Inferno segreto di TheMask (/viewuser.php?uid=138953)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Eloin ***
Capitolo 2: *** Cosa si respira all'inferno? ***
Capitolo 3: *** Troppo pazzo per l'inferno ***
Capitolo 4: *** Non si può resistere all'inferno ***
Capitolo 5: *** L'inferno dentro ***
Capitolo 6: *** Sfogarsi all'inferno ***
Capitolo 7: *** Piccole vittorie dell'inferno ***
Capitolo 8: *** Inferno per due ***
Capitolo 9: *** Follia infernale ***
Capitolo 10: *** Infernalmente folle ***
Capitolo 11: *** Capisci l'inferno? ***
Capitolo 12: *** Decisioni infernali... ***
Capitolo 13: *** Amore alle porte dell'inferno ***
Capitolo 14: *** Imbarazzo ***
Capitolo 15: *** Arriva un inferno ***
Capitolo 16: *** Due inferi che si incontrano ***
Capitolo 17: *** Demoni insospettabili ***
Capitolo 18: *** Sviluppi nell'inferno ***
Capitolo 19: *** Raggi di ombra ***
Capitolo 20: *** Accordo ***
Capitolo 21: *** Fuga ***
Capitolo 22: *** Los Angeles ***
Capitolo 23: *** Raccontami di lui ***
Capitolo 24: *** L ***
Capitolo 25: *** Ricordi pt.1 ***
Capitolo 1 *** Eloin ***
Questa
storia è stata
scritta con la collaborazione morale di Gatta Blu, una delle mie
migliori
amiche.
Ero steso
sul
letto sopra le coperte, con le mani dietro la testa, e osservavo il
paesaggio
dalla finestra sbarrata della mia camera. Il sole era sorto da circa
due ore, e
un fascio di luce colpiva in pieno, come ogni mattina, il pavimento,
mettendone
in risalto la sporcizia. Il pulviscolo danzava in questa luce con
delicatezza.
Fuori si vedeva ben poco: si era al 15 piano, e pochi altri edifici
raggiungevano quell’altezza. Comunque guardavo. E vedevo un
celo terso senza
una nuvola. Nient’altro.
Sospirai,
ma
non mi mossi di più. Oggi, ci avevano avvertito, sarebbe
arrivato
qualcuno. La
mattina per precisione.
Alle 9.30 per precisione. Mancava solo mezz’ora. Sono sempre
stato molto
curioso, ed era per questo che, quella mattina, i miei pensieri
vagavano sull’argomento
“nuovo arrivato”. Come al solito, ce lo avrebbero
presentato in “Sala Grande”.
Una grande sala appunto, dove venivamo riuniti in occasioni quali un
nuovo
componente di quella che Roger chiamava la “Grande
famiglia”, l’annuncio di
morte improvvisa e inaspettata di uno di noi, o l’umiliazione
di qualche testa
calda.
Sentì
l’approssimarsi, finalmente, di una serie di passi. Erano due
uomini, che si
avvicinavano. Li sentii entrare nella prima camera del corridoio, e
uscire poco
dopo con un'altra persona. Subito dopo ne arrivarono altri due. La cosa
si
ripeté per 5 volte. Era il mio turno.
La chiave
girò nella toppa e la porta si aprì ben oliata
sui cardini. Tre uomini grandi
come un armadio a due ante entrarono.
“Perché
per
me in tre?” dissi con voce ironica, ridacchiando fra me e me.
“Sono così
pericoloso?”
Non
ricevetti
risposta, ma uno di loro mi mise in piedi di peso e mi
afferrò i polsi
bruscamente, per tirarli dietro la schiena. Tirò fuori le
manette, mentre gli
altri due si guardavano intorno.
“Beh…
accomodatevi, eh..” bofonchiai, leggermente turbato dalla
scarsa buona
educazione dei tre energumeni.
Prendendomi
per le braccia mi scortarono fuori. Percorso il corridoio entrammo
nell’ascensore a destra, quello grande, che funzionava solo
con l’apposita
chiave. L’altro era un inutile ammasso di ferraglia
utilizzato solo dai bambini
per giocare, ma che nessuno per quanto cretino avrebbe provato a usare.
Poco dopo
ecco che si arrivò alla Sala Grande. Mi fecero sedere su una
delle pericolanti
sedie di metallo scomode come un porcospino incavolato, e mi lasciarono
li, per
prelevare gli altri detenuti e portarli nello stesso luogo. Eravamo
circa 250
in quell’istituto, ma solo una cinquantina era in grado di
muoversi e di usare
il proprio cervello senza causare danni. Le sedie erano quasi tutte
piene, ne
mancavano giusto 10, e anche quelle si riempirono in fretta.
Roger
discorreva con un paio di sorveglianti a bassa voce. Mi trovavo nella
terza
fila delle 5 disposte a semicerchio nella Sala e di fianco a me si
trovavano
due ragazzi della mia età: Mello a destra, e Near a
sinistra. Fra me e Mello
c’era uno strano rapporto. Non era quello che si dice un
amico per me, ma un
paio di volte avevamo avuto modo di divertirci insieme architettando
scherza a
scapito della nostra vittima preferita: Near. Un omuncolo bianco,
arrogante e
saccente. Era forse per questo che si era leggermente allontanato da
me.
Sorrisi leggermente, e ripresi a lasciare che il corso dei miei
pensieri
girasse vuoto sui
soliti argomenti. Solo
dopo una quindicina di minuti, qualcosa accadde: Roger
liquidò velocemente i
sorveglianti e si rivolse a noi.
“Buongiorno
ragazzi.” Esordì con la sua voce illusa che gli
rispondessimo senza che dovesse
chiederlo per una volta.
“Cosa
mi
dovete rispondere?” chiese con una leggera e ben celata aria
di minaccia.
“BUONGIORNO
ROGER” rispose all’unisono la sala.
“Buongiorno
scassa-palle” si distinse Mello senza essere sentito.
Mi
ripromisi
di chiedergli se cercava qualcuno con cui litigare, quel giorno, lui
non si
ritirava mai a una richiesta di fare a botte.
“Oggi,
come
vi avevo detto, si aggiunge alla nostra Grande famiglia-
continuò Roger, muovendo energicamente le braccia,
quasi a
volerci abbracciare tutti come suoi figli -un
componente nuovo! Mi aspetto che lo accogliate con
l’educazione che vi insegno
ogni giorno. Mi auguro sinceramente- e qui guardò me- che
non abbia problemi a
integrarsi!”
Alzai gli
occhi al celo. Sembrava che avessimo due anni dalle sue parole.
“Lascio
che
sia esso stesso a presentarsi.” Concluse dunque, facendo un
piccolo gesto
all’indirizzo di un uomo e facendosi da parte.
E
finalmente,
entrò, in mezzo a due guardie.
Era una
ragazza.
Sui 17
anni
direi, si. Lungi capelli boccolosi le ricadevano sulle spalle, neri, ma
con una
qualche sfumatura bionda. I suoi occhi, anch’essi neri,
lampeggiavano per la
sala, guardandoci tutti uno a uno.
Si
levò
qualche fischio: erano poche le belle ragazze li.
Lei
reagì
fulminando tutti con lo sguardo e continuando a camminare, con un
portamento
fiero che subito ammirai.
Indomabile,
mi venne in mente.
Era
vestita
in modo semplice, senza fronzoli, solo una collanina d’oro e
una treccina, che
le ricadeva graziosamente sul viso, ricordando qualcosa di infantile.
Aveva
delle
mani dai movimenti veloci, molto automatici, e portava,
lo notai dopo poco, delle lenti a contatto
spesse.
Si
fermò al
posto di Roger, e indugiò, senza sapere bene cosa fare.
“Presentati,
prego” la invitò infine lui, incoraggiante.
“Umh…
salve.”
Cominciò con voce un po’ perplessa. Aveva una voce
forte, mi dissi subito.
“Io
mi chiamo
Eloin Edud… ho 17 anni e sono qui…
perché… beh… mi sono infiltrata nei
computer
della CIA e dell’FBI e ho usato i dati trovati
come… come mi pareva” concluse
con un certo orgoglio.
Un’haker,
quindi.
Sorrisi
leggermente,
e continuai a osservarla.
Non
passò
molto che ci scortarono nuovamente nelle camere. Erano le 10, la
colazione, che
di solito si teneva un’ora prima, quel giorno era proprio a
quell’ora. Uscii,
dunque, e, seguito come sempre a vista dalle telecamere, mi avviai alla
mensa.
Ora. Vi
chiederete perché tutto il casino di prima se potevamo
benissimo andare da
soli. Beh, fino a due mesi fa facevano così. Ma poi ci fu un
omicidio fra i
detenuti, proprio mentre si radunavano, e non si fece in tempo a
fermarli. Non
guardatemi così, io non c’entravo! Comunque sia,
dopo il fatto, ci scortarono
sempre. Una pizza…
Arrivai
alla
mensa, una grande sala con una serie di lunghi tavoli in file
orizzontali e in
fondo, un lungo bancone dove bisognava passare con un vassoio per
ricevere il
cibo. Di solito, dopo essermi seduto a un tavolo, nessuno mi disturbava
o mi si
sedeva vicino, tutti conoscevano il mio cattivo carattere, ma quel
giorno non
accadde. Infatti, Mello si lasciò pesantemente cadere alla
mia destra, e cominciò
a mangiare. Aspettai che parlasse. E infatti, dopo poco…
“BB..
ti va
di fare qualcosa al nano?”
“Mello
non lo
vedi che sto mangiando, lasciami in pace” risposi atono.
“Si
ma-
continuò lui imperterrito- mi è venuta
un’idea grandiosa, davvero!”
“Mello
vattene o giuro che fra poco ri spedisco fuori da quella fottuta
finestra.”
Mello
fece
spallucce, abituato sia al mio linguaggio colorito, sia ai miei modi
bruschi, e
si cercò un altro posto. Ma il danno era fatto. La nuova
arrivata, infatti, si
era avvicinata. Se nessuno mi avesse disturbato avrebbe capito che non
lo
doveva fare anche lei probabilmente, ma grazie a Mello…
Si
sedette
davanti a me, e senza rivolgermi parola, sistemò il vassoio
e incominciò a
sfamarsi.
Non la
guardai, ma lei guardava me, lanciandomi qualche occhiata di sfuggita,
per
capire chi fossi.
“Ciao.
Come
ti chiami?” disse poi, con un tono gentile.
Non
risposi,
ma alzai lo sguardo per un momento. Di solito bastava. Di solito non
appena le
mie iridi venivano viste negli occhi degli altri arrivava il ribrezzo,
la
paura, e ciò bastava a tenermeli lontani.
Lei,
invece,
tranquillissima mi chiese: “che hai, sei muto? Ti ho chiesto
come ti chiami!”
Alzai un
sopracciglio. “E perché dovrei dirlo a
te?”
“Perché
te
l’ho chiesto, e perché se no ti
chiamerò tenerone davanti a tutti!”
“Che
te ne
frega di come mi chiamo?”
“E
a te che
te ne frega di sapere che me ne frega di come ti chiami?”
rispose prontamente
lei, seguendo la stessa logica.
“Senti:
non
mi rompere i coglioni, chiaro?”
“Oh,
no
grazie! Ma non mi hai ancora risposto!”
La
guardai
molto male.
“Lasciami in pace”
“Si,
dopo.
Ora rispondimi.”
Ostinata
e
cocciuta ragazza!
“Allora?”
Non
risposi
fino a che ne ebbi la forza, giuro. Ma dovetti cedere.
“Beyond
Birthday” esalai quasi fosse il mio ultimo respiro.
“Eloin
Edud”
rispose lei allegramente porgendomi la mano.
Era
cominciata.
A nulla
era
servito il mio caratteraccio, a nulla il mio ostentare voglia di stare
da solo.
Infine,
era
cominciata.
La mia
prima
amicizia era cominciata.
Mi
presi la
testa fra le mani e mi chiesi perché.
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Capitolo 2 *** Cosa si respira all'inferno? ***
Ecco
il secondo chappy di questa ff!
Lasciatemi
un segno, anche di disprezzo, che attesti il fatto che ci siate passati
si vi va! :)
Mina
Mi
alzai dal
tavolo e buttai gli avanzi e le cartacce nel cestino, per poi mettere
il
vassoio sopra gli altri sporchi. La ragazza, dopo avermi estorto il
nome, aveva
mantenuto ciò che detto, e era stata sulle sue per il resto
del pranzo. E io
l’aveva molto apprezzato devo dire. Salii le scale marmoree,
e arrivai al mio
piano. Solo allora mi accorsi che mi aveva seguito.
“Dovete
avere
tutti delle gambe e dei polmoni assurdi qua dentro!- esclamò
ansimando- ma non
c’è un cappio di ascensore?!”
“Un
che?”
“Un
ascensore!”
“No,
ma com’è
che l’hai chiamato?”
“Ah…
cappio…
sai, io non dico le parolacce…”
“Uh..”
Mi
fermai,
seriamente preoccupato che avesse intenzione di venire in camera mia.
“Ma…
ti hanno
detto a che piano è la tua stanza?” le chiesi.
“Ah!
Ma
allora non parli solo a monosillabi! Comunque si, Roger mi ha dato un
foglietto
con scritto tutto credo…” disse frugandosi nelle
tasche con aria incerta.
Dopo
un’accurata ricerca, eccola spiegare un foglio delle
dimensioni di un post-it,
piegato all’inverosimile. Lo lisciò un
po’ con le mani e lo avvicinò agli
occhi, per decifrare le parole quasi completamente illeggibili.
“Piano
15…
st… stanza… dev’essere un…
un… 345… si… o
46…”
“Dev’essere
345, la 346 è la mia”
“Ah
grazie,
allora credo che andrò a mettere via la mia roba!”
“Io
veramente
non ho fatto nulla…” ci tenni a precisare. Solo
che lei non parve minimamente
farci caso.
“Allora…
dopo
mi porti a fare un giro?”
Parlava
come
fosse in un college… in carcere era! Che aveva da essere
tutta propositiva e
allegra?! Comunque sia, non potei fare a meno di accettare, avendo
ormai
appreso che quello che voleva lo otteneva.
“Beh,
allora
busso fra mezz’oretta! Ciao!”
“Mmmh…
” le
risposi, chiudendomi la porta dietro le spalle. Mi ci appoggiai e alzai
gli
occhi al celo. Dopodiché mi sedetti sul davanzale interno
della finestra,
chiusa, a guardare ancora una volta in basso. La strada era un filo
grigio, di
quelli lasciati in giro dai gatti, con tanti piccoli puntolini di
diversi
colori che la percorrevano in tutta la sua lunghezza. Le persone non si
poteva
pensare di distinguerle da quell’altezza. Sbuffai. Sarei
dovuto rimanere in
quel poso di merda per tutta la vita. Avrei visto passare gli altri
come una
persona particolarmente longeva si vede morire davanti gli altri. Se
non avevo
un amico li, era anche per questo. Non volevo legarmi a nessuno, anche
per
altri motivi, ma non è il momento adatto per parlarne. Mi
alzai, e camminai
avanti e indietro per la stanza. Poi mi fermai, e tesi
l’orecchio.
“MA
SANTI
GIAVELLOTTI!!!”
Udii,
affievolito dalla parete. Alzai nuovamente gli occhi al celo.
“MIFFULO
DI
UN CARICATORE DEL CAVOLO!!! MA DOVE L’HO
MESSOOOOO!!!!????’”
La nuova
arrivata si stava sistemando. Mi sedetti poi sul letto. Mi sentivo come
un
animale in gabbia: costantemente sorvegliato e costretto a reprimere le
proprie
voglie, i propri desideri, i propri sogni, le proprie
realtà, il proprio modo
di essere… per sempre. Per quanto mi sforzassi di distrarmi
quelle parole mi
rimbombavano in testa come insormontabili macigni non sono oscurabili
allo
sguardo di chi vi è legato davanti. Mi alzai. Andai ancora
avanti e indietro.
Guardai fuori dalla finestra. Accarezzai con lo sguardo la lucentezza
di Lost
Breath, ma non la impugnai, non ancora. Lei era l’unica cosa
che mi salvava dal
delirio assoluto. Non appena sentivo di non farcela più, la
prendevo e le
trasmettevo tutto, perché lei lo trasmettesse al mondo per
me. Anche lei era un
animale in gabbia. Ma lei poteva diventare pazza eccome. Sorrisi al suo
ricordo. Certo, non mi avevano lasciato l’amplificatore, ma
lei c’era, e
bastava. Mi incantai a guardarla. Era una Ibanez, nera come la pupilla
di un
gatto, e potente più di un ciclone. Appesa al muro luccicava
ai solitari raggi
di sole, ammiccandomi provocante. Mi avvicinai, vinto, alzai la mano e
la
accarezzai, togliendo il pulviscolo che vi si era intrappolato.
Tock tock
“Avanti”
risposi al suono poco convinto.
Subito la
porta venne aperta da una mano energica.
“Ciao
Beyond,
come va? Allora, mi porti a vedere sto posto?”
“BB”
“Cosa?”
non
capì lei.
“Chiamami
solo BB. Comunque, dove vuoi andare? Siamo in un carcere, non in un
college” le
risposi, come sempre atono, esplicando i pensieri di poco prima.
“Boh…
fammi
conoscere i tuoi amici!”
La
guardai un
po’ sperso. Io non avevo amici. Che si aspettava? Non si
vedeva che ero molto
poco propenso a conoscere persone?
“Senti.
Non
so cosa ti aspetti di trovare qui, ma io evidentemente non sono la
persona che
pensi. Fai pure amicizia, tu, ma lasciami stare, d’accordo?
Io non mi faccio
amici. Io vivo da solo. Così è.. quasi sempre
stato. E così sempre sarà”
“Muoviti!
Dai!” si limitò a rispondermi, senza dare
minimamente peso alle mie parole.
“Ma
ti ho
detto che..”
“Ho
detto di
muoverti BB, su.”
Sospirai.
Testarda. Cocciuta. Rompiscatole. Uscii,e mi avviai alla camera di
Mello. Lei
mi seguì, standomi di fianco. Era un po’
più bassa di me, io avevo 19 anni e
lei 17 in effetti....
Percorso
il
corridoio, salii due piani di scale, e mi fermai alla camera 516. Lei
si
apprestò a bussare, ma prima che potesse farlo, aprii la
porta con bruschezza,
ed entrai. Mello stava picchiandosi col migliore amico, Matt, ma
sentendo la
porta aprirsi si ristabilì a una velocità
esorbitante, rimettendosi in piedi
mentre diceva una cosa come
“Non-stiamo-facendo-niente-lo-giro-può-testimoniare!”,
indicando Matt. Io alzai
il sopracciglio. Appena collegò il fatto che si trattava di
me, mi lanciò uno
sguardo stupito e interrogativo.
“Che
ci fai
qui BB?”
Sbuffai e
mi
scostai, mostrando Eloin ai due. Lei li osservò bene,
dopodiché fece un passo
avanti e esclamò, tendendo la mano:
“Piacere,
io
sono Eloin, BB mi sta portando a conoscere i suoi amici- e qui ci fu
uno
scambio di sguardi nei quali Mello mi guardò più
stupito e divertito e
malizioso di un procione, che ricambiai con uno di odio, impotenza e
minaccia-
voi chi siete?”
Matt si
tirò
su, tentando di ricomporsi un minimo, e raddrizzandosi gli strani
occhiali
arancioni che aveva sempre addosso, e salutò con la mano.
“Io
sono
Matt! Ho sentito che sei un haker anche tu!”
“Già!
”
esclamò lei allegramente, stringendogli la mano con energia.
“Aehm…
io
invece sono Mello.” Disse l’altro già
disinteressato, senza tendere la mano,
bensì dirigendosi alla finestra, per guardare fuori.
“Ciao!
Che
nomi strani che avete tutti.”
“Già…
fra
poco ne avrai uno anche tu.” Rispose quasi divertito Mello.
“In
che
senso?”
“Lascia
perdere.” Rispose lui.
“BB,
vieni un
momento, giacchè sei qui ti faccio vedere il progetto di cui
ti ho parlato, per
il nanetto.”
Io alzai
gi
occhi cielo, chiedendomi perché cazzo ero li.
“Non
credo.”
Risolsi infine, uscendo dalla stanza, e avviandomi alla mia.
“Ma
che ha?”
sentì dire Eloin, dispiaciuta.
“Bah..
è
fatto così” rispose Matt.
Sapevo
che
lasciarla sola con quei due era sbagliato: Mello era un pervertito
scazzoso,
Matt gli andava dietro, con l’aggiunta di una puzza di
nicotina tale da
stordire. Ma per me, era già tanto, davvero.
Una volta tornato in camera ritornai davanti a Lost Brath.
“Ciao
piccola” le sussurrai, specchiandomi nel suo splendore.
Ma no.
Non
ancora.
Mi
allontanai
da lei, resistendo alla tentazione, e mi sedetti sul letto, guardando
il
pavimento.
Sentii
dei
rumori provenire dalla camera di fianco, la 457. Urla. Folli urla.
Un’altra
crisi di nervi. Mi alzai, teso. Tonfi, altre urla, stavolta di
spavento. In
quella camera erano in due, come Mello e Matt. In due. Assassino e
ladra. In
due. Stavo per accorrere, neanche sapevo bene se per aiutare la vittima
o per
dar manforte all’altro. Ma una serie di passi salirono le
scale correndo.
Quattro persone o cinque. Una entrò in camera sua, lo vide
in piedi fermo e
richiuse la porta. A chiave. Gli altri erano già la. Ma. Lui
lo sapeva. Era
troppo tardi. Altre urla, pazze urla trionfali. Passi. Imposizioni a
voce dura.
Non mancava mai posto in quel carcere. Ogni giorno se ne liberavano
alcuni.
Sucidi, assassinii, crisi, erano all’ordine del giorno. Non
ci si stupiva se
qualcuno scompariva. Non si diceva nulla. Nessuno diceva una parola su
quelle
persone, ma era come se centinaia di persone lo urlassero con tutta la
loro
forza. Una risata da pazzo. Ancora passi, rumori. Qualcuno
aprì la sua porta.
uscii. Mi guardai intorno.
A terra, una
piccola scia di sangue imbrattava il cemento del pavimento. Entrai
nella 457.
Non feci una piega. Lei giaceva a terra, coperta di sangue, morta. La
camera
era uno sfacelo. La sua faccia era irriconoscibile, un pastrugno di
sangue, suo
e non . La pelle della morte. Osservai tutto. Uscii e tornai in camera.
Sbattei
la porta dietro di me. Afferrai Lost Breath violentemente, e suonarla
fu come
picchiare qualcuno di colpevole all’orrore del
Wammy’s Carcere, fu come dare
coscienza alle persone di cosa accadeva li dentro, fu come liberare
tutti, fu
come fare l’amore con una donna, fu come affondare un pugnale
nella carne, fu
come immobilizzare tutti nelle peggiori azioni commesse, e mostrarsi al
mondo. Poi aprii
gli occhi, la riappesi,
e mi lasciai cadere a terra, appoggiato al letto, chinando la testa.
Qualcuno
si sedette di fianco a me, ma nono lo percepii. Ma quando quel qualcuno
mi
toccò, alzai la testa di scatto. Era Eloin. Mi alzai.
“Ciao”
dissi
controllando la voce.
“Ciao…
suoni
fantasticamente.”
|
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Capitolo 3 *** Troppo pazzo per l'inferno ***
Ebbene, a gran
velocità, ecco qui il terzo capitolo... che dire... spero vi
lasci qualcosa la lettura...
Al prossimo chappy, ringrazio tantissimo i recensori e i lettori
silenziosi! :)
Mina
“Che fai..
camera mia?” riuscii a dire.
“Oh..
scusa.
Volevo ringraziarti per avermi fatto conoscere Mello e Matt. Ma non ti
volevo
interrompere. Vabbè.. allora vado” rispose,
alzandosi anche lei, e
avvicinandosi alla porta.
“Se
vuoi..
resta…” sussurrai. Per poi accorgermi di
ciò che avevo fatto.
Allora mi
avvicinai alla finestra e non la guardai più, osservando il
già noto paesaggio.
Lei non uscii, ma non parlò. Si guardò intorno,
avvicinandosi alla libreria,
per leggere i titoli dei pochi libri che mi avevano permesso di tenere.
Uno
strato di polvere ricopriva i ripiani della libreria vuoti.
“BB…?”
Mi morsi
il labbro.
“Che
c’e?”
“Perché
sei
qui?” chiese con cautela.
“Io..
non
sono affari tuoi.”
“Oh..
ok…
scusa”
Si
avvicinò a
me, e guardò anche lei dalla finestra.
“BB…”
“Eh?”
“Perché…
c’è
del sangue in corridoio?”
“Io..
io non…
che dici?”
“Guarda,
vieni a vedere!” esclamò lei, prendendomi per il
braccio. Io mi scansai
velocemente.
“NO!
No..
io.. lo so. Ma non devi parlarne, ok?”
“Per-perché?”
“Perché
no!”
“Ma..
ma
potrebbe essersi fatto male qualcuno!”
“POTREBBE…
!”
la presi per i braccio e la trascinai fuori, per aprire con violenza la
porta
457.
“GUARDA!”
urlai, mettendola di peso nella stanza e mettendomi in mezzo alla porta
per
impedirle di uscire.
Lei si
coprì
gli occhi dall’orrore, e le sfuggì un singhiozzo.
Impazzii.
Le presi
i
polsi, costringendola a veder il macabro spettacolo.
“NO!
TU DEVI
GUARDARE! TUTTI DEVONO GUARDARE! DEVONO SAPERE IN CHE MERDA VIVIAMO! E
VIVREMO.. PER SEMPRE, CAZZO!!”
Continuai
a
urlare, insieme a lei, io di rabbia, lei di terrore.
Poi
ancora, i
passi si approssimarono. Tre uomini entrarono, mi separarono da lei, mi
sbatterono per terra prendendomi a calci, mi tirarono su semisvenuto, e
mi
portarono via, intimando a Eloin di andare in camera sua e di restarci.
L’orrore.
Non era
mai
troppo.
Non per
me.
Mi
svegliai
lentamente.
Per
primo,
ripresi il senso del tatto: ero seduto
su
una di quelle scomode sedie che ci riservano. Qualcosa impediva alle
mie
braccia di staccarsi dai braccioli, e mi facevano male. Qualcosa non mi
permetteva di staccarmi dalla sedia, come una.. corda. Ero legato.
L’aria era
ferma, come un gatto su un calorifero, d’inverno. Mi facevano
male le costole,
forse qualcuna era rotta, ma non ne ero certo. I capelli mi ricadevano
sul
volto, mi davano fastidio. Avevo la testa chinata. Poi
l’odorato. Puzza di… di
fumo. E nessun suono, a quanto potevo udire, interrompeva la
stanzialità della
mia situazione. Una brutta situazione. Infine, socchiusi gli occhi, per
rendermi conto di dov’ero. Anche se già lo sapevo.
Non mi mossi, per non far
capire che ero sveglio, e ciò che vidi fu un pavimento
bianco, immacolato, e le
mie stese gambe. Legato a una sedia. Feci un sospiro leggermente
più profondo.
“Sei
sveglio
B, inutile fingere. Prego alza la testa, non ti ho insegnato un
po’ di buona
educazione?”
Alzai la
testa a denti stretti. L’uomo che aveva parlato mi fissava
attraverso a un paio
di occhiali, dietro a una scrivania, comodamente seduto sulla sua
poltrona
rossa. Roger, pensai con disprezzo.
“Buon
giorno.
Ha qualcosa da dirmi?”
Lo
guardai
con un misto di disprezzo, rabbia e rassegnazione. “Ho
sete” constatai più che
altro, infine.
“Si,
ma a
proposito di ciò che hai fatto, B.”
“Perché,
cos’ho fatto?” lo presi in giro, fingendo di non
averne idea.
“Lo
sai
benissimo” mi rispose, con aria grave, mentre si risistemava
gli occhiali e
scorrevva con lo sguardo alcuni fogli che teneva in mano.
“E
Lei cos’ha
fatto?”
“Io,
B?
Niente di grave, al contrario di te. Infatti, in caso ti sia sfuggito,
siamo
qui per parlare di te.”
Sbuffai
contrariato. “Siamo qui perché sono costretto. E,
in caso le sia sfuggito, Lei,
mi ha fatto picchiare fino a che non sono svenuto nel sangue, non so
neanche se
mio o di quella bambina ladra, perché dopo cinque cazzo di
anni, ho estraniato
ciò che pensavo in modo poco ortodosso, ma senza, in fin dei
conti far male a
nessuno. Allora… chi è che dovrebbe parlare di
ciò che ha fatto legato a una
sedia, e chi lo dovrebbe giudicare con aria saputa dietro una
scrivania?”
Roger
alzò di
nuovo lo sguardo.
“Notevole.
Continuerò a dire per sempre, che se solo tu fossi un
po’ più collaborativo,
saresti un ottimo politico. Ribalti le situazioni in due parole, certo.
Ma c’è
un piccolo problema, B.” disse, alzandosi e avvicinandosi a
me.
“Anzi,
due.
Il primo”proseguì, portandosi dietro di me
“è che menti, in questi tuoi
discorsi.”
Non
risposi,
provando, lo ammetto, paura e impotenza, verso ciò che stava
per succedere.
Roger prese qualcosa in meno.
“Il
secondo,
B… è che io” continuò,
poggiando qualcosa di metallico sul mio collo, sempre da
dietro, e provocando in me un sussulto “ho il
potere” finì, con una nota
sadica, premendo un piccolo bottone sull’oggetto che teneva.
Una
potente
scarica elettrica mi attraversò, costringendomi a urlare.
Tutto sembrava
esplodere attorno a me, tutto un vortice di dolore, fisico,
psicologico, e nel
punto in cui l’oggetto poggiava, dolore ancora più
forte, quasi freddo.
Ma tutto
questo durò non più di un attimo.
“Allora
B,
che ne pensi, ora vorrai parlare con me?”
Il mondo
ritornava dov’era nei miei occhi, ma il dolore in quel
preciso punto del collo
persisteva, oggetto di distrazione dalle parole di Roger.
“Lei…
potrà
fare quello che vuole di me…
potrà
persino costringermi a dire che credo che lei sia nel
giusto… ma i miei
pensieri non cambieranno… io non mi piegherò mai
a lei… non nello spirito e nella
morale… e scusi il lessico volgare… ma
vaffanculo…”
Lo sentii
sospirare.
“Beh,
allora
mi dai la speranza di vedere in te collaborazione dal punto di vista
delle
parole, almeno. Quindi forza, parlerai con me?”
“Non
oggi,
vecchio babbu..” non mi lasciò finire la frase.
Ancora
li,
ancora, ma più forte. Le mie mani ebbero uno scatto, ma
riuscii solo a farmi
male.
“Stronzo
figlio di…”
“B…
non
vorrai costringermi a farlo un’altra volta! Fa male anche a
me!”
“Mi
piglia
per il culo? Ripeto: vaffanculo!”
“B…
non
vorrei dover passare a metodi più…
avanzati”
“Sono
curioso
di sapere quali sono. ”
Sospirò
di
nuovo.
“B,
tenta di
ragionare. Fai del male a te stesso! Se tu mi dicessi solo.. una parola
di
scuse! Ti lascerei andare in camera tua!”
“Senta…
qualcuno le ha già indicato la mappa per l’allegra
cittadina di Fanculo? No,
perché se vuole le dico come arrivarci, eh!”
“B,
così sei
solo volgare!”
“Beh…
se
vuole sentire discorsi filosofici potrebbe anche non scaricarmi addosso
100
watt ogni secondo, no?”
“B,
B… cosa
devo fare con te?”
“Uccidermi”
“Non
lo farei
mai!”
“Se
è capace
di torturare così, non vedo che ci voglia a iniettare veleno
del mio sangue!”
“Piantala
di
dire stupidate! Piuttosto chiedi scusa per ciò che hai
fatto! ”
“Cos’ho
fatto?” ripetei
“Hai
traumatizzato
una ragazza per cominciare!”
“Ah, io vengo
torturato perché perdo le staffe
con una novellina, e lei ha il poter di lasciare che una povera bambina
muoia
per mano di un pazzo assassino senza che nessuno le dica niente?
”
“Che
hai? Non
hai mai fatto storie per cose di questo genere..
cos’è, ti stava simpatica?”
“
STAI
PARLANDO DI UNA RAGAZZINA DI MASSIMO 12 ANNI CHE è MORTA!
MORTA CAZZO! ”
“B,
contieniti perfavore!”
“NON
MI
CONTENGO AFFATTO, GRAN PEZZO DI MERDA! ”
“Bene…
”
Prese
qualcos’altro, non vidi cosa. Poi
tornò
nel mio campo visivo.
Un
coltello
da cucina in ceramica, di quelli che se tocchi la lama ti tagli, in
mano.
Sorrisi
ironico.
“Se
vuoi
finalmente uccidermi, grazie!”
“Non
questa
volta.”
Chiusi
gli
occhi e sospirai.
“Veda
di fare
in fretta allora.” Dissi ostentando una
tranquillità che non avevo.
Si
abbasso,
sul mio braccio destro, e alzò il coltello.
“Sei
ancora
in tempo B, per evitarti questa brutta cosa.”
“Le
ho
chiesto di fare in fretta, vecchio racchio”
Alzò
gli
occhi al cielo.
Dolore.
Dolore sordo, intenso, infetto. Dolore crudo, improvviso, lungo.
Sull’avambraccio.
Mi morsi
violentemente il labbro, per non urlare: sapevo che avrei chiesto che
si
fermasse, e così facendo, mi sarei solo contraddetto.
Continuò
imperterrito, il coltello incideva con facilità.
Quando
smise,
non aprii gli occhi: dentro di me, non avevo ancora finito di urlare.
Quando,
un
minuto dopo lo feci, per prima cosa vidi il sangue. Rosso lucente,
fresco, mi
bagnava l’avambraccio, scendendo copiosamente dalle ferite,
inflitte da mano
esperta che andavano a formare:
Mi
scuso
Richiusi
gli
occhi, provando ribrezzo. Mi sarebbe rimasta la cicatrice per.. per
sempre.
Quanto odiavo quelle parole. Per sempre.
Riaprii
gli
occhi.
Roger era
rivolto alla scrivania, il coltello poggiato su di essa. Quando si
girò, si
stava pulendo la mano destra con uno strofinaccio pulito.
“Vuoi
essere
disinfettato?”
“Se
ti
rispondo che se tu non mi toccassi più in vita tua sarei
felice va bene lo
stesso?”
“B,
ora sei
disposto a parlare?”
Feci un
lungo
sospiro, ricalando la maschera di seria indifferenza sul volto.
“No.”
Chiaro,
secco, conciso. La parola perfetta.
“Male,
B,
male… ” uscii dalla stanza e quando
rientrò, altri due uomini lo seguivano.
Era qui
che
arrivava la parte più brutta.
Mi
slegarono,
e mi presero per le braccia.
“Sapete
dove.
” disse solo Roger, seguendoli, fuori dalla porta.
“Roger”
dissi
debolmente.
“Cosa
c’è?”
“Vaffanculo”
“Diventi
ripetitivo, B”
Dopo un
relativamente
breve percorso, entrammo in una stanza insonorizzata dei sotterranei.
“Allora
B..
ci siamo già passati alcune volte… quando
chiederai scusa uscirai… ci vediamo!”
disse Roger, assistendo allo spettacolo di un ragazzo 19venne
sanguinante che
veniva sbattuto a terra in una piccola stanzetta da due armadi-uomini.
La
porta si
chiuse sbattendo. La stanza era piccola, 5 per 5 massimo, e sapevo
perfettamente cosa mi aspettava. E nessuno avrebbe aperto quella porta
se io
non avessi detto ciò che volevano. Ero però
tenuto sotto controllo attraverso
telecamere e microfoni. Come sempre avrei resistito. Fino
all’ultimo.
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Capitolo 4 *** Non si può resistere all'inferno ***
DUE GIORNI DOPO
Fino
all’ultimo. Continuavo a ripetermelo. La mia gola era riarsa,
e se avessi
tentato di parlare credo che avrei provato la stessa sensazione di
avere una grattugia
in essa. Il braccio si stava infettando, era arrossato, faceva un male
cane. E
la fame… la fame per me è sempre stata difficile
da affrontare. Ma dovevo
resistere. Fino all’ultimo. Per sempre. Fino
all’ultimo. Perché io ero un
predatore che non poteva cacciare. E non mi sarei mai piegato
all’ammettere di
essere una preda. Mai.
La mia
chitarra. Ecco di cos’avrei avuto bisogno. Il suo manico
elegante, la sua
potenza, il suo suono superbo, le sue a me ben conosciute corde. Chiusi
gli
occhi, figurandomela. Nella
sua aura di
candida verginità. Era così… bella. Mi
dava una sensazione di pura felicità.
Quello che si prova quando ci si sveglia al mattino nel letto di una
donna e si
sa di essere stati il suo angelo. E si è felici.
Dormivo.
Ho ero
svenuto, forse.
Ma la vedevo,
questo era certo. Era li davanti a me, sembrava invitarmi a dare inizio
alla
nostra folle infinita danza di assoli. Era li, davanti a me, e la
potevo
toccare, percorrere in tutta la sua lunghezza. Era li, davanti a me.
Davanti a
me. Ma i bei sogni
non durano mai a
lungo.
E fu
così che
mi svegliai. Fu allora, che dovetti cedere.
Come se voi
aveste davanti la persona che amate, e non la poteste prendere se non
dicendo
parole che non pensate. Parole che per altro, avete incise nel braccio.
Cosa
fareste? Sapendo che i vostri pensieri non cambieranno per quello?
Probabilmente
quello che feci io.
Mi alzai,
barcollante.
“Mi
scuso”
rantolai velocemente.
“Ma…
sei
sempre uno stronzo Roger” riuscii a dire ancora, prima di
cadere e svenire di
nuovo.
Quando mi
svegliai, sul mio letto. Saranno state le 10 di mattina, il sole
entrava
ordinariamente dalla finestra senza tapparelle o tende alcune Il mio
braccio
era fasciato da bende pulite, e probabilmente era anche stato
disinfettato. Sul
comodino c’erano quattro barattoli di marmellata e acqua. Mi
ci buttai, anche
se riluttante. Sull’ultimo barattolo c’era un
biglietto. Lo presi con
curiosità. Era da Roger. Un biglietto a quadretti, pezzo di
carta strappato con
poche righe:
Sei stato un
bravo ragazzo, te li
meriti.
Colto da una
crisi di rabbia improvvisa, lo feci a pezzi, e lo appallottolai, per
buttarlo
nel cestino.
Provai a
parlare: la voce c’era grazie a dio.
Mi alzai, e
senza esitare andai da Lost Breath. Non mi persi in convenevoli, suonai
e basta.
Rabbiosamente,
ma anche con dolcezza.
Con dolore
perverso, ma anche con amore.
Sentii
qualcuno bussare, e mi fermai di colpo. Non ero abituato a ricevere
“visite”,
quindi ero sospettoso, temevo fosse ancora Roger.
Poggiai Lost
Breath con cautela, e mi avvicinai lentamente alla porta, per poi
aprirla,
sfoggiando la mia migliore aria ostile.
La persona
che mi trovai davanti era l’ultima che mi aspettavo di
vedere: Eloin Edud,
proprio lei.
“Ciao
BB,
posso entrare?”
Mi scostai,
senza una parola. Non credevo me ne avrebbe rivolte altre dopo
l’episodio di un
po’ di giorni prima. Comunque sia, chiusi la porta e mi
sedetti sul letto,
aspettando che parlasse. Lei era in piedi davanti a me, un
po’ imbarazzata.
“Emm…
BB…
scusa… è colpa mia se ti hanno fatto del male.
”
La guardai
molto stupito.
“Perché
ti
dispiace? Insomma, mi sono fatto male io, no?”
“Ma che
c’entra, io l’ho causato!”
“Oh…
beh…
allora… non ti preoccupare per me, sono abituato a questo
cose. In questo posto
è così. Ti converrà
abituarti.”
“Davvero
BB,
mi dispiace tantissimo, è tutta colpa mia!”
si sfogò la ragazza, lasciandosi cadere di
fianco a me e abbracciandomi.
Io arrossii leggermente.
“Ma no,
no,
non è colpa tua… stai.. stai
tranquilla” cercai di calmarla. Lei mi guardò e
sorrise, cogliendo il mio imbarazzo.
“Senti
BB… ”
disse poi. “Siamo amici?”
La guardai,
scoprendo di provare un sentimento quasi… fraterno. In
qualsiasi caso il primo
sentimento umano dopo tanti anni. Sorrisi.
“Si”
La luce
stellare e leggera della notte filtrava dalle tende bianche di stoffa
economica. La camera era avvolta in un pallore lattaceo e traslucido
che niente
rifletteva. Io non dormivo. Mi faceva male il braccio, sotto la benda.
Un
dolore pulsante. Avrei voluto disinfettarla con qualcosa ma non avevo
acqua
ossigenata o simili, e di notte le camere erano chiuse a chiave, quindi
non
potevo neanche andare in infermeria a chiederne un po’. Il
fatto di non poter
dormire non mi disturbava: anche normalmente soffrivo di insonnia. La
cosa che
più mi dava fastidio era proprio quel dolore, e il pensiero
di chi l’aveva
procurato. Quel fottuto.. ma non volevo pensare a lui. Mi misi
così a
riflettere a quella strana ragazza, così ostinata ad
allacciare rapporti. Ma
perché? perché legarsi alle persone, quando sai
che presto o tardi, o ti
tradiranno o moriranno, o se ne andranno? In questo luogo
l’amicizia non
esiste, è impossibile. Convivenza, tolleranza, rassegnazione
in stile “se non
c’è niente di meglio mi accontento”,
questo lo capirei. Ma … amicizia… è
una
parola che qui non si una neanche più… scomparsa
dal vocabolario. Qui non ci
sono amici. Non si può contare sulle persone. Ma…
cos’è una persona senza
amicizia? Uno zombie… un robot.. ma non un essere
umano…
Appena
arrivato a questo pensiero però lo scacciavo. Non mi volevo
assumere la
responsabilità di sapere quello che ero. Perché
avrei dovuto rimediare. Avrei
dovuto fare amicizia. E si ritornava al discorso di prima…
Dopo
un’ora
che andavo avanti così, mi alzai, snervato dagli stessi
monotoni pensieri.
Camminai avanti e indietro, come sempre, come una di quelle povere
bestie allo
zoo. E come loro mi sentivo. Ma che potevo fare? La fuori…
gente libera.. che
ne sanno loro di morte? Che possono pretendere di sapere, loro, di
morte?
Mi sedetti
alla piccola ipocrita scrivania. Tirai fuori un foglio e una penna.
Scrissi.
http://www.youtube.com/watch?v=6FuQhZSc8Fs&NR=1&feature=endscreen
Hai mai dato uno sguardo fuori dal
cerchio
che ti sei costruito intorno?
Ti sei mai chiesto che cosa succede
al di fuori del tuo piccolo mondo?
Nessuno qua ha mai avuto bisogno di te..
Racchiudi tutta la tua frustrazione
in ipocrite prediche sulla morale.
Da sempre lotto per non diventare
mai come voi,
cosa vuoi?
Non hai capito che
io suono solo per me?
E per dare fastidio a chi
prende tutto sul serio
e non capirà mai che
finché avrò qualcosa da dire,
suono solo per me.
Ho sempre odiato predicare
facili consensi per piacere
e far parte della scena
dei tutti amici. Falsi amici.
Le vostre vite governate
dalle vostre infinite censure e paure.
Nascosti, spiando e giudicando le vite degli altri.
L'orologio
continua a
battere
e voi ogni secondo continuate a morire.
La mattina
è
come la crema al mascarpone. Si riversa pesante, molle, pigra, nelle
strade,
nelle case nei cantucci…
La mattina
disincanta dall’irrealtà della notte.
Si, il tempo
è passato, mentre andavi avanti e indietro, mentre pensavi,
mentre non dormivi,
mentre i secondi diventavano impossibili da contare, il tempo passava
fregandosene. La mente si svuota.
La tua
esistenza non fa rumore.
Ma la mattina
poi ti riscuote. E allora si riparte.
Erano circa
le 9.00, quando qualcuno bussò alla mia porta. Andai ad
aprire, prevedendo chi
fosse, ma chiedendomi che ci facesse li. Come da me previsto, davanti
alla mia
porta c’era Eloin, con un sorriso in volto.
“Ciao
BB,
come va?”
“Al
solito.
Cosa c’è?”
Lei
alzò gli
occhi al soffitto e incrociò le braccia.
“Dobbiamo
proprio cominciare dalle basi, veh? Allora, quando una persona ti
saluta,
specie se chiedendoti come va, si risponde aggiungendo le parole
– come stai?-
… capito? Beh, comunque sono qui perché
così possiamo andare a fare colazione
insieme, no?”
Io, dopo un
pesante sguardo inquisitorio- era più allegra del solito-
uscii, rassegnato
alla sua ostinatezza, bofonchiando un veloce “Come
stai?” al suo indirizzo.
“Bene
grazie!
Sai che c’è da mangiare stamattina?”
rispose lei prendendomi per un braccio e
trascinandomi per il corridoio.
Poco dopo, in
mensa, prendemmo i vassoi e ci dirigemmo verso il medesimo tavolo:
quello dei
dolci.
Io adoravo (e
adoro) la marmellata, specie alle fragole e in generale lo zucchero,
mentre, a
quanto intuii dalle improponibili quantità che ne metteva
sul vassoio, per lei
era lo stesso col miele… io il miele non lo sopporto. Dolce
appiccicaticcio…
bah…
Comunque sia,
dopo esserci seduti, come previsto, arrivarono quei due rompiscatole di
nome
Mello e Matt a salutarci, sentendone a quanto pare il diritto, in
memoria del
fatto che li avevo presentati a Eloin con la precisa parola
“amici”. Povero me…
“BB!!
Ti sei
rimbambito?” mi sventolò la mano davanti Matt.
Trassi un sonoro sospiro: tutta
la cattiva fama che ero riuscito a costruirmi stava scemandomi davanti
a me…
“No
Matt,
tutto a posto, ma se non metti giu la mano ti rompo il polso, e sai che
lo
farei”
“Can
che
abbaia non morde!” esclamò prontamente lui,
togliendomi però, la mano da
davanti.
Gli lanciai
uno sguardo che avrebbe elettrificato un armadillo, e ritornai al mio
piatto.
Fu una lunga
colazione. No, dico proprio lunga, eh! E dopo questa, io e Eloin
risalimmo
insieme le scale. Fu allora che mi pose la domanda che avevo immaginato
che mi
avrebbe posto prima o poi. I suoi occhi, color nocciola con pagliette
marrone
scuro, che le conferivano un’aria dolce, si fissarono nei
miei, mentre
pronunciava le parole:
“BB, perché non hai mai avuto un amico
fin’ora? Sei qui da anni!”
Io evitai
prontamente
il suo sguardo, facendo un brusco gesto con la mano, lo stesso che si
fa quando
si scaccia una mosca e accelerai.
“Non ho
voglia di affrontare certi argomenti.”
“Ti do
tempo
sino a oggi pomeriggio!”annunciò lei squillante.
“Ne ora
ne
mai.” Conclusi io, invece.
“Si,
certo
BB. Così come, ne ora ne mai, mi avresti fatto fare un giro
in questo posto,
pochi giorni fa!”
“Eloin,
lasciami stare, non mi piace parlare”
“Mmmh…
e cosa
ti piace fare?” chiese lei senza scomporsi.
“Suo…
niente…” mi lasciai quasi sfuggire. Ma la ragazza
non si lasciò sfuggire nulla.
“Suo
che?”
inquisì infatti.
“Niente.
Non
ho detto niente…”
“Si,
certo, e
io sono William Shakespeare! Senti
facciamo così: io non ti secco con domande cui non vuoi
rispondere, e tu
concludi la parola!”
“Ma
io… uff…
sei veramente snervante! ” esclamai, poggiando il piede
sull’ultimo gradino
della 15esima rampa.
In silenzio,
percorremmo il corridoio, e si fermò con me, alla mia porta,
mentre la aprivo.
Un po’
incerto azzardai un “Vuoi… entrare?”
“Volentieri!”
Mi feci da
parte, e richiusi la porta. Lei si era seduta sul letto.
“Allora?”
chiese, riferendosi al suo ultimatum di poco prima.
“Mmmh…
mi
piace… suonare… ”
“Davvero?
E
che male c’è?”
Nessuno, ecco
la risposta… ma non mi piaceva rivelare cose sul mio conto.
“Anche
a me
piace suonare… avevo una bellissima batteria, 20 pezzi,
davvero incredibile ma…
non l’ho potuta portare con me… ”
s’intristì un poco, ma si riprese subito.
“Tu che
strumento suoni?”
“Chitarra
elettrica. ”
Il mio
sguardo corse a lei, come chiamato da voce impellente e amata. Mi
avvicinai, e
la presi , non sapevo neanche bene perché. Eloin si
alzò, e mi venne vicino,
per osservarla attentamente, in ogni suo dettaglio.
“è
proprio
una bella chitarra! L’altro giorno ti ho sentito
suonarla… beh, sei davvero
bravo! Come mai te la fanno tenere? Ne Matt ne Mello hanno niente di
personale
nelle loro stanze!”
Sorrisi
amaramente a quella sua prova di capacità
d’osservazione.
“Loro
non
hanno l’ergastolo.”
|
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Capitolo 5 *** L'inferno dentro ***
“Loro
non
hanno l’ergastolo.”
“Oh…
mi
dispiace…”
“Non fa
nulla.” Risposi, rimettendo la mia piccola a posto.
“Posso…
posso
farti una domanda?” chiese cautamente, mentre mi avvicinavo
alla finestra.
“Per
qual
motivo sono qui, è questo che desideri sapere? Sono qui
perché sono un
serial-killer. E mi hanno preso un momento prima che compissi la mia
opera. ”
Lei non si
spaventò. Sembrava forse ingenua, ma in realtà
sapeva benissimo che era in
prigione, e che in posti come questi la gente non è del tipo
più
raccomandabile. Ma io la incuriosivo.
“Che
opera?”
“Il
caso
perfetto… io ero l’ultimo.. non sono
riuscito… io dovevo ma lei… lui… ha
vinto…
”
“Cosa…
di
cosa eri l’ultimo?”
“Delle
vittime” mi lasciai andare al suono. Io non vedevo la ragazza
che mi faceva le
domande.
Io sentivo
una voce. Una voce amica. Una voce che si interessava a me. E non mi
dispiaceva. E le rispondevo.
“Nel
senso
che ti saresti ucciso?”
“Si. E
con la
mia morte… BB QQ BB… avrebbe tutto avuto
senso… un senso che lui non poteva
capire! E avrei vinto! Ma lei mi ha fermato.”
“Lei
chi?”
“Naomi
Misora, agente in temporanea sospensione dall’FBI, contattata
da lui per
investigare sul BB murder case”
“Tu
sei… sei quel
BB?”
“Si.”
“E
lui… lui è
L, il più grande
investigatore del
mondo!”
“Si.”
“E come
mai,
l’hai sfidato?”
Mi tornarono
in mente immagini sfocate dagli anni. Una lacrima stava per scendere
sul mio
volto.
“Questo
lo so
io.” Mi riscossi.
“E ti
ho
detto abbastanza.”
“Oh..
scusa..
”
“Forse
è
meglio che tu vada. Fra poco passa il medico.”
“Certo.
Beh…
a dopo BB. ”
“Ciao.”
Il medico
passa tutti i giorni a controllare che stiamo bene, sentendoci la
pressione. Io
tutti i giorni trattengo quelle immagini, ricacciando indietro le
lacrime.
Mi ero
addormentato sul letto, con le mani dietro la testa, mentre come al
solito
rimuginavo tra me e me. Fra il sonno dovuto alla notte in bianco, la
luce
calorosa del sole e i troppi pensieri che ora dovevo come mio solito
analizzare
da capo a fondo, schedare e psicoanalizzare, gli occhi si erano chiusi
da soli,
e senza consultarmi, il mio cervello si era preso una pausa. In
qualsiasi caso,
l’ora di pranzo era giunta, e Eloin, coerentemente alla
mattina stessa, stava
per passare a prendermi per andare a pranzo. Arrivò alla
porta e bussò. Non
ricevendo risposta dopo due volte che bussava si insospettì.
O si incuriosì.
Comunque sia decise di entrare.
THINK OF
ELOIN EDUDE
Entrai
cautamente, pronta a tutto, dopo l’episodio, chiamiamolo
così, della mattina
stessa. La porta naturalmente era aperta,e no, non cigolava affatto. Mi
si
spalancò dunque davanti facilmente, rivelandomi la sua
camera. Uguale alla mia
a dire la verità. Solamente una manciata di dettagli la
distingueva: i libri
sulla impolverata libreria, completamente diversi dai miei,
l’ordine della
piccola scrivania e la bella chitarra appesa al muro. BB dormiva sul
letto. Non
me l’aspettavo, e feci un passo indietro. Mi immaginavo di
trovarlo alla
finestra, luogo che a quanto avevo capito prediligeva e ero pronta a
essere
cacciata dai suoi modi bruschi, che racchiudevano un carattere
delicatamente
complesso. Invece dormiva, profondamente. Il suo respiro era regolare,
e nulla
in lui si muoveva se non appunto la cassa toracica. I suoi capelli
erano
disordinatamente sparsi sul cuscino bianco, in contrasto col nero
corvino di
essi. Era così… normale. Un normale ragazzo sui
vent’anni, che schiaccia un
pisolino. Mi
avvicinai, socchiudendo la
porta, dietro di me. Mi abbassai, a osservarlo, in quella sua apparente
innocenza. Ebbene era lui il famoso BB. Uno dei casi più
riportati sui
giornali. Mi ero interessata molto a quel caso. Era accaduto alcuni
anni prima,
quando, una mattina, avevo letto come sempre il giornale ed ero rimasta
colpita
da esso. Dalla freddezza dell’assassino, dalla freddezza di
L, dal celato velo
di sfida che avvolgeva i due, unendoli nel mistero. Avevo continuato a
informarmi,
sia sui giornali sia infiltrandomi nei computer dell’FBI (che
in effetti non ne
sapeva molto) e quando infine quella… Naomi,
l’aveva preso, era stato come
finire di leggere un libro. Insomma… li vedevo
così irreali.
Non
sembravano veri.
E quando,
poco prima, avevo scoperto che era proprio lui l’assassino
che mi aveva tanto
incuriosito… beh… tutto si era trasformato. I
fatti, prima così avvincenti, si
erano rivelati in tutta la cruda realtà. Il fascino era
svanito dal caso, ma
era rimasto sulla persona, non tanto perché si trattasse di
quel BB, ma perché
veramente la sua persona mi incuriosiva.
“Attaccabrighe,
scorbutico, sarcastico, sadico e crudele”
Così
me
l’aveva descritto Mello.
“Tieniti
alla
larga da lui. Non ama la compagnia. E neanche parlare. La sua unica
idea di
“interazione” è prendere a pugni
qualcuno. Tieniti alla larga.”
Aveva
aggiunto Matt.
E mentre lo
guardavo, l’innocenza sparì, mano a mano che
raccoglievo le informazioni che
avevo di lui, e mi si trasformò in una fiera, dormiente, coi
muscoli tesi sotto
il pelame, pronta a drizzarsi, ad uccidere, ad affondare i denti nella
carne e
a ridere di ciò.
Ma scacciai
subito quest’immagine.
Avevo intuito
sin dal primo momento, ossia quando lo avevo notato celatamente, mentre
mi
presentavo, quanto fosse intelligente nello sguardo, riflessivo nei
pensieri,
impulsivo nei movimenti, e solo in tutto se stesso.
La prima cosa
che pensai di lui, fu che nascondeva qualcosa al mondo. Qualcosa di
terribile,
nel suo passato, che non voleva assolutamente richiamare a se, per
mostrarlo
agli altri.
“Non ha
nessun amico. Ti ha portato da noi perché siamo gli unici
cui abbia mai rivolto
parola. ”
Aveva ancora
detto Matt.
“Noi suoi amici, ma per favore!”
aveva
soggiunto ridacchiando Mello “Lo conosco per due motivi: il
primo è che quando
sono arrivato, il primo giorno, ci siamo presi a botte. Il secondo
è che
condividiamo l’odio per il nano bianco!” concluse.
Nessun amico.
Nessuno a cui parlare. Carattere schivo. E tanti segreti.
E cosa potevo
chiedere di più? Inizialmente mi ero detta: questo ragazzo
mi aiuterà a passare
5 anni qua dentro, volente o nolente.
Ma subito
dopo il primo incontro intuii che non mi aveva tirato un pugno solo
perché ero
una ragazza più piccola di lui e quindi lo scontro non
sarebbe stato
interessante, e che se avesse voluto, mi avrebbe potuto fare qualunque
cosa.
l’avevo capito dai suoi sguardi profondi e analitici, che
scorrevano su di me
come brividi, dalla violenza controllata
degl’arti…
Ed era
più
allettata dal conoscerlo più di prima, stavolta non per
passare il tempo in
qualche modo.
E poi…
“BB…
siamo amici?”
…
“Si.”
Ma cosa
voleva dire per lui, essere amici?
La sua solita
maglietta nera di cotone si alzava e si abbassava ritmicamente.
Lo osservavo,
imprimendomi i suoi lineamenti, in quel momento così dolci,
naturali, nella
mente: sarebbe stato difficile rivederlo così.
Sembrava
irreale, abituata com’ero a vederlo tetro, scontroso e
più serioso di un
giudice.
Ora invece,
tranquillo, sembrava un’altra persona.
La sua pelle
era priva di imperfezioni, e stranamente chiara, in contrasto con la
folta capigliatura.
La mia mano
si mosse da sola verso il suo viso… delicato.
Sembrava
fragile. Non tanto lui come persona, quanto per la situazione in se e
per se…
Insomma…
quando mai mi sarebbe capitato di nuovo, di vederlo così?
Sfiorai
appena, i suoi zigomi, chiari, morbidi.
Aprì
gli
occhi di scatto.
THINK OF
BEYOND BIRTHDAY
Aprii gli
occhi di scatto, sentendo un corpo estraneo sul mio volto.
Ciò
che vidi
furono dei curiosi occhi nocciola che conoscevo bene.
La sua mano
aveva invaso il MIO territorio.
Chiamateli
pensieri infantili, ma quando ciò che hai sei tu e una
chitarra, sei così.
La
ritirò
subito, quella mano così ben curata e piccola, femminile
insomma.
Consapevole
di essere parso delicato, glielo si leggeva negli occhi, mi alzai di
scatto.
“Come
mai sei
entrata?” chiesi un po’ aggressivo.
“Il
pranzo,
sai… andiamo assieme?”
“Certo…
Eloin…”
“Si?”
“Io non
ho
bisogno di compassione. ”
La colsi di
sorpresa, e farfugliò per un attimo “Ma..
io… lo so.. ”
“Andiamo”
la
interruppi uscendo dalla stanza velocemente.
Odiavo essere
compatito. Le
persone mi compativano
ogni volta che mi vedevano.
Ma
lei mi
compativa?
|
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Capitolo 6 *** Sfogarsi all'inferno ***
Anche il pranzo era
passato, e Eloin lo aveva trascorso, come d’altra parte anche
io, quasi in
completo silenzio. Dapprima perché era imbarazzata dal fatto
di avermi
svegliato, poi si era fatta pensierosa. Mah…
Tornato in camera
ragionai sul da farsi, e decisi di andare da Mello. Circa una volta
alla
settimana ci incontravamo e sfogavamo i nostri pensieri prendendoci a
pugni…
Roger aveva ormai smesso di sgridarci.
Arrivato davanti
alla
porta in legno, entrai senza bussare. Mello era sul letto, leggendo un
fumetto
o un libro e si lamentava che ormai lo sapeva a memoria, mentre Matt si
annoiava, per terra, con la testa appoggiata sul letto, fumando una
sigaretta.
La mia entrata non
li
allarmò o stupì troppo, le conseguenze uniche,
furono che Matt mi fece un cenno
di saluto e Mello si alzò deponendo il libro e chiedendo
perché non avessi
bussato.
Quella domanda era
una
specie di segnale per noi. Il pretesto che usavamo sempre. Anche Matt
lo
sapeva, e si
sedette sul letto ridacchiando
e osservando la scena, divertito.
“Non sei
tu che mi dai
il permesso di entrare o uscire da una stanza”
“Si, se si
parla della
mia!”
“Non
direi, questa
stanza è dell’istituto, M” odiava essere
chiamato M.
“Si, ma si
da il caso
che ancora per un paio di anni qui ci stia io!”
“Ciò
non toglie ciò che
ho detto poco fa”
“Ti ripeti
BB”
“Anche tu
M”
Ci avvicinavamo
sempre
di più, verso il centro della stanza.
Mello, arrogante e
sprezzante come al solito e senza l’ombra di altri sentimenti
sul volto mi
guardava negli occhi. Era più piccolo di me di un anno, e in
altezza mi
raggiungeva al pelo, ma riusciva lo stesso a guardarmi
dall’alto al basso.
“Perché
sorridi BB?”
“Tu lo
provochi”
“Ridi di
me?”
“No, rido
del sangue”
“Solo i
pazzi ridono del
sangue”
“Allora mi
stai dando
del pazzo?”
“Si”
“Ma io non
lo sono, M”
“Io dico
di si. Sei uno
psicopatico pazzo”
“Oh…
così mi offendi”
“Poverino..”
“Perché
vedi… Micheel…
io non sono pazzo… io sono matto”
“Non vedo
la
differenza.”
“Non
puoi”
“E perché, sentiamo!”
“La tua
stupidità ti
frena”
“Io non
sono stupido”
“Dici?”
“Dico.”
“E io
invece dico di si,
o almeno lo sei più di me, visto che vedo chiaramente cose a
cui non arrivi”
“Sono gli
occhi della
follia”
Ormai eravamo a
pochi
centimetri di distanza, la tensione era palpabile.
“Errato
Micheel: sono
gli occhi dello shinigami”
Era il segnale.
Mi tirò
un pugno, che
fermai prendendogli velocemente il polso e facendolo cadere a terra con
uno
sgambetto.
Gli tirai un calcio,
ma
rotolò di lato, e si tirò su in fretta, per
riavventarsi contro di me.
Mi prese i polsi, e
facendo forza su essi mi tirò un calcio nello stomaco, ma il
contraccolpo lo
fece cadere di schiena, permettendomi tirargli una serie di calci che
lo fecero
rotolare di nuovo.
“Beh,
è il caso di dirlo
M, mi rotoli ai piedi come un cane” constatai.
Lui
ringhiò, e si tirò
su di nuovo, stavolta più cauto.
Matt, sul letto gli
lanciò uno svogliato incitamento.
Lo bloccai per le
spalle, e lo sbattei per la terza volta a terra, ancora di schiena.
Stavolta
però, non fu
così veloce da schivare, e si ritrovò la mia
furia addosso.
In quei momenti i
miei
pensieri si riassumevano in questo: picchia, schernisci, vinci.
Lo presi a pugni
finché
non mi fecero male le mani. Poi mi fermai e lo guardai come si guarda
una
zanzara spiaccicata su un muro.
“Ho
vinto”
Mi alzai e
così fece
lui, squadrandomi con diffidenza, e uscendo insieme a me, per andare in
bagno.
Gli usciva un filo
di
sangue dal naso, e zoppicava.
In bagno,
c’è una fila
di circa cinque lavandini con un unico specchio orizzontale, ai quali
ci
approssimammo.
Mi sciacquai le mani
con
cura, mentre Mello si lavò la faccia, e il rosso diveniva
arancione sotto il
getto dell’acqua.
Uscimmo insieme, e
poco
prima che io scendessi le scale per tornare in camera mia mi disse una
frase strana.
“Quella
ragazza ti
frustra molto, eh? Cazzo, mi hai fatto un male cane stavolta!”
Perché
aveva nominato
Eloin?
Entrai in camera e
chiusi la porta dietro di me. Sbuffai: non c’era mai niente
da fare in quel
posto. Mi avvicinai ancora una volta, del tutto svogliato, alla
finestra, e
ripensai alla mia vicina di stanza. Sempre più spesso, per
quanto la cosa mi
seccasse, ella entrava nei miei pensieri con prepotenza.
Sapeva tanto di me,
per
i miei standard, e la cosa mi rendeva inquieto.
Pochissime persone
conoscevano la mia storia per intero, e si trattava di persone che
probabilmente non avrei visto mai più. Diciamo pure
sicuramente.
Mi spaventava,
inoltre,
riaprire le vecchie ferite, riaprire me stesso, anche se non lo
ammettevo.
Però,
Eloin mi incuriosiva
molto. Mi chiedevo spesso che storia fosse la sua. O perché
mai fosse sempre
così allegra. E perché io la incuriosissi, con le
tante persone strane e matte
del carcere.
A fagiolo, ella
entrò
nella mia stanza in quel momento. Probabilmente non l’avevo
sentita bussare,
immerso com’ero nei miei pensieri.
“Ciao BB,
si va a cena?”
“Si,
andiamo”
Quando uscii, notai
che,
dal pranzo, il suo morale si era tirato su, anche perché
così, di punto in
bianco, mi prese a braccetto, e partì come se niente fosse
con la sua andatura esuberante.
“Eloin,
che fai?” le
chiesi subito, ma lei non mi badò, e solo sulle scale mi
lasciò andare, per
sedersi sull’instabile corrimano e lasciarsi scivolare su di
esso.
“Eloin,
che fai, è
pericoloso! Potresti cadere!”
Corsi subito alla
fine
del corrimano, e lei mi arrivò in braccio. Arrossii di
colpo, e la rimisi in
piedi.
Lei mi
guardò, e scoppiò
a ridere, abbracciandomi all’altezza del petto e mettendomi
ancora di più in
imbarazzo.
“M-m-ma
che hai?” le
chiesi preoccupato.
“Eddai BB!
Lasciati un
po’ andare! Hahaha! Sei tutto rosso!”
“Eloin…
ti prego… che
hai?”
“Sono
pimpante perché mi
hanno detto che posso tenere il mio portatile!!!”
Finalmente mi
lasciò
andare, e riprese a comportarsi entro certi limiti, come una persona
normale.
“BB, devi
imparare ad
abbracciare la gente”
“Non dire
stupidate
Eloin, se tu che ti devi.. contenere! ”
“Se una
persona è
veramente felice, fa ben di peggio! C’è gente che
urla dalle finestre!”
“Bah…”
“BB..
è perfettamente
normale!”
“Beh
Eloin… segui il mio
ragionamento: se sei in un posto pieno di gente che vorrebbe
suicidarsi, o che
dovrà restarci fino alla fine dei suoi giorni (il che in
effetti include il
desiderio di suicidio), di solito dovresti tendere a evitare di danzare
come
una cretina o… o buttarti in braccio al primo che
passa!”
Lei alzò
il sopracciglio
guardandomi e mi rispose, con la bocca piena di pane e miele:
“Si, ma tu
non sei il
primo che passa! E piantala di arrossire!”
In quel momento
arrivarono M&M, e si sedettero con noi.
“Questo
non è il vostro
tavolo” constatai come al solito.
“Neanche
il tuo BB!”
“Hai
ragione, ma se non
vi cercate un altro posto…”
“BB, dai, oggi ci siamo già picchiati, propongo
che rinviamo a domani e intanto
non ti diamo fastidio!”
Sbuffai.
“Vi siete
picchiati?” captò
subito la ragazza. Mello alzò le spalle.
“E
allora?”
“Ma.. perché?”
“Così…”
“Senza
motivo?”
“Aha… che c’è di
male?”
“Perché
dovete farvi
male così alla cavolo, scusate?”
“Mah…
lo stress… beh, a
proposito BB, complimenti! È stato più divertente
del solito!”
“Ma
ragazzi! Non…”
“Non si
fa?” concluse
ridendo Mello
“Stai
dicendo “non si
fa” a due maggiorenni incarcerati per assassinio uno e per
tortura e sequestro
di persona l’altro? Hahaha!”
Lei
scosse la testa, e
ricoprì un’altra fetta di pane con il miele, sotto
il mio sguardo disgustato.
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Capitolo 7 *** Piccole vittorie dell'inferno ***
Ritornato
in camera mia, riflettei sullo strano comportamento di Eloin. Tutta
quell’esuberanza, quell’affabilità. Era
ciò che temevo.
La
sua
curiosità si stava tramutando
in
affetto.
Anche
quella notte, non riuscivo proprio a prender sonno…
A
tormentarmi insieme al braccio si era insinuato un presentimento poco
bello,
riguardante Roger.
Succedeva,
di rado, ma succedeva, che uno dei prigionieri si facesse…
di troppo.
Mi
spiego: molti fra quelli sani di mente, decidevano, ogni tanto di
ribellarsi
segretamente a Roger, di tentare di fuggire salvandosi il culo e i
più nobili
pensavano anche di denunciare il carcere.
Senza
speranze, naturalmente.
Fatto
sta
che, quando succede, Roger mi manda a chiamare, mi da il numero di una
stanza,
mi mette un coltello in mano e mi ci butta dentro dicendo
“Bussa quando hai
finito.”
Era
già
successo circa… 6 volte, e io non mi ero mai rifiutato
di… beh…
Comunque,
quello che sentivo era che nei prossimi giorni mi avrebbe chiamato
ancora. E
non avevo voglia di piegarmi a questa sua dittatura di morte panico e
ipocrisia
ancora una volta.
“Fai
il
tuo lavoro d’assassino, da bravo, se lo farai ti
darò un barattolo di
marmellata”
Censure,
paure, spie, infiltrati, morte, ingiustizie, menefreghismo…
ne avevo abbastanza
da tempo.
Ma…
poi vedevo
quel coltello, il mio coltello, quello con il quale ho portato avanti
al sfida
più importante della mia vita. Quello che ho tenuto tante
volte in mano,
ridendo… e mi chiedevo cosa ci fosse poi di
sbagliato… morirebbero lo
stesso… e allora entravo, e li guardavo
negli occhi mentre urlavano, mentre mi chiedevano perché,
mentre… morivano.
I
loro
occhi si spegnevano nei miei, annegavano nei miei, e luccicavano
l’ultima
volta, lanciando un appello silenzioso, disperato, al loro assassino.
Che cosa
stupida, mi ero più volte trovato a pensare…
insomma, è come se un topo
chiedesse aiuto al gatto che lo sta cacciando…
Ma
è la
loro ultima speranza. E con quello sguardo, io guardo loro nel
profondo, io li vedo.
Li
vedevo
davvero, non come si mostravano agli altri, non come
sembravano…
Come
erano.
E la
cosa
dava i brividi…
Ma
poi
non sapevo far altro che uscire, e riconsegnare il coltello nelle loro
mani,
non sapevo far altro che pensarci, pensare che non avrei dovuto, che mi
sari
dovuto opporre. E allora… stavo male. Perché lo
sapevo che rea sbagliato. Sapevo
che così li aiuto a completare il loro disegno di
corruzione.
Ma la
volta dopo rivedevo il coltello e lo rifacevo. E ancora. E ancora.
Perché
era una droga.
Non
potevo smettere.
Ma
dovevo.
Dovevo
,
cazzo!
Strinsi
forte i pugni, quelli con i quali avrei tanto voluto picchiare,
martoriare,
deformare, il viso di Roger, e di tutti. Di tutti.
Perché
nessuno li fermava?
Non
mi
importava molto di me ne degli altri, ma avvertivo che coloro che
avrebbero
dovuto essere giustizia, erano peggio di noi.
Noi.
Chi
eravamo noi?
Mi
posi
questa domanda, rigirandomi nel lenzuolo bianco.
Il
mio
inconscio mi portò il suo nome con la velocità
con la quale cambia il mio
umore.
Eloin.
Noi
eravamo quindi… io e lei?
Io e
Eloin?
La
stanza
fremeva, come se la conclusione dei miei pensieri ripetitivi fosse a un
passo
da me, e volesse vedermi arrivare a essa. Noi e Loro. Che voleva dire?
Voleva
dire che anche io ero… di troppo.
Ma
Loro
non lo sapevano. E io lo sapevo? Si, l’avevo sempre saputo.
Sapevo che oltre al
naturale odio verso di Loro c’era voglia di ribellione, la
rabbia, la volontà,
ma che erano represse, celate, dal resto della mia persona.
E che
erano quelle le cose che punivano.
Rimasi
elettrizzato dal sapere che l’indomani, che dall’indomani,
io non avrei ucciso a comando mai più. Che mi stavo
disintossicando. Mi
rilassai, sul duro materasso, vecchio troppi anni.
Eloin…
in
pochi giorni era riuscita a farmi chiarire alcuni punti della mia vita,
della
mia persona, che erano rimasti sempre punti nebulosi, confusi nella mia
mente.
Nel
buio,
formulai un pensiero che, fino a allora, ero riuscito a reprimere, a
nascondere
a me stesso meglio che agli altri.
Ecco il
perché dell’avere un
amico. Perché nel buio, t’illumina, e ne
è inconsapevole.
Mi
sedetti di scatto, nella piccola stanza. Non dovevo tornare indietro
dalle mie
convinzioni, me lo ero ripromesso tante volte. Avevo promesso che
nessuno mi
avrebbe distolto da quei giuramenti.
Già
uno
era andato in fumo, un poco onorevole decoro, alla piccola tomba grigio
chiaro
che nascondevo nella mia mente.
Avevo
promesso io stesso che non avrei mai avuto più nessun amico.
E Eloin era
riuscita a strapparmi quel si. No, non era vero, non me lo aveva
strappato, lo
avevo detto di mia spontanea volontà, mi corressi.
E
ancora:
prometto che nessuno distorcerà il mio modo di pensare, e
che nessuno ucciderà
le mie convinzioni. Mai più.
E ora
invece… la logica stessa, mi aveva portato a concludere cose
che ritenevo
sbagliate.
Passai
una notte strana. Niente di ciò che contenevo
poté però distogliermi dal fatto
che se avessi ucciso, l’avrei fatto perché volevo,
non perché dovevo.
Tock tock.
…
Tock tock tock.
….
“BB….
BB!
Mah… ”
…
“BB!!!!
LA MATTINA HA IL CIOCCOLATO IN BOCCA SAI? PERCIò MUOVI IL
CULO!!” “Mello, non
imprecare!” “Impreco eccome se quel panda minore
non si muove… ”
Mi
svegliai di soprassalto, alle urla di Mello.
Mi
alzai
velocemente e mi cambiai in tre secondi, per poi aprire la porta, e
ritrovarmi
davanti il terzetto di persone che potete immaginare anche da soli.
“Alleluia!
Muoviti ho fame!”
Camminavamo
uno di fianco all’altro, e se ci fosse stata
l’opzione “rallentatore”, saremmo
sembrati il tipico gruppo di amici. Accade a metà de
corridoio che portava alla
mensa. La nostra trionfale marcia, che cominciava a divertirmi, venne
interrotta nel momento in cui una mano mi si poggiò sulla
spalla con decisione,
fermandomi. Mi girai di scatto, facendo contemporaneamente un passo
indietro, e
mi ritrovai davanti Roger stesso. Eloin, mi prese per un braccio,
scrutando
preoccupata la mia espressione si puro disprezzo, mentre gli altri due
erano
andati avanti, abituati dalla routine.
“Cosa
vuole?”
Lui
mi
guardò con un sorrisino nervoso rivolto alla ragazza alla
mia destra, e mi
pregò di seguirlo. Fece per girarsi, ma si gelò,
sentendo le mie parole.
“Cosa
vuole?”
Si
girò,
fissandomi con una diversa espressione.
“Ti
ho
detto di seguirmi BB, e tu lo farai, chiaro?”
“Non
stavolta” conclusi e mi voltai, per avviarmi al tavolo della
colazione.
“BB!
Girati e non mancarmi di rispetto!”
Mi
girai
di nuovo, con Eloin sempre al fianco. Le sorrisi, quando mi chiese
cautamente
se volevo che andasse avanti.
“Non
ti
preoccupare Eloin, non devo andare da nessuna parte. ”
“Invece
devi seguirmi, e subito, BB!”
“No.”
“Come
hai
detto?”
“Quale
parte della parola NO non le è chiara?”
“Ti
ho
detto di non mancarmi di rispetto. E di seguirmi! ”
“Perché?”
“Perché
devi fare una cosa per me”
“Cosa?”
“Lo
sai
benissimo, non fare il finto tonto! Non mi sembra ti sia mai
dispiaciuto, perciò
ora mi seguirai e farai ciò che ti chiederò. Lo
sai meglio di me, che lo farai”
“Credo
che lei non abbia afferrato il concetto: non stavolta. Ora se mi da il
permesso
vado a colazione.”
“Non
ti
do il permesso! Vuoi un altro paio di giorni dove sai?”
“Oh,
non
lo farebbe, se no dopo non avrei abbastanza forza nel braccio per
affondare una
lama di trenta centimetri buoni nella carne, nei muscoli eccetera
eccetera,
no?” chiesi, con toni ironici.
Eloin
spalancò gli occhi, tentando di celare la sorpresa. Alcune
persone si erano
fermate, e ascoltavano il dialogo, con interesse mal nascosto.
“BB,
mi
sto arrabbiando.”
“Mi
dispiace molto, non dovrebbe affaticarsi alla sua età, vuole
che chiami
qualcuno che la accompagni in ufficio? Faccio in un attimo!”
esclamai fingendo
propositività, e scivolando via.
Fui
di
parola, tornando dopo pochi secondi con un’ infermiera,
mentre un rossissimo
Roger urlava, cercando di trovarmi in mezzo agli altri. Glielo indicai,
e mi
avvicinai dietro di lei. Lo vidi venir scortato via, e lo salutai con
la mano,
sorridendogli luminosamente.
Sapevo
che se ne sarebbe riparlato e che sarebbero stati cavoli ma…
Non
mi
importava affatto! Per una volta l’avevo vinto. Mi ero vinto.
AVEVO VINTO.
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Capitolo 8 *** Inferno per due ***
Ero sdraiato sul letto, ed Eloin
era seduta sulla
mia scrivania.
Ero passate alcune ore, e ci
stiamo decisamente
annoiando.
“Che
facciamo?” chiese annoiata per l’ennesima volta,
tirandosi indietro i capelli
con un gesto fluido della mano.
Sbuffai ,
osservando il soffitto. Quelle crepe le saprei vedere a occhi chiusi.
“Boh...
che vuoi fare?”
“Ho
fame”
“Vieni”
Uscimmo dalla stanza, e ci
sgranchimmo le gambe,
camminando verso la mensa, per chiedere un vasetto di miele per lei.
Quando
dopo poco tornammo a mani vuote, lei era ancora più annoiata
e depressa di
prima.
Stavolta fu
lei a lanciarsi acrobaticamente sul letto, e io a sedermi poco convinto
sulla
scrivania.
“BB,
ti
piacciono gli animali?”
“Mmmh…
non lo so… non ne ho mai avuti…”
“Si,
ma
se ti dicessero che puoi avere un cane, che faresti?”
“Ma non succederà mai!” ribattei.
“Si, lo so, ma metti caso…?”
“è
impossibile che succeda”
“Eddai!
Ti ho detto che lo so! Ma se succedesse?”
“Che
senso ha porsi un problema che non si creerà mai?”
“Uff…
se
io ti chiedessi cosa vorresti fare che mi risponderesti?”
“Che
tanto non posso fare niente.”
“Ma
tu ce
li hai dei sogni?”
Non
risposi, ma sbadigliai,
“Come
puoi non avere dei sogni?”
“Fai
dei
discorsi strani, Eloin… ”
“No,
rispondimi, si cosa sei, senza sogni?”
“Questo
non è luogo per sogni”
“Al
contrario BB, non capisci che nei luoghi con meno speranza, i sogni
sono di
più? Cosa si può sognare se si è
davvero felici?”
Era la
prima volta che mi contraddiceva, di solito la mia logica era
inattaccabile, ma
la verità era che stavolta aveva toccato un punto delicato.
“Non
ci
sono persone felici. Nessuno può essere felice.”
“Lo
so. E
per questo… tu hai sogni?”
Sbuffai,
volgendomi alla finestra. Sogni. Certo che ne avevo, ma cercavo di
pensarci il
meno possibile, poiché sapevo che erano irrealizzabili.
“Io…
uff…
non ho voglia di parlarne.”
“La
verità è che hai pura BB! Non sono stupida,
perciò piantala di dirmi cavolate!
Perché svii tutti gli argomenti seri che cerco di
affrontare? Perché non hai
mai cercato un amico, per cominciare! E.. quali sono i tuoi interessi,
o perché
hai sfidato L, o quali sono i tuoi sogni! Tu hai paura di avere
un’amicizia
vera BB! Tu non vuoi che io sappia qualcosa di te! Ed è una
cosa seccante e
stupida!” esclamò lei, alzandosi, e avvicinandosi
a me. Io mi voltai a mia
volta.
“E
se
davvero non vuoi avere un’amica, io che ci faccio
qui?” mi chiese infine,
facendo per girarsi.
La mia
mano si mosse da sola, e la fermai per una spalla, causando uno scatto
dei suoi
occhi sui miei, il rosso dei quali brillò, senza spaventare
per una volta,
nessuno.
“Che
c’è?”
Già.
Emm…
non avevo idea di cosa dire, ma non volevo che se ne andasse.
L’aria era tesa,
e i suoi occhi lampeggiavano di impazienza e rabbia.
Ancora
una volta, il mio corpo agì da solo, e, sempre con una mano
posata sulla sua
spalla, mi alzai, guardandola dritto negli occhi. Non avevo la
benché minima
idea di ciò che stavo facendo, e a quanto era facile
dedurre, neanche Eloin, i
cui occhi nascondevano un fondo di curiosità.
Insomma, la
abbracciai.
Spalancò
gli occhi, e per un momento rimase ferma e stupita, ma un attimo dopo,
ricambiò
il mio abbraccio impacciato, con affetto e dolcezza.
Il calore
che mi trasmetteva il suo corpo, la sensazione di avvolgerla, mi faceva
sentire
come la madre di un uccellino appena nato, che lo stringe a se, sotto
le ali.
Tutta la tensione era magicamente scivolata via, e entrambi speravamo
che quel
momento, momento nel quale l’imbarazzo aleggiava lontano,
momento nel quale il
mondo non sembrava il nostro, e dove ci sentivamo semplicemente bene,
non
finisse mai.
Ma non
esistono cose infinite, tranne, forse l’universo.
E fu
così, che, a spezzare la magia fragile, una voce
sconosciuta, o conosciuta fin
troppo, si alzò, sarcastica e provocatoria.
“Ma
che
bel quadretto”
Eloin, colta
la situazione in meno di un secondo, si girò, davanti a me.
Si trattava di
quattro degli uomini di Roger. Sembravano riempire tutta la stanza, ma
non mi
spaventarono tantissimo: sapevo che sarebbero arrivati, e anzi, mi ero
stupito
che ci avessero messo così tanto.
“Cosa
volete?” chiese invece la ragazza, ostentando sicurezza.
Uno degli
uomini sorrise, facendo un piccolo passo avanti, simile a una iena,
davanti a
due passeri inermi, e pronto a squartarli.
“Noi
non
vogliamo proprio niente carina, ma Roger gradirebbe discorrere con BB
della sua
condotta.” Disse ironicamente, sogghignando.
“Io
dico
che dovrebbe essere Roger a rivedere la sua condotta!”
esclamò con freddezza
lei, facendomi sussultare. Che stava facendo? Non si poteva parlare
così a quei
tipi, non erano certo inclini al perdonare facilmente, anche sapendo di
poter
tranquillamente abusare del potere concesso loro.
La
spostai, e mi avvicinai loro, parlando con la mia solita voce atona e
disinteressata, anche se faticavo a costringermi a quello che si
può chiamare…
suicidio…
“Non
credo che EE dicesse sul serio, è piuttosto incline agli
scherzi. Conducetemi
pure da Roger, sono impaziente di parlargli.”
Eloin
fremette di rabbia.
“NO!”
esclamò, poco prima che mi mettessero le manette.
“Ha
qualcosa da dire lettera E?”
“Certo!
Anche io fremo dalla voglia di incontrare il nostro stimato direttore,
e mi
piacerebbe accompagnare BB.” Disse dopo pochi secondi con
voce decisa,
affiancandosi a me.
Le
lanciai un’occhiata allarmata.
“EE,
non
ce n’è bisogno” dissi con voce un
po’ più urgente- “Mi hai informato di
ciò che
vorresti dire a Roger, quindi posso farlo al tuo posto!” affermai, fermando gli
uomini che stavano con
sadica accondiscendenza, prendendole i polsi.
“Ma,
BB,
desidero dirgli ciò che credo di persona!”
ribatté lei.
Stavo per
risponderle a tono, ma mi interruppero.
“Insomma
se proprio vuole, che così sia, ma piantatela di
blaterare!”
Tentai
allora di catturare il suo sguardo, per dissuaderla da quella follia,
ma lei
fissava davanti a se, decisa.
Lasciammo
la stanza, affiancati da quegli energumeni, e percorremmo il corridoio
in
silenzio.
Loro
andavano in fretta, costringendoci alla loro andatura, e vidi solo di
sfuggita
Matt che, uscito dal bagno, si pietrificò alla vista di
Eloin, con gli occhi pieni
di paura per lei. Avevo in effetti colto, il loro legame, ancora non
molto
profondo ma destinato a diventarlo, che si andava solidificando man
mano che
avevano occasione di parlare.
Ma
il rossino non poté far altro che osservare il nostro
passaggio, con
l’impotenza nei movimenti.
Andammo
ancora avanti, fino al conosciuto ufficio di Roger. Quando entrammo
nella
purtroppo familiare stanza, Eloin si guardò intorno, mentre
l’uomo alla
scrivania si alzava e chiedeva come mai fossimo in due.
“Hanno
insistito tanto” commento disinteressato il mio aguzzino.
“Poco
male. Avevo giusto intenzione di avere un piccolo colloquio anche con
la
lettera EE, per iniziarla al carcere in modo migliore. A quanto pare
non ha ben
capito dove siamo e si prende un po’ troppe
libertà. Per esempio, tenere un
diario! Beh,portate un’altra sedia, no?”
Quando
essa arrivò, ci fecero sedere (leggasi ci sbatterono sulle
sedie) e, sotto lo
sguardo stupito di Eloin, venni legato come al solito.
Quando
sembrò volere chiedere il motivo per il quale era stata
esonerata, Roger la
precedette.
“Vedremmo
come si comporterà, EE, e agiremo di conseguenza,
com’è giusto che sia. Bene.”
Disse, sedendosi e scrutandoci attraversi gli occhiali, mentre gli
uomini
uscivano.
Abbassai
la testa, reso rabbioso dalla situazione. Eloin non sapeva che
perversione
nascondesse Roger. A lui piaceva torturare la gente. Provava gioia a ogni gemito.
“Allora
signorina, forse questo ragazzo potrà esserci utile per
fornirle un esempio di
cattiva condotta. Oggi infatti mi ha mancato di rispetto,e se
c’è una cosa che
qui non bisogna fare, è proprio questa. Infatti credo che
sarà necessaria una
piccola punizione, vero BB?”
Parlava
come si parla a un ritardato.
“Ma
ora parliamo di lei, EE. Come ho accennato prima, mi trovo costretto a
fermarla
da questa sua.. assurda attività. E se proprio vuole
continuare a scrivere,
beh, mi troverò costretto a legger ogni giorno
ciò che annota.”
“Perché?
chiese un po’ intimorita lei.
“Beh,
signorina, lei non è qui per domandare, perciò si
limiti ad ascoltare
attentamente. Io sono il capo, giusto?” chiese.
Silenzio.
“Le
ho fatto una domanda”
“Oh…
si…”
“Esatto, brava!
Quindi, se io dico che lei non
deve tenere un diario.. lei non lo deve fare, chiaro? Bene! Ora,
affrontiamo la
questione della voce. Ecco, io apprezzo la sua bella voce, ma dovrebbe
evitare
di ridere in questo posto, grazie!”
“Ma…
ridere è il linguaggio dell’anima.. o almeno
così diceva Neruda…”
“Signorina
le ho già detto come stanno le cose!”
ribatté Roger alzando di poco la voce.
Lei
sbuffò, muovendosi sulla sedia.
“E
ora, direi che possiamo utilizzare l’altra lettera per
metterla in guardia. Non
pensi che non abbia capito che è una da tenere
d’occhio. Dunque… BB… oggi hai
agito in maniera molto scorretta.”
Alzai
il volto di scatto, fissandolo negli occhi.
“Non
dica cazzate” scandii, osservando i due punti nero lucido
oltre i suoi occhiali
“Cominciamo
bene” sospirò lui di rimando, distogliendo
nervosamente lo sguardo.
“Facciamo
così: tu ora mi chiedi scusa e non se ne parla
più.”
Inclinai
leggermente la testa, contenendo la mia rabbia, e continuando a
guardarlo.
“Sa
che non lo farò. Avanti, mi faccia male. Faccia vedere a
Eloin che cosa succede
quando uno si ribella all’ingiustizia di coloro che
dovrebbero punire la sua.”
Roger
strinse gli occhi, ed Eloin, si voltò verso di me.
“BB,
spero non dovremmo ripetere la stessa scenata dell’altra
volta.”
“Se
mi slega le assicuro che stavolta finisce diversamente. Crede che le
piacerebbe
l’ospedale?”
“Insomma
BB! Non mancarmi di nuovo di rispetto!”
“Non
ne ho mai nutrito per persone come lei” dissi con disprezzo.
“Mi
costringi a reagire. E tu EE, osserva attentamente.”
Si
alzò, sospirando con ipocrisia. Mi stavo proprio credendo
cos’avrebbe fatto
stavolta, che metodo avrebbe adottato. Avevo ancora delle bruciatura
dietro il
collo. E una ferita sul braccio. Ma era dietro di me, non potevo certo
vederlo.
Ma Eloin si. E il suo sguardo era sempre più terrorizzato.
Quando
rientrò nel mio campo visivo, nella sua mano destra
stringeva una mazza da
baseball. Non lasciai trasparire nulla, ma dentro di me avrei voluto
urlare. Un
inferno, sarebbe stato un inferno.
“Allora
BB… cambiato idea?” chiese ironico, alzando la
mazza per prendere la mira.
“Mai.
Figlio di puttana. Coniglio di merda.”
Il
primo colpo. Sussultai, spalancando gli occhi. Per poco non mi lasciai
sfuggire
un gemito. Mi aveva colpito sulla spalla destra, così forte
che avevo sentito
il mio osso.. vibrare.
Eloin
lanciò un piccolo urlo, alzandosi, e mettendosi davanti a me.
“Lei
non può!” esclamò scioccata.
“Levati
Eloin. Tanto succederà lo stesso” dissi
amaramente, con fermezza.
“NO!”
“EE,
e ho chiesto di osservare, non di intervenire. Si faccia da
parte.”
Ma
lei non si mosse, e anche se non li vedevo, i suoi occhi brillarono,
rivelando
un animo ribelle.
“Lo
lasci stare.”
“ELOIN
LEVATI!” urlai, scorgendo di sfuggita un mezzo sorriso di
Roger, che stava
rialzando la mazza.
“NO!”
urlai, mentre la abbassava su di lei, con sadismo. I miei polsi si
segarono
sulle corde mentre mi dimenavo.
Eloin
urlò, e cadde a terra.
Dietro
di lei, quello che uomo non è. Sorrideva. Sorrideva.
Urlai
ancora, di rabbia, di impotenza.
Ma
la mazza calò anche su di me.
E
fu il buio.
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Capitolo 9 *** Follia infernale ***
Di
nuovo, i miei sensi si risvegliarono a distanza.
Qualcosa
mi teneva in piedi per i polsi, contro un muro. Qualcosa di duro e..
cerchi di
metallo. Freddi, stretti, causavano alle mie mani un leggero
formicolio. Potevo
udire un respiro regolare, facendo attenzione. C’era un odore
anonimo, uguale a
quello dei corridoi. La mia mente ricostruiva velocemente gli eventi, e
ogni
secondo, mi veniva più voglia di rompere il collo a quel
grandissimo gigolò,
figlio di losca madre. Avevo un mal di testa pulsante. Infine,
lentamente,
aprii gli occhi, e vidi innanzi tutto i miei capelli, che vi ricadevano
sopra.
Poi un pavimento bianco, di cemento, e miei piedi su di esso. Tentando
di non
muovermi, spostai lo sguardo in alto, ma il mio campo visivo era molto
limitato.
Infine, chiedendomi chi fosse il possessore del respiro lieve che
udivo, alzai
il capo.
Era
Eloin.
Era
sulla parete di fronte alla mia, anche lei con due cerchi di metallo ai
polsi
che la tenevano in piedi.
La
visione della sua persona in quello stato di abbandono, mi
provocò una scarica
di dolore peggiore di quelle di Roger e dei suoi metodi di tortura.
Nel
momento in cui realizzai ciò che avevo visto, tentai di
liberarmi in tutti i
modi, ma invano. In compenso mi guadagnai alcune ferite sulle mani, e
uno stato
maggiore di angoscia.
I
miei pensieri erano solo su di lei, e sulla rabbia, irrazionale,
incondizionata. Così come il cane, se bastonato, amerebbe lo stesso, io, odierei
anche se lusingato
come un dio.
Ripresi
a divincolarmi, con frenesia, incurante del fatto che era ormai
più che
evidente che ero sveglio.
Potrò
mai ridere?
Portò
mai non provare desiderio di cambiare la situazione in cui mi trovo?
Potrò
mai semplicemente essere felice?
Mi
fermai di scatto, riacquisendo la freddezza e il distacco, almeno in
parte.
Pensai,
con sistematicità, realizzando una previsione di quello che
sarebbe successo.
Sicuramente
Roger non aveva finito li. Probabile che volesse rimettere alla prova
Eloin,
punendomi ancora. E se non fosse stato soddisfatto…
l’avrebbe sottomessa a
torture. Era fondamentale che la scena non si
ripetesse. Non appena Eloin si fosse
svegliata, sarebbero arrivati. Sbuffai, frustrato. Dovevo assolutamente
avvisarla di stare da parte. Ma come? Parlandole, avrebbero sentito
anche loro,
presumibilmente c’erano telecamere e microfoni.
L’unica mia speranza era che capisse le labbra.
O se no avrei potuto
improvvisare un codice. Pensavo ancora, quando sentii un gemito, che mi
fece
sobbalzare. Si era svegliata. Ora o mai più.
“Eloin!”
“Mmmh…
” alzò la testa
Cercai
disperatamente il suo sguardo, e lo incrociai poco dopo.
Mossi
le labbra lentamente, assicurandomi che se ne accorgesse. Ripetei le
due parole
per più volte. “Non intervenire”
Lei
aveva uno sguardo determinato e concentrato. Annui. Ma poi mi
guardò di nuovo,
e nei suoi occhi lessi paura, per se e per me. Sapevamo entrambi che se
non
avesse resistito agli impulsi, sarebbe finita male per entrambi. Non
sentimmo i
passi che si avvicinavano, e sobbalzammo quando quattro persone
entrarono, e si
avvicinarono a noi, due ciascuno, tirandoci giu, e scortandoci di nuovo
in quel
tunnel degli orrori, l’ufficio di Roger.
Quando
entrammo, si stava bevendo un caffè, un caffè
molto buono a giudicare
dall’odore. Ci guardò beffardamente, mentre
venivamo tutti e due legati alle
sedie, Eloin solo per i posi, io anche per le gambe, ma non
trovò la
soddisfazione di leggere qualcosa nei nostri comportamenti, ne paura ne
altro.
Tutti e due avevamo adottato la tipica tecnica del distacco.
“Rieccovi
qui- cominciò l’uomo- “spero che
stavolta vi comporterete meglio! Dunque, EE,
non credo ch elei abbia capito cosa voglia dire obbedirmi! Quindi credo
che- e
qui sogghignò- dovremmo imprimere meglio la
lezione!”
Detto
ciò finì velocemente il caffè,
osservandoci attentamente.
Po
si alzò, e andò di nuovo dietro di me.
“Bene
BB… che fare? Mmmh… ”
Stava
scegliendo. Che cosa snervante.
“Riprendiamo
da dove ci eravamo interrotti.” Disse poi, ritornandomi
davanti con quella
stessa mazza da baseball.
Chiusi
gli occhi per una frazione di secondo, preparandomi al dolore fisico e
psicologico che avrei provato. Stavo per aprire la bocca, quando mi
colpì,
cogliendomi alla sprovvista, sempre nello stesso punto.
Mi
lasciai sfuggire un lieve gemito, che sembrò nutrire i suoi
occhi.
“Figlio
di…”
“Non
essere volgare davanti a una minorenne! È segno di cattiva
educazione!”
Strinsi
i denti, ricevendo un altro colpo, sul polso. Provavo un dolore fisico
lancinante, tale da farmi venire le lacrime agli occhi.
Non
potevo vedere Eloin, ma intuivo cosa provava. Io al suo posto non avrei
resistito.
Un
altro colpo sul polso. Credevo di stare per esplodere.
Trovai
la forza di guardarlo negli occhi, con odio.
“Fottuto
stronzo!”
“BB,
ti ho detto di non essere volgare!”
“Vaffanculo!
”
“BB!”
esclamò compiaciuto il mio aguzzino, poggiando la mazza, e
uscendo ancora dall
mia visuale.
In
quei pochi secondi, tentai di riacquistare lucidità.
Poi
lo rividi, e la mia mente vacillò. Quella era…
una mannaia.
Sgranai
gli occhi, e lo guardai stupito: non si era mai spinto così
oltre. Mai danni
mortali, o mutilazioni!
“BB…
vedo che sei sempre più ostinato. Quindi, ricorro a metodi
poco belli!” parlava
come se stesse facendo la predica a un bambino.
“Ora…
se non mi chiedi scusa- alzò l’arma sulla mia
mano- di addio al tuo indice. So
che suoni la chitarra.”
Non
potevo essere più inerme che a quell’affermazione.
Non credevo a ciò che avevo
appena sentito, e sono allora mi resi conto di quanto fossi in balia di
quell’
essere.
“No…”
sussurrai
“Si!”
esclamò Roger.
“Lei..
non può!”
“Posso
invece. Ora muoviti. ”
“Io…
” respirai più forte.
“Io…
io mi…”
“Bravo,
così!”
Trassi
un profondo respiro.
“Scuso.”
“Dillo
bene!”
“Oh
cazzo! Cos’altro vuole che le lavi il pavimento?”
“No,
non ce n’è bisogno per ora”
“Vaffanculo
fottuto gigolò di merda!”
“Oh…
ma così ti devi scusare di nuovo!”
“VADA
A FARSI FOTTERE!”
“Calmo
BB, calmo!” esclamò, felice di se.
“Credo
di voler testare una cosa…” disse poi, spostandosi
davanti a Eloin. Mi ero
dimenticato di lei.
La
guardai. Era in lacrime, e stringeva i braccioli spasmodicamente. Stava
guardando Roger, fermo davanti a lei, con la mannaia.
“Facciamo
così, BB. Io non tocco la tua chitarra, ma se non mi chiedi
scusa, la tua vicina
di stanza perde una mano.”
Osservai
la scena a bocca aperta. Eloin era inorridita, e aveva chiuso gli occhi.
“NO!
LEI LA LASCI STARE!” gridai in preda all’ira.
“Io
faccio quello che voglio. E ora… ti scusi?”
“Si”
“Dillo”
“Mi
scuso” esalai, fissando Eloin.
“Bravo,
BB, bravo” disse Roger, poggiando l’arma e
avvicinandosi a me. Alzò la mano,
per darmi un buffetto ironico sulla guancia.
“Non
ci provi.”
“Perché
no?” chiese guardandomi dall’alto, con la mano
ferma a metà.
“Perché
non voglio che lei mi tocchi.”
“Non
mi interessa quello che vuoi, Bakup. ” mi rivelò
infine, abbassando
definitivamente la mano, e poggiandola sulla mia spalla.
Tremavo
di rabbia.
“Che
hai BB?” chiese con sarcasmo.
Fremetti
ancora di più. Il contatto con quell’essere mi
rendeva più simile a un animale,
mi privava di razionalità, di lucidità. Sentivo
solo rabbia, non riuscivo a
pensare ad altro, per quanto, una piccola parte di me tentasse di
calmarmi.
Roger mi guardò, come si guarda un perdente, mentre piegavo
la testa in un
estremo tentativo di dominarmi, mentre i miei occhi
lampeggiavano d’ira profonda.
E fece ciò che non avrebbe dovuto fare.
Lentamente,
sorridendo per il proprio sporco potere, la sua… la sua mano mi
sollevò il mento, portando i
miei occhi a lui. Quasi non riuscivo a muovermi dalla
rabbia… più che rabbia…
desiderio primoridiale di dilaniare, squartare, linciare, martoriare,
portare
morte e ridere di ciò.
Quella
piccola razionale parte di me venne annullata.
La
mia forza fremeva dentro di me, e in un secondo, non riuscii
più a controllarla
come facevo sempre. Tutto uscì, in una volta sola.
Frustrazione, senso
d’impotenza… tutto. E in un secondo, non so come,
mi ritrovai in piedi. La
sedia era in frantumi, a terra, mentre non riuscivo a calmarmi. Non
potei
neanche chiedermi come avevo fatto, che i miei occhi dannati si
posarono di
loro volontà su Roger, con uno sguardo che avrebbe perforato
il platino. La
piccola parte razionale era tornata, benché impotente, e
urlava dentro di me,
tentando di fermarmi. Ma il corpo non le rispondeva più.
Roger
mi fissava a bocca aperta.
Scoppiai
in una risata di scherno e follia.
E poi…
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Capitolo 10 *** Infernalmente folle ***
THINK
OF ELOIN EDUD
Lentamente,
sorridendo per il proprio sporco potere, la sua… la sua mano
sollevò il mento di BB, portando
i suoi occhi a lui.
Vidi
BB fremere, scosso da qualcosa che risiedeva dentro di lui, e che
voleva
uscire. I suoi occhi erano dilatati, e un aura di violenza aleggiava su
di lui.
Fu in quel momento che rividi la fiera che vi avevo scorto guardandolo
dormire.
Pronta a dilaniare,
squartare, linciare,
martoriare, portare morte e ridere di ciò. Ma stavolta non
riuscii a scacciare
l’immagine, perché non era frutto di dicerie. Era
davvero li davanti a me, e
nonostante il BB che conoscevo tentava di fermarla, sapevo che non ci
sarebbe
riuscito. Successe in un secondo, un rumore sonoro di legno che si
spezza, e fu
in piedi, in tutta la sua statura, simile al Dio della morte. I suoi
occhi
erano gli occhi di un folle, i suoi lineamenti quelli di uno
psicopatico, il
fremito mal controllato dei muscoli, sotto la pelle, quelli di un
assassino,
tutto il suo essere, una creatura primordiale.
Roger
fermo immobile, lo fissava a bocca spalancata, ma apparentemente non
troppo
terrorizzato.
Poi,
però, gli occhi rubino di BB, si posarono sulla mannaia, la
stessa con la quale
ci avevano minacciato.
L’espressione
di Roger cambiò, divenendo più consapevole del
pericolo.
E
al’improvviso, un suono che non dimenticai mai,
segnò la completa follia di
Beyond Birthday. Quella che usciva dalla sua bocca non era
una… risata…
era qualcosa di assolutamente inumano.
Qualcosa che mi fece correre i brividi lungo la schiena.
Mi
sentii… sola fra le belve, legata a una sedia, in loro
balia. BB non era più la
persona che conoscevo, mi faceva paura, temevo uno scatto dei suoi
muscoli, un
lampeggiare dei suoi occhi.
“Beyond
Birthday” disse con voce controllata Roger.
Lui
reagì, con uno scatto innaturale del collo, mentre la risata
si affievoliva,
lasciando un sorriso grottesco sulle sue labbra.
“Sai
che posso chaimare le mie guardie del corpo quando voglio.
Perciò datti una
calmata. Siediti e passerò sopra questo tuo
scatto.”
Ma
il ragazzo non parve ascoltarlo, e si limitò ad accentuare
il sorriso di
follia. Poi si avvicinò a Roger, lo osservò, e
ridacchiando, constatò:
“Tu
morirai! ”
Era
pazzo…
Scoppiò
a ridere di nuovo, continuando a ripetere quelle parole. Roger lo
guardava, con
stupore, ma anche con curiosità.
Io,
impotente assistevo, con la paura che mi percuoteva. Beyond Birthday,
smise di
ridere di colpo, si fece serissimo.
Portò
i suoi occhi a pochi centimetri da quelli di Roger.
“Tu
morirai”
E
poi, passò alla rabbia. Lo disse con disprezzo, ancora una
volta.
“Tu
morirai”
Alzò
una mano, chiusa a pugno, e la guardò, con interesse. Poi
guardò il volto
dell’essere davanti a lui. Inclinò la testa e
proprio quando Roger stava per
lanciare un urlo alle guardie, i muscoli si tesero, elegantemente, con
forza
misurata, scagliando il pugno sul suo naso e facendolo cadere a terra.
Non
stette poi troppo a guardare il suo operato, bensì,
alzò le spalle, e sorrise
lievemente. Cominciando a prenderlo a pugni, con le mani, che
lentamente si
tingevano di rosso, scuro e lucido. Roger non poté fare
niente.
Io
non potevo fare altro che osservare, mentre tentavo freneticamente di
liberare
le mie mani, sudate.
Alla
fine, disperata, lanciai un grido relativamente forte
“BB!
FERMO!” quasi glielo imposi.
Lui
si fermò di scatto. Roger sembrava aver perso conoscenza, e
il sangue gli
permeava la faccia.
Il
ragazzo mi dava le spalle, ma potei vederlo, perfettamente immobile,
per un
minuto buono, mentre il suo respiro si regolarizzava. Si
raddrizzò, finalmente.
Aveva i palmi aperti, e lasciava scivolare via il liquido rosso da esse.
Si
girò, e il suo sguardo si piantò nel mio con
forza. Un ghigno era stampato sui
suoi lineamenti, il suo viso era distorto, ma ciò che
più mi fece paura erano i
suoi occhi. Erano come entità proprie, completamente
sacrificate alla morte.
L’unico desiderio che vi potevo leggere era quello di
uccidermi. Si avvicinò, e
mi si inginocchiò davanti, per guardarmi faccia a faccia.
Cominciavo
a pensare di non aver fatto la scelta giusta. Mi scrutava, divertito
dal potere
che poteva esercitare su di me, visto che io ero legata a una sedia,
mentre
lui, libero in una specie di sala per le torture, a giudicare
dall’arsenale di
piccoli oggetti che certo non volevo provare sulla mia pelle poggiati
su un
piano alle mie spalle, che avevo osservato precedentemente.
Con
la mano destra, mi sfiorò il viso, inclinando la testa,
leggermente, come un
bambino che vede per la prima volta un giocattolo. Senti le sue dita
bagnate di
sangue che sporcò anche me, lasciando una scia.
Lui
sorrise, raddrizzò il collo, e tirò fuori una
voce che mi fece tremare, tanto
era crudele, falsa, non sua.
“Eloin
Edud… anche tu… morirai…”
“BB!
BB ti prego! ” tentai di richiamare la sua
razionalità.
Come
pronunciai il suo nome, gli occhi gli si illuminarono, e un sorriso
ancora una
volta lo distorse, eternamente pedina della pazzia.
“Si?
Sono io BB! Hahaha!” di nuovo quella risata.
“No…
tu non puoi essere BB! ”
Ritornò
serio, rispondendomi.
“Tu non mi conosci… ”
Sentivo
le lacrime che mi spuntavano dagli occhi. Dov’era BB? Non
certo li davanti a
me, non ci potevo credere. Così crudele… il
ragazzo che io conoscevo era un
altro…
La
sua mano si mosse di nuovo, la alzò a mezza’aria,
si fermò un momento, e mi
spostò i capelli dal viso.
“Tu…
sei bella… ” constatò.
“BB…
”
“Anche
lei… era bella…” disse con voce persa.
I
suoi occhi si spostarono dai miei, cercando qualcosa, nella memoria.
“Lei…
”
BB
fremette, e quando riuscì di nuovo a incatenare il suo
sguardo al mio, vi potei
scorgere smarrimento, paura, dolore. E poi, dal dolore, nacque una
nuova
rabbia, una nuova luce folle.
“è
tutta colpa sua… ”
“Di…
di chi?”
Ma
lui non mi stava più ascoltando. Continuava a ripetere
quella frase,
sussurrando.
“Qualcuno
deve pagare, per questo. ” disse infine., alzandosi in piedi.
“Perché
ora, ogni volta che vedo qualcosa di bello… mi ricorda
lei… ” disse,
guardandomi ancora.
“E
tu sei bella.” Disse con rabbia.
La
mia paura aumentò. Cosa voleva fare?
“Io
devo distruggere le cose belle.” Sussurrò.
“DEVO.”
“NO
BB! NON DEVI!”
“TU
STA ZITTA!” scattò.
Sussultai.
Non mi aveva mai urlato addosso prima d’allora.
“BB…
ascoltami!” ritentai, ma ottenni solo una maggiore rabbia da
parte sua.
“NO!
STAI ZITTA! IO SO COSA DEVO FARE! TU NON MI CONOSCI! TU NON SAI
COS’HO PASSATO!
NON HAI IDEA DI CHI SONO! NON PROVARE A GIUDICARMI, O A DIRMI COSA
FARE!” lo
urlò con sprezzo.
“E
tu non provare a disprezzarmi solo perché ti ricordo
qualcuno che non c’è più!”
“LEI…
lei c’è ancora… me lo ha
detto…. Dentro di me… mi ha detto che se me la
ricordo… vivrà per sempre…”
stava tentando di controllare il tono della voce,
timoroso di apparire debole, continuando a urlare.
Scorsi
Roger dietro di lui, che si muoveva flebilmente, verso un pulsantino
rosso
sulla sua scrivania, che avrebbe richiamato le guardie. Esitai. Dirlo a
BB? Ma
avrei rischiato di essere poi uccisa io stessa, ormai aveva perso la
testa. Se
le guardie fossero arrivate, invece, lo avrebbero fermato, e mi
avrebbero
salvato la vita. Ma l’avrebbero salvata anche a Roger. Ero
pronta a
sacrificarmi per uccidere, indirettamente, Roger? No. No,
perché in seguito, BB
sarebbe stato ucciso, o messo in isolamento a vita, e io sapevo che
quella
follia non era il suo vero essere.
BB
era ancora fermo davanti a me, ma i suoi occhi si posarono sulla
mannaia,
caduta durante la colluttazione, vicina a lui. Dopo averla contemplata
per
qualche istante, la raccolse, e la soppesò. Si
portò la lama davanti agli
occhi, e la sfiorò, sporcandola di sangue. Fece un
espressione soddisfatta, e
il suo terribile sguardo fu di nuovo su di me. Il suo essere era ora
malizioso,
compiaciuto, ma ancora affamato di sangue. C’era un
sorriso… scusate, un
ghigno, sul suo viso.
“BB
no!”
Mi
guardò con più insistenza.
“BB…
si…” sussurrò, in risposta.
Impugnò
con decisione malata la mannaia, e
la
alzò, osservando il mio corpo, e decidendo dove colpirmi.
Infine, le sue
pupille si stabilizzarono, e parve
ancora più compiaciuto.
“Ultime
parole?” chiese con sarcasmo.
Tentai
un’ultima volta di svegliare la parte di lui a me nota.
“BB…
non lo fare… ti prego… ” ma la mia
preghiera fu vana.
“Sicura
di voler morire pregandomi di risparmiarti?”
“Idiota!
Non ti sto chiedendo di risparmiarmi, ma di tornare te
stesso!”
“Io
sono, me stesso.”
Lo
guardai sconsolata, mentre si preparava a squartarmi, con freddezza.
Nonostante
più lacrime mi bagnassero il viso, la mia vista non era
offuscata, vedevo
benissimo la sua follia.
Ma
un attimo prima che tutto andasse perduto.
Un
attimo prima che il sangue scorresse copioso.
Un
attimo prima.
Roger
premette il pulsante. un rumore forte, penetrante, di allarme,
riempì le nostre
orecchie. Subito, le porte vennero aperte da alti energumeni, vestiti
di nero,
che, vista la situazione, in due andarono a soccorrere Roger, in dieci
a
fermare BB.
Il
ragazzo era un unico ammasso di rabbia, per ciò che stava
succedendo. Sapeva di
non poter opporsi a tutti quegli uomini. Aveva perso, ormai. La mannaia
ferma a
mezz’aria, chiuse gli occhi per un istante, traendo un
profondo respiro, in
attesa di sentire il freddo metallo attorno ai polsi. Io, al contrario,
venni
slegata, e qualcuno mi chiese se stavo bene, mentre venivo portata
fuori. Vidi
confusamente BB a terra, mentre i calci lo investivano senza che
potesse
difendersi, e un uomo raccoglieva la mazza da baseball. Ma non ebbi la
forza di
reagire, e un attimo prima che intorno a me ci si convincesse che stavo
bene, i
miei occhi si chiusero, e caddi nel vuoto.
|
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Capitolo 11 *** Capisci l'inferno? ***
THINKS OF ELOIN EDUD
Quando il mio cervello riprese a funzionare, ero su un materasso… il mio materasso. Aprii gli occhi. ero stata adagiata sul letto della mia camera/cella. Non c’era nessuno nella camera, solo un grande silenzio. Immagini vivide mi ritornarono con prepotenza nella mente, facendomi rabbrividire. Mi sedetti, e misi i piedi per terra, in procinto di alzarmi, ma qualcosa mi fermò. Sul piccolo comodino di un indefinito bianco-sporco, era poggiato un foglio di carta e un piatto di pane e miele. Lo osservai per un momento, prima di afferrare un pezzo di pane e mangiarlo, resami conto di avere una gran fame. Ero molto in ansia, e i miei occhi spaziavano nervosamente dal comodino, al pane al resto della stanza.
Dov’era BB?
Il silenzio era rotto ogni tanto da urla di dolore, nevrosi o rabbia cui ormai mi ero abituata. Rabbrividii di nuovo, decidendomi a prendere in mano il foglio di carta, terrorizzata da quello che avrei potuto trovarci.
Trassi un profondo respiro e lo spiegai, accingendomi alla lettura.
Carissima E,
mi dispiaccio enormemente per quanto accaduto di recente. Devi sapere che alla lettera B, capita di avere eccessi di rabbia incontrollata, nonostante venga spesso sottoposto a cure e simili dei nostri dottori. Per cercare di capire che problema abbia, è stato fatto di tutto, dalle analisi del sangue a…
il punto della questione è che, recentemente, in tua presenza, se ne è verificato uno alquanto spiacevole, e è stato per me interessante, notare come lei, E, sia stata capace di, se non fermare, ritardare, le catastrofiche conseguenze delle azioni prive di controllo razionale della lettera B, grazie al fatto che dal suo arrivo è riuscita, ancora non capisco come, a stabilire con tale lettera, un rapporto esente dalla violenza e dall’odio. È per questo unico motivo che mi vedo costretto a darle una notizia che non apprezzerà, temo.
Dopo quanto successo, ritengo infatti saggio che lei, rimanga in questo istituto fino a quando vi rimarrà anche la lettera B, e la invito a saldare il suo rapporto con essa, fino al suo controllo completo dei suoi attacchi patologici. Dopotutto però, la nuova non dovrebbe abbatterla troppo, giacché , a quanto è scritto sul suo schedario, i suoi genitori sono morti due giorni dopo la sua nascita, e lei abita da sola in un monolocale nella periferia della caotica città degli angeli, se non vado errando.
Purtroppo ho un’altra spiacevole notizia per lei. Deve sapere che la lettera B ha ucciso delle persone, e in quanto assassino, è stato condannato all’ergastolo. E di questa decisione mi prendo tutto il merito effettivamente: lo volevano uccidere, ma io mi opposi, offrendomi di ospitarlo nel mio carcere, in quanto i suoi occhi, la sua persona, il suo odio, andavano a parere mio studiati e in quanto ero smanioso di conoscere i segreti che celava nella sua mente. Deve sapere che io posso estorcere di tutto, ai carcerati. Ma il punto è che se la data lettera è condannata all’ergastolo lo è anche lei, E.
In quanto costretta a stare qui con la lettera B, però, credo di poterle concedere alcuni privilegi. Pertanto, domattina, la sua batteria verrà portata in camera sua. Dovrà fare a meno della scrivania, ma mi sembrava in grado anche di fare a meno del letto, quando la ha richiesta al sottoscritto, poco tempo fa, non è così?
Bene, spero che almeno codesta novella l’abbia rallegrata, e con questa speranza la saluto cordialmente.
Roger
ANOTHER THINKS
Eloin era spiazzata. La sua mente non rispondeva ai comandi, avendo concepito l’inconcepibile. Il suo corpo era in paralisi, essendo la mente impegnata nel rifiuto. Gli occhi diventavano lucidi da soli, essendo il cervello in stato di improvvisa depressione e disperazione. Le mani tremavano in quanto tremava la concezione di quello che era la sua vita. Di quello che era lei. Le parti della lettera in cui l’essere cruento che era Roger si poteva scorgere, le rimbombavano nella testa.
Indomabile, testarda, ostinata.
I primi pensieri che BB aveva rivolto a lei, trovarono conferma, quando corse alla finestra, e l’aprì, salendo sul davanzale e guardando di sotto, boccheggiando dalla disperazione, mentre i capelli venivano sbalzati all’indietro.
Le sue mani erano strette sugli stipiti con forza, ma la mente già volava.
Ma tutto questo finì, in un istante, quando la ragazza si ricordò di BB, e di come era quando l’aveva conosciuto. Poi si ricordò di quando l’aveva trovato dormiente. E a quando l’aveva protetta. E a quando… a quando era scomparso, nonostante il suo corpo fosse li. A quando aveva tentato di ucciderla. Ma anche a quando era riverso a terra nel suo stesso sangue, e veniva picchiato, nello stesso momento in cui il luccichio dei suoi occhi tornava quello di sempre ed era rivolto a lei, a Eloin, ed era di disperata scusa.
Lentamente, ancora sotto shock, scese dal davanzale, e si fermò, appoggiandosi con le mani alla parete, per sostenere il peso di ciò che le era arrivato simile ai pugni che in quel posto erano gratis.
Le lacrime avevano cominciato a solcare con grandi fiumi, le pianure dei suoi zigomi e delle sue guancie, in una muta manifestazione di disperata tristezza. Sconsolata, la ragazza andò a sedersi sul letto, tentando di calmarsi. In quel momento avrebbe voluto la mente vuota, ma in essa, un pensiero incontenibile la squarciava.
I respiri si fecero però più regolari, anche se dentro di se, Eloin si sentiva come svuotata, per fare spazio alla sua nuova vita. Alla sua nuova lei.
Roger la voleva come falsa amica, ipocrita domatrice di una belva in gabbia. Voleva che lei diventasse la pedina principale del suo circo, facendo coppia con la fiera più difficile da sedare.
Voleva che Eloin ingannasse Beyond per conto di Roger.
Ma Eloin avrebbe ingannato Roger per conto di Beyond. Insieme a Beyond.
DUE GIORNI DOPO (ANOTHER THINKS)
Eloin era davanti alla sua batteria, e un leggero sorriso stava scomparendo dalle sue labbra, mentre vi poggiava sopra le bacchette. Sospirò, tornando seria, e infine tormentata.
BB ancora non si era visto.
Ne Roger, per fortuna.
Quella notte aveva sognato di nuovo BB morto. Irriconoscibile nel suo sangue, ma indescrivibilmente lui.
Il suo inconscio terrore era in tal modo manifesto.
Le era sovvenuto un tic nervoso alla mano destra.
Non sarebbe riuscita a sostenere ancora per molto lo stress.
Ora capiva perché quello strano attaccamento di BB verso la finestra. Anche lei lo provava, ora. Si era spesso chiesta, in quei giorni, cosa l’avesse trattenuto dal suicidio negli anni precedenti.
A un trattò, rilevò un rumore: dei passi. Allarmata e tesa, mentre la mano destra cominciava a muoversi da sola, nervosamente, ascoltò più attentamente. I passi, dapprima molto lievi, si fecero più vicini. Non riusciva a capire quanti fossero, ma sperava ardentemente che fra gli individui che stavano percorrendo il corridoio ci fosse lui. Aspettò, non volendo illudersi.
Ma non poté fare a meno di sorridere luminosa, quando la porta di fianco alla sua si aprì e venne dopo pochi secondi sbattuta. Attese che i passi si allontanassero alleggeriti, e non appena non li poté più udire neanche immaginandoseli, si precipitò fuori dalla sua stanza.
Aprì la porta del vicino con foga, e vide il suo migliore amico mentre si rialzava: probabile che lo avessero sbattuto di malo modo nella stanza. Non appena entrò egli si girò a fissarla.
THINKS OF BEYOND BIRTHDAY
Sentii la porta che veniva spalancata di nuovo, mentre mi rialzavo, e il mio sguardo scattò con ira: pensavo fossero ancora loro. Ma si ammorbidì automaticamente, non appena scorse Eloin. La ragazza era più magra di come l’avevo lasciata, e un po’ spettinata. Nello specchio dei suoi occhi leggevo paura e tormento, ma si faceva strada una gioia pura che mi spinse a rendere il mio sguardo amichevole.
Mi guardò per un minuto, mentre la gioia di cui sopra diventava sempre più evidente, e nel momento in cui si affermò, la giovane mi corse addosso ridendo, e facendomi cadere di nuovo, mentre mi abbracciava con troppa energia per la mia sorpresa.
“Eloin! Alzati! Ma che fai?”
Lei si ricompose, un po’ imbarazzata, e si alzò, per poi porgermi una mano che non accettai. La guardai un momento e solo allora capii quanto sarebbe stato difficile fare quello che avevo deciso.
“Eloin…” cominciai, esitando.
“BB! BB, non sai quanto mi sono preoccupata in questi giorni! Spero che tu stia bene! Mi sei mancato un sacco!” rispose, tuffandosi in un torrente di parole affettuose.
“No.. no Eloin aspetta.” La fermai.
“Che c’è?”
“Eloin… esci dalla mia stanza.”
Ecco, l’avevo detto. La stavo mandando via. Mi guardava aspettandosi un mio scherzo, che non sarebbe venuto.
“Eloin, esci.”
“Ma che hai? Ah… vuoi stare solo un po’?” mi chiese pronta alla comprensione.
“No. Voglio che tu esca ora. E non voglio vederti in questa stanza mai più. Vattene.” Tentai di usare un tono irritato, e purtroppo ci riuscii.
“BB…?” ora era sorta in lei nuova preoccupazione.
“Ti ho detto di andare via!”
“Ma cosa dici? ”
“ELOIN VATTENE VIA!”
Nei suoi occhi ora leggevo dolore, incomprensione… restò a fissarmi, stupita.
“CAZZO ESCI DALLA MIA STANZA! È TANTO DIFFICILE?”
Ma come facevo a urlarle contro? Quanto ero abituato alle bugie? All’odio al’inganno…
“No.”
Rimasi spiazzato da quel no. Secco e deciso. Ma che? Nessuno mi aveva mai contraddetto la dentro.
“Cosa?”
“Hai capito benissimo” disse con voce ferma”Ho detto no.”
“Ascolta Eloin…”
“NO, ascolta TU BB! Sono stanca di essere presa in giro come se fossi scema! Perché è evidente che è questo che pensi di me! Come credi di poter venirmi a dire che la nostra amicizia è finita, dopo quello che abbiamo passato? Sono l’unica persona qui, che ti conosce per quello che sei!”
“Uno psicopatico? Beh, ti assicuro che lo sanno già tutti…”
“No BB. Una persona. Persona! Ficcatelo bene in testa! E piantala di nasconderti dietro il tuo oscuro passato! Ora sei qui! Davanti a me! E ci resterai finché non mi fornirai una spiegazione che stia in piedi per quello che hai appena detto! E non prendermi in giro!”
Così la mia decisione non andava da nessuna parte.
“Eloin, vattene subito altrimenti giuro che ti sbatto in camera tua a calci.”
“Ah si? Benissimo, voglio proprio vedere. Forza, picchiami!”
La guardai spaesato. Giocava a un gioco che non era il mio.
“Beh che aspetti? ”
“Eloin…”
“Si? Ti vuoi decidere a picchiarmi?”
“Ti prego… va via. ”
“No. Non vado via. Io non scappo davanti a te, BB.”
“Beh, dovresti!”
“No. E vuoi sapere perché? perché sono tua amica. E anche questo ficcalo in testa. Chiaro? Se vuoi che me ne vada, dovrai trascinarmi via.”
“Anche io sono tuo amico… e per questo, te ne devi andare.”
“Ma non ha senso!”
“Si invece! E lo sai! Tu lo hai visto!”
“Cosa? forza BB, dillo!”
“Io… io…”
“FORZA! Dillo!”
“IO HO TENTATO DI UCCIDERTI!”
“Si, lo hai fatto! Ma non m’importa! ”
“NON DIRE CAZZATE! E VA VIA!”
“MA MI ASCOLTI? HO DETTO DI NO!”
“COSA VUOI?” mi stava facendo incazzare ora.
“CHE TU SIA SINCERO!”
“LO SONO! VOGLIO CHE TU TE NE VADA!”
“PERCHE’?”
“NON VOGLIO… non voglio ucciderti!”
“Lo sappiamo entrambi che è stato un caso. Che non succederà più.”
“E INVECE NO! IO SONO COSI’! ”
“NO, non lo sei. Tu sei… così. Quello che ho visto non eri tu.”
“Si che lo ero… io sono così. Sono un… mostro…“
“No BB, non dire così. Io ti conosco, entro i limiti della nostra amicizia e posso affermare che anche se sei brusco e devi re imparare a mostrare i tuoi sentimenti alle persone cui vuoi bene, non sei un mostro. Si è vero, hai perso la testa l’altro giorno, e in effetti alla gente normale non capita. Ma che tu non fossi normale lo sapevano già tutti. In realtà, neanche io sono molto normale. E forse se lo fossimo non saremo amici. Io credo che in questo posto, per non rischiare di suicidarsi, le amicizie che si riescono a trovare bisogna tenersele strette. Perciò non sperare neanche per un momento che io ti lasci buttare la nostra amicizia al vento. Ergo… io ora vedo in camera mia, così puoi rimuginare col tuo bel cervellino su quanto si è detto e domattina passerò alle 9.30 per andare a fare colazione insieme.”
Detto ciò, si voltò, e con molta eleganza, uscì dalla mia camera, richiudendo la porta e lasciandomi li, solo.
Sbuffai, chiedendomi perché, con lei, fosse tutto così complicato.
Era stato complicato… no, era stato impossibile evitarla.
Era stato altrettanto impossibile non parlarle.
E così anche per il fare amicizia.
E ora era stato impossibile troncarla.
Mi lasciai cadere seduto sul letto, e decisi di controllare come stava messo il mio corpo.
Dunque… avevo un bel po’ di lividi dappertutto, il labbro spaccato, un polso slogato al quale avevo applicato una fasciatura e la mia scapola probabilmente non sarebbe mai più stata la stessa: solo il tocco della maglietta provocava dolore pungente, e quando Eloin mi era caduta addosso avevo visto le stelle. Inoltre, la ferita sul mio braccio era stata “ricalcata”, ed era più profonda, e avevo un certo mal di testa causato dalla mazza da baseball.
Sbuffai, rialzandomi e riavvicinandomi, in quello che ormai era un istinto impossibile da frenare, alla finestra, simbolo della mia prigionia volontaria. Perché si, come aveva capito Eloin, quella è la via che i più scelgono per fuggire dalla pena. Mi affacciai ancora una volta, con celato disio, e sospirai, abbattuto.
La strada era come sempre un continuo affaccendarsi di persone, a me ignote per sempre. Ignoti i loro pensieri, ignote le loro bugie, ignoti i loro affetti, ignote le loro esperienze, ignoti i loro volti anonimi nel conformismo o nell’anti-conformismo di moda ora. Ignoti i loro amori, ignoto il loro credo, ignote le loro risate, ignoti i loro rancori, ignoti i loro problemi, sicuramente importanti. Ignote le loro vite. Prigionieri anche loro, ma senza saperlo. E allora che dolore è quello che possono provare, nell’illusione della libertà?
Eloin, mi mancava, la sua allegria, quel suo modo leggero di vedere le cose, ma non superficiale, la sua voglia di ribellione, la sua intelligenza modestia, la sua ostinatezza.
Sentii dalla sua stanza una batteria che suonava, e mi si spalancarono gli occhi, mentre lo stupore e l’incomprensione mi giungevano con prepotenza.
Corsi davanti alla sua porta, e li mi fermai, incerto sul da farsi. Ma poi, respirando forte, entrai, e la sorpresi seduta davanti alla batteria che mi aveva descritta. La guardai interrogativo. Guardai allo stesso modo il foglio sul suo comò. Con quella scrittura obliqua. E mi mancò il fiato.
Il suo sguardo fiero me la offrì, ma io non la presi.
“Cosa… ?”
“Leggila. Forza.” |
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Capitolo 12 *** Decisioni infernali... ***
Mi
avvicinai, lentamente, e la presi fra le mani. Cominciai incerto a
leggere. Le
parole mi scorrevano sugli occhi veloce, ma rimanevano impressi nel mio
cervello…
…grazie
al fatto che
dal suo arrivo è riuscita, ancora non capisco come, a
stabilire con tale
lettera, un rapporto esente dalla violenza e
dall’odio…
…rimanga
in questo
istituto fino a quando vi rimarrà anche la lettera
B…
…i
suoi genitori
sono morti due giorni dopo la sua nascita, e lei abita da sola in un
monolocale
nella periferia della caotica città …degli
angeli…
…i
suoi occhi, la
sua persona, il suo odio, andavano a parere mio studiati e in quanto
ero
smanioso di conoscere i segreti che celava nella sua mente…
Alzai
lo sguardo. Lei mi stava ancora fissando, attendendo qualche mia
reazione. Ero
davvero scioccato.
“Eloin…
non me lo hai detto prima.”
“Io
non voglio ceh tu scelga di essere mio amico solo perché se
no ti sentiresti in
colpa. Quindi ho deciso di non influenzare la tua scelta.” Si
alzò, e sempre
guardandomi negli occhi che non l’avevano mia spaventata
nonostante la loro
ignota natura, continuò a parlarmi. “Allora, BB,
vuoi ancora troncare i
rapporti solo per paura?”
La
mia voce si fece molto seria. “No. Lo voglio fare per
te.”
“Oh…
dovrei ringraziarti perché mi togli l’unico amico
che ho in questo posto?”
“Ma
è colpa mia se ci dovrai rimanere! E se ti hanno picchiata!
Non ha senso quello
che dici!”
“No
BB! Non ha senso ciò che dici tu!
Possibile che non capisci?” esclamò scocciata.
“Ma
Eloin, io sono la causa del tuo ergastolo! Tu dovresti volermi
morto!”
“No,
se sei mio amico! Una mia amica una volta mi rubò il
fidanzato! Ma non smisi di
volerle bene, nonostante ci abbia litigato furiosamente! ”
“Come
puoi confrontare cose del genere? Devi rimanere qui per sempre! Lo
capisci?”
“Meglio
di quanto tu non creda BB. Ti prego, ora lasciami da sola.”
“Io…
non… ”
“Ne
parliamo domani. Per favore.”
Sembrava
davvero stanca, triste. Mi sentii distrutto all’idea del
fatto che la sua
situazione era colpa mia. Ma la cosa più terribile era che
sentivo che aveva
bisogno di me… ma non sapevo cosa fare, come aiutarla.
Così uscii, e rientrai
in camera mia, alienato.
Capii
cosa veramente era successo. Non era possibile. Quel bastardo di Roger.
Mi
venne un’incredibile desiderio di distruggerlo pezzo per
pezzo. La rabbia
cresceva dentro di me senza che io riuscissi a controllarla. Strinsi
gli occhi,
seduto sul letto, con la testa fra le mani. Dovevo fare qualcosa per
lei.
Dovevo cercare di mettere da parte il mio orgoglio e la mia apatia, per
una
volta. Dovevo. Ripensai a quando era caduta davanti a Roger…
per me…
Si, dovevo in qualche modo dimostrarle il mio affetto, sarei stato in
torto se
non l’avessi fatto.
Così, decisi di accettare la sua strana
mentalità. Chissà perché mi voleva
come
amico? Decisi di mettere da parte anche questa domanda, e cominciai a
pensare
come si comporta di solito un amico.
Panico.
Non
ne avevo la benché minima idea.
Come
fare?
All’improvviso
seppi con certezza di aver ancora una volta confermato la mia follia,
con uno
dei miei pensieri assurdi. Però… era
l’unico modo…
Ma
cavolo, avrei dovuto prendere la mia dignità e ficcarla sana
sana nel muro!
Provai un senso di rifiuto, ma pensai di nuovo alla figura di Eloin, e
i
costrinsi, ad alzarmi, nonostante consistente parte dalle mia testa mi
urlasse
contro improperi non ripetibili.
Con
la morte nel cuore e senza capire bene cosa stessi facendo, salii le
scale e mi
fermai, esitante , davanti alla porta di Mello e Matt.
Era
giunto il momento. ideai velocemente un piano, ed entrai, aprendo
violentemente
la porta, e notando lo sguardo divertito, come sempre, del rossino, e
quello
incavolato del biondo.
“Perché
non hai bussato, idiota?“
Non
sei
tu che mi dai il permesso di entrare o uscire da una stanza”
“Si,
se
si parla della mia!”
E il
resto del dialogo. Sembrava recitassimo da un copione. Ma se di solito
lasciavo
a Mello una qualche remota possibilità di atterrarmi,
stavolta, lo presi
semplicemente per le spalle e lo sbattei per terra, senza lasciargli
via di
fuga. L’altro non se l’aspettava, e non
riuscì a schivare i colpi che gli
piombarono addosso.
“Vacci
piano BB, abbiamo appena fatto a botte!” esclamò
Matt, godendosi la scena.
Non
lo ascoltai,
e tirai un altro calcio a Mello, stavolta in pieno viso, spaccandogli
il labbro
e lasciandolo a terra.
Il
ragazzo si alzò a fatica, e stupito, mi guardò un
momento negli occhi, per
prorompere poi in un ghigno.
“Hey,
Eloin ti stressa molto, eh? Non è che…”
Gli
tirai,
con molta semplicità, un pugno in faccia, facendolo
barcollare all’indietro, e
convincendolo a rivolgere la sua malizia altrove e ad andarsi a pulire
in bagno
senza aggiungere altro.
Quando
il
biondo uscì zoppicando, guardai intensamente Matt, perso in
tutt’altri
pensieri, e riflettei che forse non era la migliore cosa da fare.
Tuttavia
respirai profondamente e senza pensare, perché avrei
sofferto troppo, presi il mio
orgoglio e lo buttai nel cesso.
“Emm…
Matt…”
L’interpellato,
alzò la testa da un fumetto con stupore.
“Si?”
“Devo
chiederti una cosa.”
La
sua
faccia aveva un’espressione ancora più stupita:
raramente gli parlavo.
“Senti…
cosa fa… di solito un… - esitai, a disagio-
ecco… un amico?”
Ecco,
l’avevo fatto. Ormai era andata. E a un tratto, mi resi conto
che quella che
avevo appena fatto era la più grande cazzata della mia
esistenza. Vidi Matt
stare fermo a fissarmi a bocca aperta per qualche secondo, senza
riuscire a
concepire quello che avevo detto. Poi lanciò il fumetto per
aria e scoppiò a
ridere come un idiota.
Disagio.
Molto
disagio.
Dopo
un
minuto buono si fermò, mi fisso e per poco non
scoppiò di nuovo a ridere.
Dopodiché,
si alzo e mi fece ceno di uscire.
“Andiamo
prima che torni Mello. Se lo sa, capace che ti prende in giro per tutta
la
vita!” esclamò, trattenendo le risa.
Lo
seguii
leggermente indispettito, mentre qualcosa che
conoscevo da anni ribolliva dentro di me, orami
consapevole che Matt mi
poteva ricattare. Che casino… ma perché
perché perché! Giusto, Eloin…
Matt
mi
condusse in una camera stranamente vuota.
“Sarebbe
la mia” spiegò. Che strano… ero
convinto che ne avessero una in due…
“Dai,
siediti pure” mi invitò, indicando con
un cenno vago il letto. Sempre più a disagio
seguii il suo consiglio, e
incerto su cosa aspettarmi lo osservai, mentre si lanciava con
agilità sulla
sedia a rotelle davanti alla scrivania, e
“rotellava” davanti a me.
Mi
guardò. Fece un profondo respiro. Si scompigliò i
capelli con la mano, e
cominciò a parlare.
“Senti
BB… devo ammettere che sei praticamente un caso
perso… ma… in qualche modo… -
ridacchiò- ti
insegnerò…. Ma che ti è
saltato in mente? Anzi no!- si corresse subito dopo- Non voglio
saperlo!”
Lo
guardò
negli occhi e tornò serio per un momento.
“E
non ti
preoccupare, Mello non lo saprà. Senti, lo so che tu sei uno
orgoglioso, perciò
tenterò di non farti pesare la cosa, ok? Anche se
c’è da dire che… emmm… sto
zitto ok… ”
Un
momento…. forse avrei dirgli grazie… no, ho
già fatto tanto.
“Ecco,
per esempio! Se lei ti dicesse quello che ti ho appena detto o ti
facesse un
favore anche stupido, devi sempre dirle grazie, ok?”
Uau.
Ovvio che avesse intuito che volevo diventare amico di Eloin. Che
disagio!
“BB…
rilassati!” esclamò.
Si,
certo.
Rilassarsi. Come no.
“Quando
la vedi la prossima volta?”
“Emmm…
domani mattina…”
“Perfetto!
Allora, appena la vedi, la abbracci e intanto le chiedi come sta, ok?
L’ho
vista tesa, in questi giorni…”
“Cosa?”
esclamai.
“La
devi
abbracciare BB.”
“Ma…
ma
non posso!”
“E
perché
di grazia?”
“Ma…
perché no!”
“Ma
piantala, dai, è perfettamente
normale! E non fare quella
faccia! Cos’è non sei capace?”
“Io…
”
“Ho
capito, alzati.”
Lo
feci,
ingenuamente. Povero me…
Anche
lui
si alzò.
“Devi
solo fare questo!” esclamò giocoso, abbracciandomi.
Credo,
in
quel momento, di aver scoperto una nuova tonalità di rosso
tanto sono
arrossito.
“Ma
che
fai, lasciami!” esclamai, facendo un balzo indietro e
tirandogli una violenta
spinta che lo fece quasi cadere.
“BB,
piantala, non mordo!” ridacchiò. “Devi
superare il tuo imbarazzo! Eddai!”
“Ok…
” mi
condannai.
Mi
abbracciò di nuovo, mentre la mia mente, stavolta al
completo, provava un
istinto suicida più forte che mai.
“Vedi?
È
facile! Ce la puoi fare anche tu!”
Alzai
il
sopracciglio, scettico.
“Insomma
BB, un po’ di brio! Comunque! Come dicevo, abbracciala il
più possibile,
mostrati disponibile, rispondile sempre e dico sempre, in modo sincero.
Dimostrale il tuo affetto, insomma… possibile che tu non
abbia mai avuto un
amico?”
“Lasciamo
perdere… ”
“Allora,
domani a che ora la vedi?”
“Alle
9.30”
“Ci
sarò,
vedrai! Muahahhahaah!”
“Emmm…
”
“Ops,
scusa, mi sono lasciato trasportare dalla foga del momento!”
Fece
un
sorriso e se ne andò.
Scossi
la
testa, sconsolato, e ritornai in camera. Lo sapevo. Lo sapevo che era
una
pessima idea!
“Stupido,
stupido, stupido!” sussurrai a me stesso. Ma che mi era
saltato in mente?
Ancora la batteria risuonava
attraverso il
muro in cartongesso.
Istintivamente
presi la chitarra, la accarezzai con la manica, e cominciai a suonare.
Non
fu la
solita sonata, triste e vibrata, forte e veloce.
Era
una
prova, per me. Si, inconsciamente la mettevo alla prova. La brezza che
entrava
dalla finestra mi accarezzava il viso, mentre mi impegnavo in una
battaglia con
quel pulsare che ritrovavo sempre sotto il mio suono.
Fu
incredibile.
Sempre
più veloci, ci rincorrevamo, passandoci assoli. Ci
sentivamo. Ci sentivamo
davvero. Come una persona sente le braccia, noi sentivamo
l’altro. Eravamo un
tutt’uno, fra di noi e con la musica.
Che
ragazza strana!
Mi
sdraiai svogliato sul letto, e ripensai a quello che mi aveva detto
Matt…
dopotutto aveva ragione. Però per me era inconcepibile
mettermi in una
posizione di vulnerabilità, di chiunque si trattasse.
Mi
venne
in mente di Roger, di quando avevo perso il controllo, e mi incupii.
Non doveva
più succedere una cosa del genere, me ne rendevo conto. Ma
per me era quasi
impossibile controllarmi. Già quando Matt aveva cominciato a
ridere, quel qualcosa dentro di
me, voleva uscire a
spargere sangue. Non era… normale.
Ammetto
che mi faceva paura. Non me ne aveva mai fatta in effetti, ma dopotutto
prima
di allora non mi ero mai dovuto preoccupare di chi mi stava intorno. Ma
ora era
diverso. Non potevo fare correre un simile rischio a Eloin. In un gesto
di
determinazione, strinsi gli occhi, e come sempre, la sentii.
Ogni
volta che chiudevo gli occhi succedeva.
Come
qualcosa che premeva dentro di me, qualcosa che stava appena sotto la
mia
pelle, pronta a uscire. Mi tentava facendomi percepire la sua potenza,
ma ero
conscio della sua incontrollata follia.
Respirai
a fondo, tentando di capire cosa fosse e concentrandomi, saggiando con
cautela
il terreno, dentro di me.
La
sentivo respirare nei miei polmoni, vivere nel mio cuore, correre con
il mio
sangue. Mi faceva venire i brividi. A un tratto sentii la sua folle
tristezza.
Aprii gli occhi di scatto, rizzando mi a sedere: aveva tentato di
convincermi a
lasciarla uscire.
Richiusi
gli occhi, e la sentii di nuovo, più cattiva.
Mentre
tentava di vincere i miei muscoli, di entrare nelle mie mani, mi
ostinai a
resisterle. Lottammo, finché non mi venne il fiatone. Era
impossibile
dominarla, ma bastava aprire gli occhi per farla scomparire.
Mi
svegliai alle nove meno dieci, e dopo essermi vestito, uscii per andare
in
bagno. Entrai nel bagno e sobbalzai.
Il
rossino era appoggiato alla parete in fondo, intendo a giocare con il
suo DS.
“Che
fai,
mi pedini?” gli chiesi con un filo di ironia.
“Eh?
Ah,
ciao BB! Come va? ”
“Che
c’è?”
“Ecco,
già qua, sappi che alla tua lei devi rispondere con un
filino più di
delicatezza! Comunque, sono qui perché non mandi a monte
tutto il mio progetto.
Quindi ti controllo mio caro! ”
“Vattene”
“Ei,
ho
detto più gentilezza!”
“Vattene”
“Eddai!
Ti do una mano no?”
Non
risposi, tornando in camera, seguito, purtroppo, da quel maledetto nerd.
“Tu
non
entri” gli dissi chiaramente, davanti alla mia porta.
“Si
certo. E sai cosa? Mello sarebbe felice di sentire gli ultimi
pettegolezzi su…”
“Stronzo”
dissi aprendo la porta, e andando a scegliere uno dei libri che ormai
sapevo a
memoria, sulla mia minuscola libreria, per poi sedermi a leggere sul
letto.
Matt,
sbuffò, e tirò di nuovo fuori il suo stupido
gioco.
Andammo
avanti così fino a quando qualcuno, fino a quando lei,
bussò alla porta.
Mi
alzai, lasciando il
libro sul letto, e dirigendomi
alla porta, con Matt dietro.
Aprii
la
porta, e me la ritrovai davanti, con un sorriso sulla faccia, pronta a
scostarsi. Prima che io potessi uscire come mio solito, senza neanche
che
l’idea di abbracciarla mi sfiorasse, quel deficiente cronico
mi spinse verso di
lei, e senza che io capissi bene come, me la ritrovai fra le braccia.
Mi
ripromisi di ucciderlo.
Bastardo.
Eloin,
anche se decisamente stupita, ricambiò il mio
“abbraccio”, e
quando uscimmo, salutò Matt con strana
euforia.
“Allora
hai deciso BB?”
“Va
bene
Eloin, se sai quello che fai.”
Sorrise.
Grazie
a
Dio, almeno a qualcosa ero servito.
Finita
la
colazione, Matt invitò Eloin da lui, e io tornai in camera
mia ‘chiedendomi
come potesse aver accettato l’invito di un tale mongoloide.
Mah…
Sorrisi
fra me e me, pensando che in fondo era stata un’ora
divertente.
Rileggendo
ancora una volta quel vecchio libro, mi sentivo per la prima volta
vagamente
felice.
|
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Capitolo 13 *** Amore alle porte dell'inferno ***
THINK OF MAIL JEEVAS
Entrai nella stanza con Eloin al seguito. Eravamo , com’è naturale, nella stanza di Mello. Quest’ultimo era sdraiato sul letto giocando con la MIA Wii… lo ucciderò un giorno quel ragazzo.
“Hey Mello!”
“Hey Matt!” rispose lui con voce annoiata,
“Senti… non è che potresti tipo… emm…”
Alzò lo sguardo, vide Eloin, frenò una risata e prendendomi in giro solo con lo sguardo, si alzò e la salutò.
“Ho capito, ho capito, vi lascio soli!” esclamò, cogliendo l’occhiata che tentavo di lanciargli da tre ore.
Arrossii fino alla punta delle orecchie, e quando se ne andò sbattendo la porta come suo solito, mi ritrovai, con mio grande imbarazzo, senza avere idea di cosa dire.
Già.
Io, il più grande casanova, sciupa donne e focoso amante di tutto questo stramaledetto posto, non avevi la benché minima idea di cosa fare!
Ma vedi te…
“Emmm…. Beh… se ti va potremmo…. Non lo so… giocare al… computer, tipo…. ”
“Certo!” rispose lei con il suo solito entusiasmo, sorridendo.
Che bel sorriso… quanto è cariiina quando sorride….
“Emmm… Matt? Ci sei?”
“Eh? Ah, si certo! Lo accendo subito!!”
Idiota!
Recuperai il suddetto, un portatile, dalla scrivania piena di roba di Mello, e lo accesi. Lei si era seduta sul letto, e io feci lo stesso.
ORE DOPO
“Mi sono divertita un casino!” esclamò allegramente Eloin, saltando giu dal letto: era ormai ora di cena.
“Bene, ne sono felice!” risposi altrettanto euforico. Ora l’imbarazzo era scomparso, e conversavamo allegramente sull’uccisione di orchetti verde vomito, mostriciattoli blu e altre cose simili da ore, davanti al magico schermo.
Mi alzai anche io decidendo di accompagnarla fino alla camera. Adoravo stare con lei. Era così spigliata, ma anche un po’ imbranata, semplice e intelligente. Già, con orrore e terrore, mi accorsi di essere stracotto!
Maledizione! Perché a me?
La prima cosa che avevo notato di lei, erano i polsi.
Hey, non fate quella faccia, non stavo in un carcere per psicopatici col cervello fumato senza motivo eh!
Ebbene, la cosa di lei che avevo notato per prima e che per prima mi aveva ammaliato, erano i polsi, ok? Ci sono altri problemi? Perché ho un piccolo quaderno nero fra le mani, e un amico con gli occhi rossi, chiaro? Bene!
Ebbene, mentre camminavamo per il corridoio le guardai i polsi, e mi stregai ancora di più. Poi le guardai il collo… un’altra cosa di lei che adoravo era il collo. Era così dolce armonioso, elegante…
Notai che i suoi occhi cercavano i miei, e subito mi persi, non nelle sue iridi cioccolato, ma nelle sue pupille, in cui brillava tutta lei. Mi guardava intensamente, come se volesse farmi capire qualcosa, ma non sapevo che cosa.
Improvvisamente, mi accorsi che eravamo fermi davanti alla sua porta, in silenzio. E improvvisamente, mi prese le mani, continuando a guardarmi. Quel contatto mi fece arrossire leggermente, e notai che anche lei aveva le guancie arrossate. La lasciai, e parve un po’ delusa. Poi, indispettito da quell’ombra poco serena sul suo viso, le accarezzai la guancia, per mandarla via, e le scostai la treccina dal viso, cogliendo uno sguardo diverso dal solito, nei suoi occhi, timido e pudico.
Innamorato?
Presi allora il coraggio a due mani, e avvicinai il mio viso al suo, incatenando gli occhi ai suoi, per capire se le andava bene.
Lei fece un leggero sorriso.
Finalmente, dopo tanto tempo, le nostre labbra si incontrarono, in un gesto insicuro e sicuro allo stesso tempo.
Eloin, con un timido gesto, portò le mani fra i miei capelli, e mi tolse i googgles, per guardarmi negli occhi per la prima volta senza di essi.
Mi sentii scoperto, e sentivo che riusciva a leggere nei miei occhi come in un libro aperto: non avrei mai potuto mentirle.
Mi guardò con tenerezza, e mi scostò i capelli dal viso, per poi baciarmi di nuovo dolcemente.
THINKS OF BEYOND BIRTHDAY
Sentii i suoi passi per il corridoio affiancati da quelli che probabilmente appartenevano a Matt.
In quel momento ero steso sul letto, a pensare come al solito, a quello che Eloin mi aveva detto a proposito dei sogni una settimana o forse più prima. Guardavo una mosca, arrivata chissà come a quell’altezza, che volava e si posava ovunque, tranne che su di me, e mi chiedevo perché. dopo diversi minuti, mi resi conto che non avevo sentito la porta di Eloin aprirsi e chiudersi, ne i passi di Matt allontanarsi.
Mi chiesi che stesse facendo, non si sentiva una parola. Così, visto che comunque non avevo nulla da fare, mi alzai, pigramente, e dopo essermi passato una mano fra i capelli, aprii la porta e mi affacciai.
Vidi Eloin che toglieva gli strani occhiali che Matt portava sempre, e che faceva una cosa molto strana.
Era da così tanto tempo che non vedevo due persone baciarsi, che mi ci volle qualche secondo per capire cosa stesse realmente accadendo.
La mia prima reazione fu quella di alzare un sopracciglio, e chiedermi cosa volesse mai dire quel gesto. Poi me lo ricordai, e dopo aver realizzato, inquietante fatto, che non ci pensavo da anni, mi chiesi cosa trovasse Eloin in un idiota di tale portata. Poi pensai che un idiota di tale portata avrebbe anche potuto ferirla e notai crescere dentro di me, a quest’idea, una rabbia strana… non la solita follia omicida… qualcosa di diverso.
Mi resi conto con sorpresa e rifiuto di essere protettivo nei confronti di Eloin e mi parve di sentire la sua voce nella mia testa.
“Ma BB, è perfettamente normale, anzi è una cosa bella!”
Alzai gli occhi al cielo.
A quel punto, mi venne da ridere, e di brutto, vedendo gli occhiali di Matt cadere, e quest’ultimo avere un riflesso evidentemente ansioso nei loro confronti, ma poi, e questo glielo lessi in faccia, decidere che baciare Eloin era un’attività decisamente più interessante che raccoglierli e rovinare tutta la presunta atmosfera romantica che si era creata fra i due.
Al mio ridere ironico, i due ebbero uno scatto che mi fece ridere ancora di più. Più veloci di due gazzelle affamate verso l’ultimo ciuffo d’erba, si separarono e si allontanarono il più possibile, diventando rosso sangue.
“Emm, beh, ciao Eloin, ci… ci vediamo in giro, eh! Ciao BB… ” esalò Matt, dandosela a gambe nel corridoio senza lasciar in alcun modo capire cosa intendesse con “in giro” in un posto simile.
Eloin, mi guardò terrorizzata, e fuggì anche lei, in camera.
Rientrai anche io, senza riuscire a smettere di ridere con quella scena stampata nella mente.
Ok, mi devo calmare, Eloin sarà preoccupata che… non approvi la loro relazione?, pensai, per un momento smettendo di ridere, ma ricominciando appena finita la frase.
No, sul serio, ora basta. Così sei imbarazzante. Piantala. Controllati. Eddai! Ok, ci sono. Se, come no… su, BB, un po’ di dignità! Alleluia! E se provi a ricominciare io…. un momento… sto parlando da solo…
Riuscii a calmarmi, e mi resi conto che non ridevo così da anni. Non ridevo, da anni. da un lato ero grato a quella ragazza di essere riuscita in una cosa che ormai reputavo impossibile in un posto del genere, da un lato, realizzai che la rabbia di prima non era calata.
Dopo un paio di minuti, capii perché e cosa fare per calmarla. Ora era il momento di preoccuparsi per la povera Eloin…
Così, presi la chitarra, e dopo averla accordata, cominciai a suonare, una melodia che aveva bisogno di una base. Aspettai pazientemente che si decidesse a capirlo, e quando cominciò timidamente qualche lieve colpo di batteria, resi la melodia più gioiosa. Dentro di me morivo a farlo, odiavo simili idiote smancerie, ma visto che avevo deciso di essere per Eloin l’amico che voleva, dovevo farlo. Così, a poco a poco, la batteria venne fuori, e il ritmo aumentò.
Si, lo ammetto, un po’ mi divertii.
Fu solo a sera, che mi resi conto di non aver pranzato. Avevo sentito Eloin scendere, ma mi ero detto che sarei andato più tardi non avendo molta fame. E me ne ero dimenticato. Mio tipico perdermi in pensieri che mi fanno impazzire per ore, dimenticandomi il resto del mondo.
In ogni caso, alle 9, cominciai ad avvertire una certa fame, così, uscii dalla camera.
Indugiai, nello sporco e stretto corridoio. Avrei dovuto chiamarla? Mah… odio dover pensare a cose di questo genere. Potrebbe essere tutto così semplice! Ma quando ci sono di mezzo sentimenti e simili, una cosa che Eloin mi aveva insegnato, è che sono completamente senza senso. È lecito perderci la testo dietro a queste cose. Io, comunque, non le capirò mai.
Ebbi una fitta di dolore alla spalla e, mordendomi il labbro, mi ricordai di quando avevo perso la testa. Rividi gli occhi di Eloin che non mi riconoscevano, e dopo essermi odiato ancora una volta per un lasso di tempo dai 2 ai 3 secondi, sospirando, mi avviai alla porta della ragazza.
Bussai, e lei aprì quasi subito.
“Ciao.” Dissi senza intonazione, sovrappensiero.
“Ciao BB! Come… come stai?”
“Mh? Bene, bene. Tu?”
“Tutto a posto.”
Silenzio.
“BB?”
“Si?”
“Emm… cosa c’è?”
“Ah, volevo chiederti se vieni a cena.”
“Certo!” esclamò, mentre mi rendevo conto di dover imparare a pensare a quello che facevo, al posto che perdermi in altri pensieri.
Ci avviammo giù per le scale, e notai che era arrossita.
“Che c’è Eloin, mi sembri silenziosa…”
“Tutto bene, non ti preoccupare. Senti… volevo chiederti una cosa.” dichiarò, arrossendo ancora di più e fermandosi.
Mi fermai anche io, notando che guardava di tutto fuorché me. “Eloin, sono qua” le feci notare”
“è veramente una cavolata, eh… niente di importante… ” disse, temporeggiando, e continuando a ignorare che non mi trovavo ne spappolato a terra, ne attaccato al soffitto.
“Cosa?”
“Ecco… riguardo oggi… vo-volevo chiederti una cosa… insomma… tu… tu cosa ne pensi di.. di Matt e.. e, si beh, e me? Te l’ho detto è proprio una cavolata, lo so…”
Evidentemente la guardai molto male.
“Io?” chiesi scettico.
“No, guarda il corrimano!” esclamò.
Questa poi! E ora cosa le dicevo?
“Beh, io reputo Matt un idiota- cominciai, notando subito la delusione nei suoi occhi- ma forse riuscirai a farlo diventare un individuo meno cretino. Si, insomma, lui da solo lo potrei uccidere. Ma insieme a te potrebbe anche uscire qualcosa di intelligente direi…” dissi, un po’ sovrappensiero.
Mi sorrise, ricominciando a scendere. Sono strane le donne… insomma, che cosa gliene frega di cosa penso io?
“BB, spero che tu capisca che in quanto mio migliore amico, è per me importante cosa ne pensi tu.”
Oddio… mi legge pure nel pensiero ora, sto messo bene… |
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Capitolo 14 *** Imbarazzo ***
Mi svegliai nella luce timida dell’alba, e mi alzai. Andai subito in infermeria: durante il sonno la mia ferita sull’avambraccio si era riaperta, e dovevo cambiare la garza. Tornato in camera, attesi. Percepivo con un certo compiacimento quella rabbia protettiva che dal giorno prima non mi aveva abbandonato per un istante. Era piacevole, stare davanti alla finestra vedendo il sorgere di un giorno nuovo e nuovamente uguale, e sentire qualcosa di nuovo, di estraneo alla quotidianità in cui ero entrato come un automa in quegli anni.
Appena un’ora, dopo, quando già la luce assumeva un carattere più autoritario e illuminava la scarna stanza con prepotenza, andai in bagno, e come avevo ipotizzato, vi trovai Matt, appena arrivato, che estraeva il suo DS.
Lo osservai per un momento. Si capiva che era in imbarazzo, e che nonostante mi avesse notato, e nonostante fosse li per me, tentava in un infantile gesto, di affondare nel suo game boy, sperando di estraniarsi da quella situazione.
“Non demordi Matt?”
“No… ” rispose, lui, lanciandomi appena un’occhiata al disopra del suo gioco.
Mi avvicinai a lui, continuando a osservarlo diventare sempre più nervoso.
“Che hai Jeevas, ti faccio paura?” gli chiesi ironicamente, abbassando con la mano il suo gioco e guardandolo negli occhi attraverso le sue lenti arancioni.
“N-no BB… però se tu ti allontanassi un minimo ti sarei grato, sai?” rispose.
“Sai cosa sto pensando?”
“Che devo lasciare stare Eloin? Ma io l-”
“No. Che tu stia con lei non mi crea alcun problema, anzi, se è più felice e mi sta meno addosso in stile koala mi va solo bene- lo interruppi- No, sto pensando a un’altra cosa. Sto pensando che tu sei andato con tutte qua dentro, per non più di una settimana, o sbaglio?”
Quanto mi faceva ridere quell’espressione da cerbiatto impaurito.
“Si, ma con lei è-”
“Mi basta un si. Statisticamente parlando c’è un’elevata probabilità che tu la tradisca, no?”
“Non lo farei mai!”
“Ecco, quello che stavo pensando prima, è che se lo farai, la potresti far soffrire, giusto?”
“Ti ho detto che non lo farei mai, BB!” esclamò lui, spingendomi più lontano da se. Poi si rese conto di quello che aveva fatto, e ripensando a Mello che veniva preso a calci da me, si morse il labbro.
“S-scusa BB, ti prometto che le starò sempre vicino, ok? E ora ti lascio in pace e vado.” Disse, tagliando per la porta.
Sbuffando annoiato, quando mi passò di fianco lo presi per la maglietta, e con un gesto veloce lo riportai indietro, con le spalle al muro.
“Ahia!”
“Scusa.” Dissi sovrappensiero .
“Senti Matt- dissi guardandolo negli occhi- se vieni meno alla promessa che da bravo ragazzo hai fatto di tua spontanea volontà… sappi che ti distruggo.”
E fu allora, che constatai la precoce idiozia che avevo ipotizzato, moltiplicata per mille nella testa del rosso.
“Che c’è sei geloso?” mi chiese ridacchiando.
Alzai un sopracciglio.
“Di Eloin?” risposi, più a me steso che a lui. Non ci avevo mai pensato in quel senso.
“No, sarebbe troppo… no! È più una specie di sorella per me! Ma tornando a noi- dissi riprendendo a essere serio- ti è chiaro il concetto?”
“Certo! Io la lascio = tu mi uccidi! Chiaro come il sole a mezzodì!”
“Bene!” esclamai lasciandolo e tornando in camera.
“Hey BB! Oggi, dopo averla abbracciata, voglio che le dici che è bella!”
Mi girai a guardarlo peggio che potevo.
“Che c’è ora? Sei proprio una palla,sai?”
“Perché?”
“Oddio, siamo a questo punto… BB, sei un caso perso! Tu fallo e basta ok? Un giorno capirai perché…. ma dico io se un uomo fa queste domande… tsk!”
Alzai gli occhi al cielo, e mi misi a guardare fuori dalla finestra, aspettando le 9 e 30.
Le giornate si susseguirono in tal modo per una settimana, durante la quale Eloin e Matt superarono l’imbarazzo, facendone però venire a me. Cioè. Immaginatevi la scena. Loro due seduti dallo stesso lato del tavolo intenti a lanciarsi occhiate tenere e baci, cosa che già faccio fatica a sopportare (insomma, se proprio vi dovete slinguare, fatelo in privato, risparmiatecelo!), e dall’altro io e Mello che lanciamo occhiate di mal celato disgusto alla coppia e ci dedichiamo all’arte della contemplazione del nostro piatto, io vergognandomi per loro (ripeto: effusioni in privato!!!! Insomma, ti vedono tutti!), e il biondino che si annoia e sbuffa come un toro.
Poi di solito ci guardiamo, ci lanciamo uno sguardo disperato, e ritorniamo a guardare i piatti.
Ma d’altra parte, Eloin ha smesso di trattarmi come un peluche.
E questo è un gran bene.
In quel momento, Eloin era appena tornata da camera di MattemMello, e aveva bussato alla mia porta. Mi alzai dalla scrivania, e andai ad aprire un po’ svogliato.
“Ciao BB!” esclamò con un gran sorriso sul viso.
“Hey, come va?”
“Tutto a posto, tu?” rispose, entrando e chiudendo la porta pur senza essere invitata.
“Ok. Cosa c’è?”
“Niente, è che ci vediamo di rado per…- arrossì- per Matt…. E quindi pensavo di stare un po’ con te!”
“Mh, ok” accennai, risedendomi alla scrivania. Non era il momento adatto per una visita. Non che non le volessi come sempre bene, non fraintendiamoci, ma in quel momento non avevo voglia di vederla perché… ero occupato.
Così la ignorai, sperando che sparisse in tal modo, e provai per quella che doveva essere la millesima volta durante il pomeriggio a chiudere gli occhi e a vincere contro la Cosa che sentivo. Imparavo sempre di più su di essa. Avevo capito che non potevo scacciarla, perché faceva parte di me. Ma potevo vincerla e quindi controllarla. Dunque in ogni momento in cui chiudevo gli occhi, duellavamo fino allo strenuo delle forze, concludendo la partita con la mia, è dura ammetterlo, sconfitta.
Il sole serale scaldava la stanza, e illuminava di una luce arancio-gialla i nostri volti.
Lei probabilmente stava cercando di capire cosa facessi.
Come al solito, sentii qualcosa scorrermi dappertutto, una presenza che mi sussurrava all’orecchio zizzania, e che mirava a prendere il controllo delle mie mani, per uccidere chiunque si trovasse a tiro.
Ma Eloin non era d’accordo nel sentirsi esclusa, e posandomi una mano sulla spalla chiese cosa stessi facendo. Sospirai.
“Niente” dichiarai poi, per girarmi verso di lei aspettando che parlasse, che intavolasse una conversazione.
“No, sul serio, che stavi facendo?”
“Niente ti ho detto.”
“Daiiiiiiii”
Perché, perché, perché Eloin era così cocciuta? E perspicace, pure!
“Nien-te. Piuttosto- e da qui improvvisai- come sta Matt?”
“Bene bene, come mai me lo chiedi? Non è da te! E non sviare l’argomento!”
“Riposavo gli occhi”
“Si, certo. O me lo dici o racconto qualcosa a Mello”
“Cioè?” chiesi sarcastico.
“Che gli vuoi bene!”
“Eh?????” esclamai balzando in piedi. “Non puoi!”
“E perché no?”chiese lei con aria di sfida, fissandomi negli occhi.
“Lasciami in pace!”
“Allora, o mi dici questo, oppure… oppure mi dici qual è il tuo sogno recondito!”
“Eloin, piantala. Non sei divertente. Non puoi costringere le persone a parlare di cose di cui non vogliono parlare!”
“Stando con te, ho imparato che spesso non vuoi parlare di cose importanti, o che reputi importanti perché hai paura, ma visto che siamo fra amici non dovresti averne, quindi ogni tanto ho bisogno che tu ceda e mi dica qualcosa, altrimenti come faccio a sapere che per te non sono solo una rompiballe?” rispose lei sorridendo con una logica inattaccabile.
“Io non ho paura!”
“Allora forza, cosa stavi facendo?”
“Non sono affari tuoi! Se vuoi parlare di qualcosa è un conto, se vuoi solo sapere tutto di me per passare il tempo è un altro, chiaro?”
THINKS OF ELOIN EDUD
Incredibile. Allora l’aveva capito subito che il mio primo scopo era quello.
Rimasi spiazzata, a guardarlo, mentre lui incrociava le braccia e mi fissava senza lasciare trasparire niente, ma dalla frustrante rabbia che avevo colto poco prima nella sua voce, intuii cosa aveva pensato. Pensava di essere un giocattolo per me? Ma come? Dopo tutto quello che avevamo passato, dopo Roger!
Poi, evidentemente pensando ciò che avevo pensato io, il suo sguardo si ammorbidì.
“Scusami”disse voltandosi verso la finestra.
“Dobbiamo piantarla di litigare sempre. ”
Non ottenni risposta, così mi avvicinai a lui.
“Il punto è che mi chiedi troppo. Io non… non so come dirti certe cose. Praticamente nessuno sa tutto di me e tu chiedi di saperlo. Dopo che per anni ho fatto in modo di disperdere le tracce, di non pensare al mio passato. Capisci?”
“Certo, capisco. Però non puoi fermarti qui, sarebbe come una sconfitta.”
“Per me… o per te?”
Rimasi ferita da quella diffidenza, da quella freddezza. Insomma, cosa dovevo fare per guadagnare la sua fiducia? Sospirai scoraggiata.
“Se proprio non sei disposto a perdonarmi, ti posso capire… ”
Si girò con una punta di esasperazione negli occhi.
“Io non riesco a capirti Eloin. Ti dico quello che mi passa per la testa perché dici che così è un’amicizia, ma se lo faccio ti offendi!”
Mi venne da ridere.
“Sei proprio scemo!” esclamai, notando lo stupore nei suoi occhi.
“Che cosa ho fatto adesso?”
“Sei buffo! E ti voglio bene!” dissi abbracciandolo a tradimento.
Ultimamente avevo notato che Matt lo stava costringendo a fare cose insolite tipo dirmi che avevo dei begl’occhi, abbracciarmi e simili. Ma di certo ancora non capiva il motivo di tali effusioni.
Mi guardava con serietà ora, come sempre.
“Tu perché mi conoscevi?”
“Eh? Io? ma se non ti avevo mai visto prima di capitare qui!”
“Si, ma sapevi che ero un serial killer quando ti ho detto il mio nome. Insomma, conoscevi il caso BB. Perché?”
“C’era su tutti i giornali. E poi me ne ero interessata, per curiosità personale. Ma perché l’hai fatto?”
“”Perché, perché… devi sempre fare domande tu? Non hai un briciolo di spirito investigativo?” mi chiese scherzosamente.
“Hey! Guarda che se avessi una connessione internet potrei scoprire quando finirà il mondo, data, ora e secondo! Non insultare- e qui mimai Matt, facendo ridere BB- l’haker che c’è in me! Hahaha!”
“Tu stai troppo con Matt… ”
“Si forse è vero… emm… comunque! Sai che stiamo conversando? Da quant’è che non-”
“Mai.”
“Già… BB posso farti una domanda?” gli chiesi
Sospirò, tornando a guardare la finestra.
“Vuoi chiedermi se conoscevo L?”
“Ma come cavolo hai fatto???”
“Me lo vuoi chiedere da tempo Eloin.”
“Non ti posso nascondere niente eh?”
“L’ho conosciuto, si. In un orfanotrofio.”
“E…. com’è?”
Non rispose.
“Ok, cambiamo argomento. Sai che ore sono?”
“Le 7.30”
“Di già?”
“Come mai, devi fare qualcosa?” mi chiese con un’impercettibile nota di ironia.
“In questo posto? Non direi… ho sentito che fra un paio di giorni arriva uno nuovo. Ne sai qualcosa?”
“No, non lo sapevo, tu?”
“So solo che lo stanno trasferendo da un altro posto, non è un novellino. Roger l’ha richiesto personalmente.”
“Chi te l’ha detto?” mi chiese, andando a sedersi sul letto, seguito da me.
“Mello, l’altro giorno. BB ho saputo che l’hanno condannato a morte dopo qualcosa che ha fatto nell’altro carcere, ma Roger lo ha… preso sotto la sua ala protettrice” dissi, calcando con disprezzo le ultime parole.
“Beh- constatò lui- gli do due settimane e scommetto che dirà che avrebbe preferito la morte.”
“Io sono curiosa. Secondo te che ha fatto per la condanna a morte?”
“Ucciso?”
“Mah… ”
“Beh, tu stacci lontano.”
“Ei che fai ti preoccupi per me?”
“No, solo che potresti cacciarti nei guai e… insomma vedi tu!” esclamò lui.
“Comunque io non capisco perché gli assassini uccidono, cavolo, ma non possono pensare prima che stroncano di netto una vita umana? È una cosa bastardissima!” dissi senza pensare da brava idiota, e lui mi guardò, senza che io riuscissi a cogliere niente dal suo sguardo, ma mi mise lo stesso in soggezione.
Mi guardava e basta, negli occhi.
“Non puoi generalizzare” dichiarò infine. Dentro di me feci un profondo respiro.
A quel punto sentimmo dei passi pesanti risalire il corridoio, e pochi secondi dopo, un uomo spalancò la porta con un solo gesto, e BB assunse un atteggiamento difensivo, alzandosi e lanciandogli uno sguardo in cagnesco. Poi però, si avvicinò e gli porse i polsi continuando a guardarlo.
“Ciao Eloin.” Mi disse poi, per scomparire lasciando dietro di se una porta che sbatteva e dei passi che si allontanavano. |
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Capitolo 15 *** Arriva un inferno ***
THINKS
OF
BEYOND BIRTHDAY
Che cazzo volevano da me ora? Non avevo
fatto niente!
Questo era quello che pensavo mentre due
uomini di Roger mi
trascinavano per il carcere, verso il suo ufficio. Nei corridoi si
vedevano
pochissime persone, ma coloro che per caso capitavano, si scansavano in
fretta
rivolgendomi uno sguardo spaventato. Tutti mi conoscevano li, solo
perché ero
l’unico che era andato più di due colte in
quell’ufficio ed era ancora vivo.
Guardavo per terra, quegli sguardi mi
facevano troppa rabbia e
troppa pena.
Arrivammo, e mi fecero sedere, per poi
uscire. Roger non c’era. E
non mi avevano legato.
Mi guardai in torno, sicuro che ci fosse
qualcosa sotto. Cosa
stava succedendo? C’era qualcosa che non andava.
L’ufficio era naturalmente
normalissimo. Quando mi voltai vidi
tutto l’arsenale di Roger, e rabbrividii. Il possessore,
arrivò solo dopo
qualche minuto, e si sedette alla sua scrivania, con due
caffè in mano. Me ne
porse uno, ma io ero troppo occupato a guardarlo con gli occhi
sgranati. Ma
cosa cazzo faceva?
“Beh, B, non lo vuoi?”
mi chiese con quella falsità che ormai
faceva parte della sua voce.
“Cosa vuoi da me?”
“Come siamo freddi! E vedo che
sei anche dimagrito, come mai? Non
ti piace più la marmellata?”
“Cosa vuoi?” ribadii.
“Tranquillo, si tratta di una
formalità. Vedi, credo che tu
l’abbia sentito, ma in ogni caso: sta per arrivare un nuovo
componente di
questa grande famiglia, e visto che anche tu ne fai parte credo di
doverti dire
alcune cose prima che tu-”
“Sono arrivati molti nuovi da che
sono qui. Cos’ha questo di
speciale?”
“Beh B… se tu non
avessi la cattiva abitudine di interrompere la
gente quando parla lo sparesti. Dunque, questo nuovo componente,
è un po’
particolare, capisci?” chiese come se stesse parlando a un
neonato,
sorseggiando il caffè. Poi poggiò la tazzina, e
mi porse alcuni fogli.
Li presi, lanciandogli alcune occhiate al
di sopra di essi per
capire le sue intenzioni. Speravo di non dover uscire di li ancora
più
dolorante di quanto non fossi.
Guardai i suddetti fogli e riconobbi in
essi una specie di test
che Roger faceva fare per “Capire chi si unisce alla
famiglia!” a
coloro che stavano per arrivare nel
carcere.
Erano anonimi e c’erano poche
domande, che io personalmente avevo
giudicato stupide.
Come mai
hai ucciso?
Che
te ne frega?
Chi hai
ucciso?
Come
se non lo sapessi.
Ti sei
pentito/a?
No.
Hai
compiuto altre violzioni alla legge?
Questo
test comincia a stufarmi.
Ti senti
triste all’idea dell’esgastolo?
Immagino
che questa sia per capire se sono debole.
Vuoi
parlarne con qualcuno?
Ma
cos’è uno psicologo o il direttore di un carcere?
E andava avanti così per un
pezzo. La cosa che mi stupì, fu che
quelle risposte erano quasi le stesse che avevo dato io. alzai lo
sguardo, come
sempre impassibile.
“Cosa vuoi da me?”
chiesi per la terza volta scandendo
insistentemente le parole , guardandolo negli occhi e appoggiando i
fogli sul
tavolo.
“Ma come BB, non tradisci neanche
un po’ di stupore?”
Sbuffai, annoiato.
“Il punto è BB, forse
la tua mente perde colpi e non se lo
ricorda, che le sue risposte, sono quasi uguali alle tue, mi
segui?”
“Quante volte ti devo dire che
non sono idiota?”
“Ah-ah, BB, lo sai che devi darmi
del lei! Ma a questo pensiamo
dopo, d’accordo? Ora, devi
sapere che la
lettera che presto arriverà, è un soggetto
molto… particolare. E non vorrei che
tu, ne tantomeno la tua amica, E, stimolaste, come dire, la sua follia,
oltre
il necessario. Devi sapere che nel vecchio carcere, ha compiuto molte
azioni
illecite fino quasi a fuggire! Pensa un po’! E non voglio che
questo episodio
si ripeta, è chiaro BB?”
“Cristallino.”
“Bene, allora passo a
rimproverarti una mancanza che porti avanti
da molto tempo- dentro di me alzai gli occhi al cielo- ovverosia quella
di
dimenticare che io sono un tuo superiore.
Sappi che al prossima volta potrei arrabbiarmi BB.”
“Posso andare ora?” fu
la mia risposta, con una voce ancora più
annoiata di prima.
“Certo, ma ricorda che io posso
sentirti e guardarti in ogni
momento e in ogni luogo, va bene?”
“Perché concludi le
tue frasi con una domanda?”
chiesi alzandomi.
“Per sapere se ti è
chiaro tutto. Ma a quanto pare non è
così!”
Ebbi un momento di incertezza. Che
avevo… ma certo, avevo
dimenticato completamente di dare del lei a quel rospo sputacchioso!
A un suo cenno entrarono due guardie che mi
fecero sedere di
nuovo, e mi legarono come al solito. Sospirai. Cazzo, mi faceva ancora
male
tutto, specie quella maledetta spalla, e sicuramente mi avrebbe colpito
li,
vista la sua schifosa perversione verso il dolore. Altrui.
Lo guardai, chiedendomi come sarei uscito
di li.
Egli andò dietro di me,
fischiettando. Ma come faceva? Che uomo
era? Era un vigliacco, uno che aveva paura delle sue azioni,
era…
Ritornò nel mio campo visivo con uno strano pezzo di
ferro. Era una specie
di braccio di metallo, di cui non volevo capire la funzione. Sotto il
mio
sguardo, Roger lo aprì mediante una cerniera metallica, e
potei capire.
Al suo interno c’erano alcuno
punte, abbastanza sottili e profonde
per fare male senza essere fatali. Una specie di vergine di Norimberga,
a
dimensione braccio.
“Sai
BB, questo è un nuovo
acquisto, che sarai il primo a provare! Non sei orgoglioso?”
Distolsi lo sguardo.
IL GIORNO
DOPO
Venni sbattuto di malo modo in camera, e mi
permisi di chiudere
gli occhi per un momento e rilassare i muscoli. Ero messo abbastanza
male devo
dire. Sospirai, e
mi alzai.
Tre secondi dopo, come immaginavo, Eloin
irruppe nella stanza,
fermandosi sulla soglia.
“Si può sapere
cos’hai fatto ora a quel-”
Prima che continuasse la frase, la
raggiunsi di scatto, e le
tappai la bocca.
“Va tutto bene, ok?” le
dissi, nonostante mi tremasse il braccio
dal dolore.
Ella annuì, e io la lasciai. Era
pieno di microfoni e videocamere
in quel posto. Figuriamoci in camera mia.
…ma
ricorda che io posso sentirti e guardarti in ogni momento e in ogni
luogo, va
bene?
“Cos’è
successo?” mi chiese poi guardandomi negli occhi.
Stemmo li a guardarci per un po’,
mi venne persino da sorridere,
vedendola tutta preoccupata per uno come me. Per una volta, nessuno dei
due
aveva voglia di chiedere perché con aria critica.
Accettavamo semplicemente la
nostra amicizia per quello che era.
Erano passate un paio di ore, ed Eloin era
appena uscita per
andare dal suo ragazzo a giocare a Need for Speed. Io ero rimasto in
camera a
riflettere su quanto mi era stato detto da Roger. Avvertii una punta di
curiosità
verso l’indomani, verso l’arrivo di qualcuno che
magari, anche se non ci
speravo, poteva capirmi. Qualcuno che era quasi riuscito a scappare! Mi convinsi che il carcere in
cui era, doveva avere molte
meno forme di controllo che li. Non c’è
possibilità, mi dicevo, che si scappi
qui. Eppure in me si era insinuato quel raggio che è la
speranza, raggio che da
troppi anni non vedevo, e per millenni, per qualche secondo, mi cullai
in
quella luce divina che faceva vedere tutto più chiaramente
distorto.
Sentii il bisogno di confrontarmi con
quello ch era la realtà, per
non perdermi e per punirmi della mia leggerezza, e strinsi gli occhi,
provando
quasi subito quella strana percezione con la quale mi tormentavo da
giorni. Ce
l’avrei mai fatta a vincerla?
Era notte ormai. Saranno state le undici.
Eppure, Eloin non
dormiva. La sentivo muoversi ansiosa come un animale in gabbia.
Cos’aveva?
Riusciva a trasmettermi tanta irrequietezza che, preso da uno strano
coraggio
che non mi apparteneva, uscii dalla stanza e spalancai la sua porta,
mandando
lampi di impazienza, curiosità e irritazione allo stesso
tempo. Eloin mi
guardò, percependo quei lampi, e mi chiese come mai fossi
entrato con tanto
furore.
“Ma che hai? Avanti e indietro
avanti e indietro, ma non stai mai
ferma? Si può sapere che cosa ti impedisce di stenderti sul
letto e dormire?”
Alzò un sopracciglio, nella luce
artificiale della stanza,
scoppiando subito dopo a ridere.
“Scusa BB, non volevo metterti
ansia. È che… non posso fare a meno
di tormentarmi- disse tornando seria-
come mai oggi Roger ti ha fatto chiamare? E cosa ti
è successo al
braccio?”
“Tutto qua?”
“Si…”
ammise, spostando il peso da una gamba all’altra.
“è per il nuovo. E il
braccio… beh… sai cos’è una
vergine di
Norimberga?”
“Tipo una tomba piena di spunzoni
in cui si chiude una vittima per
trafiggerla e dissanguarla?”
“Si. Immaginatela dimensione
braccio.”
Fece una smorfia di dolore, e il suo
sguardo cominciò a tentare di
evitare il mio braccio, ottenendo un effetto contrario. Sbuffai.
“Ora dormirai?” le
chiesi, senza guardarla, irritato da quella
repulsione.
“Si, si, non ti secco
più.” Mi rispose con un filo di freddezza.
Vedendo che si voltava, aspettandosi un
saluto spiccio e una porta
sbattuta, sospirai dentro di me, chiedendomi cosa avessi di sbagliato
per
riuscire a toglierle sempre l’allegria che la caratterizzava,
con due parole. È
un’arte, mi risposi. D’altra parte, ciascuno ha la
propria arte, la mia è
questa evidentemente, continuai. Volendo però rimediare,
rendendo esplicito il
mio sospiro, le parlai tentando di rendere la mia voce più
amichevole.
“Scusa Eloin se non so sempre
essere l’amico che vorresti. ” e me
ne andai, sperando di aver fatto la cosa giusta.
La mattina seguente, come sempre, vennero a
ammanettarci e a
trascinarci per i corridoi, e come sempre fui compiaciuto dagli sguardi
di
timore e rispetto che mi lanciarono alcuni, distinguendosi dalla
pietosa massa
di occhiate compassionevoli dei loro compagni. Al solito, avevo a un
fianco
Mello e all’altro Near, che mi lanciò uno sguardo
nervoso, come quello che un
coniglio lancia a una volpe. Tentai di sedermi in maniera da rendere
sopportabile la scomodità delle sedie, e attesi, con uno
sguardo freddo e
tagliente che mi isolava dagli altri, che accadesse qualcosa. Eloin mi
disse
poi che era stupita e anche divertita da come tutti si muovessero e
dimenassero, o bisbigliassero, facendo un netto contrasto con la mia
immobilità. Lei stessa si mise a raccogliere chiacchiere sul
conto del nuovo
arrivo, tendendo le orecchie e ponendo domande ai suoi vicini. Quando
Roger
entrò calò uno strano silenzio, interrotto solo
da colpi di tosse trattenuti, e
da chi si muoveva sulle sedie. Allora, con questi silenzi da concerto,
è facile
lasciarsi prendere dalla’arte fine dell’ascolto. E
puoi sentire i fruscii più
intimi di due maniche di amanti nascosti che si sfiorano
impercettibilmente, o
lo scricchiolare delle rare scarpe nuove, o il rumore metallico di un
orologio
che viene consultato di nascosto, o infine, i rari se non unici
bisbigli incuriositi
da chi è qui da meno tempo e ha più voglia di
vivere, spettegolare, scoprire.
Vivere, spettegolare, scoprire. Ma
com’è possibile che qua dentro
si pensi a cosa del genere? Perché c’è
chi sembra non rendersi conto dell’aria
di morte, degli sguardi in cui leggi il suicidio imminente, delle
ferite e dei
lividi di alcuni, e degli occhi di altri, dalle pupille dilatate e
cicatrici
sulle braccia?
L’uomo a causa del silenzio
piacevole solo a me, camminò sino ad
arrivarci davanti, e poi si fermò, guardandoci con un grande
quanto finto
sorriso.
“Buongiorno ragazzi!”
esclamò poi, come un grande orso benevolo.
“BUONGIORNO ROGER”
rispondemmo con funerea esasperazione.
“Oggi, come avrete saputo, si
aggiunge alla nostra Grande famiglia- continuò
Roger includendoci in un
unico cerchio con le braccia -un componente nuovo! Mi aspetto che lo
accogliate con l’educazione che vi insegno ogni giorno, ma vi
devo mettere in
guardia rispetto a costui: stategli lontano o vi ridurrà a
quello che anche lui
è- disse rendendo la voce più seria e guardando
la porta da cui sarebbe
arrivato- ovverosia, un perdente.”
Pronunciò l’ultima
parola caricandola di disprezzo, e causando
curiosità fra le fila delle sue bestie da macello.
“Lascerò che si
presenti.” Concluse poi, discostandosi e facendo
cenno alle guardie di
portarlo dentro.
Chiusi per un secondo gli occhi, tentando
di non illudermi che chi
sarebbe uscito da quella porta avrebbe potuto avere qualche
possibilità di
comprendermi o anche solo di farsi osservare da lontano. Mi aspettavo
un
qualcuno di ombroso, di scuro. Un ragazzo che avesse come me vissuto
cose che
non doveva vivere, per sua spontanea volontà. Sapevo che non
avrei dovuto farmi
illusioni, ma non riuscivo a estirpare da me quel filo di speranza che
si era
insinuato con prepotenza nella mai testa.
Infine, dopo milioni
di anni, dopo pochi secondi, entrò.
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Capitolo 16 *** Due inferi che si incontrano ***
Ci furono attimi di
silenzio mentre veniva portata davanti a noi.
Portata.
Portat-a
Non riuscivo a pensare dallo stupore. Si,
insomma, datemi pure del
maschilista, ma non me lo aspettavo!
Mello mormorò un
“Cosa?”, ma fu l’unico a dare segni di
stupore.
Per cominciare la grafia era concisa,
schietta, semplice e
calcata. Poi… non so, quello che c’era scritto me
l’aveva fatta intendere come
qualcuno di simile a me, e dunque l’avevo visualizzata come
maschio. Inoltre,
se lo fosse stata, avrei potuto parlarci, ma così diventava
imbarazzante per
me, devo confessarlo.
Infine,
la guardai oggettivamente, e per un momento rimasi pietrificato, fisso
nei suoi
occhi. Erano grigi, pieni di sfumature, nicchie di segreti, di
pensieri. Erano
gli occhi più profondi che avessi mai incontrato. Ci stava
soppesando, proprio
con quegli occhi. Passavano su tutti, inesorabilmente, e quando
arrivarono ai
miei, notai che nessuno stupore incrino quell’espressione
così ermetica, ne
nessun altro sentimento la sfiorò vedendo dentro di me il
sangue.
Mi
lasciai cullare per un momento in una strana sensazione, che mi aveva
attanagliato lo stomaco, facendo scorrere il mio sguardo sulla sua
figura
snella e decisa. Indossava dei semplici jeans e una maglietta nera con
un
teschio, a maniche corte. Alle mani però, aveva dei guanti a
mezze dita di lana
nera. Gli anfibi di vernice nera scintillavano mostrando una minacciosa
punta
metallica, e i capelli erano tenuti corti ed erano biondo chiaro. Avevo
sempre
pensato che una ragazza dovesse avere i capelli lunghi, pensavo che i
loro
lineamenti fossero fatti apposta, ma lei… aveva un che di
diverso, e
inquietantemente bello.
I
suoi
lineamenti erano dolci, armoniosi, in contrasto con lo sguardo duro.
Una cosa
certa era che non si sarebbe lasciata mettere i piedi in testa tanto
facilmente.
Quando
Roger le chiese di presentarsi fece un mezzo sorriso sarcastico.
“Statemi
alla larga. Stop.” Dichiarò poi, con voce chiara e
forte. Ancora non potevo
staccarle gli occhi di dosso, e chissà perché mi
sarebbe piaciuto esserle più
vicino, per poterla osservare meglio, dappertutto, avevo il forte
desiderio di
conoscerla.
E
dentro
di me, in un punto imprecisato nella pancia, sentivo una sorta di
calore
indistinto.
Ma mi
riscossi con durezza da ciò, mi bastò chiudere
gli occhi e sentirla sempre in
agguato.
Li
riaprì
in tempo per vedere un’occhiataccia lanciata da Roger, che
però, subito dopo,
fece un gesto stanco alle guardie, e ci fece portare via.
Tock tock
Aprii
la
porta, vedendo Eloin con un sorriso stampato sulla faccia che mi
salutava.
Passammo
a prendere le due M, e le dovemmo aspettare non meno di 15 minuti,
visto e
considerato che si stavano picchiando di santa ragione. Appena fummo di
nuovo
nei corridoi, Eloin li interrogò sul motivo del bisticcio.
Notai Matt lanciare
un occhiata strana a Mello, ma egli, con un sorriso beffardo, le disse
che
secondo lui la nuova meritava un 8, e secondo l’amico un 9. Matt tossicchiò
imbarazzato.
“Così
schedate le ragazze, eh?” si informò Eloin con
ironia.
“Emm..
no, noi vermente.. ”
“Si
sempre!” esclamò Mello.
“Ah,
capisco. E come mai?”
“Beh…
così… per passare il tem-”
“Beh,
in
realtà Matt me lo ha proposto un paio di anni fa, e da
allora non è soddisfatto
se non fa il giudice una volta al giorno!” esclamò
il biondo ridacchiando, e
ricevendo un’occhiata a metà fra il disperato e
l’omicida dal compagno.
“Bene
bene…. E io che voto avrei?” chiese lei.
“Ma
10
amore!” esclamò il fidanzato cogliendo una
speranza.
“Ma
all’inizio era 8!” s’impuntò
Mello.
“Ah,
meno
della pelata?” chiese Eloin con un’occhiata che non
presagiva niente di buono
per Matt.
“M-ma
Eloin, ecco, io…”
“Ne
parliamo più tardi.” Chiuse lei secca.
Mello
dichiarò che amava essere sincero e Matt gli tirò
di nascosto un pugno nello
stomaco.
Entrai
dunque per primo nella mensa, e subito un senso di rabbia
affiorò in me. Al mio
tavolo, era seduta la nuova, a mangiare in silenzio. Schermava gli
sguardi
curiosi con occhi gelidi come una lama di ghiaccio.
Eloin
mi
disse di non farla tanto lunga e di prendermi da mangiare. Ma non
appena ci
fummo seduti, lei, senza nemmeno alzare gli occhi, fece una cosa che
fece
affiorare di nuovo la rabbia, insaporita a quella sensazione di follia.
“Alla
larga mocciosi.”
Mello
alzò lo sguardo minaccioso, ma il primo a rispondere, fui io.
“Per
quanto mi riguarda, io sto dove mi pare” dissi infatti con
voce distaccata,
continuando tranquillamente a mangiare.
“Se
non
te ne vai con i tuoi amichetti giuro che ti spedisco fuori da quella
cazzo di
finestra, è chiaro?” disse con un tono che voleva
apparire forte.
“Perché
non ci provi? Forse dopotutto, se ti stendessi abbasseresti la cresta
piccola”
le risposi, sapendo che l’appellativo l’avrebbe
fatta arrabbiare.
“Come
mi
hai chiamato, stronzo?” chiese infatti indurendo il tono.
“Ehy,
già
ci scaldiamo eh?” la presi in giro.
Matt
e
Mello si erano allontanati per godersi la scena senza finirci in mezzo,
ed
Eloin continuava freddamente a mangiare, imitandomi.
“Cerchi
grane?”
“Se
mangiare vuol dire cercare grane… si.”
“Tu
sei
Beyond Birthday, vero?”
“Forse
ti
riguarda?” risposi, celando lo stupore. Poi capii: Roger.
“Ero
curiosa di conoscerti. Mi hanno parlato di te.”
“Posso
dire la stessa cosa.”
“Mi
hanno
detto che sei pazzo.”
“Ma
davvero? Dove vuoi arrivare?”
“Volevo
informarti che io, a differenza tua, faccio sul serio. Non uccido per
gioco.”
“Ti
hanno
detto che uccido per gioco… strano, tutti sanno che non
è così.”
“Allora
avevo ragione”
“Su
cosa?”
“Tu
hai
ucciso quelle persone per tentare invano di superare L,
perché volevi
dimostrargli che tu eri l’originale e lui la copia.”
Come
sapeva quelle cose? O aveva parlato con L stesso… o le aveva
dedotte.
Invano….
“Non
proprio. ma mi sto chiedendo se per caso tu non abbia paura di me,
visto che
svii un argomento che potrebbe condurti a essere messa KO con
furbizia.”
“Io
non
ho paura di nessuno qua dentro.”
“Ma
hai
paura di qualcuno la fuori. Chi? Kira?”
Sussultò.
“Sei bravo anche tu a sviare gli argomenti.”
“Sei
decisa a fare a botte per un tavolo quindi. Davvero
intelligente.”
“Se
vuoi
evitare, forse per salvare la tua dignità, puoi andartene
subito.”
“Sai
che
non lo farò.” Dissi con calma, passando al secondo.
THINKS
OF
ELOIN EDUD
Assistevo
a uno scambio di battute durante le quali i due interlocutori avevano
dimenticato la mia esistenza. E quando giunsero alla fine, mi preparai
a
vederli andare tutti e due in escandescenze, Mello mi aveva avvisato
che si
diceva in giro che la nuova fosse territoriale, forte e furba.
Già
la
odiavo. Come si permetteva di insultare così BB?
È da dire che lui non sembrava
prendersela, ma mi dette proprio fastidio quella saccenza scandita
dalle sue
parole.
Comunque
sia, notando che continuavano a mangiare tranquillamente, mi stupii. Li
osservai
finire ordinatamente i cibi nei piatti, e infine alzarsi e uscire,
seguiti da
me. Camminavano fianco a fianco come BB non mi aveva permesso di fare
se non
dopo tante insistenze. Provai una punta di gelosia, ma mi dissi che BB
di
sicuro non la sopportava come me, quella presuntuosa. Non poteva
sperare di
batterlo, mi ripetevo.
Entrarono
in camera di lui, chiudendo la porta. Sospirai, andando nella mia e
sedendomi
sul letto.
THINKS
OF
BEYOND BIRTHDAY
Come
un
tacito accordo, in perfetta sincronia, salimmo, entrammo, e infine ci
guardammo
un momento negli occhi per cominciare una macabra danza dettata da una
miscela
di esperienza, istinto e una serie di arti marziali imparate in
precedenza.
Eloin
sentiva i colpi secchi, e non sapeva cosa fare, se non ignorarli.
Non
riuscivamo a farci male veramente , ci difendevamo troppo bene tutti e
due. Non
riuscivamo a sfondare l’uno la difesa dell’altro.
Ci
fermammo dopo una trentina di minuti, col fiato corto. L’uno
da un lato della
stanza e l’altro dall’altro capo. Ci fissammo.
“Non
sei
così male” mi concesse.
“Neanche
tu” ribattei, scostandomi i capelli dalla fronte.
“Allora,
suoni?” chiese incuriosita avvicinandosi alla mia chitarra.
“Vattene.”
“Oh,
scusa, ero solo curiosa, hai una bella chitarra.”
“Cosa
vuoi da me?”
“Lo
ammetto, qualcosa lo voglio, ma non te lo dirò
ora.”
Accennava
alle telecamere e ai microfoni, me lo sentivo.
“Allora
cosa ci fai qui?”
“Intanto
mi assicuro che tu sia quello che speravo.”
“Cosa
dici?”
“Che
mi
servirai.”
“Non
mi
farò certo usare da te, dolcezza.”
“Probabile,
ma vale la pena provare” disse, soppesandomi con lo sguardo.
“Perché’?”
chiesi, stupito da una tale concessione.
Si
avvicinò alla porta, cioè a me.
“Beh-
cominciò, calma- non sei male come ragazzo.” E
detto ciò, se ne andò.
Tranquillissimo,
andai a sedermi alla scrivania.
Ma
chi
prendo in giro? Con un rossore sospetto sulle guancie, rimasi immobile
per un
minuto buono. Nessuno mai mi aveva detto una cosa simile. Mai. In venti
anni.
neanche quel… nessuno.
Eloin
comparve.
“L’hai
battuta o no, quella meretrice?”
“Che?”
esalai stupito, ancora un po’ in shock.
“BB,
stai
bene?”
“Si
si,
credo. Devo pensare.”
“Dimmi
che non stai pensando che è simpatica. Oh no non fare quello
sguardo lo
conosco! No! Ma sei scemo!?”
“Devi
piantarla di leggermi nel pensiero, sei inquietante!”
esclamai, cercando di
metterla sul ridere.
“BB.
Non
metterla sul ridere. Pensaci bene. Ho sentito che ti ha detto, sta solo
tenendo
fede alle tue parole. Per usarti. Stalle alla larga, chiaro?”
“Eloin,
ora stai esagerando. Anche se avessi ragione, fino a prova contraria
non mi
puoi imporre niente.”
“BB,
per
favore! Dammi retta!”
“Mh”
risposi, già perso nei miei pensieri.
“Sei
un
idiota sappilo.” Dichiarò, sbattendo la porta.
Risi
fra
me e me, e mi avvicinai alla finestra. Il cielo scintillava di azzurro,
sembrava irreale. Una rondine passò nel cielo andando a
posarsi sul tetto molto
lontano da me. Magari avessi potuto essere quella rondine…
Ma
basta,
non era possibile, cosa andavo a pensare? Mi ritornò in
mente il discorso di
Eloin sui sogni. Cominciavo forse a intuire ciò che
intendeva…
Ripensai
alla giornata. Mi rivenne in mente un particolare e mi rabbuiai.
|
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Capitolo 17 *** Demoni insospettabili ***
La
mattina giunse di nuovo per tutti. Mi alzai presto, e mi cambiai, per
poi
attendere in uno strano umore l’arrivo prevedibile di Matt e
del suo gioco. E
infatti poco dopo, la porta si aprì, ed egli
entrò con un sorriso e un saluto.
“Matt…
cosa ti avevo detto riguardo Eloin?”
“Emmm…
di
trattarla bene?”
“E
tu
l’hai fatto?”
“S-si
BB…
”
“A
me non
sembra.” Continuai, alzandomi davanti a lui.
“Ma
BB,
cos’ho fatto di male?”
“Guardi
altre ragazze e questo a lei da fastidio.”
“Oh.
Be,
ma non lo farò mai più!”
“Lo
sai
che io non do mai seconde possibilità Matt.”
“Che
vuoi
fare BB? Vuoi picchiarmi?” mi chiese seccamente.
Lo
guardai negli occhi. “Si, era quello che pensavo, proponi
qualcosa di meglio?”
dissi con schiettezza.
“Non
so,
parlarne civilmente?”
“Non
c’è
proprio nulla da dire. Non dovevi farlo e basta.” Dichiarai.
“E
va
bene, vada per le botte.” Disse calmo, spegnendo la sigaretta
sul pavimento.
Sorrisi
fra me e me. Scelsi il thai cin per l’occasione, e stavo per
attaccare, quando
sfilò una pistola dalla cintura, e me la puntò
contro togliendo la sicura.
Rimasi fermo immobile a guardarlo.
“Una
cattiva parola su di me a Eloin e ti faccio fuori BB. Chiaro?”
“Tu
sei
di Roger.” Constatai, stupito.
“Strano
che neanche Mello l’abbia capito, nevvero? Ora, se qualcun
altro lo viene a
sapere, tu sei morto. Non è facile cogliermi di sorpresa.
Sembro sbadato, vero?
Il tipico donnaiolo idiota. Si, sono un bravo attore. Ma vedi BB, con
Eloin per
me è diverso, e anche a costo di far saltare la copertura ed
essere pestato a
morte dai miei cari compagni, io non la perderò. Punto. Non
mostri neanche un
po’ di stupore, bravo. Fai bene. Sai, è strano che
proprio tu ora, sia in mio
potere, perchè così è. Posso ucciderti
come un cane, ma non lo farò, non perché
tu mi stia simpatico, lo sai che non ti sopporto, ma Eloin soffrirebbe
per la
tua morte. E poi sei il suo unico svago oltre a me. Ma mi raccomando,
stai
attento a ciò che dici in sua presenza. Anche
perché io, lo saprò in ogni
caso.”
Detto
ciò, tenendo gli occhi puntati su di me, mise la sicura, e
rimise a posto la
pistola.
“Matt…
proprio tu, l’insospettabile, eh?” disse una voce
arrogante dietro di noi. Ci
voltammo di scatto, per scoprire Mello, mentre addentava una barretta
di
cioccolato, e ci guardava attentamente.
“M-mello?”
“Mi
vuoi
minacciare Matt?” chiese con voce melliflua avvicinandosi a
lui, e senza
battere ciglio gli prese la pistola e la osservò. Matt non
fu capace di
ribellarsi e stette fermo immobile.
“Bel
giocattolo. Allora, dopo che io stesso ti ho insegnato a usarne una,
non mi
dici se ne sei in possesso? Fedele amico… prima che arrivino
le guardie potrei
fare in tempo a farti fuori, sai? Dopotutto a me non frega un cazzo di
Eloin,
no?”
“Mello-”
“Sta
zitto. Non ti ucciderò idiota. Ma ora le prendi.”
E gli
tirò un violento schiaffo, al posto della mano, la pistola
stessa. Io me ne
tirai fuori, dopotutto erano affari loro., così andai alla
finestra, senza
ascoltare.
Quando
Eloin entrò, era tutto a posto. A parte un labbro spaccato
di Matt, ma lei non
se ne preoccupò, attribuendolo a un’altra lite con
l’amico.
La
colazione passò in silenzio, la nuova arrivata non si fece
vedere, e spesso
Matt venne sogguardato da
me e Mello, ma
lui schivava quegli occhi, sembrava spaventato. Non da me, da Mello.
Ero
incuriosito. Quando mai Matt aveva avuto una pistola? Eppure quando
– aimè- mi
aveva abbracciato, non sembrava che ne avesse una.
All’improvviso,
vidi Mello fare un’espressione strana, verso la porta della
mensa. Alzai lo
sguardo, e nella luce bianca al neon, vidi la nuova arrivata prendersi
da
mangiare. Mi chiesi il perché dell’espressione del
biondino, ma egli fece finta
di niente.
Poco
dopo, anche Eloin finì di mangiare, e ce ne andammo in
camera. Mello non salì
però, e vidi la nuova sedersi davanti a lui.
Anche
la
mia amica lo notò, e chiese a Matt se si conoscevano, anche
se con un po’ di
freddezza, visto l’episodio del giorno precedente, ma lui le
assicurò che non
sapeva niente di quella ragazza, abbracciandola affettuosamente.
Era
una
fresca mattina, ma non freschi erano i miei pensieri. Come fare ad
avvisare Eloin
della natura di Matt
senza rimanerne ucciso? Perché chiunque sapesse che uno dei
carcerati era
corrotto (e non ce n’erano pochi) veniva trovato morto,
spiaccicato
sull’asfalto, o impiccato nelle lenzuola. Si, è
stato un tragico evento, il
suicidio gli è sembrata la via migliore, bla bla bla.
Si,
certo.
Pensieri
che si mordevano la coda, vennero spazzati via da una decisione
brutale. Mi
alzai, uscii e, nel corridoio freddo e stretto, i
miei passi rimbombarono, leggeri e veloci.
Spalancai
una porta conosciuta.
“Già
qui
BB? Come mai questa frequenza di visite? E perché non hai
bussato, stronzo?”
Il
biondo
diede un altro morso alla cioccolata che aveva in mano, e si
alzò con uno
sguardo strano. Ma null’altro era cambiato, e
cambiò, nel nostro dialogo. Se
non che Matt non ridacchiò. Matt non c’era.
Capii
finalmente come Mello comprendeva ciò che provavo a seconda
di come lo
picchiavo. Non rise una volta, si limitò a picchiarmi con
più rabbia,
accortezza e forza del solito. Poi successe un fatto inaudito, fece una
mossa
fuori dalle regole, e mi fece cadere, sotto la scarna scrivania. Stavo
per
alzarmi e punirlo violentemente per quel gesto da perdente e da barone,
quando
vidi con la coda dell’occhio, un foglio piegato, con scritto
a grandi lettere
RACCOGLILO BB. Che feci? Lo raccolsi, elaborando in un secondo che era
l’unico
punto della camera non preso dalle telecamere. Così lo
infilai furtivamente in
tasca, mi alzai e, facendo finta di niente, sbattei Mello per terra e
gli tirai
un violento calcio nelle costole, dandogli del perdente. Ma non si
concluse
così in fretta la lotta. Dopotutto era Mello. Ed era
veramente incazzato per
una volta.
Non
mi
ero mai reso conto di quanto fosse forte.
Naturalmente
però, vinsi. Sdraiato per terra, per un secondo chiuse gli
occhi, poi si tirò
su, togliendosi la polvere dai vestiti e reprimendo l’istinto
di passare la
mano sui capelli dorati, essendo questa sporca di sangue.
Non
parlammo in bagno.
Ma
prima
di separarci, come un gesto di solidarietà verso un
problema, un segreto, in
comune, ci demmo una lieve pacca sulla spalla, e ci separammo immersi
nei
propri pensieri.
Arrivai
in camera ancora in subbuglio. Coma leggere il biglietto non era un
gran
problema. Piuttosto il contenuto m’incuriosiva. E
l’eloquente silenzio denso di
pugni che di solito si dimostravano decisamente meno efficaci (almeno a
giudicare dal mio occhio nero ) mi insospettiva. Io e Mello non ci
eravamo mai
considerati più
che compagni di lotta. E
ora d’un tratto, sentivo che la sua opinione di me era
cambiata. Ci avrei
pensato dopo, mi dissi però, prendendo un libro consunto
dalla libreria e
sedendomi sul letto, portando con un paio di mosse casuali, il
foglietto sulle
pagine che mi facevano da scudo. Ci vollero dieci minuti per aprirlo
senza il rischio
di destare sospetti. E alla fine ebbi davanti le parole del biondo.
Ciao Beyond,
se ti fai
beccare con questo
biglietto, morirai. Del fatto che morirò anche io non
immagino ti importi.
Leggi
attentamente. La nuova
arrivata si chiama Angel
e viene da Las
Vegas, anche se per molti anni
ha vissuto a Los Angeles… e in un altro posto di cui solo io
e Matt sappiamo la
posizione. Lei fatto ha fatto parte della malavita, era una boss
mafiosa fra le
più temute, grazie a lei sono arrivato ad avere tanto potere
su
quell’organizzazione tempo fa. Ma non bisogna mai affidarsi a
persone come lei.
Ti avverto: il suo unico scopo è usare te, me ed Eloin per
fuggire e dare la
colpa a qualcun altro. Risparmia i tuoi pugni a qualcun altro. Sta alla
larga.
Non parlarle, o te la vedi con me. Non tengo alla tua vita, ma alla
mia. E per
motivi che non puoi e non devi capire se ci vai mezzo tu ci vado di
mezzo io
nella sua tela di bugie. Lo
so che
sembra un angelo. Ma è come te, sotto
c’è una merda di persona (scusa il
complimento). Solo che lei non ha gli occhi rossi, e tutti cascano
nelle sue
trappole.
Riguardo
Matt. Non ha deciso lui
di avere in mano quella pistola. Ma credendosi tutt’ora
innamorato, Roger l’ha
costretto a stare dalla sua parte e a raccogliere informazioni su di
te, in
cambio della sua relazione. Inoltre, a quel che ho potuto capire,
sembra che
Roger gli abbia esplicitamente detto di farti capire o addirittura
dirti, cosa
che ha fatto, che i suoi occhi sono quelli del grande capo. Non aveva
scelta.
Ma come credo
anche tu, io non
credo in ciò che chiamano Amore.
Per cui, a
causa sua siamo nei
casini per nulla, e sempre più sorvegliati. Ora, desidererei
sapere perché
vogliono sorvegliarti tanto e sappi che se non me lo vuoi dire lo
saprò da
qualcun altro, sono bene informato, lo sai.
Per mio
conto, beh, diciamo che
Roger non vuole che mi avvicini Angel.
So che la
forma di questo scritto
e la calligrafia non sono delle migliori, ma non ho tempo e luogo di
scrivere
meglio o con termini e frasi meno ermetiche. Tanto non sei stupido no?
Deduci.
Un affettuoso
vaffanculo di
cortesia.
Mello
Viene
da
Las Vegas, ha vissuto a Los Angeles era una boss rinomata. Che
fosse…
Non
poteva essere. Proprio lei, qui?
Dopotutto,
perché no? La leggenda diceva che non sarebbe mai stata
beccata, ma era una
leggenda e io non ci credevo. Ma come mai non l’avevano
ancora tirata fuori?
Aveva appoggi potenti, perché non venivano a prenderla? Era
un tassello
importante della malavita, come mai la lasciavano li a marcire?
Almeno
ora era chiaro perché sapeva tanto di me. Lei era Angel, o
almeno così la
chiamavano, per via della sua dolcezza. Che nascondeva però
i più truci metodi
di tortura e uccisione conosciuti. Tutti la temevano nel suo ambiente.
Si
diceva che potesse imbrogliare persino… persino L. si diceva
che l’avesse
fatto, che avesse lavorato con lui a un caso, e poi,
all’ultimo momento, prima
di essere presa, era svanita nel nulla, lasciando a L la consapevolezza
di
avere una rivale. Ma chi era veramente? Quasi nessuno l’aveva
vista in volto.
Ma quelli che l’avevano vista dicevano che piuttosto che
Angel, avrebbero
dovuto chiamarla Mask, tanto i suoi lineamenti erano in contrasto con
quello
che era in grado di farti con un solo pugno.
Eppure
non mi aveva battuto.
Non
era
così esagerata la cosa.
Sapevo
che Mello aveva avuto a che fare con la mafia prima di finire li, ma
non
pensavo che addirittura lei fosse
interceduta per lui. E per Matt. Che ci fosse un legame maggiore di
quello che
immaginavo tra i due?
Mi
aveva
detto di stare alla larga, eppure sapeva che così mi sarei
incuriosito solo di
più… per me era una specie di invito,
così. Sorrisi dentro di me.
Beh,
Mello, mi dissi, abbiamo allora qualche affinità in
più che la voglia di
sfogarsi con le botte… così, tu non credi
nell’amore… certo, lo so che avrai
visto così tante coppie tradirsi da perdere fede in esso e
non mi sorprendi con
quest’affermazione. E effettivamente non credo neanche io che
tale sentimento,
per come è descritto, esista.
Infine
Matt. Se ha ceduto a un ricatto simile allora, forse, non si sta
prendendo
gioco di Eloin… in effetti è stato con molte
altre ragazze, ma Roger non gli ha
mai detto nulla, ed ora all’improvviso spunta Eloin, e Matt
deve diventare di
Roger, e non solo, deve farmi capire che sono più
sorvegliato del solito per
poter stare con lei. E il bello è che lui lo fa.
Questo
era più o meno quello che pensavo, nei secondi dopo la
lettura della lettera.
Finii
di
leggere il libro in circa 10 minuti, e fatto ciò, lo chiusi
con il foglio
dentro, riponendolo, per quanto sapessi che non era certo il miglior
nascondiglio. Ma per il momento, non potevo fare di più.
L’atmosfera
nella stanza era rimasta quella di tensione e rabbia, nonostante il mio
umore
fosse cambiato. Mi sentivo intrappolato. Non tanto dalla stanza, quanto
dalle
telecamere, dai microfoni, dal continuo controllo che avevano su di
noi,
dall’idea che la fuori, la gente, L, continuava a vivere
senza chiedersi come
le ore che per loro erano piene di attività, potessero
passare anche per noi.
Andai
a
sfiorare delicatamente la mia piccola, chiedendomi come comportarmi con
Akira.
Ero
indeciso. Da un lato, proprio per gli imperativi di Mello, avrei voluto
capire
cosa fosse questa tela di bugie, dall’altro,
Mello aveva anche detto che il suo scopo
era usare me, Eloin e lui stesso. E non volevo mettere in pericolo la
mia amica
per un capriccio. Ma dopotutto il biondino avrebbe potuto citare la mia
vicina
di stanza proprio per trattenermi. E a confermare
quest’ipotesi c’era il fatto
che al suo arrivo Akira aveva avvicinato solo me e Mello, facendo anzi
sentire
Eloin un po’ esclusa a quello che avevo capito.
Quindi
tanto valeva non dargli ascolto.
Pensai
ancora a Matt. L’avrei potuto dire ad Eloin? Ma come? Se
l’avesse saputo
saremmo stati uccisi tutti e due. Dovevo tenere per me quel segreto
anche se la
riguardava tanto.
Sbuffai,
lasciandomi cadere sul letto e socchiudendo gli occhi con le mani
dietro la
testa. Si udì un altro grido di dolore, chissà
chi era, che vita aveva… orami
non me lo chiedevo neanche più, sentivo la domanda e sentivo
la risposta: non lo
saprò mai, ma non le formulavo.
Ricordai il mio primo giorno la dentro. Non era stato certo un
bel’impatto. La
viscidità ipocrita di Roger mi aveva accolto calorosa,
disgustandomi, e vedere
quella schiera di pazzi salutare tutti insieme come marionette, mi
aveva fatto
arrabbiare ancora più di quanto già non lo fossi.
Poi
al
tavolo, un ragazzo aveva attaccato briga, e gli avevo tirato un pugno
così
forte da spezzargli il collo. Già dal primo giorno torturato
in
quell’ufficio. Mi
scoprii a pensare che
ormai ero fuori allenamento, non sarei mai riuscito a spezzare il collo
a un
ragazzo di quella stazza. La cosa mi dispiacque tanto che decisi che
avrei
ricominciato ad andare in palestra. Si, non era un bel posto e molti,
se ti
vedevano smilzo, provavano a schiacciarti la testa con 50 kili di pesi,
che non
è una bella morte, ma, pensai, non ero così tanto
fuori allenamento da non
tenere loro testa.
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Capitolo 18 *** Sviluppi nell'inferno ***
Quella
sera Eloin venne un po’ prima della solita ora, aveva voglia
di chiacchierare
evidentemente. Entrando, naturalmente senza bussare, mi sorrise. In
quel
momento ero seduto sul letto a pensare, e mi colse un po’ di
sorpresa entrando
a quel modo, ma non le dissi nulla, limitandomi invece a salutarla e a
chiederle come stesse.
“Bene
bene! Cosa vuoi che sia successo? Immagino che Mello sia la causa
dell’occhio
nero, vero?”
“Emm…
si…” ammisi facendole posto di fianco a me.
“Ci
hai
mai più pensato ai sogni?” mi chiese
inaspettatamente dopo un sospiro dovuto
alla mia precedente affermazione.
“In
realtà… una volta si.” Le dissi con
onestà.
“Ah
bene!
Non pensavo!” disse
con una certa
soddisfazione.
“Non
sono
poi così prevedibile alla fine, no?”
“Comunque
sappi che posso leggerti nel pensiero se voglio!”
esclamò, ridendo e facendomi
sorridere.
“Dimmi…
sai come si chiama la nuova?”
“Pensi
ancora a quella? Si fa chiamare Angel, e tutti a quanto sembra la
temono molto,
non so perché. comunque io non voglio averla vicino, non mi
piace. Hai visto
che faccina angelica? Quella brutta donna a ore! Come se non sapessi
che ti ha
provocato apposta. Sai cosa si dice in giro? Si dice che voglia fare di
te e
Mello suoi complici per fuggire! Ti sembra normale? Se provasse a
fuggire da
qua morirebbe e con lei tutti i suoi complici, sarebbe un
suicidio!”
Sobbalzai,
ma poi posai una mano sulla spalla della ragazza calmandola. Mi rendevo
conto
che non era più un gioco quello che stava accadendo la
dentro. Non era più
tentare di schivare l’amicizia della gente quello che mi si
chiedeva. Era
scegliere fra un suicidio con un possibilità di fuga e la
reclusione senza
scampo.
Comunque
le voci confermavano ciò che avevo pensato. A lei grazie a
dio non interessava
Eloin. E lei era davvero… lei, insomma.
Sospirai.
“Andiamo
a cena Eloin.” Dissi con calma, sapendo che potevo aspettarmi
qualche parola da
Angel. Ma stavolta avrei usato le mie armi anche io.
Scendemmo
le scale chiacchierando di cose che non ricordo senza molta importanza,
e
quando ci fummo seduti, notai che Angel si dirigeva verso di noi. Accennò un
sorriso ch emi sembrò un sogghigno
e si sedette di fianco a me.
“Ciao
Beyond Birthday” disse cominciando a mangiare.
“Ti
piace
chiamarmi per nome, Akira?” le chiesi maliziosamente, con un
luccichio degli
occhi. Il mio disappunto? Sembrava dalle lettere che le avevo letto
sulla testa
che il suo nome intimo fosse solo quello, in cognome non figurava che
una con
una macchia indistinta, che non mi faceva capacitare.
Sussultò
per la seconda volta durante le nostre brevi conversazioni.
“Sei
ben
informato. Ma non è il mio nome. Il mio nome è
Angel.”
Mi
prendeva in giro? Capii in un momento quello che aveva intenzione di
fare se
avessi insistito.
“Dici?
Che strano mi sembrava proprio che fosse Akira- dissi scandendo bene
l’ultima
parola-. Mi sarò sbagliato. Cosa vuoi?”
“Parlarti.”
“E
se io
non volessi ascoltarti?”
“Mi
ascolteresti lo stesso. ”
“Perché?”
“Vuoi
che
si sappia in giro che sei una copia
dell’unico
orginale? Per altro una
copia
riuscita male.” chiese
vendicandosi.
La rabbia
mi salì estranea e parte di me, riportando a galla vecchi
ricordi che avrei
dovuto cancellare. I miei occhi scintillarono da soli, e per un momento
non
riuscii a pensare che a certe immagini. La mia rabbia saliva troppo e
troppo in
fretta, e questo Eloin lo sapeva anche solo guardandomi dalla coda
dell’occhio.
Ma non
fece in tempo a fare nulla, perché mi alzai di scatto,
tirando su Angel, o
meglio Akira, per il colletto.
La
guardai negli occhi per un momento, e le sferrai un pugno
involontariamente, un
pugno che lei fermò anche se con difficoltà. Era
ferma immobile nella
concentrazione di tenermi ferma la mano, come io nella concentrazione
di
muoverla. ma io avevo una mano libera, e con quella le tirai una spinta
violenta, che la fece cadere a terra, davanti a me. Solo allora mi
calmai, e
dopo averle lanciato un ultima occhiata mi sedetti di nuovo. Tutti la
guardarono alzarsi e sedersi anche lei.
“Beyond
Birthday, non essere così violento.” Disse una
voce alle mie spalle, poco prima
che Akira parlasse di nuovo chissà per dire cosa.
Repressi
un brivido all’idea di entrare di nuovo
nell’ufficio di Roger, ma quattro
uomini all’apparenza sbucati dal nulla ci trascinarono li
tutti e due sotto lo
sguardo fra l’adirato e il preoccupato di Eloin.
Non ci
parlammo quando venimmo sbattuti e legati su due sedie davanti
all’odiata
scrivania. Ma certo, per lei era la prima volta, aveva ancora uno
sguardo
curioso che vagava per la stanza. Il mio era solo arrabbiato.
Per colpa
sua ero finito di nuovo la dentro e chissà come ne sarei
uscito! Insomma, sa
quando era arrivata Eloin non facevo in tempo a guarire ed ero di nuovo
li! E
il bello era che non era nemmeno colpa sua!
“Hei,
qua
non ci sono telecamere ne microfoni, lo sai?”
“Si.”
“Ascolta
allora. Ti devo parlare.”
“Non
mi
interessa. È un suicidio la tua
volontà.”
“Di
cosa
stai parlando?”
“Del
fatto che vuoi evadere.”
“Ah,
ne
sai qualcosa. Mello, vero? Comunque quello che volevo dirti
è che qualunque
cosa ti abbia detto il biondo sappi che mentiva. Io non voglio
convincerti a
tentare l’evasione con me per scaricare la colpa su qualcun
altro. Lo voglio
perché, per prima cosa senza il tuo aiuto non ci riuscirei,
per seconda perché
sei tu. Non c’è tempo per spiegare.”
Disse velocemente con voce concitata e
calma allo stesso tempo.
Mi
limitai ad abbassare lo sguardo sulle mie scarpe per non vedere la
faccia di
Roger mentre entrava nella stanza.
“Ancora
qui BB? E tu, A, già qui?”
Non mi
degnai di rispondere o di guardare. E la cosa venne notata.
“Hey
come
siamo cupi, ma non lo sai che non guardare che ti sta parlando
è
maleducazione?” chiese infatti l’uomo.
“Anche
torturare le persone di cui sei responsabile lo è, Roger,
eppure tu lo fai
comunque.”
“Che
faccia tosta BB, ti ho già detto che non mi piaci quando fai
così. E allora,
come mai avete litigato carini?”
“Affari
nostri.”
“Non
essere ostico B!”
“Roger,
è
stata colpa mia, BB non c’entra. L’ho provocato
fino a che non ha potuto
trattenersi e me ne assumo tutte le
responsabilità” disse con voce calma e
decisa A.
Sgranai
gli occhi, pur senza spostarli. Con che leggerezza si era condannata,
mi era
inconcepibile!
“Bene
allora verrai punita
per questo. Ma BB mi ha veramente mancato di rispetto ora, disubbidendo
a
ordini che ormai sono anni che riceve, perciò il tuo atto di
generosità non
servirà a nulla. Vuoi ritirarlo?”
“Non ho detto la verità perché BB mi
faceva pena, bensì perché era giusto
così.
”
“Beh, non cambia i fatti.” Rispose mellifluamente
Roger.
“Roger, se ti dicessi che sei un pezzo di merda, quella si
che sarebbe mancanza
di rispetto, ma il fatto che il ragazzo sia abbattuto per via del fatto
che
questa stanza è piena di strumenti di tortura, beh, questo
è essere umani.”
Commentò la ragazza con calma.
“Lascia che sia io a giudicare cosa è giusto e
cosa è sbagliato. Il fatto che
siete qui indica che voi non lo sapete fare, no? Perciò
zitta.” Ribatté l’uomo
con un gesto brusco della mano.
“Allora, che hai intenzione di fare adesso, Roger? Mi punisci
davanti a lei
come con Eloin? Anche se quella volta non mi sembra che sia finita
molto bene
per te… o ricordo male?” chiesi ironicamente
rassegnato alla mia sorte.
Sul volto del mio carnefice si creò una piega crudele.
“Perché non taci anche tu BB? Ci faresti un grande
favore, sai?”
“Perché usi il plurale?” chiese allora
Angel.
“Vi ho detto di tacere” ribadì,
aggirandoci.
“Vuoi usare tutto quell’arsenale? Uh, non hai un
minimo di senso di umanità mio
caro!”
“Sai Angel, come credo ti accorgerai presto, quello che
abbiamo in questa
stanza non si può definire umano. Anche perché a
mio parere e a parere di molti
altri, è sprovvisto di ciò che ci rende tutti
mammiferi. E che ci rende maschi
soprattutto.” Allusi.
Forse avevo esagerato però,pensai sentendo una scarica
elettrica passare per
tutto il corpo, seguita in veloce successione da altre tre. Riabbassai
la
testa, arrabbiato, ma impotente.
“Se mi insulti ancora, passerai brutti guai B e consiglio a
te, A, di stare
alla larga da questo ragazzo, è un pessimo soggetto, anche
se sono sempre
riuscito a piegarlo alla fine. ”
Spalancai gli occhi dallo stupore. Quando mai mi aveva piegato? Non
facevo
risuonare abbastanza la falsità nella voce, quando mi
scusavo?
“Roger, lo umili anche? Sei proprio crudele.”
Commentò Angel, o Akira, o come
cavolo si chiamava.
“Non ho certo bisogno della tua protezione A.”
“E io di certo non ti sto difendendo, visto che ai miei
commenti Roger si
arrabbia sempre di più e diventa sempre più
violento.”
“Felice di esserci chiariti.”
“BB, A, insomma, abbiate un po’ di contegno alla
vostra sfacciataggine! Allora,
cosa vogliamo fare, mostriamo come ti piego alla tua amichetta B? Ma
puoi
risparmiarglielo se ti scusi con lei e con me, ora.”
Sbuffai.
“Va bene.” Disse il direttore, facendo entrare due
guardie che fecero portare
via Angel. Sicuramente nella camera bianca. Quella senza cibo ne acqua
fino a
che non risuona la tua voce rotta dall’aridità che
spara ipocrisie per
sopravvivere.
“E allora BB, come la mettiamo con la tua violenza? Cosa devo
fare con te,
tagliarti una mano? Vedo che l’idea non ti piace…
allora, non so, romperti una
gamba, un braccio, due costole, cosa per dio?”
“Puoi sempre uccidermi.”
“Ah già, la tua voglia di morire. Così
vuoi davvero morire? Sul serio?”
Ci pensai, e lui mi lasciò pensare.
“No. Per ora. Forse fra un po’.”
“Capisco… allora posso minacciarti di
ucciderti…”
“Sarebbe inutile, lo sai anche tu che sono messo sempre
peggio, quindi
presumibilmente un giorno cederò.”
“Cosa?”
“Gli occhi Roger. Sveglia.”
“Mh, hai ragione, non ti ucciderò. Farò
di peggio.” Rispose avidamente, facendo
trasparire il desiderio dell’arrivo del momento in cui gli
avrei rivelato
tutto. Povero illuso.
“Cosa di grazia?”
“Ti toglierò la chitarra.”
“Ok, mi scuso.”
“Sei proprio un ipocrita, e per questo vai punito. Direi che
tre giorni potranno
bastare, o sbaglio?”
“Maledetto bastardo. Cos’altro vuoi da
me?” gli domandai tentando di mantenere
un tono calmo, nonostante dentro di me stessi facendo evoluzioni per
non
lasciarmi andare ala rabbia.
“Ecco un altro motivo per i quattro giorni: non impari mai. Finirai male BB, molto
male.”
e così finì il nostro colloquio. Quando venni
sbattuto sul pavimento della
stanza mi concessi uno sbuffo adirato e forse leggermente rassegnato,
poi mi
sedetti appoggiato al muro, sempre con lo sguardo a terra, pronto ad
aspettare
come al solito, che Roger si decidesse a scarcerarmi.
“Hei ciao.” Disse una voce lugubre
dall’altro lato della stanza.
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Capitolo 19 *** Raggi di ombra ***
“Hei ciao.” disse una voce lugubre dall’altro lato della stanza. Alzai il viso e vidi Angel farmi un cenno di saluto. Non risposi, riflettendo sul fatto che se quella… come aveva detto Eloin? Ah, si, se quella meretrice non mi avesse provocato, in quel momento sarei stato in camera mia, magari a chiacchierare con Eloin senza quell’orribile sensazione che Roger e il suo aggeggio da elettricista mi lasciava, o bruciature sul collo.
“Puoi evitarti quello sguardo da duro Beyond Birthday.”
Non risposi di nuovo.
“Sai, ho sentito dire che puoi essere molto forte se vuoi, tanto da spaccare il collo a ragazzi più grandi di te.”
Riabbassai lo sguardo sforzandomi di non ascoltare, nonostante il fatto che lei sapesse così tanto di me, mi facesse arrabbiare e mi mettesse a disagio. Come se non bastasse, quella cosa bastarda dentro di me non la smetteva di ribollire e di tentarmi. Ma cos’era? Rabbia, follia, cosa?
“Ma come, sei così gracile a vederti…” si chiese, con un tono che mi parve creato appositamente per farmi arrabbiare e che non sentivo per la prima volta.
“Non sembri proprio in grado di uccidere qualcuno con un pugno… secondo me mi hanno raccontato delle cazzate… E vogliamo parlare del pugno di prima? Pfui! Se quello è un pugno-”
“Sta zitta.” Le intimai con voce dura.
“Ti ho già detto di non fare il duro, no? Non ce n’è bisogno, sta tranquillo. Non dirò n giro che non sei così forte come si dice. Forse.”
“Ti ho detto di stare zitta.”
“E come, mi chiedo, uno come te, uno così debole, un perdente, ha potuto solo pensare di sfidare il grande L? l’hai conosciuto, eh? Certo immagino che fossi lo spazzino della sua camera tanto sei stupido. Come hai sperato di riuscire a batterlo? Cos’hai pensato? Sei veramente un’idiota.”
Sentivo la rabbia crescere dentro di me, prendendo la parte del mio autocontrollo, e non riuscivo a contenerla.
“Oh, scusa, forse così ti faccio arrabbiare? Ma dopotutto cosa me ne frega di fare arrabbiare uno così sfigato, così sciocco… già non me ne frega niente.” Continuò lei, osservandomi con aria critica.
“Vuoi tacere idiota?” dissi senza quasi accorgermene. Stavo per perdere, me ne rendevo contro, solo il pensiero di cos’avevo fatto l’ultima volta mi tratteneva. Ma poi pensai alla ragazza che avevo davanti e fu la fine.
Tentai ancora di trattenermi, cosciente di quello che stava succedendo, ma impotente. Angel si alzò, chiedendomi cos’avessi: stavo tremando.
“Cosa c’è, ti ho fatto piangere? Povero piccolino!”
No, stavo tremando per fermare i miei muscoli, ma non ci riuscii.
Mi alzai e la guardai negli occhi.
“Bene. Sono riuscita a farti arrabbiare, eh?” disse compiaciuta, notando nello sguardo, che la persona con cui stava parlando era cambiata.
Ridacchiai, non riuscivo a non farlo.
Con una sola mossa la sbattei contro il muro facendole prendere una violenta botta alla testa e cadere.
La ragazza si limitò a sorridere.
la raggiunsi le presi il collo con una mano e la tirai su senza lasciare che si potesse difendere. La misi contro il muro, che mi aiutava a tentare di soffocarla.
Riuscì’ a tirarmi un pugno e a farmi lasciare per un momento la presa. Aveva il fiatone, e un colorito decisamente più rosso.
“Allora è vero” constatò senza farmi capire a cosa si stesse riferendo.
Non la sentii neanche, cominciando a attaccarla a forza di una serie veloce di pugni dai quali non riusciva completamente a tutelarsi. La presi per un braccio e lo stortai con forza per romperlo e stavo per riuscirci. Ma in quel momento entrarono due uomini di Roger e mi fermarono le mani. Ebbi un momento di lucidità.
Angel per terra, mi guardava con una punta di stupore negli occhi grigi.
Gli uomini mi trascinarono dall’altro lato della stanza, mettendomi, in stile tigre da circo, delle manette ai polsi terminanti in catene lunghe un metro, che mi bloccavano al muro. Uscirono com’erano entrati, richiudendo la porta a chiave.
mi sedetti contro il muro, riprendendo a guardare per terra, facendo sbollire la rabbia in quel cemento bianco.
La bionda si avvicinò con cautela.
“Ti sei calmato?” mi chiese con una voce quasi sprezzante, ma intuii che era semplicemente il tono di voce che era abituata ad avere.
Bastò uno sguardo a farle capire la risposta.
“Scusa, mi serviva sapere se era vero che potevi diventare…” esitò.
“Un mostro?” suggerii io frustrato, guardandomi i polsi. L’avevo fatto di nuovo, maledizione. Possibile che fossi così debole? Se ci fosse stata Eloin? Mi odiai con tutto me stesso.
“Si più o meno è quello che intendevo. Ma cosa.. cosa provi quando ti succede?”
“Lasciami stare Akira.” Le dissi seccamente.
“Senti piantala di chiamarmi Akira.”
Non risposi più, neanche la guardai. Le si sedette di fianco a me, facendomi alzare le soglie dell’attenzione. Mi dava un certo fastidio quel leggero contatto. Era a gambe incrociate, mi guardava con quegli occhi così pesanti e per un attimo mi sembrò dispiaciuta.
“Cosa c’è?” le chiesi dopo 10 minuti al limite dell’esasperazione, contando il fatto che le nostre braccia si sfioravano, cosa che mi faceva impazzire forse più del suo sguardo fisso su di me.
“Niente.”
“Perché mi fissi?”
“Perché non dovrei?”
“Perché mi da fastidio.”
“No è che stavo pensando che dovresti sorridere di più, ti donerebbe.”
“Sei stupida per caso?”
“Non credo. Tu?”
“…”
“Lo prendo come un no.”
“Cerchi di farmi di nuovo arrabbiare?”
“Sono solo curiosa di sapere se riusciresti a liberarti.” Si giustificò lei.
“Si ci riuscirei.”
“Perché non lo fai?”
“Per essere legato sempre più stretto?”
Silenzio.
Si alzò e si sedette dall’altre lato della stanza, guardandomi negli occhi. abbassai di nuovo lo sgaurdo.
Passò un giorno così. Fermi. Lei che mi guardava e io che trovavo interessante studiare il paesaggio del pavimento.
A un certo punto, mi accorsi di avere le palpebre pesanti e pur lottandovi, venni infine vinto dal sonno.
THINKS OF AKIRA -----
Lo guardai per ore, senza pensare a lui. Poi, quando finalmente il suo respiro si fece più tranquillo e i suoi occhi si chiusero, quando, appoggiando la testa al muro di cemento, si addormentò, mi riscossi.
aveva dei lineamenti finalmente rilassati, finalmente naturali. Mi serviva il suo aiuto se volevo scappare da li. Ce l’avrei fatta? Mi rassicurai ancora una volta che si, sarei riuscita nel mio intento. Avevo decisamente bisogno di rassicurarmi. Avevo già fallito una volta per un errore stupido. Ma stavolta, mi dissi, non sarebbe stato così. Stavolta avevo due alleati potenti. Certo, li dovevo ancora convincere, ma non era mai stato un problema per me. Immaginavo che i due non avrebbero voluto abbandonare Eloin e Matt, ma solo facendolo avrebbero potuto salvarli.
BB sembrava innocuo quando dormiva, un semplice ragazzo in balia degli eventi. Mi spiaceva avergli causato giorni di reclusione, ma avevo dovuto farlo.
Sorrisi all’idea di come mi aveva battuto ore prima: era decisamente la persona giusta. Era pure carino, constatai osservandolo ancora una volta con sguardo critico. Una bella carnagione, che vantava di un contrasto con i capelli scuri. E poi quegli occhi… mi avevano molto affascinata come i miei avevano affascinato lui. Mi scoprii a pensare che mi dispiaceva incontrarlo in quel luogo.
Dopotutto, anche se l’avessi incontrato fuori, riflettei, cosa sarebbe cambiato?
Tornai a riflettere sulla fuga.
“Ti farò vedere chi sono, Angel” sussurrai con determinazione e odio verso quel nome così… falso. Quel nome, che non era il mio.
THINKS OF BEYOND BRTHDAY
Aprii gli occhi e vidi per prima cosa quelli grigi della mia compagna di torture. Ancora?
“Da quante ore mi fissi così?” le domandai con irritazione evidente.
“Ho perso il conto…” rispose sovrappensiero senza spostare lo sguardo.
“La pianti?”
Silenzio.
I giorni passarono senza grande dialogo tra i due. Akira li trovò istruttivi, io li trovai snervanti. Non mi toglieva gli occhi di dosso. Era la cosa peggiore che potesse farmi. Ma mi costrinsi a non darvi peso: i miei metodi per evitare di impazzire erano non guardarla, guardarla, guardare la sua data di morte, guardare il suo nome, non riuscire a vedere il suo cognome, scervellarmi sul perché non riuscivo a farlo, darmi per vinto e ricominciare.
Finalmente, dopo un lasso di tempo che mi sembrò davvero interminabile e che mi lasciò per settimane il fastidio per chiunque mi guardasse in faccia, ci liberarono. Era sera e mi diressi alla mensa smanioso di mangiare finalmente. Non vidi Eloin, era tardi ormai, ma riuscii a mangiare gli avanzi degli altri carcerati e a saziarmi: non molti andavano pazzi per le marmellate a cena…
Finito di mangiare in solitario (Angel non si era stranamente fatta vedere… ), risalii le scale e arrivato in alto guardai in fondo alla tromba delle scale. Provai un piccolo brivido di vertigine e mi voltai, per andare in camera. Non feci n tempo ad approssimarmi alla finestra che la mia porta si aprì violentemente.
“SEI VERAMENTE UN’IDIOTA!” mi urlò in faccia una scompostissima e agitatissima Eloin.
Sobbalzai e non feci in tempo a ribattere che mi diede quella che mi parve una lavata di capo bella e buona.
“COSA TI AVEVO DETTO, EH? COSA TI AVEVO DETTO!? MA TU NEINTE, MAI UNA VOLT A CHE MI ASCOLTI, FIGURIAMOCI, IL GRANDE BB ASCOLTARE UNA DEFICIENTE ROMPISCATOLE COME ME! STALLE ALLA LARGA, TI DICO! E TU LE MOLLI N PUGNO! MA SEI COMPLETAMENTE RIMBAMBITO? ERA EVIDENTE COME LA LUCE DEL SOLE A MEZZODI’ CHE TI STAVA PROVOCANDO APPOSTA! E SCOMMETTO CHE NON HAI ANCORA CAMBIATO IDEA SUL SUO CONTO! MA NON TI RENDI CONTO CHE L’HA FATTO PROPRIO PER AFFASCIANRTI E TRARTI DALLA SUA PARTE? INSOMMA BB, SVEGLIA! QUELLA MENTECATTA CON LE LENTI A CONTATTO TI VUOLE USARE! LO CAPISCI U-SA-RE! E TU CHE CADI NELLE SUE TRAPPOLE COME UN TOPO CON UN PEZZO DI FORMAGGIO NEL SAHARA! COME SE NON FOSSI GIA’ ABBASTANZA TARTASSATO DA ROGER! SEMBRA CHE TU LO FACCIA APPOSTA A FARTI PICCHIARE! DI’ , TI DEVO DARE PER CRETINO? ” continuò tutto d’un fiato avvicinandosi e guardandomi dritto negli occhi senza peraltro spaventarmi troppo. Certo, non è che me l’aspettassi, mi aveva un po’… stranito tutta quella grinta…
Poi come al solito dissi una cavolata.
“Non ha le lenti a contatto.” Constati infatti.
Sembrava sul punto di saltarmi addosso e sbranarmi vivo dal luccichio omicida nei suoi occhi.
Fu allora che fece una cosa che mai in vita mia avrei immaginato possibile che mi si facesse.
strinse le labbra e, senza che io me l’aspettassi minimamente, mi tirò un sonoro ceffone con la mano destra, per poi uscire dalla stanza sbattendo di nuovo la porta.
mi toccai la guancia dolorante alzando gli occhi al cielo decisamente preso alla sprovvista.
Scossi la testa e uscii dalla stanza, per entrare in quella di Eloin. La trovai che si era lanciata sul letto a pancia in giù, con il volto affondato nel cuscino.
tossicchiai imbarazzato.
Nessuna risposta.
Reprimendo un sospiro mi avvicinai, e mi sedetti sulla sponda del letto.
“Vattene” mugolò poco convinta la ragazza.
“Emm… - esitai senza sapere molto bene cosa fare- ecco… ”
“Vattene o dimmi cosa vuoi alla svelta” disse ancora, la voce sempre attutita dal cuscino.
“Eloin... mi dispiace non averti dato ascolto. Ho… ho capito che Angel non è una persona… affidabile… e credo di doverti… delle scuse… ” dissi infine.
“Altro che poco affidabile, quella è un’idiota.” Disse lei, già un po’ rinfrancata.
“Beh, in realtà il punto è proprio che è molto intelligente. Se non lo fosse… ”
“Ha delle idee idiote però. Non si può scappare da qui. E poi se tu lo facessi moriresti… e io rimarrei sola… non è giusto… ”
“Ei, non dire così! Anche se muoio io ci sono sempre Matt e Mello, no?” la confortai.
“E tu non dire che morirai!” esclamò lei ancora senza guardarmi.
“Pace?” le chiesi cautamente dopo qualche secondo di silenzio.
“Va bene.” Bofonchiò la mora. Poi si mise a sedere di fianco a me.
“Scusa per prima…- disse alludendo allo schiaffo- è che sono molto preoccupata. Io ti conosco BB, lo so che il pericolo per te è una specie di invito, ti piace. Però… mi prometti che non mi abbandonerai?” mi chiese senza guardarmi negli occhi.
Sentii un’ondata di tenerezza verso di lei e le misi n braccio intorno alle spalle.
“Te lo prometto Eloin.”
Mi guardò con dolcezza e si appoggiò alla mia spalla.
“…”
“O scusa, ti metto in imbarazzo?” mi chiese con una nota di dispiacere.
“…no… ”mentii.
La sentivo rilassarsi sulla mia spalla e nonostante mi trovassi molto in imbarazzo mi accorsi che quando Angel mi aveva appena sfiorato, avevo provato un fastidio venti volte maggiore.
“Accidenti Eloin!” mi sfuggì.
“Cosa?” chiese lei curiosa della mia esclamazione.
“Beh… non so come dirtelo… ”
“Cosa?”
“Mah… non lo so, sai, non è affatto nel mio stile fare queste cose!”
“Quali cose? Consolarmi?”
“Ma no, è che… stavo pensando che… veramente è stranissimo!”
“Piantala di fare il misterioso caro il mio ironico, sputa!”
“Non mi prendere in giro, ma stavo pensando involontariamente che… mah… ti voglio bene, dai…”
“E ci mancherebbe! Ma guarda te! E ti stupisci pure?”
“No, è che… cioè, io lo sapevo, ma pensarlo così, a tradimento! Accidenti! Mi stai rammollendo Eloin! Da domani vado di nuovo in palestra!”
“Non sono i muscoli che fanno il carattere… ma c’è una palestra qui?”
“Già, ma non andarci, non è un bel posto.”
“Hey ti stai preoccupando per me!? Si, è meglio che tu vada in palestra a fare il macho!” mi prese in giro ridendo.
“Scema! Ho perso molto allenamento da quando sono qui, sai?” mi difesi io.
Chiacchierammo un po’, e dopo un’oretta (record battuto , dissi dentro di me) la lasciai per tornare nella mia stanza. Era notte e la vedevo stanca. Intuivo che in quei giorni si era preoccupata molto per me e mi dispiaceva, ma non potevo far altro che farle vedere che stavo bene.
MELLO’S ROOM
“Matt e che cazzo, è l’unico modo!”
“Non ci pensare neanche, non te lo permetto!” esclamò al limite di una crisi omicida il rosso, davanti alla porta.
“Cosa te ne fotte di quello che faccio, porco due?!” ribatté con la sua solita finezza da scaricatore di porto il sabato sera.
“Me ne fotte eccome!”
“E perché, sentiamo, pezzo di coprolita!?” quasi urlò il biondo.
“Perché è un suicidio Mello, lo sai benissimo cazzo, ci hai pensato a me?”
“Si brutto stronzo, ci ho pensato! E ti ho anche spiegato venti volte cos’ho pensato!”
“Mello, per le ciabatte di Zeus, non ci riuscirete mai!”
“Se è riuscita a farci avere mezz’ora senza microfoni e telecamere, non credo che le risulterà difficile questo!”
“Ma tu stesso avevi detto che non ci si doveva fidare per nessun motivo!!” ripeté per la quinta volta Mail con gli occhi sgranati come a dimostrare il suo stupore, nell’incoerenza del compagno.
“Te l’ho già spiegato! Quante cazzo di fottuttissime volte te lo devo ripetere che non vuole nulla in cambio da me?”
“E BB?”
“Quello psicopatico non è un nostro problema” disse con un tono di voce molto più calmo , prendendo un’altra barretta di cioccolato dalla tasca.
“Ma Mello, Eloin morirebbe di dolore se Angel-”
“Cazzo Matt, ti sei mangiato le palle?! Per le forme di Afrodite (che siano benedette) la vuoi smettere di fare il rammollito? Eloin si riprenderà benissimo, capita a tutti di perdere un amico, a noi è capitato milioni di volte eppure siamo ancora qua, integri e-”
“Rinchiusi in un carcere per matti?” chiese ironicamente Matt.
“Non per molto Matt, se la pianti di fare il bambino! La conosci Angel, lo sai che ci tiene all’onore, ed è in debito con noi! Ci farà uscire senza intoppi e potremmo essere di nuovo liberi! Liberi, ma lo capisci? Non sei stufo di vivere come una mucca da macello? Ogni giorno in questa merda di posto agli ordini di quel rimbambito?”
“Guarda che lo so che non lo fa perché è in debito!” dichiarò Matt offeso, sulla difensiva.
“E perché allora dovrebbe farlo?”
“…”
“Tu lo sai?” chiese Mello spalancando comicamente gli occhi, per una volta veramente stupito.
“Si.”
“Ah, già, Roger… quel pezzo di merda… Beh, senti questo Matt, non me ne fotte più un cazzo, da ora, se vuoi o non vuoi che io lo faccia: lo farò e basta e se sei così deciso a rimanere dentro, beh, restaci!”
“Va bene, se proprio devi almeno tirami fuori. Però… per favore, tenta di parlarle riguardo a BB, riguardo a Eloin insomma…”
“Perché non le parli tu, rammollito? A me non frega un cazzo della tua moretta!”
“Ma BB è tuo amic-”
“Lo sai Matt, che ho consegnato amici ben più grandi nelle braccia della morte personalmente in precedenza. Posso resistere senza picchiarlo ogni settimana.”
Matt sbuffa, senza sapere cosa ribattere. Poi riattacca.
“Ma se tu morissi, se voi falliste?”
“Non succederà, lo sai.”
“Io so solo che quella stronza è infida come la morte, e potrebbe ammazzarti e fuggire!”
“Non lo farà, sai anche questo. Matt basta, ti stai arrampicando sugli specchi! E sono passati venticinque minuti, rimettiti a giocare alla wi o ci beccano, deficiente.”
“Io non mi fido di Angel, Mel. Non ci posso fare nulla.”
“Beh, non mi interessa. Ormai ho deciso. Resta da convincere BB, ma ha detto che ci pensa lei, chissà cos’ha in mente. E piantala di chiamarmi Mel, idiota.” Concluse il biondo andando a guardare fuori dalla finestra |
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Capitolo 20 *** Accordo ***
THINKS OF
BEYOND BIRTHDAY
Aprii la
porta e la richiusi dietro di me. Poi notai un dettaglio: dei jeans e
degli
anfibi al di sotto della mia sedia a rotelle e mi irrigidii.
“Ciao Beyond” disse una voce arrogante, mentre gli
anfibi giravano la sedia,
mostrandomi una persona e due occhi grigi.
“Cosa ci fai qui?”
La ragazza si alzò e mi si avvicinò senza
cambiare l’imperturbabile
espressione.
“Passo a.. salutarti.” dichiarò, facendo
sbocciare a tradimento uno smagliante
sorriso.
“Ti rendi conto che grazie a te-”
“Non rivangare il passato, lo sai che mi dispiace.
Però dovevo, capisci?” mi
interruppe con voce ferma.
“Fuori Angel” dissi seccamente, arrabbiato con me
stesso perché con quegli
occhi riusciva quasi a convincermi di quello che diceva. Che faccia di
bronzo…
“Senti, mi sono resa conto di una cosa. vuoi chiudere un
momento gli occhi?”
chiese, senza badarmi.
“Ti ho detto di andare fuori.” Ribadii. Come se non
l’avesse sentito.
“Facciamo così: io esco dalla tua camera e dalla
tua vita, ma tu chiudi un
momento gli occhi, ti va?” propose serissima. Allora lo fanno
tutte le donne!
Di ricattare, intendo…
“Perché?” chiesi allora.
“Tu fallo e basta.”
sbuffai. Non mi piaceva il suo tono. Mi dava sempre fastidio. Ma i suoi
occhi…
mi entravano dentro come lame gelide e mi affascinavano: dovevo
ascoltarli, mi
diceva una gran parte di me, la meno saggia probabilmente. E
poi… non lo so…
per quanto lo volessi non riuscivo a considerarla una mia nemica. E
sentivo
qualcosa… di strano…
e come al solito,
da vero curioso, cedetti.
Fu così che chiusi gli occhi. Passò qualche
secondo e sentii due passi che
sembravano quelli di un gatto, verso di me e quindi la porta.
Poi per qualche momento, silenzio, assenza di moto. Ero sempre
più curioso.
Poi, del
tutto inaspettato, un contatto.
Spalancai
gli occhi, a mio malgrado ricambiando quello che era un bacio in piena
regola.
Non
sapevo come reagire, non me l’aspettavo per
niente…. AIUTO!
Poi magicamente agii senza pensare, come ogni tanto mi succedeva.
La abbracciai, chiedendomi perché ne sentissi il bisogno,
cosa inaudita. Per un
momento avevo dimenticato cosa volesse da me Angel. Ma il momento
passò, e mi
staccai dalla ragazza con precipitazione, guardandola sconcertato.
“Cosa stai facendo?”
“Non è come credi.” Mi rivelò
in un sussurro, tornando seria.
“Cosa-che-come??? T-tu mi hai baciato, cavolo! Ma
perché l’hai fatto?” sbottai.
“Tu vuoi sempre sapere il perché di tutto, vero?
Allora chiediti perché mi hai
abbracciata.” Mi sfidò.
Silenzio imbarazzato.
“Ok, va bene, calma.” Esordii poi.
“Sei tu che devi stare calmo, io lo sono alla
perfezione.” Mi rispose.
“Ma come, come è potuto succedere che io mi
dimenticassi che non… no! Cioè! Ma
insomma!”
“Stai andando in palla, calmati BB. Senti-”
“Stai zitta tu!” le intimai.
“Ascoltami BB per dio! Io devo solo… sei un tipino
difficile eh?”
“Ma che dici?”
E lo fece di nuovo, maledizione a lei e a me! Poi mi
abbracciò e sussurrò,
udibile a malapena nonostante la vicinanza della sua bocca al mio
orecchio.
“è per i microfoni idiota”
Mi immobilizzai. Allora l’aveva fatto solo per potermi
parlare senza che ci
sentissero.
“Stai
fermo ora, ascolta fino alla fine, chiaro?”
E chi si
muoveva?
“Io
voglio uscire di qua, ma per farlo ho bisogno di te e Mello. Se non mi
aiuterete, Eloin e Matt muoiono. Se lo farete, riuscirete a tirarli
fuori di
qui. Il 25 aprile, oggi è il 15, agiremo. Dovrete solo fare
quello che vi dico
e non ci saranno problemi. Ora, una volta fuori, mi dovete seguire se
volete
liberare i vostri due amici. E, sempre se lo vorrete fare,
avrò bisogno dei
tuoi occhi. Perché non mi tirano fuori i miei…
“amici”? Fatti i cavoli tuoi.
Mello ovviamente ha accettato. Stringimi la mano se ci stai. Se no
saluta
Eloin.”
Rimasi spiazzato, ma fui costretto a stringerle la mano.
Mi scostò con freddezza e uscì dalla mia stanza.
Si poteva
essere più… stronzi?
Ero li,
fermo immobile, probabilmente con una faccia da perfetto idiota, quando
entrò
Eloin, mi guardò negli occhi e si lasciò sfuggire
un profondo sospiro.
Ma ero un po’ troppo shockato per badarle.
“Hey
Romeo, ti svegli?” mi chiese con
una punta di ironia.
“Eh? Romeo?”
“Già, mio caro innamorato. Guarda che lo si vedeva
lontano un miglio che ti eri
appena baciato qualcuno.” Mi canzonò ridacchiando.
“Cosa? che? Ma non dire cavolate, Eloin! ”
“Si, si, certo.- cominciò, per poi avvicinar misi
di scatto con fare
inquisitorio ed erompere in un- CHI?”
“Eh?”
“BB, ma sei fuso? Chi-ti-sei-slinguato?”
“Tu vaneggi Eloin. Comunque. Cosa
c’è?”
“Niente, è ora di cena! Ma non mi hai risposto
caro mio! Guarda che lo scoprirò
lo stesso!”
“Eloin, piantala!”
“Ok, ok! Andiamo dai!”
Per fortuna, per quella volta, Eloin si mostrò meno
insistente.
Quando fu
finalmente sera, pensai con serietà a quello che Angel mi
aveva detto.
Se non collaboravo, Eloin sarebbe morta. Ma se avessi collaborato sarei
morto
io.
Decisi in un nanosecondo scarso che mi sarei sacrificato. Come potevo
scegliere
altrimenti?
Passarono
tre giorni. Eloin si sentiva abbastanza felice tra le braccia di Matt e
un po’
perplessa con me. Questo perché non riuscivo a stare allegro
per più di 30
secondi. Stavo per perdere quella ragazza per sempre, cercate di
capirmi, come
facevo a sorriderle come se nulla fosse?
Una mattina presto, con un ansia che mi rodeva le budella
uscii dalla
camera e cominciai a camminare a caso. Mi fermai dopo mille passi
contati
davanti a una stanza. L’aprii. Una ragazza coi capelli neri
dormiva legata a un
letto bianco. Richiusi. Altri mille passi. Altra porta. Bambino bruno,
appisolato su un letto troppo grande. Altri mille passi. Un vecchio?
Già, un
vecchio. Mille passi. Mello che dormiva.
“Che cazzo fai BB?”
“Fatti i cazzi tuoi biondina ossigenata.”
“Cerchi rogne panda?” chiese aggressivo.
“No.”
“Allora cosa vuoi?”
“Non ne posso più di tutta questa
ipocrisia.”
“’Cazzo dici?”
“Lo sai benissimo.”
“Cosa?”
Richiusi la porta e tornai in camera. sentivo qualcosa dentro di me, un
misto
di impotenza, di qualcosa di nuovo, sconosciuto. Mi rendeva inquieto, e
disperato.
“Ma che hai BB?” chiese una voce nella mia testa,
stranamente somigliante a
quella di Eloin.
“Niente”
“Allora perché piangi?”
“Cosa?”
Scoprii da aver poggiato la testa alle mani e di star piangendo lacrime
salate,
senza un lamento. Me ne stupii così tanto che per poco mi
dimenticai perché
piangevo. Poi me ricordai. Perché mi sentivo oppresso. Non
ne potevo più.
Avevo voglia di urlare, di fottermente di Roger, di ribellarmi.
Tok Tok.
Niente.
“BB!?”
“Che… ARRIVO!” urlai a Eloin
dall’altra parte della porta.
Quando uscii scoprii che non c’era solo lei. Mello, Matt e
Angel stavano dietro
di lei senza guardarsi fra loro.
Evidentemente il pavimento era molto più interessante.
“Emm… ciao… come mai tutti
qua?” chiesi a metà tra l’irritato e
l’imbarazzato.
Mello fece spallucce sincronizzato a Matt, Angel non sembrò
avermi sentito.
Guardai Eloin interrogativamente.
“Matt e Mello ormai sono abituati BB. Certo –
continuò con un tono acido- quella
non l’ha invitata nessuno. O
comunque di certo non io.”
“Ciao BB. Come te la passi?”
La guardai in cagnesco e seguii gli altri per il corridoio.
“Si può sapere cosa vuoi?”
“Niente, perché?”
“Cos’è, non sai andare in mensa da
sola?”
“Scusa, pensavo-”
“Non ti voglio fra i piedi la mattina, chiaro?”
“…”
Angel si fermò al penultimo pianerottolo con mia grande
gioia e ci lasciò
proseguire da soli.
“Cosa farai stamani BB?”
“Niente immagino, perché?”
“Così, pensavo che sarebbe stato carino stare
tutti insieme per una volta no?
Passare la mattina nella stessa camera, a tenerci compagnia, che ne
dite?”
Io e Matt ci guardammo male. Mello guardò male Eloin. TUTTI
guardammo male
Eloin.
“Beh che c’è, ho qualcosa sul
viso?” chiese lei ostentando indifferenza.
“Stai scherzando spero!” esclamò Mello.
“Mello sta zitto, ormai è deciso. E la camera
prescelta è la tua! Felice?”
“Voi non avete il diritto!”
“Si che ce l’abbiamo!”
“Emm…. Davvero?” chiese Matt un
po’ incerto.
“Si certo Matt!” esclamò convinta lei.
“…. Sicura?”
“INSOMMA! O si fa come dico io,
o
giuro che vi rovino!”
La guardammo male, eravamo tutti più alti di lei.
“BEH, MAI SENTITO PARLARE DI TORTURA PSICOLOGICA?”
Abbassammo lo sguardo ridacchiando.
“E lo vedete che si sta bene insieme?”
“Si ma-”
“Zitto Mello!”
“Guarda che non sono mica un cane!”
“Cuccia! O non avrai il cioccolato!”
“Ei!”
“Ho detto o non ho detto cuccia?”
“Ma-”
“L’ho detto o non l’ho detto?”
“Si, ma-”
“E allora cuccia Mello!”
Io e Matt ridemmo alla faccia incredula di Mello che si
trovò azzittito da una
ragazza.
“E anche voi, miei cari!”
Ostentammo le nostre migliori facce innocenti.
Il
tempo passò troppo
veloce perché mi preparassi come avevo voluto. La sera prima
del Giorno, entrai
in camera di Eloin, nervoso come un leone da circo che deve balzare in
un
cerchio di fuoco per la prima volta, mi sedetti di fianco a lei, senza
dire un
parola e lei capì che c’era qualcosa che non
andava.
“BB, cosa c’è?” mi chiese
infatti.
la guardai negli occhi, senza poter dire nulla.
Sostenne lo sguardo.
Poi, con un gesto di stanca rassegnazione dettato
dall’istinto, appoggiai la
testa sulla sua spalla, ancora silenzioso. Sembrò stupita,
ma non disse nulla.
Restammo così per un temo indefinito, con qualcosa in
sospeso nell’aria. da
sotto di noi arrivavano le note distorte di una chitarra che suonava
una strana
canzone.
Pensai che potesse essere Angel e provai un moto di odio verso di lei.
mi stava
strappando da quella spalla così amica verso quello che era
nel 99% dei casi un
suicidio vero e proprio.
Impotente, abbracciai Eloin, e feci per andare, ma lei mi trattenne.
“Cosa c’è?” ripeté.
“Niente.”
Mi guardò male.
“Niente.” Ripetei.
Le note della chitarra distorta continuavano a echeggiare intorno a
noi, come
un avvertimento.
Le lanciai un ultimo sguardo e uscii.
Ero seduto al tavolo della colazione, Angel ancora non si vedeva e io
ero
sempre più nervoso.
“Che giorno è oggi Eloin?”
“Lo sai benissimo, te l’ho già detto 300
volte! Ma che hai?”
“Niente.”
“Si certo. Senti, piantala! Non sono la tua badante, se non
vuoi dirmi cos’hai
bene ma non trattarmi come se fossi stupida! Lo so benissimo che hai
qualcosa!”
sbottò.
“…”
“Scusa.”
“Scusa io.”
“Mello, vuoi dello zucchero?”
“No. ”
“Un grazie mai eh?”
“Non rompere le palle Matt”
“Nervosini? Che, ti è venuto il ciclo?”
Mello gli tirò un ceffone che per poco a Matt non finiva la
faccia nel latte.
“Scusa Mel”
“Non chiamarmi Mel” rispose lui gelido.
“Scusami.”
“Scusa tu.”
“Ragazzi? Che avete oggi però!”
“Eloiiiin! Niente!” rispondemmo in coro io e Mello.
“Ok, ok! E che barba però, eh!”
Matt abbassò lo sguardo.
Poi Angel arrivò. Si sedette davanti a me.
“Ciao Beyond Birthday. Sei in forma oggi?”
“Più di quanto tu creda.”
“Che fai, provochi?”
“Non mi permetterei mai” dissi tra i denti.
“No, guarda, mi sta bene.”
“Ah, si? Come mai, vuoi fare a botte Angel?”
“Pensa alla tua colazione psyco, se non vuoi finire a
tappeto.”
Sapevo che mi stava lanciando un segnale. E che mi faceva arrabbiare
apposta.
Se avesse saputo chi per primo mi aveva scherzosamente soprannominato
psyco,
però, non avrebbe osato tanto. Due occhi neri affiorarono
nella mia memoria, e
mi alzai di scatto.
“BB…” protestò Eloin.
“Lascialo.” Disse Mello.
“Come mi hai chiamato stempiata?”
“Psy-co.” Esordì alzandosi a sua volta.
“Scelta tua.”
Le tirai un pugno da sopra il tavolo che lei prevedibilmente
fermò e al quale
rispose salendo sul tavolo e tirandomi un calcio all’altezza
della testa. La
schivai e la sbattei a terra, ma si rialzò subito. Mentre le
guardie ci
portavano via, guardai Eloin scomparire dalla mia visuale con uno
sguardo che
lasciava trasparire troppa disperazione perché il suo non
fosse stupito. Mello
mi lanciò un’occhiataccia, e io voltai la testa,
sapendo che forse, avevo
appena detto addio alla mia unica AMICA.
|
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Capitolo 21 *** Fuga ***
“Allora
ragazzi, ancora non avete capito la lezione?” chiese Roger al
di sopra degli
occhialini.
“Evidentemente non ce ne frega niente di quella che tu chiami
lezione caro.” rispose
Angel con semplicità.
“Non ti rivolgere a me con quel tono, ti avverto.”
“Quale tono?”
“Quello, sciocca ragazza.” disse minaccioso Roger.
“Beh, che vuoi Roger?” chiese con ironia lei
lanciandomi uno sguardo carico.
“Taci, tu. BB che hai da dire in tua discolpa?”
ridacchiai. Avevo capito cosa Angel voleva che facessi
dall’occhiata che mi
aveva lanciato.
“Ebbene?”
“Perché ti importa, vecchio?”
“BB, ti avverto…”
“Di cosa?”
Angel sorrise.
“BB non sei in condizioni di-”
“Di farla arrabbiare? Ma se è lei che ha paura di
farmi arrabbiare. Non si
ricorda, l’ultima volta?” chiesi con una risata.
“BB, ora hai esagerato!” sbottò andando
a prendere qualcosa dietro di me.
Era un collare, ma più largo del mio collo. Senza
permettermi di aprire bocca
me lo infilò e prese una corda che, se tirata stringeva il
collare e faceva
penetrare delle ingegnose punte interne nel collo della vittima, non
letali, ma
molto dolorose.
“Un’altra parola e esci di qui ridotto a un
colabrodo.”
Sorrisi.
“Sembri un vecchio pirata Roger!”
esclamò divertita lei.
“Voi due avete bisogno di una bella lezione eh!”
Sorridemmo, cosa che lo fece arrabbiare ancora di più.
“Però Roger, stavolta è colpa di
BB.”
Sapevo che l’avrebbe detto, ma comunque mi diede una stretta
allo stomaco
sentire una cavolata così grossa.
“Allora punirò lui per primo.”
“E come, lo stuzzicherai? Sono curiosa di sapere.”
“Punirò anche te, tranquilla. E ciò che
vedrai su BB ti toglierà un po’ di
quella curiosità.”
Mi
incuriosii.
Roger
uscì e rientrò con un portatile acceso che ci
mise davanti. Era a ripresa della
camera di Eloin, che in quel momento stava leggendo, con gli occhi
rossi. Aveva
pianto? . Roger cliccò un tasto e vedemmo le finestre
chiudersi… da sole...?
Sotto il mio sgaurdo inorridito Roger premette un altro tasto e si mise
ad
osservarmi con un ghigno che non suggeriva nulla di buono.
In pochi minuti capii perché: Eloin cominciò a
tossire.
Bastardo.
Bastardo bastardo bastardo.
Stava riuscendo nel suo intento.
Mi irrigidii sulla sedia, chiusi gli occhi, ma a Roger non andava bene
e il mio
collo cominciò a sanguinare, dopo che le punte si strinsero
intorno ad esso.
Aprii gli occhi di scatto stringendo i pugni, voltai la testa.
Non gli andò bene neanche stavolta e per poco non gemetti
dal dolore della
stretta sul mio collo.
Ma fu una cosa sola a farmi impazzire, un suono insignificante, stupido.
Angel.
Angel scoppiò a ridere di me. La cosa mi fece uscire
completamente di testa.
In un attimo ero in piedi, ma Roger continuò a ridere in
faccia a un’altra
sedia rotta, e guardandomi dal basso tirò la corda con
forza, soffocandomi.
Bastardo.
Portai lentamente le mani al collo, piegato in due dal dolore, e le mie
mani si
strinsero sul metallo e sul sangue. Il mio sguardo perse anche
l’ultima ombra
di intelletto e Lei mi prese completamente.
ANOTHER
THINKS
BB, con
uno sguardo da belva feroce, strinse con tutta la sua forza il collare
di
metallo ricoperto del suo stesso sangue e tirò. Roger lo
fissava allibito,
chiedendosi se davvero pensava di romperlo con tanta
facilità. Era evidente che
si. E ci riuscì. Ora anche Angel lo guardava come se fosse
pazzo, cosa non del
tutto falsa, mentre gettava a terra i residui dell’arma di
tortura e si voltava
verso Roger, ora completamente indifeso. Egli fece per indietreggiare,
ma BB lo
sbatté con violenza a terra, cominciando a prenderlo a calci
silenziosamente.
Poi, a un tratto, si fermò.
Roger era riverso a terra, inanimato, ma vivo.
La bestia si voltò e guardò fisso Angel, ferma
immobile sulla sua sedia. In
quel momento BB era una figura davvero grottesca. Il sangue di Roger
gli
imbrattava le scarpe che posavano in una pozza di tale liquido. Questo
gli era
anche sceso dal collo, per colare poi sulle braccia e nelle mani.
“Tu ti chiami Akira, bugiarda.” Disse alla ragazza,
che lo guardava senza
l’ombra della paura, nonostante sapesse che non si
può ragionare con i leoni
arrabbiati.
“Dillo. Di che ti chiami Akira.”
“…”
“Dillo.”
“…”
BB fece un errore a quel punto: mise le sue pupille in quelle di Angel,
calme,
misurate, impeccabili.
E fu ciò che sconfisse indiscutibilmente il leone. O meglio,
lo fece per un
nanosecondo esitare. E quel nanosecondo diede modo alla natura umana e
razionale dell’uomo di sconfiggerlo e di riaffiorare
lentamente.
Rimasero fermi per un paio di minuti, poi, senza una parola, BB si
voltò e vide
Eloin svenuta sullo schermo.
“Cazzo.”
“Se mi sleghi lo fermo” disse allora Angel
alludendo al gas sconosciuto che
uccideva lentamente Eloin.
BB le si portò velocemente dietro e le libero con poche
mosse i polsi e le
caviglie.
Lei si alzò e premette un solo tasto sul portatile. Porta e
finestre si
aprirono, il gas smise di uscire da chissà quali bocche
nascoste nella camera.
BB si guardava intanto le mani, stupito di cos’era fino a un
attimo prima e
ancor più stupito di ciò che aveva fatto Angel.
La quale in quel momento
estraeva dalla borsa sequestrata una maglietta pulita che venne
lanciata a BB.
La guardò con tanto d’occhi, ma poi lei si
girò verso la scrivania di Roger e a
lui non restò che cambiarsi,
facendo
andar via un po’ di quel sangue. Certo però,
continuava a considerare la
maglietta sporca come l’ultimo dei loro problemi,
chissà perché.
Angel intanto aveva aperto un cassetto della scrivania di Roger e
rovistava tra
i fascicoli. Trovò ciò che cercava, un plico
beige che infilò nella borsa e
chiamò indi a se il compagno di fuga con uno sguardo. Roger
era ancora svenuto,
a terra. BB si chinò a toccargli il collo. Era vivo.
In quel preciso momento, udirono degli spari nel corridoio oltre la
porta
lignea.
Angel fece una
faccia indecifrabile,
corse al tavolo delle torture di Roger e trovò dopo poche
ricerche due pistole
e alcune batterie. Una pistola, una 99 mm, la diede a BB, lanciandogli
uno
sgaurdo di raccomandazione.
Aprì cautamente la porta.
Mello era davanti a loro, una pistola in mano. Il corridoio, dietro di
lui era
coperto di cadaveri e sangue.
“Presto ne arriveranno altre” disse alludendo alle
guardie.
Angel fece un passo avanti, seguita da BB.
Ecco
l’inferno, si disse lui.
THINKS
OF BEYOND BIRTHDAY
Uscimmo
dall’ufficio di Roger e da quel momento, pronto a morire in
qualsiasi momento, seguii
i due passo passo.
“Hai sistemato quelli delle telecamere?”
“Si, ma ci beccheranno comunque se non ci
muoviamo.” rispose Mello.
Entrammo in azione prima che io avessi il tempo di capirlo. Procedevamo
per
alcuni corridoi vuoti, ma presto la pacchia finì: dovevamo
passare davanti alla
mensa e da li correre verso la vicina uscita sul retro, o almeno,
questo mi
parve di capire. Facemmo un profondo respiro all’angolo
dell’ultimo corridoio
libero, indi ci tuffammo. Di corsa, l’uno dietro
l’altro, davanti Angel, poi
Mello e infine io, arrivammo di fianco alla porta della mensa e ci
fermammo un
secondo. Per fortuna nessuno uscì in quel secondo. Angel
fece un gesto a Mello
che andò davanti. La porta venne aperta violentemente e
entrammo di corsa,
tentando di attraversare la sala più in fretta possibile. Le
guardie non si
vedevano ancora, ma non speravamo di avere ancora molto
tempo.
“BB!”
Lanciai uno sguardo al tavolo da cui proveniva l’urlo e gelai
completamente.
Eloin.
Eloin mi guardava a bocca aperta, gli occhi spalancati dallo stupore,
senza
sapere cosa pensare, cosa provare alla vista di un suo amico che
scappava con
una persona che non sopportava abbandonandola da sola in una specie di
violento
manicomio. Volevo
distogliere lo sguardo
dai suoi occhi feriti da ciò che vedevano, ma non ci
riuscivo. Matt, di fianco
a lei guardava Mello con un’espressione seria che non gli
avevo mai visto sul
volto.
Credo fu quello il momento in cui mi resi veramente conto di
ciò che stavo
facendo. Dopo così tanti anni di reclusione senza un
pensiero a ciò che c’era
fuori…
Guardai Eloin tentando di comunicarle con lo sguardo le
più profonde scuse per ciò che le stavo
facendo, ma lei distolse lo sguardo e abbracciò Matt, come
se fosse il suo
ultimo appiglio. Capivo come si doveva sentire.
Quando la ferrea presa di Angel mi trascinò al di
là della porta mi resi conto
che mi ero fermato per qualche secondo. Qualche secondo che avrebbe
potuto
essere fatale per la nostra stessa vita.
Corremmo ancora attraverso un cortile posteriore, verso un cancelletto
nero che
ci faceva intravedere la strada verso la libertà. Quasi ci schiantammo su di
esso e subito
Angel si sfilò dalle tasche del fil di ferro – era
veramente piena di risorse -
e si mise ad armeggiare sulla serratura, mentre io e Mello le
rivolgevamo le
spalle per proteggerla da eventuali guardie. Che non tardarono certo ad
arrivare. Nel momento in cui ci stavamo per rassicurare di avere un
certo
vantaggio, sei di loro uscirono dalla porta posteriore della mensa, le
pistole
in mano e lo sgaurdo anonimo.
“ECCOLI LA!” urlò uno, congestionato .
Ci si avventarono contro. Io e Mello ci abbassammo subito e cominciammo
a
sparare, mentre Angel con un mano continuava a scassinare o a tentare
di
scassinare il cancello, mentre con l’altra ogni tanto sparava
un colpo. Fu in
quell’occasione che per la prima volta mi resi conto che
Angel era davvero
brava come si diceva. Nonostante sparasse la metà di quanto
lo facessimo io e
Mello, abbatteva tutti al primo colpo e in poco tempo, mentre si
muoveva di qua
e di la intorno al cancello per non farsi colpire, dimezzò
il numero delle
guardie vive. A quel punto ci lasciò il controllo e
ritornò completamente al
suo “lavoro”.
Mi sembrava una situazione molto, ma molto surreale in
realtà, ma non mi posi
domande, agii in modo automatico e insieme a Mello conclusi la
sparatoria.
Riuscimmo allo scoperto, davanti a Angel.
“Ci vuole ancora molto?” chiese Mello.
Per tutta risposta, altre guardie, stavolta una decina, uscirono dalla
porticina. Mi sembrava di essere in un videogioco.
“Ho quasi fatto, un secondo.” rispose lei concitata.
Le guardie si avvicinavano con l’intento di accerchiarci e
prenderci e le
nostre pistole si svuotavano di nuovo, senza grandissimo successo.
“Angel muoviti, cazzo!” sbottò Mello..
Il cancello si aprì e ci precipitammo fuori, seguiti dalle
ormai troppo vicine
guardie. Avevano l’ordine di prenderci vivi o di ucciderci?
Ucciderci, certo. Roger,
mica ci aveva parlato, svenuto com’era nel suo ufficio.
I proiettili si abbattevano con violenza vicino a noi mentre correvamo
dietro a
Angel senza sapere dove stessimo andando.
Girammo l’angolo della strada, col fiatone e i passi dei
nostri aguzzini che ci
rintronavano le orecchie, a ogni battito di cuore la consapevolezza che
stavamo
per morire che diventava più grande e certa.
Corremmo, allora, più veloci di quanto non fosse
ragionevole, scagliandoci in
falcate più lunghe possibile, tanto da rischiare di cadere.
L’ossigeno bruciava i polmoni come un incendio e cominciavamo
a essere ormai
quasi rassegnati alla morte.
Ma ecco che il nostro sguardo si focalizzò su una macchina
nera, grande, coi
vetri oscurati e un uomo alla guida che sembrava un buttafuori dei
più brutti
quartieri di Los Angeles. Angel si dirigeva la a quanto pareva. Ci
parve di
vedere la salvezza. Corremmo ancora più forte e quando Angel
balzò di fianco al
guidatore e Mello aprì la portiera posteriore saltando su,
capimmo che forse
avevamo qualche possibilità. Balzai sul sedile e sbattei la
portiera. La
macchina si mise subito in moto, nella
fresca aria di aprile. Gli uomini di Roger continuarono a sparare
finché non
voltammo l’angolo, indi andarono a prendere le loro macchine
per tentare un
inseguimento, ma era troppo tardi per fermarci.
Riprendemmo fiato senza una parola.
Mello mi lanciò un’occhiata, che ricambiai.
“Forte la piccola, eh?” disse a mezza voce,
accennando con il capo alla ragazza
seduta davanti.
“Attenta a come mi chiami, biondina!” fu la
risposta che giunse, ironica, da
Angel.
Stranamente però, Mello non si arrabbiò, ma
ridacchiò, voltandosi verso il
finestrino.
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Capitolo 22 *** Los Angeles ***
Angel era
scomparsa dietro il sedile del gigantesco veicolo e il guidatore non si
vedeva.
Non riuscivo a pensare, non riuscivo a comprendere ciò che
stava succedendo.
Mi sentivo perso in un mondo virtuale, creato da un cacciatore che si
voleva
prendere gioco di me.
Poi i miei occhi arrivarono al finestrino, apertura verso il mondo che
avevo
appena conquistato. Case anonime che non mi dicevano nulla mi
scorrevano sulle
pupille, la strada di asfalto sporco e trascurato si offriva alla mia
vista
senza pudore, il sole sfavillava quasi con timidezza uscendo dal
candore
innocente di una nuvola spumante. Una vecchia signora con una sporta
piena, due
ragazzi, una donna al telefono, una coppia di innamorati. Un piccolo
sorriso si
fece strada dentro di me, mentre cominciavo a sentire che tutto quello
poteva
essere mio. Che era mio. La macchina scorreva sull’asfalto
come una dama cupa e
amareggiata e io continuavo a riempirmi gli occhi del mondo cui ero
sempre
stato vicino, senza mai riuscire a toccarlo. Non riuscivo a smettere di
osservare famelicamente case, cielo, tetti, persone, strade, negozi e
quant’altro incrociasse il mio sguardo. Il silenzio regnava
padrone nell’auto,
dando a tutti il tempo di metabolizzare quanto appena vissuto, ancora
l’adrenalina che ci scorreva nel corpo a gran
velocità, ancora le ombre delle
pistole e dei proiettili nemici nei pensieri, ma ormai tutto era
concepito come
qualcosa di impalpabile e lontano. Mi sentivo come racchiuso in una
bolla di
sapone galleggiante sul mondo.
Imboccammo un’autostrada circondata dal nulla. Fu allora che
Mello finì la sua
contemplazione dell’esterno e diede il primo segno di vita.
“Ho fame. fra poco c’è un auto grill. Ci
fermiamo?”
“Se quelli ci sono ancora dietro?” chiese con voce
tonante l’autista.
Angel scacciò quell’affermazione con la mano e
acconsentì alla tappa fuori
programma.
“Meglio allora, devo andare al bagno”
dichiarò l’autista.
“Poi guido io.” disse ancora Mello.
Nessuno lo contrariò.
Passò poco più di un minuto e la macchina
parcheggiò in un tipico autogrill.
Mello scese con un salto e sbattè la porta dietro di se,
contemporaneamente a
Angel e all’autista.
Il due si diressero all’edificio. Angel salì di
fianco a me, al posto del
biondo.
Non la guardai, ma continuai ad ammirare il paesaggio esterno.
“Grazie BB.”
“Non mi hai lasciato scelta.” ribattei, sebbene
stupito dalla sua affermazione.
“Non hai capito. Grazie per non avermi chiesto se baciarti
era l’unico modo di
parlarti.”
Spalancai gli occhi imbarazzato. Il
silenzio però non venne interrotto da nessuno.
Azzardai un’occhiata dietro di me e scoprii con orrore che mi
stava fissando
con un’espressione indecifrabile. E non è che io
volessi decifrarla, eh.
“Figurati” dissi infine, tornando a guardare fuori
ostentatamente.
Ridacchiò.
“Sei proprio buffo.” Le sfuggì.
“Cosa?”
“Voglio dire, sei più imbarazzato di una foca in
Africa, ma non è che tu ti sia
ribellato, eh.” Disse, fra le risatine.
Che ragazza irritante.
Dopo aver pensato ciò, però, mi resi conto che
aveva ragione.
Accidenti.
“Ma io… ”
“Normalmente si direbbe che non hai le palle,
carino.” Rise ancora lei,
divertita dal mio imbarazzo.
“Ei! Non sono termini per una signorina.” Ribattei
ironicamente.
“Ti sembro una signorina?”
Silenzio.
“Se ci mettessimo insieme saremo la coppia più
ovvia di tutta questa
fan-fiction, lo sai?”
“Di tutta questa cosa?”
“Nah, niente, lascia perdere.”
“Si, comunque rischieremo di essere
una
coppia banale.”
“Già”
Silenzio.
“Bah, sei proprio un codardo in questo campo,
eh…”
Decisi di non permetterle oltre di calpestare il mio orgoglio.
Mi girai verso di lei, impassibile.
“Allora?” chiese.
“Beh, ho deciso di chiedertelo.”
“Cosa?”
“Perché mi hai baciato se avevi altri metodi per
parlarmi.”
Rise ancora e lo trovai gradevole.
“Non credo di amarti e neanche tu mi ami.”
“No, infatti.”
“Però mi piaci. E io ti piaccio.”
“…”
“E ammettilo, si vede lontano un miglio!”
“Ok. Un pochino. Forse.” ammisi, più a
me stesso che a lei.
“E allora, non so, devo aver pensato che se
ti avessi baciato avremo potuto cominciare
a costruire qualcosa di serio. A lungo termine. Non ho mai avuto una
relazione
veramente seria, e credo che con te sarebbe possibile. E poi, ancora
non ci
conosciamo bene. È probabile che col
tempo…”
“Potremo anche finire per amarci, te ne rendi
conto?!”
“Si, lo so, è strano.”
“Mah.”
“Allora?”
“Cosa?”
“Ma lo devo fare io il maschio?!”
“Eh?”
“Insomma, mi baci si o no?”
“Ah… emmm…”
“Ho capito, ho capito.”
Si avvicinò e mi baciò. Di nuovo. Maledizione. Le
donne sono veramente
incomprensibili. Voglio dire, prima mi minaccia di morte e poi si
dichiara… ma
vedi te se è normale.
Quando realizzai che avevo una fidanzata e ammisi che l’idea
non era male,
Mello arrivò. E figurati.
“Oh, alla buon ora!” esclamò saltando
su, al volante.
Io e Angel ci pietrificammo e ci allontanammo il più
possibile l’uno
dall’altra.
“Guardate che l’avevano capito tutti che vi
piacevate! E finalmente BB, eh!”
“Tutti chi, scusa?” chiese Angel, ricomponendosi.
“I lettori, no? E poi io, Matt ed Eloin. Anche se a Eloin la
cosa faceva
imbestialire.”
“I lettori?”
“Si. Ecco l’autista.”
Rifiutai di capire le strane parole di Mello e mi voltai a guardare
Angel, che
per una volta non mi stava fissando con fare inquisitorio.
Si, mi dissi, è bella. Ed è tosta.
Grandioso, no?
A parte Mello che sogghignava, lanciandomi uno sgaurdo dallo
specchietto.
Che situazioni, povero me. E meno male che non c’era Eloin.
Eloin… mi avrebbe mai perdonato?
THINKS OF
ELOIN EDUD
Quel suo
ultimo sguardo, non l’avevo visto, ma l’avevo
sentito chiaramente. Forse perché
dopotutto lo conoscevo bene, forse perché uno sguardo
può essere forte, non lo
so. Ma seppi cosa provava abbandonandomi e per un po’, questo
mi consolò
insieme con Matt. Ma quando in camera sua lessi nel suo sguardo
così sincero e
privo della protezione degli occhiali, che lui sapeva, che lui in
qualche modo c’entrava,
mi sentii malissimo. Esclusa, abbandonata, esiliata. Me ne andai
Perché?
Cos’avevo fatto per meritarmi tutto questo?
La colpa andò subito ad Angel.
Angel, Angel, Angel. Mi rigiravo quel nome nella mente sempre con
maggiore
odio. Mi rendevo conto che probabilmente BB sarebbe morto, se non per
mano di
Roger, per mano della ragazza. E mi rendevo altrettanto conto che
avrebbero
interrogato me e Matt allo sfinimento, convinti di un coinvolgimento di
qualche
tipo.
Come avrei fatto a perdonarlo, vi chiedete?
Io l’avevo già perdonato.
Non capivo, ma mi fidavo ciecamente.
Finalmente non solo la bocca, ma il cuore poté affermare con
decisione che
quello che probabilmente stava per morire era il mio più
grande amico.
E fu allora che al posto di essere arrabbiata, fui spaventata, per lui
e per
me. Andai da Matt il quale mi riaccolse e mi consolò come
solo lui sa fare.
. Fu circa allora che gli uomini di Roger arrivarono. Non ci opponemmo
quando
ci trascinarono via.
Torture per informazioni.
Dov’erano?
Ero
così
felice di non saperlo che rischiai di morire.
THINKS OF
BEYOND BIRTHDAY
La
tappa cui avevamo fatto
sosta era un appartamento di Los Angeles che raggiungemmo dopo un
giorno di
viaggio. Mi piacerebbe saltare ciò che avvenne durante il viaggio, ma non sarebbe
corretto, immagino.
Diciamo che Angel mise in chiaro con molta decisione che io e lei da
quel
momento stavamo più o meno (testuali parole) insieme, e che
nessuno ci doveva
rompere i cosiddetti (questo rivolto a Mello, chissà
perché… ). Non sapevo bene
come comportarmi, ma visto che di problemi ne avevo già
abbastanza, decisi che
quello sarebbe passato in secondo piano e accettai la cosa. direi anzi
che ne
ero abbastanza soddisfatto dentro di me. Angel, scoprii, poteva essere
anche
molto dolce, oltre che rompiscatole all’impossibile.
C’erano ancora molti
misteri su di lei, ma come già detto, passarono in secondo
piano. In primo
piano invece Eloin
e il modo di uscire
da quella situazione.
Comunque, come dicevo, arrivammo a questo appartamento
di Los Angeles dopo un giorno di viaggio. Era
piccolo, ma ciascuno stabilì qual’era il suo
spazio. Mello si appropriò del
divano, io della scrivania e della poltrona ad essa annessa, Angel
reclamò la
brandina. L’autista? Beh,
scomparve
sotto ordine di Angel evidentemente.
Mi feci velocemente una doccia, seguito da Mello.
Quando Mello si
lanciò su divano e io mi
fui seduto sulla poltrona, sorse spontaneo chiedere
cos’avremmo fatto. Quali
erano i piani?
Quando la domanda si esplicitò da parte di Mello, Angel
sbuffò e fece finta di
niente.
“Allora?” insisté il biondo.
“Fra un momento lo saprete.” rispose con un tono
secco che mi allarmò.
Indi si alzò e si avvicinò alla piccola finestra
della camera, gesto che mi
fece quasi rabbrividire.
“Per prima cosa, contatterò L.”
Sussultai.
“Cosa? L? e come pensi di fare?”
“Poi- andò avanti lei, ignorando il mio commento-
gli venderemo l’identità di
Kira in cambio di Matt, Eloin, la libertà e
quant’altro vorremo.”
“Tu sai chi è Kira?” chiese sbalordito
Mello.
“Io no, ma… ”
Lei si voltò e mi guardò.
“Lui si.”
“Che? Io?” chiesi, stranito.
“I tuoi occhi, BB. Tu puoi sapere chi è in
possesso di un Death Note attraverso
quelli. Tu sai cosa vuol dire, no? Sai cos’è un
Death Note, vero? E visto che L
sa che Kira fa parte della sua squadra, guardando negli occhi ogni suo
componente, gli darai ciò che vuole, in cambio di quanto vi
ho detto.”
“No, frena un momento! Che cavolate vai dicendo? BB, sta
mentendo, no? Com’è
possibile che tu… tu veda…- mi guardò-
insomma io…- guardò Angel- OH E VA BENE,
FATE TUTTO ALLE MIE SPALLE, OK!” rinunciò infine,
voltandosi.
A Angel scappò un sorriso.
“So cos’è un Death Note e mi chiedo come
tu sappia che io lo so. Ma immagino
che non me lo dirai. Come fai a sapere tanto di L?” chiesi
subito.
“Io sono Angel, io so quanto voglio.”
“Modesta…”
“Un giorno capirai… Ora dobbiamo contattare L e tu
devi raggiungerlo, con un
piano ben ideato. Conosco ciò che fa, ma sei tu quello che
sa come parlarci.
“E perché dovrei sapere come parlarci?”
“Non ci hai passato l’infanzia? Lo conoscerai
almeno un po’!”
Mello per poco non si soffocò con la birra che aveva
strategicamente rubato dal
frigo.
“COOOSAAAA?????? ”
“Sta buono Mello.”
“Ma! ”
“Bevi la tua birra e sta buono, la tua parte è
dopo! Come dicevo, B, dobbiamo
concentrarci su L per ora, poi ti darò tutti i chiarimenti
che vorrai. Per
prima cosa devo contattarlo. Infatti a momenti dovrebbe arrivare
un’auto e io
tornerò questa sera.”
“E come faccio a sapere che non te ne vai?”
“Non ti fidi?”
“…”
“Non hai tutti i torti, ma ti assicuro che
tornerò. E più di ciò non posso
garantire.”
“Potresti essere una sorta di spia di L”
“Non dirlo neanche per scherzo.” ringhiò
Mello dal divano.
Sbuffai.
“Dopo che l’avrò contattato e avremo
stabilito come vi vedrete, ci
organizzeremo per l’incontro che probabilmente si
terrà a breve. ”
“Capisco. Allora dobbiamo decidere che patto
proporre.”
“Certo. Allora, io pensavo, come ti ho accennato prima, oltre
la nostra libertà
e quella di Matt e Eloin, di chiedere anche un bonifico di un tot di
soldi che
vi permetterebbe di vivere in tutta comodità per il resto
della vostra vita,
una casa in cui vivere in una città che sceglierai e i
vostri effetti
personali, rimasti al carcere. Per esempio, la tua chitarra.”
“Si, ci avevo pensato anche io. naturalmente dovrai
chiedergli anche di non
seguirci e di non cercarci. Di lasciarci in pace, in poche
parole.”
“Mi sembra sensato. Allora, io vado. Stasera ci vediamo.
Mello, vuoi aggiungere
qualcosa?”
“Prima mi riprendo dal sapere che questo qua è una
specie di zombie o qualche
altra diavoleria satanica shinigamesca e che sa quando tireremo le
cuoia. ”
“E non esagerare!” ridacchiò Angel,
mentre io alzavo gli occhi al cielo.
La accompagnai alla porta. Lei si infilò il giubbotto di
pelle e aprì la porta.
“Ciao B”
“Perchè non mi chiami Beyond?”
“Perché mi va”
“Ei, non mi saluti?”
Mi diede un veloce bacio a stampo e richiuse.
|
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Capitolo 23 *** Raccontami di lui ***
Mello
ridacchiò, dal divano.
“Adesso mi devi spiegare questa storia di L. E anche come fa
a piacerti una
assassina, per di più bastarda.” Pretese,
alzandosi e andando a buttare la
birra.
“Si. Non credo proprio.”
“Eddai, sono curioso! E poi me lo devi.”
“Perché ti dovrei qualcosa?”
“Perché, che cazzo, ti ho tirato fuori da quella
merda di posto, no?”
“Che finezza… comunque tu non mi hai affatto
tirato fuori di li. Ci siamo
tirati fuori insieme.”
“Allora prendilo come un dovere affettivo.”
“Cosa? tu che parli di affetto?!”
“Ti ho già detto che sono curioso, ok?”
“Beh,
scoprilo da solo.”
“Eddai! Dimmi di L! com’era?”
“E’ stato molto tempo fa.” Tentai di
concludere, sedendomi alla scrivania.
“Quanto?” chiese il biondo, lasciandosi di nuovo
cadere sul divano.
“Ma insomma, la pianti? Non rompere.”
“Tanto prima o dopo lo scoprirei. Scommetto che L ti lega la
motivo per cui eri
dentro, vero?”
“…”
“Dai, dimmi almeno se ho indovinato.”
“Mello non è un gioco, chiaro?”
“Si che lo è. Ma tu non mi dici le regole. Se te
lo chiedo per favore non
rispondi. Se te lo chiedo ricattandoti non rispondi. E come te lo devo
chiedere?”
“Sei un ragazzo molto strano, sai?”
“Perché considero le altre vite dei giochi? Beh,
vedila dal mio punto di vista.
Se lavori per la mafia, la loro mentalità ti lascia sempre
un segno. E il fatto
che li le persone muoiano più velocemente di quanto tu
riesca a proteggerle ti
aiuta a renderti conto che non esistono amici. Non perché tu
non li voglia,
intendiamoci, ma perché non riuscirai a proteggerli. Allora
che senso ha
affezionarsi? L’unica cosa che conta, dunque, è
conoscere queste persone che ti
stanno attorno: la conoscenza di quanto è possibile
conoscere, è sempre
d’ausilio in quegli ambienti. Come ti dicevo, se hai fatto
quella vita ne hai i
segni. Per me l’unico segno è questo e
naturalmente la capacità che però sospetto innata
di essere così affascinante
anche se sto uccidendo qualcuno.” disse, facendomi
l’occhiolino.
“Non credevo che tu fossi così intelligente da
conoscere la parola ausilio.”
“Ti sembrerò stupido, ma
resta il fatto
che io conosco molte più cose su di te che non tu su di
me.”
“Vedi? È una motivazione in più per non
dirti nient’altro.”
Sbuffò.
“Quanto credi che starà fuori?” chiesi.
“Angel? Non so, credo fino a stasera.”disse lui con
noncuranza.
“Non sei preoccupato che ci trovino?”
“No.”
“Perché?”
“Beh, la conosco. E mi basta.”
“Lei è una boss vero?”
“perché non lo chiedi a lei?”
“Tanto non mi risponderebbe” sbuffai.
“Quanto ti interessa sa 1 a 10?”
“Diciamo che è quasi una certezza. Ma non proprio.
7/8?”
“Ei, o 7 o 8!” protestò il biondo.
“Non lo so… diciamo 7.”
“Allora facciamo così. Tu mi dici di L e io ti
dico se lei è una boss.”
“Facciamo che lo chiedo a lei.” risposi alzando gli
occhi al cielo.
“Sei veramente antipatico B! dopo tutte le botte che ci siamo
dati!”
Alzai un sopracciglio eloquentemente.
“Cosa ti costa?”
“Forse non voglio
pensarci. Dico
forse, eh.”
“E non fare la femminuccia sentimentale! ”
“Cretino.”
“Ora insulti anche, come una femminuccia
sentimentale?”
Chiusi gli occhi e feci un profondo respiro.
“Smetterò di romperti le scatole solo quando mi
dirai di lui.”
“Si può sapere perché ti interessa
tanto?”
“Ei, stai parlando di L! Voglio dire, il più
grande e figo detective della
storia dell’umanità!”
“In effetti.”
“Allora, mi racconti?” chiese speranzoso lui.
“No”
“E che palle B! non ti sto chiedendo di raccontarmi cose
sdolcinate tipo, che
ne so, il vostro rapporto probabilmente gay, il fatto che tu ora lo odi
a causa
di tradimenti e tresche degne di Beautiful o che! Solo… come
era lui!”
“Frena un momento! il nostro rapporto come?”
“Guarda che il 99% delle fan fiction su voi due sono
stra-yaoi, bello.”
“Cosa?”
“Stupito? Beh, alle fan piacete come coppia, che ti devo
dire.”
“Non capisco di cosa stai parlando e non sono sicuro di
volerlo capire, ma ti
assicuro che anche nel remoto caso in cui io fossi gay, non andrei per
nulla al
mondo con L!”
“E perché? dicono tutti che sia un gran pezzo
di… capito , no?”
“Punto primo, non so di quali “tutti” tu
stia parlando, punto secondo, L sarà
anche un bel ragazzo, ma non ci andrei comunque! E poi sono etero, che
senso ha
questa discussione?”
“In effetti alcuno. Ma voglio sapere di L e qualsiasi metodo
è buono no? Si
dice che il nonsense, tra l’altro, confonda le persone e che
quindi poi sia più
facile farle confessare.”
“Confessare? Adesso cosa sono, un imputato?”
“Eddai, hai capito!”
“Finiscila, Mello.”
Non la finì. Anzi. Per la seguente ora continuò a
insistere fino all’inverosimile,
fino a che, aimè, cedetti.
“Mello, sei un cazzo di parassita!”
“Dimmeloooooooo!”
“Se tu mi dici di Angel.”
“Vai prima tu” pretese, aprendo il frigo e
lanciandomi una birra.
“Uff…! ”
“Attendo” mi informò, gettandosi sul
divano.
“Dunque… vuoi sapere del suo carattere,
giusto?” sospirai.
“Tutto il possibile.”
“Beh… partiamo dal principio. Di aspetto, allora,
era più o meno come me. Aveva
un paio di anni in più, ma qualche volta il suo maggiordomo
ci scambiava”
“Ma dai!” contestò.
Lo guardai malissimo.
“Non che tu non sia un bel ragazzo eh, però che
cazzo, io me lo immaginavo completamente
diverso!”
“Beh, non ti ferisco oltre, dimmi di Angel e finiamola
qui.”
“Ti piacerebbe. Avanti. Parla.”
Sbuffai sonoramente, aprendo la lattina di birra e dandole
un’occhiata
indecisa.
“Non è che è tipo… che ne
so, scaduta? Ha un odore strano.”
“Se non ti va, dammela.”
Gliela diedi guardandolo, schifato, trangugiarla serenamente. Ok, non
sarà
cool, ma la birra non piace.
“Bene, L, come ti dicevo, aveva un aspetto molto simile al
mio. Solo che lui
aveva gli occhi neri o grigi a seconda del tempo, dell’umore
o chissà cosa. E
poi si vestiva in modo diverso e sempre uguale. Maglietta bianca e
pantaloni
larghi. Cavolo, avrà avuto armadi di magliette bianche e
pantaloni larghi.”
Mi tenevo lontano dalla descrizione più psicologica, e forse
Mello se ne era
anche accorto. Non volevo ricordarmi nulla.
Insomma, avevo passato anni a dimenticare, o tentare di
dimenticare. Non
volevo vanificare tutto. Non volevo assolutamente ricordare. Ma andai
avanti lo
stesso, non so se per masochismo o per la fobia appena sviluppata verso
le
domande insistenti di Mello.
“Io lo interessavo molto allora... Più di una
volta mi ha sottoposto a test
supplementari… delle specie di esperimenti…
”
“Essere stato io, un esperimento di L.”
esclamò lui, bevendo un altro sorso di
birra.
“Mello guardami.
Come mi descriveresti?”
“Sei uno psicopatico stronzo con gli occhi rossi da
pazzo?”
“Ecco appunto.”
“Non ti arrabbiare, è la
verità!”
“Non ce l’ho con te. Ma se L non avesse voluto
usarmi come esperimento, ora non
sarei così. Perciò non invidiarmi.”
“…”
“Comunque, L era un ragazzo strano. Amava i dolci. Non so
come facesse a essere
così magro, ne mangiava in ogni momento- ricordai con un
velo di amarezza- se
li portava ovunque, ma non li offriva
quasi mai. Era
esigente e un
egocentrico.”
“Non sembra tanto simpatico.” commentò
deluso Mello.
“Perché non lo era, almeno non con me. Amava
mettere a disagio l’interlocutore
con lunghi silenzi o dimostrazioni della sua intelligenza. ”
“E che dici, era un tipo generoso? O con qualche altra dote
del genere?”
“Era generoso con pochissime persone. Con le altre, te
l’ho detto, esigente.
Non badava molto a cosa gli altri pensavano di lui, sapendo che invece,
il suo
parere, li avrebbe potuti mettere tutti a tacere. Gli piaceva essere
imprevedibile. Poi gli piacevano i computer e non sopportava la
polvere. Non
sorrideva praticamente mai, ma neanche alzava la voce o mostrava più di tanto i
suoi sentimenti. Adorava,
anzi, amava, stare sveglio di notte. Mi disse che la notte per lui, era
un
momento in cui poteva nascondersi dietro quello che considerava un
efficace
paravento e sfilarsi ciò che di lui era falso. Vedi, io lo
conobbi bene, perché
mi teneva affianco a lui. La nostra somiglianza lo aveva colpito e
… ma questi
non sono fatti tuoi. Ti basti sapere che ciò che ti sto
dicendo è ciò che tutti
li speravano di sentire: L non era perfetto. ”
“Fa tanto concetto alla Beautiful.”
“Se tu fossi stato li avresti capito perché era
importante saperlo. Vedi,
crescere alla sua ombra, sapendo che se non fossi stato
all’altezza saresti
caduto in disgrazia, forse saresti finito in strada o in un
orfanotrofio del
cazzo che non ti sarebbe bastato, non dopo aver vissuto li, era
abbastanza
terrificante. Molti avevano continue crisi e cadevano totalmente nella
follia a
causa di quello stronzo. Ma a lui non fregava niente delle conseguenze
di ciò
che esigeva. Se ti immagini un L misericordioso, amico o che altro,
beh, sei un
illuso. Per lui noi eravamo giocattoli. E si comportava precisamente
come un
bambino, usandoci.
Per questo sapere che lui non era, come sembrava, perfetto, era una
grande
soddisfazione. Neanche lui, dunque, arrivava a ciò cui
esigeva arrivassimo noi,
chiaro?”
“Si, certo. Una specie di tiranno psicotico schizofrenico,
no?”
“Beh, più o meno. Comunque, se di giorno era in un
modo, la notte era l’esatto
contrario. Sai, ogni tanto si metteva addirittura a fare cose tipo, non
so,
fumare sigarette di marche infime, scappare chissà dove e
tornare prima che
qualcuno se ne accorgesse.”
“Ma dai, ora mi stai prendendo per il culo! E poi tu come
faresti a saperlo?”
“Te l’ho detto, mi teneva vicino. E poi era
adolescente allora, che ti
aspettavi?”
“Ma mi hai appena detto che era quasi perfetto!”
“No. Di giorno era completamente
perfetto. Di notte doveva pur compensare, no?”
“Mi pare giusto. Non me l’aspettavo
così. cioè, un po’ stronzo si, ma non
così.”
“Che ingenuo”
“Hei!”
“Dai, ora dimmi di Angel.”
“Si d’accordo. Però, riguardo a L, non
mi sembra che sia tanto terribile da
odiarlo come lo odi tu, dai! Era solo uno stronzo, potente e
intelligente
figlio di una donna in rosso.”
“Che termine fine.”
“Hai capito che intendo.”
“…”
“Vaaa bene, parliamo di Angel. Se è una boss
mafiosa? Non proprio. il braccio
destro del più grande boss, questo si.”
“Chi?”
“Non è inerente a Angel questo.”
scattò Mello, sulla difensiva.
“E poi?”
“Questo mi hai chiesto. Comunque è come se lo
fosse.”
“E perché si è dovuta liberare
praticamente da sola?”
“Non me l’ha ancora detto… ”
Il resto del giorno si consumò in silenzio. Riflettei a
lungo sul fatto di
essere fuggito e fui molto soddisfatto di non aver avuto spiacevoli
flash-back
mentre parlavo di L.
Angel rientrò e sbattè la porta dietro di se.
Mi lanciò un’occhiata penetrante, si tolse la
giacca e si sedette sulla
brandina.
“Vedrai L domani.”
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Capitolo 24 *** L ***
“Vedrai L domani.”
Sobbalzai insieme con Mello.
“Non è stata una trattativa facile. Ma se tutto va bene, saremo tutti liberi e a posto, con una casa e senza nessuno che ci cerca. Ma non dobbiamo fare passi falsi domani… Beyond, mi posso fidare?”
Era da un sacco che non mi chiamavano così e, un po’ per quello un po’ per la veloce sequenza di informazioni sconcertanti fornitaci, mi sentivo un po’ spiazzato. Ma annuii lo stesso all’indirizzo della bionda.
“Bene. Mello, io e te lo accompagneremo al jet.”
“Un jet? Nostro o suo?”
“Suo. Dopodiché, B ci salirà e andrà da lui. Stai attento, non perderebbe mai l’occasione di catturare noi oltre che Kira. Comunque sia, se non fai casini sarai fuori di li per sera. Un altro jet, ti aspetterà e da li, lasceremo tutto questo alle nostre spalle, per sempre. A meno che quel gran pezzo di stronzo non rinvii e è probabile che succeda. Vorrà verificare le tue parole, no? In ogni caso, se non ci saranno complicazioni, presto saremo di nuovo liberi. ”
“Domani?”
“Su questo non sono riuscita a smuoverlo. Non vuole che ci organizziamo troppo, immagino. Ah, B, digli il meno possibile di noi.”
“Certo.”
“Cazzo, vedrai L domani! Porca paletta, non posso crederci! ” esclamò Mello squadrandomi.
Nessuno gli rispose. Angel si lasciò cadere sulla brandina e chiuse per un attimo gli occhi. poi si rimise seduta e mi sorrise. “Ce la farai.”
Non ero proprio convinto di ciò, ma annuii di nuovo.
IL GIORNO DOPO- THINK OF BEYOND BIRTHDAY
Non avevo dormito tutta la notte. Gli occhi sbarrati per ore. Nonostante fossi fuori, il senso di solitudine rimaneva, più forte di prima. Va bene, ero libero. Ma libero come quelli che vedevo dalla mia finestra.
Ero libero come un uccello in una gabbia più grande. Non ero libero.
Non sarei mai stato libero.
E nonostante fossi uscito di li, tutto andava in modo che non era definibile come positivo.
Non volevo più affrontare niente, volevo solo fermarmi e lasciarmi finire in modo anonimo, da solo, in una casa sperduta, da solo e vecchio, da solo e finalmente riconosciuto come inutile.
Tutto si svolse in fretta anche se si tentava di vivere a pieno ogni momento che ci separava dal rischio di ripiombare nelle camere singole piene di urla altrui che non potevano che rintronarci ancora in testa. Angel non poteva capire ne Mello ne me, quando prima di uscire le nostre facce assunsero espressioni funeree.
“Ragazzi andiamo a salvarci il culo, non a suicidarci! Andrà tutto bene, ok?”
Non ottenne risposta.
Salimmo sulla macchina del giorno prima e partimmo, senza alcun bagaglio.
Due ore dopo, alle nove della mattina, mi trovavo a salutare Angel e Mello.
Ci guardammo, in piedi nella polvere, senza avere bisogno di parole, o senza sapere che parole dire.
Mello mi fissò, serio per una volta. “Vedi di non farti ammazzare. Oltre che di non farci ammazzare intendo.”
“Tenterò”
“Poi dovrei fare a botte con quella mezza sega di Matt. Devi uscirne vivo, chiaro?”
Gli abbozzai un sorriso.
“Dovete andare ora, prima che arrivino, probabilmente fra non più di una mezz’ora saranno qua.”
“Hai ragione, dobbiamo andare. Dai Angel, ti aspetto in macchina.”
“Ciao Mello.”
“Non ti saluto neanche, tanto ti vedrò domani!” esclamò e mi fece un occhiolino poco convinto, allontanandosi.
“E’ sempre un po’ coglione quando non sa cosa dire.” Commentò Angel.
“Già… allora… a domani Angel.”
Lei mi abbracciò improvvisamente, prendendomi di sorpresa. Ricambiai l’abbraccio mentre Eloin mi ritornava in mente con prepotenza. Doveva andare tutto bene, o non l’avrei più rivista.
La baciai e la guardai negli occhi, vedendo i suoi, azzurri, lucidi per la prima volta da quando la conoscevo.
“Angel, andrà bene. Conosco quello stronzo, lo gestirò bene.”
“Lo so. Però è la tana del lupo, B, devi stare attento, ogni cosa che dirai sarà analizzata dal migliore psicologo del mondo, non puoi nascondergli tutto.”
“Tutto cosa?”
“Le tue debolezze B. Se le scopre… ”
“Angel, per oggi non avrò debolezze. Te lo prometto.”
“Allora non dovresti stare con me” sorrise lei dandomi un bacio.
“Un’eccezione più che accettabile direi”
“Ora è meglio che vada. Mi raccomando B.”
Vidi la macchina nera, impolverata all’inverosimile, allontanarsi. Si portava dietro due paia di occhi affilati e due capigliature bionde che rischiavo di non vedere più.
Scesi dal costosissimo jet e mi guardai intorno. Un uomo mi venne subito incontro.
Era un anziano signore, con i capelli e i baffi moderatamente grigi e un’aria molto elegante e ricercata.
“Buongiorno signorino B, vuole seguirmi?” chiese come se non fosse passato un attimo dall’ultima volta che l’avevo visto.
Repressi una sensazione di malessere. Conoscevo bene quell’uomo e non ero particolarmente felice di rivedere le sue parole sempre uguali. Dovevo proteggermi dai ricordi…
Non sarei uscito vivo di li se non avessi evitato di farmi riprendere da tutto quello che era accaduto in passato.
“Certo, Watari” risposi quindi, freddamente.
Lo seguii sulla pista d’atterraggio fino all’entrata di un enorme palazzo.
Watari mi condusse attraverso il labirinto di stanze, corridoi, ascensori e scale che mi portarono a un’altezza dalla quale una distesa infinita di case si poteva ammirare con un certo senso di vertigine.
Infine ci trovammo in un corridoio bianco con una porta nera in fondo. Il maggiordomo si fermò e mi indirizzò un mezzo sorriso eloquente, indicandomi la porta con un ampio gesto.
La guardai per un secondo, prima di camminarle incontro.
La presenza di L si sentiva in tutto il palazzo come quella di un occhio onnisciente, ma adesso che sapevo che era li, a pochi metri da me, era come se sapessi per la prima volta che l’avrei davvero rivisto.
Aprii la porta, abbassando lentamente la maniglia di metallo freddo.
Mi sentivo quasi sospeso.
Davanti a me si aprì una stanza bianca. C’erano cinque scrivanie bianche e una serie di tecnologici portatili su ognuno di essi. Dei telefoni fissi, bianchi. Una porta, bianca a sinistra. Un enorme vetrata davanti alle scrivanie. Sette sedie a rotelle grigie.
E lui.
L.
Seduto su una delle sedie a rotelle nella sua solita posizione, un pollice fra le labbra. I capelli sempre neri, come i miei. Sempre gli stessi vestiti. Gli stessi lineamenti. La stessa carnagione diafana.
E gli stessi occhi. quegli occhi così scuri, penetranti, indecifrabili. Vivi.
Mi fissava come se non me ne fossi mai andato, come se nulla di quanto era successo avesse avuto luogo.
Stava immobile come una statua, lo sguardo fisso nei miei occhi.
Con la mano richiusi la porta dietro di me e ricambiai lo sguardo.
Ero ufficialmente entrato nella tana del lupo.
“Ciao L” dissi infine, sempre sotto il suo sgaurdo.
“Ciao B” rispose lui e potei constatare che neanche la sua voce era cambiata. Quella nota di disinteresse totale, di indifferenza, di distacco era rimasta.
Come per tutto il resto: gli stessi capelli spettinati, gli stessi vestiti…
“E’ passato del tempo da quando ci siamo visti l’ultima volta” constatò come se lo scoprisse.
Girò la sedia e aprì una cartella su uno dei computer. Su tutti i monitor comparve una scheda. La scheda del caso BB, Los Angeles. Una mia foto in alto a sinistra e scritte che L finse di leggere per qualche secondo, portandosi lentamente alle labbra una tazza di zollette di zucchero e tè.
“Hai fatto un errore davvero sciocco B. O posso ricominciare a chiamarti Bakup?”
“Possiamo invece cominciare a parlare del perché mi trovo qui, L?”
“ Bene B, direi che siamo qui proprio a causa del tuo stupido errore. Anche un dilettante avrebbe evitato una cosa così grossolana, non ti ho insegnato proprio niente?” disse con un sospiro finale “Comunque, sorvolando sulle delusioni, il fatto che tu abbia commesso un errore di quel tipo ti ha consegnato nelle mani della prigione di alta sicurezza in cui sei rimasto fino a poco tempo fa. E un errore di quel tipo ti ha fatto conoscere Eloin Edud, Micheel Keehl e Mail Jeevas. Conseguentemente oggi sei qui per garantire la loro e la tua libertà, giusto?”
“Giusto” confermai in tono piatto.
“E in cambio di quanto pattuito ieri da Akira, tu mi rivelerai l’identità di Kira, giusto?”
“Giusto.”
“Permettimi di capire: come puoi trovare Kira?” domandò lui, aggiungendo una zolletta di zucchero al tè, già compromesso dal dolcificante.
“Io non troverò Kira, io saprò semplicemente chi è. L, i miei occhi non sono diventati rossi e basta. Essi mi permettono di vedere data di morte e nome reale delle persone che guardo in volto. Ma se vedessi in volto il possessore del Death Note, non ne potrei leggere la data di morte. Inoltre so che hai la certezza che Kira sia nella tua squadra, conseguentemente mi basterà vedere i tuoi compagni per sapere chi di loro è Kira e consegnarlo a te. A meno che tu non abbia sbagliato.”
“Concorderai con me che devo essere sicuro di questa tua capacità, visto che ne va delle sorti della giustizia.”
“Non hai già pensato a come fare? Sei meno previdente di una volta, L.”
“Veramente un modo ci sarebbe. Supponiamo che tu mi dica il nome di chi pensi sia Kira. A quel punto il modo più semplice per sapere se è veramente lui sarebbe prenderlo senza dargli il tempo di parlare con nessuno e tenerlo isolato per un periodo di tempo. Se le uccisioni avessero fine, ti darei ragione, in caso contrario naturalmente, non ci sarà per te alcun compenso. ”
“Ma questo mi costringerebbe a rimanere qui per…”
“Due settimane B, cosa sono in confronto a tutti gli anni che hai passato in prigione?”
“Un jet verrà qui stasera a prendermi, come pensi di fare?”
“Sarai tu stesso a informare Angel. Ti metterò in contatto con lei.”
“Ci devo pensare per un attimo”
“Non hai scelta. O accetti o ti rimando subito in prigione e con te i tuoi amici, dal momento che le informazioni che mi potresti dare sarebbero del tutto infondate.”
Rimasi in silenzio per qualche minuto. Non avevo via di fuga. Aveva ragione lui.
“Va bene. Adesso vediamo di chiudere questa storia però.”
L si girò di nuovo, chiuse la mia scheda con un gesto annoiato e pigiò un bottone rosso.
“Avvicinati B. Davvero non posso più chiamarti Bakup? Sai, sarebbe estremamente più naturale per me.”
“Preferirei di no, L” risposi freddamente.
“Bene B, queste sono le foto della squadra e di tutti coloro che sono stati in qualche modo coinvolti nel caso Kira, ti chiedo di esaminarle con molta attenzione.”
Mi avvicinai e le studiai una per una. Scoprii subito l’identità di Kira. Si trattava di una ragazzo, bruno, vestito in maniera ricercata. Dava l’idea di uno molto composto. Si chiamava Light Yagami.
Ebbene era lui il famoso Kira. Mi venne quasi la tentazione di lasciare a L il dubbio, ma sapevo che mi avrebbe con molta semplicità rispedito alle cure di Roger.
“Kira è fra loro, L, ma prima di sapere chi è esattamente, devi fare quanto ti abbiamo richiesto.”
“Libererò i tuoi amici, ma essi avranno un microchip addosso fino a quando non mi accerterò della veridicità delle tue parole. Poi tu stesso potrai disattivarlo . Non sarete seguiti.”
“E Angel e Mello?”
“Mello ne ha già uno addosso. Sapevo dove eravate in effetti, ma ero curioso di conoscere il vostro piano. E direi che ho fatto bene. Comunque sia, ordinerò immediatamente il trasferimento di Eloin Edud e Mail Jeevas in questo palazzo. Avrete una camera. Ma ora dimmi chi è Kira e potremmo procedere.”
Mi fermai per un attimo e lui mi concesse il tempo di cui avevo bisogno per valutare la situazione.
“Prima voglio vederli qui. E voglio sentire Angel e Mello.”
Senza degnarmi di uno sguardo alzò una delle cornette telefoniche.
“Ordina lo spostamento di Eloin Edud e Mail Jeevas qui, subito. E mettiti in contatto con Angel.” Disse poi dopo qualche secondo.
“Ora ti farò portare in camera e li ti raggiungeranno domani mattina, i tuoi amici. Stasera potrai parlare con Angel. B, durante la tua permanenza qui immagino che potresti annoiarti a non fare nulla tutto il giorno. Nell’eventualità che tu voglia un passatempo, potrai aiutarmi con i miei casi.”
“Non mi interessano i tuoi casi, L.”
“Credi ancora… di essere superiore a me?” chiese con una sottilissima nota di ironia nella voce, voltandosi a guardarmi negli occhi.
“Un po’. Ora posso andare nella mia camera?”
“Watari ti ci accompagnerà” rispose alzando un’altra cornetta. “Watari, dovresti accompagnare B in camera sua.”
Mise giu e non mi guardò più fino a che l’anziano maggiordomo non bussò alla porta.
Mi avvicinai alla porta, ma venni fermato dalla sua voce.
“Forse tu mi avresti superato. Ma adesso sei tu che devi scappare e io che muovo la polizia mondiale. Riflettici. Ti sei distrutto da solo alla fine. ”
“No L. Sei tu che hai perso. Ho la tua memoria perde colpi?” risposi, mentre ricordi che cercavo di eliminare da troppi anni mi saettavano in mente, nitidi.
… |
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Capitolo 25 *** Ricordi pt.1 ***
“Forse tu mi avresti superato. Ma adesso sei tu che devi scappare e io che muovo la polizia mondiale. Riflettici. Ti sei distrutto da solo alla fine. ”
“Ti sbagli L. O forse te ne sei dimenticato? ”
“Allora ero molto diverso. Converrai con me che non ero neanche la metà di quello che sono ora, in tutti i sensi. L’adolescenza non è un periodo in cui si da il meglio di se, non pensi anche tu?”
“Questo non cambia le cose”
“Immagino di no, B”
“Hai perso tu, alla fine.”
C’erano due ragazzi in quella stanza lussuosa. Uno dei due, il maggiore, stava sul bordo della finestra, seduto in modo strano. Aveva il volto scavato dall’insonnia rivolto alla luna calante. Il minore, quasi uguale al primo, stava sdraiato su un letto al centro della stanza, senza dire una parola. Il primo fece viaggiare ancora un po’ lo sguardo nel vuoto, per poi voltarsi lentamente e chiedere:
“Le hai portate?”
“Si” rispose il secondo mettendo una mano nelle larghe tasche dei pantaloni e lanciando all’altro un pacchetto di sigarette.
Non era facile reperirle, all’interno dell’orfanotrofio e il primo ragazzo scoccò all’interlocutore un raro sguardo di approvazione, afferrando il pacchetto al volo ed estraendo subito una sigaretta.
“Ne vuoi una?”
“No, lo sai che non fumo”
“Bene, meglio per me. Se vuoi qualcos’altro, li c’è un carrello che ho richiesto poco fa a Watari.”
“Grazie, sono a posto. Stasera ho mangiato molto a mensa.”
“Perché? Ti eri forse dimenticato che saresti venuto qui?” chiese il primo.
“No. Avevo fame”
Si udì un sonoro sbuffo.
“Non riesco a capire perché ti comporti così, B.”
“Così come?” ribatté atono il ragazzo.
“Come uno snob. Sai che molti qua dentro ucciderebbero per essere al tuo posto?”
“Non ho scelto io di essere il tuo schiavetto personale, L! Se non ti vado bene, visto che invece molti sarebbero felici di essere utilizzati a mo’ di giocattolo, scegli qualcun altro. ”
“Credevo che tu avessi imparato quanto sono possessivo. E quanto odio perdere.”
“In ogni tuo comportamento verso di me, me lo dimostri. E scusami, ma ti devo correggere: non sei semplicemente possessivo, sei peggio di un bambino viziato.”
“E visto che tu sei il gioco di un bambino viziato, faresti bene a mostrarti più bendisposto. O forse non sai che quando i bambini viziati non vogliono più un gioco, lo rompono?”
Ci fu silenzio, nel tempo in cui il primo ragazzo si accese una sigaretta sotto lo sguardo dell’altro, impassibile.
“Non potrò mai essere come te” disse infine il minore, quasi con una nota di disprezzo.
“Tu dovrai esserlo. Tu vuoi diventare il mio successore, lo so. Ma se davvero speri di esserlo, devi diventare esattamente come me.”
“Non voglio essere la tua copia, L.”
“E allora perché fai salti mortali per essere il numero uno e copi i miei comportamenti, come il modo di sedere e di parlare?”
“Perché io voglio superarti.”
“Ti sei dimenticato il significato del tuo soprannome, Bakup?”
“E’ un soprannome che mi hai messo, il mio vero nome è un altro e questo non lo puoi cambiare! Io sarò migliore di quanto tu possa solo sperare di essere.”
Il maggiore si alzò senza una parola, lasciando andare la sigaretta ancora accesa a veleggiare fuori dalla finestra nella frescura notturna. Poi prese il minore per un braccio e lo costrinse ad alzarsi e a seguirlo. Bakup tentò di ribellarsi, ma era decisamente in svantaggio e non riusciva a liberarsi dalla presa ferrea di L.
L lo condusse fuori, fuori dalle mura dell’orfanotrofio e imboccò le strade di una città a lui sconosciuta, benché vi vivesse ogni giorno. Lo portò in poco tempo in periferia, trascinandolo in posti illuminati a malapena e lo infilò sbrigativamente in un locale che non seppe identificare. Lo fece sedere di fianco a lui, nel tavolo più appartato, vicino a una panca dove un uomo inquietante, pieno di piercing e tatuato dalla testa ai piedi parlava sommessamente con una ragazza. in capo a pochi minuti, lei si tolse la maglietta- il minore distolse lo sguardo e arrossì- e girò le spalle all’uomo. Questo cominciò a farle un tatuaggio con strumenti che non vedevano una sterilizzazione da molto tempo, scintillanti alle luci basse del locale. Nessuno guardava la scena a parte i due giovani. Bakup sperava di non capire quello che L voleva fare e tentava di divincolarsi e di andarsene, ma era intrappolato.
L’uomo finì di tatuare la ragazza e presto non ebbe più nessuno davanti a se.
Fu allora che L si fece avanti e gli parlò, sempre tenendo Bakup di fianco a se, a voce molto bassa. Fece sedere il minore davanti all’uomo di forza e gli prese il braccio sinistro, alzandone la manica.
In breve tempo il minore si ritrovò a trattenere gemiti di dolore, guardando impotente e inorridito l’uomo armeggiare intorno al suo braccio.
Quando uscirono da quel locale, Bakup non diceva una parola ed era infuriato. Venne in breve tempo risbattuto ai piedi del letto, mentre il maggiore estraeva una seconda sigaretta dal pacchetto lasciato sul davanzale.
Bakup guardò ancora una volta, schifato, la B gotica che avrebbe dovuto portare per sempre con se. Come aveva potuto il più grande detective del mondo, abbassarsi a una cosa così stupida e infantile?
“Tu sei di mia proprietà. E fai quello che voglio io.” dichiarò L.
Bakup era seduto sul suo letto singolo nella piccola cameretta e una ragazza lo guardava, la testa appoggiata alle sue gambe.
Era molto bella, con dei lunghi capelli del colore del sangue, gli occhi grandi e chiari, i lineamenti raffinati. Era un raro momento felice per i due. I due più bravi dell’orfanotrofio. Chiunque avrebbe pensato che avrebbero dovuto essere rivali, ma i due si amavano profondamente. Non c’era, in quel posto, un legame che fosse sincero e potente come il loro.
Erano molto sotto pressione in quel periodo, L era esigente, sempre di più. Tutti e due avevano delle occhiaie da panda e troppo sonno arretrato, ma non potevano mollare.
Si sorrisero, mentre chiacchieravano in quell’atmosfera di insolita pace. Dopo un po’ lei si tirò su di fianco a lui: doveva tornare in camera sua. Così si scambiarono un lungo bacio e poi si congedarono, chiedendosi quando sarebbero riusciti a eludere di nuovo la sorveglianza di L e a rivedersi. Le parole d’amore che si scambiarono, aleggiarono ancora nella stanza, intorno a Bakup, ma non l rallegrarono affatto. Non le aveva detto del tatuaggio che aveva, suo malgrado, impresso sul braccio. Odiava mentirle. E soprattutto lo disturbava vederla così stanca a causa di L.
Così quella sera, le parole con cui salutò di malavoglia al detective furono:
“Ci stai mettendo troppo sotto pressione. Non ce la facciamo. Devi diminuire il peso.”
“Da quando mi dai ordini Bakup?”
“Il mio consiglio è che devi diminuire il peso.”
“E’ Allied che non ce la fa, tu ce la fai benissimo.”
“Cosa?”
“Se per lei il peso è troppo non sono affari miei e certo non cambierò i miei programmi perché tu stai con lei.”
“Che io la ami non c’entra nulla con quello che ti stavo dicendo, anche io ho delle difficoltà ultimamente!”
“Se oggi pomeriggio avessi studiato quell’ora in più… la stessa ora che hai passato con quella ragazza… è un hobby per te? ”
“Non dire così L!”
“Era pura curiosità. Se vuoi un passatempo però, ti conviene trovarti qualcosa che non ti ostacoli così. saresti un ottimo successore se solo lei non ci fosse… e naturalmente se accettassi di imparare da me. Ma immagino che tu sia troppo orgoglioso per farlo, giusto?”
Bakup se ne andò trattenendosi dall’urlargli contro. Odiava essere costretto ad andare li ogni sera. E la B gotica era ancora troppo ben impressa nella sua mente e nel suo braccio.
Allied era in bagno a sciacquarsi la faccia dopo una lezione. Si sentiva rintronata dal sonno in quei giorni.
Entrò quello che sembrava Bakup, nel bagno.
“Ciao amore, arrivo subito, un attimo” gli sorrise.
“Non sono Bakup.”
“Cosa?” disse lei girandosi.
In effetti quello che aveva davanti era più alto, più curvo…
“Sono L.”disse lo sconosciuto, addentando un croissant.
“Mi stai prendendo in-”
“Non ti sto prendendo in giro. Lo sai che Bakup viene spesso da me, no? Non gli hai mai chiesto come sono?”
“Volevo scoprirlo da sola, guadagnarmi l’onore di incontrarla con le mie forze.”
“Se continui così non hai molte speranze, o sbaglio?”
“C-cosa intende? Io sono la prima, a pari merito con Bakup, io sono una possibile-”
“I miei possibili successori sono solo i migliori. E tu non sei che una presuntuosa. Se vuoi permetterti di sperare di incontrarmi per i tuoi pregi, dovresti tentare di svegliarti . Il tuo impegno non è sufficiente. E se non puoi fare di più, non vedo perché tenti.”
Gli occhi di Allied si riempirono di lacrime, che riusciva a stento a trattenere.
“Ma L, ci sta facendo moltissima pressione, anche B-”
“Bakup ce la fa benissimo. Sei tu il problema.”
Questo era il dialogo che Allied aveva raccontato a Bakup, fra le lacrime, scusandosi per essere un peso per lui e dandosi della stupida. La sua autostima, che il fidanzato aveva sudato duramente, era svanita improvvisamente. La sua sicurezza idem.
La povera ragazza era distrutta, non riusciva a smettere di piangere contro la sua spalla.
“Non posso più avere speranze, allora? Dovrei rinunciare? Dovrei andarmene? Ma che scopo ha la mia vita se non posso rimanere qua e seguire il mio sogno? Perché sono così sciocca? Come mi è venuto in mente di poter solo sperare di arrivare al suo livello? La mia vita non avrebbe più un senso! Perché devo vivere se so che non sono sufficiente? Perché? Perché tu si e io no!? Dimmi perché!”
“Amore, calmati per favore, io non so perché ha detto quelle cose, io credo che fosse… il suo modo di incentivarci.. le ha dette anche a me” mentì spudoratamente.
“Lo vedi? Ha ragione lui! Tu sei più forte, non ti hanno neanche sfiorato le sue parole! Mentre io sono ridotta così! perché?” esclamò lei, staccandosi dal suo abbraccio e fissandolo con le lacrime che scendevano ancora.
“Allied ti prego, non dire così. ciascuno ha la sua sensibilità, ma questo non influisce sulla persona che sei. Tu sei perfetta così, non devi cambiare per raggiungerlo, non devi per forza essere una sua copia.”
“Possibile che non lo capisci? Io ho speso la mia vita, tutta la mia vita, a studiare per essere come lui, per raggiungerlo, e ora che cazzo di senso ha dirmi che vado bene così? non è vero! Io non sono abbastanza così! io faccio schifo! E tu non sai che dirmi amore di qua, amore di la e intanto sbattermi in faccia che tu sei più forte! Vaffanculo!”
“Ma io non volevo dire questo! No, hai frainteso, aspetta!”
“Certo, ho frainteso, ovvio, sono io che non capisco mai un cazzo, vero?”
“Ti prego non prendertela con me… ”
“E piantala di fare l’accondiscendente, lo so che ti da fastidio che io dica le parolaccie! E mi chiedo perché quando le dico tu non mi ricordi di non farlo!”
“Non voglio mica costringerti a-”
“E non sopporto la tua indifferenza! Ti sto quasi urlando addosso per ragioni futili e lo so benissimo! E tu al posto che ribattere, incazzarti un po’, stai li a dire amore, oh no, sei perfetta! Ma per favore! Tira fuori le palle per una volta!”
“Al non sai quello che dici, ti prego ascoltami-”
“Anche tu lo pensi? Pensi che se tu non mi proteggessi non ce la farei? Che ti sarei seconda? Cos’è, forse mi dici che anche per te questo peso è troppo solo per non ferirmi? Io voglio essere prima a ogni costo e non cambierai le cose fingendoti meno intelligente di quanto non sei! Così mi fai solo male!”
“All io ti amo come non ho mai amato nessuno. Non potrei mentirti.”
Guardò a lungo negli occhi celesti della giovane, pieni di lacrime, come laghetti di montagna in piena. Ne sostenne lo sguardo fino a che non cedettero e non ritrovò il calore della ragazza intorno a se in un lungo abbraccio.
La circondò con le braccia e lei appoggiò la testa nell’incavo del suo collo, sussultando di pianto.
“Stronzo!” esclamò entrando violentemente nella stanza di L.
“Buonasera anche a te, Bakup.”
“Cosa cazzo ti è saltato in mente stamattina, eh? Allied era disperata!”
“Io ho fatto solo il mio dovere. Io sono la Giustizia Bakup, non guardo ne sesso ne simpatia. Allied ha avuto un calo e fa troppo affidamento su di te. Per me non è all’altezza dei suoi obbiettivi. Ho ritenuto opportuno avvertirla.”
“Bastardo, guarda che lo so che non è così! Allied si è sempre fatta un culo così per te e l’unico modo in cui si appoggia a me è quando mi ripete le lezioni!”
“Beh, scommetto che oggi però è venuta a farsi confortare dritta nelle tue braccia, o sbaglio?”
“Era disperata, scommetto che hai fatto lo stronzo!”
“Finiscila di dire parolaccie, sei ridicolo.”
SBAM!
La porta sbattè e Bakup scomparve.
L non fece una piega.
Allied era in piedi con lo sguardo fisso, davanti a quel maledetto foglio, affisso alla parete, circondata da altri studenti che non osavano scostarla.
Bakup le corse incontro e vide nel suo volto pallido di notti insonni solo rabbia. Alzò lo sguardo sulla classifica dell’ultimo test.
- Bakup
- Allied
“Al… ”
La ragazza si voltò e se ne andò in camera sua, dove lui la seguì solo per prendersi una porta sbattuta in faccia.
Sospirò e si sedette sul muro di fronte alla sua porta. Dovette aspettare molto, almeno tre ore, prima che la ragazza uscisse. Andava a mensa, era ormai ora di cena, ma a vederlo li sussultò. Si fermò per un secondo.
“Al- disse lui alzandosi- non me ne frega niente di quegli stupidi risultati, non contano nulla! Noi possiamo fare molto meglio di L, insieme! Noi possiamo essere doppiamente L! senti, io ho pensato una cosa… noi potremmo… andare via… fuggire non sarebbe difficile. E poi sarebbe fantastico, Al, il mondo sarebbe nostro! Potremmo girarlo tutto, non vivere mai più rinchiusi fra quattro mura come cani al guinzaglio, potremmo diventare famosi, avremmo tutto ai nostri piedi, insieme possiamo farcela, siamo imbattibili. E potremmo vivere come vorremmo, se lo vorremmo. Potremmo superare L da fuori, finirla con le sue stupide graduatorie e le sue stupide regole! Al, potremmo fare a modo nostro!”
Lei lo guardò per qualche secondo, con gli occhi rossi dal pianto.
“Tu proprio non capisci… ”
“Spiegami. Forse ti sembra imprudente? Avventato? Ma con le nostre capacità potremmo tutto!”
“Non è questo, io partirei subito con te per non tornare mai più, ma… davvero non ci arrivi? Io sono cresciuta qui, mi hanno raccolta che ero ancora in fasce, per me questo posto è… tutto. E L è stato l’unico scopo che ho avuto mai, l’unica cosa che, quanto tu ancora non c’eri, mi ha spinto a lottare ancora, e ancora, e ancora. Era il mio obbiettivo. E ora non posso abbandonarlo così. E’ l’unico scopo di una vita altrimenti… inutile. Tu sei molto carino a dirmi queste cose, so che anche tu soffriresti ad abbandonare tutto questo. Ma io non posso farlo, capisci?”
“Certo… ma L non è giusto con te, lui ti ha-”
“L fa quello che deve fare Bakup, non puoi contestarlo.”
“Ma-”
“Quello che questo posto mi ha insegnato per prima cosa è che… L è la giustizia. Evidentemente devo studiare di più. Non è sufficiente tutto ciò.”
Erano passati sei mesi da quando Allied era diventata seconda. Si era allontanata un po’ sa Bakup e diventava sempre più bianca e irascibile. Non dormiva quasi, era tiratissima nello sforzo di superarlo di nuovo.
Quel giorno era il giorno in cui le classifiche del test decisivo, quello finale, sarebbero uscite. Erano tutti trepidanti e Allied per prima. Aveva studiato come non mai per quell’esame, non era uscita dalla sua stanza per giorni con il solo sussidio della compagna di stanza che le portava i vassoi per i pasti. Come se Allied mangiasse. Di solito, concentrata com’era, saltava il pranzo e mangiava appena l’indispensabile a cena, preoccupando Bakup per la velocità con cui dimagriva. E più dimagriva più era scontrosa. E più era scontrosa più non lo sopportava qualsiasi cosa facesse. E si allontanavano sempre di più.
Ma Bakup aveva deciso di dare una svolta alla situazione, sbagliando apposta una delle domande del test. Doveva essere secondo, a rigor di logica.
Erano le sei di mattina quando Bakup si svegliò di malavoglia sentendo bussare alla porta.
“Chi è?”
“Sono Allied”
“Entra pure” biascicò ancora mezzo addormentato, infilandosi dei vestiti a caso.
“Fra quindici minuti affiggono la classifica. ”
“Uhu…”
“Vieni con me?”
“Aha…”
“Ti ho svegliato?”
“Mhm..”
“Scusami è che sono così in ansia! Devo essere prima, devo! Più di così non… non potevo!”
“Sarai la prima, vedrai! Hai studiato molto più di me per quel test!”
“Devo.”
Così, quindici minuti dopo erano li, e il cartello pure. Allied tirò un violento pugno alla parete, sbucciandosi le nocche e Bakup non riuscì a credere ai risultati. Era di nuovo primo. Com’era possibile? Non era assolutamente possibile!
“Al, dai, non è così importante, recupererai!” disse comunque, avvicinandosi ad Allied.
“STAI ZITTO, STRONZO!” urlò correndo via.
Bakup sospirò. Cosa poteva fare? Cosa doveva fare? Perché non poteva essere meno importante quella lista? |
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