Linee Intricate

di Elpis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** In bianco ***
Capitolo 3: *** Perché fai così? ***
Capitolo 4: *** Il dubbio di Rei ***
Capitolo 5: *** Chiacchiere di corridoio ***
Capitolo 6: *** La punta dell'iceberg ***
Capitolo 7: *** Relazione proibita ***
Capitolo 8: *** Ricordi ***
Capitolo 9: *** Visite a sorpresa ***
Capitolo 10: *** Fantasmi dal passato ***
Capitolo 11: *** Che tu sia per me il coltello ***
Capitolo 12: *** Sotto i riflettori ***
Capitolo 13: *** Ciò che fa più male ***
Capitolo 14: *** All'ombra del gazebo ***
Capitolo 15: *** Ospedale ***
Capitolo 16: *** Contro il tempo ***
Capitolo 17: *** Bolla di felicità ***
Capitolo 18: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***












Due piccole osservazioni prima di lasciarvi al capitolo:
1. Nelle note ho messo spoiler perché la ff descrive la vita di una Sana e un Akito ormai adulti e nel fare ciò mi sono basata sul manga Deep Clear (seguito della serie  scritta da Obana e non ancora tradotto in italiano). Ovviamente non mi sono limitata a riportarne la trama, ho solo preso spunto, la maggior parte delle cose le ho inventate. Comunque gli spoiler ci saranno. Lettore avvisato!
2. Questa storia fa parte della serie “Endless Love” ma può benissimo essere letta come un qualcosa a sé. Detto questo, enjoy yourself! : )
 
 

 








 

 
 
                                                                                Prologo
 






 
 
 

Sana Kurata era china sul water e stava vomitando anche l’anima. Maledisse Akito – lui e le sue malsane idee di abbuffarsi di sushi all’una di notte – quando un cigolio tetro l’avvertì che la porta del bagno si stava aprendo.
La voce morbida di Asako Kurumi risuonò fra le pareti del grigio bagno degli studi televisivi.
<< Tutto bene, Sana-chan? >>
Avrebbe voluto rispondere, ma un nuovo conato la costrinse a piegarsi in due, gli occhi ermeticamente chiusi e lo stomaco che urlava pietà.
Delle dita fresche le sorressero la fronte e, alzando il viso,  ringraziò con un sorriso Asako per la sua premura. Il suo volto, un ovale pallido e perfetto, per un attimo le fece dimenticare il bruciore di stomaco. I capelli di una delicata sfumatura biondo miele erano raccolti in un’elegante acconciatura da cui fuoriuscivano alcune ciocche che catturavano la flebile luce al neon proveniente dal lampadario. I lineamenti delicati, i grandi occhi nocciola appena velati da un filo di trucco e le sottili labbra rosse, sembravano urlare femminilità da ogni poro.
Al suo confronto Sana si sentì uno schifo.
<< Puoi scusarti da parte mia con il regista? Non credo di essere in grado di girare al momento. >> disse con una voce flebile.
Il suo ultimo ingaggio consisteva in una serie televisiva dove lei e Asako erano co-protagoniste e l’idea che le riprese dovessero essere rimandate per via del suo malore la irritava non poco.
<< Non devi preoccuparti di queste cose, Sana-chan. Piuttosto, sei sicura di star bene? >>
La sua voce era venata di preoccupazione e Sana si affrettò a sorriderle, combattendo l’imbarazzo di farsi vedere da quella che per lei era stata un modello fin da bambina in quelle condizioni disastrose.
<< Sì, certo. È la seconda volta che mi capita questa settimana, colpa dell’alimentazione sbagliata, immagino. >>
Asako le rivolse un’occhiata dubbiosa, poi i suoi occhi si spalancarono. Si mordicchiò le labbra con espressione pensosa prima di chiederle, senza l’ombra di imbarazzo:
<< Quando è stata l’ultima volta che hai avuto il ciclo? >>
Sana sussultò, sorpresa dalla domanda. Che c’entravano le mestruazioni con il fatto che vomitava da dieci minuti buoni?
<< Dunque vediamo… poco più di un mese fa, credo. >> conteggiò rapidamente. Oddio, in matematica era sempre stata un disastro! Però due conti li sapeva ancora fare, no?  << Sono in ritardo di una settimana, ora che mi ci fai pensare. >> concluse annuendo fra sé e sé.
Asako impallidì. Un lento ma luminoso sorriso le affiorò alle labbra, mentre le lanciava uno sguardo penetrante.
<< Aspettami qui. Tornerò in un baleno. >> le comunicò prima di uscire frettolosamente dalla toilette.
Sana ne osservò perplessa la fuga precipitosa, chiedendosi cosa potesse averla indotta ad un comportamento così strano. Poi un nuovo conato di vomito la costrinse a mettere da parte i suoi dubbi e a concentrarsi solo sulle sue viscere che si stavano contorcendo.

 
                                                                                           ***
 

Un urlo penetrante squarciò il silenzio della notte. Tsuyoshi si agitò nel letto, coprendosi le orecchie con il guanciale. Strinse ancora più forte le palpebre, pregando silenziosamente che quel frastuono finisse e gli fosse concesso di sprofondare di nuovo nell’incoscienza. Per alcuni secondi nella stanza tornò la calma,  e Tsuyoshi osò abbandonarsi alla speranza, reclinando il capo contro il cuscino.
Un altro strillo, ancora più forte del precedente risuonò nell’aria, subito imitato da un secondo.
<< Tsu, vai tu? >> gli chiese la voce assonnata di Aya.
Tsuyoshi calciò le coperte, inforcò gli occhiali appoggiati sul comodino e rabbrividendo per il freddo, indossò la vestaglia.
Attraversò rapidamente la stanza e, ancora mezzo intontito, si chinò sulla grande culla che torreggiava al centro della camera da letto.
I piccoli si agitavano irrequieti e Misa, appena vide il volto del padre, allungò un pugno come per agguantare le lenti che creavano un gioco di luci sulle loro guance paffute.
Nonostante tutto Tsuyoshi sorrise con tenerezza ai due gemelli. Prese fra le braccia Shinichi e lo passò ad Aya che si era tirata a sedere. Il pianto del neonato si interruppe non appena la boccuccia famelica si attaccò con voracità al seno che quella aveva appena scoperto.
Misa invece la trattenne in collo, cullandola dolcemente e facendole quelle smorfie che  la facevano sempre ridere. Negli occhi marroni, con un accenno appena di verde intorno alla pupilla, Tsuyoshi riconobbe la fotocopia esatta dello sguardo della moglie. Uno strano nodo gli aggrovigliò le viscere.
Si girò verso il letto matrimoniale, osservando Aya.
Aveva delle pesanti occhiaie violacee, specchio delle stesse che adornavano il suo volto, e i capelli erano una bruna matassa intricata. La maternità le aveva addolcito i lineamenti e le curve, il seno quasi trasbordava dalla camicia da notte bianca che indossava. Con aria distrutta ma felice cantava una nenia a Shinichi, accarezzandogli piano il capo. Nell’osservarla alla luce fioca della lampada del comodino Tsuyoshi pensò che – proprio come si era immaginato – Aya si era calata con semplicità nel ruolo della madre premurosa.
Il vagito di Misa  che protestava perché aveva smesso di cullarla, gli risuonò nelle orecchie. Soffocando uno sbadiglio, riprese a dondolarla, avvertendo un principio di emicrania.
Fissò con sconforto l’orologio posto sul comò che indicava le quattro e mezzo di notte.
L’indomani il suo capo avrebbe di sicuro avuto qualcosa da ridire sulla sua concentrazione.
 
 
                                                                                        ***

 
<< Ti amo, Sakura. Prima di incontrare te, solo una donna mi aveva fatto sentire così, ma lei aveva già un altro e io mi sono adattato all’idea. >> Naozumi si interruppe, guardando la bella ragazza che aveva di fronte con sguardo trasognato. << Ho fatto di tutto per dimenticarla, mi sono persino messo con la sua migliore amica e stavo quasi per sposarla… >> rise, una risata triste ed amara che lo lasciò insoddisfatto. << Ma per me era solo un rimpiazzo, il suo volto ancora mi torturava la coscienza. >> si interruppe, cercando con lo sguardo gli occhi blu dell’altra, stringendole le mano con un gesto possessivo. << Solo con te sento di poter davvero lasciare il passato alle spalle.  Quando ti vedo il cuore inizia a battermi incessante contro il petto e la notte sogno le tue labbra rosse come il fuoco… Ti prego, Sakura, dimmi che provi lo stesso per me! >>
<< Eh… stop! Perfetto, smontate il set ragazzi. Naozumi, continua così! >>
Kamura si deterse il sudore con un fazzoletto e alzò il pollice in direzione del regista. Marika, la attrice con cui aveva appena recitato la scena d’amore, gli rivolse un sorriso lascivo prima di scendere dal set. Lo ignorò con una punta di disagio e si diresse a passo sostenuto verso i camerini. Si bloccò, la mano ancora sollevata e lo sguardo che gli si accendeva di piacere nell’osservare la donna che aveva di fronte.
Fuka Matsui indossava un tailleur blu che evidenziava il fisico snello e slanciato dei suoi ventitré anni. I cappelli, neri come l’ebano, erano racchiusi in uno chignon e il tacco dodici esaltava le gambe lunghe ed affusolate. Fra le mani stringeva una valigetta di pelle e l’immagine complessiva era quella di una giovane ma intraprendente donna in carriera.
<<  È così non hai ancora dimenticato l’unica donna di cui ti sei innamorato, eh? >> lo derise prima di attirarlo a sé e salutarlo con un bacio a fior di labbra.
Naozumi sorrise e le cinse la vita sottile con le braccia.
<< Cosa ci fai tu qui? >> le domandò ancora incantato ad osservarne la bocca morbida e piena. << Credevo che saresti rimasta nello studio fino a tardi. >>
<< Cambio di programmi. Il boss mi ha fatto uscire prima per buona condotta. >> gli soffiò contro giocosa, mentre con le dita giocherellava con una ciocca dei suoi capelli chiari.
<< Mmm >> mugolò Nao, rapito dalle sue carezze. << Potrei essere geloso, sai? >> le mormorò stringendola ancora di più a sé.
Alcuni membri del cast iniziarono a commentare la scena, ma Nao se ne infischiò delle loro battutine, catturato com’era dal sorriso di Fuka.
<< Oh, questa è bella! >> esclamò quella con un’occhiata scettica. << Tu dovresti essere geloso di me? Pensi che mi sia sfuggito il modo in cui ti guardava quella? >> domandò indicando con un cenno del capo l’attrice di prima.
<< Uh? Come mi guardava? >> chiese Naozumi simulando innocenza., mentre le dita disegnavano lenti ghirigori sulla sua schiena.
<< Come se volesse mangiarti. >> chiarì Fuka con una punta di veleno.
<< Come io sto guardando te adesso, quindi. >> mormorò imprimendole un bacio delicato sulla gola.
Fuka sospirò, rabbonita e Naozumi avvertì la tensione che lentamente le lasciava le spalle.
<< Ti va di fare un salto nel mio camerino? >> le chiese con voce maliziosa.
<< Non chiedo di meglio. >> gli rispose, intrecciando la mano alla sua e lasciandosi guidare da lui fra i corridoio degli studi televisivi.  

 
                                                                                                 ***
 
 
I gemelli si erano finalmente calmati. Erano adagiati nella culla e la loro pelle profumava ancora di latte. Ad osservarli in quel momento parevano due angeli e non i piccoli diavoletti che lo tenevano sveglio quasi tutte le notti. Tsuyoshi si diresse a passi stanchi, traballando un po’ sulle gambe, verso il grande letto matrimoniale e vi crollò con un sospiro soddisfatto. Osservò Aya, raggomitolata in posizione fetale, che già aveva ripreso a dormire. I lineamenti distesi e le mani strette a pugno la facevano assomigliare a una bambina. Per un attimo gli si affacciò alla memoria il ricordo delle elementari, quando Aya arrossiva dondolando i piedi per qualsiasi frase carina che le diceva  e  non smetteva di riempirlo di biscotti al cioccolato.
Tsuyoshi spense la luce e abbracciò la moglie da dietro, posando la testa nell’incavo della sua spalle.
 Si addormentò quasi all’istante.

 
                                                                                                ***

 

 

Naozumi la penetrò con un’unica spinta decisa. Fuka si puntellò sui gomiti, colpendo per sbaglio alcune boccette – lozioni per la pelle, cipria e quant’altro – che rovinarono a terra. Lui non se ne curò, preso dal piacere di affondare nel suo ventre caldo, di sentire le sue gambe toniche strette intorno ai fianchi. Coprì la bocca di Fuka con baci impazienti e voraci, zittendo i bassi gemiti che le uscivano dalle labbra. Con una mano slacciò velocemente i bottoni della sua camicetta, accarezzando il reggiseno di pizzo sottostante, mentre Matsui appoggiava la schiena allo specchio. Lo chignon che le tratteneva i capelli si sciolse e questi si riversarono in una massa scura e profumata sulle sue spalle. Nao vi immerse il viso, mentre le sollevava ancora di più la gonna sui fianchi e si muoveva impaziente dentro il suo corpo.
 Quando giunse al culmine, mormorò il suo nome, contro l’orecchio.
 
 
                                                                                                 ***
 
 
Quando Asako tornò, tutta trafelata, Sana ormai si sentiva meglio e si stava sciacquando la bocca al lavandino, cercando al contempo di ravvivare un po’ il suo colorito cadaverico.
<< Ecco qua! >> esclamò depositandole fra le braccia un sacchetto.
Sana lo osservò perplessa, prima di frugare al suo interno.
Quando i suoi occhi decifrarono la scritta “test di gravidanza”, il cuore le fece una buffa capriola nel petto.
 
 
 
 


 
Eccomi di nuovo!
Per questo capitolo ( scusate se è un po’ frammentato, ma è solo il prologo) i miei ringraziamenti vanno al mio incubo personale e alla mia stalkerina, senza di loro avrei di sicuro postato molto dopo questa ff! Purtroppo fra poco mi rincomincia l’università e sto scrivendo anche in altri fandom, quindi penso che gli aggiornamenti saranno molto lenti.
Detto questo spero di avervi incuriosito e che mi direte che ne pensate.
Un bacio
 Ely

 
 
 
  

 

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Capitolo 2
*** In bianco ***


  



                                                    In bianco

 

 




 

Sana fissava quel tubetto di plastica con spasmodica impazienza. Le istruzioni dicevano di attendere tre minuti e lei per sicurezza aveva persino messo il timer nel telefono. Ma iniziava a sospettare che fosse rotto, perché i secondi passavano con una lentezza angosciante e le dita incrociate le formicolavano per il fastidio. Che poi era anche una cosa abbastanza stupida, visto che non sapeva nemmeno lei cosa sperare.
Voleva davvero avere un figlio? Una domanda del genere non se l’era mia posta fino a quando Kurumi non le aveva depositato quel test di gravidanza fra le braccia.
La risposta più sincera che riusciva a dare in quel momento era: forse. Forse non le sarebbe dispiaciuto un pargoletto che saltellava per la casa tirando la coda a Maro-chan, forse non l’avrebbe infastidita sentire una piccola boccuccia attaccata al suo seno, avvertire il lento fiorire di una vita nel suo corpo. Forse non sarebbe stato tanto male ricercare i lineamenti di Akito nel viso del loro bambino… dio, quanto avrebbe voluto che avesse i suoi occhi d’ambra…
Un suono acuto, trillante, la riportò bruscamente alla realtà e con un sussulto spense la sveglia del cellulare. Chiuse gli occhi, improvvisamente timorosa, rimandando l’inevitabile. I palmi delle mani le sudavano e se il cuore le avesse battuto appena un po’ più forte, probabilmente le avrebbe incrinato qualche costola.
Akito… avrebbe desiderato sentire il contatto fresco e rassicurante della sua mano nella sua. Ma lui era a lavoro in ospedale, non sarebbe tornato fino a sera, e lei non poteva aspettare così a lungo. Un brivido angoscioso le attraversò la schiena. E se lei fosse stata incinta e lui non avesse voluto un figlio? Ma no, cosa andava a pensare… Akito la amava, come avrebbe potuto non adorare il frutto del suo ventre?
Oltretutto Sana sospettava che i bambini al marito piacessero molto. Certo, non lo dava a vedere – era pur sempre Hayama, dopotutto – ma quando Aya gli aveva messo Shinichi fra le braccia, lo aveva cullato un po’ con gesti impacciati e a Sana era sembrato di vedere le sue labbra incresparsi in un’ombra di sorriso. Dopo alcuni minuti lo aveva deposto fra le braccia di Tsuyoshi con un filo di esitazione che ad un osservatore attento poteva apparire come riluttanza.
Il solo pensiero di Akito con un pargolo fra le braccia – con il loro pargolo fra le braccia – le scaldò il petto, accendendo due punte di rosa sulle guance.
Fece un lungo, lento, respiro poi aprì gli occhi. Sul display del tubetto si scorgeva un tondo, inequivocabilmente attraversato da una linea verticale che lo tagliava da parte a parte.
Frastornata, compose il numero di un cellulare.
<< Pronto? >>
<< Kurumi? >> chiese con tono di voce irriconoscibile. << Sono incinta. >>
Nel pronunciare per la prima volta quella parola ad alta voce la sua mano salì istintivamente ad accarezzare il ventre.
Lentamente un sorriso luminoso le affiorò alle labbra.

 

 

                                                                                                 ***

 

 

Asako accese l’ultima candela, gettando un’occhiata critica alla stanza. Aveva spento la luce e la camera da letto era rischiarata solo dal flebile chiarore di tanti, piccoli lumini, tutti rigorosamente rossi.
Il gigantesco letto con la testata intarsiata era ricoperto di morbidi e spumosi cuscini e una parte della coperta era sollevata, in un chiaro invito. Sul comodino c’era una bottiglia di champagne e un vaso con dieci piccole rose sul punto di sbocciare.
Asako sorrise soddisfatta, prima di posizionarsi davanti allo specchio a muro.
Aveva un completino di pizzo nero, aderente anche se non eccessivo, che metteva in risalto la vita sottile e la sua terza piena, strizzandole il seno e spingendolo verso l’alto. Dopo aver provato varie acconciature, aveva deciso di lasciare i capelli sciolti ed essi ricadevano, morbidi e setosi lungo il suo corpo, arrivandole fino alla vita. Le candele tremolavano, accendendoli di riflessi rossastri.
Udì la porta aprirsi e sussultò, alla ricerca di qualche particolare che le fosse sfuggito.
Si rilassò: era tutto perfetto.
<< Asako, sono a casa! >> urlò Rei dalla cucina.
<< Sono in camera, amore! >> lo chiamò con un tono che sperò suonasse invitante.
Udì il rumore dei suoi passi strascicati che risuonava nel corridoio e il cuore le tamburellò a un ritmo frenetico nel petto. Quella notte, la notte del loro decimo anniversario, sarebbe stata indimenticabile.
Rei entrò in stanza con gli occhiali sollevati e una mano che massaggiava la sella del naso. Accese la luce e, senza nemmeno guardarsi intorno, crollò a peso morto sul letto.
Asako rimase per un attimo interdetta ma decise di ricacciare in profondità dentro di sé la delusione iniziale e gli si avvicinò, fino quando la sua testa china non fu all’altezza del suo ventre.
<< Giornata pesante, amore? >> gli chiese suadente, accarezzandogli i capelli scuri.
Finalmente Rei alzò lo sguardo, ma avrebbe potuto essere trasparente per l’attenzione che quello le dedicò.
<< Oh, Asako, è successa una cosa terribile. >> si lamentò con tono melodrammatico.
Lo guardò attentamente, cercando di intuire cosa lo preoccupasse al punto da non fargli nemmeno notare la serata romantica che aveva preparato per loro.
<< Cosa è successo, Rei? >> gli chiese, abbandonando il tono seducente a favore di uno maggiormente comprensivo. << Non ti senti bene? >>
<< No, io sto benissimo. È Sana che mi preoccupa. >> le rispose guardandola con i suoi bellissimi occhi angosciati.
Sana. Istintivamente Asako si irrigidì e la sua mano smise di giocherellare con i capelli, ricadendo lungo il fianco. Avrebbe dovuto immaginare che c’era di mezzo lei. C’era sempre in mezzo lei quando Sagami si comportava in modo così apprensivo.
<< Oggi si è sentita poco bene. >> chiarì, fissandola come se Kurumi avesse la risposta alla domanda che lo attanagliava. << Ha vomitato. >>
Lo disse con il tono con cui avrebbe potuto annunciare un’apocalisse. Asako sentì l’irritazione che saliva, lenta ma inesorabile dentro di lei. Dieci anni che stavano insieme e quella testa di rapa non la guardava neppure solo perché la sua pupilla aveva avuto un lieve malore di stomaco?
<< E non era neanche la prima volta! >> rimarcò a sostegno della sua tesi. << Cosa posso fare? >>
Asako dovette fare un grosso sforzo su se stessa per non rispondergli che poteva andare a quel paese. Inspirò profondamente, pensando che forse non tutto era ancora perduto e sforzandosi di dominarsi per salvare la serata.
Il viso le si schiuse in un sorriso rassicurante – a volte essere un’attrice era utile anche nella vita privata – mentre con voce pacata gli rispondeva:
<< Ho parlato con Sana, Rei. Non devi preoccuparti di niente, davvero. >>
La fissò per alcuni interminabili secondi nei quali Asako pensò, sperò, che finalmente avesse notato che si era fatta bella solo per lui. Poi i suoi occhi si inumidirono.
<< La mia piccola… coraggiosa… Sana…. >> quasi singhiozzò. << Sempre attenta a non far preoccupare gli altri! >>
Si sarebbe quasi strappata i capelli dalla frustrazione.
<< Perché ci sono tutte queste candele? >> domandò lui, gettando finalmente uno sguardo alla stanza.
<< Era andata via la corrente. >> gli rispose amareggiata.
Rei annuì, per niente insospettito, troppo preso dal pensare alla sua piccola Sana.
<< Forse si dovrebbe far visitare da un dottore… >> si perse di nuovo nelle sue elucubrazioni, portandosi una mano al mento. << Va bene che Akito è fisioterapista (1), ma non è proprio la stessa cosa… >>
Kurumi strinse i denti e decise di fare un ultimo tentativo. Gli si posò sulle ginocchia e gli piazzò la scollatura - appena velata dal completino intimo – proprio sotto il naso. Per un attimo Rei si interruppe e il suo sguardo fu calamitato dal seducente solco tra i seni perlacei. Asako provò una soddisfazione profonda nel constatare che finalmente era riuscito a smuoverlo un po’. Avrebbe voluto baciarlo e spingerlo delicatamente fra le lenzuola ma Rei scosse il capo, come per recuperare la concentrazione.
<< Potrebbe essere qualcosa di grave… >> riprese a parlare << E oltre che per la sua salute mi preoccupo anche per la sua carriera: proprio ora che le cose stavano andando così bene… >>
Asako accavallò le gambe, mordicchiandogli il lobo dell’orecchio.
<< Rei… >> sussurrò a fior di labbra.
Lo sentì rabbrividire sotto il suo tocco, ma era ancora teso e la sua mente era presa da tutt’altre questioni.
<< Due volte in una settimana… cosa potrebbe essere? >>
<< Rei… >>
Lui sussultò, preda di un pensiero improvviso, e la scostò malamente.
<< Asako-chan e se fosse un tumore? Al pancreas o al fegato… >>
Lei lo guardò, in parte riversa sul letto e con i capelli arruffati, sgranando gli occhi. Solo lui poteva pensare a una cosa simile per una semplice nausea.
<< Rei… >> tentò di nuovo, di interromperlo.
<< Sana, piccola mia! >> gemette questo stringendosi la testa fra le mani. Asako sentì la pazienza scivolarle di dosso.
<< REI, SANA NON STA MORENDO È SOLO INCINTA! >>
Silenzio. Un secondo dopo aver pronunciato quella frase, Kurumi si pentì di aver rivelato quello che Sana le aveva confidato in segreto. Si sollevò, scrutando attentamente l’espressione di lui.
La guardava con la bocca spalancata e uno sguardo vitreo, il corpo teso e come congelato. Una statua di sale.
Asako si alzò, sospirando, e si rimise la vestaglia.
Una cosa era poco ma sicura: quella sera non avrebbe fatto sesso.

 

 

                                                                                                   ***

 

Akito staccò il turno alle otto di sera, stanco ma soddisfatto. Non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura ma apprezzava il suo lavoro. Aveva provato in prima persona il senso di impotenza che dava il non avere più il dominio sul proprio corpo ed aiutare le persone nella riabilitazione – del corpo ma anche dell’anima – lo faceva sentire più leggero. Come se almeno in parte riuscisse a ripulirsi di tutte le colpe che aveva collezionato quando era solo un ragazzino.
Entrando in casa e osservando Kurata accucciata davanti al forno da cui fuoriusciva un fumo nerastro, Akito pensò che il lavoro non era l’unica cosa che gli piaceva. Gli piaceva la vita. Quella stessa vita che dieci anni prima aveva disprezzato fino al punto di chiedere a Sana di piantargli un pugnale nel cuore, quella vita che adesso stavano faticosamente costruendo insieme. Gli piaceva la vita con Kurata.
Chiuse il portone e il rumore fece sussultare Sana che rischiò di rovesciare la teglia per terra. Tutto sommato non sarebbe stata una grande tragedia: a giudicare dall’odore aveva preparato un’altra delle sue ricette assurde e incommestibili.
<< Hi >> disse in quello che per loro ormai era divenuto un saluto abituale.
Lei si girò a fissarlo, con sul volto il solito meraviglioso sorriso a cui non era ancora riuscito ad abituarsi. Sulla fronte aveva alcune chiazze di farina e all’angolo delle labbra qualcosa che assomigliava tremendamente a cioccolata.
Akito si tolse il cappotto e lo posò sull’appendiabiti, prima di avvicinarsi per salutarla come si deve.
Nell’osservarla da vicino notò che i suoi occhi erano più lucidi del solito, quasi febbricitanti, e che non riusciva a stare un minuto ferma. Ventitré anni compiuti ed è ancora scalmanata come quando era una bambina.
La tirò verso di sé e lei gli cinse il collo con le braccia, attenta a non sporcarlo.
<< È andata bene la giornata? >> gli chiese.
<< Ora va meglio. >> le rispose prima di imprigionare la sua bocca in un bacio morbido e lento.
Si staccò dopo alcuni secondi con il sapore di Kurata e di cioccolato sulla punta delle labbra. Per un attimo il suo sguardo si incupì, poi lei lo invitò a mettersi a tavola dato che la cena sarebbe stata pronta fra pochi secondi.
L’idea di Sana era quella di cucinare pollo al curry – una ricetta in cui non si era mai cimentata – ma difficilmente si sarebbe potuto desumere le origini di quella poltiglia nerastra che lei gli depositò nel piatto, peraltro sporcandolo di sugo.
Fece finta di niente e ingoiò il primo boccone, dando prova di un discreto coraggio. Era più che sicuro che uno di quei giorni lei lo avrebbe mandato all’ospedale per intossicazione alimentare, si trattava solo di capire quando.
<< Com’è? >> gli chiese, fissandolo speranzosa.
<< Terribile. >> sentenziò impassibile.
Per un attimo un bagliore minaccioso attraversò sguardo di Sana, poi quella chinò il capo e riprese a mangiare, cambiando argomento.
La cena proseguì senza grandi scossoni. Kurata rovesciò il sale, fece cadere un bicchiere, si macchiò il vestito con il vino. Fu solo quando inciampò nel riporre i piatti nella lavastoviglie che Akito decise di alzarsi dal tavolo. La abbracciò da dietro e lei sussultò sorpresa, prima di rilassarsi fra le sue braccia e abbandonarsi contro il suo corpo. Le disegnò una scia di baci dalla mandibola fino al collo, poi le mormorò contro l’orecchio:
<< Kurata, vuoi dirmi cosa c’è che non va? >>
Lei si irrigidì all'istante e anche se non poteva vederla sapeva che i suoi occhi avevano assunto un’aria guardinga. La girò lentamente, fino a quando i loro volti non furono ad un soffio di distanza.
<< Cosa intendi, scusa? >> gli chiese, con aria perfettamente innocente.
Akito la osservò con un lampo di divertimento nello sguardo.
<< Guarda che non me la fai. Lo capisco sempre quando hai qualcosa che non va. >>
Sana rise, di un riso nervoso e lievemente isterico.
<< Ma che dici… >> affermò scuotendo la sua buffa testolina.
<< Hai mangiato la cioccolata al latte e lo fai solo quando c’è qualcosa che ti preoccupa e hai bisogno di “un po’ dolcezza”. >> la interruppe, elencando con le dita. << Ti sei messa a cucinare una ricetta nuova perché volevi distrarti; non mi hai urlato contro che sono un maleducato quando ti ho detto che il tuo pollo fa schifo... >> si interruppe per riprendere il fiato e godersi la sua faccia attonita. << Ah, dimenticavo: va bene che sei imbranata ma di solito non rischi di distruggere tutto quello che tocchi. >>
Sana lo fissò, immobile, per una manciata di secondi.
<< Merda! >> bisbigliò poco finemente, cercando di divincolarsi.
Akito non glielo permise, stringendola ancora di più a sé.
<< Allora? >> le chiese, inarcando un sopracciglio.
<< Allora cosa? >> ribatté lei, arrossendo un poco. << Diventi loquace solo per farmi il terzo grado? >>
<< Non costringermi ad usare le maniere forti, Sana. >>
Sgranò gli occhi e schiuse quella piccola bocca che lui avrebbe solo voluto riempire di baci.
<< Non oserest…>>
Non riuscì a finire perché Hayama le bloccò i polsi con una mano e con l’altra iniziò a farle il solletico, fino a costringerla a piegarsi in due.
<< Ahahaha… Aki, basta… per favore… >>
<< Sputa il rospo, Kurata, e ti libero in un secondo >>
<< Aki davvero… è una cosa seria…. >>
Rinsaldò la presa e le fece il solletico ancora più forte. Tutto quel suo dimenarsi gli stava facendo venire strane idee in mente, ma si sforzò di mantenere il controllo, almeno fino a quando non fosse riuscito ad estorcerle il segreto.
<< Aki, basta… mi viene da piangere! Va bene, va bene te lo dico… ma lasciami! >>
<
< Prima parla e poi smetto >> le rispose, facendo fatica a trattenere un sorriso.
Aveva tutti i capelli scompigliati e le gote sembravano andarle a fuoco.
<< Sono incinta! >> esalò con le lacrime agli occhi.
La sua mano si arrestò all’istante e mentre quelle due parole si facevano strada nella sua mente, lentamente lasciò la presa sui polsi.
Dalla faccia preoccupata di Sana, dedusse che la sua espressione non doveva essere delle migliori.
<< Co-come? >> sfiatò aggrappandosi alla speranza di aver capito male.
Sana si dondolò sui piedi, attorcigliando una ciocca di capelli con le dita.
<< L’ho scoperto solo oggi e forse c’era un modo migliore per dirtelo… >>
Continuò a parlare ma lui smise di ascoltarla, lontano mille miglia da quella conversazione, da quella stanza, da quella vita. Lontano mille miglia da lei.
Aprì il portone e si precipitò fuori, mentre Sana era ancora nel bel mezzo di una frase. Il freddo della notte lo accolse in un abbraccio gentile, senza riuscire a scacciare la patina che avvolgeva i suoi pensieri disorganizzati.
Per la prima volta dopo molti anni provò l’irrefrenabile bisogno di correre.

 

 

                                                                                                        ***

 

 

Fuka si svegliò nel cuore della notte, avvertendo un inconsueto fastidio al basso ventre. Si alzò, scostando delicatamente il braccio di Naozumi che le circondava la vita e gettò un’occhiata distratta alla stanza. Lei e Kamura vivevano in un lussuoso e spazioso attico, proprio nel cuore di Tokyo. Aveva scelto personalmente l’arredamento di quella camera: le linee moderne e futuristiche si sposavano in toni di blu cobalto e bianco, colori che a suo avviso trasmettevano un senso di pace e tranquillità.
Eppure quella sera avvertiva una strana agitazione che si mescolava alle fitte allo stomaco, mandandola in confusione. I suoi piedi scalzi percorsero a passi silenziosi il parquet e, avvolta solo in una lunga camicia bianca che un tempo apparteneva a Nao e che aveva trasformato nel suo pigiama, uscì nel balcone.
L’aria fredda di quella notte di Aprile fu come uno schiaffo in piena faccia. Rabbrividì e si strinse le braccia intorno al corpo, gettando lo sguardo sul panorama sottostante.
Anche a quell’ora tarda della notte Tokyo era un brulicare di luci e rumori soffusi. Distrattamente Fuka pensò che lei e quella città si assomigliavano: sempre in movimento, sempre indaffarate, perché fermarsi significava lasciare spazio ai dubbi e alle incertezze che non sapevano e non volevano affrontare.
Apparentemente perfette, in realtà fragili.

<< Ehi. >>
La voce di Naozumi la riscosse dai suoi pensieri. La osservava dalla finestra, con gli occhi arrossati per il sonno.
<< Prenderai freddo a stare lì fuori. >>
Un secondo poco annullò la distanza che li divideva, avvolgendola in un morbido abbraccio. La pelle di Naozumi sapeva di bucato e muschio. Fuka si abbandonò al calore di quel contatto, isolandosi dal resto del mondo.
<< Non riesci a dormire? >> le sussurrò dolcemente contro l’orecchio.
Fuka si limitò ad annuire, il capo appoggiato alla sua spalla.
Lui la strinse più forte a sé.
<< Potremmo impiegare il tempo in un altro modo, invece che gelarci sul balcone… >> le propose scherzoso, ma con un lampo di malizia nei suoi occhi blu.
Fuka sospirò, rivolgendogli un sorriso di scusa.
<< Ho il ciclo. >> lo informò, studiando attentamente la sua attenzione.
<< Oh >>
Un lampo di tristezza gli attraversò lo sguardo ma sparì così velocemente che Fuka si chiese se fosse stato solo il frutto della sua immaginazione.
Un secondo dopo gli occhi di Naozumi tornarono chiari e limpidi. Senza aggiungere altro la abbracciò da dietro, lasciando che anche il suo sguardo vagasse per le strade di Tokyo.

 

 

                                                                                               ***

 

 

Un vagito vigoroso esplose nel cuore della notte. Appena un attimo dopo Misa aggiunse la sua voce a quella del fratello, non volendo essere da meno. Tsuyoshi inforcò gli occhiali e si alzò per accudire i gemelli, questa volta senza che fosse Aya ad incitarlo a farlo.
Una cosa era certa: anche quella notte l’avrebbe passata in bianco.

 





 

Note:

1. Il fatto che Akito faccia il fisioterapista non è una mia invenzione, l'ho trovato in Deep Clear.

 

 

 

Ciao a tutti!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Cosa mi dite di queste quattro coppie? Forse la reazione di Akito potrebbe sembrarvi un po' strana, per ora ho le labbra cucite, ma verrà spiegato tutto a tempo debito.
Mi scuso per il clamoroso ritardo, purtroppo ho davvero un bel po' da fare in questo periodo.

Passando ai ringraziamenti: un grazie sincero a angel92, tokykia, ryanforever, Paola19 e sabry92 per aver recensito il prologo. Grazie anche a chi ha aggiunto la ff tra le seguite/ricordate/preferite ed ai lettori silenziosi.

Una domanda: come lunghezza vi va bene? Se è troppo lungo – e quindi noioso – ditemelo: a me non pare il vero di pubblicare capitoli più corti! :D
Un grosso bacio a tutti
Ely

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Capitolo 3
*** Perché fai così? ***





                              Perché fai così?


 

 
 

 
 

 

  Akito era uscito di casa, così, senza una parola e Sana dovette racimolare ogni briciola del suo orgoglio per non inseguirlo. La delusione fu talmente cocente che per un attimo temette che sarebbe scoppiata a piangere senza più fermarsi. Una lacrima le scese sul viso, lasciando una scia umida sulla guancia, scivolando sul collo e poi nell’incavo fra i seni. Strinse le braccia intorno al petto per contenere quella dirompente sensazione che le premeva dentro, la sensazione di non essere voluta.
Erano anni che non si sentiva così. Il tempo trascorso aveva apportato significativi cambiamenti al suo carattere: non era più l’adolescente insicura che non faceva che dubitare dell’amore di Akito e non si sentiva mai all’altezza delle aspettative di tutti. Era maturata. Presto sarebbe diventata madre, non poteva permettersi le debolezze di una quindicenne frustrata.
Ma allora perché era distesa sul tavolo a piangere come una scema? Perché si sentiva proprio così, come se Akito non la volesse, come se il loro bambino per lui fosse qualcosa di inaccettabile?
 Il loro bambino. Bastò quel pensiero perché la sua mano salisse a sfiorare il ventre, in una carezza che stava ormai diventando abituale. Era per il loro bambino in primis che doveva darsi una calmata ed analizzare criticamente la situazione.
Dopotutto non era detto che le cose andassero poi così male. Certo, Akito era sconvolto. Ma d’altronde chi non lo sarebbe dopo aver appreso di stare per diventare padre? E rimuginandoci fra sé, Sana dovette ammettere che non era stata molto delicata nel comunicargli la notizia. Naturale quindi che fosse sotto shock. Meno naturale era il modo in cui l’aveva piantata in asso e nel rivedere mentalmente la sua fuga precipitosa  sentì la rabbia che lentamente affiorava nel petto. Quell’idiota!  Si poteva sapere perché si era comportato così?
Andò in cucina e preparò una camomilla per calmarsi, respirando profondamente. Due ore, tre camomille e svariati esercizi di yoga dopo,  Sana si era convinta che la reazione di Hayama era stata spropositata ma che sarebbe bastata una conversazione per rimettere a posto la situazione. D’altronde lui aveva un carattere chiuso e forse stare un po’ da solo e riflettere gli avrebbe fatto bene.
Nonostante questi pensieri rassicuranti si rigirò a lungo nel letto e dormì poco e male, svegliandosi ogni ora  e gemendo per la frustrazione nel trovare il posto accanto al suo vuoto.
Un rumore appena accennato alle sei di mattina la richiamò alla realtà. Un pallido raggio di sole filtrava dalla finestra e si incastrava nella chioma bionda di Hayama che si cambiava gli abiti spiegazzati, preparandosi per andare al lavoro. In un lampo ricordò tutto quello che era successo la sera prima e con un sussulto si tirò a sedere di scatto.
<< Sei tornato! >> esclamò di getto.
Akito si voltò a fissarla, paralizzato, con sul viso un’espressione colpevole. Sana sentì il rossore che le invadeva le guance, mentre il freddo le aggrediva il corpo, senza più il calore rassicurante del coltrone. I secondi di silenzio si protrassero e lei si maledì per quella sua uscita improvvisa. Si era preparata tutto un discorso la sera prima ed adesso invece non ricordava mezza parola…
<< Sì, sono tornato. >> rispose senza fissarla negli occhi.
Riprese a frugare nell’armadio, senza degnarla più di attenzione.
<< Io… Mi hai fatto stare in pensiero. >>
Da dove diavolo le usciva quel tono? Avrebbe dovuto essere infuriata! E invece si ritrovava quasi a implorarlo di dedicarle un po’ del suo tempo, con una vocina esile e quasi balbettante.
Akito non si girò, continuando a darle le spalle, ma vide le sue spalle irrigidirsi.
<< Avevo bisogno di stare solo. >> ribatté laconico.
Un brivido le corse lungo la spina dorsale e iniziò a giocherellare distrattamente con un lembo del lenzuolo, senza più il coraggio di portare avanti quella inconcludente conversazione. Le sue lacrime iniziarono a macchiare la stoffa, mentre chinava il capo e cercava di soffocare i singhiozzi per evitare che Hayama si accorgesse che stava piangendo. Una persona matura, eh? Decise che la colpa doveva essere degli ormoni, solitamente non si sarebbe disperata solo perché lui aveva uno dei suoi attacchi di mutismo.
Avvertì che il fruscio degli abiti si era interrotto e, senza riuscire a trattenersi, gettò un’occhiata distratta nella sua direzione. Akito aveva smesso di vestirsi e – ancora a torso nudo – la osservava con un’espressione amareggiata. Beccata. Cercò di asciugarsi le guance, senza successo.
Con due rapide falcate Hayama si posizionò di fronte al letto, stringendola fra le braccia. Il contatto con la sua pelle calda ruppe definitivamente ogni argine e Sana si ritrovò a singhiozzare, aggrappata alle sue spalle.
<< Scusa. >>
Lo mormorò appena, con un tono così lieve che per un attimo Sana pensò di esserlo immaginata. Hayama che si scusava per qualcosa era un evento così raro che smise di singhiozzare per lo stupore. La sua mano salì a sfiorarle i capelli, in una carezza lenta e delicata che le sciolse il cuore.
<< Ho chiamato un dottore mio amico, ieri sera. >> la informò, intensificando la stretta.
L’odore di muschio e cuoio della sua pelle le solleticò le narici, mentre si abbandonava esausta ma finalmente tranquilla alle sue carezze.
<< Ah sì? >> chiese posando la testa nell’incavo della sua spalle.
Sentì che lui annuiva.
<< È disposto a visitarti a breve. Non appena ti sentirai pronta lo chiamerò per prendere l’appuntamento. >>
Sana sorrise, nascondendo la testa sul suo petto per non fargli scorgere la sua espressione gioiosa. Allora stavano così le cose. Lui era solo preoccupato per lei e per il loro bambino e si era fatto prendere dal panico.
<< Lo conosci bene? >> domandò, accarezzando distratta i muscoli definiti del suo torace.
<< Sì, da diversi anni. Non dovrai preoccuparti di niente… >>
No, certo che no. Adesso che tu sei qui, con me, non c’è proprio niente che possa farmi preoccupare. Dio, quanto era stata sciocca ad agitarsi in quel modo!
<< … ti prometto che l’intervento andrà nel migliore dei modi. >>
Fu quella parola, intervento, ad accenderle un campanello di allarme. Scostò il viso, fissando dritto negli occhi lo sguardo dorato di Hayama.
<< Intervento? >> ripeté con un brutto presentimento che le correva lungo la pelle.
Lui annuì, mentre i suoi occhi si facevano più cupi.
<< Non devi aver paura, Sana. Tomori ha aiutato un sacco di donne ad abortire e è sempre andato tutto bene…>>
Sana impallidì, chiedendosi come aveva fatto a fraintendere così le sue parole. Hayama non aveva chiamato un medico per farle fare una semplice visita, ma perché voleva uccidere il loro bambino. Quella consapevolezza le penetrò nelle ossa, come una doccia gelida.
<< MAI! >> riuscì ad urlare, scostandosi bruscamente dalle sue braccia.
Akito aveva sul viso un’espressione sorpresa e tormentata.
<< Come? >>
<< Non farò mai e poi mai del male a mio figlio! >> ribadì, allontanandosi ancora di più da lui.
Akito allungò un braccio, come per afferrarla, ma lei si alzò in piedi con uno scatto.
<< Perché fai così? >> le domandò ferito.
Un gemito roco le uscì dalle labbra mentre la stanza iniziava a girarle  intorno. Alcuni puntini rossi iniziarono ad oscurarle la visuale e se non si fosse aggrappata al materasso, sarebbe crollata a terra. Sentì lo stomaco rovesciarsi e per un secondo pensò che sarebbe svenuta lì, su quella costosa moquette, proprio ai piedi di Akito.
Ma a poco a poco la vista le si schiarì, al punto che riuscì nuovamente ad evitare la mano protesa di Hayama e fuggì in bagno, sbattendosi la porta alle spalle.
Appena il tempo di chinarsi sul water e con un conato di vomito rigettò bile e succhi gastrici.
<< Non posso vederti in queste condizioni, Kurata. >>
La voce dura e fredda di Akito la colpì come un pugnale alla schiena, facendola rabbrividire per il disagio.
<< Non tollero che quel…quel coso, ti faccia stare così. >> chiarì, osservandola dallo stipite della porta.
Quel coso è tuo figlio” avrebbe voluto gridargli, ma di nuovo il suo stomaco si rovesciò, costringendola ad aggrapparsi alla tazza.
<< Dovrai scegliere. O lui o me. >> continuò imperterrito.
Sana lo fissò, allibita. La sua espressione era atona, indecifrabile, come se stessero parlando del tempo. Ma i suoi occhi… Sana non ricordava di averlo mai visto con uno sguardo così tormentato.
<< Ti lascio il tempo per riflettere. >>
Quelle furono le ultime parole che disse, prima di chiudersi la porta alle spalle. E quelle parole le penetrarono nel cuore, come tanti piccoli aghi affilati. Mentre un conato le attraversava di nuovo le membra, Sana si chinò di nuovo sul water vomitando bile e lacrime.
 
 
                                                                                                  ***
 
 
<< Pronto? >>
<< Fuka-chan? >>
<< In persona. >> rispose con la voce ancora impastata, riconoscendo la voce di Tsuyoshi.
<< Ho biso… di chiederti un… >>
Fuka sbadigliò, cercando di decifrare il suo mormorio confuso.
<< Tsu, non sto capendo niente… Non puoi parlare a voce più alta? E poi si può sapere come ti salta in mente di telefonarmi a mezzanotte e mezzo? >> sbottò impermalita.
Dall’altra parte del telefono provenivano delle scuse impacciate.
<< Non mi ero reso conto dell’ora… Non posso parlare a voce alta perché i gemelli si sono appena addormentati e se Akito scopre che ti ho telefonato, andrà su tutte le furie.. . >>
In quel borbottio concitato la mente assonnata di Fuka si concentrò su un’unica parola: Akito.
<< Cosa ci fa Hayama a casa tua a quest’ora di notte? >> domandò, suo malgrado incuriosita.
<< È proprio di questo che volevo parlarti. >> affermò Tsuyoshi con tono da cospirazione. << Stasera Akito si è presentato qui con una faccia da funerale e mi ha chiesto se potevo ospitarlo per la notte, mi ha promesso che domani cercherà una diversa sistemazione... >>
<< Frena, frena. Per quale motivo Hayama non dorme a casa sua? >> lo interruppe, sempre più stupita.
<<  È proprio questo il punto: non me l’ha voluto dire. >> rispose quello con tono preoccupato.
Quella frase e il cattivo presentimento che le provocò scacciarono ogni residuo di sonnolenza.
 << Pensi… pensi che lui e Sana si siano lasciati? >> bisbigliò dando voce al suo timore.
Per un po’ dall’altra parte della cornetta non giunse risposta.
<< Non so. Sai come sono quei due. Non fanno che litigare come bambini, quindi forse si tratta solo di un’incomprensione…>>
Il suo tono non pareva  molto convinto, d’altronde se l’aveva chiamata a mezzanotte doveva credere che si trattasse di una faccenda seria.
<< Parlerò con Sana. >> disse Fuka, stringendo il pugno. << Tu cerca di far cantare quel testone. >>
Una risatina amara la informò che Tsuyoshi non credeva troppo in quest’ultima possibilità.
<< Sì, certo. Come se ci fosse qualcuno al mondo in grado di far parlare Hayama quando quello non ne ha voglia! >>
Fuka sospirò, massaggiandosi le tempie.
<< Be’ almeno provaci. Ti richiamerò io dopo aver parlato con Sana. >>
<< D’accordo. >>
Un pianto acuto, proveniente dall’altra parte del telefono, si insinuò nella conversazione.
<< Adesso devo andare, Misa si è svegliata. >>
<< Ok. >> assentì Fuka. << E Tsuyoshi…>>
<< Sì? >>
<< Non fasciamoci la testa per niente. Quei due si amano e anche questa andrà a posto, vedrai. >>
 
 
                                                                                                ***
 
 
Sana sorseggiava il suo frappé alla fragola, chiedendosi se i chili di correttore che aveva applicato nascondessero le borse sotto gli occhi o se invece, nonostante tutto, continuasse ad assomigliare alla brutta copia di un panda.
Fuka giocherellava con il cellulare, mescolando con un cucchiaino la panna che straripava dal suo caffè.
<< Allora? Quale è il motivo di questo invito? >> chiese portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Fuka sorrise, sgridandola con quel suo buffo accento di Osaka.
<< C’è per forza bisogno di un motivo per prendere un caffè insieme? >>
Sana sbuffò, poco convinta.
<< Vorresti dire che ti sei tenuta lontana dai tribunali solo per fare due chiacchiere? >>
<< Da come ne parli sembra che non abbia mai tempo per i miei amici… Mentre invece sei tu quello che è praticamente sparita in questi mesi! >>  la accusò, lanciandole una delle sue occhiate inquisitrici.
Sana ridacchiò, scuotendo appena la testa.
<< Lo sai che sto girando un nuovo telefilm e che non ho mai un attimo di pace… Appena le riprese saranno finite mi farò perdonare. >> promise.
Fuka annuì, riponendo il cellulare nella borsa e bevendo un sorso di caffè.
<< A lavoro tutto bene, quindi. >>
<< Sì. >> rispose con autentico entusiasmo. << Recitare con Asako è fantastico, un sogno che si realizza. >>
Fuka non parve particolarmente interessata all’argomento.
<< E con Akito, invece? >> chiese con tono apparentemente casuale.
Il viso di Sana si aprì in un sorriso triste.
<< Hai parlato con Tsuyoshi, vero? >>
Fuka si rigirò la tazza fra le mani, provando a negare.
<< No, ma che dici… >>
<<  È tutto ok, Fuka-chan. Immaginavo che sarebbe andato a dormire da lui. >> la rassicurò mentre il sorriso le scivolava lentamente via dal viso e il suo sguardo si faceva assorto.
<< Avete litigato? >> le chiese Fuka con tono dolce.
Sana alzò il viso, incontrando gli occhi scuri dell’amica. Matsui era diventata una donna forte, sicura di sé e apparentemente fredda. Solo uno sguardo attento rivelava quanto in realtà la sua durezza esteriore non fosse che una maschera per celare la sua sensibilità.
<< Sì. >> ammise infine, mentre un blocco le ostruiva immediatamente la gola.
Allontanò il frappé, improvvisamente disgustata dal suo sapore dolciastro.  
<< Ti va di raccontarmi cosa è successo? >>
Il tono di Fuka era lieve e delicato, come il battito d’ala di una farfalla. Sana scrutò il suo viso in cerca di un accenno di compassione. Non lo trovò. Matsui le stava offrendo la sua comprensione, non la sua pietà.
<< È successo ieri sera, quando è tornato da lavoro. >> iniziò a raccontare, arrotolando una ciocca di capelli in un gesto nervoso. Fuka aveva ripreso a bere il caffè, ma i suoi occhi non si allontanavano dai suoi nemmeno per un secondo. << Io… dovevo dirgli una cosa importante e… credo di non averlo fatto nel modo migliore… >> ansimò, mentre un familiare rossore le colorava le gote.
<< Cioè? >> la incitò Fuka.
<< Cioè che aspetto un bambino. >>
La reazione di Fuka fu inaspettata. Spalancò gli occhi che per un attimo divennero così scuri da non riuscire più a distinguere l’iride dalla pupilla. La tazzina le scivolò di mano, atterrandolo sul grembo e schizzandola con il caffè bollente. Trasalì quando quel liquido caldo le ustionò le cosce, ma dalla sua bocca spalancata non uscì un suono.
<< Fuka! >> urlò Sana, porgendolo dei tovagliolini di carta e fissandola allarmata.  << Va tutto bene? >>
Lo sguardo di Matsui tornò normale e questa afferrò i fazzoletti, tamponandosi le gambe.
<< Si può sapere perché avete tutti queste reazioni quando dico che sono incinta? >> chiese con tono fintamente tragico. <<  È una cosa così strana? >>
Sperava di farla ridere, ma le labbra di Matsui si incresparono appena in un sorrisino.
<< No, certo che no. >> rispose fissando la strada fuori dal vetro. << Quindi Akito ha reagito male quando glielo hai detto? >> aggiunse dopo un attimo.
<< Male è un eufemismo. >> rispose e stavolta fu lei a distogliere lo sguardo. <<  È letteralmente scappato di casa. >>
Matsui annuì, fissando il disastro che aveva causato alla sua gonna nera. Quando tornò a parlare si comportò come se non fosse successo niente.
<< Può darsi che debba solo abituarsi all’idea, Sana-chan. >>
<<  È quello che ho pensato anch’io. Ma ieri mattina abbiamo parlato, prima  che lui andasse a lavoro. Lui non vuole questo bambino, Fuka. >> la voce le si incrinò nel fare quella confessione. << Mi ha chiesto di abortire. >>
<< Co-cosa? >> balbettò Fuka mentre il suo sguardo si faceva vitreo.
La sua mano si abbatté con forza sul tavolo, facendo sussultare una signora con barboncino in grembo a solo un tavolo di distanza.
<< Non se ne parla nemmeno! Tu terrai quel bambino, Sana! >> le ordinò perentoria.
Kurata la osservò, lievemente agitata, mentre il pugno di Fuka si contraeva pericolosamente. Era più che sicura che se in quel momento l’amica si fosse trovata davanti suo marito non avrebbe esitato a colpirlo.
<< Fuka, calmati. >> mormorò Sana, vedendo che gli altri clienti si voltavano a fissarle.
Quella non badò ai suo commenti e le afferrò le mani, stringendole fra le sue.
<< Lo terrai, vero? >>
Sana si limitò ad annuire, iniziando a supporre che Fuka lavorasse un po’ troppo. Forse quel suo comportamento strano era solo il rilascio dello stress accumulato in quei giorni…
<< Meno male! >> esclamò, sollevata, rivolgendole un tremulo sorriso che lei non si sentì di non ricambiare.
 
 
                                                                                                    ***
 
 
Naozumi si rigirava fra le mani la scatoletta di velluto, guardando quel letto dove lui e Fuka si erano amati così tante volte. La aprì con un click ed estrasse l’anello d’oro bianco con incastonato un unico, piccolo diamante. Per quella che era probabilmente la centesima volta si chiese se fosse il momento giusto per chiedere a Fuka di sposarlo. Per quella che era probabilmente la centesima volta passò in rassegna tutte le possibili reazioni che avrebbe potuto avere. Si immaginò il suo viso animato per l’entusiasmo, i begli occhi neri come opali che brillavano di felicità, le labbra – quelle labbra che lo facevano impazzire di desiderio – incurvate in un sorriso radioso. Quell’immagine gli scaldò il cuore, al punto che le sarebbe corso incontro e si sarebbe inginocchiato ai suoi piedi all’istante. Ma… se le cose non fossero andate così? Se lo avesse fissato con sguardo di compassione, se avesse reputato il suo gesto troppo affrettato? Se glielo avesse tirato dietro quell’anello, con che faccia l’avrebbe guardata il giorno dopo?
<< Naozumi? >>
La voce di Fuka risuonò nella sala, accompagnata dal rumore di una porta che sbatteva.  Si affrettò a riporre l’anello nella scatola e a nascondere il tutto in un cassetto.
<< Eccomi! >>
Le andò incontro, sfiorando appena le sue labbra arrossate.
<< Tutto bene, Fuka? Mi sembri tesa. >> le chiese massaggiandole le spalle.
Lei annuì appena, lanciandogli un sorrisino tremulo.
<< Sei riuscita a scoprire cosa non va fra Sana e Akito? >>
Fuka si mordicchiò le labbra e si scostò per posare il giaccone sull’attaccapanni.
<< Non proprio. Mi ha solo detto che hanno avuto un brutto litigio. >>
Aveva la voce stanca, incrinata da un velo di incertezza, ma con la sua solita ingenuità Kamura lo attribuì alla stanchezza.
<< Ahi, ahi, avvocato. Pensavo che sapesse essere più persuasiva. >> la prese in giro, con un sorriso divertito.
Fuka si voltò ad osservarlo, fingendosi offesa.
<< Che ci vuoi fare, non sono mica un’attrice, io. >>
Naozumi ridacchiò e le si fece più vicino fino a quando il suo profumo di ginepro non gli solleticò le narici.
<< Scherzi a parte, pensi che dovrei parlare con Sana-chan? >> le chiese, tornando serio.
Lo sguardo di Fuka si incupì.
<< No, penso che per ora non sia necessario. >> rispose senza guardarlo negli occhi.
 
 




 
 
Hi!
Eccoci al terzo capitolo! Be’ il titolo parla da solo: Sana non capisce Akito, Akito non capisce Sana… la questione si complica perché si mettono in mezzo Tsuyoshi e Fuka con le sue reazioni esagerate. Non preoccupatevi, non sono impazzita, si spiegherà tutto a tempo debito, in modo particolare questo comportamento inusuale di Matsui ( come anche il perché mente a Naozumi).
Vi chiedo scusa per tutto il tempo che vi ho fatto aspettare!  
Grazie a tutti, in modo particolare a tokykia, ryanforever, sabry92 e angel92 che hanno commentato lo scorso capitolo.
Un saluto e un bacio
Ely
 
 
 
 
 
 
 
 

 
  
  

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Capitolo 4
*** Il dubbio di Rei ***








                            Il dubbio di Rei
 





 
Rei Sagami aveva da sempre un obbiettivo nella vita e quell'obbiettivo era la felicità di Sana Kurata. 
Se chiudeva gli occhi ancora a distanza di tutti quegli anni riusciva a vedere benissimo quella piccola mano paffuta che si protendeva verso di lui, quel sorriso dolce e spensierato che era stato come un raggio di sole nel vicolo sudicio e malmesso in cui chiedeva l’elemosina. Lei lo aveva salvato nel periodo più miserevole della sua vita, raccogliendolo di strada con la semplicità con cui avrebbe potuto raccogliere un fiore di campo e adesso lui per lei sarebbe stato disposto a fare qualsiasi cosa, a diventare qualsiasi cosa.
Era stato un fratello maggiore, quando Sana era una bambina con due buffi codini sulla testa che nascondeva il suo grande bisogno di affetto dietro un carattere sbarazzino.
Era stato il suo manager quando aveva avuto bisogno di qualcuno che la tenesse per mano mentre calcava il palcoscenico degli studi televisivi.
Era stato persino il suo gigolò, quando aveva iniziato ad affacciarsi all'adolescenza e sentimenti come amore e amicizia erano talmente sfumati da essere facilmente confondibili.
Rei accese il motore della macchina e i fari anabbaglianti fenderono il buio di quello stretto stradino. Per Sana aveva recitato tanti ruoli, aveva rinunciato con gioia al suo orgoglio fino al punto di fingersi un mantenuto. Eppure se un tempo gli avessero detto che sarebbe finito a fare il detective non avrebbe potuto che sgranare gli occhi.
Sagami sorrise ingranando la prima e incolonnandosi dietro la macchina grigia che aveva di fronte. Il suo obbiettivo era a pochi metri di distanza, in un'auto che aveva di certo visto tempi migliori.
Il pensiero di stare pedinando Akito Hayama gli procurò una fitta di disagio.
Non gli era mai particolarmente piaciuto e dubitava che quella sua antipatia potesse essere ricondotta a un semplice istinto protettivo nei confronti della sua pupilla. Fin da quando era un bambino aveva trovato sempre un po' inquietante i suoi modi freddi e scostanti, quel linguaggio e quella postura che non stonavano così tanto con quelli degli altri ragazzini della sua età.
Ciò che Rei odiava di più di Hayama erano gli occhi. Quelle iridi di un colore indefinibile, un giallo ambrato che non riusciva mai a trasmettere calore, ma rimaneva freddo e duro come il metallo.
Segretamente in tutti quegli anni aveva sperato che Sana riuscisse a dimenticarlo. Che trovasse un altro ragazzo, magari uno come Naozumi, qualcuno di più facile da capire e  con un passato meno turbolento alle spalle. Invece il loro rapporto non aveva fatto che rafforzarsi fino a sfociare in un matrimonio a prima vista perfetto.
Rei tamburellò con le dita sul volante, cercando di dominare l'agitazione.
Sapeva per esperienza quanto potesse essere distruttivo quel genere di amore, quel sentimento totalizzante che aveva il potere di portarti in cielo ma anche di farti sprofondare in una voragine di disperazione. Il volto di Kurumi, dolce e perfetto da mozzargli il fiato, gli apparve alle mente, provocandogli una spiacevole puntura al centro del petto. Si sentiva in colpa per non aver rivelato nemmeno a lei i suoi piani ma non riusciva più a stare con le mani in mano mentre Sana si struggeva così.
Erano trascorse ormai due settimane da quando era tornata a casa della Maestra, un borsone sulle spalle e il suo eterno sorriso da bambina disegnato sul volto. In quei giorni Rei aveva cercato di farla parlare in tutti i modi, a volte facendole domande a tradimento, nella vana speranza di coglierla di sorpresa. Ogni tentativo non aveva avuto successo: Sana lo fissava e iniziava a scuotere la testa, minacciandolo scherzosamente con il dito. Lo blandiva con sorrisi sfuggenti e prima che lui potesse rendersene conto era già passata ad un altro argomento, evitando lo spinoso tema “Hayama”.
Sagami accelerò, temendo di perdere di vista il suo obbiettivo. Akito sfrecciava veloce e sicuro per la strada, un'andatura che lui aveva sempre considerato da pazzo sconsiderato.
Mentre schiacciava il piede sull'acceleratore, non poté impedirsi di pensare alla conversazione avuta con la signora Kurata.
<< Maestra... Maestra la prego mi ascolti... >> l'aveva implorata quasi in lacrime, rincorrendola per i corridoi stretti.
<< Rei, quando la smetterai di scocciarmi? Sono indietro con la scrittura del capitolo, non ho tempo  per i tuoi piagnistei! >> aveva sbuffato quella impermalita, aumentando l'andatura mentre Maro dalla sua acconciatura gli faceva la linguaccia.
<< Ma Maestra, Sana è incinta! >> aveva urlato fin quasi a sgolarsi.
Misako si era fermata di botto, al punto che aveva rischiato di finirle addosso.
<< Oh, lo so benissimo! >> aveva esclamato con un sorriso soddisfatto. << Ho già iniziato a fare una lista di nomi, senti qua: Risa, Kaori, Miya... >> elencò contandole sulla punta delle dita.
Lui l'aveva fissata con un'espressione perplessa.
<< Ma sono tutti i nomi delle protagoniste dei suoi libri! >> aveva esclamato concitato.
<< Esattamente! >> aveva risposto quella, quasi saltellando di gioia.
<< E sono tutti femminili... come fa a sapere che Sana non aspetta un maschietto? >>
Misako l'aveva fissato con altezzosa commiserazione.
<< Una donna queste cose  le sente, Sagami. >> aveva risposto con un tono insolitamente serio. << E poi ho fatto una scommessa con Takezo (*) che non posso assolutamente perdere! >> aveva esclamato giocosa, stringendo le mani al petto.
Rei aveva spalancato poco elegantemente la bocca. Aveva scommesso sul sesso del suo futuro nipote...? Solo la signora Kurata poteva fare una cosa del genere...
<< Maestra, non è di questo che volevo parlarle! >> aveva aggiunto, riprendendo ad arrancarle dietro.
La signora Kurata camminava saltellando, con un'agilità che smentiva la sua età.
<< Ormai è una settimana che Sana vive qui…Non è che per caso sa il motivo di questa separazione? >> aveva chiesto torcendosi le mani per l'ansia.
La Maestrasi era interrotta di botta, fissandolo con uno sguardo strano.
<< Mi sembra evidente che mia figlia e Hayama abbiamo litigato. >> aveva affermato con tono che non ammetteva repliche. << Non è certo la prima volta che capita. >>
Rei deglutì, incantandosi per un attimo a fissare i capelli della signora, raccolti in trecce pesanti e legati in un nodo complicato sulla cima della testa. Non si poteva negare che quello che diceva fosse la verità: Sana e Akito erano una delle coppie più litigiose che conoscesse, non passava settimana senza che quei due si azzuffassero come cane e gatto.
<< Ma questa è la prima volta che Sana arriva addirittura a tornare a casa, Maestra... >> aveva osato ribattere dopo un attimo di riflessione.
<< Adesso ascoltami attentamente, Rei. >>
La signora Misako aveva assunto quel tono: quello diverso dal solito, quello che usava per delle argomentazioni serie. I suoi occhi si erano fatti d'improvviso scuri e duri, con una determinatezza che per un attimo aveva fatto sentire Sagami come un bambino rimproverato per qualche bagatella.
<< Sana è un'adulta e non ha bisogno che tu ti metta in mezzo. Se non vuole dirci perché ha litigato con Akito avrà i suoi buoni motivi, non credi? >>
<< Ma... >>
<< Niente ma, Rei. Anche se mia figlia e suo marito dovessero separarsi, è una scelta che devono compiere da soli. >>
Aveva accelerato l'andatura, lasciandolo indietro in un fruscio di stoffa colorata. E lui era rimasto a fissarla sparire dietro il corridoio, cercando di immaginarsi quanto avrebbe sofferto la sua Sana se davvero una cosa del genere fosse accaduta.
Sagami fermò la macchina in un parcheggio in ombra, fissando la schiena di Hayama che scendeva a sua volta dalla vettura.
Lo osservò entrare dentro l'ospedale, chiedendosi quanto avrebbe impiegato a scoprire qualcosa di sospetto. Non si era mai improvvisato detective e non credeva che sarebbe stato tanto facile... Scosse la testa, come per scacciare la miriade di dubbi che lo assalivano non appena si fermava a riflettere.
La Maestra poteva dire tutto quello che voleva, ma lui non trovava assolutamente normale che un uomo abbandonasse sua moglie in un momento delicato come quello della gravidanza. E c'era un unico motivo che gli veniva in mente per giustificare il comportamento di Akito: il tradimento.
Adesso non gli restava che scoprire se i suoi timori erano fondati e davvero Hayama aveva un'altra donna.
 
                                                                            

                                                                                                  ***


 
La casa era vuota.
Spoglia. Con quelle pareti bianche che gli ricordavano i corridoi dell'ospedale nel quale doveva passare tutto il sacrosanto giorno. Persino il suo lavoro era diventato una routine grigia e sgradevole nelle ultime settimane.
Akito gettò il cappotto sul divano, massaggiandosi le tempie in un poco convinto tentativo di combattere la dilagante emicrania che lo colpiva spesso la sera. Un flash di Sana che gli passava le dita fresche sulla fronte, accarezzandogli piano la pelle, gli colmò la mente, procurando all'istante un peso fastidioso all'altezza del petto.
Akito osservò la piccola casa in periferia che da due settimane a quella parte era diventata la  sua nuova abitazione. La odiava. La odiava di un sentimento atavico, viscerale, l'aveva odiata dal primo momento in cui l'aveva vista, eppure l'aveva presa comunque, certo che non gli sarebbe piaciuta nemmeno se fosse stato un attico extra-lusso con piscina incorporata.
Afferrò il telecomando posato sul tavolo e accese la televisione. La voce di una conduttrice televisiva con un tailleur ridicolmente attillato colmò in un attimo la stanza, rimbalzando di parete in parete. Meglio. Per quanto insolito, negli ultimi giorni Akito aveva scoperto di essere refrattario al silenzio. Non riusciva a sopportare quel salotto così monotono e piatto, persino la tv era una distrazione gradita, qualcosa che gli impediva di pensare... di ricordare... di immaginare quella stessa stanza, piena del suono sbarazzino della sua voce, dell'odore di bruciato dei suoi disastrosi tentativi culinari, dei suoi mille fogli sparsi a giro per la casa. Gettò un'occhiata alla cucina, perfettamente ordinata e scintillante e gli sembrò asettica come un tavolo operatorio.
Si gettò sul divano, prendendosi la testa fra le mani.
Un mese, due settimane e tre giorni.
Aveva tempo. Aveva ancora tempo per convincerla e  riprendersi la sua vecchia vita, quando quel bambino non aveva ancora attecchito al suo ventre e tutto non faceva così dannatamente schifo...
Il rumore del campanello lo riscosse dai suoi pensieri.
Si alzò in uno scatto fulmineo, correndo alla porta. La spalancò con un gesto deciso, il cuore che era risalito lungo l'esofago, incastrandosi fra le tonsille.
Il viso occhialuto di Tsuyoshi rispose al suo sguardo avido.
Akito si immobilizzò, mentre la speranza lo abbandonava, lasciandolo con una sensazione di gelo addosso.
Non era lei.
<< Hayama. >> lo salutò Tsu, con un sorriso di circostanza. << Mi fai entrare? >>
Non gli rispose nemmeno, scostandosi di malagrazia per consentirgli l'accesso.
Non era colpa sua se non si trattava della persona che avrebbe voluto vedere, ma Akito non si curò di questo dettaglio, smanioso di riversare su qualcuno l'irrequietezza che lo divorava da dentro.
<< Che sei venuto a fare, Tsu? >> gli domandò gelido.
<< Buonasera anche a te. >> ribatté quello con sarcasmo. << Io tutto bene, grazie. E tu? >>
<< Salta i convenevoli. >> disse lapidario.
Tsuyoshi si passò una mano fra i capelli, spostando il peso del corpo da un piede all'altro.
<< Se proprio insisti... >> mormorò come in imbarazzo. << Sono venuto a parlarti di Sana. >>
Rimase impassibile, lieto che l'amico non potesse accorgersi di come il numero delle sue pulsazioni al secondo fosse fortemente aumentato.
<< Quindi? >> sbottò chiedendosi perché ci mettesse tanto.
Tsuyoshi lo fissò dall’ingresso con indosso ancora il cappotto e la sciarpa. Si stava rivelando un pessimo padrone di casa, ma in quel momento quello era l’ultimo dei suoi pensieri.
<< Domani ha il primo controllo medico. Le faranno le analisi del sangue e… >>
<< Non voglio saperlo. >> lo interruppe d’improvviso pallido.
<< Ma Hayama… >>
<< Taci. >>
Gli sembrava che la stanza avesse preso a girare in un vortice che gli dava il voltastomaco. Il tempo correva veloce, come acqua che gli colava dalle dita…
<< Hayama non fare così, ti prego… >>
La voce di Tsuyoshi, un ronzio irritante e stridulo, sembrava provenire da un’altra galassia. Presto sarebbe stato tardi… troppo tardi per impedirle…
<< … Sana potrebbe aver bisogno di te, ti vorrà al suo fianco…>>
<< Te l’ha detto lei? >>
Tsuyoshi lo fissò perplesso.
<< Mi ha detto… cosa? >> domandò sistemandosi gli occhiali sul naso, come sempre quando era nervoso.
<< Che vuole che vada. >> la voce gli uscì in un rantolo, mentre cercava di riassumere il controllo di sé.
Non doveva perdere il controllo. Doveva mantenersi impassibile anche se era già passato più di un mese, anche se lei aveva già il primo controllo e gli sembrava quasi che la luce venisse risucchiata dalla stanza, lasciandolo solo con quel brivido che gli percorreva la schiena.
L’imbarazzo di Tsu parve aumentare.
<< Be’ no, ma… >>
<< Allora l’argomento è chiuso. >> concluse cercando di mostrarsi impassibile.
Gli diede le spalle, lasciandolo lì, impalato come uno stoccafisso, e dirigendosi in cucina.
Mentre si versava un bicchiere d’acqua, si accorse che la mano gli tremava.
 
 
                                                                                             ***
 
 
Fuka aveva avuto davvero una pessima giornata.
Il suo capo l’aveva trattenuta fin lì ben oltre l’orario previsto, riempiendola di noiosissime scartoffie che avrebbe benissimo potuto compilare la sua segretaria. Le sembrava che i numeri le ballassero intorno non appena chiudeva gli occhi e non faceva che sbattere le palpebre, ritmicamente.
Fu dunque con la schiena a pezzi e l’umore decisamente sotto i piedi che infilò la chiave nella serratura, assaporando l’idea di un bel tè e di una doccia rilassante. Non appena il portone fu aperto una risata serena e tintinnante la accolse dal soggiorno.
Una risata femminile.
Fu con una specie di brutto presentimento che Fuka si diresse a passo svelto in quella direzione, mentre l’eco della voce di Nao le solleticava le orecchie.
La scena che vide quando entrò in salotto fu come un pugno ben calibrato all’altezza dello stomaco.
Sana era seduta sul divano in pelle, un luminoso sorriso dipinto sul viso, le labbra aperte  come se si fosse interrotta a metà frase. Accucciato davanti a lei c’era Naozumi, la mano posata sul suo ventre ancora piatto.
<< Fuka! Aspettavamo proprio te! >> esclamò quella con l’abituale brio.
<< Già, amore! >> concordò Naozumi, senza scansarsi. << Si può sapere perché non mi hai detto che Sana era incinta? >>
C’era un bonario rimprovero nelle sue parole, ma si vedeva che non era arrabbiato. Probabilmente era troppo contento per quella notizia per interrogarsi sul suo silenzio. Fuka avrebbe voluto rispondere ma aveva le fauci improvvisamente secche, gli occhi sgranati che fissavano quella mano, quelle dita affusolate che conosceva così bene, che sfioravano l’abito leggero della sua migliore amica.
Sana sembrò accorgersi della direzione del suo sguardo e arrossendo leggermente, si affrettò a parlare con il modo buffo e un po’ affrettato con il quale si mangiava le parole.
<< Ho provato a spiegare a Nao che è troppo presto perché lo senta scalciare…Ma questo testone non mi vuole dare retta! >> lo litigò scherzosamente.
Naozumi sorrise di fronte alla sua uscita, fissandola con un calore che Fuka trovò insopportabile. L’aria era tesa, pesante, ammorbata dalla complicità fra i due che si dipanava proprio sotto i suoi occhi.
<< Io… credo di non sentirmi molto bene. >> La voce le uscì strozzata e flebile, così diversa dal tono deciso che usava di solito. << Scusatemi >>
Si diresse a passi veloci verso la camera  da letto, lasciandosi alle spalle gli sguardi perplessi e preoccupati di entrambi. Mentre si gettava a peso morto sul letto, l’immagine di Nao che toccava il ventre di Sana non voleva allontanarsi dalla sua mente.
 
 


 
(*) Takezo sarebbe Oliver, cioè il ragazzo della Casa editrice che aspetta sempre i manoscritti della signora Kurata.
 
 
 





 
Ciao a tutti!
Capitolo un po’ di passaggio, che però mi serviva a mettere in luce alcune cose.
La gravidanza di Sana prosegue (peraltro è un argomento di cui non mi intendo molto, per cui se scrivo qualche sciocchezza, sentitevi pure libere di correggermi!), ma il rapporto fra lei e Akito continua a peggiorare… Se l’idea di un Rei detective vi sembra esagerata sappiate che non è farina del mio sacco, o meglio ho solo adattato il materiale di Deep Clear: lì si dice che Sana e Akito si dividono e Sana torna ad abitare dalla madre, mentre Rei chiede a un detective ( e qui la storia si intreccia a un altro manga di Obana, diventando un crossover) di indagare perché pensa che Akito possa avere un’amante… Siccome a me non sembrava il caso di mettere un vero e proprio detective di mezzo, nella mia storia sarà Rei a improvvisarsi tale!
Detto questo ringrazio le persone che hanno messo la ff nelle seguite/ricordate/preferite, chi legge soltanto, ma in particolare: ryanforever, angel92, Silvia123, sabry92, tokykia e Paola19 che hanno commentato lo scorso capitolo! Siete davvero un tesoro, ragazze! ^^
Come sempre aleggia il mistero su quando pubblicherò il capitolo futuro, vi mando un grossissimo bacio e tanti auguri di Pasqua!
Ely
 
 

  

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Capitolo 5
*** Chiacchiere di corridoio ***




Chiacchiere di corridoio
 




Sentì il rumore del portone che si chiudeva, senza riuscire a muovere un singolo muscolo. Rimase distesa sul grande letto a due piazze, i capelli che erano fuggiti dalla severa acconciatura e le circondavano il capo  in ciocche scomposte, la camicetta bianca che aveva i primi tre bottoni aperti, come se sganciarli servisse ad allentare anche la morsa che le comprimeva il petto.
I passi di Naozumi risuonarono sempre più vicini alle sue orecchie, ma Fuka rimase immobile, fissando il soffitto bianco come se contenesse delle risposte a domande che non osava pronunciare ad alta voce.
La porta della camera da letto si aprì con un lieve cigolio.
<< Fuka, si può sapere cosa ti prende? >> le chiese Nao, con un tono insolitamente adirato. << Sana se ne è andata che era quasi in lacrime! Ha gli ormoni in subbuglio per la gravidanza e proprio tu che dovresti starle vicina… >>
Smise di ascoltare la ramanzina dopo le battute iniziali.
Sana. Sempre e solo lei.
Era distesa in un letto con un mal di testa lanciante e l’umore sotto i piedi e il suo ragazzo naturalmente pensava a lei. A Sana, che presto avrebbe dato alla luce un bellissimo bambino.
<< Perché non me ne hai parlato? >>
Naozumi continuava a parlare, gesticolando come faceva sempre quando era nervoso.
<< Perché non mi hai detto che è incinta? >>
Attendeva una risposta e Fuka sapeva per esperienza che era in grado di essere abbastanza cocciuto quando ci si metteva. Si girò su un fianco, rispondendo senza fissarlo:
<< Me ne ero dimenticata. >>
Anche senza vederlo si immaginava la sua espressione stupita ed amareggiata.
<< Dimenticata? >> replicò infatti quello << Come si fa a dimenticarsi di una cosa del genere? >>
Fuka chiuse gli occhi, senza degnarsi di rispondere. Desiderava solo che se ne andasse, che uscisse dalla stanza e la lasciasse sola con i propri pensieri.
<<  È… è per quel discorso che fai così? >> le domandò titubando leggermente.
Si irrigidì istintivamente, come se qualcuno le avesse gettato addosso dell’acqua gelida. Voltò il capo, rivolgendo a Naozumi uno sguardo tagliente.
<< Quel discorso non ha niente a che fare con questa storia. Ho avuto una brutta giornata e ho mal di testa. Punto. E gradirei che tu mi lasciassi in pace! >>
Probabilmente in seguito si sarebbe pentita di quel tono acido e pungente, ma in quel momento nemmeno l’espressione ferita di Naozumi riuscì a farla pentire del suo sfogo.
Lo vide irrigidire la mascella e uscire dalla camera senza replicare, chiudendo l’uscio con un tonfo sordo.
Rimasta solo nella stanza, Fuka si girò a pancia insù, fissando il soffitto bianco per quelle che potevano essere ore, fino a quando anche la sua mente non divenne bianca, un foglio vuoto nel quale aleggiava un’unica parola: “Sterile”.
Chiuse gli occhi, lasciandosi sopraffare dai ricordi.
<< Abbiamo appena ricevuto i risultati delle analisi. >>
Il dottore la aveva fissato con quel suo sorriso triste, bianco come il camice immacolato che indossava. Fuka aveva stretto la mano di Naozumi talmente forte da stritolarla.
<< Mi dispiace, signora Matsui, ma lei è sterile. Le probabilità che rimanga incinta sono del 4% e con una percentuale del genere… >>
Le altre parole si erano perse nel vuoto. Fuka era stata sul punto di cadere e solo il corpo forte e caldo di Naozumi le aveva impedito di scivolare a terra. Aveva alzato il viso per fissare i suoi occhi.
Le iridi di Nao erano grigie e fredde, di un colore vitreo che non gli aveva mai visto.
Fino a quel momento lo stordimento era stato troppo per sentire il dolore ma quello le era piombato addosso tutto insieme nell’incrociare il suo sguardo. Aveva iniziato a tremare ed era bastato quel suo movimento lieve per riscuotere Kamura. Quando le aveva mormorato quel “Va tutto bene” stringendola al petto, i suoi occhi erano tornati le due pozze azzurre che ricordava.
Ma la verità era che non andava tutto bene. Non andava bene affatto.
All’età di dieci anni Fuka aveva preso un lapis in mano e scritto su foglio bianco quelli che erano gli obbiettivi della sua vita. Si sarebbe diplomata con il massimo dei voti, avrebbe frequentato l’università per poi iniziare un lavoro che le piaceva. Si sarebbe sposata con l’uomo dei suoi sogni. E poi avrebbero avuto dei bambini. Una famiglia rumorosa, di quelle caotiche che non ti fanno dormire la notte.
Avere dei figli era stato l’ultimo punto della sua lista, ma l’aveva sottolineato due volte per ribadire quanto fosse fondamentale. A dieci non poteva sapere che sarebbe bastata la frase di un dottoruncolo appena laureato a depennare quella speranza per sempre…
Le pareti dell’ospedale avevano iniziato a stringersi intorno a lei come per soffocarla. Aveva chiuso gli occhi, macchie rosse le invadevano la retina.
<< Sta per svenire… >> fu le ultime parole che udì  del medico prima di scivolare nel vuoto.

 

 
***

 

 
 
Ad Aya sembrava che il suo turno non finisse più.
Era tutto il giorno che si trascinava da un reparto all’altro, portando bende e medicine, cambiando fasciature  e facendo prelievi. E la cosa peggiore era che quello era niente rispetto a quello che l’avrebbe attesa al ritorno a casa. Assistere un malato grave o aiutare i medici nelle loro operazioni erano bazzecole rispetto ai capricci dei gemelli.
Lo sguardo di Aya cadde sulla vetrina del reparto maternità e nel vedere il suo viso sciupato un gemito le uscì dalla labbra. Aveva i capelli arruffati e delle occhiaie orrende, le guance  incavate nonostante i chili acquisiti con la gravidanza indugiassero ancora nei fianchi troppo formosi. In due parole: si sentiva uno schifo.
Fu dunque con un umore decisamente sotto le scarpe che si avvicinò all’armadio delle medicazioni. Un gruppetto delle sue colleghe pigolava lì vicino, Aya non aveva nemmeno bisogno di chiedersi quale fosse il protagonista dei loro discorsi: Akito Hayama.
Parlavano solo e sempre di lui. Non che non  potesse capirle: crescendo Akito si era fatto un gran bel ragazzo con quei lunghi capelli biondi e gli occhi scuri. Ma come diavolo facevano a discutere di lui per tutto il santo giorno senza che gli venisse mai a noia? Oltretutto non avevano mai niente di nuovo da dire. Per Hayama quelle galline erano praticamente trasparenti, si ricordava della loro presenza solo quando gli servivano per le medicazioni.
Akito apparve da dietro il corridoio, come evocato dai suoi pensieri. Camminava con il solito passo elastico e gli occhi fissi su una cartella clinica. Un coro di sospiri provenne dal gruppetto di infermiere e Aya non poté evitare di udire i loro discorsi.
<< Ohhh… >> mormorò Nami, la più anziana delle tre. << Diventa ogni giorno più bello, non sembra anche a te, Fumiyo? >>
La ragazza di nome Fumiyo annuì vigorosamente.
<< Però mi sembra anche sempre più stanco, poverino. Guarda che occhiaie, si vede che non dorme la notte. >>
Aya pensò che lei aveva delle occhiaie molto più profonde e loro se ne erano sempre infischiate, se non per prenderla in giro alle sue spalle. Si pentì un attimo dopo di quel pensiero meschino: Akito e Sana non stavano passando un bel momento ed era infantile riversare su di loro la sua frustrazione.
<< Lo fanno lavorare troppo. >> ribadì Marika scuotendo la testa.
Per una volta tanto Aya si scoprì a darle ragione: Hayama era il primo ad arrivare la mattina e l’ultimo ad andarsene. Nell’ultimo mese si era dedicato al lavoro completamente, quasi come se non gli interessasse altro.
<< Chissà se c’entra qualcosa l’uomo che l’altro giorno è venuto a farci quelle domande… >> aggiunse Nami pensosa.
“Uomo?” si chiese Aya aguzzando le orecchie “Quale uomo?”
<< Ma chi, quel tipo affascinante con gli occhiali da sole? >>
Nami lanciò un’occhiata inceneritrice a Marika, come il fatto di usare l’aggettivo “affascinante” per un uomo che non fosse Hayama rappresentasse un qualche reato.
<< Sì, quello. Non ha fatto che chiederci del signor Hayama: come era al lavoro, se era un tipo professionale, se si trovava meglio con alcune colleghe piuttosto che con altre… >> snocciolò rapidamente.
Marika scrollò le spalle.
<< Era solo curioso. Ha dei dolori alle spalle e voleva sapere se davvero il dottor Hayama ha le mani d’oro come dicono.  >>
Ad Aya quella risposta bastò per tranquillizzarsi e lasciar perdere i loro discorsi frivoli. A giudicare dal suo viso Nami era ancora piuttosto scettica ma non se ne curò: Nami era esattamente il tipo di ragazza che non si fidava mai di niente e di nessuno e viveva facendosi paranoie.
Quella conversazione uscì completamente dalla sua mente quando Akito si girò e, vedendola, la salutò con un gesto della mano. Ricambiò, avvertendo subito su di sé gli sguardi rancorosi delle tre iene. Sguardo che si fece ancora più cattivo quando Hayama le si avvicinò e le chiese se poteva aiutarlo con un paziente particolarmente lamentoso. Non era un tipo paziente lui, mentre ai malati piaceva avere Aya intorno perché aveva sempre un sorriso e una parola dolce per tutti.
Con un cenno affermativo si affrettò a prendere l’occorrente, seguendo Akito per il corridoio.

 

 

***

 

 

Si sarebbe dovuta alzare dal letto prima o poi.
Sarebbe dovuta andare in cucina e preparare la cena.
Chiedere scusa a Naozumi, per come gli aveva risposto.
Fuka sapeva già che la parte più difficile sarebbe stata affrontare il suo sguardo e temere di scorgervi per tutta la sera una condanna per quel figlio che non avrebbe mai potuto donargli.

 


 
***

 

 

Sana Kurata uscì dall’ospedale massaggiandosi il braccio. Alzò il viso, beandosi dei raggi di sole che le accarezzavano la pelle.
Non le piacevano gli aghi. Non le piaceva affatto e Akito la prendeva sempre in giro, dicendo che era rimasta la bambina cocciuta e insopportabile di quando era alle elementari. Quella capace di mettere a soqquadro una stanza e far impazzire le persone che la circondavano.
Proprio perché stava pensando a lui, quando vide quella figura venirle incontro Sana pensò che si trattasse di un miraggio.
Hayama avanzava a passi decisi, le mani in tasca, le labbra chiuse in una smorfia sprezzante. Camminava controluce e il sole rendeva i suoi capelli di un biondo pieno di sfumature.
Kurata sentì le gambe tremarle e si chiese se fosse quella debolezza improvvisa fosse un effetto ritardato del prelievo di sangue o fosse semplicemente dovuta alla sua vista.
Akito.
Le sembrava che persino il suo cuore stesse scandendo quelle sillabe.
Akito.
Tum,tum, tum. Di quel passo avrebbe sfondato la cassa toracica.
Akito.
Deglutì, cercando di recuperare un po’ di compostezza. Una parte di lei voleva correre fra le sue braccia, stringerlo in una presa soffocante e tempestarlo di pugni per quanto le era mancato. E molto probabilmente lo avrebbe fatto se la sua espressione cupa ed ostile, il suo camminare senza fissarla negli occhi, le sue spalle tese e rigide come blocchi di granito, non l’avessero scoraggiata.
In quei tre anni di matrimonio Sana aveva imparato che per capire i pensieri di Hayama non ci si doveva affidare a quello che diceva ( che poi non era un granché) ma alla sua gestualità. Era diventata un’esperta a leggere i segnali del suo corpo e quello che le stavano comunicando in quel momento era che lui era indiscutibilmente incazzato. Lo vedeva da come le si avvicinava combattuto, quasi come se ad ogni passo le suole delle scarpe divenissero più pesanti. Da come fissava ostinatamente il cemento del marciapiede, come se potesse perforarlo con lo sguardo.
Per cui Kurata rimase immobile, fissandolo con un’espressione inebetita.
<< Sei venuto. >> fu l’unica cosa che riuscì ad esalare quando lui fu ad appena tre assi di distanza.
Hayama si limitò ad annuire.
Sana spostò il peso da un piede all’altro, in preda al disagio per quel silenzio che lui non sembrava intenzionato a interrompere. Come sempre, quando si trovava in difficoltà e voleva nasconderlo, iniziò a parlare a raffica:
<< Mi hanno appena fatto i primi esami. Quello del sangue è stato orribile, l’infermiera ha sbagliato tre volte prima di trovarmi la vena! Ovviamente non sanno ancora i risultati ma me li comunicheranno il prima possib… >>
<< So com’è la procedura. >> la interruppe lui. << Sono un dottore. >>
<< Ahahah, è vero. >> ridacchiò Sana, passandosi una mano fra i capelli. << Sono proprio una sciocca. >>
Qualcosa nello sguardo di Hayama mutò quando la udì dire quell’ultima parola.
<< Sì. Sei proprio una sciocca. >>
Un secondo prima la fissava come se volesse incenerirla, un secondo dopo la stringeva fra le braccia, stritolandola in una presa ferrea.
In un’altra occasione forse Kurata avrebbe avuto la lucidità per stupirsi dei suoi repentini cambiamenti di umore. Per arrabbiarsi, magari, perché erano due settimane che non si faceva vivo e la prima volta che la vedeva dopo tutto quel tempo la offendeva pure.
Invece riuscì solo a chiudere gli occhi e affondare il viso nell’incavo delle sue spalle, respirando l’odore della sua pelle come se fosse un aroma inebriante. Per lei era proprio così, la pelle di Hayama sapeva di un profumo di cui non avrebbe mai potuto fare a meno. Profumo di casa.
Le sue mani strinsero la sua T-shirt mentre tutta la sua anima si beava di quel momento che avrebbe voluto durasse all’infinto. Gli era mancato. Gli era mancato terribilmente. Gli era mancato ancora di più perché era incinta e insicura e doveva fingere di fronte a tutti gli altri che le cose andassero bene. Eppure in quel momento, fra le sue braccia, le sue paure erano come dissolte,  come se il tempo si fosse annullato, cancellando in un battito di ciglia il periodo buio della loro separazione.
Poi Akito le mormorò quella frase contro l’orecchio e a Sana sembrò di precipitare di nuovo nella realtà.
<< Dimmi che non lo terrai. >>
Rimase in silenzio per una manciata di secondi, cercando di imprimere bene nella sua memoria il calore del suo corpo, il suono profondo della sua voce, la forza delle sue braccia. Avrebbe serbato quel ricordo per quando lui fosse stato di nuovo lontano.
<< Ti prego… >>
Lo bisbigliò talmente piano che Sana non fu nemmeno sicura che non si trattasse della sua immaginazione.
<< Akito, io… >> si bloccò, come se il fatto di allontanarlo volontariamente dalle sue braccia fosse troppo doloroso.
Non ci furono bisogno di altre parole. Lo sentì sospirare ed allentare la presa.
Quasi si separò da lei a Sana parve che il suo cuore sussultasse.
Si girò e prese a camminare verso la macchina con nient’altro che un:
<< Ci vediamo, Kurata. >>
Continuò ad osservarlo ma Hayama non si voltò mai indietro.
 
 

 
Ciao a tutti!
Come prima cosa mi scuso per questo allarmante ritardo e per un capitolo che temo non sia un granché. Ho preferito pubblicarlo senza stare tanto a correggerlo, per evitarvi altre lunghe attese. Comunque qualche piccolo chiarimento:

  1. Fuka è sterile. Alcune di voi lo avevano intuito, altre forse avevano pensato che fosse solo gelosa. Questo spiega comunque perché è rimasta così male nel vedere Nao con la mano sulla pancia di Sana e quanto abbia profondamente invidiato l’amica in quel momento. Penso che sia altrettanto chiara la sua indignazione quando ha saputo che Aki voleva farla abortire.
  2. Ma chi sarà mai questo uomo con gli occhiali da sole che fa ricerche su Hayama? u.u Rei versione detective in azione. Questa parte solo parzialmente è ripresa dal manga: la detective va nel posto di lavoro e scopre che un sacco di infermiere sono infatuate di Hayama (il fatto che Aya lavori come infermiera nell’ospedale dove lavora Hayama invece è una mia invenzione).
  3. Vabbè ennesimo incontro-abbandono fra Sana e Akito. Alla fine lui non è riuscito ad assentarsi alla prima visita di Sana, ma le cose fra loro non sono ancora risolte.

Un grazie a tutte le persone che hanno messo la storia fra le seguite/ricordate/preferite. Un grazie speciale a tokykia, angel92, sabry 92 e ryanforever che hanno commentato lo scorso capitolo e a jeess che mi ha spinto a riprendere in mano la storia. Grazie ovviamente anche ai lettori silenziosi.
Un saluto e un bacio
Ely
 








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Capitolo 6
*** La punta dell'iceberg ***


 


La punta dell'iceberg








 

 

« Fuka-chan » mormorò Sana con tono mortalmente serio « Coraggio, Fuka-chan. È il momento di compiere una scelta ».
« Ehm... » titubò quella per un istante.
Le sventolava sotto gli occhi quelle due tutine, una rosa e una azzurra, e lei non sapeva davvero che cosa rispondere.
« Ehm... » ripeté di nuovo, portandosi una ciocca di capelli dietro le orecchie.
Il viso tirato di Aya apparve da dietro uno scaffale di latte in polvere e biberon.
« Che state combinando? » chiese fissando lo sguardo ansioso dell'amica.
« Aya-chan! » strepitò Sana, assordandola quasi « Dammi una mano, ti prego! » implorò sventolando i vestiti e facendo gli occhioni da cerbiatta.
Aya assunse subito un tono professionale e deciso.
« Be' direi che dipende dal sesso del bambino » rispose come se fosse un'ovvietà.
Sana aggrottò la fronte, facendo una faccia dispettosa.
« Ma io non voglio saperlo! Voglio che rimanga una sorpresa fino alla fine! »
Fuka sospirò pesantemente, appoggiandosi a uno scaffale traboccante di peluche. Per quale assurdo motivo si era fatta convincere ad accompagnarle? Tutto in quel negozio premaman sembrava schiaffarle in faccia la sua infelicità. Che cosa poteva saperne lei di pappine e abitini colorati? Come poteva esprimere un consiglio proprio lei che... lei che non avrebbe mai...
« In questo caso ti conviene prenderla gialla o magari verde » le spiegò paziente Aya, indicandole un'intera serie di tutine. « Così andranno bene qualunque sia il sesso del nascituro... »
Fuka si allontanò, fingendo di essere improvvisamente interessata a passeggini e cuffiette a pois. La voce di Sana che si entusiasmava per una stampa con impressa un'ape la raggiunse anche da un corridoio di distanza. “ È proprio uguale a un costume di scena che ho indossato da piccola!” stava urlando assolutamente incurante delle altre signore che la guardavano male.
Fuka si stropicciò gli occhi, cercando di soffocare quella sensazione dilagante di disagio. Le sue amiche non si rendevano conto della prova a cui la stavano sottoponendo, non aveva mai trovato il coraggio di rivelare loro che era sterile. Sapeva che razionalmente non c'era niente di cui vergognarsi, ma non riusciva ad impedire che una parte di sé – la parte più recondita ed inconscia – la avvertisse come una mancanza, un difetto che la rendeva meno donna.
Ormai erano passati più di un mese da quando Sana aveva scoperto di essere incinta e ancora non si era abituata al pensiero. Osservava le sue amiche, belle e radiose nonostante la stanchezza di Aya e la nausea mattutina di Sana, e le sembrava di essere di fronte a un binario morto. La vita delle sue amiche proseguiva nel modo giusto, nel modo corretto, e lei non poteva che rimanere a guardare, sentendosi come una bambina che per quanto si sforzi non riesce a camminare con le sue gambe. Perché sì, Aya non faceva che lamentarsi per lo stress e perché lei e Tsuyoshi non avevano più del tempo per loro, però le bastava vedere la luce che le animava lo sguardo quando lo posava su Misa e Shinichi per essere sicura che non avrebbe fatto cambio con la sua vecchia vita per niente al mondo. E Sana... Sana non stava passando un bel periodo e di nuovo per colpa di quell'idiota totale di Akito. Però era sicura che anche per loro le cose sarebbero tornate a posto, mentre la sua vita invece nessuno avrebbe potuto riparla neanche se ci avesse messo tutto l'impegno di questo mondo.
Fuka socchiuse gli occhi e nel sentire la risata di due ragazze – entrambe con un pancione vistoso – di fronte a dei libri su come diventare dei buoni genitori, un brivido gelido le attraversò la spina dorsale. “Quella sarebbe stata l'ultima volta” promise a se stessa. Non avrebbe più accompagnato Sana e Aya nello shopping per i loro bebè, non era talmente masochista da sopportare di nuovo quella tortura. Non le importava un accidenti se Sana ci sarebbe rimasta male e Naozumi le avrebbe lanciato uno di quei suoi sguardi perplessi, quelli che sembravano volerle scavare dentro.
Si avviò a passi decisi verso le sue amiche, pronta ad inventare una scusa ed andarsene velocemente da lì. Aya e Sana erano nello stesso punto in cui le aveva lasciate. Stava per aprire bocca e per richiamarle – visto che la valanga di orsacchiotti che le separava aveva impedito loro di accorgersi della sua presenza – quando le parole di quest'ultima la gelarono.
Rimase così, con la bocca aperta, ad origliare la conversazione.
« Sai, mi vergogno un po' ad ammetterlo ma... » Kurata fece un respiro profondo, la voce che le usciva incerta dalle labbra « spesso penso a quello che mi ha chiesto Akito ».
Si interruppe, alzando i suoi grandi occhi color cioccolata verso Aya, come in cerca di conforto.
Le mani di Fuka affondarono nella matassa di peluche senza quasi che se ne accorgesse.
« Lui... lui mi manca tanto » continuò quella con un sorriso triste sulle labbra « A volte la notte non riesco a dormire e allungo la mano dalla sua parte del letto. Trovarla vuota è come un tuffo al cuore».
« Sana-chan... » mormorò Aya con voce dolce.
« E allora... allora penso che se abortissi, tutto tornerebbe come prima » concluse distogliendo lo sguardo e appuntandolo sulle punte delle scarpe.
Non farlo, Sana.
Dentro di sé era quasi un urlo, ma le sue labbra rimasero sigillate.
Te ne pentiresti. Ti prego, tu che puoi, tu che non immagini neanche quanto vorrei essere al tuo posto...
Sana rise fra sé, scuotendo il capo in modo che i capelli mogano la circondano in un turbine castano. Fuka rimase immobile, lo sguardo vitreo, le dita che che comprimevano l'imbottitura del peluche.
« È una sciocchezza, lo so. Non dovrei nemmeno pensarle queste cose » proseguì mordicchiandosi il labbro. « A volte so essere dannatamente egoista ».
Egoista.
Senza nessun motivo apparente quella parola affondò nel petto di Matsui come una lama dalla punta affilata. Egoista. Continuò a risuonarle nelle orecchie, mentre Kurata riprendeva a parlare a parlare:
« Un istante dopo ripenso alle mie mamme. Ad entrambe, quella biologica e quella adottiva. Penso a quanta paura deve avere avuto Keiko, che a differenza mia che sono circondata da persone stupende, era sola ed era appena una ragazzina... Eppure se lei non avesse trovato la forza di andare avanti io non sarei qui, ora. E penso a mammina e a quanto deve essere stato terribile per lei scoprire che non avrebbe mai potuto avere figli. Se abortissi sarebbe come darle uno schiaffo in piena faccia, non credi? » non le diede il tempo di rispondere prima di riprendere « E infine penso a me. Io questo bambino lo amo già e prima o poi Akito... lo amerà anche lui, ne sono certa! »
Aveva di nuovo il suo sorriso luminoso impresso nel volto e l'unica cosa che Aya riuscì a fare fu stringerla in uno dei suoi abbracci soffocanti.
Fuka si allontanò di un passo, improvvisamente a corto di fiato.
Il discorso di Sana le aveva appena iniettato sottopelle il seme di un'idea. E la parola egoista continuava a turbinarle incessantemente in testa.

 

***

  

Rei Sagami era in macchina e aveva disposto ordinatamente tutta una serie di fogli sul cruscotto.
Su quelle pagine bianche era impressa la vita di Akito.
Erano più di due settimane che i pedinamenti proseguivano e ormai poteva dire di essersi fatto un'idea piuttosto completa. Hayama era una di quelle persone abitudinarie, che facevano più o meno sempre le stesse cose e non riservavano mai grosse sorprese. In due parole: il contrario di Sana.
Ogni mattina si svegliava alle sei e alle sette e mezzo era già in ospedale. Lavorava ininterrottamente fino all'ora di pranzo. Di solito si portava una vaschetta di sushi da casa e la mangiava nella mensa con accanto qualche compagno coraggioso che cercava di intavolare una conversazione e riceveva immancabilmente poche risposte laconiche ed annoiate.
Alle due e mezzo riprendeva a lavorare e a volte le infermiere erano costrette a richiamarlo, per evitare che venisse chiuso dentro l'ospedale.
I colleghi con cui aveva parlato gli avevano assicurato che un tempo non era così. Certo, il dottor Hayama era sempre molto professionale e attento al suo lavoro, ma prima non sembrava così ossessionato da esso. Spesso e volentieri tornava a casa per il pranzo e lasciava l'ufficio ben prima dell'orario di chiusura. Da un mese a quella parte invece...
Rei si massaggiò la sella del naso, respirando profondamente. Di una cosa era certo dopo tutte le sue indagini: se Hayama aveva un'amante, doveva essere una che lavorava nell'ospedale con lui.
Il problema era che da quello che aveva capito le infermiere lo consideravano un po' come un dio sceso in terra e ognuna avrebbe fatto carte false pur di poter passare un po' di tempo con lui.
La lista delle sospettate era decisamente ampia.
Afferrò un gruppo di foto, sfogliandole lentamente. Una donna ricorreva in quasi tutti gli scatti, i suoi capelli di un castano chiaro che arrivavano appena alle spalle. Akito faceva gola a tutte le infermiere del reparto, ma a quanto pareva solo una meritava la sua attenzione.
Aya Sugita.
Il rumore del telefono che squillava lo fece sussultare. Si riscosse dai suoi pensieri, accantonando per un attimo i dubbi e afferrando il cellulare.
« Pronto? »
« Rei? » la voce morbida di Kurumi gli solleticò le orecchie « Si può sapere quanto ci metti? »
Sagami gettò un'occhiata distratta all'orologio sul cruscotto, ricordandosi solo in quel momento che avrebbe dovuto accompagnarla in un giro di shopping. Fissò, per un attimo indeciso, la porta bianca dell'ospedale: Hayama sarebbe uscito da lì a mezz'ora e chissà se sarebbe andato direttamente a casa.
« Rei? »
Istantaneamente prese una decisione.
« Perdonami, Asako. Non ce la faccio proprio a venire ».
Silenzio. Dall'altra parte della cornetta sembrava che Kurumi avesse trattenuto il respiro.
Non aveva bisogno di averla davanti agli occhi per sapere che era infuriata. Era incredibile come il suo viso dolce riuscisse a divenire minaccioso se solo veniva provocata.
« E si può sapere che cosa avresti di così importante da fare? » gli chiese acida.
« Lavoro » le rispose laconico. « Ah tesoro, ricordati di prepararmi le valige per quando ritorno a casa ».
« Va-valige? » ripeté quella con un filo di voce.
« Sì » rispose Rei allungando il collo per controllare che Akito non fosse già uscito. « Ho intenzione di trasferirmi a casa della Maestra per un po'. Sai per stare vicino a Sana nella gravidanza e tutto ».
Visto che Hayama l'aveva abbandonata ci avrebbe pensato lui a lei.
Il silenzio dall'altra parte dl telefono si prolungò più a lungo. Se non fosse che era troppo preso dal suo spionaggio, Rei avrebbe potuto trovarlo preoccupante.
« Te ne vai » mormorò Kurumi con voce innaturalmente stridula.
Sagami aggrottò la fronte.
« Sarà solo per qualche mese, cara... »
« Vai a stare da Sana » aggiunse come se non lo avesse nemmeno sentito.
Sospirò pesantemente.
« Ha bisogno di me » rispose semplicemente.
« Tu... tu ti rendi conto che non è più una bambina? Che ha ventitré anni? » quasi urlò quella.
Scosse la testa, girando la chiave nel cruscotto. La testa bionda di Hayama faceva capolino dall'uscita.
« Sana resterà la mia bambina per sempre » rispose prima di attaccare.
Avrebbe pensato poi a come far sbollire Kurumi.

 

***

  

Naozumi accese la candela, osservando con aria soddisfatta la tavola preparata con cura.
La tovaglia bianca quasi brillava illuminata dal lume rosso e un mazzo di rose profumate spiccava proprio al centro.
Fuka sarebbe tornata a momenti e la cena era quasi pronta. Certo, non era stato lui a cucinarla – ai fornelli era un vero disastro – ma l'importante era il pensiero no?
Sospirò, estraendo dalla tasca la piccola scatolina di velluto. Se la rigirò fra le dita, mentre osservava il panorama che si intravedeva dalle grandi vetrate. Tokyo di notte era bellissima e misteriosa. Un po' come Fuka, o forse era solo lui che ultimamente non riusciva più a seguire la piega dei suoi pensieri.
Sentì il portone aprirsi e si girò con un sorriso entusiasta.
Fuka entrò nell'attico a passo stanco, sgranando gli occhi nel notare la luce soffusa e la tavola apparecchiata con cura.
« Ben tornata, amore » la salutò Naozumi andandole incontro con l'abituale sorriso dolce.
Sorriso che faticò a non incrinarsi mentre notava come Matsui osservava la sala con occhi spenti ed espressione smarrita.
« È per me tutto questo? » gli chiese indicando la cena al lume di candela
« Per chi altri dovrebbe essere? » le rispose inarcando un sopracciglio.
La vide cincischiare con la cinghia della borsa che portava a tracolla.
« E quale sarebbe il motivo? » gli domandò ancora.
Naozumi si avvicinò ancora di più, cercando di decifrare le emozioni di Fuka dal visto stanco.
« Ci deve essere per forza qualcosa di speciale per voler passare un po' di tempo insieme? »
Fuka arrossì, distogliendo lo sguardo.
« Non avresti dovuto... » mormorò così piano che fece fatica a sentirla.
« Ehi » disse accarezzandole con un dita la guancia. « C'è qualcosa che non va? Sai che a me puoi dirmi tutto, vero? »
La sentì fremere sotto il suo tocco e per un attimo Fuka aprì la bocca, come se fosse sul punto di confessargli qualcosa. La richiuse, scuotendo appena il capo.
« M-mi dispiace, Nao, ma proprio non ce la faccio. Ho lo stomaco chiuso e non ho voglia di cenare. Scusami » esalò prima di dargli le spalle e precipitarsi nella loro camera.
Naozumi rimase per un attimo in piedi, la mano ancora sospesa nel vuoto, l'anello nella tasca che pesava come un macigno.
Crollò a sedere sul divano, soffiando sulla candela con un gesto rabbioso.
Erano settimane che Fuka si comportava in quel modo strano. Ed erano tante, troppe, le cose che non aveva voglia di fare. Scattava se solo le chiedeva di rimanere da soli, evitava il suo tocco e quasi non si lasciava più baciare.
Si prese il capo fra le mani, chiedendosi in che cosa stesse sbagliando.
Al buio della stanza lasciò che una lacrima silenziosa gli rigasse il viso.  

 

***

 

« Aya! »
La voce di Tsuyoshi la accolse ancora prima che fosse riuscita a chiudere l'uscio di casa.
Lo vide venirle incontro trafelato, gli occhiali storti sul naso aquilino.
« Per fortuna sei tornata a casa! » esclamò con visibile sollievo. « Shinichi e Misa si rifiutavano di prendere il latte e non fanno che piangere. Stavo per chiamare tua madre! »
Sospirò profondamente, seguendolo in camera da letto.
Tsuyoshi le passò il biberon fissandolo con quei suoi grandi occhi marroni, come in attesa che lei compisse chissà quale miracolo.
Aya si versò un po' di latte sulla mano, per saggiare la temperatura.
« Kami, Tsu è bollente! » lo rimproverò infastidita. « Ci credo che non lo bevono! Quante volte ti devo ripetere che devi assicurarti che sia tiepido, prima di darglielo? »
Tsuyoshi la fissò con uno sguardo da cucciolo, strusciando nervosamente i piedi per terra.
« Ah, già! » ridacchiò « Sono proprio sbadato... »
Lei sospirò nuovamente e decise di lasciar perdere i biberon. Si attaccò i due gemelli al seno, iniziando a dondolarli piano.
« Come è andata oggi al lavoro? » le chiese lui dopo un attimo, probabilmente per cambiare argomento.
« Al solito. Akito è uno schiavista. Dovrebbe avere un po' più rispetto per una giovane madre » borbottò fra sé.
« Che ci vuoi fare, è fatto così » replicò Tsu con un sorrisino.
Aya gli lanciò uno sguardo di sottecchi.
« Potresti provare a parlarci di nuovo. Per Sana, intendo ».
« Oh, no! Non se ne parla proprio » affermò mettendo le mani avanti « L'ultima volta che sono stato da lui, manca poco mi sbatte la porta in faccia. Sono stanco di fare da paciere » concluse mettendosi a sedere sul divano e impugnando il telecomando.
Aya si morse il labbro per non replicare. Era troppo stanca per mettersi a litigare e sapeva che c'erano altri modi per convincere il marito. Preparargli una bella teglia di biscotti, per esempio, gli avrebbe di sicuro addolcito l'umore.
« Anche Fuka mi sembra strana ultimamente ».
« Ah sì? » domandò Tsu scorrendo i canali.
« Mmm » mugugnò « Alla fine io e te sembriamo essere l'unica coppia che funziona ».
Aveva trovato un programma di calcio e la sua risposta arrivò con un secondo di ritardo.
« Già, pare di sì ».

 

 

 

Ciao a tutti!
Un altro capitolo in cui non succede poi molto >.<
Dal prossimo le cose si fanno più interessanti, ma questo mi serviva per mettere in luce alcune cose.
P
unto primo io mi sono sempre fatta l'idea che la sicurezza di Sana fosse un po' una maschera. Con questo non voglio dire che lei volesse davvero abortire – non mi sembra proprio il tipo – ma credo che almeno il dubbio le sia venuto visto che era Akito, ovvero l'uomo della sua vita, a chiederglielo.
Ovviamente porterà avanti la gravidanza e ho pensato che non avrebbe voluto sapere il sesso del bambino fino al parto.
Fuka e Nao sono sempre più distanti, mentre Rei inizia addirittura a sospettare di Aya! Vedremo se il nostro detective ci ha preso oppure è in alto mare.
Nao da piccolo era un piagnone e secondo me lo è rimasto anche da grande, solo che adesso cerca di non farsene accorgere. Quanto al comportamento un po' strano di Fuka, nel prossimo capitolo si spiegherà quale è l'idea che sta germogliando nella sua mente. ^^
A questo punto ringrazio calorosamente le persone che hanno commentato lo scorso capitolo: ryanforever, sabry92, _Silvia123_,angel92, tokykia, Dramee, Paola19 e She is Strange. Grazie, grazie davvero le vostre recensioni sono state fondamentali! <3
u
n saluto e un bacio
Ely

p.s. Paola, questa volta il pov di Akito non mi ci è entrato, ma nel prossimo capitolo lo metto di sicuro! ;D


 

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Capitolo 7
*** Relazione proibita ***


 


Relazione proibita







 

 

Gli attimi prima di entrare sul palcoscenico erano sempre i suoi preferiti.
A differenza della maggior parte dei suoi colleghi non si sentiva teso, ma euforico. Amava il teatro, più di quanto avrebbe mai potuto amare la televisione o le sitcom che recitava a volte. Di fronte ai suoi occhi si aprivano infinite possibilità: gli pareva di spogliarsi della sua pelle per indossare quella del personaggio e oh, se aveva bisogno di fuggire da se stesso anche solo per una manciata di minuti.
Naozumi gettò un'occhiata al palco illuminato dai riflettori, sorridendo distrattamente.
Aveva iniziato la sua carriera di attore per via di Sana. Recitare gliela faceva sentire più vicina, come una presenza confortevole al suo fianco. Quella sera, però, mentre entrava a passo deciso in scena, non fu a Sana che pensò la sua mente, né i suoi furono gli occhi che cercò fra il pubblico.
Fuka non si perdeva mai la prima di un suo spettacolo. Non importava quanto lavoro aveva, se era stanca o addirittura malata. C'era sempre e il suo sorriso luminoso era come un faro che canalizzava la sua attenzione.
Mentre recitava le prima battute, Kamura cercò il suo volto ovale nella prima fila, senza riuscire a scorgerlo. Sperò che fosse solo dovuto a un gioco di luci: gli rimbalzavano davanti agli occhi e gli rendevano difficile osservare bene gli spettatori. Era impossibile che lei non fosse venuta. Cercò di convincersene, ma quel pensiero ramingo rese la sua recitazione ben al di sotto delle sue possibilità. Fu a metà del secondo atto che la vide entrare con il respiro affannoso e un sorriso di scusa dipinto sulle labbra. La osservò sedersi e rassettarsi i vestiti, provando a convincersi che il motivo del suo ritardo fosse solo il traffico delle ore di punta.
Non appena  lo spettacolo finì, si precipitò nel camerino, sapendo che lei lo avrebbe raggiunto. Evitò con più sgarbo del solito i giornalisti e i fan curiosi che si sperticavano di lodi: sapeva di non meritarsi quei complimenti perché aveva recitato con la testa fra le nuvole e sapeva anche che alla maggior parte delle persone che erano lì importava più del suo bel faccino che della sua performance.
Fuka lo aspettava davanti alla porta. Nell'avvicinarsi e stringerla fra le braccia per darle un bacio, si accorse di quanto fosse dimagrita: la sua vita pareva quasi inconsistente.
« Ehi, tutto bene? » le chiese vedendola pensierosa.
« Sì, certo. Sei stato bravo come al solito » rispose quella mentre lui apriva il camerino e la lasciava entrare per prima.
« Mmm » mugugnò poco convinto.
Una delle cose che amava di Fuka era la schiettezza: non si era mai fatta problemi a dirgli quello che pensava, a sgridarlo persino quando lo vedeva recitare distratto o senza passione. Si era immaginato un commento tipo “Si può sapere a che stavi pensando? Lo sai che la gente paga per vederti recitare?”. Quella frase di circostanza gli dispiacque più di quanto lasciò intendere.
« Allora... ti fa voglia di andare a magiare qualcosa? » le propose con un sorriso che stonava con gli occhi spenti.
Fuka parve ponderare la questione per un attimo, prima di scuotere appena il capo.
« Preferirei andare a casa, se non ti dispiace. Non ho molto appetito ».
« Non hai mai appetito in questi giorni, Fuka ».
Il suo tono conteneva un'accusa che non riuscì a mascherare. Lei sussultò, fissandolo sorpresa.
« E con questo che vorresti dire? » chiese inarcando un sopracciglio.
Naozumi sospirò.
« Niente. Solo mi preoccupo per te ».
Matsui parve rabbonita dal suo tono.
« Mangerò uno yogurt a casa » rispose scrollando le spalle.
Sospirò, avvicinandosi fino ad essere a pochi passi da lei.
« E poi – non che sia importante – ma siamo sempre andati in quel locale che vende sushi dopo una mia prima... »
Lei si irrigidì, assottigliando le labbra.
« Be', l'hai appena detto tu che non è importante, no? Possiamo sempre andarci un'altra volta... »
Naozumi sapeva che quello che stava per fare era profondamente sbagliato. Eppure gli sembrava che il suo cervello e la sua razionalità si fossero spenti, come un blackout improvviso. C'era solo quella paura, quella inquietudine sottile che gli percorreva le vene, perché Fuka era giorno per giorno più distante e lui non sapeva come fare per trattenerla.
La sua mano scattò nella tasca dei pantaloni, estraendo la scatoletta di velluto blu che portava sempre con sé. Il volto di Matsui, già bianco, perse definitivamente ogni traccia di colore.
« Non era questo il modo in cui avrei voluto chiedertelo » esordì sentendosi in mortale imbarazzo « Mi saperebbe piaciuto portarti a cena, organizzare una serata romantica e... Ma in fondo non è questo che ha importanza. Quello che conta è che io ti amo e che vorrei passare tutta la vita con te » più andava avanti e più le parole scorrevano con sicurezza dalle sue labbra. Gli sembrava di aver il cuore proprio sulla punta della lingua. « Vuoi sposarmi, Fuka? » concluse mentre quella boccheggiava senza emettere fiato.
Matsui lo fissò con gli occhi lucidi e nell'amarezza che lesse nel suo sguardo bagnato, Naozumi trovò già la sua risposta. Gli parve che lei gli avesse strappato il cuore dal petto, schiacciandolo con la punta di quei tacchi acuminati.
« Non posso » esalò dopo un tempo che gli parve infinito. « Non posso, Nao, mi dispiace » ripeté mentre le prime lacrime iniziavano a rigarle il viso.
La vide fuggire e sbattere forte la porta alle sue spalle. Rimase solo nel camerino, la scatola di velluto blu ancora aperto fra le dita, i resti del suo cuore martoriato che pulsavano di dolore.

 

***

  

Fuka correva per le strade di Tokyo, senza una direzione precisa. Aveva iniziato a piovere e le gocce fredde le colpivano la pelle lattea con la forza di tanti piccoli proiettili.
Ne era quasi felice perché le sue lacrime si mischiavano alla pioggia e questo garantiva almeno un po' il suo decoro. Si fermò di fronte a un parco che conosceva perché vi passava davanti tutti i giorni mentre andava a lavoro. I piedi le dolevano per le scarpe scomode, il fiato le bruciava nel petto come fuoco, ma era niente rispetto all'occlusione che provava all'altezza dello sterno. Era come se qualcuno vi avesse depositato un blocco di cemento, come se una mano di ferro le comprimesse i polmoni impedendo loro di insufflare aria.
Crollò a sedere su una altalena, dondolandosi lentamente mentre la pioggia si faceva più intensa. Il parco era deserto, era rimasta solo una coppia che cercava di convincere il figlioletto recalcitrante ad andarsene, promettendogli un gelato a tre gusti.
Fuka si morse le labbra talmente forte da sentire il sapore ferroso del sangue.
Mi vuoi sposare, Fuka?
Le parole di Nao risuonavano come una nenia triste nella sua mente.
Avrebbe voluto rispondere: sì.
Ce lo aveva ancora incastrato in gola, quel singolo monosillabo. Lo sentiva lì dentro, all'altezza delle tonsille, che premeva per uscire al punto da farle venire la nausea.
Non avrebbe desiderato niente di più al mondo che rispondere a Naozumi che , lo amava, che , voleva passare tutta la vita al suo fianco, che , voleva sposarlo. Ma era giunto il momento di smettere di essere così dannatamente egoisti.
Osservò il bambino biondo che si lasciava alla fine convincere e dava la mano al padre, allontanandosi con i genitori.
Un sorriso stanco, un sorriso che sapeva di sconfitta, le arricciò le labbra.
Aveva fatto la cosa giusta.
Anche se in quel momento non sembrava, anche se gli aveva spezzato il cuore, anche se adesso lei un cuore non ce lo aveva nemmeno più e le pareva che avesse preso fuoco nello stesso momento in cui aveva visto quegli occhi celesti sbarrarsi per il dolore.
Singhiozzò forte, lieta di essere sola per non dover nascondere l'amarezza.
Naozumi Kamura non parlava molto del suo concetto di famiglia. Fuka sapeva che era stato adottato, che aveva vissuto per tutta la vita senza sapere chi erano i suoi genitori e che non era nemmeno intenzionato a cercarli. “Chiunque fossero mi hanno abbandonato e non si sono mai fatti vivi in ventitré anni. Non sono la mia famiglia. Non potranno mai esserlo e non ha senso rincorrere dei fantasmi.” Queste erano state le sue parole l'unica volta che avevano affrontato l'argomento. Le erano rimasse impresse indelebilmente nella mente, non tanto per il loro contenuto, quanto per il tono tagliente della sua voce nel pronunciarle e per il modo in cui il suo sguardo si era fatto affilato. Il suo Nao che era sempre dolce e gentile, le era parso per un secondo un estraneo dal cuore di pietra.
Non ne avevano discusso mai più, ma Fuka aveva intuito quanta sofferenza si celasse dietro quelle parole fredde. Aveva intuito che la sua nonchalance era solo una maschera e che probabilmente Naozumi avrebbe dato tutta la sua fama e la sua ricchezza per poter far scambio con quel bambino biondo che camminava con i genitori. E non era giusto.
Se non poteva fare niente per restituirgli una famiglia che non aveva mai conosciuto, poteva fare almeno in modo che in futuro se ne costruisse una. Prima o poi avrebbe trovato un'altra donna – il solo pensiero fu come una pugnalata al ventre, ma Fuka si sforzò di ignorarlo – e avrebbero avuto dei bambini. Una nidiata di figli con i suoi begli occhi blu.
Sarebbe stato felice.
Mentre i singhiozzi le squassavano il corpo troppo magro, Fuka pensò che valeva la pena di sopportare quel dolore per la sua felicità.

 

***

 

Rei Sagami era sempre più convinto che i suoi sospetti fossero fondati.
Akito ed Aya passavano troppo tempo insieme perché fossero semplici colleghi. Doveva esserci di più.
Adesso gli servivano solo le prove e avrebbe infine potuto urlare al mondo intero che gran bastardo era Hayama.

 

***

 

La porta si aprì con un rumore lieve, quasi come se anch'essa fosse partecipe del loro segreto. Entrò all'interno di quello che più volte era stato il loro nido di amore, provando la solita, abituale stretta all'altezza dello stomaco.
Era una sensazione indescrivibile, un misto di concupiscenza e colpa, desiderio e rimorso, che gli facevano piegare le ginocchia. Lei era lì e lo attendeva con un sorriso che pareva quasi una smorfia.
Sapeva di sbagliare.
Lo sapevano entrambi eppure mentre la osservava avvicinarsi, i capelli sciolti che le arrivavano al di sotto delle spalle, gli occhi che bucavano come spilli, la lingua che umettava le labbra in un gesto inconscio, non riuscì a schiodarsi dall'ingresso, non riuscì a respingerla mentre lo baciava accarezzandogli distrattamente la lingua.
Le sue labbra sapevano di ciliegia e di peccato. Sapevano di tutte le sciocchezze che non aveva avuto il coraggio di compiere nella sua vita e di tutte quelle che aveva compiuto. Strinse la sua vita sottile, mentre ricambiava il bacio con foga. La sentì sospirare soddisfatta e reclinare il capo all'indietro, in un chiaro invito ad approfondire le sue carezze.
Avvertì la razionalità spegnersi mentre la schiacciava contro il muro, mordendole il collo, affondando le mani nei capelli. Ogni volta che la toccava gli sembrava di andare a fuoco.
La loro relazione era nata così, quasi per caso. Era sorta da un bisogno fisico, un istinto carnale che rendeva i loro amplessi intensi e frettolosi.
Gli attimi che riuscivano ad intagliare per incontrarsi erano esigui. Spesso non raggiungevano nemmeno il letto, non si toglievano neppure i vestiti, timorosi di venire interrotti sul più bello da una telefonata o da una porta che si apriva sbattendo.
Non c'era tempo per carezze, baci teneri o conversazioni sotto le lenzuola. Forse, se anche vi fosse stato, non l'avrebbero utilizzato perché non era quello che volevano.
La osservò sotto la luce al neon e pensò che fosse bella. Desiderabile proprio perché irraggiungibile, perché quel loro gioco si sarebbe dovuto concludere presto – in un modo o nell'altro – e allora non sarebbe rimasto niente a legarli.
Lei introdusse la mano sotto la sua camicia sfiorandogli gli addominali e poi più basso, verso la cerniera dei pantaloni. Quando le sue dita si introdussero all'interno, smise semplicemente di pensare. Stava già per sollevarle la gonna e abbassarle le mutandine, quando la sua voce si intrufolò nella matassa confusa della sua mente.
« Aspetta! » gli alitò all'orecchio « Lui... non c'è. Possiamo andare in camera da letto ».
Pensò che non era importante, che avrebbe potuto prenderla contro il muro e non sarebbe cambiato niente. Dopo di sarebbe sentito comunque uno schifo, sia per terra che su un lenzuolo profumato di bucato.
Non protestò tuttavia e la seguì senza fare storie. Quando si furono chiusi la porta alle spalle non le concesse ulteriori dilazioni: la sua pelle era come una droga dolce e da quando l'aveva assaggiata non riusciva più a smettere. La spinse sul letto e si liberò velocemente dei vestiti che lo intralciavano. Il modo in cui lei rispondeva al suo tocco e ai suoi baci era frenetico e sapeva quale era il motivo: come lui non poteva fermarsi a riflettere perché altrimenti si sarebbe resa conto del madornale errore che stavano commettendo.
Ma andava bene così, andava bene proprio perché era sbagliato.
Perché non la amava.
Lei era solo un'amante con le labbra che sapevano di ciliegia e la pelle morbida.
Affondò fra le sue cosce, sentendola gemere. Si staccò poco dopo, crollando esausto al suo fianco, chiedendosi quanto avrebbe impiegato il senso di colpa ad attanagliargli le viscere. Domandandosi soprattutto come avrebbe fatto ad affrontare lo sguardo della donna che amava e fingere che non fosse successo niente.

 

 

***

 

 

Fare quello che aveva in mente non era mai stato così difficile.
Akito fissò la porta bianca che aveva sotto gli occhi, indugiando con il dito sul campanello.
Casa Kurata” recitavano le piccole lettere dorate e gli sembrava che quel nome glielo urlassero nelle orecchie.
Si chiese se avrebbe incontrato la signora Misako e il pensiero lo fece sorridere. Anche se non lo aveva mai detto ad alta voce, la madre di Sana non gli dispiaceva. Era una donna forte, che se ne fregava del giudizio degli altri e diceva sempre quello che pensava. Per questo si era guadagnata la sua approvazione. Il sorriso scomparve dalle labbra mentre pensava che molto probabilmente lei non lo avrebbe accolto a braccia aperte. Scrollò le spalle, sperando almeno che Occhiali da Sole fosse impegnato in qualcos'altro, e suonò il campanello.
Ad aprire venne la signora Shimura, il volto tondo segnato da un reticolo sempre più pronunciato di rughe.
« Akito-kun! » esclamò sorpresa nel ritrovarselo davanti.
« Hi » mormorò istintivamente, stringendo forte la busta tra le mani « Cercavo Sana-chan ».
Il suo nome gli bruciò le labbra. Si sforzò di mantenere la sua maschera di impassibile distacco, nonostante il cuore tamburellasse impazzito nel petto.
Shimura parve riprendersi rapidamente dalla sorpresa.
« La accompagno subito » rispose facendogli spazio per entrare e lanciandogli un'unica occhiata curiosa.
Akito percorse quei corridoi che aveva attraversato milioni di volte sentendosi inspiegabilmente nostalgico. In quel punto Misako si era schiantata contro il muro con quella sua buffa macchinina, in quell'altro Occhiali da Sole era inciampato rischiando di precipitare giù dalla scale, in quell'altro ancora... ah, in quel punto si era baciato con Sana, se lo ricordava bene anche se allora era solo un ragazzino...
Scosse la testa come per scacciare quei ricordi. Kurata era seduta al divano e osservava uno stupido programma televisivo, forse una replica di una sitcom in cui lei stessa aveva partecipato. Come al solito, parlava da sola.
« Stupidi giornalisti. Non è assolutamente vero che con quell'acconciatura assomigliavo a una cipolla. A una rapa, semmai, ma a una cipolla per niente... »
Provò il malsano impulso di ridere e si chiese come se fosse possibile.
Sana indossava una tuta grigia, larga, il suo corpo minuto sembrava affogarci dentro. Aveva i capelli raccolti in una coda sfatta e il viso struccato, con due occhiaie violacee che risaltavano nell'incarnato pallido. Era bellissima e provò all'istante l'impulso di divorare la sua faccia di baci.
« Signorina, suo marito è venuto a farle visita... » lo annunciò Shimura.
La vide sussultare alla parola marito e girarsi talmente velocemente da rischiare uno strappo muscolare.
Osservò ogni espressione del suo volto, come un assetato può osservare un'oasi nel deserto rovente. Un ciuffo le fuggiva dalla coda e le accarezzava la guancia sinistra, gli occhi nocciola erano talmente sgranati da parere enormi nel suo viso a cuore. Le labbra erano spalancate in una piccola “O” di sorpresa, quasi non riuscisse a credere a quelle parole.
Quando il suo sguardo abbracciò la sua figura ad Akito parve di sentirlo su di sé, come se una mano affettuosa gli lasciasse una carezza. Kurata chinò lo sguardo e ringraziò freddamente Shimura, chiedendole di lasciarli soli. Era un'attrice, era brava a nascondere le sue emozioni, ma lui l'aveva osservata troppo attentamente per non notare il baluginio di speranza che le aveva attraversato le iridi.
Inspirò, chiedendosi perché avesse dovuto commettere così tanti sbagli nella sua vita. Perché non poteva semplicemente prenderla fra le braccia e dirle che era tutto finito.
« A-Akito... » balbettò appena, mentre si alzava per andargli incontro « Che cosa ci fai qui? »
Quando rispose la sua voce non tremò neanche per un istante.
« Sono venuto a portarti i fogli dell'avvocato ».
Depositò la busta che stringeva fra le dita sul tavolo del soggiorno. Per un attimo i suoi occhi rimasero incatenati ad esso: non sapeva se sarebbe riuscito a reggere lo sguardo accusatore di Sana.
« L'avvocato...?» ripeté confusa.
Provò di nuovo quella strana sensazione, quella voglia di ridere e piangere al contempo. Era sempre stata un po' tarda a capire certe cose. Soffocò quella tenerezza dentro di sé, rispondendo con voce atona:
« Credevo di essere stato chiaro, Kurata. Se avessi tenuto il bambino, il nostro matrimonio si sarebbe concluso ».
Fino all'ultimo aveva creduto che non sarebbe riuscito a pronunciare quelle parole a voce alta. Erano la peggiore delle bestemmie: Sana sarebbe stata sua moglie, sempre. A prescindere da qualche scartoffia legale o da un voto pronunciato in una stupida chiesa.
« Oh ».
Fu un monosillabo talmente lieve da essere a malapena udibile. Non riuscì a resistere all'impulso e alzò gli occhi a fissarla.
Il volto di Sana non rifletteva sorpresa né tristezza. Era pallido e privo di espressione, come se una mano capricciosa ne tirasse i lineamenti.
Sembrava una bambola.
Quel pensiero e il brivido inconscio che lo seguì furono un tutt'uno. Stava già per precipitarsi al suo fianco e ritirare tutto quello che aveva detto quando un sorriso melanconico le increspò le labbra.
« Capisco » mormorò con una voce che non sembrava nemmeno la sua.
Riprese a respirare, accorgendosi solo in quel momento di aver trattenuto il fiato. Per quanto distrutto, adesso sul suo viso trasparivano chiaramente le emozioni. Non doveva preoccuparsi per il ritorno della sua strana malattia depressiva.
« È solo... Io credevo... »
Le mani affondavano nei braccioli del divano e le nocche erano sbiancate per la tensione.
« Pensavo che dopo saresti tornato a casa » esalò infine.
« Ti sbagliavi ».
Freddo ed asettico come solo lui sapeva essere. Si odiava per quello che le stava facendo eppure sapeva che non poteva fermarsi. Il tempo era quasi agli sgoccioli.
«Sei ancora in tempo, Kurata. Potresti ancora abortire... »
Lei chinò il capo e il sorriso più triste del mondo le si dipinse sulle labbra.
Odiami pure, Sana.
Odiami per questo sporco, vile ricatto.
O
diami perché ti costringo a fare qualcosa che non vuoi.
Non mi importa quanto mi disprezzerai purché tolga quella cosa dal tuo ventre.
Non sai fino a che punto sono disposto a scendere in basso perché tu lo faccia. Sono pronto a mentirti, a fingere un divorzio che non vorrei per niente al mondo. Sono pronto a recitare il ruolo dello stronzo; è una parte che mi è sempre riuscita bene.
In fondo sarei ancora un diavoletto, se non fosse per te.
« Vattene ».
Hayama sussultò come se lei lo avesse colpito. La sua voce era rotta dalle lacrime e vederla piangere era sempre stata una sofferenza ben maggiore rispetto a quella di un semplice schiaffo.
Fuggì dalla stanza perché non sarebbe riuscito a resistere un altro secondo senza stringerla fra le braccia ed implorare il suo perdono.
Mentre la porta si chiudeva alle sue spalle, Sana scivolava lentamente al suolo.

 

 

 

Ciao a tutti!
Ok, non sono stata propriamente un fulmine nell'aggiornare ma purtroppo non ho saputo fare di meglio. Mi scuso per l'attesa, sappiate che senza i vostri commenti molto probabilmente la storia sarebbe stata cancellata o sospesa perché a volte ho dei vuoti creativi spaventosi.
Passando al capitolo, ho varie cose da farvi notare.

  1. La reazione di Fuka e Naozumi. Lui si accorge che lei è sempre più distante e per tentare di trattenerla fra la cosa più sbagliata, quella che la mette ancora di più sotto pressione: la proposta di matrimonio. Per parte sua Fuka si sente un'egoista ( ecco spiegata l'idea che era germogliata nel capitolo precedente) perché sa quanto Naozumi tenga all'idea di formare una famiglia ed è consapevole che stando con lei non potrà mai realizzare il suo desiderio. Preferisce lasciarlo, sperando che così possa realizzare il suo sogno con un'altra. Penso sia superfluo dire quanto ciò sia assurdo, ma credo che sia comprensibile alla luce dei suoi complessi di inferiorità dovuti al fatto di essere sterile.

  2. La parte in corsivo del capitolo. Allora, il fatto che non rivelo il nome dei due amanti, è ovviamente una cosa voluta. Sappiate che non è un tranello o qualcosa del genere: fra le quattro coppie ci sono due traditori. Rei crede che siano Aya ed Akito, ma ovviamente non è detto che sia così. Se avete tempo sarei davvero lieta di leggere le vostre teorie e vedere se qualcuno ci azzecca! ;D

  3. Infine il tempo passa (siamo a circa due mesi e mezzo di gravidanza) e Akito non sa più cosa inventarsi per tentare di convincere Sana. Spera che mettendole fra le mani le carte del divorzio lei si convinca.

 Ok, finito con queste note noiose aggiungo una piccola precisazione che mi ero sempre dimenticata di fare. La coppia Naozumi/Fuka – che poi è l'unica Fanon – non nasce così dal nulla, ma dal prequel di questa storia ( la ff si chiama Endless e la trovate qui se siete interessati). Per la precisione i capitoli sono l'11 e il 15.

A questo punto non mi resta che ringraziare le otto meravigliose persone che hanno commentato lo scorso capitolo: sabry92, ryanforever, Dramee, jeess, Paola19 (ecco il pov Aki! Spero ti sia piaciuto :3 ), angel92, tokykia, _Silvia123_. Ringrazio anche vale89 che mi ha comunque fatto sapere di apprezzare la ff, ringrazio anche chi l'ha aggiunta alle seguite/ricordate/(preferite. Come ho detto il vostro parere è stato davvero importante!

Un saluto e un bacio
Ely 

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Capitolo 8
*** Ricordi ***


 



Ricordi

 


 

 

 

Ubi tu Gaius, ibi ego Gaia. (1)

 

 

 

 

Sfogliava le pagine, cullata dal loro fruscio.
Akito con lo smoking e quell'espressione truce, terribilmente stonata su un uomo che stava per sposarsi ma che Sana sapeva essere perché lui detestava vestirsi come un pinguino. Il concetto di “matrimonio” di Hayama era più un: prendiamo, andiamo in chiesa senza dire niente a nessuno, un quarto d'ora e siamo marito e moglie. Niente trine e tulle, niente invitati noiosi e torte indigeste.
Non che lei trovasse niente di male in quell'idea. Finché era con Akito le sarebbe andato bene anche sposarsi sotto un ponte. Però...
Sfogliò la pagina successiva del raccoglitore. Ritraeva se stessa, con un vestito da sposa dal taglio occidentale. Il corpetto bianco le stringeva la vita sottile, in un intreccio di ricami che assumevano la forma di piccoli fiori (2). All'altezza dei fianchi la stoffa leggera si allargava, cadendo dritta fino alle caviglie. Sana sfiorò con un dito il suo stesso viso, i capelli che cadevano in ciocche inanellate intorno al collo, il sorriso luminoso che le increspava le labbra, gli occhi... oh, non ricordava di avere uno sguardo così ardente.
Non poteva essere diversamente.
Dopo tutto quello che abbiamo passato... Dopo tutto che abbiamo sofferto, le incomprensioni, la lontananza. Quello era il giorno in cui si saremmo giurati quella promessa di amore eterno che alberava nei nostri cuori da quando eravamo bambini. Come potevo non essere così?
Girò la pagina seguente, osservando divertita i suoi amici riuniti intorno alla torta nuziale. Fuka e Nao che avevano fatto da suoi testimoni, Gomi e Mami con un sorriso un po' finto – Sana ricordò che avevano appena litigato perché lui non aveva voluto togliersi il piercing nemmeno in chiesa – Aya con il pancione già visibile e Tsu che stringeva sottobraccio un recalcitrante Akito. C'era persino la sua sorellina – Mariko – che aveva accettato di farle da damigella d'onore. E Rei ovviamente, che aveva sfrecciato per tutto il giorno avanti indietro in una crisi di panico, senza staccare l'orecchio dal cellulare nemmeno per un istante. Con un sorrisino Sana pensò che in effetti doveva essere stata dura per lui trattenere i giornalisti dal prendere di assalto la chiesa: lei, Nao e Asako – tre celebrità – riunite in uno stesso posto e oltretutto per il suo matrimonio. C'era di che fare uno scoop con i fiocchi.
L'ultima foto dell'album la fece scoppiare in una delle sue risate da bambina. C'era lei, il bouquet di rose bianche fra le dita, che esibiva felice la mano dove spiccavano due anelli, un solitario splendente e un anellino rosa di plastica, e Hayama che la trafiggeva alle sue spalle con un'occhiata omicida (3).
Era stato perfetto. Era stato tutto perfetto.
Forse lo sarebbe stato anche se avesse assecondato l'idea di Akito di sposarsi di nascosto e di fretta e furia però...
Oh insomma! Quale donna non sogna di indossare un abito come questo almeno una volta nella vita?
Lei lo aveva fatto spesso quando Hayama era lontano mille miglia, incastrato a L.A. per la storia della riabilitazione. E Akito aveva intuito come sempre, senza bisogno di parole, che lei avrebbe voluto una cerimonia come si deve, che avrebbe voluto avere i suoi amici e la sua famiglia intorno. E per lei si era messo quello smoking che gli stava benissimo, aveva sopportato senza battere ciglio la voce rauca del ministro del culto che recitava la formula di rito e quando le aveva messo l'anello al dito per un secondo Sana aveva creduto che...

 La piccola chiesa ottagonale era gremita di persone.
L'odore di fiori e di incenso saturava l'aria e si sentiva soffocare da quel corpetto troppo stretto.
Chi ha fatto partire i tamburi?” Si era chiesta scioccamente prima di rendersi conto che era solo il battito frenetico del suo cuore.
« Stai tranquilla, Sana-chan » le mormorò la voce seria di Rei.
Erano all'inizio della chiesa e lei aveva voluto che fosse Sagami ad accompagnarla all'altare. Rei aveva ricoperto così tanti ruoli nella sua vita che a volte aveva difficoltà a definire il loro rapporto. Era stato un fratello maggiore, un padre, la prima cotta, un manager agguerrito, il suo migliore amico. Ognuno di quelle parti descriveva solo una frazione di quello che sentiva per lui. Ma non aveva importanza in quel momento trovare la definizione calzante, purché fosse al suo fianco.
Affondò le unghie nel suo braccio, accorgendosi di aver iniziato a tremare. E se Akito non si fosse presentato? Se l'avesse piantata in asso all'altare, ripensandoci all'ultimo? E se...
« Andrà tutto bene ».
Il sorriso di Rei, i suoi occhi profondi tra il marrone e verde – per una volta non oscurati dagli occhiali da sole - erano stati l'ancora alla quale aggrapparsi. Aveva sempre amato quello sguardo, per lei aveva il sapore dell'infanzia e di lotte di cuscini sul letto prima di addormentarsi accoccolata al suo fianco.
« Se Hayama prova anche solo a sgarrare, me ne occuperò personalmente ».
Un lampo omicida aveva attraversato le iridi di Sagami e Sana si era chiesta perplessa come faceva a credere che una minaccia di morte nei confronti del suo promesso, l'avrebbe potuta far sentire meglio. Poi il suo cervellino bacato le aveva inviato l'immagine di Rei e Akito che duellavano a colpi di karate in mezzo alla chiesa, sotto gli occhi allibiti del parroco, ed era scoppiata a ridere.
Quando Rei l'aveva spronata a compiere quei fatidici passi, il suo cuore era appena un po' di più sotto controllo. Appena appena.
Era bastato un solo passo all'interno delle mura, mentre la musica della marcia nuziale iniziava a risuonare fra le arcate, perché Sana provasse la brutta sensazione di avere gli occhi di tutti puntati addosso. In teoria doveva esserci abituata, era sotto i riflettori da quando aveva cinque anni, in pratica...
In pratica credo di essere sul punto di vomitare. 
I
 suoi occhi erano vagati febbrilmente sul volto dei presenti: sua madre con un'acconciatura che stava in piedi sfidando ogni legge delle fisica, i suoi amici, Natsumi e il padre di Akito, persino Zenjiro e alcuni dei ragazzi con cui da piccola aveva girato “Il giocattolo dei bambini”. Dopo poco i loro tratti avevano iniziato a farsi sfuocati ed indistinti, confondendosi gli ultimi agli altri.
Oddio, sto per svenire. Che razza di figura, rovinare per terra con questo vestito pomposo... Fuka mi mangerà viva.
E poi due occhi, in mezzo alla calca di sconosciuti e amici d'infanzia.
Due iridi ambrate, dolci come il miele. Non importava se per le persone che non lo conoscevano Hayama poteva sembrare innaturalmente freddo e composto, senza un briciolo di emozione. Lei aveva imparato da piccola a vedere oltre la sua maschera e le pareva che quello sguardo bruciasse tanto era intenso.
Si concentrò solo di lui, su Hayama che la aspettava vicino all'altare e non le staccava gli occhi di dosso, e si accorse che respirare era diventato più facile. Le sembrava che dividerli ci fosse una distanza incolmabile e si stupì nel ritrovarselo accanto appena pochi secondi dopo.
I suoi capelli color cenere, appena un po' troppo lunghi ai lati. I tratti decisi del volto, le labbra piegate in una smorfia severa.
Ma tanto non mi freghi, A-chan. Lo vedo dagli occhi che sei emozionato quanto me.
« Stai... bene » mormorò lui sottovoce, come facendo fatica a spiccicare parola.
Sana sorrise, pensando che se non fosse che erano in chiesa un nocchino non glielo avrebbe tolto nessuno. Avrebbe finto di essere indignata perché dopo ore e ore di preparativi non poteva liquidarla con un semplice “Stai bene”. Ma dentro di sé aveva sentito un piacevole formicolio, perché era consapevole che quella frase, detta da Hayama, aveva mille volte più valore delle smancerie con cui avrebbe potuto ricoprirla un altro.
« Anche tu » rispose semplicemente, mentre il prete iniziava la messa.
Lasciò che le sue parole le scorressero addosso, mentre i loro occhi rimanevano incatenati.
Quando Akito le prese la mano fra le sue per inserirvi quel piccolo cerchio d'oro, le parve che tutto il resto si dissolvesse e rimanessero solo loro due e la loro piccola bolla di felicità.
Mio, per sempre.
Tua, per sempre.
Non aspettò nemmeno che il parroco le desse il permesso, prima di saltargli al collo e baciarlo con trasporto.

 Sana si accorse che stava piangendo solo perché le lacrime avevano iniziato a cadere sull'album e si depositavano sul suo viso felice come gocce di pioggia salata.
I suoi occhi si appuntarono sui fogli dell'avvocato, in bella mostra sul tavolo.
Come era possibile che tutto quello stesse per finire?

 

 

***

 

 

Rei Sagami si svegliò di soprassalto, avvertendo qualcosa che gli solleticava la guancia.
Si dovette stropicciare gli occhi più volte prima di rendersi conto di dove era e che cosa era stato a destarlo. Si trovava nella sua fedele audi, alle prese con l'ennesimo pedinamento. Una forte calura rendeva soffocante l'aria del piccolo abitacolo e lui aveva tirato giù i finestrini, appoggiando la testa alla spalliera in attesa che Hayama uscisse da lavoro.
Nell'osservare il sole morente all'orizzonte, Rei si rese conto che era passato molto più tempo di quello che aveva creduto. Si era addormentato senza nemmeno accorgersene, perso nelle sue mille congetture sul perché Akito avrebbe dovuto rivolgere le sue attenzioni altrove quando aveva al suo fianco una persona stupenda come Sana-chan.
La sua mano salì a sfiorare il viso e fu in quel momento che si accorse di cosa era stato a svegliarlo.
Fra le dita Sagami stringeva un fiore di ciliegio.
Un sorriso spontaneo gli salì alle labbra. Si adagiò meglio sul sedile, osservando gli alberi bianchi in fiore e respirando a pieni polmoni il profumo che spargevano nell'aria.
Asako Kurumi.
I petali di ciliegio gli avevano sempre ricordato lei. Forse perché la prima volta che l'aveva baciata si trovavano nel cortile del liceo e gli alberi erano in piena fioritura.
Rei gettò un'occhiata distratta all'orologio, accorgendosi che aveva ancora almeno una mezz'ora di attesa. Reclinò il capo all'indietro e si lasciò travolgere da ricordi che non riportava a galla da tempo.

 La vita al liceo Fuji era da sempre stata difficile.
Almeno per lui, che non era praticamente bravo con i numeri e non eccelleva nemmeno negli sport e le competizioni che il liceo proponeva ai suoi alunni. Se a questo si aggiungeva il fatto che aveva il bruttissimo vizio di divenire rosso come un pomodoro se solo una ragazza osava rivolgergli la parola; che ovviamente era innamorato della più bella della sua classe e lei nemmeno sapeva della sua esistenza, be'... non si sarebbe stati tanto lontani dall'ammettere che la vita di Rei Sagami al liceo era uno schifo.
Il giorno in cui le cose iniziarono a cambiare iniziò proprio come ogni altro.
Il professor Ishikawa si presentò in classe accarezzandosi i baffi neri che curava con attenzione maniacale e la classe represse a malapena un brivido perché quello universalmente non era buon segno. Il professor Ishikawa era uno di quegli insegnanti che godevano del misto di paura e ansia che incutevano sugli alunni e notoriamente quando era soddisfatto si lisciava quei baffi a spazzola con le dita tozze.
Rei sospirò pesantemente, contorcendosi per evitare le pallottoline imbevute di saliva che Mio e Takeda, che solo perché erano campioni di atletica dell'istituto credevano di poterlo tormentare a loro piacimento, gli tiravano dalle ultime file, cercando al contempo non farsi notare dal professore.
« Vi comunico che da qui a due settimane ci sarà l'ultimo compito di matematica del semestre » disse quello senza riuscire a trattenere un sorrisetto sadico. « Penso sia superfluo farvi notare che inciderà notevolmente sulla valutazione finale e quindi anche sulla vostra promozione o bocciatura. Personalmente detesto l'idea di avere a che fare con le vostre brutte facce per un altro anno, per cui vedete di darvi da fare. Oh, dimenticavo: il compito sarà sugli integrali».
Di fronte a quell'ultima parola, Rei non era riuscito a trattenere il gemito di sconforto che gli si era formato in mezzo alla gola. Era un frana con gli integrali, lui.
Aveva passato il resto dell'ora prendendo svogliatamente appunti, convinto che non gli sarebbero serviti perché non sarebbe riuscito a superare quel test nemmeno se avesse studiato giorno e notte. Era talmente depresso che appena era suonata l'ora, si era steso sul banco con una faccia da far invidia a un morto.
« Sagami? »
« Mmm? » bofonchiò incerto prima di riconoscere la voce che aveva parlato. La sua voce.
Si tirò su di scatto e rimase abbastanza stupidamente a bocca aperta.
Asako Kurumi stava parlando con lui.
Dal primo giorno di scuola era rimasto come folgorato dalla sua pelle di pesca e i boccoli castano dorato, ma non aveva mai osato rivolgerle niente di più di un saluto formale, come si usa fra compagni di classe. Di cosa avrebbe potuto parlarle in fondo? Lei era perfetta: brava a scuola, rappresentate di classe, un'atleta niente male e con un codazzo infinito di ammiratori.
Inavvicinabile.
Rei aveva fantasticato spesso su di una loro possibile relazione, ma Asako fino a quel momento non era rimasta niente di più che un sogno proibito. E adesso era lì.
E. stava. parlando. con. lui.
« Ku-kurum-mi chan » balbettò sentendo distintamente che le guance gli andavano a fuoco.
« Sei preoccupato per il compito, Sagami? » gli chiese lei con un sorriso gentile.
Un ricciolo le era fuggito dalla pettinatura e le cadeva mollemente sul petto. Rei pensò che sarebbe potuto morire in quel momento e sarebbe stato comunque felice.
« U-un po' ».
Il fatto che non riuscisse a spiccicare parola senza balbettare era piuttosto penoso. Ma avrebbe avuto tempo dopo per analizzare la conversazione e maledire la sua timidezza imbarazzante in seguito: in quel momento era troppo impegnato ad osservare come la luce del sole giocava con le sfumature dei capelli di Asako.
« Lo immaginavo » rispose lei facendo finta di non notare il suo imbarazzo. « Potrei darti ripetizioni, se vuoi ».
Rei ebbe un breve flash di lui e Kurumi, soli in una stanza, con i gomiti che si sfioravano. Si reputò fortunato di non avere avuto un'embolia cerebrale all'istante.
« No! » esclamò, salvo poi rendersi conto che la sua risposta suonava oltremodo scortese. « Cioè... v-voglio dire... Non vorrei c-che p-per te fosse tr-troppo disturbo, K-Kurumi-chan » esalò a fatica.
Lei lo fissò in un modo strano e Rei provò la spiacevole sensazione che stesse facendo fatica a trattenere una risata.
« Nessun disturbo. Ho già studiato l'argomento e ripeterlo con te sarà un utile ripasso. Allora domani ci troviamo dopo la sesta ora in questa aula, ok? »
Lui si limitò ad annuire, troppo imbambolato per aggiungere altro. Mentre lei si girava per tornare al suo posto, non riuscì però a trattenersi:
« Kurumi! »
« Sì? »
« P-perché hai de-deciso di aiutarmi? »
Lei scrollò le spalle, rispondendogli come se fosse un'ovvietà.
« Fare da tutor ad altri studenti mi farà avere crediti extra ».
« Oh ».
Un'unica sillaba intrisa di sconforto. Era ovvio che fosse per quello, no? Che cosa si aspettava?
« E... » Sagami sollevò istintivamente la testa nell'accorgersi che Asako aveva qualcos'altro da aggiungere «... mi dispiacerebbe iniziare il prossimo anno senza di te , Rei-kun ».
Per un solo, magico istante, Asako Kurumi gli aveva sorriso, di quel suo sorriso pieno e brillante, prima di sparire in un fruscio di stoffe. E lui aveva pensato di comprare un cesto di frutta a Ishikawa Sensei, perché non era mai stato tanto felice in vita sua di dover affrontare un test...

 Si riscosse da quei sogni ad occhi aperti, il fiore di ciliegio sempre fra i polpastrelli. C'era voluto un sacco di tempo perché imparasse a parlare davanti a Kurumi senza balbettare, ma lei non si era mai mostrata scocciata per la sua timidezza, anzi, Rei era piuttosto sicuro che un paio di volte avesse detto di trovarla dolce. E quando quasi un mese dopo il professor Ishikawa aveva riportato i loro compiti e Rei aveva esibito orgoglioso la sua C- , gli era parso quasi naturale invitarla a fare una passeggiata all'ombra dei ciliegi in fiori e poi baciarla lì, nel cortile della scuola, mentre il vento gli solleticava il viso e faceva turbinare la lunga gonna di Asako.
Kami, ricordava ancora così bene la consistenza morbida delle sue labbra e la leggerissima esitazione che aveva avuto prima di rispondergli...
Lo sguardo di Rei vagò alternativamente fra il petalo che stringeva fra le mani e la porta dell'ospedale. Mancava solo una manciata di minuti prima che Hayama uscisse da lì. L'incertezza baluginò nelle iridi di Sagami per alcuni istanti.
Poi, con un gesto deciso, girò la chiave del cruscotto e ingranò la marcia: per un giorno le indagini avrebbero potuto aspettare, adesso aveva una voglia matta di vedere Kurumi.

 

 

***

 

 

Din don.
« Arrivo! » gridò Aya dalla camera da letto, mettendo Misa nella culla.
Si pulì le mani piene di borotalco sul grembiule e provò senza successo a rassettarsi i vestiti, prima di aprire la porta.
La prima cosa che vide fu un cesto di rose rosse.
La seconda, la buffa testolina di Sana-chan che faceva capolino fra esse.
« Aya-chan! » esclamò prima di circondarle il collo con le braccia.
« Sana? » chiese piuttosto sorpresa. « Cosa ci fai qui? E perché quelle rose? »
« Per la verità le rose sono da parte mia » la corresse Tsu, affacciandosi dalla porta e mettendosi una mano fra i capelli con quel suo modo di fare timido, come se si aspettasse di essere sgridato da un momento all'altro.
« Esatto! » aggiunse Kurata schiaffandole in mano il mazzo. « Dove sono le piccole pesti? »
Iniziò a guardarsi intorno, come aspettandosi che i gemelli sbucassero da sotto lo zerbino o dalla felce nell'angolo.
« In camera ma... Non capisco » ammise Aya, alternando le occhiate fra sua marito e la sua migliore amica.
« Oh, è stata una mia idea » disse Tsuyoshi con le gote leggermente rosate. « Ho pensato che era un sacco di tempo che non uscivamo un po', solo noi due intendo, e così ho chiesto a Sana-chan se per una sera poteva occuparsi lei di Misa e Shinichi... So che non ti piace lasciarli con estranei ».
« Io... Sana-chan sei sicura che non sia un disturbo? » domandò a corto di fiato.
La risata sguaiata di quella risuonò per l'ingresso.
« Ma che dici? Fra poco sarò anch'io una mamma, è bene che inizi a prendere confidenza. Sarà un specie di test » borbottò pensierosa, iniziando a rimboccarsi le maniche.
Aya avvertì uno spiacevole pizzicore agli occhi.
« Io... non so davvero che dire... Le rose sono bellissime e tu, Sana-chan... » si interruppe, prima di mettersi a singhiozzare come una bambina.
Tsuyoshi pareva sempre imbarazzato ma un sorriso compiaciuto gli arricciava le labbra.
« Non devi dire niente, infatti! » la salvò dall'imbarazzo Sana. « Su, andiamo a cambiarci! Non vorrai mica uscire con quel grembiule, vero? »
« N-no » balbettò ancora mezza stordita mentre quella la spingeva in camera da letto e iniziava a frugare nel suo armadio. Dopo un po' Aya decise di intervenire e di fermarla prima che le mettesse a soqquadro tutta la casa.
« Mmm » mugugnò quella dispiaciuta « Non sono un granché in queste cose. Se ci fosse Fuka, lei sì che... » si interruppe di botto, probabilmente rendendosi conto della gaffe.
Una piccola stilla di tristezza trafisse di Sugita il fianco, rompendo la sua bolla di felicità.
« L'hai più sentita? » chiese seria.
Sana scosse il capo.
« No. Ho provato a chiamarla ma c'è sempre la segreteria telefonica. Ho sentito Nao, però ».
Mentre Kurata parlava, Aya si avvicinò all'armadio tirando fuori un vestito semplice, nero, e un paio di tacchi non troppo alti.
« Per adesso ha preso un suite in un albergo vicino agli studi e credo che sia abbastanza depresso. Deve essere stata una brutta batosta per lui. Perché credi che lo abbia fatto? »
La fissava con quei suoi occhi di cioccolata, l'espressione di chi non riesce a capacitarsi di quello che è successo.
Aya sospirò, mettendo un paio di orecchini e un filo di fard che le ravvivasse il colorito.
« Intendi perché Fuka gli ha detto di no? Magari non si sentiva ancora pronta... »
Sana sbuffò, poco convinta.
« È innamorata cotta di lui! Ed è di Matsui che stiamo parlando, aveva programmato il suo matrimonio ad undici anni! Non può essere stato solo un attacco di panico! »
« Forse ha solo bisogno di un po' di tempo per riflettere » disse gettando un'ultima occhiata allo specchio. Il poco trucco applicato aveva fatto miracoli sul suo incarnato pallido.
« Forse. Comunque sono una scema ad intristirti con queste cose proprio stasera! Vai, divertiti e non preoccuparti per i gemelli, sono in buone mani! »
Sana era scattata in piedi e sembrava di nuovo un vulcano di energie. Aya si chiese se si sarebbe mai abituata ai suoi repentini cambi di umore.
« E mi raccomando » la ammonì puntandole un dito sotto al viso. « Non fate un altro bambino! Almeno per il momento due sono sufficienti, no?»
Sospirò divertita. No, probabilmente non si sarebbe mai abituata.
Tornarono in sala insieme e dopo un quarto d'ora almeno di consigli e raccomandazioni, lei e Tsuyoshi uscirono, lasciando Kurata da sola.
Speriamo solo che non mi faccia saltare la casa” pensò con un pizzico di malizia, mentre si stringeva al fianco del marito per proteggersi dal vento fresco.
« Allora dove andiamo? » gli chiese sorridente.
«Vedrai. È una sorpresa ».
Le sorprese, per la verità, furono più di una.
Tsuyoshi aveva prenotato nel ristorante dove si era dichiarato quasi due anni fa e si era fatto persino riservare lo stesso tavolo. Aya mangiò con gusto le pietanze a base di pesce, parlando con il marito del più e del meno come non aveva modo di fare da mesi.
Dopo aver pagato il conto, Tsu la trascinò per le strade di Tokyo, fermandosi di fronte a un locale dall'insegna sgargiante. Nel leggere che si trattava di un locale da ballo, Aya sgranò gli occhi.
« Entriamo? » le chiese lui con un sorriso un po' impacciato.
« Ma...» iniziò dubbiosa.
Lui le mise un dito sulle labbra, tacitando le sue proteste.
« Shh. Per una sera, non sarà un grande sforzo ».
Il fatto era che Aya adorava ballare. Le piaceva tanto quanto lo detestava Tsu, che si sentiva sempre goffo ed impacciato e aveva paura di fare la figura dell'idiota davanti a tutti.
Eppure fu lui a spingerla dentro e a guidarla in pista, facendole fare qualche piroetta appena accennata e chiedendole scusa ogni volta che le pestava inavvertitamente un piede.
A lei non importava, ovviamente. Erano giorni, forse addirittura mesi, che non si sentiva così leggera e spensierata, così ragazzina e certo non sarebbe stato qualche passo sbagliato a farle perdere il buon umore.
Osservò il viso di Tsu sotto le luci intermittenti, senza riuscire a trattenere un sorriso. Mentre il dee jay metteva un lento e lei si stringeva al suo petto, si lasciò andare ai ricordi.
Stavano insieme da così tanti anni che a volte le riusciva difficile ripensare a come era la sua vita senza di lui. Innamorarsi di Tsuyoshi era stato così semplice che nemmeno se ne era resa conto. Non avrebbe saputo dire quando esattamente era scoccata la scintilla, forse quel giorno in cui lo aveva osservato in cortile litigare con dei bambini che tiravano i sassi a un cane e lui l'aveva stupita, abbandonando l'aria tranquilla e pacata che indossava sempre ed infervorandosi come pochi.
O forse era stato quando era inciampata sulla ghiaia, sbucciandosi un ginocchio. Appena aveva visto il sangue non era riuscita a trattenersi, non era come Sana che era sempre coraggiosa e spericolata, e aveva iniziato a piangere a tirare su con il naso. Tsu era apparso come dal nulla e le aveva messo un cerotto sul taglio, pregandola di smettere.
O forse era stato il giorno in cui aveva parlato per la prima volta di ragazzi con sua madre, mentre erano in cucina e preparavano biscotti. E senza un motivo apparente le era venuto in mente Tsuyoshi, quei suoi occhiali tondi e il modo buffo in cui si portava la mano alla testa quando era in imbarazzo.
Non sapeva quando di preciso aveva iniziato a pensare a lui come a qualcosa di più che a un amico ma si ricordava benissimo il giorno in cui il suo sentimento le si era palesato con la forza di uno schiaffo. Era stato in sesta elementare, quando lo aveva sentito sospirare mentre fissava la nuca di Sana-chan. Lì per lì aveva temuto che stesse male e si era affrettata a chiedergli cosa c'era che non andava. Quando lui le aveva risposto con un sognante “Non è bellissima?”, Aya aveva avvertito un insolito bruciore allo stomaco e per la prima volta in vita sua era stata invidiosa di Kurata.
Quella sensazione così scomoda e avvilente, l'aveva fatta vergognare per giorni, al punto che aveva avuto difficoltà a parlare con l'amica come sempre. Poi alla fine si era convinta che il suo comportamento fosse da sciocchi: Sana sembrava non rendersi nemmeno conto dell'esistenza di Tsu e se le cose stavano così, lei avrebbe almeno potuto tentare di fargli cambiare idea.
Mentre sfiorava le labbra di Tsuyoshi con un bacio, Aya pensò che non era mai stata tanto contenta di aver rischiato in vita sua.

 

 

 

 

Note:

  1. La citazione è una frase latina che veniva pronunciata in occasione dei matrimoni dalla sposa allo sposo. Tradotta vuol dire “Dove tu sia, lì io sarò”
     

  2. In Giappone il matrimonio può essere celebrato secondo un rito simile al nostro (all'occidentale) o secondo la loro tradizione religiosa, con kimono e tutto.   Il riferimento all'anello di plastica è invece collegato al prequel di questa ff: L'anello della discordia  . Già che ci sono vi metto il link della prima ff della serie: Endless 



 

Ciao a tutti!
Scusate per il ritardo (ormai ci siete abituati purtroppo)! Capitolo che si basa più che altro su flashback ma che non poteva mancare. Mi sono divertita ad analizzare il rapporto di Rei e Asako e spero che vi sia piaciuta questa versione di un Rei imbranato! XD
Un breve momento di intimità anche per Tsu e Aya, poveri!
Quanto alla coppia traditrice... ho letto con sommo divertimento tutte le vostre teorie! :3 Ovviamente vedremo poi chi ci ha azzeccato o si è avvicinato alla soluzione!
Passando ai ringraziamenti, grazie di cuore alle nove splendide persone che hanno recensito: ryanforever, jeess,sabry92, 111ros, _Silvia123_,_niketta91_, She is Strange, Dramee e Pan17. I vostri commenti mi hanno fatto veramente piacere!
Un grosso saluto e un bacio
Ely 

 

 

 

 

 

 

 

 

  In Giappone il matrimonio può essere celebrato secondo un rito simile al nostro (all'occidentale) o secondo la loro tradizione religiosa, con kimono e tutto. Questo è il vestito che Sana indossava al matrimoni

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Visite a sorpresa ***


 




Visite a sorpresa

 

 

 

 

 

 

Si osservò di profilo davanti allo specchio, cercando di scorgere un accenno di pancia. La lieve prominenza del ventre si vedeva appena e solo se fasciava il vestito con le mani.
Per quanto tempo ancora Rei riuscirà a tenere segreta questa notizia ai giornalisti? Che cosa succederà quando l'intero Giappone scoprirà che sono incinta e mio marito mi ha abbandonato?
Scosse la testa e i lunghi capelli mogano le frustarono le guance. Non voleva pensarci. Quel giorno le preoccupazioni erano bandite.
Fissò un'ultima volta il suo riflesso. Il vestito bianco con le rifiniture celesti le dava un'aria fresca, come se fosse una bambina troppo cresciuta e non una donna che stava per diventare madre. Con uno sguardo birichino si sollevò le ciocche, racchiudendole in due codini ai lati della testa.
Un sorriso spontaneo le arricciò gli angoli della bocca mentre ripensava ai suoi giorni alle elementari. Le corse pazze fra scuola e set, Akito, il suo amore infantile per Rei, Akito, i litigi con le amiche, Akito, le riprese per la Villa dell'Acqua, Akito.
Il sorriso le scivolò lentamente dalla faccia. Lasciò andare i codini e i capelli le piovvero come una coltre sulle spalle. Con quella punta di tristezza negli occhi, il suo sguardo sembrava più maturo e tutta l'allegria dei suoi dodici anni pareva come evaporata.
« Sana-chan? »
La voce di Rei la fece sussultare. La fissava dallo stipite della porta e per quanto cercasse di apparire calmo e rilassato, il fatto che si aggiustasse gli occhialini ogni cinque secondi tradiva il suo stato di tensione.
« Sei pronta? Ormai è dieci minuti che ti aspetta di sotto... »
Corrucciò la fronte.
« Come puoi mettermi fretta, Rei-kun, lo sai che sono incinta, no? » lo rimproverò con aria melodrammatica.
Sagami spalancò la bocca come un pesce preso all'amo, una smorfia di profonda costernazione impressa sul viso. Lo affiancò, dandogli una pacca poco gentile su una spalla.
« Andiamo, stavo scherzando! Sono un'attrice così brava che non ti accorgi più nemmeno quando faccio sul serio e quando no? » lo derise sghignazzando.
Rei rilasciò il respiro per il sollievo.
« Eh sì, ormai è quasi impossibile capire quando reciti o mi prendi in giro! » scherzò accompagnandola per le scale.
Per un istante il sorriso traballò pericolosamente sul suo viso.
Non per lui. Hayama sapeva sempre quando ero seria e quando no. Non riuscivo mai a fregarlo...
« Sana-chan! » la voce di Naozumi risuonò nell'atrio. « La maternità ti dona, sei ancora più bella del solito » aggiunse galante come sempre.
Le sorrideva, con quel sorriso con cui le era stato accanto fin da bambino, e lei si sentì d'improvviso più leggera.
Sono un'egoista a lamentarmi quando ho delle persone così stupende che mi circondano.
Scosse la testa con aria altezzosa.
« È inutile, Nao, tanto non attacca. So benissimo che mi aduli solo perché vuoi fare da padrino al piccolo, ma ormai quel ruolo è stato assegnato, mi dispiace ».
Mentre pronunciava quelle parole il suo sguardo si appuntò su Rei che appena recepì il senso di quello che aveva appena detto si paralizzò sullo scalino con un'espressione di shock e gli occhi lucidi.
« Ah, mi hai scoperto! » sospirò Kamura, teatrale. Dopodiché le porse il cappotto, aiutandola ad infilarselo. « Sei pronta per andare? »
Annuì, mentre Misako appariva dalla cucina con Maro-chan che scorrazzava allegro sulla sua spalla.
« Mi raccomando portatemi le foto! Non vedo l'ora di vedere la mia nipotina! » esclamò allegra sventolando un ventaglio colorato.
Rei sospirò, con la voce ancora un po' lacrimosa.
« Sensei, quante volte dobbiamo ripeterglielo che ancora non si sa il sesso del bambino? » poi aggiunse, rivolgendosi a Sana: « Sei sicura che non vuoi che ti accompagni anch'io? »
Quella annuì, sforzandosi di apparire il più possibile rilassata.
È ora che smettano di preoccuparsi per me. Sono una persona adulta.
« Naozumi è più che sufficiente » asserì prendendolo a braccetto.
Li salutò sventolando la mano, mentre Kamura apriva la porta e un timido raggio di sole le solleticava il volto. Uscì, lasciandosi bagnare del tutto da esso.
Il sorriso che le adornava le labbra era sincero, per la prima volta da tempo. Quel giorno avrebbe impedito ai ricordi di turbare la sua felicità.

 

 

***

 

 

Fuka sapeva di essere un'amica tremenda.
Non solo quello per la verità. Era stata tremenda anche come fidanzata, contando che aveva abbandonato il suo ragazzo in ginocchio e con l'anello in mano, senza dargli nemmeno una spiegazione. Per quello, però, non poteva fare niente. Mentre invece avrebbe ancora potuto impedire che la sua amicizia andasse in frantumi.
Con un sospiro tremulo si fece forza e varcò la porta dell'ospedale.

 « Fuka-chan? »
Persino al telefono la voce di Aya sembrava sorpresa. Non poteva darle torto, d'altronde. Quella era la prima volta che rispondeva a una sua chiamata da giorni.
« Sì, sono io ».
La sua voce aveva un'inflessione strana, come arrugginita. Quanto tempo era che non parlava con un altro essere umano? Una settimana, su per giù. Aveva persino chiesto delle ferie in ufficio per potersi crogiolare nel suo dolore in santa pace.
« Kami, finalmente! Che cosa ti è successo, stai bene? »
Le domande si affollavano veloci, quasi caotiche. Fuka provò un lieve giramento.
Appoggiò la testa al muro, sforzandosi di respirare.
Inspira. Espira.
« Io... sì. Sto bene. Avevo solo bisogno di stare un po' da sola ».
« Fuka eravamo tutte in pensiero! Sana mi ha detto di essere passata da te ieri e di essersi attaccata al campanello per un quarto d'ora ma che non hai risposto... »
Se lo ricordava bene. Aveva dovuto prendere un'aspirina per far passare il mal di testa.
Inspira. Espira.
« Non ero a casa » mentì.
Il silenzio dall'altra parte della cornetta si protrasse per un po'.
« E adesso ti senti... meglio? Pensi che... te la sentiresti di incontrarci un giorno? »
Un brivido gelido le percorse la spina dorsale.
Si immaginò la sequela di domande a cui la avrebbero sottoposta. Forse Aya sarebbe riuscita a trattenersi, fra loro era sempre stata quella più sensibile, ma Sana... l'avrebbe torturata fino a quando non avesse sputato fuori tutta la verità.
Inspira. Espira.
« Preferirei... » annaspò, in cerca del termine adatto «... rimandare. Ho del lavoro arretrato e...»
Aya la interruppe. Probabilmente sapeva che si trattava solo di patetiche scuse.
« Potrebbe farti bene, sai. Parlarne, intendo. Noi non ti giudicheremmo mai, Fuka ».
Inspira. Espira.
Era difficile con quel nodo di commozione alla gola.
« Lo farò. Solo non adesso ».
« Ok. In questo caso aspetteremo che tu sia pronta » rispose con quel tono materno che adottava sempre quando qualcosa non andava.
Per un istante fu invasa dal senso di gratitudine.
« Grazie, Aya » disse sincera. « E... Nao? Lui come... come sta? »
Pronunciare quel nome fu doloroso. Le sembrava che ustionasse come acciaio rovente. Aya rimase in silenzio per pochi secondi, ma le parvero lunghi come secoli.
« Lui... be' non posso mentirti e dirti che l'ha presa bene, Fuka. Ma Sana gli sta vicina e credo che si riprenderà presto. Mi ha detto di dirti che non ce l'ha con te in nessun modo ».
« Ca-capisco ».
Il nodo alla gola era scorsoio e le sembrava che si stringesse sempre di più. Adesso anche deglutire era diventato difficile.
Era da Naozumi reagire in quel modo. Lei al suo posto lo avrebbe odiato per averla lasciata così, di punto in bianco, ma lui... Lui era sempre stato pronto a perdonare ogni sua sciocchezza.
« E la gravidanza? » chiese per cambiare argomento. Pensare a Nao le faceva ancora troppo male.
« Dopodomani Sana avrà l'ecografia. Era per questo che era venuta a bussarti. Voleva parlarti e invitarti ad andare con lei, se ti faceva voglia. Pensa che tu ti sia chiusa in casa ».
Pensa bene.
Ridacchiò, come se quello fosse un pensiero assurdo.
« Non è così. La accompagnerai tu, quindi? »
« Non posso. I gemelli... Comunque non preoccuparti, Rei non la lascerebbe mai andare da sola » aggiunse in un pallido tentativo di fare dell'ironia.
Ma non è la stessa cosa. Lei c'è sempre stata per me.
« Già, immagino di no. Allora... a presto Aya-chan ».
« A presto ».

 Aveva sempre odiato gli ospedali. Le mettevano una strana smania addosso, quella di uscire di lì il più velocemente possibile. Detestava quel bianco asettico ed uniforme, si sentiva a disagio di fronte a quegli uomini con il camice e le cartelline in mano.
Non fare la bambina, Fuka. Devi solo raggiungere il reparto maternità.
Quando finalmente un'infermiera un po' più gentile delle altre le indicò la direzione corretta, provò una sensazione contrastante. Da una parte quel reparto era più rasserenante degli altri. Non c'erano malati o feriti, ma solo giovane donne che si accarezzavano il pancione rubicondo e discutevano di trine e pappine. Dall'altra... dall'altra era uno schiaffo, un affacciarsi su un futuro che non avrebbe mai avuto.
Non essere egoista. Non tutto ruota intorno a te. Adesso devi solo trovare Sana-chan e...
Una porta si aprì a pochi passi di distanza. Ne uscì Kurata, radiosa come sempre, con un sorriso a trentadue denti dipinto sul volto. Ma non era stato quello a sorprenderla e a immobilizzarla al suolo. Era il fatto che Naozumi fosse al suo fianco e le tenesse premuroso una mano sulla spalla, parlandole fitto fitto. Tra le mani stringevano una serie di radiografie e Sana sembrava ancora troppo elettrizzata per stare ferma.
Sono arrivata tardi.
Sono arrivata tardi per tante, troppe cose.
Udì una donna vicino a lei sospirare, fissando Naozumi con palese invidia.
« Come è fortunata quella ragazza. Vorrei averlo io un marito così premuroso. Sono proprio una bellissima coppia ».
Una bellissima coppia. Una bellissima coppia, una bellissima coppia...
Era un eco incessante e doloroso. Non importava se erano trascorsi anni, se credeva di aver ormai superato quel suo complesso di inferiorità. Il suo personale demone ricomparve in un istante, più forte e tenace che mai.
Quando è stata l'ultima volta che mi sono sentita un rimpiazzo? Quand'è stato che ho provato l'agghiacciante terrore di non riuscire mai a conquistare il cuore di Naozumi perché sarebbe sempre appartenuto a quella ragazzina dai codini ramati?
Adesso era quasi peggio, però. Adesso il fatto che Naozumi accanto a Sana-chan sarebbe stato più felice non era più un dubbio, ma una certezza.
Lei avrebbe potuto donargli la famiglia che desiderava se solo avesse voluto...
Il click di un'unghia che si spezzava la riscosse bruscamente dai suoi pensieri. Stringeva il corrimano talmente forte che le nocche erano sbiancate.
Osservò Kamura e Kurata per un'ultima volta. Doveva andarsene e il prima possibile. Impedire che si girassero e le venissero incontro, lei con quella sua raffica di domande, lui con quel suo sorriso gentile. I suoi occhi abbracciarono un'ultima volta la sala e si soffermarono per un attimo su un ragazzo alto, dai capelli dorati.
Dall'altra parte della stanza Akito Hayama fissava Naozumi e Sana con un'espressione di shock, come se qualcuno il cuore glielo avesse strappato dal petto e lo stesse schiacciando prepotentemente al suolo.
Per un attimo Fuka provò la brutta sensazione di essere di fronte a uno specchio.

 

 

***

 

 

Il gel che le spalmarono sulla pelle era fresco e quel contatto le diede i brividi.
Mentre il dottore le passava il macchinario sopra la pancia, Sana pensò che la sua tachicardia fosse aumentata. Si chiese se tutti quei congegni elettronici lo avrebbe rilevato e senza nessun motivo vero e proprio il pensiero la fece sorridere. Adesso erano due i cuori che battevano nel suo corpo.
« Ecco, guardate » disse il medico, indicando lo schermo.
Al suo fianco, persino Naozumi sembrava un po' agitato. Il modo in cui le stringeva la mano era spasmodico. Sana fissò il minuscolo esserino tutto raggomitolato che si trovava nel suo ventre pensando che aveva fatto bene a difenderlo con le unghie e con i denti.
Il nostra bambino è bellissimo, Akito. Sono sicura che lo capirai anche tu, prima o poi.
« I risultati degli esami sono buoni. Non c'è niente che non vada, signora Hayama. Immagino che sarà un papà orgoglioso » aggiunse rivolgendosi a Naozumi.
Quello era tanto intento a scrutare lo schermo che rispose con qualche secondo di ritardo.
« No, si sbaglia, non sono il padre. Sono solo un amico » rispose con un sorriso distratto.
« Oh ».
Il medico rivolse loro uno sguardo perplesso, prima di iniziare spegnere le macchine.
Quando finalmente fu pronta per uscire, Sana si sentiva inspiegabilmente leggera.
C'era il fatto che il bambino stava bene, naturalmente. Ma c'era anche la consapevolezza, assoluta e totalizzante, di aver fatto la scelta giusta. Non se lo sarebbe mai perdonata se non avesse posto fine alla vita che fioriva dentro di lei.
Uscì dalla porta con a fianco la presenza rassicurante di Kamura e le sue battute scherzose. Non appena mise un piede fuori dallo stipite, i suoi occhi furono attratti, come calamitati, da uno sguardo ambrato che la fissava ferito e sorpreso a pochi passi di distanza.
Per un istante le sembrò che il tempo si fosse fermato. Lei e Akito si fissavano dalla parte opposta della stanza, gli occhi dorati di lui incatenati a quelli noccioli di lei come se non esistesse nient'altro.
Poi lo sguardo di Hayama si posò su Naozumi e un'ombra repentina gli attraversò i lineamenti. Sana lo vide girarsi e infilare le mani in tasca, un'ultima occhiata di biasimo rivolta ad entrambi.
« Aspetta! » urlò, correndogli dietro.
Quante volte si era ripetuta quella scena? Quante volte lei gli era corsa dietro e quante volte era stato lui ad inseguirla? Le sembrava che non facessero altro da tutta la vita, come due orologi sfasati che non riescono a sincronizzare il loro ticchettio.
Akito continuava a camminare con quella sua lunga falcata. Era impossibile che non l'avesse sentita, quindi era palese che il suo era un tentativo di ignorarla. Naozumi ormai non era che un puntino lontano. Provò una piccola fitta di rimorso per averlo lasciato indietro così, ma si affrettò a seppellirla velocemente. Nao avrebbe capito e in quel momento tutto il suo essere le urlava di raggiungere quel testone di Hayama.
Non sapeva nemmeno se essere contenta o meno della sua presenza lì. Il fatto che si fosse presentato in ospedale avrebbe dovuto farle piacere, significava che non era così disinteressato alla gravidanza come voleva far credere. D'altra parte quella reazione così fredda la lasciava una sensazione spiacevole addosso. Perché stava fuggendo così, di nuovo? Perché evitava il suo sguardo come se fosse un'appestata?
Per un attimo un pensiero le attraversò il cervello, freddo come una lama di acciaio. Era possibile che fosse lì per parlare del divorzio? Che avesse portato altri documenti da firmare, altre carte con scarabocchi privi di senso che avevano però il poter di porre la parola “fine” alla loro storia?
Quel pensiero bastò a gelarla sul posto, immobilizzandola per una manciata di secondi.

L'attimo dopo gli arrancava di nuovo dietro, con energia ancora maggiore. Se anche così fosse stato, aveva bisogno di sentirlo dire dalle sue labbra; quella angosciosa incertezza la stava divorando.
Quando Hayama si fermò, lo fece così bruscamente che per poco non gli andò addosso. Mentre si girava a fissarla, Sana rimase imbambolata al centro del corridoio poco trafficato, pensando fra sé che i suoi occhi avevano la patina di amarezza di quando era un ragazzino di undici anni, senza nessuno al mondo che si prendesse cura di lui.

 

 

***

 

 

Se c'era una cosa che gli anni passati al suo fianco doveva avergli insegnato, quella era che lasciarsi alle spalle Kurata era impossibile.
Aveva provato più volte nel passato a dimenticarla e andare avanti ed ogni volta era bastato uno dei suoi sguardi color cioccolata per essere trascinato bruscamente al punto di partenza.
La fissò, con quel suo vestito bianco e le gote rosse per la corsa.
Avrebbe voluto chiederle che cosa ci faceva quel fottuto damerino al fianco di sua moglie e perché osservava la ecografia di suo figlio. Ma come sempre, quando la rabbia lo sommergeva come un fiume di lava, si ritrovò con un nodo nella trachea che gli impediva di esprimersi.
In compenso, l'impulso di prendere a calci qualcosa fu difficile da trattenere.
C'era una voce, una piccola voce fastidiosa che aveva il timbro di Tsuyoshi, che gli suggeriva che il suo non fosse esattamente il comportamento migliore. Che dopo averla abbandonata non poteva permettersi scene di gelosia, anzi, avrebbe dovuto ringraziarla, la fatina, perché almeno Kurata non doveva affrontare la gravidanza da sola. Perché riusciva a starle accanto, quando era evidente che lui non ne era in grado.
Ma era una voce piccola e fastidiosa ed ignorarla non era mai stato così facile.
Chiunque avrebbe potuto accompagnare Sana a fare quella dannata ecografia. Le sue amiche, Tsu, sua madre, avrebbe persino chiuso un occhio su Occhiali-da-Sole. Ma non Kamura. Non il ragazzo bello e perfetto che era stato innamorato di Sana praticamente fin da quando portava il pannolino.
La voce di Kurata spezzò il silenzio ed Hayama impiegò alcuni istanti per racimolare la concentrazione necessaria a seguirla.
« Baka! Si può sapere perché sei scappato via in quel modo? » gli chiese quella incrociando le braccia sul petto e fissandolo con aria di rimprovero. « Non lo sai che rincorrerti non è proprio l'ideale per una donna incinta? »
Il desiderio di strozzare Kamura passò in secondo piano. La fissò attentamente, alla ricerca di qualcosa che potesse tradire una complicazione di qualunque tipo. Avrebbe dovuto fermarsi prima, non comportarsi come un ragazzino immaturo che alla prima cosa che lo turba si mette a macinare chilometri nella speranza che la stanchezza fisica annulli quella mentale.
« Aki? Perché mi fissi in quel modo? O forse qualcosa di buffo in faccia? »
Aveva inclinato la testa di lato e lo fissava curiosa. Non le rispose, cercando ancora di intuire se davvero il fatto di averlo rincorso avesse potuto affaticarla. Forse avrebbe dovuto chiamare un medico o un'infermiera e farle fare un controllo.
Un lampo di comprensione attraversò lo sguardo di Kurata mentre un sorriso luminoso le accendeva il viso.
« Ho capito! Ti preoccupi per me! È così, vero A-chan? » gli chiese facendo un passo in avanti.
Le labbra rosse da cui faceva capolino i denti bianchi. Le fossette sulle guance quando rideva. I capelli che ondeggiavano intorno al viso, piccoli tentacoli che profumavano di viole.
Registrò tutti quei dettagli mentre istintivamente arretrava per mantenere le distanze.
La pelle lattea che si arrossava subito sotto i suoi baci. Le mani piccole, dalle unghie curate ma corte. Gli occhi grandi, liquidi, una mare di promesse che lo aveva sommerso più volte facendogli dimenticare se stesso.
La fissò come se volesse bersi tutti quei dettagli, come se quella fosse l'ultima volta.
Perché aveva fallito. Quell'essere era ancora lì, tenacemente attaccato al suo grembo, ad accrescersi a sue spese.
« Akito... »
Non sembrava nemmeno la sua voce, tanto era bassa e delicata. La vide protendere una mano nella sua direzione e rimase immobile a fissare quelle dita bianche, temendo che tutto si potesse spezzare da un momento all'altro. Un sorriso stanco gli arricciò gli angoli della labbra. In fondo sarebbe stato davvero meglio se al suo posto ci fosse stato il damerino. Lui sembrava in grado di gestire quella situazione al meglio, di starle vicino e confortarla, mentre lui... Lui non faceva che ferirla, lui non riusciva nemmeno a fissarla in faccia.
« Io lo so perché non vuoi questo bambino ».
Un pugno ben calibrato, all'altezza dello stomaco.
« C-come... » balbettò a corto di fiato.
La mano di Kurata si posò sulla sua guancia, lieve come il battito di ala di una farfalla. Scrollò le spalle, come se la sua domanda fosse priva di importanza.
« Penso di averlo capito fin dall'inizio, o almeno da quando sono stata abbastanza lucida da ragionare. Ma non succederà, Akito. Questa volta andrà tutto bene... »
Vuoto. C'era una voragine sotto i suoi piedi e lui si sentiva risucchiare verso il basso, respiro dopo respiro. Chinò il capo, in modo che la frangia troppo lunga gli nascondesse gli occhi.
« Non ce la faccio, Sana ».
Buttare giù l'aria lungo la trachea era un'impresa titanica. Scivolava. Le sue dita calde sulla guancia erano l'unica cosa che lo tratteneva lì. Gli sembrava quasi che disegnassero una scia colorata sulla sua pelle, tenendo a freno che le tenebre che lo divoravano.
« Non riesco a sopportare l'idea di perderti. Mi dispiace ».
Le mattonelle scorrevano veloci sotto i suoi piedi mentre lasciava quel corridoio, Sana, l'ospedale intero alle sue spalle.
Sulla guancia, la pelle bruciava come fuoco.

 

 

 

 

Ciao a tutti!
Scommetto che non ci speravate più, eravate convinte di esservi liberate di me... Invece no, sono ancora qui a tediarvi! u.u
Allora che dire... Non ho ancora scritto chiaro e tondo il motivo per cui Hayama rimane lontano da Sana, ma direi che qui gli indizi sono evidenti. Comunque per chi non avesse letto Deep Clear e avesse ancora qualche dubbio, chiarirò nel prossimo capitolo ( massimo in quello dopo, devo ancora decidere!).
Siccome io di ecografie, bambini piccoli e gravidanze non ci capisco niente, se per caso avessi fatto qualche errore grossolano, vi sarei grate me lo segnalaste, in modo da poterlo correggere! u.u

Come sempre un grazie enorme va a: She is Strange, Pan17, jeess, sabry92, ryanforever, nthea, Dramee e Paola19che hanno commentato lo scorso capitolo. Grazie mille anche a chi ha aggiunto la storia alle seguite, ricordate, preferite.
Un grosso bacio e spero a presto,
Ely


 

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Capitolo 10
*** Fantasmi dal passato ***


 




Fantasmi dal passato
 

 
 

 "Take any form, drive me mad!
Only do not leave me in this abyss
where I cannot find you...” (1)
 
 

 
 

« E mentre la regione di Osaka è scossa da violenti acquazzoni...»
La voce gli giungeva distorta. Le vocali erano amplificate, gli acuti gli ferivano gli orecchi. Era steso su qualcosa di morbido, gli pareva che quella ovatta lo risucchiasse, pronta a divorarlo al suo interno. Allungò una mano e la punta delle dita sfiorò qualcosa di soffice, spugnoso.
In un lampo di lucidità Akito Hayama intuì di essere riverso sul divano del salotto.
«... le autorità raccomandano ai cittadini di prendere le dovute precauzioni... »
Le parole della conduttrice gli piovevano addosso come una buffa cantilena. Il suo accento era ridicolo, persino peggiore di quello di Fuka, e gli faceva venire voglia di ridere. L'ilarità era simile a tanti sassolini incastrati in gola, avrebbe voluto riversarla fuori, ma sembrava che non riuscisse a trovare la strada giusta e preferisse turbinargli in pancia.
Niente di nuovo, A-chan. Quando mai sei riuscito a tirare fuori qualcosa di quello che sentivi dentro?
Il tono di rimprovero era quello di Kurata. Avrebbe voluto girare la testa ma aveva la brutta sensazione che se solo avesse mosso un muscolo si sarebbe schiantato al suolo, come precipitando da metri di altezza.
Vertigini.
Era steso sul suo divano, eppure si sentiva come sul picco dell'Himalaya.
Con un gemito di puro sconforto si issò sulle braccia, finendo disteso a pancia all'aria.
Dopo tutti questi mesi, sarei davvero risposto a buttarmi con un paracadute pur di vederti ancora, Kurata.
La stanza era quella di sempre. Bianca, vuota, fredda. Con il telecomando in bilico sul tavolino, la tv accesa con i suoi colori squillanti e la bottiglia di gin quasi vuota sotto il suo naso.
Aggrottò le sopracciglia, confuso.
Non era piena fino a cinque minuti fa?
La stanza iniziò a turbinare, i contorni del tavolino si disfecero in una macchia colorata.
Socchiuse gli occhi, sperando di porre fine al senso di nausea che d'improvviso gli aveva aggredito le budella.
Sono io o in questa stanza tutto si muove?
Un grugnito sordo gli uscì dalle viscere mentre si girava sul fianco. Una voce femminile gli solleticò le orecchie, come una mosca fastidiosa.
A-chan! A-chan!”
Provò ad ignorarla, ma quella tornava, un ronzio sempre più frequente. Era acuta, irritata, stridula.
A-chan! Non hai lavato i piatti, non è vero? E scommetto che non hai nemmeno fatto la lavatrice come ti avevo chiesto.”
Natsumi? Gli sembrava di vederla con la coda dell'occhio, i capelli corti fin poco sotto le orecchie come quando era piccola. Che cosa ci faceva lì a Tokyo, nel suo appartamento? Come aveva fatto ad entrare?
« Onee-san... » borbottò con la bocca impastata.
Le labbra di Natsumi si piegarono in una linea dura.
Quante volte devo dirti di non chiamarmi in quel modo? Non ci tengo a ricordarmi che siamo parenti... Kami, quanto vorrei che tu non fossi mai nato!”
Stringeva i pugni talmente forte che sul palmo le sarebbe rimasto il segno delle unghie. In un flash improvviso ricordò le grigie giornate della sua infanzia, quando si concentrava sul palmo delle mani di sua sorella e cercava di desumere da essi il suo umore. Se i palmi erano arrossati e le unghie mangiate fino al midollo, voleva dire che doveva cercare di stare zitto e attirare l'attenzione il meno possibile. In quei momenti bastava un nonnulla per far scattare Natsumi.
Ma le cose adesso sono cambiate, no?
« Credevo che avessimo superato la fase in cui mi urlavi contro ».
Nella sua mente quelle parole dovevano avere un filo logico. Difficile dire se quello che era uscito dalla sua bocca fosse un mugolio distinguibile o meno. Natsumi, comunque, sembrò capire, perché aggrottò la fronte e gli rivolse uno sguardo gelido. Poi rise, una di quelle sue risate finte che gli facevano formicolare le punte dei polpastrelli per la voglia di colpire qualcosa.
Superare? Come potrei mai superare il fatto che hai ucciso nostra madre? Nemmeno fra un milione di anni, Akito-kun!”
Non voleva sentire quelle cose. Provò ad alzarsi di scatto, ma un improvviso giramento di testa lo costrinse ad aggrapparsi alla spalliera della poltrona per non scivolare per terra.
« Vattene... vattene via... » bisbigliò agitando con aria stanca una mano.
La sua risata artefatta gli risuonò ancora nelle orecchie.
Posso andarmene, ma questo non cambierà quello che sei... Tu non sei un bambino come gli altri, sei un mostro, sei il figlio del demonio! Se nostra madre avesse immaginato cosa saresti diventato, non ti avrebbe mai fatto nascere!”
Chiuse gli occhi, provando ancora quella curiosa sensazione di sprofondare. Andava alla deriva in un mare fatto di suoni e sprazzi di colore.
C'è troppa luce qua dentro. Dovrei alzarmi, spegnare tutto. Buttare fuori Natsumi e tornare ad affogarmi con il gin.
Una pessima idea, Akito-kun. In queste condizioni domani non potrai nemmeno andare a lavorare. Contando che è l'unica cosa che sai fare, non mi stupisce che tu voglia mandare all'aria anche quello.”
Papà? La voce era inconfondibile. Provò ad alzare la testa e la luce del comodino gli ferì la retina. Non lo vedeva da nessuna parte, ma non poteva sbagliarsi. Solo lui aveva quel modo particolare di parlare, lieve ed educato come se stesse disquisendo del tempo. Così calmo e composto anche quando dentro bruciava.
« Papà? Ma cosa... Dove è andata Natsumi? »
Se socchiudeva le palpebre gli sembrava di vederlo lì, seduto al suo fianco sulla poltrona. Quel completo grigio – il completo da lavoro – che indossava sempre, anche quando stava in casa. Quasi come se non si sentisse a suo agio senza quello indosso, quasi come se la sua vera famiglia fosse l'impresa per cui lavorava.
I baffi fremettero per quella domanda.
Le hai detto tu di andarsene, no? Immagino che sia da qualche parte a farsi quei brutti tagli con la lametta.”
« Che cosa... che cosa stai dicendo? »
Chi aveva aperto la finestra? Da dove arrivava quel gelo improvviso, quella voglia di raggomitolarsi fino a toccare con la punta del naso le ginocchia?
Un sorriso, appena un accenno, sul volto stanco di suo padre.
Non far finta di non sapere, Akito-kun. Lo avevamo capito entrambi che tua sorella si faceva del male apposta. Se guardi con attenzione si notano ancora quelle piccole cicatrici bianche sugli avambracci.”
Basta.
Avrebbe voluto urlarlo. Perché erano tutti lì? Che cosa volevano da lui?
Che cosa vogliamo da te, Akito-kun? Niente. D'altronde nessuno si è mai aspettato che tu riuscissi a combinare qualcosa di buono nella tua vita...”
Glielo disse con il tono leggero di chi ordina qualcosa per cena. Come se fosse un assioma inconfutabile, una verità sulla bocca di tutti.
Ma non è così. Esiste ancora qualcuno che crede in me.
Kurata.
« Stai mentendo. Sono solo cazzate ».
Gli pareva che la lampada fosse sul punto di staccarsi e crollargli addosso. Istintivamente si parò la faccia con le braccia. La lampada rimase al suo posto, ma gli caddero addosso le parole di suo padre e fu ancora più doloroso.
Oh, parli di Sana-chan. Una ragazza adorabile.”
« Lei.. lei ha avuto fiducia in me » bisbigliò con un grumo sempre più consistente in gola.
Kami, se fa male pensare anche solo il suo nome.
Vide suo padre annuire con la coda dell'occhio, mentre si lisciava i baffi con un gesto distratto.
Sì, penso di sì. E guarda che fine le hai fatto fare, eh?”
Il grumo stava diventando un macigno che gli occludeva la trachea.
« Sta bene. Sana starà bene ».
Un sorriso storto, tirato.
Non ci credi nemmeno tu, non è così? E come potresti con quel figlio che le cresce nel ventre con la velocità di un cancro... Tale padre, tale figlio. La storia è destinata a ripetersi, non credi anche tu?”
« No! » la voce gli era salita roca alla labbra, in un afflato improvviso. Forse stava urlando, ma non gli importava. « Sana è forte... Lei... lei ce la farà, lei ha promesso che sarebbe sempre rimasta al mio fianco...»
Ce la farà. Non morirà. Non può morire.
Era una litania continua, una cantilena alla quale aggrapparsi per non sprofondare nel vuoto.
La risata di suo padre aveva il suono di un ingranaggio arrugginito.
Perché non glielo chiedi di persona, Akito-kun?”
Girò il collo così velocemente da avvertire un dolore lungo la spina dorsale. Non gli importava. Se non batteva le palpebre, riusciva a vederla quasi nitida.
Kurata.
Proprio lì, in mezzo a quel salotto che d'improvviso non sembrava più tanto bianco. Come sempre, la prima cosa a catturare il suo sguardo furono i suoi occhi di cioccolata.
Ogni volta mi ci perdo, Kurata. Mi chiedo se ti rendi conto dell'effetto che mi provochi.
Abbracciò la sua figura intera e un prepotente moto di orrore gli assalì le viscere.
Il ventre era gonfio, prominente. Sporgeva dal vestitino leggero, un orrendo bozzo che sembrava sul punto di esplodere.
« Kurata... »
Era un lamento. Una supplica. Non gli importava di apparire penoso in quelle condizioni. Provò ad alzarsi, perché non tollerava di starle lontano.
La stanza ondeggiava, l'unico punto fermo era lo sguardo dolce di Sana, a pochi passi da lui. La vide sorridere e venirgli incontro con le mani protese.
« Sana-chan... »
Era seduto sul divano e Kurata era ad appena pochi centimetri. L'orlo del suo vestito gli sfiorava le ginocchia, il pancione enorme era proprio sotto i suoi occhi.
« Sei qui. Finalmente » mormorò con la voce roca.
Sana si limitò a sorridere.
Già è qui. Difficile non notarla con quella stazza, eh? Ormai deve essere prossima al parto.”
No. Non è possibile. Era appena ai primi mesi... C'è tempo, c'è ancora tempo...
Eppure la pancia si stagliava proprio sotto i suoi occhi, tonda e gonfia.
Allungò l'indice, fin quasi a sfiorarla. Kurata sorrideva di quel suo sorriso di bambina, come se non avesse un problema al mondo.
Sana-chan... Come ho potuto farti questo?
I polpastrelli toccarono la stoffa leggera del vestito. Istantaneamente una smorfia contrasse il volto di Kurata. Ritrasse la mano di scatto, quasi come se di pentisse di quel suo gesto improvviso. Ma i lineamenti di lei rimasero increspati, un dolore profondo a scavarle le viscere. Sana aprì la bocca, per urlare, ma non una parola uscì dalle sue labbra.
« Che cosa le sta succedendo? »
Si voltò verso suo padre, smanioso di risposte. Lui sembrava l'unico in quella stanza a sapere cosa stava per verificarsi.
È il bambino.” rispose con calma serafica. “Immagino che il momento del parto sia prossimo.”
Un brivido lungo la schiena, come un colpo di frusta. La sensazione di non riuscire a respirare, i polmoni colmi di un liquido di gelida paura che impediva loro di contrarsi.
« No! »
Non avrebbe saputo dire se fosse un urlo o una preghiera. Forse entrambi, ma era inutile, era tutto inutile perché Kurata incassava le spalle scossa da silenziosi spasmi e le sue mani si stringevano inconsciamente intorno alla pancia.
Il bozzo del ventre era deforme e sembrava ingrossarsi ancora di più di secondo in secondo. Strane protuberanze apparivano a tratti, come se la cosa nel suo ventre calciasse, cercando di farsi strada aprendo uno squarcio nel ventre di Kurata.
« No! »
L'urlo era profondo, roco, animalesco.
Non Sana, ti prego. Tutti ma non lei. Sono disposto a pagare con la vita per gli errori che ho commesso ma ti prego, ti supplico, non portarmi via Sana.
La risata di suo padre gli risuonò nelle orecchie.
Ti sei ridotto a pregare i Kami, Akito-kun? Non lo sai che è inutile ribellarsi al proprio destino, figliolo?”
Gli sembrava di averlo proprio sotto agli occhi il volto di suo padre, quella ruga di concentrazione che gli increspava la fronte, quelle occhiaie scure che parevano mangiargli gli occhi.
Non ti eri davvero illuso di esseri lasciato il passato alle spalle?” continuò a deriderlo mentre Kurata si allontanava progressivamente dalla sua visuale. “Sei un assassino, Akito-kun. Lo sei fin dal tuo primo respiro in questo mondo. Era solo questione di tempo prima che tu finissi per uccidere anche lei...”
Assassino.
« Kurata! » provò a chiamarla anche se sapeva che era inutile.
Assassino.
Gli sembrava che la voce di suo padre gli gridasse quella parola nelle orecchie, in un eco impossibile da sopportare.
« No, ti prego. Non questo, non di nuovo... »
Assassino.
La testa era sul punto di esplodere. Sotto gli occhi si affollavano una marea di volti indistinti.
Sua madre, nelle poche foto sulle quali era riuscito a posare lo sguardo. Natsumi e le sue mani scorticate. Mami che ingoiava acqua nello stagno dietro la scuola. Suo padre che allentava il nodo della cravatta appena entrato a casa. La Sensei con le lacrime agli occhi per il suo ennesimo scherzo. Komori e quella lama di pugnale che brillava come se bruciasse.
Kurata.
Assassino.
Era come se ogni singola sinapsi si stesse ribellando a tutto quel dolore. Gli pareva di affogare e soffocare insieme, un abisso nero che lo trascinava sempre più in basso. Percepiva dei rumori di sottofondo, ma non era sicuro che corrispondessero alla realtà. Il portone che si apriva, voci maschili che si propagavano nell'atrio.
« Va avanti così da almeno mezz'ora. Lo abbiamo sentito urlare dal piano di sotto e ci siamo preoccupati... »
Non aveva senso. Niente aveva senso.
« Ci dispiace averla fatta venire fin qui, ma Hayama-san ci ha detto di chiamare lei in caso di emergenza. Ha detto che le aveva lasciato una chiave di scorta e che avrebbe saputo cosa fare...»
« Avete fatto benissimo a chiamarmi, signori Fuji. Non preoccupatevi di niente, penserò io a lui ».
Forse si trattava solo di un incubo. Un brutto sogno partorito dalla sua mente stanca. Forse presto si sarebbe svegliato e avrebbe scoperto che Kurata era al suo fianco con quella sua vita esile che poteva tranquillamente stringere con un braccio.
Un rumore di passi. Vicini. Sempre più vicini.
« Akito-kun...»
La voce aveva un suono familiare, stranamente confortante. Provò ad aprire le palpebre pesanti e la prima cosa che i suoi occhi registrarono furono due lenti spesse, dalla montatura robusta.
« Tsu » mormorò con un certo sforzo.
Gli parve che quello sorridesse, prima di scuotere la testa.
« Come hai fatto a ridurti in queste condizioni, eh? Ti sei scolato un'intera bottiglia ».
Un sorriso amaro affiorò stancamente sulle sue labbra.
« Lei morirà, Tsu. Moriranno entrambi, Sana e il bambino. E la cosa peggiore è che è quello che mi merito ».
La vista tremolò mentre anche le sue orecchie gli giocavano un brutto scherzo. Gli sembrò di aver sentito Tsuyoshi bestemmiare, ma era una cosa troppo assurda per essere vera. Poi si sentì strattonare verso l'alto e gli parve che le budella gli si rovesciassero.
« Andiamo che ti metto a letto, sei ubriaco fradicio » fu l'ultima cosa che udì prima di rimettere anche l'anima.
 
 
***
 
 
L'odore di viole era forte nell'aria e si spargeva come una carezza sul viso.
Sapeva che era la sua pelle ad emanare quel profumo eppure non riusciva a capacitarsene.
« Dovremo fermarci ».
Era una preghiera, un'inconscia richiesta di assoluzione. Era la speranza che fosse lei a trovare la forza per porre fine a quello sbaglio.
La sentì irrigidirsi fra le sue braccia e rovesciare la testa indietro per fissarlo direttamente negli occhi.
« Avremo dovuto farlo molto tempo fa » gli rispose arricciando un angolo della bocca
Deglutì un misto di saliva e senso di colpa.
« Siamo ancora in tempo ».
I canini bianchi affondarono nel labbro, in un gesto inconsciamente sensuale.
« No. Non lo siamo più... » gli soffiò contro prima di spingersi di nuovo contro il suo corpo.
Mentre la sua lingua gli forzava le labbra e le sue forme morbide gli premevano contro il petto, sentì di nuovo quella curiosa sensazione di abbandono, lo spegnersi della razionalità.
Stava sbagliando, di nuovo, e lasciò che il piacere che gli dava quella consapevolezza lo inondasse del tutto.
 
 
***
 
« E azione! »
Ormai erano ore che stavano provando quella stessa scena.
Non sarebbe stato un problema, se non fosse che le sembrava che il mal di testa la stesse per uccidere.
« Stop! Kurata andiamo, un po' di serietà! Questo pedinamento sembra una pagliacciata! »
La voce del regista era ruvida. Sussultò, producendosi in un ormai abusato sorriso di scusa e cercò di racimolare la concentrazione.
In realtà non avrebbe dovuto fare un granché. Solo seguire Kurumi, attenta a non farsi scoprire. Lei era il detective e Asako il soggetto da pedinare.
Semplice, intuitivo.
Ma non ce la faccio più. Lo stomaco mi gorgoglia dalla fame e la mia vescica sta per esplodere. Girare un film quando si è incinta si sta rivelando più complicato di quanto credevo.
Gettò un'occhiata in tralice a Rei che si agitava nervoso sulla sedia. Convincerlo a non rivelare le sue condizioni al resto del cast era stata stranamente una faticaccia. Credeva che sarebbe stato più che felice di mantenere il riserbo visto che questo avrebbe potuto ostacolare la sua carriera, invece per una volta sembrava che l'ambizione avesse lasciato il posto all'ansia per le sue condizioni di salute.
« Kurata! Non puoi correre un po' più forte? Sembri una lumaca! »
Strinse le labbra, trattenendosi a fatica dallo sbuffare.
Avrei potuto farlo mezz'ora fa. Adesso sarei un po' stanca, se permette.
Ricacciò la battuta salace dentro la gola, accelerando l'andatura. Sapeva che avrebbe dovuto ingoiare qualche rospo quando aveva deciso di continuare le riprese nonostante il suo stato. Certo, se avesse detto la verità anche solo al regista, probabilmente questo si sarebbe dimostrato più comprensivo.
Ma so bene come vanno queste cose. Posso implorarlo di mantenere il segreto, ma nel giro di una settimana qualche giornalista riuscirà ad estrapolare la verità. E allora sarebbe un inferno.
Un brivido le attraversò la schiena nell'immaginare la torma di reporter che la assillava con le sue domande. “Come si sente di fronte alla prospettiva di crescere un figlio da sola?” “Questa sarà forse la fine della sua carriera?” “Perché suo marito l'ha abbandonata?”. Chissà, magari con un po' di inventiva sarebbero riusciti a coinvolgere anche Naozumi. Alcuni giornalisti più tenaci non si erano rassegnati al fatto che fra loro due non ci fosse del tenero. “Vuole rivelarci chi è veramente il padre del bambino? Forse Kamura?” le avrebbero chiesto ammiccando.
Improvvisamente correre stava diventando più facile. La rabbia sottile che le scorreva nelle vene serviva momentaneamente a ricaricarle le batterie.
Ce la farò. Posso farcela. Non voglio i reporter sotto casa.
Si scostò nervosamente i capelli dal viso, pensando che non aveva davvero bisogno di altre persone che le ricordassero Akito e il dolore per il suo abbandono.
 
 
 
Note:

1. Si tratta di una citazione di Cime Tempestose pronunciata da Heathcliff dopo la morte di Catherine. Vi riporto la traduzione. Assumi qualsiasi forma, fammi impazzire! Solo non lasciarmi in questo abisso dove non riesco a trovarti...”


 
 
 
Ciao a tutti!
Mi scuso per questo pazzesco ritardo. La prima parte del capitolo è un po' sconclusionata perché Akito è ubriaco e quindi i suoi pensieri non seguono un filo logico. Spero che sia comunque leggibile, come sempre per critiche e chiarimenti sono a disposizione. L'idea del bambino che nasce squarciando il ventre della madre (immagine tetra, lo so) è ripresa dal manga se non sbaglio.
Dopo dieci capitoli ecco la risposta al perché Akito non riesce ad accettare che Sana sia incinta: è tormentato dal senso di colpa e dai fantasmi del passato. È terrorizzato dalla prospettiva che la storia si ripeta e Sana muoia durante il parto, che muoia anche il bambino e che lui si trovi di nuovo solo. Non giustifico il suo comportamento ma spero sia maggiormente comprensibile.
Un breve flash – di nuovo senza nome – sulla coppia traditrice. Scoprirete in futuro di chi si tratta.
Passo adesso ai ringraziamenti: un milione di grazie a desy90, ryanforever, ilapietro91, _Silvia_Salvatore, sabry92, tokykia, Pan17, jeess, nthea, Dramee e vale89 che hanno commentato lo scorso capitolo. Non mi merito nemmeno tutto questo appoggio, ma grazie comunque <3
Vi saluto e alla prossima, un bacio
Ely

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Capitolo 11
*** Che tu sia per me il coltello ***


 




Che tu sia per me il coltello(1)




 

 

La sensazione è quella della lama che recide la carne.
Non sono mai stato il tipo di persona a cui piace ferirsi volontariamente e mi illudevo che un bisogno del genere mi sarebbe sempre stato estraneo.
Invece è così.
Scivolo dentro il tuo ventre molle e mi sento come se un milione di lame appuntite mi perforassero le viscere.
Fa male, eppure crea dipendenza.
Fa male, eppure non riesco a staccarmi.
La tua pelle è calda e morbida, ma io lo sento lo stesso il brivido del senso di colpa che striscia come un aspide intorno al mio sterno. Punge e tutto il mio essere si agita in risposta, quasi si stesse risvegliando da un lungo sonno.
Fa male, eppure solo tu riesci a farmi bruciare così.

 
Di una sola cosa Rei Sagami era sicuro. Che non si poteva andare avanti in quel modo.
Afferrò la carta, un due di picche, e la posizionò accuratamente in cima al castello dall'equilibrio precario. La struttura tremolò ma si mantenne in piedi.
Sana era sempre più stanca, i suoi sorrisi sempre più tirati. Proprio come quando era ancora una ragazzina e Hayama se ne era andato a vivere in America: di giorno si sforzava di apparire briosa ma la notte Rei sentiva chiaramente i singhiozzi filtrare attraverso la parete.
Se c’è una cosa che non hai mai imparato in tutti questi anni è recitare nella vita privata, Sana-chan. In effetti, se tu ti comportassi in questo modo sul set mi ritroverei senza lavoro.
Il castello di carte ebbe un fremito e Sagami trattenne il fiato, spaventato dal vederlo crollare ai suoi piedi.
È tutta colpa sua. È sempre stata colpa sua. Sarà sempre colpa sua.
Era una litania che si ripeteva incessante da ore nella sua mente. Forse era ingiusto nei confronti di Hayama ma non gli importava.
Perché va sempre a finire così. Lui si allontana e lei cade a pezzi.
Afferrò la regina di cuori, osservando le poche carte che gli erano rimaste da disporre. Esitò, prima di piazzarla al vertice della piramide.
Sono settimane che gli vado dietro e non ho ancora scoperto niente. È dannatamente furbo quel ragazzo. Ma Sugita…potrebbe mai fare una cosa del genere a Sana? Sono amiche dalle elementari.
Si massaggiò la sella del naso, mentre la sua mente ripercorreva in un flash improvviso tutte le conversazioni che aveva avuto con le infermiere del reparto. A detta loro, Hayama era un partito invidiabile e dal fascino magnetico.
Quindi perché no? Potrebbe essersi approfittato di un attimo di debolezza. Non deve essere facile crescere due gemelli.
Sospirò pesantemente, concedendosi un attimo di riflessione. Gli mancava solo una carta e la sua opera sarebbe stata completa. Afferrò il gobbo di fiori, fissando intensamente il mucchio. Lo avvicinò lentamente e con gesti cauti iniziò ad appoggiare il bordo inferiore della carta sul tris in cima alla pila. La struttura tremò come mossa dal vento e un gocciolina di sudore gli scese lungo il collo.
Un po’ più a destra… solo un altro po’…
DRRRRRR-DRRRRR-DRRRR
La vibrazione improvvisa lo fece sussultare bruscamente mentre le carte si sparpagliavano intorno come tanti coriandoli rossi e neri.
Afferrò il cercapersone, tentando di rallentare i battiti del suo cuore.
« S-Sana-chan? » balbettò nervoso.
« Uh, e chi altri dovrebbe essere? » rispose quella con il solito tono squillante.
Be’ scusa se non trovo normale che a ventitré anni ancora usi questo buffo coso per contattarmi
« Tutto bene? » disse invece sforzandosi di non lasciar trasparire l’irritazione per i suoi sforzi buttati al vento.
« Mmm » borbottò. « Solo il regista vuole fare delle prove straordinarie e faremo più tardi del solito. Ma non devi preoccuparti, mi ha chiamato prima Nao e si è offerto di passare a prendermi lui ».
Rei sospirò pesantemente mentre una ruga di preoccupazione gli si disegnava sulla fronte.
« È proprio necessario? »
Sana si pronunciò in una delle sue risatine ironiche.
« A quanto pare siamo un po’ in ritardo sulla tabella di marcia e visto che non riesco a dare il meglio di me come al solito non posso certo contestare le decisioni del regista ».
Rei esitò, combattuto. Una parte di sé, quella di manager scrupoloso, trovava perfettamente comprensibile che Sana volesse impegnarsi nella recita di quel film che si prospettava un successo. Ma l’altra…
« Cerca solo di non affaticarti, ok? Nelle tue condizioni… »
« Sì, sì conosco la solfa » lo interruppe. « Ma lo sai che io sono indistruttibile, no? »
« Sana-chan… » la pregò Sagami chinandosi goffamente a raccattare le carte.
« Adesso devo andare Rei, ci sentiamo dopo! » lo liquidò prima di agganciare.
 
 
È una sensazione strana. Un formicolio, lo si potrebbe definire.
Inizia appena le sue mani, all’inizio non aveva notato quanto fossero grandi, le percorrono il corpo. Non è mai riuscita a capire se il modo in cui la tocca le piaccia o se la offenda nel profondo.
C’è sempre fretta nei suoi gesti, mista a una rabbia repressa che lo rende impulsivo, quasi violento.
E c’è il fatto che non la guarda mai negli occhi.
Fissa un punto del cuscino al di sopra della sua testa, come se il non guardarla rendesse il suo tradimento meno vistoso.
In effetti, a mente fredda, dovrebbe disgustarla.
Però c’è quel maledetto formicolio.
Quel rossore che le colora la pelle, cancellando il pallore che la caratterizza di solito.
La odia la sua pelle. Così bianca, tanto da lasciar intravedere le vene bluastre che le disegnano le braccia. Così delicata, tanto da sembrare fragile. Trasparente. Proprio come lei, che inizia a sentirsi invisibile come una foglia agitata dal vento.
Tranne che quando è con lui. Allora persino quell’epidermide smorta si colora, il suo corpo ha un fremito e un pizzicore le attraversa ogni singolo nervo. Non è un qualcosa di esattamente piacevole ma le sembra sempre di più  necessario.
Quell’assurdo formicolio.
Chissà, forse è solo il sentirsi viva, di nuovo.
 
 
Iniziava a sentirsi abbastanza idiota per la verità.
Appena aveva scoperto di avere il pomeriggio libero si era precipitato alla clinica di Hayama, nel tentativo di proseguire quel suo maldestro pedinamento.
Che cosa spero di scoprire? Forse dovrei lasciar perdere e rivolgermi a qualcuno di veramente esperto…
Il camice bianco di Sugita apparve dall’inizio del corridoio e Rei si tirò indietro, nascondendo la testa dietro a una rivista di sport. La spiò con la coda dell’occhio mentre avanzava a passi stanchi, fra le mani una cartella a cui ogni tanto gettava un’occhiata distratta.
Gli occhi scuri brillavano nel viso smunto e pallido. Anche se aveva l’aria distrutta, si poteva ancora scorgere nei suoi tratti quella traccia di materna dolcezza che la caratterizzava fin da quando aveva memoria.
Una piccola fitta di senso di colpa bruciò all’altezza dello sterno. Poteva capire dubitare di Hayama, ma farlo anche con Aya gli lasciava una spiacevole sensazione addosso. La osservò mentre gli passava accanto senza notarlo e una parte di lui lo incitò a lasciar perdere e tornarsene a casa.
Il rumore dei suoi tacchi bassi risuonava per i corridoi. Gli occhi di Sagami rimasero incollati alla schiena di Sugita fino a quando non la vide arrestarsi di fronte a una porta bianca.
L’ufficio di Akito.
Le nocche di Aya bussarono piano mentre lo sguardo di Rei si induriva involontariamente.
Non era la prima volta che assisteva a quella scena. Anche le altre infermiere del reparto gli avevano confermato che il dottor Hayama convocava Aya molto più spesso di quanto facesse con le altre. In effetti chiedeva sempre di lei quando c’era disponibilità.
La porta si aprì con un cigolio tetro e Sugita varcò l’ingresso chiudendosela decisa alle spalle.
Rei rimase al di fuori contando i minuti che si dipanavano lenti come una tortura.
In fondo sono davvero poche le persone su cui metterei la mano sul fuoco.
 

A volte mi sembra di camminare su una linea sottile.
Sono come un bambino maldestro a cui per la prima volta fanno indossare i pattini. Il ghiaccio mi affascina e mi spaventa insieme, lo sfioro con la punta delle dita ma non ho il coraggio di lanciarmi nella pista.
I tuoi occhi sono come due lastre di acqua gelida.
Freddi. Implacabili. Scivolosi.
Deve essere per questo che non riesco a fissarli mentre facciamo sesso.
Sono troppo diversi dallo sguardo della donna che amo, di quella che credevo sarebbe stata la mia compagna per tutta la vita.
 Mi sembra sempre che ci osservi mentre ci rigiriamo fra quelle lenzuola come due animali in gabbia. Questo pensiero dovrebbe frenarmi e invece mi fa eccitare di più.
Mi chiedo chi cerco di punire, se lei o me stesso.
 
 
L’orologio sul suo polso ticchettava incessante, scandendo il poco tempo che gli restava.
Devo essere a casa entro le sette o è la volta buona che Kurumi mi uccide.
Rei si appoggiò al muro, fissando la porta sotto i suoi occhi come se potesse perforarla.
È mezz’ora che è lì dentro. Non dovevi solo consegnare un fascicolo, Aya?
Nella sua mente si alternavano piani fantasiosi. Gli sarebbe piaciuto irrompere dentro lo studio e vedere con i suoi occhi che cosa stava succedendo.
Perché non troverei niente, vero? Neanche tu, Akito, puoi essere così bastardo da tradire tua moglie incinta.
Il tarlo del dubbio gli rodeva la coscienza. Fissò il quadrante dell’orologio un’ultima volta.
Con un sospiro pensò che avrebbe ripreso le ricerche il giorno dopo.
Decisamente sarebbe il caso che contattassi un investigatore professionista…
Non fece in tempo a finire quel pensiero che la porta dell’ufficio si aprì. Come animati da vita propria gli occhi di Sagami saettarono sulla scena surreale che aveva di fronte.
Aya Sugita si passava la mano fra i capelli arruffati, in un tentativo maldestro di celare l’imbarazzo.
E non sono solo i capelli l’unica cosa ad essere scomposta.
L’uniforme era stropicciata, i bottoni della camicetta aperti fin quasi al seno.
Potrei giurare che prima erano chiusi fino al collo.
Per parte sua Hayama non staccava quel suo sguardo indecifrabile dal volto di Sugita. Le sussurrò qualcosa mentre una mano indugiava sul suo fianco. A lungo. Troppo a lungo.
Colpevole.
Era un sussurro continuo, cattivo, che non riusciva a zittire.
Traditore.
Erano rimasti da soli, chiusi in un uffici per quasi quaranta minuti e ne uscivano con le vesti scomposte, in un chiaro atteggiamento di intimità.
Lo capirebbe anche un idiota.
Aya si allontanò, un ultimo sorriso spento rivolto verso Akito.
Era talmente sconvolto da rimanere imbambolato. Si ricordò un secondo dopo di dove si trovava, giusto in tempo per evitare che Hayama scorgesse la sua presenza ora che Sugita non attirava più la sua attenzione. Si tirò indietro, imboccando un corridoio a caso e appoggiandosi al muro.
Per fortuna che non ce l’ho di fronte. Kami se desidererei spaccargli la faccia…
« Si può sapere perché mi stai pedinando? »
La schiena di Sagami si irrigidì nell’udire alle spalle la voce strafottente di Akito.
 
 
Ogni volta mi riprometto che sarà l’ultima.
Che non proverò più questo impulso masochistico di chiamarti, di precipitarmi nel tuo studio con una scusa pietosa.
Ogni volta ci ricasco.
Ogni volta non è mai l’ultima volta.
E ogni volta mi rigiro nel letto, insonne, scalciando le lenzuola che mi stanno troppo strette. Mi soffocano. È assurdo, ma quasi ci spero. Spero che finisca tutto perché non ce la faccio ad andare avanti così. Nel silenzio della notte lo desidero davvero.
Che tu sia per me il coltello.
 
 
« Sono settimane che ti presenti alla mia clinica. Credevi che non lo avessi notato? » proseguì Hayama apparentemente tranquillo.
Ti ho appena visto insieme alla tua amante. Come fai a mantenere quella maledetta faccia di bronzo?
Era da quando si era lasciato il liceo e gli scherzi idioti dei suoi compagni alle spalle che non provava una rabbia così forte. Strinse le mani a pugno, le unghie che affondavano nei palmi, provando a convincersi di essere una persona pacata e razionale.
« Allora? » chiese ancora senza scomporsi. « È stata lei a dirti di farlo? »
« Lei? » ripeté Sagami per un attimo spiazzato.
Akito abbassò impercettibilmente lo sguardo mentre anche il suo tono calava di un’ottava.
« Sana ».
Un brivido, come una scarica lungo la schiena.
« Non dovresti neanche pronunciarlo il suo nome » quasi ringhiò in risposta. « Non dopo quello che hai fatto. Non dopo il modo in cui ti sei comportato ».
Dopo che ebbe pronunciato quelle parole l’aria cambiò sensibilmente. Il volto di Hayama si fece pallido, marmoreo. I suoi occhi di ambra si avvinghiarono ai suoi, cercandoli dietro le lenti scure.
« Questi non sono affari tuoi » rispose secco e conciso. « Dimmi che cosa sei venuto a fare e poi sparisci ».
Una vena pulsò sulla tempia di Rei.
Sei rimasto tale e quale a quando eri un bambino. Piccolo moccioso arrogante, persino adesso che sei in torto marcio ti dai delle arie.
« Che cosa sono venuto a fare, Hayama? Non è stata Sana-chan a mandarmi, mi dispiace informarti che è stata una mia iniziativa. Cercavo di capire che razza di persona sei e – se mai ne avessi avuto bisogno – ho appena ottenuto l’ennesima conferma ».
Un lampo di incomprensione attraversò i lineamenti di Hayama prima che tornasse alla solita inamovibilità.
Possibile che non abbia ancora intuito che ho scoperto tutto?
« Smetti di fingere, Hayama, sappiamo entrambi che stai…»
Il rumore, assordante e ripetitivo del telefono, lo interruppe. Afferrò il cellulare, degnando Akito di uno sguardo di puro disprezzo. Era tentato di rifiutare la chiamata ma cambiò idea quando vide che il numero era quello di Kamura.
Si portò il telefono alle orecchie, ascoltando in silenzio quello che aveva da dirgli. Quando chiuse la conversazione il suo sguardo era sicuramente cambiato visto che perfino Hayama notò la differenza.
« Che succede? » gli chiese.
Rei lo fissò, la rabbia evaporata in un istante.
« Si tratta di Sana. Si è sentita male sul set ».
 
 
Note:

 

  1. “Che tu sia per me il coltello” è il titolo di un libro di Grossman.

 
 

 
 
Ciao a tutti!
Ormai siete abituate ai miei ritardi cronici, quindi non vi stupirete di vedere alla fine il mio aggiornamento u.u
Questo capitolo è scritto in modo un po’ diverso dal solito, con l’altalenarsi di Rei-detective e delle riflessioni dei due traditori. Rei ha tratto le sue conclusioni, dite che è stato troppo affrettato o che ci ha preso? >.< Quanto al riferimento al detective privato nel manga, Rei mette davvero una detective alle calcagna di Akito e questo la ferma e le chiede perché sono giorni che lo pedina.
Non so ancora bene quanti capitoli avrà la ff ma direi che abbiamo superato abbondantemente la metà. Passo adesso ai ringraziamenti.
un miliardo di grazie a: Pan17, ryanforever, sabry92, jeess, 111ros, vale89, ilapietro91,Dramee e I hate you che hanno commentato lo scorso capitolo.
Grazie anche alle new entries dei seguiti, preferiti, ricordati: per ogni dubbio sono a disposizione :D
un grosso bacio e a presto
Ely
 

 
 
 
 

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Capitolo 12
*** Sotto i riflettori ***


 



Ciao a tutti!
Visto che siamo a un buon punto nella storia, vi lascio un piccolo riassunto iniziale per riepilogare. Volevo inoltre ringraziare anticipatamente tutti i lettori: è banale ma senza i vostri incoraggiamenti avrei lasciato perdere la ff mesi fa e non posso che esservene grata. Ci vediamo nelle note a fine capitolo, un bacio e buona lettura! ;)


 
Sintesi dei precedenti capitoli:
 
I personaggi di Kodocha sono cresciuti. Sana è felicemente sposata con Akito, Naozumi convive con Fuka, Tsu ed Aya sono addirittura diventati genitori. Quanto a Rei, continua ad essere la guardia del corpo e il manager affettuoso della sua pupilla.
Ma questi equilibri vengono sconvolti da una notizia: Kurata è incinta. Rei va in panico e diventa improvvisamente iperprotettivo, trascurando Kurumi. Akito è terrorizzato dal timore che Sana possa fare la fine di sua madre e morire di parto, per questo le chiede di abortire. Quando questa rifiuta, decide di andarsene di casa.
Nonostante il dolore iniziale, Sana prova ad andare avanti e confida ai suoi amici la gravidanza. Ma oltre ad Akito, c’è un’altra persona ad essere sconvolta dalla notizia: Fuka Matsui. Anche lei aveva provato ad avere un bambino, scoprendo di essere sterile. La gravidanza dell’amica fa riaffiorare in un attimo tutte le sue insicurezze e la spinge a rifiutare la proposta di matrimonio di Naozumi e a prendersi una pausa.
Nel frattempo una misteriosa coppia di traditori si incontra di nascosto, cercando di soffocare dentro di sé il rimorso per quei continui tradimenti. Rei sospetta di Akito e si convince che questo abbia una relazione con Aya, infermiera nello stesso ospedale dove lui fa il fisioterapista. Sagami sta per affrontare Hayama a brutto muso quando una notizia congela entrambi: Sana si è appena sentita male nelle riprese del nuovo film che la vede come co-protagonista.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 

Sotto i riflettori
 

 



“L’attrice Sana Kurata in dolce attesa”
Colpi di scena sul set: malore della giovane star manda all’aria le riprese

 
Una notizia sconvolgente giunge dal cast “Detective per gioco”, film di prossima uscita che vede fra le star protagoniste Asako Kurumi e Sana Kurata. Proprio quest’ultima ieri ha messo in agitazione tutta la troupe, con un malessere improvviso quanto repentino. L’attrice, famosa in tutto il Giappone fin dalla più tenera età, è improvvisamente crollata a terra, preda di forti dolori addominali. Subito il cast si è precipitato a soccorrerla e fra essi anche Naozumi Kamura, legato a Kurata da uno stretto rapporto sul quale sono state fatte mille congetture.
Sana Kurata è stata immediatamente trasportata in ospedale e le prime indiscrezioni parlano di una gravidanza che l’attrice avrebbe voluto tenere nascosta ai suoi innumerevoli fan. Ma le sorprese non finiscono qui: mentre soccorreva l’attrice, pare che Kamura sia stato aggredito da un soggetto ancora da identificare. Nelle dichiarazioni rese ai nostri reporter, Kamura afferma essersi trattato di un incidente e che non è intenzionato a sporgere denuncia.
Ma molti punti oscuri della vicenda rimangono da chiarire. Kurata è davvero incinta?  E come mai Naozumi Kamura si trovava ad assistere alle riprese? Che fra i due ci sia qualcosa di più di quello che vogliono dare a vedere? Infine chi è questo misterioso assalitore?
È proprio il caso di dirlo: il cast di “Detective per gioco” avrebbe davvero bisogno di un investigatore per far luce su questa strana vicenda.
 
 
Correva come non aveva mai corso in tutta la sua vita.
Non gli importava dei pazienti, di Occhiali da Sole, dei passanti che lo fissavano come se fosse un pazzo.
Gli importava solo del suo sogno da ubriaco e dei ricordi confusi che aveva di esso.
Kurata che strabuzzava gli occhi e si stringeva le mani al ventre come se volesse proteggere la creatura che vi abitava.
Kurata che aggrottava la fronte e si mordeva il labbro inferiore per trattenere il gemito di dolore.
Kurata che soffriva, di nuovo.
Perché non sono con lei? Perché non ci sono mai quando sta male?
Si ritrovò con il volante tra le mani senza neanche sapere come. Sapeva dove era il set, era passato più volte a prendere Sana prima che quella gravidanza indesiderata scombussolasse tutto.
Ma non mi era mai sembrato così lontano.
Ingranò la marcia con gesti frettolosi, la frizione che grattava in protesta. Uscì dall’ospedale imboccando la strada a sinistra, nervoso come se avesse un demone alle calcagna.
 Kami, che idiota che sono. Me ne sono andato così, senza chiedere a Occhialini nemmeno se sapeva qualche dettaglio.
Il semaforo era indiscutibilmente sul rosso quando attraversò l’incrocio. Un paio di macchine suonarono in protesta e una inchiodò bruscamente. Le ignorò come se fossero insetti fastidiosi.
Non può essere niente di grave. È la solita bimbetta capricciosa. Non le bastava tenere quella cosa, doveva anche continuare le riprese per quello stupido film.
Le dita si strinsero intorno al volante in una morsa gelida. Aveva i brividi in tutto il corpo.
Non può essere niente di grave.
Se lo ripeté incessantemente, come un mantra. Una litania nella sua testa che gli dava la forza di rispettare le più elementari regole della strada ed evitare di tagliare per le aiuole o sfrecciare nelle aree vietate pur di raggiungerla. Pur di essere lì, accanto a lei.
Avevo promesso di esserci sempre, Kurata.
 Non con le parole, certo. Non sono mai stato bravo con quelle.  
Quando finalmente intravide il cartello degli studi televisivi non si curò di parcheggiare la macchina. Frenò bruscamente, accostandola appena al margine della strada e aprendo lo sportello con tanta forza da rischiare di scardinarlo. Alle sue spalle udì vagamente il rumore di qualche automobilista che si lamentava per la sua guida da pirata ma le parole erano coperte dal suono martellante del suo cuore.
La prima cosa che Hayama vide quando aprì la pesante porta metallica fu un gran caos di luci e persone urlanti. Attori, comparse e assistenti si erano stretti in un cerchio al centro della stanza, mentre il regista fissava la scena esasperato e con il copione ancora fra le dita.
Si fece avanti a spintoni, maledicendo dentro di sé chiunque si frapponesse fra lui e Kurata. Forse le ingiurie le disse anche ad alta voce, non avrebbe saputo dirlo. C’era solo Sana nella sua mente e il rombo di quel maledetto organo che sembrava gli pulsasse direttamente in gola. Dopo un tempo che gli parve infinito riuscì finalmente a farsi spazio.
Sana.
Il suo volto da bambina, con una delle sue buffe smorfie infastidite come se avere tutta quella gente intorno la disturbasse.
I suoi occhi di cioccolato, miracolosamente rilassati.
I capelli arruffati che sfuggivano dalla coda mezza disfatta.
« Kurata! »
Non si accorse neanche di averlo gridato. La sua voce era roca, ansiosa. Irriconoscibile.
Dove cazzo è andata a finire tutta la mia calma?
Lei si girò a fissarlo e solo allora ebbe modo di concentrarsi sui dettagli.
Era seduta sua una sedia, la schiena appoggiata a Kamura, inginocchiato al suo fianco. Hayama osservò le mani di Naozumi sfiorare la vita di sua moglie e il mostro della gelosia ruggì distintamente nel suo petto. Lo tacitò, precipitandosi al suo fianco.
Non ho tempo per queste cose ora. Non prima di essermi accertato che stia bene.
Si chinò su di lei, scrutandone ansioso il viso che passava rapidamente dallo stupore a… sollievo? Ansia? Difficile dirlo.
Eppure sei sempre stata un libro aperto per me, Kurata.
« A-chan? » lo chiamò con il soprannome che usava fin da quando erano piccoli. Involontariamente un brivido di emozione gli attraversò la schiena. « Che cosa ci fai qui? »
La domanda giusta è che cosa ci fa luiqui.
I suoi occhi si appuntarono sul damerino. Se avesse potuto avrebbe spezzato una per una le dita che ancora indugiavano sul fianco di Kurata.
Perché lui c’è. C’è sempre stato, ogni singola volta che Sana ha avuto bisogno.
Naozumi decise di intervenire, guardando nella sua direzione come si guarderebbe uno scarafaggio.
« Sì, infatti. Ho chiamato Rei, non tu » disse con una smorfia di disprezzo.
Akito chinò appena il capo in modo che la frangia, troppo lunga, arrivasse a coprirgli gli occhi. Non voleva che Kurata scorgesse la gelosia violenta che vi turbinava dentro.
Perché lui sarebbe stato sicuramente una scelta migliore di me.
« Togliti di torno » rispose brusco.
Il damerino spalancò la bocca per lo stupore. Probabilmente era troppo abituato ad essere adorato e vezzeggiato per aspettarsi un simile trattamento.
« Come, scusa? »
« Hai sentito bene » ribadì tornando a fissare sua moglie che aveva lo sguardo vacuo e smarrito di chi non capisce bene la situazione. « Sono quanto di più simile a un medico ci sia nei paraggi e voglio accertarmi delle sue condizioni. Non posso farlo se mi stai fra i piedi ».
Forse fu il fatto che ancora indossava il camice da lavoro a convincerlo. O forse l’occhiata implorante e stanca di Kurata. Fatto sta che Naozumi indietreggiò di alcuni passi, una smorfia di disappunto ad incurvargli verso il basso le labbra.
« Che cosa è successo? » chiese Akito.
Il suo tono era mutato di nuovo, da freddo ed imperioso a basso ed incerto. Con l’indice sfiorò la sua guancia, ancora incredulo di trovarla lì, cosciente ed apparentemente in salute. Un sorriso sbocciò istantaneamente sul volto di Kurata mentre si appoggiava alle sue dita.
« Non saresti dovuto venire. Non è stato niente, davvero ».
« Che cosa è successo? » ripeté scrutando ogni centimetro della sua pelle.
Sana sbuffò, facendo svolazzare un ciuffo che le ricadeva sulla fronte.
« Kami, che testone! Ho semplicemente avuto una fitta, una specie di contrazione, non so, e mi sono spaventata » un leggero rossore le colorò le guance. Proseguì, abbassando la voce: « Ovviamente è troppo presto, non sono nemmeno al quinto mese… »
« Ecco, appunto, si può sapere perché tutto questo trambusto per un semplice mal di stomaco? Le riprese sono ferme da mezz’ora, addirittura avete chiamato un medico apposta, non è il caso di continuare? » sbottò il regista sull’orlo di una crisi di nervi.
Un silenzio teso seguì quelle parole. Furono le parole, nette e concise, di Kamura ad interromperlo.
« Kurata è incinta ».
Lo disse con naturalezza – quasi stesse parlando dell’ingaggio per il suo prossimo film - ma fu come se avesse scatenato un uragano.
Un brusio concitato iniziò a serpeggiare tra la folla. Hayama notò un paio di attrici strabuzzare gli occhi, un assistente schizzare via con il cellulare in mano e il regista quasi lasciar cadere il copione a terra per lo stupore.
« Lei…COSA? » si sgolò mentre la folla si faceva ancora più pressante.
 La osservano come se fosse un animale da esposizione.
Si voltò verso Sana, certo di trovarla infastidita. Quello che non sia aspettava era di vedere il suo viso arricciato per la rabbia.
« Perché hai fatto una cosa del genere? » soffiò minacciosa verso il damerino.
Kamura sostenne il suo sguardo, neanche un briciolo di rimorso ad ombrare i suoi tratti delicati.
« Era ora che i tuoi fan scoprissero la verità, non credi? » rispose abbozzando un sorrisino.
Hayama sentì distintamente Sana irrigidirsi al suo fianco, mentre un’attrice dalla chioma bionda platino tentava di avvicinarsi e recitare la parte dell’amica premurosa. Kurumi provava a trattenerla e convincere la folla a lasciare loro spazio, ma sembrava un’impresa sempre più disperata.
Intanto lo sguardo nocciola che Sana appuntava su Naozumi era uno sguardo adirato ma anche ferito.
Sei sempre stata una testona, Kurata. Possibile che tu non riesca a capire che vuole solo proteggerti?
« Aspettami in macchina » le sussurrò all’orecchio.
Lei si voltò a guardarlo come se avesse parlato in una lingua aliena.
« Come? »
« La mia macchina è proprio qui davanti » ripeté passandole le chiavi. « Entra e aspettami dentro. Ci metterò un attimo » aggiunse fissando Kamura.
« E perché dovrei venire con te? Le riprese non sono ancora finite ed io… »
La interruppe, faticando a mantenere la calma.
« Pensi di poter continuare a recitare dopo esserti sentita male? Fai come ti ho detto, ti porto in ospedale per un controllo ».
Le lesse negli occhi la voglia di ribattere. Sua moglie non era una persona che faceva quello che le si diceva senza discutere.
« Per favore ».
Lo aggiunse in un soffio, senza fissarla negli occhi ma fu sufficiente a far evaporare l’irritazione di Kurata. Lo fissò per un lungo, interminabile, istante poi si alzò e ancora titubante si avviò all’uscita.
Fu solo dopo essersi assicurato che avesse varcato la soglia che i suoi occhi si posarono di nuovo su Naozumi. Il damerino aveva osservato la scena senza battere ciglio.
« Ho dovuto farlo. Fosse stato per Sana, avrebbe cercato di nascondere la sua gravidanza per chissà quanti mesi ancora. Il regista deve sapere che non può reggere tutto questo stress ».
« Lo so ».
So che non le faresti mai del male.
Quello inarcò le ciglia.
« Allora perché sei rimasto indietro? »
Dovrei ringraziarti per quello che fai. Dovrei ringraziarti per come le stai accanto.
Dovrei ingraziarti perché provi ogni volta a colmare il vuoto che io lascio nella sua vita.
« Stai alla larga da Kurata ».
Secco e conciso come tutti lo accusavano sempre di essere.
Peccato che io non riesca mai a fare la cosa giusta.
Naozumi spalancò gli occhi cerulei, senza riuscire a trattenere lo stupore.
« Prego? » sbottò aggrottando la fronte.
« Voglio che tu la lasci in pace » ribadì sentendosi la persona più egoista del mondo.
Ma non posso tollerarlo. Non posso vederti accanto a lui, non posso vederlo fare le cose che io dovrei fare. Non ce la faccio, Kurata.
Il damerino irrigidì la schiena e lo fissò con malcelato disprezzo.
« Non accetto ordini da un codardo che ha abbondonato sua moglie al quinto mese… »
Non riuscì a finire la frase. Il pugno lo colpì preciso proprio al di sotto dello zigomo, sbilanciandolo all’indietro. L’attrice bionda che prima cercava in ogni modo di parlare con Kurata si portò le mani al viso e si produsse in un urletto isterico.
Non gli importava. Le dita della mano destra gli formicolavano e l’adrenalina scorreva veloce nelle vene. Quanto tempo era che aspettava quel momento?
Dalla prima volta che ho incrociato il suo sguardo, probabilmente.
Il damerino si era tirato su, la pelle già arrossata per il colpo, un’espressione di autentico shock sul suo bel faccino.
Hayama si voltò, avviandosi a passo indifferente verso la macchina. C’era una piccola parte di lui che gli suggeriva che si era comportato come un idiota immaturo, ma non era abbastanza forte da farlo tornare sui suoi passi.
Perché io sono il cattivo ragazzo, Kurata. Quello che fa sempre la scelta sbagliata.
Per quale cazzo di motivo ti ostini a scegliere sempre me, Sana?
 
 
***
 
 
Sana si svegliò con uno spiacevole cerchio alla testa.
Impiegò alcuni minuti a riconoscere la sua camera da letto e a ricordare come aveva fatto ad arrivare fin lì.
Akito.
Come sempre fu lui il suo primo, irrazionale pensiero.
Ricordava che era venuto a prenderla agli studi, che era voluto rimanere indietro per parlare con Nao. Con un gesto di fastidio scalciò lontano le coperte, tirandosi a sedere di scatto. Il gesto di Kamura l’aveva lasciata allibita.
Mi fidavo di te, Nao. Come hai potuto tradirmi proprio tu che sai quanto è orribile essere dati in pasto ai reporters?
Sospirò, gettandosi all’indietro fra i cuscini spugnosi. Sfiorò con l’indice la lieve, quasi impercettibile, protuberanza del ventre, mentre una lacrima solitaria le rigava il volto. Il tradimento di Naozumi non era la cosa peggiore che le fosse successa quel pomeriggio.
Socchiuse gli occhi, sforzandosi di rivivere il viaggio in macchina, con un Akito ancora più silenzioso e cupo del solito, e la visita del dottore.
 
« Purtroppo le devo dare una brutta notizia, signora Hayama ».
Aveva esordito così, con fra le mani quella sua cartella piena di parole incomprensibili. Per un attimo si era sentita vacillare e si era pentita di aver costretto Akito ad aspettarla fuori.
« La sua gravidanza potrebbe presentare delle complicazioni. Ho fondate ragioni di sospettare che il bambino potrebbe nascere prematuro. Se osserva attentamente il collo dell’utero potrà notare che… »
Il resto delle parole si era perso nel vuoto. Non le interessavano le spiegazioni scientifiche, né i termini tecnici.
« Rischio di perdere il mio bambino? È questo che sta cercando di dirmi, dottore?»
Le mani quasi artigliavano la stoffa del vestito tesa sul ventre. Un guizzo di umanità attraversò i tratti del medico.
« Le percentuali di bambini che sopravvivono nonostante il parto pretermine è molto buona. E non è detto che questo sia il suo caso ».
« Capisco ».
Non capiva affatto, invece. Non vedeva perché il destino la voleva sottoporre a quella nuova, terribile, prova. Una parte di lei, la dodicenne con i codini sparati in testa, avrebbe voluto urlare tutta la sua indignazione. Ma era un'adulta adesso e un’attrice. Per cui aveva tutto dentro di sé. Il tremito alle mani era stata l’unica cosa che non era riuscita a controllare.
« Signora Hayama, la cosa più importante adesso è che lei stia tranquilla. Intensificheremo i controlli e le raccomando un riposo assoluto, non deve compiere nessuna attività faticosa o stressante…».
Aveva sussultato, punta sul vivo.
« E il mio lavoro? Che cosa ne sarà del film? »
Non potevano toglierle anche quello. Recitare era l’unica cosa che riusciva a calmarla, la sensazione di immergersi in un altro ruolo, in un’altra vita, era il solo palliativo che conosceva per la dolorosa assenza di Akito.
Il dottore si era accarezzato i baffi, in un gesto pensieroso.
« Immagino che se per lei è cos’ importante, potrà continuare…»
A quelle parole aveva emesso un malcelato sospiro di sollievo.
«… ma non potrà lavorare più di un tot di ore al giorno e con frequenti riposi. Il questo momento deve mettere la sua carriera in secondo piano… »
 
Il rumore della porta che si socchiudeva la riscosse dai suoi pensieri.
« Si può? Dormi, Sana-chan? »
La voce timida di Tsuyoshi si infiltrò nella stanza. Si tirò a sedere, scuotendo il capo e sforzandosi di pronunciarsi in un sorriso credibile.
« Entra pure, Tsu ».
Lo osservò accostare la porta e sedersi sulla sponda del letto. Si sistemò gli occhiali, come sempre quando era nervoso, prima di esordire balbettando leggermente:
« La signora Kurata mi ha detto che ti stavi riposando ma che non ti avrei disturbato… In realtà ha detto che potevo svegliarti se dormivi, perché tanto fra poco sarebbe stata pronta la cena e…»
« Va tutto bene » interruppe il suo flusso continuo di scuse. « Stavo solo pensando ».
« Uhm » mormorò giocando con la federa del cuscino. « E adesso come ti senti? Aya non è potuta passare perché era stanca e doveva guardare i gemelli ».
Sana deglutì. Gli angoli della labbra le tremarono mentre rispondeva con leggerezza:
« È stato solo un lieve malore. Ma sto bene! Potrei scalare una montagna a mani nude se fosse necessario ».
Gli occhi di Tsu incontrarono i suoi dietro le lenti spesse.
« E Akito? Lui come ha reagito? »
Un nuovo sorriso, ancora più finto, mentre il tremito si spostava dalle labbra più in basso.
In mezzo al cuore, per la precisione.
« Be’, come al solito. Cioè, mi è venuto a prendere e mi ha accompagnato all’ospedale però non ha detto molto e dopo… dopo se ne è andato » concluse scrollando le spalle.
« Capisco ».
Lo sguardo di Tsu attraversò la stanza, come se fosse alla ricerca delle parole giuste.
« Lui ti ama ».
Lo disse così, senza la minima traccia di dubbio. Kurata non riuscì a trattenersi dal sussultare e fissare Tsuyoshi trattenendo il respiro.
« Sta malissimo per questa separazione, Sana-chan » sembrava avere trovato il coraggio ed adesso le parole fioravano dalla sua bocca come un fiume in piena. « Non lo vedo in queste condizioni da… be’ da quando aveva dodici anni, probabilmente. Lui ti ama è solo che ha paura. Sai, ancora si colpevolizza per la morte della madre e…»
« Basta così, Tsu » lo interruppe mentre un liquido caldo le scorreva lungo le guance. Sperava che il buio della stanza la aiutasse a nasconderlo, ma era sicura che se avesse sentito altro avrebbe iniziato a singhiozzare. « So perfettamente che Akito se ne è andato perché teme che io possa morire di parto ».
Tsuyoshi si dimenò a disagio sul letto, come se sentire a voce alta quelle parole lo innervosisse.
« Hayama è un idiota. Non succederà niente del genere e se tu potessi parlarci… Se vi chiariste…»
« Rischio di perdere il bambino ».
Non avrebbe voluto dirlo ad alta voce, ma non era riuscita a trattenersi. Il volto di Tsu passò da incomprensione ad una allibita sorpresa. L’avrebbe trovato comico se il tutto non fosse stato così disperatamente tragico.
« Cosa? »
« Me l’ha detto oggi il medico. Ha detto che è una gravidanza a rischio e che potrebbe nascere prematuro ».
Il motivo della coperta che aveva sulle gambe era un intreccio di rami e foglie. Si concentrò su di esso per non affrontare lo sguardo di compassione di Tsuyoshi.
« Kami, Sana-chan non ne avevo idea… e Hayama che cosa…»
Alzò la testa di scatto, inchiodandolo con lo sguardo.
« Lui non lo sa. Non deve saperlo, Tsu. Già si colpevolizza così. Riesci ad immaginare come si sentirebbe se gli dicessi una cosa del genere? »
Una smorfia contrita increspò le sue labbra.
« Dovresti dirglielo comunque, Sana-chan. Potrebbe essere la volta buona che quel testone apre gli occhi ».
Scosse il capo con veemenza, mentre un brivido la percorreva tutta.
« Non voglio che lo sappia. Prometti, Tsu ».
« Ma…»
« Prometti » ripeté decisa.
Lui chinò il capo in un gesto di resa.
« Come vuoi ».
Sana annuì con un sorriso stanco.
« Vorrei riposarmi ancora un po’ se non ti dispiace. Magari potremmo vederci un altro giorno? »
Tsuyoshi si alzò di scatto, con un’espressione ancora un po’ frastornata.
« Ma sì, certo, come vuoi ».
La salutò con un bacio sulla guancia e una stretta intorno alle mani.
« Andrà tutto bene, vedrai. Il figlio di due testoni come voi non può che avere un sacco di voglia di vivere » furono le ultime parole che le disse prima di uscire dalla camera.
Rimasta sola sorrise, scaldata da quelle parole. Si alzò in piedi, avvicinandosi alla finestra. Inspirò profondamente prima di scostare la tenda con un gesto deciso. Un istante dopo una decina di flash le aggredì la retina. La fila dei reporter sotto casa sua era persino più ampia di quello che temeva. Si rintanò velocemente nel buio della sua stanza, con un unico, demoralizzante pensiero in testa.
Adesso la sua gravidanza era sotto i riflettori.
 
 
 
Ciao a tutti di nuovo!
Allora come prima cosa, visto che quasi sicuramente non aggiornerò di nuovo se non dopo Natale, volevo fare tanti, tantissimi, auguri di buone feste a tutti i lettori di questa ff!
Quanto al capitolo, alcune precisazioni. Che la gravidanza di Sana sia a rischio non è una mia invenzione ma sempre qualcosa che trovate in Deep Clear. Lo stesso il fatto che nonostante questo lei continui a lavorare. Il rimanente, scazzottata compresa, è invece inventato di sana pianta.
Visto che alcuni personaggi sono rimasti un po’ al margine, nel prossimo capitolo mi piacerebbe dedicarmi a loro. Probabilmente troverete quindi un pov di Asako, Fuka o magari Nao, devo ancora decidere :D
Detto questo passo a ringraziare personalmente le persone che hanno commentato lo scorso capitolo <3: ryanforever, vale 89, I hate you, ilapietro91, jeess, lavinia77, _Silvia_Salvatore_, sabry92 e Dramee.
Di nuovo una valanga di auguri, mangiate tanti dolci e soprattutto godetevi le vacanze!
Un grosso bacio
Ely

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Capitolo 13
*** Ciò che fa più male ***


 



Ciò che fa più male

 

 

 

 

 

Caro Diario,
mi chiamo Sana Kurata e probabilmente sono troppo grande per tenere un diario. Be' Hayama dice che non sono mai cresciuta e che rimarrò una bambina anche a novant'anni quindi forse non è così strano quello che sto facendo.
Il fatto è che sono incinta e gli ormoni mi stanno annebbiando il cervello. A volte mi sento così sola e confusa che scoppio a piangere senza motivo. Forse dovrei smettere di scrivere queste sciocchezze Forse dovrei confidarmi con qualcuno. Ma i miei amici hanno tutti i loro problemi e non voglio essere la solita frignona un peso per nessuno.
Scuse. Sono tutte scuse. La verità è che i miei amici, con tutte le loro buone intenzioni, non sono in grado di colmare il vuoto che Hayama ha lasciato nella mia vita. È lui che vorrei accanto. E invece non lo vedo più dal giorno che sono svenuta sul set.

 

 

«Sana-chan è uscita mezz'ora fa per le riprese. Credo che ne avrà ancora per molto ».
Q
uel giorno l'acconciatura della signora Kurata era lievemente meno stramba del solito. Solo due trecce, legate intorno al capo con una spilla dai colori sgargianti e che dava l'idea di pesare come un macigno.
Fuka si sforzò di non fissarla troppo a lungo, credeva che a Misako quel genere di attenzioni non piacessero anche se vi era abituata.
« Magari potrei aspettarla qui, se non è un problema » propose con un pizzico di titubanza.
Un sorriso si dipinse sulle labbra di quella mentre indicava il divano.
« Accomodati pure. Gradisci un tè? »
Fuka si limitò ad annuire, mentre la signora Kamura spariva in cucina alla ricerca di Shimura. Senza un motivo apparente il cuore le batteva forte nel petto e doveva stringere forte le mani per impedire loro di tremare.
Quando tornò, la trovò quasi sepolta fra i cucini spugnosi con un sorriso tremulo sulle labbra e la schiena rigida come se avesse ingoiato un palo. Poco dopo Shimura si avvicinò con un carrello ricolmo di biscotti e con due tazzine colorate.
« Allora, Fuka-chan » esordì Misako portandosi la tazza alle labbra. « Di cosa volevi parlarmi? »
Un po' di tè le andò di traverso facendole provare la spiacevole sensazione di soffocare.
« Ehm, veramente sono solo passata a vedere come stava Sana... » rispose fissando Maro-chan che dormiva beato sulla sua spalla.
« Che assurdità » affermò quella continuando a sorseggiare placidamente il suo tè. « Un tempo una ragazza attiva e impegnata come te non avrebbe sopportato l'idea di attendere ore per una semplice chiacchierata fra amiche. Per non parlare del fatto che mi fissi come se fossi una di quelle pile di libri che devi studiare ».
Fuka sentì distintamente le guance andare a fuoco. Posò il tè sul tavolo, sperando di riuscire a contenere il suo imbarazzo.
« Io, veramente... » balbettò dandosi della deficiente.
Da quando ho le capacità di comunicazione di una bimba di cinque anni?
Da quando arrossisco e non riesco neanche a sostenere lo sguardo del mio interlocutore?
« Non c'è fretta, Fuka-chan. Prenditi pure il tuo tempo ».
La calma serafica di Misako era forse ancora più inquietante. Il silenzio si insinuò fra loro, interrotto saltuariamente dal rumore tintinnante del cucchiaino che sbatteva contro la porcellana della tazza.
O adesso o mai più.
Tirò un respiro profondo mentre le parole uscivano faticosamente dalle sue labbra:
« Io... io mi chiedevo... Ecco, non so, sicuramente non avrà voglia di parlarmene... »
« Chiedi pure sono come un libro aperto » la interruppe con una risatina soffocata « se non altro da quando ho iniziato a pubblicare autobiografie: non credevo di avere una vita così interessante da far vendere milioni di copie » concluse tirando soddisfatta la coda di Maro-chan.
«S-sì, certo ».
Quella era la conversazione più lunga che sosteneva con Misako da sempre.
Contando come è la madre, Sana è venuta anche troppo normale.
« Mi chiedevo se potrebbe descrivermi come si è sentita quando ha scoperto di essere... sterile ».
Fissava il bordo della tazza, incapace di sostenere il suo sguardo. Probabilmente la signora Kamura si sarebbe offesa, le avrebbe risposto che non erano affari suoi o avrebbe iniziato a farle tutta una serie di domande a cui non si sentiva pronta a rispondere.
Sto sudando e fuori non ci saranno nemmeno dieci gradi.
« Dunque » rispose quella dopo appena un attimo di esitazione. Non pareva particolarmente sorpresa, né tanto meno indignata. « Direi che la prima reazione è stata un netto rifiuto. Avere un bambino era una delle cose che desideravo di più al mondo ».
Fuka alzò il capo, scontrandosi con lo sguardo d'acciaio di Misako. Si chiese quanto coraggio servisse per parlare così tranquillamente di quella questione e se mai un giorno lo avrebbe avuto anche lei.
« Continuare a convivere con mio marito divenne praticamente impossibile. Una volta tanto, devo ammettere che non è stata colpa sua: con tutti i suoi difetti non mi ha mai fatto pesare il fatto di essere sterile. No, il problema era che non riuscivo ad accettare me stessa e a vedermi al pari delle altre donne. Fu in quel periodo che iniziai a portare queste pettinature così originali e colorate: volevo che tutti mi notassero, che tutti sapessero che ero diversa dalle altre e che mai sarei stata come loro » si interruppe, assorta nei suoi pensieri. Un sorriso lieve le dischiuse le labbra. « Era un comportamento infantile, adesso me ne rendo conto. Ma ero così arrabbiata con il destino che dovevo trovare un modo per urlare la mia indignazione ».
Il groppo in gola le rendeva quasi impossibile parlare.
« Ma allora perché indossa ancora questi copricapo? »
La mano di Misako salì a sfiorare i capelli, in un gesto lezioso.
« Perché trovo che accrescano la mia bellezza ed esaltino il mio collo sottile, no? »
Fuka si trovò a ridere, di un riso irrefrenabile e vagamente isterico.
« Se lo dice lei, Sensei ».
« Uhm. Ovviamente il fatto di aver adottato Sana è stato fondamentale perché aprissi gli occhi. Rimanere incinte non è l'unico modo per essere genitori, Fuka-chan. Reputo Sana mia figlia esattamente come se l'avessi partorita dal mio ventre. Per non parlare dell'indiscutibile vantaggio che non ti rovini la linea » aggiunse facendole l'occhiolino.
Matsui butto giù un sorso di tè chiedendosi se fosse quello a scaldarla o le parole della signora Kamura.
« La ringrazio. Mi è stata molto utile » asserì abbozzando un sorriso.
«Fuka, posso essere io a chiederti una cosa? Sei convinta che lasciare Naozumi solo perché non puoi dargli un bambino sia la scelta giusta? »
Sgranò gli occhi, la tazzina che tremava fra le sue dita.
« Come fa a sapere che...? »
Misako rise di quella sua risata squillante.
« Per la verità ho tirato ad indovinare » ammise. « A quanto pare ci ho preso, però ».
« Io... » annaspò in cerca delle parole. « Be' lei ha fatto altrettanto, no? » ribatté sulla difensiva. « Quando ha scoperto di essere sterile ha divorziato... »
« Mmm » estrasse dalla manica del kimono un ventaglio sgargiante e si iniziò a sventolare pigramente. « Le cose fra me e mio marito non andavano già da prima. Quella è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso, il fattore che mi ha dato la forza di adottare una decisione che era maturata in me già da tempo. Ma per te non credo che sia la stessa cosa ».
Lo sguardo di Misako era acuto, penetrante. Provava la spiacevole sensazione di trovarsi nuda, ogni sua più piccola debolezza esposta in bella vista.
« Sto solo cercando di fare la cosa giusta » esalò affondando le unghie nella carne delle cosce. « Per Nao voglio il massimo. Voglio che sia felice, che abbia tutto quello che desidera dalla vita. Anche quello che io non posso dargli ».
Inspirò profondamente. Dire quelle parole ad alta voce le era costato ogni grammo della sua determinazione.
« Capisco » sospirò Misako mentre il suo sguardo si faceva assorto. « Sai, Fuka-chan, è un errore che facciamo spesso quello di decidere per conto delle persone che più amiamo. Cercare di proteggerle ad ogni costo, persino da loro stesse ».
Matsui sussultò, aggrottando la fronte.
« Sta cercando di dirmi che sto sbagliando? »
« Sto cercando di dirti che forse questa scelta non spetta a te. Forse dovresti lasciare che sia Naozumi a decidere che cosa è meglio per lui e rispettare la sua volontà ».
Fuka distolse lo sguardo, incapace di sostenerlo oltre. Dentro di lei si agitavano un nugolo di emozioni confuse, un uragano di “se” e di “ma” che le stava facendo venire il mal di testa.
« Si è fatto tardi » esclamò alzandosi precipitosamente in piedi. « Mi sono appena ricordata che ho un impegno: passerò a trovare Sana la prossima volta ».
Misako non reagì, limitandosi a sventolarsi più forte.
« Fuka-chan? » aggiunse quando era ormai quasi alla porta.
« Sì? »
« Il tuo segreto è al sicuro con me ».
Matsui annuì, uscendo dal portone e chiudendoselo con un sospiro alle spalle. Inspirò l'aria fresca a grandi boccate, come se il suo cervello surriscaldato avesse un gran bisogno di ossigeno.
Ha ragione la signora Kamura? Sono un'arrogante a pretendere di scegliere al posto di Naozumi?
Si appoggiò all'uscio, fissando i sempreverdi con un'angoscia opprimente al petto.
Ma come posso starti accanto e fare finta di niente? Fa così male, Nao.
Faceva male sapere che non sarebbe mai potuta essere la donna perfetta.
Faceva male sapere che non avrebbe mai partorito un figlio con il colore assurdamente bello dei suoi occhi.
Ma ciò che fa più male è sapere che non sarò io a darti la cosa che desideri di più.

 

Caro Diario,
il mio umore è altalenante come quello di uno scoiattolo ubriaco! Che poi non so neanche se gli scoiattoli siano soliti ubriacarsi, ma di sicuro quando Maro-chan ha assaggiato un po' di sakè è schizzato avanti e indietro come impazzito. Ecco, gli ormoni della gravidanza mi fanno sentire proprio così: schizzata. Ho deciso che chiamerò mio figlio “Ormone” in ricordo di questa gravidanza assurda.
Per la verità dovrei essere felice di come stanno andando le cose. Nonostante il parere del medico, non mi sono più sentita male e le riprese procedono abbastanza spedite. A lavoro sono tutti più gentili, Rei è quasi asfissiante e alla fine ho perdonato Naozumi per quel brutto scherzetto.
L'unica nota stonata è Akito.

Di lui, nessuna traccia e è passata una settimana.

 

 La mano di Asako sfiorava il vetro della finestra, solcato da strisce sottili di pioggia.
Le era sempre piaciuto osservare il maltempo imperversare fuori sotto le protettive mura del suo camerino.
Eppure.
Eppure in quel momento non si sentiva confortata, nemmeno un po'.
Che sto facendo? È davvero questo quello che voglio dalla mia vita?
Quel pensiero era lì, annidato nella sua testa, come un tarlo fastidioso che le rosicchiava le sinapsi. Si era svegliata con quell'idea ed essa permaneva tenace, a volte si abbassava come una musica di sottofondo ma appena non aveva altro da fare, riaffiorava più martellante e rumorosa di prima.
Con un sospiro appoggiò la testa alla finestra, rabbrividendo per il contatto del vetro gelido.
Se doveva essere sincera con se stessa non era così che aveva programmato le cose. Da adolescente era così determinata da non esitare un attimo ad eliminare tutti gli ostacoli che si trovavano davanti alla strada per il successo. Allora era tutto chiaro, limpido come acqua sorgiva. Sarebbe diventata una star di fama internazionale entro i venticinque anni. Poi avrebbe ricercato Rei, un annetto per riassestare il loro rapporto, seguito dal matrimonio. Per i figli avrebbe aspettato un altro po', giusto il tempo di consolidare definitivamente il suo successo e potersi quindi prendere una pausa dal set.
...detta così sembra quasi che Rei sia un cagnolino che posso riprendermi quando voglio. Be', di sicuro ero una ragazzina viziata quando nutrivo questi progetti.
Peccato che le cose non fossero andate come si aspettava. Sagami si era rifatto una vita, aveva rotto con il passato, cancellandone le tracce. E quando era infine riuscita a ritrovarlo aveva dovuto fare i conti con lei.
Sana.
Era immaturo il fatto che ne fosse gelosa? Forse. Ma come era possibile non esserlo? Sara era un'attrice migliore, una persona migliore. Lei era la stronza che aveva lasciato crudelmente Rei e Kurata l'angelo buono che lo aveva salvato dalla miseria. Naturale quindi che adesso lui mettesse i bisogni di Sana davanti ai suoi.
Una piccola puntura, all'altezza dello sterno.
Naturale, certo. Non mi merito niente di più.
Ed eccolo lì, il piccolo tarlo che abitava la sua mente.
Forse non te lo meriti Kurumi-chan... ma di sicuro lo vorresti”.
Un bussare alla porta, impaziente.
« Asako, andiamo in scena fra cinque minuti! Ti aspettano nei camerini ».
Sussultò, accantonando quella vocetta fastidiosa. Il suo lavoro, in quel momento, era l'unica certezza.
Ciò che fa più male è chiedersi se era davvero questo che volevo dalla mia vita.

 

 

Caro Diario,
i giorni passano talmente veloci che fatico a tenerne il conto. Il pancione cresce, adesso è chiaramente visibile, anche se Naozumi continua a dirmi che sono magra come un'acciuga. Non sono mai riuscita a scoprire che cosa si sono detti lui e Akito e il pensiero mi disturba un po'.
Akito... Ormai sono più di quindici giorni che non lo vedo.
Siamo stati lontani molto più a lungo eppure mi sembra una distanza incolmabile. E se si fosse dimenticato di me? E se ci fosse qualcosa che non va? A volte ho il terrore che nemmeno dopo questa interminabile gravidanza lui possa tornare a casa. Mi chiedo come farei a vivere senza di lui e non riesco a darmi una risposta.

 

Gli acuti della tromba si perdevano nel silenzio della notte. Aveva la vaga impressione che i suoi vicini detestassero le sue strombettate serali, ma non poteva farci niente.
Suonare era l'unica cosa che riuscisse a distendergli i nervi quando era lontano dal palcoscenico.Premette il pistone con rabbia, soffiando l'aria nella bocchetta. Il livido sulla guancia era sparito da un pezzo eppure gli pareva ancora di sentire la pelle pulsare.
Quella bestia di Hayama.
Se ripensava alle sue parole gli montava il nervoso.
Con che faccia mi chiede di stare lontano da Sana-chan quando è stato il primo ad averla abbandonata? Come posso non vederla ora che ha più bisogno di me?
Un'idea fugace gli attraversò la mente, facendogli incurvare gli angoli delle labbra. Forse non era quella la verità. Forse non era Sana ad avere bisogno di lui, ma il contrario.
Per tutta la vita, aveva sempre avuto una figura femminile di riferimento. Nell'infanzia e nell'adolescenza quella figura era stata Kurata, nell'età adulta Matsui.
E adesso... pare che le abbia perse entrambe in un colpo solo.
La nota dalla tromba uscì talmente stridula e stonata da farlo rabbrividire. Poggiò lo strumento sulla ringhiera, passandosi una mano fra i capelli. Era freddo, il vento agitava i suoi capelli sparandoli in tutte le direzioni, eppure dentro si sentiva tremendamente accaldato.
Non ci sto.
Per lui prendere decisioni era sempre qualcosa di molto difficile. Era sempre stato riflessivo e talvolta si perdeva nei meandri dei “se” e dei “ma” che partoriva la sua mente al punto di rimanerne paralizzato.
Ma non in questo caso. Non quando stiamo parlando di due delle persone più importanti della mia vita.
Avrebbe continuato a frequentare Sana, alla faccia di karate kid. E soprattutto...
La mano si strinse intorno alla tasca, in un gesto quasi inconscio. Anche al di là del tessuto riuscì ad avvertire la consistenza del velluto che ricopriva la scatola con l'anello. Se lo portava in tasca, dal giorno in cui Fuka lo aveva respinto senza una minima spiegazione. Aveva paura a separarsene quasi come se ciò rendesse tutto più reale. Fuka non sarebbe diventata sua moglie, non avrebbe più messo piede in quella casa, né lo avrebbe sgridato con quel suo buffo accento di Osaka.
Un incubo.
Ma forse poteva ancora fare qualcosa per impedire che le cose andassero in quel modo. Forse avrebbe potuto mettere da parte l'orgoglio e provarci ancora.
Una spiegazione. Almeno quella me la devi, Matsui, dopo tutti questi anni passati insieme...
Le dita si strinsero intorno alla scatoletta in un gesto disperato.
Ciò che fa più male è il non sapere nemmeno perché non ci sei.

 

 

Caro Diario,
a volte vorrei che questo bambino non nascesse. Che rimanesse nella mia pancia per sempre.
È uno dei pensieri strambi sciocchi che faccio di solito. È solo che... se anche dopo che il bambino fosse nato Akito decidesse di non tornare a casa? Che scusa avrei allora per giustificare la sua assenza?

 

 L'odore della erba – fieno bagnato misto a rugiada – gli solleticava le narici. Non era una sensazione piacevole. Gettò uno sguardo distratto al parco e alle persone che correvano, infagottate in felpe pesanti e berretti improbabili. Fare sport non gli era mia piaciuto. Detestava il sudore, quella sensazione di affanno al petto, i muscoli che si contraevano per lo sforzo. No, decisamente non faceva per lui.
Meglio un buon libro e una sedia confortevole. Semplice, sicuro e soprattutto comodo.
Si sedette sulla panchina sgangherata, girando pigramente l'orologio intorno al polso. Aspettò, osservando le nuvole bianche che si dispiegavano nel cielo terso. Non occorse molto prima che la figura che stava aspettando apparisse all'orizzonte.
Akito Hayama.
A mezze maniche, nonostante le basse temperature. Con quel suo passo rabbioso, manco l'asfalto gli avesse fatto qualcosa. E quello sguardo, lo sguardo di quando aveva dodici anni e lei ancora non era entrata nella sua vita. Lo sguardo che sembrava voler bruciare tutto e tutti, a partire da se stesso.
Tsuyoshi si alzò in piedi, fermo vicino al percorso di jogging. Quando Hayama lo vide, il suo passo si fece meno baldanzoso.
So che non vorresti che fossi qui. Non vorrei esserci neanche io per la verità.
« Akito-kun » lo salutò sistemandosi la montatura degli occhiali.
« Tsu » replicò con un cenno del capo. « Sono un po' impegnato al momento ».
« Tu sei sempre impegnato » si lamentò blandamente. « Mi tocca tenderti gli agguati per riuscire a a parlare ».
Un guizzo di fastidio attraversò le iridi dell'altro. Abbassò la testa, la frangia troppo lunga gli nascose metà del viso.
« Dimmi quello che mi devi dire e lasciami riprendere la mia corsa ».
Tsuyoshi sospirò, osservando il petto dell'amico alzarsi ed abbassarsi affannosamente per il ritmo folle della corsa che si imponeva ogni giorno.
« Sediamoci un attimo, ti va? » propose indicando con un cenno del capo la panchina.
Hayama non replicò, limitandosi a sedersi.
« So che non ti va di discutere... » esordì mettendosi al suo fianco. « Per cui vado dritto al punto: quante settimane sono che non parli con Kurata? »
Quel nome produsse su di lui un effetto singolare. Akito si irrigidì, stringendo le mani fra di loro come se volesse stritolarle.
« Non sono affari che ti riguardano » rispose laconico.
Tsuyoshi sospirò.
Maledetto testone.
« Sì, invece. Sei il mio migliore amico. Lo siete entrambi ».
Hayama non replicò ma gli parve che la sua postura si ammorbidisse impercettibilmente.
È sempre stato un dramma capirlo. Servirebbe Sana-chan... giusto lei riesce a decifrare le emozioni di questo cretino.
« Rispondimi, Akito-kun. Quant'è che non vai a farle visita? »
« Ventiquattro giorni » esalò incerto.
Un soffio di vento gli aggredì la nuca scoperta, facendolo rabbrividire.
« E hai intenzione di andare avanti così ancora per molto? Fare persino i turni di notte in ospedale, correre fino a spremerti i polmoni e appostarti sotto casa sua senza aver il coraggio di premere il campanello come il peggiore degli stalker? »
Sapeva che provocare Hayama non era il modo migliore per ottenere delle risposte.
Chi sei tu per giudicare? sussurrò maligna una voce nella sua testa.
Come volevasi dimostrare quella che ottenne in risposta fu un'occhiata che avrebbe gelato l'inferno. Deglutì, aggiustandosi gli occhiali in un gesto nervoso.
« Scusa Akito-kun ma era ora che qualcuno dicesse le cose come stanno... »
« Tu non capisci ».
Non furono tanto le parole, quanto il tono a fermarlo. Hayama aveva distolto lo sguardo, appuntandolo sulle sue mani intrecciate.
« Inizia... inizia a vedersi » mormorò come sotto sforzo.
« Vedersi? Ma di che parli? » chiese confuso.
« Della pancia ».
« Oh » mormorò. « Be' è normale, ormai è quasi al sesto mese...»
« Tu non capisci » ripeté passandosi la mano sugli occhi. « Non sai cosa vuol dire vederla e sapere che quella cosa cresce nel suo ventre perché sei stato tu a mettercela. Vedere il suo passo sempre più pesante, sapere che vomita e deve sottoporsi a chissà quante analisi...»
Un brivido gli percorse la spina dorsale. Ricordava la gravidanza di Aya come se fosse stata ieri ma non rammentava di avere mai avuto dei pensieri così pessimistici al riguardo.
È anche una cosa bella...no?
« Non è detto che le cose vadano male! » esclamò nel tentativo di risultare incoraggiante.
Il silenzio che ricevette in risposta fu eloquente.
« Ok, mettiamo che tu abbia ragione.. Non pensi che sarebbe di grande conforto a Sana-chan sapere di averti accanto? »
« Conforto? » sputò Hayama con acredine. « Dover osservare ogni giorno la donna che ami stare peggio, sapere che è per colpa tua che si trova in quelle condizioni... Sapere... Sapere che sarà colpa tua se morirà... Io non riesco neanche a guardarla in faccia, Kurata, e tu mi chiedi di esserle di conforto? »
Quella volta non fu un semplice brivido, ma una sensazione di disagio che penetrò fin dentro le ossa. Distolse lo sguardo, sentendosi un perfetto idiota.
Ti ho giudicato male Akito-kun... Avrei dovuto capire che il peso che ti porti addosso è più grande di quello che pensavo.
Avvertiva il suo sguardo su di sé, freddo ed indagatore come granito. Si dimenò a disagio chiedendosi perché andava sempre a cacciarsi in quelle situazioni spinose.
Ho la mania di fare Cupido. E sai che dovrei averlo imparato che è meglio non mettersi in mezzo a questi due testoni...
« C'è qualcosa che mi devi dire, Tsu? »
Si irrigidì, trovando improvvisamente tremendamente affascinante l'orologio che portava al polso.
« No... perché? » chiese con voce che tradiva il nervosismo.
C'è solo il dettaglio che tua moglie potrebbe partorire prematuramente e i tuoi peggiori incubi avverarsi. Una cosa da niente.
« Conosco quello sguardo » rispose duro. « Parla ».
Era un ordine e fin da piccolo era sempre stato abituato ad obbedire quando Hayama parlava in quel modo. Ma non era più un bambino e aveva una promessa da mantenere.
Indugiò, combattuto.
Le cose sarebbero potute andare male. Era un'idea agghiacciante, che non voleva neanche prendere in considerazione ma... se fosse successo qualcosa a Sana o al bambino, se quello fosse stato l'ultima occasione per Akito di stare al suo fianco... A parti invertite avrebbe voluto saperlo.
Inspirò, prendendo fiato.
Perdonami Sana-chan.
« Ci sono delle complicazioni con la gravidanza. Il bambino potrebbe nascere prima del previsto ».
Si girò, fissando il profilo di Hayama. Non respirava e pareva che tutto il suo corpo fosse mutato in una statua di sale. Per un istante il silenzio si protrasse, a Tsuyoshi parve di sentire i suoi denti di scricchiolare fra loro.
« Devo andare ».
Furono le uniche parole che uscirono dalle sue labbra. Si alzò in piedi, le mani strette a pugno.
« Akito...»
Non gli rispose, rivolgendogli un unico, fugace, sguardo prima di riprendere la corsa con un passo che non sarebbe mai stato in grado di euguagliare.
Tsuyoshi rimase su quella panchina ancora per un po', chiedendosi che cosa avesse combinato. Aveva intravisto le iridi dell'amico solo per un secondo ma quello che vi aveva scorto non gli era piaciuto.
C'era il vuoto negli occhi di Hayama.

 

Caro Diario,
la pancia è sempre più prominente. Il dottore dice che ogni giorno in più è una vittoria, che più il bambino rimane dentro il mio ventre e più ci sono probabilità che nasca sano e riesca a sopravvivere. Io me lo ripeto tutti i giorni, che tutto andrà bene. Lo mormoro la mattina appena mi sveglio, fissandomi allo specchio. A volte funziona e riesco ad esorcizzare le mie paure. Altre...
Ciò che fa più male sei tu, A-chan. Sapere che ti sto infliggendo la stessa sofferenza che provo io e non poter smettere. Caro Diario sono proprio una lagna, vero? Forse dovrei smettere di stare qui al chiuso a deprimermi rimuginare, forse dovrei uscire... Sì, penso che farò così. C'è un posto in cui non vado da un po' e che mi manca...

 

Kurata chiuse il diario con un gesto deciso, superando in punta di piedi il salotto dove Rei guardava uno sciocco documentario in tv. Se l'avesse vista avrebbe insistito per accompagnarla e voleva andare da sola.
Il parco era vicino alla casa dei genitori di Hayama ed era da un po' che non andava da quelle parti. Natsumi aveva finito per tornare in America e suo padre l'aveva seguita, andando a vivere in casa con il marito di lei. Si chiese se Hayama li avesse anche solo vagamente informati di come andavano le cose fra loro: conoscendolo non c'era da escludere che avesse omesso ogni cosa.
Inspirò a piene boccate l'odore fresco dei pini, camminando a passo rilassato. Appena scorse in lontananza la sua meta, un sorriso le si dipinse sulle labbra.
Il gazebo era sempre lì, immutato nonostante il passare del tempo. In quel posto per la prima volta aveva visto Hayama come qualcosa di più di un compagno di classe arrogante e dispettoso, in quel posto lui aveva iniziato a rapirle il cuore e lì le aveva fatto la proposta di matrimonio più goffa del creato.
Un mese intero che non ti vedo, Aki... Mi si sta spaccando il cuore.
Scosse la testa, come per scacciare quei pensieri fastidiosi e avanzò verso il gazebo. Non era sola e quel pensiero la infastidì: per una volta che avrebbe voluto godersi quel posto in santa pace...
« A-chan? » mormorò mentre metteva a fuoco i contorni di quello che credeva uno sconosciuto.

 

 

 

 

 Ciao a tutti!
Scusate il ritardo, mi faccio perdonare con un capitolo che è bello lungo e molto introspettivo, spero risulti comunque scorrevole.
Con piccoli flash vengono esaminati i sentimenti dei vari personaggi in gioco, i pensieri di Sana si fanno sempre più deprimenti, non so se sono scaduta nell'OOC visto che lei è sempre allegra e solare, però penso che in un diario possa portare alla luce tutte le insicurezze che nella vita di ogni giorno si sforzerebbe di nascondere per non far preoccupare chi le vuole bene.
Passando ai ringraziamenti: grazie mille a ryanforever, ilapietro91, vale 89, jeess, Dramee, brenda the best, I hate you e sabry 92 che hanno commentato il precedente capitolo!
Non manca molto alla fine, ci stiamo avvicinando ;)
un saluto e un bacio
Ely 

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Capitolo 14
*** All'ombra del gazebo ***


 


All’ombra del gazebo
 
 





 

Aveva fatto il giro di tutte le stanze più volte.
Niente. Sana-chan non c’era.
Deve essere sgattaiolata via di nuovo. Quando capirà che se mi preoccupo è per il suo bene?
Si gettò sul divano con un sospiro stanco. Pulì le lenti scure, mentre un pigro raggio di sole filtrava dalla finestra e andava ad infrangersi sul tavolo di vetro. L’irritazione per il modo in cui la sua pupilla gli sfuggiva di continuo gli faceva voglia di prendere a pugni qualcosa.
Come quel bifolco di Hayama. In che condizioni mi sono ridotto…
Il pensiero di Akito gli provocò uno spiacevole nodo in gola. Dall’ultima volta che si erano fronteggiati in ospedale non aveva più avuto l’occasione di trovarsi a tu per tu con lui.
Balle. Avrei potuto recarmi in ospedale ogni giorno.
Eppure non lo aveva fatto. Il motivo era lampante e gli provocava piccole fitte di colpa all’altezza dello sterno.
Affrontarlo renderebbe tutto troppo reale.
Si massaggiò la sella del naso con un gesto stanco. Era quasi un mese che una domanda, sempre la stessa, martellava contro le pareti della sua testa.
Devo dirlo a Sana-chan?
Una parte di lui urlava che la risposta era ovviamente sì. Kurata aveva il diritto di sapere che razza di persona era suo marito. Aveva diritto di sapere che Aya non era l’amica dolce ed affettuosa che credeva e che gli occhi freddi di Hayama non nascondevano che lo sguardo di un traditore.
Dall’altra…
Dall’altra come faccio a dirle una cosa del genere? È bastato che lui si allontanasse di casa per ridurla a pezzi e già si affatica troppo con il lavoro. Il dottore ha detto di evitare ogni forma di stress.
Da lontano udì lo scalpicciare dei passi di Shimura e un tonfo sordo lo avvertì che la Sensei probabilmente era andata a sbattere contro qualcosa, come una parete. Per un attimo fu sfiorato dal pensiero di confidarsi con lei e chiederle un parere su cosa fosse giusto fare.
Lo allontanò con il gesto con cui si allontana una mosca fastidiosa.
Se non glielo dico è come se fossi complice di quel bastardo.
Se glielo dico, ciò potrebbe porre ancora più a rischio la sua gravidanza.
Si prese la testa fra le mani, in un gesto di stizza. Se questi erano i grattacapi che doveva affrontare un semplice manager, allora non sarebbe mai voluto diventare padre.
 
 
***
 
 
« Akito-kun? »
Sollevò la testa di scatto, percorso da una scarica elettrica. Per un istante pensò che si trattasse della sua immaginazione.
Kurata.
Era lei, senza alcun dubbio. Con un vestitino leggero e i capelli arruffati dal vento. E quei grandi occhi di cioccolata che parevano assorbire tutta la luce di quella giornata uggiosa.
Si ritrovò a boccheggiare come un pesce preso all’amo. Avrebbe voluto dire qualcosa di intelligente, ma gli sembrava che tutti i suoi neuroni fossero impiegati nello sforzo di ricordare come si faceva a respirare.
« Ah, be’… è un po’ che non ci vediamo, vero? » proseguì lei.
Cincischiava con la gonna e parlava mangiandosi le parole. Era sempre un po’ ridicola quando si trovava in imbarazzo.
« H-hi » rispose balbettando.
A quanto pare però io riesco a sembrare ancora più idiota.
Lo fissò come si può guardare uno che ha appena preso una botta forte in testa.
Non che la sensazione sia tanto diversa.
« Tutto a posto? » domandò arrotolandosi una ciocca mogano intorno alle dita.
« Certo » rispose automaticamente. « Che cosa.. che cosa ci fai da queste parti? »
Kurata arrossì, due punta di rosa sul viso bianco. Hayama si sforzò disperatamente di non guardare più in basso, come se non ci fosse niente da vedere dal collo in giù.
« Io… ah… Ero uscita per fare una passeggiata » mormorò alla fine. « Posso andare da un’altra parte, però ».
Gli ci volle un attimo per recepire quelle parole.
« No! » esclamò prima di nascondere gli occhi sotto la frangia. Erano settimane che non la vedeva così da vicino. « Puoi.. puoi rimanere se vuoi ».
Un sorriso incerto affiorò alle sue labbra. Si sedette sulla panca a qualche metro di distanza. Il vento giocò con i suoi capelli, accarezzandole la faccia.
Gelsomino. Era l’odore del suo shampoo e ne sentiva le narici invase.
« È una bella giornata, vero? » proseguì lei nel tentativo di risultare amichevole.
Tempo. Dopo settimane aveva l’occasione di parlarle e… stavano discutendo del tempo.
« Non devi fingere che vada tutto bene, Kurata ».
Lei lo fissò, inclinando appena la testa di lato.
« Di che parli, A-chan? »
Scrutò il cemento grigio ai suoi piedi, provando a dominare le emozioni che gli imperversavano dentro.
« Della gravidanza. Tsuyoshi mi ha detto tutto ».
Lei non rispose e il silenzio scivolò piano fra di loro fino a diventare qualcosa di intollerabile. Si fece forza e alzò la testa, abbracciando la sua intera figura, anche il ventre prominente che di notte popolava i suoi incubi.
Sana era pallida e lo guardava con un lampo di terrore negli occhi scuri.
« Non… non volevo che… Kami, penso che lo ucciderò… » balbettò alla fine.
Sorrise, ma si vedeva che era un sorriso finto, di quello che avrebbe potuto dedicare alle telecamere e che forse avrebbe fatto sospirare qualche fan.
Ma non certo me. Ti devi impegnare di più per fregarmi.
« Be’, come dice il detto, mai piangere sul latte versato » proseguì parlando a macchinetta. « Certo, non avrei voluto che tu lo sapessi così, ma in fondo non c’è di che preoccuparsi. Non mi sono più sentita male da quel giorno sul set, io sono forte, il bambino è forte… Ecco, non te l’ho detto perché in fondo non c’è niente da sapere, andrà tutto a meraviglia! »
La interruppe, prima che la sua parlantina lo stordisse ancora di più. Il suo braccio scattò a circondarle le spalle, annullando la distanza fra loro. La sentì sussultare e irrigidirsi per un attimo. Un angolo confuso della sua mente gli suggerì che forse stava sbagliando, di nuovo, poi i piccoli pugni di Kurata si strinsero intorno alla sua T-shirt mentre quella nascondeva il viso nell’incavo della sua spalla. E il fatto di sentirla così vicina, viva e pulsante, gli annebbiò completamente la mente.
« Sei arrabbiato? » mormorò a voce così bassa che faticò a distinguerla.
« No » rispose. « All’inizio » si corresse dopo un secondo di esitazione.
« L’ho fatto per non farti preoccupare » bisbigliò ancora con una voce così esitante da non parere nemmeno la sua.
Kurata sembra quasi…dolce. Lei che di solito si comporta da maschiaccio e non fa che urlare e riempirmi di pizzicotti.
Decisamente gli ormoni della gravidanza le stanno scombussolando il cervello.
Il che non spiegava perché lui avesse così difficoltà ad articolare un pensiero coerente.
« Non devi proteggermi » rispose più duro di quello che avrebbe voluto. « Dovrei essere io a farlo… »
Si interruppe, il rombo sordo del suo cuore che gli pulsava nelle orecchie.
Sana alzò il mento, fissandolo negli occhi.
Vicina.
Era così tremendamente, spaventosamente vicina. Tanto da elettrizzarlo, da fargli vibrare ogni centimetro di carne che la sfiorava. Affogò nelle sue iridi scure, faticando a trattenere l’impulso di sfiorarle la guancia.
« … Ehm, mi stai ascoltando Akito? »
No, per la verità no. Sono troppo concentrato a trattenere l’impulso di chiuderti al bocca con un bacio.
« Sì » mentì invece con voce indifferente.
Kurata gli lanciò un’occhiata perplessa, sbuffando.
« No, che non lo stai facendo. Pensi che non me ne accorga? » lo rimproverò imbronciandosi. « Dovresti imparare a prestare attenzione quando le persone ti parlano! »
Nascose gli occhi sotto la frangia, fissando un punto imprecisato alle sue spalle.
« Dovrei fare tante cose, ma pare che non ne sia all’altezza » mormorò cupo.
La sensazione di soffocamento non accennava a diminuire. Si sentiva spaccato in due, come se delle funi si aggrovigliassero intorno al petto, tirando in direzioni opposte.
Da un lato Kurata e la famiglia che avevano faticosamente costruito insieme.
Dall’altro le ombre del suo passato, gli incubi che lo tormentavano tutte le notti.
Chiuse gli occhi per un istante, desideroso di annullare tutto quello che lo circondava, a partire dalla confusione che gli bruciava dentro. A riscuoterlo fu la mano di Kurata che, esitante come se non fosse sicura nemmeno lei di quel gesto, si posava sulla sua.
« Guardami, A-chan ».
Per un attimo pensò che non ci sarebbe riuscito.
Vigliacco.
Alzò il viso con lentezza, fissando lo sguardo deciso di lei. Ogni traccia di ilarità sembrava avere abbandonato  i suoi tratti.
« Non mi aspetto niente. So… so quanto è difficile per te starmi accanto ». La mano di Sana aveva iniziato a tremare. « Va bene così, Akito-kun, non stare a tormentarti ».
Un sorriso appena accennato agli angoli della bocca.
Gli occhi fiduciosi, aperti, da cui filtrava quel velo di tristezza che cercava di nascondere con le parole.
La bocca morbida che pronunciava quelle poche frasi che avrebbero dovuto farlo stare meglio e invece lo facevano sentire il viscido verme che era in realtà.
Ti amo, Kurata.
Lo pensò, ma non lo disse ad alta voce. Riuscì a trattenere quelle due parole fra le labbra, ma non a soffocare completamente quel sentimento. Come mossa da una volontà automatica, la sua bocca calò su quella di Sana, aggredendola febbrilmente. Fu un bacio lungo, disperato. Mentre la sentiva sussultare e poi abbandonarsi fra le sue braccia, mentre affondava le mani nella coltre profumata dei suoi capelli, ad Hayama sembrò di  emergere da una lunga apnea. Stringere Kurata era come riprendere di nuovo il fiato e l’ossigeno troppo a lungo sottratto gli bruciava nei polmoni.
Non avrebbe saputo dire dopo quanto la brama iniziale cedette il posto a un bacio più lento e delicato, che aveva il sapore agrodolce dell’ennesimo addio.
« Questo… questo non cambia niente » mormorò a corto di fiato.
Kurata lo fissò con gli occhi che brillavano.
« Ti sbagli. Sapere che credi ancora in noi cambia tutto ».
 
 
***
 
 
Fissò a lungo il portone, leggendo la targhetta accanto alla fessura per le lettere che ancora riportava i loro nomi.
Matsui Fuka.
Kamura Naozumi.
Trasse un respiro profondo, poi suonò prima che la sua insicurezza cronica finisse per farlo tornare sui suoi passi.
Quando se la trovò davanti, la sua mente registrò distrattamente alcuni dettagli della fisionomia di Fuka. Era pallida, magra – forse anche di più di come ricordava -, con delle brutte occhiaie sotto gli occhi. Lei lo fissò di rimando, la bocca aperta per la sorpresa.
« Voglio sapere perché » esordì senza nemmeno darle il tempo di riaversi dallo shock.
Però. Se non fosse che mi tremano le gambe, potrei anche sembrare deciso.
« N-Nao » bisbigliò Fuka passandosi le mano nervosamente fra i capelli. « Che cosa… come… Non mi aspettavo una tua visita » replicò nervosamente.
« Ti avrei chiamato ma non hai mai risposto alle mie telefonate » le fece notare caustico.
Con un certo compiacimento notò che era arrossita e strusciava i piedi per terra per l’imbarazzo.
« Uh, ecco… Non so bene che dire. Non sono molto in vena di conversazioni ultimamente » balbettò a disagio.
Naozumi inarcò un sopracciglio.
«  Allora? »
« Allora cosa? » gli rispose lei con lo sguardo vacuo di chi ancora non si rende bene conto della situazione.
« Mi fai entrare? »
« Oh » mormorò lei, gettando un’occhiata nervosa alle spalle. « Non credo che sia il momento migliore, sai. Ho un sacco di cose da fare… Magari potresti passare un’altra volta? »
Non lo guardava in faccia e si mordeva il labbro.
Avrebbe voluto prenderla per le spalle e scuoterla fino a farle urlare di smetterla. Farla arrabbiare o almeno innervosire. Tutto perché fosse di nuovo la donna energica che conosceva e non l’ombra di se stessa. Non le rispose, varcando la soglia con la forza e costringendola a farsi da parte.
« Ehi! » protestò indignata.
Per un fuggevole istante provò il piacevole tepore di essere di nuovo a casa. Poi ricordò il motivo per cui si trovava lì e quella sensazione benefica scomparve, mentre i suoi occhi si soffermavano su alcuni dettagli stonati della stanza.
I libri di diritto ammucchiati in ordine sparso sul tavolo della cucina, invece di essere riposti con ordine quasi maniacale nella libreria in noce poco distante. O il cartone di pizza appoggiato sul divano, in un precario equilibrio.
Aggrottò le sopracciglia, fissando Fuka con aria di scherno.
« Credevo che fossi contraria all’idea di mangiare schifezze ».
Se possibile, divenne ancora più rossa.
« Be’, come dici sempre tu, uno strappo alla regola una volta ogni tanto non ha mai ucciso nessuno » rispose cercando di darsi un tono. « Piuttosto sai che entrare in casa di altri senza il loro permesso contempla una violazione di domicilio? »
Arricciò appena le labbra, dedicandole uno sguardo intenso.
« Fino a poco fa questa era casa mia ».
Fuka incassò la testa nelle spalle. Nel vederla così, fragile in quel maglione grigio che le cadeva largo sui fianchi, Naozumi provò una fitta di colpa.
Ma dovevo dirlo, Matsui. Non puoi fuggirmi per sempre.
 « Fuka-chan.. » mormorò facendo un passo in avanti.
« Fermo » lo interruppe lei, incrociando le braccia sul petto. « Resta dove sei. Anzi meglio, vattene direttamente, non abbiamo niente da dirci…»
« Dobbiamo parlare, invece. Ho il diritto di sapere perché non vuoi più avere a che fare con me » replicò duro.
La compassione era scomparsa rapidamente come era sorta. Non capiva che cosa stava succedendo, né perché dal giorno alla notte la donna che amava si fosse trasformata in un’estranea.
Che cosa ho fatto di così terribile da farti allontanare così? E senza nemmeno accorgermene, per giunta.
« Ti ho detto che non ho spiegazioni da dare. Non voglio più stare con te, è un concetto così difficile da capire? » chiese con voce stridula.
Non lo guardava negli occhi, il suo viso era appuntato su un punto imprecisato nella parete spoglia alle sue spalle. Non avrebbe saputo dire se fosse il fatto che non lo fissava in faccia o le oscenità che sentiva uscire dalla sua bocca a dargli più fastidio.
« Si può sapere che accidenti ti prende? » sbottò trattenendo a fatica l’impulso di mettersi le mani fra i capelli.
Avanzò di un altro passo e i loro sguardi si incrociarono prima che Fuka arretrasse come terrorizzata.
« Fuka-chan! » esclamò riducendo la distanza fino a costringerla spalle a muro. « Guardami ».
Era come tentare di avvicinare un animale selvatico. Nonostante la distanza si fosse ridotta la sentiva sempre più lontana.
Matsui continuava ad evitare il suo sguardo. Le sollevò il mento delicatamente. Si accorse che tremava sotto il suo tocco.
« Puoi dirmi quale è il problema? Ho provato a rifletterci ma ti giuro che non capisco…»
Fuka socchiuse gli occhi e per un istante credette che lo avrebbe scacciato di nuovo.
« Io » rispose in un soffio prima di scoppiare in singhiozzi. « Sono io, il problema ».
Gli si gettò contro con un impeto che Naozumi temette che sarebbero finiti per terra. Il pensiero passò in secondo piano nel momento in cui realizzò di averla di nuovo fra le braccia.
Finalmente.
 « Shhh » mormorò accarezzandole la schiena. « Non devi nemmeno pensarle, certe cose ».
« Invece sì » rispose con la voce rotta dai singhiozzi. « Non posso darti quello che vuoi… »
« Shhh » ripeté socchiudendo gli occhi.
Non sapeva quale labbra fossero state a cercare le altre, né gli importava. Si ritrovò a sollevare il suo corpo esile fra le braccia e percorrere la stanza con una strana impazienza. La adagiò sul divano e il cartone della pizza si accartocciò sotto di loro. Fuka gli aveva allacciato le braccia intorno al collo e lo stringeva come se non volesse più farlo andare via.
Fa’ che sia così, ti prego. Fa’ che non mi mandi più via.
Pochi istanti dopo i vestiti caddero a terra e Naozumi, semplicemente, smise di pensare.
 
 
***
 
Se ne era andata.
Credeva che sarebbe stato lui a farlo, invece questa volta Kurata lo aveva anticipato.
Hayama rimase a lungo sotto il gazebo.
 Il sole era tramontato da un pezzo quando si riscosse da quel suo torpore. Eppure nell’aria aleggiava ancora l’odore dei gelsomini.

                                                                                                                                     
***
 

Fuka fissava il torace di Naozumi alzarsi e abbassarsi ritmicamente al ritmo del suo respiro.
Si era addormentato sul divano, come un bambino.
Che cosa ho fatto?
Si vestì alla rinfusa, attenta a non fare il minimo rumore.
Sto scappando. Di nuovo.
Il senso di colpa era simile a una spina nel fianco. Fissò un ultimo istante il viso rilassato di Kamura, i capelli scomposti che gli ricadevano sugli occhi, un braccio alzato come per ripararsi dalla luce della lampada.
Lui era bellissimo e lei tremendamente inadeguata.
Aveva la nausea e le pareva che le pareti le si stringessero attorno. Afferrò il cappotto e aprì il portone senza nemmeno infilarlo.
Mentre si inoltrava a caso per le stradine di Tokyo si chiese quanto ancora sarebbe riuscita a resistere prima di crollare miseramente al suolo.
 
 
 


Ciao a tutti!
Sono secoli che non aggiorno ma non mi sono dimenticata di questa ff. Capitolo un po’ strano, che parte in modo da far quasi sperare in un lieto fine e invece riporta al punto di partenza. Sorry per le false speranze, per farmi perdonare vi anticipo qualcosa del prossimo capitolo: ospedale. E non aggiungo altro u.u
Un grazie speciale a chi sopporta i miei ritardi e in modo particolare a: Pam17, ryanforever, jeess, ilapietro91, stupida_un_po, _Do not stop Believin, Dramee, brenda the best, sabry92 e Jecchan92 che hanno commentato lo scorso capitolo.
Un grosso bacio e alla prossima
Ely

 
 
 
 
 

 

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Capitolo 15
*** Ospedale ***


 



Ospedale







 

 

Il tempo a volte giocava brutti scherzi.
Fissava le mattonelle bianche per terra, chiedendosi se quell'attesa avrebbe mai avuto una fine.
Per la prima ora il suo sguardo era rimasto incatenato alla porta, senza nemmeno battere le palpebre. Poi gli occhi avevano iniziato a bruciare e non aveva più resistito.
Gettò uno sguardo al quadrante dell'orologio. Erano passati a malapena una manciata di minuti.
Sagami tornò a concentrarsi sulla sottile linea che faceva da divisione fra le mattonelle. A scadenze più o meno regolari di dieci minuti qualcun altro entrava a riempire la sala di attesa.
L'ultimo era stato Tsuyoshi e Rei aveva la brutta sensazione che in quello stretto corridoio l'aria non bastasse per tutti.
Sana-chan. Resisti, Sana-chan.
Lo avvertiva sotto le palpebre, quel pizzicore fastidioso che preannunciava il pianto. Non poteva permettersi di crollare così. Avrebbe dovuto fare forza alla Sensei o assicurarsi che Naozumi non svenisse da un momento all'altro. Il suo colorito pallido non preannunciava niente di buono.
Sono il suo manager. Dovrei essere quello che la tira fuori dai guai.
E invece si sentiva un bambino inerme, alle prese con qualcosa che non poteva combattere. Si girò verso Asako, seduta al suo fianco. Avrebbe voluto nascondere il viso nell'incavo del suo collo e non rialzarlo più.
L'ennesimo rumore di passi.
Si voltò verso la sala di ingresso e il suo corpo si irrigidì nel vedere chi varcava l'entrata. Prima ancora di rendersene conto era scattato in piedi.
« Dove credi di andare? » mormorò Rei a denti stretti.
 

 
Il tempo a volte giocava brutti scherzi.
Un istante prima si trovava negli studi televisivi ad invidiare Kurata per il modo spontaneo con cui rispondeva ai giornalisti. Lei quella semplicità l'aveva persa da tempo, se mai l'aveva avuta.
Un istante dopo era in ospedale con Rei seduto al suo fianco che aveva lo sguardo perso nel vuoto.
E Sana, dietro quella porta bianca, lottava sospesa fra la vita e la morte.
Sbatté rapidamente le palpebre ma fu inutile. Il flash di quello che era successo appena due ore prima le invase la retina, un film che si ripeteva nella sua testa senza che riuscisse a trovare un modo per fermarlo.
L'intervista con i reporter sarebbe andata avanti fino alle sei.
Erano tutti stanchi ma Kurata sembrava conservare la battuta pronta e un sorriso per ogni occasione. I giornalisti avevano una lista di domande infinite e tutti volevano parlare con lei, ignorando quasi il resto del cast.
Kurumi si era sentita messa in disparte e aveva dovuto combattere il mostro verde della gelosia. Un tempo era lei la protagonista e Sana la graziosa bambina che faceva da comparsa. Aveva pensato con perfidia che in fondo non fosse solo una questione di talento. Quello su cui i reporter desideravano davvero mettere le mani era qualche notizia nascosta sulla gravidanza. Infilavano sempre una domanda in qua e là su quel tema, sperando probabilmente di prendere Kurata in contropiede e strapparle una risposta.
Per questo, quando quel giornalista le rivolse l'ennesima domanda scomoda, lì per lì Kurumi scambiò l'espressione sofferente di Sana per fastidio.
« Quale sarà il sesso del bambino? »
Era stata la quiete prima della tempesta.
Kurata non aveva risposto, stringendo istintivamente il ventre. Asako ricordava confusamente di essersi precipitata per vedere come stava e di aver notato che visto da vicino il suo volto era tirato, costellato di piccole gocce di sudore.
« Cre-credo che mi si siano rotte le acque ».
Ed era stato l'inferno.
Rei che diventava pallido come un morto, la corsa folle in ospedale, il volto di Sana che si faceva più cinereo, il suo respiro affannoso. La telefonata alla signora Misakoe poi a Naozumi, Tsuyoshi, Fuka... a ruota tutti, tranne lui.
Una notizia del genere ad Hayama non si poteva dare al cellulare.
Era stato Tsuyoshi a dire che se ne sarebbe occupato ed aveva riattaccato prima che avessero il tempo di ribattere. Quando erano arrivati alle porte dell'ospedale, Kurata aveva smesso di lamentarsi ma Asako sapeva che non era un buon segno. Non lo era per niente.
Aveva osservato gli infermieri che si avvicinavano e la portavano via su una barella mentre dentro di lei una vocina ripeteva che era presto, troppo presto. Il settimo mese appena, non abbastanza per un parto sicuro.
I medici si erano radunati intorno a Sana e i loro volti erano seri, preoccupati. Poi quella porta bianca si era chiusa e un'infermiera si era posta davanti, impedendo loro di entrare.
« I medici faranno il possibile».
Era stata quella frase, unita alla linea dispiaciuta in cui si erano incurvate le labbra di quella che per la prima volta le aveva fatto dubitare che Sana ce l'avrebbe fatta.
Sotto la luce asettica dell'ospedale un'unica lacrima sottile rigò il volto di Asako.
 

 
A volte il tempo giocava brutti scherzi.
In quel momento, per esempio, a Sana sembrava di averne perso completamente la concezione.
Tutto era iniziato con un senso di malessere che aveva scambiato per stanchezza. Come sempre quando era insofferente, aveva iniziato a parlare a ruota libera, stordendo il cast e i giornalisti con frasi prive di senso compiuto. Non poteva farci niente: ridere e dire sciocchezze era il migliore antidoto che conoscesse per la depressione da be'... praticamente sempre. Non era un fuggire i problemi, ma semplicemente un modo per non farsi schiacciare da essi. Sua madre le aveva insegnato che a volte una risata aveva un potere terapeutico pari a quello di scatole di medicinali.
Per questo quel giorno aveva cercato di vincere la stanchezza che le pervadeva gli arti a suon di battute e sorrisi smaglianti. Era stato dopo un quarto d'ora di domande circa che aveva avvertito la prima fitta. Stupidamente aveva pensato di ignorarla, nella speranza che fosse l'ennesimo falso allarme.
Era un cosa imprudente, ne era consapevole, ma interrompere l'intervista per quel motivo sarebbe stato come dare in pasto ai reporter l'ennesima, ghiotta, chicca della sua vita. Per cui aveva stretto i denti e sperato che il tempo scorresse il prima possibile. Per un po' si era anche illusa di farcela. Ma poi di fitta ce ne era stata una seconda e poi una terza, a intervalli sempre più ravvicinati.
Era stata la quarta, però, che le aveva tolto il fiato e fatta barcollare davanti a tutti.
Ricordava quella spiacevole sensazione di bagnato fra le cosce e lo sguardo smarrito di Asako mentre le diceva che probabilmente le si erano rotte le acque. Il resto era una sequela confusa di suoni e immagini.
La testa le girava e a volte le cose perdevano i loro contorni. Quando si era accorto che faceva fatica a camminare, Rei l'aveva presa in braccio e portata di peso fino alla macchina.
Credeva di aver perso conoscenza a tratti perché il tragitto le era sembrato incredibilmente breve e le conversazioni dei suoi amici un mormorio confuso, simile al ronzio di una mosca nelle orecchie.
Arrivata in ospedale, un'infermiera dai tratti gentili aveva provato a rassicurarla, bisbigliandole che sarebbe andato tutto bene. Aveva cercato di sorridere, ma non era sicura di esservi riuscita.
E adesso si trovava lì, circondata da medici che le vorticavano intorno come tante api operaie. Attaccata a macchinari di cui ignorava la funzione, con la luce bianca e asettica del lampadario che le feriva gli occhi.
Non sembra la migliore delle situazioni.
Represse un singulto, mentre il corpo sussultava per l'ennesima contrazione. Aveva paura.
Una paura atavica, che le strisciava nel sangue e le faceva quasi rimpiangere il torpore di prima.
Aveva paura per sé e per suo figlio.
Aveva paura e l'unica cosa che vedeva appena chiudeva gli occhi era uno sguardo d'ambra, uno sguardo ferito e confuso per quello che stava succedendo.
Non voglio morire.
C'era ancora almeno un miliardo di cose che avrebbe voluto fare prima di lasciare questo mondo. Non voleva perdere Rei, mammina, i suoi amici. Non voleva perdere lui.
« Le sue condizioni sono critiche. Non possiamo aspettare oltre ».
La voce del medico era fredda, distante come se provenisse da un'altra galassia.
« Potremmo almeno farle un'anestesia... » propose una voce femminile.
Le parve di scorgere il volto del medico che aveva parlato per primo scuotere la testa.
« Non c'è tempo. Se non ci sbrighiamo il cordone potrebbe soffocare il bambino ».
Avrebbe voluto piangere, ma sentiva i condotti lacrimali secchi.
Kami, vi prego, fate che almeno il bambino si salvi.
Una parte di lei avrebbe solo voluto abbandonarsi al vuoto dell'incoscienza, l'altra lottava per mantenere a fuoco ciò che la circondava e rimanere presente. Avvertiva un gran vuoto all'altezza del petto, un vuoto da cui nemmeno il dolore delle contrazioni riusciva a distrarre.
Posso essere egoista, almeno per un momento?
C'era un nome che martellava nella sua mente, più forte della voce dei medici, più insistente del rumore dei macchinari elettrici, più penetrante della paura.
Akito-kun.
Ho bisogno di te, Akito-kun.
 

 
Il tempo a volte giocava dei brutti scherzi.
Hayama si era accorto che qualcosa non andava non appena aveva visto Tsuyoshi precipitarsi in casa sua.
E questo perché Tsu non correva, mai. Al più poteva dedicarsi a un passo veloce ma correre no, perché correre implicava sudare ed era una cosa che l'amico detestava. Invece quel pomeriggio si era precipitato dentro la soglia con il fiatone, come se avesse un'intera schiera di diavoli alle calcagna.
« A- Akito-kun » ansimò non appena gli aprì la porta.
Aveva il nodo della cravatta disfatta e i capelli arruffati. Si immobilizzò, fissandolo come se non sapesse bene come affrontarlo. Tutta quella fretta, per non sapere poi cosa dire.
« Devi venire con me ».
« Dove? » chiese diffidente.
Di nuovo quello sguardo schivo, come se Tsu stesse mentalmente contando le parole.
« Vieni e basta » mormorò alla fine. « Sana...»
Hayama quasi non si accorse della sua reazione. Le mani scattarono automaticamente, afferrando Tsuyoshi per il bavero della giacca e quasi sollevandolo da terra.
« Che cosa è successo a Kurata? » ansimò mentre un brivido sottile gli percorreva la spina dorsale.
Per un attimo Tsuyoshi parve troppo sorpreso da quella reazione per aprir bocca. Si limitò a fissarlo di rimando, gli occhi sgranati dietro quegli occhiali che sembravano fondi di bottiglia, il respiro ancora accelerato.
« Parla » ribadì facendo fatica a trattenersi.
Avrebbe voluto scrollarlo fino a fagli sputare fuori la verità.
È Tsuyoshi. È tuo amico fin dalla prima infanzia.
La voce della ragione era sempre più difficile da ascoltare. Quando quello finalmente si decise a rispondere, lo fece senza guardarlo negli occhi:
« Si trova in ospedale ».
La presa fra le sue mani si fece scivolosa. Il rombo che gli otturò le orecchie quasi gli impedì di udire il resto della frase.
« Sta... sta partorendo, Akito-kuyn ».
Vuoto.
Non avrebbe saputo dire se era svenuto o meno. Un istante prima quasi sollevava Tsu da terra, un istante dopo era scivolato contro il muro e le gambe sembravano incapaci di reggere il peso del corpo.
Tsuyoshi continuava a parlare, se ne accorgeva distrattamente.
« Akito-kun... Alzati, ti prego... »
Macchie confuse gli invadevano la retina e brividi di freddo gli squassava il corpo. Si sentiva come prosciugato di ogni energia, persino pensare si rivelava più difficile del previsto.
Sta partorendo.
« Akito, dobbiamo andare, per favore... »
Provò ad afferrarlo per un gomito ed issarlo. Hayama se lo scrollò di dosso senza sforzo, in modo brusco, meccanico.
Non voleva allontanarsi da quel muro. Gli pareva che fosse l'unica cosa che lo teneva ancorato a quel mondo, che se solo avesse provato a fare un passo la nausea che provava sarebbe diventata incontenibile e si sarebbe ritrovato carponi per terra a vomitare anche l'anima.
Sta partorendo.
I tentativi di Tsu erano sempre più disperati. Stava armeggiando con il telefono e la sua voce era salita di varie ottave.
« Non riesco a farlo ragionare... È sotto shock, non sono nemmeno sicuro che mi riconosca ».
Sì zittì, ascoltando una risposta che Hayama non poteva udire. Tsuyoshi annuì, stringendo il cellulare talmente forte che pareva volesse strangolarlo.
« Arrivo subito ».
Gli gettò un'ultima occhiata preoccupata, poi una sequela confusa di parole che probabilmente avrebbero dovuto rincuorarlo.
Non le ricordava, scivolavano dalla sua mente come tanti piccoli sassolini bagnati.
Sta partorendo.
Quasi non si accorse del profilo di Tsuyoshi che si allontanava.
Il muro alle sue spalle era freddo, doveva essere per quello che i brividi non lo abbandonavano e il suo corpo si tendeva come l'arco di un violino. Nella sua mente si affaccendavano pensieri confusi e ombre del passato, mentre la strana paralisi che lo aveva colpito sembrava non accennare ad andarsene. Solo il cuore si opponeva a quel torpore e batteva affannosamente, scadendo i secondi che passavano.
Il tempo era una linea che si arrotolava su se stessa, simile a un cane che si mordeva la coda. Era prigioniero in quell'oblio comatoso che non gli consentiva di percepire né il tempo né lo spazio che lo circondava.
Secondi, minuti, ore.
Sta partorendo.
Contava solo quello e la paura che gli stritolava le viscere con un artiglio ricurvo.
A riscuoterlo fu il rumore di passi che percorrevano il vialetto. La visione che gli andava incontro doveva essere un demone sorto direttamente dai suoi incubi.
Kurata.
« Akito-kun ».
La voce aveva un buffo accento di Osaka. Ci mise un attimo per mettere a fuoco la figura della giovane donna che aveva di fronte.
« Matsui ».
Quella si limitò ad annuire, stagliata di fronte a lui con gli occhi adombrati.
Che stupido che sono stato a scambiarla per Sana-chan.
Per il tempo di un respiro il fatto di vederla lo aveva ancorato alla realtà.
Ma non è lei. Non è mai stata lei, solo una che le assomiglia.
Socchiuse gli occhi, cercando di contenere la paura che adesso sì, si stava facendo sempre più prepotente. Quell'attimo di lucidità gli rendeva più difficile reimmergersi di nuovo nell'incoscienza.
Fuka si piegò verso di lui e l'odore di viole della sua pelle gli solleticò le narici. Poi gli mormorò all'orecchio una frase che gli rubò il respiro.
« Potrebbe morire, Hayama ».
La sua mano si chiuse intorno a quella di Matsui, in uno spasmo involontario. La sensazione era quella di affogare, senza avere niente a cui aggrapparsi.
«Io... non so cosa fare » gracchiò con voce rauca. « Non ce la faccio ».
« Non voglio convincerti a fare niente. Ma se non trovi la forza, potresti rimpiangerlo per tutta la vita ».
Quelle parole aleggiarono fra di loro, mentre qualcosa dentro di sé andava faticosamente a posto.
Issarsi in piedi fu faticoso, ma mai come fare il primo passo. Si sentiva come un bambino che stava imparando a camminare: tremulo, insicuro. Fuka lo sostenne, senza fare domande.
Un passo dopo l'altro, muoversi diventava sempre più facile fino a quando non si ritrovò a correre verso la macchina. Matsui non lo lasciò guidare e la piccola scintilla di razionalità che a tratti lo animava non poté che darle ragione: non sarebbe stato in grado di rispettare le più elementari norme di prudenza. Quando però la macchina fu parcheggiata nel cortile dell'ospedale, non attese altri incitamenti prima di precipitarsi da lei.
Kurata.
Ti prego, fa' che sia ancora in tempo.
Il corridoio era lungo, scivoloso. Quando infine vide quella porta bianca, per un attimo pensò che il suo cuore si sarebbe fermato. Scattò in avanti, schivando un'infermiera che lo fissava come se avesse bisogno di una camicia di forza.
Una figura ostile gli si parò di fronte, sbarrandogli il passo.
« Dove credi di andare? »
Rei Sagami pareva avere tutta l'intenzione di essere un nuovo ostacolo difficile da superare.
 
 
 



Ciao a tutti!
Eccomiiiii ^^ Spero che le vacanze siano andate bene e che abbiate mangiato tante uova.
Finalmente il tanto atteso momento del parto. Anticipo che il prossimo dovrebbe essere l'ultimo capitolo (penultimo se mi verrà troppo lungo) più un epilogo. Inutile dire che Rei ha tutta l'intenzione di togliersi qualche sassolino dalla scarpe.
Ringrazio chi ha commentato lo scorso capitolo: ryanforever, vale89, jeess, Dramee, brenda the best, sabry 92 e cucciola123. Un grazie ovviamente anche ai seguiti/ricordati/preferiti e a chi legge soltanto.
Un grosso bacio,
Ely
 
p.s. Nel caso voleste contattarmi, ecco la pagine fb:  http://www.facebook.com/media/set/?set=a.127091040814094.1073741829.100005395956983&type=1#!/alessia.bianchi.7165331 

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Capitolo 16
*** Contro il tempo ***


  

Contro il tempo
 
 
 
 



 
 

Era una sensazione strana.
Le fitte al ventre erano sempre più forti e frequenti eppure, chissà perché, il dolore sembrava scemare. O forse erano solo le sue energie a prosciugarsi e a renderle istante per istante più difficile tenere gli occhi aperti.
 
 

 
« Dove credi di andare? »
Sagami quasi non si era quasi reso conto di essersi alzato in piedi e di avergli sbarrato il passo.
L'odore di disinfettante dell'ospedale, la luce asettica che gli feriva la retina, tutto in quel corridoio contribuiva a minare il suo scarso autocontrollo.
E poi c'era lui, Akito Hayama. Quasi non aveva notato figura di Matsui che lo seguiva in silenzio.
Trovarselo davanti era la cosa peggiore e al contempo migliore che potesse capitargli in quel momento.
Peggiore, perché gli ricordava che per mesi aveva retto il gioco a quel viscido essere che aveva tradito Sana.
Migliore, perché finalmente aveva modo di incanalare la frustrazione che sentiva dentro. Poteva fare qualcosa, fosse anche solo spaccargli la faccia.
Hayama non rispose, fissandolo con uno strano sguardo allucinato. Aveva il fiatone e piccole gocce di sudore che percorrevano la linea del collo.
« Hai davvero una bella faccia tosta a presentarti qui, dove c'è anche la tua amante ».
Sputò fuori quell'ultima parola con acredine. Akito continuava a guardarlo in quel modo strano, quasi come se non fosse neanche pienamente consapevole di quello che stava succedendo, quasi come se...
Come se non mi riconoscesse.
Peccato che non basti così poco per impietosirmi.
« Fammi passare ».
Due parole in croce, in perfetto stile Hayama.
L'ira scorreva nel corpo di Sagami come un liquore tossico, mischiandosi al sangue. Si erano girati tutti a fissarli, ma non gli importava.
« No » replicò con aria di sfida. « Non hai nessun diritto di vederla ».
« Rei-kun... » provò ad intromettersi Asako.
La ignorò, mantenendo lo sguardo sul viso pallido di Hayama.
« Mi vergogno di averti coperto per tutto questo tempo ».
Per quanto calcasse il suo disprezzo, Akito non reagiva. Non pareva nemmeno recepire gli insulti che gli rivolgeva.
« Non so di cosa stai parlando. Ma non ho tempo da perdere con te ».
L'occhiata che gli lanciò era dura, adamantina. Era lo sguardo del piccolo teppista di strada che ricordava, lo sguardo di chi non ha più nulla da perdere.
Per un istante, Rei provò paura. Poi la rabbia tornò a coprire tutto, accecando la ragione.
Se fossi riuscito ad impedire questo dannato matrimonio, Sana non si troverebbe dietro quella porta bianca.
Lo sapevo fin dall'inizio che lui non era quello giusto per lei.
« Rei, che diamine... » si intromise di nuovo Asako, alzandosi in piedi.
Le labbra di Sagami si incurvarono in uno tsk di disprezzo.
« Dì loro quello che hai fatto » gli ordinò livido. « Avanti, confessa la tua tresca ».
« Ti ripeto che non so di cosa parli ».
La voce di Hayama era scesa di un tono, pareva il ringhio di un animale ferito. Contraeva spasmodicamente i pugni delle mani e tutto il suo corpo pareva scosso da fremiti.
Una parte di Rei credeva quasi a quelle parole. Non sembrava nelle condizioni di ricordarsi nemmeno il suo nome, figurati dargli le spiegazioni che cercava.
La abbandoni per sette mesi e ora vieni qui a fare la recita del maritino sconvolto.
Dopotutto, non era neanche certo di volerle delle spiegazioni.
« Molto bene, in questo caso sarò io a parlare » affermò conciso.
« Spostati. Non lo ripeterò di nuovo » mormorò Akito trapassandolo con sguardo metallico.
« Che cosa ti fa essere così nervoso esattamente? La paura per Sana-chan... o il fatto che stia per dire a tutti di te e Aya? »
Si mosse talmente velocemente che stentò ad accorgersene. Hayama scattò in avanti, più che intenzionato a travolgerlo o forse a stenderlo con il pugno che aveva sollevato. E così probabilmente sarebbe stato se non fosse stato per qualcosa che lo tirava indietro all’ultimo.
Non qualcosa, qualcuno.
Kamura.
Il colpo di Hayama mancò il bersaglio mentre Naozumi gli stringeva le braccia in una morsa, immobilizzandolo.
« Vai » bisbigliò questo e a Rei servì un istante per capire che non stava parlando con lui. « Che stai aspettando? Vai, ho detto » ripeté fissando Hayama dritto negli occhi.
Non sapeva cosa stava succedendo e Akito, se possibile, sembrava ancora più confuso di lui. Guardava Naozumi di rimando, il pugno ancora sollevato, lo sguardo di chi non è abbastanza lucido da fare due più due.
Forse avrebbe dovuto ringraziare Naozumi per aver impedito che le nocche di Akito si scontrassero con la sua faccia, ma in quel momento non era un dettaglio rilevante. Provò a scrollarselo di dosso e la sua sorpresa aumentò quando si rese conto che quello non pareva minimamente intenzionato a mollare la presa.
« Avanti, Hayama » mormorò Kamura.
Fu in quel momento che Rei intuì le sue intenzioni.
Non vuole difendermi.
Vuole fermarmi.
Per un attimo la sorpresa fu tale da non farlo nemmeno ribellare.
Da quando si schiera al suo fianco?
Probabilmente lo stesso pensiero ronzava nella testa di Hayama perché un lampo di diffidenza venò i suoi occhi, rendendoli più cupi.
Le unghie di Kamura scavarono i suoi avambracci mentre aggiungeva quelle ultime parole:
« Lei ha bisogno di te. Ha sempre avuto bisogno di te ».
A quelle parole Akito sussultò. Fu come se il suo corpo fosse percorso da una scarica elettrica, un brivido che si diramò lungo la spina dorsale. Poi scattò in avanti, superandoli quasi a corsa mentre il corpo di Rei si tendeva come una corda di violino.
Osservò la schiena di Hayama allontanarsi e si sentì incendiare dentro.
Non aveva nessuno diritto di avvicinarsi a lei. E ciò bruciava, quasi più della consapevolezza che Naozumi aveva maledettamente ragione e lei non avrebbe voluto nessun altro al suo fianco.
 
 
 
 
 

I contorni degli oggetti diventavano sempre più sfuocati.
I medici e le infermiere erano diventate macchie bianche, confuse. Ogni tanto le loro voci penetravano la sua coscienza.
« Resisti ».
Il volto pallido, tondo, di un’infermiera più accanita delle altre. Aveva una voce morbida ma tenace.
« Cerca di non perdere conoscenza. Fallo per il tuo bambino ».
Il suo bambino.
Era un eco dolce, melodico, che le risuonava in testa simile al suono di un carillon.
Sana provò a aprire gli occhi, le palpebre che pesavano come macigni. Era dura ma doveva lottare.
L’infermiera le aveva appena ricordato un ottimo motivo per cui non poteva arrendersi.
 
 

 
Naozumi liberò Rei, curandosi di frapporsi fra lui e il corridoio vuoto.
Non sapeva bene che cosa gli fosse preso né che cosa stesse succedendo. Era sicuro solo del fatto che il posto di Akito fosse a fianco di Sana. D’altronde era una certezza che aveva dolorosamente acquisito al tempo della scuola e che non aveva fatto che ripetere a quei zucconi, fino allo sfinimento. Qualunque fosse il motivo per cui Sagami era diventato così aggressivo, non avrebbe più potuto guardare Sana negli occhi se la avesse tenuta lontana da Hayama.
L’ha capito, anche se in ritardo. Serviva che Kurata fosse in punto di morte perché Akito aprisse gli occhi e corresse al suo fianco.
Lanciò un’occhiata da sotto in su a Rei che sembrava letteralmente schiumare rabbia.
Be’ meglio tardi che mai.
« Non avresti dovuto trattenermi » sputò fuori rabbioso.
Una voce sottile ma decisa si intromise fra di loro, impedendogli di replicare.
« Rei-kun… che cosa stavi dicendo prima? » mormorò Aya fissandolo con occhi sgranati, come se dubitasse di aver udito bene.
Rei si aggiustò la montatura degli occhiali in un gesto nervoso.
« La verità » rispose con sussiego. « Sono mesi che so della vostra relazione nascosta ».
Aya sgranò gli occhi, fissandolo come se fosse uno dei suoi pazienti bisognosi di cura. E di una visita al reparto psichiatrico, magari.
« Che stai dicendo? Quale relazione? » chiese con voce più acuta.
Sagami contrasse di nuovo nervosamente il pugno. La rabbia che lo animava, però, pareva dissolta, dileguatasi insieme ad Hayama.
« Smettetela di far finta di non capire. Lo sa tutto l’ospedale che sei la sua infermiera preferita ».
Era un commento velenoso e le gote di Aya si tinsero immediatamente di rosso.
« Ovvio che sono la sua infermiera preferita, mi conosce fin dalle elementari » rispose a tono, sollevando appena il mento.
Rei si passò la mano fra i capelli con un gesto stanco.
« Mi piacerebbe crederti, Aya, ma sono venuto più volte in ospedale e ho visto con i mie occhi che Akito cerca sempre e solo te, per ogni più piccola sciocchezza. Per non parlare di quella volta… »
Il rossore di Aya si era esteso al collo. Gettava piccole occhiate furtive verso Tsuyoshi, controllando la sua reazione di fronte a quelle insinuazioni. Questo pareva pietrificato, sul volto un’espressione difficile da decifrare.
« Smettila di fare allusioni. Dì chiaramente quello che devi dire, non ho niente da nascondere. Io e Hayama non siamo mai stati insieme » ribadì con fermezza.
Le parole erano indirizzate a Rei ma mentre le pronunciava fissava il volto di Tsuyoshi. Una vena pulsava ritmicamente sul suo collo e probabilmente Aya si stava preoccupando, consapevole di quanto fosse propenso a scatti d’ira.
« Vi ho visti insieme » esordì teatralmente Rei.
Questa storia sta diventando peggio di un fiction.
« Sei entrata nel suo studio e quando sei uscita avevi la veste scomposta » proseguì senza il coraggio di fissarla negli occhi.
Per la verità fino a quel momento Naozumi aveva pensato che Rei avesse preso un abbaglio. Quelle ultime parole però riuscirono per a instillargli il seme del dubbio e in un attimo la reazione di Sagami, la voglia di tenere Hayama lontano da Sana-chan, gli divenne comprensibile. Si voltò verso Aya, in attesa di sentire la sua discolpa.
E quella, inspiegabilmente, scoppiò a ridere.
Fu un risolino leggero, che inizialmente provò a trattenere ma che alla fine riuscì a prorompere all’esterno. Naozumi la fissò allibito, mentre quella sembrava avere difficoltà a smettere.
Decisamente peggio di una fiction.
« Sarebbe questa la tua fatidica prova? » lo derise quando finalmente i singhiozzi si furono placati. « Sappi che hai preso un granchio » rispose serena, poggiando una mano sulla gamba di Tsu.
Rei alzò la testa di scatto, fissandola come se fosse restio a credere a quelle parole.
« E come potrei? »
« Sul fatto che fra me e Akito ci sia un rapporto speciale, non posso che darti ragione. È vero che mi chiama spesso, molto più spesso delle altre infermiere ma il motivo, come ho già detto, è semplice amicizia. Unito al fatto che non tento di saltargli addosso e strappargli il camice come fanno la maggior parte delle altre ragazze » aggiunse con un pizzico di malizia.
« Ma vi ho visti nel suo studio… » replicò Sagami, cocciuto.
Aya scostò i capelli di lato, mettendo in luce il viso materno.
« Immagino che tu alluda al giorno in cui mi sono sentita male. Ero entrata nello studio di Akito per portargli le solite scartoffie e improvvisamente ho avuto un giramento di testa » abbassò lo sguardo, per un attimo in imbarazzo. « Portare avanti la casa con due bambini piccoli e il lavoro è un’attività faticosa. Fatto sta che se Akito non mi avesse afferrato al volo, sarei caduta per terra come una sciocca. Se mi sono trattenuta più a lungo è stato perché lui si è voluto assicurare che mi sedessi e bevessi qualcosa. Oltre a controllarmi le pulsazioni, la dilatazione delle pupille, la pressione… non sia mai che A-chan non faccia un lavoro scrupoloso » concluse ironica.
Questa volta fu il turno di Rei di tingersi di scarlatto.
« Io… io… » mormorò in chiara difficoltà. « Siete usciti e avevi la veste sbottonata… chiunque avrebbe pensato… »
« Avevo caldo e ho allentato i bottoni, tutto qui » replicò Aya inarcando un sopracciglio.
Si vedeva che trovava l’imbarazzo di Rei comico e la situazione la divertiva. Tsuyoshi al suo fianco pareva avere ripreso a respirare normalmente. Perlomeno la vena non minacciava più di esplodere.
Rei invece si stava profondendo in una marea di scuse, ma Naozumi aveva ormai perso interesse. Fissò per un attimo il corridoio, chiedendosi se Akito fosse riuscito a raggiungere Sana.
«… È tutto a posto, Rei-kun. Davvero » udì distrattamente dire da Aya. « Solo la prossima volta pensaci due volte prima di improvvisarti detective: sono una madre di famiglia, ora ».
Naozumi non riuscì a trattenere un sorriso nel sentire il tono di dolce rimprovero di Sugita: sembrava davvero una giovane mamma alle prese con l’ennesima marachella del pargolo.
Una strana sensazione gli bucò la nuca. Si girò, faticando a trattenere un brivido.
A pochi passi di distanza, Fuka lo fissava, gli occhi marroni che erano l’unica nota di colore nel suo volto. Era stata così silenziosa, così poco Fuka, che dubitava persino che gli altri si fossero accorti della sua presenza.
Lui sì, ovviamente. E se Sagami non si fosse messo in mezzo con quel suo maldestro tentativo di difendere Sana, sarebbe già stato al suo fianco.
La vide allungare la mano, in un invito appena accennato. Non attese oltre per schierarsi al suo fianco e cingerla in un abbraccio. Aveva paura che lo respingesse, che fuggisse come pareva essere diventata abitudine in quell’ultimo periodo. Non sapeva se avrebbe retto in quel caso: ora che il fiotto di adrenalina andava scemando, la paura per la sua migliore amica montava rapida come un fiume in piena. Ma contro le sue aspettative, Matsui si strinse a lui senza un attimo di esitazione, nascondendo nell’incavo del collo quelle lacrime silenziose che fino a quel momento non era riuscita a versare. E in quel momento, nonostante la tragicità della situazione, Naozumi si sentì completo.



 
 

Lottare non si stava rivelando facile come erano le sue aspettative.
Più si sforzava di rimanere cosciente e più il dolore al ventre si faceva forte. E una voce, dentro di lei, diveniva sempre più difficile da tacitare.
Basta così”.
Aveva combattuto abbastanza, perché soffrire ancora? L’oblio era così dolce e non vedeva l’ora di abbandonarsi ad esso. Anelava al buio e alla pace, erano come il canto ipnotico di una sirena. E invece doveva sforzarsi di tenere gli occhi aperti fino a farli lacrimare, mentre le voci dei medici si affollavano confondendosi fra loro e nell’aria respirava l’odore ferroso del sangue.
Si morse un labbro, l’agghiacciante consapevolezza che non avrebbe resistito ancora per molto che le si diffondeva nelle vene.
 
 
 
Hayama correva lungo il corridoio, sentendosi come una fiera in gabbia. Aveva imparato a considerare l’ospedale come una seconda casa e non credeva che potesse tramutarsi in un istante in un luogo di orrore a quella maniera.
Essere dall’altra parte è completamente diverso.
Essere dalla parte di chi aspetta e prega, invece di chi agisce e opera è peggio di un incubo.
Intravide la porta bianca e quasi si schiantò contro di essa.
Kurata.
Riusciva a pensare solo a lei, al suo corpo che si contraeva per gli spasmi, ai capelli sudati attaccati alla nuca, agli occhi spaventati, alla bocca che forse gridava il suo nome.
Un ostacolo, l’ennesimo, si frappose fra lui e sua moglie.
Tre infermieri, di cui due piuttosto robusti, parevano spuntati come dal niente.
« Che sta facendo? Non si può entrare in sala. Stanno ancora operando » affermò secco il più esile dei tre.
« Mia moglie è là dentro » rispose con la mente annebbiata.
I tre si lanciarono uno sguardo, appena più comprensivi.
« Sono spiacente, si tratta di un intervento delicato, i medici hanno bisogno della massima concentrazione ».
Le loro parole gli scivolavano addosso, prive di senso. L’unica cosa che recepiva era che non parevano intenzionati a farsi da parte.
Akito soppesò per un attimo la situazione: uno scontro uno contro tre era difficile, forse impossibile a condizioni normali. Ma in quel momento… era convinto che sarebbe riuscito a sfondare il muro a mani nude.
Poi poche parole riuscirono a penetrare nella sua mente, riaccendo la razionalità.
«… Non vorrà rischiare di peggiorare la situazione, vero? »
« Peggiorare? » ripeté sbattendo le palpebre.
L’infermiere annuì, deciso.
« I medici e l’ostetrico conoscono il loro lavoro…ma non possono perdere tempo a occuparsi anche di lei. E non credo che riuscirebbe a tranquillizzare nessuno in queste condizioni ».
Fu come se una cortina rossa fosse calata improvvisamente a coprirgli la retina. Kurata era dietro quella porta, eppure se fosse entrato avrebbe probabilmente messo ancora più a rischio la sua vita. Si spinse in avanti, tentando di sfondare quella barriera umana ma fu bruscamente respinto indietro.
« Non mi costringa a sedarla » mormorò un infermiere, bisbigliandolo quasi nel suo orecchio.
Indietreggiò, le gambe che parevano d’improvviso incapaci di reggere il suo peso. Si afflosciò contro il muro, come uno straccio gettato in disparte.
È tardi.
Sono arrivato troppo tardi.
« Kurata! » urlò con quanto fiato aveva nei polmoni.
Il suo pugno chiuso si abbatté contro la parete che lo teneva distante dalla donna che amava e che forse non avrebbe più rivisto.
 

 
Non ce la faceva più.
Aveva sonno ed era stanca.
Voglio chiudere gli occhi. Per un attimo, solo per un attimo… Mi riposo un secondo perché queste contrazioni sono troppo dolorose. Poi riprenderò a spingere ma adesso…”
Non fece in tempo a pensarlo che le palpebre si chiusero mentre il manto dell’incoscienza la stringeva in un abbraccio.
 
 


 
Si era allontanato dagli altri.
Ufficialmente la scusa era che aveva bisogno di un caffè.
Ufficiosamente era che necessitava di stare solo, di mettere distanza fra sé e le persone che conosceva da tutta una vita.
Peccato che tu non posso fuggire altrettanto facilmente dalle tue bugie.
Scacciò quel pensiero con fastidio, inserendo le monetine nella macchinetta e pigiando un tasto a caso: era sicuro che qualunque fosse stata la bevanda selezionata non avrebbe saputo distinguerne il gusto.
Tutto è coperto dal sapore acre del tradimento.
Afferrò il bicchiere di carta, rovesciando un po’ del contenuto e ustionandosi la lingua per la foga.
Il liquido caldo gli scese lungo la gola, scacciando per un istante il senso di gelo che gli si era annidato nelle ossa.
« Sei qui allora ».
Si girò lentamente. Aveva riconosciuto quella voce ma una piccola parte di lui sperava di sbagliarsi.
« Ti cercavo » proseguì lei.
La fissò senza trovare il coraggio di ribattere. Nella sua mente si ricorrevano alla rinfusa i tanti attimi trascorsi insieme, le manciate di minuti rubati nello sgabuzzino del suo studio, le telefonate a mezza voce, gli sms stringati e cancellati un secondo dopo.
« Non ce la faccio più a nascondermi » aggiunse senza fissarlo direttamente negli occhi.
Il nodo alla gola stringeva come un cappio. Si sforzò di deglutire, replicando:
« Ne abbiamo già parlato. Ho una famiglia… »
Lei scosse il capo, testarda.
« Dobbiamo dir loro la verità ».
« Quale verità? » si intromise una terza voce.
Si girò di scatto, fissando la figura alle sue spalle.
« Quale verità? » ripeté Aya.
Di fronte a quella domanda, Tsuyoshi e Kurumi trattennero bruscamente il respiro.
 




 
Ciao a tutti!
Avevo detto che questo sarebbe stato l’ultimo capitolo ma mi devo smentire perché sarebbe venuto troppo lungo. Il prossimo però chiarirà veramente gli ultimi punti rimasti in sospeso.
Allora, so che molti di voi mi odieranno per aver sfasciato la coppia storica. I più invece saranno felici che i dubbi di Rei fossero infondati e che Akito non abbia mai tradito Sana. Povero Sagami, giocava tanto a fare il detective e poi era lui quello tradito XD Prima di criticare questa mia scelta e accusarmi di OOC vi chiedo di aspettare il prossimo capitolo e le giustificazioni che Tsuyoshi darà di questo suo comportamento: se poi non vi avrò ancora convinte, criticate pure senza pietà! ;)
Un grazie davvero davvero davvero enorme alle persone che continuano a seguirmi e a chi ha commentato l’ultimo capitolo: ryanforever, Pan17, brenda the best, ilapietro91, sabry92, jeess, Dramee, denisa_dea, vale89 e Venere Williams.
Passo a rispondere all’osservazione di Venere: sono perfettamente concorde con te che un Akito che tradisce Sana sarebbe una scelta azzardata di suo e stonata in questa ff dove non faccio che ripetere quanto lui sia legato a lei. Se ti ho “ingannata” però me ne compiaccio perché era esattamente quello che volevo fare, farvi credere che Rei avesse ragione per presentare il colpo di scena finale XD Se tu avessi ancora qualche dubbio, chiedi pure!
E complimenti alle “detective” che avevano indovinato da tempo la coppia di traditori ;)
Un’ultima piccola precisazione: se vi sembro crudele a tenere Akito lontano da Sana, sappiate che l’ho fatto per attenermi al manga. Se non sbaglio lui rimane fuori e colpisce il muro con il pugno.
Detto questo, un grosso bacio e a presto!
Ely

 

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Capitolo 17
*** Bolla di felicità ***


 



 

Bolla di felicità
 

 
 
 




 
 
Scivolava nel mare dell'incoscienza, beandosi di quella sensazione di leggerezza, quasi di assenza di gravità.
Il suo corpo era qualcosa di lontano che non riusciva a percepire chiaramente. Persino il dolore che le aveva straziato l'addome pareva essersi dissolto, come se fosse stata un'altra persona a provarlo e lei solo una spettatrice passiva. E quella vocina dentro di lei sembrava finalmente soddisfatta.
Bene così. Non c'è motivo di soffrire ancora”.
Ovatta.
Sprofondava sempre più basso in una sostanza vischiosa e al contempo soffice.
Che sta succedendo?
C'era qualcosa che le sollecitava la mente, qualcosa che premeva ai margini della sua coscienza, eppure non riusciva a ricordare.
Bianco.
Era tutto ammantato di bianco e non riusciva a mettere a fuoco niente.
Come sono finita qui?
La sua mente sembrava restia a collaborare.
Che importa? Tutto quel dolore e quella sofferenza sono scomparsi... Non era quello che volevi?”
Il tono della voce era rassicurante ma una piccola parte di lei sembrò ribellarsi a quell'idea.
Dolore? Perché stavo soffrendo?
Nella sua testa si susseguirono dei flash, talmente rapidi che ebbe quasi difficoltà a focalizzarli. C'era lei, circondata da una folla di giornalisti curiosi. Una fitta improvvisa, la stanza che iniziava a girare, una folle corsa in ospedale.
Ospedale? È qui che mi trovo?
Le sembrò di riemergere lentamente verso la superficie ma fu solo per un attimo. Quel bianco appiccicoso tornò ad avvolgerla, più impenetrabile di prima.
Sei sicura di voler tornare alla realtà?”
La voce adesso aveva assunto un tono velenoso.
Ci sono urla e sangue, lassù. Ti sto solo proteggendo”.
Sussultò, chiedendosi se fosse vero. Credeva di sì, eppure...
Eppure ci deve essere qualcos'altro. Qualcosa che non riesco a ricordare.
Non c'è niente. Sei sola, Sana. Non c'è nessuno accanto a te là fuori”.
Sola.
Quella parola rimbombò cupamente nella sua testa, facendole desiderare di credere definitivamente alla voce e abbandonarsi a quella realtà onirica.
Forse ha ragione e non c'è nessun motivo per lottare ancora.
Forse posso lasciarmi andare.
Fu in quel momento che la sentì.
All'inizio fu solo un rumore di sottofondo, un bisbigliare quasi irriconoscibile. Eppure tutto il suo essere fremette in risposta, tendendosi come la corda di un violino.
E quella voce aumentò di intensità, fino a quando non riuscì a distinguere chiaramente le parole.
 
« Fatemi passare ».
«Non è possibile, mi dispiace ».
« C' è mia moglie dietro quella porta, fatemi passare! ».
 
Hayama.
Era lui, doveva essere lui per forza. Le sembrava di vederlo, in piedi nel mezzo del corridoio dell'ospedale, fermato dagli infermieri.
Ma come...che sta succedendo?
Lo vide accasciarsi addosso al muro, privato in un attimo di tutta la sua forza. Il suo viso era un nugolo di emozioni così tormentate che provò l'incontenibile impulso di alzarsi e sfiorargli il viso con una carezza.
Nella sua mente, le parole di Akito continuavano a ronzare, accompagnate da un suono ritmico che pareva essersi improvvisamente risvegliato.
 
È tardi.
Sono arrivato troppo tardi.
«Kurata! » urlò con quanto fiato aveva nei polmoni.
Se tu dovessi morire.. Io...
Pensi davvero di morire, Kurata?
 
Il pugno di Hayama si abbatté sulla parete dell'ospedale, ma fu come se si scagliasse direttamente contro quella barriera invisibile che la separava dalla realtà.
Ora... ora ricordo.
Era in ospedale e stava partorendo. C'era quell'infermiera dal viso gentile che le aveva detto di rimanere cosciente, che era fondamentale che non perdesse i sensi per la salute del bambino.
Mio figlio. Nostro figlio. Come ho potuto dimenticarmene?
Il rumore ritmico adesso era sempre più forte.
Tum, tum.
Quasi le assordava le orecchie.
Non sono sola. A-chan è sempre stato con me. E i miei amici, mia madre...
TUM, TUM.
Non posso arrendermi.
Il suo cuore batteva a ritmi sempre più frenetici. Cercò di concentrarsi solo su di esso per riprendere a poco a poco consapevolezza del suo corpo. Squarciò il velo dell'incoscienza, riemergendo alla realtà. La sensazione fu come prendere una boccata d'aria dopo essere rimasta troppo a lungo sott'acqua.
« Ha ripreso conoscenza ».
La voce era quella di uno dei medici che le ronzavano intorno.
« Si faccia forza ». A parlare adesso era l'infermiera dai tratti delicati. « Manca poco, si concentri con me ».
Sana si sforzò di sorridere, anche se probabilmente si produsse solo in una smorfia.
Il dolore era fortissimo.
« Inspiri... bene, così. Adesso spinga! ».
Strizzò gli occhi, concentrandosi sul volto di Akito. I suoi occhi dorati, la forma del viso, la frangia troppo lunga.
«Ahhhh! » urlò più volte, mentre gocce di sudore le scendevano lungo il viso.
Il modo in cui la fissava da sotto in su, il naso dritto, la linea decisa della mascella.
«Ancora un piccolo sforzo! ».
La sua voce, bassa e roca. La sua bocca che si apriva per pronunciare quelle due parole, quel “ti amo” che non credeva si sarebbe mai sentita dire.
Dopo un tempo che le parve interminabile, il pianto di un neonato risuonò nell'aria.
« È una bambina! » esclamò l'infermiera, avvicinandole un piccolo fagotto.
Osservò il visino contratto e le mani strette a pugno della piccola che urlava a squarciagola tutta la sua frustrazione per quel lungo parto.
« Assomiglia ad Hayama » fu tutto quello che riuscì a dire, mentre la spossatezza le invadeva gli arti. « Posso riposarmi, ora? » chiese in un bisbiglio.
Il volto dell'infermiera si aprì in un sorriso. Non fece neanche in tempo ad udire la risposta che sprofondò di nuovo nell'incoscienza.

 
***
 
 
« Stai lontano da me » mormorò Aya stringendo le mani sul petto.
Le aveva detto tutto.
Ogni singola parola che era uscita dalla sua bocca aveva bruciato come fuoco.
Tanti piccoli carboni ardenti che come lapilli aveva riversato addosso alla donna che amava. Aveva osservato il suo volto passare dall'incredulità allo shock, per finire con un'attonita accettazione. L'aveva vista boccheggiare, sgranare gli occhi fino all'inverosimile, provare inutilmente a replicare. Ogni espressione facciale, ogni smorfia di dolore e piega della pelle l'aveva avvertita su di sé, come se frizzasse.
« Aya-chan... » sussurrò allungando la mano.
Quella si tirò indietro con un gesto brusco.
« Sta' lontano » ripeté e per forse la prima volta Tsuyoshi le vide riflessa sul volto un'espressione di autentico disgusto.
Abbassò la mano. Kurumi si era allontanata in silenzio, lasciandoli soli.
« Posso spiegarti... » tentò di nuovo prima di essere interrotto.
« Da quanto tempo? » domandò Aya senza fissarlo negli occhi.
« Come? » disse preso alla sprovvista.
« Da quanto tempo va avanti questa storia? »
Sono un verme. Un viscido, schifoso, verme.
« Qua-quasi quattro mesi » balbettò incerto.
La vide socchiudere gli occhi come accusando un colpo immaginario.
Era nato tutto per caso, un gioco che gli era presto sfuggito dalle dita. Tsuyoshi si lasciò andare ai ricordi, estraniandosi per un attimo dalla realtà.
 
 
Quel giorno era andato agli studi televisivi per salutare Sana-chan.
Capitava ogni tanto, quando il lavoro e i bambini gli davano tregua. Ora che sapeva che l'amica era incinta, cercava di essere il più presente possibile. Sana era sotto i riflettori, probabilmente non si era nemmeno accorta della sua presenza. Non voleva disturbarla e stava già per cercare Rei, o magari andarsene e tornare in un altro momento, quando una figura sottile attirò la sua attenzione.
Asako Kurumi sedeva poco distante e fissava le riprese con uno sguardo strano, nostalgico. Senza sapere bene il perché l'affiancò.
« Kurumi-chan » la salutò con un pizzico di incertezza.
Non si conoscevano bene.
Gli era capitato di incrociarla qualche volta, con poche e abusate frasi di circostanza dette a mezza voce, ma nulla di più. Eppure c'era qualcosa di fragile nei suoi occhi che gli faceva venire voglia di starle vicino.
« Tsuyoshi-kun » rispose quella sorpresa. « Cercavi Sana? » aggiunse facendogli spazio.
« Non era niente di importante » ammise sistemandosi gli occhiali.
Per un po' guardarono le riprese, in silenzio.
« Va tutto bene, Kurumi? » chiese infine Tsuyoshi.
Era bravo a capire gli stati d'animo altrui. Le persone dicevano che era semplice aprirsi con lui per via del suo carattere pacato e tranquillo.
Kurumi dischiuse le labbra, fissandolo come se lo vedesse per la prima volta.
« Sì » rispose di getto. « Be' in realtà no » ammise un attimo dopo, con un sorriso di scusa.
Non replicò, in attesa di una spiegazione.
« È solo che inizio ad essere troppo vecchia per questo lavoro ».
Pronunciò quelle parole con tono amaro, lo sguardo incollato alla schiena di Sana. Tsuyoshi la fissò, confuso.
« Ma cosa dici, Asako-chan? Hai ancora tutta la vita davanti! » esclamò quasi indignato.
Lei si voltò a fissarlo, improvvisamente attenta.
« Sei un'attrice bella ed espressiva » aggiunse con sincerità. « Non hai niente da invidiare alle altre ».
Il volto di Asako si illuminò.
« Lo pensi davvero? » chiese per poi intristirsi un istante dopo.
Le sue labbra si tirarono in una smorfia amara e Tsusyoshi provò l'inspiegabile impulso di accarezzarne il contorno con i polpastrelli.
« È così brutto sentirsi messi da parte. Ti viene da chiederti a che cosa siano serviti gli sforzi fatti finora » mormorò con lo sguardo perso nel vuoto. « Ma non voglio rattristarti » proseguì con un sorriso poco convinto. « A te invece come vanno le cose? »
Era una domanda banale, rispondere sarebbe dovuto essere altrettanto facile.
« Tutto a meraviglia » rispose con un pizzico di esitazione, mentre sistemava gli occhiali sulla sella del naso. « Il lavoro procede bene » aggiunse poi.
Si sentiva lo sguardo di Asako addosso, come la puntura di tanti piccoli spilli.
« E i bambini? »
Tsuyoshi socchiuse un attimo gli occhi, pensando a tutte le ore di sonno perso che aveva accumulato in quelle settimane.
« Sono delle pesti » rispose con sincerità.
Kurumi rise, di una risata leggera come una piuma.
« Non dovresti parlare così, sai? » lo rimproverò dolcemente. « Hai praticamente tutto: una moglie innamorata, un lavoro sicuro, due bei bambini... un po' di entusiasmo, c'è chi farebbe carte false per essere al tuo posto! »
Il tono era scherzoso e Tsuyoshi aveva fatto finta di stare al gioco. Eppure qualcosa dentro di lui si era d'improvviso sentito soffocare e aveva ringhiato come una fiera in gabbia. E quella fiera aveva fiutato in Asako la stessa atavica insoddisfazione.
Da quel pomeriggio si erano attaccati l'uno all'altro, come edera a un tronco.
 
« Ho avuto paura ».
Quasi non si accorse di aver detto quelle parole ad alta voce.
Aya si immobilizzò, fissandolo come se avesse parlato in una lingua aliena.
« Paura? » ripeté con voce acuta.
Era pericolosamente vicina al punto di rottura. Per un attimo Tsuyoshi temette che si sarebbe accasciata in lacrime in quel corridoio. O che gli avrebbe tirato dietro qualcosa: aveva imparato con il tempo che le sfuriate di Aya, per quanto rare, sapevano essere terribili.
Ma ormai ci sono... e ha il diritto di sapere almeno la verità.
« È che... è accaduto tutto troppo in fretta » biascicò sedendosi su una sedia grigia e fredda.
Mi tremano le gambe e ho la lingua impastata. Non riesco nemmeno a buttar fuori un discorso comprensibile.
« Che cosa esattamente è accaduto troppo in fretta? » sputò fuori Aya, velenosa.
« Aya-chan... io ti amo » esordì fissandola negli occhi.
La vide rabbrividire dalla testa ai piedi, come percorsa da una scossa elettrica.
« Non starò qui a farmi prendere in giro da te » replicò con disprezzo dandogli le spalle.
« Aspetta! » la rincorse. « È la verità. Io amo te e amo i nostri bambini ».
« E allora perché? ». Glielo urlò contro, mentre le lacrime iniziavano a scorrerle dagli occhi, simili a un fiume che rompeva gli argini. « Come hai potuto fare una cosa del genere? »
Tsuyoshi abbassò lo sguardo, incapace di sostenere il suo più a lungo.
« La verità è che sono un codardo » spiegò stringendo le mani a pugno. « Una mattina mi sono svegliato e mi sono reso conto di essere un padre e un marito e... non so, non mi sono sentito all'altezza. Ho iniziato a chiedermi se questo fosse quello che veramente volevo dalla vita, mi sono sentito... mi sono sentito come se qualcuno mi avesse sparato a grande velocità dentro un tunnel e non avessi la possibilità di fermarmi. Tutte le decisioni erano ormai prese e a solo ventitré anni... mi è parso di non poter più tornare indietro e di non aver più niente da realizzare ».
La risposta di Aya fu dura, tagliente.
« Nessuno ti ha costretto a sposarmi ».
« No, certo che no » rispose. « Ti ho sposato perché ti amo ».
« Se tu mi amassi non mi avresti tradita ».
Magari fosse così semplice.
« Non è così ». Si mise la mano fra i capelli, cercando di fare ordine nel groviglio intricato dei suoi pensieri. « Io ti amo, l'ho sempre saputo. È solo che... a te non è mai venuto il dubbio, Aya-chan? Stiamo insieme da quando avevamo undici anni. Non ti sei mai chiesta come sarebbe stato frequentare altre persone? Non ti è mai passato per la mente, neanche per un istante, che forse ci stavamo precludendo chissà quali possibilità di essere felici? »
« No, Tsuyoshi non mi è mai passato per la mente. Ho sempre pensato che tu fossi tutto quello che serviva per la mia felicità e che non avesse senso cercare altrove » replicò con voce amara.
Tsuyoshi ammutolì per quella risposta, così semplice e diretta.
Kami, che cosa ho fatto?
Fu in quel momento, mente le lacrime di Aya scivolavano sul pavimento freddo dell'ospedale e a Tsuyoshi sembrava quasi di udire il rumore del suo cuore che si frantumava, che il terrore di perderla, perderla davvero, perderla per sempre, si affacciò alla sua mente.
Fino a quel momento aveva sempre cercato di ignorare quella possibilità. Si era illuso che lei non lo avrebbe scoperto o che se anche così fosse stato, lo avrebbe perdonato. Che non sarebbe riuscita ad odiarlo: come avrebbe potuto la sua Aya, così dolce e materna, così comprensiva e con una parola buona per tutti, serbargli rancore?
In quel momento però, mentre lo sguardo di Sugita si faceva duro come il ghiaccio e tutto il suo corpo sembrava traboccare disgusto, Tsuyoshi non fu più così sicuro di ricevere il perdono.
« Ho commesso un errore » mormorò con la lingua impastata.
« No » lo bloccò lei. « Sono io che ho sbagliato a credere che tu fossi perfetto, a idealizzarti e vederti come il principe azzurro delle favole... A credere che mi avresti amata e rispettata per tutta la vita ».
« Aya... ». Si sentiva a pezzi, come se ogni parte del suo corpo venisse presa a sassate. « Dammi solo la possibilità di...»
« No » rispose decisa. « Qualunque cosa tu voglia dire, la risposta è no. Ti voglio fuori dalla mia vita ».
Si allontanò a passi rapidi nel corridoio e lui non ebbe la forza di trattenerla.
I volti di Shinichi e Misa gli affollavano la mente, uniti al ricordo di una ragazzina dal sorriso dolce e i capelli fermati da un fiocco blu sulla testa.
Be' adesso hai ottenuto quello che volevi.
Una voce cattiva mormorava nella sua testa, impossibile da zittire.
Avevi tutto, la vita perfetta, e sei riuscita a sciuparla. Chissà se adesso ti senti finalmente libero.
Appoggiò la schiena al muro, le gambe molli.
No, non si sentiva libero.
Si sentiva solo sporco e dannatamente colpevole.
 
 
***
 

« È fuori pericolo. Adesso sto riposando ma lei e la bambina stanno bene ».
A fianco a lui Rei scoppiò in un pianto liberatorio, mentre la signora Misako sembrava troppo felice per far altro che sorridere.
« Anche se è nata prematura la piccola sembra in ottime condizioni » proseguì il medico.
«Kami, per fortuna » pronunciò a bassa voce Fuka, con la testa sempre nascosta nell'incavo del suo collo.
« Ehi, è tutto a posto ora » provò a rassicurarla mentre le parole del medico ancora riecheggiavano nella sua mente, dolci come un liquore ambrato.
«No, che non è così » rispose Matsui sollevando il viso. « Ho avuto così tanta paura... E mi sono comportato in modo orribile con te, Nao ».
Le accarezzò la schiena dolcemente, tentando di rassicurarla. In quel momento quei mesi orribili parevano spariti, come se fossero stati solo un brutto sogno.
« Non ci pensare » le sussurrò baciandole la fronte.
Fuka tirò indietro la testa di scatto, fissandolo negli occhi.
« No, invece! » esclamò decisa. « Sono sparita senza nemmeno darti una spiegazione, ti ho fatto soffrire... »
« L'importante è che ora sei qui ».
E che resterai.
Non osò formulare quel pensiero ad alta voce per paura di essere smentito. Fuka parve comunque leggergli quel muto interrogativo negli occhi perché le labbra le tremarono.
« Io... io non potrò mai darti quello che vuoi veramente » esalò in un soffio. « Non potremmo mai essere una famiglia ».
Kamura corrucciò la fronte, impiegando un istante per assorbire quelle parole.
È per questo che ti sei allontanata da me?
Kami, gli veniva quasi da ridere. Si trattenne, intuendo che quello per Fuka doveva essere un tema molto importante.
« Credevo che avessimo già affrontato questo argomento » rispose pacato. « C'ero anch'io quando il medico ha detto che le possibilità di avere dei figli erano scarse, sai? »
Gli occhi di Matsui si inumidirono.
« Sì, be' un conto è saperlo in teoria. Un conto è quando la tua migliore amica, nonché donna dei tuoi sogni, resta incinta e... »
« Shh » la interruppe prendendole il viso fra le mani. « Sei tu la donna dei miei sogni, non Sana ».
La baciò, tacitando per un attimo le sue proteste. Non appena si staccò però quella riprese a parlare.
Sarebbe stato troppo facile, altrimenti.
«Ma tu hai sempre voluto una famiglia. Non mentirmi:so che è così e non voglio privarti della possibilità di costruirne una » replicò cocciuta.
« Non è del tutto corretto » disse fingendosi per un attimo pensieroso. « Io voglio una famiglia con te. Non è un dettaglio di poco conto ».
Questa volta Fuka lasciò che le lacrime le scorressero liberamente lungo le gote, mentre allacciava le braccia intorno al suo collo.
« Troveremo un modo, vedrai » aggiunse stringendola forte. « E adesso che abbiamo chiarito questo aspetto... Forse vorrai riconsiderare la mia proposta ».
Fuka lo osservò perplessa infilare la mano nella tasca dei pantaloni.
A quanto pare il fatto di portarmi sempre dietro questo anello potrebbe rivelarsi utile.
Le dita di Naozumi si chiusero intorno alla scatola di velluto blu, estraendola lentamente. Il suo cuore aveva preso a battere più forte.
Non sono sicuro che riuscirei a reggere un altro rifiuto.
Un sorriso ironico si dipinse sul volto di Matsui mentre si asciugava le lacrime con la manica della felpa.
« In un ospedale? Ti sembra il posto adatto? » lo prese in giro.
Naozumi sorrise a sua volta.
« Si vede che è destino che non riesca a fare una dichiarazione romantica » replicò scrollando le spalle. « Ma nonostante il luogo orribile e a discapito dei passati litigi.. io ti amo e vorrei che tu divenissi mia moglie. La tua risposta è...? »
Il sorriso sul volto di Matsui si estese agli occhi mentre si protraeva in punta di piedi per baciarlo.
« Sì » mormorò a fior di labbra. « La mia risposta è sì ».
 
 
***
 
 
Quando Sana aprì gli occhi la scena che le si parò di fronte allo sguardo le fece credere di essere ancora nel mondo dei sogni.
Akito era seduto su una sedia a pochi passi di distanza e in modo goffo ed impacciato teneva fra le braccia la loro bambina. Pareva così assorto e concentrato nel compito che per qualche istante Sana non fiatò, limitandosi a osservarli in silenzio.
« Ti sei svegliata » mormorò lui senza fissarla negli occhi.
Sana si limitò ad annuire. Le sembrava tutto così strano e perfetto che aveva quasi paura di aprir bocca e rovinare tutto.
Hayama continuava a fissare il pavimento, la schiena rigida come un baccalà.
« Kurata, io... »
« Vieni qui » lo interruppe allungando le braccia.
Magari in futuro si sarebbe pure divertita a sentire i patetici tentativi di A-chan di chiederle scusa e avrebbe ribadito con fermezza che lei aveva avuto ragione e lui era un testone. Ma in quel momento non aveva voglia di nient'altro che avere vicino le due persone più importanti della sua vita.
Akito esitò solo un istante prima di sollevarsi in piedi e avvicinarsi alla sponda del letto. Non appena si sedette, gli occhi di Sana furono calamitati sul volto della loro bambina.
Non aveva avuto modo di vederla che di sfuggita prima di svenire e in quel momento la scrutò con attenzione, come se volesse imprimere indelebilmente i tratti nella sua mente.
Sua figlia aveva un viso rotondo e un ciuffo di capelli biondo scuro ad adornarle il capo. Aveva smesso di piangere e l'espressione era seria e composta, quasi come se si stesse ancora chiedendo che ci faceva in quel mondo estraneo. Furono gli occhi, però, a farle schizzare il cuore in gola: due piccole, calde, iridi ambrate.
« È bellissima » affermò con un sorriso.
« Immagino di sì » mormorò Hayama scrollando le spalle.
« E ti assomiglia » aggiunse mentre il viso di lui diventava inspiegabilmente rosso. « In effetti lo trovo un po' ingiusto: io la tengo in grembo per sette mesi e lei è la tua fotocopia sputata! » esclamò fingendosi offesa.
Akito spalancò la bocca ma prima che potesse ribattere la porta si aprì.
« Oh » esclamò l'infermiera accorgendosi dell'intimità di quel momento. « Non sapevo che si fosse svegliata, mi dispiace avervi disturbato. Ripasserò in un altro momento ».
« Aspetti! » quasi urlò Sana. « Lei è l'infermiera che mi ha assistito durante il parto, vero? »
Quella indugiò sulla porta, chiaramente stupita di essere stata riconosciuta.
« Sì » confermò timidamente.
La scrutò attentamente.
« Volevo solo ringraziarla. Posso sapere il suo nome? »
« Mi chiamo Sari » rispose quella con un sorriso. « Ripasserò dopo e avremo modo di parlare meglio » aggiunse varcando la porta e chiudendosela alle spalle.
Il silenzio si protrasse per pochi secondi, prima di essere interrotto da Hayama.
« Non è male come nome. Sari, intendo » borbottò passandosi le dita sulla frangia.
« Sarebbe proprio il caso di tagliarla, questa » lo rimbeccò Sana indicando i capelli che arrivavano fin quasi agli occhi.
Lo sguardo che le rivolse Hayama parve quasi bruciare mentre si faceva più vicino a lei.
« Potrai sistemarmela te non appena avrò finito di riportare le cose a casa ».
Bastò quella parola, casa, perché il cuore battesse come un colibrì impazzito.
Sana annuì, sorridendo come una scema. Si sentiva leggera come se potesse prendere il volo da un momento all'altro e avrebbe voluto che il tempo si fermasse in quell'esatto istante, con Akito a pochi centimetri di distanza e la loro bambina che batteva ritmicamente le palpebre.
Fuori da quella stanza Aya usciva l'ospedale di corsa, lasciandosi un impietrito Tsu alle spalle; Kurumi cercava di trovare le parole per dire la verità a Rei e Nao si sentiva ancora le gambe molli per quel “sì” che aveva tardato ad arrivare.
Ma in quel momento, mentre gli occhi di Akito le comunicavano tutto quello che non sarebbe mai riuscito ad esprimere a parole, niente di tutto ciò riuscì a distoglierla da quella piccola bolla di felicità.
 
 




 
Ciao a tutti!
Incredibile ma vero: siamo giunti alla fine. Manca solo l'epilogo e poi la ff sarà definitivamente conclusa.
Questo episodio è più lungo degli altri, spero non vi dispiaccia: non avrebbe avuto senso dividerlo ulteriormente. Passando a un breve commento: la parte del nome di Sari è inventata, spero risulti cmq credibile. Quanto a Tsu e Aya.. che dire ho sempre avuto un po' di sfiduci in queste storie che iniziano quando i due hanno undici anni: con il tempo si cambia e penso che una su mille vada a buon fine. Tsu (che ovviamente non giustifico) si è fatto prendere dall'ansia. La prima parte, quella di Sana, so che è un po' strana.. spero risulti comprensibile volevo darle una dimensione onirica.
Giunta a questo punto vorrei ringraziare tutte le persone che hanno letto la ff. Un grazie di cuore va poi a quelle che hanno commentato, messo fra le preferite/ricordate/seguite questa storia, a coloro che mi hanno spronato a continuare e speso parole di incoraggiamento. Se sono arrivata alle note di chiusura è anche grazie a voi <3
Grazie in particolare a: Maka 98, ryanfoever, jeess, Venere Williams, carmy-chan, giusy8690, vale_89, Jecchan92, ancoranoi, ilapietro91 e Orhimechan che hanno commentato lo scorso capitolo.
Quanto all'epilogo non spoilero molto ma anticipo che sarà un breve flash nel futuro.
Detto questo, non ho altro da aggiungere.
Al prossimo capitolo,
un bacio
Ely

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Capitolo 18
*** Epilogo ***





Epilogo
 
 




Uno sgradevole odore di bruciato si propagò nell’aria.
Sana si affrettò ad aprire il forno, quasi dimenticandosi di prendere il guanto, e osservò con sgomento la crosta nera e bruciacchiata che si era formata sul dolce che avrebbe dovuto servire in tavola.
Per un attimo, provò l’infantile impulso di scoppiare in lacrime.
« L’hai carbonizzato, non è così? »
La voce ironica di sua madre la fece voltare con espressione al contempo lamentosa e colpevole.
« Mi sono assentata per cinque minuti! » esclamò mettendo il broncio.
Misako estrasse un ventaglio colorato dalla manica, iniziando a sventolarsi nonostante le temperature fossero tutto meno che miti.
« Sei stata via per più di mezz’ora » infierì implacabile.
« Perché dovevo vestire Sari che scappava per tutta la casa » replicò toccando con la forchetta lo strato superiore della torta.
Forse se raschio la parte superficiale e ci metto sopra un po’ di panna…
Il dolce era duro come il marmo. Misako la colpì con il ventaglio sul fianco, facendola sussultare.
« Ahi! » si lamentò massaggiando la parte offesa.
« Non dare la colpa a tua figlia se sei una pessima cuoca! » la rimproverò dandosi un tono.
Kurata sbuffò, cercando di contenere il panico.
E adesso che cosa servo agli ospiti?
« Potresti anche cercare di darmi una mano, invece che criticare! » sbottò aprendo il congelatore alla ricerca di qualche dolce confezionato che potesse fare al caso suo.
Non trovò niente, se non un paio di coppe al cioccolato che non avrebbero assolutamente placato la marea di persone che si trovava a ospitare.
« Ahhh! Che faccio, che faccio? » si chiese quasi saltellando sul posto.
« Tsè » la derise Misako prima di urlare: « Shimura! »
La governante entrò in cucina con quel suo passo che con gli anni era diventato più lento e incerto.
Fra le mani stringeva un vassoio con sopra una delizia panna e cioccolato che le fece immediatamente venire l’acquolina in bocca.
« E questa? » chiese Sana spaesata.
Misako nascose dietro al ventaglio il sorriso di compiacimento che le aveva arricciato gli angoli della bocca.
« Non appena mi hai detto che avevi intenzione di preparare tu il dessert, ho chiesto a Shimura di fare la sua famosa millefoglie ».
Un piccolo broncio si dipinse sul volto di Sana ma non durò a lungo perché il sollievo per essersi salvata dall’imbarazzo era troppo.
« Cavoli che fiducia, mammina! » disse mentre prendeva il vassoio con un sorriso.
« Conosco i miei polli » rispose quella scrollando le spalle.
« Grazie mille, Shimura. Posso spacciarlo per mio? » chiese trattenendosi dall’impulso di fregare con il dito un po’ di panna.
« Ma certamente, signorina » rispose docile l’anziana governante.
« Tanto non ci crederà nessuno » aggiunse sua madre mentre infilava il cappotto.
Per tutta risposta Sana le fece una linguaccia affettuosa.
« Sicura che non vuoi fermarti con noi? Abbiamo sempre passato la Vigilia insieme… » fece un ultimo tentativo.
Misako scosse il capo.
« Oliver mi ha invitato a cena come ringraziamento per aver consegnato il libro in tempo. Lo spennerò fino all’ultimo centesimo » disse con un brillio sadico nello sguardo.
« Mamma! Ma davvero questa volta hai rispettato la scadenza? »
Come risposta le giunse una risata sarcastica.
« Certo che no! Ma questo lui lo scoprirà solo dopo aver pagato il conto… »
Kurata rise, chiedendosi se a forza di stuzzicarsi a vicenda quei due avrebbero finito per intraprendere un rapporto al di là dell’ambito lavorativo.
Chissà che questa cena non nasconda qualcosa di più di un semplice ringraziamento.
« Adesso vai, Sana-chan, non far aspettare i tuoi ospiti ».
Annuì, dandole un bacio sulla guancia a mo’ di saluto e uscendo dalla cucina.
L’immagine che la accolse appena mise piede in soggiorno ebbe il potere di scaldarle il cuore. La tavolata era chiassosa, colorata e piena di vita.
Proprio come piace a me.
Kurata si sedette nella sedia lasciata vuota accanto ad un Hayama che si trovava alle prese con Sari e i suoi tentativi di infilargli le dita nel naso. Per un po’ osservò in silenzio i gorgoglii di sua figlia ogni volta che il marito la allontanava e il modo cocciuto con cui quella allungava le dita cicciotte.
« Passala a me, su » gli venne in soccorso.
Akito le rivolse un sorriso grato mentre le passava il piccolo fagotto e Sana fece fatica a trattenere un sorriso di scherno.
Come se non lo avessimo capito tutti che adori spupazzartela.
« Allora, Sana? A che punto è questo dolce? » le chiese Fuka guardandola scettica.
Al suo fianco intravide Naozumi portare la mano alla bocca per trattenere una risata.
« È venuto perfetto. Rimarrai sorpresa, cara Matsui! » replicò dandosi delle arie.
Fuka alzò le sopracciglia.
« Ti ricordo che ci sono dei bambini, Sana. Non vorrai averli sulla coscienza, vero? Siamo proprio sicuri che sia commestibile? » affermò con aria tragica, posando una mano sulle spalle di Sasuke.
Gonfiò le guance, offesa, mentre i suoi occhi incrociavano quelli del piccolo accanto a Fuka. Il bambino ricambiò lo sguardo con interesse, scoprendo un sorriso dolce e sdentato mentre Matsui gli scompigliava i capelli e mormorava qualcosa nel tentativo di farlo sentire a suo agio.
« Comunque, per sicurezza, Aya ha fatto i biscotti questo pomeriggio e ne abbiamo portati un po’ » intervenne Tsusyoshi.
Kurata si voltò verso l’amica che le sorrise con aria di scusa mentre cercava di impedire a Shinichi di strappare i capelli a una piangente Misa.
« Non ho mai avvelenato nessuno! Per fortuna che dovreste essere miei amici! » borbottò giocando con una ciocca di capelli e girandosi verso Hayama in cerca di supporto.
In fondo è sempre vivo, no? E cucino per lui tutte le sere.
« È inutile che cerchi aiuto. È stato Akito a chiedere a Aya di fare i biscotti » rivelò Tsu con un sorrisetto saputo.
Sana sgranò gli occhi, osservando il marito che ebbe il buon gusto di chinare il capo, nascondendo il viso dietro la frangia.
Tanto dopo facciamo i conti.
« Hai sentito Kurumi? » le bisbigliò Naozumi nel tentativo di cambiare argomento.
Annuì, lanciando un’ultima occhiata assassina ad Hayama.
« Sì. Sta facendo il tour delle principali città americane. Mi è sembrata felice, sta ricevendo molte soddisfazioni lavorative ».
Nao sorrise, guardando di sottecchi Rei dall’altra parte del tavolo per vedere se si era accorto del tema della conversazione. Sana si girò a sua volta.
A quanto pare no.
Sagami si stava facendo imboccare da Risako, la sua nuova fiamma nonché astro nascente dell’hip hop. Da quando era diventato anche il suo manager il loro rapporto sembrava essersi fatto ancora più stretto.
Così perlomeno riesce a coniugare amore e carriera.
La rottura fra Kurumi e Rei dopo che lui aveva scoperto del tradimento le era dispiaciuta immensamente. Era cresciuta prendendoli come esempio dell’amore romantico che riesce a superare gli ostacoli.
A quanto pare però ci sono cocci che non si possono riparare.
Sentendosi osservato, Rei si voltò nella sua direzione, mandando un bacio immaginario a Sari. La piccola lo fissò perplessa, per poi girarsi verso di lei in attesa di spiegazioni per quel gesto. Come sempre, Sana si trovò incantata da quello sguardo ambrato così familiare.
Gli occhi di Hayama nel mio viso.
Da brividi.
« È incredibile come crescono in fretta, vero? Sembra ieri che è nata e invece sono già passati due anni… » mormorò Rei nostalgico.
Risako sorrise, ammiccando.
« Eh sì, hai proprio ragione. Fra poco sarà in età da fidanzatino ».
Sagami quasi si strozzò con la sua stessa saliva, balbettando:
« Fi-fidanzantino? »
Tutta la tavolata scoppiò a ridere, mentre Risako gli dava un buffetto e scuoteva il capo. L’unico che rimase in silenzio e fissò Rei con dipinta in viso un’identica preoccupazione fu Hayama.
Sana sospirò mentalmente.
Avrai un bel da fare con questi due, piccolina.
Rifletté cullandola.
« E invece i documenti per l’adozione? A che punto siete? » chiese Tsuyoshi rivolgendosi a Matsui.
« La prossima settimana l’assistente sociale dovrebbe fare gli ultimi controlli. Un altro paio di firme e questa trafila dovrebbe essere finita » rispose Fuka mentre Sasuke giocava con il tovagliolo, ignaro.
« Avete fatto una cosa bellissima » aggiunse Aya, dolce come sempre, mentre toglieva di mano il coltello a Misa che nutriva propositi vendicativi nei confronti del gemello.
Determinata la ragazza.
« Già che ci siete, perché non prendete anche uno dei nostri? » propose Tsuyoshi, speranzoso.
L’occhiata stizzita di Aya lo fece sudare freddo.
« Ahahah andiamo, stavo scherzando » si riprese con un sorriso tirato.
Naozumi sorrise mentre abbracciava con gli occhi la figura della moglie  e del figlio adottivo.
« Per ora siamo a posto così, grazie ».
« Aya, mi aiuti a portare in tavola il dolce? » propose Kurata alzandosi in piedi e parcheggiando Sari sulle ginocchia di un Hayama che pareva sempre terrorizzato dalla prospettiva di trovarsi a tu per tu con la figlia.
Non è di vetro, A-chan. Tranquillo che non la rompi. Quasi quasi è più facile il contrario…
« Con piacere » la seguì Aya.
Non appena si furono chiuse la porta alle spalle, Sana non riuscì a trattenersi dal rivolgerle uno sguardo apprensivo.
« Va tutto bene, Aya-chan? »
L’amica sorrise, di quel suo sorriso venato di tristezza.
« La verità? Alti e bassi » rispose accarezzando con il dito il bordo del lavandino. « Ci sono momenti in cui penso che non riuscirò mai più a fidarmi di Tsu come prima…»
Si interruppe e Sana si chiese se fosse il caso di insistere ancora. Prima che potesse scusarsi per essere stata indiscreta però, Sugita riprese a parlare:
« Comunque ci stiamo riprovando. Se funzionerà, solo il tempo potrà dirlo » concluse raddrizzando le spalle.
« Lui è tornato a casa, vero? Immagino che faccia strano vivere di nuovo sotto lo stesso tetto… »
Questa volta il sorriso di Aya fu più provocatorio.
« Be’ dovresti saperlo meglio di chiunque altro, no? » domandò alludendo chiaramente ai mesi della gravidanza, quando Akito era sparito dalla sua vita.
Kurata si mise la mano fra i capelli, ridacchiando.
« Hai ragione! »
« È  bello, credo » aggiunse più seria. « I bambini almeno sembrano felici. Non capivano perché il papà non stava più con loro » si interruppe, girando il viso da un’altra parte.
Quando riprese a parlare fu con tono più sbarazzino:
« Avanti, su. Fammi vedere questo capolavoro di dessert! »
Sana sorrise allungandosi per prendere il vassoio. Lo sguardo di Aya quando si trovò la torta di fronte fu così comico che faticò a non ridere.
« Be’ devo dire che ti sei davvero superata! » ammise sgranando gli occhi.
Kurata appoggiò il vassoio sul lavabo, aprendo il forno per mostrare i resti anneriti della sua torta.
« In realtà ho ricevuto un piccolo aiuto. Questo era il tentativo originario » ammise storcendo la bocca.
Gli occhi di Aya saettarono tra il dolce bruciato e quello nel vassoio. Scoppiarono a ridere quasi in contemporanea.
« Terrai il segreto? » le chiese prendendo il vassoio e aprendo al contempo la porta della cucina.
« Ma certo » disse l’amica strizzandole l’occhio.
Quando entrarono in sala, gli invitati ammutolirono.
« Eccoci! » esclamò Sana godendosi le loro espressioni stupite.
Sono una cuoca così pessima? Forse dovrei fare qualche corso.
Posò la torta al centro del tavolo, tagliandola a fette. L’operazione si svolse in silenzio, interrotto solo da Shinichi che tirava la manica a Tsu perché voleva la fetta più grande.
Quando tutti furono serviti, Sana si accorse che gli amici osservavano dubbiosi la loro porzione, come in attesa. Fu Akito a ingoiare il primo morso e gli occhi di tutti si appuntarono su di lui.
Lo masticò in silenzio per un po’, prima di proferire con tono sicuro:
« Shimura ».
Bastò quella parola perché la tensione si allentasse sensibilmente e gli invitati iniziassero a mangiare a loro volta con battute scherzose e risolini.
Sana si girò verso il marito, arrossendo sotto lo sguardo ironico di Fuka.
« Non potevi reggermi il gioco? » bisbigliò torva, incrociando le braccia sul petto. « Sei sempre il solito testone! »
Hayama la fissò, un po’ più a lungo del normale e lei si ritrovò per un istante a dimenticare il motivo per cui era arrabbiata. Poi le si avvicinò, iniziando a giocherellare con i suoi capelli e depositandole un bacio veloce all’angolo della bocca.
Ruffiano.
« Be’ buon metà-compleanno. Anche se sei un sabotatore » si riprese accorgendosi che si stava facendo fregare.
Lo sguardo dorata di Akito si velò di malizia.
« Io la Vigilia preferisco ricordarla per un altro motivo… (1) »
Arrossì fino alla punta dei capelli, tirandosi leggermente indietro.
Com’è che qua dentro fa così caldo?
 « Ehi, ma Sari? » chiese per cambiare discorso.
Akito fece un cenno sotto il tavolo. Sana si chinò, sollevando la tovaglia, e trovò la figlia a gattoni, intenta a studiare Sasuke che giocava con una macchinina. Dal modo in cui la fissava, prevedeva che presto avrebbe provato a sottrargliela.
A volte fa la bulla come il suo papà.
Proprio in quel momento la macchinina finì accanto a lei. Prima che potesse intervenire per prevenire il classico litigio fra bambini, Sasuke appuntò gli occhi su Sari, chinando il capo.
« Ci vuoi giocare? » le chiese.
« Nina. Macchinina » rispose quella, allungando le dita per toccarla.
Sasuke scrollò le spalle.
« Giochiamo insieme. Tanto ne ho un’altra » disse estraendone una simile dalla tasca.
Sana sorrise, sentendosi un po’ sciocca per essersi preoccupata.
Sasuke è proprio un bravo bambino. Non potrebbe essere diversamente con due genitori così.
Riemerse da sotto il tavolo e i suoi occhi si appuntarono su Nao. Sapeva che il fatto di aver adottato un bambino significava tantissimo per lui.
« Propongo un brindisi » esordì Rei, canalizzando l’attenzione di tutti. « A questa Vigilia piena di amore! »
« E di moccio » aggiunse Risako osservando un po’ schifata Shinichi che si metteva le dita nel naso.
«… e di moccio » confermò Rei mentre gli altri ridevano e sollevavano i bicchieri.
Sana bevve lo champagne con un sorriso, chiedendosi se a frizzarle in gola fossero le bollicine o il sapore euforico della felicità.
Perché finalmente adesso lo so.
Andrà bene.
Qualunque cosa succeda, andrà tutto, tutto, bene.
 
 
 
 
Note:

 
  1.   Il riferimento è all’ultimo capitolo di Endless(http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=813994&i=1), intitolato appunto Vigilia.
 
 
 
 
Eccomiiii!!
Vi ho fatto aspettare, lo so.
Ecco l’Epilogo, due anni dopo gli ultimi fatti. È corto, un breve spezzone che ho scelto di ambientare la Vigilia perché è un giorno speciale per Sana e Akito. Spero di aver inoltre risolto gli ultimi dubbi sull’evoluzione delle coppie: alla fine solo Rei e Asako troncano definitivamente, Aya decide di dare un’altra possibilità a Tsu anche se molto sofferta.
Passo ai ringraziamenti: grazie davvero a tutti voi. A chi ha letto, seguito, commentato, criticato, incoraggiato; grazie in particolare a ryanforever, brenda the best, carmy_chan, jeess, ilapietro91, Jecchan92, _Jessica, DiosaUnica, Kekkinachan e lunella678 che hanno commentato lo scorso capitolo. Grazie <3
Alcuni di voi mi hanno chiesto se scriverò ancora in questo fandom, la risposta che posso dare è: nì. Non ho progetti in cantiere nell’immediato, ma un giorno mi piacerebbe scrivere una mini-shot su Sari (un po’ più grandicella magari). Quindi mi sa che non vi libererete di me XD
Be’ ora che siamo davvero alla fine ho un po’ di nostalgia, ma c’est la viè. Un bacio enorme a tutti voi,
un saluto e a presto
Ely

 
 
 
 
 
 
 

 

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