Eyes

di MrBadCath
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Time ***
Capitolo 2: *** I've just seen a face ***
Capitolo 3: *** I am he, as you are he. as you are me, and we are all together ***
Capitolo 4: *** Let me live ***
Capitolo 5: *** Jealousy ***
Capitolo 6: *** The jean genie ***
Capitolo 7: *** Crazy little thing, called... ***
Capitolo 8: *** Somebody to love ***
Capitolo 9: *** Dear friend ***
Capitolo 10: *** Ps: I love you. ***
Capitolo 11: *** I want it all ***
Capitolo 12: *** Let us cling together ***
Capitolo 13: *** The rest may not be sung ***
Capitolo 14: *** On the other side ***
Capitolo 15: *** Don't say goodbye ***
Capitolo 16: *** One fight position ***
Capitolo 17: *** All Dead, All Dead! ***
Capitolo 18: *** Knocking on Heaven's Door ***
Capitolo 19: *** Forever. ***
Capitolo 20: *** In the End. ***



Capitolo 1
*** Time ***



Time, Waits for nobody. Time, Waits For no one

David



L'aereo atterrò.
Casa dolce casa, finalmente.
Appena scesi inspirai profondamente: nonostante l'aria grigia di Londra non mi entusiasmasse, in genere, in quel momento mi sentii confortato.
Sicuro, insomma.
Era strano poter camminare tranquillamente per strada, senza dover sparare e ricaricare continuamente il proprio fucile. Senza dover accatastare i cadaveri in un angolo del marciapiede.
Era finita.
Avevo visto cose che andavano dimenticate.
Meglio la giungla cittadina, che la guerra.
La città era proprio come l'avevo lasciata, ma ero io a esser cambiato, mi sentivo stanco della solita esistenza: casa, lavoro. Lavoro, casa.
Speravo in una grande svolta nella mia vita.

Rientrare a casa dopo mesi di assenza fu una sensazione strana, ma piacevole, rincuorante.
Salii in bagno ed aprii la doccia, l'acqua aveva una temperatura glaciale.
Mi ci buttai sotto senza pensarci due volte.
Avevo bisogno di risvegliarmi dal torpore in cui ero entrato due settimane prima, quando mi avevano sparato al braccio.
Fu il mio lasciapassare per casa, mi sentivo in colpa per aver abbandonato tutti i miei soldati lì... ma cos'altro potevo fare?
Ero arrivato ad un livello di saturazione fisica e mentale umanamente insopportabile.
Lo sparo al braccio aveva fatto traboccare il vaso, così me ne tornai a casa di corsa, prima di rimetterci la pelle.

Più l'acqua si infrangeva sulle mie spalle, più mi sentivo vivo, più l'acqua impregnava i miei vestiti, meglio ragionavo.
Mi passai la mano fra i capelli bagnati, sul viso.
Ogni volta che tornavo dal servizio mi vedevo sempre più vecchio, proprio vero: pallottole e sangue invecchiano.
Non solo fisicamente.
Decisi che niente e nessuno mi avrebbe portato via la mia giovinezza, me ne sarei riappropriato quella stessa sera, al diavolo il resto.
Il tempo non aspetta per nessuno.

Avrei ricontattato un mio vecchio amico, non lo sentivo da tanto, troppo, tempo, da quando avevo guardato il suo esame orale all'accademia d'arte.
Eravamo grandi amici, lui era uno che si sapeva divertire, mi avrebbe integrato di nuovo nel mondo dello sballo.
Dopo esser uscito dalla doccia ed essermi ricomposto mi avviai verso il telefono.
Primo squillo.
Secondo squillo.
«Rispondi, rispondi... Rispondi!» pregai la cornetta, come se potesse fare qualcosa.
«Pronto?»
«Raro che una rockstar risponda al telefono» esordii io, consapevole che mi avrebbe riconosciuto.
Ci fu un momento di silenzio, poi, con voce euforica, il ragazzo dall'altra parte del telefono esclamò:
«Dio! David!» Ero convinto che avrebbe liberato la serata per me, anche molto volentieri, la proposta non si fece attendere «Oh dear, dobbiamo vederci»
«Perfetto, stasera all'Heaven» non ero neanche sicuro che quel locale fosse come ricordavo, c'ero passato davanti una o due volte, negli ultimi tre anni. Magari era anche chiuso.
Il lavoro aveva preso il sopravvento sulla mia vita.
«Stasera non si può tesor...»
«Niente scuse. Lì alle dieci. Qualunque cosa tu abbia da fare è meno importante di me».

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Capitolo 2
*** I've just seen a face ***



Freddie


«Hey, Mercury!» esclamò l'uomo dall'altra parte della strada. Mi salutò con un cenno della mano, ignorando deliberatamente il fatto che urlare quelle due parole di fila poteva segnare irrimediabilmente la serata.
David era disarmante.
Dopo anni, vederlo e rendersi conto che non era cambiato per niente, che come il vino, anziché peggiorare, quando invecchiava migliorava, era quasi... triste. L'avevo sempre invidiato per essere così bello, fatalmente attraente, e per i suoi inquietanti occhi, che funzionavano per lui come calamite per incantare le prede.
Già sentirlo al telefono mi aveva spiazzato e non avevo saputo dirgli di no.
Avrei dovuto vedermi con Roger... quando lo chiamai con il mio miglior tono da cucciolo ferito per annullare il nostro appuntamento disse che non c'era problema, ma, per come lo conoscevo, c'era di certo rimasto malissimo. Le probabilità che si fosse offeso a morte erano pari a quelle di non ricevere il suo perdono neanche se gli avessi riempito la casa di fiori.
Ma io sapevo come farlo tornare da me...
Certo, se avesse saputo che avrei passato la serata con David, forse ci avrebbe pensato due o tre volte prima di rivolgermi di nuovo il saluto.
«È bello vedere che sei ancora sulla piazza, Bowie» risposi flebilmente, visto che anche il suo cognome, non era dei più impopolari. Se mai avessi fatto un featuring con l'altro David Bowie, gli avrei chiesto se anche lui l'avesse conosciuto e si fosse innamorato di lui al punto di rubargli il nome. Non rientrava nel mio stile chiamare le persone per cognome, piuttosto aggiungevo un 'mio caro', ma lui riusciva ad influenzarmi già dall'altro lato del marciapiede.
«Beh, sei solo? Credevo avresti portato qualcuno dei tuoi amichetti»
«Tu hai chiamato me, non il manager dei Queen» scandii, riuscendo perfettamente a darmi un tono, come mi riusciva piuttosto bene, da un certo periodo a quella parte.
Era un po' imbarazzante trovarsi lì da solo, in effetti, visto che in condizioni normali non avrei accettato inviti da nessun vecchio amico che non sentivo da una vita, perché io ero chi ero, e lui lo sapeva bene. Questo lo poneva già su un gradino superiore «ad ogni modo, se è per conoscere i miei amici che mi hai contattato, posso chiamarteli quando vuoi, ci sarà un telefono dentro»
«Siamo sul permaloso stasera...» ridacchiò di me «chiama chi vuoi, mi basta rientrare un po' nel giro, in alternativa posso anche accontentarmi di te, stellina» quello era davvero troppo, stava decisamente esagerando, anzi, minimizzando, che era anche peggio. Io odiavo quando si sminuiva la mia persona.
E forse era il caso che mettessi dei paletti.


Roger


Non potei credere che l'avesse fatto davvero. Non mi era mai successo, a dire il vero sì, una volta sola, ma facevo ancora le scuole superiori ed era una stupida ochetta da quattro soldi. Ma io ero Roger Meddows-Taylor, quel batterista biondo, affascinante da far paura, con quello stile un po' effeminato ed il profumo che faceva girare la testa ad ogni ragazza nel raggio di tre isolati dal luogo in cui mi trovavo.
E lui mi aveva appena dato buca.
Avrei voluto fargli una scenata al telefono, ma la mia reputazione ne avrebbe ottenuto solo un grosso smacco. In compenso, avevo guadagnato una gran voglia di piangere.
Io non ero gay, non lo sono mai stato, ma amavo Freddie. Era l'unico uomo a cui mi ero concesso e non perché provassi piacere nel mettermi... vabeh, insomma, l'avevo fatto perché c'era un vero sentimento.
L'unico uomo che io abbia mai amato.
E lui mi aveva appena dato buca inventando una scusa così su due piedi... Un vecchio amico? Che tipo di amico? Un amico di cui non mi aveva mai parlato? Impossibile. Lui mi parlava di tutto, lo doveva pur aver citato in qualche racconto di quelli deliranti che mi faceva prima di addormentarsi quando mi chiedeva:
«L'hai catturato?» oppure «Quanto manca prima di arrivare?»
La parte più dura da accettare era proprio quella: io non lo accettavo. Davvero, non era proprio possibile.
Mi alzai dalla poltrona: pazienza, se lui si vedeva con un vecchio amico, anche io potevo concedermi a qualche innocente incontro.
Anzi, avrei fatto di meglio: sarei andato a bazzicare nei suoi pub, magari l'avrei incontrato e avrei visto con chi era. Oppure avrei ripiegato su qualche bella femmina e pace.
L'aria era particolarmente fresca, fuori dal salotto di casa mia.
Mi avviai, camminando, senza dare nell'occhio sul marciapiede, ma appena mi avvicinai al primo club preferito di Freddie cercai di mettermi il più in mostra possibile: più fama, meno fila.
Passai accanto a tutta la fila di persone che attendevano per entrare con tutto lo charme possibile. Mi presentai al buttafuori, un bell'armadio 3x4 metri, come «il figo dei Queen: Roger Taylor» e lui si fece da parte:
«Buona serata, signorino» sorrise, e dopo il mio passaggio si rimise davanti all'entrata.
Mi guardai attorno, Freddie non era in pista, non era al bancone, e, seduto sui privé non l'avevo mai visto. Dietro di me le porte del bagno si aprirono di scatto:
«Come ti dicevo prima, sono stato fuori tre mesi, quasi quattro e... se non mi ascolti è inutile che ti parlo, bellezza. Suvvia, dimmi chi hai adocchiato!»
Descrivo brevemente la situazione: Freddie e un omaccione alto un metro e novanta, con il viso da marpione, erano usciti dal bagno, contemporaneamente...
Ci volle un po' prima che potessi metabolizzare quell'immagine, forse addirittura non la metabolizzerò mai.

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Capitolo 3
*** I am he, as you are he. as you are me, and we are all together ***



David



«Vado un momento al bagno» esclamai ad alta voce nell'orecchio di Freddie. La musica era talmente alta che nonostante i nostri visi fossero a poco più di dieci centimetri di distanza l'uno dall'altro, non riuscivamo a sentirci.
«Vengo con te: devo andare anche io, poi, magari riusciamo a parlare decentemente» rispose lui, credo, ripeto: il volume della musica era assordante, ed era davvero arduo capirci.
«Qui, finalmente possiamo parlare senza perdere la voce. Sai che casino con i concerti, poi?» scherzò lui, appoggiandosi al muro
«Non ti ricordi quella tisana che ti avevo consigliato, per i cali di voce?» sorrisi, aggiungendo con un tocco di emozione mista a nostalgia «Erano altri tempi, ora sei cambiato tanto» e mi avvicinai a lui, poggiando la mano al muro, poco sopra la sua spalla.
«Perché ora come sono?» mi chiese, con uno sguardo malizioso. Mi avvicinai al suo orecchio.
«Sempre così maledettamente eccitante» non vidi la sua espressione dopo quella frase, ma, conoscendolo, era andato in brodo di giuggiole, il solito megalomane.
Mi guardai attorno ed entrai dentro il wc. Freddie rise.
«Beh?» chiesi io, scocciato
«Tu che ti sei sempre vantato di ciò che la natura ti ha donato ora ti chiudi lì e non usi le latrine» poi aggiunse, in preda alle risate «non è che è sempre stata una balla per conquistarmi?»
«No Freddie» risposi io, uscendo «non ho bisogno di conquistarti, a me basta schioccare le dita, cadresti subito ai miei piedi» lo stuzzicai, mentre mi lavavo le mani.
«Io non ne sarei troppo convinto» replicò pacatamente lui, rimettendosi a posto un ciuffo ribelle di capelli davanti alla fronte, che gli ricadde immediatamente dove si trovava prima. Finii di lavarmi le mani e gliene passai una sulla ciocca anarchica, mettendola a posto.
«Hey! Così mi rovini la messa in piega. Non hai idea di quanto sia stato seduto su una sedia, per avere i capelli così!»
«Lo so che non ti piace stare sulle sedie, ma in ben altre posizioni» trattenni un sogghigno bello e buono.
«Simpatico» come unica risposta mi diede le spalle e fece per aprire la porta
«Simpaticissimo» ridacchiai io, avvinghiandomi ai suoi fianchi. Aveva la vita più fine di quanto ricordassi, all'improvviso lo alzai leggermente da terra e lui rise di gusto.
«Lasciami! Lasciami!» ripeteva, con le lacrime agli occhi. Allora, con calma, lo rimisi a terra.
«Giusto, se ridi fino alle lacrime ti cola la matita, poi» lo presi in giro io, girandolo verso di me.
«Poi non ho più una speranza per portarti a letto» controbatté, facendo un giro su se stesso, per mostrarmi i capi che indossava.
Era piuttosto inusuale, era tutto un pezzo, attorno alla vita vi era abbinata una cintura color oro, la tutina, se così si poteva definirla, era ornata da borchie sullo scollo a V che si apriva sul suo petto villoso.
Era talmente attillata da poter essere definita come una seconda pelle.
Da tempo non vedevo una persona così bella, un uomo, poi.
Mi sentii incredibilmente imbarazzato: in un solo attimo immaginai tutti i miei desideri più segreti e perversi riversarsi su quel corpo, microscopico rispetto al mio. Non gli avrei fatto minimamente male, sarei stato delicato, ma mi sarei fatto valere: dovevo difendere il titolo di amante dell'anno.

Freddie



Roger era uscito a cercare una compagnia che gli scaldasse il letto mentre io non c'ero.
Comprensibile da parte sua: il suo Taylorcentrismo gli impediva di non pensare a se stesso, per una volta. Per una sola fottuta sera che ero con un vecchio amico, lui doveva mettersi alla ricerca di qualcos'altro. Mi chiedevo se avrei mai potuto saziare la sua sete di monopolio dei pensieri altrui, se da qualche parte o in qualche tempo, io e lui avremmo mai potuto essere veramente uno l'unico centro dei pensieri dell'altro.
Eppure non era la rabbia di uno che è stato scaricato per una sera a brillargli negli occhi quando ci vide uscire dal bagno insieme, era piuttosto la sofferenza di uno che è stato tradito, ferito a morte da un compagno, da qualcuno che amava.
Quel sentimento tremava nelle sue iridi palesemente, non si poteva nascondere. Forse agli altri, ma non a me, ed io mi sentii terribilmente in colpa, per una volta, per non avergli dato lo spazio che meritava. Perché lo meritava davvero tutto. Roger meritava effettivamente ogni singola unità in cui si misura l'attenzione che si può dare ad una persona, così come l'affetto, il bene, l'amore, la passione. Lui le meritava tutte.
David parlava, andava avanti da solo, c'era abbastanza spazio in quel locale per i nostri tre io? Non erano troppo ingombranti? Ognuno a pensare che l'altro pensasse solo a lui stesso. Roger con me, io con Roger, David con me.
«Come ti dicevo prima, sono stato fuori tre mesi, quasi quattro e... se non mi ascolti è inutile che ti parlo, bellezza. Suvvia, dimmi chi hai adocchiato!» Lo vide da solo, chi avevo adocchiato. Era difficile non notarlo.
Roger faceva la sua parca figura al centro dei nostri sguardi: snello, aggraziato come una dama ma forte come un re, se ne stava nei suoi abiti sobri a guardarci. Riusciva a accentrare l'attenzione su di sé senza aver bisogno di stupidi vestiti come quelli che indossavo io. I capelli biondi incorniciavano il viso con i suoi occhi chiari ed i denti bianchi e perfetti che stringevano il labbro inferiore rischiando quasi di farlo sanguinare.
Aveva di certo capito male.
Non so cosa, tra la sua concezione errata o il fatto che lui cercasse un ripiego, mi faceva stare peggio.

Roger



Non potevo prendere e scappare, sarebbe stato troppo umiliante. Il sentimento andava soggiogato, subito. Prima che la lacrima sfuggisse all'occhio, prima che la piega del terrore increspasse la mia smorfia, prima che le labbra avessero detto una sola parola di troppo. Prima che qualsiasi persona all'interno del locale se ne potesse accorgere, prima che lui se ne potesse accorgere.
L'armadio, effettivamente, era un discreto pezzo di carne, e vi giuro, io non provavo nessun tipo di attrazione fisica per individui di sesso maschile che non fossero Freddie, ma lui... lui andava decisamente oltre. C'era qualcosa di estremamente irritante nel pensare che potesse esistere qualcuno che non solo rubava il tempo di Freddie a me, ma che mi sfidava apertamente anche in bellezza senza volermi oltraggiare, con la dignità di chi è ignaro che esista qualcuno che minaccia il suo splendore tanto quanto lui minacciava il mio.
La sua presenza era uno schiaffo alla mia vanità.
E lo sguardo di Freddie che sapeva che l'avevo colto in flagrante era anche peggio di uno schiaffo, piuttosto una bastonata, una pugnalata, un massacro alla mia vanità, al mio orgoglio, al mio egocentrismo.
Come aveva potuto proprio lui, fare questo a me?
E che avevano fatto, quei due, in bagno da soli?

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Capitolo 4
*** Let me live ***



David



Guardai il biondino: aveva un che di affascinante, saranno state le sue movenze delicate, ma sempre maschili, oppure quel profumo che avevo la sensazione non mi avrebbe abbandonato mai più.
Aveva una velatura di sofferenza sul viso. L'avrei gradito senza, ma con quella strana luce negli occhi assumeva un'aria particolare, un po' da ragazzino innocente.
Osservai attentamente i lunghi sguardi fra lui e Freddie: la dicevano lunga, si stavano interrogando a vicenda. Ruppi il silenzio senza remore, non mi piaceva affatto passare in secondo piano, figuriamoci non essere al centro della loro attenzione:
«Piacere, David Bowie» gli tesi la mano, che lui strinse energicamente «Però non sono quello famoso» ammiccai, poi mi chiesi se questa cosa mi avrebbe perseguitato per sempre
«Io sono Roger Taylor, quello famoso» rispose con un sorrisino che voleva farlo sembrare senza intenzioni di derisione e che mostrava invece l'esatto contrario. Sfotteva, eh?
Non sarebbe stato in grado di sottostare alle mie pressioni neanche per un secondo, se avessi voluto, l'avrei distrutto psicologicamente e fisicamente.
Sembrava tanto una persona di «tutta apparenza», bello, affascinante... Qualcosa, però, aveva incrinato la sua serenità.
Freddie lo abbracciò e allora mi fu abbastanza chiaro che ormai ero ai margini della sua vita, aveva le sue amicizie più strette, non gli interessava più di tanto la mia presenza. Pensare che proprio quando non poteva fare a meno di me, io mi ero arruolato. Se avessi saputo che mi avrebbero mandato subito in servizio non l'avrei mai fatto. Non ci fu giorno in cui la mia coscienza non si risentì per quell'azione. Avevo, come sempre, messo la carriera davanti a tutto, e ora ne pagavo gli scotti... e che scotti!
Non ebbi mai le idee chiare su che tipo di rapporto avevo con Freddie, non sapevo cosa pensasse lui di noi.
Soprattutto perché all'inizio della nostra amicizia, o meglio, dipendenza l'uno dell'altro, lui stava con una bellissima donna: Mary.
Non avrei mai rotto il loro legame, uno dei più belli che avessi mai visto. Poi Freddie cambiò, fino a quando non si lasciarono il suo atteggiamento fu... strano.
In quel momento il passato non era importante: lui si era concesso per una serata a me, nessuno me l'avrebbe portato via, né Roger Taylor, né Dio in persona.

Freddie



Incredibile quanto il calore del suo corpo si contrapponesse alla freddezza del suo atteggiamento.
Roger era una bellissima statua di ghiaccio scolpita intorno alle mie braccia.
«Vorrai unirti a noi, spero» propose David, lanciando un'occhiata ad entrambi. Sembrava che avesse appena intrapreso il più eccitante safari della sua vita.
«Non vorrei essere di troppo e comunque avrei...» Roger non lo degnò di uno sguardo e si rivolse direttamente a me. Altezzoso. Se David non fosse stato al suo livello, avrebbe avuto tempo di deciderlo con calma. C'era profumo denso di competizione nell'aria. Non ero mica io il leone che sarebbe finito sul loro tappeto o sopra il loro camino? … o nel loro letto.
«Ti prego, resta» David si poneva come un Magio alle grazie del Bambino, educatamente scolpito di falsa educazione e gentilezza. Qualcosa mi diceva che anche lui aveva notato il particolare fascino di Roger. Questo mi diede fastidio. Avevo intenzione di riservare solo a me i piaceri della conoscenza dell'uno e dell'altro. «Freddie diventa monotono quando si toccano certi argomenti» si accomodò a sedere in un posto lontano dalla gran confusione che prima ci aveva impedito di parlare.
Certo, come no, ora era anche colpa mia.
«Quali argomenti?» domandò l'innocente bambolina bionda. L'uomo dagli occhi del colore del marmo rise di gusto. 1 a 0 per David. Roger si morse nervosamente il labbro, infastidito dal colpo incassato. E a me toccava tenere i punti... Che diavolo stava succedendo? Quando avrei smesso di fare lo spettatore? Freddie Mercury doveva subito riprendere il controllo della situazione.
«Hei, che hai fatto al braccio?» domandai, cambiando argomento
«Ferita di guerra» rispose David con un tono da vero macho
«Di guerra...» ripeté Roger poco convinto. Dai suoi occhi capii che stava per uscirgli un «Tesoro, tu non ne sai nulla di guerre, guarda che cosa ha lasciato a me l'altra notte sulle spalle», ma del resto, lui non sapeva neanche che David era un soldato. Grazie al cielo non dovetti essere io a fermarlo. Era troppo composto per lasciarsi andare ad una simile bassezza.
Essere al centro della loro contesa si stava rivelando follemente stimolante.
«David è un soldato» spiegai e da lì nacque una bella conversazione.
Passammo la serata a parlare del più e del meno fino a che il biondo, dandosi un certo tono, non si alzò dal tavolo e guardò il polso, immaginando di vederci un orologio.
«Oh, ragazzi, si è fatto tardissimo, starei ad ora a chiacchierare con voi, ma, ahimè...» si strinse nelle spalle con un'aria davvero snob, più tipica di me che di lui, per la verità «la festa va lasciata prima che finisca, dicono, quindi, vi saluto» mi lasciava di nuovo solo con David? Strano da parte sua. Questo significava che il mio valore, come preda sul mercato, era appena sceso di parecchi punti. Diciamo pure che le mie azioni stavano precipitando.
«D'accordo, è stato un piacere conoscerti» gli sorrise l'altro, senza neanche alzarsi dalla sedia. Roger, che probabilmente si aspettava che andassimo via con lui, fece finta di niente. Affrontava lo smacco da vero signore. D'improvviso però qualcosa nell'atteggiamento di David cambiò, come se dal dire al fare si fosse stancato di circondarsi solo di nemici. «Credo che sia ora anche per noi di tornare a casa» borbottò rivolto a me, come se vivessimo nella stessa abitazione.
Così le nostre tre ombre si avviarono per la strada illuminata solo dalla luna.

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Capitolo 5
*** Jealousy ***



Continuiamo ad aggiornare giusto per il perverso piacere di crearvi un impiccio nel dover scavalcare la nostra fiction nella home, visto che non ci legge nessuno ahah
MrB.&C.



Roger



Quella specie di finta copia di David Bowie, venuta meglio e decisamente meno truccata, ci aveva lasciati due bivi prima di casa di Freddie. Purtroppo per me quella era tappa d'obbligo, visto che abitavo ancora più in là.
Lo sapevo, avrei fatto meglio a chiamare un taxi. Non avevo proprio voglia di rimanere solo con lui, da un momento all'altro rischiavo che la bomba esplodesse. Ecco, perfetto, mi mettevo anche a pensare in termini militari, ero perduto.
«Non vuoi entrare?» mi disse Freddie, arrivati di fronte al cancello
«Non essere ridicolo, io posso permettermi di meglio di una crocerossina» di nuovo?
«Roger credo che dovremmo parlarne...»
«Parlare di che cosa?»
«Ti prego» qualcuno di voi ha idea di che cosa valga un 'ti prego' pronunciato direttamente dalle labbra di Freddie Mercury?
Lo seguii in silenzio all'interno del salotto vuoto senza neanche prendermi la briga di accomodarmi. Il moro si lanciò sul divano, lasciando che il suo corpo assumesse una posizione a dir poco provocante, con una teatrale aria stanca, che però non riuscì ad altro che a farmi deglutire.
«Freddie, non capisco che stiamo facendo qui, è tardi ed io sono parecchio stanco, ho avuto una giornata pesante, sai? E non ho ferite da farti leccare, quindi se devi dirmi qualcosa fai in fretta, per piacere»
«Guarda che non ti ho mentito, è davvero un vecchio amico» sì, certo, ed io ero una delle renne di Babbo Natale.
Il fatto che si prendesse la briga di darmi delle spiegazioni, quando effettivamente non avrebbe dovuto sentirsi in dovere di farlo, mi faceva piacere. Insomma, se cercava di giustificarsi voleva dire che infondo infondo qualche cosa di me gli interessava... beh, preferii non indagare su cosa fosse. Dopotutto se aveva il bambolone con gli occhi color panna montata non vedevo a cosa altro sarei potuto servirgli io.
«Ci credo, tesoro» affermai, senza perdere un briciolo di autocontrollo. La maschera era perfettamente incollata sul mio volto.
«E allora perché fai tanto il difficile?»
«Scendi un attimo dal piedistallo e parlami da essere umano ad essere umano» gli dissi, abbastanza severo «lo sai che per me è importante»
«Anche per me lo è!» ribatté offeso «Credi davvero che non lo sia?»
«Devo ricordarti che sono stato io ad essere scaricato per una fusto tutto muscoli e ferite di guerra?»
«Ti piace David?» domandò quasi... geloso. Non so se di me o di lui.
«Non cercare di rigirare la frittata, adesso»
«Io non sto rigirando la frittata, avrei potuto dirti mille altre cavolate e sono stato sincero, David è davvero un vecchio amico! Perché non mi credi?»
«Sai, magari se tu mi avessi visto uscire dal bagno con lui, ti saresti posto le stesse domande, che ne dici?» le frasi erano piene di retorica, ma i toni infuriati. Sembrava il teatrino dei burattini. Quando sarebbe arrivata la vera sincerità bruciante?
«Non è niente di quello che pensi, posso giurartelo su quanto ho di più caro» addirittura si impegnava in un giuramento?
«Senti, tutto questo è ridicolo, me ne vado» alzai i tacchi e mi voltai. Freddie scoprì la sua ultima carta, la voce si ruppe leggermente, mentre la decenza e la compostezza lasciavano spazio a tutta la sua sincerità, mista ad una certa disperazione.
«Cosa ti aspetti che ti dica? Vuoi delle spiegazioni? Roger se ti ho ferito mi dispiace, è l'ultima cosa che vorrei, ti sto parlando con il cuore aperto, dannazione, ti pare che io lo faccia spesso? Se non fosse importante per me quanto lo è per te...» ed ecco che di nuovo, il demone dagli occhi neri riusciva a toccare il punto più delicato ed interno del mio piccolo cuore, quello più protetto. Quello ben nascosto a tutti gli altri, circondato di ostacoli che ormai però lui sapeva bene come raggirare.
Qualcosa nella mia coscienza tremò violentemente, come se il suo tocco, seppur delicatissimo, si fosse abbattuto su un castello di carte.
«Cazzo Freddie, che diavolo ci facevi in bagno con quel bell'imbusto mentre lasciavi me a casa da solo?»

David



Non avevo idea di che ora fosse, ma l'importante era che mi ricordassi la via per tornare a casa.
Trovarsi lì sembrava ancora così strano.
Aprii la porta di casa e appena chiusa mi buttai sul divano. Avevo voglia di dormire, sì, proprio di addormentarmi con il ricordo di Freddie e di una bella serata...
Non avevo bevuto molto, ma mi sentivo intorpidito. Era strano.
Mi appoggiai sui gomiti e buttai indietro la testa.
«Vallo a trovare David» mi ordinò una parte remota del mio cervello, quasi sottovoce.
Mi alzai e camminai verso la mia camera, sperando che un letto fosse più invitante di un divano di pelle che ti si appiccicava alla schiena e che con questo potessi evitare strani suggerimenti della mia mente.
Mi ci buttai quindi a quattro di bastoni, abbracciando la caterva di cuscini sistemati meticolosamente in ordine in base al gradiente del colore ed alla grandezza dalla domestica, che aveva ripreso servizio proprio quella sera.
Dopo un momento di puro rilassamento ricominciai a pensare alla serata.
Inevitabile.
Non riuscivo a capacitarmi dell'incontro con Roger, che Freddie l'avesse organizzato prima per non rimanere da solo con me?
Magari non aveva voglia di annullare i suoi programmi.
In genere, in effetti, Freddie non usciva con una sola persona, aveva sempre al seguito mille amici, almeno così dicevano di lui i giornalisti, ed effettivamente la realtà è sempre diversa.
Eppure... i loro sguardi non erano esattamente quelli di qualcuno che è d'accordo su qualcosa e si sta prendendo gioco di qualcun altro, anzi...
Mi girai verso la finestra: non avevo chiuso le tende, potevo vedere la luna e le stelle. Una notte stellata è la peggiore per riflettere, e alla fin fine, a Londra con la perenne coltre di nuvole, non si vedevano poi così bene come dove ero stato io.
C'era qualcosa, fra Freddie e Roger, che non mi convinceva fino in fondo.
Se avevo una specialità, era quella di capire quando le persone mi mentivano, o quando non mi dicevano qualcosa.
«Dovrei entrare alla SAS, per diventare un agente speciale, supererei il test alla grande» eccola di nuovo, maledetta vocina. Se quei due avessero saputo che ero lì a scervellarmi per loro... e poi no! Non dovevo pensare neanche al lavoro, mi avrebbe rovinato. Forse in effetti era meglio non pensare affatto.
Capii che per togliermi tutte quelle stupidaggini dalla testa c'era solo una medicina: Freddie.
Decisi di mettermi dei jeans ancor più attillati, (che baggianata, da lui ci sarei corso anche senza maglietta), ma mi sembrò più decente mettere una semplice t-shirt bianca, che mi fasciava leggermente sulle spalle e sui fianchi.
Era paradossale vestirsi così accuratamente, se ciò che si desiderava, in casa Mercury, era essere nudi.
Presi le chiavi di casa e null'altro, poi mi avviai con passo veloce verso il mio obiettivo.
Saltai con agilità lo steccato che precedeva il giardino.
Mi guardai attorno: era a dir poco spettacolare, mi piacevano da morire le rose rosse e gialle che si intrecciavano l'une con le altre.
Camminai verso la porta, assaporai con il dito il bronzo freddo intorno al campanello e con l'altra mano il legno duro e liscio.
Avevo come la sensazione che il cuore potesse fermarsi da un momento all'altro, interrompendo la sua folle corsa, semplicemente con un piccolo suono.
Un profondo respiro.
Spostai improvvisamente la mano dal campanello quando sentii un vociare nervoso e confuso all'interno.
Una voce era indubbiamente quella di Freddie, la riconoscevo, era stridula e in alcuni punti si spezzava, a causa del nervosismo.
Mi allontanai con un balzo fulmineo dalla porta, consapevole che si sarebbe spalancata, prima o poi. Mi misi dietro l'angolo ad aspettare che la discussione finisse.
«Cazzo Freddie, che diavolo ci facevi in bagno con quel bell'imbusto mentre lasciavi me a casa da solo?» sentii urlare.
Capii finalmente: era Roger.
Allora non mi ero sbagliato! Loro avevano veramente qualcosa da nascondermi.
Ecco perché Freddie era diventato più composto nella seconda parte della serata, non era da lui non torturarmi il collo con le unghie oppure non toccarmi in continuazione i capelli.
«Forse...Oh Roger, non pensarle nemmeno, queste cose»
La porta, come da previsione, si spalancò e Roger ne corse via.
Ebbi la sensazione che singhiozzò, o che stesse piangendo, ma c'era una probabilità, che era quasi una certezza, che me lo fossi sognato per pura perversione.
Non chiuse la porta: presi la palla al balzo.

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Capitolo 6
*** The jean genie ***



Freddie



Ero scosso da come Roger aveva reagito.
Finalmente ero solo, potevo lasciarmi andare alla mia sensibilità. Avevo la possibilità di piangere senza preoccuparmi del trucco, dell'acconciatura o di cosa avrebbero pensato i miei amici.
La prima lacrima scese, seguita da mille altre.
Ad un certo punto percepii un respiro sul mio collo, sperai che fosse Roger, ma le probabilità erano bassissime.
Riconobbi solo dopo l'inimitabile profumo di colonia: David.
«Non hai motivo di piangere» sussurrò dolcemente, con le labbra attaccate al mio orecchio.
Cercai di ricompormi il più velocemente possibile e lo guardai:
«Come sei entrato qui?»
«Ho chiesto a Roger di tenermi aperto, che domande»
Odiavo quando capiva tutto, ma quel che non sopportavo di lui erano le frecciatine ironiche, su me e Roger, poi. Era una cosa sacra ed intoccabile.
«Smettila!» gli intimai, puntandogli contro il telecomando del televisore. Glielo avrei sbattuto in faccia se necessario.
«Hai un telecomando e non hai paura di usarlo, lo so. Ma metti giù le armi, vengo in pace» sghignazzò. Le fossette delle guance gli si accentuarono ancor di più. Sbatté le ciglia.
Era quasi odioso quanto qualunque suo movimento, anche se impercettibile, mi eccitasse.
Con un sorriso si stese vicino a me, poggiandomi, delicatamente, un braccio sull'addome, per poi ancorare la mano al mio fianco.
Era incredibile quanto gli piacesse toccarmi la vita, neanche fossi stato Audrey Hepburn.
«Senti, qualunque cosa sia successa con Roger...» ero felice che avesse cominciato lui a parlarne, io non avrei mai sollevato l'argomento. La cosa migliore era che, per di più, ogni volta che David mi parlava di qualcosa mi sembrava più chiara. Sembrava che avrebbe potuto spiegare come andava la vita in parole spicciole.
«So che è colpa mia» sospirò «e sono pronto ad uscire di scena, qualunque strana cosa ci sia fra voi due non voglio rovinarla perché io mi sono svegliato improvvisamente dal letargo...» vidi i suoi occhi brillare, per poi inumidirsi.
Non cambiò espressione, non una lacrima gli rigò la pelle perlata: era incredibile come si sapesse controllare.
Mi resi conto quanto gli era costata quella frase, ma non capivo bene che cosa volesse davvero: aveva un'espressione indecifrabile. Se glielo avessi chiesto sarebbe uscito dalla mia vita senza farmi domande, ma quella era l'ultima cosa che desideravo.
Il mio sguardo si soffermò nel suo, mentre con la mente gli sfioravo il viso, le labbra, il collo muscoloso.
Non si muoveva di un millimetro, non sbatteva neanche le palpebre.
Abbassai gli occhi repentinamente, con la stessa velocità cercai le sue labbra, che non tardarono a mettersi sulle mie.
Gli poggiai le mani sui fianchi, lo spostai su di me e cominciai a svestirlo. Passai la mano sotto alla maglietta, toccando attentamente cosa si celava sotto di essa, quando arrivai al collo scesi velocemente verso il basso e puntai al bottone dei jeans, che, con abile maestria slacciai.
Mi staccai un attimo per vedere com'era diventato, l'ultima volta che l'avevo visto in quelle condizioni era stato molto tempo prima, e lui era più ubriaco che vivo. Sicuramente non ricordava nulla. Non era stato intaccato con gli anni, era come una statua custodita dal collezionista più avido di questo mondo.
Abbassai leggermente i pantaloni. I boxer neri aspettavano solo di essere strappati via con foga, io aspettavo solo di poter far sì che si divertisse: non se ne sarebbe pentito.
«A... Aspetta» mi fermò lui, quando mi misi a giocare con l'elastico della sua biancheria intima. Già il fatto che balbettasse significava che l'avevo messo in castagna.
«Beh?»
«Non voglio fare sesso con te» sembrava particolarmente convinto di quello che aveva appena
detto, come se la sua decisione fosse irremovibile, e questo mi spiazzò «io non voglio essere un ripiego. Se il picchia tamburi teme così tanto la concorrenza da farti stare male... beh, non sono io il rimedio. Non voglio essere solo quello che ti porti a letto per dimenticare la persona di cui sei innamorato. Per quanto tu mi possa piacere Freddie, preferisco lasciar perdere, più che... approfittare di te»

Roger



Avevo passato una delle peggiori nottate della mia vita, avevo dormito sì e no... ok, non avevo dormito affatto, e la cosa peggiore di tutto quello era che le conseguenze più catastrofiche si erano abbattute sul mio splendido viso. Avevo due occhiaie da far paura, quella mattina gli occhiali da sole erano davvero un obbligo. Del resto, io non mi truccavo.
Avevo un disperato bisogno di andare da lui e parlarne. La sera prima il telefono di casa aveva squillato più volte, ma non avevo mai risposto. Volevo stare da solo... ma ogni volta che quel maledetto aggeggio smetteva di suonare, la solitudine si stringeva ancora più stretta intorno a me, intorno al mio collo, come un cappio, e non ero più tanto sicuro di quello che volevo veramente.
Così mi convinsi ad andare da Freddie, seppellire l'ascia di guerra e magari abbandonarci ad un'infinita onda di passione la mattina prima di pranzo. Sarebbe stato come se io avessi passato la notte con lui: romantico.
Il campanello suonò ed il maggiordomo aprì.
«Buongiorno» mi salutò cordialmente
«Buongiorno» risposi, rivelando incautamente una certa fretta. Lanciai uno sguardo all'interno: pareva che in casa Mercury ancora fossero alle prese con la colazione. Freddie, di spalle, stava fissando la sua bevanda dalla tazza, mentre David, accanto a lui, probabilmente a torso nudo, aveva abbassato il giornale per guardarmi.
Qualcosa dentro di me, che era già andato in mille pezzi la sera prima, e che avevo faticosamente incollato durante una maratona notturna, si ruppe di nuovo, in frammenti ancora più infinitesimali.
Feci un gesto che fece capire al maggiordomo che avrebbe dovuto dimenticare della mia visita e mi allontanai a passi ancora più lunghi di quelli con cui mi ero precipitato.

David



Gli occhiali da sole non potevano nascondere tutta la sofferenza di un attimo, figuriamoci di una notte. Colui che porta il nome di Roger Taylor era impalato di fronte al maggiordomo e mi guardava, più che con l'invidia che speravo, con la rassegnazione di chi è stato sconfitto. Era un po' come in guerra, alla fine.
Solo allora la sua sofferenza mi si manifestò per come era realmente. Dissanguante.
«Non ha richiamato» parlai ad alta voce per i pensieri di Freddie, che interrogavano preoccupati la sua tazza di caffè
«Beh, ma starà ancora dormendo, è presto» che ostentazione di tranquillità!
«Dormendo? Credi che sia riuscito a dormire? Se veramente ti ama non avrà chiuso occhio»
«Tu non lo conosci, è Roger, se la starà spassando in qualche ristorante senza ricordare una virgola di ieri sera»
«Autoconvinciti con tutte le parole che preferisci, amico mio» gli sorrisi e lui mi squadrò con rigore marziale.
Passammo il pomeriggio a giocare a carte, ma Roger non tornò, né il telefono squillò. Credo che Freddie tentò due o tre volte, senza risultati, ovviamente.
Si vedeva benissimo che era distrutto da quella situazione, con me poteva fingere finché voleva, tanto non attaccava.
Vederlo a terra per un altro faceva uno strano effetto.
Mi invitò a rimanere anche per cena, ma quando si fece notte, dissi che dovevo assolutamente andarmene: era vero. Dovevo chiarire con Roger, spiegargli come stavano davvero le cose. Non volevo vincere giocando sporco, se Freddie fosse stato mio, l'avrei vinto sul campo, non con stupidi sotterfugi.
Chiesi al maggiordomo dove Taylor abitasse e lui me lo illustrò con molto piacere.
La casa non era appariscente come quella di Freddie, maestosamente classica e contenuta, più simile alla mia. Suonai il campanello con insistenza per ben tre volte, allora la piccola figura bionda fece capolino tra le tende del primo piano. Non avevo mai dato peso al fatto che i suoi occhi potessero essere freddi quanto i miei. Non ero esattamente chi sperava di trovare, lo sapevo, eppure mi aprì.
«Che c'è, ti hanno demolito la caserma?» ironizzò non appena aperta la porta, in vestaglia, cercando di mantenere un briciolo di facciata con il suo portamento quasi regale nell'appoggiarsi allo stipite «Hai idea di che ore siano?»
«Tanto lo so che non stavi dormendo» risposi secco, certo che le mie parole rispecchiassero la verità
«Tu non sai un bel niente» biascicò, con l'aria di uno che odiava la mia presunzione «e non sei un bel niente» tremò e si strinse nella vestaglia
«Non sarebbe meglio entrare? Stai tremando come una foglia»
«Non fare il premuroso con me, tanto non attacca» fatto sta che ero dentro casa sua, nel suo salotto
«Non faccio il premuroso e, sinceramente, visto che stiamo puntando alla stessa cosa dovresti essere un po' più onesto anche te e smetterla di lasciarti desiderare così a lungo, se mi permetti di darti un consiglio, chiaramente!»
«Le mie attitudini durante le fasi di corteggiamento non ti riguardano» bofonchiò, stringendosi nel tessuto blu che, a giudicare dall'apparenza, doveva essere molto morbido
«Neanche mi interessano, se proprio vuoi saperlo. Ad ogni modo sono qui per renderti il trofeo che ti spetta. Non mi sono portato a letto il tuo scimmiottino peloso, sarai contento, adesso...»
«E a me non interessa chi rientra nella bacheca delle tue medaglie, quindi non so perché sei venuto fin qui se non abbiamo argomenti di conversazione»
«Freddie è dispiaciuto, sul serio. Sono stato io a chiamarlo per farci una bevuta insieme, visto che rientravo dal servizio militare... e in bagno non è successo niente, se non il fatto che ho lasciato prendere aria alla mia asta perché avevo necessità di pisciare. Mi aveva detto che aveva altri programmi, ma ho insistito»
«Non so cosa ti dia il diritto di venire qui a dirmi se devo essere geloso o no, ma guarda, non sprecare il tuo fiato con me. Esattamente come suppongo alla tua, alla mia ed alla sua porta c'è la fila di gente che pagherebbe per farsi un giro, quindi figurati se mi interessa del fatto che tu venga qui a darmi il contentino»
«Un conto è farsi un giro, un conto è se metti in gioco il sentimento, amico mio. Non vorrai davvero che sia io a spiegarti brevemente quali sono i rischi che si corrono se oltre al culo ci metti anche il cuore...»
«Senti soldatino di legno o qualsiasi altra cosa tu sia! Esci subito da casa mia, io non ho niente da dirti!» non so se fu per il soldatino di legno che me la presi tanto o per il semplice fatto che mi stava dicendo che cosa fare, ma qualcosa sfuggì al mio controllo.
Lo afferrai per il collo della vestaglia blu cobalto con entrambe le mani, fino quasi a sollevarlo da terra. Aveva paura, ma non voleva mostrarlo. Quella mossa scoprì buona parte del suo petto e la cosa non mi lasciò impassibile. La carnagione era pallida poco meno della mia mia, la pelle liscia, non un pelo: solitamente preferivo altri tipi di prede, insomma, Freddie ne era la conferma, eppure qualcosa in Roger mi attirava e non poco. Fondamentalmente, io e lui ci assomigliavamo, inutile negarlo e, dato che io ero il mio stesso ideale di perfezione...
Stavo esitando, il biondo se ne accorse. Non volevo che pensasse che mi sarei lasciato incantare, così lo spinsi violentemente sul divano.
E subito dopo lo baciai.

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Capitolo 7
*** Crazy little thing, called... ***



Roger


Non dipese da me: quando me ne resi conto, la lingua di David aveva già esplorato buona parte della mia bocca e mi ritrovai praticamente costretto tra lui ed il divano, spazio a dir poco infinitesimale per tutto il mio ego. C'era qualcosa in quella morbosa vicinanza che mi terrorizzava: non avevo così paura neanche quando mi minacciava con i suoi pugni.
Finì che mi lasciai sopraffare come un pivellino.
«No!» strillavo debolmente mentre le sue mani vagavano su di me, ma mano a mano che la temperatura corporea saliva e la distanza si accorciava, quel calore che i suoi occhi di ghiaccio mi trasmettevano diventava sempre più insopportabile. «Smettila!» continuavo, muovendomi piuttosto come una donnicciola che come un vero uomo, pur di respingerlo «Non so a quali giochetti ti ha abituato l'infermierina, ma di certo io non mi abbasserò a tanto, quindi alzati subito da sopra di me e datti un tono. Mi sembra piuttosto che tu abbia un disperato bisogno di scopare più che di fare a botte con me e questa è l'abitazione sbagliata»
«A me invece sembra che tu sia un po' duro di comprendonio ed io odio ripetermi: l'infermierina, come la chiami tu, non mi ha ancora abituato...» bofonchiò in una specie di rantolo, ma il tono era del tutto irrilevante. L'informazione in sé era più importante: Freddie e David non avevano ancora consumato. Pareva credibile. Quella distrazione mi fu tuttavia fatale e me ne resi contro troppo tardi, quando ormai la mia vestaglia ed i miei boxer non potevano più nascondermi.
L'imbarazzo si manifestò ancor più violentemente: quella era una cosa mia, la mia nudità, la mia eccitazione. Anzi era una cosa nostra, mia e di Freddie.
Desiderai, più di ogni altra cosa, che lui fosse lì, che lo tirasse via da me, che mi confortasse, eppure... l'attrazione del mio corpo per quello di David, ormai mostratosi in tutta la sua forza e bellezza splendida, era innegabile... e quello mi imbarazzava ancora di più. Combattuto tra il negarmi o il concedermi al piacere che quella figura vestita di un candido velo di amore e passione mi offriva, preoccupato più di ogni altra cosa delle conseguenze che la mia scelta avrebbe avuto sul mio rapporto con Freddie e sui sentimenti che lui provava per me, mi abbandonai a quella danza smaniosa ed inquieta, prendendo come decisione finale quella di non decidere affatto e di lasciare, per una volta, che fossero gli altri a decidere per me.


David


Avevo gustato con piacere il suo imbarazzo nel cercare di nascondere il piacere che tutto sommato lo aveva sovrastato. Mi alzai dal divano, ancora caldo e intriso di passione, e mi guardai attorno, per poi buttarmi sulla poltrona. Il tessuto aveva un profumo molto particolare, era un miscuglio fra i capelli di Roger e i miei, fra la mia pelle e la sua. Lo odiavo, era così sdolcinato e il solo pensiero...
Sorrisi.
Sarei stato curioso di sapere cosa avrebbero detto tutti i miei soldati, se mi avessero conosciuto tanto bene quando Freddie, o Roger, con cui ormai avevo una certa intimità. Tutti abbiamo qualcosa da nascondere, ed evidentemente se non la mostriamo a nessuno, c'è un motivo.
Dopo aver raggiunto l'obiettivo → Dai una bella rullata al batterista mi alzai soddisfatto, ma con un peso sul petto: Freddie.
La mia mente ripeté quel nome all'infinito, mentre riallacciavo i pantaloni.
Avrei fatto di tutto pur di cancellare quella nottata, non volevo né Roger Taylor, né Rodolfo Valentino, né Marlon Brando.
Io ero innamorato del frontman dei Queen, di origini persiane, dal petto villoso e dalla voce portentosa: Freddie Mercury.


Roger


La scelta di non scegliere era stata persino peggiore di quella di Napoleone di attaccare la Russia e, come se non fosse bastato, non riuscivo più a smettere di esprimermi in termini militari.
Non era stato naturale come lo era di solito con Freddie, mi ero sentito fortemente in imbarazzo ad ogni sua singola carezza, e per quanto il piacere mi avesse prostrato ai suoi piedi, era stata più una continua tortura.
David lo sapeva: quello era un altro punto a mio sfavore.
Ero pentito, quello sì, ma avevo troppo bisogno di sentirmi amato, in quel momento, per badare a chi fosse disposto a cedermi anche solo un pezzettino del suo cuore per una notte, e non penso che la situazione di David fosse tanto più florida della mia, altrimenti non sarebbe venuto da me.
Passato qualche minuto dal culmine ci ricomponemmo, giusto per rispettare la facciata dei nostri caratteri. Inutile badare ad inutili convenevoli, quel che era fatto era fatto e la confidenza che si era venuta a creare tra me e lui nell'arco di una notte, anzi, di pochi minuti, dopo un brutto litigio, superava ogni mia aspettativa di socializzazione.
Era sgraziatamente seduto in poltrona, con le gambe aperte, con il tipico atteggiamento prepotente di un uomo dell'arma. Eppure nella sua bellezza mi pareva perfetto: mi fissava di sottecchi con i suoi chicchi di neve nascosti sotto le palpebre pallide, ognuno cercava la prima frase tagliente per ferire l'altro con una frecciatina, in merito a qualsiasi argomento. Il primo ad avere l'ispirazione, logicamente, fu lui.
«Dovremmo dirglielo»
«Oppure no?» lo provocai io
«Io penso proprio di sì. Deve capire che non è l'unico che può divertirsi a tenere il piede, o quel che è, in due staffe. Tutti e tre possiamo permetterci di farlo» non avrei mai detto che mi avrebbe inserito nel club, eppure a quanto pare c'ero anch'io. Dopotutto, le cose si fanno in due... o in tre, insomma, dipende...
«Bene, se le cose stanno così, se questa è la tua decisione, a me sta bene... fai come se fossi a casa tua, io vado a farmi una doccia» quelle relazioni senza impegno... ah, le adoravo e David era un amante decisamente alla mia altezza: bello, intelligente, intrigante e, detto tra noi, sufficientemente bravo a letto da farmi perdere la testa per qualche secondo. La distrazione perfetta per cercare di dimenticarsi di Freddie prima del prossimo album.

NdAut: Chi riesce a completare il titolo con la parola giusta vincerà un autografo di MrB. e C. :D Attendiamo trepidanti le vostre soluzioni in recensione ihih

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Capitolo 8
*** Somebody to love ***



Freddie



Each morning I get up, I die a little,
can barely stand on my feet...


La pressione era praticamente insopportabile. In linea generale detestavo litigare e se si trattava di Roger la cosa assumeva per la mia coscienza più o meno le stesse proporzioni di un terremoto di otto gradi sulla scala Mercalli. Unica consolazione: avevo David. Scesi le scale e lo trovai accomodato in sala a leggere il giornale, raggiante. Ovvio che fosse di ottimo umore, io avevo litigato con Roger e lui mi aveva rifiutato la sera prima: per il suo spropositato ego, le cose non potevano andare meglio. Elegantemente accomodato su una delle sedie intorno al tavolo, aveva riempito un bicchiere di spremuta d'arancio, senza però toccarlo.
«Buongiorno» esordii e lui mi lanciò un'occhiata, con fare ancora più divertito
«Buongiorno, dici tu? Ma se hai l'aria di uno che è stato investito da un tir?» rise «Non ti ci volevano due rifiuti in un giorno, il tuo ego ne ha parecchio risentito, direi» la sua schiettezza era benefica per le mie ferite, sempre meglio dell'ipocrisia di tutto il resto del mondo. Per non parlare del fatto che riuscisse a dirmi tutta la verità sempre con quel sorriso meraviglioso che, anche se canzonatorio, faceva sembrare tutto quasi positivo.
«Le ferite non si vedono solo sul corpo, dear» passai una carezza sul suo braccio e mi sedetti a capotavola, cercando di pensare a cosa avrei potuto mangiare, anche se nutrirmi non rientrava proprio nelle mie priorità.
Mi alzai e provai a chiamare Roger.

Lord, what you're doing to me?

Perché tanta sofferenza per uno stupido litigio? Tanto valeva seppellire l'ascia di guerra se il tormento ci attanagliava entrambi. Se solo lui avesse risposto avrei messo l'orgoglio da parte, prima che continuare a patire...
E perché il dolore, che aumentava ad ogni squillo che passava e che lo allontanava dalle mie scuse, sembrava non trovare argine o consolazione, se non nella figura di David seduta a tavola?
«Non risponde» affermò, senza distogliere gli occhi da quegli stupidi fogli di carta
«Non sono affari tuoi» risposi seccato
«Meglio così, se avesse risposto sarei stato costretto a sentire le tue suppliche per ottenere il suo perdono per qualcosa che effettivamente non hai fatto, ma che avresti voluto fare. Devi scusarti anche solo per l'intenzione? Non mi pare che uno come te si sia abbassato a tanto in precedenza»
«Comunque vada, devo tornare a lavorarci tutti i giorni prima o poi» lo zittii
«Già, sarà difficile passargli accanto ogni volta sforzandoti di immaginarlo vestito» scoppiò a ridere mentre voltava pagina. Mi versai una qualsiasi cosa a caso nella tazza senza avere l'intenzione di consumare niente e stetti per una buona mezz'ora a sentire i suoi commenti sadici sulla mia penosa situazione. Il campanello suonò, ma nessuno entrò, sebbene il maggiordomo fosse andato ad aprire.
Per un attimo avevo sperato che fosse Roger.

I have to spend all my years in believing you,
but I just can't get no relief, Lord


Probabilmente annoiato dal mio atteggiamento sconsolato di tutta la giornata, David se n'era andato, così non avevo più niente che mi distraesse. La mia mente aveva assunto la forma di un buco nero che risucchiava qualsiasi tipo di pensiero negativo, trasformandolo in qualche verso di poesia.
L'unica cosa che dovevo fare veramente era scuotermi di dosso quel torpore ed andare di persona da Roger a risolvere la situazione.

… but everybody wants to put me down …

Bussai con insistenza alla porta, dopo aver fatto un buco nel campanello. La finestra di camera di Roger aveva la luce accesa, si vedeva benissimo, quindi di certo era sveglio.
Qualcuno finalmente si degnò di aprirmi, ma non era chi mi aspettavo. Anzi, quello che vidi, probabilmente, era una delle mie paure più recondite e quando si presentò davanti ai miei occhi, ebbi un moto di nausea misto a voglia di spararsi un colpo in bocca. Ora ragionando sulla mia vanità, se proprio dovessi suicidarmi cercherei qualche cosa che lasci intatta la mia venerabile bellezza, quindi rendetevi conto a che livello di disperazione ero arrivato.

I'm ok, I'm alright...

«Che ci fai tu qui?» puntai direttamente a colui che la sera prima mi aveva rifiutato, arrabbiato come una furia. David, nel suo splendore candido, si mostrava senza uno straccio di maglietta come usciere di casa Taylor.
Insopportabile.
«Ero venuto a risolvere i tuoi casini»
«E pensavi di risolverli portandotelo a letto?»
«Quello non era incluso nel pacchetto ma pare che la Barbie si sentisse un po' frustrata, ed io che cos'altro potevo fare, se non...»
«Apri bene le orecchie, Schiaccianoci: Roger è mio!»
«Non spetterebbe a lui decidere? Insomma, perché tu puoi tenere il piede in due staffe e lui no?»
«Non parlarmi con quest'aria da stronzo, come se poi sapessi cos'è meglio per lui» imprecai «Piuttosto dov'è?»
«In bagno» mugolò, infilandosi la maglietta
«Bene, ora se vuoi farmi il piacere, esci da questa casa, devo parlare immediatamente con Roger prima che si confonda con te»
«L'ha già fatto, credo che ci sia... come dire, un tacito accordo tra di noi» lo disse con un tono così subdolo che credetti che Roger avesse stretto un patto col diavolo, e se avessi saputo che il diavolo aveva fattezze così angeliche, mi sarei fatto sbattere all'inferno più che volentieri... ed in più di un senso. «Ad ogni modo...»

I got nobody left to believe.

David uscì ed io aspettai che il biondino tornasse.
Roger camminò sovrappensiero fino alle scale: fu sorpreso di vedere me, invece che l'adone albino.
«Dobbiamo parlare» mugugnai, fingendo di non ammirare le sue gambe, sperando che una folata di vento alzasse improvvisamente l'asciugamano che si teneva ben ancorato alla vita.
Lo colsi di sorpresa, ma cercò di non darlo a vedere, con lo sguardo che non si scostava dal mio, mi raggiunse.
Più conosceva David, più me lo ricordava, era come se quell'uomo emanasse un'energia che tutti quanti assorbivamo.
Mi guardò:
«Allora parla»
«Ti sei fatto scopare da David?» gli chiesi, arricchendo il tutto con uno dei miei gesti teatrali, come se poi lui non fosse libero di scoparsi o farsi scopare da chi gli pare. Stavo diventando paranoico e ridicolo.
«Ascoltami Freddie. Non sto capendo quel che succede, ma di una cosa sono certo: stiamo cambiando...»
«Spiegati» lo invitai, accompagnandomi con un gesto della mano
«A te piace David, ma ti piaccio anch'io. A me piace David, ma mi piaci anche tu. David è pazzo di entrambi»
Era così chiaro.
Eppure non lo volevo vedere: David era mio almeno quanto Roger.
Io potevo averli entrambi, ma non volevo che loro si distraessero da me. Era un concetto troppo egoista persino per me. E non c'era via d'uscita.
«Ci divertiremo» sentenziò infine il biondino, prendendomi per i fianchi. Lo guardai con aria di sfida.
«David non ti ha stancato abbastanza, ora vuoi me?» gli chiesi, buttandogli un braccio al collo, stringendo fra le mie labbra il lobo del suo orecchio
«Mi piacerebbe avervi entrambi, ora» sussurrò lui, con voce dolce e vellutata «comunque, lo sai che sono instancabile...»
Stavo perdendo sempre di più e più avevo da amare, più la posta era alta, più il rischio di perdere aumentava. Sarei rimasto senza nessuno.
Mi sarei ritrovato con il culo a terra... e dolorante, per giunta.

Can anybody find me somebody to love?


MrB: grazie a tutti coloro che hanno partecipato al nostro concorso xD manco fosse la lotteria italia, ma come ci siamo ridotte XD
C: cooooomunque... la risposta esatta era... Roger, cazz*, scusa eh, ma me lo fai un rullo di tamburi come si deve, sembra che tu ci...
R: ok, ok... *rullo di tamburi* ma poi tutta 'sta angst per una minchiata dico io...
C: dillo tu
MrB: no, dillo tu...
Freddie: Sex. La parola era sex.
MrB&C: Freddieeeeeeeeeeee!! O____________O
C: Comunque. Metto qui le prove (tratte dalla conversazione tra le autrici XD). Visto che nessuno ha indovinato e che comunque non abbiamo posto un limite di tempo, se qualcuno vuole un autografo lo dica xD
MrB: Mi sa che ce li firmiamo a vicenda, sai? XD

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Capitolo 9
*** Dear friend ***



David


Ero teso come la corda di un violino.
Camminavo per la strada con passi arrabbiati.
Entrai dentro casa mia e mi guardai attorno: avevo bisogno di qualcosa da distruggere, oppure avrei spaccato il bel visino di Freddie.
«Stronzo!» urlai «Prima vuole venire a letto con me e poi fa il moralista. Poi ancora cerca Roger. Roger qui, Roger lì. Sposatelo, no?» diedi un pugno alla parete, la porta lontana poco più di un metrò tremò come una foglia.
La mano era dolorante, per essere sicuro che non cadesse a pezzi la aprii e la chiusi, lentamente. Almeno non era rotta.
Mi sentivo terribilmente frustrato, non capivo perché tutto quello stesse accadendo a me, comunque sia, avevo bisogno di distrarmi.
Feci un giro in casa, arrivai in cucina e mi tracannai mezzo litro di latte. Appoggiato con la schiena al muro, guardai sul tavolo.
Orrore.
La mente mi faceva brutti scherzi. Quello che avevo visto stampato sulla busta non era lo stemma della milizia inglese?
Mi avvicinai lentamente, deglutii: avevo visto bene. Ma come era possibile che fosse già arrivata? Ero a casa da meno di una settimana.
Non avevo bisogno di aprire quel pacchetto di sofferenza e rabbia, sapevo già cos'era contenuto al suo interno. Dovevo scoprire solo quando e dove dovevo andare.
Poggiai il bicchiere sul tavolo e presi in mano quel maledetto pezzo di carta, avrei potuto recitare a memoria tutte le parole stampate su di esso.
Avrei perso Freddie, di nuovo.
Mi scusai silenziosamente con me stesso, per non aver mantenuto la promessa che sarei stato lontano dal lavoro per un bel po'.
Avrei dovuto scusarmi con Freddie per tutto quel che gli avevo causato quei giorni, anche con Roger, che era rimasto coinvolto non poco.
Le parole di mio padre rimbombarono in tutta la casa:
«Sporco scherzo della natura, dovrebbero sopprimerti, hai il diavolo stampato negli occhi» ancora i denti alle labbra, come se potessero aiutarmi a cacciare tutti quei pensieri.
Forse ero uno scherzo della natura, ma sicuramente ero il diavolo, dove andavo seminavo discordia, bastava guardare come avevo intaccato la relazione di Roger e Freddie.
Dopo un lungo sospiro lasciai che una lacrima rigasse il mio viso, lasciai che la mia persona cadesse a pezzi.
La gambe mi si piegarono e io finii con le braccia conserte sul tavolo, il viso nascosto da esse.
La notte trascorse lunga e dolorosa, immersa nei peggiori pensieri ed in una sbornia di latte che mi aveva lasciato con il mal di stomaco, anche se era inutile dare a lui la colpa. Quello poteva dipendere anche da altro.
L'unica persona di cui avevo bisogno, era anche l'unica a non volermi vedere: un classico. Eppure c'era anche qualcun altro. Potevo davvero scendere a patti con me stesso e parlarne davvero con il principe azzurro di Freddie? Forse era una pessima idea, mi sarei di nuovo messo in mezzo, non avrei fatto altro che peggiorare la mia già precaria e disperata situazione... ma Roger era tutto quello che mi era rimasto, ormai, e rivolgersi a lui era sempre meglio che continuare a fluttuare in questa via lattea con il mal di stomaco.
«Sì?» la voce altezzosa si riconosceva lontano un miglio, anche al telefono
«Risolto con il tuo babbuino peloso?» la risata felice quasi mi spazzò via
«Tesoro, ho fatto due su due ieri sera, sono o non sono il maestro di seduzione?» mi ci mancava solo lui ad infierire
«Te lo dici da solo, sei patetico» lo rimbeccai
«Rosichi?»
«È lì?»
«Io e Freddie non conviviamo, ficcatelo bene in testa, mi ci vorrebbe un grattacielo di trenta piani per far entrare tutti i suoi vestiti e prodotti di bellezza nella stessa casa in cui stanno i miei»
«Hai impegni per stasera?»
«Io ho sempre impegni per la sera e non sono come la tua crocerossina che si libera per te» mise subito in chiaro. Non ero in vena di scendere a patti con nessuno, non risposi. «David...? C'è qualcosa che non va?» domandò allora, preoccupato.
«Tra un quarto d'ora sono a casa tua, cerca di farti trovare pronto» borbottai. Ovviamente fece di tutto per disobbedirmi.

Scese, effettivamente, dopo una manciata interminabile di minuti, con indosso solo i pantaloni... e gli occhiali.
Cosa mi era saltato in mente di chiamare proprio lui per sfogarmi del litigio che avevo avuto con Freddie per lui?
«Che sole, hai un paio di occhiali anche per me?» lo presi in giro, alzandomi in piedi. Si era fatta quasi notte per aspettare che fosse pronto, era lento da morire e vanitoso tanto quanto la ragione dei miei travagli sentimentali.
«Insomma, dove andiamo?» domandò lui, infilandosi una maglietta che teneva stretta in mano.
«Andiamo a prenderci un caffè. Ne ho bisogno ed ho anche in mente un bel posto»
Lo portai in uno dei bar che preferivo. Dopo esserci seduti al tavolo, ci raggiunse una cameriera a dir poco graziosa, che sorrise a entrambi.
«Cosa posso portarvi?» ci chiese, costringendosi a distogliere gli occhi dai miei
«Io prendo un caffè doppio ben zuccherato»
«Io un caffè doppio amaro» studiai ogni centimetro della ragazza in pochi secondi. L'uniforme era semplicemente orribile, ma nascondeva le curve degne di un modella. 
L'espressione di Roger, perso a scavare da dietro gli occhiali sul corpo della ragazza, che stava raggiungendo il bancone, mi suggerì che era d'accordo con me.
«Che ti ha detto, quindi?»
«Se te lo dicessi, ti darei troppa soddisfazione, visto che ha improvvisato una specie di scenata di gelosia» sorrise sotto i baffi che non aveva e si accarezzò le labbra in un moto di soddisfazione atto a nascondere ciò che gli nasceva a fior di labbra per la felicità
«Allora dimmi quello che ti pare» borbottò
«È che...»
La ragazza ritornò con i due caffè su un vassoio.
Le guardai le caviglie e salii lentamente verso le ginocchia.
«Non c'è molta gente stasera» osservò Roger, rivolto alla cameriera, richiamando anche la mia attenzione
«Siamo in orario di chiusura» sorrise lei, prima di allontanarsi. Guardai Roger e gli sorrisi:
«Bel bocconcino, vero?»
Non rispose, io presi a sorseggiare il mio caffè amaro, anche se forse era di zucchero che avevo bisogno per affrontare quel discorso. L'importante era che non fosse latte.
«Insomma, mi ha cacciato da casa tua dicendo che, in pratica, tu rientravi nei suoi beni immobili e che non devo avvicinarmi al tuo bel culetto neanche con lo sguardo, tutto questo in sintesi: ora goditi questo momento di felicità finché durerà» non si diede troppe arie
«Il fatto che il mio sedere sia quello che preferisce non deve scoraggiarti, amico mio, i gusti di Freddie cambiano alla velocità della luce, la nostra sarà una competizione-amicizia» era sufficientemente realista da darmi l'idea di non mentire
«Non è il tuo fondoschiena che preferisce. È che mi sono assentato troppo dalla sua vita e ora... Poi, dopo aver violato il tuo culetto non mi rivolgerà la parola per...»
«Puoi per cortesia evitare di parlare ogni trenta secondi del mio lato B? Capisco che sia irresistibile, ma insomma, non si è mai troppo al sicuro...» bofonchiò infastidito
«Hai paura di essere chiamato culattone?» risi e poi mi ricomposi «Puoi per cortesia rispondere alla prima domanda?»
«Devi dirgli quello che senti!»
«Tu non l'hai fatto!» esclamai esasperato
«Non ho bisogno di dirglielo a parole, lui lo sa già, altrimenti non si permetterebbe di andare a dire in giro che il mio... insomma, quello è suo! E poi io e te siamo due entità distinte... se tu abbassi per primo la testa, ti perdonerà, lo farà di certo...»
«Non credo ne valga la pena» sentenziai, guardando la mano con cui avevo semi distrutto il muro: era viola.
«Se lo ami...» azzardò lui, guardando l'arto che aveva assunto un colore molto particolare. Mi morsi le labbra: avrebbe capito qualcosa di quel che era successo la sera prima, ma non volli dargli questo privilegio, glielo avrei detto.
«Io devo partire» sussurrai, troppo piano per essere sentito
«Perché ora sussurri? Non fare il timido, non ti si addice!» sghignazzò
«Devo partire!» quasi urlai, stringendo improvvisamente le mani in due pugni, facendo cambiare improvvisamente l'espressione del batterista. Se era convinto che il massimo della mia furia si potesse manifestare con quello che era successo la sera prima, si sbagliava di grosso.
«Scusami, sono nervosissimo... è che non mi aspettavo succedesse tutto questo per... Freddie» abbozzai un sorriso.
«Benvenuto nel club...»

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Capitolo 10
*** Ps: I love you. ***



Roger



«Signor Taylor?» la voce era bassa, ma dolce. A sentirla in quel modo, pareva che potesse lenire ogni singola ferita del mio corpo, eppure non era né Freddie né David: nessuno di loro ci avrebbe mai messo così tanto rispetto «Signor Taylor, si sente bene?» insistette la voce
«Sì, certo» mi decisi a rispondere, indossando il mio miglior sorriso. Falso. David mi aveva piantato lì per correre da Freddie. Non so perché mi sentissi così frustrato, dopotutto ero stato io a dirgli di farlo... forse credevo che non avesse abbastanza fegato per agire davvero. Pronunciare le parole «ti amo» richiede anche una certa dose di amor proprio, è un po' una dichiarazione di sottomissione.
«Bene» affermò entusiasta la ragazza. Fece per ritornare al suo posto, dietro il bancone, ma la fermai
«E tu sei...?»
«La cameriera, signore» rispose, un po' imbarazzata, passando una mano sul vassoio. Sorrisi. Probabilmente pensò che mi ero sbronzato con una tazza di caffè.
«Voglio dire, qual'è il tuo nome...»
«Ah, io... Dominique» aveva un accento francese, forse era questo che rendeva la sua voce particolarmente dolce. Era come immergersi nel miele. *
«D'accordo, Dominique e... tu mi conosci, quindi, ti piace la nostra musica?» qualcuno, da dietro il bancone la chiamò
«Scusi, io passerei delle ore a chiacchierare con lei, davvero, ma sono in servizio e...»
«Non c'è problema» improvvisai. La verità era che avevo un disperato bisogno di avere una conversazione normale con una persona normale. Ero stanco di dover sempre parlare del mio sedere, di amore, di sesso, di uomini: volevo vivere come quando semplicemente avevo una scappatella ogni tanto con una donna e non mi dovevo preoccupare di ferire Freddie o chiunque altro, perché ai miei colleghi non importava chi mi portavo a letto e non dovevo calcolare la percentuale di rischio di sedurre un amico del mio amore segreto.
Avevo decisamente bisogno di una storia normale alla luce del sole.
«Se ha solo un attimo di pazienza, tanto stiamo chiudendo...»
Certo, se David fosse partito avrei avuto Freddie per me, ma non sarebbe più stata la stessa cosa: una parte di lui che amavo, sarebbe comunque rimasta in David, e una parte di me che lui amava... sempre in David. La chiave del nostro rapporto, l'ago della bilancia, era proprio la parte che rischiava di andare perduta, anche se in realtà, ognuno di noi era fondamentale, e quello che ci rimetteva più di tutti era proprio David, che si vedeva privare sia di me che di Freddie.


Freddie



La situazione era pressoché insopportabile. Stavo diventando una specie di donnicciola gelosa e paranoica e non era quello che mi aspettavo da me.
Fino ad allora avevo dato per scontate troppe cose che in realtà non lo erano, prime di tutte Roger, e di recente anche David, misteriosamente ricomparso per venire a prendersi ciò che gli spettava.
Io.
E finché ero in grado di controllare il mio sentimento per Roger, era un conto, ma se ci si metteva anche l'albino, le cose si complicavano in modo piuttosto compromettente. Non avevo mai pensato che David avrebbe potuto provare attrazione, seppur fisica, dico io, per uno come Roger.
Insomma, se gli piacevo io, come poteva il biondino, avere un tale effetto su di lui?
Eppure era vero: David era scattato prima con lui che con me.
Non ero abbastanza eccitante, per lui.
E l'oggetto delle sue attenzioni, normalmente molto riservato in questi ambiti, si era lasciato sottomettere senza troppi indugi. Non che mi sentissi inferiore... certo, mi ci era voluta una lunga ed estenuante pratica di corteggiamento per sedurlo, mentre tornava il primo albino dalle missioni di pace e lo ritrovavo nel suo letto.
Non mi sembrava corretto.
David voleva Roger per arrivare a me, Roger voleva David per sé per allontanarlo da me.
Infine io, volevo tutti per me, senza considerare i sentimenti di nessuno, dimenticando quanto dolore io stesso stessi provando per la situazione in cui mi trovavo.
Per colpa mia.


David



Bussai, sapendo che mi ero appena condannato ad una discussione lunga ore.
Avevo aspettato troppo tempo, avevo abbandonato Roger al bar per poi tornare a casa ad autocommiserarmi e piangermi addosso. Quello che Freddie mi stava facendo non mi andava bene per niente. Non mi riconoscevo più.
Aprì Peter Freestone, l'assistente personale di Freddie, che lui chiamava Phoebe:
«Salve David, Freddie sta dormendo...» nervosamente strinsi con la mano destra lo stipite della porta a cui mi ero appoggiato.
«È davvero molto urgente, lo sveglierò»
«A suo rischio e pericolo» si fece da parte e con un cenno della mano mi invitò ad entrare.
Mi sentii fortunato, sicuramente Freddie gli aveva parlato di me e gli aveva comunicato ciò che mi potevo permettere di fare: nessuno sarebbe penetrato in casa Mercury con quella facilità.
Salii lentamente le scale. Pensando a quello che gli avrei detto, stringendo il corrimano, fino a temere di poterlo spezzare.
Dopo aver bussato delicatamente aprii la porta, camminando con passo felpato raggiunsi il letto.
Freddie era rannicchiato sotto il piumone, con un'espressione rilassata. Sorrisi e gli accarezzai la testa, mi sedetti sul bordo del letto, nel modo più delicato possibile.
Il moretto aprì lentamente gli occhi, posando la mano sulla mia, realizzò chi fossi e cercò di comportarsi in maniera altezzosa:
«Cosa vuoi?» mi chiese, con la voce ancora impastata dal sonno.
Trattenni una risata.
Più che una Regina, in quel momento mi sembrava uno zombie. Si era evidentemente consolato la sera, chissà con chi. Chiunque fosse, gli avrei volentieri spaccato la faccia, un po' per me, ed un po' anche per Roger, sempre ammesso che non fosse proprio lui.
«Cazzo, vuoi rispondermi?» si alzò, mi diede le spalle ed entrò nel bagno, lasciando la porta aperta.
Esitai.
Per la prima volta mi trovai in imbarazzo davanti a Freddie: non sapevo che cosa dire, non mi ero mai scusato, né con lui né con nessun altro, ma c'è sempre una prima  volta, no?
Ero disposto a farlo, per lui, non era necessario, sarebbe comunque tornato da me, però non volevo quel tipo di rapporto con lui, volevo che ci considerassimo l'uno  alla pari dell'altro, entrambi dovevamo scendere da cavallo e parlare da uomo a uomo.
Da innamorato a innamorato.
«Ti amo, Freddie»
Qualcuno al posto mio pronunciò quelle parole, la voce era la mia, le labbra erano le mie, ma non lo avevo detto io, non poteva essere. Forse una parte di Roger Taylor mi aveva davvero influenzato. Davvero la sua parte da stupido sentimentale poteva avere poter sul mio atteggiamento?
Silenzio.
-Ti prego, dì qualcosa, Freddie- supplicò la mia mente, ma l'unica cosa che fece, fu uscire dal bagno con lo spazzolino in bocca.
Ci guardammo.
Era davvero troppo per me: ero stanco e vulnerabile in quel momento.
Appoggiai la mano sul pomello:
«Ci vediamo» dissi, poi uscii dalla stanza e scesi le scale con la velocità triplicata, rispetto a quando le avevo salite, nella vana speranza che non scivolassero sotto i miei piedi come nei peggiori incubi.
Salutai con la mano l'uomo che mi aveva aperto la porta e sgattaiolai via.
«Dave!» esclamò Freddie, prendendomi la mano e tirandomi verso sé, non sapevo fosse così forte. Non avevo osato immaginarlo tale.
Mi spiazzò completamente, non mi aspettavo una simile reazione, soprattutto da lui, che la pensava alla «più mi faccio desiderare, meglio è».
Non ebbi più idea di cosa fare quando infilò la lingua fra le mie labbra, mi limitai a stringerlo a me e a rientrare in casa con lui.


*nd: Dominique non era affatto una cameriera, ovviamente. Lei (non ricordo secondo quali fonti) era l'assistente di Richard Branson quando nel '76 organizzò un concerto ad Hyde Park al quale parteciparono anche i Queen. I due si conobbero lì.

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Capitolo 11
*** I want it all ***



Freddie


Ogni volta che riuscivo a mettere a posto un pezzo della mia vita, irrimediabilmente un altro tassello finiva per spostarsi e mandare tutto il resto a monte. Mi chiedevo se il puzzle sarebbe mai stato completo, e soprattutto, che cosa mai avrebbe raffigurato una volta appeso ed incorniciato.
Roger lo faceva senza pensarci, scombussolare tutto rientrava in una sua specie di capacità innata che amavo profondamente, faceva parte dell'effetto sorpresa che lo contraddistingueva.
Niente a che fare con David.
L'uomo dagli occhi di ghiaccio era bravissimo in questo gioco molto più che a Risiko o a Poker: disordinare i miei tasselli per confondermi, colpire e distruggere. Decisamente la sua tattica migliore, lo stratega, dopotutto, era lui.
E, non appena raggiunto il mio equilibrio interiore una volta siglata la mia pace con Roger, l'altro aveva pensato di pugnalarmi.

I want it all
and I want it now.


Non si può avere tutto, dicono. Ma io voglio tutto e lo lo voglio subito.
Subito, infatti, arrivò la prima sprangata: sentire le sue mani delicate, ma allo stesso tempo forti, severe, accarezzarmi, e vederlo appoggiato sul margine del mio letto, non appena sveglio, sono due immagini che una persona normale può assimilare forse nell'arco di tre vite umane. Io dovetti accelerare questo processo in soli trenta secondi e trovare anche il modo per indossare la mia aria di superiorità prima ancora della vestaglia.
-Non abbassare la testa, mai, non abbassare mai la testa. Tu sei Freddie Mercury e lui è solo David Bowie, quello non famoso, per giunta- quell'idea elaborata dal mio cervello ai primi albori dell'accensione, puzzava di fallimento, come la maggior parte delle mie idee, per la verità.
Ecco subito colpire ed affondare con la seconda mandata di informazioni non digeribili dal mio cervello prima di colazione: ti amo.
Ogni volta che riuscivo a mettere a posto un pezzo della mia vita, irrimediabilmente un altro tassello finiva per spostarsi e mandare tutto il resto a monte.
Ok, stavo anche diventando ripetitivo. Il fatto è che anche quelle due stupide paroline continuavano a ripetersi nel mio cervello, creando un certo scompiglio tra gli altri pensieri e tra i cassetti dell'intimo.
Oltretutto mi metteva fretta ancora una volta: se ne stava già andando? Lo rincorsi giusto in tempo per fermarlo, ma una volta fermato, non sapevo cosa dirgli, così, semplicemente, lo baciai.
Questo complicò ulteriormente la mia situazione psicologica.
Sì, amavo Roger e non sopportavo di vederlo tra le sue braccia, ma quello non era un bacio alla francese dato così per darlo e l'intensità della risposta mi fece capire che non ero l'unico a pensarla così. Era difficile da ammettere, ma, sì, probabilmente amavo anche David, e non sopportavo l'idea di vederlo tra le braccia di Roger.
Il dramma era che da protagonista ero passato a terzo in comodo. Eppure...
«L'hai detto anche a lui?» chiesi, non appena le nostre labbra si furono separate ed il mio cervello godette di una certa autonomia
«Cosa?» domandò sconvolto «Io ti dico che ti amo e tu mi chiedi se l'ho detto anche a Roger Taylor? Non sono un idiota come te: io non gioco con i miei stessi sentimenti» ha sbottato
«Guarda che non lo faccio di proposito» sbuffai
«L'ho sempre saputo che eri una frana a gestire le tue tresche sentimentali, ma non credevo che tu fossi caduto così in basso» mi rise in faccia. Aveva tremendamente ragione, e lo odiavo per questo, senza averne diritto fino in fondo. Infondo era più l'amore, del rancore. Stavo per esprimere questo mio concetto, quando arrivò l'ultima, devastante bastonata:
«Dovevo togliermi questo peso prima di partire, quindi, a mai più rivederci, Mr. Mercury»
-Dove, come, quando, perché?-
Il mio cuore iniziò a tempestare la mia testa di domande a cui non avevo risposte.
Per un semplice amico non potevo soffrire così tanto, eppure non potevo neanche amare due persone contemporaneamente, due uomini, oltretutto... come era possibile questa cosa? Non è che stavo impazzendo e via via, le persone che avrebbero incrociato il mio letto, avrebbero allungato la lista iniziata dai due biondi? Non è che non ero più capace di distinguere chi amavo davvero, chi amavo di più? E che ne sarebbe stato del mio cuore?
Diviso.
Una metà sarebbe rimasta a David e l'altra a Roger, in due poli opposti di questo maledetto mondo... e visto che irrimediabilmente li avrei persi entrambi, alla fine ne sarei uscito distrutto.
Prima o poi, la fine sarebbe dovuta arrivare, ed io non sarei mai stato pronto ad accettarla, affrontarla, e superarla.
Ero fottuto.
Che cazzo facevo io se David se ne andava? Certo, mi rimaneva comunque Roger, ma eravamo arrivati ad un punto in cui anche lui era rimasto troppo influenzato da David per rimanere lo stesso, per potersi accontentare di quella misera scartoffia deambulante che sarebbe rimasta di me, dopo aver avuto lui... dopo David, anche Roger se ne sarebbe andato, mi avrebbe lasciato, e sarei rimasto da solo...
«Tu non puoi andartene...» sentenziai in un tono piuttosto severo, molto lontano da quello di una supplica
«Perché lo dici tu?» rise scompostamente «Non è il mondo della musica, è il corpo militare britannico, non credo che tu possa avere un qualche tipo di influenza...» riusciva sempre a farmi sentire un granello di polvere, se lo voleva
«Il punto non è chi sono io, né cosa voglio. Quello che ti chiedo è se tu vuoi davvero tornare a fare quello schifo di lavoro...»
«Non t'importa davvero e comunque, sì, per me è importante quello schifo di lavoro. Perlomeno non devo farmi inculare a saltelli da qualche discografico gay per vendere uno schifo di cd...»
«Quella è arte, mio caro, e preferisco farmi inculare a saltelli, anche da te, che andare in giro ad ammazzare la gente per non morire io stesso» anche se probabilmente sarei morto lo stesso, se lui se ne fosse andato
«Parlando in termini di un accordo ragionevole, tu mi staresti offrendo un posto nella musica britannica, in cambio di una guerra... non è male, no? Che ne dici, mi ci vedi a duettare con il mio omonimo? Saremmo la coppia gay più apprezzata degli ultimi millenni, seconda solo ad Alessandro ed Efestione... non vorrei che questo ti causasse dei cali di popolarità...» da pallido, sembrava diventato verde di rabbia e mi stava vomitando addosso tutto quello che pensava. Era frustrato all'idea di dover ripartire, all'idea di avermi detto che mi amava e in generale, per l'idea che qualcun altro stesse decidendo del suo futuro. «Freddie, ti ho detto che ti amo e tu cerchi di incollarmi qui con qualche scusa ridicola. Credi che mi basti? Sai cosa voglio sentirmi dire»
«Tu non resteresti qui per un mio capriccio e non resteresti qui per me, vuoi solo sentirti supplicare per poi provare il gusto di dirmi di no, come hai già fatto in passato»
«Fallo»
«Cosa?»
«Supplicami di restare»
«Non lo farò mai»
«Ti sei arrampicato fino ad ora sugli specchi per inventarti una scusa che stesse in piedi, ma non vuoi supplicarmi. Quale delle due è più imbarazzante?»

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Capitolo 12
*** Let us cling together ***



Roger



Erano le sei del mattino e io mi trovavo alle porte della caffetteria, come un disperato che attende che il bar di fiducia apra, per sbronzarsi. Chiunque avesse visto la mia figura là fuori, avrebbe pensato che ero pazzo: escluso il fatto che indossavo gli occhiali da sole, quando la grande palla di fuoco non era ancora sorta, non c'era nessun altro in giro a quell'ora, anche vista la temperatura siderale. Mi strinsi nel cappotto: ero in anticipo.
Dominique mi faceva venir voglia di svegliarmi presto.
Finalmente eccola: dopo la chiacchierata di qualche giorno prima, ero passato a trovarla. Alle sei del mattino... ma a chi la davo a bere? Tanto valeva ammetterlo. Sì, quella cameriera mi piaceva e mi ero trovato bene al primo colpo lei, escluso il fatto che si ostinava a volermi dare del 'signor Taylor'. Imbarazzante: mi stava venendo incontro ed io ero arrivato sul suo posto di lavoro prima di lei. Mi decisi a tornare indietro, ma era già troppo tardi.
«Signor Taylor?» mi chiamò, proprio mentre mi voltavo, così fui costretto ad arrestare la mia fuga «Apriamo adesso, se ha un attimo di pazienza»
«Ah, grazie, sei davvero un tesoro» sei davvero un tesoro? Ma ero Freddie o Roger? Cercai di focalizzarmi su me stesso, il senso di colpa non era utile in quelle situazioni, e comunque era stata una mia scelta quella di lasciare Freddie alle attenzioni di David, quell'ultima settimana. «Fammi una cortesia, magari, non darmi del lei, non sono così vecchio!»
«Non lo metto in dubbio» ridacchiò Dominique. Entrati nel locale mi tolsi gli occhiali da sole con un gesto abbastanza raffinato che solitamente aveva un certo effetto sulle ragazze. Peccato che Dominique fosse voltata di spalle. Sembrava quel classico tipo di ragazza che non crede che uno come me possa filarsela e quindi evitava di ridicolizzarsi facendomi gli occhi dolci o strane e poche velate proposte.
«Lo so che dovremmo fare un passo alla volta, e che mi hai appena concesso di darti del tu» ha esordito, voltandosi a fatica verso di me mentre preparava il caffè «ma mi chiedevo se magari non mi faresti un autografo per mio fratello»
«Eh, sì, lo so, lo so che dovremmo fare un passo alla volta, e che ti ho appena concesso di darmi del tu, quindi pensavo che se vuoi un autografo per tuo fratello in cambio dovresti darmi qualcosa, ad esempio, dirmi che cosa fai stasera» il mio stile di approccio diventava più squallido ad ogni giro, ed era solo colpa di Freddie «sto scherzando» ho aggiunto con tono riparatorio
«Anche volendo fino alle dieci sono incollata qui, je suis desolée»
«Se vuoi ti autografo anche i tovagliolini» ridacchiai, dopo aver fatto uno scarabocchio sul primo
«Quanto vi esaltate» fece uno sguardo vacuo, poi mi ringraziò. Bevvi il suo primo caffè della giornata, cosa che mi rendeva immensamente felice, mi alzai e mi avviai alla porta del locale.
«Allora passo a prenderti quando finisci il turno, pensavo che verso quell'ora possiamo andare al cinema senza problemi» affermai e lei mi guardò pensosa. Non attesi risposta: di solito non lo facevo mai. «Allora a dopo, buon lavoro».

Out



David era immerso in uno dei suoi momenti di silenzio.
Si sfiorava il labbro inferiore con la punta del pollice della mano in cui teneva la sigaretta.
«Ti ho fatto male?» chiese a Freddie, con gli occhi fissi sui suoi fianchi
«Male?» ripeté meccanicamente l'altro, alzando gli occhi dalle proprie ginocchia, su cui era adagiato un lenzuolo, che copriva le sue nudità
«Oggi. Stanotte. Ho avuto la sensazione di averti fatto male»
Non era sul corpo che l'aveva ferito, aveva diviso il suo cuore a metà, ma fisicamente non si sarebbe potuto sentire meglio; la conclusione che il suo cervello aveva elaborato era che David non sarebbe dovuto partire. Mai più.
Guardarono fuori dalla finestra, nello stesso momento.
Una ragazza solitaria stava passeggiando sul marciapiede, una sigaretta in mano, la borsetta sulla spalla. Si sarebbe volentieri innamorato di una donna, David: l'avrebbe aspettato arrivare dal lavoro, gli sarebbe stata fedele. Non capiva perché si ostinava a correre dietro a Freddie, quella primadonna... non l'avrebbe fatto per nessun altro, eppure...
La ragione arrivò chiara in equivocabile: era colpa sua, solo e soltanto colpa sua. Perché la natura l'aveva partorito così bello? Per qualche motivo le persone erano così superficiali da guardare prima il suo viso, mirando soltanto a essere appagati visivamente.
Non si sarebbe mai liberato di quel maledetto peso, Freddie però, l'uomo che gli sedeva accanto, con le gambe penzolanti dal bordo del letto, aveva visto meglio degli altri. Risolto il mistero: David, colui che si considerava perfetto nella sua solitudine, non riusciva a fare a meno di una persona come un'altra.
Il biondino spinse con violenza la sigaretta, appena a metà, nel portacenere.

When I'm gone,
no need to wonder if I ever think of you

Freddie e David avevano un tacito accordo: non si sarebbero mai dimenticato l'uno dell'altro.
L'avesse separati il mare, l'oceano o addirittura la morte.

The same moon shines,
the same wind blows
for both of us
and time is but a paper moon...

A Freddie sarebbe bastato alzare lo sguardo, pensare che il mondo, le stelle, la luna, appartenevano a loro.

Be not gone
though I'm gone.
It's just as though I hold the flower that touches you
a new life grows,
the blossom knows:
there's no one else could warm my heart
as much as you...
Be not gone,
let us cling together as the years go by

David spinse Freddie contro il materasso caldo, fece passare una mano dietro la sua schiena, nascose gli occhi nell'incavo del suo collo. I muscoli erano tesi, talmente rigidi che con una qualunque botta si sarebbero disintegrati. L'altra mano dell'uomo color marmo si insediò nei capelli scuri e folti di Freddie.
«Non voglio andarmene da questa stanza Freddie, non voglio» sussurrò David, che sembrava aver dimenticato l'autocontrollo nella tasca dei jeans, che erano accartocciati per terra, nel centro della stanza.
Freddie quasi non riusciva a sostenere il peso del suo amante, ma quello che lo preoccupava maggiormente era riuscire a reggere la situazione, sentiva gli occhi che solleticavano, pronti ad alleggerirsi delle lacrime.
Inaspettatamente, David gli inumidì il collo con lacrime, Freddie pensò che gli avrebbero corroso la pelle, talmente erano piene di rabbia.

Oh my love, my love!
In the quiet of the night
let our candle always burn.

Il silenzio attorno a loro era terribilmente rumoroso, si era fatto spazio nelle loro menti, riempiendole.
La luce dell'abat-jour scintillava timida nel buio, evidenziando il viso bagnato dei due amanti, che avevano trovato il coraggio di guardarsi negli occhi. Per quanto possa sembrare stupido Freddie capì che anche David era in grado di piangere, che tutto sommato era un uomo come tutti gli altri, era ancora più consapevole che c'erano troppe possibilità di non vederlo più varcare la porta di quella camera, inzuppato di eccitazione dalla testa ai piedi.
Freddie non avrebbe mai dimenticato il modo insolente e allo stesso tempo rassicurante di David, che in ogni situazione riusciva a ricevere amore, sesso, amicizia.
«Non voglio partire» sussurrò David «Non voglio con tutto me stesso»
Le parole vagarono nell'aria, senza dissolversi, appesantendo ancora di più l'atmosfera.

Let us never loose the lessons we have learned.

Si strinsero ancora una volta, stavolta fu Freddie a tirare David a sé, con quella forza che gli aveva sempre tenuto nascosta.
-Basterebbe poco per farmi restare- pensò la statua di marmo, che era piegata in modo innaturale sul corpo di Freddie, caldo e confortante.
Si misero uno accanto all'altro, continuavano ad accarezzarsi, come se il contatto fisico potesse alleviare il dolore, quello che li stava mangiando dentro.
«Dormiamo un po', ora» propose Freddie, percorrendo il profilo di David con l'indice «domani andrà meglio»
«Non credo» sentenziò David, girandosi dall'altra parte.
Freddie prese la sua mano. David se la strinse al petto, i battiti del suo cuore risuonavano sordi nella stanza, -chissà quando si fermerà. Dove, soprattutto, se nel mio letto o nella terra fredda di un paese lontano e arrabbiato-
Ormai tutto quello che avevano fatto era diventato di entrambi, della loro intimità.
Il tempo non avrebbe mai cancellato quei ricordi che cucivano i loro cuori.

Ma quel sentimento non lo legava solo a David­.

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Capitolo 13
*** The rest may not be sung ***



Warning: Questo capitolo è di un arancione tendente al rosso di sera bel tempo si spera e comunque potrebbe sconvolgere i lettori, seppur non entri in dettagli che la stessa Cath e il suo Roger preferirebbero non conoscere. Per tale ovvia ragione abbiamo deciso che sarebbe stato breve e indoloroso.

David



«Ops. Temo di aver rovinato qualcosa» mi appoggiai con le braccia incrociate al muro, con una sigaretta incastrata fra le labbra.
Roger e Freddie avevano smesso all'improvviso di mugolare, di ansimare.
Mi guardavano, completamente bianchi.
«Veramente ti stavamo aspettando, bambolina gonfiabile... ma con tutto quello che ti ci vuole per prepararti abbiamo deciso di ingannare il tempo in qualche piacevole modo nell'attesa del tuo arrivo» cercò di riprendersi Freddie, sedendosi a gambe incrociate sul letto; i corpi nudi erano nella penombra.
«Parla la primadonna. Beh, che aspettate? Vestitevi.» comandai
«Casomai svestiti tu» Freddie sapeva sempre come stuzzicarmi. Roger era a gambe aperte con un'aria da duro che non gli si addiceva proprio.
Li avrei avuti entrambi in un letto. Mica male, no?
Mi buttai sgraziatamente sulla poltrona parallela al letto, con una gamba adagiata sul bracciolo, l'altra stesa sul tavolino basso antistante
«Se il picchiatamburi non ti soddisfa non è affar mio»
«Smettila di atteggiarti come una pornostar» mi rimbeccò Freddie, dopo aver guardato Roger tocchicciarsi qualcosa in mezzo alle gambe. Il biondino non aveva ancora parlato quella sera, e pareva avesse trovato un valido avvocato.
«Non ho bisogno di atteggiarmi, quello che è in perenne ricerca di attenzioni»
Colto nel punto vivo, il biondino, gli lanciò un'occhiataccia ben visibile anche nel buio.
«Ti divertirai, Blondie» aggiunsi io, spegnendo la sigaretta dentro al posacenere poggiato vicino al letto
«La pornostar abbandona la barca!» esclamò Freddie con aria seriamente terrorizzata
«Speriamo che sappia nuotare» scherzarono entrambi
«Chi vi ha detto che me ne sto andando?»
«Non resisteresti neanche un minuto, a fare lo spettatore» mi stuzzicò Freddie, lo guardai con gli occhi ridotti a due fessure.
Avevano capito male.
Mi tolsi la maglietta per mettere le cose in chiaro; la tirai dritta dritta sulla faccia di Roger
«Stronzo» mugugnò lui fra i denti
«Al massimo posso aiutarvi a fare qualcosa di decente» sorrisi, mettendo una mano sulla nuca di Freddie
«Sentiamo...» Roger sembrava poco felice della mia intrusione, della mia confidenza con Freddie
«Non posso spiegartelo, posso mostrartelo» e lì chiusi il discorso, perché dopo una breve occhiata al batterista, posai le mie labbra su quelle di Freddie.
«Beh, aiutatemi e togliermi questi inutili pezzi di stoffa» li invitai, allargando le braccia, si avvinghiarono sulla mia cintura.
Era divertente come entrambi fossero attratti fisicamente da me.
Mi lasciai sfuggire un sospiro, mentre piegavo la testa all'indietro, sentendo le mani di entrambi che strappavano via i jeans, ansiosi di venire a contatto con cosa celavano.
Una mano risalì abilmente fra tutte le colline scolpite sul mio petto, sul mio addome, arrivata al collo mi tirò giù bruscamente, congiungendomi con le labbra di Roger.

Ci divertimmo, quella notte.

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Capitolo 14
*** On the other side ***



David



Dicevano di amarsi. Sentivo chiaramente le loro parole.
Eppure speravo che la porta in legno massello, liscio e freddo, potesse isolarmi da quella fottuta cappa d'affetto.
Cercai di farmi scivolare tutto addosso, non ci riuscii.
Mi sembrava di vederli uno accanto all'altro, avevo lo sguardo fisso nello specchio del bagno adiacente alla camera, non riuscivo a togliermi quella scena dalla testa.
Sicuramente era così che passavano i pomeriggi, prima del mio arrivo: placidi pomeriggi a far nulla, con in bocca il sapore intenso dell'orgasmo.
Un misto di gelosia e di rabbia mi intasò la gola, portai l'inalatore alla bocca e feci un lungo tiro.
Rientrai in camera, si irrigidirono improvvisamente, come due adolescenti sorpresi a pomiciare dai genitori.
Aprii la finestra, fui costretto a voltarmi bruscamente, la luce del sole era troppo forte, i miei occhio troppo deboli.
«Io penso che dovremmo dimenticarci dell'accaduto» Roger godeva e poi se ne pentiva, mentre mi grattavo gli occhi lacrimanti per la forza esagerata del sole
«Va bene, chiappette d'oro» risi. La mia mano si abbatté sulla sua natica con una forza discreta, direttamente proporzionale allo schiocco secco che si diffuse nell'aria.
Ciaf.
Il biondino era allibito, Freddie si lasciò trascinare in una fragorosa risata, lo raggiunsi, stendendomi sul letto con lui, stringendolo fra le braccia.
«Fottuti bastardi» Roger sputò le parole, come fossero benzina
«Fottuti sicuro» Freddie rise ancora più forte
«Sicuramente tu, dei fottuti, porti la bandiera» aggiunsi io, sorridendo.
Freddie e io rimanemmo soli.
Roger aveva abbandonato la stanza, dopo essersi congedato con eleganza, quasi con fare aristocratico.
La porta d'ingresso, al piano di sotto, si chiuse, dopo essersi aperta bruscamente.
Portai il corpo di Freddie, decisamente più scuro e villoso del mio, su cui l'avevo appoggiato.
«Non abbiamo neanche bisogno di svestirci, ora» azzardai io, portandogli dietro l'orecchio un ciuffo di capelli scuri
«No, infatti» un sorriso malizioso affiorò sulle sue labbra «Vuoi essere castigato, di nuovo?»
«Al massimo quello castigato sei tu, caro mio» quella frase sarebbe stata migliore se uscita dalle sue labbra, e invece uscì dalle mie.
C'era qualcos'altro che stava fantasticamente bene nella sua cavità orale, io non avrei tardato a servirglielo. Sorrisi, mentre il lenzuolo, ormai l'ultima barriera fra i nostri corpi, scivolava sempre più velocemente verso le nostre caviglie.
«Ami tanto Roger... Eppure ci sono io, qui»
«Sta' zitto, questi commenti non me li merito»
«Li meriti eccome»
«Zitto e scopami» mi intimò ridendo Freddie.
Non tardai a eseguire i suoi ordini.


Roger



Uscii.
Quell'atmosfera era davvero troppo per me, non potevo sopportare di vedere altri uomini intorno a Freddie, e farmi corteggiare da David non era più poi così divertente.
Avevo provato un brivido nel credere di essere oggetto delle attenzioni di qualcuno che amava chi amavo io, ma non lo ero mai stato e probabilmente non ci avevo neanche mai creduto. Avevo solo voluto che io e Freddie lo credessimo, per autocompiacermi e per dispiacere lui.
Qualcosa in me non andava. Qualcosa in me chiedeva pace.
Non sono stato fatto per piegarmi a tanto, per inseguire una preda come Freddie.
Avevo ottenuto il mio premio, ed ero stato costretto a dividerlo con qualcun'altro.
Era una sconfitta allora? Era forse un modo per dire 'Roger forse è meglio che tu vada'? O ero semplicemente io, che avevo bisogno di altri spazi, di altri orizzonti? I miei sentimenti erano cambiati? Avrei dovuto concentrarmi su Dominique? Perché stavo pensando a Dominique?

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Capitolo 15
*** Don't say goodbye ***



David



Il fatidico giorno arrivò.
Da quando era arrivata la lettera, il tempo era scivolato inesorabilmente dalle mani di Freddie, di Roger e dalle mie.
Ci passò a prendere Phoebe, con cui ormai avevo stretto amicizia, e ovviamente il cantante venne con me.
Avevamo passato la notte assieme, parlando, abbracciati l'un con l'altro. Per il sesso c'erano state tante di quelle nottate... Ognuna indimenticabile.
Mi sarebbe mancato, non avevo dubbi.
Da quando Roger aveva cominciato a uscire con quella cameriera ero molto più tranquillo, non ci sarebbero state più litigate catastrofiche.
Freddie non sapeva nulla riguardo a lei, ma io avevo capito tutto, eccome, lasciando ancora una volta Roger ad arrovellarsi il cervello su come io avessi fatto.
Preso da tutti questi pensieri, mentre salivo in macchina, sorrisi.
Cominciai a preparare la sacca proprio quella mattina, con Freddie che mi guardava dal lato destro del letto matrimoniale, il suo sguardo brillava di tristezza, ma scorgevo una puntina di curiosità:
«Sto prendendo lo stretto necessario» spiegai
«Evidentemente io non ne faccio parte, oppure saresti rimasto» asserì lui, con il suo broncio da superstar. Non aveva idea di quanto si stesse sbagliando. Risalii lentamente sul letto, sovrastandolo con il mio corpo, fino a sfiorare le mie labbra con le sue.
«Lo so, non avrei dovuto tirarti dentro, sono stato un gran egoista... ma lo sai... no?»
«Non ti preoccupare» rise amaramente «non ti costringerò a ripetermi che mi ami»
Lo baciai dolcemente.
«Tornerò» sentenziai poi, con aria solenne, con la mano sul cuore, fra le risate.
Non ne ero sicuro, ma stavolta avevo mentito a fin di bene, no?

Freddie



Il suo sorriso ravvivò l'atmosfera buia e spenta che c'era in macchina: sedevo sui sedili posteriori con David, stavo sprecando i nostri ultimi attimi assieme, ma non ce la facevo a dire qualcosa di sensato.
Si girò verso di me e mi passò un braccio attorno alle spalle.
Lo guardai e abbozzai un sorriso: il suo trasudava perfezione, lo studiai, per l'ennesima volta, in tutti i suoi particolari.
Alzò le sopracciglia e sorrise.
Le fossette sulle guance.
Lo baciai all'improvviso, si lasciò sfuggire un sorriso, sorpreso dalla mia interessante reazione.

La figura imponente dell'aeroporto di stagliava nel cielo come il Castello dell'Innominato sul paesaggio circostante, nei Promessi Sposi.
Ogni secondo che passava, ne perdevo uno con David: nulla che potesse sconsolarmi di più. Ci fermammo all'entrata, scendemmo entrambi alla macchina.
«Dammi l'ultimo bacio qui, oppure faremo scandalo» suggerì lui, senza saper resistere all'impeto di premere le labbra contro il mio collo. Le staccò con un sonoro schiocco.
Lo baciai delicatamente, cercando di assaporare per l'ultima volta, il delizioso gusto della sua lingua, che mi aveva tenuto compagnia più a lungo di quanto mai avessi sperato.
Mi guardò negli occhi, appena si sentì chiamare si girò meccanicamente:
«Generale!» mi salutò un tizio con una tuta mimetica, avvicinandosi «Salve, è ora di andare...» Nel suo sorriso scintillò qualcosa di diabolico, che non riuscivo a capire, ma il tono della sua voce era inequivocabile: falso perbenismo.
«Generale Finnegan, quale piacere essere distratto da lei» rispose David, con un tono di superiorità talmente elegante che lo faceva sembrare addirittura educato.
«Non me lo presenta, il suo amico?»
«Il mio amico non frequenta persone di seconda mano» vidi il suo viso avere una contrazione quasi impercettibile, ma che io avvertii distintamente: era rabbia.
Dopo un sorriso di chi la sa troppo lunga, il suo avversario si allontanò.
«Devo davvero andare» annunciò David, morendosi le labbra.
«Abbi cura di te, Dave, magari cerca di farti sentire, in un qualche modo»
Ci credevo poco, non sarebbe riuscito nemmeno a respirare.

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Capitolo 16
*** One fight position ***



David


Appena passati tutti i controlli della sicurezza arrivai nella saletta d'attesa: tutti i miei colleghi chiacchieravano allegramente, come se andassimo a cogliere i fiori su una collinetta. Un tempo, forse, anche io ero dei loro, ma adesso avevo solo voglia di riposarmi un pochino, di concedermi per un attimo ai ricordi.
Li salutai con un "Salve" più composto possibile, loro mi accolsero quasi emozionati (ormai, nel panorama militare, godevo di una certa fama, spero mi intendiate).
Qualcuno, alle nostre spalle urlò:
«Hey, checca!»
Non sentendosi chiamato in causa, nessuno di noi si girò, e continuammo a parlare indisturbati.
«Generale Bowie, dico proprio a lei. Il Mr. Bowie di prima mano» mi prese in giro il Generale Finnegan.
All'improvviso collegai tutto: aveva visto me e Freddie salutarci, baciarci... Il mio cervello subì una scossa di rabbia, mi scosse tutto il corpo, tremai fino alla punta delle mani.
«Lo vedete quello con cui state parlando? È uno sporco invertito. Come li chiamate voi, quelli che si truccano e si fottono a vicenda?» chiese lui, cercando di coinvolgere gli altri, che guardavano prima lui e poi me, attoniti.
Sorrisi, ignorandolo con una certa naturalezza, e mi girai verso gli altri:
«Dicevamo?»
-Tanto più prima che poi ti ammazzo, figlio di puttana- pensai, schioccando meccanicamente le dita, una a una.
Il mio avversario non demordeva. I nervi saltarono, gli andai talmente vicino da sentirlo emanare calore. Era consapevole: sapeva contro chi si era messo.
«Ringrazia Dio che qui sia troppo affollato» gli suggerii, a denti stretti.
Non rispose, ma cominciò a camminare verso il bagno. Voleva indubbiamente che lo seguissi, e, nonostante non volessi abbassarmi al suo livello, glielo concessi.
Gli avrei cambiato i connotati una volta per tutte.
«Allora, qui non c'è nessuno» proclamò lui, allargando le braccia, con tono da spaccone
Mi avvicinai lentamente, cercava di mantenere la sua espressione da stronzo salda, ma la sua spavalderia scemava, a ogni mio passo.
Codardo.
Lo spinsi verso l'angolo, guardandolo negli occhi. A un certo punto si fermò e mi diede una spinta.
«Non mi incastri, frocio» di tutta risposta gli tirai un pugno sulla mascella, talmente forte da farlo cadere a terra.
Entrambi non ci muovemmo per cinque secondi, per quanto potesse essere una merda, non l'avrei sicuramente colpito mentre era a terra.
Si alzò e lo colpii di nuovo, ma questa volta non lo lasciai cadere, lo presi per le spalle e lo sbattei al muro.
Gli chiusi la mano attorno al collo, lo guardai negli occhi.
Non si lasciò sopraffare, mi infilò le unghie nel collo e con tutta la forza possibile tirò via la pelle.
Mi rifilò una ginocchiata proprio fra le gambe, mi piegai istintivamente, poggiando una mano sul muro.
Sgattaiolò dalle mie grinfie, all'improvviso il dolore si focalizzò sulla schiena, dove mi aveva tirato un pugno, mi girò verso di sé e mi colpì proprio sul petto.
Mi mancò il respiro.
Un secondo.
Due secondi.
Tre secondi.
Mi bastarono per atterrarlo e fargli sputare sangue, a ogni pugno il viso gli diventava sempre più tumefatto e sanguinante, a un certo punto pensai che non stesse neanche più respirando.
Mi fermai e mi appoggiai alla parete, lo guardai: il petto continuava ad alzarsi e ad abbassarsi, era vivo, buon per lui.
Pochi secondi prima di perdere completamente conoscenza prese la pistola e me la puntò contro, prima che potessi sbattere le palpebre un odore pungente di polvere da sparo si diffuse, impregnò le quattro mura che avevamo usato come ring.
Caddi a terra, sulla schiena:
-Furbo Bowie, ti sei fatto sparare da un tizio quasi morto- ironizzò la mia mente.
Inspirai profondamente, prima di cadere nell'inquieto buio, l'odore di bruciato mi trapanò le narici, per poi accompagnarmi in uno strano torpore.

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Capitolo 17
*** All Dead, All Dead! ***



Freddie



Ritornando a casa ripassammo davanti a quella di David.
Non ce l'avevo fatta a convincerlo, nonostante avessi usato tutto ciò che mi sembrava più ammaliante: quella per me era una sconfitta.
Varcai la soglia della mia villetta, improvvisamente mi sentii solo: la presenza di David, che mi aveva allietato per un periodo decisamente troppo breve, mancava e si sentiva.
Venni raggiunto dal maggiordomo:
«Mi scusi se la disturbo, ma la vogliono al telefono, sono...»
«Chiunque sia, fatti lasciare un messaggio»
Non avevo voglia di chiacchierare allegramente con un produttore discografico o con chiunque altro, avevo bisogno di farmi una ragione del perché colui che affermava ardentemente di amarmi, mi avesse abbandonato. Se tutti si fossero comportati così, avere miliardi di fan non mi sarebbe servito a nulla.
L'uomo tornò con un foglietto fra le mani.
«Era l'ospedale, dicono che qualcuno ha dato il suo nome...» mi passò il pezzettino di carta su cui era scritto il numero di una stanza.
Pensai subito a Roger.
Se fosse rimasto coinvolto in qualche incidente automobilistico?
A causa del suo amore per le macchine e per le corse, aveva il piede piuttosto pesante, sull'acceleratore. Presi il telefono e quasi spasmodicamente composi il numero del biondino, che mi ero preso la briga di imparare a memoria. A ogni squillo corrispondeva un mio sospiro affannato.
«Sì?» rispose altezzoso il batterista
«Roger!» urlai, quasi euforico «Dio, quanto ero preoccupato!»
«Preoccupati ancor di più ora, mi hai fatto diventare sordo...» si lamentò
«Ad ogni modo» ridacchiai nervoso, ricomponendomi «Devo andare in ospedale, credo»
«Ti si è spezzata un'unghia?» mi prese in giro lui, scoppiando in una fragorosa risata. Mi faceva stare bene sentirlo vivo.
«No, Roger» cercai di zittirlo io, con il tono più serio di cui disponevo «Mi hanno chiamato, dicendo che qualcuno ha chiesto di vedermi, urgentemente.»
Mi consultai con Phoebe, per il semplice motivo che non avevo idea di cosa fare, alcuni fanatici dei Queen avrebbero fatto di tutto pur di vedermi, non volevo subire un assalto o qualcosa del genere.

Roger



Freddie era ridotto ad uno straccio. Avevo dovuto cancellare il mio appuntamento con Dominique per andare da lui, come era comprensibile. Avrebbe sempre avuto la precedenza. Mi ero ripromesso che al più presto gli avrei detto di noi, ma ancora non riuscivo a trovare il coraggio di massacrarlo, non dopo che già ci aveva pensato David. Sono bravissimo a distruggere un amante da solo, sebbene questo non rientrasse nelle mie intenzioni, non con Freddie.
«Grazie per essere venuto» mi abbracciò forte non appena entrai in casa. Non ebbe bisogno di alcuna risposta «ti dispiace se andiamo su? Ho bisogno di stendermi un po'...»
«D'accordo, solo... credevo tu dovessi andare all'ospedale...» tentai
«Ho mandato Phoebe a vedere di che si tratta, se è importante mi chiamerà» feci spallucce e lo seguii fino in camera. Mi sedetti sul letto, mentre lui esprimeva tutto il suo nervosismo in una camminata avanti e indietro di fronte a me. Meno male che doveva distendersi.
«Sapevo che ti avrebbe distrutto, ma non credevo che avrei dovuto ricostruirti dalle fondamenta» ironizzai, cercando di tirarlo su con una battuta di spirito.
«Se mi amava perché mi ha abbandonato qui?» mi domandò, diretto, gettandosi allora sul letto. «Tu non lo faresti mai!»
Accarezzai la sua testa, stretta contro le mie gambe, e cercai di essere quanto più dolce possibile.
«Tu gli hai detto cosa voleva sentirsi dire?» tirai fuori tutta la mia diplomazia, sapendo che mi avrebbe causato solo sofferenza sapere questo lato, quello sentimentale, del loro rapporto.
«Anche se l'avessi fatto, non sarebbe rimasto...»
«Così il rimorso ti divorerà, Freddie»
«Perché non sei arrivato un po' prima a darmi i tuoi consigli da amicone?» iniziava a darmi addosso come se fosse stata colpa mia. Già non lo tolleravo, e si prospettava una cosa molto lunga, invece.
«Perché questa doveva essere la tua settimana con David e non mi pare di aver ricevuto qualche invito. E, tanto per essere chiari, non mi avresti dato retta comunque.»
«Non dovresti essere qui per consolarmi?» sbuffò, poi si tirò su, mettendosi a gambe incrociate «Oh, scusa, mi dispiace, non dovrei prendermela con te se sono un idiota completo»
«Non importa, finché te lo dici da solo a me sta bene» gli feci l'occhiolino
«Tu, non mi abbandonerai, vero?»
«E come potrei?» era il mio cuore, era ogni singolo giorno speso bene o male della mia vita, era la parte più importante di ogni cosa esistente in questo mondo e forse, senza di lui, niente avrebbe mai girato nel verso giusto.
«Ti amo» mi disse, accarezzando la mia guancia.
«Lo so, Freddie»
«E tu?»
«Anch'io ti amo»
«Non lasciarmi»
«Non lo farò mai, anche se saremo felici in un altro modo, entrambi, io sarò sempre al tuo fianco, anche se la tua scelta sarà David, in assenza o in presenza di lui, io sarò sempre una parte del tuo cuore come tu la sarai del mio. È una promessa.»
«Che intendi?»
«Signore, al telefono! È Phoebe, pare che sia urgente!» il maggiordomo bussò alla porta con insistenza. Freddie mi guardò e contemporaneamente scattammo verso l'uscita. Passò un momento interminabile in cui la voce di Peter mi parve solo un borbottio indistinto, d'improvviso Freddie attaccò la cornetta, con le lacrime agli occhi.
«David»
Fu l'unica parola che ebbe per me.

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Capitolo 18
*** Knocking on Heaven's Door ***



Freddie


«Freddie...?»
Una voce sempre più lontana mi trascinava via dal Paese del Balocchi.
«Freddie, è ora di prepararsi» mi annunciò Peter, con voce dolce, quasi materna.
Non sarei mai riuscito a ringraziarlo abbastanza, per tutto quello che faceva per me, il nostro era qualcosa che andava al di fuori del rapporto lavorativo.
Gli volevo bene come un fratello.
«Va bene, sono sveglio, dear
Mi alzai il più velocemente possibile, speravo di poter vedere David sveglio, quel giorno. Roger mi stava aspettando.
Salii in macchina appena mezzora dopo essermi svegliato: un vero e proprio record personale.
«Come stava, ieri?» domandò il biondo.
«Bene.»
«Dovresti essere felice, allora» mise a posto lo specchietto.
«La verità è che non so come sta...» con lui potevo essere sincero «Per me poteva anche essere in coma, ieri, di medicina non ne capisco nulla. Ti prego, accompagnami dentro.» Mi guardò, poi mi sorrise.
«Secondo me, David è a prova di bomba, vedrai che in una settimana al massimo, sarà a saltellarti in giro per casa a prenderti in giro.»
Sorrisi e scesi dalla macchina. Mi accompagnò fino alla porta della stanza, poi mi mise una mano sulla spalla:
«Per ora ti aspetto qui».
«David» sussurrai a mezza voce, incerto.
Prima di girare l'angolo del piccolo corridoio e incontrarlo, mi soffermai, aspettando una risposta.
Silenzio.
Ripresi a camminare e lui era lì, ad aspettarmi nel suo silenzio indotto dai medicinali.
Mi mancava così tanto il vecchio David, quello che esplodeva di energia, e, se vogliamo essere onesti, anche di bastardaggine. Chissà se quell'esperienza l'avrebbe cambiato, magari avrebbe ragionato sulle difficoltà che gli avrebbe comportato lo stare assieme a me.
Stare assieme a me...
Già, il mio inconscio aveva capito fin dall'inizio: ero sempre stato innamorato di David, poi arrivò Roger, avevo ricoperto di amore lui, dimenticandomi il resto. Mi ero lasciato desiderare, avevo sprecato tempo, fino a quel giorno, aveva detto chiaramente di amarmi e io ero corso da Roger, ancora una volta, sbagliando ancora una volta. Mi lasciai sfuggire un sospiro.
Se non avessi dato ascolto a quella assurda idea di farmi desiderare, di non lasciare cadere la corona dalla mia testa, abbassandomi, non sarebbe mai andato in quel maledetto aeroporto, non avrebbe mai tirato quel maledetto pugno a quel maledetto tizio e non gli avrebbero dovuto togliere un maledetto pezzo di piombo dalla spalla.
Lo osservai attentamente: aveva uno zigomo completamente viola, le labbra erano leggermente socchiuse, perché più gonfie del normale.
Abbassai leggermente il lenzuolo.
Era a torso nudo, una fasciatura sostanziosa gli copriva buona parte del petto e tutta la spalla.
Notai innumerevoli contusioni sul collo, erano rosso sangue, per non parlare di quella sul petto, era semplicemente enorme.
Era il secondo giorno che lo andavo a trovare e ancora non si svegliava.
Si sarebbe mai svegliato?
Quel pensiero mi sfiorò la mente per un secondo, che fu sufficiente ad autodistruggermi, una volta per tutte.
Mi poggiai nevroticamente una mano sulla fronte, poi sulle labbra, torturando il labbro inferiore. La mia vita sarebbe andata a scatafascio senza il motivo per cui mi ero alzato alla mattina in quei giorni.
Come non avrei potuto sentirmi responsabile di quanto accaduto? Avevo fatto pressione su Dave affinché si lasciasse accompagnare.
Poi ci eravamo baciati. Allora ci avevano visto. Allora era nato il diverbio.
I dottori non erano sicuri che in quella condizione potesse sentire noi che risiedevamo ancora nel mondo reale. Ero convinto che potesse sentirmi, perché io e lui ci intendevamo in qualunque situazione, perché avevo bisogno che mi sentisse:
«Ti amo.»


Roger


La stanza era in una penombra spettrale. Avevo un magone sullo stomaco senza precedenti. Freddie era scappato al bagno in condizioni indescrivibili e allora mi ero convinto ad entrare e dare un'occhiata: pessima idea, ovviamente.
David era immobile nel suo lettino con mille tubi in giro e a vederlo ridotto così, mi era presa una certa nausea, infatti speravo che Freddie tornasse prima che accadesse l'irreparabile.
Aveva il viso coperto di escoriazioni e lividi, e così anche le braccia. Le croste di sangue ancora fresco staccavano sulla pelle pallida in modo da risaltare la mia sensazione di dispiacere per un corpo così bello. Grazie al cielo il resto era coperto dal lenzuolo e non potevo vederlo.
Stavo pensando troppo: forse l'odore dell'aria pregna di disinfettante non aiutava affatto, mi stava annaspando il cervello. Dovevo distogliere lo sguardo dal lettino.
«Biondina, hanno ricoverato anche te?» chiese con un tono ironico la voce roca, nient'affatto simile a quella profonda e cristallina del solito. Deglutii. «Hai una pessima cera...»
A quel punto guardarlo fu inevitabile.
«Io sono venuto in ospedale per una visita, sai, un tizio che frequentava il mio fidanzato si è fatto quasi ammazzare perché gli hanno dato della checca, cosa che poi è vera...»
«Dici così solo perché sono legato al letto, altrimenti temeresti le conseguenze del pronunciare queste parole ad alta voce...»
«Mi hai preso su un divano per molto meno!» scoppiai a ridere
«Piuttosto, la tua cameriera?»
«Le ho dato buca per correre prima da Freddie e poi da te.»
«Dovrai inventarti una bella scusa, stavolta, l'hai mollata non per un uomo, ma per due!»
«Al di fuori del sentimento che provo in questo momento per Freddie, lui resterà sempre mio amico e mia priorità assoluta. È una cosa che non posso combattere.»
«Non devi, infatti... ma gliel'hai detto?»
«Con che cuore lo facevo? Mi ha detto che mi amava e aveva l'umore sotto terra per colpa della partenza di un certo qualcuno che poi abbiamo scoperto essere finito all'ospedale per ragioni del tutto discutibili» lo derisi.
«Lo ha detto anche a me» asserì, tagliente.
Nonostante sapessi che prima o poi sarebbe successo, il dolore fu ugualmente indescrivibile. Preferii comunque che l'avesse detto a lui che a qualcun altro. Era troppo confuso per non dirglielo: amava o non amava entrambi?
«Lo immaginavo...» accarezzai una ciocca di capelli di David «questo ti ha fatto sentire almeno un po' meglio?» gli sorrisi e lui non rispose. Sarebbe stata una resa troppo grande di fronte a me, ammettere che era stato felice, ad alta voce. Le fossette si delinearono con più precisione sulle sue guance, nel tentativo di nascondere un sorriso.
Gli diedi un bacio sulla fronte e lui lo posò sul mio collo.
«Devi darmi tempo, quando capirà che stai bene sarà più rilassato e potrò parlargli a cuore aperto...»
«Tu gli parli sempre a cuore aperto... ehi, non vorrai tirarti indietro solo perché non sono al top?»
«Figurati...» sbuffai «solo che devo trovare un modo per rendere felice sia lui che me.»

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Capitolo 19
*** Forever. ***



Roger


Avevamo appena finito di fare l'amore, la nostra ultima volta, anche se lui non lo sapeva.
Ad ogni modo Freddie lo faceva sempre, come se fosse l'ultima volta, quindi per lui non sarebbe cambiato molto. Eravamo abbracciati, stretti, come se niente avesse potuto separarci, così vicini come non lo eravamo forse mai stati, accomunati da un'amicizia che andava forse anche oltre l'amore. E quello che ci preparavamo ad affrontare era la più grande delle lontananze.
«Freddie... mi ami?» esordii.
«Certo che ti amo...» rispose.
«Mi sto vedendo con una ragazza» continuai, come se avesse un senso, forse avrei dovuto prepararlo psicologicamente con una delle frasi ad effetto tipo ‘devo dirti una cosa importante’.
Rimase in silenzio per un po': si stava bene così, mi sentivo al caldo, al sicuro, e seppur sull'orlo del baratro del nostro rapporto, pronti ad affrontare un nuovo inizio od una tremenda fine, sembravamo entrami molto rilassati.
«Tu... tu non puoi lasciarmi, tu hai promesso che non l'avresti mai fatto!» cercò di allontanarmi da sé per guardami in faccia, ma senza risultati. Se mi fossi spostato, avrei ceduto anche questa volta, sarei rimasto con lui, e se per renderci felici entrambi dovevo giocare sporco, l'avrei fatto.
«Non ho detto che ti sto lasciando, ho detto che mi vedo con una ragazza...»
«E lei è importante per te?»
«Un po'...»
«Più di me?»
«Niente è più importante di te, Freddie, né lo sarà mai: tu sei il mio migliore amico, l'amore più grande della mia vita, ed io per te sarò sempre quel Roger, non voglio cambiare le cose tra noi più di quanto non lo siano di già, ma se non lo fai tu, devo pensarci io» -richiede anche una certa dose di amor proprio- i miei pensieri rimbombavano nella mia testa, era facile dirlo agli altri, ma in quel momento io me la stavo facendo sotto.
«Non sei felice, con me» sentenziò. Una lacrima rigò la sua guancia, bagnando la mia. Le parole, dall'orecchio, arrivarono direttamente al cuore. I singhiozzi si fecero prorompenti nei petti di entrambi, l'abbraccio sempre più forte, fraterno. «Va bene, prometto che ti renderò felice, anche se il nostro rapporto cambierà, al di fuori della mia vita, tu sarai sempre il mio punto di riferimento, non riesco a pensare di perderti, per questo voglio dirti che questo non è un addio, è un per sempre»
Ecco una prima conclusione, volevamo avvertire che il prossimo capitolo sarà l’ultimo. Intanto un primo ringraziamento a tutti coloro che ci hanno letto/seguito/commentato/amato/odiato e che hanno partecipato ai nostri concorsi XD Ritardo abissale: colpa mia. Scusate! C.

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Capitolo 20
*** In the End. ***



John Deacon



Ci stavamo salutando, la session era finita.
Session, che parolone, erano quasi due settimane che Roger e Freddie si comportavano in modo strano, sembravano cadere a pezzi.
Forse era un brutto periodo, non era affar mio, comunque.
Poi lo sguardo di Freddie scattò improvvisamente alla finestra, richiamato dal rombo di una moto, impagabile e abbastanza divertente. Sembrava che avesse visto Scaramouche e Galileo Figaro che attraversavano la strada. Guardai la scena divertito, ridacchiando fra me e me con il basso in braccio.
Schioccò le dita in direzione di Roger, che rispose, seccato come non mai:
«Che cosa sono, un cane?»
«Vieni!» esclamò di nuovo il cantante, con la voce stridula e quasi frustrata.
Roger si rassegnò a lo raggiunse, senza fretta.
Assieme guardarono fuori alla vetrata che divideva la nostra cappa di fumo, accumulata in svariate ore, dall'aria pura, seppur leggermente grigia, di Londra.
Mi scambiai uno sguardo complice con Brian:
«Dici che hanno visto Dio?»
L’altro, che aveva il viso messo in ombra dai numerosi boccoli, che ricadevano in giù per via della sua posizione, era completamente piegato sulla Red Special. Mi strinsi nelle spalle e sorrisi.
Lui rispose, senza alzare la testa:
«Allunga un l'occhio per vedere cosa li interessa tanto.»

Guardavo abbastanza incuriosito la figura nera, alta e snella, che scese dalla moto in modo elegante.
Si tolse il casco.
Uno degli uomini più belli e inquietanti che io avessi mai visto, se non il più bello e inquietante. Il viso era pallido, ma perlato alla luce del sole; temevo che si sarebbe sgretolato, esponendolo alla luce. Aveva le sopracciglia arcuate, e, sotto di esse due occhi, terribilmente freddi, scolpiti nel marmo. Le labbra rosee e carnose risaltavano sul pallore della sua pelle. I denti perfetti e candidi vennero incorniciati dalle labbra, piegate in un sorriso solare, raggiante.


Brian May



Sembrava che fuori fosse uscito il Papa. Che avevano tutti da dirigersi fuori a quella velocità?
Anche John! La mia Red Special era comunque avanti a ogni cosa di questo mondo.
Quello che entrò nello studio era forse l'uomo più bello che avessi visto, e la cosa ovviamente rimase nei miei pensieri: un po' perché non mi sbilanciavo mai nel fare apprezzamenti verso gli uomini, un po' perché Freddie era geloso dei suoi amanti all'inverosimile, tanto che nell'ultimo periodo scambiare due chiacchiere con Roger era diventato impossibile. John non si era accorto di niente, non che abitualmente fosse ciarliero, ma credo fosse totalmente estraneo a ciò che gli succedeva intorno.
David, così si chiamava, aveva la carnagione straordinariamente pallida, sembrava un vampiro.
Anche gli occhi erano molto chiari ed i capelli forse ancor di più: mi chiesi se non fosse piuttosto uno scherzo di Freddie.
Normalmente non avrei detto che un uomo così era bello, in realtà: insomma, faceva più che altro paura e al di fuori del fisico mostruosamente scolpito che vantava in una tutina da moto aderente all'inverosimile, mi pareva tanta boria e pochi contenuti. Del resto, se Freddie aveva un debole per lui... ma se così fosse stato, Roger non si sarebbe mostrato così incline al sorriso, mentre era andato a salutarlo e ad accoglierlo come si fa con un vecchio amico.
Forse qualcosa era cambiato.


Freddie



-Sarà pure frutto della mia immaginazione, ma è bellissimo- pensai, poggiando una mano sul vetro.
«Vai» mi sussurrarono in coro il mio cervello e il biondino.
Finsi di non avere fretta, ma in realtà, il sangue nelle vene mi bruciava, al solo pensiero che David era a pochi metri da me.
Mi girai e sorrisi a John e Brian:
«Ho in mente una canzone, per domani» annunciai, accarezzando con la punta delle dita la sedia su cui stava il capellone, che alzò il viso dipinto di un sorriso schietto.
Lasciai i saluti a loro, schivai la figura di Jim Beach, inoltrandomi nel corridoio che portava all'uscita.
Sembrava terribilmente lungo, ma una volta aperta la porta, la figura di David mi si parò davanti, abbagliandomi con la sua bellezza.
Per un attimo ci guardammo, capì tutto quello che avevo passato per lui, capì tutto, anche quello che non avrebbe dovuto.
«Ti ho sentito» affermò poi. Gli guardai il viso: era quasi totalmente guarito, eccetto un livido sotto allo zigomo, che richiamava la mia attenzione con il suo colorito.
Viola.
«Hai bisogno di attenzione, a quanto pare» lo presi in giro, sicuro che quello che aveva più bisogno di attenzioni ero io, lui no di certo.
«Da che pulpito» alzò un sopracciglio e mi poggiò un casco in mano «Andiamo, vah.»
«Vuoi che io prenda la moto?»
«Non la devi letteralmente prendere, soltanto salirci sopra e stringerti a lui...» commentò sarcastico Roger. Gli feci una smorfietta e seguii le sue istruzioni.
David diede gas e partimmo.
Mi sentivo bene, mi sentivo diverso... nonostante tutto.
Roger ci guardò mentre ci allontanavamo: aveva la mano alzata in segno di saluto e ogni tanto la scuoteva. Stava sorridendo. Tutto sommato, sembrava davvero felice. Era sempre più lontano e più lo vedevo allontanarsi, come qualcosa non di passato, ma di eterno, più mi stringevo al mio presente.
David.

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