Light and Darkness di Bethan Flynn (/viewuser.php?uid=92550)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Darkness swallows all the Light ***
Capitolo 2: *** The place I hate the most ***
Capitolo 3: *** You don't always have a choice ***
Capitolo 4: *** Holy pain ***
Capitolo 5: *** May I be wrong? ***
Capitolo 6: *** The clock stops ***
Capitolo 7: *** Trust the Death and you'll not kill anyone ***
Capitolo 8: *** Moonlight ***
Capitolo 9: *** Memories, Rhum and Names ***
Capitolo 10: *** Morning ***
Capitolo 11: *** Fallen into a Top Hat ***
Capitolo 12: *** Tears for Freedom ***
Capitolo 13: *** The Girl from the Moon ***
Capitolo 14: *** Reunion Tears ***
Capitolo 15: *** Shadows are changing ***
Capitolo 16: *** Snow Kiss ***
Capitolo 17: *** Cooking feelings ***
Capitolo 18: *** You are the Lighthouse in my Darkness ***
Capitolo 19: *** Madness fire ***
Capitolo 20: *** A Voice of Rage ***
Capitolo 21: *** Breaking all the Lies ***
Capitolo 22: *** Disclosing Secrets, Revealing Hypocrisy. ***
Capitolo 23: *** Good Morning, Darkness ***
Capitolo 24: *** Even in Darkness Love can born. ***
Capitolo 25: *** A New Direction. ***
Capitolo 26: *** Entering Reality. ***
Capitolo 27: *** A New Mixed Plot. ***
Capitolo 28: *** We must find the Strenght. ***
Capitolo 29: *** Everything is Connected. ***
Capitolo 30: *** If you Loved your Life, it's because it was Worth it. ***
Capitolo 31: *** Romeo and Juliet: sacrifice for a New World. ***
Capitolo 32: *** Light and Darkness. ***
Capitolo 1 *** Darkness swallows all the Light ***
Il bosco era immerso nella quiete pomeridiana,
piena soltanto dei suoni naturali di alberi e animali selvatici.
Sul piccolo lago era affacciata una capanna di assi di legno, semplice,
con il tetto di paglia e solo una finestra, la si sarebbe potuta dire
formata da una sola stanza, e nemmeno tanto grande.
I raggi obliqui mandavano bagliori dorati sulle cime degli alberi e
sull'acqua, inzuppando ogni cosa dei colori che fanno da preludio al
rosso del tramonto, facendo sembrare l'intero paesaggio immerso in una
bolla scintillante e sospesa nel tempo.
Un sasso venne lanciato nello specchio d'acqua con una discreta
potenza, producendo spruzzi e una serie di cerchi concentrici, che si
allargarono sempre di più.
La ragazza alzò gli occhi, illuminati dai raggi del sole di
bagliori dorati, che tuttavia non riuscivano a smorzare del tutto il
loro colore nero, che sembrava nato dalla stessa oscurità.
-Chi sei?- parlò con voce sicura e ferma, fissando un punto
imprecisato nel mezzo degli alberi.
Ne uscì una ragazzina impacciata, infagottata in un lungo
kimono, con occhi dorati e una grossa stella nera in fronte.
-Di', akuma, mi credete scema per caso?- ringhiò la
proprietaria della capanna, mentre fra le sue mani compariva un oggetto
rotondo simile ad uno specchio, al cui interno però non si
scorgeva alcun riflesso, ma solo un buio totale e profondo.
-Mi manda Cross Marian- quel nome fece scattare qualcosa nella ragazza,
che abbassò lievemente l'arma, sempre cauta -che cosa vuoi?-
sibilò, fissando l'akuma in cagnesco.
-Vuole che veniate da lui- rispose quella, senza fare una piega. Ovvio,
era una macchina senza emozioni, pensò l'esorcista con
disprezzo: come poteva pensare che provasse qualcosa nel vedere la sua
ostilità?
-Ha! Se vuole vedermi digli di alzare le chiappe dai suoi inutili
esperimenti e dalle sue missioni astruse. Io da qui non mi muovo-
sbottò, mentre lo specchio scompariva come se non ci fosse
mai stato.
-Si, immaginavo che avresti dato una risposta del genere. Vai pure, tu-
la voce secca del Generale fu seguita dall'uscita dal folto degli
alberi di un uomo alto, con lunghi capelli rossi e una maschera a
coprirgli metà del viso. Sul volto era stampato un sorriso
beffardo. L'akuma si ritirò.
La ragazza sbuffò, fissando la superficie del lago che a
quel punto era tornata intatta, riflettendo il paesaggio circostante.
Il colore dei raggi era ormai mutato, e l'intera boscaglia era
attraversata da una luce rosata diffusa, a tratti rossa come il sangue,
quando il sole riusciva a raggiungere un punto ben definito.
-Beh? Adesso rifiuti pure gli inviti a cena?- l'uomo si sedette di
fianco a lei, che non fece una piega.
-Che cavolo vuoi? Mi sembrava di essere stata chiara, l'ultima volta-
sbottò con malgrazia -non aiuterò l'Ordine,
voglio solo vivere in pace- le sue mani afferrarono un coltello da
caccia e iniziarono ad affilarlo su una pietra lì a fianco,
che evidentemente ne aveva visti passare molti altri.
Cross la osservò di sottecchi, e non potè non
pensare che nel suo aspetto così emaciato e intriso di
solitudine vi fosse qualcosa di incredibilmente attraente.
Era così magra che quasi scompativa nella veste nera che le
arrivava fino alle caviglie, e che le copriva il capo con un cappuccio
pesante. L'unica parte chiaramente visibile di lei erano gli occhi, il
cui nero faceva sembrare sbiadita anche la trama del tessuto che la
avvolgeva.
Spinto da chissà quale impulso, alzò una mano e
le tolse il cappuccio, accarezzandole il viso.
Una cascata di capelli bianchi, luminosi, che contrastavano talmente
tanto con l'oscurità della sua figura da far male agli
occhi, le piovvero sul viso e sulla schiena, dritti e liscissimi.
Sembrava quasi una creatura di un altro mondo, pensò.
La ragazza poggiò il coltello di fianco a sè con
un sospiro, poi piantò quei pozzi d'ombra dritti nei suoi
occhi, che ci sprofondarono dentro senza alcun ritegno.
Le dita sottili di lei afferrarono il bordo della maschera e gliela
strapparono dal viso con violenza, gettandola a terra, rivelando un
occhio scuro quanto i suoi, differente dall'altro, color nocciola, che
adesso la fissava con un'espressione quasi sofferente.
-Che cosa vuoi, Marian?- mormorò piano.
Spostò il viso vicinissimo al suo, guardandola in ogni
dettaglio: in effetti era vero che si somigliavano, e non solo per quel
colore dell'iride. Avevano la stessa espressione stanca e beffarda al
tempo stesso stampata in volto, quasi deridessero la vita e tutti
coloro che si affannavano a viverla; avevano lo stesso carattere schivo
e orgoglioso, che in Marian si era tradotto in un'ostentazione di
sicurezza e in lei in un desiderio di venire inghiottita dalle tenebre
che il dono maledetto dell'innocence le aveva dato il potere di
controllare.
-Non voglio lasciarti sola- disse -non posso- lei sbottò in
una risata sarcastica -ma come? Il Generale Marian Cross, noto a tutti
come il peggior donnaiolo, scansafatiche e alcolizzato dell'intero
Ordine che si preoccupa per me?- lo guardò gelida -ma fammi
il favore. So cavarmela perfettamente da sola, non ho proprio bisogno
delle tue paturnie- disse acida.
-Perchè fai così?- l'uomo non aveva alcuna
intenzione di demordere.
-Perchè? Marian, siamo fratelli, nel caso te ne fossi
scordato. Io sono tua sorella!- sibilò scocciata -non
può funzionare, non così, non ora. Poteva,
finchè non l'abbiamo scoperto, ma non adesso-
mormorò abbassando gli occhi.
-Non è detto che non ci sia rimedio...- fece lui
accarezzandole una spalla, ma la ragazza lo scansò
bruscamente.
-Smettila. Non toccarmi- gli ringhiò contro -non sfiorarmi
mai più, nemmeno con un dito, se ti è cara la
pelle- quel paesaggio idilliaco sembrò offuscato
dall'oscurità che trapelava dalla figura di lei.
-Non c'è rimedio, non c'è. Io sono condannata, e
per qualcosa che non ho chiesto di avere- concluse seccamente
-finirò inghiottita, quando la mia resistenza
finirà, e voglio morire sapendo di non aver contribuito al
prestigio dei miei assassini- la sua voce era dura, atona,
impenetrabile.
-Aster...-
-Non chiamarmi così!- gridò, alzandosi
violentemente in piedi -non voglio quel nome, non ne voglio nessuno,
voglio solo essere lasciata in pace e che il mondo si scordi della mia
esistenza!- l'uomo si alzò a sua volta, fece due passi e la
strinse fra le braccia così forte che non ci fu modo per lei
di divincolarsi.
-L'Ordine può proteggerti. Lì sanno come fare, e
io non ci metterò piede, se tu non vorrai, ma ti prego,
va’ da loro- disse deciso –Komui non è
il tipo che tu credi. Non è stato lui che l’ha
deciso- ma la ragazza lo allontanò con un brusco spintone,
voltandogli le spalle.
-Io non mi muovo di qui. L’Ordine dovrebbe già
ringraziarmi abbastanza per non essermi unita al suo nemico-
mormorò sottovoce.
-Aster…- riprovò lui, ma la punta del coltello
arrivò fulminea pericolosamente vicina al suo occhio.
-Ti ho detto- sussurrò minacciosa, fissandolo –di
non chiamarmi così. Se non sai usare altri nomi, non
chiamarmi affatto- gettò a terra l’arma e volse
ostinatamente la testa verso il laghetto, ormai privo di ogni luce, un
abisso gelido quanto quello che Marian scorgeva negli occhi e nel cuore
della ragazza.
-Io parto- sospirò –non ci vedremo per un
po’- lei tacque, quindi continuò –a dire
il vero, non so se ci rivedremo affatto- pensò alla sua
missione, e a ciò che ne sarebbe inevitabilmente seguito, e
concluse che sarebbe stata una fortuna se ne fosse uscito vivo.
Quelle parole sortirono un qualche effetto.
La ragazza si girò nuovamente a guardarlo, uno sguardo
spento –e dove vai?- chiese, le labbra incurvate in un
sorriso che i suoi occhi non appoggiavano –dove ti mandano,
stavolta? Che modo hanno escogitato per farti fuori, Marian?-
sussurrò.
Il Generale la guardò con un misto di preoccupazione e
stizza: se fosse rimasta lì, avrebbe finito per impazzire
sul serio, pensò. Ma non voleva essere aiutata, lo capiva
chiaramente.
Voleva soltanto lasciarsi morire, e tutto per colpa sua.
-Mi mandano a spiare il Conte, a cercare i suoi seguaci, cose
così- buttò lì in tono frettoloso
–niente, alla fine ero venuto solo per dirti questo. Ma non
sembra che ti importi molto se mi faranno secco o meno- disse
aspramente.
-Esatto- mormorò lei, senza neppure guardarlo.
Quell’unica parola gli fece più male di tutto quel
dialogo senza senso.
Non disse più niente, imboccò il sentiero da cui
era venuto e sparì nell’oscurità.
Allora, e solo allora sul viso della ragazza qualcosa
cambiò. Una sottile breccia
nell’oscurità rivelò lo scintillio di
un dolore sopito sotto strati di gelo.
Una lacrima, una sola, le scivolò lungo la guancia pallida.
Note dell'Autrice:
Ok, a chi adesso teme che non smetterò mai di pubblicare
fanfiction do perfettamente ragione! XD
Fatemi almeno spiegare in due righe il perchè di questa
proliferazione: avevo un bel po' di OC nel cassetto da quando ho
iniziato a leggere d.gray-man, e innescati dal primo (e più
importante) mi sono venuti fuori tutti. Nonostante abbia anche una
grande passione per lo yaoi, ve lo risparmio, perchè sono
assolutamente negata a scrivere una storia yaoi mantenendo IC i
personaggi. Già con queste ho dei grossi problemi, come chi
ha letto le mie precedenti avrà già ampiamente
notato XD
Forse qui mi salvo, dal momento che il carattere di uno dei personaggi
che svilupperò di più si adatta bene alla
situazione... ma non vi dirò altro, perchè il
pairing stavolta lo scoprirete solo mano a mano che va avanti la storia
u.u
Non so esattamente il perchè, ma sono affezionata a questo
OC. Questa fanfiction l'ho scritta piuttosto velocemente e non
è ancora conclusa, eppure mi sta decisamente appassionando.
Ah, a proposito: io ho messo rating giallo, però potrebbero
esserci scene un po' tragiche... dal momento che non ho molta
dimestichezza con i rating, se qualcuno leggendo pensasse che sia
necessario alzarlo ad arancione me lo dica!! Grazie *_*
Non so con quanta regolarità potrò aggiornare,
dal momento che per l'appunto non è ancora finita e saranno
probabili (anzi, certi) nuovi inserimenti all'interno della storia
principale... in ogni caso, pubblico intanto questo primo capitolo
sperando che un po' vi incuriosisca e VI SCONGIURO di commentare (con
l'altra la disperazione ha funzionato, coraggio, non mi smentite XDXD)!
>_>
Ok, smetto di tediarvi con queste inutili
note, spero di non dovermi suicidare per concludere questa fanfiction e
torno a scriverne un altro po' XD
A presto! ^_^
Bethan
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Capitolo 2 *** The place I hate the most ***
La sala d’ingresso era stracolma di
bare, ma nessun vivo era a piangere su di esse.
Logico, era notte fonda: anche il dolore andava a dormire, prima o poi.
Il portone si aprì sussultando sotto la spinta di mani
sottili, avvolte da ampie maniche nere, e si richiuse con uno schianto
che rimbombò nel silenzio riempito solo dalla presenza
oscura della morte.
Presenza che iniziò ad essere scacciata dallo scalpiccio dei
piedi del visitatore sul pavimento bianco e nero, mentre si
destreggiava fra le miriadi di casse.
Quello era l’Ordine.
Il luogo che lei odiava di più al mondo.
Sapeva che di tutte quelle persone morte si sarebbe persa ogni traccia,
sapeva che non erano che la punta dell’iceberg, nonostante
quella sala ne contenesse migliaia, sapeva che lei avrebbe potuto
benissimo essere là in mezzo, anonima fra gli anonimi, corpo
devastato su cui qualche sconosciuto troppo sensibile avrebbe speso
qualche lacrima e poi via, bruciata di nascosto da tutti.
L’avrebbe quasi preferito all’essere lì,
pensò, inoltrandosi ancora di più in quel
labirinto.
“Che cavolo ci faccio, io, qui?” pensò
per l’ennesima volta, guardandosi intorno.
Non che la rendesse nervosa quel posto, i morti le facevano molta meno
impressione dei vivi.
Perlomeno non avevano finti sentimenti cui fare appello per
giustificare le azioni più efferate, perlomeno non provavano
niente, perlomeno vivevano nella costante oscurità.
Come lei.
Arrivò in fondo e si fermò, guardandosi alle
spalle.
Un sorriso sarcastico le incurvò le labbra, cui come sempre
non corrispose un mutamento nella fisionomia, né negli occhi.
-Questo dovrebbe salvarmi, Marian?- sussurrò, voltando la
schiena a quello spettacolo e incamminandosi su per le scale.
Abbattè la porta con un calcio, scardinandola e facendo
sobbalzare l’uomo collassato sulla scrivania, un biondino
sulla trentina circa.
-Chi sei?- chiese allarmato, mettendosi subito sulla difensiva.
La ragazza non fece una piega e si tolse il cappuccio. Gli occhi
dell’uomo si spalancarono ancora di più.
-Chiama Komui, muoviti- sbottò lei senza dire altro. Quello
si precipitò fuori dalla stanza.
Appoggiò la borsa a terra, fra un caos primordiale di fogli
svolazzanti, e l’occhio le cadde per caso su quello che
doveva star leggendo il tizio che aveva trovato lì dentro
prima di addormentarsi.
“Caduti: 200. Successi: 0” recitava
l’intestazione.
Seguiva una lista di duecento nomi, fredda come la carta su cui era
stampata.
Forse non tutti sapevano cosa fosse realmente successo a quei duecento
nomi.
Le dita sottili strapparono il foglio, riducendolo in brandelli
piccolissimi.
-Sei venuta- una voce trafelata la fece girare. Fissò
l’uomo dai capelli neri come se non lo vedesse neppure.
-Chiudi la porta- ordinò. Quello eseguì senza
fiatare, poi andò a sedersi di fronte a lei, dietro la
scrivania.
-A…-
-Se non volete che passi istantaneamente dalla parte dei vostri nemici
e faccia sparire questo posto dalla faccia della terra-
sibilò la ragazza, facendosi vicinissima a lui
–non. Dovete. Usare. Quel nome- scandì parola per
parola, stringendo gli occhi –sono stata chiara?- chiese poi,
scansandosi bruscamente.
Il Supervisore annuì, deglutendo rumorosamente.
-Credevo non saresti più tornata- sussurrò.
-Non ho certo ricevuto la chiamata divina, non dormirtene sugli allori-
sbottò.
-Allora perché sei qui?- gli occhi di Komui si piantarono
nei suoi senza mostrare cenni di cedimento.
-Affari miei. Allora, la volete la mia innocence o no? Posso benissimo
tornarmene da dove sono venuta- rispose acida, evitando la domanda.
Perché era lì? Avrebbe tanto voluto saperlo anche
lei.
L’uomo sospirò, passandosi una mano fra i capelli.
Era stanco, si vedeva, ma la cosa non la intenerì: quelli
come lui, pensò, avrebbero dovuto sentirsi schiacciati dal
peso di ciò che facevano per tutta la vita.
Il Supervisore aprì un cassetto, traendone fuori due
bracciali, uno bianco e uno nero, e glieli lanciò.
-Indossali. Ti aiuteranno a sopportare il dolore- mormorò.
La ragazza fece come le era stato detto e sentì
immediatamente una sensazione di sollievo nel petto, come se le fosse
stato tolto un carico estremamente pesante dalle spalle.
-Hai mai evocato?- le chiese poi. Lei scoppiò in una risata
sarcastica –mi prendi in giro? Dovunque andassi, quei
maledetti mostri non facevano altro che inseguirmi. Ogni volta dovevo
quasi morire per salvarmi la vita- sbottò, facendo un cenno
brusco con la mano.
-Mi dispiace-
-Sai che me ne faccio delle scuse. Preferirei che mi aveste ammazzata
subito, piuttosto che trovarmi qui- il suo tono aveva perso la
pacatezza, ed era diventato rabbioso e frustrato.
Komui la fissò qualche istante, poi si alzò
–ti faccio vedere la tua stanza- iniziò, ma lei lo
interruppe subito.
-Basta che tu mi dica dov’è. Non ho intenzione di
passare altro tempo assieme a te- disse netta.
Una volta ottenute le indicazioni, se ne andò silenziosa
com’era venuta, il cappuccio ben calcato sul capo a
mimetizzarla con il buio dei corridoi.
Komui si abbandonò pesantemente sulla sedia.
Non se lo sarebbe mai aspettato. Evidentemente era stata opera di
Cross, pensò prendendosi la testa fra le mani.
Quella ragazzina era davvero una bomba ad orologeria.
Eppure, era sopravvissuta, e per quella guerra forse sarebbe stata
molto importante.
---
-Hoshi- la figura incappucciata disse semplicemente questo, sedendosi
all’angolo più remoto del tavolo.
Allen guardò Linalee interrogativo, e la ragazza
sospirò –dev’essere arrivata ieri sera.
Stamani mio fratello era piuttosto scosso. Non so niente di lei-
sussurrò.
L’albino la squadrò nuovamente –fa un
po’ paura- bisbigliò.
-E ha addirittura le orecchie, pensate un po’- il volto
pallido circondato dal cappuccio si era girato verso di loro,
fissandoli uno alla volta con due occhi che mal si distinguevano dal
colore dell’abito.
Linalee sorrise imbarazzata –scusa, non volevamo essere
invadenti. Io sono…- iniziò, ma quella fece una
smorfia di disprezzo –non mi interessa sapere i vostri nomi.
Per la cronaca, non c’è categoria di persone che
io disprezzi più di voi- disse fredda –mi
disgustate. Quindi vedete di starmi alla larga- concluse, rimettendosi
a mangiare.
-Ma che modi…- sussurrò Allen. Linalee
alzò le spalle, ma si vedeva lontano un miglio che le parole
di quella novellina l’avevano ferita.
Era fatta così, non sapeva odiare.
-Ehi, potevi pure essere un po’ più gentile-
sbottò l’albino all’indirizzo della
ragazza.
Quella fece come se non avesse sentito niente.
-Stavo parlando con te- continuò Allen ostinato.
-Allen, lascia per…- sussurrò Linalee, ma le mani
della nuova venuta sbatterono violentemente sul tavolo, facendo voltare
tutta la sala.
Scansò la sedia e si avvicinò ai due, guardandoli
con espressione indecifrabile. All’interno dei suoi occhi, i
ragazzi scorsero solo vuoto, nient’altro.
Un vuoto tenebroso e denso, che risucchiava al minimo contatto.
-Forse non mi sono spiegata- mormorò minacciosa, muovendo un
passo verso Allen –io non sono qui per mia
volontà. Non mi sento investita da chissà quale
missione da martire. Odio questo posto più di ogni altra
cosa, e gli esorcisti non li sopporto- l’albino fece un passo
indietro –ve lo dico chiaro e tondo: statemi alla larga,
altrimenti vi ammazzo- girò le spalle a entrambi,
afferrò il suo vassoio e dopo averlo scaraventato fra quelli
sporchi uscì a passo spedito dalla sala.
I due si guardarono sbalorditi.
-Neppure il tipo di prima era così tremendo- disse
l’albino, rimettendosi a mangiare.
Con “tipo di prima” intendeva Kanda, che dopo
averlo quasi ammazzato perché il custode l’aveva
scambiato per un akuma si era pure rifiutato di rivolgergli la parola.
Linalee alzò le spalle, sospirando –Kanda
è fatto così. Probabilmente dobbiamo solo
imparare a conoscere anche lei- disse –non ho più
fame- prese il vassoio e buttò via il resto della colazione.
---
-Dunque, Allen e Kanda, voi andrete a Matera- quelle parole furono per
l’albino come una sentenza capitale, ma non erano che buone
notizie, rispetto a ciò che sarebbe venuto dopo.
-Io non vado in missione con le mammolette- sibilò Kanda,
zuccheroso come al solito.
-Se è per questo nemmeno io amo i maleducati- lo
rimbeccò Allen.
-Non sarete da soli- aggiunse Komui, come se non li avesse neppure
sentiti, e fu allora che il ragazzo temette davvero il peggio.
La porta si spalancò e ne entrò Hoshi, avvolta
nella stessa lunga veste nera, che la rendeva simile ad un fantasma.
-Hoshi è arrivata ieri sera. Vi accompagnerà- la
ragazza posò gli occhi neri su di loro, senza neppure
accennare ad un saluto.
L’albino alzò gli occhi al cielo, mentre Kanda
sembrò non far caso all’aperta ostilità
della nuova arrivata. Si ritirarono senza neppure una parola.
-Partiremo domattina. Fatevi trovare alle cinque davanti
all’uscita, o andrò senza di voi- disse seccamente
il moro ad un certo punto.
Allen sbuffò –ti ho già detto che non
c’è bisogno di usare quel tono-
-Insomma, piantatela con questo cicaleccio. Non è
così difficile mettere una sveglia- sbottò la
ragazza all’improvviso, troncando la discussione. Gli occhi
del giapponese si posarono increduli su di lei: mai nessuno gli aveva
ribattuto con quel tono.
-Senti un po’, ragazzina…- iniziò, ma
lei sbuffò sarcastica –ragazzina? Guarda che ho un
nome, razza di idiota. Usalo, se vuoi che ti degni di una risposta.
Anche se preferirei tu ne facessi a meno- poi infilò il
corridoio che portava alla propria stanza senza aggiungere altro,
scomparendo ben presto nella penombra.
Il moro fece un verso così scocciato che ad Allen vennero i
brividi: si fermò sul posto e non si mosse finchè
non ebbe sentito i passi di entrambi affievolirsi.
Sarebbe stata una lunga missione, pensò rassegnato. Si
chiese se fossero più pericolosi gli akuma o quei due, e
optò per la seconda.
La stanza era piccola, ma la ragazza non se ne curò affatto.
Era abituata a stare stretta.
Buttò all’indietro il cappuccio, lasciando liberi
i capelli che scesero come una cascata argentea contrastando nettamente
col nero della veste.
Si sedette sul letto, sospirando, e chiuse gli occhi.
Che diamine c’era andata a fare, lì?
Loro non potevano aiutarla. Nessuno poteva, pensò. Marian si
sbagliava.
Marian.
Si, forse era per lui che l’aveva fatto. Forse era
perché si era pentita di come l’aveva trattato
l’ultima volta, forse era perché avrebbe voluto
chiedergli scusa.
Ma scusa di cosa?
Era stato per colpa sua che lei era entrata in contatto con
l’innocence, era stata colpa di Marian se l’avevano
portata là e poi…
Rabbrividì istintivamente, portandosi una mano ai polsi.
Sentì il freddo dei braccialetti a contatto con la pelle.
Era più forte di lei. Disprezzava quel posto, odiava
l’innocence e tutti quelli che credevano fosse una cosa buona
e mandata dall’amore di Dio. Sempre ammesso che un Dio fosse
esistito, pensò, doveva avere dei grossi problemi di vista.
Pensò a quelli che avrebbero dovuto essere suoi
“compagni” e rise di gusto quando quella parola le
venne alla mente: quel moro, non era davvero compagno di nessuno. Si
vedeva da un chilometro. Quanto agli altri due, beh, forse fra loro
avrebbero anche potuto trovarsi bene, ma avrebbero scoperto prima o poi
in cosa trasformava le persone quel posto.
Non c’era posto per l’amicizia, non c’era
posto per l’amore, non lì.
Una volta che uno entrava lì dentro, se aveva la fortuna di
sopravvivere diventava una mera macchina da guerra, con non
più sentimenti che quelle del Conte.
Questo era successo a Marian, e questo sarebbe successo a lei,
pensò. Era inutile cercare di stringere legami; si sarebbero
spezzati come ragnatele al minimo soffio di vento.
Guardò la finestra sbarrata, che mostrava uno spicchio di
cielo nero, punteggiato da stelle, in cui la luna sorrideva beffarda e
sofferente, intervallata dalle sagome della grata che serrava i vetri.
Detestava quel posto, pensò per l’ennesima volta.
Note dell'Autrice:
Secondo capitolo postato in fretterrima (?) perchè devo
andare al corso di Carnevale a prendere la pioggia u.u
Dannato tempo dimmerdlkfjhlàdjh ò___ò
Cooomunque, scleri a parte, avete scoperto il nome della mia beneamata
protagonista... per chi non lo sapesse, Hoshi vuol dire "stella" in
giapponese, mentre Aster (che si, è il nome del Tiranno
delle Cronache del Mondo Emerso, anche se qui è solo una
coincidenza XD) vuol dire "stella" in greco. Non so ancora come usare
questa corrispondenza, comunque qualcosa mi inventerò!
Decisamente, la mia protagonista non ha un carattere amabile e gentile
stavolta. Avevo parecchia rabbia da incanalare .___. poi
cambierà, anche se io stessa non sono ancora riuscita a
capire come il cambiamento sia avvenuto O_o i misteri della scrittura...
Vabbè gente, vi saluto che vado a imbacuccarmi!!
Grazie mille a xxxDemonholic
e a Sherly
per le recensioni! ^__^ Spero che il capitolo vi sia piaciuto!!
A presto!!
Bethan
|
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Capitolo 3 *** You don't always have a choice ***
-Ma voi prendete sempre il treno in questo modo?-
Allen ansimava, sdraiato sul tetto della carrozza che sfrecciava nella
luce mattutina.
Appena fecero il loro ingresso, la croce che portavano sugli abiti fece
loro da lasciapassare: gli assegnarono subito uno scompartimento.
Hoshi lesse svogliatamente il fascicolo riguardante la missione, poi lo
gettò sul sedile e si trincerò dietro al solito
silenzio, guardando fuori dal finestrino, incurante delle chiacchiere
degli altri esorcisti.
Non aveva praticamente chiuso occhio, si sentiva ancor più
nervosa e irritabile del solito, e come se non bastasse le faceva pure
un freddo cane.
Pensò agli akuma che probabilmente avrebbero trovato: se
fossero serviti a scaricarla di quella tensione, sarebbe stata ben
felice di farne fuori a centinaia.
Represse un ghigno al pensiero dell’azione della sua
innocence.
Sua.
Represse lo sbuffo che le saliva alle labbra.
Come se lei l’avesse mai voluta, quella cosa innestata dentro
al corpo, pensò.
-Signorina Hoshi, non avete una bella cera. Volete mangiare qualcosa?-
Toma, il finder, le porse un pezzo di pane, ma la ragazza scosse la
testa in segno di diniego e tornò a guardare fuori il
paesaggio ormai reso netto dai raggi del sole.
-Sto bene, grazie- mormorò dopo un po’ con un
sospiro. Era inutile essere sgarbate all’ennesima potenza con
quel poveretto. Probabilmente non si immaginava neppure ciò
che lo aspettava, oppure lo sapeva ma non aveva niente da perdere,
magari aveva perso l’intera sua famiglia in quella guerra
assurda, magari pensava che quelle battaglie fossero giuste e gli
esorcisti fossero eroi.
Tutte balle, ma nessuno gliel’aveva mai detto.
Come nessuno aveva mai avvertito lei.
-Forse dovresti mangiare- la voce forzatamente gentile di Allen le
provocò un moto di stizza. Non avercela con i finder era una
cosa, essere gentile con gli esorcisti era tutto un altro paio di
maniche. Era per colpa loro che lei si trovava lì.
-Ho detto che non ho fame. Lasciami in pace- sbottò secca
senza neppure girarsi, col tono più tetro di cui era capace.
Sentì su di sé gli sguardi risentiti
dell’albino e del finder, e quello lievemente sorpreso del
giapponese: grazie al cielo una persona che non si scandalizzava per la
sua scortesia.
In ogni caso, questo non voleva certo dire che se lo sarebbe fatto
amico. Non c’era possibilità di contatto fra quei
soldati convinti di essere scelti da Dio e lei, che di un dio non
voleva neppure sentir parlare. Lei era stata scelta dalla voglia che
gli uomini avevano di emulare quel Dio la cui esistenza non era neppure
certa.
Lei era il frutto della presunzione umana.
Il progressivo rallentare del treno e la coscienza di essere finalmente
arrivati la riscossero da quei pensieri.
Scesero, trovandosi in una stazione deserta e spazzata da una brezza
gelida.
Hoshi si incamminò passivamente dietro gli altri,
nascondendo il volto nel cappuccio.
Ad un tratto, la radio sulle spalle di Toma diede segni di vita: gli
altri finder chiamavano aiuto, c’era un akuma, poi la
comunicazione si interruppe di botto con uno sfrigolio. Il gruppetto
arrivò velocemente all’entrata della
città: una porta arcuata, divelta e incastonata in un
cerchio di mura distrutto qua e là.
-Muoviamoci, forza- disse d’improvviso la ragazza,
rimboccandosi le maniche e precedendo gli altri attraverso
l’arco di pietra. I braccialetti-amuleto le scintillarono ai
polsi, mentre si metteva in contatto con l’innocence.
Arrivarono sul luogo dov’erano i finder e videro la scena da
un’altura: gli uomini erano assediati da un akuma che non
somigliava a nessuno di quelli che Kanda e Allen avevano visto fino a
quel momento, ma lei ne aveva visti eccome.
-Un livello due- mormorò. Gli altri si girarono a guardarla,
sorpresi, ma Hoshi non fece una piega e continuò.
-Hanno un ego, e sono decisamente più potenti degli altri-
disse piano –state attenti a non farvi ammazzare,
perché io non vi aiuterò- continuò con
un ghigno sarcastico –non sono qui per fare da balia a
nessuno-
-Guarda che nessuno debba fare da balia a te, piuttosto, novellina- gli
occhi neri della ragazza si strinsero, ma il suo volto non
mutò in altro modo l’espressione neutra che teneva
di solito, come se non avesse neppure sentito le parole del moro.
-Avete proprio un modo spiacevole di parlare, voi due-
sbottò Allen, lanciandosi contro l’akuma.
-Non mi accomunare a nessuno di voi, se ti è cara la vita,
esorcista- sibilò Hoshi sfrecciandogli accanto e correndo
verso la barriera.
Doveva disattivarla e portare via quella roba prima che
l’akuma si pappasse quel ragazzino ingenuo, pensò
mentre un boato le suggeriva che la battaglia era iniziata.
Quando finalmente riuscì a demolire l’ultimo
talisman, si trovò davanti una ragazza con lunghi capelli
biondi che fuoriuscivano da una fasciatura che le copriva
metà testa e che arrivava quasi agli occhi, metallici.
Dietro di lei stava un uomo deforme, avvolto in un mantello logoro.
Loro avevano l’innocence.
-Forza, consegnatecela- Kanda era apparso di fianco a lei.
-Aspettate- balbettò l’uomo –io sono
vecchio, non mi rimane molto da vivere. Lasciateci insieme fino alla
fine, poi potrete prendervela-
-Non possiamo. Non abbiamo tempo- mormorò Hoshi fissando il
vuoto. Quella scena le faceva stranamente stringere lo stomaco,
riportandole alla memoria ricordi dolorosi che lei avrebbe voluto
tenere sopiti nella tomba di gelo che aveva costruito.
Improvvisamente il pavimento sotto di loro cedette con uno schianto,
facendoli precipitare sempre più a fondo.
L’atterraggio non era stato granchè, ma sarebbe
anche potuto andare, se solo quel giapponese acido non le fosse caduto
addosso.
-Spostati- ringhiò lei, scansandolo bruscamente. Aveva preso
una bella botta alla schiena, e dovette respirare a fondo un paio di
volte prima di recuperare l’uso dei polmoni.
-Dove sono andati quei due?- Kanda si alzò in piedi, seguito
subito dalla ragazza.
-Sono scappati- sbottò lei –andiamo, forza-
iniziò a correre per quello che sembrava un labirinto di
corridoi, imponendosi di non far caso al dolore per la caduta.
Ad un tratto, Toma sbucò di fronte a loro –grazie
al cielo- esclamò sollevato –temevo di avervi
perduti! Dov’è il signor Walker?- Hoshi fece un
verso scocciato –quell’idiota si stava facendo
ammazzare senza alcun ritegno. Perlomeno terrà occupato
l’akuma finchè noi non troviamo quella bambola e
la facciamo fuori- il finder ebbe il buonsenso di non replicare e li
seguì mentre si rimettevano a correre.
Hoshi sentì l’innocence al suo interno premere per
venire fuori e dovette fermarsi di schianto, cercando di reprimere
l’invocazione.
-Ma che cavolo…- sussurrò. Non le succedeva mai,
se non quando era molto vicina ad un akuma. Eppure lì non ce
n’erano, erano solo lei, Kanda, e…
Si girò di scatto –spostati, quello è
l’akuma!- gridò, ma fu troppo lenta.
Il nemico si era già trasformato, colpendo il giapponese in
modo così violento da fargli sfondare una serie di pareti.
“Innocence. Specchio della Notte” fra le mani di
Hoshi si materializzò uno specchio rotondo, con una cornice
argentea ed elaborata, al cui interno si scorgeva solo la
più completa oscurità.
Kanda, nel frattempo, non dava segni di vita, crollato addosso
all’ennesima parete.
-Ehi, akuma- ringhiò la ragazza, mettendosi fra lui e il
moro –giochiamo un po’, vuoi?- sentì il
metallo dei bracciali bruciarle attorno ai polsi, ma era un dolore
sopportabile, rispetto a quello che sentiva prima.
-Primo riflesso. Polvere- dal centro dell’arma
uscì un vortice di sabbia bianca, accecante, luminosa, che
avvolse l’akuma completamente. Quello iniziò a
strillare.
-Stattene buono per un momento- sbottò lei, girandosi verso
il giapponese.
Respirava.
Grazie al cielo, non avrebbe dovuto beccarsi una sfuriata
perché aveva lasciato morire uno dei preziosi soldati
dell’Ordine, pensò.
Vide la polvere sgretolarsi lentamente.
-Ok, adesso fatti un bel viaggetto, akuma- mormorò, mentre
si preparava ad effettuare la seconda invocazione.
-Sono Allen, fermati!- la ragazza fissò la massa bianca
scettica –mi vuoi prendere in giro?- sibilò
avvicinandosi cautamente.
Una enorme mano bianca ruppe la barriera.
Hoshi saltò indietro: era la sinistra. Non era
l’akuma. Ma com’era possibile?
Disattivò l’evocazione e dissolse la polvere,
rivelando un Allen sconvolto e ferito.
-Quel bastardo si è sostituito a Toma, poi mi ha messo
addosso la sua pelle ed è fuggito- ringhiò
l’albino.
La ragazza si diede della stupida per non averci fatto caso.
-Stavo badando a quello lì, sembrava morto- disse seccamente
a mo’ di scusa, girandosi verso il giapponese collassato a
terra.
Allen scosse la testa –fa niente. Forza, dobbiamo trovare
quell’innocence- disse. Hoshi annuì
–prendi Toma- mormorò, poi si caricò
Kanda sulle spalle e se lo trascinò dietro, nonostante
pesasse davvero tanto.
Camminarono in silenzio per qualche minuto.
Hoshi rifletteva, del tutto indifferente alla concitazione della
battaglia: perché quei ragazzi erano così
disposti a farsi ammazzare per l’innocence? Cos’era
per loro quella che lei vedeva come una costrizione?
Forse non avevano provato quel dolore, pensò.
Forse non sapevano cosa voleva dire per lei sincronizzarsi. Le sarebbe
piaciuto pensare che ci fosse qualcuno che lo sapesse, ma era una
speranza vana.
Lei era l’unica.
-Tutto bene?- la voce dell’albino la riscosse e si rese conto
di zoppicare vistosamente sotto il peso di Kanda. Scosse la testa
–abbiamo fatto un bel volo. Niente di grave,
passerà- ansimò.
-Forse dovremmo fer…- insistette lui, ma la ragazza lo
fulminò con lo sguardo.
-Non serve che vi preoccupiate per me. E’ quanto di
più ipocrita possiate fare- sibilò, aggiustandosi
meglio il ragazzo sulle spalle –non ho bisogno di aiuto.
Troviamo quella maledetta bambola, stacchiamole la spina e facciamo
fuori il vecchio. Tanto ha poco da vivere- sbottò. Allen
rimase zitto, pensando sempre di più a quanto poco
sopportasse lei e il tipo mezzo morto che stava trasportando.
Sbucarono in una grande sala, di cui non riuscivano quasi a vedere la
fine.
Nel mezzo, la bambola e il vecchio, soli.
-Oh, finalmente- ringhiò Hoshi, mollando Kanda a terra senza
troppe cerimonie e dirigendosi a passo spedito verso i due.
-Non possiamo più aspettare. Devo prendere
l’innocence, a costo di uccidervi entrambi- disse ferma,
guardandoli.
La bambola saltò in piedi, afferrando una colonna diroccata
e facendo per scaraventargliela addosso.
-Baratro- mormorò Hoshi, e lo specchio si
materializzò istantaneamente fra lei e la colonna,
gigantesco, inghiottendola senza lasciarne traccia per poi tornare a
dimensioni normali.
-Se non vuoi fare la stessa fine, consegnami l’innocence-
mormorò minacciosa –adesso- voleva andar via da
quel posto, si odiava per la sofferenza che stava causando, ma non
poteva fare a meno di smettere di pensare che a lei nessuno aveva
concesso una scelta.
La vita era crudele, e non era mai completamente in mano a chi la
possedeva.
Allen si parò davanti a loro, fissandola truce
–aspettiamo. Non c’è bisogno di
prenderla subito-
La ragazza lo guardò irritata –scusa? Nel caso tu
te ne fossi scordato, c’è un livello due che ci
sta dando la caccia- disse sarcastica, ma quello non si mosse.
-Non voglio vedere una cosa del genere- disse.
La spada di Kanda spuntò da dietro l’orecchio
della ragazza, puntata contro Allen –se non ti sposti,
ammazzo anche te- sibilò il giapponese, che a malapena si
reggeva in piedi.
-Fallo. Mi sacrificherò io per loro- gli occhi grigi di
Allen li guardarono entrambi. Hoshi scrollò le spalle.
-Benissimo, aspetteremo finchè il vecchio non tira le cuoia-
si sedette pesantemente a terra –che aspetti, Yu Kanda?
Riposati finchè puoi, fra poco avremo visite-
mormorò, sentendo l’innocence sempre
più irrequieta.
-Gsor..?- la voce strozzata della bambola diede conferma alla sua
premonizione, mentre il vecchio dietro di lei si trasformava
nell’akuma, il volto distorto da un ghigno beffardo.
-Freeeegati, esorcisti!- cantilenò.
-Era lei ad avere l’innocence!- Hoshi scattò in
piedi e si mise in guardia –maledizione, finchè la
tiene non posso assorbirlo- sbottò.
Allen scattò verso l’akuma, il braccio che
assumeva pian piano un’altra forma, simile ad un cannone.
-Ma che…- la ragazza lo fissò sbalordita.
-Si sta evolvendo. Probabilmente è una reazione dovuta alla
rabbia- disse secco Kanda.
-Idiota. Non ce la farà mai in quel modo- la ragazza
evocò lo specchio.
-Terzo riflesso. Lama- mormorò. Infilò una mano
nell’oscurità e ne estrasse una katana dal manico
argenteo e dalla lama nera come il carbone, come il centro dello
specchio che scomparve non appena la punta ne fu estratta.
Schizzò verso la battaglia, dove Allen stava bombardando
l’akuma di proiettili che però non riuscivano a
scalfirne la pelle di sabbia.
-Recupera l’innocence! Al resto ci penso io!- Hoshi
saltò su una colonna, ma l’albino non diede segno
di averla sentita.
-Al diavolo! Stupido idiota!- sbottò, gettandosi
sull’akuma e tagliandogli l’estremità
che reggeva il cuore della bambola.
-Maledettaaaaaaa!- quello si rigirò, pronto a colpirla, e
Hoshi vide che non ce l’avrebbe mai fatta a parare in tempo.
Chiuse gli occhi, ma il colpo non venne, sostituito invece da un
mugolio di dolore.
Davanti a sé, Kanda crollò a terra, colpito a una
spalla.
-Ma che diavolo fai?!- strillò lei avvicinandosi, ma il
giapponese la respinse bruscamente –forza, finiscilo. Quello
là non può farcela- ansimò.
Hoshi lo guardò per un istante, poi annuì e
evocò lo specchio, lanciandolo fra l’akuma e Allen.
-Baratro- l’arma si allargò, e il nemico fu
acchiappato dal vortice che lo trascinò in quella densa
oscurità, urlando furiosamente finchè non ne fu
assorbito.
Hoshi cadde a terra in ginocchio, ansimando e tenendosi i polsi: vi
erano profonde bruciature dove il metallo toccava la pelle, e sentiva
come se il cuore le fosse stretto in una morsa.
Cessò l’evocazione, ma continuò a
sentirsi sfinita.
Allen fu subito da loro. Gli porse il cuore della bambola senza una
parola, l’innocence che risplendeva debolmente: la
odiò più che mai. Non era causa che di dolore.
-Fanne ciò che vuoi- mormorò brusca, poi
afferrò un braccio di Kanda, incurante delle sue proteste.
-Senti, io e te dobbiamo curarci, quindi non rompere. Chiaro?
Altrimenti ti lascio qui- sbottò sfinita.
Non l’avrebbe lasciato lì, ma solo
perché l’aveva salvata. Altrimenti, un pensierino
ce l’avrebbe fatto eccome.
Non degnò Allen di ulteriori occhiate, se erano conciati a
quel modo la colpa era solo sua e della sua gentilezza suicida.
Una volta usciti, sentirono la bambola cantare.
---
-Voi siete pazienti gravi, guaribili in cinque mesi!-
protestò il dottore, ma Hoshi gli lanciò
un’occhiataccia da dietro il cappuccio.
-Cinque mesi sono troppi. C’è chi non li ha- disse
noncurante, facendogli un cenno con la mano e incamminandosi dietro a
Kanda.
-Che cosa sei, tu?- gli chiese dopo un po’. Quello non
rispose.
Hoshi ne era rimasta incuriosita, suo malgrado: aveva subito ferite
gravissime, era stato colpito dagli akuma e nonostante tutto nello
spazio di tre giorni si era completamente ripreso.
-Potrei farti la stessa domanda, novellina- fece acido, accennando ai
suoi polsi con un cenno del capo.
La ragazza ghignò –direi che potremmo farci
entrambi gli affari nostri, Yu Kanda- disse, tirandosi giù
le maniche.
-Solo Kanda- sbottò lui.
-Allora io sono Hoshi, e non “novellina”-
replicò lei impassibile, sancendo tacitamente una
neutralità.
Strano, pensò.
Quello che stavano facendo, poteva essere definito come
“chiacchierare”? Sbuffò al solo
pensiero: quella missione era veramente stata una palla al piede, ed
un’assurda perdita di tempo.
Quando sarebbero tornati all’Ordine, avrebbe chiesto di
mandarla in missione da sola. Molto meglio, pensò, poter
agire come le pareva.
-Oh? Che ci fanno qui pazienti guaribili in cinque mesi?-
-Sono venuti a dirti che se ne tornano a casa, con o senza innocence.
Qui puoi pensarci anche da solo, ormai- disse Hoshi, fissandolo. Allen
le rimandò uno sguardo sperduto, che si spalancò
ancora di più quando il canto che proveniva
dall’interno della struttura cessò improvvisamente.
Nonostante l’istinto le suggerisse di andarsene da
lì, Hoshi aspettò finchè
l’albino non ritornò con l’innocence e
con un’espressione così triste in viso che non se
la sentì di infierire ulteriormente.
Anzi, contrariamente a ogni previsione gli andò vicino,
prendendogli l’innocence dalle mani e infilandola in una
borsa –non a tutti viene data una scelta, Allen Walker-
mormorò, battendogli una mano sulla spalla. Poi si
incamminò verso la stazione senza dire più niente
per tutto il viaggio, sentendosi addosso lo sguardo stupito di quelle
iridi chiare.
Note dell'Autrice:
Eccomi qua ^__^
Mi sento molto simile a Hoshi in questo periodo, credo di avere la sua
stessa aura omicida che mi aleggia intorno. La gente mi evita
°w°
Ad ogni modo, eccovi la prima missione e un assaggio dell'innocence di
Hoshi che ovviamente non esaurisce qui la sua funzione... con una cosa
del genere ci si può sbizzarrire alla grande, lo vedrete XD
Forse qualcuno dei lettori più attenti avrà
già capito qualcosa su Hoshi e la sua innocence,
però il tusso sarà rivelato nel prossimo
capitolo, perchè sennò questo veniva troppo lungo
u.u
Adoro farla rispondere male a tutti. Mi sento realizzata, dopo due OC
al limite della sdolcinatezza XD
Rispondiamo ai commenti e smettiamo di farneticare:
Sherly: si,
lo studio del Romanticismo tedesco sta influenzando questa fanfiction
in modo drammatico. Nel punto che sto scrivendo ora poi sembra di
leggere Tieck .__.
Non lo so, mi sta appassionando questa cosa. Dopo oggi poi, la mia sete
di sangue è alle stelle ò__ò figurati
(parentesi che non c'entra un cavolo con la ff) che l'hanno avvertita a
distanza persone che non c'entravano niente XD
Kamm: uh,
che bello *__* una new entry ^__^ sono felice che Hoshi ti piaccia :3
è piuttosto intrattabile all'inizio, e quando incontra
Lavi... beh, lo leggerai XD di sicuro non gliele manda a dire!
Scusate per la brevità ma devo scappare a studiare un piano
malefico u.u
Al prossimo capitolo!!
Recensite T_T sennò come cavolo miglioro io?!
Un bacio a tutti quelli che leggono/seguono ^__^
Bethan
|
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Capitolo 4 *** Holy pain ***
Arrivarono all’Ordine, rischiarono la
morte per un’invenzione finita male di Komui, cosa a cui le
dissero di abituarsi, e finalmente poterono tornare nelle loro stanze
demolite.
Hoshi scaraventò la borsa sul letto e ne tirò
fuori l’innocence, conscia che a breve qualcuno sarebbe
venuto a chiamarla per portarla da Hebraska.
Sospirò, fissando l’immenso buco nel muro:
perlomeno adesso il cielo era chiaramente visibile senza sbarre ad
ostruirlo, pensò. Avrebbe dovuto rimanere così,
tanto a lei non dava fastidio il freddo.
Come volevasi dimostrare, un “toc toc” lieve alla
porta, ancora miracolosamente intera, le segnalò che era il
momento di uscire.
Si trovò di fronte un altro elemento che mise a dura prova
la sua sopportazione: Linalee.
-Mio fratello…- iniziò, ma Hoshi la interruppe
bruscamente.
-Si, si, lo so- disse annoiata –dimmi solo
dov’è Hebraska-
-Devo portatrici io. Non sai la password per entrare- rispose secca la
cinese, affiancandosi a lei. Era evidente che la faticosa sopportazione
era reciproca. Hoshi pregò di non aver mai missioni assieme
a lei, perché non era affatto sicura che avrebbe retto bene
come in quella appena svolta.
Forse, una così, l’avrebbe lasciata al suo destino
senza pensarci due volte.
Perlomeno quell’Allen un po’ di spina dorsale
l’aveva.
Arrivarono nel sotterraneo in un silenzio teso, ma la ragazza ormai
aveva altro a cui pensare. Con ogni probabilità, Hebraska
avrebbe insistito per esaminarla, e il pensiero che quella cosa le
sondasse di nuovo tutto il corpo la faceva sudare freddo.
Una volta era stata abbastanza.
-Oh, eccovi- sorrise Komui, come se non avrebbe dovuto essere ad
aiutare a rimettere a posto tutto ciò che la sua
fallimentare macchina aveva demolito.
Hoshi gli porse l’innocence senza una parola, girandosi
subito per andarsene, ma l’uomo la richiamò come
aveva temuto.
-Devi farti esaminare, Hoshi- mormorò fermo
–Hebraska, prendila- la ragazza sentì le braccia
di quella cosa afferrarla e immobilizzarla prima che potesse scappare,
e iniziò a divincolarsi sotto gli occhi stupiti di Linalee.
-Lasciami! Lasciami andare, non voglio! Sto bene, mollami!-
ringhiò, dibattendosi come una bestia in gabbia.
-Hoshi, non è… non è niente, Heb
è un’amica…- provò a dire la
cinese, ma l’altra iniziò a gridare con tutto il
fiato che aveva in gola, mentre veniva sollevata nel baratro.
-Fratello…- sussurrò Linalee, ma Komui le mise
una mano sulla spalla.
-Dovrà abituarsi- disse duro –non può
pensare di eludere l’analisi- mormorò con un tono
fermo come raramente la ragazza gli aveva sentito.
Le urla di Hoshi riempivano lo spazio vuoto, come se l’essere
sondata da Hebraska le provocasse un dolore fuori
dall’immaginabile.
-Lasciami! Lasciami andare!- gridava.
-Se… ti ribelli, il… dolore peggiora.
Stai… ferma- mormorò Hebraska, senza lasciarla
andare.
-Innocence! Baratro!- gridò Hoshi, ma le sue parole si
trasformarono in un urlo di dolore quando lo specchio si
manifestò fra lei e Hebraska.
-Fermala! Fratello, fermala!- Linalee si aggrappò alla
ringhiera, fissando con occhi sbarrati il dolore di Hoshi
–basta, non vedi che le fa male?- ma lui non disse niente.
Hebraska controllò l’evocazione di Hoshi fino a
farla sparire, mentre la ragazza non smetteva di gridare, poi la
posò a terra.
-La… sincronizzazione è… del 92%-
mormorò –un… ottimo risultato-
-Preferirei morire!- gridò lei, il volto rigato di lacrime,
l’espressione gelida stravolta dalla sofferenza
–perché non mi avete ammazzata subito?
Perché non sono morta come gli altri?- diede uno spintone a
Linalee che le si era accucciata accanto –non toccarmi! Che
nessuno di voi mi metta più le mani addosso! E riprenditi
questa roba!- gettò i braccialetti violentemente verso
Komui, rivelando le bruciature sui polsi.
La cinese fissò gli oggetti con occhi sbarrati –ma
quelli…- sussurrò, le iridi viola che si
spostavano dai cerchietti che tintinnavano sul pavimento alla ragazza
sconvolta che aveva di fianco.
-Fratello, cosa significa?- sussurrò atterrita, ma lui non
rispose, continuando a fissare Hoshi, serio.
-Non sei morta, Hoshi, questo è quanto. E questo ti rende
speciale- la ragazza sputò ai suoi piedi
–speciale? Io non ho mai chiesto di esserlo!- urlò
–io non sono speciale, Komui, sono condannata. Per colpa
vostra- ansimò, il respiro rotto da violenti colpi di tosse.
-Linalee, portala via- disse secco il supervisore, voltando le spalle a
entrambe.
-Bastardo- sibilò Hoshi –odio questo posto, odio
l’innocence, odio l’Ordine e odio Dio! Che possiate
crepare tutti nel peggiore dei modi!- le braccia di Linalee si
strinsero attorno alle sue spalle, mentre la ragazza se la trascinava
dietro, ancora sconvolta.
-Forza, usciamo di qui- le sussurrò, ma nella sua voce non
c’era traccia di stizza, solo di un orrore di cui non aveva
il coraggio di chiedere conferma.
Hoshi si lasciò condurre fuori, senza riuscire a smettere di
piangere.
Sentiva bruciare tutto il corpo, ogni nervo implorava quel dolore di
smettere, ogni sua cellula avrebbe voluto rigettare quella cosa
ancorata forzatamente al suo corpo, senza che avesse modo di riuscirci.
Ormai, avrebbe dovuto vivere così finchè non
fosse morta o per gli akuma, o per una provvidenziale pazzia.
Hebraska era fatta d’innocence, e l’essere sondata
da lei era stata la peggiore delle torture, come la prima volta.
Arrivarono di fronte alla sua stanza che lei nemmeno se ne accorse, ma
si rese benissimo conto che qualcosa non tornava, una volta entrate.
-E’ la mia stanza, nella tua fa troppo freddo- disse ferma
Linalee –starai qui per oggi, non voglio sentirti discutere-
la cacciò a letto e le tolse il cappuccio prima che Hoshi
potesse fermarla.
Vide diverse espressioni passare sul volto della mora quando vide la
cascata di capelli candidi scivolare sulle sue spalle.
Comprensione, negazione dell’evidenza, orrore di fronte
all’impossibilità di non vedere.
Hoshi si tirò su nuovamente il cappuccio, la mano che le
tremava –per stasera sarò fuori di qui-
sussurrò, ansimando e sdraiandosi sul materasso. Il contatto
col cuscino gelido fu un sollievo per la testa che sembrava andarle a
fuoco –lasciami sola. Per favore- aggiunse poi, dando le
spalle alla ragazza.
Sentì qualcosa di morbido e pesante appoggiarsi sul suo
corpo, facendole caldo, poi udì il
“clic” della porta che si chiudeva, e solo allora
concesse ad un sonno sfinito di portare lei e la sua anima
nell’oblio che tanto desiderava.
---
-Fratello, cosa significa? Che cos’è Hoshi?-
Linalee stava piantata davanti alla scrivania di Komui, fissandolo
decisa. Non si sarebbe mossa da lì finchè non
avesse ottenuto una risposta.
Aveva una sua teoria, e sperava vivamente di sbagliarsi.
Komui sospirò, serio come la ragazza non l’aveva
mai visto –attualmente, è l’unica
sopravvissuta al tentativo di un innesto forzato
dell’innocence- disse –l’unica che non
sia caduta- sua sorella lo guardò con occhi sbarrati.
-Tu…- sussurrò incredula –tu hai fatto
un esperimento del genere?- non poteva crederci. Non poteva credere che
suo fratello, dopo tutto quello che entrambi avevano passato, avesse
potuto continuare a tentare la sincronizzazione forzata.
-Fu Cross a portarla da me. Aveva tredici anni, allora- disse atono
–riusciva ad utilizzare Judjment e ad evocare Maria come se
fossero sue, anche se con una percentuale di sincronizzazione molto
bassa, quindi decidemmo di sondare se all’interno di Heb vi
fossero cubi compatibili con lei- Linalee lo guardava sempre
più inorridita.
-Ma lei ha sofferto, prima, e quelle bruciature…-
iniziò, ma suo fratello la interruppe alzando una mano.
-Heb trovò un cubo meno refrattario di altri, e
l’ufficio centrale le diede l’ordine di procedere
prima che io potessi fare qualsiasi cosa- continuò mesto
–funzionò, almeno in parte. Hoshi si
sincronizzò con l’innocence, ma a un prezzo
enorme. Ogni volta che invoca, sente un dolore terribile, e il contatto
con la materia sacra è né più
né meno che una tortura, per lei- sospirò
–quei braccialetti dovrebbero servire a contenere il
contatto, ma evidentemente non funzionano-
-Ma… se soffre così tanto, perché Heb
non può riprendere il cubo dentro di sé?- chiese
Linalee in un sussurro. Komui scosse la testa –non sappiamo
perché, ma non c’è mai riuscita.
E’ come se l’innocence si fosse fusa con Hoshi. Se
hai visto i suoi capelli…- Linalee annuì
-…e i suoi occhi, quelli non erano così. Il
fisico di Hoshi si è assimilato alle caratteristiche della
sua innocence, lo Specchio della Notte- concluse l’uomo.
Linalee non disse niente. Adesso capiva il perché Hoshi
fosse così scostante e mostrasse costantemente disprezzo
verso di loro.
Lei avrebbe fatto lo stesso, tutti avrebbero fatto lo stesso.
-Linalee- suo fratello la chiamò, e lei lo guardò
negli occhi scuri –non puoi aiutarla, finchè non
sarà lei a lasciartelo fare. Non sprecare energie su quella
strada- mormorò –abbiamo già tentato di
tutto, ma il suo odio è troppo forte. E’
già un risultato il fatto che si sia unita
all’Ordine, dopo due anni- la ragazza sbattè le
mani sul tavolo, frustrata –e dovrei lasciarla perdere?! Dopo
tutto quello che ha passato?- chiese accorata.
-Non puoi farci niente, Lina- rispose lui –e nemmeno gli
altri possono. Per questo, vorrei che tu non dicessi a nessuno quello
che ti ho detto io oggi- la guardò serio –potrebbe
decidere di andar via di nuovo, se si sentisse accerchiata- la ragazza
frenò le parole che le salivano alla bocca, fissando
ostinatamente in terra.
Komui si alzò e le mise una mano sulla spalla, ma Linalee lo
scansò –ho capito. Farò come dici-
disse solo, poi uscì di corsa dallo studio.
Komui rimase solo, in mezzo alle scartoffie, chiedendosi quanto ancora
gli avrebbe portato via quella guerra.
Linalee camminava alla cieca per i corridoi, incurante di dove la
stavano portando le sue gambe.
Andava bene dovunque, pensò, purchè fosse
abbastanza lontano da quella stanza.
Non poteva credere a tutto ciò.
Non poteva credere alla freddezza di suo fratello verso Hoshi.
Riusciva a stento ad immaginare come si sarebbe sentita lei, se le
avessero fatto una cosa simile. Anche lei era stata portata
all’Ordine contro la sua volontà, ma
c’era sempre stato suo fratello, e lei era una compatibile
dalla nascita. Avevano stravolto la sua vita, ma per dargliene
un’altra in cui non c’era solo dolore.
La vita di Hoshi, cos’era, invece?
Costretta a vivere in quel posto e a soffrire per persone che le
avevano impiantato a forza nel corpo una cosa che lei non voleva e che
tuttavia la condizionava così pesantemente da cambiarle i
connotati.
Si chiese quale fosse il suo aspetto, prima. Forse non aveva avuto
quegli occhi di quel nero così innaturale, in cui era
praticamente impossibile distinguere la pupilla dall’iride.
Forse il suo viso non era così pallido, e di sicuro i suoi
capelli avevano un altro colore. Forse sorrideva, prima.
Forse amava, prima. Adesso odiava e basta.
Sbattè violentemente contro qualcuno che aveva appena girato
un angolo e il flusso dei suoi pensieri si interruppe.
-L-linalee! Scusami! Come stai?- un trafelato Allen la aiutò
a rialzarsi. La ragazza si stampò in viso un sorriso
forzato: non doveva dire niente agli altri, soprattutto ad Allen. Lui
nemmeno lo sapeva, cos’era un caduto.
-Sto bene. Com’è andata la missione?- chiese per
sviare il discorso dal suo attuale stato d’animo.
L’albino sospirò –un incubo- si
lamentò –fra Kanda e Hoshi, credevo che mi
avrebbero fatto fuori prima loro degli akuma- Linalee
ridacchiò –mi sembri tutto intero- Allen
annuì pensieroso.
-Già, dov’è Hoshi? Aveva lei
l’innocence se non sbaglio- chiese dopo un po’ che
camminavano in silenzio. La ragazza dovette darsi un bel da fare per
non trasalire, sussultare o ammutolire e dare una risposta semplice
come “l’ha già portata a Heb, adesso
starà riposando”.
-E’ strana, Hoshi- fece il ragazzo dopo un po’.
-C-cosa intendi?- balbettò Linalee sulla difensiva, prima
che la sua razionalità le dicesse che non c’era
nulla di cui preoccuparsi, che Allen non poteva avere neppure
l’idea più remota di cosa avesse fatto realmente
l’Ordine a quella ragazza.
-Sembra che ci detesti tutti, eppure in missione mi ha aiutato, alla
fine, ed ha aiutato anche Kanda- rimuginò lui.
-Lei ci odia, ma questo non credo voglia dire che lascerebbe morire
qualcuno- disse Linalee –non mi sembra cattiva. Un
po’ come Kanda- tagliò corto poi.
L’albino annuì –chissà
perché odia gli esorcisti- mormorò dopo un
po’.
-Allen- lo chiamò la ragazza.
-Mh?-
Fece un respiro profondo –non chiederglielo, per favore-
Allen la guardò con tanto d’occhi –ma
quindi tu lo sai?- Linalee annuì mesta –si, ma non
posso dire niente a proposito. Ti chiedo solo di non domandare a Hoshi
perché ci odi, sarà lei a dirlo, se
vorrà- mormorò.
L’albino sorrise –tranquilla, non le
chiederò niente. Ognuno ha diritto a tenersi i suoi segreti-
la ragazza sospirò sollevata –anche se non per
questo sarà più facilmente sopportabile-.
Note dell'Autrice:
Credevo non ce l'avrei fatta ad aggiornare in tempo T.T vi chiedo scusa
ma devo allungare i tempi, perchè fra studio e tutto non
riesco a concentrarmi bene sulla trama generale -__-
cercherò comunque di aggiornare con regolarità!
Dunque, finalmente si scopre (piuttosto presto in verità)
come mai la mia disgraziatissima protagonista detesti l'Ordine e tutta
la combriccola. Come darle torto? Sono stata leggermente cattiva, ma mi
farò perdonare u.u
Grazie a Sherly
per la recensione, scusate se non mi dilungo ma sto morendo dal sonno
=_= è stata una giornata psicologicamente stressante XD
Grazie a tutti quelli che leggono/seguono!
Bethan
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Capitolo 5 *** May I be wrong? ***
Si svegliò quando la stanza era ormai
immersa nell’oscurità.
-Cavolo, ho dormito troppo- mugugnò, alzandosi bruscamente.
La testa le girò.
Aveva i muscoli ancora indolenziti dalla tensione, e le tempie le
facevano un male cane. Aveva pure fame, ma sarebbe scesa solo dopo aver
capito che ore fossero e essersi accertata che non ci fosse nessuno a
mensa.
Non aveva voglia di vedere altri esorcisti, non aveva voglia di vedere
nessuno.
“Non è vero” pensò subito
dopo “lui, lui lo vorresti vedere, se ci fosse”
scacciò subito quella voce molesta dalla sua mente.
No. Doveva dimenticarlo. Lei non ne aveva bisogno, non aveva bisogno di
nessuno. Non poteva amare, con tutto quell’odio.
Si alzò e gettò un occhio alla sveglia poggiata
sul comodino: le dieci e mezzo. Si chiese dove fosse andata Linalee.
Osservò il letto sfatto, sospirando: non poteva lasciarlo
così.
Lo rifece in un lampo e poi lasciò la stanza, chiudendosi
piano la porta alle spalle. Si sentiva tremendamente debole, come se
fosse stata malata per un sacco di tempo.
Scese lentamente le scale, affacciandosi alla mensa: il salone era
deserto, fatta eccezione per Jerry, il cuoco, che stava rassettando.
Emise un soffio di sopportazione, ma doveva mangiare, o sarebbe
collassata sul posto.
Si avvicinò cautamente al bancone, e quando l’uomo
si accorse della sua presenza la guardò con tanto
d’occhi.
-C’è… è ancora possibile
mangiare, o è troppo tardi?- domandò impacciata
–posso prepararmi qualcosa da sola, non è un
problema- aggiunse, ma il cuoco la guardò con un gran
sorriso –assolutamente no! Siediti e dimmi cosa vuoi
mangiare, si vede che ne hai un gran bisogno!- esclamò,
pigiandola su una sedia.
Hoshi era troppo stanca per replicare qualsiasi cosa –roba
calorica. Quello che c’è- mormorò
soltanto. Mai come in quel momento sentiva di aver bisogno di energie.
-Lascia fare a me!- cinguettò Jerry, mettendosi subito a
spadellare.
Il profumo che le giunse dalla cucina poco dopo ebbe
l’effetto di far brontolare ancora di più il suo
già irritatissimo stomaco.
Il cuoco le mise davanti un piatto dopo l’altro e Hoshi
divorò tutto senza lasciarne neppure una briciola.
L’uomo la osservò di sottecchi, appoggiato al
bancone.
-Hai ancora fame, per caso?- chiese, quando vide
l’espressione contrariata della ragazza posarsi sul piatto
vuoto. Hoshi sembrò riprendersi, assumendo il solito viso
neutro –ho già mangiato abbastanza, grazie- disse,
ma il cuoco le mise a tradimento sotto il naso una gigantesca fetta di
torta al cioccolato. Lo stomaco rimandò un boato di
gradimento, e Hoshi si strinse la pancia con le braccia, arrossendo
sotto la risatina di Jerry.
-Mangia quanto vuoi. E’ il mio lavoro- cinguettò,
sedendosi di fronte a lei.
Per qualche minuto, l’unico rumore fu il tintinnio della
forchetta della ragazza contro al piatto, mentre mangiava quel dolce
che sembrava non finire mai.
-Quanti anni hai?- le chiese lui dopo un po’. Hoshi rimase
qualche secondo in silenzio, prima di rispondere.
-Ne ho quindici- mormorò a bassa voce. Quant’era
che nessuno le chiedeva informazioni su di sé?
L’unico era stato… lui.
Basta, doveva smettere di pensarci.
-Oh, allora hai l’età di Allen!-
esclamò il cuoco –che strano, sembri molto
più grande. Sarà perché sei sempre
così seria…- se Hoshi fosse stata in condizioni
migliori l’avrebbe mandato tranquillamente a scaricare,
dicendogli che la faccia che aveva non era affare che lo riguardasse,
ma in quel momento si limitò solo a continuare a mangiare.
-Mi chiedo ancora perché permettano che dei ragazzini come
voi vadano in guerra…- sussurrò Jerry a un certo
punto. Hoshi smise inconsciamente di mangiare e lo guardò
stupita.
Credeva che tutti lì dentro fossero devoti alla causa, e
considerassero gli esorcisti nè più nè
meno che carne da macello, utile solo per recuperare quei maledetti
frammenti.
-Insomma, alla vostra età dovreste andare a scuola, dovreste
essere liberi e preoccuparvi di cose frivole e assolutamente normali.
Non dovreste rischiare di farvi ammazzare un giorno si e
l’altro pure- la ragazza continuò a guardarlo
senza interromperlo. Non sapeva cosa dire.
-Io lavoro qui da trent’anni, ormai, e eccetto i Generali non
mi è mai capitato di vedere un esorcista che avesse
più di vent’anni- continuò quello
–me li vedo arrivare qui, a questo bancone, sempre
più distrutti e stanchi, e penso che l’unica cosa
che posso fare sia dargli un qualche conforto facendogli da mangiare-
ridacchiò –ho sempre pensato che a pancia piena si
ragioni meglio e si pianga di meno- le labbra di Hoshi si piegarono in
un sorriso involontario, non sarcastico.
Forse non erano tutti così disumani in quel posto.
Chissà cos’avrebbe detto quell’uomo se
avesse saputo cosa le avevano fatto. Fu tentata di dirglielo, ma fu
solo un istante, e il gelo tornò a prendere il sopravvento.
Nessuno poteva capirla. Al massimo, avrebbero potuto compatirla, o
guardarla con orrore, come Linalee quando aveva visto i suoi capelli.
-Grazie per la cena- mormorò, alzandosi.
Jerry le sfilò gentilmente il piatto dalle dita
–faccio io. Torna quando vuoi- disse, scomparendo in cucina.
Hoshi si inerpicò su per le scale fino a raggiungere la
propria stanza, più confusa che mai.
Una ventata d’aria gelida le colpì il viso quando
entrò: avrebbe anche dovuto riparare quel buco,
pensò, o sarebbe morta assiderata.
Ma poi vide Linalee stesa sul suo letto, e capì che quella
giornata non voleva decisamente saperne di finire. Come avesse fatto ad
addormentarsi con quel freddo, pensò, era proprio un mistero.
-Stupida- sibilò, prendendola in braccio e barcollando alla
volta della stanza della cinese. Arrivò senza fiato, la
adagiò sul materasso e uscì velocemente,
sbuffando.
Spirito di sacrificio, che cosa inutile. Nessuno l’avrebbe
mai ripagata.
Tornata nella propria stanza, non fece altro che rigirarsi nel letto
ghiacciato per un’ora di fila, finchè non decise
che forse sarebbe stato meglio andare a scaricare un po’ di
tensione riattivando i muscoli.
Ridiscese numerose rampe di scale, sino ad arrivare all’arena
dove gli esorcisti di solito si allenavano.
In un angolo erano accatastate delle katane di legno. Hoshi ne prese
una con entrambe le mani.
E fu come tornare indietro nel tempo.
-Una katana? Sei
migliorata ancora-
-Sta’ zitto.
Devo concentrarmi-
-Tienila con entrambe le
mani. Lascia il mondo fuori, e va’ dove ti guida il filo-
-Woah!- l’esclamazione di sorpresa e l’incontro con
qualcosa di duro e resistente al legno le fecero aprire gli occhi,
trovandosi davanti un Allen spaventato, che aveva fermato la spada con
la mano sinistra.
-S-s-scusami! Non credevo… di solito non
c’è nessuno a quest’ora!- si
giustificò l’albino balbettando. Hoshi
sospirò, abbassando l’arma. Non aveva neppure la
forza di essere acida, dopo quella giornata –non riuscivo a
dormire. Se ti do fastidio me ne vado- disse, ma il ragazzo la
bloccò.
-No, senti… puoi insegnarmi?- lei lo guardò con
tanto d’occhi indicare la katana che teneva in mano.
Allen si diede dello stupido, ma non gli era venuto in mente altro. Non
poteva certo dirle che dopo essere andato a fare lo spuntino di
mezzanotte era rimasto ad osservarla per dieci minuti buoni.
Hoshi scrollò le spalle –prendine una. Sono
ammassate là in fondo- disse, poi sospirò. Se
quello doveva essere un allenamento serio, non poteva certo pensare di
farlo bardata a quel modo.
Si sbottonò la veste e se la tirò via dalla
testa, lasciando scivolare i capelli candidi sulle spalle. Addosso
portava un paio di pantaloni larghi e una canottiera, entrambi neri,
che facevano risaltare ancora di più il contrasto col
pallore generale della sua figura.
L’albino s’incantò a guardarla,
finchè lei non sbuffò scocciata
–allora? La prendi quella katana oppure no?-
sbottò, indicandogli nuovamente il mucchio. Allen si
riscosse –si, si, certo- borbottò, afferrando la
prima che gli capitava. POteva pure sembrare una fata, ma aveva la
gentilezza della più cattiva delle streghe.
Hoshi sospirò rassegnata, avvicinandoglisi.
-Non ci capisci proprio niente, vero?- gli chiese, avvicinandosi
–quella è troppo corta, non vedi? Su
quell’elsa non riuscirai mai a tenere entrambe le mani,
è da bambini- ne prese una adatta e gliela porse.
-G-grazie- balbettò lui, sorpreso da
quell’improvvisa trattabilità.
Ad essere sincero, aveva creduto che Hoshi l’avrebbe
fulminato solo per averle osato chiederle di allenarsi insieme.
La ragazza iniziò ad insegnargli i fondamenti delle
posizioni base, come tenere l’arma, eccetera, ma Allen
riusciva solo a fissarla con aria stranita.
Mentre spiegava, il suo viso perse del tutto
quell’espressione gelida e indifferente.
-Quanti anni hai?- le chiese ad un tratto, guadagnandosi
un’occhiataccia coi fiocchi.
Hoshi si mise le mani sui fianchi –hai sentito almeno una
parola di tutto quello che ho detto?- chiese acida. Allen
arrossì.
-Senti, vuoi imparare sul serio o vuoi solo chiedermi qualcosa? Non ha
senso che io sprechi la voce per dirti cose che non ti interessano- non
sapeva neppure lei da dove le fossero uscite quelle parole. Era
chiaramente un invito a farle domande, un invito alquanto pericoloso,
se si considerava l’intera faccenda.
Che diamine le era preso?
L’albino la guardò con tanto d’occhi, e
Hoshi pensò che anche lei, se avesse potuto sdoppiarsi,
avrebbe guardato a quel modo la se stessa che aveva pronunciato quella
frase.
-A-allora… quanti anni hai?- chiese di nuovo. La ragazza lo
squadrò: davvero avevano la stessa età? Sembrava
molto più giovane, nonostante i capelli.
-Quindici. Tu?- chiese di rimando, nonostante lo sapesse
già. Si sedette a terra, prevedendo un interrogatorio.
La curiosità di quel ragazzo era palpabile.
-Anch’io! Che strano, sembri più grande- Hoshi
sentì su di se quegli occhi argentei pressanti, e si
sentì inspiegabilmente a disagio.
Che poteva farci, se non dimostrava la sua età? Era inutile
che glielo ripetessero tutti.
-Sei stata maledetta anche tu?- mormorò dopo un
po’. Stavolta fu il turno di Hoshi di guardarlo sbalordita.
-Ma che cavolo vuoi dire?- chiese. L’albino indicò
i suoi capelli candidi, identici –io sono così per
la maledizione di mio padre- disse semplicemente. Hoshi rimase in
silenzio, poi la curiosità ebbe la meglio.
-Perché… perché ti ha maledetto?-
domandò. Allen sorrise, grattandosi la testa imbarazzato
–dopo che è morto, l’ho trasformato in
akuma. Lui mi ha maledetto, e allora la mia innocence si è
attivata e… l’ho ucciso- la sua voce si ridusse ad
un sussurro nelle ultime parole.
La ragazza lo guardò incredula.
-Come fai a parlarne così?- sussurrò
–come fai a far sembrare che non ti sia successo niente?-
l’albino tossicchiò –è
che… non voglio che altri si preoccupino per me, e non
voglio rischiare di trasferire su chi mi sta vicino i miei stati
d’animo peggiori- ridacchiò, ma Hoshi non ci
trovava proprio niente da ridere.
Non ci capiva più niente.
Allora lei stava sbagliando?
Si alzò di scatto, afferrando il mantello e gettandoselo
addosso, coprendosi di nuovo i capelli e tornando il solito spettro
nero.
-Ehi, dove stai andando?- Allen scattò in piedi, seguendola.
-A letto. Sono stanca- mormorò seccamente lei, cercando di
seminarlo.
-Hoshi, non volevo essere inva…- iniziò
l’albino, ma la ragazza si girò bruscamente verso
di lui –quello che fate non è affar mio, e quello
che faccio io non è affar tuo né di nessuno,
Allen Walker. Non farmi più domande- sussurrò,
poi gli diede le spalle e sparì poco dopo.
L’albino rimase ancora qualche istante
nell’oscurità, poi si avviò alla volta
della propria stanza.
Note dell'Autrice:
Ommioddio, chiedo scusa a chi segue o legge la storia per questo
aggiornamento così in ritardo... purtroppo sono veramente
stracarica di cose da fare, e anche la storia non sono più
riuscita a portarla avanti col ritmo serrato che ho sempre tenuto... ho
un po' l'acqua alla gola, in parole povere .__.
Dunque, spendiamo mezza riga sulla comparsa di Jerry, che è
un personaggio che non viene quasi mai utilizzato nelle fanfiction...
eppure ho voluto farlo risaltare più del solito
perchè è sufficientemente distaccato dagli
esorcisti per non guadagnarsi le ire di Hoshi, eppure allo stesso tempo
lavora in mezzo a loro mettendoci l'anima, quindi capisce molte
più cose di quante non ne dia a vedere in realtà.
Come chi ha seguito la storia finora potrà ben vedere, sono
incapace di mantenere un personaggio inflessibile a lungo. I primi
dubbi serpeggiano già nella testa di Hoshi...
Rispondiamo ai commenti:
Sherly:
credevo che non avrei più aggiornato T.T sono veramente
morta in questi giorni e m'è pure tornato il mal
d'orecchiiiiiiiih *si dispera*
Spero che il capitolo ti sia piaciuto comunque ^^
_Sora_: si
lo so, con Hoshi ci sono andata giù abbastanza pesante... e
ovviamente le sue disgrazie non sono certo finite qui -.- mi sento una
carogna enorme, però anche se non l'ho ancora scritta ho
bene in mente la storia, quindi preparati al peggio X°D
Insomma, chi legge, CHIUNQUE, lasci un commentino
ç__ç
Grazie a tutti in ogni caso ^^
Bethan
|
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Capitolo 6 *** The clock stops ***
-Ehi, ma che facce da funerale!- Komui
sorseggiava allegramente caffè, fulminato di tanto in tanto
dalle occhiate velenose di Hoshi e abbacchiato per la faccia di
Linalee, che continuava a guardare costantemente a terra. Allen, dal
canto suo, non spiccicava parola, ed era ricaduto in un inquietante
mutismo.
-Dunque, forse, ho detto forse, in questa città il tempo si
sta riavvolgendo, quindi probabilmente, ma è solo una
probabilità, c’è
dell’innocence, ma non sperateci troppo, però
andate a dare un’occhiata, ricordando sempre che è
un for…-
-Si, abbiamo capito che è un forse, idiota-
ringhiò Hoshi a denti stretti. Non aveva praticamente chiuso
occhio, e in quella nottata aveva solo concluso che il dialogo fra lei
e quell’albino masochista doveva finire fra i ricordi
inutili. Non avrebbe cambiato una virgola nel suo comportamento, a lei
non interessava farli sentire meno in colpa, anzi.
Che portassero il peso di ciò che avevano fatto per tutta la
vita, pensò con rabbia.
-Ci pensiamo noi, Komui. Quando partiamo?- Allen riemerse
dall’afasia e fissò l’uomo stancamente.
-Avete il treno fra dieci minuti- rispose quello, sorseggiando
caffè.
I tre esorcisti, malgrado il grado elevato delle loro preoccupazioni,
si guardarono sbalorditi.
-Dieci minuti?!- gridarono in coro, schizzando fuori dalla stanza.
Komui finì il caffè, poi si rimise al lavoro.
Lo squillo del telefono lo fece sobbalzare –pronto?-
-Ehi, Komui. Come vanno le cose?- quella voce aspra era inconfondibile.
-Non bastava un discepolo, adesso pure lei- mormorò tetro
nella cornetta.
Silenzio.
-Ci siete ancora, Generale?- stavolta era il suo turno di essere
sarcastico.
-E’ lì con te?- chiese quello.
-No. L’ho appena mandata in missione con Allen e Linalee-
Ancora silenzio.
-Come… va?- fece poi Cross, esitante.
-Va che non ho mai visto nessuno odiare così tanto
l’Ordine e l’innocence. Rischia davvero una caduta,
se il suo stato d’animo continua ad essere questo- disse
secco Komui –credo che se il Conte le offrisse di estrarle
l’innocence dal corpo si consegnerebbe a loro senza troppi
complimenti-
-Non lo farebbe mai- la voce del Generale era sicura –Aster
non è quel tipo di persona-
-Oh, e tu la conosci, vero? Tu, che prima l’hai voluta creare
e che poi l’hai abbandonata a noi che non ne sappiamo niente,
con tutto il suo bagaglio di odio e dolore che non mi sento nemmeno di
rimproverarle- sbottò il supervisore.
-Le fa ancora male?- l’uomo all’altro capo della
cornetta fece finta di non sentire lo sfogo di Komui.
-Si. Ieri è stata esaminata da Hebraska, al ritorno dalla
sua prima missione- mormorò, rabbrividendo al ricordo
–le sue urla erano disumane-
Il silenzio dall’altra parte del filo fu più
lungo, stavolta.
-Tenetemi informato- disse infine Cross, riagganciando prima che Komui
avesse il tempo di replicare.
-Che infame…- sibilò, scaraventando da una parte
il telefono.
Non aveva il cuore di ritenere Hoshi anormale. Tutti avrebbero provato
sentimenti analoghi ai suoi, se fossero stati al suo posto.
Solo, quell’uomo non aveva mai pensato nemmeno per un secondo
al fatto che la ragazza si fosse sottoposta a quella tortura solo
perchè era stato lui, Cross, a portarla là.
Komui ricordava precisamente le ultime sue parole, prima che Heb la
facesse sincronizzare con l’innocence.
“Marian mi ha portata qui, non ho paura”.
E il caro “Marian” si era volatilizzato, dissolto
nel nulla, tre giorni dopo, senza neppure aspettare che Hoshi si
rialzasse dal letto.
Era stato allora, ricordò Komui. Era stato il sentimento di
abbandono a farla scappare da lì.
Hoshi si sentiva abbandonata, si era sempre sentita così, e
non era da biasimare.
Ma lui non sapeva proprio che cosa fare.
-Non lasciarti andare ai sentimentalismi- sibilò a se
stesso, mentre scorreva da dietro le lenti degli occhiali liste
infinite di morti e caduti –devi pensare… pensare
a vincere-.
---
-Non mi sembra che ci sia niente di così anormale in questa
città, finora- disse Linalee, sorseggiando il suo
tè –forse mio fratello si è sbagliato-
ma Allen scorse in lontananza Hoshi, che arrivava ben più in
fretta e con una faccia ben più scura del solito.
-Normale un corno. Ho appena salvato una donna da un akuma, ma
è scappata via come un razzo. L’ho persa di vista-
ansimò per lo sforzo dell’invocazione
–da questa città non si può uscire,
inoltre. Ho provato anche a sfondare il muro che la circonda, ma appena
lo varcavo mi ritrovavo all’interno- i due la fissarono
sbalorditi, sentendosi decisamente inutili.
-Beh? Avete forse intenzione di aspettare che il Conte vi porti i
pasticcini?- sbottò acida, accennando alle bevande calde
–dobbiamo ritrovare quella donna, era fatta più o
meno così- afferrò un foglio di carta e
tirò fuori dalla borsa una matita, con cui
tracciò uno schizzo sorprendentemente preciso di una giovane
donna,molto magra e con capelli neri raccolti in una crocchia. Un
aspetto non molto rassicurante, a dire la verità, e
completato da due occhi nerissimi e spalancati.
-Ehi, sei bravissima!- esclamò Linalee, ma ricevette solo
un’occhiata gelida –stampatevela bene in testa-
mormorò –perché fra dieci secondi quel
foglio non sarà altro che polvere- li oltrepassò
prima che avessero il tempo di capire il senso delle sue parole.
-Terzo riflesso. Lama- mormorò. Fece appena in tempo ad
afferrare l’elsa della katana che l’intera locanda
sembrò saltare in aria.
Hoshi finì catapultata dietro al bancone, mentre gli
avventori che fino a poco prima avevano l’aspetto di
tranquilli cittadini si trasformarono in macchine distorte e mostruose.
Tutti, tranne una.
-Allen!- gridò la ragazza, rimettendosi in piedi
–è lei, sta scappando dalla finestra! Prendetela
prima che la facciano fuori, qui ci penso io!- gridò.
L’albino scattò all’inseguimento, mentre
Linalee esitava –ma… non possiamo lasciarti qui!-
Hoshi le fu accanto in un balzo, puntandole l’arma alla gola,
fino a sfiorare la pelle –se non te ne vai adesso-
sibilò –assorbo te e tutta questa marmaglia senza
distinzioni di sorta. Tanto a me fate schifo tutti-
dall’espressione di Linalee, poteva sembrare che
l’avesse colpita sul serio, ma funzionò. La cinese
corse dietro ad Allen, lasciando Hoshi da sola in mezzo agli akuma.
-Bene, e ora…- sul viso della ragazza si aprì un
ghigno.
-Allora siete voi la compatibile di questa innocence!- Allen guardava
la donna vestita di nero, sorridendo incoraggiante.
Finalmente un po’ di cose sembravano funzionare.
-Ma… ma io non so come ho fatto!- esclamò quella,
sgranando gli occhi.
-Allen!- Linalee si fiondò nella stanza entrando dalla
finestra e facendo quasi venire un infarto alla povera donna.
-Calmatevi! E’ un’amica- esclamò
l’albino, vedendo con sommo spavento un coltello da macellaio
comparire fra le mani ossute.
-Hoshi è rimasta nella locanda, Allen!- disse la cinese
trafelata. L’albino la fissò sbigottito
–ma non può affrontarli tutti da sola!-
-Chi è quella, Allen?-
La donna stava pulendo con estrema attenzione il suo orologio, del
tutto incurante della loro discussione.
-Questa è Miranda. E’ la compatibile
dell’innocence che riavvolge il tempo in questa
città- spiegò l’albino sorridendo, ma
uno schianto che mandò in frantumi l’intera stanza
gli rese impossibile dire altro.
Sbattè violentemente la testa, e l’ultima cosa che
vide, prima di svenire, fu una serie di croci.
Hoshi sputò a terra, ansimando. Finalmente aveva fatto
piazza pulita, pensò, cessando l’evocazione.
Era stata dura davvero, credeva che non ce l’avrebbe mai
fatta a inghiottirne così tanti.
Corse fuori dalla locanda e vide un assembramento di persone sotto a un
palazzo diroccato. Ebbe un pessimo presentimento e si mise a correre.
Facendosi largo fra la folla, vide una parete su cui si allargava una
gigantesca macchia di sangue, lo stesso con cui era scritta una frase
sul muro, a caratteri cubitali.
“Fottetevi, esorcisti”.
-Maledizione- sibilò fra i denti, allontanandosi in fretta.
Appena fu sicura di essere sola, si sedette a terra.
“Pensa, pensa” si ripetè fermamente,
chiudendo gli occhi.
Quella non era opera di akuma.
Non c’erano i corpi, ma neppure la polvere che ne rimaneva
dopo essere stati disintegrati dal virus.
Il Conte non si sarebbe mai scomodato per una cosa simile,
pensò.
Saltò in piedi: doveva fare in fretta, o per quei due e per
la donna sarebbe stata la fine. Ma non aveva idea da dove iniziare a
cercare.
-Eeeeesorcista, trovata!- lo stridio dell’akuma le
ferì le orecchie, mentre si gettava da un lato per evitare
il colpo.
-Capiti a proposito, bestiaccia- ringhiò: quello che di
sicuro nessuno all’Ordine sapeva, era che lei era capace di
modificare gli akuma, proprio come faceva Marian.
Evocò fulminea lo Specchio, vi infilò una mano
dentro e ne estrasse una sorta di sabbia luccicante, più
sottile della Polvere.
-Quarto riflesso: polvere di stelle- si portò di fronte
all’akuma con un balzò e gliela soffiò
in viso prima che quello potesse fare qualsiasi cosa.
La macchina si immobilizzò di schianto, scomposta come una
bambola venuta male.
-Bene, akuma- mormorò Hoshi, ansimando per lo sforzo
dell’evocazione –qualcuno dei tuoi ha portato un
ragazzino coi capelli bianchi, una cinese e una donna scheletrica da
qualche parte- sussurrò minacciosa. Quello annuì
come in trance –portamici e ti farò il favore di
non ucciderti- continuò lei.
L’akuma si mosse, indicandole la strada, e Hoshi gli tenne
dietro di corsa.
Quando si svegliò, la prima sensazione che lo
colpì fu il dolore terribile al braccio sinistro.
Aprì gli occhi, e vide di essere inchiodato a una parete da
candele appuntite, le stesse che trapassavano le mani di Miranda,
fermandole all’orologio.
C’era sangue ovunque.
-Lina… Linalee!- esclamò, accorgendosi della
ragazza. Non si muoveva, aveva i capelli acconciati in grossi boccoli e
un vestito nero pieno di gale le avvolgeva il corpo, ridondando dalla
sedia su cui era adagiata come una bambola di porcellana.
-Lei sta bene, Allen- sussurrò una vocina sottile.
Il ragazzo si girò, trovandosi faccia a faccia con una
ragazzina dalla carnagione olivastra, capelli ispidi e una serie di
croci in fronte. Aveva occhi innaturali, dorati, che lo fissavano con
sguardo quasi famelico.
-Che cosa le hai fatto?- ringhiò, cercando di divincolarsi
dalle candele, ma le ferite gli mandarono una serie infinita di
scariche dolorose.
-Non mi ribellerei, se fossi in te- ridacchiò quella
sorniona –rischi di farti male- sussurrò. Una mano
piccola gli passò sul viso.
Improvvisamente, la parete opposta a quella dove si trovavano cedette
con uno schianto, rivelando un akuma gigantesco.
Stranamente, la ragazzina fece una faccia sorpresa, come se non
l’avesse chiamato lei.
-Ma che…- sussurrò, poi vide la figura a
cavalcioni della macchina.
-Bene. Allora avevo visto giusto, non vi siete fatti far fuori dagli
akuma- un’ansimante Hoshi scese con un balzo dalla schiena
dell’akuma, stringendo in mano una katana dalla lama nera,
ghignando all’indirizzo di Allen –quanto a te-
disse, girandosi verso la ragazzina –spero che tu sia
resistente, altrimenti ora ti ammazzo- sibilò.
Quella per tutta risposta si mise a ridere, una risata agghiacciante,
poi fissò Hoshi, spavalda.
-Se credi di potermi far fuori così facilmente…-
-Hoshi, sta’ attenta! Non è come sembra!-
gridò Allen, ma la bambina gli fu subito di fronte, senza
smettere quel sorriso che le spaccava il volto in due, orribile.
-Chi sei?- sussurrò Hoshi, in guardia.
-Sono Road Kamelot, della famiglia Noah. Noi siamo i veri apostoli, voi
surrogati non potete niente- replicò lei, poi
afferrò repentinamente una candela e la piantò
nell’occhio sinistro di Allen.
-Allen!- gridò Hoshi, ma Road si volse verso di lei, tetra.
-Non ti avvicinare- mormorò, alzandosi –ma guarda,
una sopravvissuta alla caduta. L’Ordine è messo
veramente male per sacrificare migliaia di persone per ottenerne una-
sussurrò melliflua, avvicinandosi a lei. Hoshi rimase
pietrificata, senza riuscire a smettere di fissare Allen, lo sguardo a
metà fra il sofferente e lo stupito.
-Non sono cose che ti riguardino, chiunque tu sia- rispose fredda,
senza muoversi e senza distogliere lo sguardo scuro da quello dorato
della ragazzina.
-Ah, ma devi sentire un gran male, no? Non si può diventare
apostoli senza essere scelti e sperare che ciò non abbia un
prezzo…-
-Ho… Hoshi?- il mormorio di Allen le arrivò
distintamente alle orecchie.
“Non ascoltare” si sorprese a pensare
“non voglio che tu senta” serrò gli
occhi, mostrando per la prima volta quanta paura avesse di quella
bambinetta folle che ora le stava distante pochi centimetri.
-E se noi, i Noah, potessimo liberarti da questa sofferenza? Se noi
potessimo portarti via quell’innocence? Se potessimo
restituirti la vita che avevi prima?- le palpebre della ragazza si
spalancarono.
-Cosa..?- sussurrò. Era una trappola, di sicuro, eppure era
così allettante…
-Dovrai solo cederci la tua innocence e ne sarai liberata per sempre-
le dita di Road si infilarono fra le sue, prendendola per mano
–non sarai più costretta a sentire dolore, non
sentirai mai più parlare di innocence. L'Ordine non
può estrarla dal tuo corpo, ma noi si. Abbiamo le tecniche-
mormorò sorridendo, un sorriso diverso, stavolta, umano.
-Hoshi, è una trappola! Non darle ascolto!- il grido di
Allen sembrava ovattato, rispetto ai sussurri di quella ragazzina. Le
sue parole le rimbombavano in testa.
Forse poteva aiutarla davvero, forse poteva sul serio portarle via
l’innocence.
Quanto avrebbe voluto che fosse così.
Sapeva benissimo che erano tutte balle, che neppure
all’Ordine avevano potuto toglierla dal suo corpo senza
rischiare la sua vita.
Era condannata, ormai, e dubitava seriamente che il nemico potesse
avere una seria spinta di umanità tale da poterla aiutare.
-Terzo riflesso- sussurrò –lama- la katana si
piantò di traverso nel corpo della ragazzina, che
sputò sangue, allibita.
-Non credere di potermi fregare così- sibilò, gli
occhi ridotti a fessure –non ho nessuna intenzione di cadere
dalla padella nella brace!- estrasse con violenza l’arma, ma
non fu abbastanza veloce per evitare l’attacco degli akuma.
Frammenti di parete la colpirono, e l’onda d’urto
la scaraventò accanto ad Allen, che si liberò
dalle candele con uno strattone.
-Deficiente! Che diamine fai?- gli gridò, vedendo il sangue
scorrere a fiumi dalle ferite –morirai dissanguato!-
Prima che l’albino potesse rispondere, Hoshi vide le macchine
ricaricare i colpi, dirigendoli verso la donna inchiodata
all’orologio.
Schizzò in piedi, incurante dell’urlo di Allen, e
si gettò addosso a lei, prendendo i proiettili al suo posto.
Quella iniziò a urlare, ma Hoshi la zittì
bruscamente.
-Silenzio! Non urli- sbottò, chiudendo gli occhi.
Sentì il virus retrocedere lentamente, perché su
di lei non aveva effetto, ma le ferite rimasero, e la ragazza si
sentiva sempre più debole.
-Non… non ce la faccio a… mantenere
l’evocazione- sussurrò, cadendo a terra. I
contorni di ogni cosa si fecero sfocati, i suoni arrivavano sempre
più indistinti alle sue orecchie.
Alla fine, ce l’aveva fatta: l’avrebbero uccisa, e
sarebbe stata libera. Sorrise inconsciamente.
-Ehi, che sta facendo quella donna?-
Hoshi sentì un’innocence estranea agire sul suo
corpo, provocandole un dolore ancora peggiore di quello che le causava
Hebraska.
Iniziò a gridare a più non posso
–basta! Basta! Smettila!- sentì due mani ferme che
le afferravano i polsi.
-Hoshi, che hai? Calmati!- la voce di Allen. La ragazza si
liberò con uno strattone, dandogli una gomitata in pieno
viso.
Attraverso gli occhi pieni di lacrime, vide sagome di orologi
fuoriuscire dalle mani di quella donna ed entrarle nel corpo. La
afferrò bruscamente per le spalle, scuotendola –la
smetta! Per favore, la fermi! Sto impazzendo!- le gridò in
faccia, ottenendo come effetto solo quello di spaventarla ancora di
più.
Due braccia la afferrarono, e Hoshi si trovò il viso
schiacciato contro il petto di Allen.
-Scusami. Farà un po’ male- disse, poi la ragazza
avvertì un dolore sordo alla base del collo, e tutto
sprofondò nel buio.
Note dell'Autrice:
...scusatemi T__T
E' una vita che non aggiorno, ma sono stata veramente sommersa dalle
cose da fare...
Che depressione ç__ç cercherò di
postare i capitoli con più regolarità,
perdonatemi questa paura lungherrima (?). Spero che la lunghezza
dignitosa del capitolo serva a farmi perdonare almeno un po'
>_>''
Rispondiamo ai commenti:
_Sora_: si,
oddio... Hoshi inizia ad aprirsi ma con Linalee non è che le
cose ancora vadano proprio alla grande XD si, Jerry sarà
piuttosto presente in questa fanfiction, svolge un po' il ruolo che
nelle altre svolgeva Miranda... e mi è piaciuto abbastanza
scrivere le parti con lui, devo ammetterlo!
ValeXAnime:
l'acidità di Hoshi durerà ancora per un po' XD
per quanto riguarda le curiosità su Allen... aspettate e
vedrete! ;) sono a caccia di continui colpi di scena, perciò
non rivelo niente! u.u ^^
Sherly: ecco
il 6° capitolo con un ritardo disumano °___°
suvvia, capiscimi almeno tu T_T spero ti piaccia, perlomeno qui
c'è un po' d'azione! E sul seguito non ti dirò
mai niente, mwahahahahahahahahaha!!! :P
Grazie a tutti coloro che leggono/seguono/commentano la fanfiction!! ^^
Baci!
Bethan
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Capitolo 7 *** Trust the Death and you'll not kill anyone ***
-Il tuo corpo sta reagendo bene, ragazzina. Fra
un po’ non ci sarà più bisogno di
questi aghi- il vecchio calvo che la curava in quei giorni
saltò giù dal letto. Ormai aveva smesso di
aspettarsi una risposta.
-Allen? Linalee?- mormorò all’improvviso Hoshi. Si
era resa conto di non avere idea di che fine avessero fatto.
-Allen si è ripreso, adesso che stai meglio posso farlo
entrare. Era meglio non rischiare, prima che tu ti fossi ristabilita-
spiegò. Hoshi non fece in tempo a dirgli che non le
interessava vederlo, che il vecchio stava già andando verso
la porta –puoi entrare, ragazzino- disse brusco, lasciandoli
soli.
L’albino tossicchiò imbarazzato, poi vide lo
sguardo della ragazza fisso sulla benda che portava
sull’occhio.
-Oh, questo… si sta rigenerando, a quanto pare-
ridacchiò, sedendosi su una sedia di fianco al suo letto.
Una fitta dietro la testa le fece stringere gli occhi, e la ragazza
sentì male al tatto.
-Ah, si. Scusami- fece Allen a disagio –è che non
sapevo come calmarti- Hoshi scosse il capo –va bene, non
è niente. Hai fatto bene- mormorò.
Rabbrividì al pensiero del dolore che aveva avvertito sotto
l’influsso dell’innocence di quella donna.
Si sentiva stanchissima, così stanca che non riusciva
neppure a trovare la forza per dire a Allen di levarsi dai piedi e
lasciarla dormire una volta per tutte.
-Hoshi?- chiamò lui ad un tratto.
-Mh?- fu il suo mugugno infastidito. Perché doveva sempre
trovare qualcosa da dire? Non poteva starsene zitto?
-Perché… perché l’evocazione
di Miranda ti ha fatto così male? Io non ho sentito niente,
anzi, guariva pure le ferite-
-Non sono affari tuoi- rispose la ragazza con voce secca.
-Ma potremmo trovarci di nuovo in missione con lei, e…-
provò a continuare l’albino, ma lei lo interruppe
di nuovo, scocciata.
-Se dovesse succedere, troverò una soluzione al momento. Non
sono cose che ti riguardino, in ogni caso- ripetè, girandosi
dall’altra parte.
In quel momento, in realtà, non avrebbe voluto essere
così brusca.
Ma doveva dissuaderlo dal chiederle altro. Se si fosse ricordato delle
parole di quella ragazzina sarebbe stata la fine.
Allen avrebbe dato tutti i soldi che non aveva per capire cosa le
passasse per la testa, pensò guardandola fissare il vuoto.
Aveva capito benissimo che non era cattiva, Hoshi era solo…
arrabbiata. Anche se gli sembrava riduttivo dirlo a quel modo, visto
l’odio che le trapelava da tutti i pori.
Non sapeva come spiegarselo, ma sentiva che in qualche modo era diversa
anche da Kanda: il giapponese sarebbe stato capace di lasciare dei
compagni in pericolo, lei no.
Forse.
O forse stava solo facendo troppi viaggi mentali.
-Linalee non si è ancora svegliata…-
sussurrò a un tratto, giusto per cambiare argomento. Hoshi
continuò a rimanere in silenzio, e lui fece lo stesso.
Ad un tratto sentirono un boato provenire dalla stanza accanto.
-Che cavolo…- fece Hoshi, cercando di alzarsi, ma Allen la
spinse a letto –non è il caso che tu ti muova.
Vado a vedere io- la ragazza gli diede uno spintone con la poca forza
che aveva.
-Non dirmi cosa devo fare, Allen Walker- sussurrò con aria
omicida, buttando le coperte da una parte e tirandosi in piedi.
Hoshi si avviò verso l’uscita della stanza, il
pavimento freddo sotto i piedi nudi.
-Ma che diamine è successo qui?!- la sentì
gridare Allen, che si affrettò a raggiungerla.
Ai lati della porta a fianco c’erano due grosse chiazze di
sangue, ai piedi delle quali stavano gli abiti delle guardie, vuoti.
-Una visitina dal Conte, ma ci ha pensato Linalee- il vecchio che aveva
curato entrambi spuntò apparentemente dal nulla, facendoli
sobbalzare.
“Ma quando è arrivato questo qua?”
pensò Hoshi irritata.
-Ah, allora sta bene!- esclamò Allen sollevato, entrando di
corsa.
La ragazza girò i tacchi e decise che sarebbe tornata in
camera. Qualcosa le diceva che non l’avrebbero lasciata molto
in pace, prima della prossima missione: meglio dileguarsi e riprendersi
prima che la incastrassero di nuovo.
-Hoshi!-
Ecco, giust’appunto.
A malincuore tornò nel luogo da cui l’aveva
chiamata quella stramaledetta voce, augurandole ogni sorta di
maledizione e di disgrazia, trovandoci un Komui sorridente accanto al
vecchietto e a un tizio con capelli rosso fuoco.
-Woah! Un’altra maledetta?- fece quello, sorridendo.
Hoshi sfoderò un ghigno a trentadue denti
–esattamente. Dubito che ci sia una maledizione
più grande della mia- disse seccamente, poi si rivolse al
supervisore –allora, che vuoi?-
Komui sospirò –solo dirti che partirai con Allen,
Lina e Lavi, qui- il rosso fece un cenno di saluto che fu pesantemente
ignorato –per andare a cercare il Generale Cross. Riteniamo
che il Conte miri ai nostri soldati più potenti, il vostro
compito sarà quello di riportarli all’Ordine-
concluse.
-E visto che sono così potenti, non ci potrebbero tornare da
soli, all’Ordine?- sbuffò la ragazza
–specialmente lui. Perché ce l’avete
così con me, Komui, eh?- ringhiò frustrata, poi
uscì precipitosamente dalla stanza, sbattendo la porta con
violenza.
-Aster, eh Komui?- la voce del vecchio risuonò nel silenzio
che aveva lasciato l’uscita di Hoshi.
Il supervisore annuì –tenetela d’occhio.
Odia l’ordine- mormorò –anche se non
è più irrequieta come quando è
arrivata-
-Cosa temi da lei?- chiese il vecchio, appollaiandosi su una pila di
fogli.
-Che possa seguire il Conte per odio nei nostri confronti-
mormorò.
-Non lo farebbe mai!- la voce di Allen risuonò improvvisa e
veemente, facendoli trasalire –quella ragazzina, Road, ha
proposto a Hoshi di unirsi a loro- disse accorato –dicendole
che in cambio le avrebbero tolto l’innocence, ma lei non ha
accettato- Komui sorrise –non ha certo rifiutato per amore
della nostra causa. Potrebbe arrivare qualcun altro e lei potrebbe non
avere abbastanza prontezza da capire che se non ci riesce Heb, nessun
altro può farlo- mormorò.
-Ma perché odia così tanto
l’innocence?- chiese Allen.
-Questa è una cosa che non posso dirti, Allen. Dovrai
chiederlo a lei, se mai vorrà risponderti-
l’albino fissò il muro immusonito: possibile che
sembrava che tutti sapessero tutto tranne lui?
-Non crucciarti: sono un mago con le ragazze, forse ci dirà
qualcosa- il ragazzo con i capelli rossi gli porse una mano, che Allen
strinse perplesso.
-Io sono Lavi, l’allievo di Bookman, qui. Piacere- disse
sorridendo.
-Devo ammettere che ci sai davvero fare! Potresti competere con Yu!-
una voce giuliva le fece perdere la concentrazione.
Hoshi sospirò seccata: niente da fare, quello non era
proprio un buon posto per allenarsi in santa pace.
-Hai cinque secondi per dirmi chi sei, cosa cavolo vuoi e sparire,
prima che ti dimostri quanto male può fare una katana di
legno- disse inflessibile, senza neppure girarsi a guardare il suo
interlocutore.
-Avevi ragione, Allen! Ha un bel caratterino!- fece ancora la voce.
-L-lavi, non…- balbettò l’albino.
Hoshi si girò a guardarli, fulminando entrambi con gli occhi
neri, i capelli candidi trattenuti sulla fronte da una benda.
-Allora? Ve ne andate si o no?- ripetè, fissandoli.
-Io sono Lavi, l’allievo di Bookman, piacere!-
esclamò giulivo il rosso, schizzandole accanto. Hoshi si
scansò –il piacere è tutto tuo. Adesso
smettetela di seccarmi- sbottò allontanandosi.
-Ma vorremmo sapere perché odi l’innocence!- il
rosso riuscì a stento a finire quella frase che
un’altra spada, vera, stavolta, dalla lama carbone, comparve
nelle mani di Hoshi e si avvicinò pericolosamente alla sua
gola.
-Tu- sibilò a Lavi, la cui espressione del viso era mutata
dalla spavalderia allo spavento –non ti azzardare ad
impicciarti nei fatti miei. Non farmi domande. Non rivolgermi la
parola- sussurrò minacciosa, muovendo un altro passo e
sfiorando la pelle del ragazzo con la lama –quanto a te-
disse rivolta a Allen, senza guardarlo ma con un tono così
secco che il ragazzo sobbalzò –portalo via, prima
che lo ammazzi sul serio- l’albino afferrò il
rosso per un braccio, trascinandolo via dall’arena.
-Te l’avevo detto che dovevi lasciarla in pace!-
sussurrò infuriato, chiudendosi la porta alle spalle.
-Cavolo, quant’è irascibile!- Lavi e Allen
passeggiavano per la città, in mezzo alla consueta folla
domenicale.
-Non è irascibile, odia tutto dell’Ordine. E dire
che ti avevo pure avvertito- sospirò –adesso
sarà un inferno andare in missione assieme-
Lavi scrollò le spalle –ti fai toccare troppo dai
comportamenti altrui, tu- disse con un sorriso sghembo
–dovresti prenderli più alla leggera, oppure
finirai per scoppiare e pensare che ce l’abbiano sempre tutti
con te!- Allen non disse niente.
Si sentiva stranamente a disagio, senza il suo occhio sinistro
funzionante, in mezzo a quella folla. Era come se gli akuma potessero
attaccarlo da un momento all’altro senza che lui potesse far
niente per evitarlo; una sensazione di paura schiacciante lo spinse a
camminare più velocemente, allontanandosi da Lavi.
-Sei un esorcista?- un clic appena dietro la testa lo fece voltare, ma
fece appena in tempo a rendersi conto del pericolo che un grosso
cerchio nero si frappose fra lui e l’akuma, inghiottendolo
senza lasciarne traccia.
-Dico, ma sei cretino o cosa? Andartene in giro così, senza
neppure aspettarti un attacco!- Hoshi piombò accanto a lui,
ridimensionando l’innocence.
-Ho-Hoshi?- balbettò Allen, ancora scosso. Lei lo
fulminò con lo sguardo –piantala di ripetere il
mio nome, ti sembro forse la fata turchina? Evoca
quell’innocence, prima che mi tocchi salvarti di nuovo!-
sbottò, ripartendo all’attacco.
Un boato alle sue spalle lo fece girare di scatto. Lavi, in piedi su un
enorme martello, lo fissava sorridendo –credo sia meglio se
fai come dice. Se entri in assetto da combattimento dopo che questi ti
hanno già visto sei fritto, Allen!-
L’albino girò la testa da una parte e
dall’altra, vedendo solo figure umane.
“Come faccio a distinguere gli umani dagli akuma?”
pensò disperato “rischio di uccidere
qualcuno!”.
-Spostati! Idiota, levati di lì!- un urlo, poi un boato e un
colpo che non arrivò, sostituito da qualcosa di pesante che
gli cadeva addosso.
Hoshi si liberò dalle sue braccia con uno strattone e gli
diede uno schiaffo –svegliati, ragazzino!- gli
gridò in faccia –è l’ultima
volta che ti salvo la vita. Questi qua sono tutti akuma, e quelli che
non lo sono, prima o poi lo saranno! Se ti è cara la pelle,
comincia ad ammazzarli!- il sangue le colava copioso lungo la schiena,
mentre Allen ancora stentava a capacitarsi del fatto che Hoshi gli
avesse appena salvato la vita.
La ragazza evocò la spada e falciò una serie di
persone di fronte a loro.
-Hoshi, sono uma…- ma appena l’innocence della
ragazza li toccò, si trasformarono in macchine.
“Come fanno?” Allen era totalmente in crisi
“come fanno a distinguerli?”
-Allen, per noi gli umani sono nemici al pari degli akuma. Al contrario
di te, non possiamo distinguerli. Andiamo a caso- gli soffiò
Lavi nell’orecchio, prima di disintegrarne un altro gruppo.
-A-andate a caso? Ma se ci fossero delle persone…-
-Un sacrificio in nome della guerra, così lo vede qualcuno.
Poi ci sono quelli come lei- disse, accennando a Hoshi che non faceva
distinzioni di sorta e uccideva chiunque le si parasse davanti
–a cui non importa niente né della razza umana,
né degli akuma-
il rosso schizzò nuovamente all’attacco, mentre
Allen rimase imbambolato a guardarli.
Già, anche il suo maestro gliel’aveva detto, una
volta.
Lui riusciva a distinguere akuma ed esseri umani, perciò per
lui era impensabile uccidere una persona.
Ma per gli altri esorcisti, quella era la prassi.
Strinse i denti, evocando l’innocence, anche se sapeva che
non ce l’avrebbe mai fatta.
Con un balzo, Hoshi gli fu accanto –senti- ansimò
–non puoi star qui aspettando che una luce divina illumini
gli akuma- emise un mugolio di dolore, dovuto all’evocazione
dell’innocence e alle ferite. Allen si sentì
tremendamente inutile: era colpa sua se era ridotta a quel modo.
-Io… percepisco quali sono gli akuma- soffiò la
ragazza –quindi segui me, e ammazza quelli che ti dico io,
d’accordo?- lo fissò con gli occhi color carbone,
che sembravano inghiottire ogni cosa nelle stesse tenebre che scatenava
la sua innocence.
-Ok- rispose semplicemente, tenendole dietro.
Hoshi non sembrava affatto una che si preoccupava di una o due vite
umane nel mezzo alla battaglia, ma decise di fidarsi, perché
era l’unico modo in quel momento in cui poteva distinguerle.
Hoshi si gettò a terra, ansimante, e cessò
l’evocazione.
Il dolore al petto si affievolì poco a poco, mentre rimase
il bruciore delle ferite.
-Quanti ne avete fatti fuori?- la voce di Lavi, arrochita dalla fatica,
fece capolino da qualche parte fra le macerie.
-Ma che te ne frega- sbuffò Hoshi –leviamoci di
qui prima che… ah!- cadde a terra, completamente senza
forze. La schiena le mandava fitte terribili.
-Dobbiamo portarti all’Ordine, sono piuttosto gravi- suo
malgrado, la ragazza afferrò il braccio che il rosso le
porgeva. Allen li seguì, senza dire una parola.
Salirono sul martello del ragazzo.
-Reggetevi forte!- fece quello, prima di partire a una
velocità incredibile.
Hoshi ebbe l’improvvisa sensazione di perdere
l’equilibrio, ma sentì due mani afferrare le sue
spalle.
-Rilassati, non cadi. Ti tengo io- mormorò
l’albino. Lei annuì, troppo stanca persino per
replicare.
Sfondarono una parete come se nulla fosse, piombando nello studio di
Komui fra le scartoffie e un imbufalito Bookman Senior, che
minacciò Lavi di svariate morti.
Hoshi smontò barcollante dall’arma, poi
andò dritta di fronte a Komui, guardandolo negli occhi.
Non poteva andare avanti così, lo sapeva lei stessa.
-Dammi quei bracciali, Komui- sussurrò, chinando il capo
–avete vinto- il supervisore fece dapprima una faccia
stupita, poi aprì il cassetto della scrivania e porse i
monili a Hoshi.
-Abbiamo fatto delle modifiche. Non dovrebbero più bruciare-
la ragazza annuì, indossandoli, poi le forze
l’abbandonarono completamente e tutto si fece buio.
Note dell'Autrice:
Sembra che in questa fanfiction sia riuscita ad usare tutte le scene
più inutili del manga XD ma vabbè, perlomeno non
c'è sempre lo stesso scenario!
Cooomunque, sto cercando di fare capitoli più lunghi per
farmi perdonare le mie assenze infinite... prevedo che dopo questo
capitolo sarà un macello per me aggiornare, quindi scusatemi
in anticipo T_T
Ah, a chi volesse chiedermelo no, Lavi non mi sta sulle scatole XD non
so perchè nelle mie fanfiction è sempre in
cattiva luce, forse ho un'avversione inconscia per quel tipo di
personaggi .___.
Rispondo ai commenti e torno a studiare ç__ç
ValeXAnime:
grazie per i complimenti ^^ sono contenta che ti piaccia, questa
fanfiction è un po' un terno al lotto X'D Allen
sostanzialmente per ora fa il bischero, ma poi si
riprenderà, forza e coraggio! Per quanto riguarda il nome,
anzi, I nomi, sia "Aster" che "Hoshi" vogliono dire "stella", uno in
greco e l'altro in giapponese. Non so ancora perchè le ho
dato due nomi ad essere sincera, devo ancora raccapezzarmi su come far
tornare questo particolare (per la serie "complichiamoci la vita mode:
ON)! >_>
Ah, il nome "Aster" non c'entra niente col Tiranno di Licia Troisi x_x
è una coincidenza X3
Sherly:
eccoti un altro capitolo bello lungo... è così
tanto che l'ho scritto che mi ero pure scordata di averlo inserito XD
però devo dire che mi piace abbastanza... ^^
Baci a tutti!
Bethan
|
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Capitolo 8 *** Moonlight ***
Si svegliò cullata da un dondolio
ritmico, sentì qualcosa di morbido sotto la testa.
-Mh? Ma dove sono..?- mormorò, aprendo gli occhi e
trovandosi a fissare un soffitto color rosso mattone e un finestrino
fuori dal quale sfrecciava veloce un paesaggio di campagna.
-Oh, Hoshi! Ti sei svegliata!-
Quella voce... avrebbe preferito continuare a dormire, pensò
stizzita alzandosi e fissando torva una Linalee sorridente e sollevata.
-Le ferite erano piuttosto gravi, ma non potevamo aspettare a partire.
Ti abbiamo caricata sul treno mentre eri ancora svenuta-
spiegò la cinese, porgendole un piatto con un panino alla
marmellata. Hoshi annuì, afferrando il cibo.
In effetti, era affamata; se ne rese conto solo in quel momento.
-Te lo manda Jerry. Ha detto di salutarti- continuò Linalee.
La ragazza fece un altro cenno d’assenso, iniziando a
mangiare.
-Hoshi?-
Possibile che non avesse altro da fare che infastidirla? Ci saranno
stati anche gli altri, su quel treno, perché doveva stare
lì con lei, adesso che si era svegliata?
-Mh- fece, senza guardarla.
-Credo… credo che dopo dovresti andare da Allen- qualcosa
nel tono della sua voce indusse Hoshi a guardarla per la prima volta.
Linalee si tormentava le mani in grembo, e gli occhi sviavano
continuamente dai suoi.
-Si sente in colpa per le tue ferite. Dice che tu l’hai
salvato perché non voleva combattere- mormorò.
Hoshi sbuffò sonoramente, ingoiando l’ultimo morso
del panino –e cos’avrei dovuto fare? Immagino che
Komui non sarebbe stato molto contento di sapere che l’avevo
lasciato crepare perché si è fatto sconvolgere
dalle sembianze umane degli akuma- sbottò bruscamente
–come se fosse una novità. Dovreste avere un
po’ più di pelo sullo stomaco, voialtri-
tornò a guardare fuori dal finestrino, senza di fatto
rispondere all’esortazione della mora.
Linalee sospirò –parlaci, più tardi, o
perlomeno fagli vedere che stai bene- disse con rassegnazione, uscendo
dallo scompartimento e lasciandola finalmente sola.
-Cooooosa? E dovrei andarci io?-
-Lavi, col tuo martello farai in un attimo! Allen deve aver perso il
treno!-
Le voci accorate fuori dallo scompartimento la svegliarono, e Hoshi
vide che si erano rimessi in moto. Quando il treno si era fermato aveva
sentito un po’ di trambusto e le parole
“Timcampi” e “gatto” ripetersi
svariate volte: come minimo quel cretino di un golem si era di nuovo
fatto mangiare.
Tale golem, tale padrone, pensò sospirando.
-Ehi, bellezza. Dobbiamo andare a riprendere Allen, salta su- Lavi
spalancò la porta scorrevole, battendole una mano sulla
spalla.
Hoshi si girò lentamente, gli occhi neri piantati in quello
verde di lui –uno- sussurrò –chiamami
un’altra volta in quel modo e non sarai più sopra
il treno ma sotto- disse con voce fintamente carezzevole. Il rosso
arretrò di un passo mentre lei si alzava in piedi.
-Due- continuò, senza badare alla sua fretta –leva
quella mano e ti farò il favore di lasciarla attaccata al
braccio- Lavi tirò via di scatto la mano dalla sua spalla.
-Ora va meglio- fece Hoshi, rimettendosi a sedere e dandogli le spalle.
-Ehi, ma mi hai sentito o cosa?- la voce di Lavi era irritata, molto.
Non ci badò, per lei poteva anche odiarla, sarebbe stato un
sentimento totalmente ricambiato, pensò.
-Purtroppo si. Non è affar mio se quel bamboccio non riesce
neppure a prendere un treno- rispose lentamente, senza girarsi a
guardarlo.
-E’ affar tuo dal momento in cui ti è stata
assegnata questa missione, ragazzina. E adesso finitela di perdere
tempo, montate su quell’affare e andatelo a riprendere!- la
voce di Bookman Senior fece capolino dalla porta dello scompartimento.
-Non darmi ordini, vecchio- mormorò Hoshi seccata, fissando
ostinatamente il vetro alla finestra.
Le importava poco che fosse un'autorità o che fosse
più anziano.
-Hoshi, per favore. Allen potrebbe essere in pericolo, potrebbe non
aver semplicemente perso il treno. Non fare la difficile proprio
adesso- la supplica di Linalee le fece definitivamente perdere le
staffe.
-Vi ho già detto che io non sono qui per fare da balia a
nessuno!- esclamò alzandosi in piedi e fissandoli con tutta
l’antipatia di cui era capace –se ti interessa
tanto di lui, perché non ci vai tu a recuperarlo?- la
fissò con aria di sfida, finchè lei non
alzò gli occhi.
Per qualche interminabile istante, nessuno aprì bocca.
Hoshi sospirò seccata: in qualche modo avrebbe dovuto far
capire ad Allen che non poteva intromettersi costantemente nella sua
condotta di vita con le sue idiozie.
Prima l’allenamento fittizio, poi il trauma degli akuma,
adesso questo.
“Accidenti a lui” pensò, evocando
l’innocence e trattenendo fra i denti una serie di improperi.
-Quinto riflesso. Ali dalle Stelle- mormorò. Sulla sua
schiena brillarono due ali piumate, candide.
I tre esorcisti la fissarono con tanto d’occhi mentre saltava
sulla cornice del finestrino, spalancandola con uno scatto.
-Che c’è adesso? Credevate che sarei salita ancora
su quel coso? Avanti, vediamo di muoverci, rossino- sbottò
seccata, lanciandosi nel buio senza aspettarlo.
-E’ davvero insopportabile- mormorò Lavi,
tenendole dietro.
---
-Aiutateci, venerabile monaco oscuro! Quel castello è
infestato da un vampiro!-
-Vi giuro che il vampiro vi sembrerà ben poca cosa, quando
ve l’avrò fatta pagare per tutto il tempo che mi
avete fatto perdere- un urlo di spavento collettivo si
innalzò dal drappello di uomini accerchiati attorno ad un
Allen legato come un salame, quando Hoshi si lasciò cadere
fra loro, i capelli candidi che sembravano risplendere alla luce delle
torce, gli occhi neri come il cielo notturno freddi e spietati, che
sembravano inghiottire ogni goccia di luce.
-Non credo vi convenga contraddirla- Lavi spuntò da un
barile, facendoli sobbalzare nuovamente.
-Fermi tutti, sono altri monaci oscuri!- gridò un uomo,
indicando le croci sulle vesti dei due nuovi arrivati.
“Oh, no” pensò Allen, mentre Hoshi e
Lavi venivano letteralmente presi d’assalto e legati per bene
come lui.
-Quel bastardo di Marian- sibilò la ragazza dopo la
spiegazione, lasciandoli increduli –ci ha proprio incastrati.
Ehi, voialtri- apostrofò il drappello –il tipo che
vi ha detto di rivolgervi a noi era un tizio con capelli rossi e una
maschera, per caso?- quelli annuirono all’istante.
Allen la fissò sbalordito –Hoshi, conosci il
maestro?- chiese. Lei fece un sorriso a metà fra il
sarcastico e lo scocciato, ma al ragazzo sembrò che nella
sua espressione vi fosse anche qualcosa di incredibilmente triste. Non
rispose niente.
-Liberateci. Andiamo a prendere a calci quel coso, ho davvero voglia di
sfogarmi- disse con un tale gelo da far rabbrividire tutti i presenti.
Li accompagnarono di fronte al castello, tenendosi a debita distanza.
Hoshi si diresse decisa verso l’entrata, seguita da due
titubanti Allen e Lavi, uno più teso dell’altro.
Si girò verso di loro, sbuffando.
-Insomma, quanto tempo vi serve per fare tre passi? Prima lo facciamo
fuori, prima ce ne andiamo da questa manica di schizzati!- si
girò di schiena e i capelli scintillarono sotto la luce
della luna, piena e incredibilmente grande, che faceva da sfondo
all’intero paesaggio.
L’albino trovò che Hoshi sembrava nata per la
notte. Niente di lei sembrava fuori luogo, dal pallore della pelle e
dei capelli, quasi latteo, alle tenebre degli occhi, alla freddezza
dell’espressione.
Si rese conto di stare fissandola già da un po’ e
si riscosse con un sussulto.
-Paura, Allen?- disse beffardo Lavi, che in realtà era teso
quanto lui.
Un urlo assordante li fece voltare tutti e tre di scatto.
-Ha preso Franz!-
Un uomo alto, scheletrico, con capelli mezzi bianchi e mezzi neri e
lunghissimi canini appuntiti aveva afferrato uno degli uomini,
azzannandolo al collo e succhiandone il sangue.
-Dannazione, ma quando è arrivato?- Hoshi evocò
la katana, ma il vampiro fu più veloce, schizzando verso di
lei e colpendola così forte da farle fare un volo di decine
di metri.
-Hoshi!- Allen e Lavi corsero verso di lei, ma la ragazza non volle
nessun aiuto.
-Dove cavolo è andato?- ansimò rimettendosi in
piedi. Sentiva un dolore lancinante al petto, che le levava il fiato, e
ipotizzò di avere almeno un paio di costole rotte.
-Dev’essere rientrato nel castello- disse Lavi –ti
ha dato una bella botta, sicura di star bene?- le toccò un
fianco e la ragazza trasalì, cercando di nascondere il
dolore alla meno peggio.
-Non sono affari che vi riguardino, non voglio che degli esorcisti si
preoccupino per me- sbottò allontanandosi da loro
–forza, esploriamo questo postaccio- disse, arrancando verso
l’entrata.
-Sei anche tu un’esorcista, che tu lo voglia o no-
mormorò il rosso, tenendole dietro assieme ad Allen. Non
arrivò nessuna risposta, come al solito.
Hoshi aveva la vista appannata, e non riusciva a respirare. Era come se
fosse avvolta in una coltre bollente e soffocante, che non le lasciava
scampo.
La sagoma della donna di fronte a sé andava e veniva, tirare
il fiato le era sempre più difficile.
Si era fatta cogliere di sorpresa da quell’akuma come una
stupida, pensò, ma non aveva sufficienti energie per tirarsi
fuori da quella situazione, non dopo che quel maledetto vampiro
l’aveva massacrata.
-Che c’è, esorcista? Non combatti più?-
fece Eliade, beffarda. Hoshi, nonostante la situazione, le rivolse un
sorriso di commiserazione –non ho mai avuto nessun motivo per
combattervi- ansimò –non più di quanti
non ne abbia per combattere ciò che sono. Uccidimi pure, se
è questo che vuoi- il mondo si fece a chiazze nere, mentre
la ragazza sentiva le forze abbandonarla sempre di più.
-Akuma! Lasciala stare!- un boato, la sensazione di soffocamento che le
veniva strappata via dal petto, le gambe che le cedevano ma che non
incontrarono il terreno. Si sentì afferrare e posare a terra
con delicatezza.
Strinse gli occhi, cercando di recuperare il fiato; il petto le faceva
male da morire, e credeva che anche le ferite sulla schiena non se la
stessero passando tanto bene.
-Allen, portala via da qui. Ci pensiamo io e Crowlyno a finirla- la
voce di Lavi, poi Hoshi si sentì sollevare.
-Lascia…- iniziò, ma Allen, con tono
sorprendentemente secco, la interruppe.
-Non provare a dirmi che sei in grado di camminare- fece,
allontanandosi velocemente dalla scena della battaglia. Dopo un
po’, la ragazza avvertì sul viso la sensazione
dell’aria fredda del mattino. Evidentemente erano usciti.
Quel dondolio iniziò a darle la nausea.
-F-ferma…- violenti colpi di tosse le mozzarono le parole in
gola. Sentì in bocca il sapore del sangue.
Allen si fermò dopo poco, posandola nuovamente a terra.
Poco a poco, la vista tornò nitida e le orecchie smisero di
fischiarle, disturbi sostituiti dall’improvviso arrivo del
dolore causatole dalle ferite.
-Ahi- sussurrò, stringendo le palpebre.
-Dove ti fa male?- se le costole non le avessero minacciato il collasso
definitivo, a quella domanda Hoshi avrebbe riso.
-Dappertutto- rispose, la voce fioca –credo… di
avere poco di intero- sentì il ragazzo trafficare di fianco
a sé, ma si sentiva così debole da non riuscire
neppure a girare la testa.
Qualcosa di freddo le si posò sul fianco, scatenandole un
bruciore infernale.
-Ehi, ma che…- l’ennesima fitta le
impedì di continuare.
-Hai una bella ferita. Devo almeno pulirla, stai ferma- disse Allen.
Poco a poco, Hoshi sentì il dolore calmarsi e
avvertì quel fresco quasi come un beneficio.
-Penso… che siano le costole… il problema-
sussurrò senza fiato –a-aiutami a…
tirarmi su- un braccio di Allen le passò dietro le spalle,
mettendola dritta.
-Va meglio?- chiese. Hoshi annuì, sorpresa di come la voce
del ragazzo suonasse preoccupata.
-Grazie- fece lei dopo un po’. Vide l’albino
aggrottare le sopracciglia, ma era troppo sfinita per rinfacciargli la
sua lentezza di comprendonio.
-Per… prima- continuò, distogliendo lo sguardo
dagli occhi grigi di lui, rendendosi conto solo in quel momento che il
sinistro si era rigenerato, la stella che spiccava nitida sulla pelle
chiara.
-Dovresti ringraziarmi se fossi tutta intera. Ho lasciato che ti
riducesse in questo stato…- mormorò Allen
imbarazzato, spostando gli occhi a terra.
Hoshi non rispose niente; aveva avuto una paura folle di morire, quando
l’akuma era riuscita a inchiodarla a quella parete. Buffo,
dopo essersi ripetuta per anni che avrebbe preferito la polvere e
l’oblio al suo destino attuale, si era ritrovata a sentirsi
sollevata per non essere morta lì.
Sempre che avesse resistito, pensò, scossa
dall’ennesimo attacco di tosse che le provocò
nuove fitte in tutto il corpo.
-Eeeeeehi! Allen! Hoshi!- la voce di Lavi risuonò per tutto
il cortile, allegra come al solito. La ragazza si portò una
mano alla testa: ma come diamine faceva ad essere sempre
così giulivo e ad urlare sempre così a sproposito?
-La signorina è ridotta malissimo, invero?- appena Hoshi
sentì quella voce le montò una stizza infinita.
-E di chi credi che sia la colpa, vampiro demente?- sbottò
ricominciando quasi subito a tossire
-Hoshi, non trattarlo male! Crowlyno era confuso- spiegò
Lavi con un’aria fintamente innocente, cui rispose solo lo
sguardo infuriato della ragazza: se solo avesse potuto muoversi, il
destino migliore che sarebbe potuto capitargli sarebbe stato finire con
la testa staccata di netto.
-Sono costernato, invero…- provò a scusarsi lui,
ma Hoshi non voleva nemmeno sentirlo –cosa me ne faccio delle
tue scuse? Non sprecare il fiato- ringhiò fra i denti,
aggrappandosi a un albero per rimettersi in piedi. Allen le si fece
vicino, ma lei lo scansò –ce la faccio- disse
fredda. Il ragazzo si ritirò di colpo, come se gli avesse
dato uno schiaffo.
-Quinto riflesso- ansimò lei senza badarci, ma si
sentì afferrare per un braccio.
-Sei impazzita o cosa? Non ce la farai mai a sostenere
l’evocazione, forza, salite tutti sul martello!- Lavi se la
trascinò dietro, e Hoshi si ritrovò di nuovo
spiaccicata su quella cosa infernale, troppo debole perfino per potersi
ribellare.
Odiava quel coso, le sembrava continuamente di cadere.
Sussultò quando partirono, ma come la volta precedente due
mani ferme si posarono sulle sue spalle e la trascinarono
all’indietro, facendole appoggiare la schiena.
-Ti tengo io. Tu pensa a riposarti, non agitarti- le mormorò
Allen all’orecchio.
Poco dopo Hoshi si addormentò.
Note dell'Autrice:
Al ritmo di un capitolo all'anno ce la farò XD
Scherzi a parte, scusatemi ma sono troppo sfinita per commentare questo
capitolo x_x la primavera e il cambio dell'ora mi distruggono nel
profondo T_T e in più sta iniziando a venirmi l'ansia
perchè mi manca ancora tantissimo per finire questa
fanfiction e non ho mai tempo per scriverla (doppio T_T)...
Vado a studiare (triplo T__T)...
Pietà, qualcuno commenti >_>
Baci a tutti :)
Bethan
|
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Capitolo 9 *** Memories, Rhum and Names ***
-Ma figurarsi se è morto! Quello non
muore nemmeno se lo ammazzi- la voce secca di Hoshi fece girare il
capannello di persone a guardarla con tanto d’occhi, compresa
la bellissima donna che stava loro di fronte.
L’ennesima donna di Marian. Il cuore della ragazza diede una
fitta inaspettata a quel pensiero, ma Hoshi si affrettò
subito a spingerla sotto la solita corazza gelida.
-Tu devi essere As…- iniziò Anita, ma lei la
interruppe bruscamente, fissandola gelida con gli occhi scuri.
-Hoshi. Non provare a chiamarmi in quel modo- sibilò a voce
bassissima, eppure udita da tutti.
La donna inarcò le sopracciglia, ma la ragazza distolse lo
sguardo dal suo e continuò a parlare imperterrita.
-Ci serve una nave, se vogliamo trovarlo. Morto, non è morto
davvero- aggiunse.
“Se sei morto ti ammazzo, Marian”
Quel pensiero illogico, ma soprattutto il dolore che lo
accompagnò, la colpirono come una coltellata, passando
attraverso tutte le sue difese come se fossero diventate burro.
-Ti fanno male le ferite?- Linalee la guardava preoccupata. Lei
annuì seccamente: alla fine, l’essere stata
ridotta a un colabrodo si era rivelato provvidenziale.
-Ho sentito parlare di te. Marian mi ha detto di darti questa, se mai
ti avessi incontrata- la donna si alzò e si
avvicinò a lei, lo strascico del vestito che la seguiva come
un’onda cangiante, e le mise al collo una sottile catena
argentata, con appesa una clessidra piena di un liquido trasparente,
eppure più denso dell’acqua.
-Ha detto che può aiutarti a sopportare l’effetto
dell’innocence tua e altrui. Non so cosa significhi-
mormorò. La ragazza annuì, infilandosi il
ciondolo sotto la veste –lo so io. Grazie- mormorò
semplicemente, poi uscì dalla stanza senza salutare
né la padrona, né nessun altro, diretta
chissà dove.
-Che modi… ci dispiace- iniziò Linalee, ma Anita
la interruppe con un sorriso –no. Conosco la sua storia molto
bene, Marian me ne parlava spesso- il suo sguardo si adombrò
un istante.
-Hoshi… Hoshi conosce il maestro?- la voce incerta di Allen
risuonò nella stanza angusta. Le labbra della donna si
incurvarono nuovamente in un sorriso triste –si, ma non
sarò io a dirti altro- mormorò, tornando a
sedersi –è una cosa fra di loro, se la
curiosità ti preme, chiedi a lei- concluse.
Tornarono quasi subito a concentrarsi sui dettagli della missione,
senza che Hoshi rimettesse piede nella casa adorna di fregi
dell’amante di Marian Cross.
“Adesso va meglio. Stavo soffocando, là
dentro” pensò Hoshi, seduta in pericolante
equilibrio sugli scogli spazzati dal vento e dagli schizzi
d’acqua.
Fra le dita si rigirava la piccola clessidra consegnatale da Anita: la
conosceva molto bene. La portava Marian, quando doveva sincronizzarsi
con Judjement.
Già, perché nonostante molti non lo sapessero,
lui non era esattamente il compatibile di quella pistola,
ricordò con un sorriso. Era più un prestito a
tempo indeterminato, così la definiva. E quella clessidra lo
privava del dolore, effetto necessario della sincronizzazione con
un’innocence che non è la propria.
Avrebbe funzionato anche su di lei?
Lo sperava davvero. Per questo aveva accettato: si era resa conto,
soprattutto dopo il disastroso recupero del vampiro, che non poteva
andare avanti a quel modo. L’evocazione le succhiava ogni
energia, i Riflessi dal Secondo in su erano una tortura per il suo
fisico.
Se quell’affare avrebbe potuto aiutarla, forse era ora di
accantonare una piccola parte d’orgoglio per salvarsi la vita
e la salute mentale.
Quello che non andava, era lei.
Quella donna.
Non ci voleva una mente superiore per capire che tipo di relazione ci
fosse fra lei e Marian, pensò gettando un sasso
nell’acqua, che lo inghiottì in un batter
d’occhio.
Sospirò: forse era meglio così. Non avrebbe mai
potuto venirne fuori niente di buono.
Ma allora perché le importava così tanto?
Perché stava così male, pensando a lui?
Un secondo sospiro seguì il primo: che la connessione fra
lei e... l'altra
si stesse facendo più forte? Sapeva che quei sentimenti non
erano i propri. Forse fingere per così tanto tempo l'aveva
condizionata.
Lei stessa si era tirata indietro, alla fine, e in cuor suo sapeva
perché l’aveva fatto: sentiva le attenzioni di
Marian come costrette da un senso di colpa perenne, che però
con lei aveva poco e niente a che vedere.
Sospirò: poteva girarci intorno quanto le pareva, ma
iniziava a pesarle ogni cosa.
Quel dolore nascosto, quella maschera gelida che frapponeva
costantemente fra sé e gli altri, quell’odio che
non le lasciava scampo, verso chi era morto come sarebbe dovuta morire
lei e per chi viveva come lei senza che questo gli fosse di peso.
A volte si sentiva scoppiare, ma non poteva cedere.
Mostrarsi debole, sarebbe stato consegnarsi nelle loro mani, e lei non
poteva permetterlo. Non avrebbe sofferto ulteriormente per colpa loro.
-Hoshi?-
La ragazza alzò gli occhi al cielo: ancora lei. Fra tutti
quegli esorcisti era quella che sopportava di meno. Perché
non riusciva a lasciarla in pace e a degnarla della più
completa indifferenza?
In fondo, non avrebbe dovuto essere difficile.
-Mh?- sembrava diventata la sua risposta abituale, ormai.
-Non sei più tornata, iniziavamo a preoccuparci.
E’ quasi buio- disse Linalee, saltando sugli scogli, fino a
raggiungerla –stiamo andando a mangiare, vieni con noi?-
Hoshi sospirò, facendo un cenno infastidito con la testa.
Non le andava proprio di dover dare spiegazioni sul perché e
per come aveva abbandonato la casa di Anita, non le andava di sentirsi
addosso gli sguardi per metà curiosi e per metà
ostili di quei ragazzi, non le andava di fare niente, a dire il vero.
-Non ho fame- rispose semplicemente.
La cinese per tutta risposta sospirò e si sedette accanto a
lei, apparentemente totalmente ignara, o indifferente, al fatto che la
sua presenza fosse per l’altra fonte di enorme fastidio.
-Hoshi, io capisco che tu odi l’Ordine, ma
l’innocence in sé non c’entra niente con
quello che ti è successo- esordì a un tratto,
lasciandola completamente di stucco.
Cos’è, voleva mettersi a farle da psicologa adesso?
-Non puoi capire. Nessuno di voi può, non può
nemmeno chi l’ha fatto- prese per certo che la cinese sapesse
la versione "riveduta e corretta" sulla sua storia, altrimenti non le
avrebbe mai parlato in quel modo.
-E invece si, ti capisco, anche se di sicuro sono stata più
fortunata. Anch’io sono stata portata all’Ordine
contro la mia volontà, strappata da mio fratello, che poi
è stato costretto a raggiungermi- disse tutto d’un
fiato –anch’io per molto tempo non sono mai
riuscita a capire perché dovessi fare questa vita, quale
giustizia richiedesse il mio sacrificio per persone che nemmeno
sapevano della mia esistenza- sorrise, tesa –forse non
l’ho capito nemmeno ora- mormorò.
Hoshi era disorientata: dove diamine voleva andare a parare con quel
discorso? Non era certo interessata a conoscere i retroscena della sua
vita, non era così stupida da pensare che fossero arrivati
tutti lì per un caso allegro e benigno.
No, quello che le dava più fastidio di ogni altra cosa era
come fingessero costantemente che la loro fosse la vita più
bella del mondo, come adorassero l’innocence e i poteri che
gli dava, come se fossero cose di cui essere felici anziché
condanne a vita. Lo disse, così brutalmente che Linalee
spalancò gli occhi e rimase zitta per diversi minuti.
Il mare si era ormai fatto nero, e quel colore iniziò pian
piano a rilassarla: Hoshi adorava i toni scuri. Sarà
perché vi annegavano il colore innaturale dei suoi capelli e
il pallore della sua pelle, sarà perché nessuno
notava il nero abisso dei suoi occhi, se era circondata da tenebre
altrettanto profonde.
-Io… io non amo l’innocence- mormorò
Linalee sottovoce a un certo punto –anzi, credo di odiarla,
perché è per causa sua se esiste questa guerra,
è per causa sua che il mondo intero è in balia
del Conte da un lato e dell’Ordine dall’altro-
stavolta fu il turno di Hoshi di spalancare gli occhi: si era aspettata
una filippica sulla bontà dell’innocence e della
loro missione, e ora si sentiva dire che alla fine anche i
più accondiscendenti la pensavano esattamente come lei.
-Il motivo per cui non manifesto quest’odio, è
perché non voglio aggiungere sofferenze alle sofferenze-
continuò, fissando l’acqua scura di fronte a loro
–so che non sono l’unica ad avere i miei motivi per
odiare tutto questo, perciò non voglio affliggere gli altri
con le mie lamentele. Con questo, non intendo dire che tu lo faccia-
aggiunse precipitosamente, rendendosi conto del senso equivocabile
dell’intero discorso –solo, non sentirti
l’unica a desiderare altro, rispetto a questo. Tutti noi
abbiamo dei segreti gli uni con gli altri, ma per quello che riusciamo
ad esternare, riusciamo ad aiutarci a vicenda. Non voglio metterti
fretta, né dirti cosa fare, però forse dovresti
provare- Hoshi non disse niente, ognuna delle parole di Linalee si
stampava a fuoco nella sua testa, come se le avesse sapute a memoria da
tempi lontanissimi –tenere tutto dentro non è
sempre la strada migliore. Pochi possono capire ciò che
proviamo, se non gli diamo neppure uno spiraglio di luce- rimasero
zitte per altro tempo. Hoshi non sapeva cosa dire, Linalee aveva finito.
Ad un tratto, la ragazza si alzò in piedi di scatto,
afferrando la cinese per un polso.
-Andiamo a mangiare, mi è venuta fame- mormorò
semplicemente, tirandosela dietro.
Anche se non la vedeva, avrebbe potuto giurare che stesse sorridendo.
-Non sapevo tu parlassi il cinese!- Linalee fissava stupita Hoshi che,
dopo aver sfoderato un cinese impeccabile, si sbafava famelica tutta la
roba che aveva ordinato.
Alzò le spalle, facendo l’indifferente
–me l’ha insegnato…- si interruppe,
mordendosi la lingua e continuando a mangiare. Non era davvero il caso
di spingersi così oltre, aveva già fatto uno
sforzo notevole a prolungare la vicinanza con Linalee e a riconoscere
un barlume di senso in quello che le aveva detto.
Parlarle di Marian, proprio non era il caso, e fortunatamente lo
capì pure la mora, che non si azzardò a farle
ulteriori domande.
-Aaaah, dannazione. Ho bisogno di qualcosa di più forte, che
è ‘sta roba?- sbottò, mandando
giù un bicchiere di una bevanda alcolica come se fosse acqua.
-Hoshi, non credo dovremmo…- Linalee era titubante, ma
l’altra si lanciò in un’appassionante
diatriba in cinese, al termine della quale il tizio dietro al bancone
le piazzò davanti una gigantesca bottiglia di rhum.
Si girò verso la cinese con un sorriso spavaldo
–allora, non posso certo finirmela da sola!-
I bicchieri si riempirono e svuotarono in un lampo, finchè
le due ragazze non si ritrovarono abbracciate e barcollanti lungo la
strada di ritorno per la locanda.
-Ehi, Linalee- biascicò Hoshi –certo che lo reggi
proprio poco l’alcool. Mi stai trascinando in terra!-
strillò, sentendo l’altra accasciarsi e tirarla
per un braccio. Linalee scoppiò in un accesso di risatine
isteriche che rimbombarono per la strada semideserta.
Paia d’occhi spalancati si girarono a guardarle –ma
che vogliono? Adesso li…- cercò di non
barcollare, ma la risata della mora le si attaccò ben
presto, facendola accasciare seduta sul selciato freddo.
-Dobbiamo tornare… alla locanda- ansimò, quando
le parve di aver recuperato un minimo di autocontrollo. Si
passò il braccio di Linalee attorno alle spalle e la
tirò in piedi, barcollando vertiginosamente.
-Ma che cosa avete fatto?-
Hoshi si girò verso il punto da cui era venuta quella voce,
trovando un attonito Allen a fissarle con tanto d’occhi.
-Oh, niente, abbiamo alzato un po’ il gomito, tutto qui-
rispose Linalee da un punto imprecisato verso il basso. Hoshi iniziava
a non capire più niente, e l’arrivo
dell’albino aveva solo peggiorato le cose, facendola
scoppiare a ridere senza apparente motivo.
-Ho…- iniziò lui avvicinandosi, ma la ragazza non
ne voleva sapere di smettere, le lacrime agli occhi.
-Assurdo- lo fissò dal basso verso l’alto,
sorridendo, e Allen arrossì istantaneamente.
Fortunatamente si riprese e, fra una fermata e l’altra,
riuscirono a riportare Linalee in camera e a metterla a letto, cosa che
non richiese poco impegno, dal momento che era messa decisamente peggio
di Hoshi.
Lei e Allen si incamminarono verso le loro stanze, nel corridoio
parallelo, in uno strano silenzio.
Hoshi vedeva il pavimento ondeggiare terribilmente, come se fossero
stati su una barca in un mare in tempesta; Allen, dal canto suo, non
riusciva in nessun modo a levarsi dalla testa il suono della risata
della ragazza, mai sentito, eppure così forte, e il modo in
cui cambiava il suo viso quando sorrideva.
A discapito degli occhi, sembrava risplendere.
Scosse violentemente la testa, scacciando quei pensieri: per fortuna
erano arrivati.
Si girò verso Hoshi, ma la testa della ragazza gli si
appoggiò alle spalle pesantemente.
-E-e-e-ehi! Hoshi!- balbettò imbarazzatissimo, ma il corpo
di lei pigiava contro il suo sempre di più, sbilanciandolo e
facendolo finire addossato alla parete.
Ad Allen scappò un sorriso: si era addormentata.
Evidentemente avevano bevuto parecchio.
Solo che adesso si presentava un problema: come cavolo avrebbe fatto a
portarla in camera, se non aveva la sua chiave?
Un’idea si fece strada nella sua mente, cancellata dalla
ferma volontà di restare con tutti gli arti attaccati al
corpo e supportata dal fatto che se Lavi fosse uscito in
quell’istante dalla sua stanza e li avesse trovati in quel
modo sarebbe scoppiata la terza guerra mondiale.
Cercando di non svegliarla, fece scattare la chiave nella serratura e
la trasportò fino al letto, adagiandola sul materasso. I
capelli bianchi si sparsero sul cuscino, confondendosi con la tinta del
tessuto.
Sembrava scesa direttamente dalla luna, pensò mentre
richiudeva la porta a doppia mandata e si sedeva sul letto di fianco a
lei.
Inutile negarlo a se stesso, l’aveva trovata bella fin dal
primo momento in cui l’aveva vista senza quel cappuccio che
le coprisse il viso, senza quel mantello nel quale quasi spariva.
E si sentiva in qualche modo vicino al suo odio verso
l’innocence, anche se non riusciva a capire il
perché. Sapeva solo che quando Hoshi diceva di disprezzare
loro e l’Ordine, una parte di sé non poteva fare a
meno di pensare con convinzione che poteva capirla, anche se non aveva
idea del motivo della sua avversione.
Avrebbe voluto chiederglielo, ma riusciva a sentire
un’immensa sofferenza dietro quell’odio, un dolore
che non voleva essere lui a risvegliare.
Sospirò, facendo per alzarsi: avrebbe dormito sul pavimento,
almeno Hoshi non avrebbe pensato male.
Una mano si aggrappò alla sua manica e lo tirò
inesorabilmente verso il materasso, nonostante i suoi sforzi (non
così decisi, in verità) per opporsi.
Hoshi aveva aperto gli occhi, che ora spiccavano come gemme color
carbone sul biancore del suo viso, ma era evidente che non fosse ancora
granchè in sé.
-Hoshi, dovresti dormire- sussurrò Allen, benedicendo il
buio che nascondeva le sue guance –domani avrai un mal di
testa infernale- ma la ragazza lo trascinò di fianco a
sé e si rannicchiò addosso al suo petto prima che
l’albino potesse pronunciare anche una sola sillaba.
-Stai qui- sussurrò lei, a metà fra il sonno e la
veglia. Il ragazzo si stupì di quanto fosse mingherlina
anche in confronto a lui, e di quanto sembrasse indifesa in quel
momento. Ben altra cosa dal gelo indistruttibile che usava ostentare.
-Sono qui. Dormi, tranquilla- mormorò, tirando su le coperte
con un sospiro: mal che fosse andata, le sue urla avrebbero fatto da
sveglia all’intera locanda.
Non che a lui personalmente dispiacesse l’intera situazione,
pensò azzardando a circondare le spalle di Hoshi con un
braccio. La ragazza non si mosse, continuando a tenere gli occhi chiusi.
L’incognita sarebbe stata vedere se la cosa non fosse
dispiaciuta a lei una volta che fosse tornata in sé. Allen
pregò di svegliarsi prima di quel momento, per poter almeno
salvare le apparenze.
-Allen- sussurrò lei appena prima di crollare nuovamente
addormentata.
-Dimmi- bisbigliò lui in rimando. Sentì una
ciocca più lunga dei capelli di Hoshi intrecciarsi alle sue
dita, morbida come seta.
-Io mi chiamo Aster- l’albino spalancò un poco la
bocca, senza saper bene cosa dire, eppure qualcosa gli suggeriva che
non era una rivelazione di poco conto.
Il respiro della ragazza si fece nuovamente pesante, e Allen rimase
sveglio a lungo, a tratti guardando lei, a tratti fissandosi sul cielo
stellato che si intravedeva fuori dalla finestra.
Note dell'Autrice:
Che. Razza. Di. Capitolo.
OK, l'amicizia fra Hoshi e Linalee è come quella fra tigre
siberiana e topolino risecchito (povera Lina XD), però in
qualche modo dovevo pur sbrogliare la vicenda... non vi preoccupate per
alcuni punti oscuri, (MOLTO) più in là saranno
chiariti ^^
Sto facendo una fatica boia a descrivere quell'impedito di Allen. Si
vede che non sono abituata a pensarci, eh? ^_^''
PER FAVORE
RECENSITE T___T *sclera*
(Grazie a Sherly,
come al solito ^^ come farei senza di te?? ç_ç)
Ciao a tutti!! ^^
Bethan
|
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Capitolo 10 *** Morning ***
Le sembrava che una squadra di gnomi con scarponi
chiodati ai piedi le stesse marciando in testa.
Ma quel che era peggio, era che non si ricordava praticamente niente
della sera prima.
Ok, la sua memoria arrivava finchè lei e Linalee non si
erano accasciate ubriache in mezzo alla strada, ridendo come due povere
sceme, ma cos’era successo dopo?
Aprì piano un occhio, ottenendo un mal di testa lancinante
in cambio per via della luce del mattino che ormai filtrava copiosa
anche attraverso le tende, e quello che vide la lasciò
pietrificata.
Accanto a lei dormiva della grossa Allen.
Il cuore iniziò a batterle all’impazzata, mentre
sentiva le guance diventare color rosso fuoco. D’istinto, si
guardò: completamente vestita, e lui pure. Si concesse un
minuscolo sospiro di sollievo, che fu subito rimpiazzato da una domanda
fondamentale.
“Come diamine sono arrivata qui?”
L’albino non dava segno di riprendersi dal sonno, e Hoshi
ricordò che Linalee le aveva detto che avrebbero sostato un
paio di giorni nella locanda, in attesa della partenza. Probabilmente
il resto della combriccola era andato a farsi un giro, altro motivo di
enorme sollievo.
Più che altro, Hoshi sperava ardentemente di non aver
combinato niente di… “compromettente”.
Sentì il viso infiammarsi di nuovo a quel pensiero e
d’istinto scosse la testa.
No, no, non poteva averlo fatto.
E quell’Allen proprio non era il tipo, con tutte le arie da
gentleman che si dava.
Ad un tratto il ragazzo si mosse, spalancando gli occhi e trovandosi a
fissare i suoi ad una distanza che contava decisamente troppo pochi
centimetri.
Praticamente saltò fuori dal letto, ancora più
imbarazzato di lei –Ho-Hoshi, non è come
sembra… vi ho trovate ieri sera, poi tu ti sei addormentata
qui fuori e non sapevo dove tenevi la chiave- farfugliò
distogliendo lo sguardo dal suo, decisamente nel panico.
-Ok, ok, ma non urlare. Ti prego, mi scoppia la testa-
replicò lei, prendendosi le tempie fra le mani.
Perché accidenti non si ricordava niente? E
perchè, anche se persa nei fumi dell’alcol, aveva
fatto una cosa come addormentarsi… lì?!
Il pavimento sembrò girarle sotto gli occhi: ma quanto
diamine avevano bevuto? Forse aveva esagerato nel decidere di prendere
la serata alla leggera. Si ricordò della cinese, decisamente
meno avvezza di lei al bere.
-Linalee?- mormorò, alzando la testa di scatto.
Pessima mossa. Strinse gli occhi per il dolore. Allen sorrise
–l’abbiamo portata in camera ieri sera,
c’eri anche tu ma credo che la memoria ti abbia giocato
qualche scherzo- ridacchiò sotto i baffi, ma Hoshi era
ancora troppo stordita per replicare come si conveniva.
Sentì il ragazzo trafficare, poi le porse un bicchiere
–bevilo. Ti schiarirà un po’ le idee-
Hoshi lo fissò sospettosa –non è altro
alcol, vero?- lo annusò, sentendo solo un intenso odore di
limone. L’albino rise di nuovo –no, no, tranquilla.
Credo che tu ne abbia avuto abbastanza, sai- continuò,
sedendosi di nuovo sul letto di fianco a lei e stiracchiandosi le
braccia dietro la schiena –il maestro era avvezzo alle
sbronze, ho dovuto scovare dei metodi per rendergli sopportabile la
mattina successiva. Va meglio?- chiese, quando la ragazza
poggiò il bicchiere sul tavolino. In effetti, il giramento
di testa era sparito, e la stanza era piacevolmente ferma.
Il dolore però restava, come le ricordò
l’ennesima fitta che le attraversò le tempie non
appena fece l’errore di guardare la luce che entrava dalle
finestre.
-Ho un rimedio anche per il mal di testa, però dovresti
lasciarmi fare e non minacciarmi di morte- Allen esitò,
sotto lo sguardo degli occhi scuri di Hoshi.
-Dimmi che devo fare- sospirò poi la ragazza.
L’aveva vista ubriaca come non mai, probabilmente gli era
collassata davanti in uno stato pietoso, non sarebbe stata una
così grande tragedia se le avesse anche fatto passare il mal
di testa, già che c’era.
L’albino annuì –stenditi e appoggia la
testa sulle mie gambe, qui- lei lo fissò forse con
un’occhiata più truce di quanto in
realtà volesse essere, perché lui alzò
le mani spaventato –è solo per rilassarti. Un
massaggio, tutto qua- sempre continuando a guardarlo, Hoshi raccolse i
capelli da una parte e adagiò la testa sulle gambe di Allen.
-Bene, adesso chiudi gli occhi e cerca solo di stare tranquilla-
mormorò il ragazzo. Hoshi obbedì,
serrò le palpebre, ma quanto allo stare tranquilla non se ne
parlava neppure.
Quella situazione era troppo strana.
Sentì le dita fresche di Allen sulla pelle, e poco
mancò che non schizzasse per aria.
-Rilassati. Non lo verrà a sapere nessuno, se è
questo che ti preoccupa- ridacchiò l’albino, senza
smettere il massaggio.
Piano piano il mal di testa iniziò a scemare, e Hoshi fu
presa da una voglia terribile di addormentarsi.
-Basta. Mi sta venendo sonno- mugugnò, cercando di alzarsi,
ma una mano dell’albino la trattenne, e gli occhi di Allen si
fissarono nei suoi.
-Che ti prende?- la ragazza cercò di scansarsi, ma lui la
chiamò di nuovo.
-Ieri sera… forse non ti ricordi, ma mi hai detto una cosa-
esordì, prendendola così alla larga che Hoshi
temette il peggio.
“Oddio, cosa cavolo gli ho detto?” pensò
nel panico più totale.
-Non aprirò bocca con nessuno, ma voglio solo sapere se
è una cosa che anch’io devo dimenticare-
cercò di rassicurarla Allen.
-Cosa ti ho detto?- mormorò Hoshi, temendo di sapere la
risposta.
-Mi… mi hai detto come ti chiami. Cioè, so che
sembra stupido, ma…- tentò di spiegare lui, ma la
ragazza sorrise mesta.
-No, non è stupido. Ho capito- sussurrò, poi
tornò a guardarlo in viso –puoi ricordarlo, ma
azzardati a farne parola o a chiamarmi in quel modo se altri sono
presenti e ci penserò io a fartelo scordare- aggiunse,
vagamente minacciosa ma col sorriso che non accennava a scollarsi dalle
sue labbra.
-O-ok. Tranquilla, sarò una tomba- “per evitare di
diventarlo davvero” aggiunse lui col pensiero, ma si
guardò bene dal dirlo.
La accompagnò alla porta in silenzio, dopo che Hoshi ebbe
constatato che sarebbe stata un’idea geniale levarsi di
lì prima di far precipitare del tutto la situazione.
-Allen- lo richiamò, prima che chiudesse la porta.
-Si?-
-Grazie- gli sorrise, un’ultima volta, poi si
incamminò nel corridoio.
Bussò cautamente alla porta, ancora scossa dal risveglio
inaspettato.
Dall’interno risuonò un
“avanti” con una voce che sembrava provenire
letteralmente dall’oltretomba.
Aprì piano, trovando Linalee raggomitolata sul letto, gli
occhi chiusi e la testa fra le mani. Le tende erano completamente
tirate, lasciando la stanza in penombra.
-Ehi, come va?- sussurrò Hoshi, sedendosi a tentoni sul
letto.
-Male, a dire il vero. Non reggo granchè gli alcolici-
rispose di rimando lei con un bisbiglio.
-Cosa ti senti?- un’idea le si affacciò nella
mente.
-Mi scoppia la testa, gira tutto e ho la nausea. Senza contare che non
ho quasi dormito- si lamentò lei. L’altra
annuì –aspettami qua, torno subito-
schizzò in piedi, dirigendosi verso la camera da cui era
venuta senza neppure pensarci.
Bussò con decisione e Allen spalancò la porta,
fissandola disorientato –tutto ok?- chiese.
-Hai ancora limone?- domandò lei di rimando –credo
che Linalee regga l’alcol peggio di me- aggiunse come
giustificazione. L’albino le porse un frutto intero
–spremine almeno metà in un bicchiere
d’acqua- la istruì –se avete bisogno
d’aiuto, sapete dove trovarmi- disse. La ragazza
annuì, afferrando il limone e tornando in fretta in camera
dell’altra.
La trovò nella stessa posizione di prima.
-Ci penso io, intanto facciamo un po’ di luce-
spalancò le tende e Linalee strillò
–richiudile, richiudile! La mia testa!- sussurrò
subito dopo, stordita dal suo stesso urlo.
Hoshi non le badò e afferrò un bicchiere,
riempiendolo d’acqua e spremendoci dentro il limone, come le
aveva detto Allen.
Poi mise il tutto sotto il naso della ragazza –bevi- lei
obbedì senza fiatare, tracannando la bevanda tutta
d’un fiato.
-Come va ora?- chiese Hoshi di nuovo.
Linalee sorrise –va meglio. E’ scemato un
po’ anche il mal di testa- l’altra annuì
soddisfatta.
-Esco, vado a fare una passeggiata- disse alzandosi di scatto
–non so se rientro per l’ora di pranzo, nel caso
mangiate senza di me- la cinese la guardò stupita
–ma come fai ad essere così in forma? Io sono uno
straccio, e pensare che sono pure più grande di te!-
Hoshi le rispose con un ghigno –Marian ti abitua a questo ed
altro. Chiedi ad Allen- disse con tono sorprendentemente allegro prima
di uscire tirandosi dietro la porta.
Camminò a lungo per le vie del paese, un piccolo agglomerato
di case dove, fatta eccezione per la dimora di Anita, vivevano quasi
esclusivamente pescatori. Un crocevia pieno di viaggiatori di
passaggio, a volte gremito di popoli diversi e a volte semideserto e
addormentato in riva al mare.
Così era quella mattina, la cui calma marittima sembrava
accompagnare il risveglio di Hoshi dallo stordimento dovuto al rhum. La
strada principale, quella che tagliava di netto il paese, era
praticamente deserta, fatta eccezione per una vecchia signora che
intrecciava cestini con un gatto nero in grembo.
La ragazza si fermò per azzarezzarlo e quello fece subito le
fusa.
Osservò ammirata i cesti e le corone intrecciate dalla
donna, le cui dita abili sembravano in grado di realizzare ogni cosa.
Lei creava, non distruggeva, pensò.
Si sentì immensamente triste, inutile e sola, e riprese a
camminare senza meta.
Era come se la sera prima, fra le parole di Linalee, la sbronza e il
risveglio, quella stessa mattina, le avessero mostrato chiaramente
quanto lei stessa desiderasse con tutte le proprie forze non odiare
più, quanto avrebbe voluto lottare per costruire qualcosa,
anziché per distruggere un nemico sconosciuto e se stessa
assieme a lui.
Ma una parte di lei non riusciva a sganciarsi da quel destino
d’odio.
Era come se il suo intero corpo si ribellasse di fronte alla
prospettiva dell’abbandono del desiderio di vendetta per
tutto il dolore e la sofferenza che avrebbe provato finchè
l’innocence non l’avesse sfiancata.
Pensandoci, lo sentì montare, furioso e possente come prima,
ma c’era qualcosa di diverso.
C’era un rimpianto, c’era una domanda: doveva
davvero vivere così?
Non poteva rinunciare a tutto ciò che era stata e a
ciò che aveva pensato fino a quel momento, non lo voleva,
eppure non poteva chiedersi se quella voglia di una punizione per i
suoi carnefici non potesse convivere con il desiderio di avere una vita
normale.
Con amicizie, dissidie, amore.
Amore.
L’ultima parola le fece salire alle labbra un sorriso
sarcastico, mentre pensava a Marian: non poteva esserci amore, con
quell’uomo, no. Per una serie infinita di motivi, fra i quali
il fatto che fosse un donnaiolo incallito con la tendenza a sparire nel
nulla era solo l’ultima ruota del carro.
No, non il volto di Marian, ma un altro le era passato con un lampo
nella mente.
-Eeeeeehi! Hoshi!- quella voce giuliva e sguaiata le impedì
di comprendere razionalmente chi fosse.
Si girò con un moto di stizza:
ecco, aveva appena pensato di abbandonare la via dell’odio,
perché doveva comparire proprio lui a ricordarle quanto
fosse giustificata?
-Che vuoi?- ringhiò, nel malumore più completo a
causa del chiasso improvviso e dell’interruzione netta dei
suoi pensieri.
Il rosso alzò le braccia –ti ho vista camminare
sola soletta e ho pensato di accompagnarti!- esclamò
semplicemente, tenendole dietro.
-E cosa ti fa pensare che io non stessi bene da sola?- chiese lei
seccata, non riuscendo a scollarselo dai talloni neppure aumentando il
passo.
-Chiamalo intuito da Bookman- sorrise lui, per niente infastidito dalla
stizza della ragazza.
-Allora fa piuttosto schifo, lasciatelo dire- sbottò Hoshi,
fermandosi di schianto quando davanti a loro si aprì lo
spiazzo che dava direttamente sul mare.
-E tu lasciati dire che quando fai così sei peggio di Yu-
fece Lavi noncurante.
-Si può sapere che vuoi?- Hoshi raccattò un sasso
da terra e lo lanciò nell’acqua. Quello fece un
volo di svariati metri prima di atterrare con un tonfo sonoro
nell’acqua piatta come una tavola e blu come il cielo terso.
-Solo chiacchierare, niente di che-
-Ci sono Linalee e Allen, per questo- replicò lei
freddamente, ricominciando a camminare.
-Ma con te non l’ho mai fatto-
-E non sai quanto vorrei che le cose fossero continuate in questo modo!
Non ho intenzione di venire a parlarti della mia vita, e tantomeno mi
interessa la tua, quindi perché non vai a gridare al vento,
se proprio vuoi sprecare il fiato?- schizzò acida Hoshi,
girandosi una buona volta a guardarlo –che
c’è, credi di essere tanto irresistibile e
divertente? Beh, mi dispiace deluderti, ma non lo sei, affatto. Sei
soltanto un ipocrita esattamente come tutti, solo che ti nascondi sotto
la maschera dell’amicone. Non serve che tu finga: vai ad
autocompiacerti del tuo ruolo da qualcun altro!- respirò
affannosamente, cercando di recuperare fiato. Non aveva previsto di
scoppiare in quel modo.
-Allora anche tu sei capace di arrabbiarti…-
mormorò Lavi fissandola –credevo non riuscissi a
riscaldare tutto quel gelo che ti circonda-
-Ha parlato mister sincerità. Vai a fare le tue prediche da
un’altra parte, ti ho detto. Qui non serviranno a niente-
Hoshi gli girò nuovamente le spalle e si
incamminò verso la locanda, decisamente più
stizzita di quando era uscita. A distanza, poteva udire i passi di Lavi
nella sua stessa direzione.
Decisamente, se poteva sopportare Allen e Linalee, Lavi per lei era
troppo.
Note dell'Autrice:
Non succede quasi nulla in questo capitolo T_T mi farò
perdonare con i prossimi, so che sto andando un po' a rilento... ma non
ho molto tempo per scrivere, purtroppo ç_ç
Non mi accollo nessuna responsabilità per i metodi di Allen
per far smaltire la sbornia: me li sono inventati di sana pianta XD
Vado gente, sto crollando dal sonno.
Grazie infinite a Sherly,
l'unica commentatrice di questa disgraziata fanfiction X°D
Bethan
|
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Capitolo 11 *** Fallen into a Top Hat ***
-Oddio, ma che cos’è?-
Crowley fissò allibito l’enorme nuvola che si
dirigeva a tutta velocità verso la nave.
-Sono akuma! Presto, in assetto da combattimento, tutti quanti!-
gridò Bookman Senior, evocando la sua innocence.
Gli altri fecero lo stesso, ma la nuvola di akuma oltrepassò
l’imbarcazione senza nemmeno soffermarsi.
-Cosa? Sono passati oltre?- Lavi era allibito.
-Hoshi! Allen!- il grido di Linalee li mise tutti in allarme
–gli akuma li hanno trascinati su!-
Un attacco improvviso alla nave li fece sobbalzare –dobbiamo
difendere qui, se la caveranno- mormorò il rosso, il
martello che già si ingrandiva a dismisura.
-Reggiti- fu l’unica cosa che Hoshi mormorò ad
Allen, dopo averlo afferrato da sotto le ascelle e aver evocato le ali.
Schizzò verso il cielo a tutta velocità,
lasciandosi dietro la massa di akuma.
-Hoshi! Allen!- Linalee li raggiunse poco dopo, librandosi
nell’aria grazie ai dark boots –state bene?- i due
annuirono –ci avevano solo trascinati con loro, ma li ho
sistemati- mormorò Hoshi –cosa diamine stavano
cer…- la sua voce si smorzò sul nascere quando
vide il chiaro obiettivo degli akuma all’orizzonte.
Un enorme tronco d’uomo, senza braccia, testa e gambe, di
dimensioni gigantesche e con una croce stampata sotto il collo,
galleggiava a mezz’aria pochi chilometri distante da loro.
La ragazza non smise un secondo di fissarlo a occhi sgranati, mentre
planava pian piano a terra.
-Hoshi?- appena lo lasciò andare, Allen si accorse che stava
tremando.
-Che ti succede? Cos’è quella cosa?-
fissò Linalee agitato, ma gli rispose un altro sguardo
attonito.
-La Caduta…- sussurrò la ragazza, mentre le
lacrime le scendevano lungo le guance –ma… Suman
era un compatibile. Perché è caduto?-
-Cos’è la Caduta? Che significa? Chi è
Suman?- l’albino era sempre più disorientato, ma
Hoshi si alzò in piedi e si accucciò davanti a
Linalee –lo sistemo io, quello- mormorò,
guardandola negli occhi –ti prometto che cercherò
di non ucciderlo. Ti prometto che cercherò di salvarlo. Ma
tu va’ via, è la mia battaglia- la cinese la
fissò per qualche istante, poi annuì e
schizzò nella direzione da cui era venuta.
-Hoshi, che cos’è?- sussurrò di nuovo
il ragazzo, avvicinandosi a lei.
Gli sorrise, ma in quel sorriso non c’era gioia, e neppure
odio.
C’erano paura, dolore, disperazione.
-E’ quello che potrei diventare io- mormorò
solamente –la Caduta. Il peccato che investe coloro che si
sono avvicinati a Dio senza esserne scelti. L’essere
inghiottiti e consumati dall’innocence- le sue dita
sfiorarono i braccialetti che aveva ai polsi –non so come
abbia fatto un compatibile a cadere, non so come sia possibile. So che
è ciò che succede quando un non compatibile cerca
di sincronizzarsi- gli occhi di Allen si spalancavano sempre di
più mano a mano che la ragazza parlava.
-Hoshi, quindi tu hai…- lei scosse la testa, come a intuire
la domanda inopportuna.
Non avrebbe voluto dirgli tutto, ma a quel punto pensò che
ci fosse rimasta ben poca scelta. Decise di fidarsi di Allen.
-Riuscivo a utilizzare l’innocence di Marian, Judjement.
Perciò mi portò all’Ordine, e Heb
inserì forzatamente l’innocence nel mio corpo- la
voce le tremò, come sempre quando ricordava quei momenti
–non si sa come, non fui inghiottita dall’innocence
come gli altri milioni prima di me. Forse il mio destino è
stato solo peggiore. Forse il dolore che avverto quando entro in
contatto con l’innocence è solo un altro tipo di
punizione- concluse piano, abbassando la testa.
Allen non disse niente, ma mentalmente si stava dando
dell’idiota in tutte le lingue del mondo per aver anche solo
pensato di poter indovinare la ragione dell’odio della
ragazza.
Era ovvio che odiasse l’Ordine e odiasse loro,
pensò. Non riusciva nemmeno a immaginare
cos’avrebbe provato lui in una situazione del genere.
-Hoshi, io… non so cosa sia successo a
quell’esorcista- esordì facendosi più
vicino a lei e scostandole i capelli dal viso con un dito. Stranamente
non lo scansò con un colpo di spada. Vide che i suoi occhi
neri erano lucidi.
-Però ti prometto che farò di tutto per salvarlo,
per non lasciarlo in balìa dell’innocence- la
ragazza si girò lentamente a guardarlo, in volto
un’espressione smarrita e confusa.
Il boschetto di canne di bambù in cui erano atterrati
iniziava a farsi buio, il sole che calava inesorabilmente dietro i
monti della Cina.
-Non diventerai così- mormorò Allen, e il suo
braccio si mosse totalmente contro la sua volontà, aggirando
le spalle di Hoshi e tirandola a sé. La ragazza non
protestò, non si mosse, si limitò ad appoggiare
la testa sulla sua spalla.
C’era qualcosa in Allen che le impediva di respingerlo come
faceva col resto del mondo. Lo sentiva più vicino a
sé di quanto nessuno fosse mai stato, seppure si
conoscessero poco.
Del resto, non gli aveva detto il suo vero nome per sbaglio. Sbronza o
meno, aveva fatto crollare una delle sue barriere più
resistenti senza fare praticamente nulla, e questo qualcosa doveva pur
voler dire.
Un boato così forte da far tremare la terra li riscosse.
Hoshi fissò lo sguardo sul Caduto, uno sguardo non
più perso, ma determinato, poi si girò verso
Allen –andiamo- mormorò. Lo afferrò per
le braccia e spiccò il volo, divenendo un puntino nel cielo.
---
-Ehi! Che diamine sta succedendo laggiù?- il Caduto stava
distruggendo qualsiasi cosa trovasse sul proprio cammino.
Gli esorcisti rimasti sulla nave potevano solo pregare che non si
rivolgesse in quella direzione, perché se oltre agli akuma
avrebbero dovuto affrontare anche quello, sarebbe stata la fine.
-Sta per essere inghiottito dalla potenza dell’innocence-
sussurrò Linalee senza fiato, rispondendo a Lavi
–Allen e Hoshi sono laggiù- mormorò. Il
rosso le prese una mano, guardandola negli occhi –sono forti.
Ce la faranno- disse, ostentando una sicurezza che non aveva. Loro non
potevano in alcun modo abbandonare la nave, o per
l’equipaggio sarebbe stata la fine.
-Mio fratello mi ha detto che non è possibile salvarlo-
continuò la cinese in un sussurro ansioso.
Lavi non disse niente, sferrando l’ennesimo attacco ad un
altro gruppo di akuma che li stava attaccando.
-Allen! Portala via!- Hoshi fece appena in tempo a scaraventare la
bambina che aveva tratto fuori dal corpo di Suman in braccio ad Allen
che fu risucchiata al suo posto.
Si trovò a galleggiare in uno spazio buio, che le levava
totalmente il fiato, e che presto si popolò di immagini che
le attraversarono la mente come se fossero parte integrante della sua
vita.
Vide un uomo giovane con due bambini, un maschio e una femmina.
Lo vide partire, la bambina piangeva.
Vide un tizio con croci in fronte e con un cappello a cilindro fissare
lo stesso giovane uomo, steso a terra in un lago di sangue, con un
sorriso diabolico.
Vide l’uomo supplicarlo di non ucciderlo, e allora
capì.
La spada comparve fra le sue mani e fendette lo spazio di fronte a lei,
finchè Hoshi non riuscì a tornare
all’aria aperta.
Evocando le ali, schizzò di fronte al mezzobusto di Suman
che sbucava fuori da quella roba.
-Tu- annaspò, cercando di recuperare fiato –io e
te siamo uguali. Tu hai pregato il demonio perché volevi
tornare dalla tua famiglia, e l’innocence ti ha condannato
senza considerare che stavi per morire per colpa sua. Tu la odi, e la
odio anch’io- gli occhi dell’uomo, prima spalancati
in un’espressione di dolore incosciente, la fissarono
sorpresi.
Hoshi lo guardò di rimando –mordimi la mano, e non
lasciarla andare per nessun motivo- mormorò.
-Hoshi!- la voce di Allen le arrivò dall’alto, poi
il ragazzo si lanciò giù dalla spalla del Caduto,
afferrandosi a lei –che vuoi fare?- la ragazza
respirò affannosamente per lo sforzo di mantenere
l’evocazione attiva tutto quel tempo.
-Allen, la vedi quella cosa laggiù?- indicò lo
squarcio da lei aperto, in prossimità del cuore di quella
figura enorme, dove si vedeva un braccio tramutato in arma anti akuma,
l’innocence di Suman. L’albino annuì
–bene, devi andare a prenderla, e staccarla da lui- disse
Hoshi decisa –resterà senza un braccio, ma
perlomeno rimarrà vivo- Allen la fissò con tanto
d’occhi –e tu cosa farai?-
-Cercherò di tirarlo via da qui prima che salti tutto in
aria. Puoi farlo, allora?- chiese brusca, guardandolo intensamente
negli occhi.
Allen annuì, e la ragazza prese un respiro profondo
–bene, allora io ti lancio verso quel buco. Fai
più in fretta che puoi, e stai attento- prese lo sclancio e
scaraventò l’albino dritto nella fessura, sentendo
poi il dolore lancinante delle sue dita che venivano morse da Suman.
Poco dopo, sentì una scossa terribile propagarsi lungo tutto
il suo corpo, infiammandole di dolore ogni singolo nervo.
Gridò a squarciagola, ma non consentì
all’uomo di lasciare la sua mano.
Voleva salvarlo, doveva capire se per lei c’era una speranza
oppure no, qualora fosse diventata così; doveva farlo per
lui e per se stessa.
All’improvviso il mondo attorno a loro esplose con una luce
accecante, tanto che Hoshi non riuscì più a
vedere neppure Suman, che era a centimetri da lei.
Chiuse gli occhi, sentendosi cadere.
-Hoshi! Hoshi, svegliati!- la prima cosa che sentì fu il
dolore alla mano. Si tirò su di scatto, facendo sobbalzare
uno stravolto Allen. Erano in un boschetto di canne di
bambù, simile a quello da cui erano partiti. Il cielo era
completamente buio.
-Suman?- chiese subito lei, fissando l’albino. Quello
esitò –è… è
là, ma…- si interruppe.
-Ma cosa, Allen?- la ragazza piantò gli occhi in quelli
grigi di lui, che la aiutò ad alzarsi –forse
è meglio se vieni a vedere- mormorò, tirandola
per un braccio. Appena furono vicini all’uomo, Hoshi
capì istantaneamente l’esitazione di Allen nello
spiegarle le sue condizioni.
Suman c’era, il suo corpo era lì, ma era come se
non ci fosse.
Incosciente, privato del tutto della ragione.
Hoshi deglutì a vuoto, accucciandosi di fronte a lui e
chinando la testa –allora non ci sono speranze-
sussurrò, serrando le palpebre –è una
condanna firmata- sentì la mano di Allen stringerle una
spalla, poi un rumore strano le fece rialzare il capo di scatto.
Il corpo di Suman iniziò a coprirsi di bolle, sempre
più grosse, finchè non esplose. Allen
afferrò Hoshi per le spalle e la scaraventò
dentro una chiazza enorme di cespugli, preso da chissà quale
istinto. La ragazza non fece neppure in tempo a protestare che dagli
alberi sbucò fuori lo stesso tipo che aveva visto nella
memoria di Suman.
Il Noah col cappello a cilindro.
L’albino si mise un dito davanti alle labbra, e i suoi occhi
schizzarono per un istante nella direzione di Hoshi, prima di fissarsi
nuovamente sul tipo appena arrivato.
-L’hai ucciso tu?- chiese alzandosi in piedi. Quello per
tutta risposta fece un largo sorriso, accarezzando una grossa farfalla
nera che gli si era appena posata sulla spalla.
-Piccolo, tu sei Allen Walker, per caso?-
Hoshi, nascosta dietro al cespuglio, era completamente paralizzata.
Perché quel Noah cercava Allen? Lo scrutò
nuovamente, attenta a non sporgersi troppo: il suo viso, nonostante
fosse calmo, le incuteva una paura terribile. Aveva gli stessi occhi
dorati di Road, quella che avevano incontrato quando avevano recuperato
Miranda.
Quando vide la mano dell’uomo infilarsi di netto dentro al
petto di Allen, poco mancò che non urlasse. Si
tappò la bocca, gli occhi spalancati, terrorizzata quanto
l’albino, che però era ancora vivo e vegeto.
Quel terrore, non l'aveva mai provato. Non credeva ci fossero emozioni
in grado di oltrepassare la sua indifferenza.
-Sai, io tocco solo ciò che penso di voler toccare. Immagina
un po’ come sarebbe, sentirsi strappare il cuore dal petto-
sussurrò dolcemente il Noah, avvicinandosi al ragazzo sempre
di più.
“Che aspetti?! Esci di qui e vallo ad aiutare!” si
gridò mentalmente Hoshi, ma le sue gambe non volevano
saperne di schiodarsi dal punto in cui Allen l’aveva
lanciata. La paura la paralizzava completamente.
-Beh, cominciamo col distruggere questa innocence così
fastidiosa!- la mano dell’uomo si spostò sul
braccio di Allen, che sotto il suo tocco andò completamente
in frantumi. Il ragazzo urlò di dolore, e fu allora che
finalmente il corpo di Hoshi si mosse.
-Baratro- mormorò, uscendo allo scoperto. Lo specchio nero
si spalancò fra il nemico ed Allen, ma il Noah non dava
segno di volersi far inghiottire.
Hoshi sogghignò: era fin troppo ovvio.
-Chi sei tu, piccola? Una sua amica?- sorrise, muovendo un passo per
avvicinarsi a lei, ma la katana comparve in un lampo nelle mani di
Hoshi e la ragazza si slanciò contro il Noah, arrivandogli
così vicino da tranciargli una ciocca di capelli.
-Woah. Sei un bel tipino, ma non sei sulla mia lista-
sospirò –non posso far fuori una così
bella ragazza per passatempo, no?-
-A che gioco stai giocando?- sibilò Hoshi, attaccandolo di
nuovo e frapponendosi fra lui ed Allen.
-Hoshi, no! Vai via, subito!- gridò l’albino, ma
lei non gli diede retta.
-Tim, prendi l’innocence di Suman e portala via di qui. Torna
dagli altri, muoviti- mormorò. Il golem dorato
eseguì immediatamente, schizzando via.
-Uff, ti ho già detto che non- fece il Noah, arrivandole
vicinissimo di schianto –voglio- le trapassò la
testa con una mano –ucciderti- Hoshi sentì le
gambe cederle improvvisamente, senza alcun dolore, e un senso di
spossatezza incredibile piombarle addosso. Non riusciva neppure a
mantenere l’evocazione.
-Bas... tardo- ansimò, cadendo in ginocchio
–che… che mi hai fatto?- quello per tutta risposta
sorrise di nuovo.
-Oh, fra poco cadrai in un bel sonno, ma non così in fretta-
si spostò accanto ad Allen e prese in mano la farfalla
–fagli solo un buco nel cuore, Tease, non distruggerlo.
Almeno avranno il tempo di dirsi addio- Hoshi si gettò
contro di lui, ma era troppo tardi: la mano e il golem
dell’uomo entrarono e uscirono dal petto
dell’albino, accompagnate da una fontana di sangue.
-A-Allen- bisbigliò Hoshi, l’incoscienza ormai
sempre più vicina. Sentì le dita del braccio sano
dell’albino stringere lievemente le sue, poi più
nulla.
Prima che potesse urlare, precipitò nel buio.
-Bye bye, piccoli- furono le ultime parole che udì.
Note dell'Autrice:
Lo so, aggiorno a tempi spaventosi, ma spero di essermi fatta perdonare
con questo capitolo... è lungo e ricco di rivelazioni *__*
credo sia fra i miei preferiti ^_^''
ODIO Tyki Mikk, non so se si nota dalle mie fanfiction XD
Non per fare spoiler, ma sto facendo un casino coi nomi di Hoshi nella
parte di fanfiction che sto scrivendo... spero solo di non
ingarbugliarmi troppo..! (siete ancora ben lungi dal leggerla XD credo
sia la fanfiction più lunga che ho scritto *annuisce*)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto :) in periodo di esami non posso
fare di meglio -___-
Rispondiamo ai commenti:
ValexAnime:
anche se il tuo commento era al cap. 9 ti rispondo qui
perchè l'ho visto adesso XD purtroppo Crowley non riesco mai
ad inserirlo adeguatamente da nessuna parte... è un
personaggio che non mi dice granchè >_> si, il
rapporto con Linalee sarà moooooolto altalenante...
è una storia piena di sconvolgimenti, e per quanto riguarda
la night 205... ho già il mio piano d'azione *____* a dire
il vero la storia l'ho già in mente tutta a grandi linee,
però devo scriverne ancora un bel po'! Spero che continui a
piacerti ^^
Sherly: ecco
qui il cap. 11! Buona lettura ;)
A presto e qualcuno commenti! X°D
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Capitolo 12 *** Tears for Freedom ***
-Si è svegliata. Presto, chiama
Linalee-
Hoshi aprì gli occhi, trovandosi a fissare un soffitto di
legno e sentendosi avvolta in coperte soffici e calde.
Ma non si illuse che fosse la pace.
Ricordava tutto, e dentro sentiva soltanto un gelo immenso.
Rivide vivida la scena del Noah che estraeva la mano dal petto di
Allen, assieme al sangue. D’istinto sollevò la
mano destra, fissandosi le dita e ricordando la lieve, ultima stretta
del ragazzo.
Era stata solo colpa sua. Perché non l’aveva
aiutato? Perché si era fatta fregare da quel Noah come una
pivella?
-Hoshi! Grazie a Dio ti sei svegliata! Come stai?- vide gli occhi viola
di Linalee sopra il suo viso, e si tirò su a sedere.
Come andava?
E come diavolo faceva a rispondere?
Sentiva come se tutto dentro di sé stesse urlando a
squarciagola un dolore che non aveva mai provato, e che era milioni di
volte più intenso di quelli fisici che era ormai abituata a
sentire.
-Dov’è?- sussurrò, fissandola. La vide
abbassare lo sguardo.
-Non l’abbiamo trovato- le lacrime iniziarono a scorrerle
lungo le guance –è arrivato Tim, ci ha fatto
vedere la proiezione del luogo in cui eravate e ci ha dato
l’innocence, ma quando siamo arrivati, c’eri
soltanto tu-
Hoshi chinò la testa.
Rimasero in silenzio finchè qualcuno bussò piano
alla porta –credo che dovreste venire entrambe. Vi farebbe
bene sentire- Anita, un sorriso dolce stampato in viso, si
avvicinò a loro, ma come fece per aiutare Hoshi ad alzarsi
quella la scansò con un movimento brusco.
-Non mi toccare!- ringhiò, buttando da una parte le coperte
e rimettendosi in piedi.
La sua mano sinistra era bendata, e una fitta sorda le
ricordò che Suman gliel’aveva morsa fino a
romperla.
Si diressero verso la hall della locanda e vi trovarono un signore di
mezza età, con lunghe basette arricciate e una gigantesca
barba.
Linalee sembrava conoscerlo, ma Hoshi era più interessata a
ciò che aveva da dire.
-Allen Walker è alla nostra sede, attualmente. E’
vivo, ma ha perso l’innocence che aveva nel braccio- dopo che
ebbe sentito quello, non ci fu bisogno per lei di sapere altro.
Era vivo, nonostante lei stessa non si spiegasse come diamine fosse
potuta accadere una cosa del genere, ed era libero
dall’innocence.
Linalee evidentemente non vedeva la situazione così rosea,
dal momento che era scoppiata nuovamente a piangere. Hoshi si
inginocchiò di fianco a lei, stringendole un braccio, ma
senza guardarla negli occhi –è vivo. Ed
è libero. Non c’è motivo di sentirsi
tristi- mormorò, ma era solo una mezza verità.
Anche lei si sentiva triste, per una marea di motivi assieme.
Allen desiderava essere esorcista, e poteva ben immaginare quanto gli
sarebbe pesata una volta ripresosi.
Avrebbe tanto voluto vederlo, pensò.
“Per cosa? E’ colpa tua quello che gli è
successo” si disse subito, alzandosi e uscendo dalla locanda.
La nave, attraccata al porticciolo lì di fronte, era ridotta
a brandelli.
-Questo è un bel guaio… non riusciremo mai a
partire, così- Lavi le comparve accanto, il volto serio e
privo di quel sorriso giulivo ad ogni costo che voleva sempre ostentare.
Hoshi lo trovò quasi più simpatico, ma subito
accantonò quel pensiero.
Simpatico? Quel coniglio idiota? Doveva essere veramente stordita.
-Non preoccupatevi, il quartier generale ha mandato una nuova
esorcista, grazie alla quale potrete partire subito- disse il tizio
della sede Asia, indicando il ponte da cui stava scendendo una donna
sui venticinque anni, con capelli neri e mossi, spettinati dal vento.
Hoshi la fissò con tanto d’occhi: quella era la
donna che avevano recuperato dalla città del riavvolgimento!
Miranda evocò l’innocence, e la nave
tornò come nuova sotto il suo influsso. Ma mentre tutti
erano impegnati a rimirare il lavoro fatto e a impedire la morte per
suicidio dell’insicurissima esorcista che si era appena
buttata in mare, convinta di aver ecceduto, Hoshi riusciva a pensare
solo all’effetto che quell’innocence le aveva fatto
la prima volta.
E ora lei avrebbe dovuto viaggiare con quella tortura al seguito?
Piuttosto sarebbe arrivata in Giappone a nuoto, pensò.
Anita le comparve accanto –il ciondolo che ti ho dato ti
aiuterà a sopportare anche questo. Marian l’ha
modificato apposta- le sorrise, un’espressione che non fu
ricambiata da Hoshi.
L’avversità che sentiva verso quella donna
sembrava sparita del tutto dal suo corpo, così come il
fastidio per la vicinanza di Lavi o di altri esorcisti, sostituiti da
un’indifferente apatia. Il dolore martellante che si faceva
continuamente sentire da un luogo da cui non poteva essere eliminato
l’aveva completamente fagocitata.
Si sentiva stordita, e l’unica cosa cui riusciva a pensare
era che avrebbe voluto vedere Allen, accertarsi che stesse bene e
chiedergli scusa per non averlo aiutato.
Ma non poteva farlo, e con ogni probabilità non
l’avrebbe rivisto mai più. Lo ammise con se
stessa: era questa la cosa che più le faceva male. Non ne
capiva il motivo, ma era inutile fingere.
-Queste sono le nuove divise, me le ha date Johnny alla Home- disse
Miranda, asciugandosi i capelli con un asciugamano.
Hoshi si infilò dietro un paravento e scartò
l’abito: consisteva nell’abituale mantello che
scendeva, nero, fino ai piedi, chiuso sotto al collo con una spilla
recante il fregio dell’Ordine. Sotto, una casacca bianca e
pantaloni neri, stretti e morbidi. Ai piedi i soliti stivali. La
indossò.
-Sono comode, e leggerissime!- sentì la voce di Lavi nella
stanza.
-Linalee, qui c’è anche la tua…- disse
gentilmente Miranda, ma la cinese era seduta su una cassapanca,
fissando il vuoto con sguardo spento. Hoshi pensò che in
quel momento dovessero assomigliarsi davvero tanto.
-Miss Lina si sente colpevole per la sorte di Allen. Pensa che sarebbe
dovuta essere là ad aiutarlo- mormorò Bookman
Senior, scoccando un’occhiata in tralice a Hoshi, che non ci
badò e si avvicinò alla cinese, accucciandosi
davanti a lei e asciugandole una lacrima dal viso.
-Non è colpa tua. E’ a causa mia che è
successo tutto quanto- mormorò. Trasalirono entrambe quando
Lavi ruppe un vetro con un cazzotto.
-Insomma, vuoi dirci o no cos’è successo?!-
l’aggredì –c’eri tu con Allen,
no? Come mai ha perso l’innocence? E Suman? Che fine ha
fatto?- gridò. La ragazza si alzò in piedi con
tutta calma, la voglia di urlare repressa a stento, e si
avvicinò al rosso, fino ad essere distante pochi centimetri.
-La colpa è mia. Punto. Se vi serve per andare avanti,
pensatela così. A me non importa- sibilò a
fatica, controllando l’esplosione che avrebbe lasciato libera
una volta sola.
-Senti ragazzina, forse a te potrà anche non fregartene
nulla di tutti noi messi assieme, ma a noi interessa gli uni degli
altri! E vogliamo sapere cosa diamine è successo!- il rosso
la prese bruscamente per le spalle, ma Hoshi gli tirò uno
schiaffo così violento che lo fece barcollare.
Una lacrima sfuggì alla sua guardia, solcando la guancia
chiara. La ragazza strinse per un attimo gli occhi, poi corse fuori
dalla stanza, sbattendo la porta.
Percorse a passo svelto tutto il ponte della nave, incurante delle
occhiate a metà fra il reverenziale e l’intimorito
che le lanciavano i marinai, e si sedette a cavalcioni della prua, col
viso rivolto verso il mare.
Solo allora permise alle lacrime di scendere, senza che nessuno le
vedesse. Tirò su il cappuccio del mantello per proteggersi
dal vento e per celare meglio una sofferenza di cui neppure lei
conosceva l’origine.
Il grigio delle onde, dello stesso colore del cielo plumbeo sopra di
loro, le mise nostalgia.
“Mi dispiace, Allen” pensò, frenando a
stento i singhiozzi “non volevo” chinò
la testa, raccogliendo le ginocchia al petto, e rimase lì.
Note dell'Autrice:
Ommioddio che capitolo deprimente! Mi sento sempre triste quando leggo
questo pezzo! ç_ç
Insomma, qualcuno che legge mi faccia capire se questa storia fa schifo
o meno, please!!! >_______<
A presto!
Bethan
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Capitolo 13 *** The Girl from the Moon ***
-Lavi, sei un idiota!- Linalee era scattata in
piedi non appena Hoshi aveva lasciato la cabina –è
chiaro che è successo qualcosa di grave, è chiaro
che anche Hoshi è sconvolta e che probabilmente si sente
responsabile. Come ti è saltato in testa di aggredirla in
quel modo?- disse severamente fissando il rosso in cagnesco.
Bookman rincarò la dose –non ti ho insegnato ad
essere un osservatore imparziale, Lavi? Non metterti in testa di
ricoprire un qualche ruolo qui che non sia il tuo- mormorò
seccamente –e poi, non credo proprio che la storia di quel
ragazzo sia finita- disse sibillino, con un mezzo sorriso.
-F-forse dovresti chiederle scusa- bisbigliò incerta
Miranda, temendo un’esplosione del ragazzo sotto quel
bombardamento di critiche.
-E va bene, e va bene! Ho capito, vado a chiederle scusa!-
sbottò, uscendo anche lui dalla porta.
Pochi istanti dopo, un boato fragoroso ruppe il silenzio, e un colpo
terribile fece oscillare la barca.
-Sul ponte!- gridò Miranda, cadendo in ginocchio
all’improvviso –sul ponte si sta verificando una
recovery continua!- gli altri esorcisti schizzarono fuori, evocando a
loro volta l’innocence.
-Sta’ zitto! Su di me il virus non ha effetto, piantala di
gridare!- Hoshi respirò affannosamente, mentre
l’azione dell’innocence di Miranda le curava le
ferite con un bruciore dell’altro mondo.
Aveva visto la sagoma dell’akuma in lontananza,
l’aveva visto prepararsi all’attacco, ma aveva
erroneamente creduto che fosse diretto verso di lei, e non verso Lavi
che si stava avvicinando alle sue spalle. Aveva solo fatto in tempo a
scagliarsi contro il ragazzo e a ricevere i proiettili al posto suo,
per chissà quale istinto suicida.
Lavi scagliò il timbro di fuoco direttamente
sull’akuma, che però non fece una piega,
continuando a librarsi nell’aria. Sembrava un enorme
scheletro nero.
Attaccò velocissimo, e il pugno arrivò
incredibilmente vicino alla testa del rosso, ma stavolta Hoshi era
pronta.
-Baratro!- gridò. Lo specchio si materializzò
all’istante, e l’akuma si ritrasse.
-Titolo- gracchiò con voce metallica, afferrando Hoshi per
il collo così velocemente che la ragazza non ebbe il tempo
di fare niente. La scagliò in aria, colpendola al petto.
Hoshi gridò dal dolore, sentendo le costole rompersi per
l’ennesima volta.
-“La ragazza e la luna”- concluse
l’akuma, salendo verso di lei, ma Hoshi si sentì
afferrare al volo e riportare verso la nave, dove la recovery la rimise
in sesto.
-Lavi, pensa tu ad Hoshi- Linalee corse lungo tutto il manico del
martello, saltando nell’aria –a distruggere quello
ci penso io- mormorò.
---
Allen si svegliò di soprassalto, trovandosi a fissare un
soffitto bianco.
Avvertì la sensazione delle bende alla mano e al torace, e
il ruvido di una coperta di lana stesa addosso.
Era vivo.
Inspiegabilmente, era ancora vivo.
Aveva un buco nel cuore, ma era ancora vivo.
Lacrime iniziarono a scorrergli lungo le guance, sentiva le spalle
tremare incontrollate, scaricare di colpo tutta la tensione e la paura
che aveva avuto.
Ricordò un tocco caldo sulla mano destra.
Hoshi.
“Maledizione” pensò, cercando di alzarsi.
Lei aveva visto tutto. Lo aveva visto… morire.
Cosa le era successo dopo? Cosa le aveva fatto quel Noah? Aveva detto
di non volerla uccidere, ma Allen non poteva fare a meno di non
fidarsi, chissà come mai.
Si mise in piedi, uscì dalla stanza e iniziò a
vagare alla cieca, totalmente ignaro di dove si trovasse, sperando di
individuare qualcuno a cui chiedere.
Si trovò di fronte ad un enorme portone, chiuso.
-Hai bisogno di qualcosa?- chiese una voce alle sue spalle.
Allen fece segno di no con la testa –sono solo arrivato fin
qui, ma non si apre. Cosa c’è dietro?- chiese,
riferendosi alla porta.
-C’è il nostro dio protettore, ma è
sigillata. Allora non vuoi niente?- continuò la voce.
L’albino abbassò lo sguardo, senza girarsi verso
il punto in cui supponeva trovarsi il suo interlocutore, una sola,
apparentemente insignificante, domanda in testa.
-Vorrei sapere come sta- mormorò.
-Chi?- la voce era confusa.
-Hoshi- Allen serrò gli occhi, mentre nella sua mente
riviveva con chiarezza tutta la scena –io l’ho
lasciata là, dopo averle promesso che avrei salvato Suman,
quando avrei dovuto mostrarle che esiste una speranza! Devo tornare!-
esclamò, appoggiando il braccio ferito alla parete.
-Anche senza braccio sinistro?- fu la domanda, stavolta –non
puoi combattere a fianco di altri esorcisti, sul campo, senza
innocence, ma puoi scegliere un’altra strada ed essere
ugualmente di supporto. Nemmeno Dio ti biasimerà per questo-
continuò. Fu solo allora che Allen si girò,
trovandosi faccia a faccia con un giovane uomo, biondo e con uno strano
cappello in testa.
-Dio?- fece un sorriso, pensando a Hoshi e a quanto lei odiasse quel
nome. Adesso la capiva, in un certo senso. Dopo aver visto la Caduta,
dopo aver saputo contro cosa doveva lottare lei ogni giorno, non poteva
fare a meno di chiedersi se questo Dio che tutti loro servivano fosse
veramente così giusto. –E chi se ne importa-
mormorò, sentendo le lacrime ricominciare a scorrere.
-Io sono arrivato fin qui perché mi sono posto un obiettivo!
L’ho fatto in onore di Mana, lo faccio in aiuto ai miei
compagni! Non posso mollare, non ho altre strade!- gridò con
tutto il fiato che aveva in gola, picchiando la parete con la mano
ferita, incurante del dolore e della scia di sangue che stava lasciando
sull’intonaco.
-Basta così, Allen Walker- il suo interlocutore sorrise,
poggiandogli una mano sulla spalla –sono Bak Chan,
supervisore della Sede Asia. La tua innocence non è morta,
dovevo solo verificare le tue motivazioni- disse –se verrai
con me, ti dirò tutto con calma- l’albino,
semplicemente incredulo, lo seguì.
Forse non tutto era perduto.
-Hoshi è la ragazza che era con te nella radura?- chiese Bak
mentre camminavano. Allen annuì.
-Four l’ha trovata assieme a te, ma l’ha lasciata
lì- continuò l’uomo imbarazzato
–però abbiamo mandato un nostro membro ad
avvertire della tua situazione, e fra i componenti del gruppo ha
descritto anche una ragazza con i capelli bianchi. E’ lei?-
l’albino fece nuovamente cenno di si, sollevato.
Allora stava bene.
In quel momento, decise di fare l’impossibile pur di tornare
a combattere al più presto.
---
Improvvisamente, la nave cominciò a tremare.
-Un terremoto..!- Lavi si afferrò alla balaustra, senza
lasciar andare Hoshi.
-Ma siamo in mare, com’è possibile?- anche Crowley
faticava a mantenere l’equilibrio, e in un lampo la poppa
dell’imbarcazione si immerse completamente
nell’acqua, cominciando ad affondare.
-La nave sta affondando!- gridò Miranda, mentre tutti erano
in preda al panico più completo.
Una catena elaborata comparve attorno all’innocence della
donna.
-E’ la dark matter- susurrò Hoshi
–Linalee dev’essere nei guai, vado
anch’io- si staccò dal rosso ed evocò
le ali.
-Ferma, Hoshi!- Miranda la afferrò per una manica, cercando
di non piombare nell’acqua scura sottostante –la
mia recovery non copre fino laggiù, le tue ferite torneranno
fuori!- ma Hoshi se la scrollò bruscamente di dosso
–non importa! Le mie ferite non sono niente di grave-
mormorò, spiccando il volo alla massima velocità
possibile.
-Ma che dici, le costole..!- le gridò dietro Lavi, ma la
ragazza era già lontana, e non sarebbe tornata indietro.
La katana si abbattè sull’akuma sprizzando una
marea di scintille contro la sua pelle coriacea, e Hoshi si
portò fra lui e Linalee.
-Titolo- fece il nemico, senza fare una piega, ma la ragazza gli si
scagliò di nuovo addosso, colpendolo a più non
posso.
-Linalee! Non posso nulla contro questo qua!- gridò,
sperando che in qualche modo capisse. Lei poteva soltanto distrarlo,
almeno finchè non ne avesse trovato il punto debole.
La cinese afferrò il concetto e gli sferrò un
poderoso calcio da dietro, ma fu allora che Hoshi si sentì
trascinare inesorabilmente verso il basso.
-Ma che diamine..?- sussurrò, sbattendo furiosamente le ali
per rimanere in aria, ma una gamba le era già sprofondata
nell’acqua, e lo stesso stava succedendo anche a Linalee.
-Due fanciulle inghiottite dall’oscurità-
sibilò l’akuma, e Hoshi sentì
all’improvviso l’acqua richiudersi sopra di lei e
il fiato mancarle.
Tutto si faceva sempre più buio, e non capiva se la sua
stessa paura la stava facendo svenire o se davvero il profondo del mare
non riceveva un barlume di luce.
In un lampo, un’immagine luminosa le passò nella
mente.
Allen.
Strinse i pugni: non poteva morire lì. Doveva rivederlo, lo
sentiva. Doveva capire.
“Evocazione, limite massimo” pensò,
sentendo il suo organismo sforzarsi a dismisura.
“Caduta dalle Stelle”
L’acqua attorno a sé si illuminò
all’improvviso di una luce accecante, che avvolse interamente
la dark matter, sgretolandola come ferro arrugginito.
Le ali ricomparvero sulla sua schiena, bianche e luminose, e Hoshi
diede delle poderose spinte, afferrando Linalee e tirandola fuori
dall’acqua, all’aria gelida.
La cinese iniziò subito a tossire, cosa che
sollevò Hoshi, dal momento che indicava che era ancora viva.
-Ho… shi?- mormorò incredula, ma la ragazza non
aveva tempo da perdere. Non poteva certo mantenere quello stato di cose
a lungo.
-Rimettiti in sesto, Linalee- disse piano, fissando l’akuma
con tutto l’odio di cui era capace –la partita
è ben lungi dal concludersi!- appena la cinese ebbe
rievocato i dark boots, Hoshi si scagliò contro il nemico.
I suoi capelli si erano allungati, arrivavano ora fin sotto ai fianchi,
e risplendevano candidi, come se fossero fatti di luce. Dietro la
schiena di Hoshi, galleggiava lo Specchio, a proteggerle le spalle.
-Se proprio devo precipitare all’Inferno, non ci
andrò da sola, akuma!- gridò, tranciandogli di
netto un braccio con la spada.
Sentiva le forze scemarle rapidamente, e l’innocence
acquisire sempre più presa sul suo corpo, divorandola.
-Linalee, aiutami!- urlò, inseguendo l’akuma.
La ragazza, ancora parzialmente avvolta dalla dark matter,
schizzò in aria, altissima, fino a quando Hoshi non
riuscì a distinguere che un puntino nel cielo, ma che si
ingrandiva sempre di più.
Appena si rese conto di cosa voleva fare, Hoshi si maledisse in tutte
le lingue e anche al contrario.
-Fermati…- sussurrò, fissando il cielo con gli
occhi spalancati. Poi Linalee, completamente avvolta dalla dark matter,
iniziò a precipitare verso di loro.
Fulminea, Hoshi evocò la Polvere, immobilizzando
l’akuma, e si tuffò sott’acqua,
girandosi di schiena.
Doveva stare attenta, molto attenta: se avesse assorbito anche Linalee,
non ci sarebbero state speranze di recuperarla.
“Sprigionamento, percentuale massima di sincronizzazione,
diametro massimo” lo Specchio si ingrandì a
dismisura e Hoshi sentì chiaramente l’akuma
precipitarvi dentro.
Fu allora che vi si sganciò, afferrando Linalee per un pelo
e traendola fuori dal vortice. Era in condizioni pietose,
l’attrito con l’aria e con l’acqua
l’aveva coperta di bruciature, e i capelli erano cortissimi.
“Chiusura!” lo Specchio scomparve, inghiottendo
l’akuma e la dark matter assieme ad esso. Hoshi si spinse
verso la superficie, trascinando la cinese con sé. Vide
strani simboli sulle sue gambe, e Linalee non accennava a risvegliarsi.
L’evocazione cessò contro la sua
volontà: il suo corpo era esausto.
-Linalee- ansimò, cercando di tenere a galla entrambe
–ti prego, svegliati- sussurrò –io posso
anche morire, ma non lascerò che tu mi segua- la sagoma
delle ali brillò sulla sua schiena, ma una voce conosciuta
la fermò.
-Ehi, posso portarvi io!-
“Questo…” pensò Hoshi,
rivolgendo lo sguardo verso l’alto: un akuma le stava
fissando sorridendo in modo stranamente amichevole. Hoshi lo riconobbe
e il cuore le fece un balzo.
-Chomesuke..?- mormorò –salva Linalee,
lei… non si sveglia!- improvvisamente la ragazza
sentì qualcosa allontanarla dalla cinese, e una luce
accecante le esplose a fianco, tanto che dovette rituffarsi
sott’acqua per sopportarla.
-Linalee!- gridò, riemergendo e vedendo qualcosa di
incredibile.
La ragazza, sempre svenuta, galleggiava in una sorta di gigantesco
cristallo che l’aveva avvolta all’improvviso.
-Ma… che significa?- Hoshi nuotò verso di lei, ma
l’akuma la afferrò e la issò sulle
proprie spalle, provvedendo poi a farsi carico anche della mora.
-L’innocence l’ha salvata- disse semplicemente
–dov’è la tua nave? Questa cosa mi fa
male alle mani- Hoshi gli indicò la direzione, pregando che
fossero tutti sani e salvi.
Un’ultima volta per quella giornata estenuante si
trovò a pensare ad Allen, mentre l’aria che le
sferzava il viso sembrava volesse fare di tutto per farla cadere
nell’acqua.
Era merito suo se erano vive, in un certo senso, pensò.
Se non le fosse venuto in mente mentre stava per affogare, forse
avrebbe lasciato perdere tutto.
Non era davvero stato un caso, se inconsciamente gli aveva detto il suo
vero nome.
-Ehi! Che cos’è quell’affare?- Crowley
indicò una sagoma luminosa nel cielo, e Lavi
scattò subito in guardia.
-E’ un akuma! Ce ne sono altri?- afferrò
faticosamente il martello, ma quando quello fu sopra la nave ne discese
una figura familiare –fermi! Non è un nemico!-
Hoshi crollò sfinita sul ponte, il corpo che le tremava in
modo incontrollabile. Miranda le fu subito vicino, e Chomesuke
lasciò andare il cristallo con un sospiro di sollievo.
-Cos’è successo? Perché Linalee
è lì dentro?- chiese Lavi. Hoshi gli
raccontò in breve tutta la sequenza, ansimando per lo
sforzo, e all’affermazione che l’innocence di
Linalee l’aveva salvata per sua scelta ci fu un momento di
agitazione generale.
La ragazza iniziava a non capire più niente. Sentiva la
testa ovattata, i brividi scuoterle il corpo, e un dolore lancinante
alla schiena.
-Com’è possibile? Neppure la mia recovery ha
effetto…- sussurrò Miranda atterrita, fissando il
dorso di Hoshi.
-Che… che c’è?- balbettò
lei, la vista offuscata, ma prima che qualcuno potesse risponderle vide
tutto farsi nero.
Note dell'Autrice:
Uff, questa fanfiction mi sta uccidendo... perdonatemi, ma
finchè non saranno finiti gli esami sarà dura per
me aggiornare con regolarità! ç___ç
Capitolo drammatico... ma dal prossimo (spero) le cose inizieranno a
farsi un po' più chiare... intanto io sto continuando a
scriverla, ma chi me l'ha fatto fare di pubblicarla prima che fosse
finita??? T____T
Le parole di Allen a Bak non sono uguali a quelle del manga... non
avevo voglia di andarle a cercare per copiarle, perdonatemi XD
Rispondiamo ai commenti (e torniamo a studiare
ç__ç):
Ciel 88:
sono contenta che la storia ti piaccia ^^ scrivendola via via ho in
mente così tanti colpi di scena che sarà un
miracolo se entro l'anno l'avrò finita XD per quanto
riguarda il povero Lavi... non hai ancora visto nulla, purtroppo XD
cercherò perlomeno di dargli una conclusione felice, ma
è ancora tutto da vedere! Su Allen... ho la bocca cucita u.u
Haruharuchan:
sono contenta che ti piaccia ^^ continua a seguirla, mi raccomando! :D
Sherly:
periodi bui? Mi sembra un eufemismo, se penso a quello che deve ancora
succedere..! Ma non avrai una parola da me u.u niente spoiler come le
volte scorse!!! :P
A presto!! Continuate a recensire ^____^
Bethan
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Capitolo 14 *** Reunion Tears ***
-Anita?- Hoshi entrò nella sua cabina
dopo aver bussato cautamente. La donna si girò verso di lei
con un sorriso –sono felice di vederti già in
piedi. Eri conciata proprio male, e quella bruciatura…- la
ragazza tagliò corto –è tutto a posto.
In poco tempo mi sarò ripresa- mormorò, sapendo
benissimo che non era così.
La sua schiena era quasi completamente coperta da una gigantesca
ustione, frutto dell’eccessivo sprigionamento
dell’innocence, ed in particolare del Baratro. Lei e quella
roba erano connesse così intimamente che non sarebbe stato
minimamente pensabile il poter inghiottire una mole di dark matter
simile a quella che aveva assorbito lei senza ripercussioni sul fisico.
Ma, a parte lo shock, non sembrava una reazione di rigetto,
né faceva troppo male.
No, era lì per un motivo diverso dal commentare le sue
ferite, di sicuro minori di altre.
-Io… volevo dirle che Marian mi ha parlato spesso di lei-
esordì, imbarazzata. L’antipatia per quella donna,
natale solo per il fatto che avesse frequentato Cross, era come
svanita, a fronte di qualcosa di ben più grave ed importante.
Hoshi non si faceva illusioni come gli altri, su quanti oltre a loro
esorcisti sarebbero usciti vivi da quella nave.
Anita sorrise –non devi parlarne, se non vuoi. E’
normale avere un po’ di astio- ma Hoshi scosse la testa
–non è che me ne importi
granchè… adesso- disse, sviando gli occhi da
quelli azzurri della donna. Meglio che non si accorgesse su chi verteva
il suo cambiamento di trasporto, e non poteva fare a meno di pensare
che sarebbe stato meglio se lei stessa l’avesse ignorato.
-Lui… credo che lui ti ami sul serio. Altrimenti non me ne
avrebbe mai parlato, non in quel modo- vide gli occhi di Anita
riempirsi di lacrime a quelle parole, e un sorriso triste spuntarle
alle labbra.
-Credo sia stato l’unico uomo che sia riuscito a farsi
ricambiare- mormorò in risposta.
Hoshi abbassò il capo –mi…- le parole
erano così inutili che le si mozzavano in gola –mi
dispiace. Non avresti mai dovuto seguirci in questo viaggio,
l’innocence non porta che sofferenza a coloro che non sono
stati scelti-
-Va bene così. Ho deciso io di seguirlo, e di aiutare voi a
trovarlo. Ogni vita ha il suo scopo ultimo, e il mio è stato
questo, anche se breve- Anita le sorrise, accarezzandole una guancia
–digli da parte mia che è l’unica cosa
che sto rimpiangendo in questo momento- sussurrò,
guardandola negli occhi. Hoshi stavolta non distolse lo sguardo, ma
annuì –te lo prometto, glielo dirò- si
congedò e chiuse piano la porta, intravedendo Anita
prendersi il viso fra le mani.
-Siete sopravvissuti soltanto voi?- la voce di Linalee tremava, e Hoshi
non ebbe il coraggio di guardarla negli occhi. Fissò
ostinatamente l’orizzonte, trattenendo un nodo in gola che
premeva a dismisura per uscire.
Li fecero salire su una scialuppa, che fu calata sulle spalle di
Chomesuke senza che Anita e il resto del gruppetto li seguisse. La
donna sorrise a Hoshi, e accarezzò i capelli cortissimi di
Linalee.
-Hai degli splendidi capelli neri- mormorò sorridendo. Sul
viso di Linalee parrò un barlume di comprensione, seguita
subito dopo dalla disperazione.
-No!- gridò, ma Anita non smise di sorridere.
-Falli ricrescere, eh- disse. Poi annuì, rivolta a
Miranda che piangeva a dirotto.
-Non posso- sussurrò lei –non posso scioglierlo-
Hoshi le posò una mano sulla spalla –fallo.
Adesso, non c’è scelta- tremando, la donna
obbedì, e l’akuma schizzò via prima che
potessero vedere i volti dei membri dell’equipaggio coprirsi
di stelle nere.
Hoshi dormì per tutto il tragitto del viaggio. Komui le
aveva tassativamente ordinato di non usare l’innocence, a
meno che non si fosse reso assolutamente indispensabile.
---
-Sembro proprio un clown- Allen entrò nella sala dove Bak e
il resto della sezione scientifica stavano esaminando la sua innocence
ristabilita.
-Com’è andata la tua ispezione?- chiese
l’uomo.
-Bene, non hanno riscontrato anormalità- rispose
l’albino, in un primo momento.
-Signor Bak…- aggiunse poi –quando posso partire?-
l’altro sospirò: era ovvio, inutile pensare che se
ne potesse star buono ad esercitare il suo nuovo potere.
-Sei sicuro di voler andare subito?- chiese, facendo un tentativo, ma
il ragazzo annuì subito –i miei compagni sono a
Edo, saranno preoccupati per me. Devo tornare alla mia missione- disse
fermamente.
Bak fece un cenno affermativo con la testa –vai a prepararti,
apriamo il gate fra poco- l’albino schizzò nella
sua stanza, i passi che si persero ben presto nel porticato.
Entrò e iniziò a raccattare oggetti alla rinfusa,
considerando che in battaglia avrebbe dovuto essenzialmente essere
leggero.
Sperava che gli altri non ce l’avessero troppo con lui per
tutto il tempo che ci aveva messo a sincronizzarsi con
l’innocence, ma non si fece troppe illusioni: sapeva che ci
sarebbe stata almeno una persona che gliel’avrebbe fatto
oltremodo pesare.
L’espressione terrorizzata che aveva scorto sul suo viso,
l’ultima cosa che aveva visto prima di… morire
–era ancora così strano pensare quella parola-,
non voleva saperne di togliersi dalla sua testa.
E il suo nome. Quante volte l’aveva ripetuto?
Scosse il capo, interrogandosi se lo spazzolino da denti fosse
assolutamente necessario: doveva smettere di pensare a lei in quel
modo. Che gli era preso? Era come se la sentisse stranamente simile a
lui, nonostante potessero sembrare diametralmente opposti, e da quando
era arrivata all’Ordine non aveva potuto fare a meno di
sentirsene inspiegabilmente attratto.
Rinunciò a preparare un qualsivoglia bagaglio con un nesso
logico e afferrò solo qualcosa da mangiare, prima di tornare
velocemente nella sala dove avrebbero aperto il gate.
---
Hoshi vide gli akuma puntare dritto verso di lei e Linalee: con la
spada non ce l’avrebbe mai fatta a distruggerli tutti, e
già l’evocazione le stava richiedendo uno sforzo
immane.
-Linalee, mi sa che sono al limite- ansimò, alzandosi
faticosamente in piedi e mettendosi davanti a lei
–cercherò di trattenerli più che posso,
tu scappa via da qua. Muoviti!- le gridò, vedendo che
esitava.
Gli akuma le furono addosso, ne distrusse due o tre, poi la spada le
scomparve dalle mani e sentì gli attacchi dei nemici
colpirla in pieno.
Grazie al cielo era immune a quel virus, anche se non sarebbe
sopravvissuta molto a lungo in quella situazione.
-Edge End!- i nemici furono spazzati via e sgretolati da una
sorprendente onda d’urto. Hoshi fece appena in tempo ad
evitarla gettandosi a terra e coprendosi la testa con le braccia.
-Hoshi! Stai bene?- quella voce… la ragazza
spalancò gli occhi.
-CREPA!- udì uno schianto portentoso, poi la voce acida di
Kanda.
-Mammoletta?! Che significa?-
-E’ quello che vorrei sapere anch’io- fu la
laconica risposta.
Hoshi alzò la testa di scatto, trovandosi a fissare un Allen
che a sua volta fissava in cagnesco Kanda, Mugen che strideva contro il
suo braccio sinistro.
Allen era avvolto in un mantello bianco, al quale era legata una
maschera simile a quella di un clown. Il braccio sinistro, che il Noah
gli aveva distrutto davanti a lei, era di nuovo lì.
La ragazza lo guardò stordita: ok, le avevano già
detto che era vivo, ma finchè non se l’era visto
davanti aveva quasi faticato a crederci. E l’innocence? Come
diamine aveva fatto a ricrescergli il braccio?
-A… Allen?- bisbigliò, cercando di rimettersi in
piedi e sentendo urlare ogni fibra del suo corpo. Il ragazzo le
sorrise, porgendole una mano.
Hoshi la afferrò, ma quando la aiutò ad alzarsi
prese lo slancio e gli passò un braccio attorno al collo, in
silenzio, appoggiando la testa sul suo petto.
Sentì il suo cuore, dove in teoria avrebbe dovuto esserci un
buco, battere forte e regolare. Le dita di Allen non lasciarono la sua
mano, intrecciandosi alle sue.
Rimasero così per qualche secondo, senza che nessuno dei due
sapesse cosa dire, o forse senza che vi fosse bisogno di dire niente.
Linalee e Lavi fissarono a bocca aperta le due figure abbracciate in
lontananza, cercando di connettere la Hoshi che conoscevano con quella
che adesso non stava opponendo alcuna resistenza a un contatto
così ravvicinato.
-Lina, ma fra Allen e Hoshi, cioè…- Lavi
deglutì senza distogliere gli occhi
–c’è del tenero, secondo te?- lei scosse
la testa e abbassò gli occhi –non lo so-
mormorò.
Perché il vedere Allen e Hoshi così vicini le
dava quella sensazione sgradevole?
Erano entrambi suoi compagni, avrebbe dovuto essere contenta se fra
loro vi fosse stato un sentimento più profondo.
A pensarci bene, non era solo il fatto di vederli vicini, quanto
piuttosto il sentirli vicini.
Sembrava che entrambi fossero continuamente in lotta per non venire
avviluppati da una condanna alle tenebre perenni, e se per Hoshi la
causa di queste tenebre era nota, per Allen non si era ancora
manifestata.
Il fatto che fossero entrambi inseguiti
dall’oscurità, rendeva Hoshi molto più
vicina ad Allen di quanto lei, Linalee, avrebbe mai potuto essere.
Questo, anche se ancora non ne capiva il motivo, la faceva star male.
-Linalee! Abbassati!- un corpo pesante si gettò su di lei
all’improvviso, e l’aria fu avvolta da un rumore
esplosivo ed allucinante, cui fece seguito un’onda
d’urto che fece rotolare lei e il suo salvatore un bel
po’ di metri indietro.
Quando la cinese si rialzò, quasi stentò a
credere a ciò che vedeva.
Di Edo non era rimasta in piedi nemmeno una briciola.
L’intera città era stata disintegrata, ridotta a
pochi cumuli di macerie instabili qua e là.
-Ugh…-
Sentì il lamento di fianco a sé e poco
mancò che non le venisse un colpo.
-Hoshi! Ma che hai fatto?- la ragazza scosse piano la testa
–non è nulla. Non credo che potrebbe andare
peggio, ormai- mormorò, rialzandosi a fatica. La divisa era
quasi a brandelli, il mantello lacero e le maniche strappate, da cui si
intravedeva il rosso delle ferite.
-Sei ferita (ecco a voi Capitanessa Ovvio! Linalee il
Genio! Scusate, ma dovevo scriverlo XD n.d.A), dobbiamo
cercare un riparo- disse la mora, sostenendola.
Le aveva appena salvato la vita, e lei si preoccupava del fatto che
avesse abbracciato Allen dopo che se l'era visto morire davanti. Si
diede dell’idiota totale, aiutandola a camminare verso il
punto in cui avevano scorto gli altri.
-Ce… ce la faccio ora- ansimò Hoshi, gettandosi a
terra sotto l’arcata di un grande ponte, una fra le poche
strutture di cui fosse rimasto qualche frammento.
Alcune ferite che si era procurata durante il combattimento sulla nave
si erano riaperte, e la schiena le bruciava da impazzire per via
dell’evocazione dell’innocence.
-Non avresti dovuto evocarla…- mormorò Linalee.
Hoshi fece un gesto seccato con la mano –ci avrebbero
ammazzate entrambe. Smetti di preoccuparti e riposati, che pure tu non
sei conciata bene- disse quasi bruscamente. La cinese si
allontanò e lei chiuse gli occhi, cercando di recuperare un
minimo di controllo sul suo corpo.
Ad un tratto, qualcuno la coprì con un mantello, facendola
sobbalzare.
Si ritrovò a fissare gli occhi sgranati di Allen, sorpreso
dalla sua reazione improvvisa.
-Scusa, non volevo spaventarti. E’ che pensavo sarebbe meglio
tu non prendessi freddo- le sorrise imbarazzato e Hoshi
annuì, spostando bruscamente lo sguardo verso terra e
sentendosi arrossire.
L’albino si sedette accanto a lei, sospirando.
-Sono arrivato tardi. Scusami- mormorò dopo un po’.
Hoshi lo guardò con tanto d’occhi, dimenticando
momentaneamente l’imbarazzo: era quasi morto
perché lei era stata troppo incapace per aiutarlo e si
scusava? Avrebbe dovuto provare un grosso istinto omicida nei suoi
confronti, invece. Glielo disse e lui rise.
-No, nessun istinto omicida. Non sono affatto sicuro che al tuo posto
io sarei riuscito ad avere una qualsiasi reazione. Anch’io
ero terrorizzato. E poi- continuò, alzando di scatto la
testa come se gli si fosse accesa una lampadina nel cervello
–ha ferito anche te, giusto? Quando ti ha… ecco,
insomma… la testa- balbettò a disagio.
Decisamente, la parola “trapassato” non aveva un
bel suono in quel contesto. Hoshi sospirò –niente
di che. Voleva solo farmi svenire, immagino lo divertisse
l’idea…- si interruppe. L’idea di cosa?
Di torturarla, di farla assistere. Non avrebbe voluto ammetterlo, ma
vederlo uccidere Allen e non poter far niente per fermarlo era stata
una vera agonia.
Le dita dell’albino si alzarono dal pavimento e le sfiorarono
una guancia. Hoshi si rese conto di stare piangendo e scansò
bruscamente la testa.
-Non… non è nulla- sussurrò,
asciugandosi frettolosamente gli occhi con una manica –sono
solo stanca, tutto qui- ma il nodo che aveva in gola stava decisamente
premendo per uscire, esattamente come le era successo sulla nave.
Non piangeva spesso, per dolore. Piangeva molto per rabbia.
Non aveva mai pianto per felicità, eppure in quel momento il
fatto che Allen fosse miracolosamente vivo e vegeto davanti a lei la
rendeva felice fino alle lacrime.
Sentì le dita dell’albino scostarle delicatamente
le mani dal viso, e si ritrovò a fissare i suoi occhi
argentati sorprendentemente da vicino.
-Coraggio, Hoshi- le sussurrò sorridendo
–è finita. Siamo qui tutti e due- lei
annuì e gli sorrise a sua volta, sentendo di nuovo le
lacrime pizzicarle gli occhi, ma prima che potesse formulare una
risposta si sentì risucchiare all’indietro.
-Hoshi!-
-Allen!-
-Linalee!-
-Kanda!-
-Lavi!-
-Signor Crowley!-
Note dell'Autrice:
Non lamentatevi che questo è un capitolo lungherrimo, per
festeggiare il fatto che finalmente sono riuscita a riprendere a
scrivere 'sta benedetta storia (la mia scorta di capitoli si stava
quasi esaurendo T_T)!
Immagino che certe cose si stiano chiarendo, ma non illudtevi: il tutto
è moooooooooooolto più complicato di quanto non
sembri. Se continuerete a seguirmi, ne vedrete di colpi di scena!
Rispondo ai commenti e torno a studiare per l'ennesimo esame...
possibile che la vita di una studentessa universitaria debba essere
programmata solo in base agli appelli? Ah, bei tempi del liceo!
ValeXAnime:
gli sviluppi fra Hoshi e Allen saranno chiariti a "breve" ^__- ... come
vedi Hoshi è ancora in piedi, anche se sembra che sia
passata in un tritacarne, ma ci vuol altro per metterla fuori
combattimento XD è un po' tipo Kanda da questo punto di
vista! Diciamo che ancora per un po' seguirò la storia
originale, anche se ne salto parecchi pezzi che dovrei riscrivere tali
e quali (come il modo in cui Allen ritrova l'innocence, in questo
capitolo l'ho saltato alla grande XD)... ma diciamo che non mancheranno
i colpi di scena, soprattutto da un certo punto in poi mi
staccherò dalla storia per seguire un filo conduttore
completamente diverso, e spererei che il manga non mi smentisse a ogni
capitolo che esce!
Alla prossima! ^__^
Bethan
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Capitolo 15 *** Shadows are changing ***
-Ora… toglietevi…
di… dosso!- la voce di Hoshi arrivò soffocata
alle cinque persone sopra di lei.
Ma non era tanto il peso a farle pregare che si togliessero da
lì il più velocemente possibile, bensì
il fatto di trovarsi Allen letteralmente spiaccicato addosso, il viso
così vicino che poteva sentirne il calore.
“Oddio, no, Hoshi! Non è proprio il
momento!” pensò in preda al panico.
Ad un tratto sentì l’albino ringhiare,
puntellandosi sulle braccia.
-Insomma! Hoshi è ferita, quanto ci mettete a spostarvi?!-
gridò, le braccia che tremavano per lo sforzo. Gli altri
esorcisti si ripresero e finalmente riuscirono ad alzarsi in piedi.
-Grazie- sussurrò Hoshi ad Allen con un mezzo sorriso
–credevo sarei morta-.
“In tutti i sensi, davvero” pensò poi
laconica, sentendo il suo cuore che ancora non voleva saperne di far
cessare quel battito furioso.
-Ma dove siamo? Come facciamo ad uscire da qui?- si guardarono intorno,
disorientati. Si trovavano in una sorta di città, con case
quadrate e piuttosto basse, dipinte di bianco.
-Non c’è un’uscita, ma una chiave si-
quella voce li fece girare tutti in blocco, e Hoshi pregò di
trovarsi in un incubo.
Di fronte a loro stava il Noah che aveva ucciso Allen, quella notte. Si
avvicinò all’albino, scompigliandosi i capelli
neri –piccolo- mormorò
–perché sei ancora vivo?!- allungò una
mano verso di lui, ma le sue dita incontrarono la katana di Hoshi, che
si era spostata davanti ad Allen.
-Azzardati solo a toccarlo e giuro che quella mano te la faccio
mangiare- sibilò la ragazza stringendo gli occhi
nell’espressione più omicida che le
riuscì.
Il Noah ritirò la mano di scatto, alzando entrambe le
braccia.
-Accidenti tesoro, ti ho proprio sconvolta, eh?- la punta della katana
sfiorò la sua gola, fulminea –smettila di dire
stronzate e vieni al sodo, così poi posso ammazzarti-
ringhiò Hoshi minacciandolo.
Quello lanciò loro una chiave, poi saltellò fuori
dalla portata della ragazza, sorridendo –la porta
è in cima alla torre. Dovete raggiungerla in poco tempo, o
l’arca si sgretolerà. In bocca al lupo, piccoli-
una porta a scacchi uscì dal suolo, e il moro vi
sparì all’interno.
-Allen, ma voi… come dire, lo conoscete?- chiese Lavi,
indicando lui e Hoshi.
-E’ il Noah che ci ha attaccati quella notte-
mormorò la ragazza –e ora vi sarei grata se non
faceste altre domande. Non abbiamo molto tempo- disse secca,
aggiustandosi alla bell’e meglio il mantello a brandelli.
Tutti furono d’accordo, e decisero di aprire una porta
qualsiasi.
-Hoshi- bisbigliò Allen, tenendosi in fondo alla fila
assieme a lei –non dovresti evocare l’innocence.
Linalee mi ha detto che non ti sei ancora ripresa, no?- la ragazza
scosse la testa –ce la faccio ad evocarla. Fa un
po’ male, ma ci sono abituata- l’albino le
afferrò un polso, guardandola seriamente –non
farlo. Ci siamo io e gli altri a combattere-
-Ci sono già Chaoji e Linalee da proteggere. Due sono
più che abbastanza- disse seccamente, ma Allen non si diede
per vinto.
-Non sarebbe certo una seccatura, Ho…-
-Insomma, basta! Credi che non sappia badare a me stessa?-
sbottò lei, più secca di quanto non avesse
voluto. Non voleva che si preoccupasse per lei, specialmente dopo che,
se fosse stato per l’aiuto che Hoshi era stata in grado di
dargli, Allen avrebbe tranquillamente potuto essere morto.
-A... Aster- la chiamò di nuovo lui, sottovoce. La ragazza
si pietrificò sul posto, dandogli le spalle.
-Io non so cosa mi stia prendendo- continuò Allen,
mettendole le mani sulle spalle –ma non lascerò
che tu ti faccia distruggere dall’innocence. Il tuo corpo ha
già subito abbastanza danni- mormorò
–per Suman e per i caduti non c’è
speranza, ma per te esiste ancora. Non usare l’innocence,
sarò io a proteggerti- le dita di Allen le scivolarono lungo
la schiena e l’albino la sorpassò velocemente,
raggiungendo il resto del gruppo che li stava ormai chiamando.
Le mani di Hoshi si spostarono inconsciamente dove prima erano quelle
del ragazzo.
Il cuore le batteva forte, sempre di più, ogni volta che
erano vicini.
Il viso di Marian, non lo ricordava quasi più.
Cos’era quel sentimento?
---
Hoshi si sentì afferrare bruscamente per una caviglia e
trascinare nella sala dalla quale erano usciti poco prima, dove Allen
aveva sconfitto Tyki Mikk.
Sbattè violentemente la schiena a terra, e si
girò a guardare ciò che l’aveva
afferrata con la vista appannata dal dolore.
Il noah si era rimesso in piedi, ma era trasfigurato. Dal suo corpo si
dipartivano cose simili a tentacoli, e il suo aspetto ormai
rassomigliava solo vagamente a quello di un essere umano. Ma ancora
peggiore del suo mutamento, era la sensazione di forza che sentiva
provenire da lui.
Hoshi fece appena in tempo ad alzarsi che uno dei tentacoli si
abbattè proprio dove lei era sdraiata un attimo prima.
Allen le fu davanti in un lampo.
-Sta’ dietro di me e appena riesco a tenerlo occupato
va’ a nasconderti!- le urlò, impugnando la spada.
Hoshi non si mosse, mentre il noah attaccava Allen senza
pietà.
-Hoshi! Vai!- gridò lui nuovamente, mentre si sforzava al
massimo per tener testa all’attacco di Tyki.
-No- mormorò lei. Come se tutto si stesse muovendo a
rallentatore, come se fossero immersi nell’acqua, vide un
colpo arrivare diretto verso Allen da sinistra. Non ce
l’avrebbe mai fatta a pararlo, impegnato com’era a
tener testa agli altri. Hoshi gli si lanciò addosso, e
sentì il dolore esploderle in ogni fibra del corpo, mentre
veniva scagliata lontano.
Aprì gli occhi, e sotto di sé vide solo buio,
solo ombra, quella in cui lei, prima o poi, sarebbe di certo dovuta
cadere.
Quindi, perché aspettare?
Perché illudersi della possibilità di una luce,
se destinata comunque a spegnersi?
Non evocò le ali, non gridò.
Le tenebre l’avvolsero.
Dopo che l’aveva vista cadere nel vuoto, non aveva capito
più niente.
A malapena si era accorto dell’arrivo di Cross, a malapena
aveva sentito la rabbia per Lavi e Chaoji aggiungersi al dolore che gli
aveva causato vedere Hoshi sparire nell’oscurità.
Non sapeva se stesse gridando, piangendo, non capiva se fosse o meno in
grado di pensare.
Si era semplicemente slanciato contro quello che una volta era stato
Tyki Mikk e il Conte, desiderando solo farla finita.
Improvvisamente, sentì il suo corpo immobilizzarsi durante
l’attacco.
-Fermate il karte garte! Fermatelo!- un portentoso cazzotto in testa
gli fece rimbombare persino il cervello.
-Cosa credi di fare, discemolo? Non puoi combattere contro il Conte
quando sei accecato dall’odio- gli ringhiò contro
Cross.
-Mi lasci andare, dannazione! Non me ne frega niente!- urlò
con quanto fiato aveva in gola, ma il sussurro dell’uomo
riuscì a oltrepassare persino le sue grida.
-Se farai ciò che ti dico avrai una speranza di rivederli,
discemolo. Quindi smettila di dibatterti e fammi lavorare!-.
---
Si era alzata, tremendamente dolorante ma viva, senza capire un
accidente di cosa fosse successo.
“Io… ero morta, no?” si chiese, fissando
allibita la città ricostruitasi attorno a lei.
C’erano due alternative: o quello era
l’aldilà, e non ne era poi così sicura,
dal momento che era ancora coperta di ferite e il dolore lo sentiva
più che bene, o mentre era caduta in quella sorta di limbo
era successo qualcosa.
Quel “qualcosa” si manifestò piuttosto
bene quando alle sue spalle si aprì una porta, da cui
uscirono Linalee, Allen e lui.
-Tu!- Hoshi spalancò gli occhi allibita, indicando Marian,
ma il suo sguardo fu ancora una volta sviato dagli occhi argentati di
Allen.
La fissavano, sgranati e pieni di sollievo. Sulle labbra, un sorriso
appena accennato.
Fu in quel momento che sentì dentro di sé il
suono nitido di qualcosa che si spezzava.
-Oh, va’ al diavolo, Marian Cross- mormorò,
sorridendo a sua volta.
Corse incontro a loro, ma oltrepassò l’uomo e
Linalee e si lanciò addosso ad Allen, facendo sussultare
entrambi per le ferite. Il ragazzo fece appena in tempo a prenderla al
volo per non cadere.
-Non- le sussurrò lui in un orecchio –farlo mai
più- le sue braccia la strinsero, incuranti del dolore.
-Nemmeno tu, allora- la voce le uscì in un tono stranamente
ilare. Chissà perché si sentiva così
allegra, in quel momento che forse sarebbe stato l’origine di
complicazioni ancora più grandi di quelle che
c’erano state fino a quel punto.
-EHIIII! ALLEEEEEN!- l’urlo di Lavi rimbombò nella
sala, come se il rosso fosse davvero lì, e Hoshi si
staccò precipitosamente dall’albino, arrossendo e
ripromettendosi a bassa voce di ammazzare quel coniglio idiota e
arrostirlo a fuoco lento con un contorno di patate.
-Non è qui, è solo che possiamo sentire le voci
da una stanza all’altra- spiegò Allen, sorridendo
imbarazzato.
-Ma cos’è successo?- chiese Hoshi mentre si
appropinquavano come se niente fosse verso due allibiti Cross e
Linalee, che facevano del loro meglio per nascondere lo sconcerto.
Hoshi pensò che anche la se stessa di due mesi prima, ancora
sepolta da qualche parte, stesse facendo la stessa identica faccia,
oltre a lanciare ogni serie di sventure e di maledizioni su quella
situazione assurda.
Per un attimo i suoi occhi neri si spostarono in quello nocciola di
Marian, e oltre allo stupore vi lessero una serie di sensazioni
identificabili, ma che la colpirono con la forza di un pugno.
Rimise subito la solita maschera gelida: non avrebbe lasciato che quel
trasporto inutile verso di lui la riavviluppasse in un vortice senza
rimedio. Non dopo aver conosciuto Anita, non dopo aver conosciuto Allen.
Sbirciò il ragazzo di fianco a sé e poco
mancò che le venisse un colpo, chiedendosi come avesse fatto
a non averlo notato prima.
Si spostò di quattro o cinque passi, indicando un punto
imprecisato alle spalle dell’albino –A-A-Allen-
balbettò incerta. Lui la fissò sorpreso, seguendo
la direzione indicata dal suo dito –che
c’è?- chiese poi, tornando a voltarsi verso di lei.
-Come che c’è?! Non dirmi che non lo vedi! Ce
l’hai addosso!- strillò Hoshi, avvicinandosi e
cercando di toccare quell’affare, che però si
spostava seguendo Allen come una seconda ombra che usciva direttamente
dal suo corpo.
-Tu lo vedi?- stavolta fu il turno della voce di Cross di essere
sbalordita. La ragazza si girò verso di lui, seccata.
-Certo che lo vedo, come si fa a non vederlo? E’ tremendo! Ma
che accidenti è successo?- sbottò, ma per quanto
ci provasse, quella creatura non si smuoveva di un millimetro, e
tantomeno si lasciava toccare.
Il povero Allen a questo punto iniziò davvero ad
inquietarsi, come se non fosse bastato tutto quello che era accaduto
sull’arca e nella stanza in cui l’aveva fatto
entrare il maestro.
Gli venne un lampo di genio improvviso, ricordandosi cosa aveva visto
nello specchio.
-Hoshi, quello che vedi è per caso una sorta di sagoma umana
nerastra con un mantello bianco?- chiese, pragmatico e incredibilmente
preciso. La ragazza annuì, senza distogliere gli occhi.
Allen sospirò –allora vorrei tanto sapere
anch’io cosa sia- mormorò, guardando il Generale,
che però non proferì parola e continuò
a scrutare Hoshi sospettoso, di tanto in tanto.
La ragazza sospirò: sarebbe stata dura farci
l’abitudine. Quello era davvero inquietante, e
chissà perché non prometteva niente di buono.
Camminarono per la città, cercando di capire come diamine
fare ad uscire da lì, quando Allen aprì una porta
decisamente infelice.
Hoshi si sentì strattonare, e senza pensare a nulla si
aggrappò alla prima persona dietro di lei, che sfortuna
volle fosse Kanda, e da lì in poi fu un susseguirsi di
proteste e imprecazioni.
-Dannazione Allen! Non potevi stare attento?!- sbottò,
facendo un notevole sforzo per sostenere il peso del ragazzo, la cui
unica reazione fu un sospiro di sollievo per il non essere volato di
sotto.
Sopra di loro fioccavano gli insulti.
-Oh, fate silenzio. Ho mal di testa- disse Hoshi laconica. In un lampo,
le ali comparvero sulla sua schiena e riuscì a riportare
tutti sull’arca, accasciandosi a terra subito dopo.
-Hoshi, non avresti dovuto evocarla- mormorò Linalee,
aiutandola a rialzarsi –poco male. Se aspettavamo un altro
po’ saremmo volati tutti di sotto- rispose lei a bassa voce,
fissando Cross in cagnesco.
-Ehi, razza di idiota!- lo apostrofò, lanciandogli Timcampi
dritto in testa –visto che sei così esperto di
quest’affare, che ne dici di farci uscire di qui alla svelta?
O vogliamo aspettare che il Conte ci porti tè e pasticcini?-
sbuffò, appoggiandosi alla compagna.
-Ma voi vi conoscete?- chiese Lavi, ma il suo interesse di Bookman fu
subito smorzato dall’occhiata fulminante che gli
lanciò la ragazza –non sono affari tuoi, Bookman
Junior. Tieni il tuo lunghissimo naso fuori dai cavoli miei, grazie-
sillabò a denti stretti. Il rosso si toccò la
punta del naso, afflitto, mentre Allen cercava di consolarlo dicendogli
che aveva dimensioni assolutamente normali. Anche lui non poteva fare a
meno di chiedersi perché Hoshi e il maestro si conoscessero,
perché lei non ne avesse mai parlato –non che
parlasse granchè di sè, comunque- e soprattutto
che tipo di rapporto ci fosse fra loro.
Sentì una stretta allo stomaco, e si diede del cretino.
“Assurdo” pensò, scuotendo la testa e
continuando a parlare a vanvera ad un oltremodo depresso Lavi col
complesso del naso “sono geloso. Posso solo pregare che
nessuno lo scopra mai” alzò gli occhi al cielo,
sospirando.
-Ti vedo cambiata, As…-
-Ti ho detto di non usare quel nome. Tu non puoi più farlo-
il tono della risposta fu mortalmente gelido.
Hoshi e Cross camminavano fianco a fianco, mentre l’uomo
cercava la porta che li avrebbe condotti fuori dall’arca.
-Perché, c’è qualcun altro che
può?-
-Non sono affaracci tuoi-
-Mi sei mancata- quell’affermazione le fece balzare il cuore
in petto, ma sapeva che era una gioia destinata ad estinguersi nella
rabbia e nell’inutilità della sua stessa esistenza.
-Smettila- mormorò guardando fisso davanti a sé.
-Perché?- Hoshi sapeva quanto fosse superficiale
quell’uomo, quindi quel tono addolorato servì solo
a farla irritare ancora di più.
-Perché per colpa tua ha già perso la vita una
persona. Non ci sarò anch’io nella lista- disse
secca. L’uomo si girò sorpreso a guardarla, e lei
gli scoccò un’occhiata fredda come il Polo Nord.
-Anita- mormorò –non preoccuparti, non
l’ho fatta morire con la consapevolezza di quante volte tu ti
sia scordato della sua adorazione. Le ho detto che la amavi-
continuarono a camminare in silenzio.
-E di Allen? Che mi dici?-
Hoshi rimase ostinatamente zitta, senza guardarlo.
Non poteva certo parlare con quell’uomo di qualcosa che non
aveva ancora avuto il coraggio di ammettere neppure con se stessa.
-Lui può usarlo, il tuo nome?- continuò Marian.
La ragazza annuì bruscamente, intenzionata a dargli il colpo
di grazia che lo facesse tacere una volta per tutte.
Inaspettatamente, Cross sorrise.
-Si, sei cambiata-
Nessuno dei due disse più niente.
Note dell'Autrice:
Uffi, non commenta nessuno T__T ma io aggiorno fiduciosa, sperando che
ci sia qualcuno che legga!
L'arca l'ho sintetizzata alla grande, questa fanfiction sta
raggiungendo proporzioni per me epiche, discostandosi dalla storia in
maniera molto complicata (rileggendo questo capitolo mi ero pure
scordata che Hoshi potesse vedere l'ombra attaccata ad Allen!
Dovrò ricontrollare tutto il seguito, me misera!!!
ç__ç), quindi non avevo voglia (che autrice
seria) di dilungarmi troppo su punti che avrei mantenuti identici
all'originale... fin qui mi sono attenuta parecchio, dal prossimo
capitolo in poi inizieremo a variare!
Spero che il prossimo capitolo sia quello che piace anche a me (si, non
ricordarselo è da criminali, ma è tantissimo che
non la rileggo tutta!!) e che questo seppure corto sia piaciuto anche a
voi!
Alla prossima!
Bethan
|
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Capitolo 16 *** Snow Kiss ***
Quel Link era davvero una palla al piede,
pensò Hoshi seccata, mentre il treno su cui viaggiavano
sfrecciava fulmineo in mezzo al paesaggio innevato.
Non bastava che Allen fosse infestato da un noah, non bastava il fatto
che lui si dovesse vedere alle spalle quel… coso ogni volta
che si guardava allo specchio, non bastava la tensione datagli dal
fatto che il Quattordicesimo avrebbe potuto prendere possesso del suo
corpo da un momento all’altro, no. Dovevano anche
appioppargli quel cagnolino scodinzolante che sbavava alla sola idea
che Lvellie gli lanciasse un osso. Hoshi lo disprezzava con tutte le
sue forze, ma non era niente rispetto all’opinione che aveva
del sovrintendente.
Quello, fosse stato per lei, sarebbe ben valsa la pena di essere
condannati a morte, pur di farlo fuori.
Quando l’aveva rivisto era stato come tornare indietro nel
tempo. C’era anche lui fra quelli che avevano deciso di
impiantarle l’innocence nel corpo, ed era stato lui a
portarla da Hebraska, gettandola in quel baratro senza pietà.
Dopo quel commovente reincontro, dopo quella caterva di buone notizie,
la ciliegina sulla torta era stata che Komui aveva deciso di spedire
lei, Allen e il segugio in missione in un paesino sperduto in mezzo
alle montagne, ovviamente in pieno inverno.
Non che a Hoshi dispiacesse la neve: l’aveva vista poche
volte, ed aveva sempre un effetto calmante su di lei, soprattutto per
il silenzio con cui ovattava ogni cosa.
Era la presenza di quel regolamento con le gambe che proprio non le
andava giù, anche perché erano davvero scarse le
possibilità di parlare con Allen senza che lui sentisse.
Sospirò depressa, fissando il buio prendersi le cime degli
alberi e l’orizzonte: le sembrava che quella situazione con
Allen fosse destinata a non risolversi, in quel modo.
Per lei era già abbastanza sconcertante che vi fosse una
situazione diversa dall’antipatia con un esorcista, anzi, con
più di uno, considerato il fatto che dopo tutto quello che
avevano passato aveva smesso di minacciare di morte Lavi e gli altri
ogni cinque secondi. Sospirò nuovamente: forse Cross aveva
ragione. Entrare all’Ordine l’aveva cambiata.
Se quel cambiamento sarebbe stato fonte di sofferenze più
grosse ancora o di felicità, solo il tempo avrebbe saputo
dirlo. Ma Hoshi non era così convinta di volerlo arrestare,
non come ne era stata in passato.
-Hoshi, tutto bene?- la voce gentile di Allen la riscosse.
Ecco, lupus in fabula.
Sorrise distrattamente, facendo cenno di si con la testa e sforzandosi
di non guardare l’inquietante figura alle sue spalle. Le
ricordava un po’ il modo in cui le anime dovevano fuoriuscire
dagli akuma, secondo quanto le aveva raccontato Allen una volta.
Solo che quel noah non era l’anima di Allen, su questo non ci
pioveva, e Hoshi ne era certa.
Non lo era mai stata e non lo sarebbe stata mai.
Un tonfo sordo la distrasse nuovamente: il pesante librone che il tizio
biondo stava leggendo era caduto a terra, mentre il suo proprietario
era piombato in un sonno catatonico.
-Oh, finalmente- sussurrò seccata –credevo avrebbe
continuato a scrutarci all’infinito, aspettando che so, che
uno dei due si trasformasse nel Conte all’improvviso- Allen
ridacchiò sottovoce.
Nessuno dei due voleva che si svegliasse.
Hoshi rabbrividì: in quella carrozza iniziava a fare
decisamente freddo. Aveva le mani congelate e le nocche arrossate e
doloranti.
-Chissà che temperatura c’è fuori-
sussurrò, strofinandosi le palme nel tentativo vano di
ottenere un po’ di calore.
Allen si alzò cautamente, pregando che Link se ne stesse
buono a dormire, e si sedette di fianco a lei, circondandole le spalle
con un braccio e mettendole addosso il proprio mantello.
-Va meglio?- Hoshi credette di essere diventata di un colore analogo a
quello di un pomodoro maturo, mentre rispondeva in un sussurro
–si, ma tu non hai freddo?- Allen fece cenno di no con la
testa –mangio troppo per averne- sorrise.
-Vero- ridacchiò lei, ripensando alle enormi porzioni di
cibo che mettevano l’intera mensa a rischio di crolli.
Il mantello, o forse e più probabilmente la vicinanza di
Allen, contribuirono ben presto a scaldarla, e poco dopo Hoshi si
addormentò addosso a lui.
L’albino rimase a guardarla, sorridendo e pensando a quanto
sembrasse davvero più piccola mentre dormiva. In un certo
senso lo rassicurava, dal momento che avevano la stessa età
e Hoshi sembrava sempre molto più grande. Le
accarezzò distrattamente i capelli, sospirando.
Che diamine stava facendo?
Avrebbe messo nei guai anche lei, se avesse continuato a quel modo.
Finchè non l’avevano sorvegliato, poteva anche
andare, ma adesso era tutto un altro paio di maniche. Link avrebbe
messo sotto torchio anche lei.
Eppure la stessa Hoshi sembrava non preoccuparsene granchè,
visto com’era crollata.
Sentì un movimento di fronte a lui, e vide che
l’ispettore si era svegliato.
Lo guardò seriamente, portandosi l’indice davanti
alle labbra.
Quello li fissò per qualche istante, poi accennò
un mezzo sorriso e iniziò a scribacchiare furiosamente sul
suo taccuino.
Si, era decisamente irritante, pensò Allen.
---
Nella sua mente era maturata un’idea completamente folle e
tremendamente allettante al tempo stesso.
Decisamente, Hoshi non era mai stata una che pensava una vita prima di
decidere cosa fare. Seguiva l’istinto, e quel giorno
l’istinto le diceva che doveva tentare il tutto per tutto
prima che le cose si aggravassero.
Arrivarono al tramonto del giorno dopo, e il treno li sbarcò
in una minuscola stazione, niente più che una piattaforma
nel bel mezzo del nulla.
Allen si inchiodò sul posto appena sceso, fissando ad occhi
sgranati il paesaggio innevato.
In effetti era uno spettacolo meraviglioso: le colline erano
completamente bianche, simili a dolci di zucchero, ed anche i gruppi di
alberi sparsi qua e là erano carichi di neve, con mucchietti
che cadevano di tanto in tanto. Il sole spargeva raggi arancioni sulle
cime degli abeti, mentre dall’altro lato il blu della notte
avvolgeva il tutto in una penombra in cui non mancava mai del tutto la
luce.
-Walker! Muovetevi, dobbiamo cercare l’innocence!- la voce
secca di Link interruppe quella contemplazione, e l’albino si
avviò verso di lui imbronciato –si, si, un attimo.
Non ho mai visto la neve- disse, distogliendo sconsolato gli occhi dal
paesaggio.
Sulle labbra di Hoshi si disegnò un sorriso diabolico.
-Polvere- sussurrò con un filo di voce. Nella sua mano
comparve l’innocence, luccicante e in tutto e per tutto
simile alla neve.
Si chinò a terra e tirò su una manciata di
ghiaccio, appallottolandola fino a formare una palla abbastanza dura a
cui aveva mescolato l’innocence.
-Ehi, ispettore!- chiamò. Quello si girò con aria
scocciata, guardandola da sopra gli occhiali, e la palla di neve lo
colpì in pieno viso, facendolo crollare a terra.
-E ora stattene un po’ a nanna- mormorò Hoshi con
un sorriso soddisfatto davanti a un Allen a metà fra il
divertito e lo sconcertato.
-Ma che hai fatto? E’ svenuto!- lei fece cenno di no con la
testa, togliendosi il mantello e coprendo il malcapitato: farlo
addormentare era un conto, tornare e trovare il cagnolino di Lvellie
morto assiderato era tutto un altro paio di maniche.
-No, l’ho solo spedito a dormire- sospirò
–quando si sveglierà, per sua sfortuna non
potrà fare rapporto sul mio comportamento disdicevole,
perché non si ricorderà assolutamente nulla-
ghignò all’indirizzo di Allen, che
scoppiò a ridere.
Lo rimpiattarono in un luogo abbastanza riparato, per evitare di essere
incriminati di tentato omicidio, poi uscirono nuovamente
all’aria aperta.
-E ora che facciamo?- chiese Allen, ma fece appena in tempo a finire la
frase che si sentì sollevare in aria.
-Un giro- rispose Hoshi semplicemente, tenendolo per le braccia
–possibilmente lontani da quell’ispettore e dal
luogo della missione. Reggiti!- aumentò la
velocità, il vento che sferzava loro i visi, gelido, eppure
senza riuscire ad inculcare il suo freddo in nessuno dei due.
La compagnia reciproca era più che sufficiente per tenersi
al caldo.
La luna era già spuntata nel cielo, tonda e argentea, quando
Hoshi si diresse in picchiata verso terra, atterrando nel bel mezzo di
una conca fra colline alberate.
Il silenzio era totale, ovattato, calmo. La nottata era limpida, e le
stelle risplendevano quanto la luna, illuminando la neve e
riflettendosi sui cristalli di ghiaccio.
-Che meraviglia- sussurrò Allen a voce bassissima per non
rompere quell’incanto.
Hoshi sorrise –davvero non l’avevi mai vista?- lui
scosse la testa.
-Allora guardala meglio!- un’altra palla bianca, fatta solo
di neve stavolta, colpì in piena testa l’albino,
finendogli fin dentro il collo. Al vedere la sua faccia intirizzita
Hoshi scoppiò a ridere.
-Cosa cavolo ridi?! E’ gelida!- Allen la colpì a
sua volta con un’altra palla di neve e di lì a
poco il silenzio si riempì delle loro risate mentre
ingaggiavano una furiosa battaglia.
Hoshi fuggì dal fuoco nemico fino sulla sommità
della collina, dove si lasciò cadere in un mucchio di neve,
stanca morta.
-Ehi, ti arrendi di già? Wah!- Allen scivolò su
un punto ghiacciato, finendole addosso. Riuscì a puntellarsi
sulle braccia prima di spiaccicarla, ma ormai la frittata era
bell’e che fatta.
Il silenzio tornò ad invadere il paesaggio, mentre nessuno
dei due riusciva a muoversi di un millimetro o a spiccicare parola.
Si guardarono semplicemente negli occhi, ancora il fiato corto per la
battaglia appena terminata.
Hoshi fissò Allen, stagliato contro il cielo, i capelli e
gli occhi chiari quanto il disco della luna che aveva alle spalle.
Sembrava fosse sceso direttamente da lì. Si rese conto di
non scorgere più la figura nera che da quando erano scesi
dall’arca l’aveva sempre seguito e se ne
rallegrò. Un terzo incomodo in quel momento serviva meno che
mai. Con un dito seguì distrattamente il contorno della
cicatrice vermiglia che gli aveva lasciato Mana, e che correva lungo
tutta la guancia.
Allen la fissava di rimando, pensando che la neve sembrava essere il
suo habitat naturale. Gli occhi neri riflettevano le stelle,
inglobandole e traendone luce, quasi volessero abbandonare le tenebre
che li avevano creati. Sentì le dita di Hoshi sulla guancia,
bollenti nonostante fossero immersi nel ghiaccio.
Uno schianto improvviso, seguito da un fruscio, li fece sobbalzare.
Un ramoscello aveva ceduto sotto il peso della neve. Allen
ridacchiò per il suo scatto nervoso: non ci riuscivano gli
akuma a fargli saltare i nervi e ci riusciva lei.
-Scusa, per poco non ti spiaccicavo- mormorò, facendo per
rialzarsi, ma le dita di Hoshi si strinsero attorno al nastro scuro che
portava attorno al collo, tirandolo nuovamente verso di sé.
Allen spalancò appena gli occhi, mentre sulle labbra della
ragazza compariva un sorriso timido, sincero, mentre facendo leva su un
braccio si avvicinava a lui.
Appoggiò le labbra sulle sue, chiudendo gli occhi per un
istante.
Si staccò dopo poco, lasciandolo andare e abbassando la
testa, come se si fosse resa conto in quell’istante di cosa
fosse successo.
-Scusa- bisbigliò impercettibilmente, ma Allen le
sollevò il viso, intrecciando le dita nei suoi capelli e
ristabilendo il contatto in modo più deciso.
Le braccia di Hoshi si strinsero attorno alla sua schiena, le dita che
premevano sulle spalle, mentre piombavano di nuovo a capofitto nella
neve.
La sensazione delle labbra morbide della ragazza gli dava una sorta di
scarica elettrica. Non aveva mai baciato nessuno prima, ma dopo aver
provato dubitava che avrebbe mai voluto baciare qualcuno che non fosse
lei.
Si staccarono per mancanza di fiato, e Allen appoggiò la
fronte sulla sua, guardandola negli occhi sgranati.
Le sorrise, baciandola di nuovo lievemente sulle labbra e sulle guance.
La sentiva stringersi a sé sempre di più ad ogni
movimento.
Ad un tratto le labbra della ragazza si impadronirono decise del suo
collo, e Allen sentì una tale scossa di brividi che per poco
non sussultò.
-Ho-Ho-Hoshi- balbettò arrossendo –non credo di
essere nelle condizioni adatte. Vorrei mantenere la mia fama di
gentleman ancora per un po’- disse precipitosamente. La
sentì ridacchiare, e il suo respiro sulla pelle forse fu una
tortura ancora peggiore.
Invertì le posizioni all’improvviso, finendo con
la schiena nella neve gelida e facendo appoggiare Hoshi sul suo petto.
Per un po’ rimasero in silenzio, ascoltando solo il rumore
dei loro cuori che scompariva nel manto bianco che avvolgeva ogni cosa.
-Allen- disse lei dopo un po’, giocherellando con una ciocca
dei suoi capelli.
Sembrava ci provasse gusto a farlo soffrire, pensò
l’albino con un sospiro. O forse era lui ad essere davvero
troppo imbranato.
-Dimmi-
-Non chiamarmi più Hoshi. Non tu- mormorò. Le
strinse le braccia attorno alla schiena così forte che a un
certo punto la ragazza lanciò un mugolio soffocato.
-Mi ftai uccidendo!- ansimò tirandogli i capelli.
-Ops, scusa. Il braccio sinistro- ghignò lui per tutta
risposta. Lei lo guardò in cagnesco –era un
discorso serio- disse mettendo il broncio.
Allen le sorrise dolcemente, tirandosi a sedere e prendendola in
braccio.
-Lo so, Aster- mormorò, dandole un bacio sui capelli.
Rimasero immersi in quel bianco per diverso altro tempo, prima che si
decidessero a cercare l’innocence e a recuperare il
malcapitato ispettore.
Per loro, in quel momento il resto del mondo poteva aspettare.
---
Lungo il viaggio di ritorno, nessuno dei tre disse niente.
Hoshi e Allen avevano deciso di comune accordo di inventarsi che Link
era stato attaccato dall’akuma, che gli aveva fatto prendere
una forte botta in testa, causa della momentanea amnesia.
Per supportare questa ipotesi, la ragazza gli aveva sferrato un sonoro
cazzotto prima di annullare l’effetto
dell’innocence.
Adesso stavano nello scompartimento del treno, seduti come quando erano
partiti: Allen e Link da un lato, Hoshi dall’altro.
La ragazza guardava fuori dal finestrino, lasciando trapelare solo
un’espressione indifferente e apatica, mentre in
realtà stava ancora cercando di rielaborare quello che era
successo senza svenire.
Ok, non era poi così sprovveduta in fatto di uomini, e il
pensiero di Marian la colpì così bruscamente che
dovette controllare ogni suo vaso sanguigno per non far affluire il
rossore alle guance.
Già, avrebbe dovuto parlare con Allen anche di quello, prima
o poi.
Meglio poi che prima, constatò decisa.
Per quel giorno aveva già agito abbastanza.
Sospirò impercettibilmente, chiudendo gli occhi e tornando
indietro col pensiero a poche ore prima.
La tentazione di scaraventare Link fuori dallo scompartimento o di
addormentarlo di nuovo si fece sentire più forte che mai.
“Non farti prendere troppo la mano, tu” si
ammonì.
Sentiva ancora sulle labbra e addosso il calore di Allen, e il solo
ricordo bastava a farle spuntare sulle labbra un sorriso incontrollato,
che si affrettava subito a nascondere fissando ostinatamente fuori dal
finestrino.
Aveva agito senza pensare, assolutamente. Solo, quando
l’aveva visto rialzarsi aveva deciso che non voleva farlo
andare via. O meglio, qualcosa dentro di sé aveva deciso per
tutto il resto.
Il cuore ricominciava a batterle all’impazzata al solo
pensiero, e non riusciva ancora a capire se quella felicità
dovesse considerarla sciocca oppure abbandonarsi ad essa.
Lanciò un’occhiata di sbieco ad Allen, che fissava
il vetro ostinatamente quanto lei e, probabilmente, senza vederlo
nemmeno, esattamente come lei.
No, non era sciocca.
Non era stupido essere felice, dopo aver passato anni a soffrire.
Adesso riusciva a capirlo, anche se difficilmente sarebbe riuscita ad
esprimerlo.
Non voleva lasciar andare quella luce che si era accesa nelle tenebre
che l’avevano sempre avvolta, e che adesso la scaldava. Non
l’avrebbe lasciata senza lottare.
Allen la stava guardando dall’inizio del viaggio.
O meglio, stava guardando il suo riflesso nel vetro, dal momento che,
se i suoi occhi si fossero spostati troppo, sicuramente Link avrebbe
iniziato a scribacchiare, e lui non aveva proprio voglia che quel suono
lo distraesse.
Fissava il paesaggio fuori dal finestrino, ma ogni tanto sulle sue
labbra spuntava quel sorriso che aveva avuto nella radura:
probabilmente il mondo fuori dal treno era solo un diversivo,
esattamente come per lui.
Iniziò a meditare propositi oscuri contro Link, che
includevano alcolici e sonniferi, ma ben presto la sua mente
tornò ad altro.
Non avevano parlato molto, dopo. Sembrava non ce ne fosse bisogno,
eppure a lui non sarebbe dispiaciuto sentirla ancora più
vicina.
Si disse di dare tempo al tempo, lei non era un tipo che era pensabile
di forzare.
Tutte le volte che vedeva le sue labbra incurvarsi, veniva voglia di
sorridere anche a lui; era un po’ infantile, detta a quel
modo, ma non credeva di essersi mai sentito così felice.
Considerato che quello era probabilmente uno dei momenti più
bui della sua esistenza era un bel risultato.
La guardò di nuovo: era convinta di essere fatta
d’ombra, ma lui sapeva che c’era molto di
più. Sapeva che c’era la luce, l’aveva
vista, anche in quelle iridi nerissime che sembravano assorbire ogni
cosa.
Sospirò, pensando a come si sarebbe evoluta la situazione
una volta tornati alla Home. Avrebbero dovuto dirlo a qualcuno? Il solo
pensiero gli strideva nel cervello: non ne vedeva l’assoluta
necessità, soprattutto in quelle condizioni, eppure non
voleva nemmeno auto infliggersi la pena di stare separato da lei per un
tempo troppo lungo.
“Sono patetico” alzò gli occhi al cielo,
sbuffando.
La vide gettargli un’occhiata con un sopracciglio alzato e le
sorrise, scuotendo appena la testa e rinnovando l’impegno nel
trovare qualche bomba che facesse dormire Link ben sodo per un tempo
abbastanza lungo.
Note dell'Autrice:
Fiiiiiiiiiiiinalmenteeeeeee ecco il mio capitolo preferito *____* spero
mi perdonerete i miei ritmi di aggiornamento di m*** ma da questo punto
in poi cominciano i casini, e quelli grossi! Insomma, la storia si deve
un po' movimentare, quindi godiamoci questo capitolo puccioso prima
della caduta dalla padella nella brace u.u
L'idea della neve mi è venuta ascoltando la sigla di d.gray,
"Snow Kiss"... non ho idea di cosa voglia dire il testo, è
il titolo che mi ha ispirata XD
Quel povero Link viene un po' strapazzato, ma visto quanto è
antipatico nei primi capitoli in cui appare penso che me la potrete
passare! XD
Rispondo ai commenti ^^
Ciel 88: se
aspettavi delle variazioni, eccoti accontentata! Da ora in poi
sarà un miracolo se io stessa mi ricorderò tutto
l'intreccio che ho messo in piedi!! Spero che riuscirò a
coinvolgere voi lettori fino alla fine, e soprattutto che il manga non
mi smentisca completamente! ^__^
Sherly: ecco
a te ciò che ho infinite volte rifiutato di spoilerare!
Spero che il capitolo ti sia piaciuto :D :D
Yuchimiki:
chi legge e commenta non rompe mai!! u.u è bello sapere che
la storia piace a qualcuno *__* povero Marian, nel manga fa pure una
brutta fine... anche se continuo a sperare che non sia morto del tutto
XD
Alla prossima (che non so quando sarà, sorry T_T)! Leggete e
commentate :D
Bethan
|
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Capitolo 17 *** Cooking feelings ***
-Ehi, Hoshi! Com’è andata la
missione?-
Lavi si sedette accanto a lei, che per tutta risposta iniziò
a tossire furiosamente, rischiando di soffocare con l’acqua
che stava bevendo.
-N-non credevo di spaventarti così- balbettò lui,
vedendo la sua occhiata truce.
-Tsk. E’ andata benissimo, devo ancora capire cosa ci
troviate di difficile nel far fuori due akuma. Con quello che
è successo nell’arca, quelle bestiacce mi sembrano
l’ultimo nostro problema- rispose secca, alzandosi e
impilando il vassoio su quelli sporchi.
Poi filò via dalla mensa a gambe levate, prima che a qualcun
altro venisse in mente la balzana idea di chiederle come fosse andata
quella missione.
Eppure avrebbe voluto dirlo a qualcuno, pensò tristemente,
appoggiando i gomiti alla balaustra di una bifora ai piani superiori
della torre e guardando fuori.
Anche solo un mese prima, pensare a tutto ciò le sarebbe
stato impossibile: non le sarebbe mai passato per la testa di voler
condividere ciò che provava con qualcuno là
dentro.
Stava cambiando, ed era merito di Allen, anche se doveva ancora
decidere se fosse un merito o una colpa.
Entrò in camera, facendo per sedersi sul letto, quando
sentì bussare alla porta.
Sbuffò piano, irritata: se era di nuovo Lavi avrebbe fatto
un bel volo, stavolta, pensò, ma andata ad aprire si
trovò davanti Linalee, che la fissava sorridendo, lievemente
imbarazzata.
-Ah, sei tu- disse Hoshi, spostandosi per farla entrare
–credevo che fosse Lavi-
La cinese si sedette sul letto, torturandosi una ciocca di capelli
cortissimi.
-Tutto bene?- Hoshi la osservò con un sopracciglio alzato:
di solito Linalee non era così nervosa. Nella mente le si
accese un campanello di allarme.
-Hoshi, ecco… da quando siete tornati da quella missione tu
ed Allen siete strani- esordì lei tenendo gli occhi bassi.
Hoshi iniziò a darsi della stupida in ventun lingue diverse
per non averci pensato prima: era così ovvio!
-E’… è successo qualcosa?- chiese,
guardandola. Stavolta fu il turno di Hoshi di abbassare lo sguardo,
imbarazzata e a disagio come non mai.
Era la prima volta che si sentiva a quel modo, che non voleva procurare
un dolore ad un’altra persona. Eppure, la sua indole
prevalse: non voleva nascondersi, e tantomeno una bugia momentanea
avrebbe potuto riparare la cosa tanto a lungo. Sperava solo che Linalee
non se la prendesse troppo e non andasse a spifferarlo in giro, e
pregò che Allen non venisse a sapere nulla.
-Ehm, ecco, senti, Linalee…- iniziò esitante,
cercando le parole –io non sono molto abituata a parlare di
queste cose, e nemmeno dei fatti miei in generale- la mora fece per
aprire bocca, ma Hoshi continuò: le cose erano
già abbastanza difficili così senza che
l’altra si mettesse a interromperla.
-Diciamo che per me Allen è speciale, ecco. Nel modo in cui
nessun altro lo è mai stato- disse decisa. Linalee sorrise,
cercando di nascondere una tristezza che però era fin troppo
evidente. Hoshi si chiese se non avrebbe fatto meglio a rassicurarla e
a dirle che non era successo assolutamente niente e che niente sarebbe
stato ciò che sarebbe continuato ad accadere, ma
scacciò subito quel pensiero contorto.
Sincerità sempre e comunque, anche quando faceva male.
Sentiva che era la cosa giusta da fare e da dire, ma non
potè fare a meno di sentire una sgradevole sensazione nel
vedere la ragazza intristirsi.
-Sono… sono contenta- sussurrò, ma Hoshi si
accucciò di fronte al letto, fissandola negli occhi viola
seriamente.
-Non sai mentire- constatò. Una lacrima scese lungo la
guancia di Linalee, e Hoshi dovette trattenersi a stento dallo scappare
urlando.
-Scusami- sussurrò nuovamente la mora –dovrei
essere contenta, non so che mi prende- si asciugò le lacrime
col dorso della mano. Hoshi sospirò –non scusarti.
Probabilmente per Allen saresti stata molto più adatta tu-
mormorò, gettandosi sul letto accanto a lei.
Perché doveva consolarla? Aspettarsi un conforto da lei era
come voler prolungare la tortura prima del suicidio, pensò
laconica.
-No, non credo- rispose Linalee, girandosi a guardarla –anche
se avrei voluto- mormorò, distogliendo nuovamente gli occhi
dai suoi.
Hoshi alzò gli occhi al cielo: era peggio che essere
arrostita a fuoco lento, quella conversazione.
-Voi siete molto più simili di quanto non vi accorgiate-
continuò Linalee.
-Da cosa lo vedi?- chiese Hoshi, rigirando suo malgrado il coltello
nella ferita. Era la stessa cosa che sentiva lei ogni volta che era
vicina ad Allen; allora non erano semplici paranoie.
-Non lo so esattamente. Non so come spiegarlo, ma lo sento-
mormorò.
Risposta utile, non c’era che dire, pensò Hoshi
sospirando.
Rimasero in un silenzio pesante come il cemento per alcuni minuti, che
alla ragazza parvero ore, poi Linalee si alzò e
uscì dalla stanza.
Hoshi accolse quella partenza con un sollievo inaudito, sdraiandosi sul
letto.
Cosa cavolo aveva messo in moto?
---
La trovò che piangeva nella sala degli allenamenti, e non
gli passò neppure per la testa di chiederle cosa fosse
successo.
Era ovvio, anche se pure lui aveva fatto il finto tonto per non causare
guai.
Sospirando si avvicinò a lei e le mise un braccio attorno
alle spalle: Linalee alzò per un attimo gli occhi a
guardarlo, occhi in cui passò un lampo misto fra sollievo e
delusione nel vedere che era lui e non Allen, dopo il quale
ricominciò a singhiozzare piano.
La abbracciò, cercando di calmarla.
-Coraggio, Lina… non è la fine del mondo-
sussurrò.
Lei cercò di riprendere fiato –lo so, sono una
stupida- disse fra le lacrime –non so neppure
perché mi abbia sconvolta così tanto, dovrei
essere contenta per loro- le ultime parole furono di nuovo soffocate
dal pianto.
-Beh, contenta forse è un po’
esagerato… però direi che non devi starci troppo
male. Era una cosa piuttosto evidente- forse non erano esattamente le
parole adatte per tirarle su il morale, dal momento che la ragazza si
mise a piangere ancora più forte.
-S-scusa- balbettò ad un tratto –che figura, dopo
tutto quello che abbiamo passato, crollare per una cosa simile- fece un
maldestro tentativo di sorriso.
Lavi sospirò –di che ti scusi? E’
normale che tu non l’abbia presa bene- le
scompigliò i cortissimi capelli neri.
-I-io non lo conosco nemmeno così tanto Allen, non so che
cosa mi sia preso…- sussurrò con un filo di voce.
-Non c’è bisogno di conoscere chissà
quanto una persona, per sentirsene coinvolti- mormorò Lavi,
pensando a se stesso.
Scacciò subito quel pensiero molesto dalla sua testa: gli
stava frullando in mente un po’ troppo spesso, da quando era
entrato all’Ordine.
Poco a poco Linalee iniziò a calmarsi.
-Lavi, non…- iniziò, ma il rosso non la
lasciò nemmeno finire.
-Sta’ tranquilla. Un Bookman sa mantenere un segreto- le
strizzò l’occhio, dandole un buffetto sulla
guancia. La cinese sorrise.
Uscirono dalla sala, e poco prima che si separassero la mora gli
schioccò un bacio su una guancia, salutandolo con la mano.
Lavi rimase solo davanti alla porta, come inebetito, prima di sparire
nel buio del corridoio.
---
Per quanto ci provasse, non riusciva davvero a prendere sonno.
Quel letto non gli era mai sembrato una costrizione tanto grande.
Fissò di sbieco il supervisore addormentato in terra e
infilò una mano sotto il cuscino, tirandone fuori una
fialetta piena di un liquido trasparente.
Con un ghigno, pensò alle parole di Komui quando gli aveva
detto di avere problemi di sonno.
“Occhio che se ne prendi troppo non ti svegli più
per due giorni!” gli aveva detto il supervisore. Proprio
quello che serviva per starsene un po’ tranquilli,
pensò in un impeto di ribellione, rovesciandone
l’intero contenuto sul cuscino in cui Link immerse poco dopo
la faccia, girandosi.
-Bye bye, ispettore- sussurrò l’albino.
Non era molto sicuro che quella fosse una cosa esattamente permessa, ma
se non si fosse alzato da lì e non fosse uscito da quella
stanza soffocante sarebbe diventato matto.
Si tirò su, vestendosi precipitosamente, e uscì
di soppiatto dalla stanza, senza alcun dubbio su dove andare.
---
-Ho fame. Posso prepararmi qualcosa io, se mi lasci usare la cucina-
-L’ho già visto questo copione, dolcezza. Siediti
lì, mi ci vorrà un minuto!- Jerry
tornò ai fornelli cinguettando, lasciando Hoshi seduta nella
mensa deserta. Incredibile quanto quell’uomo fosse devoto al
proprio lavoro. Ad essere sincera, non sapeva neppure perché
fosse lì. O meglio, lo sapeva, ma non era affatto sicura di
sapere come iniziare il discorso.
Il cuoco le piazzò davanti una fetta gigante di torta al
cioccolato, e Hoshi sorrise al ricordo della prima che le aveva fatto
sbafare.
Sembravano passati secoli.
-Sembra un mucchio di tempo, eh?- sorrise Jerry, sedendosi di fronte a
lei e guardandola mangiare –non sembri nemmeno la stessa
persona che la stava mangiando la prima volta- la ragazza
masticò in silenzio, poi sorrise a sua volta, sospirando.
-No. Probabilmente è così- picchiettò
sul piatto con la forchetta, incerta.
-Ne vuoi parlare?- le parole dell’uomo furono una manna dal
cielo. Hoshi gli raccontò tutto, facendo finalmente uscire
quella marea di sensazioni che la stavano soffocando da quando erano
tornati dalla missione.
-Sei felice, ora- disse Jerry, quando ebbe finito. Non era una domanda:
quel tizio avrebbe dovuto fare il filosofo, altro che il cuoco.
-Si- rispose lei, e mentre lo diceva si rese conto di esserlo veramente
–è solo che…- continuò, ma
l’uomo intercettò ciò che voleva dire e
le posò una mano sul braccio.
-Non preoccuparti per Linalee. Queste cose succedono, siete tutti
abbastanza forti da capirlo- disse con un tono molto da mamma chioccia
–è stata lei per prima a tenderti una mano e a
voler stringere amicizia. Se non vi arrenderete di fronte a questo
scoglio, probabilmente in poco tempo le cose si sistemeranno- Hoshi
sospirò –non so cosa fare. Quando è
venuta da me avrei voluto parlarle, spiegarle, ma non ce l’ho
fatta- con sua sorpresa, lo sentì ridacchiare.
-Che c’è di tanto divertente?- chiese sulla
difensiva.
-Temi il confronto. E’ normale anche questo, ma io credo che
Allen non avesse molti dubbi- sentenzio, poi le fece
l’occhiolino –fattelo dire da uno che ai maschietti
ci fa caso- l’espressione e il tono con cui
pronunciò quella frase furono così buffi che
Hoshi scoppiò a ridere.
Jerry la guardò con un’espressione a
metà fra il contento e il sorpreso.
-Sai, quando quella sera sei venuta qui mi facevi quasi paura- disse,
iniziando a sparecchiare.
-Cosa? E perché?- chiese lei, seguendolo in cucina.
Jerry mise i piatti nell’acquaio e si girò
nuovamente a guardarla –sembravi così…
arrabbiata, ecco. Con tutti. Col mondo, con l’Ordine, con gli
esorcisti. Era come se in questo buio fossi destinata a scomparire-
Hoshi non rispose niente, addentando una mela. Era vero, era
arrabbiata. Lo era ancora, ma non le sembrava più
così importante. Perché?
-Sai, io ho una mia teoria sui sentimenti opposti- continuò
lui, appoggiando il mento sui palmi delle mani e appoggiando i gomiti
sul bancone –l’odio è ciò che
conduce alla distruzione, sia essa rivolta verso noi stessi o verso
ciò che odiamo. L’opposto dell’odio
è l’amore, e quindi l’amore rivolge alla
vita, rivolge ad una bellezza che quando si odia non siamo capaci di
scorgere- di nuovo, Hoshi non disse niente. Non ci trovava proprio
nulla da obiettare, sembrava fatta apposta per lei.
Quindi quello che sentiva quando stava con Allen era
l’opposto dell’odio?
Era l’amore?
Vedendola pensierosa, il cuoco le diede un buffetto sulla guancia
–sai quanto ci ho messo per elaborare questa teoria?- la
ragazza fece cenno di no col capo, perplessa per la domanda.
-Dieci secondi. Mi è venuta in mente parlando con te-
ridacchiò lui. Hoshi sorrise.
-Prenditi tempo, piccola. Nessuno capisce mai subito queste cose- la
ragazza annuì, pensando a quanto fosse vero. Non si era
nemmeno resa conto di stare cambiando così tanto. Aveva
semplicemente ceduto millimetro per millimetro, accettando il tutto.
-Hai paura?- le chiese, dopo un po’. La ragazza ci
pensò su qualche istante, prima di rispondere –no-
mormorò poi –dovrei averne?- Jerry scosse la testa
–no- rispose –è un bene che tu non ne
abbia-.
Poco dopo Hoshi decise di riavviarsi in camera. Ringraziò
Jerry e fece per avviarsi verso le scale, quando il cuoco la
richiamò.
-Ehi, Hoshi-
-Dimmi- rispose lei voltandosi.
-Sono contento per te- sorrideva. Sorrise anche lei.
-Grazie- sussurrò.
Note dell'Autrice:
Ma come, nessuno mi ha commentato lo scorso capitolo??? T___T Che
depressione!
Scusate il ritardo ma sono andata in Germania per due settimane e la ff
è rimasta in Italia XD per farmi perdonare
metterò altri due capitoli prima di ripartire!
Vado a disfare la valigia .___.
Qualcuno commenti T^T
Baci!
Bethan
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Capitolo 18 *** You are the Lighthouse in my Darkness ***
-E voi cosa ci fate qui?-
-Potrei chiederti la stessa cosa, discemolo. Che fine ha fatto il tuo
cane da guardia?- Allen si grattò pigramente un orecchio
–diciamo che aveva bisogno di riposo e l’ho un
po’ aiutato- disse, restando sul vago.
Continuava a chiedersi che cosa ci facesse il suo maestro davanti alla
stanza di Hoshi a quell’ora, ma ogni sua domanda fu prevenuta
dall’intervento della diretta interessata.
-Posso esservi utile?- la voce risuonò beffarda alle loro
spalle.
-Devo parlarti- disse subito Cross, facendo un passo in avanti. Gli
occhi neri di Hoshi si spostarono su Allen, con uno sguardo decisamente
più gentile di quello che avevano riservato al Generale
–ti serve qualcosa?- chiese. L’albino scosse la
testa, mesto.
-Volevo solo vederti, ma se ti disturbo…- la ragazza fece
subito cenno di no, lanciandogli la chiave della camera
–aspettami. Tanto sarà una cosa breve- disse,
accennando seccamente all’uomo di fianco a loro.
Allen annuì ed entrò nella stanza, lasciandoli
fuori. Hoshi e Marian si allontanarono, infilandosi in uno sgabuzzino
abbandonato.
-Allora, che vuoi?- chiese lei bruscamente. Non le piaceva affatto che
la fosse venuta a cercare a quell’ora, e meno ancora le
piaceva che lui ed Allen si fossero incrociati davanti alla sua stanza.
-Solo chiederti se le voci che girano sono vere-
-Sai come la penso riguardo alle voci sul mio conto- ci fu un rumore
secco di un palmo che picchiava contro la parete.
-Questo non è uno scherzo, maledizione. Hai capito o no cosa
c’è dentro quel ragazzo?- Hoshi guardò
l’uomo che le stava di fronte, gelida –ho capito
benissimo. E lo vedo, anche, quindi penso di avere più
ragioni di tutti voi per capire- mormorò.
-Hoshi, è condannato. Soffrirai di nuovo- stavolta fu il
turno della ragazza di sbottare.
-Anch’io sono condannata, Marian. Ma lui è
riuscito a mostrarmi che nonostante questo prima della sentenza si
può ancora vivere- sibilò a una manciata di
centimetri dal suo viso –che anche nelle tenebre
più profonde si può trovare una luce- si
allontanò da lui, tornando fredda come il marmo
–che ti prende? Non dirmi che sei geloso- mormorò
in tono di scherno. Trattarlo a quel modo le faceva male. Non avrebbe
voluto farlo soffrire, ma era l’unico modo che aveva per
proteggere la se stessa che aveva trovato lì. Doveva erigere
barriere che reggessero la peggiore delle tempeste, per non far portare
via quel germoglio luminoso nato su terra bruciata.
All’improvviso le braccia dell’uomo la afferrarono,
sbattendole la schiena contro il muro, e le labbra di Marian si
impadronirono delle sue.
Hoshi gli sferrò un calcio allo stomaco con tutta la forza
che aveva, facendolo finire addosso alla parete opposta, poi lo
afferrò per il bavero per la giacca e lo
scaraventò brutalmente fuori dallo stanzino.
-Non mi toccare- ansimò con la voce che le tremava
–mai più, mai più in questo modo!- la
sua voce salì fino a diventare un grido che
riecheggiò nel corridoio. Non se ne preoccupò: su
quei piani, così in alto, non c’era quasi nessuno.
-Ma che succede?- quasi nessuno, tranne lui. Hoshi imprecò
mentalmente, fissando con odio l’uomo steso a terra.
-Niente. La discussione è conclusa, e non
ritornerò sull’argomento- nelle sue mani
brillò la katana nera, che in un istante si ficcò
sotto la gola di Cross, lasciandovi un sottile solco rosso
–che ti sia da monito- sibilò fissandolo
–azzardati a rifarlo e l’avere una testa attaccata
al collo non sarà più un tuo problema-
l’arma scomparve, Hoshi afferrò Allen per un
polso, trascinandolo in camera e sbattendo violentemente la porta.
Marian si passò un dito dove Hoshi l’aveva ferito,
fissando il rosso del sangue sul polpastrello con un sorriso amaro
stampato in viso.
Alla fine, lo spingerla a seguire l’Ordine l’aveva
fatta allontanare da lui.
Non importava, se lei era felice. Ma temeva che in questo modo le cose
avrebbero potuto solamente volgersi al peggio.
---
Cercò di recuperare un minimo di autocontrollo, mentre Allen
la guardava con tanto d’occhi. Forse non si aspettava di
vederle saltare i nervi a quel modo.
-Scusa se ti ho fatto aspettare- disse, constatando con sollievo che
anche il tono di voce era tornato alla normalità
–c’era qualche punto che andava messo in chiaro-
andò ad abbandonarsi pigramente sul letto, poggiando la
schiena contro il muro gelido e sospirando. L’albino si
sedette di fianco a lei in silenzio.
Intanto fuori aveva iniziato a piovere. L’acqua scrosciava
sulle pareti della torre, rimbombando al suo interno e alterando ogni
suono. Quel rumore le faceva venire sonno, pensò Hoshi
sbadigliando.
-Come mai conosci il maestro?- chiese Allen dopo un po’. Lei
abbozzò un sorriso amaro: in effetti, era un po’
una pretesa il non dirgli nulla.
Si chiese come l’avrebbe presa.
“Hai paura?” le parole di Jerry le tornarono in
mente.
“Adesso si” pensò. Adesso aveva paura,
anche se non sapeva bene di cosa.
-Sei sicuro di volerlo sapere?- gli chiese, guardandolo negli occhi.
Allen la fissò di rimando a metà fra
l’incuriosito e lo spaventato –s-so che il maestro
è una persona particolare, ma così mi fai paura-
Hoshi ridacchiò, ma i suoi occhi non sorridevano affatto
–e fai bene ad averne. Sapessi quanta ne ho io-
mormorò, abbassando la testa e fissando il materasso.
Da dove doveva iniziare?
Sentì un braccio di Allen passarle intorno alle spalle, e la
cosa la rincuorò. Intrecciò le dita con quelle
della mano che poggiava sulla sua spalla destra e cominciò.
-Io… ricordo poco della mia infanzia. Vivevo in un
orfanotrofio, non so dove, ma tutte le volte che ci ripenso mi torna in
mente il rumore del mare, quindi forse si trovava su una scogliera, o
su una spiaggia- mormorò, rievocando quelle scarse immagini
che le tornavano alla mente –non avevo né questi
capelli, né questi occhi- sorrise, tirandosi distrattamente
una ciocca bianca –e ricordo che il loro colore mi
sembrò importante soltanto quando, a dodici anni, venne mio
fratello a portarmi via di lì- sentì Allen
trattenere lievemente il fiato, e pensò che avesse
già fatto il collegamento –capelli rossi, e occhi
castani. Marian è mio fratello- mormorò Hoshi.
-Ma… a dodici anni ero già allievo del maestro
anch’io, perché non ti ho mai vista?- chiese Allen
disorientato.
-Perché Marian mi lascò ad Edo, in una casa
curata solo da akuma modificati da lui- continuò la ragazza
–sarà per questo che non mi fanno tanto effetto.
Veniva spesso a trovarmi, però, quasi tutti i giorni.
Possibile che non ti ricordi?- l’albino fece un verso di
comprensione –ora che mi ci fai pensare, si… quasi
tutti i giorni, appena dopo l’ora di cena, e stava via tutta
la notte- Hoshi annuì, intercettando lo sguardo sorpreso del
ragazzo –non biasimarti per aver pensato che andasse a donne.
Appena mi fui ambientata, la sua principale occupazione
tornò quella- ridacchiò, ma di nuovo
un’ombra triste le oscurò il viso.
Non gli aveva ancora detto tutto.
Non ne aveva il coraggio.
-Ma cosa ti ha detto prima per farti arrabbiare a quel modo? Credevo lo
avresti ucciso!- a puntino arrivò la domanda di Allen, che
la mandò ancora più in crisi. Hoshi lo
fissò, poi fece un gesto noncurante con una mano,
trincerando ogni sua preoccupazione dietro ad un’espressione
spavalda –dovevo solo mettere nettamente in chiaro una cosa-
mormorò, fissando il muro di fronte a sé.
Allen non insistette, cosa che da Hoshi fu ringraziata con molte
benedizioni. Non sapeva perché, ma quel piccolo ed
insignificante particolare non voleva assolutamente saperne di uscire
dalla sua bocca.
Concluse che non era poi così importante. Quel passato,
chissà come, per lei non contava più niente. E se
a Marian fosse venuta la balzana idea di fare la spia, avrebbe
modificato tutti i suoi akuma e gliel’avrebbe dato in pasto.
Un sorriso omicida le si allargò sul volto al pensiero.
-Ho-Hoshi?- Allen la fissava spaventato, e lei sospirò:
possibile che incutesse così paura?
-Niente, stavo solo pensando- disse, non contribuendo per niente a
sopire i timori dell’albino.
-A cosa?- chiese titubante.
-Al fatto che ti avevo detto di chiamarmi in un altro modo, se non
ricordo male- rispose, grattandosi un dito con finta noncuranza.
Lo sentì sorridere, e ancora una volta si stupì
di come con Allen sembrasse superfluo ogni contatto per sapere cosa
stava facendo o che espressione aveva sul viso.
La colpì un pensiero improvviso, utile anche per sviare da
argomenti pericolosi.
-E Link? L’hai sepolto vivo?- chiese, guardandolo con un
sopracciglio alzato.
Il sorriso sadico stavolta s’impadronì del volto
di Allen, che iniziò a sghignazzare, raccontando qualcosa su
un’oscura e sinistra invenzione di Komui.
Quel teatrino la fece ridere, anche se ben ricordava la devastazione
che era capace di causare il pallino delle invenzioni di quel pazzo.
Era ovvio però che stavano continuando a sviare
dall’argomento principale, e così fu
finchè Allen non si decise ad affrontarlo.
-Ehi- fece a un certo punto, serio. Gli occhi di Hoshi si fissarono nei
suoi.
-Quello che è successo in missione…
ecco…- santo cielo, che imbarazzo! Hoshi distolse
bruscamente lo sguardo, sentendosi arrossire fino alla radice dei
capelli, mentre il cuore le batteva all’impazzata nel petto,
del tutto incurante dell’infarto a cui era prossima la sua
proprietaria.
-…so che la domanda può sembrare strana-
continuò Allen, evidentemente in agitazione quanto lei, dal
momento che continuava a guardare da una parte all’altra come
impazzito.
-…ma tu sai perché è successo?-
chiese, alla fine.
Hoshi tutto si aspettava, meno che una domanda del genere.
Avrebbe tanto voluto saperlo anche lei, il perché. Sapeva
che l’aveva voluto, sapeva che ne era felice, ma non aveva la
più pallida idea del perché fosse successo.
Non voleva dargli il nome di sentimento. Non ci riusciva. Non ancora.
-I-io non lo so- sussurrò, avvertendo uno strano gelo
invaderle il petto e lo stomaco, una sensazione così
sgradevole che le fece sgranare gli occhi.
“Ma che mi succede?” sentiva le mani artigliare la
stoffa della veste, fredde come il marmo.
Si pentì istantaneamente di averle fatto quella domanda non
appena la vide andare in crisi a quel modo.
In effetti, a dirla tutta il perché non lo sapeva nemmeno
lui. Non sapeva neppure se fosse così importante ma, che
fosse fondamentale o meno, il non saperlo spiegare disorientava Hoshi a
morte per qualche motivo a lui oscuro.
Le prese una mano e quasi si spaventò nel sentire
quant’era gelata.
Decise in quell’istante che non poteva sopportare di vederla
in quello stato, e che avrebbe preferito di gran lunga che gli tirasse
un manrovescio per quello che stava per fare.
Non capiva cosa l’avesse spinto verso di lei a quel modo,
sentiva come se fra loro ci fosse una sorta di connessione, come se
potessero capirsi ad un livello molto, molto più profondo
del normale.
Le accarezzò lievemente una guancia, girando il viso verso
il suo e portandosi vicino a lei. Hoshi seguì i suoi
movimenti senza staccare gli occhi dai suoi.
Ancora una volta, ad Allen quelle tenebre sembrarono luminose.
Appoggiò lievemente le labbra su quelle di Hoshi,
sfiorandole il viso con le mani.
Non sapevano perché stesse succedendo tutto ciò,
eppure il ragazzo sentiva che nessuno dei due voleva che finisse.
Hoshi ricambiò il bacio, infilando le dita fra i suoi
capelli. La schiena gli si riempì di brividi.
Si separarono, e la strinse a sé senza dire una parola.
-Scusami. Non avrei dovuto chiedertelo, dal momento che nemmeno io lo
so- stretta fra le braccia di Allen, quelle parole le arrivarono come
da una dimensione fastidiosa e lontana. In quell’istante
più che mai avrebbe voluto scordare ogni cosa esterna e
rimanere sola con quella pacificante sensazione di felicità.
-Non scusarti. E’ che ancora non ce la faccio a…-
sussurrò, ma si interruppe. Non riusciva a fare cosa? A
rendere conto del suo passato? A superare quella paura che si era
impadronita di lei quando avrebbe dovuto salire tutto a galla? Avrebbe
tanto voluto non averla, eppure non riusciva a levarsela dalla mente,
intuendone solo molto vagamente il motivo.
-Lo so. Va tutto bene- mormorò Allen, appoggiandole le
labbra sui capelli. Hoshi si stupì di come si sentisse bene
in quel momento, di come ogni problema, ogni odio ed ogni rabbia
fossero svaniti come polvere dalla sua anima.
-Si- bisbigliò in risposta. Finchè le cose
fossero andate a quel modo, non poteva che andare tutto bene,
pensò chiudendo gli occhi.
-Aster- la chiamò lui dopo un po’. Buffo come
suonasse incerto quando usava il suo vero nome, pensò. In
effetti, pareva strano anche a lei: erano secoli che nessuno la
chiamava così.
Una fitta allo stomaco le ricordò chi fosse stato il primo a
farlo, ma la ragazza la scacciò con rabbia.
Perché doveva sempre intromettersi nei suoi pensieri?
-Dimmi-
-Tu non hai paura?- Hoshi emise uno sbuffo di esasperazione.
-Cos’è, la serata delle domande impossibili?-
rispose acida, senza rendersi nemmeno conto di essere scattata sulla
difensiva. Allen non disse niente, ma lo sentì irrigidirsi e
sospirò.
-Scusa. Te l’ho detto, non ci sono abituata-
mormorò.
Ci fu solo silenzio, fino a quando non si decise a parlare di nuovo.
-Io… ho paura, Allen- disse pianissimo, rendendosi conto di
averlo ammesso per la prima volta anche con se stessa.
-Ho paura di queste tenebre. Voglio che finiscano, ma so che sono
destinata a caderci comunque- la sua voce si affievolì
ulteriormente. Allen le accarezzò i capelli,
attorcigliandosi una ciocca attorno a un dito. Erano cresciuti, adesso
arrivavano una buona spanna sotto le spalle, candidi come una cascata
di ghiaccio.
-Finiranno- mormorò, ma la sua voce non era più
sicura come prima. Hoshi riuscì a sentire la sua paura da
quell’unica parola.
Anche lui rischiava di essere inghiottito
dall’oscurità. Tendeva a dimenticarlo un
po’ troppo spesso, si rimproverò.
-Lo sai? Non c’è mai quando siamo insieme- disse
con un mezzo sorriso, sbirciando sopra la spalla del ragazzo. Si
riferiva all’ombra del Quattordicesimo. Allen sorrise a sua
volta.
-Non lo dici per rincuorarmi?- chiese. Lei lo guardò
interdetta –certo che no. Piuttosto che dire una cosa simile
per finta starei zitta, mi pare ovvio- disse decisa, aspettando che le
spiegasse il perché di quella domanda.
-Non sopporto come mi guardano- disse con un sospiro secco
–gli altri. Come se sul mio capo pendesse una sentenza di
morte- la sua voce si fece diversa dal solito tono rassicurante, era
frustrata, dura, amareggiata. Hoshi sentì come se Allen
stesse per la prima volta dicendo realmente cosa pensava dietro a
quella maschera sorridente che indossava sempre per non far preoccupare
gli altri.
-Non sono granchè nel decifrare i rapporti umani- disse
–ma credo che lo facciano perché sono preoccupati
per te- era la risposta più ovvia ad un problema del genere,
eppure si odiò per avergliela data.
Lei stessa sapeva benissimo che quelle parole non significavano niente.
-Tu non lo fai. Non sei preoccupata?- domandò Allen in tono
di sfida. La ragazza non ci badò: decise che
finchè gli fosse servito per buttar fuori tutto
ciò che non aveva mai espresso, avrebbe sopportato di tutto.
-Certo che lo sono- rispose decisa come sempre –ma io so come
ci si sente. Per questo non lo faccio. Per chi non lo sa è
più difficile, credo- aggiunse.
-Sembra che per loro io non sia più lo stesso di prima. Mi
sento come un estraneo di cui nessuno si fida-
-Questo non è vero- quelle parole le sfuggirono di bocca
prima che potesse controllarsi, innescate dallo sfogo di Allen. Il
ragazzo la guardò senza dire niente, e Hoshi lo
fissò di rimando dritto negli occhi, senza distogliere lo
sguardo nemmeno per un istante –io mi fido. Quella cosa non
sei tu. Potrà anche possederti e divorarti, ma non sei tu.
Non lo penso, e non lo penserò mai- disse con enfasi.
Allen la strinse a sé con più forza, e Hoshi
ricambiò l’abbraccio. Lo sentiva fragile, e non
l’avrebbe lasciato andare a fondo in quel buio senza lottare
assieme a lui.
Osservandolo in silenzio, erigendo barriere fra sé e tutti
loro, aveva visto benissimo che Allen lottava con tutti, ma che nessuno
lottava realmente con lui.
-Grazie- rispose dopo un po’, senza allentare la presa
–io… io credo sia per questo. Non avevo mai detto
queste cose a nessuno- mormorò. Il cuore di Hoshi fece una
serie di capriole, malgrado la serietà della conversazione.
Rimasero in quella stanza tutta la notte, senza chiudere occhio.
Si conobbero forse ad un livello ancora più profondo di
quello delle confidenze più segrete; le tenebre che li
avvolgevano si fusero e loro si incontrarono in esse, illuminandole con
la loro luce maledetta dalla vita.
All’alba, Allen fece per andarsene, quando, appena ebbe messo
la mano sulla maniglia della porta, Hoshi lo afferrò per una
manica, gli occhi bassi.
Il ragazzo le prese la mano, guardandola dolcemente.
-Tutto bene?- era più un modo per darle
l’occasione di parlare, più che per chiederle
realmente conto della situazione.
Entrambi dubitavano che potesse andare meglio, in quel momento.
-Ecco, Allen, io…- balbettò lei incerta, senza
sollevare gli occhi dal pavimento. La voce le tremava, poi
d’improvviso alzò il viso e lo guardò
con un’espressione a metà fra la decisione e la
paura.
-Io… non lo so, non so perché stia succedendo-
sussurrò, tormentandosi i capelli con la mano libera
–so solo che c’è una cosa che
anch’io non ho mai detto a nessuno, e che vorrei dire a te.
Però devi farmi una promessa- aggiunse precipitosamente, gli
occhi lucidi e le guance arrossate. Allen si avvicinò a lei
e le sfiorò la fronte con un bacio, appoggiandovi poi sopra
la sua e fissandola negli occhi.
-Tutto quello che vuoi- disse.
-Devi credermi. Promettimi che crederai a quello che ti dico, qualsiasi
cosa possa succedere- la ragazza si morse un labbro, ma una lacrima le
sfuggì ugualmente dagli occhi scuri.
La baciò dolcemente e a lungo, finchè non la
sentì rilassarsi, poi si staccò e le
mormorò a fior di labbra –credo soltanto a te-.
Hoshi sentiva che era quello l’essenziale. Si fidava di
Allen, ma lui doveva crederle, o quello che erano riusciti a trovare
sarebbe potuto facilmente sparire nel nulla per una sola parola di
troppo.
Non avrebbe sopportato di perderlo.
Non dopo aver capito.
Era vero, non sapeva né il motivo né le
conseguenze che ciò che stava succedendo avrebbe potuto
avere, ma era perfettamente conscia di cosa stesse succedendo.
Passò le braccia attorno al collo di Allen e
avvicinò le labbra al suo orecchio. Era sicura che il
ragazzo potesse sentire i battiti del suo cuore, da tanto che erano
forti.
“Hai paura?” la voce di Jerry le risuonò
in testa anche in quel momento.
“No, di questo no” pensò sicura,
chiudendo gli occhi.
-Ti amo- sussurrò.
Non sapeva quando la sua mente avesse fatto il passo definitivo che
l’aveva portata a capirlo, ma ne era perfettamente certa.
Poco importavano i motivi, alla fine, e poco importava il fatto che
stesse accadendo tutto all’improvviso. Aveva aspettato fin
troppo, immobile in un gelo che le aveva portato solo dolore e buio.
Adesso era ansiosa di immergersi totalmente in quella luce, non
importava per quanto sarebbe durata.
Sentì la risposta di Allen, sentì
l’emozione nella sua voce e intuì che la sua
doveva aver suonato in un modo simile.
Non importava quanto a lungo sarebbe durata quella luce, no,
purchè ci fosse in quel preciso istante.
Note dell'Autrice:
E all'alba della mia partenza per l'Irlanda, eccovi un nuovo
sdolcinatissimo capitolo in cui non succede un'emerita cippa di niente!
Ma gli sviluppi arriveranno, tanti e tutti insieme, dovete solo avere
pazienza. Siccome con questo caldo boia mi sono presa una congestione
non posso stare molto a commentare... se avete osservazioni scrivetele
nei commenti e vi risponderò appena mi riprendo!
Rispondiamo ai commenti:
DarkAngel_oF_DarkNess:
sono troppo contenta quando leggo i commenti di qualcuno a cui piace la
mia fanfiction *__* spero che continui a seguirla anche nella sua lenta
evoluzione (con tutti i colpi di scena che ho in mente dovrò
rileggerla tutta prima di postare ogni successivo capitolo..!) :)
Sherly:
ooooh, adesso ci siamo u.u questo capitolo bello sentimentale credo che
ti piacerà (spero!) ;) il "capitanessa ovvio" mi
è uscito dal cuore, vista la situazione... Lina
avrà il suo sviluppo come tutti gli altri personaggi...
aspetta e vedrai! ;D
Baci a tutti!! Fatemi trovare qualche commento quando torno
>____<
Bethan
|
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Capitolo 19 *** Madness fire ***
Appoggiò il palmo della mano al legno
freddo della porta.
Non sapeva se bussare o meno, vista l’ora e la situazione, ma
davvero non sapeva a chi rivolgersi.
Ad un tratto la porta si spalancò improvvisamente, facendola
sobbalzare. Si trovò davanti all’unico occhio
verde di Lavi che la guardava beffardo.
-Hai intenzione di star lì a meditare ancora per molto?-
chiese ridacchiando e spostandosi per farla passare.
-Non volevo disturbare…- sussurrò senza muoversi,
sbirciando dentro.
-Il vecchio non c’è- disse lui, intuendo i suoi
pensieri –è andato in missione, tornerà
domani- Linalee entrò a passo felpato nella stanza stracolma
di libri, giornali e fogli fitti di scrittura accatastati dovunque.
C’era a malapena lo spazio per camminare.
Si sedette sul letto, sentendo le molle cigolare quando Lavi fece lo
stesso.
-Che succede?- chiese lui, semplicemente.
Linalee non sapeva perché fosse capitata proprio da lui.
Forse perché era l’unico a sapere,
l’unico con cui avesse parlato.
-Non riesco a dormire- mormorò, sentendosi opprimere il
petto al pensiero di rievocare un’altra volta tutto quello
che sentiva.
Non era mai stata così confusa, così divisa.
Il rosso sospirò –andiamo, forza- la prese per
mano, facendola rialzare e forzandola fuori dalla camera.
-Ehi, aspetta! Andiamo dove?- balbettò stupita. Lavi sorrise
–non credo questo sia il posto migliore per te, ora. Andiamo
a farci un giro- spalancò una finestra e tirò
fuori l’innocence, evocandola.
-Ma se mio fratello ci scopre…- iniziò lei, non
opponendo però resistenza quando il ragazzo la prese in
braccio e salì sul manico del martello.
-Gli dirò che ho evitato che tu impazzissi. Dovrebbe essermi
abbastanza grato- sentenziò, partendo a tutta
velocità verso il cielo.
-E gli akuma..!- non stavano facendo nulla di male, tecnicamente.
L’Ordine non era una prigione. Però era molto
pericoloso, dato che lei non poteva neppure usare l’innocence.
-Ci sono io, tranquilla- mormorò Lavi concentrato sulla
destinazione.
In un impeto di ribellione, Linalee decise di non preoccuparsi e si
appoggiò al petto del ragazzo, godendo del vento freddo
della notte che sembrava spazzare via tutti i pensieri che le
bruciavano dentro.
Arrivarono in un paese in festa, diverso dal grigiore quotidiano.
Lanterne dai colori allegri erano appese dovunque, lungo la via
principale ma anche nei vicoli più nascosti. La luce regnava
sovrana, di mille sfumature diverse.
Un delizioso profumo di cibo si spandeva per ogni anfratto, e dovunque
era un viavai di gente che rideva e scherzava, incurante del freddo.
-C’è una festa… non lo sapevo-
mormorò Linalee, rinfrancata da quella vista. Lavi le mise
un braccio attorno alle spalle con un gran sorriso e le
indicò la folla –che aspettiamo? Andiamo, avanti!-
si immersero nel flusso di persone, per una volta dimentichi del fatto
che potessero esservi degli akuma.
Il ragazzo indossava vestiti normali, l’innocence ben
nascosta sotto al maglione. Non c’era quel bersaglio sul loro
cuore, per una volta, ed entrambi se ne sentirono liberati.
Si sedettero ad un banco dove vendevano dolci, e Lavi
intercettò lo sguardo malinconico di Linalee posarsi su
tutto quello che Allen mangiava abitualmente a colazione.
“Maledizione. Ma ti piace così tanto?”
pensò frustrato, quando gli venne un’idea sentendo
i discorsi delle persone dietro di loro.
-A che ora è lo spettacolo pirotecnico?- chiese una ragazza
a quella che le stava accanto.
-Fra un’ora, sul ponte! Forza, andiamo a ballare!- corsero
via ridendo. Osservò di nuovo Linalee, che non dava segno di
averle sentite.
La afferrò per un braccio, trascinandola verso un punto se
possibile ancora più zeppo di persone, da cui si sentiva una
forte musica allegra.
-Lavi, non credo di…- iniziò lei, ma le
appoggiò un dito sulla bocca, zittendola.
-Cerca di non dare spazio a quei pensieri. Non li escludere,
semplicemente pensa ad altro- mormorò sorridendo.
Ballarono assieme, il viso della ragazza che andava sempre di
più distendendosi, poi ad un tratto Lavi guardò
la torre dell’orologio: c’erano quasi.
-Andiamo- le sussurrò in un orecchio, avvicinandosi a lei
–ti porto a vedere una cosa!- Linalee lo seguì
senza fiatare.
-Appena in tempo!- esclamò Lavi, sbucando
sull’argine del fiume nell’esatto istante in cui un
enorme fuoco d’artificio color arancione esplodeva sopra di
loro.
-Wow! I fuochi d’artificio! Li adoro!- Linalee si
sentì rinascere a quella vista. Le ricordava la sua infanzia
in Cina, quando ogni festa si concludeva sempre con uno spettacolo
scintillante.
Era grata a Lavi per averla portata lì, consentendo alla sua
mente di concentrarsi su cose più piacevoli. Non le aveva
chiesto niente, e gli era riconoscente anche per questo: in fondo, la
cosa che meno voleva fare era parlarne.
Avrebbe voluto dimenticare tutto ciò che aveva provato ed
essere semplicemente contenta per i suoi compagni, ma qualcosa in lei
non ci riusciva. Ricordò la freddezza di Hoshi quando aveva
affrontato l’argomento, probabilmente dovuta al disagio, e si
sentì stupida per essere andata a piangere da lei in quel
modo.
Come se volesse rinfacciarle la sua felicità. Ma chi si
credeva di essere?
-Ci pensi ancora?- la voce del ragazzo la riscosse dai suoi pensieri,
mentre altre figure brillavano fra le stelle, colorandole.
Fece un sorriso mesto –sembra che non possa farne a meno-
sussurrò –non so cosa fare- sentì la
voce iniziare a tremare e si impose di controllarsi. Non voleva
crollare come l’ultima volta, ma Lavi la
abbracciò, stringendole le braccia attorno alla schiena.
-Sfogati pure. Nessuno verrà a sapere di stasera-
mormorò.
Quelle parole ebbero l’effetto di farla sciogliere del tutto.
Iniziò a singhiozzare, prima piano, poi sempre
più forte, il suono del suo pianto che si mescolava con lo
scoppiettare dei fuochi.
Lavi non sapeva che fare. Era la prima volta in vita sua che si trovava
totalmente preso alla sprovvista a quel modo.
La missione nell’arca lo aveva messo davanti ad un crocevia
drammatico, e il Sogno di Road aveva evidenziato come giusta la strada
peggiore.
Cosa doveva fare?
Strinse le braccia attorno al corpo di Linalee, sentendola tremare
contro il suo petto. Sospirò: in quel momento non poteva
fare davvero niente, e non solo per via della propria situazione
delicata.
Dubitava che la ragazza sarebbe stata in grado di rispondergli in
maniera decisa, qualora lui avesse… scosse violentemente la
testa, sforzandosi di scacciare immediatamente quel pensiero.
Lui non doveva fare niente. Essere lì in quelle circostanze
era già un rischio abbastanza grosso.
Non poteva andare oltre, quello era il confine che non doveva in nessun
modo oltrepassare.
Rimasero lì ancora, Lavi si limitò a stringere a
sé la ragazza piangente. Il rumore dei suoi singhiozzi si
mescolava all’esplosione del fuoco.
---
-Ehi- il richiamo brusco del cretino del villaggio la fece voltare con
un sopracciglio alzato ed un’aria decisamente scocciata
stampata in viso.
Se voleva litigare, non aveva che da dirlo. Sarebbe stata la volta
buona per levarselo definitivamente dai piedi, ma purtroppo per lei
sembrava che le intenzioni di Lavi non fossero quelle di farsi
amabilmente scannare.
-Che vuoi?- chiese, caustica come al solito, mentre appoggiava
pesantemente il vassoio sulla pila lasciata da Allen.
-Devo parlarti. Adesso- disse il rosso, senza smettere di fissarla un
secondo con quell’aria truce.
Hoshi sospirò, girandosi verso Allen che la guardava poco
distante. Gli fece cenno di avviarsi con la mano, non sapeva
perché ma l’aria di Lavi la rassicurava ben poco.
Lo seguì fino in giardino, lontano da orecchi indiscreti.
-Cosa c’è fra te ed Allen?- chiese lui senza alcun
preambolo.
La ragazza sbottò in una risata irritata e sarcastica
–scusa? E perché dovrebbe interessarti?-
domandò di rimando.
Possibile che non riuscissero in alcun modo a lasciarla in pace?
-Mi interessa perché Lina sta male- rispose Lavi brusco,
strappandole un ghigno beffardo.
Allora era davvero andata a piagnucolare da lui, pensò, non
senza una punta di delusione. Credeva che Linalee fosse diversa, tutto
sommato. L’aveva sopravvalutata.
-Mi dispiace, ma non posso farci niente. Se Allen avesse scelto lei, io
mi sarei fatta da parte- disse seccamente, poi mosse due passi verso il
castello, girandogli le spalle e dandogli a intendere che la questione
per lei era chiusa.
Non avrebbe sprecato una parola di più su
quell’argomento, ma prima che potesse allontanarsi a
sufficienza sentì il rumore del martello di Lavi che veniva
scagliato a tutta forza contro di lei.
Riuscì a schivarlo per un pelo, abbassandosi
all’ultimo secondo.
-Baratro- mormorò, gli occhi che nei giorni precedenti
avevano mostrato qualche barlume di luce tornati ad essere pozzi senza
fondo, famelici, che inghiottivano qualsiasi cosa si parasse davanti a
loro con l’intento di ostacolarli.
Lavi frenò l’attacco, evitando lo specchio che
minacciava di inghiottire la sua arma.
-Non mi farò problemi, Bookman Junior- disse piano Hoshi,
fissandolo –se è la lotta che vuoi, sii pronto a
morire- la katana nera le comparve fra le mani, la lama insolitamente
lunga –ti concedo di pensare a ciò che hai di
importante, poi sappi che se mi attacchi non avrò remore-
non distolse nemmeno un istante gli occhi dal suo. Il ragazzo
aggrottò le sopracciglia e assottigliò le
palpebre –è per ciò che ho di
importante che sto facendo questo. Tu devi sparire! Timbro di fuoco!-
piantò il martello a terra, e le fiamme si sprigionarono
immediatamente, altissime, in colonne immense.
Hoshi tracciò fulminea un cerchio attorno a sé
con la katana –Sesto Riflesso: grembo materno-
sussurrò. Una sfera nera come la notte la avvolse
completamente, lasciandola per qualche istante immersa in
un’oscurità densa e tiepida. Sentì
l’energia venire risucchiata piano dal suo corpo da quella
nuova tecnica. Era potente, ma esigeva un prezzo alto,
constatò, sentendo la carne dei polsi bruciare.
La sciolse appena in tempo per vedere Lavi roteare di nuovo la sua
arma, e non perse un istante.
Lo specchio si materializzò al suo fianco, mentre scattava
fulminea verso il ragazzo, prevedendo un nuovo timbro di fuoco, ma le
fiamme stavolta le si pararono davanti improvvise, circondandola in una
cerchia mortale.
-Dannazione- imprecò, tossendo per il fumo e notando con
preoccupazione crescente che il cerchio si stringeva sempre di
più. Non poteva usare di nuovo il Sesto Riflesso, ne sarebbe
andato della sua vita. Ma anche se avesse tentato di usare il Baratro,
quelle fiamme avrebbero continuato a rigenerarsi.
Era in trappola.
-Illusione, vento dell’Est!- una voce profonda seguita da una
fortissima folata di vento gelido che disperse in un istante le fiamme
piombò di fianco a lei.
-Kanda?- Hoshi lo fissò sbigottita: che quello la salvasse
era davvero una cosa fuori dal mondo, ancora di più
dell’improvvisa pazzia di Lavi.
-Tsk. Vuoi fermare quel pazzo o devo pensarci io?- sbottò
acido il giapponese. Hoshi annuì ed evocò la
katana.
Non avrebbe voluto ucciderlo, e quello fu un pensiero che
stupì lei stessa in primo luogo, ma non le stava dando
alternative.
Corse di lato, facendo un cenno d’intesa a Kanda, che
annuì ed iniziò ad attaccare Lavi per tenerlo
impegnato.
Infilò una mano nello specchio, ne estrasse la polvere
argentea e la tenne ben stretta nel palmo della mano. Adesso doveva
avvicinarsi al ragazzo abbastanza per lanciargliela in faccia e
bloccarlo.
Poteva farlo in un solo modo, constatò, osservando
l’ampio raggio che il martello del rosso copriva a terra.
Doveva volare.
Le bruciature facevano urlare ogni suo singolo nervo, assieme alla
fatica dell’evocazione.
-Ali- mormorò, spiccando il volo immediatamente.
Con una manovra molto azzardata, riuscì a portarsi
velocemente accanto al viso di Lavi, soffiandogli la polvere addosso,
ma l’attacco del rosso era già partito, ed il
martello si schiantò contro di lei, avvolto dalle fiamme.
Hoshi sentì solo un dolore allucinante, poi tutto si fece
buio.
Note dell'Autrice:
Ecco il nuovo capitolo... vi comunico con molta depressione che non so
quanto riuscirò ancora ad aggiornare la fanfiction. Spero
che aspetterete, sono determinata a portarla fino in fondo visto che
ormai ne ho già scritta un bel po', ma sto passando un
periodo schifoso e la voglia di scrivere è ancora meno di
quella di studiare, il che è tutto dire. Cercherò
di postare con regolarità i capitoli che ancora mi
rimangono. Mi dispiace se vi farò aspettare.
Grazie a tutti coloro a cui la mia storia piace e che mi aspetteranno
comunque.
Baci
Bethan
|
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Capitolo 20 *** A Voice of Rage ***
-Ahia- quando sentì quel sussurro
soffocato credette in un primo momento di avere le traveggole. Poi vide
gli occhi scuri di Hoshi schiudersi leggermente, fino a spalancarsi del
tutto, neri, stanchi, ma vivi.
Le dita della ragazza strinsero le sue.
-Che cavolo… è successo?- sussurrò,
portandosi l’altra mano alla tempia.
Allen le scostò gentilmente un ciuffo di capelli dal viso
–Lavi ti ha attaccata- si rese conto che la sua voce non
voleva saperne di rimanere ferma, ma davvero non avrebbe saputo cosa
farci.
Quando aveva visto arrivare Kanda, anche lui pieno di ferite, con Hoshi
in braccio conciata a quel modo, aveva creduto che sarebbe impazzito.
Persino Komui, che di solito era abbastanza paziente, era arrivato ad
allontanarlo in malo modo dall’infermeria.
Invano aveva tentato di estorcere a Kanda informazioni su
ciò che era successo. Il giapponese si era chiuso in un
mutismo incorruttibile ed era sparito chissà dove.
Ma la cosa peggiore era un’altra.
Ed Allen non riusciva davvero a capacitarsi di come fosse potuta
succedere una cosa simile.
-Lavi… Lavi ti ha colpita in pieno col timbro di fuoco-
mormorò con un filo di voce, chinando la testa
–sei qui da una settimana, non ti svegliavi,
credevo…- Hoshi si tirò a sedere ed
appoggiò la testa sulla sua spalla, ponendo fine al suo
sussurro sconclusionato –si- mormorò
–l’ho pensato anch’io-.
-Ma… perché?- le chiese dopo un po’,
senza muoversi di un millimetro da quella posizione.
La sentì sospirare –non vuoi saperlo- disse piano.
Suo malgrado, Allen si staccò per guardarla negli occhi con
aria interrogativa –che significa? Certo che voglio saperlo-
mormorò.
Hoshi sospirò nuovamente e si appoggiò ai
guanciali –Linalee… è innamorata di te,
ecco- distolse lo sguardo imbarazzata, fissando un lembo del lenzuolo
–e Lavi mi odia per questo-
-Ma non ha senso, cosa c’entra Lavi?- chiese, ma di fronte
all’ennesimo sospiro della ragazza si sentì
oltremodo ottuso su qualsiasi cosa riguardasse i sentimenti umani.
-A Lavi piace Linalee, Allen. Possibile che tu non te ne sia mai
accorto?- disse, come se fosse stata una cosa di dominio pubblico.
-Ma Lavi è il fut…- tentò ancora
Allen, ma fu interrotto da un gesto brusco di Hoshi –insomma!
Credi davvero che conti così tanto? Lavi non ha mica fatto
una dichiarazione d’amore, ha solo tentato di farmi fuori!-
sbottò, più seccata di quanto in
realtà avrebbe voluto.
Il ragazzo abbassò gli occhi, sospirando a sua volta.
Quindi in pratica era colpa sua, era questo che Hoshi voleva fargli
capire.
Linalee era palesemente innamorata di lui e lui, Allen,
l’aveva ferita, seppur involontariamente. Ma cosa poteva
farci?
Voleva molto bene all’amica, ma quello che sentiva per Hoshi
era una cosa totalizzante, che lo assorbiva completamente, non
paragonabile a nessuna sensazione che avesse mai provato.
Inutile dire che la reazione di Lavi era senza scusanti. Il primo
impulso che aveva avuto dopo aver sentito la secca replica di Hoshi era
stato quello di andare a rendergli pan per focaccia, o perlomeno un
sonoro cazzotto.
Ma il problema era un altro, e più serio, e mano a mano che
un’idea che avrebbe preferito non partorire nemmeno prendeva
sempre più piede nella sua testa, si convinse che quella era
l’unica alternativa possibile.
Per lui, per Hoshi, per tutti. Non solo per quello che era successo
quel giorno, ma per ciò che sarebbe potuto succedere nei
giorni a venire.
Prese una mano della ragazza, sentendo quanto le dita di Hoshi fossero
calde rispetto alle sue, rese gelide da quello che stava per dire.
Si inumidì invano le labbra, tentando di schiarirsi la voce,
fissando le loro dita intrecciate, poi parlò, ed ogni parola
era una coltellata che si imprimeva sempre più a fondo nel
suo stomaco.
-Hoshi, non possiamo continuare. Non voglio assolutamente che per colpa
mia tu debba venire ferita. Non lo sopporterò
un’altra volta- mormorò senza alzare lo sguardo.
Hoshi non disse niente, ma il suo corpo, che prima dava segni di
vitalità, si immobilizzò completamente, come
fosse pietra. La mano di Hoshi rimase inerte fra le sue, senza nemmeno
il più impercettibile dei movimenti.
-Non capisco- fu il suo unico sussurro, dopo un tempo che ad Allen
sembrò eterno. Per la rima volta alzò gli occhi a
guardare il suo viso: pallida come al solito, non c’era
traccia sulle sue guance del lieve rosa che le tingeva a volte quando
erano insieme. Gli occhi neri fissavano il lenzuolo, smarriti,
immensamente profondi.
-Tutto questo non farà che causarti dolore. Sai cosa
sarò destinato a diventare, Hoshi. Non può
durare, in ogni caso- si stupì di quanto suonasse decisa la
sua voce, di quanto fosse fredda, a discapito del dolore che avvertiva
nel petto, che bruciava come mille lame incandescenti. Doverla perdere
dopo averla appena trovata gli sembrava una cosa contro natura.
Di nuovo, un silenzio lunghissimo, poi la ragazza disse altre due
parole, con un tono così duro che gli venne quasi voglia di
fare dietrofront, di dirle che niente di ciò che aveva detto
era vero, che avrebbe voluto continuare a stare con lei
finchè la sua anima avesse avuto forza per resistere al Noah.
-Vattene via- mormorò, piantando gli occhi neri nei suoi e
sfilando la mano dalla sua stretta.
-Hoshi…- balbettò Allen, ma lo sguardo che lei
gli rivolse era esattamente quello dei primi giorni, quando ancora era
convinta di odiarli.
Ma adesso non c’era odio.
C’erano delusione, rabbia, sofferenza, e amore, suo malgrado.
-Lasciami in pace- sibilò. Lo fissò fino a che
non fu costretto ad alzarsi mestamente e ad uscire. Poco dopo
sentì lo scricchiolio della chiave che girava.
Barcollò fino nella sua stanza e si buttò sul
letto, incurante del fatto che il tonfo avrebbe molto probabilmente
svegliato Link.
Si girò verso il muro e pianse.
---
Spalancò la porta col calcio più violento che le
riuscì, scardinandola. Vide la ragazza con i capelli neri
sobbalzare e fissarla prima sbalordita, poi impaurita dal suo sguardo.
-Hoshi! Che succede?- di nuovo, la solita voce pietosa e
compassionevole. Non poteva sopportarla. La rabbia la prese improvvisa,
accecandola. Le tirò uno schiaffo così forte che
la fece cadere in terra tenendosi la guancia.
Respirò affannosamente, cercando con tutte le sue forze di
reprimere l’istinto che voleva solo schiantare una per una
tutte le ossa di quel corpo minuto che aveva davanti, e lo sforzo fu
così grande che le lacrime iniziarono a scenderle copiose
dagli occhi neri.
-E’ tuo, adesso- mormorò in tono glaciale
–spero sarai contenta- fissò qualche istante le
iridi viola di Linalee attraverso il velo umido, cercando di
trasmettere tutto il dolore, tutta la delusione che stava provando in
quel momento.
Si era fidata, di nuovo.
E l’avevano tradita, di nuovo.
Voltò le spalle alla cinese, facendo per uscire.
-Hoshi, aspetta, ti prego!- Linalee la afferrò per una
manica, barcollando ancora per la forza del colpo, ma la ragazza se la
scrollò di dosso con violenza, gettandola contro la parete.
-Avvicinati un’altra volta a me e ti ammazzo-
sibilò con una voce che la mora stentò a
riconoscere –dillo anche agli altri tuoi amici. Statemi
lontani, non voglio più avere a che fare con nessuno di voi-
la voce le si ruppe, ma ormai aveva finito. Uscì dalla
stanza, lasciando la ragazza accasciata per terra, il sangue che colava
da una ferita sul labbro, un grosso livido che andava allargandosi
sulla guancia.
-Cos’è questa storia?- Komui le stava davanti,
serio, ma gli rispose un’occhiata da far paura.
-Non azzardarti- mormorò la ragazza –a darmi la
colpa di qualsiasi cosa. Prenditela con i tuoi adepti che non sono in
grado di compiere un’azione coerente- dita sottili
afferrarono il fascicolo della missione e Hoshi uscì
sbattendo la porta. L’uomo sospirò, prendendosi il
viso fra le mani.
Com’era potuto succedere?
Sembrava che le cose stessero andando meglio, sembrava che Hoshi si
fosse integrata a suo modo col gruppo, sembrava che Allen
l’avesse aiutata.
Lavi era sotto chiave, interrogato strettamente da Bookman, senza
alcuna pietà.
Linalee non faceva che piangere, sconvolta, e girava per
l’Ordine con viso inespressivo.
Allen, dal canto suo, non era messo affatto meglio. Non apriva quasi
mai bocca, era come se il peso di tutto ciò che era successo
gli si fosse riversato improvvisamente addosso, cancellando il suo
solito sorriso inglese.
Ironico, pensò Komui. Tutti gliel’avevano sempre
rimproverato, ma solo adesso che non c’era più
capiva realmente quanto fosse rassicurante.
Qualcosa aveva rotto quell’equilibrio, e lui era un
osservatore troppo scaltro per fingere di non aver capito quale fosse
stata la causa scatenante di quel disastro. Gli anni passati
all’Ordine l’avevano reso in grado di vedere anche
cose che normalmente altri non coglievano.
Ma avere un quadro generale della situazione non lo aiutava affatto.
Non poteva scusare Lavi per ciò che aveva fatto, non poteva
sottrarlo dalle domande del suo maestro, ma non poteva nemmeno
permettere che il gruppo di esorcisti rischiasse la vita per mano di un
elemento incontrollabile come Hoshi.
Per questo aveva deciso di spedirla in missione da sola,
perché avesse il tempo di sfogarsi e calmarsi un
po’, sempre sperando che funzionasse in qualche modo.
Un boato assordante e un’esplosione, seguiti da una violenta
onda d’urto che la sbalzò via di parecchi metri,
invasero la sala grande all’improvviso.
Hoshi atterrò sulla schiena, i fogli che teneva in mano
sparsi e volteggianti nel caos generale. Dovunque erano grida e gemiti.
Si alzò in piedi, incurante del dolore, fissando senza alcun
orrore lo scenario raccapricciante che le si parava davanti.
Uno stuolo immenso di akuma aveva invaso il salone, e la Noah della
forma si era introdotta nell’Ordine tramite l’arca.
Le venne quasi da ridere: tanto lavoro per sorvegliare Allen,
perché non usasse l’arca da solo, e poi i Noah
riuscivano ad intrufolarsi proprio grazie ad essa.
-E’ così divertente, esorcista? Sei sola contro
tutti- la apostrofò la donna, ghignando, ma Hoshi le rispose
con un sorriso sarcastico ancora più ampio.
-Non ho alcuna intenzione di combattere contro di voi- disse
candidamente, mettendosi a sedere. Le sue labbra erano incurvate in un
sorriso, ma i suoi occhi erano come spenti, inespressivi, bui.
-Ti uccideremo, lo sai, esorcista?- chiese di nuovo la Noah,
sovrastando con la sua voce acuta le grida di supplica dei finder e
degli uomini stesi a terra, preghiere cui Hoshi chiuse ogni spiraglio
di luce in faccia.
-Fate pure. Perlomeno voi non vi tradite l’un
l’altro. Siete degni di stima- iniziò a dire con
un’alzata di spalle, ma poi, in fondo alla sala, vide
qualcosa che le bloccò le parole sul nascere.
Un akuma aveva afferrato Jerry, il cuoco, per la gola, e
l’uomo stava per morire soffocato, prima che per
l’azione del virus.
-Baratro- mormorò. Lo specchio si aprì sotto i
piedi della macchina, che ne venne istantaneamente inghiottita,
liberando la sua vittima.
-Ah, allora c’è qualcuno che vuoi difendere!-
esclamò la donna con un risolino, ma Hoshi non diede segno
di averla sentita.
Fulminea, si scagliò verso il cuoco steso a terra, stendendo
il Grembo attorno a loro.
-Posso aprire un portale col Baratro- sussurrò
nell’oscurità –ti porterà al
sicuro. Non tornare qui, non mi troverai, probabilmente- benedisse il
buio che l’accompagnava sempre, perché sentiva il
calore delle lacrime rigarle le guance gelate.
-Hoshi, non fare pazzie- la voce di Jerry tremava –non farti
inghiottire dalle tenebre, puoi uscirne, me l’hai dimostrato-
la ragazza gli strinse una spalla.
-Sei stato l’unico qui dentro che non mi abbia presa in giro,
e te ne sono infinitamente grata- mormorò –per
favore, non cominciare a farlo adesso, non farlo mai. Addio, Jerry-
avvertì la stretta dell’uomo sul suo braccio
dissolversi mentre veniva inghiottito dall’innocence di
Hoshi, trasportato in un luogo dove la ragazza era certa che nessuno
l’avrebbe trovato per un po’. Sperava solo
rimanesse lì.
Dissolse la sfera, trovandosi di fronte all’esercito dei
nemici.
Chiuse gli occhi, mentre avvertiva con precisione il rumore dei
proiettili che venivano caricati e puntati contro il suo corpo.
Volle che l’ultima immagine a passarle nella mente fosse lui,
e rivide nei minimi dettagli i suoi occhi grigi, e quella cicatrice
scarlatta che gli squarciava la guancia, la lacrima che non aveva mai
versato.
E fu quel viso che vide quando, assordata dal rumore assordante degli
spari degli akuma, si sentì strappar via dal suolo e
trascinare bruscamente fuori dalla traiettoria mortale.
Si scrollò bruscamente il corpo di Allen di dosso, senza
dire una parola nemmeno di ringraziamento.
In quel momento, ogni suo nervo era impegnato nello sforzo sovrumano di
non abbracciarlo, di non mettersi a piangere di fronte a lui, di non
mostrargli la sua debolezza ed il suo dolore. I suoi occhi scuri
evitavano continuamente le iridi argentate del ragazzo,
perché Hoshi sapeva benissimo che quel baratro impenetrabile
si apriva solo di fronte ad Allen.
Improvvisamente avvertì un dolore sordo a lato del viso, e
fece appena in tempo a realizzare che era uno schiaffo quando
l’akuma emerse dalle macerie di fronte a loro.
-Trovati, esorcisti!- strillò, poi li fissò per
qualche istante, come se fosse indeciso su chi dei due far fuori.
La ragazza colse il momento alla perfezione. Appena lo vide tendere le
dita per tirare il colpo buttò Allen fuori dal raggio
d’azione, ben consapevole che quell’attacco
probabilmente l’avrebbe uccisa.
-Non mentivo, Allen- sussurrò. Il suo nome gridato con una
disperazione che non avrebbe mai voluto sentire fu l’ultimo
contatto col mondo prima di sprofondare nel buio.
Fissò il corpo di Hoshi frantumare una parete dopo
l’altra, spinto dalla potenza del colpo del livello 4. Era
come se il mondo si fosse fermato, com’era successo quella
volta sull’arca. Un’incredibile voglia di
distruggere ogni cosa si aggrappò alle sue viscere,
infiammandogli tutto il corpo mentre nella testa udì
un’improvvisa voce suadente.
“Posso
aiutarti nel massacro” sussurrò.
“Chi sei?” Allen pose la domanda senza sapere
neppure se il suo interlocutore esistesse o fosse un mero frutto della
sua disperazione. Il volto di Hoshi imbrattato di sangue gli
passò in un lampo nella mente, mentre si sentiva gridare il
suo nome in maniera indistinta, come se fosse stato immerso
sott’acqua.
“Ha importanza?”
quelle parole furono la molla che lo fece scattare.
Chiuse gli occhi, li riaprì e si trovò di fronte
l’akuma.
Iniziò ad attaccarlo senza pietà, mentre tutto
attorno a lui si tingeva di un silenzio terribile. Era diventato sordo
alle grida, ai richiami, alle voci di quelli che aveva considerato suoi
compagni.
Voleva soltanto ucciderlo, e non appena si era abbandonato a quella
voce suadente la furia l’aveva avvolto in un abbraccio di
fuoco, facendogli scordare tutto e tutti.
Note dell'Autrice:
Nonostante il mio periodo no, non posso mollare una cosa già
iniziata... e soprattutto dovevo festeggiare la mia felicità
per il finale del capitolo 207 (per chi non l'avesse letto: FILATE SU
UN SITO DI SCANS) :D :D :D io lo sapevo!!! *saltella gaia e felice su
un prato (?)* ^____^
Diciamo che mi ha risollevato (un pochino) il morale...
Questo capitolo è, come dire... allegro, vero?
>_> di qui in poi la storia diventa un macello, spero che
l'andamento del manga non mi smentisca troppo perchè
già come l'ho scritta finora è un'impresa
ricordarmela, se poi devo pure modificarla... aiuto
ç____ç
Rispondiamo ai commenti:
DarkAngel_oF_DarkNess:
Lavi nelle mie fanfiction diventa sempre la carogna di turno... ma in
questa fanfiction ci sarà una conclusione un po' diversa dal
solito, almeno per come me la sono immaginata finora. Spero che con
l'inizio dell'università mi sparisca il blocco dello
scrittore, intanto buona lettura e grazie per i complimenti e per il
commento ;)
Ciel88:
ehm... come dire... credo che questo capitolo non mostri proprio come
le cose fra Allen e Hoshi vadano sempre meglio ''>_>
...fra poco iniziano a entrare in campo cose misteriose che non conosco
ancora nemmeno io che sto scrivendo (siam messi bene..!!)... spero di
riuscire a far rimanere tutti a bocca aperta! ^^
Sherly:
periodo no... tu mi capisci, vero? T^T mamma mia... mi sento come Hoshi
in questo momento -.-
Grazie a tutti, finchè ci sarà qualcuno che
leggerà non smetterò di scrivere!
Baci!
|
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Capitolo 21 *** Breaking all the Lies ***
Buio. Non c’era altro.
Quel buio che aveva desiderato non aveva però un compagno
fondamentale: l’oblio.
Era ancora cosciente, in qualche modo.
“E’ questo l’aldilà?
Un’immensa tenebra senza niente, buona solo a rendere
folli?” pensò, cercando il suo corpo senza
trovarlo. Non aveva sensibilità, si sentiva semplicemente
galleggiare.
Con una tranquillità sorprendente si mise a pensare ad Allen.
Il dolore, neppure quello era stato soppresso in quel luogo, la
colpì di schianto.
Non l’avrebbe rivisto mai più, e l’unico
ricordo che lui avrebbe serbato di lei sarebbe stato quello della sua
morte.
Il ricordo dolce di quella missione, immersi nella neve e nel silenzio,
tornò a graffiare il suo petto, lasciandovi strisce
infuocate che ben presto sentì scorrere dove intuiva dovesse
esserci il suo viso.
Lacrime, bollenti, le solcavano le guance.
La percezione del corpo stava ritornando, scacciando il silenzio che
iniziava a popolarsi di suoni lievi ma acuti.
Poi, una voce più chiara delle altre.
“Svegliati!”
ordinò.
Le scappò quasi da ridere, non appena la riconobbe.
“Sono morta,
idiota, ed il fatto che tu mi stia parlando vuol dire che sei morto
pure tu” ma la voce non dette segno di aver
sentito la risposta.
“Svegliati,
maledizione! Svegliati, Aster!” un suono buffo
seguì quel richiamo.
No, si disse ripensandoci. Non era buffo, soprattutto non addosso a lui.
Stava piangendo, sentiva distintamente i singhiozzi sommessi.
L’oscurità attorno a lei si fece meno densa,
iniziando a popolarsi di ombre. Di fronte a lei se ne
stagliò una particolarmente grande e vicina.
Hoshi aprì la bocca e parlò.
-N… non sono… m-morta, idiota- la ragazza stesa
di fianco a lui in un bagno di sangue aveva socchiuso gli occhi, e poco
ci mancò che non perdesse totalmente la calma.
Piano, delicatamente, la mise seduta.
-Aster…- sentì la propria voce tremare. Non
sapeva cosa gli stesse prendendo, ma quando entrando nella sala si era
trovato davanti a quella scena aveva creduto di impazzire.
Aveva giurato che non l’avrebbe lasciata andare senza
spiegarle, senza un chiarimento, e invece l’aveva quasi persa.
-N-non usare… quel nome- ansimò lei senza
guardarlo –ti ho… d-detto che… tu non
puoi- ma dopo aver detto questo si accasciò contro il suo
petto, e Marian la sentì tremare.
Esitante, le circondò le spalle con le braccia. Maria
continuava a cantare l’inno, nascondendoli alla vista
dell’akuma, che non avrebbe avuto in ogni caso molte
possibilità di attaccarli.
Allen lo stava incalzando, accecato dalla rabbia, distruggendo tutto
ciò che incontrava sul suo cammino.
-Va tutto bene. Sei al sicuro- sussurrò, accarezzando piano
i capelli candidi di Hoshi, ma la sentì piangere.
-Perché… p-perché non s-sono morta?-
sussurrò fra le lacrime –non ho…
niente, qui- l’uomo non rispose.
Era evidente che la marcia indietro di Allen era stata il colpo di
grazia. Ma guardando il ragazzo combattere senza dare più un
filo di corda alla ragione intuì che non era finita
lì, per loro. Fissò il volto di Hoshi, pieno di
ferite, rigato di lacrime, forse senza motivo, e decise che per lui era
venuto il momento di farsi da parte.
Ciò che c’era fra loro non era paragonabile a
niente.
Erano indispensabili l’uno all’altra, complementari
in un modo che nessuno poteva comprendere.
Gelidi finchè l’uno non dava all’altra
calore, pronti ad esplodere come vulcani quando venivano separati.
-Hoshi, guarda Allen. Devi fermarlo- mormorò con voce ferma.
La ragazza si staccò piano dal suo petto, lo sguardo vacuo,
e fissò il combattimento.
-Lui non vorrebbe. Non vuole più avere niente a che fare con
me- rispose in un sussurro, ma nei suoi occhi Marian scorse una
scintilla che diceva tutto il contrario.
-E’ per te che combatte in quel modo, perché ti
crede morta. Devi fermarlo, perché siete importanti
l’uno per l’altra- disse, ma lei scansò
la mano che le aveva posato sulla spalla.
-Non sai niente di me- sbottò, spostando gli occhi sul
pavimento.
-Sono tuo fratello. Siamo connessi, che tu lo voglia o no-
sentì le parole venirgli a mancare, ma sapeva che era quello
il momento di dirglielo, o l’avrebbe persa per sempre
–e ti voglio bene- le iridi nere di Hoshi si piantarono in
quelle nocciola di lui, poi le dita della ragazza corsero in un punto
familiare e la maschera bianca cadde a terra.
Un occhio nero quanto i suoi la fissò di rimando senza
distogliersi un secondo.
Entrambi sapevano cosa voleva dire quel segnale, ma le dita di Marian
sfiorarono dolcemente il suo viso, voltandolo verso il campo di
battaglia –è lui, non io- sussurrò
sorridendo –quindi fai in modo che rimanga vivo- le labbra di
Hoshi si piegarono in un sorriso, per la prima volta non sarcastico, ma
dolce. La ragazza si alzò in piedi a fatica, arrivando fino
al limitare della barriera di Maria.
-Marian- lo chiamò, voltandogli le spalle.
-Si?-
-Hai il permesso di chiamarmi Aster, ora- disse senza voltarsi
–perché fra poco saprai tutto- le ultime parole
furono un sussurro impercettibile, che l’altro non colse. La
ragazza schizzò fuori dalla barriera.
L’uomo sentì un filo bollente attraversargli la
guancia, subito spazzato via da un guanto ruvido.
-Non fare troppo il sentimentale, tu- borbottò a se stesso,
rimettendosi in piedi.
Ma sorrideva.
---
La porta si spalancò ed entrò Hoshi coperta di
sangue. Non degnò nessuna delle persone che avrebbero voluto
affaccendarsi intorno a lei, ma filò dritta davanti ad una
ragazza con corti capelli neri, che la guardava con gli occhi sbarrati,
e le tese una mano.
-Andiamo- disse –andiamo a combattere, Linalee- le loro dita
si intrecciarono e la ragazza si trascinò dietro la cinese,
uscendo dall’infermeria e sbattendo la porta.
-Hoshi, io non posso…- iniziò Linalee, ma
l’altra annuì –lo so. Infatti ti porto
da Hebraska- scesero velocemente piani di scale, il respiro di Hoshi
che si faceva sempre più spezzato ad ogni gradino.
-Hoshi, fermati qui. Andrò io- di nuovo, Hoshi scosse la
testa –no. Devo combattere anch’io- disse risoluta,
continuando a camminare appoggiandosi al corrimano.
-Ma sei coperta di ferite!- in un lampo gli occhi neri furono a
millimetri da quelli viola.
-Senti- sibilò –non mi serve la pietà,
odio quel tuo tono pietoso con tutte le mie forze. Tu cosa faresti al
mio posto?- la fissò finchè non annuì,
poi ripresero la discesa.
-Linalee, Hoshi- Hebraska avanzò fino al parapetto
–stiamo… evacuando la base… cosa ci
fate… qui?- Hoshi mollò la mano di Linalee e si
accasciò a terra ansimando, poi indicò la ragazza
in piedi di fianco a sé.
-Deve combattere, dalle l’innocence- disse con un filo di
voce –e poi libera la mia- concluse. Hebraska rimase a
fissarla in silenzio per svariati istanti, mentre i rumori della
battaglia si facevano sempre più vicini.
-Sei… sicura? Le tue… condizioni…- ma
la ragazza non la fece finire e si alzò in piedi di scatto,
voltandosi verso Linalee.
Per la prima volta, le sorrise sul serio. Buffo quanto trovasse facile
quell’espressione in un momento in cui la disperazione era
così viva in lei da potersi quasi materializzare.
-Guarda come si fa, Linalee. Lo faccio prima io- disse. Si tolse i
bracciali, lanciandoli a terra, poi fissò Hebraska.
-Io sono Aster, la Stella Caduta. A te ho lasciato la mia compagna,
fedele in battaglia. Ora la voglio al mio fianco- pronunciò
con voce chiara e forte.
Il mondo piombò improvvisamente in una tenebra senza fondo,
densa come cemento, in cui una tensione terribile impediva di muoversi.
Linalee era paralizzata, ma avvertiva ancora la presenza di Hebraska e
di Hoshi. Cercò di gridare, ma non ci riuscì.
Una luce improvvisa squarciò il buio, cadendo dal cielo in
una linea sottile ed illuminando la figura di Hoshi che, inginocchiata,
raccolse una sfera luminosa fra le mani, sorridendo come di fronte a
qualcuno che si è aspettato da tempo.
-Combattiamo insieme- la sentì dire, poi la sala con le sue
luci ed i suoi rumori riapparve così repentinamente da
disorientarla. Un boato fece tremare all’impazzata la
piattaforma su cui si trovavano, mentre il tempo ricominciava a
scorrere.
-Adesso tocca a te, Linalee- la voce di Hoshi le fece alzare lo
sguardo, ma quella creatura niente aveva dell’esorcista
tenebrosa e gelida che era abituata a conoscere.
Capelli color rosso fuoco scendevano lisci sino sotto le spalle, e due
occhi dorati la fissavano gentili. Eccetto per i colori, era identica
ad Hoshi.
-Andiamo, Hoshi- mormorò la stessa voce, ma da un altro
punto. Linalee si girò di scatto, trovandosi a fissare
l’esorcista che ben conosceva che tendeva una mano verso
l’altra. Quella annuì, correndole incontro, e
sulle schiene di entrambe spuntarono ali.
Bianche come la luna quelle di Hoshi, nere come la notte quelle della
sua proiezione, che stridevano con la luminosità della sua
figura.
Aster avvertì il dolore dell’evocazione in ogni
suo nervo, e seppe di non poterla mantenere a lungo.
Fece un cenno d’intesa alla sua gemella ed entrambe partirono
come proiettili verso il centro della battaglia.
Nessuno sapeva, lì. Solo lei, Komui e Hebraska.
L’innocence di Hoshi era lei, Aster, e la ragazza per
mantenere l’evocazione aveva bisogno di un potere sovrumano,
che solo i blocchi custoditi all’interno del corpo di
Hebraska potevano darle.
Per questo i loro ruoli erano stati scambiati, ma negli anni tutti si
erano resi conto di come lei iniziasse sempre più ad
assimilarsi agli umani.
Lei stessa non capiva come fosse possibile.
Non aveva ricordi, la sua vita iniziava quando aveva spalancato gli
occhi sul soffitto dell’infermeria dell’Ordine,
quando tutti avevano iniziato a farle domande su come fosse possibile
la sua assunzione di quella forma, perché potesse parlare ed
agire come un essere umano.
Domande per cui lei non aveva risposta.
Non si sentiva diversa dagli esseri che la circondavano:
l’avevano rivoltata come un calzino, ed avevano constatato la
presenza di tutti gli organi della specie umana perfettamente
funzionanti. L’unica cosa che non la rendeva come loro era il
fatto che Hebraska percepisse l’innocence dentro ogni fibra
del suo corpo, come se ne fosse composta, e che se Hoshi faceva cessare
l’evocazione lei, Aster, piombava in un sonno fatto di
tenebre.
Scacciò quelle riflessioni e strinse le dita di Hoshi fra le
sue: era come se la ragazza in carne ed ossa fosse la sua evocazione.
I loro occhi si puntarono all’unisono su Allen e
l’akuma, e senza bisogno che fra le due vi fossero parole si
mossero in perfetta sincronia, come se fossero capaci di leggere
l’una nel pensiero dell’altra.
Hoshi si fiondò su Allen, afferrandolo saldamente fra le
braccia, mentre Aster estrasse la katana nera ed iniziò ad
attaccare l’akuma con tutte le sue forze.
Si sentì strappare violentemente dal combattimento, ed un
lampo bianco prese il suo posto contro il livello quattro.
Serrò gli occhi: non voleva credere a quello che gli stavano
mostrando, non voleva credere all’ennesima illusione.
Hoshi era morta salvando lui.
-Apri gli occhi, non temere. Lei è viva, finchè
lo sono anch’io- una voce gentile gli parlò
all’orecchio, una voce che gli parve familiare e sconosciuta
al tempo stesso.
Vide capelli rossi ed occhi dorati, ma il viso era inconfondibile.
-Hoshi..? Che ti è successo?- sussurrò
all’improvviso, mentre la ragazza lo posava a terra. Gli
sorrise dolcemente –sono Hoshi, ma non quella che tu ami. Lei
sta combattendo lassù- mormorò volgendo il viso
verso la battaglia. Il ragazzo fissò allibito le ali corvine
che spiccavano sulla schiena candida della giovane, rendendosi conto in
quel momento e con estremo imbarazzo che era completamente nuda.
Distolse bruscamente lo sguardo, arrossendo, e le porse frettolosamente
il proprio mantello, ma quella continuò a sorridere
scuotendo la testa. I capelli ondeggiarono come lingue di fuoco.
-Non mi servirà, nel posto dove dovrò tornare-
disse –lei ha detto che tu devi rimanere qui. Io vado ad
aiutarla, o non ce la faremo in tempo- mormorò, poi si
girò a guardarlo negli occhi, ed Allen non
proferì parola. Era tutto così confuso che
riusciva a stento a ricordarsi dove fosse.
-M-ma tu… chi sei?- balbettò. Non era la Hoshi
che lui conosceva, senza ombra di dubbio, eppure sentiva che loro due
erano collegate in modo indissolubile.
La ragazza non smise di sorridere –io sono Hoshi, ma lei
è Aster. Non dimenticarlo- rispose, poi spiccò il
volo, velocissima, sollevando una nuvola di polvere.
L’aura dorata che li aveva avvolti fino a quel momento
scomparve all’improvviso, e con essa i residui della sua
furia.
Allen sentì le gambe cedergli, e le ginocchia picchiarono
violentemente contro il pavimento, mentre le mattonelle si coprivano di
gocce di sangue.
-Allen, spostati!- due braccia sottili lo afferrarono bruscamente, e
là dove poco prima c’era lui il ragazzo vide un
enorme buco.
-L-linalee?- non ci capiva più niente. Quando le era tornata
l’innocence? Per quanto tempo era rimasto in quello stato di
furia incosciente?
-Cosa sta succedendo?- mormorò, guardando le due ragazze che
combattevano come angeli contro l’akuma. Erano in netto
vantaggio, lo si vedeva da come lo stavano mettendo alle strette.
La cinese scosse il capo –non ne ho idea. E’ stata
Hoshi a portarmi qui, e poi ha richiamato qualcosa dal corpo di
Hebraska- disse, ma un grido le impedì di continuare la
spiegazione.
-Allen!- quella voce, quella la riconobbe senza esitazione.
Fissò la ragazza dai capelli candidi che scagliava
l’akuma a terra e volava a tutta velocità verso di
loro.
Afferrò Allen senza tanti complimenti sotto le ascelle e
tornò velocissima verso il nemico.
-Sfodera l’innocence, devi trattenerlo!- gridò. Il
ragazzo impugnò la spada con maggior forza e quando furono
sopra il livello quattro gliela piantò nello stomaco aiutato
da Hoshi.
-Hoshi! Linalee!- gridò la ragazza senza fiato. Ansimava
pesantemente, ed era coperta di sangue.
-Questo giocattolo ve lo rompo subitoooooo!- l’akuma
gettò uno strillo che li stordì, ma la sua voce
acuta fu interrotta da due schianti uno di seguito all’altro.
Linalee aveva preso la spinta in aria, e si era gettata sul manico
della spada, conficcandola ancora di più nel corpo
dell’akuma.
Hoshi, dal canto suo, aveva fatto apparire una polvere dorata, che
aveva bloccato completamente i movimenti dell’akuma.
-Marian!- nella voce di Aster era percepibile il sollievo, mentre il
nemico veniva trapassato dai proiettili del generale.
All’improvviso, sentì che qualcosa non andava.
La presa sull’elsa della spada le si allentò
involontariamente e si sentì scivolare
all’indietro.
-Heb… Hebraska- sussurrò –prendi Hoshi,
ora- le palpebre le calavano inesorabilmente su un buio silenzioso, e
l’ultimo rumore che udì prima di cadervi fu il suo
nome, il suo vero nome, gridato da Allen.
Sorrise.
Note dell'Autrice:
Tan tan tan taaaaaaaan *W* ecco a voi la rivelazione! XD sono
consapevole del fatto che questo capitolo sia un gran casino, quindi se
a qualcuno servono chiarimenti non esiti a chiedermeli!!
Come dire... continuare questa fanfiction si sta rivelando una tortura
x___x sono arrivata a un punto in cui non so più se seguire
la storia o staccarmene, perchè se seguo il ritmo con cui
escono i nuovi capitoli la finisco fra dieci anni!! T^T Ma a quel punto
manca ancora un po' di tempo... da ora in poi l'azione si
velocizzerà un bel po', non sono nemmeno molto sicura del
risultato a dire il vero :S speriamo in bene!!
Rispondo ai commenti ;)
DarkAngel_oF_DarkNess:
lentamente, ma la storia prosegue .___. le mie energie si stanno
prosciugando! Allora... Linalee non passerà delle belle
giornate nei prossimi capitoli, ma si aggiusterà tutto
(spero, perchè ancora non ho capito come farò
DX)! Spero che questo capitolo ti piaccia e che non sia troppo
confuso!! >_> a presto!! :)
Ciel88:
aiuto quante domande @__@ XD guarda, come si evolverà la
faccenda di Linalee non è ancora chiaro nemmeno a me .___.
perlomeno su Aster questo capitolo ha chiarito un po' di cose! Spero ti
sia piaciuto! ^^
Sherly: ecco
il momento topico! Da ora in poi NON so più come
andrà a finire la storia D: nè quanto
riuscirò a scriverla con questo stato d'animo, sto andando
avanti di una pagina alla settimana (quando va bene D:)!
Continuate a sostenermi *si dispera*
A presto! <3
Bethan
|
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Capitolo 22 *** Disclosing Secrets, Revealing Hypocrisy. ***
-Che cosa significa questo?- quella voce irata la
svegliò.
Aprì gli occhi, e fu come la prima volta che era giunta
lì. Vedeva soltanto il soffitto bianco
dell’infermeria dell’Ordine, troppo stremata per
fare qualsiasi movimento.
Ma almeno era ancora viva, e se lei era viva voleva dire che lo era
anche Hoshi.
-Abbassate la voce, generale…- iniziò Komui, ma
un pugno sbattè violentemente sul tavolo.
-Chi è questa ragazza? Non è mia sorella,
perché Hoshi è all’interno di
Hebraska?- il tono salì di parecchie ottave, ferendole le
orecchie.
-Hoshi!- qualcuno si era accorto che si era svegliata, evidentemente.
-Non chiamarla a quel modo! Lei non è Hoshi!-
Decise di provare a muoversi. Stare sdraiata lì ad ascoltare
la rabbia di quell’uomo di certo non l’avrebbe
aiutata.
-Te la senti di muoverti? Come stai?- Komui le fu subito accanto,
sostenendole le spalle. I capelli bianchi piovvero in avanti a formare
una tenda fra lei ed il mondo, che ora stava per venire a conoscenza
della sua vera natura.
-E’… è stata dura- sussurrò,
cercando di recuperare l’uso delle corde vocali
–come sta?- l’uomo sorrise incoraggiante
–il fatto che tu sia sveglia e riesca a muoverti è
un ottimo segnale. Fra poco tornerò da Hebraska- Aster
annuì, sfinita anche da quegli insignificanti movimenti.
-Chi sei tu?- alzò per la prima volta gli occhi neri ad
incontrare quelli di Marian Cross e per la prima volta si
sentì intimorita.
Aveva recitato una parte per anni con quell’uomo. Non poteva
davvero biasimarlo se l’avrebbe odiata.
Del resto, per lei non significava niente. Si era attenuta a quel ruolo
solo per via dei sentimenti di Hoshi, non per i suoi.
-Io… sono Aster- mormorò pianissimo
–sono l’innocence di Hoshi- lo disse a voce alta
per la prima volta, e fu in quel momento che avvertì
profondamente il divario fra lei e quelle creature terrene.
Non l’avrebbero mai più guardata con gli stessi
occhi.
-Che significa?- quella voce le fece correre un brivido lungo la
schiena. Sentì lo stomaco contrarsi in una morsa gelida.
Perché era lì? Perché doveva sentire?
Era l’unica persona che non voleva che scoprisse tutto,
l’unica persona che voleva che continuasse a considerarla
umana.
-Significa che hanno ingannato tutti, Allen- sbottò il
generale dando le spalle al letto.
-Non è vero!- si stupì di come suonò
forte la sua voce in quella frase, a discapito della sua debolezza.
Fissò gli uomini di fronte a sé, poi Allen, poi
di nuovo il materasso –voglio parlare con Allen, da sola-
aggiunse –uscite tutti, per favore- disse pianissimo.
Si sentiva uno straccio. Non sapeva come avrebbe fatto a spiegargli
tutto, era certa che non avrebbe mai capito che i suoi sentimenti erano
gli stessi di un essere umano, nonostante fosse fatta
d’innocence.
Si prese la testa fra le mani. Non si era mai sentita così
disperata.
La vide infilare le lunghe dita sottili fra le ciocche di capelli
bianchi e rimanere lì a capo chino, senza dire una parola.
Appena la porta si chiuse, afferrò uno sgabello e si sedette
vicino al letto, circondandole le spalle con un braccio. Non sapeva
cosa fosse successo, aveva il netto sentore che quello di cui Hoshi, o
Aster, voleva parlargli non fossero buone notizie, ma non riusciva a
vederla in quello stato.
Avrebbe quasi preferito che tornasse gelida e scostante come al solito.
Sentì una mano della ragazza stringere la sua, fredda come
il marmo.
-Hoshi…- un brusco scuotimento di testa.
-Non chiamarmi più così, Allen-
mormorò –non è quello il mio nome, io
non sono Hoshi- si tirò su lentamente, il volto
inespressivo, gli occhi neri in cui il ragazzo scorse tutte le emozioni
che si stava sforzando atrocemente di non far trapelare.
Iniziò a raccontargli tutto, un fiume in piena di
rivelazioni che lo lasciavano sempre più stordito.
-Nessuno sa come sia possibile, ma io sono effettivamente un essere
umano, solo mossa dall’innocence, o meglio, fatta di
innocence- mormorò –ma il mio corpo funziona come
il vostro… e anche la mia mente- Allen intuì dove
voleva arrivare con quel discorso, e decise di prendere il toro per le
corna.
Mentre Aster parlava, aveva pensato che non gliene sarebbe importato
nulla se lei fosse stata fatta di innocence o di marmo, se fosse stata
terrena o aliena. Quello che veramente gli interessava sapere, era una
cosa sola.
-Aster- disse il suo nome prendendola per mano, interrompendola.
Avrebbe dovuto fare l’abitudine a chiamarla in quel modo,
più che al resto, pensò sospirando.
Poi la guardò negli occhi, e tutte le sue convinzioni non
fecero che rafforzarsi quando li vide lucidi.
-Allen, io non…- iniziò lei in un sussurro, ma il
ragazzo le mise un dito sulle labbra, sorridendo.
-Per quanto mi riguarda, potresti anche venire dalla luna- disse,
pensando a quanto comunque sembrasse così –io sono
innamorato di te. Ti ho mentito quando ti ho detto che doveva finire, e
me ne sono reso conto quando ti ho creduta morta- vide lo stupore misto
alla speranza farsi largo sul suo viso –non importa se non
sei la vera Hoshi, io è te che conosco. Devo sapere soltanto
una cosa- tornò a guardarla seriamente, e lei
annuì col cuore in gola.
-Quella notte, stavi fingendo?-
La mente della ragazza volò alle due minuscole parole che
gli aveva detto, ed in un istante ripercorse ogni sfaccettatura dei
motivi per cui le aveva concepite e la bocca le aveva realizzate senza
nemmeno stare a pensare se fossero giuste o sbagliate.
No, non aveva mentito.
Quando Allen aveva detto che sarebbe dovuto finire tutto, era stato
come se il mondo si fosse ribaltato. Aveva pensato che forse era la sua
maledizione, il non poter essere affine al mondo dei sentimenti umani.
Aveva creduto che l’unica cosa verso cui avrebbe potuto
indirizzarsi fosse la sua missione di Innocence.
Ma come fare, dopo che si è sperimentata la luce che si
è in grado di irradiare e di ricevere, a cadere di nuovo nel
buio del proprio interno, estraneo ad ogni specie e freddo come un
materiale sconosciuto?
Non voleva mai più riprovare quella disperazione. La morte
sarebbe stata preferibile.
Il dolore fisico che fino a quel momento l’aveva tanto
terrorizzata e riempita d’odio non le sembrava più
così insopportabile, al confronto.
Scosse piano la testa, senza smettere di guardare Allen negli occhi
neppure per un secondo.
-Però sai cosa sono. Finirò per trasformarmi nel
tuo opposto- a quelle parole, Aster gli strinse una mano e gli
scostò una ciocca di capelli che era finita davanti agli
occhi.
Fosse anche diventato un Noah, non avrebbe potuto smettere di amarli.
Allora disse l’unica cosa possibile.
-Quando succederà, ti ucciderò-
sussurrò –tu sai cosa sono io- lo sguardo del
ragazzo si fece dapprima stupito, poi sul suo volto si
disegnò il sorriso dolce che lei amava.
-Soltanto tu potevi dirlo. E’ per questo che ti amo-
Dopo quelle parole, per un bel po’ non ce ne furono altre.
Con un futuro così incerto di fronte, entrambi vedevano
nell’altro l’unica propria sicurezza.
---
Quanto tempo era che era rinchiuso in quella stanza?
Giorni, settimane, mesi?
Non lo sapeva più. L’interrogatorio del vecchio
Bookman l’aveva privato di ogni contatto col mondo esterno,
ed anche quando aveva sentito i rumori della battaglia, i crolli e le
grida, era rimasto lì, inerme, senza neppure ribellarsi.
Perché aveva attaccato Hoshi a quel modo?
Non lo sapeva nemmeno lui. Era come se una forza cui non aveva potuto
opporsi l’avesse spinto e manovrato; una forza resa ancor
più potente dalle lacrime di Linalee.
Dunque era quello il prezzo da pagare per un Bookman che si lasciava
prendere dalle emozioni?
Il non avere controllo su di sé?
Sentì la porta aprirsi con un leggero clic, ma non si
voltò a guardare. Era sicuramente il Vecchio, tornato per
ricominciare a metterlo sotto torchio. Ma anche i suoi sensi
intorpiditi si accorsero della differenza nei passi che attraversavano
la stanza diretti al suo letto.
Si tirò su di scatto, il cuore che iniziò
all’improvviso a battere a mille, il corpo avvolto dallo
stesso fuoco che l’aveva reso folle.
-Cosa ci fai qui?- la sua voce quasi lo spaventò: non era
niente più che un roco sussurro, nulla era rimasto della sua
finta gaiezza.
Ironico, pensò. Per la prima volta si stava davvero
mostrando senza alcuna barriera.
E non era davvero un bell’aspetto. Lo dedusse anche
dall’occhiata per metà sconcertata e per
metà addolorata che gli lanciarono quegli occhi scuri.
La ragazza gli porse un bicchiere senza dire una parola.
-Se il Vecchio scopre che sei qui…-
-Avrà tempo da perdere, ora che il segreto di Hoshi
è noto a tutti- fu la risposta appena mormorata. Un
campanello si accese nella sua testa.
-Che segreto?- chiese, incapace di trattenersi.
Linalee sorrise mestamente –lei… non è
la vera Hoshi, la sorella del Generale. E’ la sua arma
anti-akuma-
Lavi la guardò senza dire una parola. Per lui non
significava niente, ma dubitava che per la ragazza fosse lo stesso. In
poche parole, Allen si era innamorato di un’arma.
La sentì sospirare –a quanto pare agisce e pensa
esattamente come un essere umano. Nessuno sa cosa sia successo-
-E la sua compatibile? Dov’è?-
-Vive rinchiusa dentro Hebraska. Dicono che altrimenti non riuscirebbe
a sopportare lo sforzo continuo della sincronizzazione-
-E Allen lo sa?- Lavi decise di tirare la bomba. Era inutile rimandare
quel discorso e continuare a girarci intorno. Linalee annuì,
chinando la testa.
Ci furono degli interi, interminabili minuti di silenzio, durante i
quali il ragazzo si sforzò di mandar giù quello
che la compagna gli aveva portato da mangiare. Il rumore delle sue
mandibole riempiva il vuoto della stanza.
-Lavi…- fece lei a un certo punto –mi hanno detto
perché hai attaccato Ho… Aster- si corresse
avvampando. Evidentemente, il vero nome dell’arma era quello,
pensò Lavi. Alle parole di Linalee il cuore aveva iniziato
ad andargli a mille. Era sicuro del rifiuto, ma non del fatto che gli
sarebbe scivolato addosso senza lasciare tracce, come era solita fare
ogni emozione di troppo fino a poco tempo prima.
-Io… non posso ricambiarti. Non ora, non in questa
situazione- nel freddo che afferrava le viscere di Lavi in una morsa,
il ragazzo sentì un barlume tiepido di speranza.
“Non ora” pensò.
-Ho bisogno di tempo. E anche tu- continuò la cinese
–hai attaccato una compagna per un motivo inutile. Sei
arrabbiato con Allen, che adesso porta sulle spalle un destino molto
peggiore del nostro- la voce le si incrinò –ed io
devo dimenticarlo e andare avanti. Prima, non potrò far
nulla. Mi dispiace, Lavi- si alzò di scatto dal letto, ma il
ragazzo capì di non volerla lasciare andare, non ancora, non
prima di aver tentato il tutto per tutto.
Senza dire una parola le afferrò un polso con delicatezza ma
con decisione e la tirò a sé.
Serrò l’unica palpebra per non vedere gli occhi
sgranati di lei mentre le loro labbra si incrociavano in un bacio
proibito, protetto dal silenzio e dalla consapevolezza che
ciò che l’aveva scatenato non sarebbe dovuto
esistere.
Rimase ad occhi chiusi finchè non udì il rumore
della porta che si chiudeva dietro le spalle di Linalee.
---
Colpo, colpo, parata. Rumore di lama contro lama, spostamenti dal
rumore appena percettibile, fulminei come colpi di vento. Ogni tanto il
cozzare dei metalli l’uno contro l’altro svegliava
il pubblico che assisteva meravigliato al combattimento.
Lei, da una parte. L’innocence, l’arma, ormai lo
sapevano tutti. Combatteva con tutta se stessa per recuperare
l’allenamento perduto durante l’ultima
convalescenza.
Dall’altra, uno spadaccino che fino a quel momento avevano
ritenuto tutti impossibile da sconfiggere, e che invece stava trovando
chi gli desse molto filo da torcere.
Nella sala d’allenamento non volava una mosca. Tutti gli
occhi erano puntati o sulla ragazza o sul giapponese, ma non
c’era come al solito un allegro chiacchiericcio su chi dei
due avrebbe vinto. Gli astanti li osservavano, in silenzio, meditando.
Allen era fra loro, e non le staccò gli occhi di dosso un
momento. Sembrava che si stesse riprendendo bene, segno che le
condizioni della vera Hoshi dovevano essersi stabilizzate. Per una
settimana Aster era stata costretta a letto, e poi non aveva potuto
quasi camminare senza appoggiarsi a qualcuno. Inutile dire che Allen
era stato ben felice di assolvere all’incarico, ma oltre alla
non indifferente scocciatura di trovarsi Link sempre incollato sapeva
benissimo che per l’orgoglio di Aster quella situazione non
sarebbe potuta continuare a lungo.
Sospirò. Aster. Ancora non ci aveva fatto
l’abitudine. Strano che dopo tutto ciò che aveva
scoperto l’unico problema rilevante per lui fosse il nome.
“I miei crucci mi stanno rendendo insensibile”
pensò. Dopo aver saputo della memory del Quattordicesimo
Noah impiantata dentro di sé, tutto era iniziato a
sembrargli così falso, così senza ragion
d’essere, come se fino a quel momento avesse vissuto in un
limbo, totalmente inconsapevole di cosa fossero veramente il pericolo e
la paura.
E peggio ancora, aveva avvertito chiaramente quanto nessuno dei suoi
compagni, nessuno degli altri Esorcisti, era riuscito a capire il suo
stato d’animo. Era come se lui avesse mosso un passo, in
avanti o indietro non avrebbe saputo dirlo, e su quel differente
gradino l’unica che aveva osato seguirlo era stata lei. Aster.
Un tocco fresco sul braccio lo distrasse dal combattimento e da quei
pensieri. Vide Linalee fissarlo e fargli cenno di seguirla.
Spostò incerto gli occhi sul combattimento, fissando Aster,
che per una frazione di secondo incrociò il suo sguardo,
fissò impercettibilmente Linalee e annuì. Allen
seguì la compagna sospirando.
Altri problemi? Sperava davvero di no.
Aster scorse di sfuggita Linalee avvicinarsi ad Allen, ed
involontariamente le scappò un colpo più forte
che il giapponese riuscì a stento ad evitare, guardandola
storto.
Si riprese quasi subito, ma il benefico vuoto che il combattimento
aveva creato in lei era stato spezzato da quella scena, ed ora voleva
concludere per andarlo a cercare da qualche altra parte.
Non voleva pensare. Non voleva farsi venire dubbi, non su Allen.
Credeva in lui.
Strinse gli occhi, serrando il ritmo dei colpi finchè la
katana di Kanda non volò via di parecchi metri,
conficcandosi nel terreno. Fu come se quella bolla di silenzio si
frantumasse all’improvviso: tutti quelli che stavano
guardando iniziarono a cicaleggiare a più non posso.
Aspettò che il moro recuperasse la sua arma, poi quando le
passò accanto gli sussurrò un
“grazie” appena percettibile, cui rispose un secco
cenno d’assenso.
Era stata lei a chiedergli di allenarsi. Aveva bisogno di qualcuno
freddo come quel tipo per recuperare la sua calma scostante: in quei
giorni sentiva che sarebbe stata necessaria. Kanda aveva accettato
senza farle alcun tipo di domanda, e questo era stato un altro punto a
favore.
Si somigliavano, ma non si sarebbero capiti mai. Avevano entrambi
troppi segreti, troppe ferite da leccarsi.
-Ho… Aster- la chiamò una voce profonda. Si
girò controvoglia, ma con un lieve sorriso sulle labbra. Non
voleva essere scortese con quel tipo. Era uno dei pochi a non
meritarselo, oltre ad Allen, l’unico che tentasse sul serio
di chiamarla col suo vero nome.
-Dimmi, Marie-
-Ci hanno assegnato una missione di gruppo, partiremo domani
all’alba- disse con un mezzo sorriso, ma la ragazza fece una
faccia sgomenta.
-Una missione? Adesso? Ma dico, l’hanno visto come siamo
conciati?- Marie era ancora pieno di fasciature, Allen e Lavi meglio
non parlarne, Crowley manco s’era svegliato e Linalee passava
ancora gran parte della giornata a riposo. Le uniche eccezioni erano
lei e Kanda, miracolosamente guarito in tre giorni, come al solito.
Il ragazzo sospirò –lo so, ma a quanto pare
è una cosa urgente- Aster sospirò –e va
bene. Sarà meglio che vada a prepararmi allora- lo
salutò ed imboccò le scale che portavano alla
propria stanza.
Una figura ossuta e trafelata le si schiantò addosso da un
corridoio laterale, facendola cadere a terra.
-Ehi, ma fa’ attenzione!- ringhiò Aster,
massaggiandosi la schiena dolorante. Una terrorizzata Miranda
scattò in piedi in meno di un secondo, aiutandola a
rialzarsi in maniera eccessivamente nervosa.
-Scusami! Oh santo cielo, scusami! Non volevo, è
che… è che… è
che…- balbettò all’infinito,
finchè all’altra non scappò un sorriso.
-Ehi, calma. Non ti mangerò per questo- Miranda fece una
faccia appena appena sollevata, ma quando Aster fece per andarsene le
afferrò una manica.
-Senti, stavo cercando te…- mormorò incerta e
rossa in volto. La ragazza inarcò un sopracciglio,
aspettando che parlasse.
-So… so che sei in missione con Marie. Io… non so
cosa fare, ho chiesto a Komui di mandarvi con voi, ma ha detto che sono
ancora troppo debole, ma lui hai visto com’è
conciato, io…- Aster aveva già intuito dove
sarebbe andata a parare la conversazione appena aveva sentito il nome
del ragazzo di mezzo. Strinse amichevolmente una spalla a Miranda
–ci penserò io a lui- disse tranquillamente
–cercherò di fartelo tornare più intero
possibile- l’altra le rivolse uno sguardo grato, poi la
lasciò andare.
Filò come un razzo per i corridoi, pregando di non essere
costretta ad incappare proprio in quello in cui Linalee aveva
trascinato Allen.
Speranza vana, come volevasi dimostrare.
Sentì le voci dietro ad un angolo, e fece appena in tempo a
fermarsi, appoggiando la schiena alla parete fredda.
-Linalee, non potremmo andare da un’altra parte? Aster
potrebbe…- il sussurro di Allen le giungeva alle orecchie
perfettamente percettibile, amplificato dal vuoto dei corridoi.
-Ci vorrà poco. Lei si sta allenando ancora- contro ogni suo
comportamento precedente, Aster non si scansò. Rimase
lì, in ascolto.
-Cosa ci trovi in lei, Allen?- la domanda posta senza tanti giri di
parole ebbe l’effetto di fargli strabuzzare gli occhi.
-Linalee, non credo sia…- balbettò incerto. Da
una parte non voleva darle un dolore, rivangando la sua totale e
spassionata adorazione per Aster, dall’altra si era un
po’ risentito per quella specie di richiesta di spiegazioni,
come se stesse facendo qualcosa di sbagliato.
Lo è, Allen. Molto sbagliato. Ma perché non
dovresti farlo?
Rieccola. L’aveva quasi scordata. La voce che aveva sentito
nell’oblio della furia, durante la battaglia,
risuonò nella sua testa.
Perché sarebbe sbagliato? Non gli passò nemmeno
per l’anticamera del cervello di chiedersi chi fosse a
parlare nella sua testa. La sola idea lo riempiva d’orrore,
eppure non riusciva ad avvertirla come una presenza molesta.
Perché lei è il nostro opposto. Ma vi
è molto di lei in te. Detto questo, la voce tacque, e il
ragazzo riemerse dallo stato catatonico in cui era piombato, trovandosi
nuovamente di fronte gli occhi lucidi e ansiosi di Linalee.
-Ma insomma, si può sapere che avete tutti?- la
aggredì con un moto di stizza improvvisa, così
contrario al suo solito contegno che se ne stupì senza fare
però in tempo né a pentirsene, né a
frenarsi –è fatta d’innocence. E allora?
Hai sentito tuo fratello, pensa e prova sentimenti come un essere
umano, lei è un essere umano- disse con enfasi. La ragazza
sgranò gli occhi, sorpresa da quello scatto improvviso, poi
scosse la testa, afferrandogli una manica.
-Non lo è, Allen. L’innocence non è
umana- sussurrò, ma quelle parole non fecero altro che
infervorare la sua rabbia. Liberò il polso dalle dita di
Linalee con uno strattone.
-Se l’innocence non è umana, allora neppure noi lo
siamo! Devo ricordarti che ne siamo compatibili?- la sua voce era
salita di parecchie ottave, e la cinese si ritrasse spaventata. Si
impose di calmarsi.
“Ma che diamine mi sta succedendo?”
-Non sarà umana, Linalee- mormorò con un tono di
voce più basso –ma nemmeno io lo sono. Non del
tutto- entrambi pensarono di scatto al Noah che premeva dentro di lui,
che lo incitava ad abbandonarglisi, a seguirlo
nell’oscurità.
-Ma tu sei nato come un essere umano, tu non sei parte delle tenebre,
Allen..!- esclamò la ragazza, tentando nuovamente di
avvicinarsi a lui, ma l’albino si scansò.
-Nemmeno lei fa parte delle tenebre. E’ così
semplice da capire, perché non ci riesci?- ne aveva
abbastanza di quel discorso. Se le intenzioni di Linalee erano quelle
di distogliere la sua attenzione da Aster, avrebbe fatto meglio a dirle
che era una battaglia persa in partenza.
-Perché finirà per distruggerti, qualsiasi cosa
accada!- strillò improvvisamente la cinese, perdendo la
calma –se sconfiggeremo il Conte e troveremo il cuore, lei
scomparirà senza lasciare traccia! Ci hai mai pensato? E se
il Quattordicesimo…- prese bruscamente fiato. Aveva sempre
evitato di nominarlo davanti a lui, ed ora che l’aveva fatto
assieme a quel nome uscirono anche le lacrime –se il
Quattordicesimo riuscisse a prendere possesso del tuo corpo, lei ti
ucciderebbe- sussurrò piangendo, ma Allen, per tutta
risposta, le sorrise.
-E’ proprio per questo che la amo, Linalee- disse con
dolcezza –lei è l’unica che potrebbe
salvarmi, qualora io mi trasformassi in Noah- le lacrime continuavano a
scorrere sulle guance della cinese –io e lei siamo entrambi
condannati, e lo saremmo anche se ci separassimo. Se non ci fosse lei,
voi sareste costretti ad uccidermi comunque. Lasciate che a farlo sia
chi decido io- disse con fermezza, poi, dopo un momento di esitazione,
passò un dito sul viso di Linalee, sorridendo. Del suo
scatto di rabbia improvviso, di quella voce che aveva levato i suoi
più affossati istinti in superficie, non erano rimaste
tracce.
-Il Dio che tanto amate ci ha già dato
un’esistenza più dura del normale. Lasciate che
siamo felici, finchè ci sarà concesso- quelle
parole le doveva anche ad Aster. Non voleva che continuasse ad essere
oggetto di quell’attenzione impaurita e maligna.
Fece appena in tempo a sgattaiolare via, prima di sentire i passi
concitati di Linalee nella direzione opposta alla sua.
L’ascoltare quel dialogo l’aveva frastornata.
Da una parte era arrabbiata con la cinese: dopo tutto quello che era
successo, dopo che Lavi l’aveva attaccata per colpa sua, dopo
che lei, Aster, l’aveva aiutata a recuperare
l’innocence, era andata da Allen per convincerlo a lasciarla
perdere.
E poi pretendeva pure di esserle amica. Scosse la testa: evidentemente
l’ipocrisia contro cui il suo odio l’aveva messa in
guardia esisteva davvero, in fondo.
Dall’altro lato, non avrebbe potuto essere più
felice. Le parole di Allen, il suo scatto di rabbia, la fermezza con
cui aveva parlato di loro, le avevano fatto capire che lui non
l’avrebbe abbandonata, perché avevano un disperato
bisogno l’uno dell’altra.
Note dell'Autrice:
Prima cosa fondamentale: se c'è ancora qualche anima pia che
segue questa fanfiction, chiedo SCUSA per il ritardo immenso.
Avevo già detto di aver avuto un momento di crisi con questa
fanfiction, soltanto ora mi pare d'essermi sbloccata... è
stata dura!
Per farmi perdonare ho messo un capitolo piuttosto lungo, spero di
riuscire ad aggiornare i prossimi se non con regolarità
almeno non troppo distanti l'uno dall'altro!
Grazie a tutti coloro che leggono!!
Baci <3
Bethan
|
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Capitolo 23 *** Good Morning, Darkness ***
Avvertì l’innocence che
componeva il suo corpo ribellarsi con tutte quelle forze a quel
contatto. Eppure Aster non sciolse l’abbraccio, nemmeno
quando vide il volto dell’ombra alle spalle del ragazzo
attaccato al suo.
Non si staccò dal corpo di Allen neppure quando
sentì ogni suo muscolo tendersi per conficcare quella spada
ancora più a fondo nel petto del giovane, anziché
per estrarla.
L’innocence cadde a terra con un clangore che nel silenzio
risultò assordante, lasciando una grossa croce bruciata
sulla divisa del ragazzo.
-Idiota di un mammoletta!- il grido di Kanda la fece quasi sussultare,
ma la risposta che ricevette fu come un regalo inatteso.
-Ti ho detto che mi chiamo Allen- mormorò piano
l’albino, portando un braccio a circondare le spalle della
ragazza.
Non fece trapelare il sollievo dal viso, si limitò soltanto
a fissarlo negli occhi per essere sicura che ogni traccia di
ciò che vi aveva intravisto poco prima fosse sparita del
tutto.
Vi trovò solo Allen, incredibilmente stanco e spaventato.
Deglutì: non era il momento per lasciarsi andare ai
sentimentalismi o per farsi prendere dal panico.
Erano conciati malissimo: Marie aveva perso due dita, e gli altri erano
tutti feriti in modo più o meno grave, ma non si sentiva
neppure un lamento.
Quelle tre sillabe scandite dalla bocca di Allen avevano gettato il
gelo su di loro.
Aster si schiarì la voce, cercando di recuperare la favella
–Link, fai richiesta per il Gate, dobbiamo portare i bambini
fuori di qui- cercò di dare alla voce un tono fermo, ma
sentì che le sue corde vocali si sforzavano allo spasimo per
non farla tremare –Kanda, aiuta Marie, adesso vedo cosa posso
fare per quel braccio. Forza, spostiamoci tutti verso
l’ingresso- l’ultima frase suonò come un
sospiro rassegnato.
La ragazza aveva un tono così sconfitto che tutti obbedirono
senza fiatare.
-Miranda mi farà la pelle…- Marie stava
stringendo i denti, mentre la ragazza gli fasciava la mano alla
bell’e meglio, almeno per farla smettere di sanguinare, ma
quelle parole gli fecero strabuzzare gli occhi.
-Co-cosa?- balbettò. Aster sollevò lo sguardo,
fissandolo smarrita.
-Ah. Non avrei dovuto dirlo. Dimentica tutto- sussurrò,
riprendendo il suo lavoro, ma Marie la interruppe, posandole
gentilmente la mano sana sulla spalla.
-Hai già fatto tanto. All’Ordine mi cureranno
meglio, per adesso può bastare- le disse con tono gentile.
La vide deglutire ed annuire piano, scomparendo dietro i capelli:
quello che era successo era stato uno shock per tutti, ma per lei aveva
segnato l’inizio di un infinito processo che si sarebbe
concluso con una sentenza di morte.
-Va’ da lui. Mi sembra che stia meglio- un sospiro, poi un
altro cenno d’assenso e la ragazza si alzò in
piedi, dirigendosi verso l’angolo in cui Allen si era
accasciato. Un sospiro di sollievo le salì alle labbra
quando vide che l’ombra era momentaneamente scomparsa.
La vide avvicinarsi cautamente, come se avesse paura di lui. Quello
sguardo lo colpì come una saetta, e gli fece più
male della consapevolezza del fatto che tutto fosse iniziato.
Il petto gli bruciava, e in testa gli rimbombava l’unica
parola da lui pronunciata all’unisono con quella voce che gli
aveva perforato la testa.
“Buongiorno”
-Buongiorno un accidente. Piantala di ripeterlo- la voce aspra della
ragazza lo fece sussultare. Aster si sedette davanti a lui, fissandolo
seria. Stavolta non riuscì a sostenere il suo sguardo,
puntò gli occhi verso il pavimento.
-Anche tu hai paura, no? Va’ via- mormorò. Quel
Noah aveva il potere di allontanare persino lei. Doveva essere una cosa
davvero ripugnante, rischiare di diventarlo.
-No. Io non ho paura di te-
-Ma hai paura di quello che…- non riuscì a finire
la frase, la voce gli si strozzò in gola.
Lei scosse la testa con violenza –no. Ho paura
perché prima tutto in me stessa voleva ucciderti- disse
secca. Allen fece un sorriso amaro –dovrai farlo, se
prenderà il sopravvento- mormorò. Aster non
rispose. Iniziava solo in quell’istante a comprendere
l’enormità della promessa che gli aveva fatto.
Quando aveva sentito l’innocence premere per scagliarsi verso
di lui era stata presa da una disperazione che non aveva mai provato.
Lo sforzo di trattenerla l’aveva privata di ogni energia, ed
il Noah non si era affatto svegliato del tutto. Allen aveva quasi
subito ripreso il controllo.
Deglutì a vuoto. Quando il processo fosse stato completo,
cosa avrebbe fatto?
La mano dell’albino che si posò sulla sua la fece
quasi sussultare, scansando bruscamente quei pensieri.
-Scusami. Non avrei dovuto parlarti in quel modo- sorrideva, ma Aster
vide benissimo che era un sorriso stanco, spaventato. Si
avvicinò a lui e lo abbracciò, accarezzandogli i
capelli.
-E’ finita, per ora. Tu combatterai, e anch’io-
sussurrò.
---
Sentì i suoi passi sul pavimento freddo, inconfondibili. Del
resto, chi altro poteva venire lì a quell’ora di
notte, se non lei?
-Il solito?- chiese, affacciandosi. Ma gli rispose uno sguardo spento,
come quello di chi ha dormito un sonno spezzato e fatto di incubi.
-No. Dammi qualcosa per dormire, per favore- sussurrò,
prendendosi la testa fra le mani. L’uomo mise a bollire una
camomilla, ma pensava che ciò che le servisse non fosse un
sonnifero. Andò a sedersi di fronte a lei.
-So che ce l’hai con me. Non serve che ti sforzi di
nasconderlo- sospirò la ragazza, fissando un punto
imprecisato nel buio, ma lui scosse una mano con noncuranza.
-Non sono un bambino, so perché l’hai fatto. Non
è davvero qualcosa per cui arrabbiarsi- disse con un mezzo
sorriso. Lei rispose a quell’espressione incerta, rivangando
la padellata in testa che si era beccata dal cuoco, quando
l’aveva fatto tornare all’Ordine.
-Piuttosto, perché sei conciata così?- lei fece
uno sguardo vacuo –non sono ferita-.
-Non sto parlando delle ferite- afferrò il bollitore con due
tazze e lo mise sul tavolo.
Aster sospirò di nuovo, poi fece un sorriso mesto mentre gli
occhi le diventavano lucidi.
-Non ce la faccio a parlare, stasera. Non di questo-
sussurrò inghiottendo piccoli sorsi della bevanda bollente.
La finì in un lampo, poi si alzò di scatto.
-Scusami. Devo andare- Jerry sospirò.
-Va bene. Torna quando vuoi, lo sai- disse, ma lei era già
sparita nel buio.
---
Fu tornando indietro che lo vide.
Un uomo in una toga da prete, con corti capelli e occhiali tondi, che
bussava alla porta di Marian.
Sentì un brivido percorrerle tutta la spina dorsale,
così forte che iniziarono a tremarle le mani.
Rimase ferma nel buio, poi sentì un rumore fortissimo
dall’interno della stanza, delle grida. Scattò
verso la porta, la buttò giù con un calcio, e lo
vide. Sentì il suo potere aggrapparsi al proprio corpo in
cerca di qualcosa che lei non aveva, lo vide tenere Marian nelle sue
grinfie. L’influenza che quell’essere aveva su di
lei le dava la nausea, ma si sforzò di reagire.
-Lascialo andare! Lui non ha quello che cerchi!- evocò la
spada nera e con un balzo si frappose fra i due, tranciando di netto
l’artiglio con cui il nemico aveva afferrato il generale.
-Va’ via, stupida! Questo qua è al di sopra delle
tue forze!- gridò l’uomo.
-Scappa tu, piuttosto. Lui non può uccidermi-
mormorò.
-Povera illusa! Non riuscirai a sottrarmelo!- gridò
l’essere, attaccandola di nuovo. Aster non si scompose.
-Baratro- mormorò, e istantaneamente lo specchio nero si
aprì di fronte a lei. Il nemico non riuscì a
sottrarsi in tempo, venne risucchiato e l’arma si richiuse
sulle sue grida.
Aster si girò di scatto verso l’uomo disteso
dietro di lei: non c’era un secondo da perdere.
-Togliti dai piedi, prima che quel pazzo ritorni. Sai che noi non
possiamo sconfiggerlo- mormorò fissandolo negli occhi, ma le
rispose uno sguardo di disprezzo misto a dolore. La spalla del generale
era coperta di sangue.
-Perché dovrei crederti? Mi hai sempre mentito-
-Tu hai mentito a lei. Consideralo il pagamento del tuo debito, e
ricorda che è colpa tua se tua sorella è in
queste condizioni- rispose brusca –non
c’è tempo, Marian! Proteggerò io Hoshi,
e quando troveremo il Cuore e tutto questo finirà lei
sarà libera di nuovo. Ma non voglio che quando
uscirà da Hebraska si ritrovi sola- si fissarono negli occhi
ancora per qualche istante, poi l’uomo fece un cenno
d’assenso. Aster scattò in piedi, indicandogli la
finestra.
-Siediti lì mentre ti medico in qualche modo. Lascia qui
Judgement- iniziò a trafficare alla ricerca di bende.
-Cosa? E perché?-
-Perché è l’unica cosa tramite la quale
possono rintracciarti. Tu non sei il compatibile di
quell’arma, Heb avverte quando un’arma è
usata dalla persona sbagliata. L’unico modo per non farti
trovare è lasciarla qui e fingere di essere morto- disse
tutto d’un fiato, rinunciando a cercare le bende e
strappandosi una manica per fasciare alla bell’e meglio le
ferite.
-Trovati un dottore quando sarai fuori- ordinò.
-Baderai ad Allen?- una mano dell’uomo le afferrò
il mento, costringendola a guardarlo negli occhi. Nessuno dei due aveva
dubbi in cosa consisteva quel “badare”.
-Gliel’ho promesso- rispose lei semplicemente, la gola chiusa.
Marian fece un sorriso sghembo, poi avvicinò improvvisamente
il volto al suo, posandole un bacio leggero sulle labbra. Aster rimase
immobile, il cuore che andava a mille, cercando di non far trapelare lo
sconcerto.
-E’ stato bello vederti fingere. Prenditi cura di mia
sorella- le sussurrò. Poi la ragazza sentì un
improvviso e lancinante dolore alla nuca. Un velo nero cadde davanti ai
suoi occhi, e tutto sprofondò nell’incoscienza.
Note dell'Autrice:
Ecco a voi un altro capitolo! Spero di riuscire a farmi perdonare per
la lunga assenza!!
Sono giuliva perchè finalmente sono riuscita a finire di
scrivere tutta la storia *__* è troppo stressante pubblicare
qualcosa senza averlo finito, non credo che lo rifarò .__.
Che bello, c'era ancora qualcuno che seguiva ^___^ ora rispondo ai
commenti:
ValeXAnime:
la mia crisi con la scrittura di questa fanfiction è
arrivata soprattutto nel momento in cui non sapevo se avrei continuato
a seguire il manga o se avrei inventato la fine della storia... ho
optato per quest'ultima soluzione, anche perchè altrimenti
sarebbe stata una cosa dai tempi d'attesa improponibili! Linalee sta
sulle scatole anche a me, ma nel finale non sarà
più così ooc... diciamo che sta attraversando un
momento di crisi interiore XD
Sherly:
visto che alla fine sono riuscita a continuarla?? Mi dispiaceva troppo
non riuscire a finirla T__T anche se una volta finita forse
rimpiangerete il fatto che non sia rimasta incompiuta D: D:
bartandes89:
che bello, una new entry ^^ sono contenta che la mia fanfiction ti
piaccia!! :D :D è la mia terza fanfiction, dopo un po' non
sapevo più che tipo di innocence inventarmi! Meno male che
questa sembra aver avuto successo!! Continua a seguire, mi raccomando!!
DarkAngel_oF_DarkNess:
Linalee in questa fanfiction attraversa una crisi mistica da manuale XD
mi ero troppo stancata di vederla sempre carina e coccolosa e di non
poer fare niente per renderla più antipatica! Di qui in poi
la storia inizia a farsi più angosciante... e alla fine non
manca nemmeno moltissimo in fin dei conti T_T
Grazie a tutti voi che seguite e leggete!! :D
Baci!
Bethan
|
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Capitolo 24 *** Even in Darkness Love can born. ***
Corre.
Non sa dove stia andando, sa soltanto che deve correre.
Alberi fitti, alti, dai
tronchi scuri la circondano, le intralciano il cammino con le loro
radici, le oscurano il sentiero con le fitte fronde.
L’unico lampo
di luce in quella foresta sconosciuta è lei, vestita di
bianco, i capelli sciolti, che raccolgono ogni barlume che la luna
piena riesce a far filtrare sotto quelle nubi vegetali.
Non
c’è più tempo, deve correre. Non
importa se il vestito si straccia, non fa niente se perderà
qualcosa in quella corsa.
La clessidra
è quasi alla fine, e lei deve fare più in fretta
che può.
All’improvviso,
arriva.
Una radura illuminata
d’argento si spalanca di fronte a lei, che quasi ci cade
dentro. Rallenta, il suo passo si fa solenne.
Al limitare degli alberi
è pieno di figure orrende, grottesche, ma lei non le vede,
perché al centro di quello spiazzo c’è
lui.
Il cuore le va
all’impazzata, sa che il tempo sta per scadere. Libera
l’istinto che fino a quel momento ha trattenuto, una lunga
spada nera compare nelle sue mani, mentre la pelle chiarissima del
ragazzo di fronte a lei diventa sempre più scura.
Lo trafigge senza alcuna
esitazione, prima che i suoi occhi diventino dorati.
Vuole vedere ancora il
loro colore lunare, prima della fine.
***
-No! No! Non l’ho fatto, no!- la ragazza stesa sul letto
iniziò a gridare all’improvviso, gli occhi ancora
serrati. Linalee scattò in piedi con un balzo e le fu subito
accanto.
-Ho… Aster! E’ solo un incubo, svegliati!- la
scrollò, ma quella si divincolò nel sonno.
-Io non l’ho ucciso! Io non l’ho ucciso!-
gridò a pieni polmoni, ma poi spalancò gli occhi
di schianto.
Occhi neri, pieni di paura e, suo malgrado, di lacrime.
Lacrime che si affrettò ad ingoiare quando vide chi le stava
accanto.
-Era solo un sogno…- mormorò la cinese
debolmente. Aster annuì secca.
-Cos’è successo?- domandò, prendendosi
la testa fra le mani. Le faceva un male dannato, ma era ben lungi
dall’essersi scordata ogni cosa.
Doveva fare un po’ di scena, perché Linalee e
tutto l’Ordine ci cascassero con tutte le scarpe e credessero
nella morte di Marian.
-Ti… ti abbiamo trovata svenuta nella stanza del generale
Cross- la voce di Linalee ebbe un tremito, Aster finse di sussultare,
di ricordare.
Era fin troppo facile ingannare gli umani, aveva ben avuto
l’occasione di constatarlo.
-Si è svegliata?! E nessuno mi dice nulla?! Fatemi entrare!-
-Walker, non pote…-
-Sta’ zitto!- dopo quell’elegante ruggito la porta
della stanza venne praticamente scardinata da un Allen infuriato come
nessuno l’aveva mai visto.
-Ehm… dovrei parlare un attimo con lui da sola, se non ti
spiace- fece la ragazza rivolta a Linalee, che le lanciò
un’occhiata a metà fra il risentito e il curioso
ed uscì dalla porta.
L’albino si avvicinò al letto in cui era stesa, ed
in un lampo furono ricoperti da una membrana nera come la notte.
-Qui potremo parlare senza che ci sentano, visto che hai
provvidenzialmente scardinato l’unica fonte che gli avrebbe
impedito di origliare- ridacchiò, ma tornò subito
seria. Anche in quel buio vedeva il luccichio negli occhi di Allen, e
niente le premeva quanto rassicurarlo.
-Marian è vivo. Sta’ tranquillo- disse.
“Vivo e vegeto” commentò fra
sé e sé ironica, ripensando al bacio
d’addio che le aveva dato.
-Era pieno di sangue-
-Perché ha combattuto contro qualcosa che sta cercando te-
continuò lei senza mezzi termini –ascoltami,
abbiamo poco tempo. Non so cosa sia, è il mio corpo che mi
guida. Sento che ti sta cercando, che l’altra notte mirava a
te- mormorò stringendo le dita sul lenzuolo. Quella cosa le
aveva provocato una sensazione infinitamente sgradevole, aveva fatto
reagire ogni singolo grammo d’innocence nella sua pelle e
nelle sue vene.
Ne aveva avuto una paura terribile.
-L’ho spedito piuttosto lontano da qui, ma è molto
probabile che quando tornerà tenterà un nuovo
attacco- la sua mente stava lavorando febbrilmente, malgrado il mal di
testa. Doveva mettere in guardia Allen, lo doveva proteggere.
Il ragazzo si sedette a tentoni sul letto di fronte a lei e le prese
con decisione il viso fra le mani. Quel contatto improvviso la
lasciò senza fiato, così come l’estrema
vicinanza fra i loro volti. Per qualche istante, tutte le
preoccupazioni sparirono, lasciando spazio solo al cuore che batteva
all’impazzata.
-La vuoi smettere di preoccuparti solo per me? Io non sono un bambino,
e non voglio che tu corra pericolo- disse –questa cosa che ho
dentro non mi rende più debole. Sono lo stesso di prima-
sussurrò poco prima di baciarla, ma nell’esatto
istante in cui le loro labbra si toccarono, Aster sentì
tutte le sue cellule urlarle all’unisono una sola parola.
“Uccidilo”
In preda al panico, cercò di sottrarsi al contatto col
ragazzo, ma le sue braccia la stringevano con più forza di
quanta non fosse necessaria, ed allora capì.
Non era Allen a baciarla, in quel momento.
Cercò di sciogliere la barriera, ma l’innocence
non le ubbidì. Stava riversando troppa energia nel
trattenerla dall’uccidere Allen, e non riusciva a comandare
l’oscurità che li circondava.
Sentì una mano infilarsi decisa fra i suoi capelli, mentre
le labbra si staccavano dalle sue per scendere sul collo, lasciando una
lunga scia di baci.
Gli tirò uno spintone per allontanarlo, ma improvvisamente
sentì il suo corpo rilassarsi e la tensione svanire
così com’era venuta.
Era tornato Allen.
Ma non la stava affatto lasciando.
-A-Allen?- balbettò, cercando con una mano il suo viso.
-Scusa- soffiò lui contro la sua pelle –emerge
quando… divento irruento, ecco- la sua fronte si
appoggiò alla sua spalla –è come se
fosse la mia parte nera, quella che non ho mai lasciato trapelare-
mormorò.
Un’idea folle si fece strada nella mente della ragazza.
Non riusciva assolutamente a comprendere come avesse potuto concepire
un pensiero simile, eppure sentiva che entrambi ne avrebbero avuto
bisogno.
-Questo è il regno dell’oscurità-
sussurrò –qui niente ha un volto riconoscibile.
Qui l’ombra che ti segue non si vede. Qui possiamo essere
ciò che vogliamo- sentì il ragazzo trattenere il
fiato prima di rispondere.
-E se prendesse di nuovo il sopravvento?-
-Lascia che faccia ciò che tu desideri. Ognuno di noi ha una
parte di tenebra nel proprio cuore. Il compito arduo sta
nell’imparare a dominarla-.
Dopo queste parole, le labbra del ragazzo ripresero lì da
dov’erano state interrotte, ma stavolta era lui, Allen, che
comandava, non il Noah.
Piano, con delicatezza, fece scendere fin sotto la spalla la manica
della ragazza, seguendo con la bocca ciò che stavano facendo
le mani.
Ad ogni bacio sentiva la pelle riempirsi di brividi, quando le dita di
Allen si spostarono sfiorando il seno le sfuggì un sospiro.
Si aggrappò alla sua schiena, tirandolo sul letto assieme a
sé, sentendo il suo corpo pesare sopra di lei, preda del
più proibito dei piaceri, ma anche del più dolce.
Quello fra due condannati che avvertivano l'avvicinarsi della sentenza.
Fissò gli occhi di Allen, chiedendosi come facessero a
brillare anche in quel buio, e d’istinto le tornò
in mente il sogno. Si irrigidì di botto.
-Tutto bene?- la voce, anche se roca, era sempre la sua, gentile e
premurosa, ed i suoi gesti non avevano nulla a che vedere con quelli
del Noah che era in lui.
Decise di dimenticare tutto, per un po’. Chi fossero, cosa
sarebbe successo loro, cos’avrebbe dovuto fare nel caso le
cose si fossero messe male. Si abbandonò alle sensazioni che
quel contatto ravvicinato le procurava.
Affondò le dita nei capelli del ragazzo e
intrecciò le labbra con le sue in un bacio di fuoco, che
spazzò via ogni loro preoccupazione.
Sentiva le mani di Allen scivolare sempre più giù
sulla sua pelle nuda, ed iniziò ad imitarlo, godendosi ogni
suo sospiro come se fosse proprio.
Non aveva paura del dolore, ne aveva sopportato tanto che il bruciore
che sentì invaderla fu per lei estremamente dolce.
Le sfuggì un gemito, ed il ragazzo si fermò.
-Scusami- mormorò, l’imbarazzo quasi tangibile
nella sua voce –io… io non ho mai…-
Aster lo strinse più forte a sé.
-Nemmeno io. Non c’è problema-
sussurrò. Entrambi desideravano che continuasse, e quando
finì sembrò essere durato assieme
un’eternità e troppo poco.
Rimasero chiusi in quel buio protettivo per ore, forse giorni,
completamente noncuranti di cosa accadesse all’esterno. Allen
era lì con lei, l’unica persona che davvero
potesse rappresentare una luce nell’oscurità che
la circondava, e lei non avrebbe mai voluto nient’altro.
---
Passi nel buio. Diversi, stavolta, ma poteva facilmente intuire a chi
appartenessero.
Jerry sospirò accendendo i fornelli: per lui non sarebbe
bastata una semplice camomilla.
“Pare che il mio lavoro qui non sia ancora finito”
pensò con un sorriso, vedendosi comparire davanti una
zazzera bianca e due occhi spiritati.
-C’è ancora da mangiare?- chiese il ragazzino
speranzoso. Il cuoco si mise le mani sui fianchi.
-Guarda un po’, stavo giusto mettendomi a preparare la tua
colazione! Siediti, se hai pazienza ti preparo qualcosa- disse con tono
scherzoso, mettendo sui fornelli una quantità incredibile di
cibo.
Era Allen, dopotutto.
Mentre quel bendidio cuoceva a fuoco lento l’uomo
andò a sedersi di fronte a lui, osservandolo e rendendosi
conto di provare una sorta di gelosia paterna nei confronti di Aster.
Sperava che quel ragazzino non la facesse soffrire.
Immerso in quei pensieri doveva aver assunto un’espressione
piuttosto truce, perché Allen inghiottì
intimorito.
-Va tutto bene?- chiese con un filo di voce. Jerry si
scrollò subito con un ghigno –alla grande! Tu,
piuttosto! Mi sembri piuttosto sveglio per quest’ora, non
è vero, dolcezza?- gli ammiccò, sperando in quel
modo di ottenere qualche informazione.
Il ragazzo sospirò, assumendo un’espressione
depressa.
-Secondo te finirà mai?- mormorò alla fine. Jerry
attese che continuasse. –Mi sembra che continueremo a
combattere in eterno, senza mai poter pensare al futuro come a qualcosa
in cui dovremo costruire anziché distruggere-
addentò voracemente un panino –non ci
sarà mai un minimo di tranquillità, non
è vero?- l’uomo rimase in silenzio, pensieroso.
Era vero, a quei ragazzi era tolta la possibilità di crearsi
una vita. Erano apostoli, dopo tutto, dovevano sacrificarsi per dare
all’umanità ciò che a loro era negato.
Tutti avevano accettato quel compito, ma che non ne soffrissero era
tutto un altro paio di maniche.
-A volte penso che lei avesse ragione, prima- continuò Allen
–noi non abbiamo scelto niente. Sono stati gli eventi e
persone più potenti di noi che ci hanno travolti- lo
guardò negli occhi, Jerry scorse lo scintillio nella
penombra –ho sempre pensato che avrei dovuto continuare a
camminare in eterno, ma adesso vorrei solo fermarmi un momento-.
-Sono anni che lavoro qui. Arrivai da bambino- esordì Jerry,
mettendosi comodo –anni in cui non ho visto altro che ragazzi
prima più grandi, poi della stessa mia età ed
infine più giovani venire e combattere, combattere e morire,
senza che nessuno mai abbia alzato la voce per protestare- quella era
stata una delle cose che gli aveva fatto più rabbia.
L’incapacità di quei ragazzi di ribellarsi, di
cercare di scoprire la verità sotto l’oceano di
cose non dette.
-Quando Aster è arrivata qui, ho sentito come una scossa,
come se finalmente un vento contrario si fosse messo a soffiare,
perché lei non vuole essere costretta a sacrificarsi-
mormorò –sebbene viva sulle spalle di un
sacrificio, lei avrebbe preferito morire piuttosto che trovarsi in una
situazione del genere- Allen annuì. L’odio di
Aster per quel luogo e per tutto ciò che rappresentava era
stato ciò che di lei l’aveva attratto fin
dall’inizio, perché esprimeva ciò che
in lui era soffocato.
-Ho un po’ di paura- disse infine –cosa
succederà se il Noah prenderà possesso del mio
corpo?- Jerry sospirò.
-Immagino che appena accadrà avrai chi ti
toglierà dall’impiccio- una voce femminile fredda
li fece sussultare. Linalee stava in piedi alle loro spalle, fissando
Allen –domani abbiamo una missione- disse
–partiremo all’alba per la Turchia. Fatti trovare
pronto da Link- riferito il messaggio, la ragazza scomparve
nell’oscurità così com’era
venuta.
---
Nella sala regnava il più cupo mutismo. Tutti erano
impegnati con i preparativi per la missione, sarebbero partiti presto e
separati.
Aster ed Allen si passarono accanto senza guardarsi neppure, si erano
già salutati. La ragazza sarebbe andata in Grecia con
Linalee, Allen in Turchia assieme a Kanda e ad altri Third Exorcists.
Quando passò accanto alla cinese si guadagnò
un’occhiata di puro veleno, e poco mancò che non
le rispondesse con un sorriso sarcastico.
“Bell’ipocrita. Se penso a quanto volevi fare
amicizia…” pensò ironica, mettendosi la
borsa a tracolla. Poi guardò Crowley e Miranda, che
avrebbero viaggiato con loro, ignorando Linalee di proposito.
-Pronti? La carrozza sta aspettando- mormorò, tirandosi su
il cappuccio. Da fuori proveniva il rumore incessante dello scroscio
violento della pioggia. I due annuirono e si avviarono dietro di lei.
“Sta’ attento… Allen”.
La vide uscire senza voltarsi indietro. Tipico suo, avrebbe potuto
dire, ma quella visione lo turbò oltremisura.
Era come se un orribile presentimento si fosse impadronito di lui, come
se dopo quella missione…
Niente sarà più lo stesso, Allen.
Ecco, appunto. Ma perché quella dannata voce doveva sempre
comparire nei momenti meno opportuni? Oltretutto sembrava addirittura
che gli leggesse nel pensiero! Si impose di ignorarla, seguendo Kanda
assieme a Link.
Sospirò rassegnato: Kanda, Link e il Quattordicesimo nella
sua testa.
“Ti prego, fa’ che questa missione finisca
presto!”
Note dell'Autrice:
Allora... LO SO, faccio schifo a descrivere le scene d'amore .___.
spero che non sia stata troppo pietosa da leggere T^T
Quanto al resto, Linalee è una vera m.... in questo
capitolo, anche se so che poi si riscatterà la sto veramente
odiando! XD
Annuncio: la storia si sta avviando verso la sua conclusione. Non so
quanto mancherà ancora di preciso, ma le cose sono in
declino... quindi preparatevi psicologicamente! Io non vi dico nulla!
Scusatemi se non rispondo ai commenti ma è periodo di esami
e sono non di fretta, di più! ç__ç
Grazie a tutti voi che seguite e commentate!!! Buone feste a tutti
quanti!! :D
Baci <3
Bethan
|
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Capitolo 25 *** A New Direction. ***
-Miranda, attenta!- Aster diede un colpo
d’ali e si buttò sulla compagna, appena in tempo
per evitarle di venire colpita dai proiettili dei gemelli. Il terreno
sotto di loro franò.
-Maledizione! Reggiti forte!- la sollevò in volo, portandola
in un posto più riparato. Vide che tremava e che era coperta
di sudore.
“Non ce la farà ancora per molto”
pensò, voltandosi a fissare il campo di battaglia.
Erano stremati. Sembrava che i Noah fossero più potenti che
mai, quasi nessuno dei loro attacchi andava a segno.
Con la coda dell’occhio vide un attacco diretto verso Linalee.
-Resta nascosta! Crowley, proteggila!- gridò con tutto il
fiato che aveva prima di scaraventarsi alle spalle della ragazza,
parando il colpo del gemello moro con la sua katana. Le sembrava che
tutto il corpo avesse preso fuoco; l’innocence evocata per
così tanto tempo le procurava dolori terribili.
-Ma guarda chi si vede! Se non sbaglio, il nostro ultimo incontro
risale ai tempi dell’arca, non è vero, dolcezza?-
quella voce le gelò il sangue nelle vene ancor prima di
vedere da chi provenisse.
Tyki Mikk era comparso davanti a lei dal nulla,
all’improvviso.
-Maledetto, ci mancavi solo tu…- sibilò,
riportandosi in posizione d’attacco.
Quello alzò le mani –tranquilla, non voglio
combattere, voglio solo parlare- disse tranquillamente –credo
che presto a te e al tuo amichetto servirà il nostro aiuto,
sai?-.
Il fendente di Aster gli tranciò la camicia, rivelando la
cicatrice lasciata dalla spada di Allen.
-Se tocchi ancora una volta Allen… io…-
ansimò, incapace di riprendere fiato.
L’uomo sorrise beffardo, avvicinandosi al suo viso.
-Sai, piccola, credo che non avrete molta scelta. Entrambi dovete
decidere dove sta il giusto e dove lo sbagliato, mi pare- la ragazza
gli mollò uno schiaffo.
-Non tentare di infinocchiarmi con le tue menzogne, Noah!-
ringhiò scansandosi. Lo sguardo di Tyki si fece duro
–molto bene. Lo vedrai da sola, ma adesso ti chiedo di
seguirmi, prima che sia costretto a portarti via con la forza- Aster
sbottò in una risata amara –seguirti? Ma per chi
mi hai presa?-
Se vuoi aiutarlo,
va’ con lui.
La voce arrivò improvvisa nella sua testa, rimbombando
fortissima.
Aster cadde a terra, l’evocazione si disattivò di
schianto, nonostante ogni cellula del suo corpo si fosse tesa allo
spasimo al sentire quelle parole.
-Che cavolo succede?! Che diamine mi stai facendo?!- gridò
rivolta a Tyki, ma quello scosse la testa.
-Non sono io. Lui ha ragione, l’unico modo che hai per
aiutare Allen è venire con me-
-Allen non vorrebbe mai che ti seguissi, bastardo!- le bruciava la
gola, faceva fatica a respirare. Sentì due braccia
sorreggerla.
-Aster! Che cosa vuoi da lei?! Vattene via!- Linalee.
Non sta mentendo.
Nemmeno io sto mentendo. E’ l’unico modo che hai
per evitare che la situazione precipiti.
Gridò con tutto il fiato che aveva in gola. Le sembrava che
ogni parola venisse marchiata a fuoco nel suo cervello.
-Smettila… smettila…- sussurrò,
paralizzata dal dolore.
Avvertì su di sé l’ombra di Tyki Mikk.
-Allora, verrai?- chiese di nuovo.
Piangendo, Aster annuì. Serrò gli occhi, ma
sentì ugualmente Linalee trattenere il respiro.
-Dove stai andando?! Hai intenzione di tradirci? Lui è un
Noah, tu sei Innocence!- gridò. L’uomo la prese in
braccio, ed il dolore esplose nuovamente.
-Fammi camminare! Ti seguirò, ma non toccarmi!-
gridò, ma quando vide la mano dell’uomo infilarsi
nella sua testa si fermò all’improvviso,
respirando affannosamente.
L’ultima cosa che sentì prima di svenire fu il suo
nome gridato da Linalee.
***
-Puoi baciare la tua
sposa-
Avvertì le
labbra di Allen sulle sue, per un istante libere del Quattordicesimo,
dolci come tutto era all’inizio.
Il bruciore
arrivò all’improvviso, e seppe che era la fine.
Evocò la
katana, le lacrime che le scorrevano sul viso. Si scostò un
istante per guardare il ragazzo in faccia. La pelle aveva perso il suo
pallore, era diventata ambrata, come quella dei Noah.
Gi occhi però
erano rimasti i suoi, argentati, luminosi, che la imploravano.
“Fallo.
Adesso” dicevano.
Sentì la lama
nera farsi strada nel corpo di Allen, poi un dolore improvviso e
lancinante la fece sussultare.
Si staccò e
guardò in basso.
Il vestito che
indossava, candido come la neve, stava cambiando velocemente colore.
Rosso, come il sangue.
***
Quando si svegliò, era nelle segrete dell’Ordine.
Sbattè la testa contro il muro, fissando nel vuoto. Sentiva
il peso dei sigilli che aveva sul braccio privarlo di ogni energia.
Cosa diamine era successo? Da quando Alma aveva scatenato la sua
potenza non ricordava niente, soltanto un buio da cui non riusciva a
fuggire e lei, la voce, che gli parlava senza sosta.
Noi due siamo una cosa
sola, Allen.
Il tempo è
vicino, ormai.
Hai bisogno della mia
potenza, ed io ho bisogno del tuo corpo.
Siamo l’ibrido
che spezzerà questo ciclo corrotto.
Serrò le palpebre, ma il buio lo spaventò e le
riaprì immediatamente. Posò gli occhi sul piatto
ancora pieno del pranzo e gli venne un conato di vomito.
Non si faceva troppe illusioni, sapeva cos’era successo alla
sede Asia. Il Quattordicesimo si era impossessato del suo corpo. Alla
fine ce l’aveva fatta, entrando in risonanza con gli akuma
c’era riuscito.
Sospirò, dando un’altra testata alla parete,
più forte stavolta.
L’avrebbero ucciso.
Poteva figurarsi la scena: Komui e Linalee avrebbero tentato di
difenderlo, ma Lvellie non avrebbe sentito ragioni.
Si chiedeva soltanto se avrebbero permesso a lei di farlo. Non
desiderava altro che uscire da quel mondo per mano sua.
Sono davvero questi i
tuoi desideri? Potremmo diventare molto più grandi, insieme.
-Sta’ zitto!- gridò al Noah. La sua voce
rimbombò nella cella angusta e la testa gli mandò
una fitta. Si accasciò a terra, troppo debole persino per
sfogare la sua frustrazione camminando.
---
-Fratello… dove sono Lavi e Bookman?- la voce tremante di
Linalee.
Preoccupata.
Nascondeva a stento il pianto.
“Perdonami, Linalee. Non avrei mai voluto sentire la tua voce
in questo modo” il supervisore sospirò,
accasciandosi nuovamente sulla sedia da cui si era alzato poco prima,
quando aveva salutato il Consiglio.
-Per quanto ne sappiamo, sono nelle mani dei Noah. Ma non abbiamo idea
del perché abbiano preso proprio loro- mormorò.
Sentì sua sorella trattenere il respiro, poi passi veloci ed
una porta che sbatteva.
Non sarebbe mai riuscito a proteggerli tutti, non con la Sede Centrale
che agiva in quella maniera così piena di efferatezza.
Avrebbero dovuto rimanere uniti contro il Conte, ed invece si stavano
mangiando gli uni con gli altri.
Forse era davvero questo il destino degli uomini, pensò
chiudendo gli occhi.
Corse a più non posso senza meta, fino a fermarsi esausta in
un corridoio. Spalancò una porta e fissò la
stanza, intatta, identica a com’era l’ultima volta
che c’era entrata.
Si portò un dito alle labbra senza pensarci.
E decise.
Non poteva dimenticare Allen, ma non avrebbe lasciato Lavi nelle loro
mani. Non poteva farlo, perché il suo cuore le diceva che
era giusto così.
Aster se n’era andata con i Noah.
Non pensava che li avesse realmente traditi, dopo ciò che
rischiava Allen dubitava che la ragazza potesse davvero passare alla
fazione opposta.
Doveva sapere qualcosa che tutti loro ignoravano, e di cui era a
conoscenza anche Allen.
Da quando Hoshi era entrata nell’Ordine, e ancor di
più da quando la sua vera natura era stata rivelata, loro
malgrado tutti avevano iniziato a farsi domande su quella guerra.
Se fosse davvero giusta. Se ne valesse la pena.
Se il loro sacrificare ogni energia e passione a quella causa avesse
davvero un senso.
Prima avrebbe pianto e urlato, ma sarebbe sottostata alle decisioni del
Consiglio. Andare a riprendere Bookman e il suo allievo nella tana dei
Noah, che nemmeno sapevano dove si trovasse, sarebbe stato decisamente
fuori discussione. Avrebbero solo perso altri elementi utili alla
guerra.
Ma adesso il vento era cambiato, lo sentiva anche lei.
Quelle con cui i Noah stavano giocando erano vite, ed il fatto che
anche l’Ordine avesse fatto la stessa cosa per centinaia di
anni le aveva fatto comprendere finalmente tutto l’orrore di
cui erano stati complici.
“Non c’è giustizia in questa
guerra” pensò amaramente.
Si tirò su il cappuccio dell’uniforme,
evocò i Dark Boots e spiccò il volo dalla
finestra.
Note dell'Autrice:
Eeeeeeeee... capitolo di Natale!! :D Tantissimi auguri a tutti,
soprattutto a voi che leggete le mie fanfiction, vi auguro un anno
pieno di spirito di sopportazione per i miei deliri!! ^__^
Vi annuncio un altro colpo di scena nel prossimo capitolo... ma non
anticipo altro! Spero che questo vi sia piaciuto!
Un ringraziamento speciale a Darkangel:
sono contentissima che la mia fanfiction ti piaccia così
tanto *-* sono questi i regali di Natale che fanno felici noi poveri
autori *commozione* tanti auguri!!!
Ancora buon Natale, popolo di efp!
Baci!
Bethan <3
|
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Capitolo 26 *** Entering Reality. ***
-Allora,
ti senti pronta?-
Aprì piano
gli occhi, richiamata da quella voce. Si trovò a fissare il
solito bianco splendente che ricopriva ogni cosa attorno a
sé.
Non poteva
più sopportarlo. Serrò di nuovo le palpebre e di
nuovo quella cortina di piacevole oscurità cadde su di lei.
-Pronta per cosa?-
chiese. Non sapeva con chi stesse parlando, ma senza dubbio era
interessante che qualcuno si rivolgesse a lei così
direttamente.
Quant’era che
non apriva bocca? Faticò persino a riconoscere la sua voce,
così debole.
-Presto il suo destino
sarà compiuto, e tu sarai libera- disse la voce.
Sussultò
–non voglio, non a quel prezzo!- esclamò, e si
sorprese di come il suo tono fosse immediatamente salito, rimbombando
contro quelle pareti invisibili.
-E’
ciò che desidera, poiché lei sarà la
causa della morte di colui che ama. Ma tu devi uscire, o quando tutto
finirà soccomberai-
Allora
l’avrebbe ucciso, pensò tristemente, e poi si
sarebbe fatta uccidere.
Che destino ignobile e
crudele, perdere la vita dopo averla appena trovata. Avrebbe preferito
essere al suo posto, perché per lei quella vita che
l’altra aveva soltanto adesso compreso non aveva alcun valore.
Perché lei
l’aveva già persa.
-E’ il loro
destino. Tu non puoi opporti- continuò il suo interlocutore.
-Non
sopravvivrò fuori da qui- mormorò chinando la
testa fra le ginocchia.
-Tutti noi ci abbiamo
pensato. Ti daremo parte della nostra energia perché tu
possa resistere fino alla fine-
-Sei sicuro che
funzionerà?- chiese titubante, sollevando appena il capo.
Quasi potè
avvertire il suo cenno d’assenso mentre diceva –si-.
Respirò a
fondo –e allora vieni a pendermi- disse decisa.
Una mano si tese di
fronte a lei, e mentre la prendeva nella sua mente comparvero un
sorriso gentile e due occhi dorati.
-Certamente, Hoshi-
---
Una ragazza magrissima, con capelli di un rosso fiammante che le
arrivavano fino alle anche, cadde sul freddo pavimento della sala.
Era nuda, ma non se ne curava più di tanto. Le sue dita
sfiorarono le mattonelle gelide, i suoi occhi si abituarono alla
penombra, così diversa dalla luce accecante che per anni
l’aveva avvolta e protetta.
D’un tratto sentì qualcosa di morbido posarsi
sulle sue spalle.
-Sono il Noah del piacere, ragazza. Questo dovrebbe dirti tutto, fammi
il favore di coprirti- disse una voce lievemente divertita.
Sentì le guance scottare. Stava arrossendo, e quasi le venne
da ridere.
Da quanto tempo aveva perso la percezione del proprio corpo?
Si strinse addosso il mantello, mentre si aggrappava alla mano
dell’uomo per rimettersi in piedi. Quello le
infilò al collo un ciondolo con una sfera dorata, che
riluceva debolmente come se fosse viva. Si sentì subito
più in forze.
-Non perderlo. Lì sta l’energia che ti
aiuterà- disse con un sorriso.
Hoshi lo guardò interdetta nei grandi occhi dorati, simili
ai suoi –perché fai questo?- mormorò.
Avrebbero dovuto essere nemici, loro, e Aster più di tutti
avrebbe dovuto uccidere i Noah. Invece non sentiva tutta questa
ostilità nei loro confronti, segno che anche
l’altra non l’avvertiva.
-Perchè non voglio perdere ciò che ho- rispose in
maniera sorprendentemente secca –ed ora muoviti, dobbiamo
andare a liberare anche un’altra persona da questo posto- la
prese per un braccio e se la trascinò dietro.
-A-aspetta!- balbettò lei.
-Ma che vuoi? Dobbiamo fare in fretta, ti dico!- esclamò
quello stizzito.
-Come ti chiami?- chiese. Il Noah alzò gli occhi al cielo
–Tyki. Tyki Mikk. E ora, se hai finito con le domande
superflue…- disse voltandole di nuovo le spalle.
-Grazie, Tyki…- mormorò andandogli dietro.
-Hm? E per cosa?- chiese quello distratto, cercando la strada giusta.
-Per avermi salvata-.
---
Si svegliò con la testa che le mandava fitte lancinanti, ed
emise un mugolio di dolore.
“Ma dove diavolo sono?” si chiese, alzandosi e
premendosi le tempie.
-Sei dentro di me. Adesso metti questo, se vuoi smettere di sentire
quel dolore- un oggetto rotondo e lucente rimbalzò sul letto
accanto a sé. Aster seguì la traiettoria da cui
era arrivato e trasalì vedendo da chi provenisse.
-Tu! Vuoi dirmi che siamo nel “Sogno”? Maledetti,
mi avete ingannata!- ringhiò, ma il dolore esplose in mille
punture di spillo che sembravano perforarle ogni centimetro di pelle.
-Non ti ha ingannata nessuno. Se ti metterai quel ciondolo smetterai di
soffrire come un cane e allora potrò spiegarti cosa succede-
la voce di Road era dura, seria. Non sembrava più la bambina
pestifera e sadica che aveva conosciuto.
-Perché dovrei fidarmi?- ringhiò, sapendo bene di
non avere scelta.
-Puoi anche restare così. Ti avviso che andrà
soltanto peggiorando, perché dovrò usare molto
del potere della mia dark matter di qui in avanti- rispose la Noah con
noncuranza.
Aster prese la collana e se la infilò con rabbia. Il dolore
scemò all’istante.
Road si alzò dall’angolo in cui era seduta,
andando ad adagiarsi accanto a lei. La fissò seriamente.
-Adesso ascoltami bene. Se vuoi salvare l'anima di Allen prima che
diventi un Noah, è l’unico modo che hai per farlo-
mormorò. Il suo tono serio la fece desistere dal fare ogni
commento.
-Il Quattordicesimo è il figlio del Conte del Millennio-
cominciò –essi vissero come uomini in un paese
dilaniato dalla guerra santa-.
***
-Fratello! Mana! Non
è possibile, svegliati!- un giovane uomo singhiozzava
disperato, gettandosi sul corpo di un ragazzino, steso a terra e
coperto di sangue, e scrollandolo senza sosta.
Fu in quel momento che
qualcosa in lui si ruppe.
Avevano perduto i loro
genitori. I loro fratelli. Aveva visto morire tutti attorno a
sé, ma c’era sempre rimasto lui.
Non l’avrebbe
tollerato, mai.
-Salvatelo-
singhiozzò –che qualcuno lo salvi!- il suo urlo
salì come un uragano in tempesta, perforò le
nubi, si circondò di lampi viola che ricaddero su Mana in un
fragore assordante.
Neah fu sbalzato
all’indietro dalla corrente d’aria.
Appena riuscì
a rialzarsi, lo vide. Stava davanti a lui, galleggiando
nell’aria, un tizio buffo e terrificante al tempo stesso,
grasso, con un gran sorriso e con un cappello cilindrico in testa.
In quelle fattezze non
aveva niente che gli fosse familiare, ma lo riconobbe immediatamente.
-Papà..?-
mormorò avvicinandosi. Quello gli sorrise –se vuoi
che faccia tornare in vita tuo fratello, dovrai seguirmi, Neah- disse
con gentilezza.
-M-ma se ti seguo-
mormorò lui –non potremo più stare
insieme- gettò un’occhiata al fratello a terra.
-Ma lui
vivrà. Non è questo ciò che vuoi? Per
tutto c’è un prezzo, Neah- rispose
l’uomo.
Neah deglutì.
Colui che era stato suo padre, adesso gli faceva paura. Vi era qualcosa
di magico in lui, qualcosa di oscuro.
Ma la tentazione lo
vinse.
-E sia. Mi
unirò a te, non mi importa cosa dovrò fare, ma
fa’ tornare in vita Mana!- singhiozzò.
Il ghigno sul volto del
padre divenne ancora più ampio. Una folgore si
abbattè dritta sul corpo del ragazzino esanime, mentre Neah
sentì un dolore atroce alle mani, così forte che
gli risalì lungo tutti i nervi del braccio, bruciando senza
pietà.
Gridò con
quanto fiato aveva in corpo.
-Sarai un ottimo
Suonatore, figlio mio- mormorò suo padre.
-Neah?- gli occhi di
Neah si aprirono leggermente, trovandosi a fissare quelli di Mana,
sgranati ed impauriti, ma inequivocabilmente vivi.
Malgrado il dolore,
sorrise.
-Andrà tutto
bene, Mana, sarò sempre con te…-
sussurrò, mentre una luce lo avvolgeva.
-Neah..!-
“Non so se ci
rivedremo, Mana. Se mai vorrai ritrovare qualcosa di me, cerca una
ragazza di nome Christine Walker. Lei ti mostrerà qualcosa
che mi appartiene” la telepatia. Il loro segreto, nessuno ne
era a conoscenza.
La luce
diventò accecante, e quando si svegliò non vi
erano più né Mana né il campo di
battaglia attorno a lui, solo un immenso salone dal pavimento a scacchi.
***
Aster cominciò con suo grande orrore a capire.
-Allen è suo figlio…- sussurrò
–è per questo che si vuole reincarnare in
lui…- l’intera storia la lasciava sbigottita.
Road però scosse la testa –hai ragione, Allen
è suo figlio, ma la storia non finisce qui. Come sai, Mana
trovò Allen, gli insegnò ciò che Neah
con la telepatia gli diceva, e poi morì
all’improvviso- disse gravemente –Neah
uscì di senno. Fino a quel momento aveva lavorato per il
Conte perchè Mana rimanesse in vita. Quando morì,
Neah tradì-
-Cosa fece?- chiese Aster.
-Cercò di uccidere il Conte, perché credeva che
se avesse preso il suo posto avrebbe potuto riportare Mana in vita. Ma
fu lui a finire ucciso. Prima di morire, giurò vendetta,
giurò che avrebbe trovato il Lord e che avrebbe avuto
ragione di lui. Si è reincarnato in Allen per portare a
termine questo compito- mormorò.
-Ma Allen tentò di resuscitare Mana…-
iniziò Hoshi, Ma Road intuì la sua domanda e la
interruppe.
-Il Conte ha realmente la possibilità di far tornare le
persone dal mondo dei morti. Il richiamo che usa per gli akuma
può essere senza problemi usato anche sui corpi originari.
E’ il suo potere, come il mio è il Sogno. Ma
quella volta non riconobbe Neah dentro Allen, e credo che il ricordo di
Mana fosse andato perduto per via dei danni che la battaglia gli aveva
procurato- mormorò –lo resuscitò come
Akuma, e Allen lo distrusse, come ben sai- concluse.
Aster rimase in silenzio per svariato tempo. La testa le girava.
-E io… io cosa c’entro con tutto questo?-
sussurrò. La cosa le stava sfuggendo di mano. Si era
infiltrata nel covo dei Noah, e aveva appreso cose per le quali tutto
l’Ordine avrebbe volentieri dato la testa.
-Ascolta, ti sembrerà strano, ma nessuno di noi ha scelto di
essere un Noah- rispose Road. La sua voce assunse una strana sfumatura,
simile a rabbia.
-La trasformazione porta un dolore indicibile, e ti ritrovi legato al
Conte anche se non vuoi. Siamo le sue marionette,
nient’altro. Certo, ad alcuni di noi va bene- disse
sarcastica –immortalità, un mucchio di soldi,
donne, cibo, potere e massacro- il suo tono era sprezzante
–ma io non volevo vivere in questo modo, non voglio vivere in
questo modo- incredibilmente, la sua voce si spezzò. Aster
andò nel panico. Cosa doveva fare? Consolarla, forse? Ma se
fino a un mese prima si sarebbero staccate la testa a vicenda!
La ragazzina recuperò presto il controllo –il solo
motivo per cui io posso essere qui a parlarti è che nemmeno
il Conte può entrare qui dentro, soprattutto ora che il suo
potere si è indebolito per via del ritorno di Neah- disse
pragmatica –ma io non voglio che il ciclo ricominci. Se Neah
prenderà il suo posto, sarà tutto come prima!
Dipenderemo ancora dal futuro Conte per
l’eternità, e peraltro in un mondo vuoto e
distrutto dai “Tre giorni di Tenebra”-
mormorò.
Fu allora che Aster capì.
Non erano poi così diversi, lei e quei Noah che si stavano
ribellando.
Sottomessi ad un potere millenario, senza mai aver avuto la
possibilità di scegliere, prede di un dolore che non avrebbe
conosciuto fine se non con la morte.
Alla fine, non vi era un Dio alla base di tutto. L’obiettivo
era solo distruggere il Conte definitivamente.
-Ma… se il Conte verrà ucciso, a voi cosa
succederà?- chiese. Buffo, fino a poco prima
l’avrebbe scannata volentieri e adesso addirittura si
preoccupava.
Road dovette pensare la stessa cosa, perché sulle labbra le
spuntò un sorriso ironico –quelli più
giovani, come Tyki, probabilmente ritorneranno umani. Quanto a noi
più anziani…- non finì la frase, ma il
significato era chiaro ugualmente.
Essere anziani per loro voleva dire avere centinaia o forse migliaia di
anni.
Aster abbassò lo sguardo inquieta, poi fissò
nuovamente Road.
-Cosa dovrei fare io?- mormorò. Solo Allen poteva uccidere
il Conte, ma se il Quattordicesimo si fosse impossessato di Allen,
allora poi sarebbe ricominciato tutto da capo.
-Allen ucciderà il Conte. E’ un destino
già scritto, e noi faremo in modo che questo avvenga il
prima possibile- rispose –provocheremo la battaglia. Tyki si
è già messo in moto. Tu dovrai soltanto fare
ciò che hai già deciso: uccidere Allen quando
sarà troppo tardi- concluse.
Sentire quella sentenza inevitabile così vicina le fece
girare la testa. Ma sapeva di doverlo fare. Dopo tutto ciò
che il Conte gli aveva causato, Allen non avrebbe mai e poi mai
sopportato di diventarlo. E per lei non avrebbe avuto senso vivere dopo
che lui fosse morto.
La sua mente volò ad Hoshi: sperava che Cross fosse ancora
vivo da qualche parte, e soprattutto che spuntasse al momento opportuno.
Improvvisamente, Road rizzò la testa.
-Dobbiamo andare. Tyki si sta muovendo- disse.
Note dell'Autrice:
Eeeeee... pronti per lo schock dell'anno nuovo??? E da qui la mia
storia non c'entra più niente con quella originaria...
è stata una decisione molto sofferta, ma non potevo decidere
di seguire il manga perchè arrivati a questo punto ci
sarebbero voluti secoli!
Si, credo profondamente che i Noah non siano così carogne,
anche se nella prima parte del manga la mia sopportazione verso di loro
tende a meno infinito... però cerco sempre di riscattarne
qualcuno XD
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Buon anno a tutti!!
DarkAngel_ un
GRAZIE enorme per le tue recenzioni *-* spero che il proseguimento
della fanfiction non ti sconvolga troppo... diciamo che mi sono
impegnata con le invenzioni! Buon anno (in ritardo T_T ) !! :D
Baci a tuttiiii <3
Bethan
|
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Capitolo 27 *** A New Mixed Plot. ***
Tyki si bloccò sul posto, e lei quasi
gli andò a sbattere addosso.
-Ehi, ma che fai?!- esclamò recuperando
l’equilibrio appena in tempo. Ancora non si era abituata a
camminare di nuovo con le sue gambe.
-Maledizione. E’ già qui- sibilò il
Noah voltandosi verso di lei –sta’ dietro di me,
è pericoloso- disse, poi sfondò la porta con un
calcio.
Ciò che videro lasciò Hoshi pietrificata
dall’orrore.
Un essere simile ad una mummia stava attaccando Allen, e a quanto
pareva già Link aveva subìto la sua forza.
L’uomo giaceva a terra, strani motivi simili ad ali che gli
fuoriuscivano dagli occhi, immobile.
Tyki si slanciò contro l’essere, e improvvisamente
nella stanza comparvero anche Road e Aster.
-Hoshi! Che diamine ci fai fuori da Hebraska?!- la ragazza si
parò di fronte a lei, sguainando la spada –lascia
perdere, me lo dirai dopo- continuò. Strinse gli occhi e
sferrò un fendente al nemico, che lo evitò per un
soffio.
-Sta’ lontano da Allen- ringhiò. Il braccio del
ragazzo aveva assunto una strana forma, era come se Allen non riuscisse
più a controllarlo.
-Tim… campi- la voce di Link emerse in un soffio dal
pavimento –portali… via- le dita del biondo si
illuminarono, ed un’enorme palla gialla sfondò la
parete, inghiottendo tutti loro in un boccone.
Furono sputati in una radura, parecchio lontani dall’Ordine.
Si rialzarono da terra doloranti.
-Perché mi avete portato via? Adesso ci daranno la caccia!
Io non verrò mai con voi!- Allen gridava
all’indirizzo di Tyki, stringendo Aster fra le braccia.
-Piccolo, sei tu che devi scegliere da che parte stare. Non siamo noi
ad essere ibridi- ribattè duro il Noah –qui
l’unico mostro sei tu-
-Smettila. Allen non è un mostro- Aster lo fissò
in cagnesco, poi si girò verso il ragazzo –fidati
di loro- sussurrò semplicemente. Allen la guardò
allibito –fidarmi?! Come posso fidarmi? Fino a una settimana
fa stavano per uccidermi!- che proprio lei gli dicesse una cosa simile
era assurdo.
-Allen!- la ragazza lo afferrò per le braccia e lo
fissò negli occhi –non hai altra scelta. Io
nemmeno. Ti spiegherò tutto, ma adesso dobbiamo trovare un
posto sicuro in cui andare. Fidati almeno di me, sai che non ti
tradirei mai- aveva un’espressione accorata e rassegnata.
Allen capì che la situazione stava precipitando, ormai le
cose erano fuori dal loro controllo come da quello di chiunque altro.
Non potevano far altro che assecondare gli eventi. Chinò la
testa –va bene. Conosco un posto, posso aprire il gate-
mormorò. Aster annuì sollevata, poi si
voltò verso la ragazza dai capelli rossi che si reggeva a
malapena in piedi, aggrappata al braccio di Tyki Mikk.
-Vuoi venire con noi?- chiese. Hoshi fece un cenno di diniego
–mi ha tirata fuori da lì. Andrò con
lui- disse decisa. L’altra annuì e si
avvicinò a lei –ho bisogno che tu resista. Fammi
rimanere con lui fino alla fine, poi sarai definitivamente libera-
disse a voce bassa –Marian è vivo, l’ho
fatto fuggire dall’Ordine in modo che possa rintracciarti
quando tutto sarà finito- Hoshi annuì. Gli occhi
di Aster si spostarono sul Noah, poi nuovamente su di lei, pieni di
tristezza –potrebbe seguire la nostra sorte. Quindi
sta’ attenta a ciò che provi- mormorò
stringendole una mano. Si avviò verso Allen, che
già si accingeva a varcare il gate. L’ombra di
Neah era ben visibile alle sue spalle, ormai –come farete a
rintracciarci?- chiese a Road. La bambina indicò il ciondolo
che portava al collo –e se quello non funzionasse, il Conte
può percepire lui- continuò accennando ad Allen
con la testa. La ragazza annuì e seguì il
compagno, immergendosi in una luce bianca.
---
-Maledizione! Com’è possibile che siano tutti
spariti nel nulla?!- Komui si aggirava nella stanza come un leone in
gabbia, mentre gli unici tre esorcisti rimasti, Marie, Miranda e
Crowley, stavano in silenzio e ad occhi bassi di fronte alla sua
scrivania.
-I Noah si sono infiltrati, Linalee è finita
chissà dove, Aster e Hoshi sono scappate assieme ad Allen!-
si sedette pesantemente sulla sedia, sospirando e prendendosi il volto
fra le mani, spostando gli occhiali.
-Io non posso proteggerli, ormai. Non più-
mormorò affranto –per l’Ordine adesso
sono dei traditori, almeno quelli che hanno seguito Allen-
fissò i tre che continuavano a rimanere zitti
–ascoltatemi bene. Lo so che siete preoccupati per loro.
Anch’io lo sono, c’è mia sorella
là fuori- disse –ma dovete starvene il
più possibile tranquilli, altrimenti non potrò
più fare più niente contro l’Ufficio
Centrale. Quelli guardano a voi come a delle macchine al pari degli
akuma- appoggiò la schiena al sedile, stirandosi.
Nessuno disse niente, ma tutti colsero l’espressione
incredibilmente seria di Miranda mentre fissava come suo solito il
pavimento.
-Ehi, che cos’hai?- Marie le si affiancò quando
furono usciti, parlando a bassa voce. Non aveva potuto vederla in viso,
ma aveva sentito i battiti del suo cuore e il ritmo del suo respiro
decisamente più calmi e decisi del solito. Miranda lo prese
per mano, svoltando in un corridoio buio e deserto.
-Parto- disse semplicemente. Una parola, e il cuore
ricominciò a batterle furiosamente nel petto –io
so dov’è andata Linalee, non posso lasciarla da
sola- mormorò. Marie non riusciva a celare lo stupore dietro
alla sua solita espressione gentile. Miranda, quella Miranda che aveva
sempre paura di prendere una decisione, che non avrebbe mai fatto
niente per andare contro la volontà altrui, stava pensando
di abbandonare tutto. Stava pensando di mettere a rischio la propria
vita per gettarsi in una missione senza speranza, da cui
però dipendeva la vita di due compagni.
E lui, come un idiota, nonostante fosse ben a conoscenza della parte
oscura dell’Ordine, non aveva aperto bocca per protestare
davanti alla filippica di Komui.
Sorrise, appoggiandosi al muro –bene. Quando partiamo?-
sentì il cuore di Miranda mancare un battito, e il suo fare
altrettanto.
-No, andrò da sola, io…- iniziò lei,
ma Marie la zittì subito –se avessi voluto andare
da sola, non avresti dovuto dirmi niente. Perché adesso
verrò con te, qualsiasi cosa tu abbia da obiettare- Miranda
rimase in silenzio, poi le sue dita strinsero leggermente
più forte quelle di Marie mentre un sussurro soffocato le
usciva dalle labbra.
-Grazie, Marie-.
---
-E così Tyki e Road hanno intenzione di
proteggerlo…- la voce del Conte risuonò in modo
raccapricciante nella stanza. Il silenzio era così denso che
si sarebbe potuto tagliare con un coltello. Linalee ascoltava col fiato
sospeso, tenendo gli occhi puntati ora su Bookman, ora su Lavi che
stava seduto immobile, il capo reclinato sul petto, respirando
affannosamente.
“Lavi… che cosa ti hanno fatto?”
pensò atterrita. Stava cominciando a temere di essersi
infilata in una cosa più grande di lei. Quando era arrivata
di fronte al nascondiglio del Conte, una porta le si era aperta davanti
come se la stessero aspettando. Avrebbe fatto carte false pur di non
entrare da lì. Come se non bastasse, non aveva incontrato
nemmeno un akuma durante tutto il tragitto che l’aveva
portata alla fine dietro la porta di quella sala, dove tutti i suoi
nemici erano pronti a farla a fettine al minimo sospetto della sua
presenza. Era ovvio che la stessero aspettando, o perlomeno che il
Conte si aspettasse che qualcuno cercasse di introdursi nel suo covo.
Voleva giovare al gatto col topo, e lei lo sapeva. Ma c'erano forse
alternative?
Certo, era arrivata fin lì, ma davvero non aveva idea di
come fare per tirare fuori Lavi da quel posto.
-E tu che ci fai qui, piccola?- fu appena un sussurro, ma
mancò poco che le scappasse un grido. Si girò di
scatto per trovarsi a un soffio dal volto ironico di Tyki Mikk.
Rimase immobile, terrorizzata “è finita”
pensò, ma una mano le battè sulla spalla.
-Coraggio. Se non ti beccano loro, io non ti farò nulla. Sei
qui per salvarlo, eh?- chiese il Noah, affacciandosi allo spiraglio.
Solo in quel momento Linalee notò la ragazza che stava alle
sue spalle.
-Hoshi?!- che ci faceva con lui? Come era uscita da Hebraska?
La rossa sorrise, mettendosi un indice davanti alle labbra. Sembrava
decisamente più in forze e meno eterea di quando lei e Aster
avevano combattuto assieme.
-Tyki! Dov’è Aster?- bisbigliò
all’indirizzo dell’uomo –è con
Allen- rispose lui –Road sta cercando di nascondere tutte le
nostre tracce, comprese le tue. Dico, non hai avuto nemmeno il sospetto
di essere riuscita a entrare un po’ troppo facilmente?- a
quella domanda ironica la cinese sgranò gli occhi.
Allora era per quello che era andato tutto così liscio! Road
l’aveva aiutata?! Ma che diamine stava succedendo?
Avrebbe voluto fargli altre domande, ma quello le fece cenno di tacere
e indicò lo spiraglio. Linalee si sporse per guardare.
-Allora, Bookman. Che tipo di relazione c’è fra
Road e il Quattordicesimo? Perché lo sta aiutando?- il Conte
si era avvicinato al vecchio, più minaccioso che mai.
-Dovresti saperlo già. Che razza di padre sei, se non
conosci neppure la tua famiglia?- a quelle parole taglienti, un Noah
colpì violentemente Lavi, mandandolo contro la parete
opposta. Linalee sussultò, la mano premuta sulla bocca.
“Come faccio a salvarlo? Come faccio?”
pensò disperata. Si stava facendo prendere dal panico.
-Forse sapranno dircelo quei tre dietro la porta, Conte-
sussurrò mellifluo il Noah. Con un cigolio sinistro, il
legno si spalancò sempre di più, scoprendoli alla
vista.
Note dell'Autrice:
Finalmente riesco a concludere un capitolo con un po' di sana SUSPANCE!
Alleluja XD e da adesso... mi spiace dirvelo ma entriamo nella parte
finale e decisamente "nera" della storia T^T il genere drammatico non
l'ho scelto a caso... ma non farò spoiler,
riserverò i commenti ai capitoli successivi, dove la
situazione si delineerà ancora meglio!
Intanto spero che questo vi sia piaciuto, come si può ben
vedere non resisto dall'infilare scene tenere di Marie e Miranda
dovunque, li amo troppo <3
DarkAngel_
come farei senza i tuoi commenti??? Se già lo scorso
capitolo ti aveva messo l'ansia non oso immaginare il finale di questo!
Sarò più rapida ad aggiornare, promesso! :3
soprattutto nella parte finale con le invenzioni mi sono scatenata XD
se proprio devo discostarmi dal manga tanto vale farlo con stile (?)!
A presto! :D
Baci a tutti ^^ suvvia, unitevi alla mia affezionata e commentate!!
Bethan
|
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Capitolo 28 *** We must find the Strenght. ***
-Dev’essere impazzita…-
sospirò Marie quando Miranda ebbe finito di spiegargli le
intenzioni di Linalee –la faranno fuori prima che noi
riusciamo a scoprire dove si sia cacciata…- la ragazza non
disse niente, continuando a fissare davanti a sé.
Era una bella giornata, e il sole sembrava quasi deridere le loro poche
speranze, illuminando dal cielo terso la loro disastrosa situazione.
Non aveva la più pallida idea di dove cercare il Conte.
Linalee non aveva aperto bocca su questo punto. Ma non voleva essere la
solita, noiosa e fifona Miranda, che aspettava sempre che fossero gli
altri ad agire e a fare qualcosa.
Anche se la sua innocence non le consentiva di attaccare, avrebbe
comunque potuto proteggere. Alzò gli occhi ed il suo sguardo
si scontrò con una figura familiare.
-Non è possibile… Marie…-
sussurrò alzandosi in piedi di scatto. Un ragazzo alto, mal
vestito e con lunghi capelli neri si fece loro incontro.
Incredibilmente sul suo volto si disegnò un sorriso.
-Allora, niente “bentornato”, per me?-
---
Allen dormiva della grossa, dopo la medicina e le cure della vecchia.
Aster si soffermò qualche minuto a guardarlo, poi si
alzò lentamente, stirandosi.
Erano arrivati là da tre giorni, e ancora non
c’era nessun segno che le cose si stessero effettivamente
muovendo.
La vecchia Ba-Ba li aveva accolti come se sapesse già tutto,
e aveva iniziato a recitare una serie di formule che avevano fatto
scomparire quelle cose dal corpo di Allen.
L’ombra alle spalle del ragazzo le fece un gran sorriso,
Aster voltò lo sguardo, nauseata.
-Vattene…- mormorò sfinita, prendendosi la testa
fra le mani. Erano settimane che non dormiva più di un paio
d’ore per notte. Come chiudeva gli occhi, incubi terribili le
riempivano la testa. Prima la storia di Mana e Neah, poi Road, poi il
Conte e infine lo stesso, tremendo sogno.
Lei che correva in un bosco, vestita di bianco, Allen in una radura che
la aspettava. Un bacio, e poi quel dolore, lancinante, come se fosse
vero, e il sangue che imbrattava tutto. E lei sapeva benissimo che non
era soltanto suo.
E’
così che dovrà finire.
La voce le parlò all’improvviso e la testa le
mandò una fitta.
-Taci. Non è che uno stupido sogno- ringhiò a
mezza voce all’indirizzo dell’ombra. Quella, per
tutta risposta, esibì un ghigno ancora più ampio,
rimanendo in silenzio.
In quei giorni di stasi non aveva fatto altro che pensare a
ciò che aveva promesso al ragazzo, e più che mai
sentiva di non essere in grado di mantenere la parola data.
Le sembrava così ingiusto che la loro felicità
fosse durata tanto poco. Adesso aveva quasi paura ad avvicinarsi a lui,
temeva che non sarebbe stata in grado di controllare il proprio corpo
se il Quattordicesimo avesse preso il sopravvento.
-Non voglio ucciderlo…- sussurrò chiudendo gli
occhi. Sapeva che era inutile ragionare a quel modo. Anche se ci avesse
provato con tutte le sue forze, l’innocence di cui era
composta reagiva alla presenza della dark matter con
l’istinto omicida. Non avrebbe potuto opporsi quando la
trasformazione fosse stata completa, nemmeno se avesse voluto.
Una lacrima le sfuggì da sotto le palpebre. Decise di
alzarsi e di uscire.
Non ne poteva più di quell’immobilità.
Road aveva detto loro di aspettare i segni, ma fino a quel momento non
c’erano stati che silenzio e neve che cadeva ritmica e lenta.
La vecchia era seduta sulla soglia, fumando una pipa. Aster le si
affiancò senza dire niente, lasciando che il freddo le
colpisse il viso.
-Fra non molto si sveglierà- disse Ba-Ba ad un tratto. La
ragazza annuì e continuò a fissare il bianco
davanti a sé.
-Cos’hai intenzione di fare?- le chiese. Proprio la domanda
meno opportuna, constatò Aster con un sospiro.
-So che lo ami. Mantenere ciò che hai promesso è
l’unico modo in cui puoi dimostrarglielo- continuò
la vecchia.
Aster avrebbe voluto ribattere, ma la sua attenzione fu catturata da
tre figure immerse nella nebbia che stavano avanzando. La katana nera
le comparve fra le mani –entri in casa- mormorò
alla donna, mettendosi davanti alla porta. Quella non si scompose
–abbassa la tua arma. Li stavo aspettando, e anche tu- disse
con un sorriso enigmatico. La ragazza osservò le tre ombre
più attentamente, e quando le riconobbe mancò
poco che le venisse un colpo.
-Non può essere…- sussurrò
–è vivo?- si girò verso la vecchia, che
sorrise.
Kanda, Miranda e Marie arrivarono alla porta poco dopo, bardati come
non mai in pellicce e giacconi.
-Strano vederti così sensibile al freddo, Kanda- disse la
ragazza con un ghigno.
Le rispose un sorriso intirizzito che niente aveva perso del suo
sarcasmo –aspetta che mi sia ambientato, novellina-.
Il vederli arrivare aveva portato una ventata d’aria fresca.
Aster si sentì rinfrancata: le cose stavano iniziando pian
piano a sbloccarsi. Avrebbe fatto bene a farsi venire in mente qualcosa.
---
Era successo tutto in un lampo. Un secondo prima, loro tre erano stati
costretti dal potere di uno dei Noah ad entrare nella sala, mentre il
Conte si avvicinava sempre di più. Linalee poteva sentire lo
sguardo di Lavi perforarle la schiena e il suo respiro affannato
rompere il silenzio, chiedendole soltanto perché fosse
lì.
Il pensare al motivo per cui si trovava in quel guaio le diede la forza
di alzare gli occhi e di fissare il suo nemico con aria di sfida. Non
poteva parlare, ma non erano necessarie le parole per comunicare il suo
disprezzo.
Le rispose un ghigno folle –allora, piccola Linalee. Sei
venuta a salvare il tuo amichetto? Lo sai che lui come Bookman non
avrebbe mai fatto altrettanto per te, vero?- non aveva idea di dove
volesse andare a parare, ma non le importava.
“Se solo sapessi quanto ti stai sbagliando,
bastardo” pensò con rabbia, rimpiangendo
più che mai il non potergli sputare in faccia ogni sillaba.
Lo sguardo del Conte si spostò su Hoshi, e Linalee
ammirò la calma della ragazza. Il suo sguardo era di pura
indifferenza, come se non fosse assolutamente intimorita dal trovarsi
di fronte al loro peggiore nemico, nonché a morte certa.
-Dunque Tyki ti ha liberata, vero? E dov’è il tuo
fratellino? Perché non è stato lui a salvarti?-
bastò menzionare il Generale perché gli occhi
della ragazza mandassero lampi, ma non si spostarono mai da quelli del
Noah.
Fu proprio quando il Conte si rivolse a Tyki che si scatenò
il putiferio.
Dal centro della sala un’esplosione sollevò un
polverone che in un baleno rese impossibile vedere a più di
un palmo dal naso. Linalee avvertì le proprie braccia, prima
irrigidite dalla dark matter, rilassarsi all’improvviso e
libere di muoversi. La prima cosa che fece fu schizzare da Lavi,
sollevandolo da terra.
-Che… cavolo sei venuta a fare? Stupida…- il
ragazzo era pallido e madido di sudore, le mani che gli tremavano.
Linalee fece passare un suo braccio sopra le proprie spalle
–ti porto via di qua, coraggio- sussurrò facendolo
appoggiare a sé. Mosse due passi, quando sentì il
peso alleviarsi all’improvviso.
-Tsk. Questo stupido coniglio non sa far altro che mettersi nei
casini!- il sentire quella voce la stupì così
tanto che parlò prima di pensare.
-Yu!- si mise una mano sulla bocca, aspettandosi
un’occhiataccia che non arrivò. Il moro prese Lavi
sulle spalle e le sorrise –allora, vuoi star qui ancora per
molto o possiamo andare?- la ragazza convenne che per i saluti ci
sarebbe stato tempo più tardi e filò dietro al
giapponese, che si dirigeva sicuro verso il centro della sala.
-Conte!- il Noah, che fino a quel momento aveva attaccato Tyki, si
girò di scatto a quel richiamo, il viso trasfigurato in una
maschera d’ira. Di fronte a lui c’era Allen, con la
spada bianca in mano, ma a tutti era chiaro che quello non era il loro
Allen. Gli occhi dorati spiccavano in modo innaturale sulla carnagione
scura, l’espressione era beffarda e trionfante.
-Dannazione- imprecò Tyki fra i denti. Prese Hoshi in
braccio e filò anche lui nella stessa direzione di Kanda,
quando si sentì tirare un lembo dei pantaloni.
A terra stava una figura rannicchiata che si reggeva la testa con la
mano, respirando affannosamente. Due occhi neri come la notte, in cui
dilagava un’oscurità disperata, lo fissarono
imploranti –portalo via da qui- sussurrò Aster
–è troppo forte per me, rischio di ucciderlo- il
Noah la fissò allibito –è quello che
devi fare, no?- ma lei scosse la testa.
Sentiva che era troppo presto, che qualcosa doveva ancora succedere.
Non sapeva se era solo la sensazione lasciatale dal sogno, ma era certa
che in quel momento non ce l’avrebbe fatta. Guardò
Tyki dritto in viso –ti prego…- la ragazza dai
capelli rossi smontò dalle sue braccia e si
accucciò accanto ad Aster.
-Fa’ come dice- ordinò perentoria.
L’uomo rimase interdetto, ma qualcosa gli diceva che sarebbe
stato meglio dar loro retta e filarsela prima che la porta aperta da
Road si chiudesse.
Si, perché Road era l’unica che potesse penetrare
là dentro. Si chiese se stesse bene. Hoshi aiutò
Aster a rimettersi in piedi –forza, dobbiamo andarcene- disse
quella, appoggiandosi a lei. Giunsero davanti ad un globo di luce che
brillava immobile in mezzo a quel caos. Con un’ultima
occhiata alle sue spalle e con la consapevolezza che stava lasciando
ciò che aveva di più prezioso nelle mani di
quello che fino a poco tempo prima era stato per lei un nemico, Aster
varcò il portale.
---
-Che ti è saltato in mente? Avresti dovuto aspettare e
ucciderlo!- Tyki sbattè violentemente la mano sul tavolo.
Aster rimase seduta a occhi bassi, i capelli che le piovevano davanti.
-Era la nostra occasione, avrebbe ucciso il Conte e poi tu avresti
ucciso lui!- si passò le dita fra i capelli neri sospirando.
Nessuno nella sala disse niente.
Linalee era al capezzale di Lavi, che continuava a dormire un sonno
tormentato da incubi. Allen era stato di nuovo affidato alle cure della
vecchia Ba-Ba. Aster avrebbe voluto vederlo, ma per dirgli cosa? Che
non ci sarebbe riuscita? Che non avrebbe mai sopportato di fargli del
male, figurarsi ucciderlo?
-Smettila, Tyki. Non è così semplice- la voce
sottile ma decisa di Hoshi si levò dal divano –se
Aster ha sentito che quello non era il momento di ucciderlo, allora va
bene così. Dobbiamo pensare ad un altro piano
d’azione- la ragazza fissò con determinazione il
Noah negli occhi.
La discussione fu interrotta dal rumore di passi giù per le
scale.
-Allen vuole vederti. Va’, finchè è
ancora lui- a quelle parole Aster scattò in piedi e
schizzò al piano di sopra. I suoi passi scomparvero ben
presto dietro al rumore di una porta che si chiudeva.
Nella stanza cadde il silenzio. Tyki fumava nervosamente una sigaretta,
appoggiato al tavolo. Marie e Miranda stavano seduti sul divano, rigidi
come stoccafissi, senza sapere da che parte guardare mentre Hoshi,
accanto a loro, fissava pigramente fuori dalla finestra.
Il primo a parlare fu Kanda –voi Noah non siete connessi in
qualche modo? Non potete avvertire la presenza del Conte?- chiese
brusco. Non riusciva a fidarsi di Tyki. Quello sbuffò
–se io potessi sentire la sua presenza saremmo già
tutti morti, perché è un canale a doppio senso,
Esorcista- rispose secco –in questo momento è Road
che ci sta proteggendo. Dobbiamo sbrigarci anche perché non
so quanto riuscirà a resistere-.
-Lavi starà bene?- la voce incerta di Miranda ruppe per
l’ennesima volta il silenzio.
Tyki sospirò –gli è stato impiantato un
parassita da uno dei miei fratelli- spiegò
–potrebbe ucciderlo in ogni momento, c’è
soltanto un modo di salvarlo…-
-Dimmi qual è- Linalee era letteralmente apparsa dal nulla
in cima alle scale. Pallida, spettinata, due occhiaie profonde che le
circondavano gli occhi –Lavi sta sempre peggio- le tremava la
voce –non riesco più a svegliarlo nemmeno quando
sta avendo un incubo- il Noah la fissò gravemente, poi
parlò.
-L’unica cosa che può sconfiggere la dark matter
è l’innocence nella sua forma più pura.
Qualcuno deve donarla a lui- nessuno disse nulla, aspettando che
continuasse.
-Esiste un processo, chiamato “trasferimento”-
proseguì –con cui un compatibile di tipo parassita
può far passare la propria innocence nel corpo di
un’altra persona tramite il sangue…- i suoi occhi
si piantarono in quelli di Linalee –fra di voi,
l’unica che ha qualche speranza di farcela sei tu. Sbaglio o
la tua innocence si è fusa col tuo sangue?- chiese,
indicando con la testa gli anelli alle caviglie della ragazza. Linalee
annuì –bene- disse il Noah –se vuoi
salvare il tuo Lavi, devi rinunciare alla tua innocence-
-Nessuno di noi può perdere l’innocence, dobbiamo
essere tutti in grado di combattere- Kanda fece girare tutti i presenti
–una volta che Lavi avrà assimilato la sua,
potrà restituirgliela?- chiese. Tyki alzò le
spalle –non ne ho idea. Può darsi che per
distruggere la dark matter allo stato puro l’innocence
consumi tutta la propria forza spirituale e non ne rimanga traccia. So
solo che questo è l’unico modo- concluse spegnendo
la cicca sul pavimento.
-Lo farò. Tu fammi strada-
-Linalee, sei forse impazzita?! Chi ti dice che non sia un trucco?- il
giapponese scattò sulla difensiva.
-Se fosse stato un trucco, avrebbero già potuto chiamare
tutta la famiglia e farci fuori- intervenne Hoshi –se Linalee
se la sente, la decisione spetta a lei- gli occhi dorati sostennero lo
sguardo di quelli blu di Kanda. Fu il giapponese ad abbassarli per
primo.
La cinese annuì nuovamente e salì le scale,
facendo cenno al Noah di seguirla.
Agli altri non rimase che star lì e aspettare.
Note dell'Autrice:
Lo so, mi state volendo male! Questi capitoli mettono l'ansia anche a
me x_x e il titolo è da Star Wars, ma non mi veniva in mente nient'altro T_T ora che siamo quasi in fondo voglio farvi stare
un po' col fiato sospeso, altrimenti che gusto c'è? XD
DarkAngel_:
cavolo quanti complimenti *____* grazie mille, sono
commossa ç__ç *si soffia il naso e si
ricompone* Linalee si sta svegliando, è stato un sollievo
pure per me smettere di descriverla così rompic...!! ora che
siamo quasi in fondo mi sta venendo un bel po' di depressione... sono
affezionata a questa storia T_T ah, se te ami la mia fanfiction io AMO
le tue recensioni ^___^ Quanto a Marian, lo vedremo fra poco! Forza e
coraggio XD a presto! <3
bartandes89:
amo il tuo nome *__* a parte questo slancio di follia, sono felice che
la fanfiction ti piaccia!! :D alla fin fine forse il personaggio di
Linalee è quello che cambia di più... quando ho
iniziato a scrivere la storia la odiavo "leggermente"...
però si dà a tutti una seconda
possibilità u.u
Fuggo a studiare! Al prossimo capitolo!
Bethan <3
|
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Capitolo 29 *** Everything is Connected. ***
Sentiva le voci dal piano di sotto come se
fossero distanti anni luce. Allen era seduto sul letto, pallido come al
solito, e fissava fuori dalla finestra.
Al collo riluceva una sfera dorata identica a quella che portava lei.
Gli occhi grigi intercettarono il suo sguardo –me
l’ha data Tyki. Serve per controllare il Quattordicesimo
ancora per un po’- sorrise mesto. Aster si
avvicinò al letto lentamente. Sentiva come se le gambe le
fossero diventate di piombo, la testa le girava.
-Scusami- sussurrò a voce bassissima una volta seduta.
Bastò quella parola perché le lacrime che aveva
trattenuto fino a quel momento iniziassero a scendere.
Lacrime di dolore, perché sapeva che non avrebbe potuto far
niente per impedire il corso degli eventi, lacrime di frustrazione, per
non essere riuscita a mantenere la parola data ad Allen, lacrime di
disperazione, perché non voleva continuare a vivere in un
mondo buio com’era quello prima che Allen vi portasse la luce.
Le braccia del ragazzo la strinsero, portando la sua testa sul proprio
petto.
Il ragazzo non disse niente, si limitò ad abbracciarla. Poco
a poco i singhiozzi di Aster si calmarono, ma la sua tristezza era
rimasta, intensa, palpabile nell’aria che la circondava.
-A dire la verità… sono contento che tu non
l’abbia fatto, ancora- mormorò Allen a un tratto.
La ragazza si scostò un poco per guardarlo negli occhi,
aspettando che continuasse.
-C’è… una cosa che voglio chiederti,
Aster- iniziò abbassando lo sguardo.
-Dimmi- non sentì la propria voce rispondergli. Ogni suono
le sembrava sovrastato dai battiti furiosi del suo cuore.
Allen la strinse di nuovo a sé e la ragazza si
trovò all’improvviso con la testa appoggiata
contro il suo petto.
-Sposami-.
---
Tyki esaminò il corpo di Lavi, in cerca della ferita dalla
quale suo fratello doveva aver iniettato il parassita.
La trovò, profonda, alla base del collo.
-E’ qui- annuì sicuro, scansandosi per fare spazio
a Linalee.
La ragazza avanzò tremando e si sedette di schianto di
fianco a lui, rigida come un sasso.
-Che… che cosa devo fare?- chiese, gli occhi sbarrati. Tyki
incrociò il suo sguardo, poi trasse dalla cintola un pugnale
acuminato.
Miranda scattò verso Linalee, ma Marie la trattenne.
-Ora- disse il Noah gettandole un’occhiataccia –ti
ferirò in modo che il tuo sangue possa entrare in questa
ferita. Tu devi concentrarti- enfatizzò l’ultima
parola –con tutte le tue forze per convogliare
l’innocence in quel punto, in modo che passi nel corpo di
Bookman. Hai capito?- Linalee annuì, tesa come non mai.
-Dammi la mano, allora- Tyki incise un piccolo taglio su un dito, poi
lo poggiò sulla ferita di Lavi non appena il sangue
iniziò a scorrere.
Linalee prese un profondo respiro, chiuse gli occhi ed entrò
in una specie di trance.
“Innocence.
Aiutami. Aiutalo”
Sentì l’energia fluirle nelle vene, in tutto il
corpo, assieme al sangue, e pian piano convogliarsi verso la sua mano
ed il suo dito.
Mano a mano che l’innocence la lasciava, avvertiva un freddo
mai sentito prima impadronirsi del suo corpo. Quando anche
l’ultimo residuo la abbandonò, tolse di scatto il
dito dalla ferita del ragazzo e sarebbe caduta a terra se due braccia
non l’avessero afferrata al volo.
-Razza di cretina! Ma che diavolo hai fatto?!- dietro il velo che le
appannava la vista, scorse l’occhio di Lavi, aperto, vivo.
Sorrise senza dire niente.
Si sentiva tremendamente debole, e aveva un freddo terribile.
-Lasciala a me, Bookman. Fra poco vomiterai anche l’anima- le
mani del Noah afferrarono Linalee saldamente, mentre le proteste di
Lavi furono immediatamente ammutolite dai conati che lo fecero
schizzare in bagno.
-La tua innocence sta avendo effetto. Sta espellendo il parassita-
disse Tyki, stendendo la ragazza sul letto e facendo cenno alla vecchia
Ba-Ba di portargli delle coperte –adesso stai calma e dormi-
ordinò. La ragazza annuì, poi chiuse gli occhi e
sprofondò immediatamente nel sonno.
Nella stanza regnava un silenzio di tomba, rotto solo di tanto in tanto
dal rumore della guarigione del povero Lavi.
Tyki li fissò uno dopo l’altro con aria scocciata
–beh? Cosa sono quelle facce? Ce l’ha fatta,
dovreste essere contenti!- esclamò alzandosi e stirandosi le
braccia.
-Linalee… si riprenderà, vero?- Miranda lo
fissava intimorita, ma anche determinata.
Il Noah sbuffò –certo. Guarda che trasferire
l’innocence non è certo una cosa da poco, se poi
pensi che ha anche perso una notevole quantità di sangue il
fatto che stia così è perfettamente normale-
rispose, suonando più sicuro di quanto non fosse in
realtà.
Sperava che la ragazza non avesse esagerato e non rischiasse di morire
dissanguata, ma pensò bene di tenere per sé
questi dubbi.
D’un tratto, la vecchia padrona di casa battè le
mani –bene. E’ stata una giornata snervante per
tutti, credo che una dormita non ci farebbe male- Kanda stava per
ribattere, ma lei lo interruppe –credi che conciati in questo
modo sareste in grado non dico di fare, ma anche solo di pensare
qualcosa? Hai idea di quello che hanno passato i tuoi compagni? Dammi
retta, una nottata non ci rovinerà- malgrado la fretta, si
trovarono tutti d’accordo.
---
Il vento spazzava implacabile la collina sabbiosa, sollevando nuvole
accecanti di polvere e facendo volare ovunque sterpi secchi.
Il legno della vecchia casa scricchiolava in modo decisamente
inquietante, facendo ad ogni istante sembrare che qualcuno si fosse
introdotto nell’abitazione.
All’ennesimo schianto di una finestra, un uomo alto
schizzò su dal letto imprecando a più non posso,
afferrando un fucile.
Quando si fu reso conto che, come al solito, era stato un falso
allarme, scese in cucina e si versò un bicchiere di whisky,
senza che il fiume di maledizioni cessasse un attimo di scorrere dalle
sue labbra.
Ormai si era installato lì da due mesi, durante i quali non
aveva fatto altro che respingere attacchi di ogni tipo di akuma e
bestia feroce che popolavano quel luogo dimenticato da Dio e dagli
uomini.
Era esausto, il caldo lo faceva impazzire, la ferita ci aveva messo
settimane a guarire del tutto e anche Maria iniziava a dare segni di
cedimento, quando veniva invocata.
“Non posso più stare qui. Devo trovare una
soluzione” pensò ingoiando il liquido ambrato
tutto d’un fiato.
La sua mente volò ai ragazzini esorcisti. Non aveva la
più pallida idea di come si fosse evoluta la situazione
all’Ordine da quando era scappato, ma sentiva che le cose non
potevano che essere precipitate.
Allen si sarebbe trasformato in Noah, che lo volesse o no,
pensò sbuffando una nuvola grigia dalle labbra, mentre
l’ennesima sigaretta si consumava più veloce che
mai.
Uno scricchiolio decisamente simile ad un passo lo fece sobbalzare.
Stavolta non sbagliava.
Gettò via il mozzicone e si diresse cautamente verso
l’angolo della veranda, dove aveva sentito il rumore.
-Non voglio combattere, Marian Cross. Posa quel fucile- la voce
proveniva dalle sue spalle.
-Tu!- ringhiò, non accennando minimamente ad abbassare
l’arma, nonostante sapeva che sarebbe stata utile quanto uno
stuzzicadenti contro il corno di un rinoceronte.
-Si, io. Ti ho detto che non sono venuta per combattere. Ho un
messaggio da parte di Aster- la bambina dagli ispidi capelli neri mosse
un passo verso di lui, tendendogli una lettera. Cross la
fissò più sospettoso che mai.
-Non ti aspetterai davvero che me la beva- disse sarcastico, senza
prendere il foglio che Road gli stava porgendo. Notò che la
Noah sembrava avere la carnagione più pallida del solito, e
non aveva più quell’espressione di
crudeltà infantile stampata in volto. Al suo posto, un
sorriso amaro e rassegnato stendeva le sue labbra, facendola sembrare
molto più adulta.
-Non è un trucco. Vuole vederti, siamo quasi alla fine della
commedia. Anche Allen vuole che tu venga con me- gli disse, continuando
a tenere gli occhi bassi.
Sempre scrutandola, il generale prese la lettera dalle mani della
bambina.
“Marian,
il momento è
giunto. Allen non può più aspettare, e io non
continuerò a vivere dopo averlo ucciso.
Questa lettera non
è un inganno di Road, lei è dalla nostra parte.
Se la seguirai, ti spiegherà tutto.
Non so se faremo in
tempo a salutarci, quindi comincio qui a dirti solo una minima parte di
quello che vorrei.
Hoshi è
libera, e non sconvolgerti se la vedrai persa dietro a Tyki Mikk. Il
confine si sta sfaldando, la linea di distinzione fra luce ed ombra
diventa sempre meno marcata, e in alcuni punti le nostre
metà si stanno fondendo.
Quando per me
sarà tutto finito, prenditi cura di lei, ma non tarparle le
ali. Il tempo per il sospetto è finito, gli unici veri
nemici sono coloro che pretendono di controllare due forze che nel
corso dei millenni non hanno fatto altro che gravitare l’una
attorno all’altra, a tratti attraendosi e a tratti
respingendosi, ma che non sono mai state nemiche. Luce ed ombra, bianco
e nero, sono necessari l’uno all’altro
affinchè esistano.
Capisci cosa intendo,
vero?
L’Ordine e il
Conte sono i veri nemici. Nessuno di loro è Dio o un suo
rappresentante, entrambi combattono per vendetta o per sete di potere.
Mi dispiace di averti
sempre ingannato sulla mia natura. L’Ordine mi ha sempre
impedito di confessarti qualunque cosa, pena il mio ritorno alla forma
originaria.
La verità
è che se avessi saputo prima quanta sofferenza avrei
causato, forse sarei tornata mansueta a fare il cubo nella pancia di
Hebraska.
Ma dal momento in cui ho
aperto gli occhi, ho avuto percezione del mio corpo ed ho ascoltato i
miei pensieri, ho amato la vita.
Ho amato il poter
camminare, l’essere in grado di allenare il fisico e di
viaggiare per il mondo, in me si è radicato un istinto
vitale, e per niente al mondo avrei rinunciato a tutto questo.
Non ho mai minimamente
pensato, fino a poco tempo fa, che a quell’esistenza di larva
che a me è sempre sembrata tanto odiosa ho condannato
un’altra persona.
Ma adesso basta,
pagherò con la mia vita il prezzo per quella di Hoshi, e
spero che questo basterà a farle capire che mi dispiace.
Volevo vivere, e
trovando Allen ho scoperto che oltre che ad un motivo per vivere ne
esiste anche uno per morire. Il non voler continuare a camminare su una
terra dove in mezzo ai miliardi di persone non c’è
l’unica che per te valga tutte le altre.
Per anni siamo stati
fratelli, anche se per finta. Fra noi c’è stato
più di quanto fra consanguinei non fosse consentito. Penso
di poterti affidare questa specie di testamento a mo’ di
spiegazione per le mie azioni, assieme ad una richiesta.
Sii fra i fautori del
nuovo mondo. Comprendi il messaggio che ciò che sta
accadendo urla con la forza di un uragano ogni minuto che passa e non
rinchiuderti in una tradizione che non ha mai avuto alcun significato
se non quello di essere di semplice comprensione.
Fonda una nuova
organizzazione che faccia comprendere al mondo la verità, e
non una dolce menzogna. Questa è la mia ultima
volontà.
Ho sempre voluto bene a
te e a tutti i compagni dell’Ordine, anche se non
l’ho mai detto a nessuno. Fallo tu per me.
Addio.
Aster”
-Mi credi adesso?-
L’uomo non rispose. Infilò due dita sotto al bordo
della maschera e se la strappò dal viso, rivelando un occhio
nero come le tenebre della notte.
Si asciugò le lacrime col dorso della mano.
-Andiamo- disse.
Note dell'Autrice:
Ommioddiosanto che depressione T^T e se lo dico io che ho scritto la
storia... tenetevi forte, gente, perchè i prossimi capitoli
saranno (purtroppo) gli ultimi. Mi terrò il commento
lacrimevole per la fine, non voglio tediarvi con le mie pippe mentali.
Se scrivete, conoscete pure voi la depressione che si prova quando si
arriva in fondo a una storia!
Volevo mettere il punto in cui compare Marian in un capitolo a
sè, ma il tutto sarebbe risultato decisamente troppo corto.
Va bene la suspance, ma non esageriamo!
Rispondiamo ai commenti (quanti, che felicità *____*):
DarkAngel_:
ma ciao :D non sei da rinchiudere in un manicomio, anzi, direi che
c'hai preso abbastanza con Tyki! Mi sembra sia la prima fanfiction in
cui non solo non lo faccio crepare (lo ODIO), ma lo rendo anche buono!
Mi sa che sono io da rinchiudere in un manicomio .___. non potevo
assolutamente escludere KANDA dalla parte finale, quando nel manga l'ho
visto tornare ho fatto un balletto di gioia! (?) Per Road devi
pazientare ancora un po', ma poco, te l'assicuro ^^ continua a seguire,
mi sto affezionando alle tue recensioni :D
bartandes89:
sarò felicissima di sorbirmi tutta la vostra ansia,
sennò che l'ho scritta a fare la fanfiction? XD per il
dispiacere di tutti quelli che la odiano, Linalee NON si
suiciderà X°D se te hai paura a leggere i
prossimi... io ho paura a pubblicarli, pensa te :S a presto!! ^__^
risep4: che
bello, sono contenta che ti piaccia la fanfiction! Grazie per i
complimenti ^^ purtroppo la vena pessimistica che prenderà
la storia coincide con i miei pensieri sulla fine del manga... speriamo
di no T__T il personaggio di Hoshi è sorto in un periodo in
cui io stavo esattamente come lei, pensa che elemento che sono
°__°
Grazie a tutti e a presto! ^___^
Bethan <3
|
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Capitolo 30 *** If you Loved your Life, it's because it was Worth it. ***
Aprì gli occhi lentamente e si
trovò davanti un soffitto di travi di legno.
La testa le faceva male, ma si sentiva abbastanza in forze.
Tentò di alzarsi, e subito sentì una mano che le
sorreggeva la schiena.
-Come ti senti?- si girò a fissare un occhio verde che le
rimandò uno sguardo oltremodo angosciato, contornato da una
profonda occhiaia violacea.
-Sto bene. Tu?- che razza di dialogo, dopo che aveva temuto di non
rivederlo mai più. Le venne quasi da ridere.
Il rosso annuì –bene. Il mio stomaco credo che sia
da qualche parte nelle fogne, ma non mi posso lamentare- Linalee
ridacchiò, poi d’istinto si appoggiò a
lui che le circondò le spalle con le braccia, stringendola.
Nessuno dei due aveva il coraggio di affrontare l’argomento
più spinoso.
Linalee non aveva più l’innocence. Non poteva
più combattere, e tutto ciò che per una vita era
stata avrebbe dovuto cambiarlo alla radice.
Si sentiva smarrita e vuota, ma anche sollevata di un peso e di una
responsabilità che non aveva mai sentito suoi.
-Se ci fosse stato un altro modo… avrei quasi preferito
rimetterci le penne- mormorò Lavi.
-Non dirlo nemmeno per scherzo!- il sentire la sua voce acquistare
nuovamente un tono che non fosse debole la rincuorò. Il
ragazzo abbassò la testa.
-So che non avrei dovuto parlare così, non dopo tutto quello
che hai sacrificato, ma…- Linalee gli mise un indice sulle
labbra e sorrise –non importa. Non è stata una
costrizione, è stata una mia scelta e sono felice che le
cose siano andate così. Non c’è proprio
niente da rimpiangere- scostò le dita e continuò
a guardarlo negli occhi. Dopo un attimo di esitazione serrò
le palpebre e posò le labbra su quelle di Lavi, mentre nel
silenzio si udivano soltanto i loro respiri.
Il ragazzo la strinse a sé, e nessuno dei due ruppe
quell’incanto e quella bolla di pace che si era creata nel
bel mezzo della tempesta.
Entrambi sapevano che presto l’aria sarebbe stata riempita
del suono dei pianti.
---
-Che pensi di fare, dopo?- uno sbuffo di fumo uscì dalle
labbra del Noah, sdraiato scompostamente sul divano. Hoshi lo
fissò smarrita –in che senso?- chiese per prendere
tempo. Non ci aveva sul serio pensato. Era rimasta così
tanto tempo rinchiusa da essersi convinta che lo sarebbe stata per
sempre. Non aveva idea di cosa avrebbe potuto fare una volta libera,
però pensò d’istinto che le sarebbe
piaciuto restare con lui, che l’aveva liberata.
Appena formulò quel pensiero arrossì
violentemente e girò il viso di scatto verso la finestra.
Sentì il sospiro di Tyki e il rumore delle molle che
cigolavano mentre l’uomo si metteva a sedere.
-Io probabilmente rimarrò in vita. Sono il Noah
più giovane fra i miei fratelli- disse, tirando
un’altra boccata di fumo. Hoshi annuì, voltandosi
solo quando fu certa che ogni minima sfumatura di colore fosse
completamente scomparsa dalla sua faccia.
-Nemmeno io ho idea di che fare- proseguì Tyki guardando il
tramonto che iniziava ad indorare i bordi delle finestre. La ragazza
continuò a tacere, senza capire dove volesse andare a parare
con quel discorso. Non osava neppure illudersi.
-Immagino che continuerò a vagabondare per il mondo- disse
con una mezza risata, spegnendo quello che rimaneva del mozzicone di
sigaretta.
Hoshi si appoggiò allo schienale del divano e chiuse gli
occhi. Lui perlomeno sapeva che c’era qualcosa che gli
piaceva fare nella vita.
Lei non aveva mai viaggiato, non aveva mai conosciuto niente di
piacevole, solo la luce accecante ed il tepore del corpo di Hebraska.
-Però viaggiare da soli è davvero
noioso…- il corpo della ragazza sobbalzò quando
anche il Noah si lasciò cadere sui cuscini. Aprì
gli occhi e si ritrovò a fissare le iridi dorate di Tyki.
-Verresti con me?-
---
Avevano deciso tutto.
Il luogo e il modo in cui si sarebbero svolti la cerimonia e
l’incontro col Conte.
Sapevano che il loro nemico non aspettava altro che Road sciogliesse le
barriere che li proteggevano per poterli rintracciare.
Aster viveva quei giorni e quelle discussioni come se non
appartenessero più alla realtà, ogni fibra del
suo corpo era impegnata a pensare a ciò che avrebbe dovuto
fare di lì a poco.
Sarebbe finito tutto.
Smise di affettare le verdure per il pranzo quando la vista le si
offuscò per l’ennesima volta e si
asciugò gli occhi con rabbia.
Non doveva piangere. Non doveva farsi vedere debole, o Allen avrebbe
sofferto ancora di più. L’unico pensiero che
riusciva a rincuorarla era quello che se ne sarebbe andata assieme a
lui. Che non sarebbe rimasta sola in un mondo senza alcuna fonte di
luce.
Ironico, pensò con un sorriso amaro, guardando il pomeriggio
nebbioso fuori dalla finestra, le nuvole che si confondevano nella neve.
Aveva sempre detto di non credere in un Dio, in un Inferno o in un
Paradiso, le aveva sempre ritenute facili consolazioni per chi non
riusciva ad accettare la morte.
Eppure avrebbe davvero voluto che esistesse un luogo in cui lei ed
Allen si sarebbero potuti ritrovare, in cui le loro anime avrebbero
potuto finalmente vivere in pace, senza innocence né dark
matter, senza Ordine né Noah.
Le braccia del ragazzo le circondarono la vita
all’improvviso. Evidentemente l’aveva vista
piangere. Mollò il coltello e gli strinse le mani.
Avevano ridotto i contatti al minimo per non affrettare la
trasformazione di Allen, perciò sciolsero quasi subito
l’abbraccio.
-Andrà tutto bene- le sussurrò
all’orecchio –non avere rimpianti, fallo per me-
Aster si girò a guardarlo, ma non parlò con lui.
-Quando dovrà accadere, uccidimi. Costringilo a farlo, sono
stata chiara?- disse all’ombra che sbucava alle spalle del
ragazzo. Quella allargò il suo ghigno e annuì. La
ragazza fissò le iridi argentate.
-Glielo impedirò- disse Allen. Ma lei scosse la testa.
-Non farlo. Quando tutto finirà, io tornerei una materia
impersonale e non voglio. Voglio che tutto finisca quando ancora mi
ricordo di te, voglio essere distrutta quando ancora sono umana- aveva
perso il suo tono tranquillo, la sua voce era accorata.
-Allen, ti prego- gli prese le mani –non voglio vivere in un
mondo dove non ci sia tu. Non è della vita che mi importa,
se non posso passarla insieme a te- le braccia di Allen la strinsero
nuovamente, poi lo sentì annuire.
-D’accordo. Lo farò- la voce gli tremava. Entrambi
sentivano lo stesso dolore, la stessa rabbia verso
quell’ingiustizia, verso quel destino che strappava loro una
felicità appena vissuta.
Ma l’avevano avuta, comunque. Se stavano rimpiangendo la vita
era perché per qualche motivo era valsa la pena vivere.
Con quella consapevolezza e con quella tensione, passarono i giorni
finchè non arrivò il momento.
Road comparve in salotto mentre stavano riposando, improvvisa come un
fulmine. Marian Cross era al suo fianco, con un’espressione
decisamente sconvolta stampata in viso.
-E’ ora- disse la bambina. Aster osservò come
sembrasse deperita e come osservasse Allen con insolita tristezza.
Improvvisamente la sua mente collegò anche gli ultimi pezzi
del mosaico.
“Talvolta i Noah cambiano forma, quando vengono scelti per
esserlo. A molti di noi è accaduto” aveva detto
Tyki, un giorno.
-Christine Walker…- sussurrò attonita, troppo
piano perché i suoi compagni la sentissero, ma abbastanza
forte perché Road si voltasse verso di lei.
Le fece un sorriso stanco e annuì. Aster vide i suoi occhi
riempirsi di lacrime che non si era mai permessa di piangere.
Si alzò in piedi –Portale- mormorò. Lo
Specchio si materializzò a grandezza d’uomo.
La ragazza distolse a fatica gli occhi dalla maggiore dei Noah.
Fissò i volti che la scrutavano uno per uno, per ultimo
Marian. Gli sorrise, sapeva che le parole non servivano.
-Andiamo- si addentrò nell’oscurità, ma
non vi era ancora completamente scomparsa che una mano
afferrò la sua.
Allen.
Sorrise immergendosi nel buio. Assieme a lui non era poi
così spaventoso.
Note dell'Autrice:
Amo la scena fra Tyki e Hoshi, amo la scena fra Tyki e Hoshi, credo sia
quella che preferisco in tutta la fanfiction *__* dieci righe su
centoventi pagine, direi che non c'è male! Ora facciamo
tutti un bel respiro profondo perchè mancano SOLO due
capitoli alla fine. Che tristezza T^T
DarkAngel_:
nooooo non puoi morirmi ora, sennò io come faccio senza le
tue recensioni??? ç__ç *si ricompone* ecco,
adesso si scopre anche CHI fosse Road per la mia mente malata, anche se
Allen non lo saprà mai. Cioè, inserire una scena
strappalacrime con lui che abbraccia sua mamma che sembra sua figlia mi
sembrava troppo °__°
Animo, le tue sofferenze sono quasi alla fine! Twitter non ce l'ho,
però ho facebook *è impedita con internet* tu ce
l'hai? :)
Silphyde19:
ciao :D è sempre bello vedere nuovi recensori, anche se
quasi alla fine! Sono felice che la fic ti sia piaciuta, purtroppo
questi ultimi capitoli non brilleranno per allegria >_>
non posso farci niente, secondo me la storia originale
finirà malissimo, e tutti i finali felici che mi ero
immaginata seguendo la storia non stavano in piedi! Sono depressa pure
io che l'ho scritta, il che è tutto dire
ç__ç
risep4: dai
povera Lina, anche lei a suo modo ce l'ha messa tutta in fondo (ma solo
in fondo eh, all'inizio mi sono sforzata per renderla insopportabile
XD). Il matrimonio ci sarà nel prossimo capitolo,
cercherò di pubblicarlo il prima possibile! :)
Ciao a tutti! :D
Bethan
|
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Capitolo 31 *** Romeo and Juliet: sacrifice for a New World. ***
-E tu saresti un sacerdote?- la ragazza
fissò il generale con occhio critico, mentre Linalee cercava
disperatamente di farla star ferma per aggiustarle il vestito.
Era di seta e pizzo, nero come la notte.
Avevano cercato di convincerla a metterlo bianco, ma non ne aveva
voluto sapere. Non voleva dare ragione al sogno che aveva fatto.
Si scrutò nello specchio di fortuna appeso alla parete e
sorrise, pensando a quanto tempo fosse passato dall’ultima
volta che si era osservata lì.
Nella capanna sul lago tutto era rimasto come quando l’aveva
lasciato.
La gonna era ampia e soffice, e Aster si vide molto più
simile ad un angelo della morte che ad una sposa.
-Del resto, è quello che sarò…-
mormorò fra sé.
Marian le sorrise –sono pur sempre un membro
dell’Ordine, quindi ho dignità di uomo di chiesa-
disse ironico.
-Un prete serio si impiccherebbe se si sentisse paragonato a te!-
replicò lei ridacchiando.
-Finito!- Linalee si alzò dal pavimento. Aster le sorrise
–grazie. Potresti lasciarci un minuto da soli? Chiamami
quando inizia la cerimonia- la abbracciò, entrambe capirono
che quello era l’ultimo saluto fra loro.
-Mi dispiace, Aster. Per tutto- Linalee si mise a singhiozzare sulla
sua spalla in tempo zero, ma l’altra le diede una leggera
botta in testa.
-Smettila. Sei sempre a frignare, vedete piuttosto di creare un mondo
in cui le cose vadano meglio- mormorò –e
sta’ attenta agli scatti d’ira di quel coniglio
idiota. Se fa qualcosa tu comunicamelo, se sarò ancora da
qualche parte provvederò a fulminarlo- la cinese
ridacchiò fra le lacrime. Si strinsero un’ultima
volta, poi uscì.
Aster si girò a fissare Marian con un sorriso mesto in viso
–e così siamo alla fine- sospirò
–tieni presente quello che ho scritto nella lettera- disse
fissandolo.
L’uomo annuì, e la ragazza vide chiaramente le
lacrime brillare nei suoi occhi.
-E’ tutta colpa mia se…- iniziò, ma lei
lo zittì bruscamente –non sei uomo da rimpianti,
Marian Cross. Quel che è stato è stato, ormai
è inutile pentirsene- disse, poi continuò con
tono più dolce –ti ho mentito perché
Hoshi lo voleva, perché dentro di me sentivo di continuo la
fiducia che lei aveva in te. Ma tutti e tre dovevamo crescere, prima o
poi- gli accarezzò una guancia. L’uomo ormai non
frenava più le lacrime.
-Sii per lei un fratello e nient’altro. Non rinchiuderla di
nuovo. E’ la mia ultima volontà- posò
le labbra sulle sue in un bacio leggero, fraterno.
-Aster, è ora- la voce di Linalee fece capolino da dietro la
tenda che separava quella stanza dal resto della casa.
La ragazza annuì –arrivo- poi fissò di
nuovo gli occhi di Marian.
-E’ il momento- disse. Un nodo le chiuse la gola, il cuore
cominciò a batterle all’impazzata e la paura
risucchiò quegli ultimi barlumi di felicità
così come il suo specchio aveva sempre risucchiato i nemici.
-Ehi- fece il Generale, prendendola sottobraccio.
-Si?- chiese, tesa come una corda di violino mentre spalancavano la
tenda.
-Sei bellissima-.
---
La vide arrivare all’altare accompagnata dal suo maestro.
L’espressione seria del suo viso si mutò in un
sorriso quando i loro occhi si incrociarono.
Sapevano che sarebbe finita quel giorno, ma finchè potevano
rimanere insieme poco importava che fossero vivi o morti.
Avvolta in quel vestito sembrava rugiada sui petali di una rosa nera,
illuminata dai raggi dell’alba.
Sentì il cuore accelerare. Sembrava che tutto il bosco
stesse trattenendo il respiro.
Il generale la condusse accanto a lui, poi le lasciò il
braccio e prese il suo posto dietro all’altare, ricavato da
un grosso tronco di legno.
-Sappiamo tutti perché siamo qui, oggi- esordì
l’uomo. Allen guardò Aster negli occhi, che gli
restituirono uno sguardo deciso.
Non l’avrebbe lasciato.
-Celebriamo un’unione nata dalla più grande delle
scissioni…-
Non sapeva cosa ci fosse dopo la morte, ma quegli occhi giuravano che
sarebbe rimasta con lui.
-…quella fra luce ed ombra, quella fra nature opposte che
hanno avuto il coraggio, la forza e la saggezza di trovare gli
inscindibili punti di unità che le rendono indispensabili
l’una all’altra…-
Non importava se lei fosse innocence e lui fosse umano, le loro anime
erano affini, fatte della medesima sostanza, quale che fosse.
-…un’unione che ci ha insegnato che anche nelle
tenebre esiste una luce, come nella notte esistono le
stelle…-
Ma vide che anche lei aveva paura.
-…e che anche quando sulla nostra vita pende una sentenza,
non dobbiamo perdere la speranza di trovare un motivo per continuare a
viverla- l’introduzione di Cross era finita. Adesso iniziava
la cerimonia.
-Allen, Aster- li guardò seriamente –le vostre
anime non meritano di venire separate. Quindi rispondete con la massima
sincerità- fissò negli occhi il suo allievo.
Allen sentì un nodo alla gola nel comprendere che non era
solo Aster che stava lasciando.
Lasciava una vita che era stata piena di persone che
l’avevano aiutato a crescere.
Lasciava quell’uomo, che soltanto ora capì essere
per lui come un padre.
-Allen- disse Cross –sei tu disposto, nella tua
più intima essenza, a trascorrere
l’eternità con Aster, a farti carico delle sue
sofferenze come se fossero tue e ad essere per lei un sostegno come lei
lo sarà per te?- quella formula non era certo tradizionale,
ma nessuno si sorprese più di tanto. Quel matrimonio era
tutto fuorchè una cerimonia tradizionale.
Il ragazzo fissò negli occhi il suo maestro, poi lei.
-Giuro che non mi separerò mai da te. Se anche dopo la morte
le nostre anime si disperdessero, verrò a cercarti in ogni
luogo dove il corpo umano mi impedirebbe di andare. Non sarai mai sola,
e se ti troverai ad esserlo, saprai che io ti sto cercando- una lacrima
solcò il viso della ragazza mentre gli sorrideva.
Cross fece anche a lei la stessa domanda.
-Non lascerò che le tenebre o la luce ci dividano. Abbiamo
scoperto quanto esse siano intimamente connesse, possiamo superarne i
limiti. Qualsiasi cosa accada, io non ti lascerò mai-
rispose.
Il generale annuì, poi porse loro due anelli, fatti di due
fili intrecciati, uno bianco e uno nero.
Aster percepì qualcosa su quegli anelli, e fissò
Cross interrogativa. Lui annuì nuovamente.
Allen le mise l’anello e lei fece lo stesso. Entrambi videro
con sommo stupore il metallo dissolversi a contatto con la propria
pelle.
-Capirete tutto a tempo debito- disse l’uomo sorridendo
–adesso niente potrà separarvi-.
Aster guardò gli occhi argentati di Allen, sapendo che
sarebbe stato il loro ultimo sguardo.
-Ti amo- disse lui, avvicinandosi per baciarla.
-Ti amo- le loro labbra si incontrarono, il ciondolo che aveva al collo
si spaccò con uno schianto e una fitta che scosse
l’intero corpo della ragazza le fece capire che Allen era
perduto, e che tutto doveva accadere come avevano progettato.
Si staccò da lui e vide la pelle scurirsi. Un attimo prima
che anche gli occhi si facessero dorati, dalle labbra del Noah
uscì una parola sussurrata.
-Scusatemi-.
-Ma bene! Ecco che finalmente il nostro esorcista ha lasciato il passo
a mio figlio!- la voce orrenda del Conte risuonò alle loro
spalle, ma Aster non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi.
Neah evocò la spada che fino a poco tempo prima era
appartenuta ad Allen e si slanciò contro il nemico.
Il Conte estrasse la propria arma, ma nel momento in cui le lame si
incrociarono accadde qualcosa che nessuno si sarebbe mai immaginato.
L’arma di Neah tagliò di netto quella del Conte e
trapassò il suo corpo come se fossero stati fatti di burro.
Per un istante fu come se il mondo si fosse fermato, poi
l’urlo disumano, raccapricciante del nemico scosse la terra
fin nelle viscere, fece tremare gli alberi e accasciare tutti i
presenti a terra.
Era l’urlo di tutte le anime che aveva condannato a vivere
come akuma che venivano liberate. Era il dolore di migliaia di vite
spezzate in una guerra inutile. Era la rabbia di millenni passati ad
uccidere senza capire perché.
Road, poco lontana da Aster, svanì in una nuvola di polvere,
e altrettanto successe a tutti gli altri Noah tranne che Tyki e Neah.
Il Noah del piacere, però, si era raggomitolato a terra e
urlava, come se soffrisse immensamente.
Hoshi era china su di lui, gli gridava qualcosa cercando di sovrastare
il frastuono.
All’improvviso, tutto finì e di nuovo il silenzio
rotto solo dai singhiozzi dell’unico Noah rimasto in vita
popolò la radura.
Dalle labbra di Neah scaturì una risata malvagia, intrisa di
sete di sangue e vendetta, ma anche di un dolore che durava da millenni.
Aster seppe che quello era il momento di muoversi.
Con incredibile calma evocò la katana nera e le ali,
sollevandosi velocissima di fronte a quello che una volta era stato
Allen.
-Ricorda ciò che mi hai promesso- gli sibilò ad
un soffio dal volto, sentendo ogni fibra del suo corpo premere
affinchè lo uccidesse.
Nella mano di Neah ricomparve la spada, e la ragazza fece appena in
tempo a trafiggerlo che sentì un dolore lancinante
attraversarle tutto il corpo.
Sorrise un’ultima volta, poi chiuse gli occhi.
-Ti amo, Aster- quella voce fu l’ultima cosa che
sentì, la sua voce, fioca negli ultimi respiri. Con voce
altrettanto debole, rispose.
-Anch’io, Allen. Per sempre-.
---
Era finita.
Senza che nessuno se ne rendesse conto.
Komui stesso l’aveva realizzato quando, scendendo da
Hebraska, aveva trovato l’abisso in cui lei dimorava
completamente vuoto e sordo ai suoi richiami.
Allora aveva capito che qualcosa era successo.
Era corso sulla torre, ed aveva visto che dal martello di Lavi era
appena atterrata una piccola compagnia di persone, fra cui
c’era anche sua sorella.
Piangevano.
Due corpi vennero depositati a terra delicatamente, e l’uomo
capì che tutto si era concluso.
Chiamò ogni nome che gli venisse in mente della sede mentre
correva a rotta di collo giù per le scale fino ad
attraversare il salone e ad arrivare in giardino col fiatone.
Linalee, Lavi, Kanda, il generale Cross, Marie, Miranda, Hoshi e un
giovane che non aveva mai visto stavano in piedi in silenzio, attorno
ai due corpi distesi a terra.
Sua sorella singhiozzava sulla spalla di Lavi, Miranda si premeva le
mani sulla bocca cercando di controllarsi, le braccia di Marie che la
stringevano.
All’improvviso, Hoshi crollò in ginocchio ed i
suoi singhiozzi riempirono il silenzio tranquillo della mattina appena
sbocciata.
Il giovane si chinò su di lei, circondandole le spalle con
un braccio.
Komui lo riconobbe: Tyki Mikk.
Lo era, ne era sicuro, ma allo stesso tempo non lo era.
I suoi occhi erano color nocciola, e la pelle era decisamente pallida.
Corse trafelato verso il gruppetto. Sua sorella si staccò da
Lavi e gli corse incontro, volandogli addosso.
La strinse, ancora troppo incredulo per parlare.
-E’ finita- sussurrò Linalee fra le lacrime
–non esistono più né
l’innocence, né la dark matter-. I ragazzi si
avvicinarono al supervisore e tutti si guardarono senza dire una parola.
Avevano vinto, ma non c’era allegria in quella vittoria.
Soltanto dopo millenni di guerre inutili comprendevano quanto fosse
stato enorme il loro errore, quanti sacrifici inutili aveva richiesto,
quanto sbagliati fossero stati i fondamenti su cui avevano agito.
Un nuovo pianto riempì lo spazio vasto del giardino.
I ragazzi della sezione scientifica si erano raccolti attorno ai corpi
di Aster e Allen, immobili, pallidi come al solito, le dita
intrecciate. Sarebbero potuti sembrare addormentati, se non fosse stato
per il sangue sui loro vestiti.
Arrivò Jerry, ma Linalee lo intercettò.
-Jerry, no…- ma le lacrime rigavano già il volto
del cuoco.
Tutti avevano capito.
Se l’Ordine aveva portato qualcosa di buono, era quello:
coloro che avevano resistito aggrappati a quell’ingannevole
scialuppa di salvataggio erano diventati un organismo unico, capace di
capirsi con uno sguardo ed in grado di avvertire le emozioni altrui
senza che vi fosse bisogno di parole.
Una nuova creatura, frutto dell’unione e non della guerra.
Il Generale Cross, gli occhi rossi ed il viso stravolto, gli si fece
incontro tendendogli una mano.
-Un nuovo inizio, Komui- disse fissandolo.
Komui prese quella mano.
-Un nuovo inizio-.
---
Le campane suonavano tetre, mentre un lunghissimo corteo di figure
vestite di nero sfilava attraverso il piccolo paese e poi si inoltrava
nelle colline.
Gli abitanti guardavano perplessi quel fiume di persone dirigersi verso
un punto nel bosco in cui non c’era niente se non colline
nevose circondate da alberi.
In prima fila, una ragazza con lunghi capelli neri stringeva
convulsamente la mano di un giovane dai capelli rossi, pallida.
Entrambi piangevano. Dietro di loro, un’altra coppia sembrava
la loro nemesi. Lei, lunghissimi capelli rossi, fissava le bare, senza
piangere come se il proprio dolore fosse troppo grande per essere
espresso. Lui le teneva un braccio attorno alle spalle, sorreggendola
di tanto in tanto quando inciampava, ma non sembrava direttamente
coinvolto nel dolore generale che accompagnava quelle due casse di
legno chiaro.
Arrivarono sulla sommità di una collina.
Cross depose con attenzione i lati delle bare che stava trasportando,
lo stesso fece Jerry, che aveva insistito per avere quel compito.
Scavarono una fossa insieme, e quando fu abbastanza profonda vi posero
le bare una accanto all’altra.
-Komui- Cross chiamò l’uomo che si
staccò dal corteo e gli andò vicino, gli occhi
gonfi e rossi come tutti gli altri.
Il generale trasse fuori una lettera dalla tasca e gliela
consegnò.
-Dovrai aiutarmi, avrò bisogno di qualcuno che sappia
vedere, per questo lavoro- disse con un sorriso. Poi, prima ancora che
l’uomo potesse fargli domande, di volse verso le bare.
-Le vostre anime troveranno la pace. Andate, adesso- una luce lo
avvolse, e tutti videro uscire due figure dalla fossa, simili a sbuffi
di fumo, una di un bianco perlaceo ed intenso, l’altra nera
come il carbone.
Si intrecciarono, e nella mente di tutti risuonò una parola
detta all’unisono da due voci ben note.
“Grazie”
Nello stesso istante, gli occhi bicolori di Marian Cross si velarono di
una sfumatura perlacea.
La sua cecità era il prezzo per non aver mai saputo vedere
con gli occhi giusti.
Adesso avrebbe potuto farlo, per il bene di tutti.
Note dell'Autrice:
...ok, e così siamo alla fine. Il prossimo capitolo
sarà una sorta di epilogo, ma il grosso è
successo in questo. Credo sia inutile dire che sto piangendo pure io
ç_ç non avevo mai fatto finire male una storia,
la cosa mi ha alquanto scossa .__. (sono ai limiti della follia, lo so
T_T)
Spero che a tutti coloro che hanno letto la mia fanfiction sia
piaciuta, vi ringrazio di cuore <3
Rispondiamo ai commenti (madonna che depressione):
risep4:
spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo, anche se in tutte le
fanfiction che ho scritto non avevo mai tirato fuori una cosa
così deprimente! Grazie per i tuoi commenti, a una povera
scrittrice fanno sempre piacere :) nel prossimo e ultimo capitolo
cercherò di dare una conclusione un po' meno amara di questa!
bartandes89:
...mi sento un po' in colpa a proporti un capitolo come questo dopo che
già hai sofferto in quelli precedenti! Però la
conclusione poteva essere soltanto questa, quindi cerchiamo di vederci
qualche aspetto positivo ç__ç grazie mille per
aver letto e commentato, metterò l'ultimo capitolo fra pochi
giorni :)
DarkAngel_:
carissima, una delle cose che mi mancheranno di più di
questa fanfiction saranno le tue recensioni! *_* *si soffia il naso*
spero tu possa reggere il dolore di una conclusione così
deprimente (XD), visto che già questa povera autrice sta
cercando un modo per suicidarsi T^T su facebook mi chiamo Bethan Flynn,
ecco il link perchè ce ne sono un po' ->
https://www.facebook.com/bethan91?ref=tn_tnmn
Al prossimo capitolo, e grazie per tutti i tuoi commenti <3
penso che prima o poi tornerò con un'altra fanfiction, ma
volevo vedere un po' come evolve il manga! nell'attesa puoi spulciare
quelle che ho già scritto, se ti va ^^ finiscono meglio di
questa, perlomeno XD
Silphyde19:
oddio mi dispiace D: non credevo che potesse essere così
triste come epilogo! ç_ç come puoi vedere dal
titolo del capitolo, ho avuto una coppia ispiratrice per questo finale!
Sono contenta che la fanfiction ti sia piaciuta, grazie per averla
letta ^___^
Ringrazio ancora una volta tutti voi che avete letto, seguito,
commentato ^__^
A presto <3
Bethan
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Capitolo 32 *** Light and Darkness. ***
Non c'era mai nessuno su quella collina. La neve
e gli abeti regnavano sovrani, la natura dominava il paesaggio, senza
che vi fosse segno della mano umana.
Solo una volta all'anno, in concomitanza di due pietre scolpite, gli
abitanti degli ultimi villaggi osservavano con curiosità le
persone che, in abiti neri e dall'aspetto triste, si dirigevano verso
la collina su cui nessuno andava mai.
-Oh, arrivano. Li sento- Miranda si voltò nella direzione
indicatale da Marie, i capelli ricci che seguivano il soffio del vento,
e vide tre figure sbucare oltre la collina.
Salutò con la mano, poi il suo sguardo tornò a
rivolgersi alle lapidi.
-Mamma, sono stanca! Dove stiamo andando?- una voce infantile
echeggiò ben presto alle loro spalle.
-Siamo arrivati, tesoro- Linalee raggiunse i due amici, seguita da Lavi
che teneva per mano una bambina con un caschetto di capelli color rosso
scuro e intensi occhi verdi.
-Eccoci, scusate il ritardo- disse –siamo tutti?- Miranda
scosse la testa.
-Mancano Hoshi e Tyki, ma non so se hanno ricevuto il mio messaggio-
mormorò.
-Certo che l’abbiamo ricevuto! Un po’ di pazienza,
eravamo dall’altra parte del Paese!- una voce maschile
parecchio affaticata fece capolino dietro di loro. Tyki avanzava nella
neve portando Hoshi in braccio. La ragazza non aveva ancora recuperato
completamente le forze perdute negli anni di inattività.
Ripresero fiato, poi rimasero tutti fermi in piedi di fronte a due
semplici lapidi di pietra immerse nella neve.
-Come sta tuo fratello, Lina?- chiese a un tratto Miranda. La cinese
sorrise –bene. E’ molto impegnato con Notte
Stellata assieme a Cross- gettò un’occhiata di
sbieco ad Hoshi.
Notte Stellata. La nuova organizzazione sorta dalle macerie
dell’Ordine e dei seguaci rimasti del Conte.
Le famiglie dei Caduti e dei morti erano state messe al corrente di
tutto, e chi voleva si era unito all’organizzazione per
cercare di rimettere in sesto i Paesi più distrutti dalle
guerre.
Tutti loro avevano approvato il progetto, ma nessuno aveva voluto
parteciparvi attivamente eccetto Kanda.
“Non ho nient’altro da fare. Forse mi
farà bene creare qualcosa, anziché voler
distruggere” aveva detto salutandoli.
Per loro c’erano state abbastanza guerre, ormai.
Le sofferenze li avevano segnati nel profondo e non li abbandonavano
né li avrebbero abbandonati mai. Ma quando si sentivano
schiacciare dal peso del loro passato, pensavano a chi per quel
presente ed il futuro che sarebbe venuto aveva sacrificato la propria
vita ed una possibile felicità, e tutti i loro problemi
riacquistavano la giusta dimensione.
-Secondo voi… ci sono ancora, da qualche parte?- la voce di
Hoshi tremava. Tyki le prese la mano senza dire niente.
Linalee annuì, decisa.
-Si. Loro sono ancora qui, e sono insieme-.
Light and Darkness - Fine
Note dell'Autrice:
Ebbene si, è finita davvero. Ringrazio dal profondo del
cuore tutti voi che avete letto, seguito e commentato, è una
delle fanfiction a cui tengo di più, perchè l'ho
scritta in un periodo molto particolare della mia vita, e sono davvero
felice che sia piaciuta a qualcuno.
Perdonatemi la brevità, non ci crederete ma il fatto che sia
finita rende triste anche me :(
risep4:
purtroppo come ultimo capitolo è corto, però
essendo giusto un epilogo non volevo esagerare. Spero che ti sia
comunque piaciuto, nonostante la conclusione triste! Grazie per aver
letto la mia storia, sono davvero felice che ti sia piaciuta
così tanto! Sono quelle cose che fanno sentire realizzati :D
un bacio!
DarkAngel_:
oddio se penso che è l'ultima volta che rispondo a un tuo
commento mi metto a piangere sul serio ç___ç *si
ricompone* è dispiaciuto troppo anche a me farli morire, ma
il loro sacrificio ha fatto sì che tutto ciò che
fino a quel momento aveva causato morte e distruzione finisse. Doveva
concludersi così, non c'era altra scelta. Appena ho iniziato
a scrivere questa fanfiction l'unica cosa che avevo ben chiara era il
finale che, nonostante sia tristissimo, sono abbastanza contenta di
com'è venuto :)
Alla fine sono riuscita ad aggiungerti su facebook, è stata
una passione! Prima non mi prendeva il link, poi mettevo il tuo nome e
non ti trovava, quel giorno gli girava storta davvero XD si, penso che
tornerò con un'altra fanfiction, e credo che
tornerò anche al mio grande amore che non è Allen
ma Kanda, però ci vorrà un po' di tempo! Una
delle difficoltà peggiori di "Light and Darkness"
è stato l'averla pubblicata quando non era ancora finita! Ho
avuto dei periodi di interruzione lunghissimi, ed è una cosa
che odio -___-'' però dubito che se scriverò
un'altra fanfiction verrà bene quanto questa! *non vuole
essere immodesta, ma sotto sotto ne va fiera u.u''*
Grazie per tutti i tuoi commenti e per aver sofferto fino in fondo con
i poveri personaggi! E ovviamente grazie per aver letto anche le altre
fanfiction *-* felicissima che ti siano piaciute! Cercherò
di tornare presto! :)
Ancora una volta, grazie a tutti <3
Bethan
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