Awake di LyndaWeasley (/viewuser.php?uid=76899)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mai giudicare un libro dalla copertina ***
Capitolo 2: *** Intolleranze ***
Capitolo 3: *** L'errore del Sentenziatore ***
Capitolo 4: *** Proprio come Harry Potter ***
Capitolo 5: *** Svisti e imprevisti ***
Capitolo 6: *** Una No-ia al Museo ***
Capitolo 7: *** Doccia scozzese ***
Capitolo 1 *** Mai giudicare un libro dalla copertina ***
Dedico
questa storia a tutti gli amanti degli Warblers,
perché loro sono ON.
And remember:
Once
Warbler, always Warbler ♥
*lancia
granite*
AWAKE
Capitolo
I.
Mai giudicare un libro dalla
copertina
Thad
fissava la bacheca con occhi adoranti in stile cartoon.
Era
bello come alcuni avvisi affissi dagli insegnanti riuscivano a tirare
su il morale di uno studente, soprattutto se uno di quelli recitava :
“Il
giorno 13 settembre l’Accademia rimarrà chiusa per
disinfestazione”. Accadeva
di rado, ma era pur sempre qualcosa.
Lo
sguardo di Thad si spostò un po’ più in
basso, su un post-it verde acido
era stato appiccicato sopra al regolamento scolastico generale.
Jacob ce l’ha piccolo.
Jacob
era il bidello più rompipalle che una scuola potesse avere,
ma
nonostante tutto a Thad dispiacque leggere di
quell’umiliazione pubblica: così,
con un sorriso ebete e l’aria un po’ incerta,
strappò via il biglietto e lo
gettò nel cestino accanto. Forse era un po’
mattacchione, ma rispettava le
persone, anche se queste si chiamavano Jacob ed erano bidelli odiosi.
Subito
dopo la sua attenzione venne catturata da un altro post-it –
questa
volta arancione fluorescente – che recitava: Messaggio
per i novellini: cambiate scuola finché siete in tempo, qua
non cambiano mai la carta igienica nei bagni.
Thad
scoppiò a ridere, attirando l’attenzione di alcuni
passanti. Beh,
quello non l’avrebbe tolto di certo! Era dementissimo... e
per di più anche
vero.
Scosse
la testa, ancora sghignazzando per la frase appena letta, quando la
sua attenzione venne catturata nuovamente da
un altro messaggio: in questo caso non era scritto su un foglietto,
bensì era
inciso sulla superficie di sughero della bacheca. C’era
scritto in caratteri
cubitali: Thad Harwood puzza.
Ma
co-? Come si permettevano!? Chiunque fosse stato meritava come minimo
un
calcio dove non batte il sole; aggrottò la fronte,
infuriato, e sfregò sul pannello
di legno come se cercasse di togliere quella scritta, ma
l’unica cosa che
ottenne erano delle schegge infilzate nelle dita.
Imprecò
sonoramente, per poi rovistare nel cestino della spazzatura ed
estrarne il fogliettino gettato pochi minuti prima: lo
appiccicò sopra la
scritta accusatoria rivolta a lui, che venne coperta da
“Jacob ce l’ha
piccolo”.
Mi dispiace, Jacob, pensò, ma già la mia reputazione qui a scuola
è
pari ad una mosca in tutto l’universo. La tua non rischia,
è già sotto terra.
Sentendosi
un po’ in colpa per quel gesto, girò i tacchi e
fece per
dirigersi verso il dormitorio, quando una voce lo richiamò.
«Thad!
Ehi, Thad!».
Un
ragazzo panciuto lo raggiunse in men che non si dica, illuminandosi con
un sorriso. «Ti
ho cercato dappertutto, dov’eri?».
Thad
sorrise. «Ciao, Trent. Sono sempre stato qua,
perché?».
«Ma
come? Non ti ricordi?» gli chiese Trent, gli occhi
leggermente sbarrati
per la sorpresa.
Il
ragazzo aggrottò la fronte. «Ahem... no».
«Ma
dai! Non facciamo altro che parlarne da settimane!» esplose
l’amico.
Fu
come se un fulmine colpisse Thad. Si batté pesantemente una
mano sulla
fronte. «Oh, cacchio! Oggi è il compleanno di Flint! Diamine, come
ho fatto a dimenticarmene? E’ che
sono troppo presto da questi ultimi compiti. Cavolo, e adesso? Ce
l’avrà a
morte con me perché stamattina non gli ho nemmeno fatto gli
auguri!».
Trent
lo fissò accigliato. «Thad, il compleanno di Flint
è stato la
settimana scorsa».
Se
possibile, Thad sprofondò ancor di più
nell’abisso, vergognandosi come
mai in vita sua. Addirittura più di quella volta in cui, per
una scommessa, era
entrato in un negozio di orologi per chiedere l’ora.
«Oh...
questo significa che ho fatto una misera figura, vero?».
«Io
direi pure di merda» lo corresse Trent, sghignazzando.
«Comunque ora,
nell’aula canto, si sta per esibire quello nuovo.
Cioè, quello forse nuovo. Sai
come sono fatti Wes e
David! Vogliono prima fare una specie di provino e vedere come se la
cava di
fronte a tutti e se agli altri Warblers può piacere. Ho
sentito che questo qui
è bravetto, comunque».
Thad
si era completamente
dimenticato di quel provino. Con tutte quelle cose che erano accadute
durante
la settimana appena passata – tra cui il fatto che gli fosse
piovuto in camera perché quelli di sopra
avevano lasciato il rubinetto della vasca da bagno aperto... due volte
–, era
passato in ultimo piano. Non era così grave, no?
Tuttavia
non era necessario che Trent lo sapesse.
«Ah,
ero convinto fosse questo pomeriggio» mentì,
deglutendo. «Lo
conosciamo?».
Trent
scosse il capo. «Io no» disse. «Nick mi
ha detto che frequenta il
corso di Storia assieme a lui e Jeff, ma che non si sono mai rivolti la
parola».
Chissà
come sarebbe stato avere un altro Warbler nel gruppo. Thad non
riusciva ad immaginare qualcuno che sostituisse Blaine, ma
d’altronde ormai lui
se n’era andato e loro avevano bisogno di una voce in
più. Diciamo che quello
non era un vero e proprio ‘rimpiazzo’, ma solo un
arrangiamento.
Improvvisamente
Trent spostò lo sguardo sulla bacheca.
«Oh,
lo hanno già tolto. Lo immaginavo»
sogghignò.
«Che
cosa?».
«Avevo
scritto-» ma s’interruppe di colpo. «Ah,
no, eccolo!» disse
indicando il post-it in basso a destra. Jacob
ce l’ha piccolo.
Thad
spostò lo sguardo dal post all’amico,
dall’amico al post.
«Ma...
sei stato tu!» rise, indicandolo. «Non ci posso
credere, è una cosa
meschina!».
«Non
quanto lui!» si giustificò.
«E’ un pazzo... io sono buono e caro, ma
non vedo l’ora che lo licenzino, sul serio. E ora andiamo, o
faremo tardi!».
L’aula
canto pullulava di studenti: c’era anche qualche
‘sconosciuto’ qua e
là, probabilmente erano amici del ragazzo che si sarebbe
presentato al provino.
Thad riconobbe anche qualche suo compagno di corso che però
non aveva niente a
che fare con il coro. Evidentemente la voce del provino
aveva viaggiato velocemente in tutta
la scuola e i più curiosi erano accorsi ad assistere.
D’altronde
era una specie di evento importante. Forse da quel giorno in
poi, gli Warblers avrebbero avuto un voce in più che non
fosse Blaine.
«Trent,
dimmi la verità» disse Thad senza preavviso.
«Mh?».
«Hai
inciso tu sulla bacheca “Thad Harwood
puzza”?».
Il
ragazzo si voltò verso Thad con un sopracciglio alzato e si
rivolse a
lui in tono offeso. «Per chi mi hai preso?».
«Beh,
per uno che appiccica foglietti in cui informa l’intera
scuola che il
bidello non è ben piazzato!» rispose.
«Shhh!»
lo riprese Trent, poggiandogli una mano sulla bocca, quando
notò
che alcuni ragazzi lì vicino si erano voltati a causa del
volume fin troppo
alto della voce di Thad. «Lo sanno in pochi, okay? Comunque
no, non sono stato
io».
Meglio per te,
vecchio mio, pensò Thad. Non che lo avrebbe
ucciso se fosse stato lui, ma avrebbe di
certo trovato il modo per vendicarsi.
Thad
spintonò via alcuni ragazzi che lo stavano ostacolando
nell’attraversata della sala, per poi raggiungere il suo
gruppo di compagni: a
giudicare dalle loro facce... no, non c’era niente da
giudicare. Non riusciva a
comprendere se fossero contenti del fatto che di lì a poco
ci sarebbe stato un
provino di ammissione – cosa che non accadeva da molto tempo
– o se fossero in
disaccordo... o se non gliene fregava assolutamente niente. Vide Flint ridere con
gli altri, e si chiese se si fosse
offeso del fatto che si era dimenticato il suo compleanno.
Notò
Wes e David che confabulavano in un angolo, come al solito. Il primo
era passato all’Accademia per un saluto ai suo ex compagni,
prima di buttarsi
completamente nello stile di vita universitario; a Thad mancava un
sacco,
davvero. I corsi erano iniziati da poche settimane e già
loro sentivano la sua
mancanza come non mai. Soprattutto David, con il quale aveva un
rapporto
decisamente più stretto rispetto agli altri.
Già
che c’era, gli avevano chiesto se gli avrebbe fatto piacere
presenziare
al provino e a dare la sua approvazione: ovviamente non aveva
rifiutato. Era
nel suo carattere da ‘comandante’.
«Stanno
decidendo in che modo spaventare il novellino, cosicché
rimarremo
per sempre perseguitati solo dall’ombra di Blaine?»
azzardò Thad indicando i
due ragazzi.
Jeff
arricciò l’angolo della bocca. «Visti da
questa prospettiva sembra che
stiano pomiciando»
«Anche
da qua» commentò Flint,
inclinando la testa leggermente.
«Se
sposto la testa un po’, lo sembra anche da qui»
aggiunse Trent.
«Che
stiano pomiciando davvero? Thad, vai a vedere».
Thad
roteò gli occhi al cielo. Possibile che fossero sempre
così invadenti
e rompipalle?
In
quel momento David voltò lo sguardo verso di loro
– probabilmente si era
sentito osservato e gli stavano fischiando le orecchie – e
corrugò la fronte in
vista dei compagni che li stavano fissando, curiosi. Conscio del fatto
che
ognuno di loro era convinto che provasse qualcosa per Wes, fece
spallucce e
tornò a parlare con l’amico, ormai rassegnato.
«Eddai,
lasciateli in pace» intervenne Nick, sorridendo.
«David è super
etero, ha anche la ragazza!».
«Dicevano
la stessa cosa di mio cugino Mark, e ora è sposato con il
suo
giardiniere!» azzardò Richard.
Anche Thad sorrise e poco
dopo si
ritrovò accasciato sulla poltrona accanto a Jeff. Era
curioso di vedere come se
la sarebbe cavata quello nuovo, ma nel contempo non vedeva
l’ora di tornare nel
dormitorio a farsi una lunghissima doccia ristoratrice. E poi doveva
finire
anche i compiti di Algebra, o avrebbe preso l’ennesimo brutto
voto.
Si
stava quasi per appisolare, quando la voce di Trent lo fece tornare
alla
realtà.
«E’
quello?».
«No,
quello lì a sinistra» lo corresse Nick.
«Eh,
quello con i capelli biondi».
«No!
Quello che sta camminando verso Wes...».
«Ce
ne sono due che stanno camminando verso Wes!»
brontolò Trent.
«Quello
con i capelli sul castano... marroncino... quasi
biondo».
«Nick,
se avessi tra le mani una spranga te la sbatterei sulla
fronte!».
Thad
scoppiò a ridere, seguito a ruota dagli altri. «Ma
dici quello con quintali
di pece sui capelli?».
«Sì,
quello che si è appena grattato il pacco» disse
infine Nick, con un
sospiro.
«Quello
che dicevo io! Quello biondo!» ululò Trent.
«Ma
non è biondo!».
«Ragazzi,
avete rotto le palle!»
esplose Jeff, leggermente intontito da tutto quel confabulare.
Ci
fu un attimo di silenzio poi risero, catturando l’attenzione
di tutti,
perfino del diretto interessato – il quasi
nuovo Warbler: Thad si accorse che li stava fissando con uno
sguardo
perplesso, come per dire “e io dovrei far parte di quel
gruppo di
squilibrati?”. E non aveva tutti i torti, sinceramente. O
magari era uno
squilibrato anche lui e stava analizzando i suoi simili.
Era
ancora perso nei suoi pensieri
e
neppure si era accorto del fatto che il ragazzo avesse spostato lo
sguardo su
di lui. Lo
fissò per un millesimo di
secondo, cercando di capire che tipo di persona fosse: a Thad piaceva
fare
quella specie di giochetto, guardare qualcuno negli occhi per cercare
di vedere qualcosa, di capirne
l’essenza.
La maggior parte delle volte ci riusciva, a parte in
un’occasione tempo
addietro, quando aveva conosciuto Nick... al primo sguardo aveva
pensato che
fosse la persona più gay e nerd del mondo, ma aveva
sbagliato completamente su
entrambi i campi.
Distolse
lo sguardo dal ragazzo facendo finta di nulla, per poi realizzare
di non essere riuscito nel suo intento: a prima vista gli era sembrato
una persona quasi... timida. Ma non
ne era del tutto sicuro.
«Sembra
coccolo» commentò Jeff, facendo spallucce.
Nick
scosse la testa. «Non ci scommetterei» disse
solamente, attirando a sé
gli sguardi curiosi dei compagni.
Però
sì, aveva la faccia simpatica, secondo Thad.
Qualche
istante dopo il ragazzo raggiunse il centro della sala, dove i
compagni strumentisti lo attendevano per cominciare il provino: Thad
non aveva
idea di cosa avrebbe cantato, ma sperava non fosse una canzone noiosa o
deprimente. Già stava facendo scendere tutti i santi
perché era costretto a
stare lì, mentre il suo cervello e le sue gambe optavano per
tornare in
dormitorio.
«Sebastian»
disse la voce di Wes, «puoi cominciare».
Sebastian
rivolse un sorriso smagliante a tutti e con un cenno fece
intendere di essere pronto: gli strumentisti cominciarono a suonare e a
Thad
prese un infarto.
Quella
musica...
Il
ragazzo cominciò a cantare e ci fu un mormorio di
approvazione in tutta
la sala: aveva una bella voce – non particolare, come quella
di Nick, ad
esempio – ma era piacevole e intonata. E se la stava cavando
benissimo,
rendendo davvero giustizia agli artisti originali.
Thad
deglutì così forte che Jeff, accanto a lui, si
voltò per dargli una
piccola spintarella.
«Forte,
eh?» sorrise.
Sì,
forte, fin troppo.
Quella era la
canzone preferita di Thad da sempre. E quel Sebastian la
stava interpretando nel migliore dei modi.
Tra i trilioni di canzoni che esistevano al mondo, lui era riuscito ad
azzeccare quella che più faceva battere il cuore a Thad
tanto era bella.
In
base a quanto il cervello di Thad riusciva a captare, quel ragazzo era
davvero capace di stare al centro dell’attenzione: alcuni tra
gli Warblers,
quando fecero avevano fatto il provino per entrare a far parte del
gruppo,
avevano un po’ lasciato a desiderare a causa
dell’agitazione, ma lui sembrava
davvero adatto per un pubblico.
Si
voltò verso Wes e David e notò che annuivano
involontariamente entrambi.
Ciò significava che Sebastian sarebbe stato accolto a
braccia aperte nel
gruppo.
Sarebbe
stato strano, Thad già lo sapeva, però suppose
che era tutta
questione di abitudine. Poi meglio uno in più che uno in
meno, no?
Quando
gli strumentisti suonarono l’ultima nota di “What about now” degli Westlife,
tutti applaudirono, ammirati.
Perfino Sebastian concedette un piccolo applauso a se stesso.
Tutti
gli Warblers si alzarono e lo raggiunsero per complimentarsi e David
se ne uscì con un “ti
faremo sapere”,
anche se praticamente era già nel gruppo. Era giusto per
dare un po’ più di
ufficialità alla cosa, lui e Wes erano fatti così.
Thad
raggiunse gli altri e si complimentò anche lui con
Sebastian, che gli
sorrise.
«Sei
stato forte!» si congratulò Trent, stingendogli la
mano.
«Grazie,
sarebbe un onore per me esibirmi con voi» rispose Sebastian,
ampliando ancora il suo sorriso – per quanto fosse possibile.
Thad percepì una
strana sensazione e non riusciva a spiegarselo: tutti lo prendevano
sempre in
giro per questo, ma la maggior parte delle volte aveva ragione. Era
come se tutto quello, il provino,
la riunione, i
sorrisi, le battute, Sebastian... fossero
la più grande farsa mai messa in scena.
Perché
avrebbe dovuto pensarlo? Non c’era niente a suggerirglielo,
se non
quella stupida sensazione.
«Thad,
che hai?» lo sorprese Nick, leggermente preoccupato.
Thad
si accorse che, perso nei pensieri, aveva corrugato la fronte talmente
tanto che ora gli pizzicava. E doveva avere anche una faccia da ebete
proprio
in quel momento. «Oh, no, niente! Stavo guardando... le
scarpe di Sebastian. Mi
piacciono» mentì.
Sebastian
inarcò elegantemente
un
sopracciglio. «Sono identiche alle tue».
«Lo
so» deglutì l’altro, «per
questo sono belle».
Jeff
gli lanciò un’occhiata indecifrabile e
così fecero gli altri compagni,
per poi scoppiare a ridere. Anche Thad accennò un sorriso
imbarazzato.
«Ora
devo andare» li informò Sebastian. «Devo
prepararmi per il test di
domani... E’ stato un piacere cantare per voi!».
Tutti
annuirono e si congratularono ancora con lui, mentre si voltava per
andarsene.
E
Thad avrebbe giurato su tutta la sua collezione di bustine di zucchero
di
aver visto un ghigno malefico attraversare il volto di Sebastian prima
che
uscisse dalla stanza. Qualcosa glielo suggerì nella sua
testa: sì, quella era la
più grande farsa a cui
avesse mai assistito, più di quella volta in cui
sua madre si era finta sua
nonna per entrare al cinema con gli sconti per anziani.
To
be continued...
Angolo Me.
Tadàààààààà!
Buonasera!
Come avrete ben capito dagli avvertimenti – e se non
l’avevate
capito... .__. – questo è il primo capitolo della
mia Long Fiction sugli
Warblers, ambientata durante la terza stagione di Glee.
Avevo in mente una valanga di cose da dire, di
anticipazioni, di avvertimenti, ma ora non me ne viene in mente
nessuna, ed è
tutta colpa di un video Niff che sto continuando a vedere/piangere da
circa un’ora
e mezza.
Comunque non temete: qua Sebastian è stato fin troppo
carino. E io non faccio mai
Sebastian
puccioso *risata diabolica*
Questa storia non sarà basata solo su Sebastian/Thad, ma
anche su altre ship che ultimamente mi uccidono le cervella. Ah, e se
state
pensando “che palle! Un’altra Sebastian/Thad... ora
spuntano come funghi”, beh
in questo caso dovete sapere che lo ship per questa coppia è
partito da me e dalla mia collega Somo,
ecco... prima
non ce n’era manco l’ombra. Insomma, a chi poteva
venire in mente di associare
due personaggi che non hanno un briciolo di contatto nel telefilm? A
me, e per
un motivo che ho già spiegato nella mia prima Seb/Thad u.u
Stessa cosa per le Niff, comunque .-. prima non le cagava
nessuno, e ora... xD
Ma evito di esprimermi, purtroppo di questi tempi
l’originalità
è molto rara.
Aaaaaaanyway,
spero davvero che il capitolo vi sia
piaciuto e che continuerete a seguirmi *w* Ovviamente nella storia
inserirò
TUTTI gli Warblers, non saranno sempre gli stessi al centro
dell’attenzione! Spero
di renderla una cosa piuttosto interessante e spero che voi mi
aiuterete nell’impresa
(:
E
ci terrei a ribadire che io ho amato fin dall’inizio,
amo tuttora e amerò sempre Sebastian ;_; L’ho
amato quando nessuno ancora lo
conosceva ♥
Beh,
ora vi lascio in pace! Approfondirò altri vostri
dubbi nelle risposte alle recensioni e nel prossimo capitolo.
Grazie
in anticipo a chi lascerà un parere ** (ancora non
sono una cannibale)
Lin ♪
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Intolleranze ***
Lo so che potrebbe sembrare una cosa
completamente idiota (e forse lo è), ma questo capitolo
volevo dedicarlo a Curt Mega,
semplicemente
perché le sue parole mi
risollevano sempre il morale.
Perché
svegliarsi alla mattina e leggere
ciò
che scrive, mi riempie il cuore
*vomita
arcobaleni e fluff*
Anche
se non lo leggerà mai (meglio così!).
Ma conta il pensiero, giusto?
Capitolo
2.
Intolleranze
Erano
entrambi sdraiati sul letto a pancia in giù, gli sguardi
fissi l’uno nell’altro
e la testa poggiata a peso morto sulle mani.
Gli
occhi di Jeff vantavano un colore talmente
strano che Thad ci si perse per qualche istante:
ovviamente non si era
mai soffermato ad osservarli – non ne aveva mai avuto
motivo – ma in quel momento
i loro sguardi sembravano attratti
come calamite e non poté fare a meno di notarlo.
Sentiva
un fastidioso brusio attorno a loro e la cosa lo
infastidiva un po’. Ma... non poteva
voltarsi. Non poteva fare niente. Proprio non era
il momento più adatto.
«Chi
vuole un muffin al lampone? Li ha fatti mia sorella, quindi vi avverto
che
potrebbero essere letali... però hanno un aspetto
invitante» ruppe il silenzio
Richard.
Thad
deglutì, trattenendo a stento una risata.
Non...
«Tutto
apposto! Sono ottimi!» continuò Richard qualche
secondo dopo con la bocca
piena, dall’altra parte della stanza.
«Però credo ci abbia messo delle bacche
da giardino sopra... questi cosi non sanno affatto di lampone. Oh no...
credo
sia concime»
E
Thad scoppiò a ridere, sputacchiando da tutte le parti.
Ecco,
ora ci mancava anche questa. Ma non poteva tirar fuori
l’inutile argomento
sorella-muffin più tardi? Il biondino rompipalle lo avrebbe
preso in giro a
vita per quella perdita.
«Ah!»
saltò su Jeff, facendo un balzo e
mettendosi in ginocchio sul letto. «Ho vinto io! Di nuovo!
Non mi batterai mai
a Sguardo Magnetico, Thad Harwood!».
«Sguardo
Magnetico?» ripeté
quest’ultimo, aggrottando la fronte. «Questo
giochetto
ha un nome? Comunque non è giusto! Richard, la prossima
volta te li ficco negli
occhi quei cavolo di muffin!».
Thad
era sicuro che Richard non l’avesse fatto apposta: lui era
così, un ragazzo
imprevedibile e davvero fuori dal mondo. Lo aveva capito subito la
prima volta
che si erano incontrati, come aveva capito che sarebbe stato comunque
un buon
amico. Però, ecco, ogni tanto dava l’impressione
di essere davvero fuori dalle
righe.
E lì
dentro, tra quelle mura, lui, Thad, aveva bisogno di amici. A parte gli
Warblers non aveva nessun altro, perché nessuno aveva mai
capito appieno che
persona fosse: o era forse lui che non era riuscito ad esprimere il
meglio di
se stesso? Fatto sta che le uniche persone su cui poteva contare erano
i suoi
compagni di coro.
Talvolta
però sentiva distanti anche loro, come
se non dessero gran importanza alla loro amicizia... però
sapeva che erano solo
pensieri suoi dovuti allo stress, in realtà ognuno
dimostrava la propria
amicizia in modo diverso. Nel vero senso della parola.
«...
e poi gli ha tirato pacco. Penso che lui
avrebbe preferito che questo avvenisse figurativamente,
capite?» stava dicendo
Richard, sogghignando e scuotendo la testa. Poi, quando si accorse che
tutti i
presenti lo stavano fissando accigliati, aggiunse:
«”Tirare pacco”... tirare
il pacco! Lui è un uomo... ha il pacco...
Dai, ragazzi, non potete
essere così privi di senso
dell’umorismo!».
«Richard,
sei un idiota» se ne uscì Jeff, lanciandosi sulla
poltrona accanto a Nick e continuando
a canticchiare un motivetto che aveva a che fare con “sono il
re di Sguardo
Magnetico”.
«Non
posso distrarmi un attimo che parlate già di
zozzerie» disse Thad. «Solo voi
riuscite a trasferire l’argomento dai muffin ai cazzi. Siete
incredibili».
Ed
era vero, delle volte da una cosa
apparentemente insignificante, come un porfido, riuscivano a tirare
fuori di
quelle porcate che...
«Vabbè,
io vado a mettermi il pigiama» borbottò Nick con
uno sbadiglio, scrollandosi
Jeff di dosso e dirigendosi strisciando verso il bagno.
«Questa uniforme oggi
mi strozza, non so».
«Sì,
dopo me lo metto pure io» concordò Jeff, tirandosi
leggermente il colletto
della camicia e allentandosi i primi bottoni.
Erano
nella stanza
di Thad, Nick e Jeff quella sera. Avevano deciso di
passarla in modo
tranquillo e pacifico – almeno una volta, insomma!
– e poi Thad aveva promesso
a Nick che lo avrebbe aiutato a studiare Chimica per il test del giorno
dopo: non
era una cima ma se la cavava abbastanza con le formule, così
si era offerto di
aiutarlo. Solo che avrebbe dovuto immaginare che, con Richard e Jeff al
seguito, non sarebbe riuscito a fare più di un quarto
d’ora di lezione. Così
avevano finito per giocare a Risiko, a Taboo e a “Sguardo
Magnetico” – come era
stato battezzato da Jeff.
Nick
tornò dal bagno qualche minuto dopo, con
un orribile pigiama a righe rosse e marroni, che lo faceva sembrare un
carcerato moderno. A quanto pareva non era l’unico a
pensarlo, perché Richard
accennò ad un sorriso ebete.
Nel
giro di dieci minuti, erano tutti in
pigiama – uno più orrido dell’altro,
stando al parere di Thad. Aveva come
l’impressione che, se fosse entrato qualcuno, avrebbe
certamente frainteso la
situazione che si era creata in quel dormitorio: se prima sembravano un
“gruppo
di studio” – seguito subito dopo degenerato
in un “gruppo di deficienti” –, ora era
come se fossero nel bel mezzo di un
pigiama party. E un pigiama party con soli uomini non era una cosa
molto etero.
Sogghignò
tra sé e sé.
D’un
tratto sentì un rumore che proveniva dalla finestra aperta.
«Avete
sentito anche voi?» bisbigliò Thad.
«Sì...
cos’era?» domandò sottovoce Jeff,
guardandosi intorno.
«Non
ne ho idea. Andiamo a controllare?».
«Perché
state tutti parlando sottovoce?» disse Richard mantenendo un
tono normale,
alzandosi in piedi e dirigendosi verso la finestra. «Siete
tutti dei cacasotto!
T’oh, venite pure a vedere, qui non c’è
niente».
Era
in piedi di fronte alla finestra e stava
indicando l’oscurità all’esterno: non
seppe perché, ma a Thad venne in mente la
scena di un film Horror in cui “l’eroe di
turno”, per fare il figo, si era
avvicinato ad una porta per cercare di rassicurare gli altri e, improvvisamente,
era stato trucidato.
Rabbrividì. Per un attimo sentì il bisogno di
urlare a Richard di scappare, di mettersi
in salvo, ma poi si rese conto che sarebbe sembrato patetico. E poi
loro erano
alla Dalton, non in un film Horror.
«Anzi
no, vedo qualcosa...» aggiunse poi Richard, assottigliando lo
sguardo. «... è
la tua ragazza, Nick! Sta proprio qua sotto... Ciao, Sally!».
Nick
quasi si strozzò con la manciata di caramelle che si era
ficcato in bocca un
attimo prima: si alzò dalla poltrona – ignorando
le proteste di Jeff per
avergli calpestato un mignolo – e si affacciò alla
finestra accanto all’amico.
Okay,
tutta quella situazione era assurda. Che ci faceva Sally fuori
dall’Accademia
alle undici di sera? Era per caso impazzita?
«Sally!»
tentò di urlare Nick, cercando di non
fare troppo baccano: gli risultò alquanto difficile, dato
che c’erano più o
meno sei metri di altezza a separarli. «Che ci fai qui?
E’ tardi!».
La
ragazza di sotto lo salutò animatamente con la mano,
sorridendo e facendo
oscillare la coda scura. «Non è mai tardi per
salutare il proprio amore!».
Richard
si lasciò trasportare in una perfida imitazione
di Cupido rivolta a Jeff, il quale finse di vomitare e svenire. Thad
aggrottò
la fronte: già era del parere che Sally fosse completamente
con le rotelle
fuori posto, ora pensava che fosse proprio pazza. Osservò
con attenzione Nick e
notò che non era del tutto a proprio agio: stava strusciando
i piedi l’uno
contro l’altro e lanciava loro delle occhiate incerte di
tanto in tanto. Erano
una coppietta tanto carina – lui intelligente e lei cretina
– però non era
convinto fossero fatti l’uno per l’altra.
E
questo Nick lo sapeva perché Thad era stato sincero con lui
fin dall’inizio, da
quando aveva portato la ragazza alla Dalton per la prima volta, tre
mesi prima.
«Come
sei dolce!» le disse. «Ma ora torna a casa!
E’ pericoloso stare fuori a
quest’ora!».
«Sì,
amore mio!» gridò lei senza alcun ritegno
e lanciandogli un bacio. «Ci vediamo
presto!».
E
scomparve al di là dei cespugli.
Nick
si voltò verso i compagni, frizionandosi i capelli con una
mano: si accasciò di
nuovo sulla poltrona e chiuse gli occhi.
«E’
proprio cotta di te, eh?» intervenne Thad, sghignazzando.
«Già»
rispose lui. «E io di lei... ma delle volte esagera, mi fa
preoccupare».
L’argomento
“Sally” si concluse dopo
quell’ultima frase, dato che – secondo Thad
– tutti la pensavano come lui, e forse
non era il caso di ricordarglielo a Nick. Tuttavia lui rimase serio e
pensieroso per tutto il resto della serata, fino a quando non andarono
a
dormire.
Sembravano
passate ore da quando Richard aveva
lasciato il dormitorio e da quando la stanchezza li aveva colti
all’improvviso,
ma nel momento in cui Thad si svegliò e gettò una
fugace occhiata alla sveglia,
realizzò che erano appena le due e mezza: ciò
significava che aveva dormito... mezz'ora.
Cazzo.
Lasciò
da parte le imprecazioni e si ricordò il motivo per cui si
era svegliato: un
rumore. Un rumore proveniente dal corridoio. Maledì con
tutto se stesso
chiunque o qualunque cosa lo avesse svegliato.
Si
mise a sedere e accese la luce: in quel momento anche Jeff e Nick si
svegliarono, rivolgendogli occhiatacce sullo zombie andante.
«C-che
succede?» brontolò Jeff sbadigliando.
«Non
avete sentito?» mormorò lui, sfilandosi le coperte
e raggiungendo in punta di
piedi la porta, per poi appoggiare un orecchio sulla superficie.
«Quei rumori».
«La
smetti di sentire rumori? Magari è solo una mosca che sbatte
contro il muro»
disse Nick intontito dal sonno, ricoprendosi con le coperte fin sopra
la testa.
«No...»
disse Thad sottovoce, intimandogli di fare silenzio.
Ora i
rumori non c’erano più. Era come se qualcuno si
stesse trascinando pesantemente
da una parte all’altra del corridoio, non ricordandosi
evidentemente che era
notte fonda e che la gente aveva voglia di dormire.
Ma
lui era sicuro di averli sentiti. Mandò a farsi fottere la
sua maledetta
curiosità e aprì piano la porta, cercando di non
fare rumore.
Il
corridoio era illuminato solamente in parte
dalla luce che proveniva dalla sua stanza ma, nonostante tutto,
riuscì a vedere
la sagoma di una figura a pochi passi da lui. Con il cuore che batteva
a mille,
prese un ombrello dal porta ombrelli accanto a lui e lo
impugnò come se fosse
un’arma. Deglutì: se fosse stato un professore,
era in guai seri.
Tutto
questo accadde in una frazione di secondo e, non appena la luce
illuminò uno
sprazzo di corridoio, la figura si voltò, scoprendo il volto
di un ragazzo.
Thad
sospirò, socchiudendo gli occhi. E imprecando.
«Si-può-sapere-cosa-ci-fai-a-quest’ora-in-giro-per-i-corridoi-porca-di-quella-vacca?»
scandì bene lui, cercando di trattenersi dal saltargli
addosso e strangolarlo.
Nel
frattempo Nick e Jeff lo raggiunsero e si affacciarono alla porta.
«Cercavo
il gabinetto» disse tranquillamente Sebastian.
«Ci
hai fatto prendere un colpo! E poi che
cazzo dici, ogni camera ha un cesso privato!»
saltò su Thad, sbattendo involontariamente
l’ombrello contro lo stipite della porta. Non gli importava
un fico secco di
essere sgarbato, quel Sebastian aveva appena interrotto uno dei sogni
più
realistici e belli che avesse mai fatto e
non meritava certo comprensione.
«Dato
che non ero nella mia camera
cercavo il bagno in corridoio» rispose semplicemente
Sebastian, accennando ad un sorriso.
Thad
prese a fissarlo: in quel momento lo
stava davvero odiando per averlo svegliato per una cosa così
stupida. Già aveva
ore di sonno arretrate – che avrebbe potuto recuperare non
andando al provino,
quella mattina – e ora ci si metteva pure lui a fare le
scappatelle notturne.
Notò che senza l’uniforme della Dalton, sembrava
ancora più magro.
«Terra
chiama Thad, passo» disse Jeff, accanto a lui.
«Continui ad imbambolarti come
un pirla».
«No...
mi piace il suo pigiama». Ma co-
«Se
vuoi ti do l’indirizzo di dove vado a
comprare i vestiti e le scarpe, così ci
fai un salto, eh?».
«Grazie»
rispose stupidamente Thad, rendendosi conto di aver appena detto una
cazzata
colossale. Di nuovo.
Sebastian
rispose con un sorriso sghembo, mantenendo comunque un’aria
pacata.
«Qualcuno
mi spiega perché stiamo cazzeggiando sulla porta a
quest’ora della notte?»
intervenne Nick, con la frangia che gli copriva quasi completamente gli
occhi
assonnati e con la schiena curva.
Già,
bella domanda. Thad aveva talmente tanto sonno, che stava cominciando a
vedere
un Sebastian con quattro occhi, due bocche e due nasi... e la cosa era
piuttosto inquietante. La tentazione di sbattergli la porta in faccia
era
talmente forte che dovette richiamare a sé tutte le sue
forze per non farlo.
Avrebbe
anche voluto dirgliene quattro per averlo svegliato a notte fonda, ma
si
sentiva talmente stanco che non gli uscirono nemmeno le parole.
«Vi
va una tazza di cappuccino?» se ne uscì
improvvisamente Sebastian,
interrompendo quel lungo silenzio imbarazzante che si stava creando.
«Ma...
siamo in piena notte!» esclamò Thad con uno
sbadiglio.
«E
allora?» disse l’altro, accennando un sorriso.
«Non è mai tardi per un
cappuccino».
«No,
infatti è troppo presto... sono quasi le tre, non
è neanche l’alba» replicò
Thad.
Sebastian
fece spallucce.
«Io
ci sto!» disse Jeff. Prese una felpa e raggiunse Sebastian
nel corridoio. «Dai,
venite anche voi!».
Nick,
per tutta risposta, alzò dolcemente il
dito medio per poi voltarsi e lanciarsi di peso sul letto: Thad avrebbe
giurato
che si fosse addormentato giusto un momento prima di cadere sul letto.
In
quanto a lui, non aveva la benché minima voglia di
girovagare per l’Accademia
alla ricerca di un cappuccio a quell’ora della notte. E poi
aveva quelle
fottutissime ore di sonno da recuperare.
«Thad?».
«No,
grazie» rispose lui, facendo un cenno con la mano.
«Ho sonno».
«Come
vuoi! Non aspettarmi alzato» lo salutò Jeff,
seguendo Sebastian verso l’ignoto.
«Non
avevo alcuna intenzione di farlo, sinceramente».
E
imitò Nick, lanciandosi a braccia aperte sul letto e
addormentandosi
all’istante.
Quando
la mattina dopo si svegliò, Jeff non era ancora tornato.
Thad
non era molto sicuro di volersi alzare:
stava così bene accoccolato al suo piumone azzurro, che
quasi gli faceva
tristezza il fatto di dover affrontare una nuova giornata
all’insegna di
lezioni, compiti e prove.
Con
molta fatica si tirò a sedere, accecato
dai raggi luminosi che penetravano dalla finestra. In quel momento Nick
uscì
dal bagno, asciugandosi i capelli con un asciugamano: si
guardò intorno,
dubbioso.
«Ma
Jeff?» domandò.
Thad intanto stava
facendo una battaglia con le sue palpebre,
che non ne volevano sapere di restare aperte.
«N-non
lo so» borbottò. «Evidentemente la
colazione è durata più del previsto».
«Eh?».
«Stanotte
è andato con un cappuccino a farsi
Sebastian, non so» replicò Thad. Perché
doveva fargli delle domande così
difficili a quell’ora del mattino?
«A
fare cosa?».
«Eh?».
«Hai
appena detto che Jeff è andato con un
cappuccino a farsi Sebastian! Sei forse impazzito?»
saltò su Nick, non
sapendo se ridere o rimanere esterrefatto: optò per una via
di mezzo, dato che
gli comparve sul volto un’espressione del tutto assurda.
Thad
richiuse gli occhi – ancora un istante e
sarebbe crollato di nuovo dal sonno – e
tossicchiò. Spiegò ad un Nick quasi
incredulo – che non ricordava affatto di essersi svegliato
qualche ora prima,
causa sonno – quello che era accaduto e il racconto
sembrò lasciarlo un po’
perplesso. Inarcò un sopracciglio, lanciò
l’asciugamano bagnato sul letto e
cominciò a preparare i libri da portare a lezione.
In
quel momento Jeff entrò nella stanza, Thad non seppe se
essere sollevato dal
fatto che lui era vivo e vegeto, o se prendere uno spavento per le
ombre scure
che contornavano i suoi occhi. C’era da dire che durante la
notte – dopo che il
suo magnifico sogno era stato infranto da quei rumori –,
aveva sognato che
Sebastian fosse un licantropo, quindi le sue preoccupazioni per il
biondino
erano giustificabili.
«Che...
sonno» borbottò Jeff, dirigendosi con
fare da zombie verso il suo letto.
Nick,
con uno scatto felino, lo bloccò. «Non se ne parla
neanche! Se ti stendi ora,
non ti alzi più!».
«Meglio,
così rimarrò per tutta la vita
sdraiato a dormire. Ahhh!».
«Pensa
che dopo dovremmo fare altri provini
per sostituirti negli Warblers» lo rimproverò
bonariamente Nick.
«Ma
io ho sonno».
«Potevi
evitare di fare baldoria tutta la notte!» disse il moro,
cercando di non ridere
alla faccia ebete di Jeff. «Ora vai in bagno e fatti una
doccia, così ti svegli
almeno un po’. E vedi di non affogare!».
Jeff
acconsentì con un cenno debole della testa e si chiuse in
bagno.
«E se
dovesse scivolare e battere la testa?» domandò
Nick, preoccupato.
«Vai
a controllare» disse Thad, cercando di alzarsi.
«Non
ci penso nemmeno! Vacci tu!».
«Senti,
sto cercando di impiegare tutte le mie forze per non barcollare ad ogni
passo,
non ho proprio il tempo di andare a vedere se sta affogando o s- che
cos’è?»
domandò poi Thad, aggrottando la fronte. Infatti dal bagno
proveniva uno strano
rumore... Thad si chiese se il suo destino fosse quello di sentire
continuamente rumori strani, dato che in quei giorni sembrava stesse
diventando
un hobby.
«Sta
vomitando» sospirò Nick, abbattuto.
«Vado ad aiutarlo».
Jeff...
aveva bevuto? No, non era possibile, non faceva mai queste cose a
scuola. E poi
non era un tipo che amava bere: la faccia con cui era entrato poco
prima nella
stanza non era quella di un ubriaco... magari era semplicemente
influenza o un
virus.
La
questione era semplice: se Sebastian gli aveva fatto qualcosa
– anche solo per
sbaglio –, lo avrebbe ucciso. Forse era davvero un
licantropo, lo aveva portato
nella sua combriccola di animali e lo aveva morso... Ma cosa diavolo
andava a
pensare?
Qualche
minuto dopo, Nick uscì dal bagno, con
la faccia persino più bianca di quella di Jeff.
Thad
non lo aveva mai visto in quelle
condizioni, eccetto quella volta in cui aveva perso
l’orologio di suo padre
giocandolo a Poker. Sapeva che Nick odiava quel genere di cose, odiava
il
vomito e tutto ciò che lo riguardava, ma non pensava fino a
quel punto: ricordò
quella volta in cui si era preso un virus influenzale
e aveva passato ben una settimana in condizioni simili.
Eppure era
entrato in quel bagno per Jeff.
Aveva
perfino la fronte imperlata di sudore, come se si fosse sforzato
insieme a Jeff
per rigurgitare.
E
in quel momento che Thad provò un gran moto
d’affetto per Nick, perché era una delle persone
più buone e tolleranti che
avesse mai avuto l’onore di conoscere: aveva addirittura messo da
parte il suo orrore per il vomito per aiutare un
amico. Non seppe perché, ma cercò di immaginarsi
la scena di lui che
accarezzava la fronte di Jeff con un panno umido mentre cercava di
rassicurarlo, mentre gli diceva che sarebbe passato tutto, proprio come
fanno
le madri con i propri figli.
Si
sentì fiero di essere suo amico.
«Ehi...
tutto a posto?» domandò timidamente Thad.
L’amico
tirò su col naso, sedendosi poi sul letto.
«Quel
deficiente è intollerante al latte»
sospirò. «Per questo motivo la sua anima
è stata riversata nel nostro
gabinetto. Avevamo dei sospetti già da un po’, e
lui è andato a bersi una tazza
intera di caffellatte... si può essere più
scemi?».
«Oh...».
Thad non aveva la minima idea di questa storia. «Ma
è una cosa certa?».
L’altro
scosse la testa. «No, però quando ha cominciato ad
accusare dei disturbi allo
stomaco, ha eliminato il latte alla mattina e i tre quintali di
formaggio che
si mangia per pranzo, e sembrava essergli passato almeno un
po’».
Ora
che ci pensava bene, ricordava che spesso
Jeff si era lamentato di disturbi alla pancia e giù di
lì. Sperò soltanto che
dopo quella vomitata apocalittica – che a giudicare dai
rumori era ancora in
corso – sarebbe stato bene.
Thad
si alzò finalmente dal letto e si diresse
verso il bagno: nemmeno lui amava granché il puzzo di
vomito, ma voleva
risparmiare a Nick una seconda disgustosa scenetta.
Quando
entrò, vide immediatamente Jeff chino sul lavandino dove si
stava lavando le
mani.
Gli
si avvicinò titubante e gli poggiò una mano sulla
spalla. «E’ tutto a posto?».
«Sì,
sto bene» rispose Jeff voltandosi e mostrando tutto il suo
malaticcio splendore
a Thad: aveva gli occhi gonfi di lacrime per lo sforzo e la fronte
tutta
sudata. Faceva un po’ paura, a dire il vero.
«Non
si direbbe...» commentò Thad. «Sembra tu
abbia vomitato anche la cena del
Natale scorso!»
«Sono
incinta, in realtà» disse Jeff, abbandonando la
sua faccia cadaverica per dare
spazio ad un sorriso un po’ tirato.
Anche
Thad sorrise e abbracciò forte l’amico, contento
che si fosse ripreso: giurò su
se stesso che d’ora in avanti avrebbe fatto di tutto per non
permettere a Jeff
di mangiare troppi latticini. Aveva preso un bello spavento.
Sciolse
l’abbraccio e quando si ritrovò a guardare il
compagno negli occhi, si accorse
che la sua espressione era del tutto cambiata.
«Mi
fai paura» commentò Thad aggrottando la fronte.
«Thad»
cominciò lui, deglutendo e fissandosi i piedi. «Ho
davvero bisogno di sapere
che posso fidarmi di te».
Panico
.
Quello
non era un
tono che lui usava spesso
per dire qualcosa. Somigliava vagamente a sua madre quando stava per
improvvisare un discorso sul suo futuro accademico... quindi, per farla
breve,
era un tono abbastanza preoccupante.
«Sai
che non dovresti avere dubbi su questo...» rispose in un
sussurro.
Jeff
sospirò e affondò la faccia nelle mani.
Quando ne riemerse, ci volle qualche secondo prima che sollevasse lo
sguardo,
puntandolo dritto negli occhi di Thad.
«Bene»
disse serio, «perché devo confessarti una cosa che
riguarda Nick».
To be continued...
Angolo Me.
Prima di iniziare a sparare qualunque
cavolata, volevo dire
che non mi aspettavo tutto questo entusiasmo da parte vostra *_*
In tanti avete messo la storia tra i
preferiti e in
tantissimi tra i seguiti! Ancora non ci credo! *_*
Beh, sappiate che sono contentissima
che vi sia piaciuto il
primo capitolo, e spero vivamente che questo vi abbia altrettanto
soddisfatti!
Spero solo che non mi odierete per il finale, LOL.
Diciamo che non accadono vicende
troppo importanti e che
Sebastian sta ancora ‘dietro le sue
quinte’, come dico sempre io: chissà
cosa passa per la mente del bel
fanciullo. Ah, ci tenevo a precisare che lui non sapeva niente della
presunta
intolleranza ai latticini di Jeff xD Giusto per evitare di farvi
pensare che
lui c’entri qualcosa col suo malessere!
Comunque non allarmatevi:
già nel prossimo capitolo le cose
si smuoveranno un po’. Se siete a conoscenza di come tratto
di solito Sebastian
nelle mie fan fiction, sappiate che sarà lo stesso. Qua sembrerebbe più gentile e
pacato.
In questo capitolo ho voluto
descrivere un po’ il clima che
c’è tra gli Warblers, un po’ una cosa
generale. E ci tengo a precisare che
l’intolleranza di Jeff ai latticini non è una cosa
buttata lì a caso; sarà
ripresa più avanti per un motivo ben (tristemente) preciso.
E poi con questa scena ho voluto
marcare l’amicizia (?) tra
Nick e Jeff *________* non sono adorabili? Io li amo. Sempre. Ovunque.
E
comunque ♥
Ah, Richard è un Warbler
che esiste veramente, eh! Per chi
non lo conoscesse è interpretato da John
Hall, ed è quello che in “Uptown
Girl” fa quello strano gesto con il
braccio... e che canta un meraviglioso Mash Up di “Little
Lion Man/Just the way
you are”, che vi consiglio caldamente!
Prima di lasciarvi a fare qualunque
cosa vogliate fare, vi
linko così a caso il mio profilo Twitter, dove trollo nel
tempo libero e ogni
tanto spoilero qualcosuccia!
Cliccate quiiiii
Grazie a chi è arrivato
fino a qui e a chi commenterà *o*
Un Arcobaleno per tutti,
Lin.
Ps: Penso che d’ora in
avanti alle recensioni risponderò nel
capitolo successivo... vedremo :)
|
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Capitolo 3 *** L'errore del Sentenziatore ***
Solita
dedica iniziale:
questa
volta è per Somo e Marzia, perché –
finalmente – dopo
circa due annetti riusciamo
a
passare un weekend cazzeggiando assieme.
E
perché voglio loro un bene immane e non so cosa farei senza
di loro.
Banalità
a fiotti, ma tant’è...
Anyway,
vi dementamo ♥
E
anche ad Elisa, perché mi manca tanto e perché
non riuscirò a
ringraziarla mai abbastanza!
Love
ya, sistah ♥
Capitolo 3.
L’errore
del Sentenziatore
Erano
passati tre giorni da quando Sebastian era diventato un membro
effettivo degli Warblers.
Il
giorno dopo l’audizione, David se n’era uscito con
un “ci serve un’altra
voce dato che Blaine se n’è andato... Sebastian
potrebbe fare al caso nostro”.
Da lì capirono che ormai dovevano rassegnarsi ad avere un
rimpiazzo – per
quanto riguardava la presenza scenica
– al
loro vecchio amico: in fin dei conti Sebastian non era poi
così male, aveva una
bella voce ed era di bella presenza. Il tutto stava nel farci
l’abitudine.
Thad
si rigirò nel letto, ancora assonnato: seriamente, sembrava
una donna
incinta. Aveva sempre sonno, sempre fame e ultimamente non aveva mai
voglia di
fare un tubo. Fortuna che c’erano i suoi amici che lo
trascinavano di qua e di
là altrimenti, fosse stato per lui, avrebbe passato il suo
tempo libero
accoccolato tra le coperte. Mangiando.
Aprì
gli occhi, ritrovandosi praticamente accecato dai raggi di luce che
entravano prepotenti dalla finestra. Guardò di striscio la
sveglia,
fregandosene del fatto ch- perdinci! Erano
le otto e un quarto! Alle otto e mezza avrebbe dovuto avere un compito
estremamente difficile di Algebra, per il quale aveva studiato come un
dannato
il giorno prima. Se solo fosse arrivato anche di un solo minuto in
ritardo, non
se lo sarebbe perdonato. Odiava sforzarsi
per niente.
Saltò
su con uno scatto che gli fece quasi perdere l’equilibrio e
capitombolare giù dal letto e corse a perdifiato in
direzione del bagno, non
preoccupandosi di Nick e Jeff che stavano preparando uno zaino con
tutta la
calma possibile e immaginabile.
Thad
pensò di star battendo un record: se tutto fosse andato come
aveva
calcolato, sarebbe riuscito ad essere pronto in un minuto e mezzo. E
sarebbe
anche riuscito ad arrivare in tempo per il compito e prendere un bel
voto, come
meritava.
Si
accorse di essersi imbambolato e si maledì, lanciando
l’asciugamano
nella doccia e uscendo all’impazzata, ritrovandosi attirando
l'attenzione dei
compagni che lo scrutavano perplessi.
Non
sopportava quando la gente lo fissava come fosse un fenomeno da
baraccone – anche se ogni tanto riusciva perfino a
diventarlo, doveva
ammetterlo –, quindi si limitò a lanciare ai due
amici un’occhiataccia, prima
di buttarsi nel letto a recuperare i calzini.
«Thad...»
cominciò Nick, ma fu subito interrotto.
«Shhh!
Sto cercando di ricordare le ultime formule!».
«Thad...»
ritentò Jeff.
«Shhh!».
Nick
mollò lo zaino a terra e si avvicinò a Thad,
prendendolo saldamente
per le spalle. «Se non ti dai una calmata ti ficco quel
calzino in bocca»
esordì con fare serio continuando a scrollare Thad.
«Si può sapere che cos’è
tutto questo baccano?».
Thad
lo spintonò di lato, scendendo dal letto.
«C’è-il-compito-di-Algebra!
» scandì bene lui, come
impazzito. «Ieri ho studiato tutto il pomeriggio per cercare
di strappare
almeno la sufficienza e spero per te che questo tuo intervento
non comprometta la mia media!».
Nick
e Jeff si guardarono interdetti, rivolgendo poi a Thad
un’occhiata
curiosa.
Infine
Jeff scoppiò a ridere.
«Oggi
è mercoledì» cominciò,
«e c’è la disinfestazione».
«Appunto!
Il mercoledì c’è sempre
Algebra
nelle prime due ore e-» Thad si bloccò.
«Oggi è... il 13?».
«Eh
già» sghignazzò Jeff, non riuscendo a
trattenersi.
«E
siamo... a settembre» continuò l’altro,
ancora pietrificato.
«A
quanto pare» concordarono gli altri due all’unisono.
Thad
imprecò, maledicendo tutto e tutti: come era riuscito a
confondere i
giorni? Il pomeriggio prima lo aveva passato a cercare di inculcarsi
quelle
stupide formule in testa e lo aveva fatto per niente. Ecco
perché gli altri
avevano continuato a lanciargli occhiate curiose per tutto il tempo.
Non era
mai successo prima d’ora e solitamente era lui a prendere in
giro quelli a cui
capitavano situazioni simili.
Si
lanciò di peso sul letto affondando la faccia nel cuscino,
ignorando le
risate dei suoi due coinquilini. In quel momento li odiava, ed era
meglio se gli
stavano alla larga.
«Dai,
visto che il compito è dopodomani, non hai studiato per
niente» cercò
di incoraggiarlo Jeff.
«Vai
a fare in culo».
Non
solo si era quasi ucciso rischiando di scivolare sulla saponetta in
bagno poco prima, ma aveva anche fatto una pessima figura: scambiare i
giorni... passare una giornata intera convincendosi che il giorno dopo
ci sarebbe
stato un compito e scoprire che, in realtà, era la giornata
dedicata alla
disinfestazione, che tra l’altro attendeva già da
un po’: si poteva essere più
imbecilli? Okay che
tanto era abituato a
fare figuracce – anche se era una cosa che non sopportava
– però ci mancava
pure questa.
«Comunque,
mentre ieri eri intento ad affogare nei lib-» e qui Jeff
ricevette una cuscinata in pieno volto, «dicevo... mentre
ieri studiavi, noi stavamo
progettando di
andare a fare un giro in centro. Ci stai?».
«Mh»
mugugnò lui. «Tutto pur di uscire da
qui».
«Perfetto!
Quindi alza le chiappe e andiamo fuori. Richard e gli altri ci
stanno aspettando!» esclamò il biondino,
entusiasta.
Alla
fine si erano seduti al tavolo di un locale con una bellissima vista
sul parco.
Il
posto lo aveva scelto Nicholas, il più piccolo tra tutti gli
Warblers,
dato che lo frequentava spesso assieme alla sua ragazza e Thad dovette
ammettere
che era davvero molto carino: era leggermente sopraelevato rispetto al
resto
del paesaggio, in modo da avere la vista completa del parco di fronte.
C’erano
molti alberi, giochi per bambini e un sacco di panchine su cui sedersi.
Thad
sorrise tra sé, immaginando il giorno in cui avrebbe
frequentato
assiduamente quel parco con la sua futura ragazza. Voltò lo
sguardo verso i
suoi amici e sospirò: proprio in quel momento, si chiese per
quale motivo tutti
pensassero che l’Accademia Dalton fosse frequentata da
ragazzi considerati
delle brutte copie di Percy Weasley. A guardarli sembravano uno
più scemo
dell’altro, e non davano di certo l’impressione di
essere dei secchioni. Forse
era la divisa che ingannava. Sì, doveva essere decisamente
per quello.
Richard
aveva le gambe stiracchiate su di una sedia e stava giocando con il
Nintendo, mentre Nicholas lo stava ammirando; Flint stava facendo un
solitario;
Trent era intento a giocare a morra cinese con Jeff, entrambi si
dondolavano
sulla sedia; Nick aveva appena messo della musica con il cellulare e
ora stava
giochicchiando con esso.
...
Ce ne fosse stato uno di loro in una posa normale.
Thad
era indeciso se ridere o se far finta di non conoscerli ma, visto che
stava con loro e quindi la seconda opzione non era purtroppo
adottabile, decise
di optare per la prima.
«Ma
Richard, sei proprio una schiappa, eh!» se ne uscì
improvvisamente
Nicholas, confiscando il Nintendo dalle mani dell’amico con
aria offesa.
«Non
è colpa mia! Vallo a dire a Luigi».
«Lo
sanno tutti che Mario è più forte di Luigi, e tu
ti ostini ancora a
scegliere lui!» rispose l’altro, scuotendo la testa
e iniziando a premere i
piccoli tasti convulsamente.
«Ragazzi,
state seriamente
litigando per Super Mario?» commentò Nick
dall’altra parte del tavolo, ancora
intento a trafficare con il telefono.
«Mario
Bros!» esclamarono gli altri due all’unisono, come
per
rimproverarlo. Nick roteò gli occhi al cielo.
Poco
dopo arrivò la cameriera a prendere le ordinazioni e Thad si
stupì del
fatto che non fosse ancora fuggita via strappandosi i capelli. Lui
ordinò un
semplice drink, mentre alcuni di loro si divertivano a farla impazzire
inventando miscugli
di bevande stranissimi.
Thad
posò lo sguardo su Nick, seduto accanto a lui e
notò che aveva
un’espressione un po’ accigliata mentre fissava lo
schermo del suo cellulare.
«Hai
finito i soldi?» domandò.
Nick
non rispose.
«Yu-hu?»
riprovò Thad gesticolando, questa volta attirando la sua
attenzione.
«Eh?».
«Dicevo,
hai finito i soldi?».
Nick
scosse la testa. «Perché?».
«Boh,
c’hai una faccia!» spiegò Thad,
avvicinandosi leggermente con la
sedia. «Proprio la faccia di uno che è rimasto
senza credito».
Aveva
qualche idea
sul motivo per cui
l’amico stesse in quelle condizioni – e non era di
certo per il credito
residuo, stava solo scherzando – , ma fece comunque finta di
niente: voleva che
fosse lui a parlargliene, non gli piaceva impicciarsi negli affari
altrui.
«E’
solo Sally» disse poggiando il telefono sul tavolo.
«Dice che mi ama».
Thad
alzò un sopracciglio. «E tu la ami?».
«Sì,
certo!» rispose Nick sistemandosi meglio a sedere.
«Cioè, sì...
forse... oh, non lo so. Cupido è un gran coglione».
A
quella frase gli venne in mente la sua ultima ragazza e convenne che
sì,
Cupido era un gran coglione. Però Nick gli faceva
tenerezza... sembrava che volesse
davvero bene a Sally, ma forse non era quella giusta. Lei era una brava
ragazza, per carità, ma era... così
incredibilmente cretina e
possessiva. C’erano state delle volte in cui perfino a
Thad aveva dato particolarmente fastidio il suo essere così
appiccicosa e
irritante: se fosse stata la sua ragazza le avrebbe già
fatto ‘ciao ciao’ con
la manina da un bel pezzo.
«Le
voglio bene» disse infine.
«Lo
so» rispose Thad, reprimendo la gran voglia di abbracciarlo.
Non voleva
che gli altri si accorgessero del suo stato d’animo o che
cominciassero a fare
battutine su loro due, mettendolo a disagio. «Forse dovresti
solo prenderti una
pausa... giusto per capire i tuoi sentimenti».
«No,
non sopporto queste cose» replicò Nick.
«Per adesso lascio le cose
come stanno, poi si vedrà».
In
quel momento Thad si accorse che Jeff li stava osservando: la sua
espressione era neutra, forse leggermente curiosa e Thad gli fece un
cenno con
il capo per farlo stare tranquillo e per fargli capire che no, lui non
avrebbe
rivelato nulla di quello che gli aveva confessato qualche giorno prima.
Poggiò
una mano sulla spalla di Nick, sorridendogli. Era convinto che prima
o poi avrebbe fatto la scelta giusta. Non meritava di stare male.
Poco
dopo arrivò la cameriera con un vassoio pieno di bicchieri
colorati e
ci fu un attimo di tranquillità, mentre tutti erano intenti
a sorseggiare le
loro bevande. Non sembravano nemmeno loro, tanto erano calmi e
silenziosi.
«Jeff,
ma quella biondina dell’altro giorno?» se ne
uscì Flint, che era
appena riuscito a concludere una partita a solitario.
Jeff
quasi si strozzò con il suo drink, che era di uno strano
colore
azzurro.
«Q-quale
biondina?».
«Quella
che era con te al Game Shop
lo scorso week-end! Mi ero scordato di chiedertelo».
«Ehm...
quella era mia sorella» disse Jeff, tirando quasi un sospiro
di
sollievo.
«Oh».
Flint corrugò la fronte. «Comunque ve
l’ho detto che esco con la mia
ex vicina di casa? L’ho sempre saputo che aveva un debole per
me».
«Flint,
non interessa a nessuno» disse Richard, che stava ammirando
la
prodezza di Nicholas con il suo Nintendo. «Mannaggia,
perché io non riesco a
superare questo livello?».
L’altro
fece spallucce. «Io ci gioco da quando ho dieci
anni!».
Thad
sorrise agli amici e poi tornò ad osservare il parco di
fronte a lui:
c’era una lieve brezza, ora, e si stava così bene.
Avrebbe dato qualunque cosa
per rimanere lì per sempre... anzi no, prima avrebbe dovuto
prendere almeno un
dieci in un compito di Algebra e poi finire di leggere il ciclo di
Narnia. Poi sarebbe
stato libero di oziare in quel parco per sempre.
Ad
un certo punto sentì qualcosa, come una melodia provenire da
lontano.
«Ragazzi...
lo sentite anche voi?» domandò senza distogliere
lo sguardo dal
verde di fronte a lui.
Jeff
alzò gli occhi al cielo. «Oh, ma
cos’è, hai fatto l’abbonamento ai
rumori dell’ambiente? Sei stato forse colpito da raggi
radioattivi e ora hai
l’udito amplificato? Ora non dirmi che senti anche quando le
formiche si
lamentano per un mal di pancia!».
Tutti
scoppiarono a ridere, perfino Thad. Oh, non era colpa sua se aveva un
buon udito!
«Comunque
sì, sento qualcosa anche io» concordò
Trent assottigliando lo
sguardo. «Sembra... una canzone».
«Qualcuno
sta cantando, sì».
«Viene
da laggiù».
«Sì,
guardate». Nick indicò un punto indistinto al
centro del parco, dove
un gruppo di quattro o cinque ragazzi erano seduti per terra.
«Chi
sono?» domandò Thad.
«Ah,
chi lo sa! Perché non converti i raggi radioattivi per far
sì che ti
permettano una vista acuta?» scherzò Jeff,
guadagnandosi un piccolo calcio
sotto il tavolo.
Poco
dopo i ragazzi si alzarono, decisi ad andare a controllare chi fossero
i componenti di quel piccolo gruppetto: Richard lasciò una
banconota su tavolo,
guadagnandosi così l’ammirazione di Trent, dato
che era la prima volta che offriva lui.
Quando
si avvicinarono abbastanza da accorgersi che si trattava dei loro
compagni di scuola – tra uno schiamazzo e l’altro
–, decisero di aggregarsi e
di passare del tempo assieme. Alcuni di loro rimasero in piedi a
canticchiare,
mentre Thad andò a sedersi accanto al nuovo arrivato,
Sebastian, e ad un altro
ragazzo di cui conosceva solo il nome: Sebastian non sembrava degnare
della
minima attenzione l’altro ragazzo, che invece ogni tanto si
girava a guardarlo come
se cercasse di catturare la sua attenzione.
Non
appena Thad si sedette, Sebastian si voltò per un secondo
verso di lui,
senza smettere di tenere il ritmo di “What ya gonna
do” con il piede, per poi
tornare a guardare in direzione degli altri compagni. Non aveva mai
avuto
l’occasione di scambiarci qualche parola, tranne quella notte
in cui aveva
quasi fatto irruzione in camera sua. Comunque era strano, avrebbe detto
che
Sebastian non era tipo da stare stravaccato per terra, per di
più sull’erba.
Si
accorse che aveva spostato lo sguardo su di una coppietta che si
scambiava effusioni non molto lontano da loro, e Thad
sogghignò.
«Carina,
eh?».
Sebastian
mugugnò, continuando a tenere lo sguardo fisso.
«Dici?».
«Beh,
sì» rispose quello, un po’ interdetto.
«Ma non è il mio tipo».
«Neanche
il mio» sospirò Sebastian, spostando lo sguardo
questa volta sui
compagni.
Che tipo davvero
strano.
«Tu
ce l’hai la ragazza?».
Sebastian
scoppiò a ridere, facendo voltare anche alcuni compagni.
Cosa
aveva detto di così sbagliato? Gli aveva solo fatto una
domanda, non aveva
diritto di essere deriso in quel modo.
«Dici
sul serio, Thad Harwood?» chiese lui, continuando a
sorridere. Thad
non poté fare a meno di constatare che avesse un sorriso
bellissimo.
«Che
c’è di sbagliato?» si offese.
«E
pensare che mi avevano detto che tra tutti sei quello che capisce le
persone al volo con un solo sguardo» lo prese in giro
Sebastian. «Sul serio non
hai capito?».
Oh,
ma lo stava prendendo in giro o cosa? Quel tono di strafottenza
mascherato con dell’ironia non gli piaceva affatto.
«Ma
capire cosa!?».
«Oh,
Thad, Sebastian è gay! Lo
hanno capito persino gli alberi!» li interruppe Trent,
abbandonando
momentaneamente il suo duetto improvvisato con Flint.
...
Okay,
doveva ammettere che non l’aveva capito.
Perché non l’aveva
capito?
Forse
era stato troppo intento a trovare un senso alla sua esistenza per
capire che in realtà era solo gay. E forse adesso lo stavano
prendendo in giro
perché era certo di aver assunto un’espressione
del tutto idiota.
«Il
criceto ha smesso di correre?» scherzò Sebastian,
ancora ridendo.
Ehi...
ma tutte quelle confidenze?
«Eddai»
l’interruppe Richard, «glielo si legge in faccia!
Senza offesa,
Sebastian» si affrettò ad aggiungere.
Sebastian
scosse la testa. «Ciò che sono non mi
offende».
Eppure
lui non l’avrebbe mai detto: lui che, solitamente, riusciva a
leggere dentro alle persone. Quella
era
la seconda volta che sbagliava... anche se con Nick ogni tanto aveva
qualche
ripensamento, soprattutto sull’essere nerd.
Stava
di fatto che si sentiva un tantino umiliato e sperò con
tutto se
stesso di non perdere il suo titolo di Sentenziatore
a scuola: odiava ammetterlo, ma lo faceva sentire un po’
sopra la media.
D’altronde lui non era un ragazzo popolare, quindi sapere di
avere qualcosa di
speciale lo faceva sentire diverso. E lo era.
«Il
fatto è che non mi interessa granché, quindi non
avevo nemmeno speso
tempo inutile a pensarci» rispose Thad dopo poco.
Jeff
si mise a fare l’imitazione di... di cosa,
esattamente? Sembrava stesse subendo un’anestesia lombare.
«Che
stai facendo?» gli chiese Trent.
«E’
Thad che si arrampica sugli specchi!».
Thad
sbuffò, subendo le risa di tutti gli altri.
Non
doveva farsi abbattere
da quello,
dopotutto stava passando una bella giornata in compagnia dei suoi amici
e in un
bel posto. Poteva forse chiedere di meglio?
Magari del cibo. Sussurrò una
vocina
proveniente dal suo stomaco. Sì, aveva davvero molta fame ed
era quasi ora di
pranzo.
Nessuno
sembrava pensarla come lui, a quanto pareva erano tutti presi con
le improvvisazioni di qualche piccola esibizione giornaliera.
C’erano alcune
persone che, quando passavano, si fermavano ad osservarli con
espressioni
alquanto allibite e Thad non ne capiva il motivo: erano bravi e
spigliati, cosa
c’era di così strano? Voltò lo sguardo
alla sua sinistra e si ritrovò a fissare
gli occhi di Sebastian.
Distolse
lo sguardo prima di ritrovarsi a giocare involontariamente a Sguardo Magnetico.
«Hai
una faccia così strana» sospirò
Sebastian, facendo nuovamente voltare
Thad.
Ma
che-? Lui una faccia strana?
Che poi, certe considerazione poteva benissimo tenersele per
sé, non aveva
nessun diritto di parlargli in quel modo. E
con quel tono.
«Scusa,
come?».
«Sì,
cambi espressione con la stessa frequenza di un battito
cardiaco».
Se
non fosse per il fatto che lui odiava quel tipo di cose, gli avrebbe
già
tirato un pugno in faccia. Improvvisamente ebbe come la sensazione che
quell’anno non sarebbe stato facile, non dopo che Sebastian
era entrato a far
parte degli Warblers. E la cosa lo sconcertava un po’: lo
aveva percepito lo
stesso giorno dell’audizione, non appena il diretto
interessato era uscito
dalla stanza con un ghigno malefico stampato in faccia. Aveva come dei
brutti
presentimenti: magari non era nulla, era solo la sua mente che faceva
degli
strani giochetti, ma tant’è...
«Ma...
ma come ti permetti, scusa?».
«Era
solo una considerazione» disse l’altro, facendo
spallucce. «Siamo un
po’ suscettibilini?».
«Io
non sono suscettibilino! Come
reagiresti se ti venissi a dire che... che... che sembra tu ti metta
della
colla di pesce nei capelli ogni mattina, eh?» lo
rimbeccò Thad, sperando di
averlo in qualche modo offeso.
Il
nuovo Warbler arricciò un labbro. «Ti direi che
non sai riconoscere il
gel dalla colla di pesce. E’ grave».
Perché
lo innervosiva così tanto?
«E
ti direi anche che la colla di pesce non si chiama
‘colla’ perché incolla»
continuò Sebastian, come se la
cosa fosse ovvia.
Thad
sbuffò. «Oh, ma dai, questa proprio non la sapevo!
Grazie per avermi
illuminato, Sebastian, ora la mia vita ha un senso».
In
tutta risposta l’altro gli diede una spallata –
quella che tra due amici
potrebbe essere considerata “amichevole”, ma che in
realtà sembrava una presa
per il culo – e poi tornò ad osservare i compagni
che stavano ancora canticchiando:
Trent era intento a fare una una specie di girotondo assieme a Richard,
finché
non perse l’equilibrio e cadde per terra, suscitando le
risate dei compagni.
«Ho
dato un senso a così tante vite che
nemmeno puoi immaginare» riprese Sebastian, senza degnare
Thad di uno sguardo. «La
tua sembra alquanto... boh, piatta.
Stare con me ti farà solo che bene, Thaddino».
Lui,
d’altro canto, lo scrutò con espressione
indignata. Faceva proprio sul
serio. E poi... Thaddino? Era
forse
uno scherzo?
«Tu
neanche mi conosci!» saltò su lui, che stava
seriamente cominciando a
seccarsi. Se prima era solo innervosito dalle battutine apparentemente
serie,
ma che nascondevano velatamente innumerevoli prese in giro, ora la
presenza di
Sebastian non solo lo metteva a disagio, ma lo infastidiva parecchio.
«E la
colla di pesce che metti nei capelli mi urta i nervi».
Thad
voltò lo sguardo verso i suoi amici, deciso a non dare
soddisfazione a
Sebastian: anche se la cosa più semplice da fare era
semplicemente alzarsi e
andare a sedersi da un’altra parte. Solo che gli pesava
giusto un po’ il culo.
In
quel momento si accorse che Jeff lo stava osservando e gli
accennò un
sorriso. Chissà se si era ripreso... Dopo la sua
‘confessione’ non aveva mai
avuto modo di parlarci seriamente e ci stava male per questo. Magari
aveva solo
bisogno di starsene un po’ per le sue.
Come
se gli avesse letto nel pensiero, il biondo si avvicinò a
Thad e fece
un cenno di saluto a Sebastian.
«Ehi,
Thad» lo salutò.
«Jeffucciolo!» lo prese in giro,
facendogli posto accanto a lui.
«Chiamami
ancora una volta in quel modo e ti infilo una manciata di terra
in bocca» ribatté Jeff, ridendo.
«Lo
dici ogni volta, ma la mia bocca casualmente rimane sempre
vuota!».
«Ma
lo sapete che sembrate davvero equivoci?» se ne
uscì Sebastian.
«Insomma, ‘Jeffucciolo’, infilarsi robe
in bocca, eccetera».
Thad
implorò qualsiasi presenza divina di materializzarsi
lì all’istante e
far fuori Sebastian. Jeff sorrise debolmente – aveva preso in
simpatia
Sebastian – mentre lui stava concentrando tutte le sue forze
per non tirargli
un pugno in quella faccia perfetta. Si voltò verso Jeff e
notò che c’era
qualcosa che non quadrava. Mimò con le labbra la frase
“se hai bisogno di
parlare andiamo da qualche parte” e Jeff rispose con
un’alzata di spalle:
allora Thad annuì e disse, sempre mimando “qua non
è il posto giusto per
parlare... alziamo le chiappe e andiamo a sederci dove
c’è quella fontana”.
«Cos’è
questo strano rumore?» disse ad un certo punto Sebastian.
«Anche tu senti rumori di
continuo? Caspita, voi due siete fatti l'uno per l'altro!»
borbottò Jeff,
sghignazzando. «E comunque era solo Thad che
bisbigliava».
«Sì,
ecco...».
«Dai,
andiamo a farci una passeggiata» continuò Jeff,
alzandosi e tendendo
una mano a Thad per aiutarlo –
come se
non fosse capace di alzarsi da solo. Anche Sebastian si
alzò, schiaffeggiandosi
il sedere per pulirlo dalle erbacce.
«Eh
no, bello, io e Jeff ce ne andiamo per conto nostro!»
sbraitò Thad.
«Non
avevo alcuna intenzione di seguirvi, a dire il vero. Mi fa solo male
il coccige»
rispose quello. «Come siamo
simpatici, comunque».
«Da
che pulpito... Forza, Jeff, andiamo» disse Thad dirigendosi
verso il
centro del parco con l’amico. «Sono forse
sporco?» aggiunse poi, contorcendosi
per controllare i pantaloni.
«Sì,
qualche filo d’erba qua» disse Jeff,
togliendoglieli.
E
Thad si accorse che Sebastian stava sghignazzando a quella scena un
po’
equivoca.
«Insomma?»
mugugnò Thad, dopo cinque minuti in cui Jeff si guardava i
piedi
e lui meditava su come cercare di evitare altri spiacenti incontri con
Sebastian
a scuola.
Jeff
alzò lo sguardo. «Insomma cosa?».
«Beh...
quella cosa! Non fare il
finto tonto: ammetto che delle volte posso sembrare un imbecille, ma
non sono
così stupido... e poi ci tengo agli amici»
brontolò Thad.
Non
capiva: prima Jeff si confidava con lui, poi cercava in tutti i modi di
evitare l’argomento. Se non voleva condividere quella
sottospecie di segreto
con qualcuno avrebbe potuto fare a meno di metterlo in mezzo.
Perché sì, ora
lui si sentiva messo in mezzo e non aveva idea su come comportarsi.
«Ah...
sì, vabbé, mi è passata».
«Ti
è... passata» ripeté Thad.
«E’
quello che ho detto».
«Forse
sono io ad essere rimasto nel Medioevo, ma come caspiterina fa a
passarti? Io mi tormenterei l’anima per un sacchissimo di
tempo!» saltò su il
moro, non capendo esattamente dove volesse andare a parare
l’amico.
«Beh,
capita... credo».
«No
che non capita! Senti, Jeff» riprese Thad, concentrandosi al
massimo
per cercare di improvvisarsi buon consolatore, «quel giorno
ho visto come
stavi, ovvero come non ti ho mai visto
prima d’ora».
«Avevo
appena vomitato il pranzo del battesimo!» protestò
Jeff, sulla
difensiva.
«No!
Te lo si leggeva in faccia che c’era qualcosa che non andava,
altrimenti non saresti nemmeno andato a farti Sebastian con un cap-
cioè, scusa,
a farti un cappuccino con Sebastian. E’ la seconda volta che
lo ripeto, è
normale?». Era preoccupante.
«Credo
sia il subconscio» rispose Jeff, felice di aver cambiato
argomento.
«Magari hai in testa il pensiero “farsi
Sebastian” e lo associ a qualunque cosa».
«Ritira
quello che hai detto o ti tiro un pugno».
«Ehi,
hai cominciato tu!».
«Comunque
dicevo, c’era qualcosa nei tuoi occhi che non avevo mai
visto.
Sembravi... non so, spaventato, forse.
E quando mi hai confidato quelle cose sembravi sincero». Ed
era vero, Thad
riusciva ancora a ricordare le sue espressioni durante il racconto.
«In fondo
non c’è nulla di male e nemmeno di cui
preoccuparsi».
«Una
veggente mi ha predetto che sarei finito con il mio migliore amico e
io non mi dovrei preoccupare?» lo rimbeccò Jeff,
alterandosi un po’ sul posto.
«Beh,
lo hai detto tu stesso, è una
‘veggente’! Sai quante minchiate
sparano, quelli là».
«Oh,
lei no... tu non la conosci... segue mia madre da parecchi anni e le
ha sempre predetto il giusto. E’ incredibile. Anche io ero
scettico una volta,
ma sono successe troppe cose e io non so più che
pensare».
Thad
si avvicinò di più all’amico,
facendogli sentire che in quel momento
gli era vicino, che avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutarlo e che
poteva
contare su di lui.
«Ti
spiace raccontarmi ancora cosa è successo?» disse.
Jeff
annuì, cominciando a torturarsi le mani. «Allora,
quel giorno mia
madre e la Donna erano giù in salotto che chiacchieravano...
Io sono sceso un
attimo in cucina perché avevo fame e mi sono preparato due
hamburger e un
panino con la Nutella. Poi, passando per il soggiorno –
dovevo passarci per
forza – lei mi chiama e mi dice: “Ehi, tu! Vieni
qua un attimo”. Così io mi
sono avvicinato a loro e lei continuava a guardarmi in modo strano...
hai presente come Nick guarda la sua
ragazza? Ecco, in quel modo. E poi mi dice: “Ah, lo sapevo,
l’ho sempre saputo”
e continuava a fissarmi con quegli occhi a palla giganteschi. Io le
rispondo:
“Cosa?” e lei annuisce e comincia a dirmi che io
sono convinto di essere
eterosessuale, ma in realtà devo solo abituarmi ai miei veri sentimenti. Ha anche descritto
Nick, eppure non lo ha mai
visto».
Jeff
respirò a lungo, aveva esposto il monologo tutto ad un fiato
senza
staccare gli occhi dalle sue scarpe. D’altronde era pur
sempre di una veggente
che si stava parlando, non si poteva essere sicuri al cento percento
che
dicesse la verità. Thad era convinto che ci fosse qualcuno
seriamente in grado
di focalizzare energie sulle persone, ma era pur sempre questione di
probabilità...
forse.
«Mettiamo
il caso che sia vero... che problema ci sarebbe?» intervenne
infine lui.
Jeff
scosse la testa. «Non lo so, nessuno, credo. Ma io non
voglio,
capisci?».
«Ehm...
no, non capisco».
«Nick
è il mio migliore amico! E a me piacciono le
donne!».
«Da
quello che mi hai raccontato, quella donna non ti ha dato delle date
ben precise. Magari è solo questione di tempo»
replicò Thad saggiamente.
«Grazie,
Thad, mi stai aiutando molto» borbottò
l’altro.
«Senti,
io penso che tu non debba far altro che lasciar correre il tempo.
Ora ti piacciono le donne? Bene, divertiti con loro e fai quello che ti
pare.
Se un giorno ci sarà qualcosa con
qualche uomo questi sono solo affari tuoi, a me basta che tu stia bene
con te
stesso! E anche a te basterebbe questo, credo. E credo anche che questa
cosa ti
abbia preoccupato così tanto perché in fondo
è quello che sei... ».
A
quelle parole Jeff fece una cosa che Thad non avrebbe mai potuto
immaginare: lo abbracciò, e lui si sentì bene.
***
Angolo Me.
Buonaseeeeeeera!
:D
Visto?
Ce l’ho fatta ad aggiornare in fretta! Dato che domani parto
per tre
giorni, credevo di dover attendere il mio ritorno per poter pubblicare,
invece
eccomi qua.
Questo
capitolo è stato un vero parto: nella mia mente era
strutturato in
un modo, e invece ne è uscito tutt’altro. Doveva
essere l’Epic Chapter e invece
è uno Sciall Chapter XD
Spero
comunque vi sia piaciuto almeno un po’.
Okay,
Sebastian ha cominciato a prendere di mira Thad...
s’è notato? Beh,
io personalmente li adoro e non vedo l’ora di far smuovere un
po’ le cose.
E...
che ne pensate di Nick? Per tutto il tempo in cui ho scritto le scene
Niff – anche se separatamente – mi sono rattristita
un sacco .__. E Jeff... uh,
cribbio, lui e le sue seghe mentali! Immagino che tutti pensavate che
avesse
confessato a Thad di essere innamorato perso di Nick... e inveeeeeece :D
Servirà
ai fini della trama, giuro, in
questi capitoli nulla è messo alla cazzo di cane.
Giusto per essere chiari.
Bbbbbbene,
prima di abbandonarvi e tornare a finire le valige, volevo
ringraziare tutte le persone che hanno messo questa storia tra i
seguiti (siete
cresciuti UN SACCO!) e tra i preferiti, ma soprattutto Thalia,
Sere, Weh, Soraya, Rin, Marzia e Klainer
che hanno commentato il capitolo precedente! Grazie *O* ♥
Ancora
non mangio le persone, quindi se lascerete un parere (anche
costruttivo) mi farete solo che felice (:
Grazie
ancora a tutti e spero davvero che questo capitolo vi abbia
soddisfatti!
Tanti unicorni
per tutti,
Lin.
Ps:
Prima
di
lasciarvi a fare qualunque cosa vogliate fare, vi linko così
a caso il mio
profilo Twitter, dove trollo nel tempo libero e ogni tanto spoilero
qualcosuccia!
Oh Yeaaaaaah!
|
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Capitolo 4 *** Proprio come Harry Potter ***
Solita
dedica
iniziale:
vorrei
dedicare questo
capitolo ad Alessio.
Perché?
Perché gli
voglio un bene dell’anima, ed è più di
un semplice amico ;_;
Grazie
di tutto, non
riesco a descrivere a parole quanto ti sono grata per tutto quello che
fai/hai
fatto per me.
Non
vedo l’ora di
rivederti *-*
Tanti
arcobaleni per
te ♥
Capitolo
4.
Proprio come
Harry Potter
Thad
stava giochicchiando con l’astuccio.
Aveva
passato talmente tanto tempo a tormentare la cerniera
che, dopo un’ora e mezza, si era praticamente rotta. Si stava
annoiando da
morire durante quella lezione e non aveva con sé
l’ipod per ascoltare musica,
così si era dovuto arrangiare torturando qualsiasi cosa gli
capitasse tra le
mani, e quella era la volta della povera cerniera.
Non
aveva la benché minima voglia di mettersi ad ascoltare
una lezione di Letteratura: non l’aveva fatto per due anni,
figurarsi se
avrebbe dovuto cominciare proprio in quel momento. E poi era Nick
quello sempre
attento, avrebbe copiato i suoi appunti come al solito e sarebbe filato
tutto
liscio. Nel peggiore dei casi, si sarebbe preso
un’ammonizione per non aver
studiato, tutto lì. Anche se... aveva già una
bella collezione di ammonizioni,
una in più forse non era il caso.
Stava
pensando a quell’inizio anno e a come le cose erano
cambiate. Con l’assenza di Blaine nel gruppo era tutto
diverso e a lui mancava
molto. Non che fossero stati migliori amici, ma si era ritrovato spesso
a
scherzarci e anche a parlarci seriamente. Era una ragazzo con la testa
sulle
spalle, sempre pronto ad essere presente per gli altri e anche molto
divertente.
Ma
Blaine non era l’unica cosa ad essere cambiata, anche lui lo era: si sentiva più
riflessivo e
– in varie occasioni – molto pignolo e rompiballe.
Già, il fatto che una
persona si desse del rompiballe da sola non era molto coerente. Era un
po’
anomalo, a dirla tutta.
Durante
gli anni precedenti, invece, era stato l’anima del
gruppo, sempre pronto a nuove avventure – aveva dato inizio a
un’incursione nei
condotti d’aria della scuola, tanto per citarne una
– con i suoi compagni
fidati... Gli mancava essere così. Nonostante tutto non
riusciva a capire: nel
periodo estivo non era successo niente di particolarmente incisivo
nella sua
vita da fargli cambiare comportamento. Era successo tutto ad un tratto,
e
basta. Era solo cresciuto?
Probabilmente
la cosa migliore da fare era accantonare tutti
i suoi pensieri negativi e svagarsi come meglio poteva, almeno in
quell’ultimo
anno di scuola.
All’improvviso,
colto da una forte ondata di energia
positiva, decise che da quel momento avrebbe cercato di essere
migliore, o almeno
più divertente: forse così anche i suoi compagni
avrebbero smesso di lanciargli
frecciatine ogni tanto.
...
Ma come poteva cominciare il suo progetto di
“miglioramento di personalità” quando,
voltandosi sorridente, si accorse che Nick
stava dormendo? Nick, proprio colui
che avrebbe dovuto fargli copiare tutti gli appunti di quel giorno
– che, vista
la parlantina continua della professoressa, come minimo erano sei
pagine di
roba.
Sbuffò,
scacciando via gli insulti amichevoli che il suo
cervello stava congiurando contro Nick, per poi... domandarsi
perché si fosse
addormentato. Okay, Nick era uno studente quasi modello: ogni tanto si
perdeva
in chiacchiere con lui e Flint durante le lezioni, ma per il resto
aveva dei
voti ottimi ed era sempre concentrato per dare il meglio.
Quindi,
il fatto che proprio in quel momento dormisse, era
una cosa davvero sospetta.
«Harwood?».
«E’
stato il maggiordomo».
La
voce della professoressa lo colse all’improvviso e lui
disse la prima cosa che gli era venuta in mente. Occazzo,
e adesso? Era dalle nove di quella mattina che lei
continuava a cianciare e lui non aveva nemmeno idea
dell’argomento che stava
trattando. Non sapeva nemmeno cosa c’entrasse il
maggiordomo...
«Tralasciando
il fatto che non stiamo giocando a Cluedo»
cominciò
la professoressa, leggermente seccata, «volevo solo chiederti
se per piacere
potevi abbassare la tapparella, visto che mi arriva tutto il sole il
faccia».
«Oh...».
Thad
deglutì, ignorando il continuo sghignazzare dei suoi
compagni di classe, eseguendo poi la richiesta
dell’insegnante, dato che era
quello seduto più vicino alla finestra.
Tornato
a sedersi, evitò accuratamente lo sguardo della
vecchia megera, sperando con tutto se stesso che non gli facesse
domande
sull’argomento del giorno: ebbe fortuna, lei
preferì lasciar perdere
l’ignoranza di Thad e continuare la lezione. Forse nemmeno
aveva voglia di
ripetere la spiegazione dall'inizio.
Tanto
meglio, però sicuramente la volta dopo l’avrebbe
interrogato e senza gli appunti di Nick era fregato: sperò
di poter confidare
almeno in Jeff ma, non appena voltò lo sguardo verso il
compagno di banco, si
accorse che non aveva fatto altro che riempire il blocco degli appunti
con la
scritta “non devo dire bugie”. Ogni quadratino
conteneva una lettera e Thad pensò
che fosse la cosa più cretina che un ragazzo potesse fare.
Ma
co-?
«Non
sapevo di avere Harry Potter come compagno di banco»
disse sottovoce, tirandogli una piccola gomitata.
L’amico
sogghignò. «Grazie al cielo i miei genitori sono
vivi e non sono una pigna in culo».
«Harry
non è una pigna in culo, ha i suoi problemi, come
tutti del resto» replicò Thad, prendendo il suo
quaderno e cominciando a
scarabocchiarlo. Poco dopo tirò fuori
dall’astuccio le forbici e cominciò a
ritagliare accuratamente il foglio, guadagnandosi occhiate furtive da
Jeff.
«Ecco,
tieni: non puoi essere Harry Potter senza occhiali!»
e porse al compagno i residui del foglio che stava ritagliando.
Jeff
soffocò a stento una risata, indossando gli occhiali
finti disegnati da Thad, che rise a sua volta.
Gli
erano mancati quei momenti... e pensare che era stato
tutto naturale, non aveva minimamente pensato alle sue pippe mentali di
poco
prima.
Thad
avvicinò il viso a quello di Jeff. «E io che
confidavo
in te per gli appunti!».
«Ma
di solito non è Nick che te li passa?».
«Sì,
ma...» cominciò facendo un cenno alle sue spalle,
«...
qualcosa mi dice che oggi non li ha presi».
Si
voltarono entrambi e Nick stava ancora dormendo, con le
braccia incrociate sul banco e la testa appoggiata. A giudicare dalla
faccia
del biondino, anche lui era rimasto sorpreso a quella scena: beh,
d’altronde
non era normale che lui dormisse durante una lezione.
«Che
diavolo...?» disse Jeff.
«Non
lo so» rispose l’altro. «Magari
l-».
Ma
Thad s’interruppe quando un aeroplanino di carta
planò
con precisione sul suo banco. Durante tutta la sua carriera scolastica
aveva
sempre sognato che un giorno accadesse una cosa del genere: era una
stupidaggine, lo sapeva, ma era un piccolo e inutile segreto che si
portava
avanti da molti anni. Jeff gli rivolse un’occhiata divertita,
mentre Thad si
voltava per vedere chi gli avesse lanciato quel foglietto.
Quando
scoprì il mittente sorridergli raggiante, tornò
con
lo sguardo sull’aeroplanino per poi avvicinare il viso a
quello di Jeff.
«Da
quand’è che Sebastian frequenta il nostro stesso
corso
di Letteratura?».
Jeff
aggrottò la fronte. «Questa è la...
mmh, credo quinta
lezione».
«E
perché non me ne sono mai accorto?».
«E
io che ne so!».
Okay,
questo era strano. Perché Thad non se n’era mai
accorto? Forse perché Sebastian si sedeva sempre in fondo
all’aula e non aveva
mai avuto modo di notarlo, o forse perché, dopotutto, non ci
aveva mai pensato.
Poi lui era sempre uno degli ultimi ad arrivare in aula e, tra uno
sbadiglio e
l’altro, non aveva mai buttato occhiate in giro.
Dopo
il loro piccolo diverbio in quel parco, qualche giorno
prima, non avevano mai avuto occasione di parlare: non che a Thad
interessasse
particolarmente, ma non l’aveva proprio notato in giro per i
corridoi della
scuola. Aveva deciso che avrebbe fatto il superiore e che avrebbe
dimenticato
l’ironia che Sebastian aveva inserito in ogni frase rivolta a
lui in quel
giorno, per dimostrare che non era una pigna in culo e che era
perfettamente in
grado di metterci una pietra sopra..
Respirò
a fondo e rivolse a Sebastian un enorme sorriso –
cosa che gli costò almeno la metà delle sue forze
– tornando poi con lo sguardo
sul banco.
«Che
significa?» domandò Jeff, accigliato.
«Cosa?».
«Quella
specie di
sorriso... sembravi una iena ridens» commentò,
soffocando una risata. «Comunque
che c’è scritto nel foglio? Una dichiarazione
d’ammmmmore?».
Thad
sbuffò e aprì l’origami, scoprendo che,
all’interno,
non c’era proprio niente. Vuoto totale.
«Boh»
fu il commento di Thad. «Forse voleva solo rompere le
balle».
«Può
darsi» rispose l’altro, tornando a scarabocchiare
il
foglio. «Forse pensate che non sooon
bello, nanananana».
«Dovremmo
farla con gli Warblers» propose Thad, sorridendo.
«La canzone del Cappello Parlante... magari per le
Provinciali».
«TU!».
La
voce di Thad irruppe all’improvviso nella sala studio
quel pomeriggio, dove Nick, Nicholas e Ethan stavano facendo i compiti:
o
meglio, Nick e Ethan facevano i compiti, mentre Nicholas li ricopiava.
«Io...».
«Tu
avresti dovuto prendere appunti a Letteratura!»
sospirò
lui, lasciandosi cadere sulla sedia libera accanto a loro. Nick
alzò
elegantemente un sopracciglio.
«Anche
tu, in teoria» rispose solamente. «Ero
stanco».
«Thad,
se vuoi io li ho presi» intervenne Ethan soddisfatto,
porgendogli il suo quaderno.
Grazie
al cielo esisteva Ethan. In quel momento lo avrebbe
baciato, ma non gli pareva il caso. Sfogliò velocemente per
vedere quanto
materiale avrebbe dovuto ricopiarsi, e rimase un po’ deluso.
«Ma...
Ethan, almeno la metà di questi appunti parla di come
cucinare pancake».
Ethan
abbassò lo sguardo.
«Eh,
lo so» rispose lui, «mi sono accorto solo dopo
un’ora
che stava parlando di pancake... era la prima volta che prendevo
appunti, mi
sono fatto prendere la mano».
Thad
scoppiò a ridere, dando una pacca amichevole sulla
spalla di Ethan.
«La
prossima volta andrà meglio, le buone intenzioni
c’erano» disse saggiamente lui, continuando a
picchiettare benevolmente
l’amico. «Anche io ogni volta entro in aula con
tutta la buona volontà
ma, non appena quella inizia a parlare,
l’abbiocco mi accoglie per il resto
dell’ora».
Anche
se in quell’ultima lezione, non era stata del tutto
colpa dell’insegnate: era stato l’aeroplanino
mandatogli da Sebastian e
l’improvviso fingersi Harry Potter di Jeff a distrarlo del
tutto. Era una
congiura: e non era la professoressa a farlo addormentare con i suoi
monologhi,
ci pensavano i suoi amici a distrarlo. Beh, Sebastian non era proprio
suo
amico, a dire il vero: Thad inizialmente aveva fatto il minimo
indispensabile
per parlarci normalmente, per mantenere un rapporto simile
all’amicizia, solo
che la faccetta da bravo ragazzo di Sebastian nascondeva una
stronzaggine che
Thad aveva visto ben poche volte. Come il giorno
dell’audizione...
«E
poi-».
Tutto
accadde in una frazione di secondo: Jeff piombò come
un razzo nella stanza, prese senza tanti complimenti Nick per un
braccio e lo
trascinò fuori.
Ma
co-? Nick e Jeff si erano trasformati in due macchioline
velocissime, quasi si spaventò. Sembrava che sia Ethan sia
Nicholas avevano
avuto la stessa reazione di Thad, viste le loro facce.
Cos’era
successo? Ora la curiosità gli stava divorando le
budella. Magari voleva raccontargli della veggente... Naah, non
c’era tutta
quella fretta: e poi conosceva Jeff, sotto sotto era molto timido, non
avrebbe
mai inscenato una cosa simile. Non importa, glielo avrebbe chiesto
quella sera,
giusto per farsi un po’ i cavoli suoi.
«Perché
Jeff non si era iscritto alla gara di corsa
dell’anno scorso? Avremmo potuto vincere, invece di far
gareggiare Trent»
commentò Nicholas, approfittando dell’assenza
momentanea di Nick per copiargli
spudoratamente gli appunti.
Ethan
trafficò nella sua borsa, per poi estrarne un termos.
«Volete un po’ di cappuccino? Viene direttamente da
Neverland! La cameriera ha una
cotta per me, così me lo faccio
preparare ogni giorno e me lo porto qui a scuola».
Neverland era il
bar accanto all’Accademia: gli studenti lo frequentavano da
sempre ed era un
posto carino per passare un po’ il tempo senza allontanarsi
troppo dai confini
della scuola.
Thad,
stranamente, sussultò.
«Mmh,
no, grazie. Io e i cappuccini non siamo più in buoni
rapporti».
«Motivo?».
«Lasciamo
perdere, và. Lunga – e terribile
– storia» borbottò Thad, ricordando che
non una, ma ben due volte, aveva
accennato l’idea di
“farsi Sebastian con un cappuccino”.
Disgustato,
rabbrividì e si sistemò meglio sulla sedia: per
qualche strano motivo era rimasto con mezzo sedere di fuori,
provocandogli
delle piccole fitte di dolore all’osso sacro. Si
passò una mano sul viso.
Poggiò
anche lui la borsa sul tavolo e cominciò a tirar
fuori i quaderni: qualcosa gli diceva che avrebbe passato
metà pomeriggio a
ricopiare gli appunti e il tempo restante a studiarli. Indi per cui,
prima si
dava da fare e meglio era.
Un
attimo dopo l’aeroplanino di carta scivolò fuori
dal
quaderno, attirando l’attenzione dei suoi amici.
«Ah»
disse solamente, non ricordando di avercelo ficcato
dentro alla borsa qualche ora prima.
«E
quello sarebbe?» domandò Ethan.
Nicholas
sbuffò. «Uno si aspetta che la gente riconosca un
aereo quando lo vede!».
«Lo
so che è un aereo!» brontolò
l’altro. «Ma non sapevo che
Thad si dedicasse agli origami».
«Io
non mi dedico agli origami» rispose Thad. «Me lo ha
mandato Sebastian durante la lezione... non chiedetemi il
perché».
Gli
altri due si scambiarono un’occhiata eloquente, che
infastidì un poco Thad.
Non
seppe il perché, ma improvvisamente nella sua mente si
costruì una scena in cui tutti gli Warblers sedevano in aula
canto a fare
origami: la cosa lo preoccupò abbastanza e gli fece capire
che aveva
decisamente bisogno di bere un caffè.
Gesticolò
in direzione di Ethan. «Ci ho ripensato. Dammi un
po’ di quel cappuccino o avrò in testa orgiagami
per tutta la vita».
Sia
Ethan che Nicholas lo squadrarono.
«Thad...
orgiagami?».
«Eh?».
«Hai
appena detto orgiagami
al posto di origami» constatò
Nicholas, indeciso tra lo scoppiare a ridere e l'essere scioccato.
«Ethan, ti
prego, dagli quel caffè».
Aveva
davvero detto ‘orgiagami’? Perché
aveva detto orgiagami? Okay, la cosa era alquanto
imbarazzante. Un attimo prima gli era comparsa nella testa
l’immagine degli
Warblers che facevano origami, e subito dopo aveva detto quella parola.
E,
ne era certo, era tutta colpa del fatto che fossero tutti
maliziosi, là dentro! Una manica di decerebrati! Stavano
contagiando anche lui.
Prima il cappuccino e ora gli origami...
Fece
finta di niente.
«E’
una battuta!» soffiò, ridendo istericamente.
«Andiamo,
non capite più le mie battute?».
Fortunatamente
non c’erano né Jeff né Nick, testimoni
del
fatto che quelle che chiamava ‘battute’ in
realtà non lo erano.
Thad
finse un’aria tristemente offesa, suscitando risolini
da parte dei suoi amici. Fortunatamente sembrava che si fossero bevuti
la
faccenda della battuta. Tirò un sospiro di sollievo.
«Comunque
non ho idea del perché Sebastian mi abbia lanciato
questo coso» disse poi, scaraventando
l’aereoplanino su e giù, soppesandolo.
«E’ pure fatto male... quest’ala
è stortissima».
Era
vero: se magari quel ‘coso’ voleva essere una
specie di
offerta di pace, almeno che si sarebbe potuto prendere la briga di
farlo in
maniera decente, non spiegazzando alla bell’e meglio un pezzo
di carta per
farlo somigliare vagamente ad un aereo.
«Magari...
boh, forse non voleva fare un aereo» intervenne
Ethan, continuando a fare i compiti.
«
E cosa dovrebbe essere, allora?».
«Non
so... una scopa volante?».
«Con
le ali? Sì, mi pare giusto».
«Ma
che ne so!» replicò Ethan. «Forse
è solo impedito!».
«Vabbè,
cavoli suoi» convenne Thad, infilando finalmente
l’aereo nella borsa.
«A
me sembrava un po’ Fierobecco con l’artrite,
tipo»
constatò Nicholas, suscitando grosse risate da parte dei due
compagni. Thad non
riusciva a smettere di ridere: doveva ammettere che quella battuta lo
aveva del
tutto disarmato e gli era venuto un flash del vero
Fierobecco con l’artrite. Continuò a
ridacchiare anche mentre,
sempre quello scemo di Nicholas, si destreggiava in una pessima
imitazione
dell’ippogrifo.
Ma
quanto potevano essere imbecilli i suoi amici? Forse era
proprio per questo che li amava così tanto.
«Comunque
non poteva essere Fierobecco» riprese il discorso
Ethan, mantenendo lo sguardo fisso sui compiti. «Sebastian
odia Harry Potter».
Silenzio.
Un silenzio abbastanza inquietante.
Sebastian...
lui... odiava Harry Potter? Com’era possibile
che qualcuno odiasse quel capolavoro? Vabbè che lui era
tutto strano, a partire
dalla punta più liscia dei suoi capelli all’unghia
del piede. Ma...addirittura
odiarlo. Thad credeva che non avrebbe mai
avuto il dispiacere di incontrare qualcuno a cui non piacesse
Harry Potter,
non lo credeva possibile.
«Lui...
credo che non lo guarderò più in
faccia!» saltò su
Nicholas, indignato tanto quanto Thad.
Ethan
scrollò le spalle. «Ognuno ha i suoi
gusti» disse. «E
poi nemmeno a me fa impazzire, e pur mi parli e mi guardi in faccia da
anni».
«Da
ora non lo farò più» rispose
l’altro, ridendo.
«Ecco
forse il motivo per cui lui non mi è mai andato a
genio... a pelle, proprio» rifletté Thad,
picchiettandosi le dita sul mento.
«Forse il mio io sentiva
che non gli
piaceva Harry Potter, per questo non siamo mai andati
d’accordo».
«Acuta
osservazione, Thad» lo sorprese una voce, facendolo
voltare all’improvviso: ma nella stanza apparentemente
c’erano solo lui,
Nicholas – che cercava ancora accuratamente di evitare lo
sguardo di Ethan – e
quest’ultimo.
Thad
strizzò gli occhi. «Che strano, mi era parso di
sentire
la voce di Sebastian».
«Può
essere» confermò Ethan, «è da
tutto il pomeriggio che
se ne sta sdraiato sul divano, prima o poi doveva dire
qualcosa».
Altro
momento di silenzio. Questa volta ancora più
inquietante di quello precedente.
Sebastian...
era stato sdraiato sul divano tutto il tempo e
Thad non lo sapeva? Perché non gliel’avevano detto
prima?
Thad
si voltò verso lo schienale del divano: se c’era
davvero Sebastian là dietro, allora aveva ascoltato tutta la
conversazione. Non
che avessero detto chissà che, ma se, proprio in
quell’occasione, Thad avesse
voluto rivelare un segreto ai suoi amici? O chiedere un consiglio
riguardante
qualcosa di personale?
In
quel momento si sentì un po’ preso in giro e la
cosa non
gli piacque per niente.
Si
alzò e fece il giro del divano, trovandosi davanti agli
occhi un Sebastian sdraiatoci bellamente sopra con un braccio
appoggiato sopra
gli occhi: se non fosse che aveva appena aperto bocca, probabilmente
Thad
avrebbe pensato che stesse dormendo.
Lo
fissò per qualche secondo, sconcertato. «Ci hai
spiato
per tutto il tempo!» brontolò indicandolo, anche
se l’altro non lo poteva
vedere.
«Stare
sdraiato su un divano pubblico per riposare non significa
spiare» rispose di
rimando Sebastian
con tono tranquillo.
«Sì,
ma... e odi Harry Potter!» lo accusò.
In
effetti quello non era proprio ‘spiare’, ma doveva
pur
trovare qualcosa per giustificarsi.
«Io
non odio Harry
Potter» replicò. «Semplicemente non mi
interessa. E il tuo sguardo accusatorio,
in questo momento, mi sta irritando tanto quanto Hermione
Granger».
«...Ma
se hai un braccio davanti agli occhi?».
«Posso
immaginarlo».
Ah,
beh. Ora sì che era tutto chiaro. Non era chiaro,
invece, cosa Thad ci facesse ancora lì in piedi con le
braccia penzolanti.
Sebastian
si ricompose, togliendo il braccio dalla faccia e
sedendosi all’incirca composto: aveva un lieve segno rosso
sulla fronte, dovuto
alle pieghe delle maniche, e l’aria leggermente assonnata. Se
avesse avuto i
capelli scuri e il viso meno bello, probabilmente lo avrebbe scambiato
per
Nick: oh, in quel momento erano praticamente uguali. Non che fosse un
complimento, dato che Nick si portava avanti da due settimane un bel
paio di
ombre scure sotto agli occhi.
Che
anche Sebastian avesse problemi con qualcuno?
Sicuramente non con una ragazza, dato che qualche giorno prima aveva
scoperto
che era gay. Magari con un ragazzo...
Alzò
lo sguardo e lo puntò su Thad.
«Sai,
in questo momento sembri proprio Harry» disse pacato.
Eh..?
«Proprio
uguale, oh!» fu il commento sarcastico proveniente
dal tavolo in cui gli altri due stavano ancora
‘studiando’.
«E
perché mai?» domandò Thad, sinceramente
curioso.
«Beh,
sei una piaga, stai facendo la vittima, sembra tu stia
sempre in mezzo a questioni che apparentemente non ti riguardano e hai
un segno
rosso sulla fronte, proprio lì» concluse indicando
un punto indistinto sulla
sua faccia.
Se
gli avesse fracassato il tavolino – dove Sebastian aveva
appena appoggiato i piedi – sulla testa, lo avrebbero
rinchiuso in prigione?
Perché era proprio quello il suo desiderio.
Istintivamente
si mise una mano sulla fronte, ma sapeva che
non ci avrebbe trovato niente. Lo stava solo prendendo in giro. E
invece
qualcosa c’era, qualcosa in rilievo... e Thad si
ricordò che, qualche giorno
prima, aveva sbattuto la testa contro l’anta
dell’armadio nella foga di cercare
i calzini. Cavolo.
«Io
non somiglio a Harry» replicò. «Ho
entrambi i genitori
vivi e non mi mancano venticinque diottrie».
Sebastian
fece spallucce, sorridendo tra sé.
Però...
riguardo all’essere sempre in mezzo a tutto, di
essere sempre l’involontario protagonista della situazione.
Forse un po’ di
ragione ce l’aveva. Al momento era solo il
ramo sui cui si stavano aggrappando Nick e Jeff, ognuno dei
due con
problemi apparentemente diversi, ma che in qualche modo si
ricollegavano. E,
per qualche strana ragione, ogni volta che succedeva qualcosa cercavano
sempre
il suo parere e lui finiva per ritrovarcisi in mezzo.
«Tu
mi sembri tanto Malfoy, invece» ribatté.
«Ti lascio
immaginare il perché».
In
realtà avrebbe voluto dire Voldemort, ma forse sarebbe
sembrato un po’ troppo cattivo: e poi Sebastian avrebbe
potuto replicare con un
“ma io un naso ce l’ho”, e Thad non
voleva essere ancora preso in giro. C’era
anche da dire che Thad amava il personaggio di Voldemort, quindi non
avrebbe
mai potuto associarlo a Sebastian.
«Io
posso essere Luna Lovegood?» azzardò Nicholas,
alzando
una mano. Tutti risero, perfino Sebastian ridacchiò
sommessamente.
Thad
dovette ammettere che questa specie di gioco stava
risultando abbastanza divertente: associare loro stessi ai personaggi
del
romanzo che più amava al mondo stava risultando un simpatico
passatempo.
Nella
mezzora successiva Jeff era diventato Ronald Weasley,
Trent lo avevano associato a Neville Paciock, Nick era un ibrido a
metà tra
Remus Lupin e Sirius Black e Richard, non si sa come, era diventato
Rubeus
Hagrid.
Thad
nemmeno si accorse che, nel frattempo, era seduto sul
divanetto accanto a Sebastian, i gomiti appoggiati sullo schienale e la
testa
appoggiata sopra.
Si
ritrovò a domandarsi a che fine avessero fatto Nick e
Jeff. Da quando quest’ultimo si era precipitato a rotta di
collo nella stanza e
aveva prelevato l’altro senza tante cerimonie, non si erano
più visti in giro.
Ed era passata più o meno un’oretta. Avrebbe tanto
voluto andarli a cercare, ma
ben due cose glielo impedivano: prima cosa, meglio se li avesse
lasciati
soli... magari era una cosa tra loro due. E come seconda cosa gli
pesava il culo.
«Che
hai, Thad?» lo richiamò Ethan alla
realtà. Lui si
scosse un attimo.
«Niente»
rispose.
«Troppi
Nargilli per la testa» rispose Sebastian, e gli
altri ridacchiarono.
«Ma
tu non avevi detto che Harry Potter non ti interessava?
E conosci anche i Nargilli» borbottò Thad.
«Ho
detto che non mi interessava, ma non mi pare di aver
accennato al fatto che non lo conosca»
disse
lui, sistemandosi in una posizione più o meno regale.
In quel momento tutto di lui gli ricordò Lucius
Malfoy.
Possibile? Perfino il tono di voce.
Thad
scrollò le spalle e prese a fissare un angolo del
tavolo, che in quel momento aveva assunto un’aria parecchio
interessante. Si
ritrovò a pensare a quanto fosse strano quel ragazzo,
Sebastian. Un giorno lo
odiava, il giorno dopo era indifferente, quello dopo ancora pareva
quasi
simpatico, poi non lo sopportava... Aveva avuto un impatto strano nella
sua
vita scolastica da quando era diventato Warbler – prima
nemmeno era al corrente
della sua esistenza – e perfino in quel momento non sapeva
cosa pensare.
Probabilmente
sarebbe rimasto un’incognita per tutto l’anno.
Erano
passate due ore quando Nick fece ritorno nell’aula
studio, seguito a ruota da Jeff: la sua andatura era apparentemente
normale, ma
Thad lo conosceva ed era sicuro sul fatto che fosse successo qualcosa.
Il suo
sguardo era spento, così come quello di Jeff.
Ma
che diamine prendeva a tutti quanti? Proprio il giorno in
cui la sua coscienza gli aveva suggerito di smetterla di essere
così nervoso!
Sembrava che avesse tutto contro.
Lo
sapeva che Sebastian non c’entrava nulla con quello che
era successo a Nick – qualsiasi cosa fosse successa!
– però, da quando era
entrato a far parte degli Warblers, aveva portato con sé
un’ondata di
negatività non indifferente. Sogghignò,
figurandosi Sebastian travestito da
calamita e con una specie di onda anomala nera al seguito.
Nick
piombò di peso sulla sedia, sistemando i suoi appunti
per poi gettarli tutti in borsa. Cercava di dimostrare
un’aria serena... non
riuscendoci, ovviamente.
«Oh,
ma guarda un po’ chi è tornato!»
esclamò d’un tratto
Nicholas.
«Dove
siete stati? Ci stavamo preoccupando» disse Ethan,
prendendo esempio da Nick e cominciando a mettere via i compiti.
«Forse
nella Stanza delle Necessità» ridacchiò
Sebastian.
Anche Thad rise e, a pensarci bene, era la prima volta che una battuta
di
Sebastian lo faceva ridere: non che fosse granché
divertente, ma tant’è... «Lo
sanno tutti a cosa la usavano gli studenti di Hogwarts, in
realtà».
Ecco.
Ci mancava solo lui a mettere a disagio i suoi amici.
Dopo tutte le pippe mentali che si stava facendo Jeff in quel periodo,
Sebastian non avrebbe dovuto dirlo – anche se non poteva
saperlo. Ma era
comunque colpa sua.
«Ma
tu sei sempre così malizioso?» borbottò
Thad,
contrariato.
«Oh,
andiamo! Non dirmi che, se non fossi uno studente di
Hogwarts, non la useresti proprio per
quello».
«Beh...».
«Io
lo farei».
«Non
eravamo in nessuna Stanza delle Necessità!»
saltò su
Jeff, all’improvviso. «Sally è venuta a
trovare Nick, siamo solo andati un po’
in giardino con lei».
C’era
qualcosa nell’espressione di Nick che non lo
convinceva: sì, forse Sally poteva anche essere stata alla
Dalton fino a poco
prima, ma dalle loro espressione non sembrava fosse stata una visita di
piacere. O meglio, forse l'intenzione c'era, ma... Nick non la pensava
allo
stesso modo. Poteva essere?
Non
importava, Thad non disse nulla davanti agli altri, ma
avrebbe chiesto spiegazioni a Jeff più tardi. Gli
lanciò un’occhiata
indagatrice e, come risposta, lui scosse la testa e lo
guardò come per dire “ti
spiegherò”. Bene.
Improvvisamente,
non seppe come o perché, le sue parole
scritte di quella mattina “non devo dire bugie”,
stavano cominciando ad
acquisire un senso. E se...?
«Nick-Quasi-Senza-Testa».
Nicholas
lo disse quasi in un sussurro, mentre contemplava
con fare interessato Nick che stava chiudendo la cerniera della borsa:
quest’ultimo bloccò la mano a mezz’aria,
per poi lasciarla cadere di peso.
«Scusa,
come?» rispose inarcando un sopracciglio.
Okay,
quella situazione era a dir poco comica: Nick scrutava
Nicholas con fare sospetto, Jeff aveva la fronte aggrottata e gli occhi
stralunati, Ethan ridacchiava sotto i baffi e Sebastian era
sull’orlo di una
risata isterica.
Infine
fu Thad a scoppiare a ridere come un matto e gli
altri lo imitarono qualche istante dopo: perfino Nick
abbandonò la sua aria da
finto-felice per unirsi agli amici.
«Mi
chiedo solo...perché?»
esordì Jeff, tenendosi la pancia.
«Boh».
Nicholas fece spallucce. «Stavamo parlando di Harry
Potter e, osservando Nick trafficare con quella cerniera, mi
è venuto in mente
Nick-Quasi-Senza-Testa!».
«Non
ti facevo così demenziale,
Nicholas Flamel!»
commentò Nick.
«Okay,
ora siamo pari».
A
Thad parve di stare nel mezzo di un branco di scimmie.
Però adorava quelle
scimmie con tutto
se stesso.
E
in quel momento era felice, perché non avrebbe potuto
desiderare una compagnia di amici migliore: in quel periodo si sentiva
anche un
po’ scemo e sdolcinato, dato che si ritrovava spesso a
pensare a quanto fosse
fortunato ad averli. Mancava solo che si mettesse a scrivere
“Warblers per
sempre” nei blocchi degli appunti, con tanto di cuoricini.
Un
conato di vomito anti-romanticità lo colse qualche
istante dopo.
Il
suo sguardo cadde un attimo su Sebastian, stravaccato
accanto a lui, e non poté fare a meno di pensare a quanto
gli mancasse Blaine:
forse c’era un motivo ben preciso per cui il neo Warbler si
comportasse in quel
modo, e Thad giurò a se stesso che un giorno
l’avrebbe scoperto.
E,
facendo una panoramica sui compagni in quel preciso
istante – influenzato ormai dalla ‘giornata Harry
Potter’ –, notò come ognuno
di loro aveva un’aria vagamente angelica, da farli sembrare
dei piccoli
Grifondoro. Ma lui lo sapeva... sapeva che, in realtà, era
circondato da una
combriccola di stronzetti Serpeverde.
Angolo
Me.
*una
granita alla fragola la colpisce in fronte*
Ma
buonasera! (:
Immagino
di essere... ehm... un po’ in ritardo, vero? Non vi
dirò che questo capitolo è
stato un parto perché mi mancava l’ispirazione e
la voglia, perché non è vero:
più che altro è stato un po’ difficile
da scrivere perché in testa ce l’avevo
in un determinato modo e... beh, ne è uscito
tutt’altro. Tuttavia non è che mi
dispiaccia troppo com’è venuto, però
ammetto che non è niente di quello che
avevo in mente.
Come al
solito .___.
Aaaaanyway!
Che ne pensate? :3
Non so
come mi sia venuta in mente l’idea di un “capitolo
tributo”, ma tant’è...
Oddio, spero che in giro non ce ne siano di simili °°
Non girovagando molto –
diciamo pure per niente –
nel fandom
di Glee, non potrei saperlo. Vabbè, pace.
In questo
capitolo non succede niente di particolarmente emozionante, almeno per
me: ho
voluto marcare l’amicizia tra gli Warblers e, come dico
sempre, niente è messo/scritto a
casaccio, tanto
per. Se sto agendo in questo modo è
perché sotto sotto c’è qualcosa
u__ù
Non dico
altro.
Vorrei
ringraziare tutte le persone che hanno aggiunto la storia tra
seguiti/ricordati/preferiti: siete tantissimi, sul serio e non so come
ringraziarvi. In primis Rin, Sere,
Klainer, Soraya, Weh e Marzia
per aver commentato il capitolo precedente! Grazie ragazze, le vostre
recensioni sono sempre magnifiche
<3
Se volete
lasciarmi un parere, sappiate che non sono ancora una cannibale (:
Un
arcobaleno per tutti,
Lin.
Ps: Prima di lasciarvi a fare
qualunque cosa vogliate fare, vi linko così a caso il mio
profilo Twitter, dove trollo nel tempo libero e ogni tanto spoilero
qualcosuccia! Oh Yeaaaaaah!
|
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Capitolo 5 *** Svisti e imprevisti ***
La dedica di questo capitolo va a
Silvia,
Barbara
e Francesca.
Perché vi voglio
bbbbene
e perché Arryn,
Lannister e Martell vincono sempre u_u
(Ho qualche dubbio sui
Lannister, Babi... LOL)
Siete
le Nerds del mio Thrones ♥
Capitolo
5.
Svisti e imprevisti
[...] Tutto accadde in
una frazione di secondo: Jeff piombò come un razzo nella
stanza, prese senza
tanti complimenti Nick per un braccio e lo trascinò fuori.
A
Nick mancava l’aria, anche se lui e Jeff avevano appena
varcato la soglia dell’entrata principale e di conseguenza
erano fuori
dall’edificio. Avevano corso talmente velocemente che
sembrava si fossero
teletrasportati e si fossero ritrovati direttamente in giardino.
Respirò
a fondo, poggiando le mani sulla ginocchia come per
reggersi: fuori faceva abbastanza caldo, quel giorno, in più
era sudato a causa
della corsa e sembrava che la sua faccia stesse bollendo.
«Ma
co-?» riuscì a bisbigliare, indagando con lo
sguardo
l’amico che gli stava di fronte: anche Jeff sembrava un
po’ accaldato e
sudaticcio.
Abbassò
nuovamente la testa e chiuse un attimo gli occhi,
per poi cominciare a respirare lentamente. Per quale motivo Jeff lo
aveva
trascinato con tanta foga in giardino? Doveva assolutamente finire di
ricopiare
quei maledetti appunti che non era riuscito a prendere durante la
lezione. Ed
era stanco, dannatamente stanco.
Quando
alzò lo sguardo capì il perché di
tutta quella
situazione: Sally se ne stava accucciata sul muretto, lo sguardo perso
nel
vuoto e la borsetta di pelle di serpente stretta tra le braccia.
Oh,
no. Che ci faceva lì?
Ma
soprattutto, perché il suo primo pensiero era stato
‘oh,
no’?
Lui
le voleva bene ma non sopportava quando lo andava a
trovare a scuola: certo, era un gesto molto carino da parte sua,
però sembrava
come se andasse lì apposta per controllarlo. Come se potesse
tradirla con
qualcuno. Erano tutti ragazzi. Figurarsi.
Lei
non si accorse della sua presenza fino a quando lui e
Jeff la raggiunsero, un po’ titubanti.
«S-Sally»
la chiamò. «Che cosa ci fai qui?».
Lei
voltò lo sguardo e gli sorrise, correndogli in contro per
abbracciarlo.
«Nick,
amore» e lo baciò.
Sembrava
strana, forse meno pazzoide del solito. E non gli
era ancora saltata addosso, il che era un po’ strano.
«Che
ci fai qui?» ripeté lui.
«Non
mi vuoi?» scherzò Sally, ma continuando a
mantenere un
tono... normale, che non le si
addiceva.
«Sì,
ma pensavo fosse successo qualcosa».
Lei
scosse la testa. «Niente» disse scompigliandogli un
po’
i capelli. «Però vorrei parlarti».
Ecco.
Era palese che ci fosse qualcosa, d’altronde non si
sarebbe scomodata per fare tutta quella strada. O forse sì,
non sarebbe stata
la prima volta, a dire il vero. Nick si voltò verso Jeff,
che li stava
osservando: era strano pensarlo, ma avrebbe preferito che
l’amico se ne
andasse, non voleva che assistesse a scenate di qualunque genere. E poi
era
imbarazzante parlare con la propria ragazza di cose personali e con lui
lì ad
ascoltare. Vabbè che poi, una volta saliti in dormitorio,
gli avrebbe comunque
raccontato tutto, ma il fatto che qualcuno assistesse alle sue
questioni di
prova non gli piaceva particolarmente.
Jeff
evidentemente capì ma, prima che potesse parlare, Sally
intervenne. «Oh, no. Lui può restare».
«Sally...»
tentò Nick.
«No,
davvero. Riguarda anche lui».
Riguardava
anche Jeff? Stava seriamente cominciando a
preoccuparsi. A meno che non fosse come l’ultima volta,
quando lo aveva
raggiunto a casa sua tutta agitata, per poi dirgli che era invitato al
funerale
del suo criceto.
E
poi lei e Jeff non è che avessero un vero e proprio
rapporto:
erano usciti tutti insieme davvero poche volte, quasi nemmeno si
conoscevano.
«Non
è niente di pauroso!» aggiunse lei, guardando gli
sguardi curiosi dei due ragazzi che si trovava di fronte.
«E’ solo che...
voglio vederti di più».
Già
si era immaginato qualcosa come “non sei quello giusto
per me”, oppure “mi sono trovata un
altro”, oppure “mia madre mi ha comprato un
nuovo criceto”. Era soltanto
questo. Voleva
vederlo di più. Improvvisamente sentì un moto di
affetto verso di lei, che ricambiò
il sorriso e le si avvicinò ulteriormente. Era
così bella... Le passò una mano
tra i capelli mossi e la attirò a sé.
«Sally,
lo sai che lo farei volentieri» disse, «ma il
frequentare la Dalton è un problema per chi vorrebbe avere
una vita sociale».
Lei
ridacchiò, la bocca ancora premuta sul suo petto.
«Lo
so, ma non ti sto chiedendo di lasciare la scuola».
Eh, ci mancherebbe!
Si ritrovò a pensare Nick, probabilmente dopo aver assunto
un’espressione
ebete.
«Mi
riferivo ai fine settimana» aggiunse Sally, facendosi un
po’ più seria. «Insomma, quando torni a
casa passi la maggior parte del
tempo... con loro! Soprattutto con
lui» e indicò Jeff.
Nick
deglutì.
«Voglio
dire, li vedi tutti i santi giorni qua a scuola, ci
dormi pure assieme. Quando torni a casa vorrei che mi dedicassi
più tempo, il
tempo che mi spetta... vorrei che fossimo una coppia normale»
continuò lei,
gesticolando. «Andare al cinema, mangiare un gelato al parco,
scambiare
intimità... proprio come tutte le coppie!».
Okay,
forse non aveva tutti i torti. Quando nei fine
settimana Nick tornava a casa, si ritrovava quasi tutte le domeniche
con Jeff,
Richard e Trent per passare il pomeriggio a giocare a calcetto al parco
– se
era una bella giornata – oppure a farsi sanguinare gli occhi
davanti alla
Playstation: la metà delle volte Sally stava con loro, ma
evidentemente quello
non era un atteggiamento da ‘coppietta normale’.
Però le serate andavano spesso
a trascorrerle insieme.
Nick
voltò lo sguardo verso l’amico, notando che
sembrava un
po’ in imbarazzo.
Però...
non si poteva paragonare il trascorrere il tempo tra
amici a scuola e fuori, era totalmente diverso. Alla Dalton facevano
sì quello
che volevano, ma c’erano comunque delle regole da rispettare
e pomeriggi interi
da trascorrere sepolti nei libri.
Non
c’era paragone, proprio no. E lei lo stava mettendo a
disagio.
«E
se Jeff ha un po’ di cuore, sicuramente capirà,
vero
Jeff?» aggiunse lei, rivolgendo al biondo un grande sorriso.
Jeff arricciò gli
angoli della bocca, in modo da assumere un’espressione molto
buffa, ma annuì.
«Ecco,
visto?» disse ancora Sally. Stava facendo tutto da
sola. «Mi ami o no?».
Era
la prima volta che glielo chiedeva e lui non aveva alba
di cosa risponderle. L’amava? Certo che no, ci aveva pensato
talmente tante
volte da farsi rinsecchire il cervello... però le voleva un
bene dell’anima,
che a volte scambiava per amore. Insomma, cosa cavolo doveva pensare?
«S-sì»
mentì.
Ah,
errore. Avrebbe dovuto dirle di no, ma cosa avrebbe
detto Sally? Lo avrebbe piantato lì all’istante.
Lei,
per tutta risposta, sorrise raggiante e gli stampò un
bacio sulla bocca. «Lo sapevo! Ti amo anche io e ho
già prenotato per il cinema
sabato sera. Ci vediamo presto, Nick!» e lo baciò
di nuovo, per poi scomparire
sculettando per il vialetto.
«Aspettate
un attimo» ruppe il silenzio la voce di Trent.
«Mi state dicendo che sabato non ci sarà il torneo
di bocce a casa di
Richard?».
«Già»
confermò Jeff, lanciandosi di peso sulla sedia tra
Trent e Ethan.
Thad
ringhiò. Stavano progettando quel maledetto torneo
già
da un mese, non riusciva a credere che avrebbero dovuto annullare tutto
per
colpa di Sally. Non sapeva perché, ma ultimamente stava
cominciando a non
sopportarla per davvero: prima rendeva Nick così nervoso e
triste, poi se lo
accalappiava tutto per sé per il fine settimana.
Era
tutta colpa sua se Nick era immerso in un mare di
depressione fino al collo e ancora non riusciva a capire come lui
riuscisse a stare
a galla. Fosse stato al suo posto l’avrebbe lasciata
immediatamente. Stava troppo condizionando
il suo umore e la
sua vita ed era una cosa che Nick non si meritava.
«Nick,
ci stai davvero tradendo per lei?» domandò Flint.
«E’
più o meno la stessa accusa che ha rivolto lei nei
nostri confronti» rispose Jeff.
«Ma
io non vi sto tradendo!» replicò lui per
l’ennesima
volta, quella sera. «Il pomeriggio lo passeremo assieme, poi
la sera andrò con
Sally al cinema».
«Sì,
ma... il torneo
di bocce! » saltò su Thad, rivolgendogli
un’occhiataccia.
Nick
si passò una mano sul volto.
«Tanto
le bocce le vedrà comunque anche al cinema, vero?»
intervenne Sebastian rivolgendo al compagno un grande sorriso.
Nick
arrossì e sogghignò, mentre Thad si sporse in
avanti
per poi scoprire che Sebastian era seduto a due sedie di distanza da
lui. «E tu
da dove sbuchi?».
«Mi
sono seduto prima di te a tavola, Thaddino».
Questa
era la terza volta in poco tempo in cui faceva la
figura del fesso davanti a tutti: prima con il fatto che Sebastian
frequentava
il suo stesso corso di Letteratura da cinque lezioni e
lui non lo sapeva; poi aveva passato mezzo pomeriggio a
parlare
del più e del meno con i suoi amici in aula studio, per poi
scoprire che
Sebastian era sdraiato sul divano da prima che lui arrivasse; e,
infine, non si
era accorto che aveva preso posto prima di lui in mensa.
In
un modo o nell’altro Sebastian gli stava sempre attaccato
al culo e la cosa lo urtava. Sicuramente nemmeno lo faceva apposta.
«Ma
quando arriva la cena?» sbuffò Sebastian poco
dopo,
poggiando la testa a peso morto sul braccio. «Il mio stomaco
protesta».
Thad
avrebbe voluto tanto rispondere ‘anche
le mie orecchie protestano’, ma se ne stette buono
e in
silenzio, chiedendosi come mai avesse sempre quell’incessante
bisogno di
rispondere male al compagno di scuola. Capitava solo con lui e non
sapeva
spiegarselo.
Qualche
istante dopo, l’anziana cameriera servì loro la
cena:
cosce di pollo con patate, il piatto preferito di Thad.
«Grazie»
disse, mentre la vecchina gli poggiava il piatto
sotto al naso.
Nicholas,
che era seduto accanto a lui, cominciò a
trangugiare in modo osceno le sue cosce di pollo, finendone una mentre
Thad stava
ancora dando il primo morso alla sua.
«Guarda
che non scappano, Nicholas» commentò.
«Cfomunque
fenfavo c-» cominciò lui, con la bocca piena di
carne.
«Per
carità, finisci di masticare!».
Nicholas
deglutì. «Dicevo che potremmo lo stesso rintanarci
a casa di Richard per il torneo e abbandonare Nick al suo
destino».
Thad
ridacchiò.
«Detta
così sembra una cosa davvero brutta»
commentò.
«Comunque se lo meriterebbe! Però noi, da bravi
amici, aspetteremo un giorno in
cui saremo tutti assieme»
«No,
Nicholas ha ragione» intervenne Nick. «Voi fatelo
pure!
Stiamo programmando questa serata da parecchio tempo, mi dispiacerebbe
se
doveste annullare tutto per colpa mia».
E
così fecero, la serata rimase come da programma e tutti
furono felici e contenti... più o meno.
Forse
Nick era il ‘più o meno’. Ancora non
riusciva a capire
come facesse a stare ancora con lei: insomma, se non si sta bene con
una
persona, che motivo c’è di trascorrerci del tempo
e intimità? Thad non se lo
spiegava. Doveva ammettere che ultimamente ci aveva pensato spesso
– tutto pur
di non pensare ai compiti – ed era arrivato alla bizzarra
conclusione che Nick
stesse nascondendo qualcosa.
«Thad,
sei sporco di sugo sul naso» commentò Sebastian
poco
dopo.
Mannaggia,
come faceva a sporcarsi sempre ogni
volta che mangiava? Era un disastro, solitamente anche
con la verdura gli riman- ehi, un momento: come aveva fatto Sebastian,
che era
a due sedie di distanza da lui dalla
stessa parte del tavolo, a vedere che si era sporcato? Si
voltò verso di
lui e notò che stava beatamente mangiando il suo pasto,
senza neanche degnarlo
di uno sguardo. Che si fosse immaginato la sua voce? Okay, sarebbe
stato
davvero strano se si fosse immaginato la voce di Sebastian che gli
faceva
notare il suo essere sbadato.
«Ha
ragione, proprio qui, Thad» disse poi Trent – che
era
seduto davanti a lui – toccandosi il naso per mostrargli dove
evidentemente era sporco.
Si
pulì con la mano per poi tornare con lo sguardo alla sua
destra.
La
suoneria del cellulare di Jeff ruppe il silenzio.
«Pronto?... Ah, ciao!... Sì sì,
certo... Sabato? Guarda, la sera non posso
perché ho un impegno con i miei amici... Domenica mattina?
Sì, certo, va
bene!... A presto!» e chiuse la chiamata, accennando ad un
leggero sorriso.
«Samantha» disse poi.
«Samantha!?» esclamò
Richard, assottigliando lo sguardo. «E’ un nome da
donna!».
«Ma
dai! Non l’avrei mai detto!».
«Intendevo
dire, hai un appuntamento con una ragazza! Yu-hu,
Jeff finalmente si dà da fare»
sghignazzò Richard.
«Samantha
è la mia migliore amica da quando ho visto la
luce, quindi risparmiati i tuoi pensieri maliziosi» rise a
sua volta Jeff,
rimettendo il telefono in tasca.
L’espressione
che comparve sul volto di Richard non fu del
tutto convincente, ma non aggiunse altro. Thad conosceva Samantha, era
uscita
con loro un paio di volte e l’aveva trovata carina:
simpatica, non rompi balle,
spiritosa... insomma, tutto il contrario di Sally.
Era,
in un certo senso, un Jeff
femmina.
All’improvviso
una musica familiare ruppe il
silenzio. Ma co-?
«Oh»
disse Trent, trafficando col suo cellulare. «E’ la
sveglia».
«Tu
hai L’ultimo dei
Moicani come sveglia, Trent?» disse Thad,
aggrottando la fronte.
«Sì,
amo quel film» rispose. «Avevo messo la sveglia per
ricordarmi di chiamare mia madre, ma... non ricordo cosa dovevo dir-
ahhh
giusto! La gita!».
La
gita? Forse Thad si era perso qualcosa.
«Quale
gita?» domandò Jeff, come se gli avesse letto nel
pensiero. Lui e Jeff erano così molto spesso, comunque: Thad
pensava una cosa e
Jeff la diceva ad alta voce o viceversa. A volte faceva paura.
Trent
si compose. «La gita al Museo d’Arte Italiano,
quello
che sta in centro città vicino al cinema»
spiegò. «Tutti quelli
del corso di Letteratura ci andranno, è la settimana
prossima».
«Ma
tu non sei nel corso di Letteratura» rispose Jeff.
«E
invece sì! La professoressa mi avvertito ieri, dopo che
ero andato a iscrivermi. Mi aveva chiesto anche di dirvelo, ma me n'ero
scordato».
Wow,
dopo tre anni quella sarebbe stata la prima volta in
cui li avrebbero portati in gita. Thad aveva sempre immaginato come
sarebbe
stato uscire con i suoi compagni fuori da scuola, ma non inteso
cazzeggio
totale come erano soliti fare nei fine settimana, proprio in gita. Era strano, ma non ne aveva mai
fatte in vita sua.
Si
sentì felice, avrebbe passato un’intera giornata
al di
fuori dell’ istituto scolastico assieme a Nick, Jeff e ora
anche Trent e...
Sebastian. Già, anche lui faceva parte del corso.
Vabbè, lo avrebbe ignorato,
semplice.
E
poi, una cosa che lo avrebbe fatto sentire davvero figo
sarebbe stata sfoggiare il suo blazer in giro per la città:
era uno dei suoi
sogni segreti – assieme a quello di ricevere un aeroplanino
di carta durante
una lezione, cosa a cui ci aveva pensato Sebastian.
Come
se lo sapesse... Come quella volta del provino in cui aveva
cantato la sua canzone preferita. A pensarci bene, c’erano
tante cose che Sebastian
faceva come se le leggesse parola per parola nella sua mente e questa
cosa lo
spaventava spesso.
Sentì
qualcosa sfiorare la sua coscia sinistra e si voltò di
scatto verso Nicholas.
«Ehi,
Hudson*, togli quella mano di lì sennò te la
trancio!».
Ma
subito dopo si accorse dell’immane errore e
dell’ennesima
figuraccia, perché l’amico aveva entrambe le mani
immerse nel piatto stracolmo
di cibo.
«Chemminchia
stai dicendo, Thad?» si offese.
Thad,
rendendosi conto dell’accaduto, si schiaffò la
mano
sulla fronte. «Scusa, credevo mi stessi toccando la
coscia» si giustificò. «E’
che ho comprato da poco il cellulare nuovo e ha una vibrazione
così strana».
Lo
tirò fuori dalla tasca e aprì il messaggio,
ignorando gli
sguardi allibiti degli amici.
Spero che la prossima
volta che ci vedremo non indosserai quell’orrenda camicia a
righe.
...
Eh!? Ma che-? Questa persona aveva decisamente sbagliato
numero: punto primo, non aveva il numero in rubrica e punto secondo,
lui non
metteva mai camicie a righe, le
aveva
sempre trovate orripilanti.
Sorrise
tra sé e prese a digitare i tasti.
Quella camicia era
bellissima.
Okay,
stava davvero fingendo di essere il vero destinatario
di quel messaggio. Tanto, probabilmente, se il mittente avesse
continuato a
mandagli messaggi si sarebbe reso conto che aveva sbagliato numero e
avrebbe
smesso. Oppure era una bella figacciona e avrebbe concluso qualcosa...
Un'altra
vibrazione lo sorprese. Sempre lo stesso numero.
Sì se ti piace andare
in giro vestito da clown.
Forse
sì, era una ragazza. Thad si agitò sulla sedia
col
sorriso ebete ancora stampato in volto.
Mi piacciono i clown,
okay?
Simpatia portami via.
Che fai, sfotti?
Se proprio insisti...
Ma che porc-! Non ti
facevo così.
Lo so che sono troppo
bello per sembrare umano, ma lo sono.
Era
un maschio. Ora, non sapeva perché, ma si sentì
in
imbarazzo.
Infilò
il cellulare in tasca e chiuse lì la questione: aveva
già le sue cose a cui pensare, figurarsi se avrebbe speso
tempo per gente arrapata
che aveva sbagliato numero. Alzò lo sguardo e sia Jeff sia
Trent lo scrutavano
con cipiglio.
«Beh?»
sbottò poi.
Gli
altri due si guardarono. «Hai una faccia, Thad...».
«La
sua» ridacchiò Richard.
Thad
alzò gli occhi al cielo. «Era solo mia
madre!».
Era
incredibile quanto facilmente la sua stanza si potesse
confondere con una discarica: sembrava come se un uragano avesse
scagliato ogni
cosa fuori posto. In quel momento maledisse con tutto se stesso Nick e
Jeff –
soprattutto Jeff – che erano i creatori di quella nuova
‘arte contemporanea’.
«Prima
o poi gli faccio leccare tutto, a quei due» disse ad
alta voce.
Non
che lui fosse una specie di Mastro Lindo, ma almeno
aveva la decenza di raccattare le sue cose e accumularle sulla sedia,
piuttosto
che lasciarle per terra in modo che tutti le potessero calpestare. E
poi Jeff
si lamentava con lui se le sue
magliette bianche avevano le impronte.
Rovistando
tra la poltiglia di calzini a terra, trovò il
quaderno degli appunti che Jeff stava cercando da tre giorni. Si
batté un palmo
sulla fronte, ridacchiando: lo avrebbe appoggiato sul letto del
compagno e,
quando questo gli avrebbe chiesto dove lo aveva trovato, avrebbe
risposto che
era piovuto dal cielo, senza dargli alcuna spiegazione.
Si
sedette sul suo letto, il cappuccio della felpa tirato
sulla testa e il quaderno in mano. Cominciò a sfogliarlo e,
già che c’era,
avrebbe visto se c’era qualcosa che gli mancava: ultimamente
non riusciva a
stare molto attento alle lezioni, quindi era meglio avere qualche
appunto in
più.
Rimase
un po’ interdetto quando, già alla terza pagina di
formule chimiche, trovò degli appunti decisamente
non scolastici scritti ai lati dei fogli: frasi ricopiate e
tratte da
vecchi poemi, citazioni di libri – soprattutto di Harry
Potter – e anche da
film. Thad si ritrovò nella pagina che, qualche giorno
prima, aveva
completamente riempito di ‘non devo dire bugie’.
Provò
un moto di tenerezza per Jeff e di tristezza quando,
in fondo all’ultima riga, scoprì che aveva
aggiunto ‘... a me stesso’.
Sentì
la porta della stanza aprirsi e poi chiudersi con un
tonfo: chiuse il quaderno e lo lanciò a terra, nel caso
fosse entrato Nick.
Invece, a sorprenderlo, fu una voce totalmente
diversa.
«Sei
proprio cattivo, Sebastian» trillò una voce
sottile.
«Nella mappa che mi avevi dato la tua camera era segnata al
primo piano!».
Ma
co-?
«E
ho fatto una figuraccia perché tutti i tuoi compagni mi
guardavano male» continuò.
Thad
rimase in silenzio, domandandosi che cavolo ci facesse una
bambina alla Dalton! Doveva voltarsi
e fargli vedere che – per fortuna – lui non era
Sebastian o rimanere lì, fermo,
sperando che se ne andasse?
Ma
non fece in tempo a decidere cosa fare, che sentì delle
piccole braccia cingerlo. Oddio.
«Mi
sei mancato tanto, Sebbie!» disse la piccola,
stringendolo ancora più forte. «Ma cosa vi danno
da mangiare qua? Sei
ingrassato».
Thad,
completamente imbarazzato, le prese le mani e se la
scrollò di dosso, voltandosi. A quel punto la bambina lo
guardò con gli occhi
spalancati e strillò: era carina e davvero molto piccola...
forse aveva nove o
dieci anni. Aveva capelli lisci e biondi e il suo visetto sarebbe stato
adorabile, se non fosse stato per la bocca spalancata ancora per lo
stupore, che
le dava un’aria buffa.
Si
avvicinò a lei e le tappò la bocca con una mano.
«Shhh!».
Lei
gliela morse e si allontanò.«E tu chi
sei?!».
«No»
rispose Thad, tenendosi la mano. Maledetta
vermiciattola! «Tu chi-!».
Thad
non riuscì a finire la frase che Sebastian aprì
la
porta della stanza: ma si erano messi tutti d’accordo
nell’invadere i suoi
alloggi? Prima una bambina un po’ sclerotica e poi lui.
Sebastian
rimase sulla soglia, lo sguardo che andava da Thad
– che si stava stringendo ancora la mano morsa –
alla piccola bambina dall’aria
scandalizzata.
«Sarah!»
esultò Sebastian, leggermente sorpreso. «Che cosa
ci fai qui? Sei da sola?».
Lui
si avvicinò alla piccola, ignorando completamente la
presenza di Thad.
Lei
scosse la testa. «Volevo venire a trovarti e poi ho
incontrato questo qui che si è scambiato per te!».
«Io
non mi sono
scambiato per lui! Diciamo che è l’ultimo dei miei
pensieri» si difese Thad, un
po’ seccato.
Sebastian
alzò un sopracciglio. «Ah, quindi è
nella lista
dei tuoi pensieri?».
«N-
sai cosa intendo!».
«E
comunque, Thaddino» continuò lui, stringendo la
piccola a
sé, «che volevi fare a mia sorella, eh?».
Sua...
sorella?
*Hudson non è Finn, ma bensì il cognome di Nicholas!
Angolo Me.
Credo
che stessi dando da mangiare ai dinosauri l’ultima
volta che ho aggiornato [...]
La
prima scusa è che c’era la Niff Week (che non ho
manco
concluso) e la seconda scusa... non c’è ;_; Quindi
chiedo immensamente perdono
per questo immane ritardo. Spero di essermi fatta perdonare con questo
capitolo: finora è il più corto che ho scritto,
ma diciamo che ne sono
abbastanza soddisfatta. Certe parti non sono venute come me le
immaginavo, ma
per il resto sono contenta (:
Finora
è il più corto che ho scritto.
Beh,
spero lo siate anche voi!
...
Che ve ne pare della sorellina di Sebastian? LOL
Non
pensate che questa sia la sua prima e ultima apparizione
*fischietta*
Ringrazio
infinitamente Weh
e Soraya, che hanno avuto la
pazienza di recensire lo scorso capitolo. Un grazie anche a tutti
coloro che
hanno inserito la storia tra seguiti/ricordati/preferiti, siete tanti
tanti u_u
Per
il resto... aspetto opinioni/consigli!
Un
arcobaleno per tutti,
Lins
♥
Ps: Prima di lasciarvi a fare
qualunque cosa vogliate fare, vi linko così a caso il mio
profilo Twitter, dove trollo nel tempo libero e ogni tanto spoilero
qualcosuccia! Oh Yeaaaaaah!
|
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Capitolo 6 *** Una No-ia al Museo ***
Questo capitolo volevo dedicarlo a
tutti coloro che, almeno una volta
nella
vita, si sono detti
ad alta voce e con tono convincente:
“Io ce
la posso fare”.
Capitolo
6.
Una
No-ia al Museo
Quella
era una di quelle situazioni talmente imbarazzanti
che Thad avrebbe preferito ingoiare quintali di prugne secche piuttosto
che
viverle. E con ‘imbarazzanti’ intendeva che la
vergogna gli usciva fuori da
ogni poro della pelle.
Lui
era seduto sul suo letto, la schiena rigida e lo
sguardo indagatore e confuso; Sebastian se ne stava appoggiato
all’armadio con
le braccia dietro la schiena e uno sguardo indecifrabile, mentre la
piccola
Sarah era accovacciata sul tappeto, le gambe strette tra le braccia e
gli occhi
puntati su Thad.
«Però
hai una faccia buffa» se ne uscì lei, rompendo il
silenzio con la sua vocetta squillante.
Thad
non riuscì a capire se quella fosse una
considerazione seria o se lo stesse solamente prendendo in giro. Il
fatto era
che il viso di quella bimba lo confondeva così tanto... la
conosceva da cinque
minuti e aveva usato già mezza dozzina di espressioni per
rivolgersi a lui. Ora
che la guardava bene, somigliava davvero molto a Sebastian: la stessa
forma del
viso, lo stesso taglio di occhi – anche se quelli di lei
erano di un brillante
marrone scuro – e, in qualche modo, quando Thad la guardava,
gli sembrava di
vedere un piccolo Smythe con i capelli lunghi.
Non
che la cosa fosse granché rassicurante.
«Tanto
per curiosità» cominciò Thad, decidendo
di ignorare
la precedente critica di Sarah «e se uscissi dalla mia
stanza e
lasciassi voi due soli – sempre nella mia
stanza?».
In
effetti non aveva ancora realizzato bene il motivo per
cui fossero tutti e tre ammucchiati là dentro, ognuno sulle
sue. Guardò
Sebastian, che in quel momento sembrava stesse trovando estremamente
interessante una macchia scura sul soffitto.
Si
sentiva un tantino in trappola: la presenza di ben due
Smythe lo stava preoccupando. Già quando ce n’era
solamente uno nei paraggi, la
cosa non gli piaceva granché.
«Non
vedo perché io e mia sorella dovremmo restare nella
tua stanza» disse Sebastian.
«E’
quello che mi sto chiedendo da quando siete entrati»
rispose Thad. «Anzi, a dire il vero io non capisco
perché tutti e tre dovremmo
restare segregati qua dentro» saltò su.
Improvvisamente
si vergognò un sacco della confusione che
regnava in quella stanza: non ci aveva pensato sul momento ma, quando
la sua
attenzione si focalizzò su una piramide ben costruita di
calzini sporchi – probabilmente
di Jeff –, arrossì lievemente.
Fregandosene
di entrambi, si alzò e si stiracchiò. Aveva
il sedere intorpidito e non vedeva l’ora di uscire e
sgranchirsi le gambe. Quel
teatrino silenzioso stava durando fin troppo e lui non aveva voglia di
perdere
tempo – anche se, in realtà, non è che
avesse molto da fare. Giusto i compiti
ma, piuttosto che stare lì imbambolato, avrebbe preferito
temporeggiare facendo
il giro della scuola senza motivo per tutto il pomeriggio.
«Dove
vai?» chiese la bimba.
Thad
terminò il suo rito di stiracchiamento e posò lo
sguardo su di lei.
«A...
ehm... fare i compiti».
«Ma
non dire baggianate, Thad» intervenne Sebastian,
suscitando risolini da parte della sorella.
Thad
lo ignorò e attraversò la stanza a grandi passi,
sicuro di avere lo sguardo di entrambi gli Smythe puntato sulla schiena.
Ma
perché dovevano essere così inquietantemente
inquietanti?
«Posso
venire anche io?».
Ma
co-? Certo che quella bambina era strana forte, eh.
Peggio del fratello. No... no, impossibile, anche se da qualcuno doveva
pur
aver preso.
«Teoricamente
tu non potresti nemmeno stare qua» spiegò
Thad.
«In
effetti ha ragione, Sarah» concordò Sebastian.
«Hai
detto che sei con nostra madre?».
La
piccola annuì.
«Bene,
ti riaccompagno fuori» continuò, avvicinandosi a
lei e porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi. Entrambi
sorpassarono Thad –
che stava ancora in piedi accanto alla porta – e uscirono.
Aggrottò la fronte e,
quando fu sul punto di uscire anche lui, Sarah ricomparve di nuovo
nella stanza
e lo squadrò dal basso verso l'alto.
«Un
giorno potresti venire a casa mia a bere un tè»
disse.
«Vorrei presentarti Jessica e Marika!».
«Chi
sarebbero Jessica e Marika?» rispose Thad,
leggermente atterrito da quella confessione così inaspettata.
Sarah
sorrise. «Le mie Barbie!».
Thad
sgranò gli occhi e gli venne in mente un flash di lui
circondato da bambole mentre beveva il tè in casa Smythe.
Or-ri-pi-lan-te!
«Ahem...
sei seria?»
«Certo!
Anche se sei strano, mi piaci tanto tanto!»
esclamò la piccola, sorridente, per poi uscire sgambettando
dalla stanza.
Oh,
porca miseria.
«Io
sto davanti».
«Ma
tu ci stai ogni volta!».
«Che
cavolo dici, non siamo mai andati in gita, come
faccio a starci ogni volta?».
«Vabbè
ma... voglio starci io!».
«E
se ci andassi io?».
«Treeeent
davanti e dietro tutti quantiiii!».
Un
coro di risa esplose nel cortile dell’accademia Dalton
quando Thad improvvisò quel motivetto. Perfino lo stesso
Trent prese a
sghignazzare, ignorando il fatto che la battuta fosse un tantino
crudele.
Finalmente
era arrivato il giorno della gita: Thad non
stava nella pelle! Sebbene gli fregasse ben poco di vedere musei
d’arte
italiana, almeno sarebbe uscito dai confini accademici e avrebbe
passato un po’
di tempo in compagnia dei suoi amici. La scuola aveva noleggiato un
piccolo pullman
per accompagnarli in città e, in quel momento, erano tutti
seduti sulla
scalinata principale aspettando che arrivasse.
Non
erano in tanti, considerando il fatto che alcuni non
avevano aderito: Thad ne contò una decina.
«Sono
contento che andiamo in gita» ruppe il silenzio
Jeff, «però devo ammettere che stavo
più comodo nel mio letto».
Thad
gli sorrise e non poté fare a meno di pensare che un
giorno fuori dalle mura della scuola avrebbe solo che fatto bene al suo
amico,
anche se in quegli ultimi giorni sembrava abbastanza tranquillo
rispetto al
periodaccio precedente: un po’ d’aria nuova avrebbe
sicuramente giovato alla
sua salute. Mentale e fisica.
Anche
Nick aveva perso un po’ del malumore che lo aveva
colto in quel periodo – e i solchi scuri sotto agli occhi
erano finalmente
spariti: continuava a ripetere che le cose con Sally stavano andando
meglio,
quindi si supponeva fosse per quello... ma Thad non era molto convinto.
Più che
altro non sapeva cosa pensare e Nick era un ragazzo un po’
riservato.
«Thad»
interruppe i suoi pensieri una voce alle sue
spalle. Si voltò e vide Sebastian avvicinarsi a loro con una
nonchalance invidiabile.
Perché?
Perché un “Thad”
detto in modo freddo e
distaccato - che lo fece sentire una pezza - e non un “ehi,
ragazzi,
buongiorno, come state?”.
«Sebastian»
replicò.
«Mia
sorella ha detto di salutarti» disse l’altro.
«E che
ti aspetta per una cioccolata calda a casa nostra».
«Non
era un tè?».
«Quello
che è» fece spallucce Sebastian.
Thad
si sentì un po’ in imbarazzo: aveva come la
sensazione che, comportandosi con Sarah in modo volutamente distaccato
per quei
pochi minuti che avevano trascorso assieme, non avesse fatto altro che
accattivarsela
ancora di più. Ci mancava solo quello. Gli venne in mente
quando, al centro
estivo parecchi anni prima, un bambino lo aveva preso talmente in
simpatia che
scollarselo di dosso era stata una vera e propria missione militare.
Ricordava
anche il pianto isterico del piccolo quando scoprì che Thad
aveva fatto di
tutto per levarselo dalle balle.
Oh,
no. E se la cosa avesse dovuto ripetersi? Non osava
immaginare l’ira di Sebastian Smythe vedendo la sua piccola e
innocente
sorellina piangere disperata per colpa sua. Non
aveva ben capito il
rapporto dei due fratelli, però gli pareva di aver colto
l’essere protettivo di
Sebastian nei confronti della bambina. In fondo... era una cosa davvero
molto dolce.
«Ahem...
grazie» disse soltanto, sentendo gli sguardi di
Nick e Jeff puntati addosso.
Aveva
raccontato loro la storia omettendo il piccolo
particolare dell’invito che, sinceramente, non
avrebbe accettato per nulla
al mondo.
Qualche
secondo dopo arrivò il pulmino – in
realtà
sembrava un furgoncino bianco dei gelati piuttosto malconcio
– e li attese
davanti al vialetto. Il fatto che Trent si fosse seduto nel posto
davanti suscitò
ancora delle risate da parte dei ragazzi.
«Mi
sono perso qualcosa?» domandò Sebastian.
«Ti
sei perso la canzoncina di Thad» lo informò Jeff,
soffocando ancora le risa.
«Ah,
niente di che, quindi» rispose l’altro in tono
pacato.
Thad
alzò gli occhi al cielo. Rimase un po’ infastidito
quando Sebastian si sedette accanto a lui: i posti erano molto stretti
e già
avrebbero dovuto respirare la stessa aria per mezz’ora di
viaggio, ci mancava
anche il contatto fisico. Si sentiva stranito...
quella era la prima
volta, pensò, che stavano così vicini. Quasi si
sentiva il fiato del compagno
sul collo. E... perché la cosa gli dava fastidio? Stava
diventando decisamente
troppo paranoico.
Per
fortuna, tra una cavolata e l’altra, il viaggio
passò
abbastanza in fretta. Jeff e Trent avevano deciso di intrattenere tutta
la
comitiva raccontando barzellette e aneddoti demenziali, giusto per
passare il
tempo. Durante il viaggio, Thad aveva osservato molto Nick e il suo
essere
coinvolto ogni volta che Jeff apriva bocca. Era sicuro che in quel
periodo,
entrambi con l’umore sotto alle scarpe, avevano deciso di
supportarsi a vicenda
e Thad era molto fiero di loro: non aveva più parlato con
Jeff riguardo alla
‘previsione’ della veggente, ma sembrava che lui
avesse lasciato perdere.
D’altronde se c’era qualche novità o
qualche problema, lui era il primo a cui
Jeff si rivolgeva. Detto francamente, invidiava un po’ la
loro amicizia: erano
sempre così disponibili l’uno con
l’altro, si cercavano a vicenda ed erano sempre
andati d’accordo. Non che con lui si comportassero
diversamente, però
era... non sapeva spiegarlo con esattezza. Li considerava i suoi
migliori
amici, ma non negava che aveva sempre desiderato un amico come Jeff lo
era per
Nick e viceversa.
Il
pulmino si fermò accanto ad una piazza e tutti gli
studenti si precipitarono fuori, respirando finalmente aria fresca: era
il
minimo, dopo essere stati parecchio tempo in uno spazio così
ristretto.
Thad
si stiracchiò le braccia e la schiena e un sonoro crock
echeggiò nell’aria.
«Che
diavolo era?».
«La
mia schiena, credo».
«Cristoddio,
Thad, che impressione!» esclamò Trent,
scrutandolo quasi fosse un alieno.
Thad
ridacchiò, godendosi le espressioni di
disapprovazione dei compagni, soprattutto la faccia inorridita di Jeff.
«Ora
Thad si trasforma in Iron Man!» esclamò Trent,
puntandogli un dito contro. Tutti scoppiarono a ridere, perfino
Sebastian
accennò ad un ghigno divertito. Improvvisamente Thad si
accorse di quanto il
sorriso di Sebastian fosse contagioso: quando lo vide sorridere fu come
travolto da una sensazione di pace e – forse solo
perché solitamente il suo
sguardo tramandava astio. Ora invece sembrava sereno e il fatto di non
avere un
ghigno strafottente impresso in faccia lo faceva sembrare addirittura bello.
Cosa
che lui non avrebbe dovuto pensare, in teoria... ma
in pratica, oh, era solo una
considerazione. Non significava niente.
Thad,
confuso sul motivo per cui Trent lo avesse
paragonato ad Iron Man, assunse un’espressione che sarebbe
dovuta essere
‘sexy’.
«Lo
dici perché senza armatura sono un genio,
miliardario, playboy, filantropo*?».
Altre
risa. Anche Thad rise della sua battuta e la cosa
gli sembrò un po’ patetica, ma in
realtà erano loro che lo facevano
sorridere, le loro risate.
Erano
dentro al museo da ormai tre quarti d’ora. Non si
erano ancora mossi dalla sala principale, piena di statue e di quadri
antichissimi dei quali a Thad non importava una mazza - e probabilmente
i suoi
compagni pensavano la stessa cosa.
Quel
museo aveva come minimo altre dieci sale e se avevano
speso tre quarti d’ora – se non di più
– solo per una, non osava immaginarsi quanto
tempo avrebbero perso per le altre. Gli stava già venendo il
latte alle
ginocchia e ormai era da cinque minuti che sbadigliava di continuo.
«E
se ci infilassimo in qualche sgabuzzino e giocare a
Ramino?» propose sottovoce, rivolto a chiunque lo ascoltasse.
Fu
Nick a rispondere per primo. «Ci sto. Questa gita
è una
palla!».
«Se
lo dice Nick...»
«Dai
ragazzi, silenzio, mancano solo quattro ore e mezza
al pranzo» rispose poi Jeff.
Okay,
se anche Nick concordava sul fatto che quella gita
fosse una noia mortale, la cosa era grave. Si voltò e vide
che Sebastian stava
scrutando con aria confusa una statua: anche gli altri se ne accorsero
e gli
rivolsero occhiate curiose.
Solo
dopo pochi istanti lui si accorse di essere osservato.
«Che
volete?».
Solito
tono simpatico.
«Non
sembri un tipo amante dell’arte... E’
così
interessante quella statua?» domandò Nick,
ridacchiando.
«E
anche se fosse?» rispose di rimando Sebastian.
«Non
la dai a bere a nessuno».
«E
va bene» si difese Sebastian alzando le mani,
«trovo
che questo qua somigli molto a Flint. Chi era?».
Ma
co-?
Stava
davvero paragonando una statua al loro amico Flint?
Thad era indeciso tra lo scoppiare a ridere o mantenere lo sguardo
perplesso
che era sicuro di aver assunto in quel momento.
«Ma
dai» intervenne Trent, «è come se io
paragonassi il
mio joystick a mia madre. Non ha senso».
«Queste
tue battute non hanno senso, Nixon» rispose
Sebastian arricciando il naso.
«Invece
di bisticciare, perché non troviamo qualcosa da
fare?».
«Comunque
quel tipo della statua è Donatello, secondo
questa mappa del museo» intervenne Thad aprendo
l’opuscolo che teneva in mano e
appoggiandolo al muro: da piccolo com’era, ora si era
rivelato una mappa ben
dettagliata del museo, descrivendone tutte le sale con i vari dipinti
e/o
statue che vi erano all’interno.
Jeff
si avvicinò con tranquillità a Thad, che in quel
momento sembrava davvero molto concentrato.
«Thad...».
«Mh?».
«Ora
recitiamo insieme: “Io, Thad Harwood, sono un
pirla”».
L’altro
inarcò un sopracciglio. «Ehi!»
«Beh,
hai praticamente il nostro biglietto d’uscita in
mano e non ci hai detto niente!» sbraitò
Jeff, strappando di mano la mappa
al compagno con poca grazia. Si mise a scrutarla, in silenzio.
«Ma
che vai dicendo?» continuò Thad, senza capire cosa
volesse dire. Si voltò verso i compagni e notò
che tutti scuotevano la testa
con fare scettico. Allora era vero: l’Arte faceva proprio
male alla salute
mentale come aveva sempre pensato.
Jeff
alzò lo sguardo. «Trovato».
«Mi
vuoi dire che cacchio stai facendo?».
Il
biondo sbuffò. «Questa è una mappa,
Thad. Una
mappa» ripeté. «Lo sai cosa se ne fanno
delle mappe nei film?».
«Di
solito se le mettono in testa quando piove, ma non-».
«Passaggi
segreti! Per uscire da questo postaccio.
Dovreste ringraziarmi, ne ho già trovato uno»
continuò, avvicinandosi ai
compagni e indicando un punticino poco distante da loro. «Se
ci infiltriamo qua
dentro poi, scendendo le scale, potremmo ritrovarci nei sotterranei
e-».
«Sì,
e magari poi sbuchiamo dietro un quadro... Jeff, non
siamo a Hogwarts!» esclamò Thad,
togliendogli di mano la mappa. «E questo
non è un passaggio segreto, ma è il condotto
dell’aria e sarà largo come la tua
testona. Credo che nemmeno Sebastian con la sua magrezza riuscirebbe ad
infilarsici. E’ troppo stretto!».
Jeff
parve un po’ abbattuto, ma non poté negare di
essersi
fatto prendere un po' la mano dall’entusiasmo. A Thad fece
tenerezza la sua
espressione da cucciolo bastonato e gli sorrise.
«E
se invece uscissimo dalla porta principale? Così,
giusto per dirne una» disse Sebastian con una punta
d’ironia, attirando gli
sguardi dei compagni: Thad dovette ammettere che, tra tutte le
baggianate che
erano state dette nell’ultimo quarto d’ora, quella
era la più sensata.
Tuttavia... come fare senza catturare l’attenzione degli
insegnanti? Insomma,
se su dieci ragazzi ne fossero spariti la metà, se ne
sarebbero accorti
all’istante. L’unica cosa da fare era soffrire in
silenzio.
Un
paio di minuti dopo erano stati tutti catapultati nella
sala successiva che, per fortuna, era almeno un po’
più accogliente della
precedente: era più luminosa, decisamente più
grande e la luce del sole che
entrava dalle poche finestre faceva risaltare i colori caldi della
moltitudine
di quadri che tappezzavano le pareti. Non che questo avrebbe reso la
lezione
più interessante o meno noiosa, ma almeno non sembrava di
stare in uno
scantinato.
Qualcosa
gli diceva che avrebbero speso là dentro il
triplo del tempo che avevano passato nella sala precedente.
Quando,
un’ora e mezza dopo, entrarono nella sala
successiva, Thad stava boccheggiando: faceva un caldo bestiale, come
minimo
c’erano il doppio dei gradi che era abituato a sopportare e,
per di più, stava raccogliendo
tutte le sue forze per non addormentarsi sulla spalla di Trent. Era
così
morbida e invitante... e lui aveva così tanto sonno...
I
suoi pensieri furono interrotti da un uomo che si stava
avvicinando a loro.
«Salve»
disse rivolto alla professoressa. «Scusate se vi
interrompo, ma sono costretto a chiedervi di posticipare la vostra
lezione al
pomeriggio. Stiamo facendo dei lavori di ristrutturazione nelle sale
quattro,
sei e sette, e abbiamo avuto problemi con l’impalcatura...
non vogliamo correre
rischi».
La
professoressa rimase un po’ interdetta, ma
acconsentì.
«Ragazzi,
concludiamo con questa sala, poi continueremo
poi nel pomeriggio».
I
ragazzi si scambiarono occhiate eloquenti. «D-dio... Lui
esiste» boccheggiò Nick, suscitando le risate dei
compagni.
«Farò
finta di non aver sentito, Duvall!» lo rimproverò
la
donna, cominciando subito l'ultima spiegazione della mattinata.
Thad
non riusciva a capacitarsi di quanto quella botta di
culo fosse arrivata al momento giusto: insomma, erano appena le dieci e
mezza e,
calcolando un’oretta circa in quella sala, sarebbero usciti
alle undici e
mezza... Il museo avrebbe riaperto alle quattro di pomeriggio e loro
avevano il
pullman di ritorno alle sei e mezza e, dal museo alla fermata, ci
sarebbe
voluto un quarto d’ora di cammino, quindi... avrebbero dovuto
lasciare il museo
alle sei circa. Ciò significava che, tra una cosa e
l’altra, avrebbero fatto
visita a cinque sale su un totale di dodici.
...
Dio esisteva davvero!
Avrebbe
pagato oro pur di stare sdraiato su quel prato
tutto il pomeriggio. Se c’era una cosa che apprezzava di
quella professoressa,
era che amava la natura e gli spazi aperti quasi quanto lui; fosse
stato per
Thad, avrebbe passato tutto il giorno a scrutare le nuvole sopra di
lui, ad
ascoltare il silenzio che regnava in quel posto e a
pensare. Perfino i
suoi compagni sembrava si stessero godendo quelle poche ore di pace che
gli
erano state concesse.
Non
lo faceva perché era pigro – forse un
po’ – o cose
simili, ma perché era una delle poche cose che lo facevano
stare bene.
Nick
era sdraiato ad occhi aperti accanto a lui; Trent e
Sebastian stavano giocando a Ramino ad un paio di metri di distanza da
loro e,
stranamente, lo stavano facendo in modo tranquillo; Jeff,
d’altro canto, era
disteso a pancia in giù e sembrava si fosse addormentato; il
resto del gruppo
era sparpagliato qua e là per il parco del museo e Thad non
riusciva a vedere
cosa stessero facendo.
«Thad?».
La
voce flebile di Nick lo distolse dai suoi pensieri.
«Mh?».
Passò
qualche istante prima che Nick riprese a parlare.
«Tu... tu credi nel karma?».
Thad
arricciò l’angolo della bocca.
«E’ quella roba sul
fatto che, prima o poi, tutto torna? Cioè, se fai
un’azione cattiva... prima o
poi la natura te la farà pagare?».
«Più
o meno».
Ridacchiò.
«Beh, dopo ore e ore di preghiera,
un’impalcatura è crollata nel museo sabotando la
nostra noiosissima gita... non
vedo perché non dovrei credere al karma».
Nick
rise e poi si bloccò per paura di non disturbare il
sonno dell’amico accanto a loro.
«Hai
ragione!».
Anche
Thad sorrise, e-
«Un
momento... ma questa domanda sul karma era una
curiosità o c’è qualcosa
dietro?».
«Beh-».
«No
senti, Nick, se mi stai dicendo che stai aspettando
che il karma alzi le sue chiappette per venirti incontro, ti sputo in
entrambi
gli occhi in modo agonistico» lo bloccò subito
Thad, temendo che cominciasse
con i suoi discorsi malinconici e decisamente fuori luogo.
Nick
sorrise ancora, un sorriso che significava ‘hai colto
nel segno’.
«Non
proprio... è che... ci penso spesso e mi chiedo se
tutto quello che sto facendo per le persone a me care in questo momento
prima o
poi mi verrà ripagato con qualcosa di bello»
rispose con tono pacato e gentile.
«Non che mi dispiaccia rendere felici i miei amici
gratuitamente».
«Ci
mancherebbe» scherzò Thad.
«Intendevo...
non so, non riesco a spiegarmi».
«Ti
ho capito, Nick» rispose Thad. «Sei uno dei miei
migliori amici, so come ti senti in qualunque momento. Anche se a volte
–
spesso – faccio il coglione, non significa che sono
insensibile. Anche io ho i
miei punti deboli»
«E
sarebbero?».
«Punto
primo, i punti deboli non si rivelano, altrmenti
sarebbe troppo facile mettermi KO. Punto secondo, ti ho appena detto
che ti
capisco anche se mi dici ‘a’, i miei punti deboli
dovresti averli capiti tempo
fa... Insomma, ti sto praticamente dicendo che ti conosco
più del mio ombelico
e tu non hai nemmeno idea di cosa mi indebolisce! Sono
offeso».
Trascorsero
qualche secondo in silenzio, ma a Thad parve
un’eternità. Ah! Nick e i suoi cazzo di momenti
vomitevoli.
«Senti,
Nick... devi smetterla» continuò senza dargli
possibilità di risposta. «Non so quali orrendi
pensieri ti passino per la testa
per farti stare come uno straccio. E il karma? Ommioddio, ma che cazzo
ti è
capitato di così brutto per deprimerti in questo modo?
Nick-Duvall-il-Depresso,
tu non ti rendi conto che hai una vita fantastica: hai degli amici come
noi che
ti scassano sempre le balle, che ci sono sempre per te, che
ti
assecondano e ti vogliono bene come poche cose al mondo. Hai una
famiglia che
ti è sempre stata accanto, una sorella con cui condividi
praticamente tutto e
un padre che è sempre stato fiero di te in qualunque
occasione. E hai una
ragazza che- okay, escludiamo Sally da questo discorso. Insomma, non
hai mai
preso un brutto voto, non sei mai stato vittima di bullismo, hai una
voce
fantastica e fai parte di un gruppo di canto corale che supporta il tuo
talento
e che sta per vincere le provinciali di quest’anno. Adesso
dimmi:
cosa-cazzo-ti-affligge?».
Nick
continuò a fissare l’amico per qualche secondo,
anche
dopo che ebbe finito il suo monologo: Thad non riuscì a
decifrare quello
sguardo. Sembrava un po’ interdetto, ma anche commosso dalle
sue parole.
E
pensò che forse, senza rendersene conto, aveva centrato
proprio il punto del problema: si sentì particolarmente
fiero di quel discorso
da papino.
«Grazie...»
rispose Nick debolmente. «Sarò banale, ma
è
proprio quello il problema... le ragazze uccidono, Thad».
Thad
diede una sbirciatina a Jeff, che stava ancora
dormicchiando accanto a lui, e si rivolse a Nick. «Mettiti
con Jeff».
L’altro
assunse un’espressione accigliata.
«Dai,
guardalo» continuò, indicandolo.
«E’ così innocente
da sembrare una ragazza e nel frattempo così maschio da
sembrare... un
maschio».
«...»
«Suvvia,
hai capito!» esclamò Thad, cambiando posizione e
mettendosi a pancia in giù con il mento appoggiato sui palmi.
«Comunque-»
«No,
che cazzo, non è giusto!» li interruppe la voce di
Trent.
Subito
dopo voltarono entrambi lo sguardo verso l’amico e
non poterono fare a meno di notare la distesa di carte da Ramino che
coprivano
il suolo il modo disordinato. Trent era di schiena con entrambe le mani
nei
capelli, mentre Sebastian lo stava scrutando in maniera indecifrabile.
Chissà
per quale motivo le espressioni di Sebastian erano la maggior parte
delle volte
indecifrabili, Thad non ne aveva mai capito il perché. Era
forse un talento
naturale?
«Ma
è possibile?» si lamentò ancora Trent.
«Evidentemente
sì» rispose Sebastian, stiracchiandosi.
«Su, dai, non ti abbattere».
«No!»
esclamò l’altro. «Hai fatto il castello
di carte tu
ed è filato tutto liscio, sto per mettere
l’ultima carta io e booom!
soffio di vento! Vaffanculo!».
Thad
avrebbe voluto ucciderlo. Il loro discorso serio era
stato interrotto da una cazzata colossale e ormai la chiacchierata non
avrebbe
più preso la piega che avrebbe dovuto, dato che Nick si era
già voltato dalla
parte opposta per poter sonnecchiare un po’. Evidente la cosa
per lui non era
così importante – oh, eccome se lo era.
Si
alzò e si stiracchiò per bene; per quanto gli
piacesse
oziare, doveva ammettere che era snervante alzarsi e ritrovarsi pieno
di dolori
per il troppo ‘dolce far niente’. Certe volte si
domandava perché sua madre non
lo avesse chiamato “Rottame” anziché
Thad.
«Io
vado a sgranchirmi un po’ le gambe»
comunicò a
chiunque lo stesse ascoltando – praticamente nessuno, visto
che Nick e Jeff
stavano pisolando e Trent e Sebastian erano ancora intenti a
raccogliere tutte
le carte sparse a terra. «Vabbè».
Si
incamminò verso l’estremità del parco
con molta
tranquillità, avvolto finalmente da una leggera brezza: per
essere autunno
stava facendo davvero troppo caldo e il blazer dell’accademia
certamente non stava
aiutando. Così si tolse la giacca – rimanendo solo
in cravatta e camicia – e la
lanciò per terra accanto a Jeff prima di allontanarsi.
«Aspetta,
vengo anch’io».
Sebastian
si affiancò a lui, il sorriso a duecentocinquanta
denti rivolto verso Thad.
«Perché?».
«Calma,
Thaddino, è solo una camminata. Sinceramente, mi
si stava appiattendo il culo a forza di stare seduto»
sospirò Sebastian
grattandosi il naso.
«Chiamami
ancora ‘Thaddino’ e ti appendo ad un
albero»
ribatté Thad, infastidito. Poi gli venne in mente
un’idea. «Okay, visto che ti
piace darmi ogni genere di soprannome-».
«Veramente
per me sei solo Thaddino».
«Comunque»
riprese Thad «che ne dici se troviamo un bel
nomignolo anche per te? Mmh, vediamo... Sebby? No, troppo banale. Sebs?
Naaaah,
è troppo carino. Cosa ti sembra di Smythy?».
«Non
farlo, Thad» replicò Sebastian fermandosi
improvvisamente e rivolgendogli uno sguardo fin troppo serio.
Ah-ha!
Colpito e affondato.
«Non
ti piace? Bene. Smythy Smythy Smyyyyyythy!»
ridacchiò
l’altro, scuotendo la testa in maniera completamente idiota.
Inaspettatamente
Sebastian gli si parò di fronte,
bloccandolo: ma che stava succedendo? Non sembrava offeso, piuttosto...
incazzato. Ma perché? Lui lo chiamava con ogni genere di
nomigliolo insopportabile,
non sarebbe successo niente se lui avesse cominciato a ricambiargli il
favore.
«Mio
fratello mi chiamava in quel modo» disse soltanto.
Il
suo tono duro e distante e quel verbo al passato, gli
fecero capire che Sebastian aveva avuto un
fratello. Oh, cazzo. Non ne
aveva idea... come avrebbe potuto saperlo? Quel ragazzo era
così riservato, e
poi Thad a malapena sapeva i corsi che frequentava a scuola. Aveva
fatto
proprio la figura dello scemo, come sempre. Si sentì... in
colpa.
Sebastian
rilassò le spalle e deglutì, mentre Thad non
riusciva a smettere di fissarlo.
«Chiamava?
Scusa, Sebastian, io... scusami» borbottò,
sinceramente dispiaciuto.
Non
gli era stato simpatico fin dal primo momento, però
gli dispiacque così tanto di aver fatto una gaffe del genere
che avrebbe
preferito sprofondare.
«Lascia
stare, eh» rispose Sebastian continuando,
riprendendo a camminare nella direzione in cui erano diretti. Thad
aspettò
qualche secondo e poi lo seguì. Non sapeva bene come
comportarsi e non era da
lui. Cosa avrebbe dovuto dirgli per scusarsi? Magari non delle vere e
proprie
scuse, visto che lui non aveva alba del fatto che Sebastian avesse
perso un
fratello.
Improvvisamente
gli venne voglia di chiedergli quanti anni
ebbe quando morì, se gli somigliava, se era anche lui
castano-Smythe, se
cantava bene quanto lui...
Gettò
un’occhiata nella sua direzione per controllare che
fosse tutto a posto: a parte lo sguardo fermo di fronte a lui, sembrava
che non
fosse successo niente.
«Guarda
laggiù» disse lui indicando un punto poco distante
da loro. «Andiamo a farci un panino».
Thad
notò che Sebastian stava indicando un piccolo
furgoncino che vendeva roba da mangiare. Finalmente un po’ di
cibo! La fame e
il profumo di porchetta non gli fecero nemmeno pensare al fatto che
Sebastian
lo aveva appena – in un certo senso – invitato a
pranzare assieme.
«Due
piadine con la porchetta» ordinò Sebastian dopo
qualche secondo di indecisione.
Thad
stava per dire che gli faceva più gola una di quelle
pagnotte belle grosse che erano esposte di fronte a loro ma, per
qualche strana
ragione, rimase in silenzio.
Frugò
nella tasca tirando fuori il portafoglio.
«No,
aspetta» disse qualche istante dopo. «Avevo cinque
dollari da qualche parte, ne sono sicuro... Dove cazzo
sono!?».
«Metti
via il portafoglio» gli intimò il compagno,
appoggiando qualche soldo vicino alla casa. «Offre la
figaggine».
«No,
non serve. Non mangio».
Sebastian
roteò gli occhi al cielo, sbuffando. «Senti,
sono forse uno dei ragazzi più ricchi di tutto
l’Ohio, vuoi che un panino mi
faccia andare in bancarotta?» dopodiché prese la
piadina pronta che gli aveva
appena passato l’uomo e la schiaffò tra le mani di
Thad.
Oh...
«G-grazie»
disse quest’ultimo, guadagnandosi un’alzata di
spalle in risposta. «Senti... non so come scusarmi per la
battutaccia di
prima».
Entrambi
presero a camminare.
«Ovvero?»
domandò Sebastian con la bocca piena.
«Beh,
tuo fratello... Sai, non sapevo avessi un fratello».
«Ora
lo sai».
«Ma
com’è...» Thad si bloccò
qualche istante. «Com’è
che... insomma... se n’è andato?».
«Rubando
la macchina nuova di mio padre. E’ stato un
grande stronzo» rispose Sebastian continuando a dare enormi
morsi al suo
pranzo.
Ehi,
ma co-?
«...
In che senso?» chiese.
«In
che senso cosa?»
«Mi
stai dicendo che è scappato, praticamente» disse
Thad
con voce ferma.
«Già»
rispose l’altro. «Stronzo, ripeto».
«Io
pensavo che fosse morto! Mi hai fatto credere che
fosse morto!».
«Io
non ti ho fatto credere un bel niente!».
«Beh,
da come parlavi e come ti eri abbattuto, pensavo lo
avessi perso... Non che fosse fottutamente scappato vivo
con la
macchina di tuo padre!».
E
lui che si era fatto tutte quelle pippe mentali per
tutto quel tempo. Un groppo di nervoso gli salì in gola e si
stava trattenendo a
stento dallo strangolare quel cazzone che camminava accanto a lui.
«Sei
riuscito a farmi sentire un gran pirla» commentò
aspramente Thad, sospirando.
«Hai
fatto tutto da solo» rispose Sebastian.
Forse
era vero. Forse no. O forse era semplicemente colpa
di Sebastian. Era sempre colpa di Sebastian.
«Ehi,
Harwood?».
«Che
c’è ora?».
E
in una frazione di secondo si ritrovò con il culo
all’aria e la faccia dritta in una pozzanghera, mentre la
risata di Sebastian
Smythe riecheggiava nell’intero parco.
*battuta
dal film “The Avengers”. Scusate, non sono
riuscita a trattenermi dall’aggiungerla XD
Angolo Me.
“Credo che stessi
dando da mangiare ai dinosauri l’ultima volta che ho
aggiornato”.
Ri-cito la prima frase
del mio ultimo angoletto. Cioè,
davvero... sono passati mesi. Mi potete perdonare? Vero? Vero?
*occhietti alla
Dianna Agron*
In realtà
non è che avevo abbandonato la scrittura perché
non avevo tempo o voglia (anche se il tempo viene a mancare comunque),
ma
perché mi ero ripromessa che, almeno questo capitolo, lo
avrei scritto
esattamente come me lo immaginavo nella testa. Senza accontentarmi del
“Vabbè,
tanto i lettori apprezzano lo stesso”.
Mi ci sono messa
d’impegno, eh u_u
Vi confido anche che
l’avrò cancellato una quindicina di
volte, credo.
Aaaaaanyway! State
passando delle belle vacanze? :3
Io abbastanza: sono
stata a Dublino con un’amica e poi esco
spesso con i miei amici. Lo so che non ve ne potrebbe fregare di meno,
ma sto
temporeggiando perché non ho idea di cosa scrivere riguardo
a questo capitolo,
LOL :’D
Diciamo che parla da
sé. Tornerà la sorellina di Sebastian?
Sì. Nick la smetterà di fare l’emo
depresso? Sì ( ;) ). Thad la
smetterà con le sue pippe mentali? No. Bwahahah!
Volevo ringraziare
tutti coloro che hanno recensito il
capitolo precedente, ovvero therentgirl (ommioddio,
non ricordo se te l’ho detto, ma la tua recensione mi ha resa
molto aww ç-ç ♥),
Lady_Thalia,
KIAsia, MartyYeppa, Weh e Somo. Grazie gleeeeeks :3
E anche a tutti quelli
che hanno inserito la storia in tutti
i posti in cui può essere inserita (che brutta frase),
grazie di cuore!
A PRESTO si spera,
un arcobaleno per
tutti,
Lins ♥
Vi lascio così a caso il mio account di Twitter, dove trollo parecchio e ogni tanto rilascio qualche spoiler (è molto formale detta così). Sono disponibile a qualunque tipo di conversazione :D eeeeooouuuuu |
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Capitolo 7 *** Doccia scozzese ***
Questo
capitolo vorrei dedicarlo
a
tutti i miei lettori,
perché
devo smetterla di
farli attendere così a lungo.
Love
you all ♥
ND: ci tenevo farvi vedere
cosa therentgirl
ha fatto per la mia storia, ecco. Lei dice che non merita, ma secondo
me è magnifico! Grazie Rentilli :3
Thadaaaaaaa
Capitolo
7.
Doccia
scozzese
E’
da un po’ che non ti fai
sentire.
Thad
ricevette quello strano messaggio un venerdì mattina, mentre
era spaparanzato
sul divanetto della sua camera. Avendo deciso di non essere abbastanza
sveglio
neanche per fingere di ascoltare due intere ore di Chimica, si era
svegliato
comunque presto ma era rimasto nella sua stanza a cazzeggiare.
L’ultima volta
che lo aveva fatto era stato il gennaio precedente quindi, in un certo
senso
poteva anche permetterselo.
Aveva
quasi finito il quattordicesimo livello di Space
Astronaut col cellulare quando il
messaggio
gli arrivò: anziché cliccare il tasto per sparare
palline, per sbaglio
premette quello che gli fece aprire il messaggio,
perdendo la partita e, di conseguenza, tutti i livelli precedentemente
passati.
Imprecò
sonoramente, sperando con tutto se stesso che chi l'aveva interrotto
avesse
avuto almeno un buon motivo. E invece no, perché il
messaggio non aveva mittente.
Anzi, era salvato nelle conversazioni del suo cellulare, ma non
ricordava chi
fosse... ah! Il numero anonimo con cui aveva massaggiato tempo prima!
Sinceramente
si era perfino dimenticato della sua esistenza. Ora che doveva fare?
Fingere di
sapere chi fosse e continuare come la volta precedente oppure non
rispondere e
lasciar perdere? Optò per il lasciar perdere, non aveva
tempo da sprecare. In
realtà ne aveva fin troppo, ma preferiva spenderlo in altri
modi.
Un
secondo messaggio, però, gli fece cambiare idea.
E’
stato perché a te piacciono
i biondi, vero? Con gli occhi azzurri, forse?
Tanto
non aveva nulla da perdere. Si acciambellò più
comodo sul divano e rispose. Hai colto nel
segno. E meglio se sono alti.
Ma
che stava facendo...?
Stai
scherzando, vero? La
prima volta che ci siamo visti mi sono dovuto contorcere per entrare
nella tua
auto.
Questo
perché la mia auto è
piccolissima...
Infatti
non c’è auto più
piccola di una bella Jeep.
Stavo
solo scherzando...
Non
ci furono altre risposte dallo sconosciuto. Non che a Thad importasse
granché,
ma magari in qualche modo lo aveva offeso. Che importava? Forse se lo
meritava
pure, non aveva idea di che persona fosse.
In
quel momento la porta della stanza si spalancò e Jeff
piombò al suo interno,
facendo sobbalzare Thad, che lanciò il telefono sul tappeto.
«Ma
sei impazzito!?» esplose.
Jeff
si soffermò a fissarlo inclinando leggermente la testa.
Dietro di lui comparve
Nick, che stava proseguendo un discorso.
«...
gli ha fatto notare quanto in realtà imbecille lui sia,
però se ne frega,
capisci?» stava dicendo, chiudendosi la porta alle spalle.
«Non so spiegarmelo,
ma è come s- Thad!»
Thad
salutò con la mano e un finto sorrisone stampato in faccia.
Sapeva benissimo che
Nick non approvava quando qualcuno saltava i corsi –
specialmente se quel
‘qualcuno’ era Thad –, quindi
sperò con tutto se stesso che l’amico non si
arrabbiasse. D’altronde, qualche lezione prima, anche Nick in
un certo senso
aveva perso una lezione, addormentandosi sul banco.
«Si
può sapere perché non sei venuto a
lezione?» chiese Nick.
«Io...
avevo la febbre» rispose.
«Sì,
certo, hai proprio la faccia da malaticcio»
replicò Nick, lanciando la borsa
nello spazio libero accanto a Thad, per poi dirigersi verso il bagno.
«Se
continui così non penso che quest’anno te la
caverai tanto facilmente...
Insomma, stavo proprio dicendo prima a Jeff che...». Il
discorso si perse
nell’aria nel momento in cui Nick socchiuse la porta del
bagno. Thad era
convinto che stesse continuando a parlare anche se loro non riuscivano
a
sentirlo, come era solito fare.
«Ma
quanto parla?» domandò poi a Jeff, che stava
sfilando alcuni libri dalla borsa.
«Poi mi passerai gli appunti».
Jeff
alzò lo sguardo e in quel preciso istante Thad
capì. «Okay, immagino tu abbia
seguito la lezione quanto me da quassù. Li
chiederò a James, ho capito».
James
era una specie di secchione, quindi sicuramente aveva preso almeno sei
pagine
di appunti; era fortunato ad avere compagni di corso così
disponibili e premurosi nei suoi
confronti. Insomma, James era un
fenomeno in
Chimica, Luke in Geografia, Flint in Filosofia e Nick praticamente in
tutto.
Lui non serviva facesse niente durante le lezioni, gli bastava
scodinzolare dai
suoi amici e il gioco era fatto. Okay, forse se ne stava approfittando solo un
pochino, ma che c’era di male? Loro gli appunti li prendevano
comunque, quindi
non facevano doppio lavoro o altro.
«Ma
quanto ci mette Nick in bagno?» commentò Thad
cinque minuti dopo, cercando di
sistemare il telefono a cui, cadendo per terra, si era sfilata la cover
della
batteria. Jeff fece spallucce.
«Thad,
non sono mica tutti cacca-fulminei come te»
borbottò. Thad sghignazzò. «Che
poi, non ho mai capito come fai a stare sempre così poco in
bagno».
«Tra
tutti gli argomenti esistenti, proprio di merda dobbiamo parlare? Ho
fatto
colazione da poco, rischierei di vomitare tutto su di te»
replicò Thad in
tono esasperato: più che per il discorso,
ce l’aveva con il suo telefono e la sua incapacità
di aggiustarlo.
«Ah!»
saltò su Jeff. Corse dall’altra parte della stanza
e ritornò qualche istante
dopo con le mani dietro la schiena: stava rivolgendo
all’amico un enorme
sorriso. «Mano destra o sinistra?».
Thad
socchiuse gli occhi. «Seriamente, Jeff?».
«Beh?».
«Mmh...
che scelta ardua... facciamo sinistra».
«Indovinato!
Tanto te lo avrei dato lo stesso» e porse la mano ancora
chiusa a Thad, che non
poté fare a meno di essere imbarazzato al posto suo, dato
che quelle cose non aveva
fatte nemmeno ai tempi
dell’asilo. Poi aprì
la mano.
«Ma
co-».
«Ti
piace? L’avevo preso ieri, in realtà, ma mi ero
dimenticato di dartelo» confidò
Jeff facendo spallucce.
Okay,
forse era lui ad essere strano, ma Thad trovò quel gesto davvero adorabile. Era la prima volta
che qualcuno gli faceva un
pensiero di quel tipo e... beh, fu contento che quel qualcuno fosse
proprio il
suo migliore amico.
«U-una
bustina di zucchero?». Come si dovrebbe reagire quando
qualcuno ti regala una
bustina di zucchero? «Grazie, Jeff! Sono contento del fatto
che tu non faccia
parte del branco che ritiene il mio hobby alquanto pazzo».
«In
realtà lo trovo inutile, però quando ho visto che
era così colorata ho subito
pensato a te» confidò il ragazzo, cominciando a
sistemare le sue cose nella
borsa. «Un giorno mi dirai cosa ci farai con tutte quelle
bustine, comunque. A
quante sei arrivato?».
Thad
rise. «Duecentonovantatre con questa».
«Uooo!
Potrei anche io cominciare a collezionare qualcosa...».
«Potresti
collezionare figure di merda, so che ti riesce benissimo. Questa, ad
esempio» e
lo indicò puntando un dito contro la borsa,
«dovrebbe essere la
quattrocentoventiduesima».
«Oh».
Infatti
Jeff non si era accorto che in realtà stava infilando tutte
le sue cose nella
borsa di Nick. Imbarazzato, iniziò a togliere tutti i libri
che aveva sistemato
con cura.
Nick
uscì dal bagno all’incirca dieci minuti dopo, il
cellulare in mano e l’aria
defunta.
Seriamente,
Thad cominciava a pensare che non avrebbe mai
passato una giornata normale in tutta la sua vita scolastica.
«Tua
madre sta di nuovo male?» domandò quando
l’amico si accasciò sul poncho e prese
a fissare il pavimento ad occhi vuoti. Scosse la testa. Anche Jeff
sembrò
iniziare a preoccuparsi.
«Che
succede?» domandò poi.
«E’
la tua gatta?» azzardò Thad. «Non aveva
qualcosa tipo dei noduli di sangue da
qualche parte?».
«No»
rispose Nick, roteando gli occhi. «E’
Sally».
Thad
sospirò. «Nick, va a quel paese, cazzo. Mi hai
fatto prendere uno spavento!».
«Ma
io non ho detto niente!».
«La
tua faccia lo ha fatto al posto tuo!» sbottò Thad,
lanciando il telefono sul
cuscino, dato che non riusciva ad incastrare la cover della batteria.
Ed
eccola che tornava: Sally. Sally,
quella brava ragazza che rendeva il suo migliore amico uno zombie
parlante.
Thad non riusciva a concepire come una ragazza carina –
perché sì,
esteticamente era carina – e tranquilla come lei potesse
creare così tanti
casini... Forse
tranquilla non proprio
tanto, ma comunque era nella norma... circa. Che cosa voleva dalla vita
del
povero Nick?
«Che
cacchio vuole? E’ per la serata karaoke, vero?»
intervenne Jeff, il tono
leggermente prepotente.
Notò
come Jeff sembrava alquanto infastidito: era da quella volta in cui
lui, Nick e
Sally avevano avuto quella conversazione fuori dalla scuola, che
sembrava
provare una
sorta di fastidio verso di lei.
Thad certamente non poteva dargli torto.
L’altro
scosse la testa. «No... dice che questa settimana ci siamo
visti troppo poco e
che le manco».
Ci
fu un silenzio imbarazzante in cui, mentre Nick era intento a fissarsi
i
calzini, Thad e Jeff si scambiarono due sguardi esasperati. Ancora? Non
ne
aveva abbastanza di quella storia?
«Nick...
questa settimana vi siete visti quattro
volte, di cui una sei dovuto sgattaiolare segretamente fuori dalla
scuola per
andare come un imbecille ad incontrarla nel bosco qua vicino. Senza
offesa»
osservò Thad con tono duro. Pensava che non lo avrebbe mai
detto, ma non vedeva
l’ora che la storia tra loro due finisse. Sinceramente, non
erano fatti per
stare insieme e si poteva notare da piccole cose, come quella. E poi la
tristezza negli occhi di Nick in quell’ultimo periodo gli
aveva rotto le
scatole: avrebbe tollerato quei sentimenti per la morte del suo gatto,
per un
brutto voto, per un’amicizia andata male... ma non per un
non-amore. Perché lei
evidentemente non lo amava se si comportava in quel modo, e
lui… lui non la
amava di certo.
«Magari
adesso se ne verrà fuori con la storia che parlate pure
troppo poco» continuò
Thad, preso dalla collera.
Nick
sogghignò. «Già passato quel
momento».
«Cosa!?»
esclamò indignato Thad. «Ma se non possiamo
nemmeno passare un’oretta la sera a
giocare a Cluedo perché avete la vostra sessione di peeling
telefonico, o
chessò io!».
«Peeling?
Petting, casomai» lo
corresse. «E noi
non facciamo quelle cose, comunque! Ci raccontiamo la giornata e
basta».
«Oh
ma che romantico».
«Thad...».
«No,
Thad un corno».
«Thad
smettila» ripeté Nick serio. «Ho deciso
di lasciarla».
«Non
dirmi di smetterla, okay? Perché sono tuo amico e ho tutto
il diritto di dir-
eh?».
Nick
chiuse gli occhi e sospirò a lungo, ignorando gli sguardi
dei due amici, che lo
fissavano sconcertati. «Ho detto che ho deciso di lasciarla.
Io la amo, ma-».
«No,
non la ami» lo interruppero Thad e Jeff all’unisono.
«...
okay, le voglio un bene dell’anima,
ma
quando è troppo è troppo. Credo di essere
abbastanza cosciente da capire
quand’è il momento di terminare una cosa che porta
solo danni, per quanto possa
tenerci».
Intanto,
nella pancia di
Thad, era in corso un arcobaleno
party. Ma non poteva esternare la sua gioia al mondo intero
perché sarebbe
sembrato inappropriato, visto che probabilmente l’amico ci
stava soffrendo.
«Meglio
tardi che mai» rispose poi, sorridendo sinceramente a Nick.
«Tu che ne pensi,
Jeff? Sei troppo zitto, non hai fatto altro che toglierti le doppie
punte per
tutto il tempo».
Jeff
ridacchiò, togliendosi le mani dal ciuffo con aria
colpevole. «Che dovrei dire?
A me basta che Nick sia felice e di certo Sally non lo sta aiutando.
Tutto
qui».
«Certamente...»
commentò Thad roteando gli occhi al cielo.
«Comunque, quando lo farai? Spero
prima di Natale, perché volevo organizzare una festa e non
vorrei che lei sia
ancora in mezzo ai coglioni».
«Ehi,
frena! Calma! Già è stata dura prendere questa
decisione... lasciami del tempo,
okay?».
«Mancano
due mesi e tredici giorni a Natale, pensi di farcela?».
Non
c’erano storie, Thad era felicissimo della fine di quella
tortura. Si sentiva
un po’ in colpa a pensarlo perché Nick teneva
davvero a Sally e, pensare quelle
cose, era un po’ come tradirlo. Però era del tutto
certo che, quando tutto si
sarebbe concluso, finalmente avrebbe riavuto il suo vero
Nick.
Senza
aspettare risposta, si alzò dal divano e gli si
gettò letteralmente tra le
braccia, facendolo cadere dal poncho sul quale era seduto.
***
«Voglio
che la smetta».
Quel
pomeriggio Thad e Jeff avevano deciso di uscire all’aria
aperta per ripassare
Letteratura per il compito del giorno dopo, visto che non avevano
alcune
lezioni pomeridiane: Nick era andato a riposare perché la
notte prima non aveva
chiuso occhio, causa compito di Latino della mattina dopo; Trent e
Flint
avevano deciso di rintanarsi in camera a finire l’ultimo
livello di Harry Potter con la
Playstation;
Nicholas era tornato a casa per due giorni perché suo padre
aveva subito
un’operazione un po’
‘impegnativa’ e voleva stargli accanto, mentre
Ethan aveva
lezione di Geografia.
Rimanevano
solo Thad e Jeff, così avevano optato di passare il
pomeriggio ripassando, alternando
lo studio a pause relax.
Okay, era più un
pomeriggio di relax alternato a dieci minuti di ripasso: Jeff era seduto su un
lato della panchina con Thad
completamente stravaccato contro di lui.
Un
paio di volte si accorse che alcuni compagni li guardavano in modo
strano
quando passavano lì accanto: forse –
pensò Thad – agli occhi degli altri sarebbero
potuti sembrare una coppietta. Ma non era così,
assolutamente. Sinceramente era
deludente, da un certo punto di vista, che pensassero quelle cose non
appena
due amici accennavano al volersi bene.
«Girati
dall’altra parte» disse Jeff, voltando pagina del
libro di Letteratura. Non
seppe perché, ma Thad ebbe l’impressione che
stesse solo facendo finta di
leggere. Se lo sentiva.
«Perché
devo girarmi io? Mi sono seduto qua prima di lui, non ho intenzione di
voltarmi» osservò incrociando le braccia.
«E
allora non rompere!» obiettò il biondo.
«Mi stai sfasciando la spalla, se ti
interessa».
«In
realtà non mi interessa» rispose, sistemandosi
meglio. «Se non la smette
adesso, giuro che mi alzo e gli tiro un pugno!».
«Mh,
fallo» suggerì Jeff distrattamente.
«Lo
faccio, eh. Dici che se prendo a fissarlo in modo potente, potrebbe
decidere di
smettere? Eh? No perché il mio sguardo è davvero
potente, Jeff!».
«Thad,
sei proprio cretino! Voltati e basta!».
Sbuffando,
Thad si scompose dalla sua comodissima posizione, per poi sedersi in
maniera
quasi civile accanto a Jeff. Cinque minuti dopo che si erano accomodati
su
quella panchina, infatti, era comparso un ragazzo su
quella di fronte a loro
e non aveva smesso
un attimo di fissare Thad: gli stava seriamente dando fastidio. Era da
quando
erano tornati dalla gita al museo che se lo ritrovava ovunque in giro
per la
scuola, e dire che non aveva mai nemmeno notato la sua esistenza.
«Chi
diavolo è, poi?» domandò.
Jeff
fece spallucce, segno che nemmeno lui aveva notato la sua presenza
dall’inizio
della scuola.
«Carl
Parker, primo anno, gioca con me a lacrosse e ha disgraziatamente una
passione
per quelli con i capelli scuri e la faccia da idioti».
Ma
co-? No, non poteva essere.
Thad
seguì lo sguardo di Jeff alla loro sinistra e scorse
Sebastian bellamente
seduto sulla panchina decisamente troppo vicina
alla loro, un grande tomo stretto tra le braccia.
«Ciao,
Sebastian» lo salutò Jeff.
«Non
posso crederci» disse invece Thad, sporgendosi un
po’ per vederlo meglio. «Noto
con una certa seccatura che i discorsi privati tra me e Jeff non sono
praticamente mai privati. E poi...
da
quand’è che c’è una panchina
in questo punto? Ricordo che l'anno scorso il
professor Tompson aveva girato il parco con
il metro per sistemarle tutte a quattro metri l’una
dall’altra. Che fissazioni
strane».
«Calma,
Thaddino, mi sono seduto qui solo due minuti fa» rispose
Sebastian spostando lo
sguardo sul grosso libro aperto poggiato sulle sue gambe.
«Hai fatto colpo,
vedo».
Thad
sbuffò. «Non che mi interessi».
«Dici?».
«Sì,
dico».
«Okay».
L’ultima
volta che aveva parlato con Sebastian era stato alla gita della
settimana
prima, quando gli aveva offerto il pranzo. Nonostante tutto, aveva
quell’abilità di comparire nei posti
più impensabili quando meno se lo aspettava:
era arrivato a pensare di controllare sotto il letto la sera prima di
andare a
dormire, sia mai che si accampasse lì la notte.
Anzi,
ora che ci pensava meglio, l’ultima conversazione con lui
l’aveva avuta un paio
di giorni prima, durante il pranzo: ‘conversazione’
era una parola grossa, in
quanto si erano limitati ad un ‘Thad, hai una patatina fritta
nel colletto
della camicia’ ad un ‘grazie’.
Però
era strano, Sebastian. Prima lo accompagnava per una passeggiata e gli
offriva
il pranzo, poi lo ignorava per tutta la settimana. Non che a lui
importasse
granché, chiaro, però era... strano.
Semplicemente ed irrimediabilmente strano.
«Sentite»
cominciò Jeff scrollandosi Thad di dosso (si era nuovamente
accucciato sulla
sua spalla per la stanchezza) – facendogli tra
l’altro prendere una testata
sulla panchina – e alzandosi velocemente, «io vi
lascio soli e me ne vado,
okay? Byyyye».
E
corse via, ignorando le silenziose suppliche di Thad di non lasciarlo
solo con
quell’energumeno. Prima o poi Jeff Sterling
l’avrebbe pagata, oh sì».
Quando
Jeff raggiunse la sua camera, trovò Nick profondamente
addormentato seduto sul
divano, la testa a ciondoloni e un libro caduto di fianco.
Cercando
di non fare rumore, si avvicinò al ragazzo e lo
coprì con una tremenda copertina
che tenevano a portata di mano quando la sera faceva più
fresco: l’autunno
stava portando con sé un clima piuttosto freddo quindi,
visto che Nick era già
abbastanza raffreddato, era meglio non rischiare di lasciarlo troppo
esposto
agli sbalzi di temperatura.
Il
ragazzo si mosse appena allo sfiorare della coperta, sistemandosi
meglio sui
cuscini e agitandosi un po’. Jeff si chiese se in quel
momento stesse sognando
qualcosa, qualcosa di bello. Gli mancavano le ore che passava insieme a
lui,
non che non ne passassero più, ma una volta era diverso. Una
volta erano
entrambi liberi e spensierati. Adesso solo lui era libero e, a dirla
tutta, per
niente spensierato.
Si
allontanò da Nick per appoggiare la borsa sul tavolo, quando
sentì un fruscio.
«Jeff».
Jeff
si voltò. «Oh, no. Ti ho svegliato».
L’altro
scosse la testa, cercando di tirarsi su. «Tranquillo, meno
male che l’hai
fatto. Sto dormendo troppo, ultimamente... in tutti i sensi».
«Ma
se la notte non chiudi occhio!» sbottò Jeff
alzando un sopracciglio. «Sento che
ti giri e rigiri nel letto, sai».
Nick
sorrise, poggiò i gomiti sulle ginocchia e si
stropicciò gli occhi.
«Thad
dov’è?».
«E’
di sotto con Sebastian...» ridacchiò il biondo.
«Stanno amorevolmente
conversando, credo».
Anche
Nick sorrise e scosse la testa. «Scommetto entrambe le
chiappe che Thad sarà
qui tra cinque minuti, furioso e seccato, dopo esser scappato sotto
l'attacco
delle frecciatine di Sebastian ».
«Attento
a cosa scommetti, Duvall» lo rimbeccò
l’altro. «Un giorno, forse, potremmo
ricrederci. Tu... volevo chiederti come stavi».
«Bene»
rispose Nick, sorridendogli e stiracchiandosi.
«Intendevo»
riprese Jeff cominciando a fissarsi i piedi, «come stai
veramente».
Calò
un silenzio imbarazzante che fece rendere conto a Jeff di aver fatto la
domanda
sbagliata: è che... lui rivoleva solo il suo amico indietro,
punto. Nick
sospirò.
«Vieni
qui» disse facendogli un cenno e picchiettando la mano sul
cuscino. Jeff si
sedette accanto all’amico e improvvisamente fu colpito dal
timore che Nick
avrebbe risposto in modo poco soddisfacente.
«Non
devi essere preoccupato per me... e nemmeno Thad dovrebbe»
continuò Nick. «Io
sto bene, so che quello che sto facendo è la cosa giusta...
mi ci vorrà solo
del tempo, okay? Perché non è facile. Non lo
è per niente».
«Lo
so, è che... mi manchi, sai». Nel momento in cui
lo disse, pensò che magari
quella frase fosse stata abbastanza egoista. Era sicuro che Nick lo
stesse per
abbracciare, ma in quel momento la figura nera di Thad irruppe nella
stanza con
la nonchalance di un rinoceronte e si fiondò sul letto, dopo
aver sbattuto
entrambi i mignoli sulle gambe del tavolo.
***
Quel
14 ottobre aveva definitivamente portato con sé il vero autunno.
Le
giornate cominciavano ad essere davvero fredde tanto che, tra un cambio
di lezione
e l’altro, Thad era costretto a stringersi per bene nel
blazer per evitare di
congelarsi: non capiva perché non cominciassero ad accendere
il riscaldamento,
quegli imbecilli nullafacenti. E poi si lamentavano se la
metà degli studenti
del corso di Storia se ne stava a letto con la febbre. Avevano persino
dato la
colpa a Jacob il bidello, perché due giorni prima aveva
lasciato la porta
aperta mentre stava facendo tranquillo le sue solite pulizie. Assurdo.
La
cosa peggiore era che, siccome i suoi compagni erano dei masochisti da
far
paura, quel pomeriggio avevano deciso di trascinarlo a Neverland
contro ogni la
sua
volontà: davvero, amava quel posto, ma la voglia di uscire
dall’accademia era
pari a zero. Avrebbe preferito di gran lunga passare quelle ore sotto
le
coperte a guardarsi l’ultima puntata di Teen
Wolf.
Una
nota positiva era che almeno i padroni del locale avevano avuto la
decenza di
accendere il riscaldamento.
Lui
fu l’ultimo a sedersi, ovviamente beccandosi il posto
più lontano dal
termosifone: Trent si era quasi gettato a braccia aperte contro di
esso,
seguito a ruota da Flint e Nicholas. Thad li fissò con aria
sconcertata.
«Ma
gli altri?» domandò poi, quando Trent ebbe finito
di abbracciare il
termosifone.
«Oggi
è venerdì, quindi Nick
è da Sally.
Jeff e Sebastian hanno detto che ci raggiungono più
tardi» rivelò Nicholas,
prendendo il menù e cominciando a sfogliarlo. Flint
aggrottò la fronte.
«Nicholas,
sai a memoria il menù, spiegami
l’utilità di guardarlo ogni volta».
«Magari
c’è qualcosa di nuovo, chessò» sbuffò l’altro.
Thad
decise che avrebbe cercato di scoprire perché Jeff e Satana
li avrebbero
raggiunti in un secondo momento. Non avrebbe voluto che, per sbaglio
eh,
Sebastian avrebbe tentato di offrire al suo amico un altro cappuccino
per
fargli vomitare l’anima di nuovo.
Stava
forse cominciando ad essere geloso della sua amicizia con Jeff? Mh.
E... chissà
se Nick – proprio in quel preciso istante – stava
confessando a Sally la
verità.
«Ma
perché deve venire anche Sebastian?»
domandò.
«Perché
è uno dei nostri, penso» borbottò
Trent. «Insomma, anche a me non sta
particolarmente simpatico, ma sembra brutto lasciarlo in disparte,
no?»
«Ahem...
no» rispose Thad.
«L’altro
pomeriggio vi ho visti insieme fuori in cortile, che mi dici,
Thad?» disse
Flint. «Non sembrava che il cartello ‘ti
odio’ che esibite di solito fosse
visibile».
Thad
scosse la testa. «Non mi pare di aver mai detto di
odiarlo!».
«Beh,
sembrerebbe».
«E
invece no» rispose lui. «Semplicemente sopporto
poco la sua presenza. Mi mette
ansia. E poi sia maledetto Jeff per quel pomeriggio! E’ stato
a causa sua se ci
hai visti in cortile...».
Flint
e Nicholas ridacchiarono.
«Non
c’è niente da ridere»
continuò Thad. «Ha passato dieci minuti
– okay, dieci minuti vi
dico! – a parlare di
quanto è bravo a lacrosse. Potete immaginare quanto mi sia
importato. Volevo
solo scappare... e l’ho fatto».
Pochi
istanti dopo la cameriera fu al loro tavolo: era nuova, Thad non
l’aveva mai
vista in giro per il locale. Era... carina. Sì, decisamente
carina. I capelli
corti e scuri incorniciavano un viso esile e ben delineato, e i due
fari
azzurri che aveva al posto degli occhi lo stavano scrutando.
«Cosa
vi porto?» chiese lei, pronta con il blocchetto.
Thad
stava per dire ‘il solito’, ma evidentemente lei
non avrebbe capito a cosa si
stava riferendo, quindi sussurrò un debole ‘latte
macchiato’. Quando i suoi
compagni ebbero ordinato, Thad si voltò verso di loro.
«Oh,
ma chi è?».
«E’
quella nuova» spiegò Trent.
«E’ qui solo da qualche giorno e» si
bloccò vedendo
l’espressione comparsa sul volto di Thad e poi riprese,
«ed è fidanzata. L’ho
vista sbaciucchiarsi con un tizio in
quell’angoletto. Non ci provare, Thad!».
Ovviamente.
Ovviamente se erano carine, o erano lesbiche o fidanzate. Logico. Ormai
ci aveva
fatto l’abitudine. Si voltò verso il bancone e la
guardò mentre versava la
schiuma di latte nella tazza: era davvero bella, in qualche modo aveva
colpito
Thad.
«Da
quant’è che non ti prendi una cotta per una
ragazza, Thad?» lo prese in giro
Nicholas, spintonandolo amichevolmente con la
spalla.
«Ehi,
che vuoi dire con questo?».
«Niente!
E’ solo che... beh, è passato un sacco di tempo da
quell’ultima- com’è che si
chiamava? Ashley?».
«Ashley,
sì» mugugnò Thad.
«Ecco!».
«Ma
non mi sto prendendo una cotta per questa qua!»
sbottò infine. «La trovo solo
carina, tutto qui».
Trent
tossicchiò. «Si chiama Tania, se ti
interessa».
«Ah,
davvero? Oh... no, beh, non mi interessa».
E
davvero, non che gli interessasse molto, in effetti. Non era una cosa
di cui
aveva veramente bisogno.
«Pensa»
disse Flint corrugando la fronte, «se te ne stavi col culo
sul letto a vederti Teen Wolf non
l’avresti neanche vista!
Ah!».
«Ma
io devo sapere come continua la
puntata, okay? Voi non potete sempre trascinarmi in queste esperienze
fuori dal
normale, come... un caffè al bar, ovvio»
ribatté Thad incrociando le braccia.
«Io
penso che Stiles e Derek debbano stare assieme, comunque» se
ne uscì fuori
Nicholas.
Tutti
risero e Thad non poté essere più che
d’accordo.
Un
telefono squillò. La sigla de L’Uomo Tigre si
sperse nell’aria e, prima che
Trent estrasse il telefono dalla tasca, Thad capì che
apparteneva a lui: era
solito cambiare suonerie spastiche ogni settimana e quella era la sua
ultima
trovata. Si allontanò con un ‘torno
subito’ e, poco dopo che si fu alzato,
quella Tania comparve con le loro ordinazioni.
Però...
Ci
fu un attimo in cui Thad spostò lo sguardo su Trent e quello
che vide non gli
piacque per nulla: era stato un momento, un soffio
allo stomaco che lo aveva fatto voltare. Il sorriso sul volto
di Trent era
evaporato in fretta, tanto che era quasi irriconoscibile. Thad ci
pensò un
attimo e realizzò che non aveva mai visto l’amico
realmente triste.
Ora
lo era. Ma non era solo quello.
«Trent...».
«E
comunque penso anche che Scott sia un imbecille»
continuò Flint sorseggiando il
suo tè alla pesca. «Che p-»
tentò di continuare, ma in quel preciso istante
sbucò Jeff seguito a ruota da Sebastian, le facce
stranamente allegre.
«Tadààà!»
esclamò il biondino, facendo una piroetta buffissima che per
poco non gli fece
rovesciare la lampada lì accanto.
Ma
Thad non stava facendo troppo caso a loro, era più preso dal
colorito di Trent
che si faceva via via sempre più spettrale.
«Trent...».
Anche
gli altri se ne accorsero: il ragazzo aveva appena chiuso la chiamata e
teneva
stretto il cellulare in mano. Non si muoveva, sembrava un corpo inerme
e privo
di qualsiasi espressione.
«Trent»
lo chiamò Jeff alzandosi e andandogli incontro.
«Trent, se ti è morto il
canarino giuro che ti ammazzo, perché mi stai facendo
preoccupare».
Il
ragazzo deglutì e scosse la testa. «Non
è morto il canarino, no» disse in un
flebile sussurro quasi impercettibile. «E’...
credo... era mio padre... l’aereo
su cui stava viaggiando mia madre...».
No.
To be continued...
Angolo
Me.
Ehm... ah... uh... mhh... salve.
La smetto
di farvi attendere due ere glaciali ogni volta che pubblico? Sorrytemi
;__;
Non mi
odiate per come ho fatto finire questo capitolo, vero? E per non aver
fatto
comparire ‘troppo’ Sebastian, vero? Okay. Se
l’ho fatto ci sono dei motivi e,
come ho già detto una volta, niente
è
scritto a casaccio (: Perfino la collezione di bustine di zucchero di
Thad è
importante.
Beh, dopo
sei capitoli di fluff e demenza, credo che un po’ di
tristezza non sia
inappropriata. Ma tranquilli, la madre di Trent se la sta spassando tra
nuvolette rosa e mini pony (no non è vero).
Come al
solito vorrei ringraziare le persone che hanno aggiunto questa storia
in tutti
i posti in cui può essere aggiunta, ma soprattutto SofiaKaiEleutheria, Andy_06,
LotOfLaughing e therentgirl,
che hanno avuto la pazienza di scrivermi delle
bellissime recensioni (: Scusate se non vi rispondo una per una, ma la
mia
fantasia nelle risposte scarseggia, LOL! Cioè,
più che altro rischierei di
inserire la parola ‘grazie’ cinque volte in una
frase.
Ci
tenevo a fare una precisazione sul titolo del capitolo: il termine
"doccia scozzese" è un trattamento idroterapico che consiste
nell'alternare docce calde e fredde. Il termine viene usato anche
quando la giornata o un determinato periodo di una persona, viene di
continuo 'stravolto' da avvenimenti positivi/negativi/tristi/felici
ecc... Chi di voi conosce le mie storie, sa che lo utilizzo spesso nei
miei capitoli per due motivi: il primo è che veramente in quel
capitolo c'è un'alternanza pazza di avvenimenti. Il secondo,
beh... quando fatico a trovare un titolo decente, AHAHA! ((:
Deeeetto
ciò, grazie (ecco, appunto) ancora a tutti coloro che sono
riusciti ad arrivare
fin qua e alla prossima!
Lins ♥
Ps: come al solito, questo
è il mio
profilo Twitter se qualcuno volesse trollarmi ogni tanto :3
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