Amore e Psiche - Il XIII Apostolo

di Anto1
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tormento ***
Capitolo 2: *** C'è qualcosa nell'aria ***
Capitolo 3: *** IL RITORNO DI SERVENTI ***
Capitolo 4: *** Claudia in pericolo ***
Capitolo 5: *** La sfida ***
Capitolo 6: *** Ho deciso! ***
Capitolo 7: *** Le reclute ***
Capitolo 8: *** Miracolo ***
Capitolo 9: *** Papà, ti chiedo scusa! ***
Capitolo 10: *** Il cerchio ***
Capitolo 11: *** L'essere perfetto ***
Capitolo 12: *** La tigre è in agguato ***
Capitolo 13: *** Sono forse un demone? ***
Capitolo 14: *** La battaglia ***
Capitolo 15: *** L'incontro nel limbo ***
Capitolo 16: *** Sono vivo! ***
Capitolo 17: *** La fine della tigre ***
Capitolo 18: *** Cambiamento radicale ***
Capitolo 19: *** Amore e Psiche ***



Capitolo 1
*** Tormento ***


L’autunno era ormai arrivato, e grosse foglie colorate si staccavano dagli alberi quasi spogli, cadendo al suolo come tanti ricordi dimenticati, spazzati dal vento. Tutto quel colore rendeva tristemente allegro quel palazzo bianco e severo che ospitava la Congregazione. Lì si decidevano i destini di tante vite, e pochi uomini avevano il controllo sul destino di molti. Anche, e soprattutto, su quello di una persona in particolare: il suo. Di quell’uomo che era seduto sui gradini del parco, la testa rossa china sulle mani, piena di pensieri affollati. Da un mese a quella parte, pensava a molte cose: alla Profezia, a sua madre, a Serventi, a lei… e si domandava cosa sarebbe stato se sua madre non avesse fatto quello che aveva fatto, non avesse tradito suo padre per un uomo di Chiesa, se non se ne sarebbe andata così all’improvviso, se quello che lui definiva il suo vero padre, Sebastiano, non sarebbe morto. Forse, non sarebbe stato cresciuto nella Chiesa, all’oscuro di tutto, forse non avrebbe avuto i suoi poteri, forse non avrebbe indagato sul paranormale e non ci sarebbe stata nessuna maledetta profezia da scoprire… ma forse, e quel pensiero lo terrorizzava più di ogni altro, non avrebbe conosciuto Claudia, l’unica donna che gli avesse mai fatto battere forte il cuore, che l’aveva stregato con il suo raziocinio, con la sua indipendenza, con la sua risata, con quei meravigliosi occhi castani, il suo angelo custode, come l’aveva definita una volta Muster. L’angelo custode che lo aveva gettato nel tormento del desiderio, che l’aveva fulminato, soggiogato, l’ammaliante dea per la quale aveva quasi deciso di lasciare la Chiesa, e ora, si domandava se avesse effettivamente fatto la scelta giusta. Perché da quando l’aveva lasciata, così, per la Congregazione, e aveva visto i suoi splendidi occhi riempirsi di lacrime, si era odiato, e si odiava tutt’ora. Sentiva come un male fisico, aveva voglia di urlare, di prendersi a pugni, di ferirsi le labbra a morsi fino a farle sanguinare… quelle labbra che avevano baciato le sue, così soffici e deliziose, e che poi avevano pronunciato quelle parole che tanto l’avevano ferita. Quando le aveva pronunciate, sapeva che lei avrebbe pianto, che, nonostante fosse una donna forte, non avrebbe retto il colpo, ma non sapeva cosa sarebbe successo a lui: da quando era entrato a tutti gli effetti nel Direttorio, partecipava alle sedute con malavoglia, spesso con lo sguardo perso nel vuoto, e coi pensieri che vagavano da un’altra parte; non toccava quasi più cibo; stava ore e ore seduto sul divano a fissare il televisore, senza in realtà guardarlo; faceva giri interminabili con la sua moto, quasi sperando che il vento asciugasse via le sue lacrime. E ora lo stava rifacendo, stava pensando a lei. Non doveva, no, sapeva che era sbagliato, che ormai aveva fatto la sua scelta e che aveva un compito da svolgere, eppure non riusciva a capacitarsi di essere stato così stupido. Lentamente, cominciò a fare quello che gli avevano insegnato ai tempi del Catechismo: concentrò la sua mente sul vuoto, sul suo respiro, cercando di scacciare il nome di Claudia dalla sua mente e dalle sue labbra, che stava recitando come una preghiera, senza accorgersene. Lentamente, il suo respiro si calmò, e, altrettanto lentamente, i suoi occhi si chiusero, e lui scivolò nell’oblio.
Stava correndo in quello che sembrava un bosco una selva, facendosi strada fra i rovi pungenti, urlando, ma dalla sua bocca non usciva alcun suono. I rami gli ferivano le braccia e le gambe, facendole sanguinare, ma non poteva affatto fermarsi. Sentiva che qualcuno aveva bisogno di aiuto, aveva bisogno di lui, e si dirigeva disperatamente verso quel qualcuno. Sapeva quel qualcuno chi era, aveva passato troppo tempo con lei per non riconoscere anche da metri di distanza la sua voce, persino il ritmo del suo respiro, che si faceva sempre più vicino, più affannoso. Claudia era in pericolo! Eppure la sentiva vicina, ma non riusciva a raggiungerla. Urlò il suo nome con tutta la forza che aveva nei polmoni. D’un tratto, quell’oscurità sparì improvvisamente, i rami spinosi lasciarono le sue membra e i suoi abiti ormai stracciati, e le fronde nodose lasciarono spazio, come per incanto, a quello che sembrava il limbo da cui salvava le anime che stavano per entrare nell’aldilà, ma solo per un istante, perché poi anche quello scomparve, mentre intorno a lui prendevano vita delle colonne, e poi una stanza spaziosa. Vide una donna inginocchiata al centro della stanza, legata: LEI.
“Claudia!”
Corse verso di lei, le tolse il bavaglio che le ostruiva la bocca, la slegò, e la strinse a sé.
“Claudia, che cosa ti hanno fatto? Chi è stato?”
La lasciò, per farla parlare. Le labbra di lei si muovevano, ma non ne usciva alcun suono, come era successo a lui, pochi attimi fa, nella foresta.
All’improvviso, sentì una scossa elettrica che partendo dal cervello invadeva tutto il suo corpo, un dolore lancinante che gli mozzava il fiato, gli offuscava la vista. Cadde bocconi, e i suoi occhi doloranti videro la persona che ormai infestava i suoi incubi, e che teneva stretta a sé, affinché non scappasse, Claudia, la donna che allietava i suoi sogni più intimi. Al loro fianco, una donna vestita di nero, dai lunghi capelli rossi: sua madre.
Si svegliò di soprassalto, ansimando. Era ancora nel cortile della Congregazione. Strinse le mani a pugno, impotente. Era stato tutto un sogno. O forse no? La voce di una persona cara lo fece sussultare di nuovo, e voltarsi.
“Gabriel, che ti succede? Tutto a posto?”
Gabriel guardava come istupidito quell’uomo anziano dal viso bonario e preoccupato, vestito di una talare. Alonso.
“Ho fatto un altro incubo. Claudia… Serventi… mia madre… Claudia è in pericolo!”
 

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Capitolo 2
*** C'è qualcosa nell'aria ***


“Che cosa stai dicendo, Gabriel?” chiese Alonso, corrugando la fronte.
“Sto dicendo quello che ho detto, che Claudia è in pericolo, ho visto Serventi che la teneva prigioniera… e forse… forse quel farabutto tiene prigioniera pure mia madre!” disse, dandosi un pugno sulla coscia, ma subito dopo fece una smorfia di dolore.
“Adesso calmati, stai prendendo questi incubi troppo sul serio, ragazzo. Sono preoccupato per te”, gli disse, sedendosi accanto a lui “non ti interessi delle attività del Direttorio, ti vedo spesso con un’aria abbattuta e sfinita e non tocchi cibo da giorni, di questo passo rischi la salute. E poi, da un mese vedo un vuoto nei tuoi occhi, un’assenza di vita che non ti ho mai visto; gli altri possono non essersene accorti, puoi mentire a tutti, ma non a me di certo, ragazzo mio, ti conosco troppo bene, e non dirmi che sono solo incubi, non ci credo.”
“Alonso…”
“Basta con le ciance. Il miglior modo per allontanare la depressione è parlare con un buon amico, bere un bicchiere o due di vino rosso e… ascoltare musica, tieni, ti presto il mio I-pod, così ti distrai.”
“Io…”
“Prendi!” insistette Alonso, ficcandogli a forza l’I-pod in mano.
Gabriel, nonostante la sua tristezza, sorrise. Alonso gli diede una pacca sulla spalla, ma sapeva che questo non sarebbe bastato a tirarlo su.
“Facciamo una cosa: andiamocene via per un giorno o due, vieni a stare da me, così vediamo se i tuoi incubi procedono. E poi sei troppo dimagrito, ti cucinerò un po’ di fidewa o di carne arrostita, tutto quello che vuoi, così ti rimetterai almeno fisicamente. Non preoccuparti della Congregazione per almeno qualche giorno, ok?” disse il prete, sorridendo amichevolmente.
Gabriel non seppe che dire. Alonso era l’unico amico sincero in quell’enorme palazzo bianco ipocrita, gli era stato sempre vicino, senza riserve… e ora lui era lì, proprio nel momento in cui aveva bisogno di lui. Non lo ringraziò, ma si accostò a lui e gli diede un forte abbraccio. Era come un padre per lui… il padre che tanto gli mancava.
Così, dopo essersi preso un po’ di ferie dalla Congregazione per malattia, (cosa a cui nessuno si era opposto, vedendo in volto emaciato del giovane) Gabriel trascorse l’intera giornata a casa di Alonso, assaggiando cibo esotico, giocando a scacchi (di cui era un asso), guardando programmi stupidi alla televisione e ascoltando musica a tutto volume da un grande impianto stereo. Quello fu il giorno più spensierato di Gabriel da lì ad un mese, e per alcune ore riuscì quasi a non pensare più a Claudia, ai suoi incubi, e a Serventi. Successe dopo, la sera. Erano circa le sette, e Gabriel e Alonso stavano guardando un documentario sugli animali. Gabriel era quasi steso sul divano, la pancia piena di nachos, tortillas e carne affumicata, si sentiva bene. Tutto era tranquillo. E poi accadde. Quel dolore lancinante al cervello, come un fulmine, una scarica elettrica, che in un attimo gli mozzò il fiato in gola. La vista gli si annebbiò, poi vide tutto cremisi, mentre il dolore si faceva sempre più acuto e lancinante… non riusciva a contrastarlo, non riusciva a sapere cosa gli stava succedendo, e questo gli procurò un attacco di panico, sentì come se i suoi polmoni si stessero chiudendo dall’interno. Poi la morsa si allentò, e quel sangue che lui vedeva… ma era proprio sangue? No, non poteva essere sangue, era un vestito ora, un vestito rosso fuoco, scollato, avvolto attorno al corpo più bello che avesse mai visto… Claudia stava urlando, questa volta la sentiva distintamente, urlava e chiamava il suo nome, e Serventi era dietro di lei, le bloccava i polsi, stava facendo scorrere una mano attorno al suo collo nudo…
“NOOO!!!”
“Gabriel, Gabriel! Che ti succede?!”
Gabriel aprì gli occhi. Non si era reso conto di essere svenuto. Era sul pavimento del salotto, e Alonso era inginocchiato al suo fianco, un’espressione preoccupata sul volto. Cercò di alzarsi, ma Alonso non glielo permise.
“Sta' giù. Cosa ti è preso?”
“Un altro incubo.” Rispose lui, massaggiandosi le tempie “ma non era solo quello, ovvero, non so se sia stato davvero un incubo; ho sentito come una scarica elettrica nel cervello, poi… poi mi si è annebbiata la vista, e poi… è ritornata, e ho visto Serventi, l’ho visto di nuovo, e teneva stretta Claudia… io… non so… cosa mi sta succedendo.” Rispose, frustrato.
Il vecchio prete permise all’amico di appoggiare la testa sulla sua spalla. Ora sì, anche lui era davvero preoccupato; aveva capito che quello non era solo un sogno. Serventi era ancora in circolazione, e cercava in tutti i modi di spaventare Gabriel, di attirarlo a sé, nella tela del ragno, e stava usando l’unica persona di cui Gabriel si fosse innamorato, la stava usando come un’esca per far cadere l’uomo nelle sue fauci. Serventi sapeva come attirare le sue prede. Come quelle tigri che prima stavano osservando, era un calcolatore, e appena sapeva il punto debole del suo avversario, lo colpiva, con mezzi loschi e meschini. L’unica differenza fra Serventi e le tigri era solo una: le tigri uccidevano per mangiare e per nutrire la prole, Serventi per qualcosa che ancora non sapevano, ma le sue intenzioni non erano di certo nobili. Avrebbe potuto cercare di uccidere cento persone ma non avrebbe mai catturato l’attenzione di Gabriel come se avesse cercato di uccidere lei.
D’un tratto, Alonso capi che tenere Gabriel segregato in casa sua era sbagliato, egoista e sbagliato.
“Và da lei” disse, staccandolo dall’abbraccio in cui ancora lo stringeva.
“Come?” chiese Gabriel, ancora confuso.
“Và da lei. Quella ragazza ha bisogno di te. Cercala, trovala. Gabriel, è un gioiello troppo prezioso, e come tutti gli oggetti preziosi fa gola a molti, specialmente alle persone sbagliate. L’ho capito, sai, dal primo momento che l’ho vista, ho capito perché te ne sei innamorato. E’ dolce, leale, molto bella, e soprattutto è innamorata di te. Pensa a cosa le succederebbe se Serventi venisse a scoprirlo, o forse questo lo sa già. E’ questo quello che lui vuole dirti. Ti sta avvertendo. Và da lei, trovala prima che lo faccia lui!”
Gabriel non se lo fece ripetere due volte, non ebbe un attimo di esitazione. Cinque secondi dopo, era al telefono con Claudia.
“Dove sei?”
“Gabriel, che cosa vuoi?” la sua voce era indecifrabile.
“Stai bene? Per favore, non fare domande, devo vederti, ti prego!”
“Gabriel…” questa volta c’era tristezza in quella voce, e forse impazienza.
“Dimmi dove sei!” le chiese, quasi urlando. Se ne accorse, e aggiunse un più cauto, supplichevole “ti prego”
“Sono fuori. Al bar sotto casa mia.” La voce di Claudia gli arrivava tremante, quasi spaventata.
“Non muoverti di lì!”
Chiuse la chiamata e si precipitò fuori dalla casa di Alonso, salutandolo con un cenno del capo. Appena se ne fu andato, il vecchio Gesuita si sprofondò sul divano, spense la televisione e si massaggiò le tempie.
Gabriel arrivò al luogo designato un quarto d’ora dopo. Parcheggiò la moto vicino all’entrata del bar ed entrò trafelato. Non si tolse il giubbotto di pelle, ma cercò subito con gli occhi Claudia… e vide una scena che gli gelò il sangue nelle vene: lei era seduta ad un tavolo addossato alla parete, ma non era sola: a lei si era avvicinato un uomo dai capelli castani, che aveva tutta l’aria di non volerla lasciare andare. Le si stava sedendo di fronte, e lei lo guardava con sguardo enigmatico. Gabriel non si accorse della rabbia che gli montava nel petto, non si accorse di essersi sfilato d’istinto il colletto bianco, e di essersi fatto strada nel locale affollato. Tutto quello che sapeva era che ora lo sguardo provocatorio dell’uomo e il suo sorriso sornione si stavano trasformando in una smorfia di terrore assoluto, mentre lui veniva avvolto dalle fiamme dell’inferno. Gridava, si dimenava, cercando di liberarsi da demoni invisibili, lo implorava di risparmiarlo, implorava quegli occhi azzurri che all’improvviso erano diventati bianchi e spettrali. E all’improvviso Gabriel si fermò. L’uomo ansimava, con gli occhi stralunati. Sembrava intontito. All’improvviso, se ne andò, quasi correndo. Nessuno si era accorto di nulla nel bar. Ma Claudia sì, lei sapeva. Si voltò a guardarla. Era vestita di un semplice jeans e di una maglietta nera, non troppo scollata. Se un abbigliamento così aveva attirato un uomo, cosa sarebbe successo se avesse indossato l’abito rosso che poco fa, nelle sue allucinazioni, le aveva visto addosso? Scacciò quel pensiero dalla sua mente e si accorse che Claudia lo guardava con sguardo penetrante, indagatore, ma non spaventato.
“Chi era quello?” le chiese, sedendosi.
“Un tizio che voleva approcciarmi. Perché sei qui? E che bisogno c’era di tentare di ucciderlo?” gli chiese, con un tono perentorio.
“Avresti preferito che t’importunasse e che poi…” arrossì, non riuscendo a finire la frase.
“No” rispose lei, arrossendo a sua volta. Poi, gli ripeté la domanda fatidica “perché sei qui?”
Lui sospirò, prima di rispondere. “Serventi… l’ho visto in sogno… non so se era un sogno o un’allucinazione, so solo che mi è successo due volte oggi, prima al cortile della Congregazione” lei fece una smorfia a quel nome. Gabriel finse di non vederla, e riprese a raccontare “ e poi a casa di Alonso: lui ti teneva prigioniera, in una stanza buia, e accanto a lui c’era mia madre…”
“Gabriel per favore non dire altro. Hai già fatto la tua scelta, ora non puoi più tornare indietro!”
“Come?” chiese lui, perplesso.
“Quel sogno rivela i tuoi rimorsi, Gabriel, il rimorso di non aver scelto me. Ti stai chiedendo se hai fatto la scelta sbagliata, ma sai che ora non puoi più cambiare la tua scelta. Mi dispiace. Scusa, me ne vado, se sei venuto qui per parlarmi dei tuoi problemi, rivolgiti a uno psicologo che non sia io, possibilmente assicurandoti che non s’innamori di te, e che non sia gay.”
Lei si alzò e uscì dal locale. Gabriel la seguì, e la raggiunse fuori. A pochi metri, le bloccò un braccio. Lei fece per divincolarsi, ma lui la bloccò, consapevole di farle male.
“Lasciami! Gabriel, no!” disse lei, spaventata. Quel tono gli diede un colpo al cuore. Non avrebbe mai pensato di sentire dalla sua bocca quel tono spaventato, diretto a lui, come se fosse uno stalker, uno stupratore.
“Ti prego ascoltami, non voglio farti del male. Quello che ho visto è reale!” le disse, afferrandola per le spalle e girandola verso di sé. Solo allora lei notò che si era tolto il colletto bianco.
“Gabriel, ti prego, vai via. Non rendere le cose più difficili, sto cercando di dimenticarti. Ti prego, va’ via.” C’erano lacrime nei suoi occhi ora. Gabriel le guardò scosso. Non voleva farla piangere, non voleva spaventarla. Voleva solo proteggerla. Proteggerla da altri uomini, proteggerla da amanti che non fossero lui, proteggerla da Serventi.
“Claudia” sussurrò, asciugandole le lacrime. Lei scostò quella mano. Quella mano che avrebbe così tanto voluto baciare in quel momento, che avrebbe voluto sentire sul suo cuore. Sentiva una tensione che non aveva mai sentito prima, e non era l’unica: come lei, anche lui. In quel momento, se solo lui avesse scelto lei… si sarebbe data a lui anima e corpo. Ma scostò quella tanto agognata mano, staccò il contatto visivo da quegli occhi che ancora tormentavano i suoi sogni, e corse via, piangendo, verso la sua macchina.
“Claudia!” urlò lui, disperato. E mentre guardava impotente la macchina che si allontanava, si malediceva per non averle detto di stare attenta, per non averla accompagnata a casa, per non essere entrato con lei e averla vegliata tutta la notte. Si accovacciò, urlando, e diede un pugno sull’asfalto con tutta la sua forza. C’era qualcosa nell’aria quella notte. Lo sentiva. E non prometteva niente di buono.

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Capitolo 3
*** IL RITORNO DI SERVENTI ***


Cinque minuti dopo, Claudia era sotto casa sua. Parcheggiò la macchina davanti al portone, salì le scale e frugò insistentemente sul fondo della borsa. Dopo una ricerca che le parve infinita, riuscì a trovare le chiavi e a chiudersi la porta alle spalle. Fu solo allora che, incapace di trattenersi di più, scoppiò in un pianto dirotto. L’aveva incontrato di nuovo, finalmente, e questo le aveva creato una tristezza immensa, mista a gioia e anche paura, quando lo aveva visto scagliarsi contro l’uomo che la stava corteggiando. Era un sentimento strano, il più contrastante che avesse mai provato, e si chiedeva cosa fosse, proprio lei, una psicologa affermata. Avrebbe preferito non rivederlo più, ci aveva sperato, e tuttavia in cuor suo aveva sempre pregato di incontrarlo di nuovo, e ora che era successo, era ripiombata nello sconforto più totale. Aveva appena cominciato col dirsi di andare avanti, di rifarsi una vita e di iniziare a vedere qualcun altro, quando fosse stato il momento, ma ora che lo aveva rivisto, non credeva che ne sarebbe più stata capace. Al ricordo dei momenti che avevano passato insieme, alla sensazione che le davano le sue labbra incollate alle sue, il suo pianto divenne ancora più disperato, perché tutto quello non lo avrebbe sperimentato mai più. Cadde seduta a terra, incurante del pavimento freddo e dei suoi singhiozzi che non cessavano di fermarsi, le squassavano il petto in maniera così violenta da farle bruciare la cassa toracica. Li lasciò andare, era una psicologa, sapeva che non doveva trattenere un’emozione così forte, altrimenti ne avrebbe risentito. Piangeva così forte che quando si accorse che dei passi si stavano avvicinando, fu troppo tardi: due mani l’avevano afferrata da dietro, e le avevano coperto la bocca per soffocare il grido che stava per emettere. Cercò di divincolarsi, di guardare in faccia l’aggressore, ma fu tutto inutile, per una donna esile era come combattere con un Maciste. Come aveva fatto a entrare? Fece solo in tempo a domandarsi, prima di sentire una botta alla testa che la trascinò nell’oblio. “L’abbiamo presa!” dissero i due uomini vestiti di nero, mentre il finestrino della macchina si abbassava, rivelando un uomo dai capelli neri lunghi fino alle spalle, con in mano un bastone, e una donna dai capelli rossi. “Bene” disse l’uomo “legatela e mettetela dentro, muovetevi!” “Sì, signore!” “E fate che non parli, sarà un lungo viaggio… anzi no, a questo penserò io” continuò l’uomo, con un sorriso sinistro sulle labbra. “Il cerbiatto è nella rete, quanto tempo ci metterà la sua mammina per salvarla dalle grinfie della tigre affamata?” Il sorriso lugubre si fece ancora più largo.

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Capitolo 4
*** Claudia in pericolo ***


Alonso non disse niente quando Gabriel tornò. Non aveva bisogno di chiedere com’era andata, gli bastava guardare il suo viso frustrato e deluso per capire. Sospirò: questo significava ancora più abbuffate e documentari, ma soprattutto significava che Claudia era sfuggita al suo controllo. Niente Claudia, niente Serventi.
“Ti va di farti una doccia?”
Gabriel annuì. Sì che ne aveva voglia; aveva voglia di bagnarsi sotto la doccia per ore, per giorni; voleva fare finta che ogni singola goccia che gli scorreva sul corpo fosse un bacio di Claudia; voleva che l’acqua lavasse dalla sua testa il ricordo delle lacrime sui suoi occhi; voleva smettere di pensare. Così, fece la tanto attesa doccia, rimanendo sotto il flusso d’acqua per chissà quanto tempo, mentre i pensieri scivolavano via come macchie indesiderate. Ma dopo si stancò anche di quello, e tutto quello che desiderò fu quello di andare nella stanza che Alonso gli aveva assegnato, di stendersi sul letto e di avvolgersi dentro le coperte calde, per guardare il soffitto con sguardo assente e addormentarsi lentamente… quel soffitto bianco, ipnotico, che ora era diventato scuro come la notte, che si era improvvisamente trasformato nel viso di Serventi… lui sorrideva di un sorriso malizioso, quasi rassicurante…
“Avanti, perché non mi raggiungi? Tu sai già dove sono… ho qui con me qualcosa che ti mancherà molto, perché non vieni a prenderla?”
Lentamente, si era avvicinato a lui, e ora il viso odioso dell’uomo gli sfiorava la pelle. Sentì la sua mano sulla sua spalla, forte, decisa, dolorosa.
“Tu credi che questo sia un sogno, vero? Non hai capito niente! Io sto comunicando con te, Gabriel, non l’hai ancora capito? Quelle allucinazioni erano un avvertimento, un avvertimento che tu non hai saputo cogliere! E ora io mi sono vendicato! Vieni a prenderla!!!” la sua voce si era alzata di tono, trasformandosi in un urlo che lo costrinse a tapparsi le orecchie, ma il suono gli era ormai entrato nella testa e non accennava a smettere, stava rimbombando nel suo cervello come un eco in una caverna. E poi la vide. Indossava lo stesso abito rosso, aveva la stessa espressione terrorizzata, e Serventi la stringeva, la soffocava.
“Gabriel, aiutami!!!”
Si svegliò di soprassalto, col fiato corto. Ora sapeva ciò che doveva fare, non doveva perdere tempo. Doveva correre a Villa Antinori. Guardò l’orologio: erano le due di notte. Non aveva intenzione di svegliare Alonso, così gli scrisse un biglietto che lasciò sul tavolo della cucina, mise il suo giubbotto di pelle e accese il motore della moto.
 “Che volete da me?! Lasciatemi!!!” Claudia urlava disperata, mentre veniva trascinata a forza per le scale e i saloni di una casa che ormai conosceva fin troppo bene. Venne condotta fino al salotto arredato con quel divano, quel divano impolverato di fronte al camino, e gettata lì. Qualcuno le afferrò il braccio e la costrinse a sedersi. Gli uomini che l’avevano aggredita indossavano delle maschere. Fece per sfilare quella dell’uomo più vicino a lei.
“Ora basta! Lasciateci soli!” la voce sembrava provenire alle sue spalle.
In un secondo, gli aggressori si dileguarono, e lei si trovò faccia a faccia con un uomo dalla carnagione chiara e dai capelli corvini che non aveva mai visto.
“Chi siete? Che volete da me?” chiese di nuovo, con tono supplichevole.
L’uomo non rispose, ma le sfiorò una guancia con un dito. Sentì quel dito freddo scorrere sulla sua pelle, soffermarsi sul suo collo, poi indugiare sulla sua scollatura. Avrebbe tanto voluto fermarlo, ma non riusciva a muoversi. Che cosa le stava facendo quell’uomo? Si sentiva paralizzata, riusciva a malapena a respirare.
“Bellissima, sì, bellissima. Se lui non risponderà alla mia chiamata dopo che ho rapito un gioiello che gli sta tanto a cuore, non so cosa farò. Forse dovrei provare ad ucciderti, mia cara…” la sua voce era melliflua, eppure minacciosa.
Il respiro di Claudia si fece affannoso; quell’uomo le metteva una paura infernale. Quegli occhi neri, tanto spietati da sembrare vuoti, il suo fiato caldo che alitava sul suo collo, le sue mani fredde… sembrava appena uscito dall’inferno.
“O forse dovrei approfittare di un così bel regalo, non trovi? Dopo che lui ti ha ceduta così gentilmente a me, come su un piatto d’argento…”
“Che stai facendo? NO!” Si ritrovò con il maglione strappato, con solo il reggiseno indosso, e avvertì un brivido correrle lungo la schiena. Poi, la testa prese a girarle in maniera incontrollabile, mentre il suo respiro si faceva sempre più corto e scariche elettriche le lambivano il cervello; capì che era sotto il suo potere. Non riuscì più a reggere la tensione, e svenne.

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Capitolo 5
*** La sfida ***


“Voglio solo guardarti! Qualunque uomo al posto mio farebbe lo stesso!” Si era svegliata, ma non ricordava nulla di dove fosse, di che cosa fosse successo, e tantomeno chi fosse. Ma c’era un uomo al suo fianco, e lei era nuda. L’uomo sorrise. “Non ti ho toccata, se è questo che vuoi sapere; ho qualcosa per te, qui. Dato che dovremo passare un po’ di tempo insieme, tanto vale dilettarsi un po’, non trovi? Ti piace?” così dicendo, le porse un vestito rosso fuoco, con uno spacco profondo alla coscia sinistra. Lei provò a parlare, ma si accorse che non poteva. L’uomo rise di una risata raggelante, senza alcuna ilarità, solo perfidia. “Sarà completamente inutile, nonostante i tuoi sforzi; hai perso l’uso della parola. Sei troppo intelligente, sai, non volevo interferissi con i miei piani. E adesso…” le fece indossare a forza l’abito. “Non male, direi, davvero niente male… beh, ti vorrai rendere presentabile per il suo arrivo! Il tuo eroe sta venendo a salvarti bambolina, ma non riuscirà a fermarmi!” disse, sogghignando. Lei si rizzò a sedere sul divano, allontanandosi dalle mani dell’uomo. Non si ricordava chi lei stessa fosse, non poteva parlare, ma aveva capito che quell’uomo era malvagio, e la teneva prigioniera. Cercò disperata con gli occhi una via di fuga: vide una porta alle spalle dell’uomo; cercò di raggiungerla, ma all’improvviso una forza incredibile la fece schiantare all’indietro, sul pavimento. L’uomo si mise a cavalcioni su di lei e le strinse una mano intorno alla vita. “Tentavi di svignartela, eh? Beh, devi sapere che qui non ci sono vie di fuga, e che nessuno può scappare da me, se io non voglio, e io non ho nessuna intenzione di lasciarti andare, a meno finché non arriva lui”, disse, accarezzandole delicatamente una guancia. Incapace di scappare, incapace di muoversi e di parlare, iniziò a piangere silenziosamente. Di chi stava parlando quell’uomo? Non lo sapeva, ma sperava che arrivasse presto. E così fu. All’improvviso, l’uomo si voltò di scatto verso la porta, alzandosi da sopra di lei. Serventi sorrise… lo sentiva arrivare, sentiva le sue emozioni, i suoi pensieri. I due uomini erano uniti da qualcosa che Gabriel non sapeva, non ancora. Era così facile per Serventi carpire i suoi pensieri, più facile che in qualunque altra persona: fra loro c’era un filo conduttore indistruttibile. E in quel momento Gabriel odorava di paura, rabbia e paura: era proprio quello che voleva. Quelle emozioni si facevano più intense mano a mano che si avvicinava, e lui lo avvertiva, perché si nutriva di quelle emozioni come fossero aria. Era lì, a pochi passi, presto avrebbe aperto la porta. “Claudia!!!” la donna, fra gli occhi lucidi, vide la sagoma alta di un uomo. Era vestito di nero, tutto di nero, con un giubbotto di pelle, e aveva corti capelli ramati. Non riusciva a distinguere gli occhi, ma in qualche modo sapeva che erano azzurri… azzurro ghiaccio; il mento era coperto da una leggera barba. Doveva essere proprio bello. Non ricordava chi fosse, ma sentiva di potersi fidare di lui, che era lui la persona che aveva aspettato fin da quando si era ritrovata con quell’uomo sinistro. Non poteva parlare, ma si accorse che stava sorridendo. Gabriel, non appena era entrato, si era trovato a guardare uno spettacolo orribile: Serventi era lì, in piedi davanti a lui, e Claudia era a terra, con un vestito che la copriva a malapena. Per il momento non pensò, ignorò Serventi e si precipitò verso di lei. Inginocchiandosi, si accorse che non portava biancheria intima. “Claudia! Rispondimi! Che cosa ti ha fatto?” ma Claudia era immobile, non rispondeva, sembrava non riuscire a muoversi. Le toccò una guancia, e la trovò fredda, troppo fredda. “Claudia” ripeté di nuovo, avvicinando il suo viso a quello di lei. Ma Claudia sembrava assente, solo i suoi occhi sembravano voler parlare, e quegli occhi erano pieni di ansia, di paura. D’un tratto, lei sorrise debolmente, e allungò una mano per sfiorargli una guancia, ma quello sforzo sembrava essere stato eccessivo, perché la mano le ricadde sul pavimento e lei venne scossa da un brivido. Fu solo in quel momento che Gabriel si voltò a guardare Serventi, furioso. Non sapeva cos’era successo, ma sapeva solo che l’avrebbe pagata, e in quel momento sentiva un ruggito dentro di sé, come se un leone dormiente si fosse risvegliato, e lui non riuscì a contrastarlo, non ci pensò nemmeno. Avanzò verso Serventi, consapevole che il suo potere demoniaco si stava riattivando, e cercò di usarlo contro di lui. Ma… si ritrovò accasciato al suolo, con la schiena in frantumi. Serventi era stato più veloce, l’aveva fatto sbattere contro il muro. “Non funziona questo con me!!!” gli disse, avvicinandosi risoluto. Lo afferrò per il colletto e lo fece rizzare in piedi. “Che cosa le hai fatto?!” urlò, furioso, incapace di contenersi. Si massaggiò la schiena in pezzi, gemendo. “Oh, lei? Mi dispiace, a volte non riesco proprio a controllarmi, devo aver usato così tanto il mio potere su di lei che l’ho fatta impazzire, le ho tolto l’uso della parola!” “Nooo!!!” cadde sulle ginocchia, disperato. Era scosso da mille tremiti, per il dolore e la rabbia. “Tranquillo, ha sempre la sua bellezza, non trovi?” Serventi afferrò Claudia per i capelli e fece scivolare la lingua sulla sua guancia, per poi scendere sul suo collo. “Non toccarla!!!” “Suvvia, non puoi negare che sia stata utile, ti ha condotto da me, e ora che ha perso la sua utilità, sarebbe stato crudele non trastullarsi un po’ con lei, non credi? Ma bando alle ciance, sono qui per proporti un accordo, non ti piacerebbe ascoltarmi?” “Che cosa vuoi da me?!” “Quello che ti ho chiesto un mese fa: unisciti a me, unisciti a me e potremmo guidare gli esseri con poteri paranormali a governare sulla gente comune. Non ci hai mai pensato?” si avvicinò a lui, e appoggiò la sua bocca al suo orecchio, quasi teneramente “pensa a quante cose potremmo fare insieme, tu e io. Siamo speciali, siamo dei fra gli dei; ci eleveremo su quelle insulse masse brulicanti e imporremo loro di sottostare al nostro volere, e se si opporranno… il tuo potere ha anche un lato oscuro, vero? Noi due siamo più simili di quanto pensi…” parole di miele, parole di fiele, dolci e odiose al tempo stesso. “Mai! Quelle persone meritano una vita normale, non mi avrai mai!!!” “Allora non hai proprio capito…” Serventi lo sollevò in aria col suo potere, e Gabriel sentì un colpo allo stomaco “tu, con la tua stupida generosità, sei rimasto nella Chiesa, per cosa? Per aiutare qualche pecorella smarrita? Mi fai ridere… tu dovevi cambiare la Chiesa, guidare loro! Non l’hai ancora capito, stupido?!” Di colpo, allentò la morsa, e Gabriel si ritrovò a terra, bocconi. “Non mi resta che combatterti, ostacolarti! Ti lancio una sfida, e pretendo che tu la colga: se tu pensi davvero che loro possano avere una vita normale, una vita in cui il mondo li accetti per come sono, ti sbagli di grosso, ma ti lascio il beneficio del dubbio. Prima di farlo, però, dovrai combattere con me. Hai un mese, bada, un mese, per reclutare quanti di loro riuscirai a trovare. Dal canto mio, io chiamerò a me quanti mi vorranno seguire. A quel punto, tornerò qui, e combatteremo, ognuno per il proprio ideale, ma se vincerò io, sarò io a comandare su di loro, e tu non avrai nessuna voce in capitolo.” Si accovacciò di fronte a lui, e gli sollevò il mento con un dito. “Potrei schiacciarti come un insetto ora, ma sei così patetico che ci perderei gusto.” Gabriel venne di nuovo percorso da quella scossa elettrica, ormai così familiare. L’ultima cosa che sentì, furono le parole di Serventi che riecheggiavano nella sua testa. “Un mese!” Quando si svegliò, lui se n’era andato.

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Capitolo 6
*** Ho deciso! ***


“E’ tutto a posto adesso, non preoccuparti, ci sono qui io” cercava di dire quelle parole con voce rassicurante, come si usa con i bambini, ma non sapeva se lo stava facendo per calmare Claudia, che pur sembrando sicura fra le sue braccia, si guardava attorno impaurita, come se quello fosse un posto lugubre e inospitale, o per calmare se stesso, per impedirsi di piangere, vedendo lei in quello stato. Col cuore gonfio di tristezza, guardava il suo viso pallido, esangue, che la donna cercava di nascondere contro il suo petto, come per non vedere qualcosa di orribile, quel qualcosa che forse in quel momento stava crescendo nel suo cervello.
Camminò piano, su per le scale, verso la camera dei suoi genitori, dove in quella fatidica notte aveva visto sua madre e suo zio fare sesso. Non avrebbe davvero voluto rientrarci, si era riproposto di non farlo mai più, ma Claudia aveva bisogno di cure, di riposo, e quella camera sarebbe stata perfetta. Forse, se lei l’avesse occupato, quel letto sarebbe stato ripulito di quella macchia indelebile e blasfema, quella per cui suo padre, Sebastiano, era morto.
Aprì la porta della camera: era tutto come l’aveva visto quella notte: i mobili di legno preziosi e antichi, ma impolverati, le finestre ampie e chiuse, le lenzuola di quel letto bianche e impolverate… a vedere tutto quello, ebbe quasi un conato di vomito, si sentì mancare, e per un attimo considerò di tornare indietro. Ma, a un suo vacillamento, sentì che Claudia si muoveva tremante e instabile contro di lui, e affondava ancora di più il viso nel suo petto, come per cercare protezione; no, doveva restare, doveva restare almeno per lei. Quindi si avvicino a quel letto quanto mai detestato, e vi depose Claudia, gentilmente. Appena si fu staccata dalle sue braccia, lei tremò quasi in maniera incontrollabile; Gabriel temette che stesse avendo una convulsione, ma poi si tranquillizzò. Era stato solo un brivido di freddo. In effetti, lei era ancora coperta da quel fine abito rosso, che lasciava intravedere le forme, la pelle; doveva essersene accorta, per quanto fosse disorientata, infatti, cercò di coprirsi le gambe nude con quel tessuto quasi inesistente, arrossendo. Lui sorrise, vedendola così pudica, proprio davanti a lui.
“Non preoccuparti, mi prenderò io cura di te” le disse, sfiorandole una ciocca di capelli.
Lei sorrise, un po’ triste. Qualcosa non andava… sembrava essere un po’ timorosa di lui, e non capiva perché. Forse… No! E se Serventi la avesse? Non riusciva a pensare a una cosa tanto crudele non a lei. E tuttavia, una volta entratogli nella mente, quel pensiero non accennava a lasciarlo. Prese a camminare su e giù per la stanza come un ossesso… che cosa doveva fare?! Non sapeva, non sapeva come ci si dovesse comportare in quelle situazioni… e ora lei aveva paura di lui, e lui era un uomo… che cosa poteva fare? D’un tratto, la sentì lamentarsi e divincolarsi nel letto. Si precipitò al suo fianco, preoccupato. Le domandò se avesse fame, o freddo, se poteva fare qualcosa per lei, ma lei non rispondeva. Che stupido, come avrebbe potuto farlo? Serventi le aveva fatto perdere l’uso della parola. Dannazione! Non poteva abbandonarla così, stenderla in un letto e lasciare che si riposasse, quando forse era l’ultima cosa di cui lei avesse bisogno in quel momento… doveva agire! Innanzi tutto, doveva cambiarla d’abito, e magari farle un bagno… ma non sapeva come avrebbe potuto assicurarsi che Serventi non l’avesse toccata… che fare, che fare?

All’improvviso, sobbalzò… qualcuno lo stava chiamando, ma era una voce amica, tranquillizzante. Si precipitò verso la porta.
“Alonso, vieni presto! Claudia ha bisogno di aiuto!”
Sentì i suoi passi che si avvicinavano, col cuore che si faceva sempre più leggero. Era venuto! Dopo un po’, il viso del Gesuita si materializzò sulla porta. Gabriel corse ad abbracciarlo, e, senza volerlo, iniziò a singhiozzare.
“Gabriel, ehi, Gabriel, che ti pre…” il Gesuita sbiancò, non appena vide Claudia stesa sul letto, inerme.
“Che cosa le è successo? Che cosa le ha fatto, quel mostro?!”
“Non… non lo so… ma… ma temo… Alonso, tu hai studiato medicina… ti prego, dimmi che non le è successo niente… se sai cosa intendo… ti prego!” aveva sforzato fuori quelle parole, fra i singhiozzi.
Alonso non disse niente, non tradì nemmeno il minimo imbarazzo per ciò che stava per fare, si avvicinò lentamente a Claudia e fece per allargarle le gambe, ma lei si ritrasse, con un lampo di paura negli occhi. Gabriel s’inginocchiò davanti a lei e le prese una mano.
“Non preoccuparti, è Alonso!” lei sembrava non capire.
Così, stette ad aspettare il responso, col fiato sospeso, stringendo Claudia, rassicurandola, pregando Dio come mai l’aveva pregato fino a quel momento. Dopo pochi istanti che sembravano infiniti, Alonso si alzò.
“Non le ha fatto niente.”
“Dio ti ringrazio!” Gabriel aveva detto quelle parole quasi urlando, scosso ancora dai singhiozzi.
“Ma… Gabriel… non sta bene… Non sono sicuro che Serventi le abbia solo tolto l’uso della parola” disse, sbiancando.
“Che… che vuoi dire?!” Gabriel non riusciva a reggere la tensione.
Alonso si voltò verso Claudia.
“Claudia, sai chi sono io?”
Claudia guardò Alonso con espressione stranita, poi fece cenno di no con la testa.
Alonso, continuò, e con dito tremante, indicò Gabriel.
“E lui, sai chi è?”
Gli occhi di Claudia si fissarono su Gabriel, per scrutarlo attentamente; sembravano voler leggere oltre la sua mente, oltre quel viso che una volta aveva tanto amato.
Gabriel guardò con orrore la testa di Claudia che si muoveva in un cenno di diniego. Si voltò pieno di stupore e dolore verso Alonso.
“Che… che significa questo?” chiese, il fiato che si strozzava in gola.
Alonso sospirò “Serventi sapeva che era innamorata di te, e che tu provavi lo stesso per lei. Le ha tolto la memoria per provocarti. Ha usato lei per giungere a te, e quando non le è stata più utile, l’ha svuotata facendola diventare un guscio vuoto senza memoria.”
“Noooo!!!” Gabriel aveva urlato quella parola come se per magia avesse potuto spazzare via quell’incubo, ma quella era la dura realtà.
“Non può essere! Eppure… eppure sembra amarmi ancora, mi è parso che mi riconoscesse quando l’ho salvata!” disse, con la testa fra le mani.
“Questo… questo è perché ti ha amato, ti ha amato di un amore così forte e incondizionato che Serventi non è riuscito a farlo sparire del tutto. Sentimenti così puri come l’amore non si cancellano via, per quanto la mente possa essere potente. L’amore di Claudia per te era l’unica cosa che Serventi non è riuscito a portarle via. Ti ama, ti ama ancora, ti ama così tanto che si fida ciecamente di te…”
A quelle ultime parole, Gabriel si sentì girare la testa, e dovette appoggiarsi al muro per non cadere. Disperato, si gettò sul corpo di Claudia, piangendo a dirotto. Si era ricordato quelle parole che lei gli aveva detto proprio fuori da quella casa, qualche tempo fa.
“Volevo dirti… che mi fido di te.”
Come non aveva potuto capire che quella era una dichiarazione d’amore, come?
Alonso, col cuore gonfio di tristezza e non capendo come mai solo a quelle parole Gabriel era crollato, si avvicinò al giovane e gli accarezzò i capelli, con fare paterno. Vedendolo così impotente, si lasciò sfuggire una lacrima. Anche lui si sentiva così, ora.
“Non lasciarlo vincere… non farlo. Devi reagire. Se non per te, fallo almeno per lei.”
Il respiro di Gabriel lentamente si acquietò, e lui alzò la testa per guardare il volto della donna che amava, che ora non poteva riconoscerlo, ma che ancora lo guardava con quegli occhi scuri pieni di una dolcezza  a lui tanto cara. E, in un istante, prese la sua decisione.
“Lo farò, ho deciso, combatterò contro Serventi” si chinò per dare un casto bacio sulle labbra della sua amata “e questa volta, lo batterò. Per sempre.”
 

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Capitolo 7
*** Le reclute ***


“Quindi, devi cercare persone dai poteri soprannaturali che ti aiutino a batterlo, ho capito bene?”
“Certo.”
Gabriel e Alonso erano in uno dei tanti salotti della villa, Claudia stesa su una poltrona davanti a loro; Gabriel era riluttante a lasciarla sola, dopo quello che le era successo. Avevano deciso di dormire a turno, nel caso lei dovesse sentirsi di nuovo male o che, miracolosamente, riacquistasse la parola e la memoria, dato che non sapevano quanto effetto avesse avuto la maledizione di Serventi. Serventi… un nome che ora costituiva l’argomento principale delle loro conversazioni; un uomo che lui ora era intenzionato a distruggere, annientare.
“Vuoi annientarlo, ma non sai come fare” disse Alonso, quasi leggendo i suoi pensieri.
Gabriel scosse la testa, rattristato.
“Non solo per quello, c’è un problema di mezzi, adesso: come faccio con la Congregazione?”
“Al diavolo la Congregazione!” disse Alonso, rizzandosi dal divano.
“Come?” chiese Gabriel, sorpreso più dal linguaggio del confratello che da quello che gli aveva appena suggerito di fare.
“Ho detto: la Congregazione non è importante in un momento simile, e anzi, è l’ultimo dei tuoi problemi. Ci penserò io domani: dirò che sei ammalato e che devi fare degli esami di accertamento. Non preoccuparti, Isaia sarà più che felice di tenere tutto per sé il comando per un po’ di tempo.”
Gabriel, nonostante tutte le tribolazioni e gli orrori che aveva dovuto sopportare durante quella sola serata, sorrise; Alonso era l’unico che sapeva capirlo perfettamente, a parte Claudia. Si voltò a guardarla: aveva ancora gli occhi aperti, vacui, e fissava il soffitto come istupidita. Quello sguardo lo ferì come mille pugnalate al cuore: non c’era niente della donna intelligente che aveva amato, a parte la sua bellezza. Digrignò i denti pensando alla crudeltà di Serventi: lui, che aveva ridotto la sua donna così; lui, che l’aveva deliberatamente resa pazza per trascinare anche lui, Gabriel, in un turbine di disperazione, in un pozzo buio, e adesso l’avrebbe pagata cara. Non sapeva neppure il modo, ma gliel’avrebbe fatta pagare.
“E ora che si fa?” chiese, voltandosi di nuovo verso Alonso, con uno sguardo che chiedeva aiuto, come un figlio chiede al proprio padre di toglierlo dai guai con dei bulletti a scuola.
“Devi contattarli, Gabriel, devi contattare tutte le persone con poteri soprannaturali che hai salvato, e invogliarli a passare dalla tua parte nella lotta; non ti rifiuteranno certo il loro aiuto, dopo che tu hai aiutato loro, spesso anche a evitare di varcare la soglia oscura.”
Il giovane Gesuita si alzò, passeggiando avanti e indietro, come una fiera in gabbia. Serventi gli aveva lanciato una sfida; lui doveva coglierla; per farlo, aveva bisogno di aiuto, e quell’aiuto poteva venirgli solo dal soprannaturale; se avesse vinto, loro sarebbero stati liberi; se avesse vinto Serventi, il mondo sarebbe stato spacciato. Sapeva come contattare gli altri, ma non sapeva se sarebbero stati tutti dalla sua parte… beh, doveva almeno provarci… lui era Il Prescelto.
“D’accordo” risolse “sei con me? Chiese, rivolto ad Alonso.
Lui rise “e da che parte dovrei stare?”
Gabriel sorrise di nuovo. Ma come faceva, Alonso, ad essere sempre così gentile, sincero, e soprattutto, sempre dalla parte del giusto? Per lui, sembrava una cosa così facile! Ora Gabriel era sicuro che gli angeli esistessero: ne aveva uno davanti agli occhi, e se gli angeli fossero stati tutti così, senza ali, senza una speciale bellezza, topi di biblioteca e fossero andati pazzi per la musica latino-americana e rock, allora il Paradiso sarebbe stato davvero interessante.
Sospirò. “Devo fare un bagno a Claudia, darle dei vestiti puliti… penso che abbia freddo, così…”
Alonso annuì. “Sì, potrai contattare quelle persone domani mattina, ora prenditi cura di lei.”

Gabriel prese Claudia tra le braccia, e la portò su per le scale, diretto verso il bagno principale. Era un bagno grande dalle mattonelle azzurre, con un’enorme vasca al centro. Trovò un asciugamano e del sapone in uno dei cassetti, e riempì la vasca di acqua. Poi si voltò verso Claudia, tremando al pensiero di toglierle quel vestito rosso fuoco. Cercò la cerniera, che trovò dietro la sua schiena; appena le sue dita la sfiorarono, lei rabbrividì, e gemette di paura.
“Tranquilla, non voglio farti alcun male, voglio solo lavarti” le sussurrò all’orecchio. Lei, al suono della sua voce, sembrò calmarsi. Lui cominciò a far scorrere la cerniera giù lungo la sua schiena, mentre i battiti del suo cuore acceleravano ad ogni millimetro di pelle che scopriva. Finalmente, quell’abito superfluo scivolò via, e lui dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà per non vacillare, com’era successo nella camera da letto poco tempo fa. Quel vestito aveva commesso il crimine più orrendo che esistesse al mondo: aveva osato coprire il corpo di una dea. E ora che era nudo, poteva ammirarlo in tutta la sua bellezza: la curva sensuale dei seni, il busto che richiamava quello di un giovane albero flessuoso, le sue gambe sottili, la curva della schiena che finiva in un modo sconcertante… quel corpo gli ricordava di essere uomo, tutto questo era fin troppo per lui. Tuttavia, nonostante lo sconvolgimento iniziale, cercò di dominarsi, e aiutò Claudia a entrare nella vasca. Più consapevole che mai che, se fossero state tutt’altre circostanze non avrebbe resistito alla tentazione, cominciò a insaponare una spugna e a passargliela lungo il corpo immerso dall’acqua. Sfiorò la curva del collo, e, tremando, scese fino ai seni; quelle rotondità sotto le sue mani gli causarono un bollore interno che non aveva mai provato prima; le lavò il busto, poi, lentamente, molto lentamente, quasi incerto, passò a toccarle l’addome, e quando scese giù, aprendole dolcemente le gambe… oh, cos’era questa sensazione di caldo estremo, cos’era quella scossa che gli percorreva il corpo? Lei rabbrividì di pudore e lo guardò languida; lui decise di passare avanti, cercando d’ignorare quella sensazione, scivolando lungo le sue gambe lisce. Lavò ogni lembo di pelle con cura estrema, delicatamente, per minuti immensi, guardando bramosamente quel corpo, che poi sciacquò con cura, guardando quelle gocce che accarezzavano la sua pelle nuda in ogni anfratto, in ogni fessura; la fronte gli si stava imperlando di sudore e, se non si fosse concentrato appieno sull’atto di lavarla, non credeva avrebbe potuto continuare. Per fortuna, dopo quasi quindici minuti, ebbe finito. Fece scorrere l’acqua della vasca e finalmente aiutò Claudia ad uscirne; poi accuratamente, l’asciugo, tenendola stretta; il profumo di quella pelle morbida appena lavato lo inebriò, e per un attimo rimase abbracciato a lei; sentiva il suo respiro caldo sul collo. La portò nella camera dei suoi genitori, e trovò un pigiama che un tempo era appartenuto a sua madre, con cui la vestì. Quando la mise finalmente a letto, e la coprì con delle lenzuola pulite, lei gli sorrise, grata; a quel sorriso, gli si riempirono gli occhi di lacrime, e si chinò a baciarle la fronte. Troppo stanco per scendere di nuovo giù, si stese al suo fianco, accarezzandola teneramente, finché non sentì il suo respiro farsi sempre più profondo.

Gabriel li incontrò la mattina dopo. Erano le nove, aveva avuto giusto il tempo di farsi una doccia, fare colazione con Alonso e dare da mangiare a Claudia, (che non era del tutto autosufficiente), che il suo amico gli aveva suggerito di andare in giardino, e lì li aveva incontrati: Agatha, i gemelli, Nadia, Davide, e molte altre persone che non aveva mai visto prima. C’era un ragazzo che dichiarava di saper controllare le nuvole; una donna che gli ricordò molto Muster, dato che aveva il dono della preveggenza; un ragazzino di circa undici anni che leggeva nel pensiero, un uomo che sapeva si materializzava come il vento; una ragazza di vent’anni che diceva di poter provare le emozioni altrui; un giovane di trenta che diceva di saper controllare l’acqua; una ragazzina di circa quindici anni che, scrivendo, poteva cambiare il corso degli eventi. Pochi, a suo parere, ma forse poteva lavorarci meglio che se ne avesse avuti un centinaio.
“Grazie per essere qui. Non ci speravo, davvero. Come vi ho annunciato quando vi ho contattato, ho bisogno del vostro aiuto. Un uomo, Serventi, vuole…”
“Sappiamo perché siamo qui” disse la donna chiaroveggente “e vogliamo dirti che sosteniamo la tua causa, Gabriel, tutti. Ognuno di noi ha ponderato la situazione e sa a che cosa va incontro. Tuttavia, abbiamo fatto la nostra scelta.”
Gabriel sorrise divertito “Volevo solo dirvi… siete ancora in tempo per ritirarvi, se non siete sicuri.”
Ci fu un silenzio d’assenso. Lui li squadrò, ad uno ad uno; loro sorrisero.
“Va bene” disse, sfregandosi le mani “si inizia da oggi, abbiamo un mese di tempo.”
Non sapeva proprio come allenarli, non si era mai trovato in una situazione del genere, a dover affrontare una battaglia, e tuttavia era lì, loro erano lì e guardavano a lui con fiducia, come una sorta di capo, di stratega militare. Così, diede a tutti alloggio nella sua villa, e cercò di metterli tutti a loro agio. Erano tutti entusiasti di una villa così grande, i bambini, soprattutto.
“Dov’è Claudia?” gli aveva subito chiesto la bambina dei gemelli.
Quella domanda lo spiazzò.
“E’ di sopra, non sta molto bene, sta riposando.”
“Voglio vederla!”
“No, non mi sembra il caso. Appena starà meglio, te la farò incontrare, va bene?” le rispose, baciandola sulla fronte.
Ma Claudia, nei giorni che passarono, non accennò affatto a stare meglio. Lui la nutriva, la lavava, le prestava mille attenzioni nonostante i suoi impegni, ma lei sembrava scivolare lentamente in uno stato di morte apparente, e lui era sempre più disperato. Aveva solo il suo lavoro di stratega e allenatore ora, a distrarlo; non sapeva come allenare le sue reclute singolarmente, ma aveva trovato un primo esercizio che poteva andare bene per tutti, almeno all’inizio: la meditazione. Aveva già sperimentato quella tecnica molte volte su di sé, con ottimi risultati; ogni volta che era profondamente assorto in preghiera, entrava in uno stato di serenità tale che lo rendeva immune da ogni distrazione e da ogni altro pensiero. Questo sarebbe stato un valido aiuto durante la battaglia, e li avrebbe sostenuti psicologicamente.
“Socchiudete gli occhi e guardate la punta del vostro naso. Ascoltate il vostro respiro che si fa sempre più intenso, che diventa calmo, che scende e si diffonde in tutto il vostro corpo. Se allenerete il respiro, allenerete la mente, se allenerete la mente, nessun avversario potrà turbarvi.” Le luci erano spente e solo il lume di una candela illuminava la stanza, facendo giochi di chiaroscuri sul soffitto “Continuate così fino a quando…”
“Gabriel!” Alonso era entrato trafelato, sbattendo la porta. Gli allievi di Gabriel sussultarono.
“Non ora, Alonso, sono impegnato” disse lui, un po’ infastidito.
“Sì, ma si tratta di Claudia, sta molto male, Gabriel! Credo che stia per…” non riuscì a finire la frase.
In un attimo, Gabriel si era precipitato nella sua stanza, e vi aveva trovato Claudia in preda ai brividi. Le toccò la fronte: era fredda. Sembrava attanagliata da un dolore lacerante, perché si toccava il corpo in maniera convulsa. Le prese la testa fra le mani.
“Claudia! Claudia!”
Lei lo guardò, intensamente, come se tutta la sua anima fosse racchiusa in quegli occhi azzurri.
“Chi sei, angelo del paradiso? Ho sentito che il tuo nome è Gabriel, ma non mi ricordo se sei stata una persona importante nella mia vita. Vedo una placca bianca intorno al tuo collo, sei un sacerdote? Perché ti prendi così tanta cura di me, con un amore che io non credo di meritarmi? Non so chi tu sia, ma sento di amarti, sento che non potrei vivere senza di te. In questi giorni mi hai regalato momenti indimenticabili, nel modo in cui mi toccavi, mi nutrivi, mi lavavi, mi hai trasmesso emozioni che credo nessun uomo mi abbia mai saputo trasmettere. Ma chi sono io per meritare tutto questo? Non lo so, non so nemmeno chi sono, eppure, mentre scivolo nell’oblio, sento che non potrò lasciare questo mondo senza aver guardato per un’ultima volta i tuoi occhi azzurri. Ti amo, e se questo mio amore mi porterà all’inferno, allora che sia!”
Mentre pensava questo, senza poterlo dire, Claudia cinse con una mano il collo di Gabriel e appoggiò le labbra sulle sue, poi, sopraffatta dallo sforzo, cadde all’indietro, priva di vita.
“Claudia!!!”



Ecco a voi il 7 capitolo, e scusate tanto per la scena un po’ erotica del bagno! Non vi preoccupate, Gabriel salverà Claudia! Ho cercato di aggiungere personaggi nuovi, dobbiamo fare una battaglia! Ora sarò assente per un po’, il 23 e il 24 ho due esami tosti, ma mi farò vedere verso il fine settimana! Scusate se non ho ancora risposto a tutte, lo farò quanto prima. Vi voglio bene!!! Godetevi la lettura, e ditemi cosa ne pensate!

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Capitolo 8
*** Miracolo ***


“No! No! No! Non puoi farmi questo, ti prego, svegliati!!!” urlava, fra le lacrime, guardando il volto esanime di Claudia.
Sentì dei passi dietro di sé, accompagnati dai dei bisbigli. Tutti i suoi amici e Alonso erano lì sulla porta a guardarlo, trattenendo il fiato. I gemelli piangevano: erano molto affezionati a Claudia.
Alonso gli si avvicinò, lentamente.
“Non c’è niente che tu possa fare, ormai” gli disse, storcendo la bocca per frenare le lacrime che stavano per solcargli il volto “è troppo tardi.”
Lui scosse la testa, come impazzito. “No, no! Posso ancora fare qualcosa, posso salvarla!”
“Gabriel…”
Ma lui aveva già messo la mano sinistra sulla sua fronte e la desta su quella di Claudia, pronto a riportarla indietro. “Aspettami, amore, sto arrivando!”

Tutto nero, come un pozzo di cui non si vede il fondo. Poi, una luce accecante lo avvolse; era nel limbo, un posto ormai a lui molto familiare. E in mezzo a tutto quel bianco immateriale, la vide: eccola, gli voltava le spalle, stava per andare via, per varcare la soglia dell’aldilà. No, non lo avrebbe permesso! Urlò il suo nome, con quanto fiato aveva in gola.
“Dove sono finita? Cos’è tutto questo bianco? Non ricordo nemmeno come ci sono arrivata qui! Ma certo, devo essere morta! E questo dev’essere il paradiso, o no? E’ deludente, me lo immaginavo più bello, e invece, è tutto bianco, immateriale… forse, per me che sono atea, è così. Forse dovrei proseguire, sì, sento che sarebbe la cosa più giusta, eppure c’è qualcosa dentro di me che mi frena, qualcosa che mi dice che ho ancora qualcosa da fare nella mia vita, che devo ancora vivere… c’è qualcosa, o qualcuno, che mi sta aspettando…”
“Claudia!!!”
“Cos’ è questa voce?” si voltò, e infine lo vide “E’ lui!”
Per un attimo, rimase lì ferma, mentre lui le si avvicinava… “sei il prete che si è preso cura di me” si avvicinava sempre di più “sei Gabriel” lui stava correndo “Gabriel?! Il mio Gabriel!!!” ora era a pochi passi da lei “tu sei Gabriel, l’uomo di cui sono perdutamente innamorata, e io sono Claudia, una psicologa!” l’aveva raggiunta, e i loro visi quasi si sfioravano. Lui la guardava con occhi imploranti, azzurri, intensi… gli occhi che anche Serventi non era riuscito a impedirle di amare… e ora lei ricordava tutto, tutto, specialmente il modo in cui si era preso cura di lei, il suo tocco, e quegli occhi, quegli occhi che non avevano mai smesso di guardarla come la stavano guardando adesso.
“Claudia, vieni con me!” le disse, prendendole una mano.
“Gabriel” una lacrima le sgorgò da un occhio “amore mio.” Si coprì la bocca con una mano per quelle improprie parole, blasfeme… e insieme così dolci.
A quel nome, a quell’osservazione, lui sentì una morsa allo stomaco, e sospirò, mentre il cuore gli si riempiva di gioia. Aveva riacquistato la memoria e la voce! Le mise una mano sul viso, che lei coprì con la sua. Rimasero a fissarsi per alcuni secondi; avrebbero voluto stare così per sempre, ma non c’era tempo da perdere, lui doveva salvarla!
“Andiamo!” la esortò, e si voltò per correre verso la porta che conduceva alla salvezza, col cuore che gli martellava nel petto, la mano di Claudia stretta nella sua. Stava correndo come non aveva mai corso in vita sua, come non aveva mai fatto con nessuno delle persone che aveva riportato in vita. Guardava la porta farsi sempre più grande, più vicina, l’avevano quasi raggiunta. Ma, quando stava per allungare la mano libera per afferrare la maniglia, vide con orrore lo spettro di un uomo che non avrebbe mai voluto incontrare, e che tormentava la sua vita come una peste bubbonica: lo spettro di Serventi era ancora più minaccioso dell’uomo in carne ed ossa. Lo guardava con occhi neri, iniettati di odio e di malvagità. No, non l’avrebbe lasciato fare, non gli avrebbe permesso di portargli via la sua Claudia! Fosse l’ultima cosa che avrebbe fatto, fosse rimasto chiuso in quel limbo per sempre, non gliel’avrebbe permesso!
Coprì Claudia col suo corpo, nascondendola dietro di sé ma senza lasciarla andare via.
“Prendi me! Prendi me, demone dell’Inferno! Io non la lascerò morire!!!”
Il fantasma di Serventi sorrise, e Gabriel fu invaso dal solito fulmine che gli percorreva il corpo. Per un attimo vacillò, non si sentiva più le gambe, aveva la testa in fiamme, come se nella sua mente fosse improvvisamente divampato un inferno; sentiva, però, la voce di Claudia, che chiamava il suo nome; questo gli diede una forza che non pensava di avere: si alzò, a fatica, e stese una mano contro il fantasma, come per allontanarlo da sé.
“Và via!!! Prendi me!!! Uccidimi, uccidimi ora, e non dovremmo più combattere!”
Il suo potere si riattivò, e sentì una forza immensa scaturire dal suo corpo, uscire dalla sua mano, e colpire il fantasma, che si dissolse come fumo.
Via libera, potevano andare. In un attimo, aveva aperto la porta; in un attimo, si era ritrovato riverso su Claudia, stesa sul letto dei suoi genitori; Claudia, che ora lo stava guardando assennata e con occhi innamorati, che ora stava facendo il gesto più bello che avesse mai pensato fosse possibile: gli prese la testa fra le mani, avvicinandolo a sé…
“Mio eroe!” parole sussurrate all’orecchio, dalla voce che aveva sempre amato, una voce che gli era mancata così tanto! E così, incurante della gente che stava guardando, Gabriel si lasciò attirare dalle labbra di Claudia. Non le ricordava così soffici, così invitanti… e si ritrovarono a baciarsi appassionatamente, prima dolcemente, poi in maniera quasi vorace, mentre Gabriel le cingeva una mano intorno alla vita e Claudia gli accarezzava i capelli, premeva la sua testa per guidare i suoi baci. Era tornata, era tornata! Era viva, aveva riacquistato la memoria, la voce! Era ritornata ad essere la sua Claudia!
Continuarono a baciarsi così per un tempo indefinito, dimenticandosi che c’era gente che li stava guardando, gente che però non pensava che quel bacio fra un prete e una donna fosse sconveniente, anzi, molti piangevano per avere assistito ad una scena così intensa, i bambini ridevano felici e un po’ vergognosi; e le persone che non erano ancora a conoscenza del potere di Gabriel, erano rimaste allibite e scioccate, ma in senso positivo: credevano fosse solo un prete, e invece era un uomo con un potere così forte e raro che avrebbe potuto contrastare un esercito. In un attimo i loro dubbi sulla vittoria su Serventi si dissiparono del tutto. Alonso guardava quella scena con occhi paterni pieni di lacrime: aveva assistito non solo alla manifestazione del potere di Gabriel, ma anche ad un altro miracolo: l’amore.

“AHHH!!!!”
“Signore, signore, che c’è?!”
“Stammi lontano!!!”
Si scostò dall’uomo, facendolo sobbalzare all’indietro con la forza della mente.
“Non ho bisogno di nessuno, io!” urlò, furibondo, appoggiandosi al suo bastone dal manico argentato. Aveva sentito come un pugnale nel cervello, e, per un attimo, aveva temuto che sarebbe scoppiato da un momento all’altro. Si alzò, ansimando. Cos’era stato? Un attacco di emicrania? No, no, non ne aveva mai avute… era colpa sua, tutta colpa sua!
“Gabriel, ti ammazzerò! Giuro che ti ammazzerò!!!”




Ok, ho detto che non avrei postato più niente fino al fine settimana, ma dopo ora china sui libri a studiare Buddhismo e Psicoanalisi, avevo bisogno di sfogarmi. Capitolo scritto un po’ di fretta, dallo stile un po’ rozzo, ma spero che non vi abbia deluso! Il prossimo dopo venerdì!

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Capitolo 9
*** Papà, ti chiedo scusa! ***


Claudia si stava finalmente riprendendo. Serventi le aveva manomesso l’unica cosa che lei non avrebbe mai creduto nessuno avrebbe mai osato toccarle: il suo cervello. E lo aveva fatto proprio perché era una psicologa: ridurre alla pazzia un medico che cura le malattie mentali altrui gli era sembrata una sfida divertente, e aveva raggiunto il suo scopo, almeno per un po’. Fosse stata una psicoterapeuta qualunque, Claudia sarebbe scivolata lentamente nella pazzia, nonostante Gariel l’avesse salvata. Ma lei era molto più di questo: aveva indagato abbastanza nel paranormale da non farsi piegare da un lieve shock, perché ormai sapeva che c’erano misteri inspiegabili; inoltre, grazie alla sua intelligenza e forza d’animo fuori dal comune, stava vincendo il turbamento e riacquistando la sua indipendenza; e, infine, aveva lui. Finalmente, aveva lui. Glielo aveva detto, una di quelle mattine, quando Gabriel era andato a vederla prima di iniziare il suo ormai consueto allenamento.
“Mi pare di sentire ancora le sue mani su di me” disse lei, ricordando il giorno in cui Serventi l’aveva rapita. Era seduta sul letto, con indosso una lunga camicia da notte che era appartenuta a Clara Antinori, e si guardava le mani, che teneva in grembo.
Gabriel, a sentire quelle parole, digrignò i denti.
“Lo odio… si pentirà amaramente di averti toccata! Pensavo di essere arrivato troppo tardi… eppure avrei potuto impedirgli di rapirti, avrei dovuto proteggerti!” disse, strofinandosi insistentemente la fronte.
“Ma lo hai fatto!” disse, alzandosi e dirigendosi verso di lui “lo hai fatto! Mi hai dato da mangiare, mi hai accudito, mi hai lavato…” lo guardò con occhi languidi, arrossendo “il modo in cui ti sei preso cura di me… il tuo tocco ha cancellato ogni traccia di Serventi sul mio corpo, ricordo tutto, ogni minimo particolare. E poi mi hai salvato la vita, stavo morendo e tu mi hai salvata! Mi hai salvata da lui, dalla sua presenza nella mia mente! Quando ero impazzita per colpa sua, sentivo e vedevo tutto, ma non potevo interagire col mondo esterno, come una persona affetta da autismo… ma appena chiudevo gli occhi, il mio mondo interiore mi uccideva: vedevo soltanto lui, la sua faccia, il suo spettro, nei miei sogni, e ogni volta che lo vedevo, sentivo che mi risucchiava via tutta l’energia vitale. Ci è quasi riuscito, e mi avrebbe ucciso, se non fossi arrivato tu… a dirgli di prendere te al posto mio.”
Gli toccò il viso con una dolcezza estrema, una carezza delicata, e poi, seppur esitante, appoggiò le labbra sulle sue. Lui la strinse a sé, rispondendo al bacio… il corpo leggiadro di quella donna stretto al suo, quello che bastava per accendere il fuoco che sentiva già, dentro.

“Mauro, più pioggia!”
Il ragazzo che controllava le nuvole annuì, poi alzò gli occhi al cielo, che subito diventarono bianchi, trasformando la pioggerellina fine in una pioggia scrosciante. In poco tempo, tutti loro camminavano sul terreno fangoso, e facevano molta più fatica ad allenarsi, specialmente Nadia, che stava avendo non poche difficoltà a mantenere stabile il falò che aveva fatto nascere dal nulla, e che ora si stava velocemente spegnendo; provò con tutta la forza della sua mente di tenerlo vivo, ma senza risultato.
“Non devi controllare la fiamma solo con la forza della mente, Nadia, ma con l’intenzione!” le disse Gabriel, avvicinandosi.
“In che senso?” le chiese lei, fissandolo stupita.
“Devi volerlo.
“Ma io lo voglio! Voglio che non si spenga con la pioggia, ma non ci riesco! Come posso accendere una fiamma quando poi l’acqua lo spegne? E’ pura fisica, non sono solo poteri!”
“Anche io non credevo di avere il potere di resuscitare le persone, poi un giorno l’ho voluto, e ho ritrovato il mio potere assopito. Continua ad esercitarti! Riuscirai a farlo, prima o poi! Ricorda quello che hai imparato durante la meditazione!”
Nadia continuò, cercando di concentrarsi meglio, mettendoci l’intenzione. Non successe niente, ma, dopo mezz’ora buona di prove fallite, vide muoversi una piccola fiamma, debole, blu, che svanì subito, ma ci era riuscita! Ci era riuscita nonostante la pioggia! Guardò Gabriel, felice; luì annuì, compiaciuto. Poi, passò a vedere quello che stavano combinando gli altri: i gemelli stavano facendo volare le api sopra le loro teste, e si divertivano a formare figure geometriche con gli insetti; prima un cubo, poi una piramide, poi un piccolo elefantino ronzante. Il loro compito era uno dei più semplici: dovevano controllare sempre di più le api, di cui erano già padroni. Gabriel, però, aveva insistito di entrare nella loro mente, per sentire anche le loro emozioni e le loro esigenze “dovete fare come se voi stessi siate api, dovete quasi sentirle addosso. Da questo momento in poi, controllerete api anche quando mangiate e dormite.” E loro, diligenti, avevano preso le parole alla lettera. Ottimo risultato, qui. Anna, la donna che aveva il dono della preveggenza, e Dario, il ragazzino che leggeva nel pensiero, si stavano allenando insieme: Anna doveva trasmettere alla mente di Dario notizie sul suo futuro, e Dario doveva rifiutarle, erigendo un muro protettivo invisibile, una lotta molto ardua, soprattutto considerato che Dario non sempre voleva erigere quel muro: lui voleva sapere quelle notizie sul suo futuro, e questo lo distoglieva sempre di più dal suo intento.
“Non va bene, Dario! Se continui a volere che Anna intacchi la tua mente, lei lo farà sempre! Devi respingerla! Usa il potere dell’attenzione! Devi essere vigile, attento e nel pieno controllo delle tue facoltà mentali, se vuoi batterla! Non farti abbindolare da pensieri allettanti, o perderai!”
Era difficile da spiegare, figuriamoci praticarlo… aveva bisogno di aiuto, di un esperto nel campo. Quasi avesse gli stessi poteri telepatici di Dario, Claudia urlò:
“Concentra tutta la tua mente sul vuoto! Non pensare, e ti riuscirà più facile scacciarla dalla tua testa!”
Per un attimo, Dario si voltò a guardarla, come imbambolato; poi, seguì il suo consiglio. Sembrava facesse uno sforzo enorme: gocce di sudore gli imperlavano la fronte, e lui ansimava come se avesse fatto tre chilometri di corsa. Ma poi, dopo qualche minuto, Anna si toccò la fronte, e il sottile filo invisibile che li univa si spezzò.
“Mi hai fatto male!” lo rimproverò lei.
Il ragazzino rise, ancora ansimante “scusa!”
Pure Davide rise, ma poi si unì alla coppia: ora doveva allenarsi anche lui con Dario, poi, avrebbero lavorato tutti e tre insieme.
Enzo, l’uomo che controllava l’acqua, stava unendo le gocce di pioggia per fare pressappoco la stessa cosa che stavano facendo i gemelli: farle prendere forma, anche se per lui la sfida si faceva ancora più ardua, dato che l’acqua diventava sempre più pesante. Dopo questo, avrebbe dovuto raccoglierla per formarne tanti pesi da dieci chili che poi avrebbe sollevato in continuazione, una sorta di sollevamento pesi per la mente; poi, avrebbe dovuto riempirne due secchi enormi che avrebbe dovuto portare in spalla, correndo sotto la pioggia. Antonio cercava di evitare le gocce di pioggia, correndo più veloce della luce, tanto da formare una linea di colore indistinta. Agatha stava dipingendo il più possibile tutto quello che le passava per la testa, l’unica istruzione che le avesse dato Gabriel fino a quel momento, e la stessa cosa stava facendo Elisa, la quindicenne, con la scrittura. Giada, la ragazza che riusciva ad avvertire le emozioni altrui, era al centro, e stava accogliendo le emozioni di tutti dentro di sé: questa era cosa facile, il difficile era scivolare in una specie di vuoto per non farsi prendere dalle emozioni, per accantonarle ed esaminarle con cura, come fossero solo semplice materiale da smistare; per nessuna ragione doveva prestare attenzione a nessuna di loro in particolare, ma farle fluire con calma dentro di sé.

Doveva farla fluire con calma dentro di sé, quella passione che lo stava attanagliando, mentre guardava Claudia, quell’angelo dal cuore di un leone, che dormiva. Doveva calmarsi, si diceva, mentre le faceva scorrere una mano fra i capelli castani, a cui la luce della luna dava riflessi ramati.
“Bellissima.” Riuscì solo a dire, mentre lei si muoveva nel sonno. Timoroso di svegliarla, decise di alzarsi, e di andarsene dalla stanza facendo meno rumore possibile. Si avviò per i corridoi bui, verso la sua stanza, e si adagiò sul letto, ancora vestito. Era stata una giornata impegnativa, e gli allenamenti erano stati sfiancanti. Sì, perché lui si allenava insieme ai suoi allievi, anche se faceva più esercizi fisici come corsa e meditazione che altro… quanto avrebbe voluto fare un po’ di canottaggio! Si ricordava ancora quando suo padre, Sebastiano Antinori, gli aveva impartito la prima lezione di canoa. Aveva quattro anni, ed era andato in montagna con lui. Il padre l’aveva condotto vicino un piccolo fiume che scorreva abbastanza lento per poter pagaiare.
“La prima regola per la canoa è… sicurezza! Ecco perché ho portato un salvagente per te!” disse, mostrandogli il giubbotto di sicurezza arancione.
“Ma papà, io non ho bisogno di quello, sono grande!” aveva detto lui, facendo il broncio.
Suo padre aveva fatto l’espressione corrucciata, poi, aveva sorriso, con uno strano luccichio negli occhi “ma il salvagente ti aiuta a fare i muscoli, così diventerai grande e forte come il tuo papà!” disse, facendo i muscoli con le braccia.
Gabriel rise: in quel momento suo padre non gli sembrava un bell’uomo, quale effettivamente era, ma solo molto buffo.
“Ridi?! Perché ridi? Vuoi dire che il tuo papà non è bello?! Adesso ti faccio vedere io, capelli rossi! Vieni qui!” disse, prendendolo in braccio e facendogli il solletico.
“Ahhh! Papà, papà, basta! Basta!”
Poi la scena cambiò: erano al mare, e Gabriel stava facendo un castello di sabbia, ma, dopo che la torre era caduta già tre volte, si era stufato.
“Non sta su, papà!” disse, deluso.
Suo padre sorrise indulgente “Questo è perché non gli hai messo la colla!”
“Colla?! Papà, ma è sabbia!”
“Lo so, ma io per colla, intendevo l’acqua: se ci metti l’acqua, il tuo castello crescerà sano e forte, mattone dopo mattone.” Si alzò a prendere un po’ di acqua marina col secchiello, e la versò sulla sabbia, che iniziò a modellare. Venti minuti dopo, era pronto il più bel castello che Gabriel avesse mai visto.
Poi…
“Papà, guarda!”
Erano nel giardino di Villa Antinori, e Gabriel aveva raccolto un merlo ferito ad una zampa.
“Vieni qui, lo curiamo!” aveva detto Sebastiano, e gli aveva permesso di accudirlo per una settimana, fino a che non morì. Gabriel aveva cinque anni, e fu allora che il suo potere si manifestò per la prima volta.
“Papà, l’uccellino è vivo!” suo padre l’aveva guardato incredulo, poi aveva messo una mano sulla spalla del figlio. “Strano, molto strano… comunque sia, sei stato bravo!”
“Papà, io ho dei poteri?” gli aveva chiesto, con l’ingenuità di un bambino.
Sebastiano aveva annuito, ancora sconcertato. Poi, aveva guardato gli occhi azzurri di suo figlio, che lo scrutavano come per leggere le sue emozioni.
“Sei arrabbiato con me?” aveva chiesto, con un po’ di paura.
Lui aveva fatto un lieve sorriso “certo che no! Hai fatto una cosa molto bella, sei un bravo bambino! Bravo e bellissimo!” poi, lo aveva sollevato e fatto sedere sulle sue spalle “sì, sei proprio un bel bambino! Il mio dolce angioletto!”
Poi, la scena che lo aveva fatto impazzire da piccolo: sua madre che faceva sesso con suo zio; il fantasma di suo padre era lì, piangeva, inascoltato, fra i sospiri blasfemi e traditori della coppia, e Gabriel, che guardava inorridito.
Gabriel non si era accorto di piangere nel sonno, di chiamare suo padre fra i singhiozzi, se ne accorse solo quando si svegliò di soprassalto.
“Papà, ti chiedo scusa! Ti chiedo scusa per non essere tuo figlio, ti chiedo scusa di essere il frutto di un tradimento! Papà, papà, ti voglio bene, ti ho sempre voluto bene, non è stata colpa mia! Tu sei mio padre, qualsiasi cosa mia madre abbia fatto, tu sei mio padre!!!” aveva detto, quasi urlando, stringendo le coperte a sé come per proteggersi. E allora l’aveva sentito: una mano gelida sulla sua testa. Aveva alzato la testa… e lui era lì! Il fantasma di suo padre era lì, e lo fissava con occhi neri, pieni di tristezza…
“Papà…” aveva alzato una mano per toccarlo, ma quella mano gli era passata attraverso.
“Gabriel, che su…” Claudia si era coperta la bocca, per soffocare un grido di paura.
“Tranquilla, non spaventarti, non ci farà del male!” disse Gabriel, alzandosi, cingendole le spalle con un braccio.
“Vero, papà?” aveva chiesto al fantasma, che aveva annuito.
Lo spettro fece loro cenno di sedersi sul letto. Era diverso da come Gabriel lo aveva sempre visto: aveva la bocca chiusa, anche se il petto era ancora insanguinato. Sembrava non poter parlare. Questo lo fece Gabriel.
“Papà, mi dispiace per quello che è successo… mi dispiace per quello che ti ha fatto la mamma, mi dispiace di non essere tuo figlio” gli disse, con un filo di voce.
Ma Sebastiano agitava la testa per negare.
“Papà, che cosa vuoi dirmi? Dove sei ora, in paradiso? Perché continui a tornare?”
Lo spettro indicò il sangue sul suo petto.
“Per… per quello che ti ha fatto mio zio? Parlami, papà!” lo istigò, ma suo padre si limitava a scuotere debolmente la testa.
Poi, si era voltato a guardare Claudia e, lentamente, aveva allungato una mano verso di lei. La donna si ritrasse, paurosa; a quella reazione, il fantasma aveva ancora agitato la testa, e le aveva toccato la guancia, per alcuni secondi, poi i capelli; un secondo dopo, aveva avvicinato le fronti dei due giovani perché si toccassero, poi, aveva preso le loro mani e le aveva intrecciate. Fatto questo, si era fermato a guardarli, compiaciuto della sua impresa, e aveva annuito, per poi dissolversi, incurante delle parole di Gabriel che lo esortavano a restare, a non andare via. Ma ormai era successo. Quando suo padre se ne fu andato, Gabriel appoggiò la testa sua petto di Claudia, e iniziò a piangere sommessamente, chiamando suo padre, mentre Claudia lo stringeva a sé, accarezzandolo, facendogli sentire la sua presenza. Si era ritrovato a baciare il petto della donna che non era coperto dalla camicia da notte, e fra i baci le sue labbra formavano una sola parola: “papà!”
 

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Capitolo 10
*** Il cerchio ***


Nonostante la notte prima avesse visto lo spettro di suo padre, le braccia di Claudia gli avevano evitato una notte insonne. Si era svegliato e l’aveva trovata ancora lì, impegnata a proteggerlo anche nei suoi sogni. Come se non bastasse, i gemelli entrarono urlando e ridendo nella camera, svegliando Claudia e infastidendo non poco Gabriel, che tuttavia si rasserenò guardando i due bambini che saltellavano felici sul letto. Alle loro insistenti suppliche per un bacio con Claudia, lui decise che forse era meglio alzarsi e iniziare la giornata, facendo colazione con Alonso, a cui rivelò tutto quello che era successo la notte scorsa.
“Tuo padre vuole dirti qualcosa, Gabriel! Sta cercando di dirti di non prendere mai niente per scontato, se sai cosa intendo!” i suoi occhi lo guardarono attentamente da sotto le sopracciglia folte e bianche.
“Ti riferisci a Claudia?” chiese lui, sorseggiando il suo latte caldo.
“Sì, ma credo non sia l’unica cosa che tuo padre volesse dirti.”
“Che cosa vuoi dire?”
“Chiedilo a Claudia, è lei la psicologa. Dille i sogni che hai fatto prima d’incontrare tuo padre.”
Gabriel rise, quasi maleducatamente “Alonso, ormai dovresti aver capito che tipo di persona è Claudia: scettica fino al midollo.”
Alonso si alzò “dopo che tu l’hai salvata e dopo che ha visto tuo padre sotto forma di spettro, ieri notte, molto meno. O dovrei dire che io conosco meglio quella donna dell’uomo che la ama? Mi deludi!” disse, guardandolo con cipiglio.
Gabriel arrossì. Solo allora notò che in Alonso c’era qualcosa di diverso.
“La… la tua talare!”
“Cosa?”
“Non la indossi!”
In effetti, Alonso portava dei jeans stracciati e un maglione rosso.
“Ho voluto fare uno strappo alla regola: non sono in una Chiesa né in servizio, perché non adagiarsi un po’?” chiese, facendo un sorriso furbo, per poi uscire in giardino.
 
Seguì il suo consiglio: disse a Claudia di aver sognato suo padre, prima di vedere il suo spettro, e le raccontò quegli episodi del passato (perché era appunto quello che erano) nei minimi particolari. Con sua grande sorpresa, il responso di Claudia fu diverso da quello che si era aspettato.
“Tuo padre vuole dirti qualcosa con quei sogni, Gabriel! Vuole dirti che ti ha voluto bene, nonostante tua madre abbia fatto quello che ha fatto.”
Lui la guardò allibito “dov’è finita la dottoressa scettica che ho conosciuto?”
Lei sorrise “c’è ancora, Gabriel, c’è ancora quella parte di me che non crede ai fantasmi, che asserisce che molti profeti del passato erano ciarlatani… ma questo non è il tuo caso, e non è il caso dell’uomo che ho visto ieri… quando mi ha toccato… ho capito subito che era reale… come il suo desiderio di vederci uniti.” Detto questo, lo guardò intensamente negli occhi, e vi lesse tutto l’amore misto alla paura che un uomo avesse mai trasmesso ad una donna. Paura di cosa? Di non poterla avere? Di non poter andare fino in fondo, con lei? Decise che era abbastanza di farsi domande senza risposta, e si schiarì la gola.
“Ho visto che stai allenando i tuoi allievi con la meditazione, secondo me è un ottimo metodo. Certe tecniche di meditazione vengono affiancate alla terapia in alcuni casi che richiedono un aiuto in più. Mi permetti di partecipare ai tuoi allenamenti? Sarei felice di dare il mio contributo!” disse, entusiasta.
“Claudia, no… ti stai ancora riprendendo…”
“Credi che non possa allenare dei futuri soldati perché sono una donna? O perché non ho poteri paranormali? Ti farò vedere io, da oggi!” gli disse, in un tono divertito di sfida. 
In effetti, gli fece vedere quello che sapeva fare: Claudia si dimostrò un valido aiuto per allenare quelle persone dai poteri paranormali, e non era certo impreparata: oltre le sue doti di psicoterapeuta, era attenta, vigile, umana. Fu lei da quel momento in poi a dare lezioni di meditazione. All’aperto, disponeva tutti in cerchio, con solo Giada nel mezzo, a fare da tramite per assorbire le emozioni degli altri. Dopo mattinate di meditazione, quindici giorni dopo accadde qualcosa d’incredibile: parevano tutti immersi in un sonno profondo, i respiri erano profondi e regolari. Il tempo per Giada sembrava essersi fermato, sentiva tanti battiti del cuore, tanti respiri dentro di sé, tante menti pulite e libere da ogni pensiero. Trasferì la sua volontà ai suoi compagni, trasmettendo la sua libertà, il suo corpo scisso dalla sua mente, e tuttavia unito: il cerchio venne unito da una folata di vento, che si alzava dal terreno e diventava sempre più intensa, mano a mano che la mente di Giada si connetteva alla loro. Improvvisamente, furono invasi da una felicità tale da potersi sentire eterni, e capirono lo scopo delle loro esistenze, più che mai unite in un cerchio perfetto… avrebbero vinto quella battaglia!
 
“Vincerò questa battaglia, lo so!” disse, ridendo stupidamente.
“Ne sei proprio sicuro?” gli chiese una voce femminile.
“Hai dei dubbi?” le chiese, voltandosi a guardarla.
“No, è solo che ti chiedo di non sottovalutarlo, potrebbe una carta da giocare.”
“Ah! Ah! Ah! Ma anche io ho la mia” disse, accarezzando un cane nero al suo fianco. Il cane era di razza bulldog, con strani occhi rossi… il suo muso quadrato si trasfigurò in un ghigno strano. Forse era uno scherzo della luce, ma era come se quel cane stesse… ridendo

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Capitolo 11
*** L'essere perfetto ***


Avevano tutti piena fiducia in lui, da quando l’avevano visto salvare Claudia e il suo potere immenso si era manifestato. Si sentivano al sicuro, protetti, sapevano che con lui avrebbero vinto. Eppure l’ansia li attanagliava, ora che erano giunti alla vigilia della battaglia, gli mordeva l’anima più che mai, e temevano di non riuscire a scacciarla, nemmeno con la meditazione. Potevano solo mitigarla, mitigarla e aspettare che quel dannato giorno arrivasse. Quel giorno, si allenarono più del dovuto, cercando di non pensare a ciò che li attendeva, focalizzando la loro mente sull’allenamento, mantenendo la “nuda attenzione”, come la definiva Claudia. Ma non erano del tutto tranquilli, questo Gabriel glielo vedeva negli occhi, lo sentiva nelle loro voci, lo avvertiva in ogni movimento che facevano. Verso sera, spossati, rientrarono in casa, parlando sommessamente, Enzo e Nadia mano nella mano. Gabriel sorrise, vedendoli.
“E’ un bravo ragazzo, maturo, diverso da quelli che chiedono solo una cosa. Ci siamo messi insieme una settimana fa e stiamo progettando di andare a vivere insieme” gli aveva rivelato, il primo giorno che si erano rivisti “e poi, dato che lui controlla l’acqua, non rischio di bruciarlo vivo ogni volta che provo un’emozione forte, sai… diciamo che siamo perfettamente compatibili” aveva concluso, arrossendo divertita.
Perfettamente compatibile… quello che voleva essere con Claudia, ma non poteva.

Successe quella notte. Erano le 11 e quasi tutti erano andati a letto, per essere perfettamente riposati in vista della battaglia dell’indomani. Gabriel era rimasto in salotto, seduto sul divano insieme ad Alonso, come quella sera che aveva salvato Claudia. Claudia… non riusciva a togliersela dalla testa. Si alzò, passeggiando nervosamente, e andando ad aprire la finestra per attenuare il caldo soffocante nella stanza… e la vide: stava passeggiando nel parco della Villa. Sapeva che era lei, perché solo lei aveva quei capelli così meravigliosamente castani, quella camminata così aggraziata e sicura, quella figura così sinuosa…
“Smettila di guardarla soltanto e prendi una decisione” la voce di Alonso lo fece sobbalzare.
“Che? Come?” chiese, con fare incerto.
Alonso sbuffò “Fai una scelta, e questa volta definitiva. Stai per affrontare una battaglia dove probabilmente ci rimetterai la pelle, che hai da perdere, ormai?”
Gabriel sospirò. Aveva ragione. Doveva scegliere. Eppure…
“A volte, quando la guardo, sono quasi sicuro di scegliere lei, di cedere, finalmente… ma poi quella scena di Demetrio e mia madre mi affiora davanti agli occhi come un incubo…”
“Non mi parlare di quel traditore assassino! Non nominarlo nemmeno! Ciò che tu provi per Claudia non ha niente a che fare con quello che i tuoi genitori hanno fatto! Il loro è stato un tradimento, una menzogna, e non voglio sapere se c’era qualcosa di più oltre il sesso, non m’interessa! Sta di fatto che quel verme ipocrita ti ha fatto la predica per aver baciato quell’angelo di donna e ha fatto di tutto per tenervi separati, riuscendoci! Non lo capisci ancora?! Il vostro era un amore vero e lui l’ha distrutto!” aveva detto quelle parole rabbiosamente, quasi senza riprendere fiato.
Gabriel rimase a guardarlo sconcertato, perché mai Alonso gli aveva parlato con quel tono.
Alonso sospirò, riprendendo a parlare con un tono più pacato.
“Gabriel… il vostro è amore vero, l’ho visto nel modo in cui ti sei preoccupato per lei quando ha perso la memoria, nel modo in cui ti sei preso cura di lei; ho visto la disperazione nei tuoi occhi alla paura di perderla, il modo in cui l’hai salvata, il modo in cui la guardi: non ci può essere colpa in questo. Può essere una colpa, l’amore? Cosa predicava Gesù, Gabriel? Predicava l’amore! Quando ha chiamato a sé i discepoli, loro avevano delle famiglie, e gli ha chiesto di lasciare tutto per seguire i suoi insegnamenti, ma non di smettere di amare! E tu che sei il suo tredicesimo apostolo, non hai ancora capito il succo di quello che lui predicava? Lui ha condannato la lussuria fine a sé stessa, l’adulterio e il tradimento, ha condannato quello che Demetrio e tua madre hanno fatto! Ma non una cosa così pura come l’amore! Se vai contro l’amore, se rifiuti quello che c’è fra te e Claudia, allora andrai contro l’amore che lui ha tanto elogiato, contro di Lui! Contro di te! Non farti questo, non fare questo a quella povera ragazza, che non ti chiede altro che il tuo amore! Va’ da lei, adesso! Amala, dalle tutto te stesso, segui il tuo cuore e non la tua mente, una volta tanto! Non è egoismo questo, ma il miracolo più bello del mondo, sta a te renderlo possibile o meno!”
Gabriel era rimasto a bocca aperta nel sentire quelle parole. D’un colpo, aveva capito. Capito tutto il significato della sua inutile vita, il suo scopo, tutto. Abbracciò di slancio il Gesuita, che ricambiò, paternamente, poi si staccò di colpo e scese in fretta le scale. Qualche secondo dopo, si ritrovò nel giardino dove Claudia stava ancora passeggiando, guardando la luna e le stelle. Era bellissima. Così bella che gli occhi in un istante gli si riempirono di lacrime. Le scacciò, e si avviò correndo verso di lei.
“Claudia!”
Lei si voltò, di scatto. Vedendolo lì, in piedi, a pochi passi da lei, sorrise.
“Ciao, Gabriel.”
“Ti va di fare una passeggiata notturna?” le chiese, prendendo tutto il suo coraggio.
Gli occhi di Claudia brillarono; annuì.
Qualche istante dopo, stavano passeggiando fianco a fianco. Nessuno dei due sapeva cosa dire, ma tutti e due erano contenti di essere lì, insieme, questo è certo. Lo si vedeva nel modo in cui si muovevano, avvicinandosi piano, quasi a volersi attirare come due calamite. Gabriel si diresse verso il fitto bosco che limitava la villa, facendosi strada fra i rami; Claudia, seppur stupita di una così inusuale destinazione, lo seguì senza fiatare. Si fermarono davanti a un albero dal diametro grande, alto e robusto. Si guardarono per pochi secondi, quel tanto che bastava per farli arrossire entrambi. Fu Claudia a parlare.
“Domani è il giorno fatidico… la battaglia contro Serventi.”
Gabriel annuì “sì.”
“Come ti senti?” le chiese, apprensiva.
Lui sospirò “domani forse… forse non sopravvivrò…”
Claudia sussultò, e incominciò a scuotere la testa.
“No!”
“E’ molto potente, e avrà anche lui un esercito…”
“No!”
“Questa potrebbe essere la mia ultima notte!”
“No, non dire così, ti prego!” disse, con la voce incrinata da un pianto nascente, avvicinandosi a lui e prendendogli la testa fra le mani “non dirlo!”
Lui restò fermo come una statua a guardare quei bellissimi occhi castani che tanto amava riflettere la luna, poi parlò, la testa ancora fra le mani di lei.
“Mi batterò contro di lui con tutte le mie forze, lo farò per te, per fargli rimpiangere quello che ti ha fatto… ti ho quasi persa per colpa sua! Ha fatto uno sbaglio che pagherà duramente!” così dicendo, fece per baciarla, ma non aveva neanche raggiunto le sue labbra che la scena di Demetrio e sua madre gli saltò subito agli occhi, così vivida da fargli male… loro, e il fantasma di suo padre che piangeva inascoltato, vedendoli.
Si staccò da lei.
“Ancora quella dannata scena! Vedo ancora mia madre con Demetrio, e mio padre che li guarda! E’ orribile!” disse, con gli occhi velati di tristezza.
Claudia rimase lì, immobile, non sapendo che fare, come comportarsi: aveva anni di esperienza in psicoterapia, ma vedendo l’uomo che amava soffrire in quel modo, si sentiva troppo coinvolta, cosa poteva fare? Lui continuò.
“Quel… traditore! Mi riempiva di prediche e ramanzine solo per un bacio che ci eravamo scambiati e… GUARDA CHE HA FATTO! HA TRADITO MIO PADRE E L’HA UCCISO! Lo odio! Lo odio!” disse, stringendo le mani a pugno.
Fu in quel momento che Claudia decise di agire “Gabriel” disse, mentre gli occhi cominciavano a riempirsi di lacrime “qualche giorno dopo che ci eravamo scambiati quel bacio, dopo che tu eri stato rifiutato dal Direttorio, lui è venuto da me.”
Gabriel la guardò incredulo “Cosa?!”
“Lui… lui ha voluto incontrarmi, e mi ha detto che… che ero una minaccia per te, e di lasciarti stare… ha detto che ti stavo rovinando la vita” deglutì “ho pensato che forse aveva ragione, così ho cercato di dimenticarti… una delle sere in cui tu eri solo ad indagare su un caso, io ho incontrato il mio ex e… abbiamo fatto… abbiamo…”
“No!” disse lui, il cuore spezzato.
Lei emise un singhiozzo “ho cercato di dimenticarti fra le sue braccia, sperando di riuscirci, ma non ce l’ho fatta… quella notte, quando ero con lui, speravo che fossi tu a toccarmi in quel modo, tu! E poi, quando sei venuto da me… oh, Gabriel, quando sei venuto da me per fare l’amore, io ti desideravo, come non ho mai desiderato un uomo in vita mia! Ma le parole di Demetrio… lui diceva che era tutto sbagliato! Tutto! Io ti amavo, e ti amo come non ho mai amato nessuno, io ti desideravo, quella notte, ti desideravo terribilmente…” non riuscì a frenare le lacrime un secondo di più, e le lasciò scorrere, lasciò che i singhiozzi prendessero il sopravvento.
Gabriel era rimasto scioccato da quella confessione… era stato lui! Era tutta colpa sua! Li aveva separati, era come aveva detto Alonso!
“No!” urlò, accasciandosi al suolo e prendendolo a pugni.
Claudia, scossa da quella visione, gli si accostò, e, piano, gli toccò una spalla.
“Gabriel, mi dispiace…”
Lui si alzò per guardarla. Poi, con la voce tremante, riuscì a spiccicare parola.
“Non doveva mettersi in mezzo! Lui, lui che ha tradito mio padre con mia madre, non doveva ostacolarci!  Non ne aveva il diritto, né il potere!  E’ stato per colpa sua che tu hai deciso di andare con un altro uomo, è stata colpa sua se noi quella notte non abbiamo fatto l’amore, colpa sua, tutta colpa sua! Se non si fosse intromesso, noi quella notte l’avremmo passata insieme! Io… io lo avevo sognato… ti avevo sognata…”
“Oh, Gabriel!”
“Ti avevo sognata, e tu eri felice, stavamo per passare la notte più bella della nostra vita… la sensazione della tua pelle addosso… è stato solo un sogno?”
“Gabriel… perché mi dici questo? Vuoi farmi morire?! Perché, perché ho passato la notte con lui?” disse, nascondendosi il viso fra le mani, per la vergogna.
Gabriel le sollevò il mento con un dito “perché ti sentivi vulnerabile, perché pensavi che fra noi fosse tutto finito, perché pensavi che dovessimo smetterla… oh, che stupido sono stato! Ho fatto il gioco di Demetrio, sono rimasto nella Chiesa, quando l’unica scelta che dovevo fare era una, così semplice: te! Me ne sono accorto solo quando stavo per perderti… ti avevo ritrovato, avevo appena capito che non potevo stare senza di te, e tu stavi morendo lì, fra le mie braccia, non credo che avrei mai potuto sopportare una cosa del genere… e ora ti amo più che mai!”
Si avvicinò ancora di più a lei, così che i loro nasi quasi si toccarono, e le mise una mano su una guancia.
“E non voglio perdere questa notte. Non pensare che ti ami solo perché me lo dice una stupida profezia, perché anche se nessuno avrebbe mai predetto il nostro amore, sono sicuro che ti avrei amata più della mia anima, e che avrei scelto te, te fra tutte le donne del mondo, sempre e solo te! Non mi rendevo conto di aver fatto la mia scelta già fin da quando ti ho incontrata… sono rimasto folgorato! Tu sei il mio angelo custode, e io ti ho scelto! Io ho già scelto! Questa notte voglio unirmi a te, Claudia! Voglio finalmente amarti, anima e corpo! Se dovessi morire domani, almeno non morirò col rimpianto di non averti avuta, di non avere toccato la tua dolce pelle, le tue labbra! Voglio formare un essere solo con te, questa notte, voglio danzare con te la danza più dolce, quella dell’amore! Claudia… il mio angelo… ti amo!”
Non aveva bisogno di dire altro: dai suoi occhi castani leggeva tutto il suo desiderio, tutta l’impazienza… quella sarebbe stata la loro tanto attesa notte… finalmente.
Si avvicinò per baciarla, dolcemente, baciò quelle labbra che ormai conosceva bene. Non appena l’ebbe fatto, sentì un fiotto di felicità penetrargli il cuore, che prima credeva si stesse spezzando, un cuore ormai guarito, e che batteva all’impazzata. Claudia si lasciò sfuggire un grido di stupore, mentre lui la sollevava in aria per poi racchiuderla in un abbraccio, appoggiando teneramente la sua fronte a quella della donna che amava; riprese a baciarla, questa volta così intensamente che un attimo dopo caddero a terra, uno sull’altra. A questo punto Gabriel si staccò da lei, per guardarla negli occhi. Si scambiarono uno sguardo d’intesa: era giunto il momento. Lui prese a sfilarle la camicetta, con mano tremante, bottone dopo bottone, baciando ogni lembo di pelle che scopriva, partendo dal collo, poi andando alle spalle, poi al petto non coperto dal reggiseno, sentendo i suoi sospiri, i suoi battiti del cuore accelerati, fino all’inizio del ventre. Si bloccò alla vista dei jeans, quei jeans che le coprivano le gambe, mai così superflui e indesiderati. Alzò la testa per guardarla: gli occhi di Claudia comunicavano una sola cosa: passione, abbandono completo. Non ebbe più dubbi, e glieli sfilò, rabbrividendo nel toccare quelle gambe così perfette e lisce, ben tornite, quasi rigide sotto i suoi polpastrelli. Non resistette, e le baciò una coscia, quasi all’altezza dell’inguine, mentre lei si lasciava sfuggire un sospiro. Quella pelle era calda e morbida. Sentiva un fuoco dentro come non aveva mai sperimentato fino a quel momento, una sensazione così insistente, una sete così terribile che desiderava solo spegnere, spegnere sulla pelle di quell’essere angelico, troppo bello per essere vero. Lei si mise a sedere, avvicinandosi a lui, sfiorandogli il naso con il suo e, finalmente, gli sfilò quella stoffa bianca da lei tanto odiata, e prese a sbottonargli la camicia. Non osava nemmeno baciarlo, non potendo togliere gli occhi da quello che stava scoprendo; non voleva perdersi un singolo millimetro di quelle sue spalle forti e robuste, di quelle sue braccia muscolose, di quel torace scolpito come quello di un Adone. Lui, impaziente, le afferrò con dolcezza le mani e la aiutò a togliergli i pantaloni. Si sbarazzarono di ciò che rimaneva dei vestiti, e rimasero a fissare i loro reciproci corpi nudi centimetro dopo centimetro, con bramosia crescente. Gabriel era rimasto accecato da tutta quella bellezza che all’improvviso si era rivelata ai suoi occhi. Gli angeli esistevano davvero, ne aveva la prova, ora che guardava la sua pelle ambrata resa quasi argentea dalla luce della luna. Incapace di resistere ancora, si avvinghiò al suo esile corpo e prese a baciarla con forza, appassionatamente, con tutto l’amore che nutriva per lei. Quel bacio si faceva sempre più intenso e lascivo, ma, all’improvviso, lui decise che non gli bastava più, e fece la cosa più sensata che avesse mai fatto in vita sua: entrò dentro di lei.
“Oh, Gabriel!” invocò Claudia, mentre lui rimaneva come senza fiato.
Era la sensazione più bella che avesse mai provato, meglio di qualsiasi cosa avesse sempre sognato. Un formicolio gli saliva dall’inguine per attraversare tutto il suo corpo, riempiendolo di un calore forte, intenso, ma rassicurante. Felice, si chinò a baciare la sua bocca semichiusa, trasmettendole tutto il suo desiderio. E, proprio allora, inconsapevolmente, entrò anche nella mente di lei, nella sua anima: le stava trasmettendo le sue emozioni con la forza della sua mente, per renderla partecipe. Lei rimase per un attimo spiazzata: il primo impulso fu quello di respingerlo dalla sua mente, preoccupata per quella che lei ricordava essere una violenza, ma poi si rilassò, e lo lasciò entrare. Voleva essere sua, mente, anima e corpo, così gli svelò le sue emozioni, mettendo a nudo la sua anima, oltre che il suo corpo. Si stavano unendo anche spiritualmente, provavano le emozioni l’uno dell’altra. Lui si spinse ancora più dentro di lei, reprimendo un gemito di piacere, che però lei non nascose, sopraffatta dal modo in cui lui la stava desiderando: nelle loro menti, videro le loro rispettive esistenze, da bambini, il tempo che avevano passato separati, quando ancora non si conoscevano, il giorno in cui s’incontrarono… si stavano unendo sempre di più e Claudia, impaziente e bramosa di lui, incrociò le gambe attorno al suo corpo, sentendolo teso per lo sforzo. Gabriel, a quel punto, la strinse a sé e la aiutò a sedersi, guardandola un attimo negli occhi, riprendendo fiato, mentre un leggero sudore gli imperlava la fronte, per lo sforzo sia fisico, sia mentale di tenere collegate le loro menti. Claudia pensò che nessun uomo si era mai comportato così, nessuno l’aveva mai desiderata così tanto, da rivelarle anche le sue emozioni perché potessero godere appieno l’uno dell’altra. Sorrise, e prese a baciargli il collo, mentre lui continuava a fare di loro una cosa sola, nella mente e nel corpo. Stavano danzando il ballo dell’amore, e lui la conduceva sicuro, la faceva scivolare fra le sue braccia. E mano a mano che si congiungevano, rivivevano i loro momenti passati insieme: il bacio che lei gli aveva dato; quel bacio sfiorato davanti al camino; quel bacio intenso; il momento in cui lei era appartenuta con il corpo ad un altro uomo, ma con la mente e con il cuore sempre e soltanto a lui; il loro amore ferito, quella dannata notte; e, quando rividero la scena di quando lui le diceva addio, Claudia si lasciò sfuggire un singhiozzo: lui le baciò la fronte “non ti lascerò più!” le sussurrò. Lei, allora, si abbandonò completamente a lui, sospirando e baciandolo… stavano per diventare uno… di più, sempre di più… Gabriel abbassò la testa per scendere con le labbra dal collo fino al suo seno, baciandolo dolcemente, per poi risalire di nuovo fino alla sua bocca, mentre il fuoco dentro di loro cresceva, divampava, diventava un incendio… e poi avvenne: l’incendio avvampò dentro di loro come una stella incandescente, mentre loro si univano finalmente in un unico essere, come un fiore impollinato da un’ape, come pioggerellina fine che vada a dissetare una piantina appena nata, come due pezzi dello stesso mosaico… alzarono le teste e gridarono la loro unione verso il cielo stellato, all’unisono, e, meccanicamente, si presero le mani e le sollevarono sopra di loro, quasi a voler testimoniare a Dio stesso di aver compiuto il loro miracolo. Si presero la testa fra le mani, guardandosi intensamente negli occhi e vedendosi non più come due esseri separati, ma come l’Essere Perfetto, un Essere Unico. Prima che la magia della loro unione finisse, le loro bocche s’intrecciarono, baciandosi con dolcezza estrema fino a quando Claudia, sentendo le vertigini, si aggrappò a lui per non cadere, e lui la tenne stretta, reggendole dolcemente la testa. Caddero sull’erba, l’uno fra le braccia dell’altra. Gabriel la coprì col suo corpo affinché non sentisse freddo. La luna brillava più intensa, ora che due esseri dal cuore puro si erano congiunti, e rischiarava i loro corpi nudi, avvinghiati nel sonno.

Quando Gabriel e Claudia si stavano unendo, diversi miracoli andarono manifestandosi, a loro insaputa: tre indemoniati furono liberati all’istante; cinquanta chilometri più in là, uno stupratore cadde privo di forze prima anche di toccare la sua vittima, che fuggì; le persone dai poteri speciali che erano dalla loro parte vennero invasi da una forza spaventosa, che in un attimo triplicò i loro poteri, e che li fece prostrare in ginocchio, sapendo che qualcosa di meraviglioso stava accadendo; così fece anche Alonso, che stava avvertendo una felicità mai provata prima, come se avesse visto una luce celeste. Si ritrovò a piangere, e a ringraziare Dio per avergli mostrato cos’era l’amore, lui, un uomo di Chiesa. Solo Giada aveva capito cos’era successo: Gabriel e Claudia avvertivano un amore talmente puro l’uno per l’altra, che non potevano manifestare senza che avesse ripercussioni pure intorno a loro: unendosi, avevano ascoltato quell’amore, il Sentimento che avrebbe travolto tutto.

Serventi cadde bocconi sul pavimento. Sentiva che gli mancavano le forze, il respiro gli si era mozzato in gola e non riusciva a contenere il panico. Avvertiva come un dolore fisico che dal petto gli si propagava per tutto il corpo, quasi dilaniandolo come mille pugnali. E una voce, un urlo in testa: “Pentiti!” Per un attimo, gli parve di vedere una luce accecante, poi una figura indistinta che si faceva sempre più chiara: Claudia e Gabriel nudi, abbracciati, avvolti da una luce dorata; una musica celestiale e indefinita si diffondeva intorno a loro, come acqua cristallina che sgorga da una cascata, come piante che crescono, come il canto delizioso di miriadi di uccelli. “Pentiti!” l’immagine si fece sempre più nitida, facendogli male… sentiva che il cervello gli si stava sgretolando in testa. Poi una pugnalata allo stomaco: forse rimorso per i suoi crimini? Gli sfuggì una lacrima involontaria, stava per commuoversi. Ma poi scacciò via quella visione pura e celestiale.
“Non riuscirai mai a convertirmi, mi hai capito?! Io scelgo la via del male! Perché questa è la strada che voglio percorrere!!!”
Non aveva fatto neanche in tempo a finire di urlare quelle parole, che cadde svenuto sul freddo pavimento di marmo.


Allora, premetto che il capitolo è un po’ lungo e la scena d’amore molto erotica e un po’ esagerata, mi dispiace, ma volevo descriverla al meglio sia fisicamente che sentimentalmente, anche usando similitudini inventate da me. Se pensate che il fatto dei miracoli dopo la scena d’amore sia stupida, vi prego, non esitate a dirmelo! Critiche ben accette, anche perché non ho riletto il capitolo (non lo faccio mai).
 

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Capitolo 12
*** La tigre è in agguato ***


Furono svegliati dai primi raggi del sole mattutino. I begli occhi castani di lei si tuffarono all’istante in quegli azzurri di lui. Anche nel sonno quel filo conduttore con cui erano unite le loro menti, non era svanito, e avevano sognato di essere ancora lì, stesi su quel prato, in un eterno abbraccio. Ma col sole del mattino, tutto questo era stato spazzato via, lo sentivano. Perché al posto di quell’amore, quel giorno ci sarebbe stata una guerra, una guerra che avrebbe deciso il destino di molti, e ne sarebbero stati i protagonisti principali. Non sapevano se dopo quel momento si sarebbero più rivisti. Con questo pensiero nella mente e con lo sconforto nel cuore, Claudia si alzò, aiutata da Gabriel. Il suo uomo doveva andare in guerra, e lei doveva essere forte, doveva aspettarlo, e sperare. Cercò i loro vestiti, e li trovò poco distanti da loro, ai piedi dell’enorme albero; li prese, e cominciò a vestirlo. I suoi movimenti erano accorti, scrupolosi: stette attenta che i pantaloni seguissero una piega ordinata, ad attaccare bene, bottone dopo bottone, quella camicia nera, stirandola sul suo busto, sulla perfetta tartaruga dell’addome, raddrizzando le maniche, sentendo ancora le braccia muscolose che l’avevano stretta quella notte, aggiustandogli il colletto. Mancava la striscia di stoffa bianca: la cercò con gli occhi. Eccola lì, quasi nascosta dall’erba, fra le radici dell’albero. Ma… sorrise.
“Non so come mettertela.”
Lui fece per mostrarglielo, poi, bloccato da un pensiero improvviso, fece una cosa che Claudia non si sarebbe mai aspettata: mise quell’oggetto che lo classificava come prelato fra le mani di lei, chiudendole le dita intorno a quello che lui pensava non sarebbe stato un troppo gradito pegno d’amore.
“Voglio che lo tenga tu. Quando sarò lì, in battaglia, e tu vorrai sentirmi vicino, stringi questa stoffa fra le tue mani, e io saprò di essere nei tuoi pensieri. Questo mi darà la forza di andare avanti” disse, guardandola intensamente negli occhi.
Lei guardò pensierosa quel pezzo di stoffa, che fino ad un momento fa odiava, ma che ora era l’unica cosa di lui che le avrebbe tenuto compagnia durante quell’attesa brutale, l’unica cosa che le avrebbe lenito l’angoscia di pensarlo combattere contro un mostro. Alzò gli occhi per guardare il suo viso. Era sereno, e pieno d’amore. Tuttavia, intravedeva della tristezza nel profondo dei suoi occhi blu.
“Io… non ho niente che mi appartenga adesso, non ho niente da darti, ma…” gli prese la testa fra le mani, che reggevano ancora la stoffa “desidero che questo mio bacio ti porti fortuna.”
Un attimo, un tempo infinito, due labbra che si incontravano, si intrecciavano, si gustavano, si dicevano di amarsi e di essere una cosa sola, che speravano di ritrovarsi. Mai due labbra furono così compatibili.
Dopo quello che sembrò l’eternità, si separarono, e Gabriel la guardò negli occhi. Quel bacio non aveva saziato la sua voglia, ma gli aveva dato una ragione per fare quello che si era prefissato da molto tempo.
“In nome di questo bacio mi getterei nell’Inferno per affrontare il diavolo in persona” disse, sorridendo mestamente, prendendole le mani e chinandosi per darle un leggero bacio sul collo.

Erano tutti lì, nel salone d’ingresso, aspettandolo. Molti avevano fatto una notte insonne, troppo ansiosi per chiudere gli occhi e rischiare di fare incubi, di sognare quel corvo maledetto. Tuttavia, erano determinati, decisi: sarebbero andati fino in fondo. Con lui al loro fianco, non avrebbero fallito. Nadia era seduta in un angolo, lo sguardo perso nel vuoto: sapeva cos’era la guerra. Aveva visto le persone trucidate per le strade, sentito il rumore delle bombe, avvertito l’odio profondo di un essere umano che ne annienta un altro, e non aveva nessuna intenzione di rivedere quelle scene. Ma questa volta, era per una giusta causa. Soprattutto, non sarebbe stata lì a subire come civile, ma avrebbe agito come soldato. La cosa la eccitava, perché sapeva che i suoi poteri si erano triplicati, soprattutto dopo quella strana notte, inspiegabilmente; ma la spaventava anche, ancora non conosceva l’entità della sua nuova forza. Gli altri stavano facendo pressappoco i suoi stessi pensieri, anche se non avevano mai visto la guerra. Elisa stava con la testa sulle gambe di Agatha: durante l’allenamento avevano scoperto che i loro poteri erano quasi affini ed erano diventate amiche, ma ora nemmeno le arti potevano sollevare loro il morale. L’unica quasi completamente calma era Giada: seduta comoda a gambe incrociate, gli occhi chiusi a fissare l’oscurità, avvolta da una sfera invisibile che la isolava dal resto del mondo e le permetteva di ascoltare il vuoto intorno a sé, riusciva ad accantonare ogni sua emozione, e a liberare la mente. Era in uno stato di serena tranquillità. Sentiva due presenze avvicinarsi, a passi lenti, verso l’androne della Villa. Quelle due anime durante la notte erano diventate una sola. E tuttavia c’era qualcosa di strano: riusciva a sentire anche un’altra presenza, seppure piccola e flebile, che li accompagnava, ma non era un essere umano, non poteva esserlo. Si concentrò… possibile che? “Sì” pensò, sorridendo “dev’essere per forza così.”
Si liberò dal campo di protezione, svegliandosi dal torpore. Loro erano lì, erano arrivati, e tutti gli astanti si alzarono in piedi. Gabriel avanzò a passo lento verso di loro, fermandosi al centro della stanza. Notarono che non aveva la stoffa bianca al collo. Sembrava pallido in viso, ma quando aprì la bocca la sua voce non tradì un minimo di esitazione: era carismatica, potente, virile.
“Presto arriveranno. Questa sarà una battaglia impegnativa, cruenta. Chiunque voglia tirarsi indietro, lo faccia ora, perché fra poco non potrà più farlo!”
Tutti si guardarono in viso, come per domandare all’altro quale fosse la sua decisione. Poi si voltarono verso di lui, rimanendo al loro posto. Avevano già deciso.
“Alcuni di voi” continuò allora “resteranno qui, nella Villa: i bambini, Anna, Giada e Alonso e…” si voltò a guardarla “Claudia.”
Lei scosse la testa “no, io non ti lascio da solo!”
“E’ troppo pericoloso” le disse, avvicinandosi a lei “non c’è niente che tu possa fare, rischieresti la vita inutilmente, e io non voglio perderti ancora. Ti prego, fa’ come ti chiedo.”
La donna sospirò “va bene.”
Gabriel sorrise. Sapeva che gli avrebbe obbedito: era l’altra metà della sua anima.
Continuò a dare istruzioni “quegli che resteranno qui, avranno il compito più arduo: voglio che costruiate un campo di forza con le vostre menti intorno alla Villa e che proteggiate Alonso e Claudia. Nessuno dovrà entrare, avete capito?”
Gli interpellati annuirono.
“Inoltre… dovete controllare la battaglia attraverso la mente, dovete combattere dall’interno. Con gli occhi della mente, dovrete vigilare sui vostri compagni che combatteranno in prima fila, aiutandoli nel momento del bisogno con i vostri poteri, come vi ho insegnato, e comunicare con loro e fra di voi. So di chiedervi molto, ma vi prego, non deludetemi! I vostri poteri possono fare la differenza fra la vita e la morte… quanto a questo, finché ci sarò io, posso riportarvi in vita, ma se dovessi… se non dovessi farcela…”
In quel momento sembrò che il sangue dalle facce degli astanti fosse colato via dall’interno; Claudia soffocò un grido di paura.
“Cercherò di non farmi uccidere” concluse, sorridendo.
“Gabriel” era stato Alonso a parlare.
Il giovane lo guardò.
Alonso si schiarì la voce “spediscilo al Creatore!”
Gabriel rise di gusto “lo farò.”
Poi s’immobilizzò di colpo, e, assieme a lui, le persone con poteri telepatici: la tigre stava arrivando. Si stava avvicinando velocemente, ma non era sola: era accompagnata da dieci persone dai poteri speciali, e da un’altra normale, molto probabilmente una donna. Stettero in attesa, ad aspettarlo, con tensione sempre crescente.
“Vieni fuori!”la sua voce si diffuse per la Villa, eppure lui non era lì dentro, era fuori “stai giocando a nascondino? Vieni fuori, vieni a combattere, Gabriel! E’ il giorno della resa dei conti!”
Al suono di quella voce le schiene di tutti erano state percorse da un brivido; Claudia si abbracciò le spalle, timorosa al ricordo di quella voce nella sua testa, e di quello che le aveva fatto.
Gabriel guardò i suoi allievi “Incominciano le danze. Date il meglio di voi!”
Fu con questa frase, e con un ultimo sguardo e un pensiero telepatico d’addio a Claudia “sta’ al sicuro, amore mio!” che Gabriel guidò il suo piccolo esercito fuori dalla porta, per andare ad affrontare la più difficile battaglia che avesse mai combattuto.




Ed ecco a voi l’inizio della battaglia! Ho pensato di fare prima una specie di prologo, e poi di iniziarla definitivamente. Spero vi piaccia questo capitolo.

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Capitolo 13
*** Sono forse un demone? ***


Appena uscì fuori, la luce del mattino lo accolse. Era una fresca giornata di primavera e il sole picchiava forte, mandando bagliori dorati sul viale di fronte a loro, e illuminando le sagome di dodici figure: quella al centro, la meno gradita alla vista, era di Serventi; se ne stava lì, appoggiato al suo bastone dal manico argentato, con quella chioma scura e lunga ai lati, lucida e untuosa; i suoi accompagnatori erano tutti uomini, tranne che per una persona…
“Mamma?!” Gabriel sussultò, alla vista di una donna dai capelli rosso scuro, di media statura, sulla sessantina.
Clara gli sorrise, uno sguardo che sembrava dolce, o almeno pretendeva di esserlo.
“Gabriel, come stai?” il suo tono era quasi apprensivo.
Gabriel rimase lì, impalato, a fissare sua madre. Non sapeva che fare, né dire.
“Sei dalla loro parte?” chiese, disgustato.
Sua madre annuì “non credo che il tuo sogno, Gabriel, sia realizzabile. Per me, queste persone che tu hai allenato” disse, indicando dietro le spalle di Gabriel “starebbero meglio in un luogo dove possano vivere felici e manifestare liberamente i loro poteri.”
“E farsi esaminare da degli scienziati pazzi fino a perdere la ragione?! Essere torturati da gente come… come lui?!” urlò, indicando Serventi.
“Non potrebbero vivere nella società, Gabriel. Li rifiuterebbe, loro sono diversi. Se fossimo nel Medioevo, verrebbero bruciati sul rogo.”
“Ma non NON siamo nel Medioevo! E loro, prima di essere persone con poteri soprannaturali, sono esseri umani, e vanno trattati come tali! Non come cavie da laboratorio, chiusi in stanze buie, da soli, standosene lì ad aspettare la morte!!! E’ per questo che te ne sei andata? E’ per questo che mi hai abbandonato in tutti questi anni, lasciandomi con mio zio?!”
“Tuo padre…”
“Non chiamarlo così!!!” urlò, pieno di rabbia “tu… perché? Perché? Come hai potuto tradire mio padre? Come hai potuto fare quello che hai fatto?!”
Si fermò, ansimante. Davanti ai suoi occhi si stava riformando quella scena… doveva controllare la rabbia, altrimenti sarebbe finita male per sua madre…
“Gabriel…”
Non pensava che un giorno avrebbe gradito quella voce untuosa, ma in quel momento, quel suono era bene accetto; la scena si stava lentamente dissolvendo, e lui si ritrovò a guardare il viso bianco di Serventi, vicinissimo al suo.
“Vuoi davvero che ti mostri come potrebbe essere?”

Lui strabuzzò gli occhi “come?”
Serventi sorrise “ti offro un’ultima occasione, prima della battaglia: quella di unirti a me… ripensaci! Non vorresti provare, solo per un momento, ad essere il padrone assoluto del mondo? Pensaci! E’ la mia ultima offerta…”

La voce di Serventi ormai era lontana, sempre più lontana… e lui era seduto sulla poltrona di una grande sala di marmo bianco. Ai suoi piedi, c’era un uomo che supplicava.
“Vi prego, vi prego, signore! Ho rubato dalle vostre cucine perché avevo fame! La mia famiglia non mangia da giorni, ho sette bocche da sfamare! Vi prego, abbiate pietà!” l’uomo abbassò la testa, tutto tremante.
Gabriel sorrise “certo, Massimo… dopo anni di fedele servizio come aiuto-cuoco, potrei chiudere un occhio. In fondo, era solo una pagnotta.”
L’uomo alzò la testa verso di lui, le lacrime agli occhi “oh, grazie! Grazie, signore! Siete clemente e misericordioso!” disse, strisciando sui ginocchi e baciando la sua mano. Lui la ritrasse.
“Ho detto… potrei!” la sua voce era suadente, dolce, sembrava una nenia. Una nenia per cullare un neonato. E tuttavia, l’uomo inorridì al suono di quella voce.
“Co… come, signore?” la voce dell’uomo tremava, era un gemito, una preghiera; non c’era più sangue sul suo viso.
“Oh, mio caro Massimo” disse, alzandosi, e prendendogli il mento fra le mani “mi piacerebbe molto risparmiarti, ma è stato un furto, capisci? Hai commesso un reato, non vorrai dare un cattivo esempio agli altri servi, vero?”
“No… no, signore” la voce dell’uomo era rotta dai singhiozzi. Il suo corpo troppo magro, dal quale sporgevano le ossa, riprese a tremare “ma, signore, vi prego, mia moglie… i miei sei bambini… ho un bambino di sei mesi, è malato, molto, molto malato, vi prego, signore!” ormai l’uomo aveva abbandonato ogni ritegno, e piangeva pietosamente, un grosso moccolo che gli sgorgava da una narice.
“Oh, non preoccuparti” gli rispose, accarezzandogli una guancia “porterò qui tutta la tua famiglia…”
“Oh, signore, grazie!” esclamò l’uomo, per quello che pensava fosse un atto di generosità.
“E li ucciderò tutti, affinché non sentano la tua mancanza!!!”
Il suo urlo demoniaco si fuse con quello disperato dell’uomo, che, in un attimo, senza poter fare niente per impedirlo, venne gettato nell’Inferno.
Diede un calcio al cadavere e ordinò a Davide, ormai tredicenne, di toglierlo di mezzo. Il ragazzino annuì e lo trascinò fuori.
Non appena se ne fu andato, Gabriel si sedette compassato sulla sua grande poltrona. Possibile che i suoi servi fossero tutti così incapaci e insoddisfatti? Eppure, cercava di trattarli come esseri umani… i suoi pensieri vennero interrotti dall’ingresso di una donna. Alta, slanciata, indossava un abito bianco e procedeva con passo elegante verso di lui. Una visione.
“Altri problemi con la servitù?” gli chiese, sedendosi sulle sue gambe.
Lui le cinse una vita “Non sai quanti.”
“E per quanto riguarda il popolino?” chiese lei, sorridendo.
“Ah, loro… cosa vuoi che siano quegli ammassi di formiche senza poteri? Finché avrò il mio esercito di super uomini, non potranno nuocermi.”
Lei alzò un sopracciglio “io sono una donna normale, eppure sono la tua donna!” gli ricordò.
Lui sorrise “tu hai il potere speciale di tenere in scacco il mio cuore!”
Si baciarono lascivamente, le mani di lei sul petto di lui, le lingue che si scontravano, fameliche. D’un tratto, lei si scostò da lui.
“Gabriel, no! Io non voglio questo per noi! Io non voglio un regno di terrore! Gabriel, combatti Serventi! Combatti questo tuo potere malvagio, combatti il demone dentro di te! Tu puoi farlo! Questo non è l’uomo di cui mi sono innamorata! Gabriel, combatti per un mondo migliore, combatti per te, combatti per noi!”
Gabriel lanciò un grido di stupore: Claudia stava scomparendo! Tutto intorno a lui stava scomparendo! Fece per afferrare le mani di lei, ma non ci riuscì: si ritrovò bocconi, sul prato, ansimando. No. Niente poteri demoniaci, no! Doveva combattere tutto questo. Claudia, la sensazione di quelle labbra sulle sue, il ricordo della notte d’amore, quando erano stati una cosa sola, il suono della sua voce, il modo in cui l’aveva guardato quando aveva tentato di uccidere il suo corteggiatore… Claudia, Claudia, Claudia… la donna per cui si erano riattivati i suoi poteri, la donna per cui stava combattendo adesso, la donna che gli ricordava che stava combattendo per l’Amore, per il loro amore, e senza un mondo di pace, loro non avrebbero potuto amarsi… lei gli aveva dato un pegno d’amore più bello di quello che lui aveva dato a lei: quel bacio.
Si alzò, risoluto, e guardò Serventi con tutto il disprezzo che aveva in corpo.
“Combatti!!!”




Ok, questo è solo un capitolo riempitivo, domani passiamo alla vera battaglia… ho voluto mettere una scena dove il lato dark di Gabriel si scatena, ipotizzando un futuro un po’ diverso

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Capitolo 14
*** La battaglia ***


“Noi siamo undici, voi solo sette, c’è una leggera disparità di numero!” disse Serventi con un sorriso sinistro, guardando con occhio critico i soldati di Gabriel.
“Potremmo anche essere in minoranza, ma vi faremo rimpiangere di essere nati!” ribatté aspro Gabriel.
“Se lo dici tu.” Serventi accarezzò il suo bastone d’argento “ti consiglio di ritirarti prima di fare una brutta fine.”
“Parla per te!”
Gabriel in quel momento, nonostante quelle parole, ebbe un attimo di paura: in effetti Serventi non aveva tutti i torti, soprattutto perché non conosceva ancora i poteri delle persone che erano dalla sua parte… per un attimo… considerò la cosa.
“Certo, basterebbe un mio sguardo, e saranno annientati definitivamente. Non ho mai sperimentato il mio potere su più persone contemporaneamente… potrei provare…” bastò un attimo che quel pensiero li balenasse nella mente, e lui sentì crescere dentro di sé il suo potere demoniaco… sì, sarebbe stato tutto molto più facile, avrebbe vinto facilmente la battaglia, e avrebbe fatto fuori pure Serventi. Stava per aprire le porte dell’inferno, quando all’improvviso il viso di Claudia gli apparve, etereo, luminoso… No! Uccidendo i suoi avversari, avrebbe fatto il gioco di Serventi e sarebbe passato al lato oscuro, ciò che il suo nemico voleva; doveva combattere lealmente.
Con la forza della mente, fece cenno ai suoi di disporsi in posizione: avevano studiato un linguaggio particolare che doveva essere trasmesso telepaticamente, senza parlare, facile da recepire e immediato; loro sapevano già quello che dovevano fare, bastava un suo via. Velocemente, presero i posti che lui aveva assegnato loro: Nadia e Enzo subito dietro di lui; Elisa ed Agatha cinquanta passi dietro di loro, tutto l’occorrente per scrivere per la prima e quello per disegnare per la seconda, erano disposte una affianco all’altra; Antonio e Mauro al centro. Vista dall’alto, la loro postazione sembrava un cerchio. Gli uomini di Serventi, invece, erano disposti in due colonne di cinque, Serventi in testa. La madre di Gabriel era in disparte, quasi in prossimità della porta della villa, e guardava la scena. I due capi si fissarono per alcuni secondi, quasi aspettandosi che uno o l’altro cominciasse, attaccasse, come due leoni che aspettino il passo falso del contendente per un pezzo di carne. Iniziò Serventi, e Gabriel lo avvertì dal colpo telepatico che ricevette in testa:  madido di sudore, cercava di respingere l’attacco, mentre una luce bianca gli accecava gli occhi; sentiva uno stordimento acuto alla testa, come se stesse per collassare. Si liberò, e diede l’ordine ai suoi di attaccare.
“Ora!!!”
Nadia ed Enzo incominciarono a gettare ondate di fuoco e acqua all’unisono, ma non colpirono i loro avversari: al contrario, salirono al cielo e si intrecciarono a spirale, non estinguendosi, ma unendosi a formare una gigantesca aquila, che, grazie ai poteri mentali di Dario e Davide, che, insieme agli altri che stavano nella villa, erano sintonizzati con i loro compagni come dei televisori, si mosse, volò, si gettò in picchiata, lanciando bolle d’acqua e soffi infuocati… che vennero ridotti a ghiaccio: l’uomo al centro della prima fila aveva un alito così gelido che tramutava in giaccio tutto quello su cui soffiava; in un attimo, la fenice cadde in mille pezzi sul pavimento d’erba. Gli uomini di Gabriel rimasero attoniti. Serventi rise.
“Uno a zero per me, Gabriel! Quale sarà la tua prossima mossa?”
Gabriel sorrise a sua volta “ho appena cominciato.”
Alla chiamata del loro capo, Elisa e Agatha furono pronte ad agire: Agatha aveva disegnato con rapidità estrema un gigante dai muscoli d’acciaio; Elisa aveva scritto:
“Il gigante disegnato da Agatha si moltiplicò, cosicché cinque giganti uscirono dalla tela, e distrussero i soldati di Serventi.”
Così fu: i giganti erano alti tre metri, forti come rocce, e avanzavano minacciosamente verso gli avversari; per un attimo, questi sembrarono spaventati, ma poi, tre di loro avanzarono, e i giganti presero a barcollare, e si accasciarono al suolo; dopodiché, miriadi di piante rampicanti sbucarono dal terreno, e legarono stretti i giganti intontiti, poi avvenne qualcosa che lasciò tutti senza fiato: la terra si mosse, le piante coprirono quei corpi possenti, e fu come se quegli esseri venissero risucchiati dentro la terra: le piante stavano mangiando le loro carni. Un attimo dopo, i giganti erano stati letteralmente seppelliti. Uno dei soldati di Serventi controllava le piante.
“Ah! Ah! Ah!!! Dovrai fare molto meglio di così, per battermi!” Serventi rideva beffardo, di gusto.
Gabriel strinse una mano a pugno “basta con i giochi! Adesso si fa sul serio!!!”
Poi, diede l’ordine a tutti i suoi soldati.
“Mobilitatevi in massa!”
Un attimo dopo, il campo di battaglia era un caos: Mauro aveva scatenato un temporale, cercando di colpire con i fulmini i componenti della squadra avversaria, ma uno di loro li aveva deviati, e Mario si era ritrovato a terra, colpito con le sue stesse armi: quell’uomo controllava i fulmini. Mario si era alzato, perché il suo potere gli consentiva di sopportare scariche elettriche trenta volte superiori al normale, e si era ritrovato a combattere contro di lui. I suoi compagni non se la passavano meglio: Antonio stava combattendo contro un uomo che aveva il suo stesso potere, e stava avendo la peggio. I due avevano ingaggiato una lotta a mani nude e, muovendosi alla velocità della luce, quei colpi erano micidiali, potevano uccidere all’istante. Anche Elisa e Agatha stavano avendo le loro difficoltà: erano protette da un campo di forza generato da Davide e Dario, perfettamente insonorizzato per permettere loro di concentrarsi sui fogli, ma, all’improvviso, il campo di forza si sgretolò, e i loro timpani, come quegli dei loro amici, vennero quasi squarciati da un suono persistente, roboante e fastidioso; sentivano la loro testa scoppiare; tutti si accasciarono a terra, compreso Gabriel.
“Uno di loro controlla i suoni!!! Davide, Dario, Giada, gemelli, ci serve il vostro aiuto! Subito!!!”

Paura… tensione… sforzo fisico… Giada si concentrò ancora di più, cercando di non fare sue quelle emozioni, emozioni che doveva assorbire e tramutare in speranza da trasmettere ai combattenti, speranza e volontà: li sentiva fiacchi, sfiniti.
“Bambini, sapete già quello che dovete fare” comunicò ai gemelli, che annuirono. Un attimo dopo, il campo di battaglia fu invaso da uno sciame d’api, che si riversarono sui loro vicini, tormentandoli. Ma… come faceva l’erba a muoversi? Non era l’erba, ma qualcosa che si muoveva sull’erba… serpenti! Miriadi di serpenti! Viscidi e sinuosi serpenti che strisciavano sui loro amici, s’infilavano nei loro vestiti, facendogli rabbrividire; Nadia bruciò quegli attorno a sé, Enzo cercò di annegarli con delle bolle d’acqua; Agatha ed Elisa tentarono di sconfiggerli con le arti, l'una disegnando aquile, l'altra facendo apparire attraverso il foglio delle manguste, ma i serpenti continuavano ad aumentare… Giada decise di prendere il comando di coloro che stavano dietro le quinte.
“Così non va, stiamo perdendo, ragazzi!”
“Che intendi fare?” le chiese Dario.
“Uniamo insieme le nostre menti, chiudendo i corpi dei nostri amici in un’armatura invisibile, questo li renderà invulnerabili a molti dei loro attacchi; io, intanto, cercherò di infondere loro coraggio quanto basta per annientare la prima fila di uomini, fatto questo, decideremo poi come procedere.”
Lo fecero, e lo scenario davanti ai loro occhi cambiò: ora erano gli uomini di Serventi ad avere la peggio. Dario ordinò ad Agatha ed Elisa di disegnare una sfera bianca che avrebbe risucchiato l’energia degli avversari per poi trasferirla nelle mani dei soldati di Gabriel. Fu una mossa geniale: in un attimo, i soldati di Serventi sembrarono al tappeto.
“Sì! Ce l’abbiamo fatta!!!” urlò Davide.
Giada trasmise loro tutta la sua preoccupazione. “Sta succedendo qualcosa di strano: uno di loro non ha ancora rivelato i suoi poteri.”
“Giada ha ragione, e se fossi in voi, terrei d’occhio anche quell’uomo che controlla i suoni!” aveva detto Anna.
Per un attimo, i ragazzi sembrarono perplessi, poi capirono: con orrore, guardarono l’uomo che controllava i suoni voltarsi verso di loro. Come aveva fatto a individuarli? Ma un secondo dopo i loro pensieri vennero interrotti da un suono stridulo, quasi inesistente, che però fece perdere i sensi a tutti loro, tranne a Giada. Aveva raggiunto gli ultrasuoni! La ragazza guardò con orrore quelle labbra che si schiudevano sempre di più, raggiungendo basse frequenze che dai suoi timpani arrivarono alla sua mente, facendole quasi perdere il contatto, quasi sgretolando il suo campo protettivo: suoni non udibili dall’orecchio umano, ma che esseri con poteri telepatici potevano sentire, e lui aveva imparato a dirigere dove voleva, non intaccando i suoi alleati. Giada cercò di non perdere il contatto con la sua mente.
“Retta concentrazione, retto sforzo! Nuda attenzione!”
Il suono cominciava a perdere frequenza.
“Stacca la mente dal corpo. Io non sono questo corpo!”
L’uomo volò all’indietro; dal suo naso usciva un fiotto di sangue. Giada sorrise.
Claudia e Alonso erano in disparte, seduti in un angolo. Il Gesuita guardava i ragazzi, una ruga di apprensione sulla fronte.
“Stanno facendo del loro meglio” asserì.
“Tu pensi che vinceranno?”
Lui scosse la testa “non lo so. Non voglio mentirti, Claudia: Serventi è molto forte.”
La donna si alzò, e prese a passeggiare avanti e indietro, le mani nei jeans. Le sue dita toccarono qualcosa di morbido: estrasse l’oggetto per vedere cos’era: la stoffa bianca di Gabriel! Quanto avrebbe voluto che lui fosse lì con lei, e non a rischiare la vita lì fuori! Con amore, prese a baciare quel tessuto, concentrandosi sulla sensazione che le aveva fatto provare la sua pelle sulla sua, dentro di sé; il suo corpo muscoloso e virile che stringeva il suo esile di donna.
“Io lo amo!” confessò ad Alonso, senza più vergogna. Cosa inutile, perché l’espressione del Gesuita non sembrava giudicarla, anzi, era come se volesse incoraggiare quel sentimento.
“Lo so, ed è per questo che devi stare qui al sicuro ad aspettarlo, se ti dovesse succedere qualcosa, lui non se lo perdonerebbe mai.”
Lei si sedette accanto a lui, appoggiando la testa sulla sua spalla.
“Non ho mai creduto in Dio, ma se tutti i sacerdoti fossero come te, allora potrei anche convertirmi.”
Lui rise, e le accarezzò la testa “se tutti gli atei fossero come te, il mondo non avrebbe bisogno della religione, perché sarebbe già il pianeta più puro dell’Universo.”
Lei fece per ridere, ma poi si rizzò a sedere, e lanciò un urlo di dolore; un brivido di terrore inspiegabile le aveva percorso la schiena.
“Che c’è?” chiese Alonso, preoccupato.
“Io… ho una brutta sensazione… ho sentito come di un pugnale nello stomaco… non era come immaginato, era quasi reale!”
Non era stata l’unica: la fronte di Giada era imperlata di un sudore freddo. Stava per succedere qualcosa. Di colpo, Claudia si alzò, e fece per uscire: aveva quasi raggiunto la porta, ma una mano di Alonso le aveva improvvisamente bloccato un braccio.
“Devi restare qui! Ricorda, Gabriel desidera che tu non corra rischi!” le disse, quasi brusco.
“No! No! Fammi andare da lui, ti prego! Ha bisogno di me!”
“Non c’è niente che puoi fare! Obbedisci!” questa volta, il tono di Alonso era imperativo.
“Lasciala andare, Alonso! Anche io ho un brutto presentimento! Lasciala andare!” gridò Giada nella testa dell’uomo. Lui si voltò a guardare la ragazza seduta a gambe incrociate come sconcertato: mai aveva ricevuto un messaggio telepatico, e sperimentato un potere speciale.
“Lasciala andare! Sta per succedere qualcosa a Gabriel! Solo Claudia può salvarlo!” questa volta era stata Anna a parlare, ma con le labbra.
Giada aprì un varco nel muro invisibile che proteggeva la villa, e Claudia sgattaiolò fuori.

Gabriel sorrideva compiaciuto: i soldati di Serventi erano al tappeto, e i suoi erano in piedi, seppur ansimanti e stanchi. Avevano vinto; ora toccava a loro due combattere. I due uomini si fissarono, la tigre e il leone, desiderosi di appurare quale fosse il vero re della foresta. Gabriel cominciò a liberare la mente per prepararsi allo scontro: tolse dalla mente ogni pensiero che non fosse quello di Serventi, sul cui viso concentrò tutta la sua volontà. I suoi occhi riuscivano a vedere anche la più piccola ruga su quella pelle pallida, odiosa, liscia come il marmo, ma non altrettanto bella.
Una mano sulla sua spalla; si voltò, e…
“Claudia! Che ci fai qui? Ti avevo detto di restare dentro!”
Lei non rispose; sorrise, e gli mise una mano dietro la nuca. Si avvicinò per baciarlo. Seppure allibito e preoccupato, lui rispose al bacio, per poi staccarsene subito.
“Devi andare via… Claudia, potresti…” la voce gli si mozzò in gola, mentre un pugnale gli trafiggeva il ventre. Lei glielo conficcò dentro fino al manico. Cadde a terra, con un tonfo, ansimante, dolorante, guardando il viso della donna che amava, un viso che si stava trasformando in quello del soldato di Serventi, quello che non aveva ancora combattuto.
“Co… come?”
Un mutaforma.
“Gabriel!!!” questa volta era lei, davvero.
Si ritrovò a guardare il volto di Claudia, quello vero. Alla vista di quel pugnale, lei lanciò un grido disperato, e iniziò a piangere sconsolata.
“Gabriel… Gabriel…”
“Claudia… non piangere… non voglio che l’ultima cosa che vedrò al mondo siano i tuoi occhi tristi” disse, sollevando una mano a fatica e accarezzandole i capelli “ ti prego, sorridi, e morirò felice.”
Lei appoggiò di scatto la testa sul suo viso, strusciandolo, baciandogli le guance, la bocca. “Non dire così, tu non morirai!”
“Gabriel, Gabriel!” erano i suoi ragazzi, tutti lì, alzati intorno a lui. Riuscì a distinguere le facce preoccupate di Nadia, Agatha e Antonio.
“Prenditi cura di loro” disse a Claudia, la voce flebile “ti prego, non abbandonarli. Vivi felice, e ricordati che… ti ho amato.” Dette queste parole, si sfilò il coltello dall’addome: uno spruzzo di sangue gli macchiò la vista. Nonostante questo, riusciva a sentire il pianto di Claudia e il suo respiro affannoso. Con mano tremante, cercò di raggiungerla, pur non vedendola. Riuscì solo a toccare con un fremito le sue labbra morbide, prima di scivolare nell’oblio.




Capitolo lungo, lo so, ci ho messo tre ore per scriverlo. Non è ancora finita la storia, quindi non allarmatevi. Purtroppo non so ora con quanta velocità aggiornerò perché il 10 marzo sarò alla presentazione del mio primo romanzo, e quindi in questi giorni sarò impegnata. Comunque, leggete con calma e congelate la vostra voglia di uccidermi, perché ci saranno ancora molti colpi di scena.
 

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Capitolo 15
*** L'incontro nel limbo ***


Era lì, in quella stanza senza muri, invasa da una luce bianca, una stanza senza inizio né fine. Ormai era come una seconda casa per lui; era perfettamente a suo agio. Ma ora, che fare? Doveva proseguire, o tornare indietro? Era la prima volta che si trovava in una situazione del genere, dove era lui ad essere morto. Sarebbe stato facile tornare indietro? Sì, se lo voleva, poteva farlo, lui aveva il potere di riportare in vita la gente, e ora doveva riportare in vita sé stesso. Stava quasi per girarsi verso la porta, quando qualcosa attrasse la sua attenzione: per l’esattezza, qualcuno. Stupito, affascinato, si diresse lentamente verso la persona che aveva più desiderato rivedere nella sua vita, dopo Claudia. Una persona che gli era mancata terribilmente.
“Papà!”
Non era il suo fantasma, non era un’illusione, era proprio suo padre, così come se lo ricordava. Sparita la ferita al petto, sparito l’urlo senza voce, rimaneva suo padre in carne ed ossa: alto, muscoloso, il mento volitivo e i capelli corvini; indossava gli stessi abiti dell’ultimo giorno che l’aveva visto, il giorno in cui era morto, ucciso da…
“Papà!” ripeté con le lacrime agli occhi, toccandogli una spalla.
Lo sguardo serio di suo padre brillò, e le sue labbra si aprirono in un sorriso.
“Gabriel, è questo il modo di salutare tuo padre, dopo che non lo vedi da così tanto tempo? Quell’incapace di tuo zio ti ha diseducato così tanto da farti dimenticare le buone maniere?” chiese, ridendo, e strinse il figlio in un abbraccio da spaccare le costole.
“Il mio ragazzo!”
Gabriel non sapeva che dire, né come comportarsi: vedere suo padre, lì, in piedi, dopo tanto tempo, gli procurava una sensazione strana, di felicità dolorosa. Oh, quanto gli era mancato!
Sebastiano liberò suo figlio dall’abbraccio, e rimase spiazzato quando vide i suoi occhi riempirsi di lacrime.
“Che c’è? Ti fa così tanta vergogna incontrare di nuovo il tuo vecchio?!” chiese, con falsa sorpresa. In realtà, sapeva cosa stava provando in quel momento: dolore, tristezza, colpa.
Gabriel, nonostante il disagio, rise “papà, io… mi dispiace, non sapevo che mia madre ti avesse tradito con mio… mio zio. Io non sapevo che eri stato assassinato, mi hanno fatto credere che facevi sette sataniche, che ti eri suicidato, solo per sviarmi e non farmi conoscere la verità. Mi hanno tenuto all’oscuro di tutto, io pensavo di essere tuo figlio! Pensavo di non poter più tornare alla Villa perché avevo paura di te, del tuo fantasma, non capivo che mi volevi soltanto aiutare, e a tua volta avevi bisogno di aiuto… non pensavo che era per colpa di quello che una volta chiamavo zio! Papà, io non volevo che morissi! Io ti volevo bene!”
“Anch’io, Gabriel! Anch’io te ne volevo! E pensavo che tu fossi mio figlio, o, almeno, volevo crederlo, l’ho sperato fino all’ultimo. Ero così orgoglioso di essere tuo padre, di avere come figlio un bambino dolce, affettuoso e altruista come te.”

“Papà, vuoi venire a giocare a pallone con me in giardino?”
“Non ora, Gabriel, devo lavorare.” Suo padre era stanco, aveva cerchi neri sotto gli occhi.
“Ma me lo avevi promesso…” disse il bambino, tenendo il broncio.
“Gabriel, non insistere, oggi no! Ora lasciami lavorare, ho ancora molto da fare!” disse Sebastiano, tornando al suo libro, quello stupido testo di Giordano Bruno scribacchiato. Ormai lo studiava da mesi, e passava i giorni chiuso in quel suo studio senza mai vedere nessuno. Gabriel odiava quel libro: da quando suo padre lo leggeva, giocava sempre di meno con lui.
“Almeno posso andare dallo zio? Ha detto che vuole vedermi!”
A quelle parole, Sebastiano aveva alzato di scatto la testa verso di lui.
“Non credo che vedrai lo zio per un bel po’ di tempo.”
“Perché no?” aveva chiesto Gabriel, contrariato.
“Perché tuo padre e tuo zio hanno litigato. Cose da grandi, non puoi capire. E ora lasciami lavorare.” Ripeté, infastidito.
Gabriel fece per chiudere la porta, ma poi sentì una sensazione strana dentro di sé, come di un presentimento. Sentiva che, se non avesse detto quelle parole a suo padre ora, non gliele avrebbe dette mai più.
“Ti voglio bene, papà!”
Sebastiano si voltò verso il viso piangente di suo figlio. Intenerito, si alzò dalla sedia, e lo abbracciò. “Anch’io te ne voglio, te ne ho sempre voluto!” aveva detto sui suoi capelli rossi. Quello fu l’ultimo giorno che si videro, da vivi. Perché di lì a poche ore, Sebastiano sarebbe morto per mano del fratello.

Entrambi avevano ricordato quella scena, entrambi l’avevano condivisa con la forza della mente, entrambi si erano ritrovati abbracciati, piangendo, come quel pomeriggio.
“Papà… voglio dirti che mi vergogno di essere figlio di un tradimento, mi sento in colpa, mi sento come se anche io ti avessi mentito per tutti questi anni. Io… non so se hai mai provato rancore verso di me; in questo caso sono pienamente responsabile. Avrei voluto essere tuo figlio! Sono rimasto disgustato quando ho saputo com’ero nato, mi dispiace! Tutto questo non l’ho scelto io! Chissà quanto devi aver sofferto, papà!” la voce di Gabriel era mesta, bassa, quasi un sussurro.
Suo padre scosse la testa “Tu non hai colpa di quello che è successo, e io non ti ho mai odiato, anche se sospettavo già che tua madre mi tradisse con tuo… tuo…”
“Zio, papà!”
“Con mio fratello. E ti confesso che c’erano giorni in cui sospettavo anche che tu non fossi mio figlio…” alzò una mano per fermare il torrente di parole che Gabriel stava per pronunciare “ma non ti ho odiato… odiavo che mia moglie non trascorresse molto tempo con me, che spesso mi privasse delle più banali attenzioni, che spesso litigassimo per un nonnulla, e che mio fratello mi trattasse con sufficienza, addirittura con disprezzo. Ma non te, che correvi nel giardino della villa, che eri così entusiasta di imparare la canoa, che mi dicevi spesso quanto ti piacessero le moto; la tua risata allegra, il modo in cui mi chiamavi “papà”. Come avrei potuto odiarti? Sei stata l’unica persona in quella famiglia che mi trattava con rispetto, quasi con venerazione, che mi volesse bene davvero, senza inganni e senza riserve. Sei stato l’unico figlio che abbia mai amato, mio figlio! E il figlio è stato vittima di una calunnia ed è vissuto all’oscuro di tutto, proprio come il padre. Ma checché ne dica una profezia, checché ne dica la biologia, tu sei mio figlio!”
Gabriel sorrise felice come non mai, finalmente libero da un peso troppo grande da sopportare.

“No!!! Ahhh!!! Gabriel, no!!!” l’urlo disperato dichiarava a stento il dolore che doveva sopportare. Ora che si erano finalmente ritrovati, ora che si erano finalmente amati, lui era lì, steso a terra, solo un corpo, niente di più.
Un corpo senz’anima.
“Nooo!!! Ti prego, torna da me!!! Torna da me!!!” aveva il viso su quello insanguinato di lui, si teneva stretta al suo corpo, incurante che il suo sangue le stesse sporcando i vestiti, il viso, i capelli; anzi, quasi benediceva quel sangue su di sé, mentre ricordava disperata la loro unica notte d’amore. Apriva le labbra di Gabriel con le sue, quasi volesse soffiargli dentro l’anima. Ma era tutto inutile: lui era morto, e quel pensiero la schiacciava, le toglieva l’aria dai polmoni, quasi come se stesse morendo lei stessa. “Nooo!!!”
“Che cosa c’è, bambolina? Sei triste perché lui è morto?” Serventi le si avvicinò, come un’ombra “non hai più bisogno di lui. Ora sono io il super uomo dai poteri speciali, il re del nuovo mondo. E tu sarai la mia regina, al mio fianco” le bisbigliò ad un orecchio, toccandole i capelli frontali, sporchi del sangue del suo mortale nemico.
Lei lo respinse con uno strattone “Non toccarmi!!!”
“Non è che tu abbia molta scelta! Ormai sei mia!!!” urlò lui, afferrandola per le spalle e costringendola ad alzarsi, staccandola da Gabriel. Le prese da dietro i fianchi e la strinse a sé…
“Non toccarla, verme schifoso!!!”
Venne invaso da un getto d’acqua fredda, e poi da una vampata di fiamme, e si ritrovò urlante per la sorpresa e il dolore. Per fortuna per lui, i due effetti si erano annullati a vicenda; quello di Nadia ed Enzo era stato solo un avvertimento.
I ragazzi cercarono di allontanare Serventi, e si strinsero vicino a Claudia, per proteggerla.
“Scappa, Claudia!” le intimò Agatha.
“No! Gabriel…”
“Gabriel è morto” le disse Elisa con una smorfia di pianto “mi dispiace, ma non c’è più niente che puoi fare.”
Claudia, disperata, si gettò di nuovo su quel corpo freddo, piangendo sommessamente. Lui, che l’aveva tanto amata, che l’aveva protetta, era morto! No, non poteva finire così! Il loro amore non poteva finire così, ora che lui aveva finalmente scelto lei! Lui, che resuscitava le persone ad un passo dalla morte, era morto!
“Torna da me, amore mio! Ti prego!!!”
“Ah! Ah! Ah!” la risata malefica di Serventi le giunse alle orecchie “che cosa vuoi fare, donna, resuscitarlo? Mi dispiace, ma non hai questo potere!”
Claudia alzò la testa dal petto del cadavere, colpita da un’idea subitanea: ma certo! Eccola lì la soluzione! Ed era venuta proprio dal loro nemico, dalla tigre assetata di sangue, così diversa da lui, da loro!
Improvvisamente, la donna si alzò.
“Ragazzi, ascoltate: dite ai vostri compagni che sono dentro la Villa di creare un campo di protezione, e di chiudere me e Gabriel lì dentro! Voi vi disporrete fuori al perimetro della barriera, e cercherete in tutti i modi di non fare avvicinare Serventi.”
I ragazzi parvero non capire e guardarono Claudia con fare interrogativo. Poi…
“Claudia, è una pazzia! Tu non puoi farlo! Non hai questo potere!” disse Mauro, allibito.
“Che intende fare?” chiese Elisa.
“Resuscitare Gabriel, ecco che vuole fare!” rispose Agatha.
“Come?” era stata Nadia questa volta a parlare.
“Sentite… lo so di non essere come voi, di essere una persona normale, ma io… Non posso guardarlo morire senza provare a salvarlo! E tenterò con tutte le mie forze, dovessi morire anch’io con lui, e, anzi, sarebbe il mio desiderio! Lui vi ha lasciato sotto il mio comando, vi prego, fate come vi dico! Vi prego! Che avete da perdere?”
“La libertà! Serventi ci prenderà con sé!” dichiarò Antonio.
“Ma se io riuscissi nel mio intento, sarete salvi! Per favore, aiutatemi! Non avete mai desiderato che una persona a voi cara tornasse in vita?!” quelle parole le aveva dette in ginocchio, disperata. Sentiva di stare per impazzire.
Un attimo di esitazione, solo un attimo, e Giada, Dario, Davide e Anna avevano creato ben quattro campi di forza, che proteggevano Claudia e Gabriel dagli attacchi esterni: fuori, le barriere erano coperte da un tappeto giallo e nero di api, controllate da i gemelli: se gli attacchi per respingere Serventi, forniti da Nadia, Antonio, Mauro, Enzo, Elisa e Agatha non avessero funzionato, loro sarebbero passate all’azione.
Claudia guardò quel volto amato, piena di speranza. Le sue labbra formularono l’unica preghiera che avesse mai pronunciato.
“Ti prego, fa’ che si salvi! Se tu esisti, e qualunque cosa tu sia, ti prego, fa’ che io riesca a riportarlo indietro! So di non avere mai creduto in te, ma da quando conosco quest’uomo il mio mondo è cambiato. Credo in lui e nell’amore che ci lega come non ho mai creduto in niente in tutta la mia vita! Ti prego, fa’ che riesca nel mio intento! Fa’ che riesca a salvarlo! In caso contrario, lasciami morire tra le sue braccia!”
Fece una cosa che gli aveva visto sempre fare: mise la mano sinistra sulla fronte di Gabriel e la destra sulla sua, concentrandosi sul vuoto, sul suo desiderio di riportarlo in vita, sulla disperazione che provava in quel momento, sperando con tutte le sue forze. Buio… poi luce, una luce intensa, accecante, e poi, perse i sensi.

 
 
Ecco a voi il 15 capitolo… lo so, la sto tirando troppo per le lunghe, ma mi piace scrivere! Spero che anche questo capitolo vi piaccia e vi ringrazio tutte per i vostri stupendi commenti!
 
 

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Capitolo 16
*** Sono vivo! ***


“E adesso, papà, che cosa devo fare?” chiese Gabriel, indeciso.
Avrebbe tanto voluto restare in quel limbo con suo padre, ma sapeva che non era possibile: doveva fare una scelta, come per quasi tutte le cose della sua vita.
“Questo, Gabriel, devi essere tu a deciderlo. Puoi varcare la soglia dell’aldilà, oppure puoi tornare indietro.”
“Posso… posso tornare indietro… da solo?!” chiese, sorpreso. Fino a quel momento, era stato lui a resuscitare gli altri; poteva fare lo stesso con la sua anima, con la sua sola forza di volontà?
Il padre, leggendo i suoi pensieri, annuì “solo tu puoi ritornare in vita affidandoti alle tue sole capacità; hai un dono potentissimo, che hai usato molte volte a fin di bene. Questo ti da il privilegio di scegliere, un privilegio che è stato elargito solo a te, fra tutti gli esseri umani. E’ tutto nelle tue mani, ora, anche la tua vita. Vuoi morire o vivere? Di certo, non puoi restare per sempre nel limbo con me, anche perché fra poco dovrò andarmene pure io, dovrò varcare definitivamente la soglia.”
Gabriel corrugò la fronte, un gesto che indicava tutto il suo sbalordimento “perché non l’hai fatto fino ad ora?”
“Perché, essendo stato ucciso brutalmente, senza alcuna possibilità di difendermi o di far sapere ad altri la mia storia, non potevo trovare la pace. Forse tu non te lo ricordi, ma quando sono morto mi aggiravo spesso nella Villa cercando di parlarti, mostrandomi a te. Mio figlio era stato abbandonato da suo padre e tutti gli nascondevano la verità, e io volevo esserci per te. Ma non ho potuto, sotto forma di fantasma, comunicarti i miei sentimenti e i miei bisogni. All’inizio tu eri spaventato nel vedere un fantasma, ma col passare del tempo hai cominciato ad acquistare fiducia…”
Gabriel sorrise imbarazzato “scusa se ho urlato tanto la prima volta che ti ho visto dopo tanto tempo, mesi fa. E’ solo che… non credevo ai miei occhi.”
Sebastiano mise una mano sulla spalla si suo figlio “non preoccuparti, anche io sarei andato in escandescenze se avessi visto il mio defunto padre sotto forma di spettro. Mi dispiace di averti spaventato, forse avrei dovuto essere più cauto.”
Gabriel rise “Già… ma io non voglio essere intrappolato fra due mondi, voglio prendere una decisione, adesso!”
Sebastiano annuì “lo so. E spero tanto che sia quello di ritornare” il sorriso dell’uomo si allargò “anche perché quella bella fanciulla alle tue spalle mi sembra intenzionata a non lasciarti andare.”
Gabriel, perplesso, si voltò… che cosa…
“Claudia?!”
Lei era lì, a pochi passi da loro, e guardava Gabriel e il padre a bocca aperta. Poi si fece coraggio, e avanzò verso di loro. Sebastiano sorrise, le prese una mano e gliela baciò.
“Devo dire, Gabriel, che hai un gusto impeccabile per quanto riguarda le ragazze!”
Claudia, seppure basita, riuscì a ridere.
Gabriel, dopo un attimo di smarrimento, riuscì a proferire parola “Claudia, come…”
“Questa giovane donna è così innamorata di te da essere riuscita ad entrare nel limbo con la sua sola volontà, Gabriel! La sua voglia di riportarti in vita era così forte che avrebbe preferito morire piuttosto che non tentare di salvarti.”
Gabriel guardò gli occhi castani di Claudia, che ora riflettevano tutto il suo amore, tutta la sua felicità per averlo ritrovato. L’abbracciò, sentendola appoggiare la testa e le mani sul suo petto, con un sospiro; le baciò la fronte, con una dolcezza che non le aveva mai usato prima. Solo dopo molto tempo trovò il coraggio di staccarsi dalla donna che amava, per riprendere a parlare con suo padre.
“Ora devo ritornare indietro.”
“Sì” asserì Sebastiano “hai fatto la tua scelta più urgente, ma c’è ancora qualcosa da risolvere: devi scegliere cosa fare della tua vita.”
Gabriel reagì stupito “ma papà, io ho già scelto!” disse, stringendo a sé Claudia.
“Non mi riferivo solo alla tua vita privata, Gabriel! Tu stai combattendo contro Serventi, contro le persone che vogliono che il mondo cambi in peggio, e schiavizzare la gente coi poteri soprannaturali. Tu vuoi salvarle, vuoi dare loro una vita migliore… e la Profezia dice che cambierai la Chiesa dall’interno.”
Gabriel sbuffò “ne ho abbastanza di quella Profezia, papà! Sono stanco di farmi controllare la vita da altri! E poi, come posso cambiare la Chiesa, se ne sarò fuori?”
Sebastiano diede una risata quasi di scherno “non ho detto che devi ubbidire alla Profezia, Gabriel! Giordano Bruno ha predetto che avresti cambiato la Chiesa, e che ti saresti innamorato, ma non ha predetto come avresti fatto tutto questo: lui non sapeva che avresti amato il tuo padre adottivo più di quello biologico, non sapeva che il nome della donna che avresti amato sarebbe stato Claudia, non conosceva i tuoi sentimenti, i tuoi desideri; si è solo limitato a scrivere una vita che non era sua, ad elencare meri fatti. Ti ha solo dato un’indicazione, ti ha detto cosa, ma sei tu a decidere come! Tu avresti anche potuto passare al lato oscuro, ma non l’hai fatto! E questa dolce creatura” disse, indicando Claudia “è incontrandola che il tuo potere si è risvegliato, ed è lei che ti ha permesso di combattere il tuo desiderio assassino, come quella volta con il mio caro fratellino” una smorfia di disgusto “nemmeno questo Giordano Bruno era stato capace di prevederlo, non interamente, almeno. Il vostro amore si è avverato, e una battaglia sta per concludersi… e tu devi fare una scelta: puoi rinunciare all’amore e rimanere rintanato nella Chiesa, dove molte persone ti hanno costretto a stare fino a questo momento, e cambiarla dall’interno lavorando per la Congregazione: il tuo potere ti aiuterà e tu aiuterai con esso molte persone; oppure, puoi vivere il tuo amore, e prendere sotto la tua ala la gente con poteri soprannaturali, facendo loro da guida spirituale: sarai una sorta di re-sacerdote, per intenderci, come nei tempi antichi. Potrai restare o no nella Chiesa, e così la rivoluzionerai insegnando cosa significa davvero amare. Predicherai la Parola Vera, l’Amore, anche carnale, quello fra uomo e donna, nella sua essenza più pura; e sarai vero, non come molti sacerdoti che hanno condannato l’amore romantico, fisico e spirituale e che poi sono andati anche contro quello che predicavano, stuprando e tradendo. Tu testimonierai che nell’Amore vero non c’è colpa, c’è solo colpa nell’assassinio, nella calunnia, nella malvagità, tutto quello contro cui stai combattendo adesso.”
Detto questo, Sebastiano Antinori avanzò verso i due e unì loro le mani come aveva fatto qualche giorno fa, sotto forma di spettro. Tenendo strette quelle mani fra le sue, pronunciò una benedizione, che li avrebbe protetti lungo il corso di tutta la loro vita. Si voltò verso Claudia e le sorrise, alzandole il mento con un dito; poi, inaspettatamente, toccò il ventre della donna, guardandolo con un’aria di gioia mista a malinconia. “Tu non sei un errore, Gabriel, sei l'unica cosa che quei due hanno mai fatto di buono. Voi due non siete un errore, e non lo è neanche questa piccola creatura. Dite a vostro figlio, quando nascerà, che mi sarebbe tanto piaciuto essere ancora in vita e potergli fare da nonno.”
Claudia guardò Sebastiano incredula, toccandosi il ventre. Sopraffatta dalla gioia, guardò Gabriel, e si accorse che nei suoi occhi era riflesso lo stesso grado di stupore.
“Nostro figlio…” disse lui, con un filo di voce. Avrebbe voluto baciarla, ma, per discrezione verso il padre, si limitò a toccarle una guancia, mentre lei le accarezzava i capelli rossi.
“Ora…” disse Sebastiano “è tempo di andare, per me. Posso finalmente varcare la soglia dell’aldilà, felice di averti rivisto, figlio mio! Ci rivedremo un giorno, intanto, tu vivi ogni istante della tua vita.”
Ma Gabriel era riluttante a lasciarlo andare, ben sapendo che fosse la cosa più giusta da fare… ma non voleva.
“Papà!” disse, quasi urlando, gettandosi per l’ultima volta fra le braccia dell’uomo che lo aveva cresciuto.
Sebastiano lo strinse forte a sé “io sarò sempre nel tuo cuore. Non sarò più con te, ma devi essere forte! Per te, per Claudia, e per i vostri figli. Ce la farai, ne sono certo! Arrivederci, Gabriel!”
E, così dicendo, si staccò da lui “Ora vai, e combatti contro Serventi!”
Padre e figlio si guardarono per quello che parve un tempo infinito; poi lui si voltò, mentre la sua figura scompariva alla loro vista, per l’ultima volta.
“Papà…” abbassò la testa. Gli apparvero in un baleno tutti i momenti passati insieme, il modo in cui lui l’aveva cresciuto, protetto e amato, il modo in cui aveva cercato di stargli vicino, anche da morto. E ora lui se n’era andato. Per sempre.
Una mano sulla sua spalla. Una mano fragile, gentile, soffice, eppure così forte e decisa. Una mano che gli trasmetteva vigore. La prese, e si lasciò guidare da lei, fuori, verso la salvezza, verso la vita.
Aprirono gli occhi. Erano ancora insanguinati. Lui le passò una mano fra i capelli sporchi, e si alzò, tenendola stretta, ma senza smettere di guardarla negli occhi scuri. La barriera aveva resistito, ma i suoi erano tutti al tappeto. Con la forza della mente, si assicurò che nessuno fosse morto. Erano tutti vivi. Per mano, si diressero verso Serventi, oltrepassando le barriere, che al loro passaggio aprirono un varco, come le api. Il sorriso di Serventi scomparve all’istante, mentre sul suo viso si dipingeva una maschera di terrore.
“Sono vivo!”



 
Ecco a voi il 16 capitolo… non preoccupatevi, dopo questo ci sarà il tanto atteso scontro finale! Ho dovuto dividere la scena del limbo in due capitoli perché volevo dargli molto spazio.

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Capitolo 17
*** La fine della tigre ***


“No! Non è possibile! Co… come hai fatto a salvarti?! Non puoi esserti resuscitato da solo!”
“Non ho fatto tutto da solo, Serventi: c’era un angelo custode lì ad aiutarmi” quegli occhi azzurri si tuffarono in quegli castani di lei, poi di nuovo nei pozzi neri che oscuravano quel viso di gesso.
“Gabriel…” la voce di una donna. Sua madre avanzava verso di lui; lo aveva raggiunto, gli aveva toccato un braccio, guardandolo con apprensione “stai bene?”
Lui si scostò da quel contatto, adirato. Non voleva che lei ostentasse un rapporto che non c’era mai stato, dopo che era uscita dalla sua vita, abbandonandolo al suo destino, un destino fatto di menzogne.
“Sto bene!” disse, brusco.
Sua madre lo guardò allontanarsi, con una botta al cuore: non avrebbe mai creduto possibile sentire quella durezza nella sua voce, né vedere quell’odio e quel disprezzo sul viso di suo figlio. Lei si era allontanata volontariamente da lui, e ora capiva cosa significa essere abbandonati da una persona cara, una persona da cui prima si era stati amati.
Gabriel si fermò davanti al suo nemico, che ora sembrava essersi fatto piccolo, oscurato dalla sua ombra. Ma fu solo un momento; il sorriso beffardo e il colore tornarono sul suo viso, ora che erano pochi centimetri a separarli.
“Non so come tu abbia fatto a sopravvivere, ma ti posso assicurare che ti rispedirò nel posto in cui eri finito prima, qualunque esso sia!”
“Fa’ un po’ come ti pare, ma io non ho più paura della morte. Se anche dovessi morire, lo farò combattendoti. Decido io come!”
Un guizzo folle brillò negli occhi di Serventi, e per un attimo quegli occhi sembrarono esattamente come quelli del Principe delle Tenebre. “D’accordo. Ma se decidessi io come ucciderti?”
Vuoto; in un attimo, la sua mente fu libera da ogni pensiero. Gabriel respirò lentamente, godendosi quella sensazione ammaliante. Nessun segnale di pericolo dal cervello, nessuno…
“Strozzati, strozzati con le tue stesse mani.”
Sì, era un’idea interessante. Un modo originale per morire.
La sua mente non distingueva il pericolo. Non era come nella meditazione; era un vuoto malvagio, strano.
“Metti le mani intorno al tuo collo e strozzati.”
Sì, decise che lo avrebbe fatto. Cos’aveva da perdere?
“La vita!”
Una voce quasi silenziosa, dietro il suo cervello. Un campanello d’allarme.
“Strozzati!”
Avvicinò le mani alla gola, lentamente, fino a toccarsela.
“Fallo!”
La strinse.
“No! Smettila! Reagisci!”
L’aria gli cominciò a mancare, la sensazione di dolore cominciò ad attivarsi, mentre la testa cominciava a girargli. Quasi privato dell’ossigeno, il suo cervello fece un ultimo tentativo di protesta.
“Combatti!!!”
In un guizzo, il viso di suo padre e quello di Claudia gli balzarono davanti agli occhi, unito alle loro voci, che chiamavano il suo nome. Si liberò dalla stretta, tornando all’istante in sé, sentendo improvvisamente le vertigini per il ritorno contemporaneo della realtà e dell’aria. Sentiva la voce di Claudia, questa volta reale, mai così agognata come in quel momento. Lentamente, il suo respiro tornò alla normalità, mentre lui si concentrava ancora sui visi di suo padre e della sua donna per non pensare alla sensazione di strozzamento che aveva sentito pochi istanti fa, e non scatenare un attacco di panico.
Furioso, ritornò a guardare il viso ora deluso di Serventi. “Resisti bene, a quanto vedo!”
“E non hai ancora visto niente!” disse, togliendosi con un unico gesto la camicia nera, ormai zuppa di sangue, che era sprizzato dalla ferita aperta quando lui aveva cercato di obbedire ai suoi comandi. La pelle liscia dell’addome squarciata, il suo busto riproduceva appena il fascino che aveva avuto fin da quella mattina, quell’addome che Claudia aveva sfiorato con le sue dita prima di ricoprirlo.
“Preparati a finire arrostito, è giunta la tua ora!!!”
La rabbia gli montava dal centro dell’anima, andandosi ad annidare ad ogni angolo del corpo, in ogni cellula del suo cervello, mentre un caldo infernale lo avvolgeva; il caldo dell’inferno, in cui ora stava bruciando Serventi. Gli occhi neri e boriosi s’intravedevano appena fra il rosso delle fiamme. Scomparsa la baldanza, scomparsa la pomposità, rimaneva solo un essere patetico, spaventato, completamente in balia di un potere che non aveva mai conosciuto, e che si stava manifestando proprio in quel momento davanti ai suoi occhi pieni di terrore. Occhi in cui balenò un ulteriore guizzo folle, mani callose e bianche che afferrarono il suo braccio, trascinandolo con sé in quella landa infuocata; Gabriel si ritrovò improvvisamente nell’inferno, a lottare disperatamente per liberarsi dalla morsa del suo avversario. Il viso di Serventi sembrava ormai quello del diavolo in persona.
“Tu credi di riuscire ad uccidermi con questo giochetto?! Sono io che ho il potere di uccidere, e posso usarlo anche qui dentro! Se mi getterai nell’inferno, allora io mi trascinerò dietro te! Bruceremo insieme per l’eternità!”
Ora era Gabriel ad avere gli occhi pieni di terrore, di disperazione. Non sapeva che fare. Era l’inferno, e non sapeva come uscire di lì. Aveva usato questo potere su alcune persone, ma mai su di sé… un momento! Era come nel limbo! Lui già conosceva quel posto, perché il suo potere aveva una sua controparte demoniaca!
Sorrise, compiaciuto “io qui gioco in casa, e mi dispiace, sarai tu a perdere! Perché il mio potere è in parte buono, il tuo è solo malvagio” guardò dietro le spalle di Serventi, dove delle fiamme si stavano alzando; fiamme da cui fuoriuscivano mani dai lunghi artigli, e facce mostruose “e sei tu quello che loro vogliono!”
Serventi si voltò, lentamente. Il suo urlo era così alto da non poter essere udito da nessun orecchio umano, il suo terrore era l’unico colore sulla sua faccia bianca come un foglio. Quelle mani lo afferrarono, lo inghiottirono, e lo fecero svanire per sempre nelle loro oscure caverne. Gabriel diede un sospiro di sollievo, ma solo per un secondo: doveva correre, doveva uscire. Si voltò e si diresse verso la porta, che si stava lentamente chiudendo
“Noo!!!”
Non ce l’avrebbe fatta, ormai quella porta era quasi socchiusa, riusciva a intravedere un solo spiraglio di luce. Un anima si materializzò al suo fianco: voltandosi, riuscì ad intravedere la sagoma di suo padre, prima che lui lo spingesse in avanti, fuori dal caldo eterno, fuori dalla disperazione, fuori dalla morte. Suo padre era sceso dal Paradiso per aiutarlo.

Si ritrovò fra delle braccia morbide e gentili, mentre la voce di Claudia gli accarezzava dolcemente l’orecchio.
“Gabriel, è tutto finito. Sei salvo! Serventi è morto!”
Lentamente, alzò la testa verso di lei, guardando il suo viso. Era il viso che l’aveva aiutato a contrastare il potere di Serventi, e a cui aveva pensato mentre la sua anima era nell’Inferno. Un viso che aveva temuto di non rivedere mai più. La aiutò ad alzarsi, e, mentre la stava ancora guardando affascinato, gli occhi di lei lasciarono stupiti quegli di lui.
“Guarda!” disse, indicando un punto al loro fianco.
Lui obbedì… e rimase allibito: i suoi ragazzi erano rinvenuti e tutti, compresi i soldati di Serventi, si stavano inchinando a lui, il viso premuto per terra. L’uomo che aveva tentato di ucciderlo, il mutaforma, si era inchinato più profondamente di tutti, poi aveva alzato appena la testa per guardarlo.
“Perdonatemi, signore!”
I suoi occhi verdi sembravano sinceri. Per un attimo, era stato tentato di non perdonarlo, lui, che gli aveva quasi fatto perdere la vita, l’amore e la battaglia. Ma se non fosse stato per lui, Gabriel non avrebbe mai incontrato  e salutato per l’ultima volta suo padre, e di questo gliene era grato.
“Puoi alzarti, ti concedo il mio perdono.”
Il mutaforma lo guardò con un’espressione stranita: probabilmente, mai aveva ricevuto una tale generosità da un essere umano; si alzò.
“Da questo momento in poi, io e i miei compagni siamo al vostro servizio.”
Gabriel annuì “ve ne sono grato.”
Tornò a guardare Claudia, che, inaspettatamente, fece quello che avevano fatto gli altri: s’inchinò.
Lui, sconcertato, la fece rialzare immediatamente “tu non devi inchinarti a nessuno, sono io che devo farlo con te!” e, detto questo, cadde ai suoi piedi “sei la donna che combatte il demone in me, il mio angelo!”
Gli altri erano rimasti basiti, a vedere quel gesto: l’uomo più potente di tutti, che poteva decidere della vita e della morte di ognuno, che s’inchinava ad una donna senza alcun potere, una donna che però era stata forte abbastanza da riportarlo in vita. Se non fosse stato per lei, loro avrebbero perso la battaglia. Così, s’inchinarono anche davanti a quella donna, automaticamente proclamandola loro regina.
Gabriel si rialzò, e solo allora vide il corpo esanime di Serventi: la bocca aperta, gli occhi spalancati; sembrava morto di paura. Era stato un essere malvagio, ma meritava comunque una sepoltura, ora che la sua anima era persa per sempre.
“Antonio, porta questo corpo lontano da qui e seppelliscilo in un posto isolato” disse, voltandosi verso l’uomo.
Antonio prontamente obbedì; prese con una smorfia di disgusto il corpo di Serventi e sparì in una folata di vento.
“Gabriel.”
Di nuovo quella voce. Di nuovo lei.
“Che c’è, mamma?” le chiese, guardando i suoi occhi castani.
“Io… volevo congratularmi con te! Finalmente hai sconfitto Serventi, e hai una donna che ti ama. L’uomo di Chiesa e la donna, mi ricordi così tanto me e tuo padre…”
“Demetrio!” urlò, duro “mio padre si chiamava Sebastiano Antinori, e l’ho incontrato, mamma! L’ho incontrato nel limbo, disperato, solo e ramingo per colpa tua! E non osare mai più paragonare me e Claudia a te e Demetrio, noi non siamo come voi!”
Clara strabuzzò gli occhi pieni di stupore “co… come?”
“Hai capito bene, mamma! Io sono diverso, mio padre era diverso! Non mi ha abbandonato nemmeno dopo la morte, cosa che invece hai fatto tu!”
“Gabriel, io… ti ho voluto bene! Ti ho abbandonato per proteggerti, per farti crescere con Demetrio e farti inseguire il tuo destino!”
“Come mi hai abbandonato a fin di bene per schierarti con Serventi, eh? Come mi hai abbandonato quando stavo per morire, vero? Io ricordo benissimo chi c’era vicino a me! C’era Claudia e i miei compagni, non tu! Non mi hai mai voluto bene davvero!”
“Come puoi dire una cosa del genere? Io ti ho salvato la vita quando tu ti stavi gettando da quel tetto!” urlò contrariata la donna, indicando in alto verso la Villa.
“Dopo che ti ho visto con Demetrio! E’ per colpa tua!”
Sentiva montare in sé la rabbia che provava quando stava per condannare all’Inferno qualcuno; la controllò, e guardò negli occhi sua madre, come per leggerle l’anima. Lo fece, e quello che vide lo spiazzò: tristezza, amarezza, rancore, risentimento, orgoglio. Cupidigia nel sapere che suo figlio era il bambino speciale, il prescelto dalla profezia, fierezza nel constatare l’enormità dei suoi poteri. Indifferenza nei confronti di suo padre e lussuria verso Demetrio; vergogna, quando l’aveva scoperta con lui; preoccupazione quando suo figlio stava per gettarsi dal tetto: quel gesto era stato quasi involontario. E poi tristezza e rimorso per averlo abbandonato a sé stesso.
Si staccò dalla sua mente, sconcertato. “Mi hai voluto bene, a modo tuo, ma di certo non sei stata la madre che ogni bambino vorrebbe. Hai deciso di abbandonarmi senza troppi riguardi, decidendo di passare alla fazione opposta, contro di me! Mi hai fatto crescere nella menzogna. E poi ho visto quello che provavi per mio padre: niente. Una parte di me ti vorrà sempre bene, ma i nostri punti di vista sono troppo diversi; noi siamo troppo diversi. L’unica persona che mi ricordo mi abbia sempre voluto bene è stato mio padre. Ti perdono, ma non sei quella che avevo sempre creduto che fossi.”
Gli occhi di Clara si riempirono improvvisamente di lacrime “e quindi, vuoi che esca di nuovo dalla tua vita?”
“Lo hai già fatto una volta e lo sei ancora. Fa’ un po’ come vuoi, non ti costringo a starmi vicino se non è quello che desideri. Ma se vuoi andartene, se è questa la tua decisione, allora vattene e non cercarmi mai più: non voglio essere illuso di nuovo.”
Sua madre lo guardò intensamente, come se non fosse capace di staccare gli occhi dal suo viso; poi, si voltò lentamente, e si diresse verso la macchina nera che era appartenuta a Serventi. Gabriel e gli altri la guardarono percorrere il vialetto della Villa, per poi sparire per sempre alla loro vista.

Tornarono baldanzosi e felici; i loro compagni che erano rimasti dentro già sapevano che il gruppo si era infoltito, tuttavia guardarono con un po’ di diffidenza i nuovi arrivati. Anche Antonio era tornato, sporco di terra, che Enzo lavò facendo uscire un getto d’acqua dal palmo della sua mano. Alonso corse ad abbracciare Gabriel.
“Mi hai fatto preoccupare, testone! E anche tu, signorina!” disse, guardando Claudia, che rise di gusto “almeno siamo tornati vivi!”
Aveva ragione: erano tornati, erano vivi, tutti vivi, tranne uno. L’uomo che era stato sconfitto dalle sue stesse armi; la sua malvagità gli si era ritorta contro, i diavoli lo avevano identificato come uno di loro, e non gli avevano lasciato scampo. E ora quelle persone dai poteri speciali erano libere. Gabriel si mise al centro della stanza, mentre gli altri lo guardavano affascinati: il sole lo avvolgeva, conferendogli un’aura di potenza; sembrava brillare di luce propria, una luce dorata e benevola. Quando parlò, lo fece con una voce quasi autoritaria, potente e virile.
“Ora potete andare per la vostra strada. Vi ho reso la libertà, e non vi tratterrò oltre. Ma sappiate che se il mondo l’ha fuori vi rifiuterà, io sarò qui per voi, sarò il vostro capo, e vi offrirò un posto migliore, un’isola di pace dove potrete sempre rifugiarvi, perché io non vi abbandonerò per la vostra diversità, la cosa più preziosa che avete. Mi avete aiutato molto in questa battaglia, e per questo vi sono debitore. Ora, anche io devo andare, e vivere la mia vita. Finalmente so qual è il mio posto” concluse, voltandosi verso Claudia, che lo stava guardando con occhi rapiti e innamorati. Mai gli era sembrato più bello e carismatico. Il suo re, il suo Dio, l'uomo che teneva prigioniero il suo cuore.




In mezzo a tutte queste ore di studio, fra religione, giapponese III e letteratura sono riuscita a trovare un piccolo spazio per scrivere. Scusate se è un po’ lungo e se la battaglia fra Gabriel e Serventi è un po’ violenta. Spero di non avervi annoiato né di aver scritto cose troppo scontate (le ore di studio si fanno sentire)

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Capitolo 18
*** Cambiamento radicale ***


“Lasciami dare un’occhiata a quella ferita, Gabriel, sembra grave” disse Alonso, ispezionando il taglio dove fino a qualche ora fa era stato conficcato il pugnale.
“Non si preoccupi, signor Alonso, ci penso io!”
Alonso guardò perplesso Elisa “non per sminuirti, ragazzina, ma io ho un dottorato in medicina.”
Elisa sorrise “sì, ma io posso fare avverare tutto… quasi tutto solo prendendo una penna in mano, ricorda?”
Così, prese un foglio e una penna, concentrandosi bene sulle giuste parole.
“La grave ferita sull’addome di Gabriel Antinori guarì all’istante, senza lasciare alcuna traccia.”
Gabriel sentì che la pelle attorno alla ferita si richiudeva, vide addirittura i pezzi di carne che si riunivano come se fossero filamenti; dovette reprimere un gemito di dolore, perché il processo era alquanto doloroso. Ma ecco: il suo addome, seppure ancora insanguinato, era del tutto guarito.
“Grazie!” disse alla ragazza, sorridendo; Elisa arrossì.
Alonso controllò la pelle di Gabriel, per controllare se era davvero tutto a posto.
“Strabiliante! Davvero con questi poteri potete fare di tutto?” chiese, rivoltò più a sé stesso che a quei ragazzi.
“Quasi tutto” rispose Agatha “possiamo fare avverare degli avvenimenti, possiamo anche uccidere; ma non possiamo donare la vita, o ridarla a chi l’ha persa. Questo solo Gabriel può farlo, ecco perché lui è così speciale, ed è il più potente fra noi.”
Alonso sorrise; Claudia stava guardando Gabriel orgogliosa.

“Papà, grazie per avermi salvato oggi, non ce l’avrei fatta senza di te.”
Sebastiano sorrise “non devi ringraziarmi, mi trovavo nei paraggi e ho deciso di salutarti.”
“Ma… non sei finito nell’Inferno, vero?” chiese, preoccupato.
“Certo che no! Sono in Paradiso! Ma potevo mai lasciare mio figlio bruciare nell’Inferno? Oltretutto, le anime pie non possono essere tenute lì prigioniere. I diavoli se ne sarebbero accorti e ti avrebbero permesso di andare via, ma io non volevo correre rischi.”
“Grazie!” disse, guardando i suoi occhi scuri con rispetto e ammirazione.
“Un’ultima cosa, Gabriel: questo è un sogno, ma tu ricorda queste mie parole: quando tuo figlio nascerà, ci sarà un segno che annuncerà che la mia presenza, non dimenticarlo! Non potrò esserci quando lui nascerà e crescerà, almeno in carne ed ossa, ma ci sarò sotto un’altra forma. Io sarò lì quando lui nascerà!”
“Papà, non andare!” l’aveva detto nel sonno, e si era svegliato.
“Gabriel?” Claudia lo tenne stretto a sé.
Non avevano fatto l’amore; lui era spossato sia fisicamente che mentalmente dopo la battaglia, e la ferita mortale, seppur guarita, l’aveva indebolito molto. Semplicemente, lei voleva prendersi cura di lui, soprattutto dopo l’enorme spavento che aveva provato, alla vista del suo corpo esanime fra le braccia. Lui si era addormentato subito, spossato, quasi cadendo su di lei; ma con lei si sentiva protetto, al sicuro: lei sapeva essere più forte di lui, molte volte.
“Ho sognato di nuovo mio padre, ma non era un incubo. Lui mi diceva che sarebbe stato lì, quando nostro figlio sarebbe nato.” Le aveva detto in un sussurro.
Lei non aveva risposto, ma aveva preso ad accarezzarlo.
“Da oggi, niente sarà più come prima: ho visto anche io tuo padre nel limbo. Non so se è stato solo un sogno, ma ora la psicologa scettica non esiste più: io ti credo, ho sempre creduto in te, ora più che mai.”
Gabriel dette un gemito di dolore: aveva letto i suoi pensieri, e ora si sentiva ancora più spossato per lo sforzo che aveva appena fatto.
“No, no, no! Non usare i poteri della mente! Riposati! Hai combattuto una dura battaglia, oggi, e domani sarà una giornata lunga! Dormi, amore, dormi!” gli sussurrava, baciandogli i capelli. A quel sussurro, a quei baci, a quell’abbraccio, lui si abbandonò completamente, fiducioso, e di lì a pochi minuti si addormentò, cullato da quella nenia d’amore.

I loro passi riecheggiavano per il corridoio che portava alla grande sala dove si riuniva la Congregazione. Lei non si sentiva a suo agio fra quelle fredde mura di marmo, e il solo pensiero del perché fossero lì le faceva paura; ma Gabriel le aveva detto di fidarsi di lui.
“Devo comunicare la mia scelta definitiva alla Congregazione, una scelta che riguarda anche te. E anche voi” aveva aggiunto, guardando i suoi seguaci “quindi, vi prego tutti di accompagnarmi, domattina. Sta’ tranquilla, andrà tutto bene” aveva concluso, di nuovo diretto a lei.
Non le restava che fidarsi. E ora erano lì, davanti a quella porta di legno di mogano scuro. Lui l’aprì, e la condusse per mano, entrando, mentre gli altri li seguivano.
I sacerdoti erano tutti lì; Gabriel li aveva convocati; Isaia, nel solito abito scuro, era a capotavola, dall’altra parte della stanza, cosicché i suoi occhi si fissarono immediatamente in quelli del suo collega, con cui spartiva la direzione di quella congrega.
“Gabriel, perché hai convocato questa assemblea speciale, e soprattutto…” disse, guardando di sbieco prima Claudia, poi i ragazzi che li accompagnavano, infine…
“Padre Alonso! E’ da tempo che non mettete piede in questo palazzo!” disse Isaia, stupito; un sentimento condiviso anche dagli altri sacerdoti.
“E’ da tempo che non trovavo un po’ di tempo libero, fra tutti i miei impegni” disse lui, con un sorriso.
Isaia incassò il colpo: sapeva che Padre Alonso era un tipo giocoso, quindi decise di ignorare quella che lui pensava fosse una battuta, per tornare al problema principale.
Gabriel aspettò che alla battuta di Alonso seguisse il silenzio, anche se non dovette di certo aspettare molto: era difficile portare un po’ di risate in quell’ambiente serio, le facce scure di quei sacerdoti lo dichiaravano apertamente.
“Vi ho convocato per convocarvi la mia decisione: vi conviene ascoltarla, perché questa sarà l’ultima volta che prendo decisioni qui dentro.”
Fu in quel momento che il silenzio venne rotto da un brusio. I sacerdoti si guardavano circospetti, facendo facce, se possibile, ancora più scure; Isaia tamburellava nervosamente le mani sul tavolo. Notarono che Gabriel non portava la stoffa bianca al collo. Uno dei membri più coraggiosi, disse, con fare avventato e audace: “è per quella donna!”
“Sì, Padre Rossini, è per questa donna!” gli aveva rimbeccato Gabriel “ma non solo: è per questi ragazzi!” disse, indicando le persone allineate alle sue spalle.
“Per questo, Gabriel, devo darti torto: questa è un’Assemblea Speciale, una Congregazione Speciale, e gli esterni non possono entrare qui dentro, quindi mi dispiace, ma devo chiederti di cacciarli fuori, tutti, e di rimanere da solo con Padre Alonso. Scusa, avrei dovuto dirtelo prima.” Disse Isaia, con fare dispiaciuto, ma serio.
“E io ti dico una cosa ora: mi dispiace, ma non posso obbedire ai tuoi ordini, non adesso che sto per comunicarvi una cosa importante, e cioè” prese un respiro profondo: possibile che ci voleva più coraggio per dire una cosa del genere che per combattere contro Serventi? “io lascio la Congregazione.”
L’avevano già sospettato, ma ora che i loro sospetti si erano rivelati fondati, i monsignori trattennero il fiato: il coraggio che aveva trovato Gabriel per comunicare quella decisione, loro l’avevano perso, ascoltandola. Allibiti, scioccati, si guardavano negli occhi, mormoravano parole insensate, quasi incomprensibili, si voltavano verso Isaia, che era improvvisamente impallidito.
“Dunque, lasci la Congregazione, Gabriel? Devo dedurre che lasci pure la Chiesa? Solo per quella donna?” aveva detto le ultime due parole come disgustato. Gabriel colse quella disapprovazione nella sua voce, e si adirò.
“Sì, lascio voi per questa donna!” aveva detto, stringendo a sé Claudia “lascio questo posto fatto di toghe nere, d’incenso, di candele, di menzogne e di ipocrisie per vivere una vita vera, fatta di amore, di comprensione, di felicità; un mondo dove io non mi devo vergognare di amare, di amare questa donna e il bambino che nascerà dalla nostra unione!”
A quel punto, la disapprovazione strisciante si fece palese, e si trasformò in un incendio di disgusto e vergogna. Le parole “blasfemia!” e “peccato originale!” non furono più bisbigliate, ma addirittura urlate. Urlate, fino a che la rabbia di Gabriel non le divorò.
“C’è forse un peccato in tutto questo?! C’è forse una colpa?! Io e questa donna ci siamo uniti sotto la luce del Cielo! Siamo uniti di fronte a qualcosa che voi non avete mai compreso, anche se fate finta di conoscere: Dio! Anzi, per convincervi ancora di più della mia decisione” si inginocchiò davanti a Claudia; lei volle fermarlo, preoccupata. Si era esposto già troppo per lei, ma lui continuò, e fece una cosa che non si sarebbe mai aspettata: le prese teneramente una mano, e disse a voce abbastanza alta da essere udito da tutti “vuoi sposarmi?”
Le sue grida di affermazione coprirono quelle di stupore di quella gente di toga, che ora guardavano come inorridite il loro capo che si alzava in piedi, e baciava quella che per loro era Eva, il Demone.
“E non è tutto!” li zittì “Non è tutto. Questi ragazzi” indicò i suoi seguaci, alle sue spalle “hanno bisogno di un posto nel mondo, non di persone che, facendo finta di risolvere i loro casi, giochi sottobanco con le loro vite. Non hanno bisogno di persone che, temendoli, li bruci sul rogo per la loro diversità! Pur vivendo nel mondo come persone normali, hanno bisogno di un posto che possono chiamare casa, hanno bisogno di qualcuno che non li giudichi come segnati dal Demonio, hanno bisogno di una guida spirituale: quella guida spirituale sarò io.”
“Ma sei sarai fuori dalla Chiesa” intervenne Isaia “non potrai fare loro da sacerdote! Sarai condannato come eretico per dettare legge fuori dal potere dominante!”
“E sia! Sarò condannato come eretico! Che male c’è? Voi avete condannato come eretici molte persone che invece erano nel giusto! Io sarò un sacerdote diverso: non indosserò più la toga, non predicherò più in una Chiesa; annuncerò le sacre scritture, certo, ma lo farò in un modo diverso: lo farò per la gente normale e per la gente diversa; sarò io a dettare la mia legge! Unirò due mondi, e ne creerò uno solo!”
“E quanti seguaci pensate possa avere questa vostra religione, Padre… signor Antinori?” chiese il cardinale Albino. Con quel “signore”, Gabriel capì che in quel momento era stato scomunicato, almeno ai loro occhi.
“Quanti vorranno seguire, io li accetterò. Sarò fuori dalla vostra Chiesa, ma dentro la mia, dentro il mondo, come dovrebbe essere ogni sacerdote, perché siamo votati a questo: non a coprire il mondo con un libro nero, ma ad accettarlo così com’è e ad essere felici per come è.”
Poi, voltò la testa per guardare i suoi ragazzi; c’erano pure i suoi nuovi acquisti, quelli che alla sconfitta di Serventi erano passati dalla sua parte.
“Voi non accetterete mai loro, non se pochi secoli fa li bruciavate sul rogo, una cosa che ora vorreste ancora fare. L’unica cosa che vi frena, ora, è che la gente non crede quasi più alle streghe. Non accetterete mai uno come me fra di voi, a guidare la vostra Chiesa!”
“E cosa te lo fa pensare, Gabriel?” il tono di Isaia era scettico, quasi provocatorio. Questo fece brillare gli occhi di Gabriel di una luce minacciosa.
“Questo! Ragazzi, si entra in scena!”
E allora, quegli uomini di toga si erano alzati, urlando, addossandosi alla parete, terrorizzati come se avessero visto gli spiriti contro cui loro avevano fatto voto di combattere: i demoni. Quelle persone… quelle persone… non era possibile!
Due ragazzini facevano ronzare api per la stanza; una ragazza bionda stava formando una palla di fuoco davanti a sé; un uomo alla sua sinistra una di acqua; un altro era improvvisamente scomparso, per poi riapparire dietro le spalle di due sacerdoti ammutoliti; il tempo fuori, dapprima sereno, era diventato improvvisamente temporalesco; qualcuno stava entrando nei loro pensieri, invadendo i loro spazi più intimi; un’enorme paura li attanagliava, tanta quanta non ne avevano mai provato in vita loro; piante spuntavano come dal nulla dal pavimento di marmo; l’aria era diventata improvvisamente gelida; un suono sinistro avvolgeva la stanza; numerosi serpenti strisciavano sul pavimento e sulle pareti. Era forse la fine del mondo?
“Basta!!!” aveva urlato Isaia, terrorizzato. Era sul pavimento, quasi in posizione fetale. “Gabriel, digli di smettere!”
“Basta, ragazzi! Avete dimostrato abbastanza!”
Le api se ne andarono; le piante svanirono; il tempo divenne di nuovo sereno; i due ragazzi fecero sparire come dal nulla i loro giochi da fachiri; i serpenti si ritirarono; il suono demoniaco cessò: l’aria si riscaldò, e tutto giunse finalmente alla normalità, come se niente fosse accaduto. I cardinali, spiazzati, non osavano muoversi, impietriti di paura più per l’effetto del comando autoritario di Gabriel, a cui tutti avevano obbedito all’istante, che per i poteri rivelati di quella gente. Se tutti obbedivano a lui senza discutere… allora, che poteri aveva, quell’uomo? Era forse il figlio del diavolo? O il diavolo in persona?
“Alcune persone che mi accompagnano dicono che state facendo cattivi pensieri su di me: pensieri di non accettazione. Temete che io sia il diavolo. No, non sono il diavolo, ma solo un uomo nato da uno di voi” disse, con disgusto “e una donna. Perciò, le uniche persone di cui la gente deve avere paura e di cui deve diffidare non siamo noi, ma voi!” disse, indicandogli con fare accusatorio.
Isaia, che nel frattempo si era alzato, disse “ma tu hai fatto quello che ha fatto Demetrio: ti sei innamorato di una donna e aspetti un bambino da lei, la storia si ripete!”
Gabriel venne invaso dalla familiare ondata di rabbia, che fece retrocedere Isaia, che ben ricordava il suo potere. Ma fu Alonso a fermare Gabriel, e non lo fece di certo con piacere.
“Tu sta’ zitto, verme schifoso che prima paghi gli studenti per scattare foto traditrici e poi fai rapire persone innocenti! Se dici ancora una cosa del genere, giuro che ti farò cose che faranno rimpiangere Dio stesso di averti creato! Te ne darò così tante che anche la tua anima sarà ammaccata! Loro due non sono come quei due traditori, mi hai capito bene?!” Alonso si era avvicinato al tavolo a passo svelto, e guardava Isaia con occhi pieni di odio. Gabriel poteva anche averlo perdonato, ma a lui quel topo di biblioteca ipocrita e malato di potere non era mai piaciuto. “Venderesti l’anima al diavolo se fossi sicuro di rovinare la vita a chi minaccia la tua scalata sociale!”
Isaia rimase ammutolito, e abbassò la testa, sconfitto e umiliato.
“Ho anch’io una cosa da dirvi” continuò Alonso, avvicinando una mano alla gola e staccandovi la stoffa bianca, che depose sul tavolo “mi ritiro anch’io. Sono stufo di stare in un ambiente che considero sempre più bigotto e privo di anima. Seguirò Gabriel.”
“No, Alonso, non devi sentirti costretto a farlo!” disse Gabriel, preoccupato.
Alonso fece una smorfia “costretto? Non vedevo l’ora di fare quello che ho appena fatto!”

Passeggiavano per strada, fuori da quella prigione di marmo. Parlavano fra di loro, ridevano, scherzavano, felici come non mai, leggeri come il giorno prima, quando la battaglia si era conclusa: ora avevano una guida, un re, una persona su cui potevano fare affidamento, che non aveva paura di loro e che non li avrebbe schiacciati: un amico. Alonso camminava con un braccio intorno alle spalle di Gabriel, Claudia al fianco di quest’ultimo.
“E così, hai finalmente preso una decisione!” disse felice il vecchio Gesuita, che ormai aveva rinunciato a quell’ordine.
“Già.” Rispose Gabriel, sorpreso perfino di sé stesso: sorpreso, ma felice.
“Due eretici che fonderanno una nuova Chiesa. Io che ruolo avrò in tutto questo?”
“Non so… il diacono?” chiese, ridendo, scansandosi per non incassare la sberla scherzosa che Alonso gli stava tirando.
“Sono eretico, non stupido! Scherzi a parte, tu potresti continuare ad allenare i tuoi ragazzi, e nel frattempo impartirgli messe quando vogliono, e io potrei aiutarti nell’impresa. Ma ti avverto, non indosserò più una talare: da questo momento in poi, se posso avere voce in capitolo, le messe si faranno con lo smoking, o in jeans e maglietta!”
Sia Gabriel che Claudia risero “non è una cattiva idea, in effetti” disse lui. Poi, si fermò all’istante, e per poco la gente che li seguiva non andò a sbattere contro di loro.
“Ma prima di qualunque altra cosa, c’è una cosa che devo fare, una cosa che ho lasciato in sospeso.” Guardò Claudia così intensamente che lei ebbe una scossa elettrica “comincia col fare il mio segretario, Alonso: cancella tutti gli appuntamenti della settimana.”




Ecco a voi il penultimo capitolo! Un po’ strano, ma spero vi piaccia! Ho cercato di scrivere quella che a parere mio potrebbe essere la scelta di Gabriel, e come lo avrebbe comunicato alla Congregazione. Per quelle che si aspettavano un capitolo incentrato tutto su Claudia e Gabriel, mi dispiace avervi deluso, ma non tarderà ad arrivare: il prossimo, che sarà l’ultimo, è proprio su di loro! Mi ci vorrà del tempo per scriverlo, perché voglio farlo al meglio!

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Capitolo 19
*** Amore e Psiche ***


Parcheggiò la sua moto sotto casa di lei: era l’unico mezzo che avessero a disposizione, giacché la donna si era allontanata da quel posto contro la sua volontà. Nonostante da quel giorno fosse passato più di un mese, Claudia non riusciva a sentirsi a casa, guardando quei mattoni bianchi. Aveva lasciato metà del suo cuore a Villa Antinori, fra quelle stanze in cui lui l’aveva curata e dove l’aveva visto allenare quei ragazzi; fra quegli alberi fitti dove si erano uniti in modo così sublime. Lui la prese per mano, conducendola verso la porta, e aspettò che trovasse le chiavi di scorta (il mazzo originale era nella borsa che aveva gettato sul pavimento, quella dannata sera in cui l’aveva incontrato la prima volta). Finalmente, aprì; diede una fugace occhiata in giro: tutto era come l’aveva lasciato, un po’ in disordine; sui mobili regnava indisturbato uno spesso millimetro di povere. Sospirò, voltandosi verso di lui.
“Mi sa che oggi mi toccherà passare la giornata a puli…” gemette, mentre lui le chiudeva le labbra con le sue.
Lei rispose al bacio, sorpresa ed entusiasta; il bacio era dapprima dolce e lieve, poi si fece intenso; indietreggiarono, e lei si ritrovò con il corpo premuto contro la porta; le mani di lui erano appoggiate contro quel legno verniciato; le braccia la circondavano in modo che non avesse via di scampo. Come se volesse cercarla: in cuor suo, non aveva aspettato altro da quando erano entrati. Il bacio si intensificò tanto da lasciarla senza fiato, pregante per avere qualcosa di più. Fece un suono di protesta, quando le labbra di lui si staccarono dalle sue, sostituito subito da un sospiro di sollievo e piacere, quando Gabriel prese a baciare il suo collo, e a denudarle le spalle spostando a morsi quella maglietta che le copriva.
“Chiama la tua segretaria e dille di cancellare tutti gli appuntamenti della settimana” le disse, fra un bacio e l’altro.
“Co… come? Che cosa faremo, in una settimana?” il potere di quelle labbra sul suo corpo era così forte che si stupì nel sapersi ancora capace di formulare una frase sensata.
L’occhiata che le diede pochi secondi dopo, staccandosi da lei, la lasciò senza fiato: era un’occhiata brillante di affetto e desiderio, come non ne aveva mai viste.
“Lo scoprirai presto” le sussurrò, prendendo a baciarle il collo, per poi passare alle clavicole e al petto.
Con mano tremante, lei prese il cellulare dalla tasca dei jeans e cercò il numero della sua segretaria nella rubrica; azione non facile in quel momento. Aspettò che rispondesse, cimentandosi nell’impresa impossibile di ignorare la sensazione di quelle labbra sulla sua pelle, di quelle mani che ora strusciavano fra i suoi capelli, per avvicinare quel collo morbido ai suoi baci. Ora le sue labbra erano sulla sua fronte, sulle sue guance: si chiese per quanto tempo avrebbe resistito. Finalmente, Laura rispose.
“Claudia, tutto bene? E’ da un po’ che non ti sento, ti è successo qualcosa? Tutto a posto?” la sua voce era concitata.
“S-sì…  no! Ho un po’ di mal di testa, non verrò a lavorare per una settimana. Ah!” non aveva potuto evitarlo: Gabriel le aveva preso la vita da dietro, sfiorandole con il naso la nuca; vi aveva piazzato un bacio, poi l’aveva morsa, dolcemente: il cervello di Claudia si era momentaneamente offuscato.
“Claudia, ti senti bene? Hai una voce strana!”
“Sto… sto un po’ male, credo che mi stenderò un po’.” Aveva finalmente chiuso la chiamata, e il cellulare era caduto per terra, mentre lei, incapace di resistere ancora, si era voltata verso di lui, baciandolo appassionatamente. Si diressero verso la camera da letto di lei, con le bocche incollate. Nell’impeto della passione, lui la spinse su quelle lenzuola bianche, appoggiando la sua fronte a quella della donna. Ora non c’erano più né cellulari, né lavoro, né doveri verso la Chiesa a tenerli separati; l’avrebbe presa lì, su quelle coperte, ma sarebbe stato solo l’inizio: leggendo nella sua mente, aveva visto che, quando lui l’aveva lasciata, quel dannatissimo giorno su quella terrazza, lei si era sentita mancare, aveva pianto internamente; aveva pianto per quelle braccia che non l’avrebbero mai più toccata, si era sentita morta. Era corsa a casa e si era domandata cosa sarebbe successo, se lui, quel giorno, avesse scelto lei. Ora glielo avrebbe mostrato; avrebbe colmato quei sette giorni orribili che lei aveva dovuto sopportare a causa della sua precedente decisione insensata. Lui indossava ancora la sua divisa nera, senza però la stoffa bianca; con rabbia, si strappò la camicia, rivelando il suo petto nudo, il suo torace muscoloso e glabro, le sue spalle forti. Lei accarezzò dolcemente quel torace su cui un giorno prima c’era stata una profonda ferita, quella pelle su cui aveva pianto, disperata, pensando di perdere il suo uomo per sempre. A quel ricordo, abbracciò con impeto le sue spalle. Svelto, lui obbedì a quel richiamo: in un attimo, lei si ritrovò nuda, sotto di lui; entrambi frementi di desiderio. La profondità di quel bacio era quasi insostenibile. Rabbrividì, mentre lui si staccava dalla sua bocca per scendere sul suo mento, sul suo collo, andava a gustare le perle rosee dei suoi seni, facendola sospirare; scese fino al ventre, ricordandosi che con loro c’era pure un altro essere, ricordandosi che doveva trattare quel corpo come una cosa sacra; accarezzò il loro bambino sfiorandolo con la guancia, mentre lei prendeva ad accarezzargli con dolcezza i capelli rossi. Lui percorse di nuovo quella pelle di miele per poi guardarla negli occhi, leggendo nella sua mente: vide amore, desiderio, profondo affetto e perfino impazienza. Con orrore, vide anche quello che le era successo in quell’orrendo giorno: lei seduta nel suo studio, con un paziente; ma la sua mente vagava, era con lui, anelava le sue braccia, che non avrebbero più potuto confortarla; la vide che si alzava e, con un filo di voce, chiedeva al paziente di andare via, e alla sua segretaria di spostare gli appuntamenti. Sentì il suo dolore addosso, un dolore che gli tolse il fiato; lei gli mise una mano sul cuore, pregandolo di non sprecare quel momento. Gabriel, allora, non ebbe più indugi: baciò le sue labbra, esplorando con la lingua l’interno della sua bocca, gustandola come si gusta un dolce prelibato, e, nello stesso tempo, cominciò ad agire, muovendosi dentro di lei, stringendola forte a sé. Continuò ad esplorarle la mente, e arrivò a quello stesso giorno, poche ore dopo: lei stava piangendo davvero, questa volta, disperata. Non chiedeva altro, se non averlo con sé, poterlo abbracciare, baciare, farlo suo. Aveva cominciato a liberare quei singhiozzi, sperando che potessero soffocare il dolore; che il dolore potesse ottenebrare la sua mente; desiderava svenire, morire, cadere in un sonno profondo, svegliarsi e dirsi che quell’addio era stato solo un brutto sogno, e che presto l’avrebbe avuto con sé. Lui copriva quei singhiozzi coi suoi baci, asciugava quelle lacrime sfiorando con le mani quella pelle; riempiva il senso di vuoto facendole sentire la sua presenza, entrando in quel corpo sacro con la dolcezza di una carezza. Quella tristezza lasciò lentamente il posto ad una felicità radiosa. E anche lei allora poté leggere la mente di lui, e vedere cos’aveva provato quel giorno: tristezza, abbandono, odio per quel senso del dovere che lo aveva fatto allontanare dalla donna che amava. Vide questo, e anche quello che gli era successo dopo: la malinconia che lo aveva sgretolato da dentro tanto da fargli rifiutare i pasti, da non farlo più dormire; si era lentamente così deteriorato nel fisico da non poter più lavorare, perdendo interesse persino nella Congregazione. Solo una persona c’era nei suoi sogni: lei. Riempì di baci quelle guance, quel collo, quelle spalle virili, quel petto ampio, scolpito da giorni e giorni di allenamento, gemendo per l’intensità con cui la stava facendo sua. Sospirando, gli prese la testa fra le mani.
“Chiudi gli occhi, e non fare niente fino a che non te lo dico io” gli sussurrò.
Lui obbedì come un bambino, tremando, un attimo dopo: lei stava percorrendo il contorno delle sue labbra con le sue; le aveva inumidite passandovi dolcemente la lingua, ed era entrata nella sua bocca, accarezzandola. Lui sperava di ricevere subito un comando, perché non sapeva fino a che punto il suo cervello e il suo corpo avessero retto; finalmente il comando venne, telepatico: lui rispose con veemenza al bacio, contemporaneamente addentrandosi ancora di più in lei; Claudia sospirò, seguendo all’unisono i suoi movimenti, ormai stanca di sentirsi ancora separata da lui; ricaddero sulle lenzuola con le mani intrecciate, i loro corpi che calzavano perfettamente uno con l’altro.
Da quel momento, passarono il tempo di quei sette giorni a fare l’amore, fermandosi solo per i pasti, quando le loro bocche erano impegnate a masticare; ma, per il resto, le loro bocche erano unite in un profondo bacio d’amore. Perfino sotto la doccia, quando, contro la parete quasi trasparente, lui le prendeva le mani, facendo aderire i loro corpi bagnati, baciando quelle gocce che le cadevano amò sera, quando entrarono insieme nella vasca da bagno, Gabriel si ricordò di quando aveva dovuto lavarla, quel giorno in cui Serventi le aveva fatto perdere la memoria. Strinse una mano a pugno: l’avrebbe ucciso di nuovo, se avesse potuto. Lei lo richiamò alla realtà, chiamandolo dolcemente per nome, e rimase spiazzata quando lui le fece vedere con la mente come l’avesse desiderata impotentemente in quel frangente: lei ne fu così colpita da mettersi a piangere. Sconvolto, asciugò quelle lacrime con la sua lingua; baciò quegli occhi, mentre l’acqua scorreva fra i loro corpi. Claudia era così tiepida e morbida in quel momento! Si abbandonarono all’oblio; Gabriel reggeva la testa di lei affinché il marmo freddo della vasca non le facesse male, e poggiava il mento sui suoi capelli, baciandoli affettuosamente; continuò a tenerla stretta in quell’abbraccio fino alla fine.

“E così sarà, fino alla fine!” esclamò Claudia, guardando compiaciuta il disegno che aveva appena completato.
Claudia con uno splendido vestito da sposa, così leggero da sembrare quasi una tunica, le spalle nude; dei brillantini scendevano come pioggia fra i suoi capelli di mogano; Gabriel la teneva in braccio, vestito di uno smoking bianco dai risvolti neri. Negli occhi di entrambi si leggeva tutto l’amore che si possa desiderare. Alonso, senza neanche la talare a classificarlo come sacerdote, li aveva sposati con solo una striscia argentata applicata sul braccio; sarebbe stato quello il segno di riconoscimento della Chiesa fondata da Gabriel.
Elisa si sporse un po’ per vedere il capolavoro dell’amica.
“Niente male, mi sorprendi sempre di più, devo ammetterlo!”
“Già, ben fatto, Agatha! Ma devo dirvi: se questo non succedesse davvero, non potrei farvi interferire col destino.” La voce roca di Anna si era intromessa nella conversazione.
“Suvvia, Anna, non essere così rigida! Succederà fra un mese, e poi Agatha si è offerta di fare loro da stilista; non dimenticare che i preparativi spettano a me, Agatha, Elisa ed Enzo!” aveva detto Nadia, baciando il fidanzato.
“E poi, dopo che abbiamo finito con i preparativi di Gabriel e Claudia, toccherà a noi, sei mesi dopo!” le aveva ricordato lui, con un sorriso.
“Già!” aveva concluso Elisa, poggiando la penna sul foglio. Sorrise.
Teneva stretta la mano di sua moglie, aspettando con ansia e impazienza. Le baciò la fronte, con affetto.
“Ti amo!”
Gli occhi di lei gli risposero stanchi, ma felici. Una felicità che s’intensificò in maniera spropositata, quando l’infermiera mise fra le braccia della mamma il loro figlio: era grande e sano, con una testolina su cui già s’intravedeva una peluria rosso-chiaro che sarebbe diventata col tempo rosso-rame. Quegli occhi chiusi erano di un colore azzurro scuro, quasi castani intorno all’iride. Suo padre toccò con un dito quella piccola mano, che si richiuse prontamente a stringerlo, con forza.
“Benvenuto nel mondo, Sebastiano Pietro Antinori.”
Il bambino sorrise, aprendo improvvisamente gli occhi.
Fine




Mi scuso per due cose: il computer su cui stavo scrivendo il capitolo stamattina, nel pomeriggio si è bloccato e non ha voluto saperne di accendersi, forse per colpa di un virus, e quindi ho dovuto riscrivere sul portatile (dove la tastiera non funziona bene) la prima scena d’amore, che onestamente in quell’altro era descritta meglio. Che delusione! Perché non salvo mai quello che scrivo? Secondo, non ricordo il nome della segretaria di Claudia, quindi le ho appioppato il primo nome che mi passava per la mente. Comunque, questo è l’ultimo capitolo, spero che vi piaccia e di non aver deluso nessuno! Ora credo che sarò assente per un po’ dal sito della ff, causa studio e la stesura del mio secondo romanzo. Vi ringrazio tutte per le vostre recensioni, siete fantastiche!

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