Critical love

di Ciulla
(/viewuser.php?uid=134306)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non dirmi che mi ami ***
Capitolo 2: *** Kisses and words, caresses and smiles ***



Capitolo 1
*** Non dirmi che mi ami ***


Sono esausto. Sono completamente esausto.
Ho sempre avuto un fisico resistente, per quanto minuto, ma non mi ero mai sentito così stravolto in tutta la mia vita. E in qualità di investigatore devo avere una vita piuttosto fiaccante.
Compatitemi. Provate voi a passare un’intera giornata tra indagini impossibili e cocenti umiliazioni. Per le quali devo ringraziare Sherlock: chi altri?
Per fortuna il famosissimo consulente investigativo dice di essere sulle tracce dei rapitori; dovrebbe mancare poco alla fine di quest’incubo.
Ora ho bisogno solamente di una bella e tranquilla dormita... Mi dirigo frettolosamente verso casa mia.
Le strade sono pressoché deserte, solo qualche auto solitaria si azzarda a mostrare le luci dei suoi fanali nella fitta nebbia londinese. L’umidità della nebbia ha sempre avuto un effetto tranquillizzante su di me: e come se la visione di questo vuoto che mi circonda avesse in qualche modo il potere di liberarmi dalle preoccupazioni, di creare il vuoto anche dentro la mia testa… Anche se, come direbbe Sherlock, la mia testa è già vuota.
Immerso in queste piacevoli elucubrazioni, vedo qualcosa che mi preannuncia che i miei rilassati piani per la notte verranno ostacolati. Due figure vestite di nero mi aspettano infatti davanti alla porta del mio appartamento. E quando dico vestite di nero, intendo vestite di nero: giacca, cravatta, pantaloni, cappello, occhiali da sole. La camicia è l’unica cosa bianca che si intravede nell’oscurità.
Chi possono essere? Forse i rapitori a cui do la caccia hanno deciso di tendermi un agguato per vendicarsi dei progressi nelle indagini. Oppure degli agenti segreti mi hanno confuso con un criminale. Magari c’è un ritrovo di pinguini al bar all’angolo: con questo abbigliamento quei due potrebbero imboscarsi tranquillamente. Oppure, wow, quelli sono i Blues Brothers e io sto per assistere dal vivo a un loro concerto!
Cosa alquanto improbabile, dato che uno dei due fratelli canterini è morto, ma che ci volete fare, vi ho già detto che sono esausto.
Tornando al problema di partenza e tralasciando i miei deliri: chi sono quei due? Mi conviene avvicinarmi o fuggire? La seconda ipotesi mi tenta, posso sempre tornare indietro e dormire in commissariato. Non sarebbe la prima volta: come direbbe Sherlock, dormo sempre sul posto di lavoro.
Ma al diavolo, quella è casa mia; marcio con decisione verso la porta. Do una spallata a uno dei due tipi oscuri: “Permesso, dovrei entr... OH MIO DIO! MYCROFT!”
Scommetto che non indovinate chi è la persona che mi ha causato questo terribile urlo. Ebbene sì, è il secondo Holmes che mi fissa da sotto le lenti scure degli occhiali da sole con un ghigno indolente sul volto.
“Gregory! Anche io sono felice di vederti. Mi inviti a entrare, vero?”
Detto ciò mi ruba le chiavi di mano e le infila nella serratura.
Io, ovviamente, non ho la possibilità di ribattere, non ci provo neanche. Indico solamente l’accompagnatore di Mycroft. “E lui chi è?”
“Lui chi?” Holmes si guarda intorno per controllare a chi mi riferisco.
“Oh, quello. Non lo so, l’ho incontrato per strada e ha iniziato a prendermi in giro trattandomi come un vu cumprà e chiedendomi se volevo vendergli l’ombrello. A quanto pare trovava buffo che l’avessi al braccio in assenza di pioggia. Ma la previdenza non è mai troppa!”
Lo guardo scettico. “E perché te lo sei portato dietro?”
“Te l’ho detto, la previdenza non è mai troppa!”
“Non l’ombrello, l’uomo!”
Altro ghigno malefico. “Per dargli una lezione.” Tende l’orecchio, pronto a captare dei suoni sfuggiti al mio udito ordinario. “Si è messo a piovere, infatti. Ora puoi andare.”
Lo sconosciuto impreca e si allontana, seguito da un urlo di Mycroft. “A proposito, bel look!”
Scuoto appena la testa: Holmes non cambierà mai.
“E’ vestito come te, Mycroft.”
“Appunto, vero che ho buon gusto?”
Sospiro, mentre lui mi spinge dentro la MIA casa e mi fa gentilmente accomodare sul MIO divano, recandosi nella MIA cucina per preparare due tazze di tè. Col MIO tè, il MIO bollitore e il MIO fornello.
“A proposito”, gli urlo dietro, “Come hai fatto a dedurre che avrebbe piovuto?”
“Oh sì, quello è stato un vero colpo di genio... Ho guardato le previsioni.”
“Ma le previsioni davano bel tempo!”
“Appunto! Sbagliano sempre!”
Faccio una smorfia. Ma guarda tu se doveva venire proprio Mycroft a rovinare il mio miraggio di pace.
Sempre dall’altra stanza, Mycroft urla: “C’è tua moglie in casa?”
“No! E’a trovare sua madre, e ci rimarrà per una settimana.”
“Vuoi lo zucchero nel tè?”
“Sì, grazie.”


Accomodati sul morbido divano del soggiorno, sorseggiamo una tazza di te. Non chiedo a Mycroft cosa ci faccia qui; conoscendolo, me lo dirà con suo comodo quando lo riterrà necessario, e il fatto che procrastini così tanto, oltre a rubarmi il sonno, mi lascia anche la vaga speranza che non sia accaduto niente di particolarmente grave.
Attendendo che parli, non trovo niente di meglio da fare se non ammirare il suo corpo alto e robusto, le sue spalle larghe, i suoi occhi assorti. Certo che è bellissimo. Beh, è pur sempre un Holmes, e mi risulta che una particolare attrattiva rientri nel loro DNA. Eppure, nonostante Sherlock sia indubbiamente più slanciato e abbia dei capelli più morbidi e invitanti, ho sempre preferito a lui il fratello. Ha una certa qual aria di fascino e di autorità che mi eccita ogni volta che lo vedo, e mi fa venir voglia di accarezzarlo, amarlo e non lasciarlo più.
Mi soffermo sul profilo regolare del volto, sulla pancia forse non troppo piatta, sulle gambe rilassate, e mi lascio scappare un sospiro di invidia e desiderio, che subito tento di far passare per uno sbadiglio.
Devo reindirizzare i miei pensieri, se non voglio palesare troppo la mia attrazione - forte, incessante, ma pur sempre deprecabile. Come direbbe Sherlock, l’amore è  un’emozione, e in quanto tale va allontanata il più possibile per impedirle di prendere il sopravvento sui nostri pensieri e distrarci dal nostro lavoro.
Oppure, come direbbe mia moglie, la prossima volta che la tradisco mi spezza la testa. Vedete? Tutti sono contro di me.
Certo che oggi Mycroft è vestito strano. Troppo… Formale. Più formale del solito, intendo. Chissà dove è stato.
“Niente di speciale, giusto una riunione per sistemare la situazione della rivolta in… Oh ma questo non è necessario che tu lo sappia. Comunque, un abbigliamento elegante spesso determina una buona prima impressione, e una buona prima impressione spesso determina una maggiore considerazione. Imparalo, potrebbe esserti utile.”
Accidenti. Un’altra volta è riuscito ad indovinare i miei pensieri e a rispondere di conseguenza. Spero solo che non abbia dedotto anche la parte precedente delle mie fantasie…
“E, a proposito, lo so che sono bello, grazie.”
Come non detto. Accidenti, cosa avrà capito? Questa non ci voleva proprio.
“Come diamine hai fatto?”
Mycroft sorride soddisfatto: ancora una volta è riuscito a stupirmi. Non capisco, lui non ha mai avuto questa particolare inclinazione a mettere in mostra le sue capacità, a differenza del fratello: perché, dunque, si comporta così?
“E’ molto semplice: avendoti osservato attentamente, ho imparato a riconoscere le tue varie espressioni del volto, che spesso sono uno strumento di comunicazione più efficace delle parole. Mi hai guardato prima affascinato, quindi eri attratto o dal mio abbigliamento o dal mio corpo, ancora non ne ero sicuro, poi aggrottando la fronte, segno evidente che c’è qualcosa di strano in me. Ora, l’unico cambiamento avvenuto in me dall’ultima volta che ci siamo incontrati sono i vestiti, che sono poco usuali: dalla tua espressione interrogativa ho dedotto che ti chiedevi cosa avessi fatto per necessitare d’un tale look.
Ti ho risposto: dopodiché sei arrossito. Per rabbia o per imbarazzo? Naturalmente la seconda opzione: tendi a guardare le persone in faccia quando sei arrabbiato, con una decisione a te normalmente estranea, mentre prima facevi di tutto per evitare il mio sguardo. Ma perché eri imbarazzato? Non di certo per i pensieri che avevo dedotto: è normale chiedersi il perché d’un cambiamento. Allora eri imbarazzato per la parte precedente delle tue fantasie: temevi avessi potuto dedurre anche quella.
Perché essere imbarazzati se si pensa che un uomo vesta bene? Unica ipotesi plausibile: non eri affascinato dal mio abbigliamento ma da me. Grazie, lo so che sono bello. Ma, sottinteso, smettila di fissarmi. Mi metti in soggezione.”
Sopprimo a fatica un sospiro di sollievo. Temevo si fosse accorto che fissandolo avevo avuto un’erezione, ma effettivamente sarebbe stato difficile anche per lui, visto il lungo cappotto che mi copre fino al ginocchio.
“A proposito” continua Mycroft, e io irrigidisco, temendo abbia dedotto ora ciò che prima si era lasciato sfuggire. “Abbiamo rotto il ghiaccio ormai, quindi posso dirti cosa ci faccio qui.”
Secondo sospiro di sollievo soppresso della serata. Mi accomodo meglio sul divano e mi preparo ad ascoltarlo, mentre la stanchezza cede lentamente il passo alla curiosità e alla rassegnazione.
“Come ben sai, il caso su cui state indagando voi di Scotland Yard, o almeno su cui state tentando di indagare, visto che gran parte del lavoro è svolta da mio fratello Sherlock, non è un caso normale...”
“A me”, lo interrompo, “E’ sembrato un caso di rapimento come molti ve ne sono stati prima.”
Mycroft è scandalizzato. “Ma allora mio fratello ha ragione quando parla della totale incapacità di voi agenti di Scotland Yard! L’uomo scomparso fa parte di una famiglia poverissima; che interessi potrebbero avere i rapitori nel chiedere un riscatto?”
Sono dubbioso, mi chiedo a cosa voglia arrivare Mycroft. Tento di ribattere, anche se so che lui confuterà nuovamente la mia replica. “Magari ha qualcosa che ai rapitori interessa. Qualcosa di non prezioso.”
Comincio ad averne abbastanza degli sbuffi e dell’espressione commiserevole di Holmes.
“Effettivamente non è un’ipotesi da scartare, tuttavia ci sono gli altri aspetti originali che la confutano. La moglie al telegiornale, l’hai vista? Tranquilla, completamente rilassata. Tentava di dissimulare la sua calma, ma il tremito delle gambe era palesemente finto, e le lacrime visibilmente forzate, anche se non mi aspetto che tu ci abbia fatto caso. Inoltre, mentre rispondeva alle domande riguardo alla scomparsa del marito, si vedeva chiaramente che mentiva. Gli occhi costantemente puntati da un’altra parte, certe esitazioni, la voce incerta: anche uno con un cervello come il tuo ci sarebbe dovuto arrivare. Tutto ciò porta alla conclusione che la moglie era d’accordo con i rapitori. Punto numero uno.
Passiamo al secondo punto. Sherlock ha pedinato la donna, cosa che voi stupidi agenti non avete fatto poiché non nutrivate alcun sospetto su di lei. L’ha vista recarsi in un palazzo abbandonato e parlare tranquillamente con marito e rapitori. Cosa si deduce? Che il rapimento è una finzione. Probabilmente serve per distrarre l’attenzione della polizia -peraltro con successo - da qualcosa. Ma cosa? Presumibilmente da un luogo dove avverrà un crimine. Quale luogo? La donna si è anche recata in una delle ville più eleganti della città e ha scattato delle foto da diverse angolazioni, annotando appunti su dei fogli e fingendo di essere una semplice passante se c’era gente in vista. Comportamento troppo sospettoso per essere un semplice architetto incuriosito dalla strana tecnica utilizzata per la costruzione di quella casa. Sherlock l’ha inoltre vista in comportamenti sfacciati e adulanti col cameriere della villa: presumibilmente, egli non sapeva ch’era sposata e le ha dato tutte le informazioni necessarie all’infiltrazione nell’abitazione. Son venuto qui su richiesta di Sherlock, per informarti che stanotte, fra un paio d’ore, serviranno due o tre dei tuoi uomini per bloccare il colpo.”
Sono strabiliato e angosciato da tanta intelligenza, tuttavia ho ancora delle incertezze su qualche punto. “Uh... Perché stanotte?”
Mycroft sospira. “Perché mio fratello ha origliato una conversazione al telefono della donna. Probabilmente hanno scelto stanotte per la nebbia. Sai come sono questi criminali alle prime armi: convinti che la nebbia possa aiutarli nell’impresa. Non capiscono che ciò che può impedire ai poliziotti di trovare la strada per inseguirli può anche impedire a loro di trovare la strada per fuggire. Sarà una cosa facile. Allora? Possiamo contare sul tuo aiuto?”
“Ovviamente”, mormoro. Poi aggiungo: “Ma perché sei venuto tu? Non poteva dirmelo Sherlock? Ero con lui fino a mezz’ora fa!”
Mycroft sorride, e non è il suo solito ghigno, o il sorriso di commiserazione che ormai mi rivolge così spesso che ho imparato progressivamente ad amarlo. No, è un sorriso sincero, quasi... Dolce. “Voleva dirtelo lui, ma quando ho saputo qual era la sua intenzione, gli ho chiesto di poter venire io al suo posto. Mi mancavi così tanto...”
Mi ingozzo col te. Gentilmente Holmes mi dà qualche pacca sulla schiena, con un’espressione rilassata, come se non avesse detto niente di strano. Ma dico, si rende conto che per colpa sua sto soffocando? Che per la sua ultima frase il mio cuore sta galoppando più veloce di un cavallo imbizzarrito? Che le sue parole mi han fatto venire le lacrime agli occhi e che sto tremando fuori controllo? Perché non applica le sue capacità deduttive per qualcosa di veramente utile per una volta? Lo capisce che non deve dirmi certe cose? Non se io sono totalmente, follemente, irrimediabilmente innamorato di lui!
Gli afferro le maniche della giacca in preda al delirio, mentre lui mi guarda lievemente preoccupato.
“Greg, stai bene?”
“Non... Non devi... Non farlo mai più Mycroft!” Biascico in mezzo ai colpi di tosse. “Promettilo!”
Libera piano le sue braccia dalla mia presa ferrea per portarle attorno al mio corpo. Se prima il cuore andava a cento all’ora, ora è completamente fermo. Oh Dio, potrei morire qui, tra le sue braccia, ed essere felice...
“Non devo farlo più, Greg? Non devo più dirti che quando non ci sei mi manchi? Che vivo ogni giorno con la sola speranza di poterti rivedere il prima possibile? Perché è di questo che si tratta...”
Scuoto la testa. Non voglio cedere a quelli che lui dice essere i suoi sentimenti, perché non ci credo. Il suo battito, che sento bene in quanto la mia testa è schiacciata contro il suo petto, è regolare. Non un filo di rossore, non una traccia d’esitazione. Questo non è il comportamento d’un uomo che prova emozioni.
Eppure, le sue braccia attorno a me sono calde. E io è da secoli che sogno questa vicinanza, che sogno un contatto fisico con lui diverso dalle circostanziali strette di mano... Perché non lasciarsi semplicemente andare?
“Greg io ti a...”
“NON DIRLO!” Lo interrompo, staccandomi furiosamente da lui. Ho ancora un po’ di lucidità, devo solo usarla. Anche se, come direbbe Sherlock, ragionare non è una mia prerogativa. “Non dire niente, Mycroft. Solo, esci... Esci di qui. Contatto i miei uomini e fra mezz’ora siamo fuori dal commissariato pronti a un tuo... A un vostro segnale. Ma tu esci da questa casa!”
Non una traccia d’emozione sul pallido volto. E’ immobile; le labbra sono l’unica cosa che si muove. “Non è quello che vuoi, Greg. Io esco da questa casa, ma spero che il prima possibile ti renderai conto che le tue emozioni sono le mie.”
Lo spingo verso la porta. “Se credi che bastino le parole, Mycroft...” mormoro.
Si volta, un lampo di comprensione che gli attraversa il volto. “E’ così che la pensi...” dice. “Se è questo che vuoi, invece di dirtelo te lo dimostrerò, Greg... Te lo prometto...” Ma il suo volto è ancora imperturbabile. Non è certo quello d’un uomo innamorato... Perché è così che sostiene di essere.
Innamorato. Come può lui, un HOLMES, conoscere l’amore? Forte di tale pregiudizio, finisco di spingerlo fuori casa e chiudo la porta in faccia alla sua impassibilità più totale.
Mi lascio cadere sul divano, la stanchezza di poco fa svanita nel nulla, lo stomaco sottosopra, il cuore arrabbiato col cervello, un mucchio di domande che mi frullano nella mente.
Da quanto sa che lo amo? Perché stasera ha deciso di confess... Voglio dire, di ingannarmi? Come può sostenere di essere innamorato di me? E come mai io mi sento così felice pur sapendo che non è vero?
Sospiro, prendendo in mano il cellulare e contattando i miei agenti che hanno il turno stanotte per dar loro precise disposizioni riguardo alle prossime azioni. Poi faccio per uscire; ma un attimo prima, colto da un desiderio irrefrenabile, mi getto sul divano e annuso forte. L’odore di Mycroft rimasto sulla stoffa e sui cuscini mi invade, mi fa stringere il cuore; ma non posso concedermi questa beatitudine a lungo. Devo uscire... Me l’ha chiesto lui in fondo.
Mi alzo di malavoglia dal divano e mi avvio verso la porta, attraversando quello stesso corridoio che Mycroft ha attraversato pochi minuti fa. Apro l’uscio con uno spintone, lo chiudo alle mie spalle, infilo dentro la chiave e la giro; mi volto e faccio per scendere le scale, ma noto una figura scura accucciata sui gradini che conducono al piano superiore. Un ubriaco? Un maniaco? Un barbone? No, Mycroft. Addormentato.
Quasi senza accorgermene, mi siedo accanto a lui, cingendogli la vita con le braccia e sentendo con piacere il peso della sua testa che piomba sulla mia spalla. Rimango lì qualche minuto, a coccolarlo sovrappensiero, non badando al fatto che tra le mie braccia si trova un uomo che pochi minuti fa ho cacciato da casa mia e che, per qualche strano motivo, è rimasto fuori con il probabile intento di aspettarmi ma ha ceduto al sonno. Non do molto peso a questa e altre stranezze, come la rosa che gli spunta dalla tasca ma che prima non c’era: sarà che sono stanco. E immerso in questi pensieri, mi lascio andare sulla sua testa e mi addormento anche io...

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Kisses and words, caresses and smiles ***


“Greg?”
Mi sveglio, una mano che mi scuote leggermente per una spalla. “Greg, bell’addormentato, dobbiamo andare.”
“Mycroft?” Mugolo nel dormiveglia.
Lo sento ridacchiare. “Sono io. Mi sono appisolato fuori da casa tua e tu notandomi hai pensato bene di seguire il mio esempio.”
“Oh”, mormoro. “E cosa ci facevi fuori da casa mia? Ti avevo detto di andartene”, aggiungo, ma non suono molto convincente con questo enorme sbadiglio che mi interrompe la frase a metà.
Lui porta in avanti le mani, come a voler frenare la mia rabbia -peraltro inesistente -, e dice: “Volevo andarmene. Ma qua sotto c’era un poveraccio che tentava disperatamente di vendere delle rose e, uhm, mi ha convinto a comprarne una... Allora mi son detto, perché farla appassire? Magari Greg, che guarda caso abita proprio qui sopra, può metterla in acqua...”
Lo guardo male, irritato da questo comportamento in cui non colgo alcuna vena ironica.
“Bene, visto che l’hai comprata tanto di malavoglia, non ti dispiacerà se la butto”, dico, facendo finta di stritolare la rosa tra le mie dita.
“NO!” Mi ferma lui fulmineamente. Poi rimane un attimo fermo, aprendo e chiudendo la bocca, con un’espressione incerta che mai avrei pensato di vedere su quel viso. “L’ho comprata pensando a te, perché tengo a te, e vorrei che la conservassi come segno del mio a...”
“Sì, sì, va bene così, ma siamo in un ritardo clamoroso.” Lo interrompo, ficcando velocemente la rosa in tasca. Faccio per chiamare l’ascensore, ma lui sbuffando mi prende la mano e mi trascina giù per le scale. E no, non mi importa che probabilmente capitombolerò a terra da un momento all’altro; diamine, quello mi sta tenendo la mano! Ma chi gli ha dato il permesso? Perché fa un gesto del genere, perché non si chiede se io sia d’accordo, perché ha la mano così dannatamente morbida e calda? Poi le sue parole di poco fa mi riecheggiano nella mente: “Se è questo che vuoi, invece di dirtelo te lo dimostrerò, Greg... Te lo prometto...
Era serio? Anche se era così... Inespressivo? E io? Devo permettergli di trattarmi come il suo giocattolo? Non devo oppormi? E nel caso io non mi opponga, devo tenere la mano aperta o stringere la sua a mia volta? Nel primo caso lui penserebbe che non lo amo, nel secondo penserebbe il contrario. E non mi va bene nessuna delle due opzioni.
Prima ancora della fine dei miei ragionamenti, mi ritrovo al piano terra. Siamo fermi davanti al portone, lui mi sta ancora tenendo la mano, e io… Non me ne ero accorto prima, ma anche io ho le dita chiuse sulle sue.
Mi guarda sorridendo. Mi correggo: ghignando. “Vogliamo farci vedere in questo atteggiamento confidente o mantenere pubblicamente le distanze?”
Mi libero dalla sua stretta, rosso in faccia per la vergogna e per la rabbia. “Mi hai preso la mano solo per trascinarmi giù dalle scale. Non farti strane idee. Non significa niente.”
Mycroft aggrotta divertito le sopracciglia. “Vai a dirlo al tuo amico lì sotto…”
Mentalmente maledico Mycroft. E anche il mio amico lì sotto che si eccita per così poco. E anche i cappotti di oggigiorno, che non nascondono un cazzo. Nel vero senso della parola.
“Abbiamo un crimine da sventare” borbotto sottraendomi al suo sguardo magnetico e maledettamente attraente.
“In marcia, soldato!”


“Sherlock, mi passi la torcia?”
“Ne ho più bisogno io di te, visto che sono più utile, sveglio e intraprendente. Usa il cellulare.”
Che irritazione. Questa ironia e questo egocentrismo che non mi hanno mai schifato se rivolti a me, rivolti a Mycroft mi scandalizzano. Come si può permettere Sherlock di trattare così suo fratello maggiore? Sto per rivolgermi irato a quella sottospecie di verme egoista quando sento una stretta forte sulla mia spalla, e intravedo con la coda dell’occhio Mycroft farmi di no con la testa. Perfetto, ha di nuovo intuito i miei pensieri e agito di conseguenza! Da cosa l’avrà capito questa volta? Dall’irrigidirsi del mio corpo? Dall’espressione risoluta? Non lo so, e non mi importa. Ora sono irritato anche da lui. E perché non toglie la sua maledetta mano dalla mia spalla? E perché io la trovo, nonostante tutto, così rassicurante in questa notte scura e avventurosa?
“Lestrade, che diamine ci fai con una rosa in tasca? No, fammi indovinare: un regalo della tua ultima fiamma. Uhm, alta, abbastanza robusta, non hai avuto tempo di andarci a letto ma lei si è appoggiata su di te, precisamente sul fianco destro, riposandosi... Una cosa molto romantica direi... Vediamo, che altro si può dedurre? Capelli corti, pettinatura mascolina, look curato... Mycroft, deduci qualcosa anche tu, tanto per passare il tempo: puoi dire altro riguardo a chi ha regalato quel bel fiore al caro Greg?”
Mycroft sbadiglia, ridacchiando. “Posso dire cose che neanche immagini, Sherlock... Innanzitutto non è una lei... Secondariamente il regalo non è stato molto gradito... In terzo luogo azzarderei che il donatore si trova fra noi al momento, e posso addirittura dedurre che ha il tuo stesso cognome, fratello caro.”
Che cosa? Quella sottospecie di tapiro africano ha praticamente confessato a suo fratello di avermi regalato lui quel fiore! E magari ora il consulente investigativo pensa che stiamo insieme! Mi sento le guance in fiamme mentre i due fratelli Holmes mi guardano, Sherlock ghignando e Mycroft sorridendo dolce. Per fortuna il dottore mi salva. “Scusate, ragazzi, mi sono perso qualcosa?”
“Nah”, dice Sherlock. “Solo gli ultimi gossip... A quanto pare Greg se la fa con niente meno che...”
Uno scricchiolio ferma la frase nel punto critico, e la curiosità di John non può venire saziata. Attendiamo finché il rumore non svanisce, poi Mycroft mi sussurra qualcosa nell’orecchio. Annuisco, e mando i miei uomini a fare un giro attorno alla casa, per controllare se i malviventi siano già arrivati. Io continuo il mio giro insieme ai due Holmes e al dottor Watson.
Improvvisamente Sherlock si blocca e si tuffa dietro a un cespuglio, seguito a ruota da John e Mycroft. Che ci volete fare? Sono un povero, sfigato agente di Scotland Yard: i miei riflessi sono sviluppati quanto quelli di un bradipo senza zampe. Prima che possa accorgermene un uomo mi ha afferrato da dietro, mi ha fatto cadere pistola e manette e mi ha portato le braccia dietro la testa. “Chi sei, cosa ci fai qui?” Sento ringhiare.
Sono in panico. Non so cosa rispondere, eppure devo dire qualcosa: ho la canna di una pistola puntata alla testa!
Improvvisamente, vedo saltare fuori da dietro il cespuglio Mycroft, che punta tranquillamente la sua rivoltella contro l’uomo che mi stringe. “Pessima idea quella di dividersi dai suoi colleghi, signor Styles. Sbaglio o lei dovrebbe essere rinchiuso da qualche parte? Mi risulta che l’avessero rapita...”
Sento che il mio aggressore comincia a tremare, poi inizio a non capire più niente. La testa mi gira, a malapena mi accorgo che l’uomo crolla a terra colpito in testa dal calcio della pistola di Sherlock. Sento qualcuno che mi scuote, ma non riesco a mettere a fuoco chi sia. Sento qualcosa che trema, ma chi è? COSA è? Sono forse io? Sono i miei denti che battono così forte? Forse se mi do un pizzicotto mi riprendo. Ehi, ma dov’è la mia mano, dov’è il mio braccio? Perché non ho più il controllo del mio corpo?
Sento una voce indistinta, come se fosse lontana da me mille miglia, come se fosse una flebile eco di un urlo distante che mi raggiunge a fatica.
“E’ sotto shock, lo porto a casa mia, voi continuate a dar loro la caccia...”
Chi è che mi sta sollevando, chi mi prende in braccio? La stretta la riconosco... Sì, è Mycroft. E’ il mio Mycroft. Sono con lui, sono tra le sue braccia... Posso stare sereno.
Lo sento sussurrare: “Stai tranquillo amore mio, presto starai meglio.”
Poi il dolore. Un urlo irato, degli spari. Delle lacrime sul mio volto, il mio nome singhiozzato.
Sollevo una mano verso il viso di Mycroft, in genere così composto, e ora così sfigurato. Lo accarezzo piano.
Poi svengo.


Mi sveglio con un tremendo dolore alla testa, con una mano insolitamente calda, come se qualcuno la stesse stringendo, e con una gamba immobilizzata da una fasciatura strettissima.
Improvvisamente ricordo gli ultimi eventi, e mi tiro su di scatto; vengo subito respinto giù da una mano fredda e morbida.
“Finalmente, Greg!”
“Mycroft?” mormoro.
Quindi è sua la mano che stringe la mia con calore e affetto...
“Sono io... I soci di quel figlio di puttana ti hanno sparato ma li ho fatti fuori - per legittima difesa. Ho avuto tanta paura...”
La voce è appena leggermente incrinata mentre dice così, poi ritorna ad essere la solita voce dura e inflessibile del Mycroft che conosco e che amo, ora più che mai.
“Ovviamente i malfattori sono stati arrestati, anche se ho dovuto falsificare un paio di volte la tua firma, spero che tu non te la prenda... Stai giù, non stai ancora bene...”
“Mycroft, sono in ospedale?”
“Ovvio che no, stupido!” Tiro un sospiro di sollievo: odio gli ospedali, odio i medici, odio i loro camici, le mascherine, le punture... Devo aver avuto qualche trauma infantile riguardo ai dottori, ma momentaneamente non me lo ricordo. “E dove sono?”
“A casa mia”, risponde Mycroft come se fosse ovvio. “Ho preso qualche giorno di vacanza. Spero che la nazione non si scateni in mia assenza! Hai bisogno di qualcosa? Sono qui per te.”
La sua sollecitudine e la sua preoccupazione mi fanno sorridere. Cerco di fare mente locale per controllare se ho qualche particolare necessità, ma devo aver picchiato la testa, perché non funziona bene. Anche se, come direbbe Sherlock, non è una novità.
Mycroft ripete la domanda, mentre io mi sforzo piano di aprire gli occhi che ho tenuti serrati fino ad adesso. “Desideri qualcosa?”
Formulata così la domanda è più semplice. Annuisco. “Tè.”
Lo sento trattenere il respiro, e ho il timore che abbia equivocato le mie parole. Timore che diviene certezza quando lo sento scendere piano su di me e appoggiare con delicatezza le labbra sulle mie.
Si stacca quasi subito, e mormora: “Sono qui.”
Aggrotto le sopracciglia. “No, no, hai frainteso: tè... nel senso di tè. La cosa che si beve, presente?”
“Oh.” Posso vedere le sue guance porpora nonostante la mia vista compromessa, e la cosa mi suscita un’immensa tenerezza. Sarà questo, sarà il ricordo del suo panico di quando ero in pericolo, saranno entrambi i fatti collegati alla scoperta che anch’egli è un essere umano capace di provare emozioni, ma non riesco a trattenermi. “Però se vuoi baciarmi di nuovo fai pure.”
Non ho abbandonato i pregiudizi riguardo agli Holmes, no. Non ammetterò mai che forse avevo torto nel definirli esseri senza cuore. Dico solo che Mycroft forse è un caso meno disperato del fratello.
Lo vedo illuminarsi di speranza, poi tornare impassibile.
“Aspetta un attimo prima. Posso dirtelo ora o mi fai un’altra scenata da donnicciola isterica?”
Non ho un cervello particolarmente efficiente, io, quindi ci impiego un po’ a capire di cosa stia parlando. Anzi, non lo capisco proprio. E’ lui che, probabilmente incapace di rispettare i ritmi della mia mente regredita e malata, mi mormora due paroline che gli avevo sempre proibito di dire.
“Ti amo.”
E visto che io non reagisco, mi si avvicina, stringendomi la mano che mi sta tenendo probabilmente da ore, e mormora ancora: “Ti amo.”
E poi: “Ti amo, Greg.”
Allora intervengo io: “Bastava dirlo una sola volta...” Ma non faccio in tempo a finire la frase, perché la sua faccia delusa mi blocca.
Sospiro. “Non so quanto tu ti possa fidare di un uomo a cui hanno sparato e che ha picchiato violentemente la testa, comunque...”
E inutile. E’ inutile, non riesco a dirlo. Eppure lo riconosco, so che è vero. Sono innamorato di lui. Lo sono da tempo immemore, non ho mai avuto difficoltà ad ammettermelo. E ora che anche i suoi gesti e non solo le sue parole mi danno la certezza che lui mi ricambia... Cos’è che mi blocca?
Che occhi. Che occhi bellissimi che ha. Sembrano due specchi che riflettono sia l’interno che l’esterno. Perché in essi posso vedere riflessa sia la sua anima... Che la mia.
Forse perché sono una cosa sola. Forse perché condivido l’amore che vi leggo, forse perché ne comprendo la speranza.
Devo dirglielo. Non è difficile. Sono innamorato di te, sono innamorato di te, sono innamorato di te...
“Sprhvnxlsdfjdite.”
Mycroft mi appoggia una mano sulla fronte, deluso, rassegnato, ma sempre preoccupato ed estremamente dolce.
“Stai bene? Stai delirando? E’ colpa della botta in testa? Chiamo il medico? Vado a farti il tè?”
Si alza. Non so se per dirigersi in cucina, chiamare l’ospedale o chiamare il manicomio, ma si alza. Non posso permetterglielo! Gli afferro con decisione la mano che ha appena lasciato la mia e lo ritrascino giù alla mia altezza. Mi aggrappo alle sue spalle per tirarmi su da quello che mi rendo ora conto essere il suo letto, troppo agitato per domandarmi dove lui abbia dormito. Mycroft mi guarda interrogativo, mentre io tiro fuori il mio coraggio - in questo momento veramente scarso - e gli dico quelle quattro parole che tanto mi opprimono la gola.
“Sono innamorato di te.”
E ora che ce l’ho fatta non vorrei più smettere di dirlo. Oh, come ho potuto pensare che lui non sapesse provare sentimenti? Non ho mai visto niente di più autentico della gioia che in questo momento gli illumina il volto.
“Ti amo, Mycroft.”
Gli occhi gli brillano mentre mi si avvicina piano. “Lo so, Greg.”
E mi bacia. Appoggia le labbra sulle mie con delicatezza, tenendomi il volto fra le mani, forse un po’ irruento ma molto, molto dolce. Incapace di resistere, sorrido. Sentendo il mio sorriso sulle labbra, Mycroft inizia a ridacchiare, e poco dopo siamo entrambi senza fiato per le risate. Lo so, non c’è niente da ridere, ma siamo felici: cosa c’è di male? Ci amiamo, perché non dovremmo essere felici?
“Greg... E’ da tanto che aspetto questo momento...”
Mi sta rubando tutte le battute! Avrei voluto dirlo io! Accidenti... Poi un pensiero mi attraversa la testa, e ricomincio a ridacchiare.
“Cosa c’è ora?”
Gli sorrido. “Niente, è solo che ho appena baciato il governo inglese... E’ un’idea strana!”
Comincia a ridere anche lui, e mi bacia di nuovo. La sua lingua passa con delicatezza sulle mie labbra, cerca la mia intrufolandosi nella mia bocca, e no, decisamente non avrei mai pensato che il governo inglese potesse essere così passionale.
“Diciamo, Greg, che stai per lasciare definitivamente tua moglie per fidanzarti col governo inglese. Ma il governo inglese ti esilierà se lo tradirai!”
Ridiamo ancora di gusto. “Questo non accadrà mai, Mycroft.”
Un sorriso dolce, due occhi liquidi, due mani calde che tremano accarezzandomi. “Ti amo.”
“Anche io... AHI!”
Mi guarda allarmato. “Tutto a posto?”
Indico il punto su cui ha appena passato la mano. “Proiettile, ricordi?”
“Oh.”
Ci guardiamo un po’ in silenzio, poi ci baciamo di nuovo. Potrei passare così tutta la mia vita, credo. Non penso sarò mai sazio delle sue labbra, del suo corpo, del suo amore.
Alterniamo baci a parole, carezze a sorrisi, finché non crollo tra le sue braccia, esausto e febbricitante, e mi addormento, sognando il mio eroe mormorare che mi ama. E sono felice.

Un’onda di gioia ti piomba addosso,
ti invade, ti copre come un velo.
Se prima eri sull’orlo di un fosso
Ora voli, ti libri nel cielo.
Che felicità mozzafiato
ti viene a cogliere in certi momenti!
Ed acquista significato
“Vissero sempre felici e contenti”


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=960033