Silence hurts more than the worst sound.

di ValeEchelon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue. ***
Capitolo 2: *** -Premonition. ***
Capitolo 3: *** - So far away. ***



Capitolo 1
*** Prologue. ***


1~Prologue.
 

- Ricordati di me.
 

Prendimi ,
prendimi e seppelliscimi lì,
sotto quel ciliegio in fiore,
vicino a quel ruscello,
vicino a quella macchia scura,
in quel campo che giace
vicino ad un’autostrada.
Vedrò le foglie cadere,
mute,
sul mio viso giovane.

Prendimi,
prendimi e seppelliscimi lì,
su quel ciglio della strada
colorato di rosso,
quel ciglio di strada che mi ha rubato
la vita,
che me l’ha strappata,
come una volgare ladro fa
con una collana preziosa,
la collana della mia esistenza.

Prendimi,
prendi un pezzo di me e tienimi nel tuo cuore,
lascia un angolo che ti ricordi sempre di me,
un angolo che ti parli sempre di me.

E’ impossibile dimenticare,
impossibile fare finta che io non sia mai esistito.

Vivi,
semplicemente.
La vita ti scorre fra le dita,
inesorabile,
incerta.
 Tu vivi,
vivi.
Fallo e ricordati di me. 


 
{ V.

 

 

 


Una luce.
Un bagliore.
Un flash accecante.
Un tuono ruppe il silenzio.
Un fulmine illuminò il cielo.
Cosa stava succedendo?
La pioggia iniziò a scendere, silenziosa, sui tetti delle case, riversandosi sull’asfalto.
C’era silenzio, fuori.
C’era un silenzio disumano, sconfinato, ma improvvisamente si sentì rumore.
Le ruote stridettero terribilmente sull’asfalto bagnato, scivolando.
I freni erano al massimo, cercavano invano di fermare quelle ruote che giravano troppo veloci.
Vetri infranti.
Rumori metallici.
Corpi inermi.
Cosa stava succedendo?
Il rombo della moto cessò improvvisamente.
Il suo casco cadde sull’asfalto, si spaccò a metà rotolando su se stesso.
Rumore di corpi inermi.
Liquido caldo come fuoco su quella superficie ruvida e fredda come ghiaccio: sangue.
Una pozza scura che si andava allargando sotto la sua testa.
Gli occhi improvvisamente bianchi come marmo.
Le mani fredde.
Il respiro corto.
Di nuovo silenzio.
Troppo silenzio.
Un silenzio urtante, carico di dolore.
Un silenzio premonitore.



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Capitolo 2
*** -Premonition. ***




1~ Premonition.



“Jared, fai presto cazzo. Non possiamo sempre arrivare in ritardo perché tu devi sistemarti i capelli."
Emma, spazientita, battè il piede destro sul pavimento quasi meccanicamente, torturando con le dita una ciocca bionda che le scendeva sul viso.
Come al solito Jared era in ritardo e non c’era stato verso di staccarlo da quel maledetto specchio in cui ormai si rimirava da più di tre quarti d’ora, sistemandosi distrattamente i capelli, mettendo a dura prova la pazienza di Emma che lo osservava con il fuoco negli occhi.
La luce che entrava debole dalle finestre illuminava il suo viso, ravvivando leggermente il suo colorito pallido e smorto e i suoi occhi color del ghiaccio velati da un’ombra di noia.
“Allora, mettiamo le cose in chiaro: né io, né tanto meno tu, vogliamo andare a questo fottutissimo party- disse Emma, passandosi una mano fra i capelli, disperata- Ma si è stabilito così, devi fare la tua apparizione e sostenere tuo fratello.”
Jared le lanciò un’occhiataccia fulminea, portando indietro un ciuffo di capelli che gli era finito davanti agli occhi e grattandosi la barba con studiato disinteresse.
“Datti una mossa, quindi, e non rompere i coglioni, Dio Santo!”, concluse, squadrandolo ancora dalla testa ai piedi.
Jared sospirò e battè una mano contro il lavandino su cui era collocato lo specchio, girandosi verso di lei con occhi traboccanti di collera e i nervi a fior di pelle, trattenendo a stento la voglia di prenderle fra le mani il collo sottile e tirarglielo senza pietà, riflettendo seriamente su quanto tempo avrebbe dovuto trascorrere in una cella umida e fredda se mai l’avesse uccisa.
Ultimamente la situazione su era complicata fra loro due, Emma era insopportabile, aveva sempre qualcosa per cui rompere, sempre qualcosa di cui lamentarsi e, più i giorni passavano, più lei diventava isterica e acida.
“Emma, dimmi- disse Jared, voltandosi con calcolata freddezza verso di lei- ma da quanto tempo non scopi?”
Appoggiò anche l’altra mano al lavabo di vetro verde chiaro che rifletteva parte della sua immagine, scaricando il peso di tutto il corpo in quella porzione di spazio troppo piccola per sostenere un metro e ottantacinque di muscoli, con il presentimento che prima o poi il vetro si sarebbe sgretolato come creta al suo tocco.
Lei sospirò nervosa, torturandosi ancora quella povera ciocca tra le dita e facendo roteare gli occhi, innervosita.
“Non sono affari tuoi- si affrettò a rispondere- Limitati al parlarmi di lavoro, su questo posso risponderti.”
Jared rischiò il crollo nervoso con quelle ultime, urtanti, noiose parole tanto che aveva le tempie che gli pulsavano violentemente e la rabbia che ribolliva in ogni angolo del suo corpo, ormai ridotto ad un ammasso indistinguibile di nervi.
“ E allora perché sei qui?!”, sibilò fra i denti, stringendo le mani ancora di più al lavandino e facendosi diventare le nocche bianche: poteva quasi sentire il vetro che si disintegrava.
“Perché non voglio rimanere disoccupata solo perché il frontman della band per cui lavoro è geloso del fratello!”, sputò così, senza ritegno.
Gli occhi di Jared brillarono di una furia omicida: avrebbe potuto ucciderla, avrebbe voluto farlo, se solo avesse trovato qualcun altro a cui affidare tutto il lavoro che lei svolgeva.
Perché ultimamente era così insopportabile, Emma?
E soprattutto, perché si curava così tanto delle stronzate e delle promesse che Jared faceva a Shannon quando non gliene era mai importato un cazzo?
Talvolta Emma risultava incomprensibile anche per Jared stesso nonostante fosse lei fosse la sua migliore amica, l’unica amica che avesse mai avuto e l’unica che avesse avuto il coraggio di dirgli le cose come stavano, senza stronzate e tiritere varie.
Non avrebbe mai pensato di volerle bene, non avrebbe mai pensato di essere così dipendente da lei: la loro era un’amicizia speciale, particolare, un legame che niente e nessuno avrebbe mai potuto mettere in pericolo o addirittura distruggere; la loro amicizia veniva sempre prima di tutto, sempre.
Gli mancava la vecchia Emma, gli mancava la Emma con cui condivideva i segreti e le preoccupazioni, gli mancava la Emma a cui raccontava le sue scopate, le sue bravate e gli mancava la Emma che faceva lo stesso con lui.
 Da qualche tempo, però, Emma si era staccata da lui provocandogli uno strano trauma, provocandogli una delusione degna di un quindicenne lasciato dalla ragazza, causandogli carenza di allegria e simpatia, buttandogli addosso il velo nero della solitudine che ogni giorno lo accompagnava nella sua routine.
La loro amicizia era nata lentamente, come un fiore, come una rosa bellissima che aveva bisogno di tempo per fiorire, che aveva bisogno di essere attesa e desiderata, di essere curata e amata.
Più pensava alla vecchia Emma, più gli venivano in mente scene ormai passate ma impresse a fuoco nella sua testa: lui ed Emma sul tourbus, accoccolati a dormire sul divano; lui ed Emma in spiaggia, a rincorrersi perché lui gli aveva buttato dell’acqua sui capelli; lui ed Emma dietro le quinte degli show, a darsi il solito abbraccio di rito; lui ed Emma per i negozi, nel bel mezzo degli acquisti folli per Natale.
Gli sembrava così stupido da pensare, si sentiva così idiota ed infantile, ma sapeva che in fondo era proprio questo che gli piaceva di Emma: potevano stare a parlare di qualsiasi cosa senza avere paura di essere fraintesi, senza avere paura di essere giudicati, potevano litigare, potevano buttarsi addosso improperi di ogni tipo, ma alla fine sarebbero tornati quelli di sempre, i grandi amici di sempre.
Dato che non aveva mai avuto una sorella a cui fare affidamento,  Jared si era dato da fare per rendere Emma tale: la amava così tanto che forse l’unica cosa che non andava, era il fatto non avessero legami di sangue.
“Cosa ne sai tu se io sono geloso o no di mio fratello?”, chiese girandosi, evidentemente ferito.
Forse Emma aveva veramente sbagliato a dirgli queste cose.
Forse non ne aveva il diritto, non aveva il diritto di dirgli certe confessioni nonostante fosse il suo migliore amico.
Forse non aveva il diritto di trattarlo così: dopotutto rimaneva sempre il suo datore di lavoro.
“Io.. ehm.. – balbettò, girandosi dall’altra parte e buttandosi i capelli all’indietro- Niente, scusami.  Sono solo un po’ nervosa. Dai, prendi il giubbotto e facciamola finita con ‘sta storia.”
Emma arrossì leggermente mentre lo diceva, sentendosi avvampare leggermente le guance e cercando di nascondere i suoi occhi.
“Forse dovrei dirglielo”,pensava.
Non aveva mai avuto paura di Jared, non aveva mai avuto nessun timore a parlargli, a confessargli i pensieri, le azioni, i sentimenti.
C’era stato il momento in cui credevano che il loro rapporto non poteva limitarsi ad una semplice amicizia, gli era venuto il dubbio che in realtà questo stretto rapporto non era nient’altro che l’inizio di un sentimento ben più profondo, ma come sempre, parlandone, avevano chiarito tutto, non senza qualche sorriso imbarazzato, chiarendo le loro posizioni e i doveri che avevano l’uno nei confronti dell’altra.
Il tempo era passato come sempre e ora si ritrovavano più distanti che mai, con mille segreti inconfessati e tanta, tanta vergogna.
“Ma insomma, è Emma, come posso vergognarmi di lei? Lei, che sa tutto di me. Lei, che conosce ogni lato di me. “, pensò.
“Senti, Emma.. Non sono geloso.. è che Shannon ormai è cambiato ed io sinceramente non lo riconosco più..”, disse poi in un soffio.
Emma sorrise comprensiva: Jared era così bambino talvolta che stentava a credere che avesse quarant’anni.
Aveva imparato a conoscerlo, in questi anni; si era resa conto di quanto fosse difficile il suo lavoro, di quanto faticasse e ci tenesse veramente a tutto ciò che faceva, a tutto ciò che intraprendeva.
Ricordava ancora quando l’aveva accompagnato ad Haiti, come si era illuminato il suo viso alla vista di quel bambino dagli occhioni neri che lo guardava con un misto di tenerezza e invidia.
Ricordava ancora quando aveva preso la sua Canon dalla custodia e aveva iniziato a fotografare tutto quello che lo circondava, tutto ciò che aveva davanti, impartendo ordini su ordini ai cameraman, raccomandandogli di filmare tutto, anche i più piccoli dettagli, sentendosi elettrizzato perché era un grande traguardo, per lui.
Ricordava la sua espressione nel prendere in braccio quella bambina tutta treccine e sorrisi che lo chiamava “Ared, Ared” cercando di comunicare con lui in un francese stentato e sgrammaticato mentre lui le accarezzava il viso, sorridendole a sua volta.
Ricordava l’espressione di dolore dipinta sul suo volto mentre osservava, ad occhi lucidi, la distruzione intorno a lui, compiangendo quelli che una volta erano stati suoi concittadini.
Pensava che Jared fosse una grande persona, lo vedeva come un eroe: aveva lavorato per ogni singola cosa, aveva lottato per tutto e non si pentiva di niente.
“Emma, mi stai ascoltando?”
La voce di Jared fece capolino nella sua testa come il sole dopo un temporale, riportandola alla normalità e facendole riporre i pensieri in un lato speciale del suo cuore non senza un sorriso.
Con sguardo smarrito lo vide sgranare gli occhi poi sorridere.
“No, non mi stavi ascoltando.”, disse con voce flebile.
Si girò dall’altro lato e si diresse alla finestra che dava sulle colline di Beverly Hills: la Luna splendeva alta in cielo in mezzo alle sue nuvole, spargendo un alone di malinconia e tristezza tutt’intorno. La pioggia scendeva silenziosa sui tetti delle case e sull’asfalto freddo che riluceva sotto i raggi lunari.
Una strana sensazione stava cogliendo il suo animo già irrequieto, causandogli una leggera morsa allo stomaco che lo affaticava nel respirare.
I suoi pensieri volarono rapidamente a Shannon: l’ultima volta che si era sentito così aveva dodici anni e Shannon era appena caduto dalla moto di loro padre; aveva sempre avuto la fissa per le moto, le aveva sempre amate e adorate, le riteneva capaci di rendere l’uomo libero e senza pensieri, di liberarlo dalle paure e dai fantasmi. L’aveva  cercato per tutta la campagna antistante e l’aveva trovato a terra non molto lontano in una pozzanghera  di fango, con un labbro sanguinante, mentre cercava di rialzare la moto, con ginocchia e gomiti sbucciati. Lui si era un po’ vergognato delle sue condizioni, poi però aveva abbracciato il fratello ed insieme erano andati a pulire la moto per evitare che il padre se ne accorgesse.
Ed ora?
Nonostante gli anni, nonostante le diversità e le avversioni della vita, suo fratello era tutto ciò che di buono rimaneva nella sua vita, tutto ciò per cui valeva la pena combattere e soffrire, tutto ciò che aveva di prezioso.
Shannon rimaneva sempre il suo fratellone maggiore come lui il suo fratellino minore.
L’ansia dentro di lui cresceva sempre di più, i pensieri si ammassavano nella sua testa come fili ingarbugliati che non avevano un senso logico ed era sempre più difficile mandare al cervello gli impulsi giusti per compiere anche le più semplici e basilari azioni vitali come respirare o deglutire.
Si girò verso di Emma e con uno scatto felino percorse la distanza che li separava, le afferrò una mano e la trascinò, senza dire una parola, fino all’ingresso afferrando quasi a caso giubbotto e chiavi della macchina, lasciando persino le luci accese.
Emma lo seguiva, in silenzio, con sguardo smarrito e respiro accelerato: sapeva anche lei che c’era qualcosa che non andava bene, che doveva essere per forza successo qualcosa o Jared le avrebbe dovuto delle spiegazioni, e pure di corsa.
Si scambiarono un’occhiatina eloquente prima di salire in macchina, poi una volta accomodati nei sedili di pelle della BMW, Jared mise in moto e, sgommando, partì seguendo la scia invisibile tracciata dai suoi pensieri.

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Capitolo 3
*** - So far away. ***


2~ So far away..

( Si consiglia la lettura con l'omonima canzone degli Avenged Sevenfold ;) Spero vi piaccia il capitolo!!) 

La pioggia sull’asfalto color della pece lasciava uno strato viscido e unto, riflettendo le luci delle auto che scivolavano cautamente e mettendo a dura prova gli pneumatici lisci che slittavano ad ogni curva.
Il silenzio disumano che regnava in quell’angolo di mondo troppo caotico era balsamo per le sue orecchie, così abituate a frastuoni assordanti e ochette urlanti che cercavano di accalappiarsi la sua attenzione lanciando gridolini eccitati accompagnati da strizzate d’occhio rigorosamente accompagnate da battiti di ciglia degne di Marilyn Monroe.
I suoi pensieri erano finalmente liberi di andare, di pascolare, di smarrirsi, perdersi in quegli spazi troppo grandi e così allo stesso tempo piccoli.
Il suo cuore era in sincrono ai giri del motore, al vento che soffiava e alla pioggia che iniziava a cadere, leggera, sferzandogli il viso coperto in parte da una sciarpa blu che profumava di lei, quella sciarpa morbida che tanto gli ricordava e che lo accarezzava teneramente come se, in realtà, fossero le sue dita sottili a farlo e non del semplice cotone.
Si strinse nel cappotto mentre imboccava una curva ingranando la marcia, spingendo la moto al limite e facendola ruggire.
La libido cresceva di minuto in minuto dentro di lui: la voglia di sentirla accanto superava qualsiasi cosa, era più forte di tutto.
La voglia di accarezzare la sua pelle, di sentirla bruciare al tocco delle sue dita ruvide, di sentire il suo respiro dolce sul collo, di vederle quel sorriso delicato stampato sulle labbra sottili e accoglienti: non aspettava altro.
Mancava poco ormai, una decina di minuti al massimo e sarebbe arrivato a destinazione, avrebbe fatto la sua esibizione con Antoine, avrebbe ballato per un po’ con le fan e poi si sarebbe ritirato in un angolo buio con lei, facendo attenzione a non farsi notare, alimentando la loro voglia di farsi vedere, di gridare al mondo il loro amore.
Aveva finalmente messo l’anima in pace, si era placata in lui quella voglia di cambiamento e si era insediata, invece, quella di stabilità: aveva voglia di costruirsi una vita vera, magari una routine, chissà.
Aveva voglia di parlarne con tutti, specie col fratello, ma qualcosa lo bloccava.
Aveva voglia di dirgli tutto quello che provava, tutto quello che sentiva.
Voleva condividere con lui queste nuove sensazioni, queste nuove emozioni, questa novità che sembrava affascinarlo ogni giorno di più, costringendolo a sperare in qualcosa di assolutamente sconosciuto per lui.
Aveva trovato qualcosa per cui valesse la pena aspettare, vivere ogni singolo giorno, una persona con cui sognare e fare progetti, con la quale programmarsi la vita.
Non si pentiva di nulla se non di aver aperto gli occhi troppo tardi, di aver sprecato giorni su giorni senza averla al suo fianco, però ora tutto questo aveva un senso e la vita sembrava più lunga, bella e promettente che mai.
L’asfalto correva ruvido sotto le ruote della sua Ducati Monster che sfrecciava per le strade di una buia Los Angeles coperta da un cielo plumbeo che prometteva una notte infernale in quella che doveva essere l’ultima notte di gennaio duemiladodici, notte fatta di alcool e musica alta;
Si guardò un po’ intorno ma le strade erano completamente deserte: forse era arrivato il momento giusto di mettere alla prova la Monster, di lanciarla, di farla arrivare al massimo.
Quanto poteva essere bella la sensazione di sentire l’aria schiaffeggiarti il viso caldo nascosto dal casco, quanto poteva essere rilassante lasciare andare l’acceleratore al massimo e non curarsi di scansare o prestare attenzione alle macchine?
Era un’occasione troppo ghiotta da lasciare andare per uno che, come lui, amava le moto e le macchine d’alto livello, che amava gioiellini di prestigiose case automobilistiche come se fossero divinità vere e proprie.
Se c’era un altro grande amore per lui, oltre la musica e quella nuova bellissima arrivata, era la sua Ducati.
Shannon ingranò la quinta e proseguì per la Holliwood Blvd, cercando quella stradina che doveva portarlo al locale dove fra qualche minuto la serata avrebbe avuto inizio.
Ancora silenzio in giro, ancora calma, tranquillità, solitudine.
Non amava molto la desolazione, preferiva il caos e la compagnia, ma questa era un’occasione perfetta per assaporarsi per bene il ruggito della sua grande amata, per gustarla fino all’ultimo ringhio, fino all’ultimo sbuffo. Le ruote aderivano completamente all’asfalto per l’attrito, conferendogli una stabilità e una sicurezza che solo una Ducati sapeva assicurare.
I giri nel motore aumentavano, la velocità era aiutata dalla strada lievemente in discesa e dal vento che soffiava tranquillo sull’oceano: ora come ora, fermarsi sarebbe stata un’impresa degna di un titano.
Ma improvvisamente una luce.
Un bagliore.
Un flash accecante.
Un tuono ruppe il silenzio.
Un fulmine illuminò il cielo.
Cosa stava succedendo?
La pioggia iniziò a scendere, silenziosa, sui tetti delle case, riversandosi sull’asfalto.
C’era silenzio, fuori.
C’era un silenzio disumano, sconfinato, ma improvvisamente si sentì rumore.
Le ruote stridettero terribilmente sull’asfalto bagnato, scivolando.
I freni erano al massimo, cercavano invano di fermare quelle ruote che giravano troppo veloci.
Vetri infranti.
Rumori metallici.
Corpi inermi.
Cosa stava succedendo?
Il rombo della moto cessò improvvisamente.
Il suo casco cadde sull’asfalto, si spaccò a metà rotolando su se stesso.
Rumore di corpi inermi.
Liquido caldo come fuoco su quella superficie ruvida e fredda come ghiaccio: sangue.
Una pozza scura che si andava allargando sotto la sua testa.
Gli occhi improvvisamente bianchi come marmo.
Le mani fredde.
Il respiro corto.
Di nuovo silenzio.
Troppo silenzio.
Un silenzio urtante, carico di dolore.
Un silenzio premonitore.
Shannon faticava a respirare, aveva i polmoni schiacciati dal grande e voluminoso serbatoio della Ducati.
Lo sguardo si andava annebbiando, lasciando posto ad una visione sfocata e indefinita.
Le mani si stavano ghiacciando, abbandonando il corpo, diventando estranee.
La testa pulsava violentemente, le tempie esplodevano, il cervello pressava sul cranio come se ci stesse stretto.
Tutto era così.. buio.
Le orecchie cominciarono a fischiargli lacerandogli i timpani, il cuore cominciò a battere così forte da urtare la gabbia toracica e rompere le costole.
Sentiva il sangue scorrere via, fluire sul viso, sulle palpebre; lo sentiva colargli sulla nuca, sulla testa, lo sentiva pulsare nelle tempie, inesorabile, continuo.
 In un attimo la vista lo abbandonò, seguita a ruota da tutti gli altri sensi, lasciando quel corpo inerme sdraiato sull’asfalto freddo, livido e fermo.
Una serie di ricordi, di momenti ed eventi, si proiettò prima nella sua mente, poi nei suoi occhi, come una pellicola cinematografica il cui protagonista era proprio lui.
Concerti, matrimoni, compleanni, donne, uomini, bambini, posti, luoghi, cieli, mari, alberi, montagne, paesaggi e canzoni scorrevano lentamente davanti a lui, ricordandogli la sua esistenza, la sua infanzia, la sua adolescenza.
Sua madre, suo padre, suo fratello..
E ancora, i fratellastri, la sorellastra, l’odio per il padre e l’amore sconfinato per la madre, la voglia di affetto, di tenerezza, di amore.
Gli abbracci, i baci, le carezze, tutte le effusioni che aveva scambiato con lei, tutto l’amore che le aveva dato e che le doveva ancora dare.
Tutto sembrava finto, gli sembrava di vedere qualcun altro al suo posto, un altro che si sarebbe preso i suoi affetti, i suoi amori, le sue usanze e la sua routine.
Si malediceva per gli errori, gioiva per i successi.
La vita lo stava abbandonando, lentamente, in silenzio, senza che lui se ne accorgesse.
Stava spirando così, da solo, senza la sua famiglia, senza nessuno.

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