uscire e sgranchirsi le gambe. Quel teatrino silenzioso stava durando fin troppo e lui non aveva voglia di perdere tempo – anche se, in realtà, non è che avesse molto da fare. Giusto i compiti ma, piuttosto che stare lì imbambolato, avrebbe preferito temporeggiare facendo il giro della scuola senza motivo per tutto il pomeriggio.

«Dove vai?» chiese la bimba.

Thad terminò il suo rito di stiracchiamento e posò lo sguardo su di lei.

«A... ehm... fare i compiti».

«Ma non dire baggianate, Thad» intervenne Sebastian, suscitando risolini da parte della sorella.

Thad lo ignorò e attraversò la stanza a grandi passi, sicuro di avere lo sguardo di entrambi gli Smythe puntato sulla schiena.

Ma perché dovevano essere così inquietantemente inquietanti?

«Posso venire anche io?».

Ma co-? Certo che quella bambina era strana forte, eh. Peggio del fratello. No... no, impossibile, anche se da qualcuno doveva pur aver preso.

«Teoricamente tu non potresti nemmeno stare qua» spiegò Thad.

«In effetti ha ragione, Sarah» concordò Sebastian. «Hai detto che sei con nostra madre?».

La piccola annuì.

«Bene, ti riaccompagno fuori» continuò, avvicinandosi a lei e porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi. Entrambi sorpassarono Thad – che stava ancora in piedi accanto alla porta – e uscirono. Aggrottò la fronte e, quando fu sul punto di uscire anche lui, Sarah ricomparve di nuovo nella stanza e lo squadrò dal basso verso l'alto.

«Un giorno potresti venire a casa mia a bere un tè» disse. «Vorrei presentarti Jessica e Marika!».

«Chi sarebbero Jessica e Marika?» rispose Thad, leggermente atterrito da quella confessione così inaspettata.

Sarah sorrise. «Le mie Barbie!».

Thad sgranò gli occhi e gli venne in mente un flash di lui circondato da bambole mentre beveva il tè in casa Smythe. Or-ri-pi-lan-te!

«Ahem... sei seria?»

«Certo! Anche se sei strano, mi piaci tanto tanto!» esclamò la piccola, sorridente, per poi uscire sgambettando dalla stanza.

Oh, porca miseria.

 

 

«Io sto davanti».

«Ma tu ci stai ogni volta!».

«Che cavolo dici, non siamo mai andati in gita, come faccio a starci ogni volta?».

«Vabbè ma... voglio starci io!».

«E se ci andassi io?».

«Treeeent davanti e dietro tutti quantiiii!».

Un coro di risa esplose nel cortile dell’accademia Dalton quando Thad improvvisò quel motivetto. Perfino lo stesso Trent prese a sghignazzare, ignorando il fatto che la battuta fosse un tantino crudele.

Finalmente era arrivato il giorno della gita: Thad non stava nella pelle! Sebbene gli fregasse ben poco di vedere musei d’arte italiana, almeno sarebbe uscito dai confini accademici e avrebbe passato un po’ di tempo in compagnia dei suoi amici. La scuola aveva noleggiato un piccolo pullman per accompagnarli in città e, in quel momento, erano tutti seduti sulla scalinata principale aspettando che arrivasse.

Non erano in tanti, considerando il fatto che alcuni non avevano aderito: Thad ne contò una decina.

«Sono contento che andiamo in gita» ruppe il silenzio Jeff, «però devo ammettere che stavo più comodo nel mio letto».

Thad gli sorrise e non poté fare a meno di pensare che un giorno fuori dalle mura della scuola avrebbe solo che fatto bene al suo amico, anche se in quegli ultimi giorni sembrava abbastanza tranquillo rispetto al periodaccio precedente: un po’ d’aria nuova avrebbe sicuramente giovato alla sua salute. Mentale e fisica.

Anche Nick aveva perso un po’ del malumore che lo aveva colto in quel periodo – e i solchi scuri sotto agli occhi erano finalmente spariti: continuava a ripetere che le cose con Sally stavano andando meglio, quindi si supponeva fosse per quello... ma Thad non era molto convinto. Più che altro non sapeva cosa pensare e Nick era un ragazzo un po’ riservato.

«Thad» interruppe i suoi pensieri una voce alle sue spalle. Si voltò e vide Sebastian avvicinarsi a loro con una nonchalance invidiabile.

Perché? Perché un “Thad” detto in modo freddo e distaccato - che lo fece sentire una pezza - e non un “ehi, ragazzi, buongiorno, come state?”.

«Sebastian» replicò.

«Mia sorella ha detto di salutarti» disse l’altro. «E che ti aspetta per una cioccolata calda a casa nostra».

«Non era un tè?».

«Quello che è» fece spallucce Sebastian.

Thad si sentì un po’ in imbarazzo: aveva come la sensazione che, comportandosi con Sarah in modo volutamente distaccato per quei pochi minuti che avevano trascorso assieme, non avesse fatto altro che accattivarsela ancora di più. Ci mancava solo quello. Gli venne in mente quando, al centro estivo parecchi anni prima, un bambino lo aveva preso talmente in simpatia che scollarselo di dosso era stata una vera e propria missione militare. Ricordava anche il pianto isterico del piccolo quando scoprì che Thad aveva fatto di tutto per levarselo dalle balle.

Oh, no. E se la cosa avesse dovuto ripetersi? Non osava immaginare l’ira di Sebastian Smythe vedendo la sua piccola e innocente sorellina piangere disperata per colpa sua. Non aveva ben capito il rapporto dei due fratelli, però gli pareva di aver colto l’essere protettivo di Sebastian nei confronti della bambina. In fondo... era una cosa davvero molto dolce.

«Ahem... grazie» disse soltanto, sentendo gli sguardi di Nick e Jeff puntati addosso.

Aveva raccontato loro la storia omettendo il piccolo particolare dell’invito che, sinceramente, non avrebbe accettato per nulla al mondo.

Qualche secondo dopo arrivò il pulmino – in realtà sembrava un furgoncino bianco dei gelati piuttosto malconcio – e li attese davanti al vialetto. Il fatto che Trent si fosse seduto nel posto davanti suscitò ancora delle risate da parte dei ragazzi.

«Mi sono perso qualcosa?» domandò Sebastian.

«Ti sei perso la canzoncina di Thad» lo informò Jeff, soffocando ancora le risa.

«Ah, niente di che, quindi» rispose l’altro in tono pacato.

Thad alzò gli occhi al cielo. Rimase un po’ infastidito quando Sebastian si sedette accanto a lui: i posti erano molto stretti e già avrebbero dovuto respirare la stessa aria per mezz’ora di viaggio, ci mancava anche il contatto fisico. Si sentiva stranito... quella era la prima volta, pensò, che stavano così vicini. Quasi si sentiva il fiato del compagno sul collo. E... perché la cosa gli dava fastidio? Stava diventando decisamente troppo paranoico.

Per fortuna, tra una cavolata e l’altra, il viaggio passò abbastanza in fretta. Jeff e Trent avevano deciso di intrattenere tutta la comitiva raccontando barzellette e aneddoti demenziali, giusto per passare il tempo. Durante il viaggio, Thad aveva osservato molto Nick e il suo essere coinvolto ogni volta che Jeff apriva bocca. Era sicuro che in quel periodo, entrambi con l’umore sotto alle scarpe, avevano deciso di supportarsi a vicenda e Thad era molto fiero di loro: non aveva più parlato con Jeff riguardo alla ‘previsione’ della veggente, ma sembrava che lui avesse lasciato perdere. D’altronde se c’era qualche novità o qualche problema, lui era il primo a cui Jeff si rivolgeva. Detto francamente, invidiava un po’ la loro amicizia: erano sempre così disponibili l’uno con l’altro, si cercavano a vicenda ed erano sempre andati d’accordo. Non che con lui si comportassero diversamente, però era... non sapeva spiegarlo con esattezza. Li considerava i suoi migliori amici, ma non negava che aveva sempre desiderato un amico come Jeff lo era per Nick e viceversa.

Il pulmino si fermò accanto ad una piazza e tutti gli studenti si precipitarono fuori, respirando finalmente aria fresca: era il minimo, dopo essere stati parecchio tempo in uno spazio così ristretto.

Thad si stiracchiò le braccia e la schiena e un sonoro crock echeggiò nell’aria.

«Che diavolo era?».

«La mia schiena, credo».

«Cristoddio, Thad, che impressione!» esclamò Trent, scrutandolo quasi fosse un alieno.

Thad ridacchiò, godendosi le espressioni di disapprovazione dei compagni, soprattutto la faccia inorridita di Jeff.

«Ora Thad si trasforma in Iron Man!» esclamò Trent, puntandogli un dito contro. Tutti scoppiarono a ridere, perfino Sebastian accennò ad un ghigno divertito. Improvvisamente Thad si accorse di quanto il sorriso di Sebastian fosse contagioso: quando lo vide sorridere fu come travolto da una sensazione di pace e – forse solo perché solitamente il suo sguardo tramandava astio. Ora invece sembrava sereno e il fatto di non avere un ghigno strafottente impresso in faccia lo faceva sembrare addirittura bello.

Cosa che lui non avrebbe dovuto pensare, in teoria... ma in pratica, oh, era solo una considerazione. Non significava niente.

Thad, confuso sul motivo per cui Trent lo avesse paragonato ad Iron Man, assunse un’espressione che sarebbe dovuta essere ‘sexy’.

«Lo dici perché senza armatura sono un genio, miliardario, playboy, filantropo*?».

Altre risa. Anche Thad rise della sua battuta e la cosa gli sembrò un po’ patetica, ma in realtà erano loro che lo facevano sorridere, le loro risate.

 

 

Erano dentro al museo da ormai tre quarti d’ora. Non si erano ancora mossi dalla sala principale, piena di statue e di quadri antichissimi dei quali a Thad non importava una mazza - e probabilmente i suoi compagni pensavano la stessa cosa.

Quel museo aveva come minimo altre dieci sale e se avevano speso tre quarti d’ora – se non di più – solo per una, non osava immaginarsi quanto tempo avrebbero perso per le altre. Gli stava già venendo il latte alle ginocchia e ormai era da cinque minuti che sbadigliava di continuo.

«E se ci infilassimo in qualche sgabuzzino e giocare a Ramino?» propose sottovoce, rivolto a chiunque lo ascoltasse.

Fu Nick a rispondere per primo. «Ci sto. Questa gita è una palla!».

«Se lo dice Nick...»

«Dai ragazzi, silenzio, mancano solo quattro ore e mezza al pranzo» rispose poi Jeff.

Okay, se anche Nick concordava sul fatto che quella gita fosse una noia mortale, la cosa era grave. Si voltò e vide che Sebastian stava scrutando con aria confusa una statua: anche gli altri se ne accorsero e gli rivolsero occhiate curiose.

Solo dopo pochi istanti lui si accorse di essere osservato.

«Che volete?».

Solito tono simpatico.

«Non sembri un tipo amante dell’arte... E’ così interessante quella statua?» domandò Nick, ridacchiando.

«E anche se fosse?» rispose di rimando Sebastian.

«Non la dai a bere a nessuno».

«E va bene» si difese Sebastian alzando le mani, «trovo che questo qua somigli molto a Flint. Chi era?».

Ma co-?

Stava davvero paragonando una statua al loro amico Flint? Thad era indeciso tra lo scoppiare a ridere o mantenere lo sguardo perplesso che era sicuro di aver assunto in quel momento.

«Ma dai» intervenne Trent, «è come se io paragonassi il mio joystick a mia madre. Non ha senso».

«Queste tue battute non hanno senso, Nixon» rispose Sebastian arricciando il naso.

«Invece di bisticciare, perché non troviamo qualcosa da fare?».

«Comunque quel tipo della statua è Donatello, secondo questa mappa del museo» intervenne Thad aprendo l’opuscolo che teneva in mano e appoggiandolo al muro: da piccolo com’era, ora si era rivelato una mappa ben dettagliata del museo, descrivendone tutte le sale con i vari dipinti e/o statue che vi erano all’interno.

Jeff si avvicinò con tranquillità a Thad, che in quel momento sembrava davvero molto concentrato.

«Thad...».

«Mh?».

«Ora recitiamo insieme: “Io, Thad Harwood, sono un pirla”».

L’altro inarcò un sopracciglio. «Ehi!»

«Beh, hai praticamente il nostro biglietto d’uscita in mano e non ci hai detto niente!» sbraitò Jeff, strappando di mano la mappa al compagno con poca grazia. Si mise a scrutarla, in silenzio.

«Ma che vai dicendo?» continuò Thad, senza capire cosa volesse dire. Si voltò verso i compagni e notò che tutti scuotevano la testa con fare scettico. Allora era vero: l’Arte faceva proprio male alla salute mentale come aveva sempre pensato.

Jeff alzò lo sguardo. «Trovato».

«Mi vuoi dire che cacchio stai facendo?».

Il biondo sbuffò. «Questa è una mappa, Thad. Una mappa» ripeté. «Lo sai cosa se ne fanno delle mappe nei film?».

«Di solito se le mettono in testa quando piove, ma non-».

«Passaggi segreti! Per uscire da questo postaccio. Dovreste ringraziarmi, ne ho già trovato uno» continuò, avvicinandosi ai compagni e indicando un punticino poco distante da loro. «Se ci infiltriamo qua dentro poi, scendendo le scale, potremmo ritrovarci nei sotterranei e-».

«Sì, e magari poi sbuchiamo dietro un quadro... Jeff, non siamo a Hogwarts!» esclamò Thad, togliendogli di mano la mappa. «E questo non è un passaggio segreto, ma è il condotto dell’aria e sarà largo come la tua testona. Credo che nemmeno Sebastian con la sua magrezza riuscirebbe ad infilarsici. E’ troppo stretto!».

Jeff parve un po’ abbattuto, ma non poté negare di essersi fatto prendere un po' la mano dall’entusiasmo. A Thad fece tenerezza la sua espressione da cucciolo bastonato e gli sorrise.

«E se invece uscissimo dalla porta principale? Così, giusto per dirne una» disse Sebastian con una punta d’ironia, attirando gli sguardi dei compagni: Thad dovette ammettere che, tra tutte le baggianate che erano state dette nell’ultimo quarto d’ora, quella era la più sensata. Tuttavia... come fare senza catturare l’attenzione degli insegnanti? Insomma, se su dieci ragazzi ne fossero spariti la metà, se ne sarebbero accorti all’istante. L’unica cosa da fare era soffrire in silenzio.

Un paio di minuti dopo erano stati tutti catapultati nella sala successiva che, per fortuna, era almeno un po’ più accogliente della precedente: era più luminosa, decisamente più grande e la luce del sole che entrava dalle poche finestre faceva risaltare i colori caldi della moltitudine di quadri che tappezzavano le pareti. Non che questo avrebbe reso la lezione più interessante o meno noiosa, ma almeno non sembrava di stare in uno scantinato.

Qualcosa gli diceva che avrebbero speso là dentro il triplo del tempo che avevano passato nella sala precedente.

 

Quando, un’ora e mezza dopo, entrarono nella sala successiva, Thad stava boccheggiando: faceva un caldo bestiale, come minimo c’erano il doppio dei gradi che era abituato a sopportare e, per di più, stava raccogliendo tutte le sue forze per non addormentarsi sulla spalla di Trent. Era così morbida e invitante... e lui aveva così tanto sonno...

I suoi pensieri furono interrotti da un uomo che si stava avvicinando a loro.

«Salve» disse rivolto alla professoressa. «Scusate se vi interrompo, ma sono costretto a chiedervi di posticipare la vostra lezione al pomeriggio. Stiamo facendo dei lavori di ristrutturazione nelle sale quattro, sei e sette, e abbiamo avuto problemi con l’impalcatura... non vogliamo correre rischi».

La professoressa rimase un po’ interdetta, ma acconsentì.

«Ragazzi, concludiamo con questa sala, poi continueremo poi nel pomeriggio».

I ragazzi si scambiarono occhiate eloquenti. «D-dio... Lui esiste» boccheggiò Nick, suscitando le risate dei compagni.

«Farò finta di non aver sentito, Duvall!» lo rimproverò la donna, cominciando subito l'ultima spiegazione della mattinata.

Thad non riusciva a capacitarsi di quanto quella botta di culo fosse arrivata al momento giusto: insomma, erano appena le dieci e mezza e, calcolando un’oretta circa in quella sala, sarebbero usciti alle undici e mezza... Il museo avrebbe riaperto alle quattro di pomeriggio e loro avevano il pullman di ritorno alle sei e mezza e, dal museo alla fermata, ci sarebbe voluto un quarto d’ora di cammino, quindi... avrebbero dovuto lasciare il museo alle sei circa. Ciò significava che, tra una cosa e l’altra, avrebbero fatto visita a cinque sale su un totale di dodici.

... Dio esisteva davvero!

 

 

 

Avrebbe pagato oro pur di stare sdraiato su quel prato tutto il pomeriggio. Se c’era una cosa che apprezzava di quella professoressa, era che amava la natura e gli spazi aperti quasi quanto lui; fosse stato per Thad, avrebbe passato tutto il giorno a scrutare le nuvole sopra di lui, ad ascoltare il silenzio che regnava in quel posto e a pensare. Perfino i suoi compagni sembrava si stessero godendo quelle poche ore di pace che gli erano state concesse.

Non lo faceva perché era pigro – forse un po’ – o cose simili, ma perché era una delle poche cose che lo facevano stare bene.

Nick era sdraiato ad occhi aperti accanto a lui; Trent e Sebastian stavano giocando a Ramino ad un paio di metri di distanza da loro e, stranamente, lo stavano facendo in modo tranquillo; Jeff, d’altro canto, era disteso a pancia in giù e sembrava si fosse addormentato; il resto del gruppo era sparpagliato qua e là per il parco del museo e Thad non riusciva a vedere cosa stessero facendo.

«Thad?».

La voce flebile di Nick lo distolse dai suoi pensieri.

«Mh?».

Passò qualche istante prima che Nick riprese a parlare. «Tu... tu credi nel karma?».

Thad arricciò l’angolo della bocca. «E’ quella roba sul fatto che, prima o poi, tutto torna? Cioè, se fai un’azione cattiva... prima o poi la natura te la farà pagare?».

«Più o meno».

Ridacchiò. «Beh, dopo ore e ore di preghiera, un’impalcatura è crollata nel museo sabotando la nostra noiosissima gita... non vedo perché non dovrei credere al karma».

Nick rise e poi si bloccò per paura di non disturbare il sonno dell’amico accanto a loro.

«Hai ragione!».

Anche Thad sorrise, e-

«Un momento... ma questa domanda sul karma era una curiosità o c’è qualcosa dietro?».

«Beh-».

«No senti, Nick, se mi stai dicendo che stai aspettando che il karma alzi le sue chiappette per venirti incontro, ti sputo in entrambi gli occhi in modo agonistico» lo bloccò subito Thad, temendo che cominciasse con i suoi discorsi malinconici e decisamente fuori luogo.

Nick sorrise ancora, un sorriso che significava ‘hai colto nel segno’.

«Non proprio... è che... ci penso spesso e mi chiedo se tutto quello che sto facendo per le persone a me care in questo momento prima o poi mi verrà ripagato con qualcosa di bello» rispose con tono pacato e gentile. «Non che mi dispiaccia rendere felici i miei amici gratuitamente».

«Ci mancherebbe» scherzò Thad.

«Intendevo... non so, non riesco a spiegarmi».

«Ti ho capito, Nick» rispose Thad. «Sei uno dei miei migliori amici, so come ti senti in qualunque momento. Anche se a volte – spesso – faccio il coglione, non significa che sono insensibile. Anche io ho i miei punti deboli»

«E sarebbero?».

«Punto primo, i punti deboli non si rivelano, altrmenti sarebbe troppo facile mettermi KO. Punto secondo, ti ho appena detto che ti capisco anche se mi dici ‘a’, i miei punti deboli dovresti averli capiti tempo fa... Insomma, ti sto praticamente dicendo che ti conosco più del mio ombelico e tu non hai nemmeno idea di cosa mi indebolisce! Sono offeso».

Trascorsero qualche secondo in silenzio, ma a Thad parve un’eternità. Ah! Nick e i suoi cazzo di momenti vomitevoli.

«Senti, Nick... devi smetterla» continuò senza dargli possibilità di risposta. «Non so quali orrendi pensieri ti passino per la testa per farti stare come uno straccio. E il karma? Ommioddio, ma che cazzo ti è capitato di così brutto per deprimerti in questo modo? Nick-Duvall-il-Depresso, tu non ti rendi conto che hai una vita fantastica: hai degli amici come noi che ti scassano sempre le balle, che ci sono sempre per te, che ti assecondano e ti vogliono bene come poche cose al mondo. Hai una famiglia che ti è sempre stata accanto, una sorella con cui condividi praticamente tutto e un padre che è sempre stato fiero di te in qualunque occasione. E hai una ragazza che- okay, escludiamo Sally da questo discorso. Insomma, non hai mai preso un brutto voto, non sei mai stato vittima di bullismo, hai una voce fantastica e fai parte di un gruppo di canto corale che supporta il tuo talento e che sta per vincere le provinciali di quest’anno. Adesso dimmi: cosa-cazzo-ti-affligge?».

Nick continuò a fissare l’amico per qualche secondo, anche dopo che ebbe finito il suo monologo: Thad non riuscì a decifrare quello sguardo. Sembrava un po’ interdetto, ma anche commosso dalle sue parole.

E pensò che forse, senza rendersene conto, aveva centrato proprio il punto del problema: si sentì particolarmente fiero di quel discorso da papino.

«Grazie...» rispose Nick debolmente. «Sarò banale, ma è proprio quello il problema... le ragazze uccidono, Thad».

Thad diede una sbirciatina a Jeff, che stava ancora dormicchiando accanto a lui, e si rivolse a Nick. «Mettiti con Jeff».

L’altro assunse un’espressione accigliata.

«Dai, guardalo» continuò, indicandolo. «E’ così innocente da sembrare una ragazza e nel frattempo così maschio da sembrare... un maschio».

«...»

«Suvvia, hai capito!» esclamò Thad, cambiando posizione e mettendosi a pancia in giù con il mento appoggiato sui palmi.

«Comunque-»

«No, che cazzo, non è giusto!» li interruppe la voce di Trent.

Subito dopo voltarono entrambi lo sguardo verso l’amico e non poterono fare a meno di notare la distesa di carte da Ramino che coprivano il suolo il modo disordinato. Trent era di schiena con entrambe le mani nei capelli, mentre Sebastian lo stava scrutando in maniera indecifrabile. Chissà per quale motivo le espressioni di Sebastian erano la maggior parte delle volte indecifrabili, Thad non ne aveva mai capito il perché. Era forse un talento naturale?

«Ma è possibile?» si lamentò ancora Trent.

«Evidentemente sì» rispose Sebastian, stiracchiandosi. «Su, dai, non ti abbattere».

«No!» esclamò l’altro. «Hai fatto il castello di carte tu ed è filato tutto liscio, sto per mettere l’ultima carta io e booom! soffio di vento! Vaffanculo!».

Thad avrebbe voluto ucciderlo. Il loro discorso serio era stato interrotto da una cazzata colossale e ormai la chiacchierata non avrebbe più preso la piega che avrebbe dovuto, dato che Nick si era già voltato dalla parte opposta per poter sonnecchiare un po’. Evidente la cosa per lui non era così importante – oh, eccome se lo era.

Si alzò e si stiracchiò per bene; per quanto gli piacesse oziare, doveva ammettere che era snervante alzarsi e ritrovarsi pieno di dolori per il troppo ‘dolce far niente’. Certe volte si domandava perché sua madre non lo avesse chiamato “Rottame” anziché Thad.

«Io vado a sgranchirmi un po’ le gambe» comunicò a chiunque lo stesse ascoltando – praticamente nessuno, visto che Nick e Jeff stavano pisolando e Trent e Sebastian erano ancora intenti a raccogliere tutte le carte sparse a terra. «Vabbè».

Si incamminò verso l’estremità del parco con molta tranquillità, avvolto finalmente da una leggera brezza: per essere autunno stava facendo davvero troppo caldo e il blazer dell’accademia certamente non stava aiutando. Così si tolse la giacca – rimanendo solo in cravatta e camicia – e la lanciò per terra accanto a Jeff prima di allontanarsi.

«Aspetta, vengo anch’io».

Sebastian si affiancò a lui, il sorriso a duecentocinquanta denti rivolto verso Thad.

«Perché?».

«Calma, Thaddino, è solo una camminata. Sinceramente, mi si stava appiattendo il culo a forza di stare seduto» sospirò Sebastian grattandosi il naso.

«Chiamami ancora ‘Thaddino’ e ti appendo ad un albero» ribatté Thad, infastidito. Poi gli venne in mente un’idea. «Okay, visto che ti piace darmi ogni genere di soprannome-».

«Veramente per me sei solo Thaddino».

«Comunque» riprese Thad «che ne dici se troviamo un bel nomignolo anche per te? Mmh, vediamo... Sebby? No, troppo banale. Sebs? Naaaah, è troppo carino. Cosa ti sembra di Smythy?».

«Non farlo, Thad» replicò Sebastian fermandosi improvvisamente e rivolgendogli uno sguardo fin troppo serio.

Ah-ha! Colpito e affondato.

«Non ti piace? Bene. Smythy Smythy Smyyyyyythy!» ridacchiò l’altro, scuotendo la testa in maniera completamente idiota.

Inaspettatamente Sebastian gli si parò di fronte, bloccandolo: ma che stava succedendo? Non sembrava offeso, piuttosto... incazzato. Ma perché? Lui lo chiamava con ogni genere di nomigliolo insopportabile, non sarebbe successo niente se lui avesse cominciato a ricambiargli il favore.

«Mio fratello mi chiamava in quel modo» disse soltanto.

Il suo tono duro e distante e quel verbo al passato, gli fecero capire che Sebastian aveva avuto un fratello. Oh, cazzo. Non ne aveva idea... come avrebbe potuto saperlo? Quel ragazzo era così riservato, e poi Thad a malapena sapeva i corsi che frequentava a scuola. Aveva fatto proprio la figura dello scemo, come sempre. Si sentì... in colpa.

Sebastian rilassò le spalle e deglutì, mentre Thad non riusciva a smettere di fissarlo.

«Chiamava? Scusa, Sebastian, io... scusami» borbottò, sinceramente dispiaciuto.

Non gli era stato simpatico fin dal primo momento, però gli dispiacque così tanto di aver fatto una gaffe del genere che avrebbe preferito sprofondare.

«Lascia stare, eh» rispose Sebastian continuando, riprendendo a camminare nella direzione in cui erano diretti. Thad aspettò qualche secondo e poi lo seguì. Non sapeva bene come comportarsi e non era da lui. Cosa avrebbe dovuto dirgli per scusarsi? Magari non delle vere e proprie scuse, visto che lui non aveva alba del fatto che Sebastian avesse perso un fratello.

Improvvisamente gli venne voglia di chiedergli quanti anni ebbe quando morì, se gli somigliava, se era anche lui castano-Smythe, se cantava bene quanto lui...

Gettò un’occhiata nella sua direzione per controllare che fosse tutto a posto: a parte lo sguardo fermo di fronte a lui, sembrava che non fosse successo niente.

«Guarda laggiù» disse lui indicando un punto poco distante da loro. «Andiamo a farci un panino».

Thad notò che Sebastian stava indicando un piccolo furgoncino che vendeva roba da mangiare. Finalmente un po’ di cibo! La fame e il profumo di porchetta non gli fecero nemmeno pensare al fatto che Sebastian lo aveva appena – in un certo senso – invitato a pranzare assieme.

«Due piadine con la porchetta» ordinò Sebastian dopo qualche secondo di indecisione.

Thad stava per dire che gli faceva più gola una di quelle pagnotte belle grosse che erano esposte di fronte a loro ma, per qualche strana ragione, rimase in silenzio.

Frugò nella tasca tirando fuori il portafoglio.

«No, aspetta» disse qualche istante dopo. «Avevo cinque dollari da qualche parte, ne sono sicuro... Dove cazzo sono!?».

«Metti via il portafoglio» gli intimò il compagno, appoggiando qualche soldo vicino alla casa. «Offre la figaggine».

«No, non serve. Non mangio».

Sebastian roteò gli occhi al cielo, sbuffando. «Senti, sono forse uno dei ragazzi più ricchi di tutto l’Ohio, vuoi che un panino mi faccia andare in bancarotta?» dopodiché prese la piadina pronta che gli aveva appena passato l’uomo e la schiaffò tra le mani di Thad.

Oh...

«G-grazie» disse quest’ultimo, guadagnandosi un’alzata di spalle in risposta. «Senti... non so come scusarmi per la battutaccia di prima».

Entrambi presero a camminare.

«Ovvero?» domandò Sebastian con la bocca piena.

«Beh, tuo fratello... Sai, non sapevo avessi un fratello».

«Ora lo sai».

«Ma com’è...» Thad si bloccò qualche istante. «Com’è che... insomma... se n’è andato?».

«Rubando la macchina nuova di mio padre. E’ stato un grande stronzo» rispose Sebastian continuando a dare enormi morsi al suo pranzo.

Ehi, ma co-?

«... In che senso?» chiese.

«In che senso cosa?»

«Mi stai dicendo che è scappato, praticamente» disse Thad con voce ferma.

«Già» rispose l’altro. «Stronzo, ripeto».

«Io pensavo che fosse morto! Mi hai fatto credere che fosse morto!».

«Io non ti ho fatto credere un bel niente!».

«Beh, da come parlavi e come ti eri abbattuto, pensavo lo avessi perso... Non che fosse fottutamente scappato vivo con la macchina di tuo padre!».

E lui che si era fatto tutte quelle pippe mentali per tutto quel tempo. Un groppo di nervoso gli salì in gola e si stava trattenendo a stento dallo strangolare quel cazzone che camminava accanto a lui.

«Sei riuscito a farmi sentire un gran pirla» commentò aspramente Thad, sospirando.

«Hai fatto tutto da solo» rispose Sebastian.

Forse era vero. Forse no. O forse era semplicemente colpa di Sebastian. Era sempre colpa di Sebastian.

«Ehi, Harwood?».

«Che c’è ora?».

E in una frazione di secondo si ritrovò con il culo all’aria e la faccia dritta in una pozzanghera, mentre la risata di Sebastian Smythe riecheggiava nell’intero parco.

 

 

 

 

 

 

*battuta dal film “The Avengers”. Scusate, non sono riuscita a trattenermi dall’aggiungerla XD

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo Me.

 

“Credo che stessi dando da mangiare ai dinosauri l’ultima volta che ho aggiornato”.

Ri-cito la prima frase del mio ultimo angoletto. Cioè, davvero... sono passati mesi. Mi potete perdonare? Vero? Vero? *occhietti alla Dianna Agron*
In realtà non è che avevo abbandonato la scrittura perché non avevo tempo o voglia (anche se il tempo viene a mancare comunque), ma perché mi ero ripromessa che, almeno questo capitolo, lo avrei scritto esattamente come me lo immaginavo nella testa. Senza accontentarmi del “Vabbè, tanto i lettori apprezzano lo stesso”.
Mi ci sono messa d’impegno, eh u_u
Vi confido anche che l’avrò cancellato una quindicina di volte, credo.
Aaaaaanyway! State passando delle belle vacanze? :3
Io abbastanza: sono stata a Dublino con un’amica e poi esco spesso con i miei amici. Lo so che non ve ne potrebbe fregare di meno, ma sto temporeggiando perché non ho idea di cosa scrivere riguardo a questo capitolo, LOL :’D
Diciamo che parla da sé. Tornerà la sorellina di Sebastian? Sì. Nick la smetterà di fare l’emo depresso? Sì ( ;) ). Thad la smetterà con le sue pippe mentali? No. Bwahahah!
Volevo ringraziare tutti coloro che hanno recensito il capitolo precedente, ovvero therentgirl (ommioddio, non ricordo se te l’ho detto, ma la tua recensione mi ha resa molto aww ç-ç ♥), Lady_Thalia, KIAsia, MartyYeppa, Weh e Somo. Grazie gleeeeeks :3
E anche a tutti quelli che hanno inserito la storia in tutti i posti in cui può essere inserita (che brutta frase), grazie di cuore!
 
A PRESTO si spera,
un arcobaleno per tutti,
Lins ♥



Vi lascio così a caso il mio account di Twitter, dove trollo parecchio e ogni tanto rilascio qualche spoiler (è molto formale detta così). Sono disponibile a qualunque tipo di conversazione :D eeeeooouuuuu

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Capitolo 7
*** Doccia scozzese ***


Questo capitolo vorrei dedicarlo
a tutti i miei lettori,
perché devo smetterla di farli attendere così a lungo.
Love you all ♥

ND: ci tenevo farvi vedere cosa therentgirl ha fatto per la mia storia, ecco. Lei dice che non merita, ma secondo me è magnifico! Grazie Rentilli :3
  Thadaaaaaaa


Capitolo 7.

Doccia scozzese

 

 

 

 
E’ da un po’ che non ti fai sentire.

 
Thad ricevette quello strano messaggio un venerdì mattina, mentre era spaparanzato sul divanetto della sua camera. Avendo deciso di non essere abbastanza sveglio neanche per fingere di ascoltare due intere ore di Chimica, si era svegliato comunque presto ma era rimasto nella sua stanza a cazzeggiare. L’ultima volta che lo aveva fatto era stato il gennaio precedente quindi, in un certo senso poteva anche permetterselo.
 
Aveva quasi finito il quattordicesimo livello di Space Astronaut col cellulare quando il messaggio gli arrivò: anziché cliccare il tasto per sparare palline, per sbaglio premette quello che gli fece aprire il messaggio, perdendo la partita e, di conseguenza, tutti i livelli precedentemente passati.
 
Imprecò sonoramente, sperando con tutto se stesso che chi l'aveva interrotto avesse avuto almeno un buon motivo. E invece no, perché il messaggio non aveva mittente. Anzi, era salvato nelle conversazioni del suo cellulare, ma non ricordava chi fosse... ah! Il numero anonimo con cui aveva massaggiato tempo prima!
 
Sinceramente si era perfino dimenticato della sua esistenza. Ora che doveva fare? Fingere di sapere chi fosse e continuare come la volta precedente oppure non rispondere e lasciar perdere? Optò per il lasciar perdere, non aveva tempo da sprecare. In realtà ne aveva fin troppo, ma preferiva spenderlo in altri modi.
 
Un secondo messaggio, però, gli fece cambiare idea.
 
E’ stato perché a te piacciono i biondi, vero? Con gli occhi azzurri, forse?
 
Tanto non aveva nulla da perdere. Si acciambellò più comodo sul divano e rispose. Hai colto nel segno. E meglio se sono alti.
 
Ma che stava facendo...?
 
Stai scherzando, vero? La prima volta che ci siamo visti mi sono dovuto contorcere per entrare nella tua auto.
 
Questo perché la mia auto è piccolissima...
 
Infatti non c’è auto più piccola di una bella Jeep.
 
Stavo solo scherzando...
 
Non ci furono altre risposte dallo sconosciuto. Non che a Thad importasse granché, ma magari in qualche modo lo aveva offeso. Che importava? Forse se lo meritava pure, non aveva idea di che persona fosse.
 
In quel momento la porta della stanza si spalancò e Jeff piombò al suo interno, facendo sobbalzare Thad, che lanciò il telefono sul tappeto.
 
«Ma sei impazzito!?» esplose.
 
Jeff si soffermò a fissarlo inclinando leggermente la testa. Dietro di lui comparve Nick, che stava proseguendo un discorso.
 
«... gli ha fatto notare quanto in realtà imbecille lui sia, però se ne frega, capisci?» stava dicendo, chiudendosi la porta alle spalle. «Non so spiegarmelo, ma è come s- Thad!»
 
Thad salutò con la mano e un finto sorrisone stampato in faccia. Sapeva benissimo che Nick non approvava quando qualcuno saltava i corsi – specialmente se quel ‘qualcuno’ era Thad –, quindi sperò con tutto se stesso che l’amico non si arrabbiasse. D’altronde, qualche lezione prima, anche Nick in un certo senso aveva perso una lezione, addormentandosi sul banco.
 
«Si può sapere perché non sei venuto a lezione?» chiese Nick.
 
«Io... avevo la febbre» rispose.
 
«Sì, certo, hai proprio la faccia da malaticcio» replicò Nick, lanciando la borsa nello spazio libero accanto a Thad, per poi dirigersi verso il bagno. «Se continui così non penso che quest’anno te la caverai tanto facilmente... Insomma, stavo proprio dicendo prima a Jeff che...». Il discorso si perse nell’aria nel momento in cui Nick socchiuse la porta del bagno. Thad era convinto che stesse continuando a parlare anche se loro non riuscivano a sentirlo, come era solito fare.
 
«Ma quanto parla?» domandò poi a Jeff, che stava sfilando alcuni libri dalla borsa. «Poi mi passerai gli appunti».
 
Jeff alzò lo sguardo e in quel preciso istante Thad capì. «Okay, immagino tu abbia seguito la lezione quanto me da quassù. Li chiederò a James, ho capito».
 
James era una specie di secchione, quindi sicuramente aveva preso almeno sei pagine di appunti; era fortunato ad avere compagni di corso così disponibili e premurosi nei suoi confronti. Insomma, James era un fenomeno in Chimica, Luke in Geografia, Flint in Filosofia e Nick praticamente in tutto. Lui non serviva facesse niente durante le lezioni, gli bastava scodinzolare dai suoi amici e il gioco era fatto. Okay, forse se ne stava approfittando solo un pochino, ma che c’era di male? Loro gli appunti li prendevano comunque, quindi non facevano doppio lavoro o altro.
 
«Ma quanto ci mette Nick in bagno?» commentò Thad cinque minuti dopo, cercando di sistemare il telefono a cui, cadendo per terra, si era sfilata la cover della batteria. Jeff fece spallucce.
 
«Thad, non sono mica tutti cacca-fulminei come te» borbottò. Thad sghignazzò. «Che poi, non ho mai capito come fai a stare sempre così poco in bagno».
 
«Tra tutti gli argomenti esistenti, proprio di merda dobbiamo parlare? Ho fatto colazione da poco, rischierei di vomitare tutto su di te» replicò Thad  in tono esasperato: più che per il discorso, ce l’aveva con il suo telefono e la sua incapacità di aggiustarlo.
 
«Ah!» saltò su Jeff. Corse dall’altra parte della stanza e ritornò qualche istante dopo con le mani dietro la schiena: stava rivolgendo all’amico un enorme sorriso. «Mano destra o sinistra?».
 
Thad socchiuse gli occhi. «Seriamente, Jeff?».
 
«Beh?».
 
«Mmh... che scelta ardua... facciamo sinistra».
 
«Indovinato! Tanto te lo avrei dato lo stesso» e porse la mano ancora chiusa a Thad, che non poté fare a meno di essere imbarazzato al posto suo, dato che quelle cose non aveva fatte nemmeno ai tempi dell’asilo. Poi aprì la mano.
 
«Ma co-».
 
«Ti piace? L’avevo preso ieri, in realtà, ma mi ero dimenticato di dartelo» confidò Jeff facendo spallucce.
 
Okay, forse era lui ad essere strano, ma Thad trovò quel gesto davvero adorabile. Era la prima volta che qualcuno gli faceva un pensiero di quel tipo e... beh, fu contento che quel qualcuno fosse proprio il suo migliore amico.
 
«U-una bustina di zucchero?». Come si dovrebbe reagire quando qualcuno ti regala una bustina di zucchero? «Grazie, Jeff! Sono contento del fatto che tu non faccia parte del branco che ritiene il mio hobby alquanto pazzo».
 
«In realtà lo trovo inutile, però quando ho visto che era così colorata ho subito pensato a te» confidò il ragazzo, cominciando a sistemare le sue cose nella borsa. «Un giorno mi dirai cosa ci farai con tutte quelle bustine, comunque. A quante sei arrivato?».
 
Thad rise. «Duecentonovantatre con questa».
 
«Uooo! Potrei anche io cominciare a collezionare qualcosa...».
 
«Potresti collezionare figure di merda, so che ti riesce benissimo. Questa, ad esempio» e lo indicò puntando un dito contro la borsa, «dovrebbe essere la quattrocentoventiduesima».
 
«Oh».
 
Infatti Jeff non si era accorto che in realtà stava infilando tutte le sue cose nella borsa di Nick. Imbarazzato, iniziò a togliere tutti i libri che aveva sistemato con cura.
 
Nick uscì dal bagno all’incirca dieci minuti dopo, il cellulare in mano e l’aria defunta.
 
Seriamente, Thad cominciava a pensare che non avrebbe mai passato una giornata normale in tutta la sua vita scolastica.
 
«Tua madre sta di nuovo male?» domandò quando l’amico si accasciò sul poncho e prese a fissare il pavimento ad occhi vuoti. Scosse la testa. Anche Jeff sembrò iniziare a preoccuparsi.
 
«Che succede?» domandò poi.
 
«E’ la tua gatta?» azzardò Thad. «Non aveva qualcosa tipo dei noduli di sangue da qualche parte?».
 
«No» rispose Nick, roteando gli occhi. «E’ Sally».
 
Thad sospirò. «Nick, va a quel paese, cazzo. Mi hai fatto prendere uno spavento!».
 
«Ma io non ho detto niente!».
 
«La tua faccia lo ha fatto al posto tuo!» sbottò Thad, lanciando il telefono sul cuscino, dato che non riusciva ad incastrare la cover della batteria.
 
Ed eccola che tornava: Sally. Sally, quella brava ragazza che rendeva il suo migliore amico uno zombie parlante. Thad non riusciva a concepire come una ragazza carina – perché sì, esteticamente era carina – e tranquilla come lei potesse creare così tanti casini... Forse tranquilla non proprio tanto, ma comunque era nella norma... circa. Che cosa voleva dalla vita del povero Nick?
 
«Che cacchio vuole? E’ per la serata karaoke, vero?» intervenne Jeff, il tono leggermente prepotente.
 
Notò come Jeff sembrava alquanto infastidito: era da quella volta in cui lui, Nick e Sally avevano avuto quella conversazione fuori dalla scuola, che sembrava provare una sorta di fastidio verso di lei. Thad certamente non poteva dargli torto.
 
L’altro scosse la testa. «No... dice che questa settimana ci siamo visti troppo poco e che le manco».
 
Ci fu un silenzio imbarazzante in cui, mentre Nick era intento a fissarsi i calzini, Thad e Jeff si scambiarono due sguardi esasperati. Ancora? Non ne aveva abbastanza di quella storia?
 
«Nick... questa settimana vi siete visti quattro volte, di cui una sei dovuto sgattaiolare segretamente fuori dalla scuola per andare come un imbecille ad incontrarla nel bosco qua vicino. Senza offesa» osservò Thad con tono duro. Pensava che non lo avrebbe mai detto, ma non vedeva l’ora che la storia tra loro due finisse. Sinceramente, non erano fatti per stare insieme e si poteva notare da piccole cose, come quella. E poi la tristezza negli occhi di Nick in quell’ultimo periodo gli aveva rotto le scatole: avrebbe tollerato quei sentimenti per la morte del suo gatto, per un brutto voto, per un’amicizia andata male... ma non per un non-amore. Perché lei evidentemente non lo amava se si comportava in quel modo, e lui… lui non la amava di certo.
 
«Magari adesso se ne verrà fuori con la storia che parlate pure troppo poco» continuò Thad, preso dalla collera.
 
Nick sogghignò. «Già passato quel momento».
 
«Cosa!?» esclamò indignato Thad. «Ma se non possiamo nemmeno passare un’oretta la sera a giocare a Cluedo perché avete la vostra sessione di peeling telefonico, o chessò io!».
 
«Peeling? Petting, casomai» lo corresse. «E noi non facciamo quelle cose, comunque! Ci raccontiamo la giornata e basta».
 
«Oh ma che romantico».
 
«Thad...».
 
«No, Thad un corno».
 
«Thad smettila» ripeté Nick serio. «Ho deciso di lasciarla».
 
«Non dirmi di smetterla, okay? Perché sono tuo amico e ho tutto il diritto di dir- eh?».
 
Nick chiuse gli occhi e sospirò a lungo, ignorando gli sguardi dei due amici, che lo fissavano sconcertati. «Ho detto che ho deciso di lasciarla. Io la amo, ma-».
 
«No, non la ami» lo interruppero Thad e Jeff all’unisono.
 
«... okay, le voglio un bene dell’anima, ma quando è troppo è troppo. Credo di essere abbastanza cosciente da capire quand’è il momento di terminare una cosa che porta solo danni, per quanto possa tenerci».
 
Intanto, nella pancia di Thad, era in corso un arcobaleno party. Ma non poteva esternare la sua gioia al mondo intero perché sarebbe sembrato inappropriato, visto che probabilmente l’amico ci stava soffrendo.
 
«Meglio tardi che mai» rispose poi, sorridendo sinceramente a Nick. «Tu che ne pensi, Jeff? Sei troppo zitto, non hai fatto altro che toglierti le doppie punte per tutto il tempo».
 
Jeff ridacchiò, togliendosi le mani dal ciuffo con aria colpevole. «Che dovrei dire? A me basta che Nick sia felice e di certo Sally non lo sta aiutando. Tutto qui».
 
«Certamente...» commentò Thad roteando gli occhi al cielo. «Comunque, quando lo farai? Spero prima di Natale, perché volevo organizzare una festa e non vorrei che lei sia ancora in mezzo ai coglioni».
 
«Ehi, frena! Calma! Già è stata dura prendere questa decisione... lasciami del tempo, okay?».
 
«Mancano due mesi e tredici giorni a Natale, pensi di farcela?».
 
Non c’erano storie, Thad era felicissimo della fine di quella tortura. Si sentiva un po’ in colpa a pensarlo perché Nick teneva davvero a Sally e, pensare quelle cose, era un po’ come tradirlo. Però era del tutto certo che, quando tutto si sarebbe concluso, finalmente avrebbe riavuto il suo vero Nick.
 
Senza aspettare risposta, si alzò dal divano e gli si gettò letteralmente tra le braccia, facendolo cadere dal poncho sul quale era seduto.
 
 
***
 
 
«Voglio che la smetta».
 
Quel pomeriggio Thad e Jeff avevano deciso di uscire all’aria aperta per ripassare Letteratura per il compito del giorno dopo, visto che non avevano alcune lezioni pomeridiane: Nick era andato a riposare perché la notte prima non aveva chiuso occhio, causa compito di Latino della mattina dopo; Trent e Flint avevano deciso di rintanarsi in camera a finire l’ultimo livello di Harry Potter con la Playstation; Nicholas era tornato a casa per due giorni perché suo padre aveva subito un’operazione un po’ ‘impegnativa’ e voleva stargli accanto, mentre Ethan aveva lezione di Geografia.
 
Rimanevano solo Thad e Jeff, così avevano optato di passare il pomeriggio ripassando, alternando lo studio a pause relax. Okay, era più un pomeriggio di relax alternato a dieci minuti di ripasso: Jeff era seduto su un lato della panchina con Thad completamente stravaccato contro di lui.
 
Un paio di volte si accorse che alcuni compagni li guardavano in modo strano quando passavano lì accanto: forse – pensò Thad – agli occhi degli altri sarebbero potuti sembrare una coppietta. Ma non era così, assolutamente. Sinceramente era deludente, da un certo punto di vista, che pensassero quelle cose non appena due amici accennavano al volersi bene.
 
«Girati dall’altra parte» disse Jeff, voltando pagina del libro di Letteratura. Non seppe perché, ma Thad ebbe l’impressione che stesse solo facendo finta di leggere. Se lo sentiva.
 
«Perché devo girarmi io? Mi sono seduto qua prima di lui, non ho intenzione di voltarmi» osservò incrociando le braccia.
 
«E allora non rompere!» obiettò il biondo. «Mi stai sfasciando la spalla, se ti interessa».
 
«In realtà non mi interessa» rispose, sistemandosi meglio. «Se non la smette adesso, giuro che mi alzo e gli tiro un pugno!».
 
«Mh, fallo» suggerì Jeff distrattamente.
 
«Lo faccio, eh. Dici che se prendo a fissarlo in modo potente, potrebbe decidere di smettere? Eh? No perché il mio sguardo è davvero potente, Jeff!».
 
«Thad, sei proprio cretino! Voltati e basta!».
 
Sbuffando, Thad si scompose dalla sua comodissima posizione, per poi sedersi in maniera quasi civile accanto a Jeff. Cinque minuti dopo che si erano accomodati su quella panchina, infatti, era comparso un ragazzo su quella di fronte a loro e non aveva smesso un attimo di fissare Thad: gli stava seriamente dando fastidio. Era da quando erano tornati dalla gita al museo che se lo ritrovava ovunque in giro per la scuola, e dire che non aveva mai nemmeno notato la sua esistenza.
 
«Chi diavolo è, poi?» domandò.
 
Jeff fece spallucce, segno che nemmeno lui aveva notato la sua presenza dall’inizio della scuola.
 
«Carl Parker, primo anno, gioca con me a lacrosse e ha disgraziatamente una passione per quelli con i capelli scuri e la faccia da idioti».
 
Ma co-? No, non poteva essere.
 
Thad seguì lo sguardo di Jeff alla loro sinistra e scorse Sebastian bellamente seduto sulla panchina decisamente troppo vicina alla loro, un grande tomo stretto tra le braccia.
 
«Ciao, Sebastian» lo salutò Jeff.
 
«Non posso crederci» disse invece Thad, sporgendosi un po’ per vederlo meglio. «Noto con una certa seccatura che i discorsi privati tra me e Jeff non sono praticamente mai privati. E poi... da quand’è che c’è una panchina in questo punto? Ricordo che l'anno scorso il professor Tompson aveva girato il parco con il metro per sistemarle tutte a quattro metri l’una dall’altra. Che fissazioni strane».
 
«Calma, Thaddino, mi sono seduto qui solo due minuti fa» rispose Sebastian spostando lo sguardo sul grosso libro aperto poggiato sulle sue gambe. «Hai fatto colpo, vedo».
 
Thad sbuffò. «Non che mi interessi».
 
«Dici?».
 
«Sì, dico».
 
«Okay».
 
L’ultima volta che aveva parlato con Sebastian era stato alla gita della settimana prima, quando gli aveva offerto il pranzo. Nonostante tutto, aveva quell’abilità di comparire nei posti più impensabili quando meno se lo aspettava: era arrivato a pensare di controllare sotto il letto la sera prima di andare a dormire, sia mai che si accampasse lì la notte.
 
Anzi, ora che ci pensava meglio, l’ultima conversazione con lui l’aveva avuta un paio di giorni prima, durante il pranzo: ‘conversazione’ era una parola grossa, in quanto si erano limitati ad un ‘Thad, hai una patatina fritta nel colletto della camicia’ ad un ‘grazie’.
 
Però era strano, Sebastian. Prima lo accompagnava per una passeggiata e gli offriva il pranzo, poi lo ignorava per tutta la settimana. Non che a lui importasse granché, chiaro, però era... strano. Semplicemente ed irrimediabilmente strano.
 
«Sentite» cominciò Jeff scrollandosi Thad di dosso (si era nuovamente accucciato sulla sua spalla per la stanchezza) – facendogli tra l’altro prendere una testata sulla panchina – e alzandosi velocemente, «io vi lascio soli e me ne vado, okay? Byyyye».
 
E corse via, ignorando le silenziose suppliche di Thad di non lasciarlo solo con quell’energumeno. Prima o poi Jeff Sterling l’avrebbe pagata, oh sì».
 
 
Quando Jeff raggiunse la sua camera, trovò Nick profondamente addormentato seduto sul divano, la testa a ciondoloni e un libro caduto di fianco.
 
Cercando di non fare rumore, si avvicinò al ragazzo e lo coprì con una tremenda copertina che tenevano a portata di mano quando la sera faceva più fresco: l’autunno stava portando con sé un clima piuttosto freddo quindi, visto che Nick era già abbastanza raffreddato, era meglio non rischiare di lasciarlo troppo esposto agli sbalzi di temperatura.
 
Il ragazzo si mosse appena allo sfiorare della coperta, sistemandosi meglio sui cuscini e agitandosi un po’. Jeff si chiese se in quel momento stesse sognando qualcosa, qualcosa di bello. Gli mancavano le ore che passava insieme a lui, non che non ne passassero più, ma una volta era diverso. Una volta erano entrambi liberi e spensierati. Adesso solo lui era libero e, a dirla tutta, per niente spensierato.
 
Si allontanò da Nick per appoggiare la borsa sul tavolo, quando sentì un fruscio.
 
«Jeff».
 
Jeff si voltò. «Oh, no. Ti ho svegliato».
 
L’altro scosse la testa, cercando di tirarsi su. «Tranquillo, meno male che l’hai fatto. Sto dormendo troppo, ultimamente... in tutti i sensi».
 
«Ma se la notte non chiudi occhio!» sbottò Jeff alzando un sopracciglio. «Sento che ti giri e rigiri nel letto, sai».
 
Nick sorrise, poggiò i gomiti sulle ginocchia e si stropicciò gli occhi.
 
«Thad dov’è?».
 
«E’ di sotto con Sebastian...» ridacchiò il biondo. «Stanno amorevolmente conversando, credo».
 
Anche Nick sorrise e scosse la testa. «Scommetto entrambe le chiappe che Thad sarà qui tra cinque minuti, furioso e seccato, dopo esser scappato sotto l'attacco delle frecciatine di Sebastian ».
 
«Attento a cosa scommetti, Duvall» lo rimbeccò l’altro. «Un giorno, forse, potremmo ricrederci. Tu... volevo chiederti come stavi».
 
«Bene» rispose Nick, sorridendogli e stiracchiandosi.
 
«Intendevo» riprese Jeff cominciando a fissarsi i piedi, «come stai veramente».
 
Calò un silenzio imbarazzante che fece rendere conto a Jeff di aver fatto la domanda sbagliata: è che... lui rivoleva solo il suo amico indietro, punto. Nick sospirò.
 
«Vieni qui» disse facendogli un cenno e picchiettando la mano sul cuscino. Jeff si sedette accanto all’amico e improvvisamente fu colpito dal timore che Nick avrebbe risposto in modo poco soddisfacente.
 
«Non devi essere preoccupato per me... e nemmeno Thad dovrebbe» continuò Nick. «Io sto bene, so che quello che sto facendo è la cosa giusta... mi ci vorrà solo del tempo, okay? Perché non è facile. Non lo è per niente».
 
«Lo so, è che... mi manchi, sai». Nel momento in cui lo disse, pensò che magari quella frase fosse stata abbastanza egoista. Era sicuro che Nick lo stesse per abbracciare, ma in quel momento la figura nera di Thad irruppe nella stanza con la nonchalance di un rinoceronte e si fiondò sul letto, dopo aver sbattuto entrambi i mignoli sulle gambe del tavolo.
 
 
***
 
 
Quel 14 ottobre aveva definitivamente portato con sé il vero autunno.
 
Le giornate cominciavano ad essere davvero fredde tanto che, tra un cambio di lezione e l’altro, Thad era costretto a stringersi per bene nel blazer per evitare di congelarsi: non capiva perché non cominciassero ad accendere il riscaldamento, quegli imbecilli nullafacenti. E poi si lamentavano se la metà degli studenti del corso di Storia se ne stava a letto con la febbre. Avevano persino dato la colpa a Jacob il bidello, perché due giorni prima aveva lasciato la porta aperta mentre stava facendo tranquillo le sue solite pulizie. Assurdo.
 
La cosa peggiore era che, siccome i suoi compagni erano dei masochisti da far paura, quel pomeriggio avevano deciso di trascinarlo a Neverland contro ogni la sua volontà: davvero, amava quel posto, ma la voglia di uscire dall’accademia era pari a zero. Avrebbe preferito di gran lunga passare quelle ore sotto le coperte a guardarsi l’ultima puntata di Teen Wolf.
 
Una nota positiva era che almeno i padroni del locale avevano avuto la decenza di accendere il riscaldamento.
 
Lui fu l’ultimo a sedersi, ovviamente beccandosi il posto più lontano dal termosifone: Trent si era quasi gettato a braccia aperte contro di esso, seguito a ruota da Flint e Nicholas. Thad li fissò con aria sconcertata.
 
«Ma gli altri?» domandò poi, quando Trent ebbe finito di abbracciare il termosifone.
 
«Oggi è venerdì, quindi Nick è da Sally. Jeff e Sebastian hanno detto che ci raggiungono più tardi» rivelò Nicholas, prendendo il menù e cominciando a sfogliarlo. Flint aggrottò la fronte.
 
«Nicholas, sai a memoria il menù, spiegami l’utilità di guardarlo ogni volta».
 
«Magari c’è qualcosa di nuovo, chessò» sbuffò l’altro.
 
Thad decise che avrebbe cercato di scoprire perché Jeff e Satana li avrebbero raggiunti in un secondo momento. Non avrebbe voluto che, per sbaglio eh, Sebastian avrebbe tentato di offrire al suo amico un altro cappuccino per fargli vomitare l’anima di nuovo.
 
Stava forse cominciando ad essere geloso della sua amicizia con Jeff? Mh. E... chissà se Nick – proprio in quel preciso istante – stava confessando a Sally la verità.
 
«Ma perché deve venire anche Sebastian?» domandò.
 
«Perché è uno dei nostri, penso» borbottò Trent. «Insomma, anche a me non sta particolarmente simpatico, ma sembra brutto lasciarlo in disparte, no?»
 
«Ahem... no» rispose Thad.
 
«L’altro pomeriggio vi ho visti insieme fuori in cortile, che mi dici, Thad?» disse Flint. «Non sembrava che il cartello ‘ti odio’ che esibite di solito fosse visibile».
 
Thad scosse la testa. «Non mi pare di aver mai detto di odiarlo!».
 
«Beh, sembrerebbe».
 
«E invece no» rispose lui. «Semplicemente sopporto poco la sua presenza. Mi mette ansia. E poi sia maledetto Jeff per quel pomeriggio! E’ stato a causa sua se ci hai visti in cortile...».
 
Flint e Nicholas ridacchiarono.
 
«Non c’è niente da ridere» continuò Thad. «Ha passato dieci minuti – okay, dieci minuti vi dico! – a parlare di quanto è bravo a lacrosse. Potete immaginare quanto mi sia importato. Volevo solo scappare... e l’ho fatto».
 
Pochi istanti dopo la cameriera fu al loro tavolo: era nuova, Thad non l’aveva mai vista in giro per il locale. Era... carina. Sì, decisamente carina. I capelli corti e scuri incorniciavano un viso esile e ben delineato, e i due fari azzurri che aveva al posto degli occhi lo stavano scrutando.
 
«Cosa vi porto?» chiese lei, pronta con il blocchetto.
 
Thad stava per dire ‘il solito’, ma evidentemente lei non avrebbe capito a cosa si stava riferendo, quindi sussurrò un debole ‘latte macchiato’. Quando i suoi compagni ebbero ordinato, Thad si voltò verso di loro.
 
«Oh, ma chi è?».
 
«E’ quella nuova» spiegò Trent. «E’ qui solo da qualche giorno e» si bloccò vedendo l’espressione comparsa sul volto di Thad e poi riprese, «ed è fidanzata. L’ho vista sbaciucchiarsi con un tizio in quell’angoletto. Non ci provare, Thad!».
 
Ovviamente. Ovviamente se erano carine, o erano lesbiche o fidanzate. Logico. Ormai ci aveva fatto l’abitudine. Si voltò verso il bancone e la guardò mentre versava la schiuma di latte nella tazza: era davvero bella, in qualche modo aveva colpito Thad.
 
«Da quant’è che non ti prendi una cotta per una ragazza, Thad?» lo prese in giro Nicholas, spintonandolo amichevolmente con la spalla.
 
«Ehi, che vuoi dire con questo?».
 
«Niente! E’ solo che... beh, è passato un sacco di tempo da quell’ultima- com’è che si chiamava? Ashley?».
 
«Ashley, sì» mugugnò Thad.
 
«Ecco!».
 
«Ma non mi sto prendendo una cotta per questa qua!» sbottò infine. «La trovo solo carina, tutto qui».
 
Trent tossicchiò. «Si chiama Tania, se ti interessa».
 
«Ah, davvero? Oh... no, beh, non mi interessa».
 
E davvero, non che gli interessasse molto, in effetti. Non era una cosa di cui aveva veramente bisogno.
 
«Pensa» disse Flint corrugando la fronte, «se te ne stavi col culo sul letto a vederti Teen Wolf non l’avresti neanche vista! Ah!».
 
«Ma io devo sapere come continua la puntata, okay? Voi non potete sempre trascinarmi in queste esperienze fuori dal normale, come... un caffè al bar, ovvio» ribatté Thad incrociando le braccia.
 
«Io penso che Stiles e Derek debbano stare assieme, comunque» se ne uscì fuori Nicholas.
 
Tutti risero e Thad non poté essere più che d’accordo.
 
Un telefono squillò. La sigla de L’Uomo Tigre si sperse nell’aria e, prima che Trent estrasse il telefono dalla tasca, Thad capì che apparteneva a lui: era solito cambiare suonerie spastiche ogni settimana e quella era la sua ultima trovata. Si allontanò con un ‘torno subito’ e, poco dopo che si fu alzato, quella Tania comparve con le loro ordinazioni.
 
Però...
 
Ci fu un attimo in cui Thad spostò lo sguardo su Trent e quello che vide non gli piacque per nulla: era stato un momento, un soffio allo stomaco che lo aveva fatto voltare. Il sorriso sul volto di Trent era evaporato in fretta, tanto che era quasi irriconoscibile. Thad ci pensò un attimo e realizzò che non aveva mai visto l’amico realmente triste.
 
Ora lo era. Ma non era solo quello.
 
«Trent...».
 
«E comunque penso anche che Scott sia un imbecille» continuò Flint sorseggiando il suo tè alla pesca. «Che p-» tentò di continuare, ma in quel preciso istante sbucò Jeff seguito a ruota da Sebastian, le facce stranamente allegre.
 
«Tadààà!» esclamò il biondino, facendo una piroetta buffissima che per poco non gli fece rovesciare la lampada lì accanto.
 
Ma Thad non stava facendo troppo caso a loro, era più preso dal colorito di Trent che si faceva via via sempre più spettrale. «Trent...».
 
Anche gli altri se ne accorsero: il ragazzo aveva appena chiuso la chiamata e teneva stretto il cellulare in mano. Non si muoveva, sembrava un corpo inerme e privo di qualsiasi espressione.
 
«Trent» lo chiamò Jeff alzandosi e andandogli incontro. «Trent, se ti è morto il canarino giuro che ti ammazzo, perché mi stai facendo preoccupare».
 
Il ragazzo deglutì e scosse la testa. «Non è morto il canarino, no» disse in un flebile sussurro quasi impercettibile. «E’... credo... era mio padre... l’aereo su cui stava viaggiando mia madre...».
 
No.

 

 

 

To be continued...

 

 

 

 

 

 


 

Angolo Me.

               
Ehm... ah... uh... mhh... salve.

La smetto di farvi attendere due ere glaciali ogni volta che pubblico? Sorrytemi ;__;

Non mi odiate per come ho fatto finire questo capitolo, vero? E per non aver fatto comparire ‘troppo’ Sebastian, vero? Okay. Se l’ho fatto ci sono dei motivi e, come ho già detto una volta, niente è scritto a casaccio (: Perfino la collezione di bustine di zucchero di Thad è importante.

Beh, dopo sei capitoli di fluff e demenza, credo che un po’ di tristezza non sia inappropriata. Ma tranquilli, la madre di Trent se la sta spassando tra nuvolette rosa e mini pony (no non è vero).

Come al solito vorrei ringraziare le persone che hanno aggiunto questa storia in tutti i posti in cui può essere aggiunta, ma soprattutto SofiaKaiEleutheria, Andy_06, LotOfLaughing e therentgirl, che hanno avuto la pazienza di scrivermi delle bellissime recensioni (: Scusate se non vi rispondo una per una, ma la mia fantasia nelle risposte scarseggia, LOL! Cioè, più che altro rischierei di inserire la parola ‘grazie’ cinque volte in una frase.

Ci tenevo a fare una precisazione sul titolo del capitolo: il termine "doccia scozzese" è un trattamento idroterapico che consiste nell'alternare docce calde e fredde. Il termine viene usato anche quando la giornata o un determinato periodo di una persona, viene di continuo 'stravolto' da avvenimenti positivi/negativi/tristi/felici ecc... Chi di voi conosce le mie storie, sa che lo utilizzo spesso nei miei capitoli per due motivi: il primo è che veramente in quel capitolo c'è un'alternanza pazza di avvenimenti. Il secondo, beh... quando fatico a trovare un titolo decente, AHAHA! ((:

Deeeetto ciò, grazie (ecco, appunto) ancora a tutti coloro che sono riusciti ad arrivare fin qua e alla prossima!

 

Lins

 

Ps: come al solito, questo è il mio profilo Twitter se qualcuno volesse trollarmi ogni tanto :3

Trollin

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