A Little's Enough

di Molly182
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chap 1 ***
Capitolo 2: *** Chap 2 ***
Capitolo 3: *** Chap 3 ***
Capitolo 4: *** Chap 4 ***
Capitolo 5: *** Chap 5 ***
Capitolo 6: *** Chap6 ***
Capitolo 7: *** Chap 7 ***
Capitolo 8: *** Chap 8 ***
Capitolo 9: *** Chap9 ***
Capitolo 10: *** Chap 10 ***
Capitolo 11: *** Chap 11 ***
Capitolo 12: *** Chap 12 ***
Capitolo 13: *** Chap 13 ***
Capitolo 14: *** Chap 14 ***
Capitolo 15: *** Chap 15 ***
Capitolo 16: *** Chap 16 ***
Capitolo 17: *** Chap 17 ***
Capitolo 18: *** Chap 18 ***
Capitolo 19: *** Chap 19 ***
Capitolo 20: *** Chap 20 ***
Capitolo 21: *** Chap 21 ***
Capitolo 22: *** Chap 22 ***
Capitolo 23: *** Chap 23 ***
Capitolo 24: *** Chap 24 ***
Capitolo 25: *** Chap 25 ***
Capitolo 26: *** Chap 26 ***
Capitolo 27: *** Chap 27 ***
Capitolo 28: *** Chap 28 ***
Capitolo 29: *** Chap 29 ***
Capitolo 30: *** Chap 30 ***
Capitolo 31: *** Chap 31 ***



Capitolo 1
*** Chap 1 ***



Chap 1
Prendere un aereo non era mai stato così difficile come in quell’istante! C’era in gioco tutta la mia vita, i miei sogni e la speranza di stare bene, una volta atterrata.
New York era diventata troppo piccola per me e la gente che ci abitava, troppo opprimente. Non sarei riuscita a stare soltanto un altro secondo in quella città, anche se dovevo ammettere che alcune persone mi sarebbero mancate.
Non si poteva fingere che la propria vita passata non fosse mai esistita, anche se, certe persone, avresti voluto non incontrarle durante il tuo cammino, ma ci sono sempre quelle che sono state un punto di riferimento per te. Come i genitori e gli amici, quelli veri, con cui hai vissuto per tutta la vita e ti senti in colpa a lasciarli ma sai che è la cosa giusta da fare, abbandonare quella città infernale, e niente ti avrebbe fatto cambiare idea, anche se una parte di me, chissà quale, stava lottando per non farmi partire.
“Si avvisano i passeggeri che il volo TD 30128 per San Diego è in partenza al Gates 3, vi preghiamo di dirigervi verso l’imbarco”, aveva annunciato lo speaker dell’aeroporto.
Avevo fatto un lungo respiro e poi mi diressi verso l’imbarco. Poche ore di aereo non mi sarebbero costate nulla se in cambio c’era una vita nuova.
“Grazie per aver volato con noi, benvenuta a San Diego”, mi annunciò l’hostess quando le passai davanti per scendere dall’aereo.
Percorsi tutto il corridoio che mi portò nella zona del ritiro bagagli e quando furono arrivate le mie valigie, mi diressi verso il bancone delle informazioni.
Era sera tardi, quasi mezzanotte e mezzo, e l’aeroporto era particolarmente vuoto ad accezione dei passeggeri che aspettavano il loro volo sulle panchine o che dormivano ignari di quello che succedeva intorno. Regnava il silenzio più assoluto.
“Mi scusi, col volo avrei anche prenotato una macchina”, dissi alla ragazza dietro al bancone.
“Certo, ha il biglietto con sé?”
“Sì, aspetti un attimo”, poggiai la mia borsa sul bancone e iniziai a tirare fuori tutti gli oggetti che avevo all’interno e la ragazza m’inviò un’occhiata di disapprovazione.
È strano come, quando hai bisogno di una cosa e ‘casualmente’ non la trovi perché s’infila sempre sul fondo della borsa, sotto a tutto.
“Ecco, scusi”, le porsi il biglietto. “Sa com’è, quando si cerca una cosa…”, iniziai a blaterare imbarazzata.
“Non si preoccupi”, mi disse digitando sulla tastiera del computer. “Ecco, vede, c’è un problema”
“Quale problema?”, chiesi nervosa.
“Non so davvero come sia potuto capitare, ma la macchina che aveva prenotato non c’è nel nostro parcheggio”.
“Come la macchina non è nel vostro parcheggio?", dissi alzando leggermente il tono della mia voce. "Guardi bene, la prego! Ci deve essere assolutamente un errore”
“Niente”
“E non ci sono altre auto?”, l’hostess scosse la testa desolata.
“Può prendere un taxi”, mi suggerì.
“Un taxi? Mi costerebbe un occhio della testa”, dissi esasperata. “Dannazione! Non doveva andare così!”, mi ripetei camminando avanti e indietro davanti a lei.
“Ehi, ti sono caduti questi”, la voce di un ragazzo mi aveva interrotto dal mio monologo. Mi voltai a fissare quel tipo strano. Indossava una maglietta gialla e portava un berretto nero e bianco la cui visiera gli copriva metà viso. In una mano aveva un borsone da viaggio e nell’altra mi porgeva la custodia dei miei occhiali da sole.
“Grazie”, gli dissi prendendoglieli e riponendogli in borsa per poi tornare a discutere con l’hostess. “Davvero non c’è una sola macchina nel parcheggio?”
“Sono desolata”
“Serve una mano?”, mi aveva chiesto lo stesso ragazzo di prima.
“No, grazie”
“Dico sul serio, sembri una che ha bisogno di aiuto”.
“So badare a me stessa, grazie per gli occhiali e buona serata”, gli dissi voltandomi verso di lui.
“Scommetto che sei una di quelle che non parla con gli sconosciuti”.
“Non si è mai troppo cauti”
Non avevo la minima idea di cosa volesse da me. L’avevo già ringraziato per gli occhiali ora poteva anche andarsene.
“La prego, guardi bene”, le chiesi decidendo di ignorarlo mentre se ne stava fermo in piedi a fissarmi. Dopo qualche istante, scosse la testa e si diresse verso l’uscita.
L’hostess aveva scrollato la testa per la medesima volta e si era scusata. Certo, tanto quella che rimaneva a piedi ero io e non lei!
Poi come se fosse un segno, mi si accese una lampadina, o qualcosa che le assomigliasse e capii che l’entrata nella mia nuova vita era stata un completo disastro ma il proseguimento non avrebbe dovuto fare la stessa fine, certo che no, si poteva correggere.
“Fa niente, grazie lo stesso”, dissi alla ragazza.
Presi la mia valigia e il mio borsone e corsi verso il ragazzo che era quasi arrivato alla porta e lo afferrai per la maglietta.

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Capitolo 2
*** Chap 2 ***


Chap 2
“Ehi, scusa, è ancora disponibile il tuo aiuto?”
“Mica non parlavi con gli sconosciuti?”, mi chiese lui con uno strano sorriso ironico.
“A volte faccio delle eccezioni e poi, sei stato gentile a raccogliermi gli occhiali e quindi…”, feci spallucce.
“Dove hai detto che sei diretta?”
“Nella periferia di San Diego”
“Oggi è il tuo giorno fortunato!”, mi affermò. “Anch’io devo andare lì!”
“Fortunato non mica tanto visto com’è andata”, mi lamentai e ricevetti uno sguardo torvo da parte sua. In effetti, era meglio non contraddirlo poiché era disposto a darmi un passaggio. “Non intendevo il tuo aiuto”, mi affrettai a giustificarmi.
Uscimmo dall’aeroporto e un getto d’aria calda mi colpì in faccia. La differenza di temperatura, a confronto dell’aria condizionata dell’aeroporto, era notevole.
“A proposito io sono Thomas”, mi disse porgendomi la mano dopo aver abbandonato il suo borsone nel bagagliaio della sua macchina.
“Mary”
“Come il Maryland”
“Avanti, nessuno si ricorda del Maryland ad eccezione di quelli che ci abitano, non sarà la prima volta che incontri questo nome”.
“In effetti, no”, mi sorrise. Prese le mie valigie e le poggiò di fianco alla sua.
“Cosa sei venuta a fare a San Diego?”, mi chiese curioso. “Sei venuta a trovare il fidanzato?”
“No!”, dissi un po’ troppo bruscamente.
“Allora è un viaggio di piacere?”
“Diciamo di vita, come mi hanno ripetuto più volte ‘è un viaggio di capriccio’, ma per me è molto di più che una stupida idea, è una fuga”.
“Non è che finisco nei casini, vero?”
“Tranquillo, è una fuga annunciata”
“Magari un giorno mi spiegherai”, mi sorrise.
“Magari un giorno”
“E da dove sei fuggita?”
“New York, ci sei mai stato?”
“Qualche volta”
Guardando fuori dal finestrino realizzai solo in quell’istante che quello che avevo voluto fare da tempo, ormai, si era realizzato. Ero in California, a San Diego. Le strade, gli incroci, i semafori e le vie illuminate dai lampioni della città erano reali.
“Dov’è che abiti?”, mi chiese mentre la periferia si apriva davanti a noi. Cercai il foglietto nella borsa e questa volta lo trovai subito e con una pessima pronuncia spagnola gli lessi l’indirizzo.
“È questa…”, annunciai indicando una casa a destra della strada.
La macchina accostò davanti all’abitazione e scesi a fissare la casa davanti a me.
“Hai scelto un bel posto, dove venire ad abitare”.
“Già”, sorrisi più a me stessa che alla sua notazione. “I bagagli, aspetta!”, gli dissi ricordandomi dei vestiti e dei miei oggetti personali che l’avrebbero riempita.
“Ti do una mano”, prese i borsoni dalla macchina e ci camminiamo lungo il vialetto. “Hai le chiavi?”
“Quelli dell’agenzia mi avevano avvisato che le avrebbero lasciate dentro la cassetta della posta”, poggiai le valigie a terra e corsi verso di questa ma la trovai vuota. “Non capisco, dovevano essere qui!”
“Aspetta, provo con la porta sul retro”, appoggiò anche lui i borsoni e sparì dietro la casa per poi ricomparire qualche istante dopo davanti a me. Aveva tolto il cappellino e poggiato sul tavolo della cucina. “È carina, molto accogliete”, mi disse prendendomi le borse dalle mani e poggiandole davanti alla scala che avrebbe condotto al piano superiore”.
“Molto”
“Ora devo andare”, annunciò guardando l’orologio che portava al polso. “È stato… un piacere contribuire alla tua fuga”.
“Grazie e scusa il disturbo, in qualche modo ricambierò”.
“Certo, ci vediamo allora”, si rimise il suo cappello e mi rivolse un ultimo sguardo e un sorriso prima di scomparire dietro la porta.
Non potei fare a meno di guardarmi intorno, la casa era grande, vuota ad eccezione dei mobili. Stare lì da sola era un po’ inquietante ma era la mia prima casa. Il primo posto che avrei potuto definire tutto mio!
Salii al piano superiore e ispezionai tutte le stanze. Fui particolarmente attratta da una, era quella sopra la cucina. Non era certamente la più grande ma aveva un’enorme finestra che affacciava sulla strada. All’interno c’era un letto, un grande armadio e uno specchio, su una parete era fissato un orologio delle dimensioni del Big Bang che mi faceva ben notare che erano le due passate.
Portai al piano superiore le borse che Thomas aveva sistemato davanti alle scale e le misi in quella stanza. Nella mia stanza.
Il tempo di raggiungere il letto che crollai in un profondo sonno con i vestiti ancora addosso.

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Capitolo 3
*** Chap 3 ***


Chap 3
I raggi del sole che entravano prepotenti dalla finestra mi colpirono violentemente il viso costringendomi a svegliarmi. Mi strofinai gli occhi e per la prima volta in tutta la mia vita, alzarmi dal letto non fu stato difficile. Scesi lentamente le scale, ancora sbadigliando, e mi ricordai che praticamente la casa era vuota, non aveva né cibo né caffè. Il mio amatissimo caffè.
Velocemente, ritornai al piano superiore e mi chiusi in bagno. Lasciai cadere i vestiti sul pavimento e mi buttai sotto il getto d’acqua della doccia, il tempo di vestirmi e in meno di mezz’ora ero fuori dalla porta di casa diretta per chissà dove.
Mi voltai per guardarla, ancora non mi sembrava vero.
Il sole splendeva nel cielo e un leggero venticello rinfrescava l’aria. Per essere metà Aprile faceva piuttosto caldo, niente a che vedere col clima di New York.
Camminando sempre dritto trovai un bar e m’intrufolai dentro per assumere la mia prima dose di caffeina. Non potevo stare senza caffè! Seduta al tavolo notai che vicino al bersaglio delle freccette era appesa una bacheca con vari annunci. Alcuni avevano richiamato la mia completa attenzione.
Guardai attentamente quei foglietti e uno in particolare si differenziò dagli altri. Era scritto con una caratteristica calligrafia e pur avendo cercato di rallegrare il biglietto con delle stelle si notava che non ci avesse dedicato molto del suo tempo per compilarlo. Lo strappai e lo infilai in borsa ed uscii dal locale.
Dovevo imparare quale autobus prendere e le varie lignee per raggiungere il centro della città. Chiesi informazione al barista e pochi minuti dopo mi trovai ad aspettare l’autobus alla fermata.
Camminando tra i negozi stavo attenta ai cartelli attaccati alle vetrine. Sconti, svendite, marche, niente che dicesse che cercavano personale.
Ormai era passata già gran parte della mattinata e stavo davvero per rinunciarci, mille persone cercavano lavoro ogni giorno e di sicuro non lo avrei trovato di certo io, il primo giorno che mettevo piede in città, certo che no!
Mi sedetti su una panchina e come se fosse un segno, lo vidi. Un cartello con scritto ‘Staff Wanted – Se Busca Personal’. Era il negozio adatto a me!
Entrai e davanti a me si estendevano scaffali di CD e dal soffitto scendevano vari LP mentre altri erano fissati al muro. Nulla era più perfetto che quel negozio.
Andai verso il bancone, dove c’era un ragazzo con degli indomabili capelli castani, quasi biondi, e un tatuaggio sul braccio.
“Mi scusi, state ancora cercando una commessa per il negozio?”
“Si certo”, mi disse alzando solo in quell’istante gli occhi dal PC.
“Vuole che le mostri il curriculum?”
“Passami il tuo iPod”, allungò la sua mano verso di me e dopo averlo cercato nella borsa, titubante glielo passai.
Fece scorrere il suo dito sul piccolo schermo tra le varie canzoni. Non accennava nessuna parola ad eccezione di qualche “Mhm... ” di approvazione.
“Perfetto!”, annunciò dopo un po’. “Ancora nessuno si era offerto di lavorare qui”.
“Troppo impegnativo?”
“Diciamo che chi si è presentato aveva una mp3 scarso”.
“Non di marca?”
“Non di gruppi degni da ascoltare”
“Capisco... ”, accennai un imbarazzato sorriso.
“Sei davvero interessata?”
“Certo”
“Allora puoi già iniziare a lavorare da questa settimana, in questi giorni non c’è molto da fare ma devo sapere se posso avere la tua completa disponibilità per tutto il giorno”, annuii. “A volte ci sono gruppi che vengono a pubblicizzare i loro record o semplicemente a firmare qualche autografo ed è puramente l’inferno, quindi ti toccherà lavorare duramente, sei disposta?”
“Puoi fidarti di me!”
“Bene”, mi sorrise allungando la mano. “Benvenuta a bordo, io sono Gary”
“Mary”
“Allora ci vedremo domani alle nove, Mary”.
“Ok grazie mille”
Uscii dal negozio con un sorriso stampata sul viso. Mi sembrava che fosse stato un segno del destino farmi sedere su quella panchina.
“Scusa”, dissi andando a sbattere contro qualcuno. “Oh sei tu, ciao”
“Ci rincontriamo”
“Eh già”
“Come va la casa?”
“Ancora non sono riuscita a godermela ma suppongo che lo farò presto”.
“Certo”, si passò una mano tra i capelli. “Senti, stasera c’è uno show privato, beh non è tanto privato se no non ci sarebbe nessuno, almeno spero che non sia così, ma c’è musica, sarebbe carino se ci venissi”, mi disse porgendomi un volantino piegato che teneva in tasca.
“Sempre che riesca a trovare il posto”, mi sorrise. “Ora devo andare, è stato... un piacere rincontrarti, Thomas”.

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Capitolo 4
*** Chap 4 ***


Chap 4
Avevo fatto la spesa ed ero riuscita a tornare a casa senza perdermi. Ottimo direi!
Cucinando mi era tornato in mente il biglietto che avevo strappata al bar. Lo cercai nella borsa e lo fissai, rigirandomelo tra le mani.
Avere una coinquilina sarebbe stato bello ma avrei rinunciato a una parte della mia privacy, ma qualcosa mi aveva spinto a prendere quel biglietto. La strana calligrafia, la scarsa voglia che avevano avuto per compilarlo o probabilmente la stanchezza dello jet lag mi aveva fatto capire che la proprietaria di quel volantino era esattamente la persona di cui mi sarebbe piaciuto diventare amica e non di uno di quegli studenti perfettini troppo impegnati negli studi con cui sarebbe stato impossibile rivolgere quattro chiacchiere.
Istintivamente presi il cellulare e composi il numero che era stato scarabocchiato velocemente e pochi istanti dopo mi rispose una voce annoiata.
“Pronto?”
“Sì, chiamo per l’annuncio che... ”, non mi lasciò terminare la frase.
“Ah sì, certo”, mi disse ricevendo ora tutta la sua attenzione. “Dimmi quando possiamo vederci”
“Ecco, io sono arrivata da poco e non so ancora bene dove andare”.
“Facciamo tra mezz’ora al bar, dove ho lasciato l’annuncio”.
“Va bene”
“Sembri simpatica dalla voce, sono proprio curiosa di conoscerti, a tra poco”, mi disse riattaccando il telefono.
Guardai l’orologio che segnava pochi minuti alle due, non era mia abitudine mangiare a quell’ora ma tra la ricerca del lavoro e la spesa avevo fatto davvero tardi e fra poco mi sarei dovuta presentare al bar a incontrare quell’eccentrica ragazza.
Alle due e venti ero ancora a casa e quando gettai l’occhio sul cellulare notai di essere in un notevole ritardo. Mi dovetti gettare fuori di casa e correre verso il bar. Entrai e mi guardai attorno. Praticamente era vuoto ad eccezione di una ragazza con lunghi capelli biondi seduta a un tavolo vicino alla finestra. Supposi che era lei.
“Scusa il ritardo”, dissi, titubante, avvicinandomi.
Si alzò in piedi mostrandomi un paio di jeans stretti e una canotta abbinati a una camicia a quadri legata con un nodo. “Tranquilla, piacere io sono Nicole”, mi rispose porgendomi la mano e tornando a sedersi.
“Piacere Mary”, feci come lei.
“Allora, dimmi un po’”
“Cosa?”
“Possiedi una casa? un appartamento? Sei sola? Con il ragazzo? Genitori? Animali?”
“Ho una casa, abito da sola e per il momento non ci sono animali, anche se vorrei prendere un gatto o un cane più avanti”.
Un cameriere si avvicinò a noi e prese le nostre ordinazioni portandoci poco dopo due frappè.
“Come mai sei qui?”, mi chiese dopo aver dato un sorso al suo bicchiere.
“Un viaggio di vita”, dissi disegnando dei cerchi con la cannuccia.
“Eri stanca della tua città, giusto?”, immediatamente alzai la testa per guardarla, in una semplice frase aveva capito tutto. “Ti capisco!”, mi rispose al mio annuire.
“Anche tu?”
“Diciamo di sì, Montreal, per quanto io l’adori, non era più la stessa e poi c’è da notare un elemento fondamentale”.
“Il clima”, dicemmo insieme scoppiando poi in una fragorosa risata.
Sembrava che ci conoscessimo da una vita.
“Esatto”, aggiunse lei. “Tu di dove sei?”
“New York”
“Non mi dire”
“Ci sei mai stata?”
“Non fisicamente, ma le sere passate a vedere Sex In The City e Gossip Girl mi hanno permesso di conoscerla meglio delle mie tasche”, risi.
“Senti ti va di venire a vedere la casa?”, le proposi alzandomi per andare a pagare il conto. Uscimmo dal locale e una gettata d’aria calda ci colpì il viso.
“Ti seguo con la macchina?”, mi chiese e divenni rossa.
Mi aveva preso alla sprovvista. Quando ero a NY, non usavo mai la macchina, neanche l’avevo. Pur avendo la patente, mi spostavo con i taxi perché erano più comodi e non dovevo patire il traffico infernale. E poi non sapevo guidare con il cambio automatico.
“In verità sono venuta a piedi, non ho la macchina”.
“Allora sali su che ti porto io”, mi disse prendendomi per un braccio e pochi minuti dopo eravamo davanti alla casa.
“Eccola qui”, annunciai aprendo la porta e la lasciai passare.

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Capitolo 5
*** Chap 5 ***


Chap 5
Le mostrai il piano terra, guardava la casa attentamente.
“Certo, la casa non sta cadendo a pezzi anzi è in ottime condizioni solo che ha bisogno di un’imbiancata alle pareti”, mi giustificai.
“Non è un problema, è davvero stupenda!”, mi sorrise.
“Vieni, ti mostro quale sarebbe la tua stanza”.
Salimmo le scale fino al piano superiore e percorrendo il corridoio mi fermai davanti a una porta, esattamente di fronte alla mia camera.
“Mi hai lasciato la camera col balcone?”, mi chiese impressionata.
“Sì, ehm io preferivo quella che affacciava sulla strada, spero che non sia un problema?”
“È perfetta!”, disse realmente felice. “Davvero, quando posso portare le mie robe?”
“Per me anche subito”, le risposi ridendo. “Vieni”, le dissi scendendo giù per le scale ed entrando in cucina.
“Davvero, mi farebbe piacere se fossi te la mia coinquilina”, le sorrisi. “Sono nuova di qui quindi non conosco molta gente e visto che mi sembri un tipo a posto, non credo che mi strangolerai con delle calze a rete durante la notte, giusto?”, le chiesi sempre col sorriso stampato sul volto ma che pian piano svaniva a una sua non risposta. “Vero?”, richiesi preoccupata.
“Certo”, disse lei pochi secondi dopo scoppiando a ridere. “Non per vantarmi, ma non canadesi non abbiamo la minima capacità di fare male nemmeno a una povera e indifesa mosca”.
“Meno male”, mi lasciai scappare insieme a un sospiro di sollievo. “Beh, come puoi vedere, la stanza è libera da subito e come dicevo prima, ci terrei davvero che tu venissi a stare qui, so che posso sembrare disperata e questa può sembrare una supplica ma davvero…”, m’interruppe.
“Non saprei, la tua proposta è allettante ma sai, ho visto molte altre case e ce n’era una in particolare che mi ha attirato, è di una ragazza non so se la conosci, si è trasferita da poco, quindi...”.
“Quindi è un si?”
“Solo per la stanza”, disse ridendo.
“Ah beh, se è così, allora... ” risi insieme a lei.
“Comunque non mi hai ancora detto quanti anni hai”.
“Ne ho ventuno”
“Non c’è così tanta differenza tra di noi, io ho solo tre anni più di te”.
“Beh, potresti farmi da sorella maggiore”
“In teoria, ma penso che sia un ruolo più appropriato a te, senza offesa”.
“Credo che tu abbia ragione, per la mia età mi definisco piuttosto noiosa”.
“Suvvia, stando con me cambierai radicalmente”.
“Dovrei preoccuparmi?”
“Fidati di me”, mi rassicurò. “Sai, ci vedo già le domeniche mattine a preparare pancake caldi e tazze di caffè bollenti”, disse sedendosi al tavolo insieme a me.
“Mi hai proprio letto nel pensiero”, le sorrisi. “Comunque, vuoi una mano per portare qui le tue cose?”
“Mi saresti d’aiuto”
Era fatto! Avevo trovato una coinquilina e ora stavamo portando i suoi oggetti in casa mia, anzi, nella nostra casa.
Ero rinchiusa nella mia stanza a sistemare i vestiti, che avevo rimandato, mettendoli nell’armadio. Sbirciando nella mia borsa ritrovai il volantino che quel ragazzo mi aveva dato e mi venne un’idea.
“Nicole?”, la chiamai scendendo le scale.
“Si?”
“Ti andrebbe di andare a uno show?”
“Che tipo di spettacolo?”
“Non saprei, oggi un ragazzo mi ha dato questo”, le porsi il volantino. Lesse attentamente e non  disse niente, sembrava quasi impietrita. “Ehi”
“Come hai avuto questo foglio?”
“Me l’ha dato un ragazzo stamattina”.
“Devi assolutamente dirmi chi era questo ragazzo, davvero come sei riuscita ad averlo?”, stava camminando avanti e indietro per la stanza.
“L’altra sera un ragazzo, un certo Thomas, mi ha dato un passaggio dall’aeroporto e stamattina l’ho incontrato al negozio di CD e mi ha dato questo volantino, penso che l’abbia fatto per gentilezza”.
“Sai il cognome del ragazzo?”
“Non credo che me l’abbia detto, indossava un berretto che li copriva metà volto e poi aveva una strana voce irritante”.
“Oddio, davvero non ci credo!”
“Cosa?”
“Hai conosciuto Thomas DeLonge e non hai la più pallida idea di chi lui sia”.
“Lo conosci anche te?”, chiesi come se fosse una cosa normale. “È per caso un atleta?”
  “Atleta? Ah, ti riferisci per la sua altezza! No, niente del genere e poi con i piedi che ha farebbe solo casini”.
“Molti giocatori di basket hanno i piedi lunghi”, le feci notare.
“Davvero, ma da dove arrivi? Sei sicura di essere di New York?”
“Sì, credo di si”
“Beh, lo avresti scoperto ugualmente vendendo quel ragazzo sul palco e non sul pubblico”, sembrava che si fosse calmata. Si sedette sul divano e iniziò a spiegarmi la situazione. “Allora, Thomas suona la chitarra e canta in una famosa band chiamata Blink-182 e quello che ti ha dato è uno dei rarissimi volantini per accedere allo show privato che terranno prima di pubblicare il loro album così da far sentire qualche nuova canzone”“.
“Capisco”
“Ti prego, ti prego, ti prego, ci andiamo?”
“Sai, non pensavo che ti piacessero”
“Spero che tu sia sarcastica”, le sorrisi.
“Tu sei pazza”
“Su questo ho i miei dubbi su chi delle due sia quella pazza”, ridemmo entrambe e mi sedetti sul divano di fianco a lei.
“Mi spieghi cosa ci trovi di straordinario in Thomas?”
“Tom è un bel ragazzo, anzi è così sexy, e anche Travis non è un brutto ragazzo, però secondo me è un po’ troppo magro ma il mio preferito è Mark. Dio! Mark ha dei buffi capelli che battono la forza di gravità e poi è così bello e ha due occhi magnifici azzurri, dove riesci ad affogarci dentro e il suo sorriso... penso di essermi innamorata di lui”.
“Beh, spero vivamente che tu possa diventare la moglie di questo Mork ma... “.
“Mark” mi corresse.
“Sì, Mark ma non so se sarebbe il caso di andarci, cioè se vuoi puoi andarci te io preferisco stare a casa, finisco di sistemare delle cose e magari mi leggo un libro”.
“Stai scherzando spero!”, mi disse. “Tu vieni a questo concerto eccome, crollasse il mondo. Devi far sapere a Thomas che sei venuta ad ascoltarlo e indi per cui andremo sotto il palco”.
“Questo piano ha un secondo fine, vero?”, dissi un po’ scettica ma comunque ridendo. “ E comunque perché mai dovrebbe volerlo sapere”.
“Lo so io il perché... ”, rise.
“Va bene”, mi arresi. “Ci andiamo ma sappi che lo faccio per te e solo perché non mi rifiuto mai di andare a qualche concerto”.
“Grazie”, mi saltò addosso. “Già mi stavi simpatica prima ma ora che so che conosci Thomas DeLonge ti adoro”.
“Approfittatrice”, risi.

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Capitolo 6
*** Chap6 ***


Chap 6
Il locale era pieno di ragazzi con la maglia dei Misfits e che commentavano quanto fosse bravo un certo Travis alla batteria mentre le ragazze impazzite urlavano quanto fossero sexy Mark e Thomas. Che poi, mi chiedevo cosa ci trovassero di così attraente in quel ragazzo.
“Ma sono tutte così le fans?”
“In verità no, queste sono quelle che seguono la band solo perché conosco al massimo, gli ultimi CD pubblicati ma quelle vere sono quelle che vanno oltre l’aspetto fisico e che ormai hanno superato i sedici anni”.
Seguii Nicole tra la folla e dopo essermi scusata con ogni persona a cui schiacciavo per sbaglio un piede o andavo a sbattere contro riuscii a raggiungere il sottopalco.
Le luci si spensero e una nube di fumo bianco invase il palco, dove poco dopo comparvero tre ragazzi.
Lo show proseguì con alcune canzoni, molte delle quali erano davvero belle altre invece, tendevano al pervertito ma erano simpatiche allo stesso tempo. Si vedeva proprio quanto ci mettessero d’impegno per far divertire ogni singolo ragazzo presente in quella sala e forse mi stavo ricredendo su Thomas, vedendolo sul palco a cantare e scherzare mi aveva totalmente fatto cambiare idea su di lui. In fondo non era così male e la sua voce non era così irritante, era questione di abitudine e poi il fatto che fosse un musicista mi aveva fatto mutare l’opinione su d lui a prescindere. Non si doveva mai sottovalutare il fascino di un musicista!
Quando il concerto finì, si accesero le luci e il locale iniziò a svuotarsi. Nicole mi prese la mano e mi trascinò dietro a un tendone.
“Non credo che qui si trovi l’uscita”
“Lo so, infatti, stiamo entrando”
“Non credo che dovremmo stare qui!”
“Suvvia, l’ho fatto un casino di volte perché mai dovrebbero scoprici ora”.
“Mi sembra ovvia la risposta”
“E voi cosa ci fate qui?”, disse una voce alle nostre spalle.
“Te l’avevo detto”, le sussurrai ma ricevetti un’occhiata che m’incenerì e lentamente ci girammo. “Sei te, ci hai fatto prendere un colpo”, dissi tirando un sospiro di sollievo vedendo che la persona che ci aveva richiamato era Thomas.
“Sei venuta alla fine”, mi disse guardandomi.
“Si beh, Nicole ci teneva e quindi... ”
“Piacere io sono Thomas”, disse lui porgendole la mano.
“Certo, come se non sapessi chi tu sia, tutti ti conoscono ad eccezione di lei, mi pare ovvio”, disse armeggiando con la sua borsa tirando poi fuori un blocchetto e una penna.
“Tom!”, lo chiamò un ragazzo che sbucava per metà da una porta blu. “Eccoti! Pensavo che gli alieni ti avessero rapito di nuovo”, disse ridendo. Nicole aveva ragione! Mark aveva un sorriso stupendo che ti faceva sciogliere e poi la sua voce era così bella. “Fra poco andiamo a mangiare tu che fai?”
“Arrivo”
“Ok”, aggiunse prima di scomparire di nuovo dietro alla porta.
“Mi faresti un autografo?”, gli chiese Nicole.
“Certo, ecco... ”, le disse porgendoglielo. “Vorresti avere anche quelli di Mark e Travis?”
“Davvero?”
“Certo”, gli porse uno dei suoi sorrisi che regalava a tutti. “Mark!”, lo chiamò.
“Che c’è?”
“Ti mando una bella ragazza bionda, trattatemela bene”, rise e uno strano sorriso malizioso comparve su entrambi i volti dei ragazzi.
“Stanne certo!”
“Mi devo fidare?”, chiesi preoccupata per Nicole.”
“Sì, tranquilla”, continuò a ridere. “Allora ti siamo piaciuti?”
“Potevi dirmi che avevi una band e che probabilmente ero l’unica persona in tutta San Diego a non sapere chi tu sia”.
“Perché è una cosa così assurda e adorabile... ”, arrossii.
“Adorabile?”
“Sì, direi di si!”, mi sorrise. “Comunque non hai risposto alla domanda di prima”.
“Siete stati bravi, credo che se vi avessi conosciuto prima, la mia adolescenza sarebbe stata diversa”.
“Adolescenza?”, chiese confuso.  “Quanti anni hai?”, mi fissò in silenzio come se per magia potesse comparire la mia età da un momento all’altro.
“Ventuno”
“Sei così giovane!”, arrossii di nuovo. Odiavo quando capitava.
“Ehm... grazie!”, dissi insicura sull’esattezza della risposta data.
“Comunque hai bisogno di una mano per la casa?”, mi chiese. “Il CD sta uscendo e abbiamo qualche mese di pausa prima che inizi il tour”.
“Non c’è problema”
“Dico sul serio, non ho molto da fare”
“Non ti devi scomodare, davvero, è tutto a posto”.
“Va bene, allora ci vediamo domattina”, replicò lui.
“Eccomi, andiamo?”, mi chiese Nicole che era appena tornata impedendomi di ribattere. Annuii. “Thomas è stato un piacere conoscerti, Mary ti aspetto fuori.”
“A domani, allora”, mi disse prima che mi voltassi per sparire dietro alla tenda per poi raggiungere Nicole.

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Capitolo 7
*** Chap 7 ***


Chap 7
Quando mi svegliai la mattina seguente ero in un fottuto ritardo, ancora non ero riuscita a capire come funzionasse la sveglia e quindi mi ritrovavo a correre giù dalle scale.
Aprii la porta di casa e andai a sbattere contro una persona. Sarei caduta a terra se non fosse stato per quell’individuo che mi sorreggeva.
“Buongiorno!”, mi disse con un gran sorriso stampato in faccia e il solito berretto.
“Che ci fai qui?”, gli chiesi spostandolo di lato e chiudendo la porta alle nostre spalle. “Non ho il tempo per parlare, sono in ritardo”.
“In ritardo per cosa?”, mi disse cercando di seguirmi mentre camminavo a passo svelto lungo il marciapiede.
“Per il lavoro! È il mio primo giorno e la sveglia non ha suonato quindi ho fatto tutto di corsa e non ho neppure mangiato, avrei potuto prende la macchina di Nicole ma non so dove ha messo le chiavi quindi... “.
“Aspetta, ti do un passaggio”, mi bloccò prendendomi per un braccio. “Ho la macchina”
“Solo perché sono in ritardo”, mi lasciai convincere. “Che ci facevi qui?”, gli chiesi quando fummo in macchina.
“Te l’avevo detto che sarei venuto”
“Di solito le persone che non hanno nulla da fare non sono sveglie a quest’ora e poi mi ero dimenticata di te”.
“Grazie... ”
“Non farci caso, ho la memoria che fa schifo, scusa”.
“Nessuna persona normale si dimenticherebbe di una rockstar che la viene a trovare a casa”.
“Non sono strana!”, dissi girandomi verso di lui e fulminandolo. “E comunque non bado a certe etichette”
“Dove lavori?”
“Al negozio di CD in centro”
“Hai quindi conosciuto Gary... ”
“Sì, è un tipo strano quel ragazzo”
“Non puoi dire che è strano se anche a te da fastidio, prima ho avuto paura che mi tirassi pugno”.
“A volte capita che ne tiri uno”
“E tu non saresti strana?”
“Perché tu non hai qualche indole assurda?”
“Diciamo che non sono il tipo più equilibrato su questo pianeta, non bisogna essere del tutto normali per scrivere una canzone sugli alieni”.
“Quindi abbiamo costatato che nessuno dei due è normale, mi sembra... ehm, tutto normale”, dissi tornando a guardare la strada. “Posso chiederti un favore? Forse pretendo un po’ troppo, ti conosco da poco quindi..”
“Dimmi”, disse interrompendomi.
“Siccome non hai niente da fare, ti andrebbe di tornare a casa mia e fare una sorpresa a Nicole”.
“Del tipo?”
“Prepararli dei pancake e svegliarla”, mi guardò un po’ scettico. “Suvvia, i migliori chef sono maschi e poi sarebbe felice se fossi te a svegliarla”.
“Va bene, lo faccio solo perché sono un mago nel cucinare pancake”.
“Va bene grande cuoco, però dovete lasciarmene qualcuno”.
“Cercheremo”, mi sorrise.
“Eccomi arrivata”, gli dissi vedendo l’insegna del negozio davanti a me. “Grazie del passaggio”
“Mi devi un favore, anzi due”
“Certo”
“Ci vediamo stasera a casa”
“Detto così suona strano”
“Vero, allora ci vediamo più tardi a casa tua”, disse mettendo fuori dal finestrino la testa.
“Va bene, ciao Thomas”, lo salutai prima di entrare nel negozio.
“Buongiorno” mi disse Gary. “Sei puntuale, ottimo inizio”, continuò. “Ecco qui, muffin e caffè”
“Accogli così tutti i nuovi dipendenti?”, chiesi prendendo la tazza di caffè fumante.
“È una sottospecie di rito”, mi sorrise.
“Grazie, comunque”
Rimangia tutto quello che avevo pensato su di lui. Quel ragazzo era un santo e mi aveva evitato di morire di fame.
Il negozio come il resto della città era ancora deserto e i clienti non sarebbero arrivati prima delle dieci e mezzo e ciò mi dava abbastanza tempo per imparare cosa avrei dovuto fare.
L’intera giornata passò più o meno tranquillamente. CD e DVD da ordinare e sistemare negli scaffali, genitori a cui consigliare quale disco sarebbe meglio per proprio figlio e spiegare alle ragazzine che comprare gli album di quei musicisti usciti dalla tv non era esattamente il tipo di buona musica da ascoltare.
“Per oggi è tutto!”, mi disse Gary chiudendo la cassa.
“Allora a domani”
“Vuoi un passaggio per il ritorno?”
“No, grazie prendo l’autobus”, presi la borsa da dietro al bancone e mi diressi verso la porta. “Eccomi a casa”, annunciai varcando la soglia di casa.
“Bentornata”
“Vado a farmi una doccia”
“Ok, tra poco è pronta la cena”
Salii le scale e pochi istanti dopo mi trovai sotto il getto d’acqua.
“Come è andato il lavoro?”
“Normale, niente di pesante e, invece, la tua giornata?”
“Devo dire che ho avuto una magnifica sorpresa, grazie”, disse inforcando la pasta nel suo piatto.
“Di nulla”, le sorrisi. “Thomas dov’è?”
“Aveva delle faccende da svolgere, se n’è andato proprio poco fa”.
“Capito”
Quella sera non facemmo niente di speciale se non guardare la tv e una lunga chiacchierata sui futuri progetti sul weekend e di come potevamo ridipingere la casa.

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Capitolo 8
*** Chap 8 ***


Chap 8
La mattina seguente riuscii a svegliarmi in anticipo quindi avrei potuto fare le cose con calma . scesi le scale lentamente indossando il mio pigiama che poi consisteva in un pantaloncino e una canottiera colorata.
Entrai in cucina e accesi la macchina del caffè. Non potevo affrontare la giornata senza la mia fumante tazza di caffè.
“Hola niña”, mi disse una figura seduta al mio tavolo. “Che bel pigiama”, aggiunse mangiando un miscuglio di latte e cereali da una tazza.
“Oh, ciao Thomas”, dissi capendo a chi appartenesse quella voce.
“Ti prego, se fai così mi monto la testa”
“Come hai fatto ad entrare?”
“Avrei scommesso la mia Strastocaster che tu e Nicole avevate lasciato la porta sul retro aperta”.
“Sì... ehm... Vuoi del caffè?”, dissi cercando di cambiare argomento.
“Sarebbe perfetto”, gli porsi l’altra tazza sul mobiletto. “Sai che è reato entrare nelle case degli altri quando loro non ci sono?”
“Ma voi dormivate e poi stavo morendo di fame, non vorresti che una famosa rockstar morisse di fame, non potresti mai immaginare le conseguenze”
“Ovvero?”
“Migliaia di mie fans potrebbero cercarti e trovarti e tu saresti costretta a scappare in Canada sotto falso nome”
“Interessante, sai è un rischio che potrei correre”
“Ma che dolcezza”, mi sorrise. “Tutto quel caffè non ti fa bene”
“È l’unica cosa che mi fa ragionare”
“Tu sei strana”
“Ancora con questa storia?”
“Scusa, cosa farai oggi?”
 “Vado al lavoro”, dissi poggiando la mia tazza nel lavandino e poi poggiandomi a questo. “È quello che fanno le persone normali, lavorano per guadagnare e con i soldi possono mangiare... è tutto un ciclo”
“Anche fare il musicista è un lavoro impegnativo”
“Oggi cosa farai?”
“Touché!”, rise
“Vado a prepararmi”, salii le scale e poco dopo le scesi. “Beh, io vado, Nicole si sveglierà tra poco”
“Aspetta ti posso dare un passaggio”
“Ma non sono in ritardo”
“Potremmo passare del tempo insieme a discutere sul fatto che sono uno scansafatiche”
“Se proprio insisti”.
“Davvero non c’è niente che possa fare per voi?”, mi chiese in macchina.
“Beh, potresti lavare i panni e stirarli”
“Qualcosa di più mascolino”
“Io e Nicole dovremmo ridipingere le pareti di casa, nel weekend andremo a comprare le vernici”, dissi ridendo.
“Oggi inizia il weekend, ti accompagno io!”
“Dico sul serio, non ce n’è bisogno, stavo scherzando”
“Perché pensi che stare con te sia un peso?”
“Semplicemente non voglio disturbare”
“Non lo è!”, mi assicurò. “Comunque oggi ti vengo a prendere al lavoro e parlerò con Gary così da farti uscire prima”
“Dico sul serio, non ce n’è...”, interruppi la frase al suo sguardo inceneritore. “Deve essere sempre una partita persa con te?”
“Hai capito come funziona!”
“Sono arrivata!”, dissi scendendo dalla macchina. “Grazie per il passaggio”
“A dopo”
“Va bene”, entrai nel negozio. “Buongiorno Gary”, gli dissi mettendomi dietro al bancone.
La giornata passò tranquillamente, niente di emozionante oltre che sistemare dei CD e ordinarne degli altri.
Mi stavo occupando della sezione Alternative Rock quando un ragazzo si appoggiò allo scaffale davanti al mio. Indossava una camicia azzurra a maniche corte e degli occhiali leopardati, strani per un ragazzo. Mi ricordava qualcuno ma non mi veniva in mente chi lui fosse.
“È uno dei migliori CD dei Jimmy Eat World”
“Scusa?”
“‘Bleed American’, è anche raro”
“Vuole che glielo porti alla cassa?”
“Sì, grazie!”, disse seguendomi al bancone.
“Ha bisogno di nient’altro?”
“In verità sono qui per te?”
“Ci conosciamo?”
“In verità sì! Sei venuta insieme a quello schianto della tua amica bionda allo show dell’altra sera”, disse con un sorriso da ebete.
“Ah, si”, dissi ricordandomi di lui.
“Sono Mark e tu sei... Mary, giusto?”
“Si”
“Tom non fa altro che parlare di te!”, mi disse e iniziai a sentire le mie guance che bollivano. “L’ultima volta che era così ossessionato da una ragazza ci ha scritto una canzone”
“Davvero?”
“Allora è vero che arrossisci!”, disse indicando le mie guance rosse.
“Cosa?”, cercai di fare finta di nulla.
“Tom dice che lo fai spesso”
“Thomas non sa proprio niente”, cercai di sbollire ma il fuoco dentro di me stava divampando. “Comunque, il CD lo devi comprare?”, annuì. “Sono 18.20$”
“Ecco”, disse porgendomi delle banconote. “Ah mi dimenticavo, sono qui anche per parlare con Gary, Tom mi ha minacciato di tagliarmi una parte essenziale di me – sai a cosa mi riferisco – se non lo avessi convinto a farti uscire prima”
“Davvero, Mark, non devi farlo, non è che io e lui stiamo insieme”
“Oh si che lo devo fare”, disse toccandosi il cavallo dei pantaloni. “Dov’è?”
“Di sopra, al ripiano dei DVD”, quando scomparve sugli ultimi gradini della scala a chioccia mi passai una mano sul viso. “Ma che razza di persone mi capita di incontrare!”, mi lasciai sfuggire.
Poco dopo scese di nuovo al piano dei CD e si avvicinò al bancone dove mi trovavo.
“Tutto a posto”, mi sorrise.
“Grazie!”
“Beh, ci si vede in giro”, disse poi uscendo. “Ah, comunque è la traccia otto di ‘Enema Of The State’”, aggiunse facendo capolino con la testa per poi sparire di nuovo.

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Capitolo 9
*** Chap9 ***


Chap 9
Cercai tra i CD da far ascoltare il disco indicato prima da Mark, ne trovai uno con una ragazza, se si poteva chiamare così, in abiti da infermiera. Doveva essere quello! Lo misi nel lettore e mandai avanti le canzoni fino alla traccia otto.
Ascoltai ogni singola parola di quella canzone era davvero bella e pur essendo qualcosa di romantico non mancava quella nota di ironia che riuscivano a mettere in qualunque canzone.
Iniziai a pensare a tutto ciò che era successo in questi giorni e al mio incontro con Thomas. Quel ragazzo avevo dei modi di fare totalmente stravaganti. Sorrideva sempre e anche se non era il classico ragazzo che t’ispirava fiducia ti conferiva una sorta di tranquillità che ti metteva a proprio agio.
Mi continuavo a dire che stava andando tutto fin troppo bene e che, prima o poi, tutto questo sarebbe finito. In soli tre giorni a San Diego avevo trovato una coinquilina che era totalmente fuori di testa e pur conoscendoci da poco sapevo che potevo contare su di lei e poi c’era Thomas, che non sapevo se definirlo come un amico o un conoscente ma era stato così gentile da essersi disposto di aiutarci a dipingere la casa.
I miei pensieri furono interrotti dalla suoneria del mio cellullare.
“Pronto, chi è?”
“Sono Thomas”
“Chi ti ha dato il mio numero?”
“Nicole”
“Co avrei scommesso!”
“Sono qui fuori, esci”
“Sai che ti odio?”
“Mi odierai in macchina, forza!”
“Ok”, riattaccai la chiamata. “Gary, io vado!”, annunciai. “Scusa il disturbo, davvero, io non avrei voluto ma...”
“Tranquilla, so cosa significa trasferirsi da poco”
“Grazie”, gli sorrisi prendendo la borsa da dietro il bancone. “Allora a domani”
“Domani sarà sabato?”, annuii. “Domani avrò delle faccende da fare e terrò il negozio chiuso quindi vedilo come un giorno di vacanza”
“Oh, ok, allora a Lunedì”, uscii dal negozio e trovai nel parcheggio Thomas appoggiato al cofano della sua macchina.
“Ehi!”
“Ehi!”, ripetei. “Forza, non eri te quello che aveva fretta?”, dissi aprendo la portiera della sua macchina. “Avanti!”
“Hai conosciuto Mark?”
“Sì, un tipo bizzarro”
“Sì, lui è così!”, sorrise. Si vedeva che ci teneva davvero. “Ma è un grande amico pur la sua sbadataggine”, gli sorrisi a mia volta.
“Quindi cosa hai fatto oggi?”
“Diciamo che io e Nicole ci siamo dati da fare”, alzai spontaneamente un sopracciglio. “Nel senso che non ce ne siamo stati con le mani in mano e abbiamo iniziato a verniciare casa”
“Beh, la tua vacanza sta sfruttando”, gli sorrisi. “Che stanze avete fatto?”
“Al pian terreno solo la cucina, mentre il piano superiore tutto”
“Anche la mia camera?”, chiesi quasi terrorizzata.
“In verità no, io e Nicole discutevamo su quale colore sarebbe stato meglio, lei diceva una tonalità chiara invece io optavo per qualcosa di più forte, tipo il rosso”
“In verità avete sbagliato entrambi, un azzurro andava più che bene”
“Ecco appunto perché ho preferito che tu venissi con me”
“Per scegliere il colore?”, chiesi confusa. “Avresti potuto chiamarmi”
“Ma così non avrei passato del tempo con te”, mi disse togliendo gli occhi dalla strada e guardandomi. Rigorosamente divenni rossa mentre il suo sorriso si trasformava in una risata. Girai il volto così da vedere la strada fuori dal finestrino cercando di far passare il rossore sulle mie guance.
Nel giro di un’ora avevamo comprato la vernice per la mia stanza e per i corridoi. Preso tutto, tornammo a casa. Ormai si era fatta l’ora di cena indi per cui non c’era molto da fare.
“Nicole, sono tornata”, dissi poggiando i barattoli di vernice di fianco alla porta.
“Andato bene il lavoro?”
“Normale”, la raggiunsi seguita da Thomas. “Domani avrò già il mio primo giorno libero”
“Magnifico così io e te potremmo finire al più presto”, mi sorrise.
“Thomas vuoi restare a cena?”, gli chiesi.
“Volentieri”, ci sedemmo tutti e tre a tavola, ognuno al rispettivo posto.
Ogni volta che alzavo lo sguardo da tavola mi sembrava di stare in uno di quei telefilm americani dove tutta la famiglia o gli amici si riunivano in cerchio per cenare, raccontandosi come era andata la giornata. In effetti loro erano i miei unici amici e anche una parte della mia famiglia, erano speciali come la sensazione che provavo: quella di sentirmi a casa mia per la prima volta.




Vorrei ringraziare Layla che continua a  recensire ogni singolo capitolo e questo mi fa davvero piacere. Grazie:)

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Capitolo 10
*** Chap 10 ***


Chap 10
Finita la cena, continuammo a restare seduti a tavola per parecchio tempo finché il telefono di Thomas iniziò a squillare.
“Dovresti rispondere”, gli dissi guardandolo.
“Non è importante”
“Fallo”
Lui si alzò da tavola e sparì nella sala, camminava nervoso attorno al tavolino davanti alla tv e sembrava scocciata.
“Ehi, credo proprio che li piaci”
“Non dire sciocchezze!”
“Ancora non lo hai capito? Pensavo che tutte le ragazze avessero una sorta di radar per queste cose”
“Quali cose?”, le chiesi. “Davvero non capisco”
“Lascia stare, vedrai che avrò ragione”, mi disse sparecchiando la tavola. “Comunque, ho visto che stai cambiando la tua idea su Thomas”
“In che senso”, continuavo a non capire.
“TI va di restare a cena?”, disse imitando la mia voce.”
“Mi sembrava carino, infondo sta dando una mano con le pareti quindi teniamocelo buono”
“Ma che approfittatrice!”, rise.
“Ho imparato dalla migliore”
“Certo, e magari, tanto che ci siamo li possiamo far fare il bucato”
“Gliel’ho già proposto ma ha detto che voleva fare qualcosa di più mascolino”
“Dio, t’immagini Thomas DeLonge con il grembiule a fare il bucato?”, ci guardammo per un istante e scoppiammo a ridere. “È il mio sogno erotico”, disse continuando a ridere.
“Mica amavi Mark?”
“Sì ma se non te lo pigli te, ci provo io!”
“Tutto tuo, cara”, feci un gesto con la mano come segno d’inchino. “A proposito, sai che oggi è venuto da me al lavoro?”
“Tom?”
“No, Mark”
“E cosa aspettavi a dirmelo? Avresti potuto chiamarmi! Cosa avete fatto?”
“Tranquilla, niente di sconcio ha comprato solo un disco”
“Eh... Eh...”, disse ammiccando.
“Non pensavo che avessi una mente così maliziosa”
“Quante cose che non sai di me e... quante cose che non sai su cosa si può fare su un bancone”
“Mi devo spaventare?”
“Forse un po’”, rise.
Il nostro discorso fu interrotto da Thomas che era rientrato in cucina. Sembrava un’altra persona e il sorriso li era scomparso.
“Devo andare, scusate”, disse prendendo il suo cappellino dalla mensola che divideva la cucina con la sala. “Grazie per la cena”, disse prima di avviarsi per la porta d’ingresso. Lo seguì.
“Thomas?”, lo chiamai prima che salisse sulla macchina. “Tutto a posto?”
“Sì, non ti preoccupare”, disse fingendo un sorriso poco sicuro.
“Se domani avrai da fare non serve che vieni”
“L’ho promesso”
“Davvero, dico sul serio, va tutto bene?”, mi avvicinai a lui. “Sei cambiato tutto di un colpo”
“Sono solo piccoli problemi che continuo a rinviare e non lasciare...”
“Problemi che hanno lunghi capelli e che sono carine?”, gli chiesi sorridendo.
“Può darsi...”, mi sorrise a sua volta, questa volta senza farlo sembrare sforzato. “Ci vedremo domani”
“Buona notte”
“Notte”
Lui salì sulla sua macchina e quando chiusi la porta lui non c’era più.
“Che ti ha detto?”
“Che verrà domani”
“E non ti ha baciato?”
“Perché mai avrebbe dovuto farlo?”, chiesi con fare ovvio. “E poi, credo che abbia la ragazza”
“Ma non ha mai accennato nulla al riguardo”
“Già”
“Li piaci e al momento non vuole farti sapere se ha la ragazza perché vuole vedere come procedono le cose con te”
“Tua teoria?”
“Tutta mia”, disse fiera di sé.
“Vado a dormire mia indovina”

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Capitolo 11
*** Chap 11 ***


Chap 11
“Buongiorno”, mi disse la solita voce l’indomani mattina.
“Buongiorno Thomas”, gli dissi prendendo una tazza per me e accendendo la macchinetta del caffè.
“Dormito bene?”
“Credo di si”, immersi i cereali dentro al latte. “Sai, inizio a dubitare sulla vera esistenza della tua casa, per quanto ne so sul tuo conto potresti anche dormire nella tua macchina”, gli sorrisi.
“Non mi piace fare colazione da solo, è deprimente”, disse mangiando un’altra cucchiaiata di cereali. “Un giorno ti porterò a vederla”
“Un giorno dovrò chiudere la porta sul retro”
“Non lo farai mai”
“Probabile... come mai qui presto? È sabato”.
“Non riuscivo a dormire”
“E hai realmente pensato di trovarci sveglie alle sette e mezzo del mattino?”
“Non Nicole, certamente, ma tu sì ed infatti ti sei svegliata poco dopo il mio arrivo”
“Va bene, va bene”, mi arresi. “Pronto per verniciare, allora?”
“Come non mai”
“Non fare tanto il sarcastico, signorino!”, lo rimproverai. “Tu ti sei offerto e ora non puoi sottrarti dall’impegno preso”
“Si signora!”, disse scattando all’attenti. Rise e poi poggiò anche la sua tazza nel lavandino.
“Vado a vestirmi”, dissi avviandomi verso le scale seguita da lui.
“Intanto inizio a preparare il colore”
Salii e in poco tempo scesi le scale e trovai già metà corridoio preparato. Iniziammo a dipingere quelle pareti e verso metà mattinata si svegliò Nicole.
“Come mai sveglia così presto?”, le chiesi Thomas stuzzicandola.
“Qualcuno ha fatto troppo casino”, disse lei sorpassandolo e dirigendosi verso la cucina.
“Pensavo che ci volesse qualcosa di più forte per tirati giù dal letto”, gli urlò lui.
“Sono abituata a sentire voci maschili, sai, mi sono disorientata un attimo prima di riconoscere a chi appartenesse quella voce stridula”
“Disse la bella addormentata”, rise.
“Buongiorno anche a te Tom”, gli disse tornando da noi con la sua tazza di caffè.
“Giorno Nicole”
Era incredibile come in così poco tempo erano riusciti ad entrare in sintonia e prendersi in giro come due vecchi amici.
“Sai, potrei abituarmi ad averti in giro per casa, mi farebbe piacere avere un uomo tuttofare”
“Non mi dispiacerebbe fare l’uomo tuttofare e poi mi piace stare con te”, gli sorrisi e un leggero colorito rosa comparve sulle mie guance.
“Mary, hai visto le chiavi della macchina?”, mi annunciò Nicole dopo pranzo.
“Dovrebbero essere sulla mensola vicino al telefono, dove vai?”, le urlai dalla sala. Avevamo finito il corridoio e ora c’eravamo spostai in sala.
 “Roger non vuole funzionare, vado in lavanderia”, frugò sul piano. “Eccole, a dopo”
“Roger?”, mi chiese Thomas.
“Sì, la lavatrice”
“Come mai li avete dato un nome?”
“Sembrava carino”
“Siete pazze”, rise. “Ti va di accendere la radio?”
“Va bene”
Poggiò il pennello e si chinò davanti alla piccola radiolina appoggiata sul mobile e girava la rotellina in cerca di una stazione radio abbastanza decente per lui.
Dopo un’eternità si staccò dalla radio e ritorno alla sua parete. Una canzone movimentata era finita e una più lenta stava prendendo il suo posto.
In pochi passi si avvicinò a me e mi torse il rullo dalle mani. “Mi permetti?”, mi chiese prendendomi una mano e stringermi a lui, passò l’altra sua mano sulla schiene senza aspettare una mia risposta.
“Non fa tanto telefilm ballare in mezzo ad una stanza?”
“Non importa”
Appoggiai la testa alla sua spalla e mi lasciai dondolare dalla musica. Eravamo in mezzo a una stanza non decisamente elegante ed eravamo completamente sporchi di vernice. Di certo non eravamo romantici ma la scena sembrava proprio tirata fuori da un film.
“Vedo che ci metti moco a prendere confidenza con le persone”
“Di solito c’impiego meno tempo”, mi sorrise a pochi centimetri dal mio volto.
“Forse è meglio che riprendiamo con le pareti”
“Stai zitta e resta qui”, mi sussurrò. Se non fosse stato per un tono così seducente avrei avuto la capacità di risponderli e mandarlo a quel paese ma quel ragazzo mi stava provocando uno strano effetto.
Spostai le mie mani attorno al suo collo mentre le sue si posizionarono sui miei fianchi e restammo così per il resto delle successive canzoni che la radio fece passare, magicamente tutte lente, finché il cellulare di lui riprese a squillare.
“Rispondi!”, lo obbligai.
“Non ne ho voglia”
“Inizio ad odiare la tua suoneria”
“Posso toglierla”
“Magari potrebbero essere i tuoi problemi”
“Sei per caso gelosa?”
“No, cioè solo che non mi sembra giusto evitare una chiamata, tutto qui”, No. Non ero gelosa! Almeno lo credevo.
Alla fine accettò di rispondere al telefono e per non disturbare mi spostai in cucina. Lo vidi fare come l’ultima volta. Sguardo scocciato e camminava per tutta la stanza. Quando chiuse la chiamata invio un “Fanculo” al telefono.
“Tutto a posto?”, gli chiesi.
“Devo andare”, prese il suo solito cappello e si diresse verso la porta. “Ci vediamo”

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Capitolo 12
*** Chap 12 ***


Chap 12
Rimasi da sola in mezzo alla stanza. Come il giorno prima, aveva ricevuto una telefonata e il suo umore era mutato immediatamente.
“Dov’è Tom?”, mi chiese Nicole quando rientrò in casa.
“È andato, come ieri”
“Ah” sembrava un po’ delusa. “Non è successo niente?”
“Del tipo?”
“Un bacio”
“Ci risiamo... ”, dissi scuotendo la testa. “Abbiamo solo ballato”
“Solo?”
“Qual è il significato di ballare nella tua mente perversa?”
“Beh fare sesso”, disse spontaneamente.
“Ah beh, vedi troppi film”
“È questione di tempo, vedrai”
“Ok, allora facciamo che io torno in camera mia e faccio finta che questa discussione non ci sia mai stata”, dissi ridendo.
Non sapevo di cosa si trattava ma stava di fatto che il giorno dopo non si fece vedere né quello successivo.
Non m’importava se la mattina non avevo più un passaggio, non mi dispiaceva prendere l’autobus. La cosa che mi mancava di più era fare colazione con lui, trovarlo, la mattina presto, seduto al tavolo della cucina con la sua tazza di cereali. Chissà se lo avrei rivisto.
“Buongiorno”, dissi entrando in negozio lunedì mattina.
“Ciao Mary, passato bene il week end?”
“È stato piuttosto faticoso, dipinto le pareti e finalmente io e la mia coinquilina siamo riuscite a far funzionare la lavatrice”.
“Fine settimana impegnativo!”
“Già”
Passai la giornata piuttosto tranquillamente, come il resto della settimana. Le giornate erano così tranquille che lasciavano la mia mente libera di pensare, cosa che non dovevo permettere. Infatti, pensai ai vari motivi per cui Thomas non si era fatto vedere per un’intera settimana.
Finita la mia giornata lavorativa, tornai a casa. Ad aspettarmi seduto sul dondolo, c’era una figura che non riuscivo a riconoscere. Pian piano che mi avvicinavo l’immagine diventava più nitida così che quando salii i tre gradini, trovai seduto sul dondolo Thomas.
“Ciao”, mi accenno alzandosi in piedi.
“Che ci fai qui?”, dissi entrando in casa seguita da lui che chiuse la porta alle sue spalle.
“Ho portato del gelato”
“E dov’è?”
“Dentro il freezer”
“Potevi aspettare dentro”, dissi prendendo il barattolo di gelato e due cucchiai e li poggiai sul tavolo, dove lui si era già andato a sedere.
“Non mi sembrava carino dato che voi non c’eravate”.
“E intrufolare cibo nelle case altrui lo è?”, si limitò a scrollare le spalle e a prendere un’altra cucchiaiata di gelato.
“Comunque volevo farmi perdonare”, mi alzai e posai il mio cucchiaio nel lavandino e iniziai a lavare i pochi piatti della colazione. Lui si avvicino a me e posò le sue mani sui miei fianchi.
“Smettila di giocare”
“Non sto giocando, non volevo sparire così”.
“Non ti devi far perdonare, non hai fatto assolutamente nulla, puoi fare quello che vuoi”.
“Beh, allora domani ti porterò in un posto stupendo”, mi girai così da guardarlo negli occhi. “Ci vado quando voglio stare da solo”
“Però porti me”
“Perché voglio condividerlo con te”
“È quindi un invito?”
“Diciamo di sì, accetti?”
“Solo perché non ho di meglio da fare”, mi fece un sorriso a pochi millimetri dal mio volto. Quasi mi sciolsi.
“Senti, se ti chiedo di restare a cena, te ne vai come l’ultima volta?”
“Credo proprio di no”, aggiunse continuando a sorridermi.

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Capitolo 13
*** Chap 13 ***


Chap 13
Quando l’indomani mi svegliai, era presto.  Il sole era sorto da poco e il vicinato dormiva ancora.
Scesi le scale lentamente e mi preparai una tazza di caffè. Mentre aspettavo che il liquido amaro scendesse dentro la caffettiera, iniziai a pensare alla sera prima e di quella strana sintonia che si era creata tra me e Thomas. Non ero realmente arrabbiata per il fatto che non si fosse fatto vedere per tanto tempo, infondo me lo aspettavo, stava andando tutto troppo bene e qualche intoppo ci doveva pur essere.
Presi la mia tazza e la riempii e senza fare troppo rumore mi chiusi la porta alle spalle e andai a sedermi sul dondolo del portico.
Le persiane delle case iniziavano ad aprirsi e alcune famiglie si stavano preparando per andare a messa. Nella seconda casa di fronte alla mia c’era un bambino che correva per il giardino seguito dalla madre che cercava di farlo salire in macchina mentre il padre era già al posto di guida che sbuffava tra uno sbadiglio e l’altro.
Ero talmente presa a guardare ciò che accadeva nel vicinato che non mi accorsi di lui finché non mi si mise davanti.
“Ciao New York” mi salutò.
“Thomas non chiamarmi così”, lo rimproverai. “Non chiamarmi New York, mi da sui nervi”
“Scusa, ricominciamo: Buongiorno Mary”
“Meglio!”, tirai un sospiro. “Non ti avevo visto arrivare”
“La tua considerazione su di me continua a diminuire”, mi disse con un sorriso.
“Non è così”, gli ricambiai. “È che ultimamente sono distratta dai miei pensieri”.
Si sedette di fianco a me e restammo in silenzio a guardare quella casa.
“Vuoi fare colazione?”, gli chiesi dopo un po’. Lui annuii ed entrammo in casa.
Si sedette al suo solito posto e gli passai la ciotola, che ormai era diventata sua, e i cereali con il cartone del latte.
Ce ne stavamo seduti attorno al tavolo a fare colazione come avevamo sempre fatto da quando c’eravamo conosciuti. Sembrava che tutto fosse tornata normale.
“Allora oggi andiamo a Seaport Village?!!”, mi disse come se fosse più un’affermazione che una domanda.
“Così avevi deciso”, dissi con indifferenza posando la tazza nel lavandino. “Vado a vestirmi tu fai... beh come se fossi a casa tua, cosa che fai già”
Salii le scale e sulla porta della mia stanza era appoggiata Nicole che mi aspettava. “Buongiorno”, disse con un sorriso a trentadue denti.
“Come mai sveglia a quest’ora?”
“Ho sentito la macchina di Tom”
“Sai che è inquietante come cosa da dire?”
 “Lo so, lo so, ma non siamo qui per discutere della mia pazzia ma di te”
“Che cosa stai cercando di dirmi?”, le chiesi e mi fece uno strano sorriso malizioso che mi spaventò. “Dico sul serio, non cercare di fare il cupido della situazione perché non ci metteremo mai insieme... siamo solo due amici”
“Mai dire mai”
“Nicole, davvero, non succederà niente, mi porta da qualche parte a San Diego, non è nulla di speciale”
“Dipende dal punto di vista, se la vedi come un ragazzo che porta fuori una ragazza sì, è normale! Ma se pensi che quel ragazzo sia una fottuta rockstar sexy non mi sembra tanto normale”, disse. “E poi sai quante ragazze vorrebbero essere al tuo posto?”
“Non ne dubito, le ho viste al concerto...”
“Appunto, allora perché non cogliere l’occasione?”, disse sedendosi sul mio letto. “Fatti più bella del solito e fai presto”, mi sorrise prima di uscire dalla camera e chiudersi la porta alle spalle per poi scendere velocemente le scale.
Quella ragazza era tutta fuori ma era questo che mi piaceva di lei. Non potevo scegliermi coinquilina migliore.
Mi vestii velocemente e scesi anch’io al pian terrendo.  Dell’ombra di Thomas non c’era traccia. Per un secondo mi era venuto il terrore che fosse sparito così come le sere prima.
“Ti aspetta in macchina”, mi disse Nicole affacciandosi dalla cucina e tirai un sospiro di sollievo. Mi diede un’occhiata e alzò il pollice in segno di approvazione. “Sei stupenda, baby”, aggiunse facendomi l’occhiolino.
“A dopo”, la salutai per poi scomparire dietro la porta.
Raggiunsi Thomas in macchina che stava canticchiando una canzone che passavano alla radio.  “Andiamo?”, gli chiesi sorridendo, lui accese il motore e partimmo.
Quando la macchina si fermò ci trovammo davanti una grande insegna di legno con scritto Seaport Village in bianco.
Camminammo lungo la strada dove ai lati di questa erano posizionati negozi di vario genere e dall’altra c’era il litorale, c’era perfino una giostra con i cavalli.
“Posso farti una domanda?”, mi chiese.
“Dimmi”
“Non ti mancano i tuoi genitori e i tuoi amici? Io non riuscirei mai ad andarmene da un momento all’altro e abbandonare tutto”
“Ma io non me ne sono andata da un momento all’altro, ci ho pensato e ripensato e quando ho sentito che fosse il momento giusto di andarmene, l’ho fatto”
“E hai già chiamato qualcuno?”
“No, non sono ancora pronta a farlo…”
“Allora credono che sei stata rapita da qualcuno tipo... li alieni”, disse ridendo e iniziando a camminare davanti a me senza perdere il contatto con i miei occhi.
“Non dire sciocchezze!”, risi. “Non sanno dove sono andata, certo, però ho lasciato a loro un biglietto con scritto che me ne ero andata”
“Ancora non mi hai detto perché l’hai fatto”
“Vedi, a un certo punto tutto intorno a te inizia starti stretto”, dissi appoggiandomi alla ringhiera di legno e guardai il sole alto in cielo, volevo prendere tutti i raggi possibili così da sentire il calore sulla mia pelle. “Gli amici ti tradiscono, la città ti soffoca, le persone su cui potevi contare erano sparite nel momento del bisogno e diventavano sempre più false, arrivati a questo punto pensi ‘Che si fottano tutti!’”, aprii gli occhi e lo guardai.
“Sei determinata a dire queste cose”
“Lo sono!”, affermai fiera.
“E davvero non ti manca nessuno di questi?”
“Per nulla”, continuai. “Sono cresciuta senza legarmi a niente, non mi sono mai affezionata troppo a qualcosa o a qualcuno, più gli vuoi bene e più velocemente se ne andrà o farà qualcosa che ti ferirà e sarà troppo tardi per rimediare allo stupido errore commesso”
“Presto le cose cambieranno, però...”
“In che senso?”
“Adesso se qui, sei abbastanza lontana da tutti loro, sei dove hai sempre voluto essere, non vedo il motivo per non legarti alle persone, non pensi?”
“Durante la mia vita, ho sempre avuto paura di perdere chi amassi, ma poi, certe volte mi sono chiesta se qua fuori ci sia qualcuno che ha paura di perdermi”, sospirai. “La cosa è strana e lo so che non ha senso però quello che sto cercando di dire è che non credo che ci riuscirò”
“Però potresti provarci”, non risposi, non sapevo cosa dire. “Ehi, non sto dicendo che se ti affezionerai a noi, noi ti feriremo, soltanto che magari…”
“Ho capito cosa stai dicendo”, dissi sorridendo.
“E come mai hai scelto proprio San Diego?”
“Non lo so, mi sarebbe piaciuto andate a Los Angeles magari soltanto a visitarla oppure magari andarci a vivere”
“Quindi stavi andando a Los Angeles?”
“Se il primo aereo non fosse stato la mattina successiva probabilmente, ora, sarei a L.A. con altre persone ma non mi sono pentita della decisione che ho preso, atterrando a San Diego ho conosciuto Nicole e te ma non prometto che resterò qui per sempre”, per pochi istanti i nostri occhi si scontrarono e una strana elettricità passò tra di noi.
“Vieni”, mi afferrò per mano e mi trascino davanti a un locale.

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Capitolo 14
*** Chap 14 ***


Chap 14
“Vieni”, cercò di convincermi a farmi entrare in un locale che aveva le sembianze di una catapecchia che sarebbe ceduta da un momento all’altro.
“Non mi sembra sicura”
“Non lasciarti ingannare dall’apparenza, all’interno è fantastica”, continuò a dirmi.
Più guardavo quella casetta di legno costruita sopra al mare e più mi rifiutavo di metterci piede dentro.
“Dico sul serio, più avanti c’è ‘Frosted Robin Cupcakes’ è carino quel locale”, sbuffò al mio ennesimo rifiuto.
“Fidati di me”, disse prima di afferrarmi per mano e trascinarmi all’interno del locale. “È così tanto brutto?”, mi chiese una volta entrati.
“No”, dissi seccata. Non sopportavo quando aveva ragione.
“Un tavolo per due”, disse a un cameriere che ci portò a un tavolo vuoto davanti a una grande vetrata che mostrava l’oceano sotto di noi. Una vista da lasciarti senza fiato.
Mi guardai attorno e vidi la gente che pranzava. C’erano alcuni bambini che correvano attorno ai tavoli, altri che erano seduti scomposti insieme alla propria famiglia e poi c’erano un paio di coppiette appartate a sussurrarsi chissà cosa.
“Di sera ce ne sono molte di più, ti ci porterò anche a cena”.
“Per vedere le coppiette?”, gli chiesi ridendo.
“Mi diverto a fare il guardone”
“E magari possiamo infastidirle”
“Era quella l’idea iniziale”, disse ridendo insieme con me. “Anche se avevo in mente un’altra cosa... di sera è stupendo, vedrai!”
 Pranzammo tranquillamente tra chiacchiere e risate finché non arrivò il momento del dolce.
“Ci porti due ‘Pier’s Chocolate Sinner’s Delight’”, disse al cameriere. Questo si presentò poco dopo con due piatti contenenti uno strato di brownie e mousse al cioccolato all’interno di una torta al cacao con della panna montata e di fianco una pallina di gelato alla vaniglia. Era una bomba di calorie che mi faceva venire l’acquolina alla gola. “Spero vivamente che tu non sia a dieta perché devi assolutamente assaggiarla se no mi toccherà mangiare anche la tua”.
“Stai scherzando vero?”, gli dissi guardandolo male. “Prova a toccarla e vedi la fine che farai”, lo minacciai ridendo.
Ci mettemmo a mangiare quella prelibatezza continuando a ridere.
“Tom?”, la voce di una ragazza di fianco a noi li fece alzare la testa di colpo. Gli comparve un sorriso che sembrava per lo più finto e si alzò ad abbracciarla.
“Ehi Jen”
“Che ci fai qui?”, disse guardando il locale. “È una tua amica?”, disse poi accorgendosi di me come se non mi avesse visto.
“Sì, lei è Mary”
“Ciao, io sono Jennifer, la sua fidanzata”, mi disse porgendomi casualmente la mano sinistra sulla quale era posato un anello sul quarto dito.
“Ciao”, cercai di sorridere anch’io.
La situazione si era fatta imbarazzante nei cinque secondi in cui nessuno diceva niente. Poi lei ci chiese cosa facevamo qui come se ci fosse un’alternativa a stare seduti attorno a un tavolo a mangiare.
“Pranzavamo, Mary è qui da poco e gli stavo facendo vedere un po’ San Diego”.
“E di dove sei?”
“New York” gli rispose.
“New York?”, chiese lei sbalordita. “Deve essere bello vivere lì”, continuò a sorridere. “La ‘Grande Mela’, è così che la chiamate, vero?”, mi chiese e annuii. “Perché un giorno non ci andiamo anche noi? Non sono mai stata più di un giorno e mi piacerebbe visitarla”, si rivolse a Thomas posandoli una mano sul petto.
“In Autunno è magnifica”, le suggerii. “Sentite, ho dimenticato che oggi mi sarebbero arrivati gli scatoloni con il resto delle mie cose quindi è meglio che vada”, dissi prendendo la borsa. “E Thomas, non c’è bisogno che mi riaccompagni, posso prendere tranquillamente un taxi”, mi rivoli a lui prima che potesse dire qualunque cosa. “È stato un piacere conoscerti, Jennifer”
La salutai e mi avviai verso la cassa. Con la cosa nell’occhio vidi che lui le stava dicendo qualcosa e lei annuii tranquillamente continuando a sorridere e poco dopo lo vidi comparire al mio fianco.
“Lascia, pago io”, disse porgendo una carta al signore dietro al bancone.
“Grazie”
“Scusa, non sapevo che fosse qui”, si portò il portafogli nella tasca dietro ai pantaloni.
“Non ti preoccupare”
“Aspetta, ti posso accompagnare a casa, non è un problema”
“Ma non puoi lasciare la tua ragazza per portare a casa me”
“Ma lei è qui con le sue amiche”, disse indicando un gruppo di ragazze con delle buste colorate in mano che avevano raggiunto la sua ragazza.
“Davvero, non importa”, dissi uscendo dal locale seguita da lui. “Ci vediamo Thomas”
Mi voltai e lo lasciai sul piazzale del ristorante mentre proseguivo verso l’uscita in cerca di un taxi.

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Capitolo 15
*** Chap 15 ***


Chap 15
 “Beh?”, mi chiese Nicole appena entrai in casa.
Mi tolsi la borsa e mi buttai sul divano di fianco a lei. “Cosa?”
“Com’è andata?”, mi disse voltandosi a sedere verso di me.
“Bene”
“Sicura?”, mi chiese scrutandomi bene.
“Sì, abbiamo camminato, pranzato, mangiato una torta magnifica e poi ho conosciuto la sua fidanzata”
“Cosa?”, rimase allibita.
“Esatto, fidanzata!”
“Oh...”
“Già”
“E Thomas cosa ha fatto?”
“Niente”
“Ma dai”
“Ha semplicemente detto ‘lei è Mary’ e poi Jennifer, la sua fidanzata, si è presentata come tale sbattendomi quasi in faccia il suo anello”
“E posso dedurre dal tuo umore che ti ha dato fastidio che Thomas non ti abbia detto nulla su questa ragazza?”
“Tecnicamente aveva accennato alla cosa, almeno credo”
“Quella volta aveva usato la parola ‘problema’ e non ‘fidanzata’, è ben diversa la cosa”
“Non importa, davvero”, dissi poggiando la testa sullo schienale.
“Si che importa, più cose si sanno sulla concorrenza e più sarà facile batterla”
“Ma io non voglio batterla e poi... non ce la farei”
“Certo che potresti farcela, quella ha rizzato le antenne vedendoti con lui, ha visto un possibile pericolo e quindi ha dette quella frase”, mi spiegò. “Le ragazze la usano quando temono che qualcun'altra possa portargli via il ragazzo”
“Tua teoria?”
“Mia teoria”
“Beh, io non so altro, guarda su Google probabilmente troverai qualche sua notizia”
“Già cercato, nulla che sia stato affermato”
“Mi sembrava strano che ancora non lo avessi fatto”, risi. “Comunque era chiaro che lui non volesse farmi sapere di avere una ragazza”
“E questo significa che...”
“Che probabilmente tutta questa storia si limiterà all’amicizia, massimo a fare colazione insieme”
“C’è ben altro, vi vedo quando siete insieme e non mi sembra semplice amicizia”
“Non lo so davvero”, presi il telecomando e cambiai canale. “Toglimi una curiosità quanto tempo impieghi a pensare a tutta questa faccenda? Mi preoccupa un po’, sai”
“Diciamo che siete la cosa più eccitante del momento poiché la televisione non manda in onda niente di bello”
“Capisco, ora ci vedo un senso”, risi. “Comunque smettila lo stesso, le tue aspettative su di noi tenderanno a sprofondare vedendo che non accadrà proprio niente col passare del tempo”, mi alzai dal divano e me ne salii in camera mente Nicole mi urlava dalla sala.
“Questo lo vedremo e ricordati che quando accadrà, verrò da te e ti dirò: ‘te l’avevo detto!’”
“Ok, ok”
“Comunque sono arrivati i tuoi scatoloni, gli ho messi in camera tua”

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Capitolo 16
*** Chap 16 ***


Chap 16
Passai il resto del pomeriggio ad aprire scatoloni e a sistemare tutti gli oggetti al suo interno. Mi ero messa le cuffie e non le avevo tolte per tutto il tempo, non mi accorsi neppure che qualcuno era entrato in camera e si era sdraiato sul mio letto.
“Dio!”, esclamai spaventata.
“Ehi, scusa, non volevo spaventarti”, disse mettendosi a sedere.
“Thomas, cosa ci fai qui?”
“Volevo vedere se ce l’avevi con me”
“E perché mai?”
“Perché ti ho mollato da sola a pranzo”
“In verità, sono stata io a lasciarti lì da solo, ma tecnicamente c’era la tua fidanzata quindi non eri effettivamente da solo... ma comunque non ce l’ho con te, sul serio”
Mi sdraiai di fianco a lui. “È venuta bene”, disse guardandosi attorno interrompendo il silenzio che era calato.
“Sì, anche senza l’aiuto di un tuttofare”
“Scusa, di nuovo”
“Ti ho già perdonato”
“Grazie”
Mi alzai dal letto e andai verso la finestra. Il cielo si era oscurato e da lì a poco avrebbe iniziato a piovere, l’unico rumore che avremmo sentito.
“Thomas, è successo qualcosa?”, gli chiesi girandomi verso di lui. “Sei troppo silenzioso e tu non sei silenzioso”
“No, è tutto apposto”
“Tom!”
“Visto che l’album è stato posticipato, la casa discografica ha deciso di anticipare il tour”
“Quando partite?”
“Domani”
“L’hanno anticipato di molto”, annuì. “Se devi fare delle cose prima che tu parta, non converrebbe che…”, m’interruppe.
“Perché pensi che sia un peso stare con te?”
“Non lo penso, solo che, beh, tu mi sembri un tipo impegnato”
“Lo sarò da domani ora sono un ragazzo normale che vuole stare in compagnia di una sua amica”, non risposti a quella affermazione, non avevo voglia di litigare.
“Verrà anche Jennifer?”, chiesi senza fare davvero caso a cosa avevo detto interrompendo il silenzio che mi ero promessa di fare.
“Sì, resterà con noi per i due mesi”
“Ok”, mi sdraiai di nuovo al suo fianco e mi cinse le spalle con un braccio e la conversazione cadde di nuovo in un silenzio.
“Andrai a Los Angeles?”, mi sussurrò.
“Scusa?”
“Oggi, mi hai detto che saresti andata a Los Angeles”
“Non lo so, forse”
“Promettimi che ti troverò quando tornerò”
“Intendi qui sul letto o a San Diego”
 “Promettimi che non te ne andrai”
“Thomas... perché?”, dissi alzandomi dal letto, seguita da lui. Aprii la porta e scesi le scale. “Nicole?”, non volevo affrontare questa conversazione, non volevo rimanere da sola con lui.
“Nicole non c’è”, disse lui seguendomi giù dalle scale.
“Dov’è?”
“Non lo so, la sua auto non c’è”
“Ok”, dissi attraversando la sala.
“Mary, sono serio!”, mi bloccò prendendomi per un braccio e mi guardò negli occhi.
“Davvero Tom non capisco qual è il tuo problema”
“Pensi che sia possibile innamorarsi di qualcuno che conosci da poco?”
“Della serie, amore a prima vista?”
“Del tipo”
“Non credo”, abbassai accidentalmente lo sguardo. “Hai trovato un’altra ragazza?”
“Stai scherzando?”
“Cosa?”
“Mi hai chiesto davvero se ho trovato un’altra ragazza quando ti ho esplicitamente chiesto di restare?”, lasciò il mio polso e si diresse verso la porta poggiando la mano sulla maniglia
“Thomas, aspetta, cosa stavi dicendo?”
Con pochi passi eliminò la distanza tra di noi così da posare il suo sguardo su di me e restai come cristallizzata. I suoi occhi mi avevano stregato e quello che potei ricordare fu la sensazione delle sue labbra sulle mie e il rumore della pioggia che sbatteva contro le finestre.

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Capitolo 17
*** Chap 17 ***


Chap 17
“Sei impazzito o cosa?”, lo spinsi via allontanandomi da lui.
“Aspetta”, disse prendendomi per un braccio e facendomi voltare .“Perché stai scappando?”
“Non sto scappando sto soltanto andando lontano da te”
“Ma è casa tua”, disse ridendo.
“Allora vattene e non ridere”
“Ma tu mi fai ridere”, mi disse sorridendo.
“Non devi dire queste cose”, fuggii dalla sua presa e mi diressi verso la cucina.
“Ehi”, mi riprese e sta volta finii nel suo abbraccio.
“Non abbracciarmi”, restò in silenzio senza aprire le sue braccia. “E poi, non hai, tipo, delle valigie da preparare o cose del genere?”
“Ci penserò stasera”
“Senti è meglio che tu vada”
“Ogni volta che qualcuno ti bacia, inizia a diventare sclerotica o capita solo con me?”
“Finiscila di parlarne, non dovevi baciarmi e smettila”
“Di fare cosa?”
“Di guardami così”
“Sono gli unici occhi che ho”
“Ascolta, tu domani te ne andrai chissà in quale parte del mondo e con te ci sarà Jennifer, in altre parole la tua ragazza, io non credo... non posso essere l’altra”
“Non vedo quale sia il problema?”
“Non hai pensato che io abbia un ragazzo?”
“Stai parlando sul serio?”
“Perché? Non potrei averne uno?”
“Dico soltanto che hai abbandonato tutti e non credevo che ne avessi uno, perché non me l’hai detto?”
“Perché avrei dovuto dirtelo, se non erro, tu non mi hai detto niente riguardo a Jennifer”
“Io...”
“Tu hai accennato a ‘dei problemi’ e non è la stessa cosa di ‘ho una ragazza’”
“Hai ragione, basta!”, alzò le mani al cielo. “È tutto così fottutamente perfetto, io ho una ragazza, tu hai un ragazzo, non ti sembra così fottutamente perfetto?”
“Thomas”
“È ok”, disse dirigendosi verso la porta. “Beh, chiamalo e mollalo e soprattutto vedi di esserci al mio ritorno”
“Thomas...”
“Ci vediamo”
Lo guardai scomparire dietro la porta e soltanto quando ebbi la forza di richiuderla mi poggiai con la schiena al muro e inizia a pensare a com’era degenerata la faccenda. Inizia a sentire già la sua mancanza e di come l’indomani non lo avrei trovato al tavolo a mangiare latte e cereali e non avremmo litigato su chi dei due fosse il più strano o altre cavolate del genere.
Non sapevo neanche se lo avrei rivisto ancora.
Non saprei dire quanto tempo passai seduta sul pavimento a fissare la parete davanti a me ma so soltanto che verso sera rientrò in casa Nicole e mi vide così.
“Ehi”, mi chiese vedendomi per terra. “Cos’è successo?”
“Ce l’hai una domanda di riserva?”
“Mary, mi stai facendo preoccupare”
“È successo che mi ha baciato, che io l’ho spinto via e che abbiamo avuto una sottospecie di discussione”
“Oh...”
“E domani mattina sarà già chissà dove”
“Quindi hanno anticipato il tour?”
“Già”
“E cosa penserai di fare?”
“Che cosa dovrei fare?”
“Beh, non resterai qui seduta per il resto della tua vita a pensare a quanto sia stato stratosferico quel bacio e ne sono certa che lo è stato”
“No”
“Quindi?”
“Di sicuro non salterò sul primo aereo a dirgli quanto è stato stupido da parte sua o supplicarlo di mollare la sua ragazza”, dissi alzando soltanto adesso la testa. “Potremmo andare per un po’ a Los Angeles”
“Sarebbe un’idea”
“No, aspetta, non posso!”
“Perché?”
“Perché ho promesso a Thomas che non sarei andata via da qui”
“Ti ha chiesto di aspettarlo?”, annuii. “Che cosa romantica!”
“Mhm...” , mugolai.
“Quindi non ti muoverai da San Diego?”
“Esatto”
“E davvero non vuoi sistemare questa faccenda?”
“L’unica cosa che al momento voglio fare è non vederlo per i prossimi 182 anni!”
“Dici sul serio?”
“Si”
“Non posso aspettare così a lungo per vedere come finirà questa storia”
“Ma sta di fatto che ora lui sarà dall’altra parte del mondo con la sua ragazza mentre io sono stata costretta a lasciare il mio ragazzo”
“Momento?”, m’interruppe. “Hai detto ragazzo?”
“Sì, cioè non ho un ragazzo ma ho ipotizzato di averlo per fargli capire che non avrebbe dovuto baciarmi”
“Ci vedo un senso”

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Capitolo 18
*** Chap 18 ***


Chap 18
Passai l’intero mese e mezzo a non pensare a lui. Il ricordo di quel bacio non mi sfiorò minimamente.
Che pessima bugiarda che ero! Non avevo smesso di pensare a lui nemmeno per un istante. Anche il più piccolo e insignificante ricordo avvolgevano la mia mente e me li facevano rivivere secondo dopo secondo. Era così snervante e bello allo stesso momento.
“Ci stai ripensando vero?”, mi chiese Nicole lungo la strada di ritorno dalla spiaggia.
Ormai eravamo già a Giugno e il sole era fantastico così come la temperatura dell’acqua.
“Come?”
“A Thomas”
“È solo che...”, m’interruppe.
“Che sei arrabbiata con lui?”, provò a indovinare.
“No, lo sono con me stessa!”, dissi guardando fuori dal finestrino. “Non avrei dovuto dargli così tanta confidenza soprattutto dopo che avevo conosciuto la sua fidanzata”
“La concorrenza”
“Non chiamarla così”
“E come dovrei?”
“Col suo nome, Jennifer”, dissi. “Sembra così carina, intendo dire che sorrideva sempre e non sembravano di quelli falsi che si fanno per educazione”
“Non dovresti preoccuparti di lei”, mi guardò per qualche secondo per poi tornare a fissare la strada. “Sai, mi sento un po’ in colpa per tutta questa storia, è come se ti avessi spinta io dentro a questa situazione e mi dispiace vederti così triste”
“Nicole, non dire fesserie!”, la rimproverai. “Tu non c’entri nulla, è soltanto colpa mia se è successo tutto questo e soprattutto di un...”
“Ragazzo bellissimo che è pazzo di te”
“Non ne siamo sicure”
“Tu no, ma io sì, vi ho visti insieme e c’è una strana sintonia tra di voi... hai mai ripensato al suo bacio?”
“Qualche volta”
“Appunto, se non ti avesse importato nulla di quel bacio, non ci avresti neanche pensato ed invece è riuscito a trasmetterti qualcosa”
“Un’altra delle tue teorie?”, gli chiesi ridendo, scendendo dalla macchina che si era fermata sul vialetto di casa.
“Appena sfornata dalla mia mente malata”
“Ora si spiega tutto”, dissi entrando in casa.
“Credi che ti chiamerà?”
“Ne dubito fortemente, e poi dovrebbero tornare a giorni”
“Io vorrei essere chiamata”
“Certo, anch’io ma pensaci un attimo, pensa alle probabilità che capitino che lui ti chiamasse e mentre parlate senti la voce di lei in sottofondo che lo chiama e sai per certo che in quel momento te ne uscirai con una risposta acida del tipo ‘Ora devo andare’ e intanto ti sale una strana voglia di non avere un maledetto telefono a dividervi così da non riuscire a picchiarlo", rigettai tutto di un fiato. "E per questo passeresti per una stupida ragazzina gelosa che si è illusa per la medesima volta”
“Vedo che ci hai pensato parecchio”, rise. “Comunque per lui sei una ragazzina, non fraintendermi, ma voglio dire tu hai ventuno anni e lui, beh, lui ne ha quasi trenta”
“Già”, dissi salendo le scale.
“Però sai che quando lo rivedrai tutta la rabbia che hai nei suoi confronti sparirà al solo suo sguardo”
“Non ne sarei così sicura”
“Puoi sempre salire su un aereo e andare a cercarlo”
“Non lo farò mai, non gli correrò dietro, non lo bacerò e non mi farò baciare di nuovo da lui”, le dissi.
“Ti stai prendendo una bella cotta”
“Cosa?”
“Se non t’importasse niente di lui non ti arrabbieresti”
“Lasciamo stare...  vado a farmi la doccia”
Passai più tempo del solito sotto il getto d’acqua sia per eliminare completamente la sabbia dai capelli sia per quello che c’eravamo dette prima, io e Nicole, in macchina.
Aveva ragione, avrei voluto anch’io essere chiamata ma non ne avevo il diritto di sapere come stava e se non volevo che entrasse a far parte della mia vita era meglio non dare troppa importanza alla sua assenza.

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Capitolo 19
*** Chap 19 ***


Chap 19
Uscita dalla doccia non potei evitare di lanciare un’occhiata al telefono e passai diversi minuti a fissarlo, aspettando una chiamata che non sarebbe mai arrivata.
“Ehi, sto facendo i pancake”, mi disse quando apparii in cucina.
“Per cena?”
“Si, lo so che è strano farli per cena ma ho pensato che forse...”
“No, non è strano, se li hanno inventati per mangiarli significa che lo si può fare in qualunque situazione”
“Dici?”
“Soltanto se abbiamo lo sciroppo d’Acero e quello al cioccolato”
“Cosa che non abbiamo”, disse ridendo.
“Allora vado a prenderlo, c’impiegherò pochissimo”
“Ma non guidi”
“Ci provo”
“Tanto la macchina è già ammaccata, altri danni non ne puoi fare”, rise. “Le chiavi sono di fianco al telefono”, andai verso il piano che divideva la cucina dalla sala e da una ciotola tirai fuori le chiavi della macchina.
Passai i primi tre km a cercare di capire come funzionasse quella macchina ma poi ero riuscita ad arrivare al supermercato senza altri problemi.
Comprai lo sciroppo al cioccolato, delle patatine, gelato, caramelle e altre schifezze.
“Mary?”, mi disse una ragazza a pochi passi da me.
“Si?”, mi voltai a guardare chi mi avesse chiamato.
“Sei l’amica di Thomas, quella di ‘Seaport Village’, vero?”, le sorrisi.
“Ehm si”, dissi impacciata. “Sei Jennifer, giusto?”, dissi fingendo. Sapevo benissimo chi essa fosse.
“Si”, mi sorrise. “Che bello incontrarti, cosa mi racconti?”
“Si, ehm, niente di nuovo”, ero impacciata, non sapevo come comportarmi. “Tu invece?”
“Io sono tornata dal tour con i ragazzi da pochi giorni ma visto che hanno impiegato una vita a pubblicare l’album e che li hanno anticipato il tour, li hanno aggiunto qualche data in più e quindi torneranno fra tipo quindici giorni”
“Sono sicura che vi divertite sul bus”
“Di solito sì ma non mi piace viaggiare in autobus, m’innervosisce e sto male”
“Immagino...”, le sorrisi.
“Stai organizzando un pigiama party?”, disse indicando il cestino della spesa continuando a sorridermi.
“Non esattamente, cioè sì, forse, sai com’è... serata tra ragazze”
“Già, mi sembra una vita che non ne faccio una, in questi anni sono stata impegnata con il lavoro e con i vari progetti di Thomas, mi piacerebbe passare una serata in compagnia delle mie amiche o almeno tra ragazze”, sorrise.
“A volte ce n’è davvero bisogno”
“Soprattutto quando stai su autobus per quasi un mese in mezzo a tre ragazzi che si comportano da adolescenti”, rise. “Comunque dovresti venire a sentirli qualche volta, Gli farebbe piacere a Thomas, per i biglietti te li posso far avere, cioè te li da lui, però dico sul serio, sarebbe carino”
“Davvero, non c’è bisogno di disturbarti...”
“Non lo è”, continuò a sorridermi.
“Ok”, sorrisi nervosamente. “Scusa Jennifer ma ora devo proprio andare è stato…”, mi interruppi cercando di trovare la parola migliore per definire questo disastro. “...un piacere incontrarti, ci si vede allora”
“Vuoi che ti saluto Tom?”
“Tranquilla, non ce n’è bisogno”
“Ok, allora ci si rivedere”
“Certo”
Pagai alla cassa e uscii immediatamente dal negozio.
Non potevo odiare quella ragazza. Se almeno fosse stata come una di quelle stupide ragazze che avevano solo fumo nel cervello sarebbe stato tutto più facile e i miei sensi di colpa sarebbero stati placata, almeno una parte, ma lei, invece, era così carina e gentile, così terribilmente tranquilla da farti stare male.
Quando ritornai a casa Nicole aveva appena messo a tavola due piatti contenenti i pancake ancora caldi.

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Capitolo 20
*** Chap 20 ***


Chap 20
Erano passate due settimane da quando avevo incontrato Jennifer al supermercato e mi ero promessa che quando, sempre se, lui si fosse presentato davanti alla mia porta gliel’avrei sbattuta in faccia.
Oppure mi sarei limitata a non andare ad aprire, cosa che feci finché il campanello non suonò per la sesta volta.
“Mary, so che sei in casa, aprimi”, mi urlò da dietro la porta. “Ehi”, mi disse con quel tono così famigliare da sotto il suo solito cappellino. Mi limitai a guardare le sue scarpe nere per capire che non sarei riuscita a sbattergli la porta in faccia così alzai lo sguardo incontrando i suoi occhi e il suo sorriso. “Mi fai entrare?”, mi spostai di lato lasciando libero il passaggio.  “Come stai?”, mi chiese fermandosi in mezzo al soggiorno.
“Bene, grazie”, dissi freddamente. “Il tour?”
“Bene anche se hanno aggiunto...”
“Si lo so, ho incontrato Jennifer qualche settimana fa”
Non volevo dargli l’impressione che m’importasse qualcosa di lui, che lo avevo aspettato così a lungo o che mi stesse guardando come sempre, ma era difficile fingere quando si aveva i suoi occhi puntati addosso.
“Ti sei divertito? Fatte nuove conoscenze? Sentito qualcuno?”
“Sì, i fan sono...”
“Sai cosa intendo!”, mi lasciai fuggire. “La tecnologia è avanzata col passare del tempo e hanno inventato i telefonini”
“Lo so... mi disp...”
“Lascia stare, non dovremmo neanche discutere di questa cosa, va tutto bene”
“Smettila di dire che va tutto bene, so che non è giusto, quindi smettila di dirlo… avrei dovuto chiamati, hai ragione”
Gli passai oltre entrando in cucina e mi appoggiai al lavandino dandogli le spalle. Sentii i passi delle sue scarpe raggiungermi poco dopo e il suo braccio attorno alla mia vita. “Mi sei mancata”, mi disse sussurrandomi in un orecchio. Il suo respiro mi faceva il solletico e il suo sorriso mi scioglieva.
“Thomas, smettila, non giocare con me”
“Non sto giocando”
“Cosa ci fai qui?”, gli chiesi liberandomi dalla sua presa. “Non vi siete mollati giusto? Perché mai dovreste? Lei è così carina e gentile... vi ho visto assieme in tv e sui giornali, perché non torni da lei e mi lasci stare? Sappiamo benissimo perché non hai chiamato”
“Mary...”
La peggior cosa che può accadere è che quando litighi con qualcuno senza alzare la voce è come se stessi facendo una qualunque discussione e non capisci se sta realmente accadendo o se è soltanto la tua voce interiore a urlare.
“Hai ragione!”, gli dissi. “Non hai nessun motivo per scusarti, infondo non mi hai detto che l’avresti lasciata e non so neanche il motivo per cui l’abbia pensato, siete stati insieme per quanto? Due, tre anni?
“Cinque”
“Appunto, sono stata così stupida a pensare che avresti rotto con lei soltanto per uno stupido bacio e ho fatto come mi hai detto, sono restata qui ad aspettarti contro la mia volontà e sai una cosa? Mi sento così stupida e...”
“Smettila di dire queste cose...”
“Non vuoi rompere con lei, vero?”
“Il fatto è che quando stai da troppo tempo con una persona hai iniziato a prendere le sue abitudini e quando poi incontri un’altra persona che ti fa innamorare devi capire se vale realmente la pena abbandonare tutto per lei”
“Sei serio?”
“Io...”
“Il semplice fatto che tu mi abbia baciato è sufficiente per rompere con lei, ascoltami bene, non lo dico perché voglio che la lascia all’istante ma per il semplice fatto che se l’amavi realmente non avresti dovuto avere la necessità di baciarmi e nell’attimo in cui l’hai fatto, anche se è durato per poco più di un secondo, hai smesso di pensare a Jennifer per quell’istante”
Non sopportavo l’idea di stare nella stessa stanza con lui. Avrei rischiato di prenderlo a sberle se mi avesse guardato di nuovo negli occhi con quell’aria dispiaciuta. Mi ero spostata ed ero già fuori casa.
Sentii il rumore delle sue scarpe sul marciapiede poco distanti da me. Quel rumore che mi diceva che stava tornando da me, quel rumore che adoravo.  Smisi di sentirlo quando fu a pochi millimetri da me e non disse nulla. Le sue dita s’intrecciarono con le mie così da farmi fermare. Sorrideva come sempre e la sensazione di rabbia stava ricomparendo.
“Smettila di sorridere”, gli dissi cercando di liberarmi. Si limitò a non rispondermi e tirarmi verso di lui così da far incontrare le nostre labbra.
“Non baciarmi”, gli dissi colpendoli con una mano il petto.
“Perché?”
“Per Jennifer”, mi fissò negli occhi e si mise a ridere.
“Sei così diversa dalle altre”
“Finiscila di dire queste cose”
“Fammi indovinare, per Jennifer?”
“Si”
“E non ti basta sapere che ho ancora tutti i bagagli in macchina? Che appena sono atterrato ho pensato di venire qua da te e non tornare a casa?”
“Ti sembra una scusa plausibile?”
“Perché t’importa così tanto che ho la ragazza? Non potresti fare come le altre e farti lasciare baciare?”, mi chiese quasi scocciato. “Voi ragazze non dovreste essere affascinate dalle rockstar?”, disse, ora, sorridendo e addolcendo la sua voce. “Ma in fondo tu non sei come le altre, non saremo qui se non ti avessi dato un passaggio quella sera”, si avvicinò di nuovo e mi rubò un altro bacio.
“Non riuscirai a farmi cambiare idea”, mi spostai allontanandolo da me. “E smettila di baciarmi, non voglio essere baciata da te”
“Questo è credule”
“È la semplice verità”, mi allontanai. “Lasciami qui e vattene a casa”
“Ma la casa è tua”
“E chi ti ha detto che devi tornare a casa mia”, gli dissi sottolineando l’ultima parola.
Ricominciai a camminare lungo il vialetto ma sentii ancora quel suono alle mie spalle e poi il suo braccio prendere la mia mano.
“Cosa vuoi ancora da me?”, gli urlai.
Mi tirò a sé e mi baciò per una medesima volta. Non cercai di scappare questa volta né di staccarmi da lui, le voci che echeggiavano nella mia testa dicendomi di stare alla larga da lui erano state soffocate dalle sue labbra.
Una macchina che suonò il clacson mi riportò alla realtà dei fatti, di cosa stava facendo e di come ero ceduta. Lo spinsi via. “Lasciami stare”, gli urlai. “Non seguirmi”, gli dissi usando lo stesso tono di voce. Mi voltai e tornai in casa, questa volta senza sentire il rumore delle sue scarpe dietro di me. Il tempo di chiudere la porta e le prime lacrime scivolarono sulle mie guance.

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Capitolo 21
*** Chap 21 ***


Chap 21
“Che ci fai qui?”, mi chiese Gary mentre commentavamo dei LP di parecchi anni fa.
“In che senso?”, chiesi confusa.
“Non ho mai sentito nessuno parlare con così tanta passione, nessuno qui dentro ha lavorato mettendoci così tanto entusiasmo per la musica quindi mi chiedo cosa ci fai qui? Non dovresti essere in qualche rivista di musica a pedinare le band in tour oppure a criticare i nuovi artisti”
“Ma mi piace questo lavoro”
“Quanti anni hai?”
“Che importa?”
“Vai al College”
“Ma mi piace lavorare qui”
“Ma è un peccato”
“Senti Gary, se è un modo carino per dirmi che sono licenziata...”
“Non dire sciocchezze, non ti licenzierei mai, dico soltanto che sei sprecata a lavorare qui, prendi almeno in considerazione l’idea di andarci”
“Se ti dico che penserò all’opzione di andare al college, mi lascerai andare a casa?”
“Forse”
“Sì, Gary, penserò al College”
“Beh, allora ci vediamo lunedì”, disse sorridendomi e spostandosi di lato da permettermi il passaggio. Presi la mia borsa di dietro il bancone e gli passai di fianco.
“Grazie”, gli dissi uscendo dal negozio alle sei e mezzo.
Era passato il mese di giugno e il sole di luglio rispendeva in cielo come sempre, senza neanche una nuvola.
Nelle quattro settimane passate avevo comprato, finalmente, una macchina che risaliva a più di cinquanta anni fa ma almeno possedeva il cambio manuale.
Quando mi presentai a casa con quel rottame mi ricordai della faccia scettica di Nicole. La chiamava la ‘trappola che si muove’, io semplicemente ‘Sally’. Era perfetta per me, anche se cadeva a pezzi e rischiavi di rimanere incastrata nella cintura di sicurezza. Quando guardammo il libretto della macchina non potemmo non sussultare leggendo che risaliva al 25 Luglio 1942 e scoppiammo a ridere. Da quel momento non smise di sfottermi dicendo che vivevo nel passato e sinceramente, mi andava bene così.
Più che altro l’avevo comprata per non chiedere sempre, la macchina, a Nicole o magari di accompagnarmi da qualche parte e poi, mi permetteva di dormire qualche minuto in più di mattina così da evitare lo sbattimento dell’autobus.
In quest’ultimo mese Nicole non faceva più nessun riferimento a Thomas dopo che, per la millesima volta, li avevo detto che non m’importava più nulla di lui soprattutto del fatto che fosse venuto a prima da me. Non mi sarebbe importato finché sarebbe restato con Jennifer e sapevamo benissimo che non l’avrebbe lasciata.
Ormai, nell’ultimo mese, la mia vita a San Diego non riguardava più Thomas, avevo preso la mia strada e stavo bene senza di lui ma percorrendo la strada del ritorno non potevo non evitare il cartellone posto sul muro dove annunciavano il loro tour americano. Una maledetta foto che mi distraeva sempre e quel giorno non avrebbe dovuto toccarmi minimamente. Quando all’esame di guida ti dicono “Tieni gli occhi sempre sulla strada” c’è un motivo ben valido e tornando dal lavoro me lo sarei dovuto ricordare.

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Capitolo 22
*** Chap 22 ***


Chap 22
“Mi stavi per investire”, urlò raccogliendo il cappellino che era caduto a terra.
“Scusa, mi dispiace”, gli dissi scendendo dalla macchina.
“Sei tu...”, disse accorgendosi di chi avesse di fronte.
“Ok, so che può sembrare che lo abbia fatto a posta ma non è così, non ti ho proprio visto attraversare la strada...”
“Lo spero davvero”
“Non è che ti ho visto e mi sono detta ‘Acceleriamo così tiriamo sotto Thomas’, ero semplicemente distratta”
“Nicole dovrebbe cambiare auto”
“Lascia stare la mia macchina”
“Dico soltanto che non è affidabile”
“Le apparenze ingannano, tu lo sembravi all’inizio ma poi...”
“Poi cosa?”
“Beh, insomma, ti sei rivelato un vero bastardo e immaturo”
“Io sono l’immaturo?”, emise una risata nervosa. “Mi vuoi dire qual è il tuo problema?”
“Il mio problema è che...”
“C’è qualche problema?”, m’interruppe un signore dalla macchina ferma dietro alla mia.
“No!”, gli urlammo contro. L’uomo rientrò in macchina facendo un gesto con la mano e scuotendo la testa.
“Che stai facendo?”, gli chiesi mentre lo vidi fare il giro della macchina e salire al posto del passeggero.
“Mi hai appena offerto un passaggio”
“Io non ti ho offerto proprio niente, scendi dalla mia macchina”
“Me lo devi, mi hai quasi investito”
“Suvvia, non farla così tragica, sei vivo e senza un graffio, non hai proprio nulla da lamentarti”
“Mi devi un favore, allora”, disse chiudendo lo sportello. Salii in macchina e l’accesi.
“Non è stato carino da parte tua”
“Baciarti è stato carino, essere investito un po’ meno ma comunque non va comunque bene”
“Piantala, soltanto perché sei una rockstar pensavi che avrei fatto tutto ciò che dicevi?”
“Non era questo che avevo in mente mentre ti baciavo”
“E allora sentiamo?”
“I tuoi occhi, le tue labbra, il tuo profumo”, fermai la macchina di colpo e ringraziai il cielo che quella fosse una strada deserta perché qualcuno ci sarebbe venuto assolutamente addosso.
“Scendi”
“Dio, pensavo che mi avresti spinto fuori dalla macchina in moto”
“Thomas, scendi!”, gli ripetei guardandolo negli occhi. Non disse nulla. Aprii la portiera e scese dalla macchina.
Ci limitammo a guardaci, in silenzio, senza urlare.
“Non avrei dovuto urlare, scusa”, mi disse poco dopo.
“Nemmeno io”
“Solo che io sono un ragazzo e non dovrei urlare contro una ragazza”
“Vuoi litigare pure su questo?”
Sorrise. Dopo un mese rivedevo il suo sorriso e una strana sensazione di calore si formava dentro di me. Era una sensazione così piacevole che mi ero dimenticata di sentire. Mi sentivo a casa.
Fece il giro della macchina e si fermò davanti al mio sportello appoggiandosi con le braccia sul finestrino. I nostri occhi s’incontrarono e senza rendermene conto arretrai.
“Ti devo chiedere scusa per averti baciato?”
“Non ce n’è bisogno”
“Sai che non sarei stato sincero se lo avessi fatto?”
“Il fatto è che tu sei esattamente l’opposto del tipo di ragazzo che ho nella mia testa”, dissi scendendo dalla macchina. “Voglio dire, tu sei il classico ragazzo a cui viene detto ‘Sei terribilmente sexy’ mentre io non voglio avere niente a che fare con dei tipi del genere, e hai gli occhi castani che a me non sono mai piaciuti, e sei sempre lì che strimpelli la tua chitarra e ridi sempre e...”
“E... e... e non va bene?”
“No, ti comporti da immaturo, sei testardo e hai sempre ragione e poi sei sempre accerchiato da ragazze che ti sbavano dietro e il semplice fatto che tu mi piaci significa che sono diventata come una di quelle ragazze che corre dietro alle persone famose”
“Quindi se non fossi famoso ti sarei piaciuto?”
“No, rimarrebbe il fatto che hai gli occhi scuri e della tua immaturità”
“Potrei provare con le lenti e comportarmi diversamente”
“Ma non andrebbe bene comunque, non saresti più tu e al momento non mi piace nessun altro”
“Il tuo discorso è così incasinato”
“Sarà che passo troppo tempo con Nicole”, dissi sconsolata appoggiandomi al cofano della macchina.
“Allora perché non me lo chiedi?”, mi chiese avvicinandosi a me. “Perché non mi chiedi di lasciare Jennifer”
“Perché sta a te decidere se farlo o no, non posso obbligarti a mollarla”
“Vedi? Quando ti ho detto che sei diversa dalle altre ragazze dicevo la pura verità, nessuno si sarebbe fatto questi problemi.”, poggiò le sue mani sui miei fianchi. “Sei così vulnerabile e forte allo stesso tempo e non riesco a farmi piacere nessun’altra”
“Ricicli sempre i discorsi degli altri?”
“Soltanto se sono così complicati”
“Sali in macchina che andiamo a casa”, mi liberai dalla sua presa ed entrai in auto.
L'avevo dimenticato, giuro, ma poi lui mi ha guardato e ha sorriso, e io mi sono di nuovo totalmente innamorata di lui.

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Capitolo 23
*** Chap 23 ***


Chap 23
“Vieni, ti preparo una tazza di caffè”, disse entrando in cucina e accendendo la macchinetta al posto mio.
Accesi la radio e mi sedetti sul davanzale sotto alla finestra aspettando che mi porgesse la tazza. Si sedette, anche lui, al solito posto e tutto all’improvviso sembrava essere tornato normale.
“Sai, sei la prima ragazza a cui preparo il caffè”
“Non ci credo che non hai mai preparato un caffè a Jennifer”
“Ci ho provato, ma la mattina si sveglia sempre prima lei”
“Capisco”, un ghigno comparve sul suo viso. “Perché ridi?”
“Non sto ridendo”
“Si invece”
“Sei per caso gelosa?”
“Che sciocchezze dici?”, dissi cercando di sembrare il più naturale possibile ma non ci riuscii e scoppiai a ridere anch’io. “Thomas, smettila di ridere”
“Come faccio a smettere se anche te stai ridendo”
“Non ha senso il tuo discorso”, dissi voltandomi dall’altra parte cercando di tranquillizzarmi un po’.
“Ci provo”, disse tornando a sedersi composto diminuendo la risata.
Mi misi a guardare fuori dalla finestra e di come il cielo stava cambiando colore.
“Partirai di nuovo?”, gli chiesi senza rendermi conto della stupidità della domanda e di come sapessi già la risposta.
“Tra qualche giorno”, sentii il rumore della sua tazza posarsi sul tavolo e della sua sedia spostarsi di fronte a me.
Stavano passando alla radio una canzone e per distrarmi dal suo sguardo cercai di concentrarmi sulle parole della canzone ma mi accorsi che erano le stesse che lui mi stava sussurrando a meno di un centimetro dalle mie labbra.
“Kiss me beneath the milky twilight. Lead me out on the moonlit floor. Lift your open hand. Strike up the band and make the fireflies dance...”
“Silver moon's sparkling, so kiss me...”
Mi tolse la tazza di caffè dalle mani e la posò a ed in pochi secondi tirò la sua sedia verso di me e coprii la distanza tra di noi.
Appoggiò le sue mani calde attorno al mio collo e per un tempo indeterminato restammo così, incollati l'uno con l’altra. Si staccò leggermente così da permettermi di vedere un sorriso sul suo viso, un sorriso che non avrei smesso di guardare.
“Pensavo che se fossi stata tu a chiedermi di baciarti avrei potuto evitare di finire in ospedale”
“Molto gentile da parte tua”, gli dissi sorridendo ma con una nota di sarcasmo.
“Però non hai rifiutato”
“Diciamo che sei stato fortunato”
Restammo in silenzio, senza accennare niente sul bacio, sta volta però sorridevamo entrambi. Forse le voci nella mia testa stavano smettendo di urlare e si erano arrese a ciò che diceva il mio cuore. Di solito la ragione prevale sempre sull’amore, così avevo sempre pensato e così avevo sempre fatto ma questa volta qualcosa era andato diverso, non sapevo cosa ma non m’importava. Per una vota stavo bene.
“Questa volta lei non verrà con noi”, mi disse sedendosi vicino a me.
“Perché me lo dici?”
“Mi sembrava giusto fartelo sapere”, disse guardandomi negli occhi. “Questa volta, quando me ne andrò starò via per molto più tempo”
“Beh, mi mancherai”
“Dici sul serio? Non pensavo che l’avresti mai detto”
“Soltanto perché non conosco molte persone eccetto te e Nicole e Gary”
“Sta di fatto che quando ti manca qualcuno fa davvero schifo”
“Ma capisci che ci tieni davvero a una persona”
“È per caso un modo per dirmi che ti stai affezionando a me?”, disse con un mezzo ghigno sulle sue labbra.
“No... cioè... è un modo di dire”, mi si colorarono le guance. “Però se il fatto che mi mancherai ti fa ridere puoi anche...”
“Non mi fa ridere il fatto che ti mancherò ma che quando t’innervosisci diventi rossa e diventi più carina di come sei già”
“Ah bene”, dissi alzandomi ma mi blocco la mano così da farci stare in piedi in mezzo alla cucina.
“Mi piace il fatto che ti mancherò, è un motivo in più per non farti partire”
“Se sorridi in quel modo non penso proprio di poterti credere”
“Hai ragione, scusa ma è così…”
“Tieni”, gli dissi slacciandomi un braccialetto di pelle che portavo al polso. “Dovrebbe portare fortuna, non so se a me ne ha data tanto o proprio ha evitato ma spero che a te possa fare qualcosa di meglio”, glielo legai al polso. “E poi, sarà come un ricordo di me e dell’unica volta che non ti ho aggredito per avermi baciato”, gli sorrisi. “Così ogni volta che lo vedrai ti ricorderai di tornare qui, da me”, sorrise anche lui. Allacciai il braccialetto con un forte nodo così da non poterlo perdere e in pochi secondi intrecciò le sue dita con le mie. Con l’altra mano mi sfiorò i capelli.
“Sai, credo di aver proprio chiuso con le more”, disse mettendosi a ridere.
“Ma io sono mora”
“No, tu sei castana e hai dei riflessi rossi che splendono ogni volta che il sole colpisce i tuoi capelli, è ben diverso”, mi limitai a guardarlo senza aggiungere altro.
Mi sarebbe mancato davvero.
Guadai involontariamente l’orologio che segnava le otto di sera. Si era fatto tardi ed era incredibile come il tempo passasse veloce quando lui era con me.
“Vieni con me”, disse non lasciando la mia mano e uscendo da casa. Salì sulla mia macchina al posto di chi guida e partii.

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Capitolo 24
*** Chap 24 ***


Chap 24
“Dove stiamo andando?”, gli chiesi guardando il cielo che era diventato scuro.
“Ti ricordi di quando siamo andati a Seaport Village?”
“Sì, me lo ricordo...”, dissi con una punta di amarezza.
“Ti avevo detto che ti avrei portata anche di sera”
“Sì...”
“Ecco, stiamo andando lì”
“Ora mi hai rovinato la sorpresa”, dissi ridendo.
“Ma tu me l’hai detto”
“Mi sembrava ovvio che tu dicessi che era una sorpresa”
“Voi ragazze siete strane”, disse scuotendo la testa.
Durante il viaggio non avevamo parlato del bacio, non c’eravamo detti niente oltre a questa piccola discussione.
Poco dopo ci fermammo. Prima che potessi scendere dalla macchina era riuscito a fare il giro e venirmi ad aprire lo sportello. Mi prese la mano e ci dirigemmo verso il locale dove eravamo stati la prima volta. Prendemmo lo stesso tavolo e ordinammo la stessa torta.
“Non è che spunta Jennifer come l’altra volta, vero?”
“Jennifer è da qualche parte a festeggiare l’addio al celibato”
“Suo?”
“Perché me lo chiedi?”
“L’anello”
“Non significa niente, è soltanto un regalo”, disse mangiando un pezzo di torta. “Comunque è di una sua amica o cugina, non lo so, sta di fatto che noi non ci sposiamo”
“Ok”
“Sei per caso gelosa?”, comparve sul suo viso un sorriso per metà malizioso e metà beffardo.
“Non dire fesserie”, diventai rossa.
“Certo”, sogghignò poi lui.
“E adesso cosa facciamo?”, gli chiesi quando finimmo la torta.
“Vieni”, mi disse, di nuovo, prendendomi la mano ed uscendo dal locale dopo aver pagato.
Ci trovammo davanti a una grande giostra, una di quelle dove ci sono i cavalli che sembrano di porcellana.
“Una giostra?”
“Non dirmi che non ci vuoi salire? Ti ho visto come l’hai guardata l’altra volta” disse ridendo. 
“Non ridere e offrimi un giro”, dissi cercando di rimanere serie e salii sulla giostra seguita da lui. Scelsi il cavallo che mi piaceva di più e lui si appoggiò a uno di fianco al mio.
“Avvistata qualche coppietta?”, gli chiesi.
“Come?”
“L’altra volta mi avevi detta che mi avresti portata a vedere le coppiette che venivano la sera”
“Credo che al momento siamo noi l’unica coppietta”
“Coppietta?”, chiesi infastidita. “Thomas non ho mai deciso di fare l’altra...”
“Lo so, lo so però...”
“Tom, non parliamone, godiamoci la serata”
“Hai ragione”, disse sorridendo e calmandosi.
Alle nove fummo costretti, da una voce che parlava dall’altoparlante ,ad andarcene. Era incredibile come passasse il tempo quando stavamo insieme. Avevamo oltrepassato la mezzanotte e ci eravamo rifugiati su una spiaggia. Non c’era un’anima viva se non noi due distesi sul cofano della macchina a vedere l’oceano di fronte a noi.
“Comunque dicevo sul serio, prima”, si girò a guardarmi non capendo. “Mi mancherai”
“Potrei...”
“Non essere sciocco, non potresti mai farlo e pensa a tutti i fan...”
“Non intendevo mollare il gruppo ma il mio ‘problema’”, disse disegnando delle virgolette in aria.
In quel momento non seppi cosa pensare. Se credergli o no anche se sapevo che non lo avrebbe mai fatto mi sarei illusa, per quell’istante, che sarebbe andato tutto bene e che per una volta sarei stata felice, finalmente.
Poggiai la testa sulla la sua spalla e sentii la sua mano accarezzarmi i capelli. Lo vidi sorridere e chiusi gli occhi.

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Capitolo 25
*** Chap 25 ***


Chap 25
Non avevo la più pallida idea del momento in cui smisi di sentire l’infrangersi delle onde e il suo respiro che mi aveva cullato ma quando aprii gli occhi davanti a noi i primi raggi del sole si riflettevano nell’acqua dell’oceano.
“Mi sono addormentata, scusa”
“Non tutti siamo abituati a stare alzati tutta la notte o almeno dopo mezzanotte”, disse ridendo e lo colpii su una spalla scherzando. “Sei davvero carina quando dormi”
“Non mi è nuova questa frase”
“La situazione si”, disse ridendo. “Anche quando sei arrabbiata e quando sei nervosa e imbarazzata...”
“Ok, ho capito”, gli sorrisi.
“Il sole sta salendo”
“Dovremmo andare”
“Non voglio alzarmi”, disse sospirando. “Se adesso ci alziamo sarei costretto a tornare a casa mia, visto che la macchina è tua, e una volta chiusa la porta di casa non smetterei di pensare alla sera che abbiamo passato insieme e chissà quanto tempo passerà prima di poterti rivedere”
Mi appoggiai di nuovo alla sua spalla e sta volta, portò il suo braccio attorno alle mie spalle. Restammo a fissare il cielo che diventava sempre più chiaro.
Avrei voluto che mi guardasse e mi dicesse che quando sarebbe tornato le cose sarebbero tornate a posto, che avrebbe riordinato le idee e che Jennifer sarebbe uscita dalla sua vita perché ormai c’ero io ad aver preso posto nel suo cuore, ma non lo avrebbe mai detto. Se avesse davvero voluto lasciare Jennifer lo avrebbe già fatto senza che io mi sentissi in colpa. Già, perché starsene abbracciati davanti al sole dopo aver passato una notte insieme e dopo esserci baciati non significasse niente.
“A cosa stai pensando?”
“A Jennifer, qualcuno dovrebbe pur farlo”
“Non pensarci”
Mi sciolsi dal suo abbraccio e scesi dalla macchina. “Nessuno si chiederà dove sei finito?”
“Credo di essere abbastanza grande per passare una notte fuori casa”, disse sbuffando e scendendo dal cofano si mise al posto del guidatore.
Era incredibile come il suo umore fosse cambiato al solo sentir nominare il nome di Jennifer, ma non poteva arrabbiarsi per il semplice fatto che non gli importava di tradire la sua ragazza mentre per me era un enorme peso sulla coscienza. In fondo c’era una ragazza di mezzo che sarebbe rimasta ferita, come poteva essere lei potevo esserlo anch’io.
Infilò le chiavi ma non accese il motore e si limitò a guardare oltre il parabrezza senza dire o fare niente.
“Perché lo stai facendo? Perché perdi il tuo tempo con me quando hai lei che è perfetta?”, gli chiesi ma non si sprecò di rispondermi. “Tom...”
“Sai cosa ho capito?”, feci di no con la testa. “Che in questi cinque anni in cui sono stato sicuro di amarla sono spariti in un istante... Sceso dall’aereo il mio primo pensiero fu stato di tornare a casa dove mi aspettava Jen e un secondo dopo ci sei stata tu con i tuoi occhiali da sole”, si poggiò completamente sullo schienale del sedile e si volto a guardarmi, finalmente. “Sei esattamente il tipo di ragazza che non frequenterei mai”
“Grazie...”
“Non dovresti perdere il tuo tempo con me”
“E questo ragionamento lo hai tirato fuori in cinque minuti?”
“Ho passato tutta la notte a guardarti e ho capito che è tutto un grande sbaglio, non dovrei essere qui e tu non dovresti essere con me, sono uno stupido e tu sei troppo piccola dannazione!”
“Thomas...”
“Lascia stare, scusa”, accese la macchina e partii verso casa sua. “Non ha niente che non vada bene , lei è...”
“...perfetta”, completai la sua frase.
“Sì, sono uno stupido a fare quello che sto facendo e sai un’altra cosa?”, scossi di nuovo la testa. “Quando ti ho visto, eri così disperata a tal punto di chiedere aiuto ad uno sconosciuto, e l’hai fatto! Hai accettato il mio aiuto pur non sapendo chi fossi, la seconda cosa che ho adorato all’istante”
“E la prima qual è stata?”, gli chiesi con tono di sfida.
“L’espressione che avevi quando mi hai fermato”, lo guardai incredula. “Emanavi una strana sensazione, sembrava come avessi davvero bisogno di quella macchina per raggiungere la città come se stessi scappando da qualcosa e ti si fosse parato davanti un muro difficile da scavalcare, ed è per questo che ti ho chiesto se volevi che ti accompagnassi, perché in quel momento c’eri solo tu e non la ragazza al bancone e gli altri passeggeri.”
“Se stai per dire che ti ho fatto tenerezza ti conviene fermare la macchina e scendere, non sono né una bambina né un cucciolo a cui dire che ha un’espressione tenera e altre cazzate varie”
“Hai ragione, non sei una bambina, sai il fatto tuo e...”
“Tom!”, lo rimproverai. “Ora ascoltami bene, non voglio che tu debba lasciare Jennifer se non vuoi. Mi sembra ovvio che se non l’hai ancora fatto non t’interesso abbastanza e magari lo stai facendo solo per passare diversamente il tempo quindi non sei costretto a dirmi che ti piaccio”
“Il fatto è che stando ormai da tanto tempo con lei, tutti la conoscono, i fan, Mark, Travis, i giornalisti e se dovessi lasciarla tutti mi chiederebbero perché l’ho rotto con una ragazza perfetta e inizierebbero a volere le tue foto, a entrare nella tua vita, non avrai più privacy, finirai sui giornali e le ragazzine inizierebbero a insultarti e dire cose false su di te pur non conoscendoti e non credo che tu lo voglia”
“Non è esattamente nel mio interesse finire sui giornali”
“Lo so...”
Arrivammo davanti a una grande casa bianca.
“Beh, vuoi fare colazione?”, mi chiese slacciandosi la cintura ed uscendo dalla macchina. Lo seguii fuori.
“Jennifer potrebbe tornare tra poco”, lo guardai fermo sul vialetto. 
“Forse è meglio che vada a fare le valigie”
“Non hai una sensazione di déjà-vu’”, dissi sorridendo.
“Beh questa volta non abbiamo litigato”, mi sorrise.
“Thomas...”, lo chiamai. “Fingiamo che tutto non sia mai accaduto... tu parti e fai il tour... quando torni ne riparleremo”
“Non farmi aspettare solo perché sai che lo farò”
“È la cosa più giusta da fare, quando tornerai metteremo le cose a posto”
“Questo vuol dire che resti qui?”
“Dove pensi che voglia andare?”, dissi sorridendo.
Iniziò a camminare lungo il vialetto e fermarsi per un istante davanti alla porta prima di aprirla. Ci guardammo senza salutarci e poi scomparve dietro di questa.

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Capitolo 26
*** Chap 26 ***


Chap 26
Quando arrivai a casa erano circa le sette meno un quarto. Andare a letto sarebbe stato inutile quindi andai in cucina e mi preparai la classica tazza di caffè e mi sedetti al solito posto.
Fissavo quella sedia vuota di fianco alla mia. Questa volta sarebbe stata vuota per molto più tempo e nulla mi avrebbe impedito di pensare a lui e di quanto tempo ancora dovesse passare prima di vedere il suo sorriso sotto a quello stupido cappellino che li copriva il viso o sentire la sua voce che per me, prima era irritante ma ora avrei fatto qualunque cosa per ascoltarla ancora.
Forse Nicole aveva ragione, mi stavo innamorando e questo non andava per niente bene. Dovrebbero vietare le persone di innamorarsi. Non porta mai niente di buono.
Passai le successive due ore e mezzo a contemplare cosa sarebbe successo quando sarebbe tornato, a crearmi illusioni e prepararmi a essere ferita di nuovo.
I miei pensieri furono interrotti dal campanello della porta. Mi chiedevo chi potesse cercarci alle nove e mezzo del mattino, non conoscevo ancora molta gente e le uniche che frequentavano stavano, una, dormendo di sopra e, l’altro, stava preparando le sue valigie. Gary non si sarebbe mai presentata a casa mia e il postino non passava di domenica quindi mi chiedevo chi realmente fosse a rompere a quest’ora.
“Buongiorno”, mi salutò una ragazza con capelli neri e un grande sorriso.
“Ciao Jennifer”, le sorrisi. “Come mai da queste parti?”
“Tom mi ha mandato da te”
“Come?”
“Sì, stamattina prima che partisse mi ha chiesto se potevo passare un po’ di tempo con te e farti conoscere la città e qualche persona mentre sta via e io li ho risposto ‘perché no?’ e quindi eccomi qui”
“Capito”, dissi un po’ dubbiosa. “Vuoi entrare?”, spalancai la porta e le liberai il passaggio.
“Oggi hai da fare?”, disse entrando in casa.
“Niente di importante”
“Perfetto allora possiamo andare a fare shopping”, disse tutta estasiata. Non capivo se avesse assunto qualche strana dose di qualcosa o se fosse davvero estasiata di tutto questo ma stava di fatto che continuava a parlare e a sorridere. Sembrava che avesse l’argento vivo addosso.
“Aspetta Jennifer...”
“Chiamami Jen”
“Ok, Jen... aspetta un attimo, io non posso uscire con...”, la fermai. Non credevo che fosse una buona idea uscire con lei soprattutto dopo aver baciato e passato la notte col suo fidanzato ma se avrei rifiutato, credo, che avrebbe sospettato qualcosa. “... conciata così!”, mi affrettai a dire. “Dammi un minuto che mi vesto, se vuoi in cucina c’è il caffè”
“Non vedo l’ora”, disse sorridendo e andando in cucina.
Salii le scale e vidi Nicole appoggiata al muro della mia stanza con le braccia incrociata e i capelli arruffati. “Allora è così... esci col nemico”
“Non sono riuscita a rifiutare, dovevi vederla...”
“L’ho potuta sentire”
“Infatti e poi... sarebbe carino, sembra simpatica e non voglio trattarla male”
“Ma lo farà lei quando scoprirà di te e Thomas”
“Ma visto che non glielo dirà mai…”
Entrammo in camera e mentre sceglievo i vestiti, Nicole si sedette sul letto e la vidi fissarmi dal riflesso dello specchio.
“Che c’è?”
“Dico soltanto che non dovresti”
“Ormai è tardi”
“E adesso dov’è?”
“È di sotto a bere il caffè”
“Il nostro caffè”
“Mary ti ho portato il caffè... oh ciao!”, disse entrando in camera mia. “Sono Jennifer, tu devi essere Nicole”, annuì. “Thomas mi ha parlato spesso di voi”, disse sorridendo.
“Davvero?”, disse inviandomi un’occhiata e sorridendo anche lei.
“Scusa non pensavo che fossi sveglia, se vuoi ti porto una tazza anche a te”
“Tranquilla, fra poco scendo a prenderlo io”
“Oggi noi andiamo in centro vuoi unirti a noi?”
“Sarebbe carino ma ho la giornata piena, grazie per la proposta”
“Sarà magari per un’altra volta”
“Certo!”, affermò lei falsamente.
“Mary ti aspetto giù”, disse infine prima di chiudere la porta.
“Mi racconterai...”, pronunciò prima di uscire anche lei dalla stanza.
Mi vestii e scesi di sotto insieme alle altre. Salutammo Nicole e ci dirigemmo in centro con l’auto di Jennifer.
Entrammo in un infinito di negozi e mentirei se dicessi che non mi ero divertita. Credo che sia nel DNA di tutte le ragazze amare fare shopping e poi mi serviva qualche vestito carino e diverso dal solito jeans e converse che portavo sempre.
“Metti qui”, disse aprendo il baule della macchina e infilando le mie buste insieme alle sue.
“È stato bello provarsi tutti quei vestiti”, disse salendo in macchina e portandosi gli occhiali da sole sul naso.
“Si”, le risposi sinceramente. “Almeno ho qualcosa di diverso”
“Oh sì, penso che non ci sia niente di meglio che comprare nuovi vestiti quando si è tristi”
“Qualcosa ti preoccupa?”
“No, nulla di grave soltanto che ho salutato Tom di sfuggita, ieri sera era ad un addio al celibato di una mia amica e abbiamo dormito nell’hotel in cui ha fatto la festa e quindi è restato da solo ieri notte”, sentii dei brividi percorrermi la schiena mentre lo diceva. Sembrava ignara di tutto.
“Deve essere difficile vivere con lui che è sempre in tour”
“Un po’, ma poi so che torna sempre a casa e quando apro la porta e lo ritrovo davanti con un mazzo di rose, gli salto addosso e ci baciamo come se fosse uscito per comprare il giornale”
“Capisco”
“E la cosa divertente è che un tempo ero io a lasciargli le rose sulle scale”, rise.
Sentendola dire queste cose mi sentivo sempre più in colpa per quello che avevo fatto. Lei sorrideva mentre mi raccontava tutti i loro fatti e vedevo i suoi occhi illuminarsi quando parlava di lui. Non potevo essere io quella ragazza che avrebbe rovinato la loro relazione.
“Però, a volte, ho la sensazione che Tom possa tradirmi mentre è in giro per il mondo”, disse continuando il suo discorso. “Sta sempre via e poi ci sono tutte quelle ragazze, non avrebbe problemi a trovarsi una ragazza per una o due notti”, disse seria. “Infatti il soprannome ‘Hot Pants’ non gliel’hanno attribuito per niente”, aggiunge, sta volta, ridendo. “Ma poi ripenso alla canzone che ha scritto per me e smetto subito di pensarci”
“’All The Small Things”, lei annuì. “Sì, l’ho sentita... è divertente e molto bella”
“Già, è stato carino da parte sua, in verità mi ero lamentata sul fatto che non avesse scritto una canzone su di me e pochi giorni dopo si era presentato davanti alla porta di casa con una chitarra e si era messo a cantarla”, disse ridendo. Si portò gli occhiali sulla testa e spense il motore della macchina. “Eccoci arrivate”
“Grazie per la giornata”, le dissi meno sicura di prima.
“Dovremmo rifarlo”
“Certo”, finsi. “Ci vediamo”, dissi prendendo le buste dal bagagliaio e salutandola con la mano entrai in casa.
In quel momento tutto mi fu chiaro. Dovevo stare alla larga da Jennifer, Thomas e da San Diego. Qualcosa doveva assolutamente cambiare.

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Capitolo 27
*** Chap 27 ***


Chap 27
Stare a San Diego aveva preso una strana piega.  Nell’ultimo mese e mezzo Gary, il mio capo, aveva spedito, di mia insaputa, diverse domande per i college, passavo le giornate con la fidanzata che mi aveva mollato il ragazzo che mi piaceva e la mia coinquilina/amica che cercava di fare la gentile con lei pur rimanendo sarcastica.
Credo che sarebbe stato tutto piuttosto noioso se non avessi incontrato Thomas, ma di sicuro non mi sarei trovata in questo pasticcio.
“Si avvisano i passeggeri che il volo TD 18203 per Los Angeles è in partenza al Gates 6, vi preghiamo di dirigervi verso l’imbarco”, aveva annunciato lo speaker dell’aeroporto.
Prendere i voli serali mi era sempre piaciuto. C’erano meno persone e soprattutto, il panorama era di gran lunga migliore, era stupendo vedere la città illuminata sotto di se.
Un’ora dopo si estendeva sotto di me la pista del LAX e la città dove ho sempre voluto vivere che brillava sotto ai miei occhi.
“Ci siamo”, disse Nicole mentre si allacciava la cintura di sicurezza.
“Ci siamo!”, ripetei anch’io le sue parole e il suo gesto.
Stavamo per atterrare a Los Angeles, la città degli angeli, così la chiamavano.
Jennifer si trovava nel sedile di fianco a noi. C’erano capitati tre posti diversi e per fortuna eravamo riusciti a fare scambio con dei tizi con l’aria poco raccomandabile questo perché Thomas si era limitato a prenotare ‘tre biglietti San Diego – Los Angeles’ senza ricordare di aggiungere tre posti vicini.
L’aereo atterrò e aspettammo i nostri bagagli. Uscite dall’aeroporto sembravamo quel tipo di ragazze che si vedono sempre nei film dove sono tutte amiche e hanno appena finito l’high school, ma c’era una notevole differenza: primo, non eravamo appena uscite dal liceo e secondo, non eravamo neppure grandi amiche ad eccezione di me e Nicole, la cosa era diversa.
“Dove alloggiamo?”, chiesi a Jennifer. Poggiò le valigie a terra e iniziò a frugare nella borsa.
“Allora, Thomas voleva che alloggiavamo all’Hilton perché Travis gliel’aveva consigliato ma poi l’hanno chiamato e Tom mi ha passato Mark che ha detto che se ne occupava lui e siamo finite nell’Inglewood che è vicino all’aeroporto”, tirò pochi istanti dopo un foglietto rosa leggermente stropicciato. “Quindi siamo all’ Econo Lodge near LAX
“Inglewood, hai detto?”, chiesi mentre un taxi si avvicinò a noi.
In meno di mezz’ora l’autista parcheggiò il taxi davanti all’ingresso dell’hotel e ci scaricò le valigie appoggiandole sull’asfalto. Prese i soldi e velocemente risalì sulla sua auto diretta chissà dove.
“Dunque è questo”, disse Nicole mentre ce ne restavamo tutte e tre a fissarlo.
“Abbiamo costatato che Tom non sa prenotare i biglietti e Mark non sa scegliere gli alberghi, mi sembra giusto”, cercò di scherzare Jennifer.
“Forza, andiamo”, le incoraggiai.
Prendemmo le valigie e andammo a fare il check-in.
Il tempo di salire in camera che Nicole e Jennifer erano crollate nei rispettivi letti mentre io non riuscivo a prendere sonno, avvertivo la sua presenza pur stando a chilometri di distanza.
Avevo la testa troppa piena di pensieri che non mi facevano dormire e per questo motivo avevo bisogno di prendere aria. Aprii la finestra del balcone e mi sedetti su una sedia lì fuori. La calda aria di agosto colpiva la mia pelle.
Faceva schifo quando una persona ti manca così tanto che guardi vecchi messaggi e cerchi di ricordare tutte le vostre conversazioni. Per qualche secondo può portare un sorriso sul tuo viso, ma poi il dolore ritorna e non dovresti guardare indietro, ma non puoi farne a meno.
Avevo voglia di sentirlo ma non avevo il diritto di chiamarlo. Avrei potuto inviarli un messaggio, meno confidenziale, ma non ne avevo ugualmente il diritto. Avrei aspettato che lui prendesse una decisione e quando saremmo rientrati entrambi a San Diego, se ancora non lo avesse fatto, avrei deciso io per entrambi.
L’indomani saremmo dovute andare al concerto che si sarebbe tenuto in quella città. Jennifer aveva insistito così tanto. Le avevo detto che potevano andare loro e che avrei preferito stare in stanza a leggermi un libro ma mi aveva risposto con un “Non essere stupida, i libri non cambiano mentre nei concerti c’è sempre qualcosa di nuovo”, mi era piaciuta quella frase, in fondo mettevo sempre al primo posto un concerto, qualunque gruppo fosse ma in quel caso non ce la facevo. Non ce l’avrei fatta a sopportare Jen e Tom insieme, non ce l’avrei fatta a fingere di sorridere.
Alla fine ero ceduta alle sue suppliche anche perché sapevo benissimo che Nicole ci avrebbe tenuto ad andarci e avrebbe rifiutato se ci fossero state soltanto loro due. Non potevo impedirle di vedere in concerto la sua band preferita, le dovevo molto.
La mattina successiva visitammo un po’ la città e tornammo per le sette in albergo così da prepararci e dirigerci al concerto.
Avevamo la fortuna di seguirlo dai lati del palco. Thomas era a pochi metri da me, a volte si girava a guardare dalla nostra parte. Vedevo che Jennifer gli sorrideva ma la sua attenzione era incentrata su di me. Mi faceva uno strano effetto.
Finito il concerto gli aspettammo fuori dove, dopo aver fatto delle foto con qualche fan e firmato degli autografi, la band s’incentrò su di noi.
“Ehi New York”, mi salutò Mark venendomi ad abbracciare. Thomas mi lanciò un’occhiata. Sapeva che mi dava fastidio quando mi chiamavano così ma infondo, a Mark glielo avrei permesso.
“Ciao Mark”, ricambiai.
“Nicole”, disse sorridendo ed andando ad abbracciare anche lei. “Non so se ti ricordi di me...”, disse scherzando.
“Non credo, ci siamo visti da qualche parte?”, rise.
“Sai potremmo conoscerci più in fondo, se ti va”, disse ammiccando ma continuando a ridere.
“Visto che noi abbiamo finito potremmo andare da qualche parte”, propose Thomas e tutti approvammo.
“Tom, io volevo passare del tempo con te”, sentii sussurrare Jennifer tra le chiacchiere degli altri. Lui capì che l’avevo sentita e mi guardò come se aspettasse una mia risposta, come se davvero importasse qualcosa. Accennai, comunque, un si con la testa.
La coppietta felice se ne andò chissà dove lasciando me e Nicole insieme a Mark e Travis.
“Beh c’è qualche bar qui vicino?”, proposi.
Alla fine andammo in un bar non tanto distante da lì e ci passammo gran parte della serata tra una chiacchiera e una bevuta. Tornammo in albergo verso le tre del mattino e se Nicole non fosse stata con me, quella sera, non saprei dove sarei finita, probabilmente sarei svenuta addormentata sul divanetto del bar.
Avevo decisamente bevuto troppo e non sapevo neanche il perché di questa reazione. Avevo smesso di bere da quando avevo deciso di diventare una persona migliore andandomene via da New York e da tutte le persone che conoscevo ed ora ero ricascata in questo tranello.
Quando Nicole aprì la porta, uno spiraglio di luce illuminò il letto di Jennifer che, come immaginavo era vuoto. Di sicuro non avrebbe passato la notte in un’insulsa camera di albergo con delle amiche quando aveva il suo ragazzo a disposizione per una notte intera.
Dio, quanto mi odiavo in quel momento!
“Quel bastardo!”, mugolai.
Facevo dei ragionamenti stupidi come quelli di una ragazzina, ma in fondo lo ero. Avevo soltanto ventun anni e lui nove in più. La differenza di età era troppa ed essermi illusa fino a quel momento che avrebbe davvero lasciato Jennifer per stare con me era troppo. Troppo tempo sprecato.
Mi buttai sul letto senza neanche cambiarmi e delle lacrime solcarono il mio viso.
Non ero solita a piangere per qualche ragazzo, non ero solita a piangere per nulla ma quel ragazzo mi stava davvero facendo dannare. Aveva innescato qualche strano meccanismo nel mio cervello così da non riconoscermi più.

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Capitolo 28
*** Chap 28 ***


Chap 28

Passai il resto del sabato chiusa in stanza con un mal di testa atroce, causa del troppo bere della sera prima. Tutta colpa di Thomas , di Jennifer, della loro storia d’amore e di tutti film che mi ero fatta nella mia stupida mente e che giocava brutti scherzi.
Avrei voluto che potessimo cambiare di posto così da essere lui quello che s’innamora e io quella che gli avrebbe spezzato il cuore.
Stava passando la terza notte da quando eravamo atterrate a Los Angeles e come la prima la stavo passando sul balcone. L’indomani saremmo partite per tornare a San Diego, per tornare alla vita normale.
Guardando in lontananza la città, stavo realmente pensando che sarei potuto restare qui, nella città in cui avevo sempre desiderato essere, non ero neanche riuscita a godermela per dei stupidi pensieri che occupavano la mia mente.
Magari avrei potuto cercare un appartamento in città o nella periferia, così almeno da riuscire a dimenticarlo, ma trasferirsi sarebbe significato fuggire di nuovo da qualcosa. Lo avrei rifatto, solo perché non avevo la forza di affrontare tutti i problemi che mi portavo dietro.
Restare a Los Angeles da sola sarebbe stata un’altra avventura. Iniziare, di nuovo, tutto da capo, senza Nicole e senza di lui. Mi sarebbe, certamente, mancato il fatto di trovarlo seduto al suo solito posto a fare colazione o magari incontrarlo al supermercato, delle cose banali, certo, e mi sarebbero anche mancate le nostre discussioni e sentire di nuovo la sua voce irritante.
Avrei potuto chiedere a Nicole di restare con me e so che avrebbe accettato, lo avrebbe fatto per me e anche per non subire un’ora di aereo da sola con Jennifer, ma non gliel’avrei mai chiesto, non potevo pretendere pure questo. Aveva fatto tanti sacrifici e farle fare un tale cambiamento sarebbe stato un gesto totalmente egoista da parte mia.
Portai le ginocchia al petto e restai così per non so quanto tempo a guardare le luci davanti a me e a pensare a tutto, ma quando realizzai che il cielo si stava schiarendo e i primi raggi del sole si stagliavano sulle finestre delle case vicine mi alzai e cautamente m’infilai nel letto sapendo che da lì a poco si sarebbero svegliate e non volevo far preoccupare Nicole.
Qualche minuto dopo che avevo chiuso gli occhi sentii Jennifer alzarsi e andare in bagno. Quando chiuse la porta sentii Nicole girarsi nel letto.
“Dove sei stata?”, mi chiese a bassa voce.
“Come?”
“So bene che ti sei appena sdraiata”
“Ho preso un po’ di aria”
“Tutta la notte?”
“Dovevo schiarire un po’ le idee”
“Sul fatto di tornare o no a San Diego?”, annuii. “Entrambe sappiamo bene che non ti va di tornarci...”
“Ma devo tornaci, ho le mie cose lì, magari poi mi trasferirò”
“Non hai mica fatto una promessa a qualcuno?”
“Sì, ma anche lui l’aveva fatto a una certa persona che ora è di là chiusa in bagno e pensa che sono soltanto una semplice amica ma sai, non sono una di quelle ragazze che fanno tutto per un ragazzo”
“Dovresti”, disse mettendosi a sedere a gambe incrociate. “Ricorda che in guerra e in amore è tutto lecito”
“Ma questo implica che ci saranno dei feriti”, mi sedetti anch’io.
“Come tutto del resto”
Non obbiettai né risposi alla sua affermazione. Ci limitammo a condividere un tranquillo silenzio interrotto qualche minuto dopo dalla vibrazione del mio cellulare. Mi era arrivato un messaggio.
‘So a cosa stai pensando e dico sul serio guai a te se provi a restare a L.A. . Se scopro che non hai preso quell’aereo sappi che ti verrò a cercare e ti riporterò a San Diego, costi quel che costi. Mi hai fatto una promessa e devi mantenerla, ti prego.’
Quasi come se fosse un segnale, le parole scritte sul quel piccolo schermo mi fecero sorridere e mi avevano convinta a tornare a casa, già perché era quello il nome. San Diego ormai era casa mia.
Sembrava che mi avesse letto nella mente e quelle parole mi avevano fatto capire che forse sarebbe valsa la pena lottare per una volta, anche se avrei comunque sentito i sensi di colpa.
 

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Capitolo 29
*** Chap 29 ***


Chap 29
Quella fu una giornata come tante, avevo ricominciato a lavorare da poco e finalmente potevo avere la testa occupata in qualcosa che mi piaceva.
Eravamo a Settembre e la cosa incredibile è che c’era ancora il sole che splendeva e non faceva freddo. Iniziavo ad amare San Diego.
Da quando eravamo tornate da Los Angeles era successo di tutto. Avevo cercato in tutti i modi di evitare Jennifer cosa che non aveva funzionato visto che eravamo uscite diverse volte nell’ultimo mese e mezzo a bere un caffè insieme o andare al cinema a vedere un film nuovo oppure restava a cena da noi, cosa che accadeva spesso. Nicole si era arresa al fatto di essere scorbutica con lei e aveva ammesso che non era così male tanto che quella sera l’aveva invita a cenare da noi, cosa che mi aveva fatto rimanere senza parole.
Quel pomeriggio era vuoto, gente ancora non ce ne era più di tanta e decisi, allora, di dare un’occhiata ai CD che avrei dovuto far ascoltare ai clienti. Ne scelsi uno in particolare. Aveva uno sfondo nero con una striscia viola sfumata in centro che alludeva a una nebulosa che vagava nello spazio. Al centro era raffigurata la Terra all’interno di un cubo di cristallo e il sole che nasceva su un vertice di questo. Era di un gruppo a me sconosciuto, gli Angels And Airwaves.  Lessi il titolo, We Don't Need to Whisper. Faceva molto riflettere. Non abbiamo bisogno di sussurrare.
Lo rigirai tra le mani e mi chiesi il motivo di tutta l’attenzione che avevo per quell’album, era come una forza magnetica che mi spingeva a studiarlo. Lessi le tracce e ne scelsi una in particolare. La 9, ‘Good Day’.
La canzone iniziò lentamente come se fosse un bisbiglio e piano aumentava una musica dolce seguita dalla voce del cantante che mi sembrava così famigliare, ma era diversa, aveva qualcosa di mieloso e  di tranquillizzante. “I should of turned back. I shouldn't know better than to walk away defeated”. La musica poi era cambiata, diventava più solenne per poi scomparire e lasciare solamente la voce del cantante “I think I like today. I think it's good. It's something I can get my head around”.
Presi la custodia del CD in mano e la girai sul retro, sotto le tracce lessi Producer Tom DeLonge. Dei brividi mi percorsero. Era incredibile come un ragazzo del genere potesse scrivere dei testi così magnifici.
“Ehi Mary ancora qui?”, mi chiese Gary raggiungendomi dietro al bancone e chiudere la cassa.
Lanciai un’occhiata all’orologio e mi accorsi che era tardi. “Non ho proprio visto l’ora”, dissi prendendo la borsa e uscendo da dietro il mobile. “Gary, posso chiederti un favore?”
“Dimmi?”
“Non è che posso portare a casa questo CD?”, gli provai a chiedere. “Lo riporto domani come nuovo”
“Tranquilla, prendilo pure” , mi disse sorridendo. “Un CD non mi farà cadere in rovina”
“Grazie, sei un tesoro ci vediamo domani”
Uscii di fretta dal negozio e m’intrufolai nella mia auto, accesi il motore e premendo sull’acceleratore mi indirizzai verso casa.
Mi ero completamente dimenticata che quella sera sarebbe venuta a cenare Jen da noi e avevo promesso a Nicole che le avrei dato una mano.
“Scusami, sono in un terribile ritardo, mi puoi perdonare? Jen è già arrivata? Hai già preparato qualcosa?”, le esposi una raffica di domande.
“Prendi fiato, non sei in ritardo e Jennifer non è ancora arrivata e sì, ho iniziato a preparare qualcosa ma tranquilla”, mi rispose dolcemente.
“Ok”, tirai un sospiro.  “Sabato prossimo comunque sono a casa, Gary ha una commissione e tieni di nuovo il negozio chiuso”
“Potremmo andare in spiaggia”
Dalla borsa che avevo appoggiato sul piano che divideva la cucina dal salotto tirai fuori il CD che avevo preso al lavoro.
“Hai mai sentito parlare de degli Angels And Airwaves?”, le chiesi infilando il disco nello stereo.
“Certo che gli ho sentiti ed è incredibile la percettibilità dei testi”
“Quello che ho pensato io appena li ho sentiti”
Iniziai ad apparecchiare la tavola mentre le tracce uscivano dalle casse, una dopo l’altra ma all’improvviso suonarono al campanello, doveva essere arrivata.
Istintivamente tolsi via il disco e lo nascosi dentro un cassetto lì vicino e come se non fosse nulla la saluta quando si presentò sull’uscio della cucina.
“Ehi Jen tutto bene?”, le dissi sorridendo.
Passammo una serata tranquilla tra una chiacchiera e l’altra.
“Ehi Jen ti va se sabato prossimo andiamo in spiaggia?”, propose Nicole. “Mary ha la giornata libera”
“Mi piacerebbe ma torna Tom e volevo organizzare qualcosa di speciale”, potei sentire lo sguardo di Nicole posarsi su di me e cercando di far finta di niente guardai Jennifer.
“Capisco, beh sarà per la prossima volta”
“Certo, magari possiamo invitare anche Tom e Mark e Travis, quei tre insieme sono peggio dei bambini di cinque anni”
“Non vedo l’ora”, continuai a sorridere. Un sorriso falso ma che negli ultimi tempi mi usciva piuttosto bene.
 

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Capitolo 30
*** Chap 30 ***


Chap 30
Era passata una settimana e Settembre sarebbe finito tra pochi giorni.
Quella mattina mi alzai più presto del solito, il sole sarebbe sorto tra poco e non avevo la minima voglia di tornare a letto.
Mi misi a preparare la solita tazza di caffè e mi sedetti sotto alla finestra. La strada era ancora bagnata dalla pioggia che era scesa la sera prima, sulle piante c’erano ancora delle gocce e dai tetti scendevano le ultime lacrime dal cielo, così la chiamava mia nonna.
“Sveglia a quest’ora?”, chiesi a Nicole vedendo il suo riflesso entrando in cucina.
“Non ho chiuso occhio tutta la notte, questo temporale non mi ha fatto dormire”
“In effetti non piove mai a San Diego ma quando lo fa è pazzesco”
“Hai proprio ragione”, facemmo una pausa di silenzio prima che io tornassi a guardare fuori. “Oggi però promette sole, potremmo andare ugualmente in spiaggia”
“Forse, ci sono delle nuvole che però non mi convincono”
“Un po’ di vento e le porterà via”
“Siamo a San Diego”
“Ma ha appena piovuto, tutto è possibile”
“Bah..”
“Come siamo arrivate a parlare del tempo?”, chiese poi.
“Credo che stavi cercando qualche motivo per non farmi pensare a Thomas”
“Giusto...”
“Grazie”, le sorrisi sinceramente. “Ma non ho intenzione di corrergli dietro e aspettarlo per l’eternità, è chiaro che non vuole stare con me”
“E questo l’hai dedotto da...”, disse invitandomi a continuare la frase.
“Da come si comporta”
“Ti riferisci al fatto che ti ha chiesto di non andartene via e di tutte le suppliche? Già credo anch’io che ti odi”
“Lo sai cosa intendo”, dissi scuotendo la testa. “Lui non…”
“Non lo saprai mai, magari lo fa soltanto per non ferirla”
“Lesionando me ma non mi importa cosa vuole, no!”
“Sai una cosa?”, dissi di no con la testa. “È sempre la stessa cosa che ti ripeto”
“Sì, sì... che quando tornerà e lo ritroverai sulla soglia di casa tutta la tua rabbia scomparirà”, dissi sovrastando la sua voce. “Lo so”, sbuffai e ritornai a fissare fuori dalla finestra.
“Va bene”, disse bevendo un sorso dalla sua tazza. “Io vado a prepararmi, ci vediamo più tardi”, si girò di spalle e vidi dalla finestra il suo riflesso che scuoteva la testa prima di scomparire nell’altra stanza.
Soltanto quando un raggio di sole raccolse la mia attenzione mi accorsi che il sole stava nascendo. Esattamente come quando mi ero svegliata tra le sue braccia la mattina della sua partenza e mi resi conto che sarebbe atterrato a momenti.
Salii in camera cercando di non pensare a nulla. Volevo solo tenere la mente libera. Mi vestii e prima che me ne rendessi conto il sole era già sorto. Stava illuminando tutta la via regalando un tono più allegro alle case del vicinato.
Scesi al piano di sotto e iniziai a riordinare, cosa che facevo ultimamente per tenere la mente occupata e a dir la verità funzionava. Passai davanti alla finestra che dava sul giardino e un’ombra mi fece fermare. Non realizzai al momento chi fosse ma corsi alla porta e la spalancai.
Guardai quel paio di Macbeth nere a pochi centimetri da me ed ebbi una strana sensazione che mi cresceva pian piano dentro di me.
Alzai il volto e trovai il suo sorriso coperto dall’ombra del solito berretto che mi scrutavano dall’alto.
Ero finalmente riuscita a non pensare a niente e l’unica cosa di cui ero certa era che Nicole aveva fottutamente ragione. Tutta la rabbia, tutti i pensieri e tutte le scuse che si erano accumulate erano spariti e senza rendermene conto sul mio viso comparve un sorriso.
“Ehi”, mi disse rompendo il silenzio.
“Bentornato Tom”
“Lo dici sul serio?”
“Si… io… cioè credevi davvero che ti avessi aspettato con un fucile in mano?”
“Non proprio però visto che hai tirato fuori quest’ipotesi con facilità potrei pensare che ci hai pensato almeno per un istante”
“Non pensi che se avrei voluto ucciderti lo avrei già fatto?”
“L’hai quasi fatto”
“Però non di mia spontanea volontà”
Per un tempo indefinito restammo così in piedi uno di fronte all’altra. Guardavo il suo modo buffo di non riuscire a stare fermo pur volendo e istintivamente gli gettai le braccia al collo e lo abbracciai.
“Mi sei mancata”, mi sussurrò completando il mio abbraccio.
Restammo così per parecchio tempo e quando mi allontanai da lui sorridevamo entrambi.

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Capitolo 31
*** Chap 31 ***


Eccoci arrivati all'ultimo capitolo della storia.
Credo di averla conclusa frettolosamente e non mi convince tanto ma a parte questo, vorrei ringraziare
Layla
per aver commentato tutti i capitoli ed essere arrivata fin qui.. Grazie ancora :D

Chap 31
“Cosa ci fai qui?”, gli chiesi.
“Dove dovrei essere secondo te?”
“Sai bene dove dovresti essere”
“Non credi che ci sia già”
“Per nulla”
“Sai bene perché sono qui”
“Non voglio stare con te”
“Me lo hai già detto”
“Ma voglio stare con te, il fatto è che non accetto di volerlo... Ho paura che mi farai soffrire”
“Non lo farò”
“E poi c’è Jennifer, non voglio fare l’altra, non ce la farei”
Si avvicino a me e posò le sue mani sui miei fianchi. “Mary, da quanto tempo non senti Jennifer?”
“Da circa una settimana cosa alquanto strana visto che me l’hai appioppata”
“Beh sappi che lei mi ha telefonato ogni giorno e...”
“E con questo?”
“Fammi finire... dicevo che ho capito una cosa, quando parlavo con lei pensavo a te, quando siete venute a Los Angeles guardavo te e quando quella sera sono andato via con lei non ho fatto altro che desiderare che ci fossi tu al suo posto”
“Non è un po’ troppo sdolcinato?”
“Sarà, ma è la verità”
“Ma continui a stare con lei”
“Ascoltami, durante il tour ho avuto modo di pensare a noi”
“A noi?”
“A noi!”
“A noi, tu e Jen o noi…”
“Noi...”
“Oh...”, la mia espressione cambio in sorpresa.
“Ecco ho perso il filo del discorso”
“Stavi dicendo che hai avuto modo di pensare a ‘noi’”
“Giusto, beh durante la nostra ultima telefonata abbiamo parlato e le ho detto tutto”
“Cosa?”, mi allontanai da lui. “Le hai detto di me e di te e...”
“No, tranquilla, le ho solo detto che non l’amavo più come un tempo e sono rimasto sorpreso da come l’ha presa, mi ha detto che era giusto così e che avrei dovuto trovare la ragazza giusta da amare”
“Quindi vi siete...”
“Lasciati? Si”, rispose sereno. “In verità è stata lei a mollare me”, disse abbozzando a un sorriso. “E ora posso rispondere alla domanda di prima, credo che sia questo il posto dove dovrei essere”
“Ne sei sicuro?”
“Mai stai più sicuro di così”, si avvicinò di nuovo. “Però ancora non ti ho chiesto una cosa”
“Ovvero?”, chiesi confusa.
“Vorresti uscire con me?”
“Sarebbe un appuntamento?”, annuì.
“Non abbiamo avuto l’occasione di averne uno, almeno decente e senza che ci siano dei tipi di ‘problemi’”, mi sorrise.
In quel momento il mio cervello smise di funzionare e fu il cuore a comandare. In un istante mi feci più vicina a lui e alzandomi sulle punte dei piedi lo baciai. Lasciai che le sue braccia si avvolgessero attorno ai miei fianchi e che le miei emozioni andassero a farsi fottere, l’unica di cui avrei avuto bisogno era la felicità che per una volta aveva preso il sopravvento sulle altre sensazioni.
Quel bacio lo assaporai in modo diverso. Era speciale, era il nostro primo vero bacio. Non un bacio rubato o contenente sensi di colpa verso qualcuno. Era il bacio perfetto.
“Posso prenderlo per un si?”
“Credo di si”
“E pensi che ci sia un futuro in noi?”
“Probabile”
“Gentile da parte tua”, disse ridendo e stringendomi contro di lui. “Però tu vuoi ancora andartene”
“Sì ma non subito”
“Sai che Los Angeles ha una brutta reputazione”
“Ogni città ha una brutta reputazione
“E il mare è lo stesso”
“Sai, si trova nello stesso Stato”
“Sei davvero sicura di voler ancora partire?”
“Sì, ma come ho già detto prima non ci voglio pensarci ora, magari in un futuro, certo, ma adesso non c’è posto che non voglia stare che a casa mia, a San Diego, con te”, gli dissi guardandolo negli occhi e comparve un sorriso sui nostri volti nello stesso istante.
“È bello il modo in cui hai detto di voler stare a San Diego con me”
La mia mano scivolò verso la sua e mi voltai per entrare in casa e una volta varcata la soglia, lui chiuse la porta alle sue spalle.
“Ti va di fare colazione?”, mi chiese.
“Latte e cereali?”
“E tazza di caffè?”
“Sarebbe perfetto”
Lasciai la sua mano per andare verso la dispensa ma mi afferrò di nuovo e mi spinse verso di lui. Passo le sue mani dietro la mia schiena e mi travolse in un breve bacio.
In quel momento capii che non esisteva attimo migliore di quello e che avrei potuto viverne, molte altri, infinite volte semplicemente stando con lui.
È pazzesco pensare come sarebbe stata diversa la propria vita se non avessi mai incontrato quelle persone che hanno cambiato tutto.
Arrivati a questo punto mi bastava che lui fosse stato onesto per il resto della vita e che tutto sarebbe andato bene.

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