Sette peccati

di rosie__posie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lunedì mattina ***
Capitolo 2: *** Martedì pomeriggio ***
Capitolo 3: *** Mercoledì mezzogiorno ***
Capitolo 4: *** Giovedì sera ***
Capitolo 5: *** Venerdì mattina ***
Capitolo 6: *** Sabato pomeriggio ***
Capitolo 7: *** Domenica notte ***



Capitolo 1
*** Lunedì mattina ***


Scritta in origine per la community settepeccati su LiveJournal. Grazie alla splendida melian_eresseie per avermi fatto da beta reader! Disclaimer: i personaggi purtroppo non sono miei; appartengono a ITV, Bentley production, All 3 media, Caroline Graham



Lunedì mattina
Il lunedì mattina, di solito, era sempre stato carico di lavoro accumulatosi nel weekend: qualche furtarello o episodi di guida in stato di ubriachezza, per nominarne alcuni.
Il lunedì mattina, di solito, non riusciva quasi mai a trovare il tempo nemmeno per farsi il suo the con latte.
Il caffè nero del suo capo, invece, quella era tutta un’altra storia; per quello, il tempo lo trovava sempre. Anzi, preparare il caffè per l’ispettore capo Tom Barnaby era un piccolo rituale che dava piacere anche a lui. Nessun altro era autorizzato ad avvicinarsi alla sua tazza e questo lo faceva sentire… beh, sì, importante.
Ma quella mattina era tutta un’altra cosa. Sembrava che durante il weekend persino il crimine della contea si fosse preso un giorno di vacanza e sulla sua scrivania non contava più di un paio di cartellette, che potevano benissimo aspettare il pomeriggio. Qualcosa dentro di lui, dentro il suo corpo, ritardava a stare al passo della settimana appena iniziata. Qualcosa, nella sua mente, gli sussurrava che non sarebbe stata una settimana come le altre, quella. E non solo per il matrimonio che si sarebbe celebrato il prossimo sabato.
Ma di certo si rifiutava di pensare che la brutta sensazione che stava pian piano insinuandosi dentro di sé potesse avere a che fare col fatto che il suo capo avesse invitato al matrimonio della figlia anche il suo vecchio sergente, ora ispettore. Assolutamente. Era lui il suo assistente, ora, e sembrava anche che ci fosse del feeling tra loro.
Ma perché allora aveva iniziato a sentirsi minacciato appena saputo del suo arrivo? Perché sembrava non crederci nemmeno lui a queste parole?
Volse lo sguardo alla tazza del suo capo appoggiata di fianco alla macchinetta del caffè, un paio di scrivanie più in là. Il pensiero che l’ispettore Troy potesse anche solo sfiorarla con le sue mani scosse un po’ della sua pigrizia mattutina. Ma poi tornò a osservare le cartellette di fronte a sé. La tranquillità di quella giornata era fin troppo invitante per lasciarsi abbandonare al richiamo della gelosia.
Decise di rimandare all’indomani le sue preoccupazioni. Intrecciò le mani dietro la nuca e chiuse gli occhi, pensando, dopotutto, a come fosse fortunata quella tazza: indipendentemente da chi l’avrebbe riempita, aveva sempre l’onore di essere accarezzata ogni giorno dalle calde labbra di Tom.

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Capitolo 2
*** Martedì pomeriggio ***


Martedì pomeriggio
Forse aveva sopravvalutato le sue capacità quando era sceso in quel pozzo a recuperare il gatto della vecchia signorina Mellory (tra l’altro, “vecchia” era un po’ un eufemismo; quella donna sembrava un ospite regolare dell’ala delle mummie del British Museum in libera uscita). Tirare fuori quell’essere peloso era stato un gioco da ragazzi, ma tirare fuori sé stesso non sembrava altrettanto facile.
-Va tutto bene, sergente?-, chiese la vecchietta al di fuori del pozzo. La luce che filtrava laggiù era davvero poca; se non altro, lo risparmiava dal vedere quel viso tutto incartapecorito.
A meraviglia, aveva voglia di rispondere, incastrato in quel fetido buco da poco più di un metro quadro.
-Ha chiamato la centrale, signorina Mellory?
-Come ha detto, giovanotto?
-La centrale! L’ha chiamata?-, gridò.
Dio, se odiava i martedì. Erano ancora peggiori dei lunedì; sembravano stare in un limbo tutto loro.
-Ovvio che l’ho chiamata!-, rispose indignata. –Hanno detto che manderanno al più presto un agente.
Avrebbe volentieri preso a testate le pareti di quel pozzo, se lo spazio che lo circondava glielo avesse consentito. Ma la colpa di essersi cacciato in quel pasticcio era soltanto sua.
Si era riproposto di rispondere alla prima telefonata che sarebbe giunta al 999, qualunque richiesta fosse, piuttosto di rimanere al CID e vedere il suo capo impegnato in quell’interessantissima conversazione di “Ti ricordi quella volta che…” con l’ispettore Troy, appena tornato da quel cavolo di Middlesborough.
Tanto, sicuramente non avrebbero nemmeno notato la sua assenza. Dannazione… Era sicuro che avrebbe presto avuto l’occasione di ricordare a Tom chi fosse ora il suo sergente. Ma evidentemente liberare un quadrupede intrappolato in fondo a un pozzo prosciugato non era stata l’idea migliore.
La voce della signorina Mallory, tornata più gentile, lo riscosse dai suoi pensieri.
-Gradisce una tazza di the, sergente?
Ben scosse la testa, quel poco che poteva.
-No, grazie, signora Mellory. Magari più tardi…
Gli abitanti di Morton Fendle, come aveva già constatato in altre occasioni, provenivano davvero da un altro pianeta.

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Capitolo 3
*** Mercoledì mezzogiorno ***


Mercoledì a mezzogiorno
Un panino al tonno con crauti, maionese e verdurina non meglio identificata.
Una bottiglietta da mezzo litro di bevanda energetica.
Una barretta di cioccolata.
Un sacchetto di patatine alle cipolle.
Non avrebbe saputo dire se gli facevano più ribrezzo i crauti, la verdura non meglio identificata o il mix cioccolato-patatine-cipolle.
-Sette sterline e 95, signore.
Osservò l’ispettore Troy mettere sul bancone una banconota da cinque sterline e poi cercare la moneta in una tasca.
Gettò alcune monetine assieme alla banconota da cinque, quindi cercò ancora nell’altra tasca.
-Hai cinque penny?
Ben si lasciò scappare uno strano sorriso.
-Sono spiacente, ma ho dimenticano il borsellino della moneta in auto-, disse, pensando al gonfiore che sentiva nella tasca interna della giacca.

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Capitolo 4
*** Giovedì sera ***


Giovedì sera
Se glielo avessero domandato, l’aspetto più assurdo di un matrimonio era secondo lui la scelta della torta nuziale. Nel momento in cui la torta avrebbe fatto il suo ingresso in sala, gli invitati sarebbero sicuramente già stati pieni come dei porcellini o sbronzi peggio di vecchi irlandesi.
A chi poteva interessare se fosse di frutta o di crema? Di panna o di marzapane? A più piani o monopiano? A cappelliera o monoporzione?
Però, dopotutto, com’erano teneri Simon e Cully di fronte a lui, con gli occhi che saltavano dalla mini-torta inglese, caratterizzata da una serie di cilindri disposti a piramide e decorata da piccoli festoni, alla mini-torta americana di pan di spagna ricoperta di mandorle, disposte in bella vista sul tavolo della cucina di casa Barnaby.
Dopo aver perso notti insonni a preparare gli inviti, disporre i tavoli, scegliere il viaggio di nozze (ah, no, è vero, quello lo avevo scelto subito), parevano non aver ancora perduto l’entusiasmo. Li ammirava davvero sinceramente.
Ma, più di tutto, gli rallegrava il cuore la felicità dipinta negli occhi del suo capo alla vista della sua bambina che si stava preparando a prendere il volo, definitivamente.

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Capitolo 5
*** Venerdì mattina ***


Venerdì mattina
Okay, un’altra occhiata veloce e basta.
Se fosse rimasto un minuto di più ad ammirare compiaciuto la sua immagine riflessa nello specchio, avrebbero di certo mandato un poliziotto a buttare giù la porta del camerino.
Però, doveva proprio ammettere che il tight gli conferiva una certa bellezza. Forse era quella venatura di grigio, oppure la regalità della cravatta in seta dorata, a illuminargli piacevolmente il viso e a mettere in risalto la buffa fossetta che aveva sul mento. Buffa? No, non era buffa, era sexy, decise, annuendo.
Con un pizzico di superbia, si domandò se l’ispettore Troy, due camerini più in giù, avrebbe fatto lo stesso figurone nell’abito da cerimonia.
Si passò una mano tra i capelli, volgendo il capo prima a destra, poi a sinistra, chiedendosi se gli donassero meglio sulla fronte o pettinati all’indietro. Fece un passo indietro per avere una migliore visione d’insieme. Avrebbe forse dovuto allungarli di nuovo?
-Hai in programma di trascorrere qui la notte, Jones?
Trasalì.
-Da quanto tempo è qui, signore?-, farfugliò, guardandosi attorno imbarazzato, come alla ricerca di qualcosa.
-Abbastanza da capire che quel tight farebbe una migliore figura se togliessi le mani dalle tasche…
-Sì, signore.
-…e ti annodassi meglio la cravatta.
-Certo, signore.
Un ultimo sguardo allo specchio…
-Jones?
-Sì, signore?
-Andiamo! Il crimine non aspetta…

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Capitolo 6
*** Sabato pomeriggio ***


Sabato pomeriggio
Quando, nella contea di Midsomer, venivi invitato a una festa popolare, solitamente pregavi di riuscire a tornare a casa vivo e in buona salute. Ma questa non era una festa come le altre, era il matrimonio di Cully. E, solitamente, ai matrimoni non succedeva mai niente di male, a parte annoiarsi oppure ubriacarsi. Beh, forse, per essere sinceri, un paio di matrimoni con delitto li aveva anche visti da quando era diventato detective. Ma la sposa di oggi era troppo bella nel suo abito di organza per meritarsi un matrimonio insanguinato.
-Mi concedi questo ballo, Ben?
Joyce gli aveva messo una mano sulla spalla, con tenerezza.
-Suo marito la trascura, signora Barnaby?-, ribatté, appoggiando il bicchiere di birra sul bancone del bar.
-Sembra che lui e Gavin abbiano più cose da raccontarsi di quante siano scritte nel Sogno di una notte di mezza estate.
Ben seguì il suo sguardo oltre le vetrate, verso il giardino, dove Tom e Troy erano seduti a un tavolino, a scambiarsi aneddoti e a bere scotch. Quel giorno il suo capo appariva quasi un’altra persona: felice, raggiante, ringiovanito di dieci anni.
Joyce lo aveva preso per mano e lo aveva condotto al centro della pista da ballo.
-Eppoi Tom non sa ballare la salsa-, stava dicendo, mentre appoggiava il palmo aperto della mano sinistra contro la spalla di Ben e prendeva l’altra sua mano con la destra.
-Vostra figlia è semplicemente meravigliosa oggi, signora Barnaby.
-Oh, lo è davvero. Ma chiamami Joyce, Ben. È come se facessi parte della nostra famiglia.
-Mi piacerebbe, mi piacerebbe davvero, signora Ba… Joyce-, e, così dicendo, i suoi occhi corsero fuori dal gazebo, a posarsi di nuovo su Tom e Gavin.
Quello strano e imperdonabile sentimento di gelosia che lo aveva accompagnato per tutta la settimana stava tornando a farsi sentire, un piccolo tarlo che non lo lasciava mai in pace. Il pensiero di perdere il suo lavoro, quel lavoro che ogni giorno cercava di meritarsi con il massimo impegno e che amava più di ogni cosa.
Il riavvicinarsi al suo vecchio sergente avrebbe fatto desiderare a Tom di non perderlo per una seconda volta?
Solo l’anno prima, a una sua battuta, Tom gli aveva detto di avere già abbastanza guai così senza perdere anche lui e quello lo aveva colmato di gioia.  Ma ora la sua sicurezza vacillava, sotto una minaccia, almeno ai suoi occhi, reale.
E la cosa che lo terrorizzava di più era il fatto che stava iniziando a credere che non fosse tanto il suo lavoro che aveva paura di perdere, quanto lo splendido rapporto che aveva con Tom. E Tom stesso.
Joyce seguì il suo sguardo in giardino.
-È così anche per lui, te lo posso assicurare.
Gli occhi di Ben tornarono immediatamente nel gazebo, incontrando con stupore quelli della signora Barnaby.
-Davvero, è così anche per lui. Lo conosco-, gli strinse una mano in senso di affetto.
-Io… io… -, farfugliò.
-È tutto a posto, non hai bisogno di fingere con me.
Ben si sentì smarrito, imbarazzato. Un po’ a disagio per quell’intrusione nei suoi pensieri, nei suoi sentimenti, ma confortato da quelle parole di affetto.
-Come l’ha capito? Perché, vede, non sono nemmeno sicuro di averlo capito io…
Stavano continuando a ballare, ma non seguivano più la musica. L’orchestra suonava ancora alle loro spalle, ma le note non arrivavano a loro. Salsa? Rock-and-roll? Charleston? Poco importava.
-I tuoi occhi, credo. Rispetto, ammirazione, complicità, affetto. E tutto quello che c’è nei miei ogni volta che vedo entrare Tom in una stanza.
In quel momento, il suo cuore decise di entrare in sciopero, i suoi piedi smisero di muoversi e chinò il capo. Se davvero i suoi occhi erano così loquaci, non se la sentiva di incontrare quelli di Joyce in questo momento.
-Signora Bar…
-Joyce!
-Sì, Joyce. Sono dispiaciuto, sono davvero dispiaciuto. E così confuso e imbarazzato…
-È tutto a posto-, ripeté. –Non devi esserlo, non ce n’è bisogno.
-Oh, sì. E lei dovrebbe odiarmi. Anzi, dovrei odiarmi anch’io, perché…-. Tornò a guardare oltre la vetrata. -…per quello che provo per lui.
Già, per quello che provava per lui. Ora che lo aveva detto ad alta voce, gli faceva meno paura. Era diventato più reale, più normale.
Joyce sorrise e Ben pensò che quel sorriso la rendeva davvero una bella signora, anche se non più giovane.
-Odio? E perché mai? Amare ed essere amati è la cosa più bella e naturale del mondo. Non devono esserci regole, niente ‘giusto o sbagliato’. Io guardo te e rivedo me. E quando ci sarai tu al suo fianco, io sarò tranquilla, perché saprò che sarà amato.
E in quel momento il sergente Jones provò una forte invidia per le donne, così forti, così leali, così capaci di andare all’inferno e tornare indietro dopo aver avuto la meglio su Messer Satanasso.

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Capitolo 7
*** Domenica notte ***


Domenica notte
 
Raramente beveva qualcosa di più forte di una pinta di birra. Non amava la sensazione dell’alcol che gli scendeva nella gola, né tanto meno l’effetto che provocava sulla lucidità del suo cervello. Ma quella sera decise che aveva decisamente bisogno di qualcosa di più forte e, dopo alcuni bicchieri di birra, aveva presto cambiato rotta verso lo scotch. Osservava con attenzione le sfumature ambrate della bevanda nel bicchiere che teneva in mano, pensando a come stessero cambiando i suoi gusti, quella sera. Come stesse cambiando lui.
-Sembra che tu ti stia davvero divertendo a questa festa…
Tom gli aveva sfiorato una spalla e aveva preso posto accanto a lui. Era la prima volta, dopo la conclusione della cerimonia nuziale, che Tom gli rivolgeva la parola e questo lo mise stranamente a disagio.
-È tutto perfetto, signore. Tutto perfetto…-, disse, tenendo lo sguardo incollato al bicchiere di fronte a lui. Non voleva alzare gli occhi e incontrare i suoi. Non voleva confrontarlo e correre il rischio di apparire come un libro aperto, così come era capitato con Joyce.
-Non sei mai stato bravo a mentire, vero, Ben?
Sì sentì avvampare e sapeva che non era colpa dello scotch. Quante volte lo aveva chiamato per nome prima d’allora? Una? Due?
-Vieni, ti accompagno a casa. Hai bisogno di una bella dormita-, disse Tom, sottolineando le sue parole battendogli due colpetti sulla gamba. La sua mano si soffermò un attimo sulla coscia, prima di scivolare via, in un gesto innocentemente erotico che impedì a Ben di replicare.
E si ritrovò così a seguire diligentemente il suo capo, come faceva sempre, a bordo della Jaguar. Reclinò il capo all’indietro sull’appoggiatesta, chiuse gli occhi e lasciò che il silenzio si interponesse tra loro. Avrebbe voluto chiederli dove fosse Joyce, dove fosse l’ispettore Troy, ma il silenzio nell’abitacolo gli dava la possibilità di ascoltare il respiro di Tom accanto a lui, e questo per lui era molto più appagante.
-Pensi di riuscire a trovare le chiavi o dobbiamo rompere una finestra?-, scherzò Tom, guardando divertito Ben, davanti alla porta di casa, frugare in tutte le tasche del tight alla ricerca delle chiavi.
-“Devi”, signore. Manderebbe me a farlo, come sempre…
C’era un pizzico di tristezza nella sua voce, un misto di nostalgia e desiderio.
-Già, probabilmente sì…
Alla fine, trovò le chiavi in una delle tasche del panciotto e la mostrò al suo capo in uno stanco gesto di vittoria.
-Casa dolce casa…-, mormorò Ben entrando, senza accendere le luci. La luce fioca proveniente dall’esterno illuminava le sagome dei mobili quel tanto che bastava.
-Bene, ora che ti ho riportato sano e salvo all’ovile, posso andare a fare altrettanto con la signora Barnaby.
Ben annuì, guardando ostinatamente la punta delle sue scarpe ancora lucide.
-È stata una splendida festa, signore. Deve esserne fiero…
Una pausa.
-Di sua figlia, intendo. Oh, ovviamente anche della festa… E anche ottimo vino…
Ben faceva così tenerezza da strappare a Tom un sorriso.
-Oh, lo vedo, lo vedo… Beh, fatti una bella dormita. Ti aspetto lunedì mattina in ufficio-, disse, alzando le chiavi della Jaguar in segno di saluto.
Ti aspetto… in ufficio… Come al solito.
Le parole magiche, che fecero scattare qualcosa in lui. Gli venne così naturale, così spontaneo. Si avvicinò a Tom e lo abbracciò, facendolo arretrare di un passo verso la porta. Gli sfiorò le labbra con le sue, accarezzandole con dolcezza e riverenza, i loro respiri così vicini. Poi si fermò, per dare a Tom il tempo di staccarsi da lui e di rifiutare educatamente ciò che gli stava offrendo. Ma non lo fece. Con titubanza, Tom alzò una mano e sfiorò con un dito le labbra di Ben, che, in risposta, prese quella mano tra le sue per baciarla, con altrettanta timidezza.
Poi, lasciarono che le loro bocche appena socchiuse si incontrassero in un bacio incerto, appena accennato. Quindi un altro e un altro ancora, senza esitazione, più sicuro, più voluto. Infine, Ben si lasciò andare tra le braccia di Tom, appoggiando il capo sulla sua spalla, stanco ma sereno. Non si sarebbe staccato da quell’abbraccio per il resto della sua vita. Sentì la mano di Tom accarezzargli i capelli con dolcezza e solleticare la sua tempia con un bacio leggero. Poteva sentire che stava sorridendo.
Un’ultima carezza, poi Tom si staccò da lui.
-Ti aspetto domani, allora.
Un attimo dopo, Tom se n’era andato, ma Ben si sentiva felice. Di nuovo.

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