I Ricordi delle Ombre

di LovelyKim
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Richiesta d'aiuto ***
Capitolo 2: *** Rosso Sangue - il Vecchio, la Ragazza e il Fantasma ***
Capitolo 3: *** Giallo Ocra - L'anima del Diavolo ***
Capitolo 4: *** Grigio Marcio: I Segni dell'Odio ***
Capitolo 5: *** Blu Acquamarina: Uno Spettro, tra lavanda e rose bianche ***
Capitolo 6: *** Nero Notte - Sentimento di Crisalide ***
Capitolo 7: *** Argento Vivo - Incognita ***
Capitolo 8: *** Azzurro Cielo - Di Eroi e Spaventapasseri ***
Capitolo 9: *** Verde Smeraldo - Espiazione ***
Capitolo 10: *** Bianco Perla - Il Valore del Perdono ***



Capitolo 1
*** Richiesta d'aiuto ***


I Ricordidelle Ombre 

Capitolo primo: Richiesta d’aiuto

Si dice che il buio sia nero, più nero delle ali setose del corvo, più nero di una goccia d’ inchiostro. Ma è pura follia, poiché non ha colore il buio, non ha voci, non ha risa, non ha lacrime. Non ha cuore il Buio.
 
Il cuore nel petto batte a singhiozzo, così maledettamente forte da sembrare sul punto di scagliarsi fuori dal corpo e mettersi a correre per conto suo. Ma non mi fermo, non mi posso fermare. Corro veloce attraverso i rovi, dirigendomi alla cieca in un punto o nell’altro del labirinto, ma non sto cercando di uscire, no. Sto cercando qualcuno. Non so chi, lo scoprirò nel momento in cui l’ avrò trovato, ma la sensazione di urgenza non si attenua, diventa più forte e mi attanaglia le viscere. I rami mi graffiano, feriscono  la carne e sento un liquido caldo e viscoso che cola da mille ferite. Ma non ho tempo di fermarmi. Sento che sono vicina, manca poco.  D’ un tratto mi blocco: ho paura. C’ è qualcosa di sbagliato, qualunque cosa vedrò so che non mi piacerà. Un urlo, disumano, disperato, lacera l’ aria attorno a me.  I brividi mi scorrono lungo la schiena mentre, con la mano tremante, scosto le ultime foglie dalla mia visuale. Davanti a me vedo il suo corpo, il suo bellissimo corpo, martoriato e coperto di sangue. Gli occhi fuori dalle orbite mi fissano in un misto di orrore e paura, mentre la bocca esangue si apre a mormorare poche, flebili parole:
-Perché mi hai fatto questo, Temari?
Vorrei  urlare, discolparmi, dire che io non ho fatto nulla. Ma non ci riesco. Rimango a guardarlo, terrorizzata. Con uno sforzo sovrumano, mentre la morte gli porta via le forze residue, mi parla un’ ultima volta:
-Cosa… mi hai…fatto?
Nel momento in cui i suoi occhi si chiudono, un altro urlo rompe il silenzio. Un grido di dolore, di pura e semplice disperazione. Questa volta sono io a urlare.
 
Alcuni energici colpi contro il muro la svegliarono. I suoi occhi si spalancarono, e per un secondo Temari non riconobbe il luogo in cui si trovava. La fronte imperlata di sudore, si guardò attorno e con non poco sollievo si ricordò di essere nel soggiorno del suo appartamento a Konoha. Sul tavolo di legno c’ erano ancora i resti della cena che aveva consumato qualche ora prima, il ventaglio gigante che utilizzava come arma chiuso e appoggiato alla sedia, e sul letto di fronte a lei, i soliti vestiti gettati alla rinfusa. Ancora vagamente confusa, la kunoichi della Sabbia cercò di ricordare cosa era successo. Quella notte era andata a dormire molto tardi per via del lavoro all’Ambasciata: i nuovi trattati di alleanza tra Suna e il Villaggio della Foglia l’ avevano impegnata fino a notte fonda, costringendola a portarsi persino a casa alcuni documenti. Aveva appunto intenzione di passare la notte in bianco per controllarli, e per questo si era seduta su una poltrona vicino al camino, ma poi doveva essersi addormentata. Si alzò, contraendo il viso in una smorfia di dolore: la posizione scomoda le aveva fatto venire il torcicollo, e per di più le faceva male la gola.
“Scommetto che ho di nuovo urlato nel sonno” pensò “quel dannato incubo mi sta perseguitando.”
Si avvicinò al frigorifero per prendersi un sorso d’acqua, quando altri colpi alla porta la bloccarono. Che fossero i vicini venuti a lamentarsi? Temari sospirò e si aggiustò la camicia da notte alla bell’e meglio. Era già la terza volta consecutiva che si svegliava gridando,  si aspettava che prima o poi ci sarebbero state proteste. Andò alla porta decisa a scusarsi, ma quando l’ aprì non trovò il brutto muso dell’arcigno signor Takenaga, bensì una piccola lettera appoggiata sullo zerbino. La prese esitante e notò che recava il sigillo dell’Hokage; una convocazione ufficiale quindi. Anticipandone il contenuto, Temari sospirò. Il cielo all’ orizzonte si era tinto di piacevoli color pastello, mentre il sole sorgeva timidamente e Konoha si svegliava lentamente dal sonno. Per qualche minuto la ragazza rimase ferma, appoggiata allo stipite della porta, lasciando che la brezza leggera la rinfrescasse e scacciasse i brutti pensieri.
 
ORE 7:30
KONOHA – PALAZZO DELL’ HOKAGE
 
 
-Buongiorno, Temari-san.
-Buongiorno a lei, Tsunade-sama. – rispose educatamente la ragazza.
 Il suo sguardo si soffermò per un attimo sulla bella donna seduta dietro la scrivania, per poi puntarsi sullo sconosciuto dinanzi a lei. Era un uomo sulla quarantina, coi capelli brizzolati raccolti ordinatamente in una coda, una semplice blusa scura e pantaloni di tela. Il suo viso non aveva nulla di particolare, se non i grandissimi occhi azzurri che soli si mangiavano gran parte della faccia. Temari distolse lo sguardo e tornò a fissare l’ Hokage. Tsunade sospirò.
-Tu sei puntuale, ma quell’altro sfaticato si fa attendere come al solito…
In quel momento, bussarono alla porta.
-Avanti.
Shikamaru Nara fece qualche passo avanti, la solita espressione indolente dipinta sul volto.
-Scusate il ritardo – fece, soffocando a stento uno sbadiglio.
Fece un cenno verso Temari, che gli rispose con un’occhiataccia. L’atteggiamento incurante di quel ragazzo non lo aveva mai digerito, sembrava che si facesse beffa di tutto e di tutti. Persino davanti al capo del suo villaggio, pur mostrando un certo rispetto, dimostrava un disinteresse quasi irritante. Ma questo suo carattere non toglieva nulla al suo genio, anzi gli conferivano una certa imprevedibilità che talvolta coglieva di sorpresa anche lei, che pure lo conosceva da quasi cinque anni. A malincuore, aveva dovuto ammettere più volte che Shikamaru si era rivelato un buon amico non che un temibile rivale.
-Perfetto, ora che ci siete tutti, veniamo al sodo. – Tsunade prese la parola.
Aveva delle pesanti borse sotto gli occhi, segno che non aveva dormito bene.
-Questo signore è Joji Yo-Baen e proviene da un villaggio della Valle dell’Eco. Ha affrontato un lungo
viaggio per chiedere l’aiuto di Konoha.
-Questa ragazza non è del Villaggio della Foglia – la interruppe l’ uomo. Fissava con disprezzo il coprifronte di Temari, che ricambiò l’occhiataccia.
-Provengo dal Villaggio della Sabbia, signore – rispose secca. L’altro ebbe un fremito e spostò lo sguardo su Tsunade .
-Perché ha convocato anche lei? Non vogliamo avere rapporti con Suna.
-Purtroppo non c’ è scelta. Proprio ieri sono stati firmati dei nuovi accordi con il Kazekage, che prevedono una collaborazione tra ninja della Foglia e della Sabbia. Nelle missioni di livello A e S saranno formate squadre miste. – rispose Tsunade con una evidente punta di durezza nella voce.
- Per cui chiedo a lei e ai suoi concittadini di riporre ogni tipo di ostilità. Se volete l’ aiuto di Konoha dovrete andare incontro anche a Suna.
L’ uomo aprì la bocca per dire qualcosa, ma finì col ripensarci e si limitò a guardare in cagnesco la kunoichi bionda, che lo ignorò completamente.
-Qual è il nostro incarico? – domandò lei, sforzandosi di controllare la voce.
-Signor Yo-Baen, a lei la parola – ribattè Tsunade, massaggiandosi le tempie.
L’ uomo cominciò a parlare con voce aspra, puntando lo sguardo su Shikamaru.
-Da circa un mese a questa parte, ogni settimana si verificano sparizioni di cittadini del mio villaggio. All’ inizio pensavamo fosse opera di un animale proveniente dalla foresta: non è raro che qualche lupo affamato abbandoni il suo normale territorio di caccia e cominci a girovagare intorno al paese. È successo spesso in passato, ma non attaccano quasi mai gli uomini, di solito i loro obbiettivi sono gli ovili incustoditi.
Stavolta però sappiamo che i lupi non c’ entrano un accidente: non ci sono tracce di sangue, ne segni di trascinamento e non sono stati trovati corpi; le persone scompaiono di punto in bianco e di loro non si sa più niente. Abbiamo setacciato la zona, guadato il fiume, ma non abbiamo trovato nulla.- concluse.
-E’ una cosa abbastanza complicata – aggiunse Tsunade – ed è per questo che ho deciso di assegnare la missione a voi due, che siete tra i migliori Jonin e vi distinguete particolarmente per la vostra intelligenza. Conto sul fatto che dimostriate agli altri quanto fruttuosa possa essere una collaborazione tra ninja.
-Come desiderate, Hokage-sama – fece Temari.
- Allora ci vediamo. – Shikamaru si diresse verso la porta e l’ aprì. L’espressione annoiata era sparita lasciando il posto ad uno sguardo pensieroso. I due uscirono seguiti da Yo –Baen.
-Possiamo partire il prima possibile? Vorrei tornare al più presto a casa.
-Non c’ è problema. Ci vediamo fra un’ora dinanzi all’ entrata del Villaggio. – rispose Temari. L’ uomo la guardo dubbioso per qualche istante, fece un inchino e girò i tacchi. La ragazza lo guardò andare via per qualche secondo, poi si diresse nella direzione opposta.
-Come mai a quel tipo non andava giù che fossi della Sabbia? – domandò Shikamaru, seguendola.
-Tra gli abitanti di Suna e quelli della Valle non scorre buon sangue. – rispose l’altra lentamente. – Qualche anno fa c’ è stata anche una guerra. Terminò in pareggio, ma da allora c’è tensione continua tra le due nazioni, anche se Gaara sta da tempo cercando di trovare un compromesso.
-Tuo fratello sta creando legami molto forti, con tutte le alleanze eccetera eccetera – commentò il moro.
-Vuole solo che gli abitanti di Suna non debbano più soffrire per colpa di una guerra.
 
ORE 8:30
CANCELLI PRINCIPALI DI KONOHA
 
Yo-Baen era già lì quando Temari arrivò, ma la sorpresa più grande fu vedere anche Shikamaru. Il ragazzo era tutto intento a parlare col messaggero, ascoltando con un’attenzione piuttosto insolita per lui.
 
-Sembra che finalmente tu abbia deciso di metterti a lavorare sul serio – commentò Temari. Avevano deciso di precedere Yo-Baen al villaggio, perché aspettarlo avrebbe richiesto troppo tempo. Il moro ignorò la provocazione e ribattè:
-Questa cosa mi stuzzica. A quanto pare le vittime non hanno legami fra di loro, due uomini e una donna, che tra l’altro neanche si conoscevano.
-Quindi probabilmente non si tratta di un killer psicopatico.
-Esatto. Sceglie le vittime apparentemente a caso. Un bel mistero.
-Aha. Che cosa simpatica.
Shikamaru sorrise appena.
-Non è una cosa molto bella da dire, però m’intriga.
Temari lo guardò di sottecchi, ma il rimprovero che voleva fargli non le uscì. Fissò il viso concentrato del compagno e per qualche secondo sorrise anche lei.
 
 
 
 
Commento dell’ Autrice:salve a tutti!! Prima di tutto un ringraziamento sincero e profondo a tutti coloro che sono giunti fino a qui, leggendo questa sottospecie di capitolo XD (*si inchina*) Questa fanfiction è, come avrete capito, sulla coppia ShikaTema che è una delle mie preferite *_* è inoltre la mia prima ff in assoluto e mi ci è voluto parecchio per decidermi a pubblicarla!! Per quanto riguarda il contesto, dovreste immaginare che sia dopo la guerra contro l’armata di Madara, o al massimo qualche tempo prima (ma si, prima o dopo che vuoi che cambi?! XD) la storia ruoterà attorno al mistero delle sparizioni della valle dell’ eco, ma ci sarà anche qualche altra sorpresina lungo la strada (*fa un sorriso sadico e una risatina nervosa*). Grazie ancora per aver letto e, mi raccomando, recensite!! Anche un commento minuscolo, solo per dirmi se vi è piaciuta o no!

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Capitolo 2
*** Rosso Sangue - il Vecchio, la Ragazza e il Fantasma ***


Capitolo Secondo

Rosso Sangue - Il Vecchio, la Ragazza e il Fantasma


Il villaggio di Sun’johara era un piccolo raggruppamento di case in legno e mattoni di terracotta, addossato alla collina e chiuso da un lato dalla foresta, e dall’altro da un largo fiume che serpeggiava fino a valle. Per questa ragione si trovava isolato rispetto agli altri centri abitati: per giungere fino al paese più vicino bisognava percorrere venti chilometri tra l’ intrico di rami e alberi, che rendevano impossibile il passaggio a qualsiasi mezzo di trasporto, oppure navigare nelle acque incerte del torrente fino a fondo valle. Gli abitanti erano per il 70% contadini, per il 25% pastori e solo uno scarso 5% si occupava di mandare avanti un abbozzo di attività commerciale, costituita per lo più dall’ esportazione di kukameno, un particolare tipo di pianta che cresceva in alcune zone alte del rilievo. Procurarsela era difficile per tre motivi: primo, era molto rara; secondo, cresceva in quella parte della collina sempre coperta dalla nebbia; e terzo, richiedeva una lunga lavorazione.
Temari e Shikamaru arrivarono a Sun’johara il quinto giorno di marcia, sudati e stremati per il caldo opprimente della foresta.
-Dici che la troviamo una locanda là in mezzo? – domandò la ragazza, squadrando polemicamente il villaggio.
-Per me va bene anche una stalla, basta che mi facciano lavare e dormire – ribatté il compagno.
Appena entrati però , si resero conto di non essere particolarmente benvenuti. Alcuni cittadini li fissavano con palese sospetto, altri con vaga curiosità, altri ancora distoglievano lo sguardo con rabbia. Molti però, guardavano con aperta ostilità al coprifronte di Temari, scansandosi al suo passaggio.
-Sembra non siano abituati a vedere molti turisti da queste parti. – commentò il moro.
- E chi se ne frega, visto che hanno chiesto il nostro aiuto potrebbero mostrare un po’ di gentilezza! – esclamò Temari ad alta voce, lanciando sguardi omicida a chiunque incrociasse. Era già notevolmente irritata di suo: in quegli ultimi giorni gli incubi (o, per meglio dire, l’incubo) non le avevano dato tregua, e la faceva imbestialire che proprio Shikamaru l’avesse vista gridare e agitarsi nel sonno. 
Durante la prima notte infatti, mentre il ragazzo guardava le fiammelle del fuoco aspettando che scadesse l’ ora per il cambio di turno, la kunoichi aveva cominciato a mormorare e dimenarsi. Il Nara si era voltato preoccupato verso di lei, per poi avvicinarsi esitante quando i gemiti e i singhiozzi erano diventati più forti.
-Temari? – si era inginocchiato accanto a lei e le aveva scostato qualche ciocca dal viso, scoprendo due file lucenti di lacrime. A quella vista rimase interdetto, leggermente turbato. Detestava che una ragazza piangesse di fronte a lui quasi quanto le scenate isteriche che solitamente seguivano al pianto; non sapeva mai come comportarsi. Quando Ino si metteva a singhiozzare, lui cercava quasi sempre di svignarsela, lasciando a Choji il compito di consolarla, o al massimo le dava qualche delicata pacca sulla schiena. Temari però non era come Ino, aveva un carattere terribilmente orgoglioso e non l’ aveva mai vista in crisi, neanche quando Kankuro era stato ferito quasi fatalmente da Sasori, e nemmeno quando suo fratello Gaara era stato rapito dall’Akatsuki.  Vederla così fragile fu del tutto inaspettato.
Dopo aver chiamato più volte il suo nome, cominciò a scuoterle leggermente le spalle, fin quando la ragazza non aprì di scatto gli occhi. Due pupille verdi, lucenti per il pianto, si piantarono in quelle di Shikamaru, il cui cuore perse di rimando un paio di colpi. Temari si guardò attorno, confusa e sudata, finché la consapevolezza di aver avuto un incubo non si fece largo tra il groviglio di pensieri.  A quel punto si scostò bruscamente dal ragazzo, che la teneva ancora per un braccio, e mormorò con voce roca:
-Sto benissimo.
-Sicura? – domandò l’altro. – Sembrava che stessi facendo davvero un brutto incubo.
-Fatti gli affari tuoi – rispose lei freddamente, e si alzò di botto, guardandolo malissimo. Shikamaru si strinse nelle spalle e tornò accanto al fuoco, mentre la giovane si allontanava tra i rami.
Da quella notte non c’ erano stati più accenni alla faccenda, e anche se Temari si svegliava urlando, l’amico aveva imparato a non chiederle più nulla. Si limitava, ogni tanto, a domandare se fosse stanca o a fermarsi per farla riposare. La compagna accettava quelle premure con una gratitudine mista a frustrazione: odiava che qualcuno avesse pena di lei, odiava sentirsi vulnerabile, a maggior ragione perché già una volta Shikamaru aveva visto la sua debolezza, quando l’aveva battuta all’Esame di Selezione dei Chunin. Da quel giorno la ragazza nutriva il segreto desiderio di sfidarlo ancora, ma per un motivo o per l’altro (c’erano stati di mezzo impegni burocratici, esami da organizzare e qualche guerra qui e là) non c’ era mai riuscita. E, anche se si sarebbe fatta seppellire viva in un mare di sabbia prima di ammetterlo, ammirava sinceramente le abilità dell’amico-nemico. Per questo, in generale, ma soprattutto davanti a lui, ostentava sicurezza di se’ e completa padronanza delle sue emozioni. Talvolta però era davvero difficile rimanere calma, e il suo carattere irruento spesso saltava fuori. Come in quel momento.
-Cos’ha da fissare? – fece aggressiva, rivolta a un tizio che dal cancello di casa la stava osservando a labbra contratte. Al suono minaccioso della sua voce, si voltò dall’ altro lato e se ne tornò nella sua abitazione.
Shikamaru sospirò – Andiamo, non farci caso. Vieni, ho trovato una locanda.
L’edificio in questione era costruito con gli stessi materiali degli altri, e si trovava poco fuori dal centro del paese. Era un complesso rettangolare a due piani, con un giardino interno e un laghetto in classico stile giapponese. La reception era un piccolo locale pieno di bonsai e satsuki colorate, e la receptionist una specie di mummia incartapecorita avvolta in un costume da geisha. Shikamaru dovette ripeterle per sei volte che volevano due stanze prima che, strascicando i passi, la vecchietta lo conducesse su per le scale per mostrargli la sua. Temari si lasciò cadere pesantemente su una sedia, accanto a un’azalea cremisi.
-Rossa come il sangue.
La giovane voltò il capo di scatto. Seduto a fianco a lei, un signore di una settantina d’anni le offrì un sorriso cordiale.
-L’azalea, volevo dire. È rossa come il sangue. – indicò col dito la pianta e sorrise di nuovo. Il volto, grinzoso ma piacevole, era incorniciato da capelli sottilissimi come fili d’argento, intrecciati dietro la nuca. Gli occhi erano di un grigio scuro, ma brillavano in modo malizioso e accattivante. L’ anziano era vestito con un kimono color ciclamino ed emanava un fresco odore di menta.
-Si è molto…bella. – rispose Temari cauta, poi però sorrise debolmente. L’ uomo mise una mano nella veste e ne trasse fuori una scatola di latta luccicante.
-Vuole una mentina? – domandò porgendogliela.
-No, la ringrazio.
-Qui in paese non capitano spesso visitatori – continuò, mettendosi in bocca una caramella.
 - Suppongo che abbiate ricevuto un’accoglienza un po’ freddina.
 -Giusto un poco- ribatté Temari con sarcasmo. Il vecchio sorrise ancora.
-Se posso dire la mia, graziosa fanciulla della Sabbia, quel coprifronte non l’aiuta molto. Lo toglierei.
-Non ci penso nemmeno. Vado fiera del mio Villaggio, non devo nascondermi. E poi sono qui in missione ufficiale.
-Per Suna?
-Per Konoha.
Il vecchio annuì.
-I rapimenti, giusto? Brutta faccenda.
-Lei sa dirmi qualcosa sulle persone scomparse? – domandò Temari, sporgendosi un po’ verso di lui.
-Mmm…dipende da ciò che vuoi sapere.
-Tutto quello che può dirmi.
L’uomo rise.
-Ahahah, cara figliola, nessuno può sapere tutto. Lo sbaglio più grande è voler sapere cose che non si possono comprendere, e voler rispondere a domande che nascono per rimanere irrisolte.
-Che significa? – la bionda aggrottò le sopracciglia.
-Su, su, non fare quell’espressione. È come ho detto: certe cose si possono sapere e certe no. È come con il cuore umano. Tu lo sai come funziona? Io ho una certa età ormai, ne ho viste di diavolerie, ma il cuore no, non sono mai riuscito a capire come lavori. Per me è un bel mistero.
-Ojii-san, non la seguo.
-È perché sei giovane. Per capire dovrai aspettare che il tuo viso porti qualche segno del tempo. Anche se generalmente alle donne non piace vedersi la pelle rovinata dalle rughe.
 Temari tornò a fissare i satsuki “rosso sangue”, sconcertata. Non aveva capito un accidenti del discorso di quel tizio. In un primo momento le era sembrato uno a posto, ma chissà, forse la senilità…
Qualche minuto dopo sentì un lento tacchettio sulle scale, e la nonnina ricomparve, facendo cenno di seguirla con un dito scheletrico. Temari si alzò.
-Be’, è stato un piace… - si interruppe, meravigliata. Il posto vicino a lei era vuoto, come se non ci fosse stato mai seduto nessuno. Solo nell’aria aleggiava ancora un vago odore di menta. 
 
Camera di Shikamaru Nara
Ore 19.50
 
La locanda era molto silenziosa e, a parte i due ninja dalla Foglia, c’erano pochi altri clienti.
Immagino che la gente si sia spaventata con la storia dei rapimenti, e probabilmente molti hanno già lasciato il villaggio” ragionò Shikamaru, poggiando rumorosamente lo zaino sul tatami della sua stanza. “D’altro canto i  cittadini non sembrano molto  propensi a cooperare con noi. Sarà meglio che provi io a carpire qualche informazione dai più collaborativi, prima che Temari spacchi il ventaglio in testa a qualcuno.”
Si spogliò lentamente del giubbotto verde e della divisa, per poi buttarsi sotto il getto confortante della doccia. Assaporò con piacere ogni goccia d’acqua che scorreva sul corpo, grattando via un po’ di stanchezza insieme alla polvere e al sudore. La sua mente però era presa da altri pensieri.
A parte questa specie di albergo e poche botteghe, non ci sono altre attività in questo villaggio. Pochi giovani e molti anziani: sembra proprio il classico paesino di montagna ancorato alle proprie tradizioni e al proprio passato. Lo dimostra la reazione che hanno avuto nei confronti di Temari. Bisognerà muoversi in modo da ottenere prima la loro fiducia, e capire poi cosa ne pensano dei rapimenti e se hanno dei  sospetti.”
Chiuse l’acqua con un sospiro e uscì dalla doccia, avvolgendosi  l’asciugamano attorno alla vita.
-Qui serve una strategia. – mormorò, grattandosi i capelli umidi.  
 
 
Cortile Interno Rettangolare
Ore 20.00
 
Temari aprì lo shoji della sua camera, che dava su un lungo corridoio, oltre il quale s’intravedeva la macchia scura del laghetto interno. Si era fatta una doccia e aveva lasciato i biondi capelli sciolti sulle spalle; col kimono che le fasciava stretta la vita sembrava più femminile di quanto il suo caratterino lasciasse intendere. Avanzò adagio fino al parapetto, guardando le stelle nel cielo, che con l’assenza di luce brillavano più luminose che mai. Un ricordo indefinito le sfiorò la coscienza, portando con se’ un’eco dolorosa, una sensazione che da quattro anni si ripresentava puntuale ad ogni primavera, come la fioritura dei sakura.  Temari la scacciò con forza, relegandola in un angolo della mente, insieme a tantissimi altri frammenti di memoria, in bilico tra ricordo e oblio.
In quel momento s’accorse che qualcuno la stava osservando. Voltandosi, notò a pochi metri da lei un paio di occhi di uno stupefacente blu notte fissarla da sotto una frangetta corvina. La ragazza poteva avere al massimo una quindicina d’anni, e capendo d’essere stata scoperta arrossì violentemente e abbassò lo sguardo.
-Ti serve qualcosa? – chiese Temari, sorridendo a quella manifestazione di ingenuità.
-I-io…Obaasan mi aveva detto di dirle…che la cena è a scelta…cioè no, volevo dire che può scegliere se consumare in camera oppure nella sala ristoro… - balbettò.
-Grazie, ma per stasera non mangerò, non ho molta fame.
-Eh? Ma fa male alla salute! – esclamò la ragazzina, alzando il viso. – Obaasan lo dice sempre, che se non si mangia poi si diventa deboli e ci si ammala. Io mangio tantissimo, ed è per questo che lo scorso mese ho messo su tre chili…volevo fare una dieta e mi ero messa a digiunare, però poi sono svenuta mentre raccoglievo le wasanabi e il signor Yoshitoki si è arrabbiato. Anche obaasan si è arrabbiata, ma io volevo solo perdere un po’ di peso, così il kimono che mi aveva regalato mi sarebbe entrato di nuovo…però, oneesan, tu non sei per niente grassa, non dovresti stare a dieta! Se perdi le forze e diventi debole, come fai a sconfiggere quello che sta rapendo le persone? Perché sei qui per questo, no, insieme al signore con il codino strano che ho visto prima?
Alle parole “Signore col codino strano” Temari, che aveva ascoltato quel fiume di parole a metà tra il sorpreso e il divertito, scoppiò in una sonora risata. La ragazzina ,arrossendo di nuovo,  tacque e abbassò lo sguardo sulle ciabatte.  
-Come ti chiami piccola? – domandò la kunoichi quando ebbe finito di ridere.
-Chie, oneesan. Ma non sono piccola: ho già tredici anni e mezzo!
-Ah davvero? – Un sorriso spontaneo sbocciò sul viso della ragazza. – Comunque si, Chiechan, siamo qui per questo. Ma non preoccuparti, non basterà saltare un pasto per metterci k.o.
-Lo sapevo – gli occhi azzurro splendente si accesero. –Come ti chiami, oneesan?
-Temari.
-Temarichan?- domandò piegando il capo da un lato, chiedendole implicitamente il permesso di chiamarla per nome. L’altra annuì.
Chie salterellò contenta vicino a lei e riprese la fiumana di parole.
-Spero davvero che lo prendiate presto. Gli abitanti del villaggio sono tutti spaventati, quasi non vanno a lavorare, e anche i commercianti che qualche volta venivano per organizzare le scorte di kukameno se la sono data a gambe, quindi gli affari vanno così e così. Io non conoscevo tanto bene le persone che sono sparite, solo con una ci avevo parlato una volta, il Signor Gensoki, che è stato il secondo. Ecco, per lui mi è dispiaciuto. Era tanto buono! Come un dolce al caramello – aggiunse ridacchiando. – Gli altri invece mi ignoravano sempre, penso che un po’ mi odiassero. – aggiunse.
-Perché mai?
-Io non sono di Sun’johara. In realtà io non sono di nessuna parte. Mi hanno trovato qualche tempo fa vicino al cimitero, ero ferita e non mi ricordavo niente. I miei genitori erano di un villaggio vicino, ma era così piccolo che quando fu attaccato dai briganti morirono tutti. Io non so come sono arrivata lì. – concluse, meditabonda.
Una confessione tanto triste, fatta con un tono tanto sereno, suscitò immediatamente pietà in Temari. Chie lo percepì e si voltò verso di lei, sfoggiando un brillante sorriso.
-Oh, ma io non sono triste – continuò tranquilla. – A parte qualcuno, qui mi trattano tutti bene. Obaasan mi lascia persino dormire in una camera dell’albergo, e io in cambio faccio qualche servizietto qua e là.
Temari le posò una mano sui capelli neri, scompigliandoli affettuosamente. Si stupì lei per prima di quel gesto, mosso da una tenerezza che non aveva mai riservato a nessuno. O quasi.
-Sei una brava ragazza, Chiechan. – sussurrò. – Però, visto che sei una salutista così precisa, non dovresti andare a cena?
-Hai ragione, è proprio ora di mangiare – rispose la ragazzina sorridendo. – Ci vediamo presto!
-Buona notte.
Corse velocemente lungo il corridoio di legno e sparì tra le ombre.
 
Camera di Shikamaru Nara
Ore 22:07
 
“Che seccatura.”
Come chiunque conosca il Clan Nara saprà, ci sono varie cose che gli uomini di questa famiglia etichettano sotto la voce “seccature”. Si va da problemi base come alzarsi la mattina presto e fare allenamento, al semplice muovere la mano per sollevare una penna e scrivere. Ora, c’erano tantissime cose che Shikamaru reputava seccanti, ma quello che detestava dal profondo del cuore era rigirarsi nel letto senza riuscire a prendere sonno. Molti lo consideravano un pigro inguaribile, ed in effetti era così, ma quando aveva un problema difficile da risolvere veniva puntualmente assalito dall’ insonnia. Il che era un guaio, perché persino la mente di un genio ha bisogno di riposarsi ogni tanto, senza contare che molte idee brillanti gli venivano proprio durante il sonno. Quando Asuma era morto, ad esempio, era rimasto tre giorni sveglio a elaborare una strategia per vendicarlo. Era riuscito nel suo intento, ma alla fine era caduto quasi in coma per lo sforzo. Sbuffando, si alzò dal letto, prendendosi la testa fra le mani.
C’è qualcosa di strano in questo villaggio. Avverto chiaramente qualcosa che mi disturba, e non è solo l’atteggiamento dei cittadini…è come se fosse una minaccia più…intima, non lo so neanche io…” scosse la testa, confuso, cosa più unica che rara per lui.
Chissà Temari che sta facendo. Non l’ ho vista prima a cena, speriamo che non abbia attaccato briga con qualcuno. Non potrei  biasimarla, ma bisognerà che tenga un po’ a freno quel caratterino aggressivo, o addio fiducia dei cittadini. In questi ultimi tempi poi, è parecchio strana. Non che sia mai stata normale, ad andare in giro a menare la gente con quel ventaglio enorme…ma è peggio del solito. È deconcentrata, irritabile, mille volte più pericolosa di Ino e quasi più di mia madre. E non vuole dirmi niente di quegli incubi.”
-Donne – borbottò, guardando fuori dalla finestra. – Che seccatura.
“E quella donna è tra le più seccanti che abbia mai incontrato.”
 
Non fece in tempo a elaborare un altro pensiero , che una luce attirò la sua attenzione. Si sporse fuori dalla finestra e, nel buio completo del villaggio addormentato, individuò un bagliore rossastro tra i rami del bosco. Non era una semplice torcia o un incendio: la luce mandava due lampeggiamenti per poi spegnersi per circa tre secondi, e poi ricominciava. Un segnale d’aiuto.
Shikamaru afferrò due kunai dal tavolo e aprì la finestra. Veloce e silenzioso, si calò giù aggrappandosi  al parapetto del balconcino sottostante, e scivolò rapido tra le ombre della notte, seguendo la fiamma rossa in lontananza. Pazienza se era solo, non c’era tempo per chiamare anche Temari.
I rami erano fitti, e passargli attraverso senza far rumore era un impresa abbastanza ardua, che lo rallentò notevolmente. La luce continuava a muoversi seguendo un percorso a zig zag, allontanandosi apparentemente dal villaggio, ma Shikamaru si rese conto che in realtà ci stava solo girando attorno. Quando fu abbastanza vicino al suo obbiettivo, si accorse di un’altra presenza accanto a lui, ma non si voltò.
-Salve, Temari – sussurrò nel buio.
-Ciao femminuccia. – gli rispose una voce calma - Avevi intenzione di prenderti tutto il divertimento per te?  
-Ero sicuro che saresti venuta.
-Cosa pensi che sia quella luce?
-Non ne ho idea. Sembra una richiesta d’aiuto.
-Ma allora perché diavolo continua a muoversi?
-Vuole attirare la nostra attenzione. Non cerca né di farsi raggiungere e né di seminarci. Ci vuole portare da qualche parte.
-Allora è una trappola.
-Potrebbe essere. Come mai eri sveglia?
-Lo sai benissimo – rispose, e Shikamaru notò che la sua voce mal celava una nota di stanchezza. –E tu?
-Insonnia. Questo villaggio non m’ispira.
Temari sbuffò. –Ha cambiato direzione. Si sta dirigendo verso il villaggio.
-Vedo.
-Che facciamo?
-Continuiamo a seguirlo per ora. Osserviamo ciò che vuole fare.
Temari tacque. Non amava particolarmente prendere ordini dagli altri, ma se era Shikamaru si fidava. Sfrecciarono silenziosi e veloci nella foresta scura, lasciandosi guidare dai tiepidi raggi della luna, fino ad arrivare quasi alle porte del villaggio. Lì l’ attenzione della ragazza venne calamitata da qualcos’altro.
-Che diavolo è quello? – mormorò a bassa voce.
-Mmm? Io non vedo niente.
-Lassù, quella macchia scura – indicò col dito una parte della collinetta. Quasi sulla sua sommità, si intravedeva un ammasso nero illuminato debolmente dalla luna.
-Una casa? – avanzò il ragazzo. – è enorme.
-Non l’abbiamo vista quando siamo arrivati.
-Perché era avvolta dalla nebbia – spiegò. – Di notte la foschia si dirada, ma di mattina tutta la cima della collina è praticamente invisibile. Oh, cazzo – si bloccò di colpo, accovacciandosi su un ramo.
-Che succede? – Temari si fermò dietro di lui, stupita.
-È entrata nel villaggio – borbottò il ragazzo nervoso. – L’abbiamo persa di vista.
La compagna imprecò sottovoce. –Entriamo anche noi allora. Dividiamoci e cerchiamo di ritrovarla.
-È quello che vuole.
-E allora qual è la tua idea, genio?
-Ci sto pensando.
Non fece in tempo a finire di parlare, che un coro di grida acute si levò da qualche parte al centro di Sun’johara. Rumori, scalpitii e luci si diffusero dal nucleo del villaggio fino alla foresta. Con un movimento fluido, Temari sganciò il ventaglio dalla schiena.
-Troppo tardi Nara, tempo scaduto. – soffiò.
-Perfetto, ma cerca almeno di non….oh, al diavolo. – bofonchiò, vedendo che l’altra si era già scagliata in direzione delle urla, che diventavano sempre più disperate.
 
La gente usciva dalle case terrorizzata, armata di torce e picconi, ma senza una direzione ben precisa, poiché le urla provenivano sempre da angoli diversi del villaggio. Nelle strade si sentiva urlare: “Di qua” “Di là” oppure “Ha preso un’altra ragazza” o anche “Dove accidenti sono i ninja di Konoha, che il diavolo li porti?!”. In mezzo a quella confusione era impossibile capire cosa stesse succedendo, per cui Temari saltò sul tetto di una casa e cominciò a correre sulle tegole per vedere meglio. Individuò la luce rossa un paio di isolati più avanti e si sforzò di raggiungerla più velocemente che poteva. Quando infine arrivò vicino all’abitazione dove s’era raggruppato un incerto mucchio di gente,  si trovò davanti una scena che aveva del  surreale.
Una ragazza del villaggio, vestita con una pallida camicia da notte e svenuta, era sospesa in aria come una marionetta senza fili, gambe e braccia penzoloni e la testa abbandonata sopra una spalla. Il sangue colava abbondante da una ferita sul fianco, bagnando il terreno sottostante. Il viso esangue era illuminato da una cruenta luce cremisi, emanata dalla figura vicino a lei.
La creatura aveva due braccia e due gambe, e capelli lunghissimi che fluttuavano nell’aria, manco avessero avuto vita propria. Ma non aveva viso, e sembrava non riuscire a tenere bene sotto controllo il suo aspetto, così che somigliava più ad un disegno abbozzato da un bambino con una matita rossa che a una persona in carne ed ossa. Temari si lasciò sfuggire un grido strozzato. Il fantasma si voltò verso di lei con il volto privo di espressione e le fece  un cenno, che servì a riscuoterla un po’ dallo shock.
La priorità è la ragazza” decise la kunoichi, “ha un’emorragia grave, se non mi sbrigo è spacciata”  mosse alcuni passi verso il povero corpo sospeso in aria, ma all’improvviso questo sussultò e cadde, come se le funi che l’avevano retto avessero improvvisamente ceduto. Temari si slanciò verso di lei, ma prima che potesse prenderla, le venne inferto un colpo di una forza mostruosa alla bocca dello stomaco. Tutta l’aria che aveva dentro sembrò uscirle dai polmoni mentre veniva scagliata all’indietro con una velocità inimmaginabile: il ventaglio le sfuggì di mano e lei finì scaraventata in direzione di un muro. L’impatto sarebbe stato doloroso e di certo non ne sarebbe uscita indenne, se non fossero arrivate due braccia ad avvolgerla e a frenarla. Il volo non s’interruppe, ma invece di schiantarsi la spina dorsale su alcune spietate mattonelle di argilla, sbatté contro il petto di Shikamaru, che l’aveva provvidenzialmente afferrata da dietro. Quando finirono contro il fatidico muro, il ragazzo gemette, ma nessuno dei due era ferito gravemente.
-Porca puttana – gorgogliò il giovane, alzandosi a fatica. –Stai bene?
-Niente di rotto – articolò l’altra, con la poca aria che le era rientrata dolorosamente nei polmoni. –Che cazzo è quel coso?
-È esattamente quello che avresti dovuto cercare di capire prima di avventartici contro – la rimbrottò il moro.
-Non miravo a lui, stavo tentando di afferrare la tizia – ribatté la ragazza, piccata.
-Merda, stanno scappando!
I due si lanciarono all’inseguimento del fantasma scarlatto e della sua vittima, ma ormai gli avversari avevano accumulato troppo vantaggio, senza contare che si muovevano a velocità inumana. Le loro tracce si erano perse nella foresta già da alcuni minuti quando i due jonin raggiunsero i primi alberi.
Stavolta fu Temari a fermarsi, ansimando un po’, e Shikamaru ad imitarla.  
-Inseguiamoli, no?
-A che pro? Ormai sono troppo lontani, non riusciremmo mai a riprenderli. E questo è il suo terreno.
-Ma…
-Andiamo, Nara. L’hai vista quella ragazza, no? Te ne sarai accorto anche tu. – replicò la bionda, dura.
Shikamaru rimase in silenzio per qualche secondo, poi mollò un pugno rabbioso contro un albero, che gli grattò via un bel po’ di corteccia, e inveì.
-Non si possono salvare tutti ogni volta – mormorò Temari, dopo qualche minuto. Il suo voleva essere un commento consolatorio, forse non indirizzato tanto all’amico quanto a se stessa, ma ottenne l’ effetto opposto.
-No, Temari, non funziona così – obiettò il ragazzo, aggressivo. – Il compito di un ninja, il compito che ci è stato assegnato è proprio questo: salvare vite. Potrò anche completare questa missione in futuro,  ma mi sembrerà sempre una vittoria imperfetta, una sconfitta a metà, perché non sono riuscito a salvare quella ragazza!  Non sono successi quelli che contano la morte di innocenti, mai. E rassegnarsi, dire che è andata così perché non poteva essere altrimenti, è di per se’ un segnale di fallimento! – concluse, amareggiato.
La giovane della Sabbia lo guardò, esterrefatta. Per un secondo le passò davanti agli occhi l’ immagine di quel ragazzino gracile, che piangeva all’ospedale di Konoha dopo il rimprovero del padre, e giurava a se stesso che sarebbe diventato un ninja migliore. Ora poteva dire che Shikamaru aveva mantenuto quella promessa: era diventato un uomo, fortificato dai dolori che aveva dovuto sopportare. E lei? Lei era maturata quanto lui, cresciuta, cambiata? Una voce nel suo cuore già le dava la risposta: no, per niente. Ancora una volta, era rimasta indietro.
La rabbia le fece stringere i pugni. Si guardarono per qualche secondo, lei con occhi fiammeggianti, lui con uno sguardo tornato calmo e indecifrabile.  Poi, senza un’altra parola, si avviarono verso il villaggio.
 

 
 
C.I.A. (Chiacchiere Insensate dell’Autrice): Hola ragazzi!! Come state? J  innanzitutto: grazie, grazie, grazie, mille volte grazie a chi ha letto questo immenso secondo capitolo (mi dispiace, nelle mie intenzioni non doveva essere così lungo!! Cercherò di essere più concisa la prossima volta!! Ç_ç)!! Mi rendo conto che ho scritto tantissimo, sarà stato faticoso da leggere .__. Il fatto è che sono stata due settimane buone in un paesino sperduto dove non avevo neanche internet, quindi l’unica cosa che potevo fare era dedicarmi alla fanfiction XD Spero comunque di non essere stata troppo pedante, con tutti i monologhi mentali e le descrizioni :-S
 
SabakuNoMe:  Grazieeeeeeeeee!! *_* il tuo è stato il primo commento e mi ha riempito di gioia!! In realtà sul primo capitolo ero parecchio incerta (anche su questo e su tutta la fanfiction in generale, ma vabbè) sono felicissima che ti sia piaciuto! Se ti va e se hai tempo mi scrivi cosa pensi di questa seconda puntata? Grazie :-D
 
 Pantesilea: Grazie mille per il tuo commento! Mi è stato di grande incoraggiamento, spero che anche questo secondo capitolo non ti abbia deluso!!
 
Rolly Too:  arigatou!! Mi sono commossa leggendo il tuo commento, non credevo che la mia storia potesse piacere e incuriosire tanto!*_* Tra l’altro avevo proprio paura di non essere riuscita ad azzeccare i personaggi, quindi sapere che sono stati apprezzati dopotutto mi ha reso enormemente felice!! Grazie!
 
Orange Dreem: un milione di grazie anche a te!! Sono stata felice di leggere la tua recensione, cercherò di impegnarmi al meglio per non deludere né te né gli altri che mi stanno seguendo. Grazie per aver notato così tante cose della storia, dal modo di scrivere alle motivazioni, ne sono stata commossa. Per quanto riguarda Tu sei la mia Mendokouse sappi che l’ho letta già qualche tempo fa, prima di pubblicare la mia storia, ed infatti ce l’ho tra le fanfiction da ricordare, perché mi piacque tantissimo!!! Era geniale, complimenti vivissimi! Life goes on non la conosco, provvederò però! Per quanto riguarda l’ex che Temari dovrebbe avere….mah….chissà…..leggete e saprete XDXD
 
Grazie infine a tutti quelli che hanno letto e non hanno recensito, o che hanno anche solo aperto questa pagina XD Ultimamente mi è sorto un dubbio riguardo il mio modo di scrivere: non pensate che sia troppo “pesante”? secondo voi dovrei alleggerire di più il mio stile? Mettere meno descrizioni e più dialoghi? Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, anche le critiche sono ben accette!! Arigatou ;-)
 
 

 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Giallo Ocra - L'anima del Diavolo ***


I Ricordi delle Ombre III

I Ricordi delle Ombre  -  Capitolo III

Giallo Ocra - L’anima del Diavolo

La notte  scende dagli alti picchi, striscia indisturbata per le strade del villaggio, pesante ed invisibile presenza, e  penetra inesorabile nelle case, avvolge i suoni, spegne i colori, fino a stendere il suo tetro sudario sul corpo stanco di chi anela la quiete. Piano, lentamente, diffonde la sua essenza negli animi della gente, ispira calde note di riposo e tranquillità, reca promesse di sogni irrealizzabili in un domani migliore.  La notte, vedova dalle lacrime diamantine, materna nella beltà del suo sorriso, carnefice nell’oscurità che nasconde in seno.

 

Vicino, vicino.                                                                                                                                        
L’ossessione. 
Vicino, vicino. 
Ladra di ombre. 
Vicino, vicino. 
Sarà sua, ogni cosa. 
Vicino, vicino. 
Ogni frammento di lacrima. 
Vicino, vicino. 
Ti ha trovato, ah! 
Vicino, vicino. 
Ascolta il tuo respiro. 
Vicino, vicino. 
Il sorriso del diavolo. 
Vicino, vicino. 
Di tenebra sarà  il tuo sonno.

 

 

Camera di Temari 
Ore 02.15

 

Temari guardò sinceramente afflitta il suo ventaglio, steso aperto sul tatami. Era talmente grande che la ragazza doveva stare in piedi in un angolino di pavimento, mentre il resto dello spazio era occupato dall’ enorme mole dell’ oggetto. Le si stringeva il cuore a vedere la sua arma ridotta in quel modo. 
Erano anni che combatteva usando solamente quello, e aveva sempre badato a mantenerlo in condizioni perfette; si può dire che si fidasse più di quell’arma che di molti esseri umani, e - se non altro -  non ne era mai stata tradita.  
Adesso però, la stoffa bianca era strappata in più punti, dove i sassi dello sterrato l’avevano lacerata, e uno dei soli viola squarciato giusto al centro. L’intelaiatura non presentava grossi danni, però, e questo fece insospettire ancora di più la kunoichi. Ripensò a quando l’aveva trovato : era finito in un vicolo buio e sporco della periferia di Sun’johara. A cercarlo era andata da sola: Shikamaru non le aveva offerto il suo aiuto, forse perché era ancora irritato dal loro quasi-litigio di qualche ora prima, o forse perché sapeva che lei lo avrebbe comunque rifiutato. Aveva con se’ delle armi, in caso di emergenza, e si sentiva tutto sommato tranquilla. Quando passò accanto all’edificio dove era avvenuto lo scontro, per un attimo provò un inaspettato senso di nausea. Davanti al portone,  una donna in camicione da notte fissava nel vuoto,  un pezzo di stoffa bianca stretto nelle mani. Il viso, segnato dalle rughe, era totalmente inespressivo, decorato solo da due lacrime in bilico tra le ciglia nere. Temari non riuscì a guardarla a lungo; di fronte a quel dolore, abbassò lo sguardo sul terreno. 
 La terra di quella zona, al pari delle abitazioni, era di uno stomachevole giallo ocra, che le ricordava il colore dei campi di battaglia prima dello scontro con l’armata di Madara.  Prima, e non dopo, perché a quel punto ogni centimetro di terra aveva preso sfumature cremisi per il sangue che lo impregnava. 
L’unica differenza stava nel fatto che la zona dei suoi ricordi era costellata di malevoli sassi, che rendevano potenzialmente fatale ogni caduta, mentre a Sun’johara l’entrata di ogni casa era spazzata a dovere. Per terra, davanti a se’, Temari non vide altro che il terreno ben levigato, senza l’ombra di sassi o rifiuti.  
 Nel fare questa considerazione, sentì una parte del suo cervello lanciare un segnale d’allarme, come se avesse omesso qualcosa d’importante, ma l’ignorò. 
 Procedette spedita nella direzione in cui aveva visto cadere il ventaglio, e di lì a poco lo trovò. Nel momento in cui si era chinata a raccoglierlo, aveva notato con la coda nell’occhio le figure di due persone – bambini, a giudicare dalla statura – che fuggivano dall’altra parte della strada. Allora aveva capito.

“Questo ventaglio non è facile da danneggiare. La stoffa è fatta di fibre molto particolari, ottenute da piante di Suna lavorate per moltissimo tempo, e con sostanze di cui neanch’io so l’esatta composizione. Questo lo rende leggerissimo, a patto di saper convogliare nella mano la giusta combinazione di chackra. Una caduta simile non avrebbe potuto rovinarlo così tanto. Questi piccoli taglietti ai bordi saranno anche merito dei sassi, ma questo squarcio qui – e toccò delicatamente i lembi del sole lacerato – è stato fatto apposta. Quei bambini erano probabilmente figli degli abitanti del villaggio, abituati sin dalla nascita a odiare la Sabbia. Avranno pensato di farmi uno scherzetto.” 
Sospirò, cercando di calmarsi. Coi nervi a fior di pelle che aveva, non le era facile cercare di tenere a mente che la sua missione consisteva proprio nel proteggere un mucchio di gente che avrebbe dato tutto per vederla morta. E viceversa. 
Si concentrò su come riparare il ventaglio. La parte lignea, grazie al cielo, non aveva subìto danni, quindi avrebbe potuto continuare a usarlo. Prese ago e filo dalla borsa e cominciò a cucire gli strappi. I punti dovevano essere delicati e non molto evidenti, e non solo per un fattore estetico, ma perché dalla tensione della stoffa dipendeva l’aerodinamicità  dell’intero oggetto. Era una cosa piuttosto complicata. 
Dovendo procedere lentamente, terminò tutto il lavoro quando ormai era quasi l’alba. 
-Un’altra notte in bianco – mormorò, accasciandosi sul letto. Oh be’, almeno si era risparmiata l’ennesimo incubo. Con quest’ultima consolazione, abbandonò il capo e si addormentò profondamente.

 

 

Sun’johara - Piazza Centrale
Ore 10.26

 

In un villaggio dove la sopravvivenza dipende per lo più da agricoltura e pastorizia, l’ozio è un lusso che raramente ci si permette. E per quanto la paura e lo spavento della sera precedente  fossero ancora impressi nei volti e negli occhi degli abitanti di Sun’johara, anni di lavoro e sacrifici avevano stampato nelle loro menti una lezione ancora più marcata: la vita va avanti, purtroppo e per fortuna, e la pigrizia è il nido perfetto del dolore. Perciò, anche quella mattina, quasi tutti gli uomini e le donne si erano alzati, avevano fatto una scarna colazione e si erano rimessi a lavoro, con i muscoli allenati alle fatiche e lo spirito offuscato da tetri pensieri. 
Shikamaru era in giro per il villaggio da quasi due ore, registrando con ogni neurone tutto ciò che vedeva e sentiva. 

“Per ottenere la fiducia di questa gente devo innanzitutto capire come pensano e vivono.” ragionò. 
La visita di quella mattina gli aveva dimostrato che la sua prima impressione sul paese era stata corretta. Seduto ad occhi chiusi su una panchina della piazza centrale, a pochi metri dal grande mercato che si teneva dinanzi a lui, aveva colto brandelli di conversazioni che gli permisero di farsi un’idea piuttosto precisa sulla mentalità di quella gente. 
- È stato il diavolo, il diavolo…. 
- È tornato dagli Inferi, dopo tutto questo tempo… 
- Mio marito c’era, ieri, quando ha portato via la piccola Ayachan…mi ha detto che era rosso, rosso come le fiamme e il sangue… 
-Povera Chitosesan, la sua unica figlia…
-Ieri notte pare che sia accaduto di nuovo. Stavolta erano quasi cento cinquanta monete! 
-D’argento?
-D’oro!
-Centocinquanta monete d’oro! Potrebbero smettere di lavorare!
-Non c’è da essere invidiosi. Ha comunque perso sua figlia.
- Non si può continuare così. Bisogna andarsene, o prima o poi toccherà ai nostri bambini. Quel mostro, ieri, ha respinto quella femmina della Sabbia come fosse una foglia secca.
-Io non mi fido di quella. Viene da Suna, non scordiamolo.
- Yo-Baen ha combinato un altro dei suoi casini!
- Figuriamoci! Due ragazzini, ecco cosa ci ha mandato l’Hokage! Possiamo ritenerci tutti morti!
-Riekosan, non essere così pessimista…
-No, ha ragione. Non possono combattere contro il diavolo in persona. Dovremmo andarcene, ecco.
-E lasciare che se la sbrighino quei due…
Shikamaru continuò a fingere di dormire fino a che le voci non si furono allontanate, mescolandosi ai suoni della calca mattutina. Poi, lentamente, aprì gli occhi puntandoli sulle nuvole sopra la sua testa. Il sole splendeva alto, illuminando il bianco spumoso delle piccole figurine, candide come panna. Il monte, “Kumakoro” come lo chiamava la gente, sfidava la limpidezza del paesaggio ammantandosi della solita coltre di impenetrabile nebbia. Il ragazzo si strofinò gli occhi gonfi, sospirando, e si pose il capo fra le mani.
-Vuole una mentina?
Il Nara sobbalzò leggermente e voltò il capo. Accanto a lui vide  un vecchietto, uno di quelli mezzi rimbambiti che vagano per i parchi, avvolto da un fresco odore di menta e vestito di un elegante kimono a fiori, che lo guardava con un sorriso leggermente preoccupato.  
-Come, scusi? – fece il moro, aggrottando le sopracciglia. “Com’è che non mi sono accorto della sua presenza?
L’altro sembrò leggergli nel pensiero. Ridacchiando, prese dalla veste una scatola argentata e la offrì al ragazzo, continuando:
-Scusi, certe abitudini sono dure a morire. Non si crucci perché non si è accorto di me. Sono molto silenzioso.
Shikamaru prese dalla scatoletta una caramella, e ringraziò. La mise in bocca senza pensarci, concentrato a studiare il soggetto che aveva dinanzi a se’, e che gli stava sorridendo benevolo.
“È un ex-ninja” decise, alla fine della sua brevissima analisi. “Altrimenti mi sarei accorto di lui.”
L’altro sorrise, come a voler far intendere che aveva capito il corso dei suoi pensieri. Poi si voltò verso il caleidoscopio di bancarelle e uomini dinanzi a lui.
-La gente di questo villaggio è molto superstiziosa. Suppongo che sia naturale, quando si vive isolati con pochi contatti con l’esterno.
-Lei è di qui?
-Oh, no. Abito a Sun’johara da svariati anni, ma sono originario di Suna.
Quella notizia lasciò il ragazzo di stucco. Un concittadino di Temari? Lì?
-Ah, ma la gente di questo posto non fa troppo caso a me. Sono bravo a mimetizzarmi, e a non farmi notare, quando voglio. Capisci cosa intendo, no?
Shikamaru affilò lo sguardo, e fece un piccolo cenno d’assenso. Quel tizio gli aveva appena deliberatamente confermato i suoi sospetti. Che non fosse andato in pensione, e fosse invece una spia? Ma Temari non aveva detto che Suna e la Valle erano ormai in pace? 
-Non torno al mio villaggio da anni ormai. Confesso che mi manca la Sabbia. Vedere la sua compagna, qualche tempo fa, mi ha fatto sentire molta nostalgia. – mormorò con voce stanca.
-Perché non ci torna? Non è lontana.
-Questa domanda ha lo scopo di capire se sono una spia o meno?
Il ragazzo aggrottò la fronte. “Merda. Altro che vecchietto rimbambito.”
L’uomo scoppiò a ridere. Aveva una risata giovanile, calda, anche se un po’ ruvida.
-Ah no, non preoccuparti. Simili trucchetti li usavo anch’io, quand’ero stratega a Suna. Ammetto di essere colpito dalla tua intelligenza, sei molto giovane eppure sai come far parlare la gente.
-La ringrazio.
-Comunque, no, non sono una spia. Sono in pensione da parecchio tempo ormai. Mi sono traferito a Sun’johara per sposarmi, conosco molto bene la mentalità di queste persone. Non è cattiva gente, sai. Però hanno molta paura delle cose che non riescono a spiegarsi, e finiscono col credere a ridicole scaramanzie.
-Come la leggenda del diavolo?
A Shikamaru non sfuggì il luccichio che per un attimo illuminò gli occhi grigio scuro del vecchietto, ma fu così repentino che non riuscì a decifrarlo.
-Quello è un esempio, si. – rispose laconico.
-Sa dirmi che cos’è? – chiese, sapendo però che non avrebbe ottenuto risposta. Infatti il vecchio si alzò, stiracchiandosi, e si allontanò dalla panchina, imboccando la strada affianco. Prima di andarsene, si voltò verso il ragazzo con un sorriso enigmatico.
-Una leggenda, come hai detto. Non cercherei altre informazioni, però, la gente di questo luogo è sospettosa e molto gelosa delle sue superstizioni.  Be’, è stato un piacere.
Si voltò di nuovo e scomparve alla vista. Il ninja di Konoha non pensò neanche di rincorrerlo: sarebbe stato inutile. Era uno stratega, intelligente quanto e forse più di lui, e se avesse voluto far perdere le proprie tracce non lo avrebbe ritrovato, ne era sicuro. Si alzò anche lui dalla panchina e si diresse verso la locanda, un vago sorriso di soddisfazione sulle labbra. La cosa si faceva sempre più interessante.

  

Sun’johara – Locanda 
Sala Ristoro, ore 13.06

 

La sala ristoro di quella sottospecie di locanda era parecchio piccola, ma dal momento che di clienti ce n’erano assai pochi non c’era pericolo di sovraffollamento. I pannelli di quercia erano alquanto rovinati, la moquette sporca, le sedie piene di tarme e il cibo di una qualità indecente.
Temari ingollò con sforzo l’ultima cucchiaiata di quella disgustosa brodaglia che le era stata annunciata come “ramen della casa”, e che conteneva qualche pezzo di carne dura come acciaio, alghe viscide, e due spaghetti galleggianti in un mare marroncino scuro.  Non c’era niente altro che sembrasse anche solo vagamente commestibile, e avendo saltato cena e colazione non poteva fare la schizzinosa. Tracannò il bicchiere di tè verde davanti a lei, per togliersi il saporaccio dalla bocca, e guardò fuori dalla finestra. Almeno la vista era incredibile: il monte Kumakoro, visibile solo alle pendici, e sotto l’intero domino delle case di Sun’johara, che degradavano verso il  l’azzurro cupo del fiume. La foresta, vivace e rigogliosa, accerchiava le case dall’altro lato allargandosi verso la montagna, circondandola come una sciarpa vivente in varie tonalità di verde. Rimase a guardare il paesaggio anche quando la sedia davanti a lei venne spostata, grattando sul pavimento lordo.
-Hai davvero mangiato quella roba?
Shikamaru fissò schifato la ciotola di ramen, pensando che anche alla capacità d’adattamento c’ era un limite.
-Non avevo scelta, Nara. O questo o niente.
-Preferisco il digiuno. – borbottò il compagno. – Stamattina sono stato a Sun’johara. - aggiunse.
Temari si voltò verso di lui, ma il viso del ragazzo la lasciò interdetta per un attimo.
-Uh, ti vedo in forma. Hai un cera perfetta – disse ironica, indicando le profonde e bluastre occhiaie che cerchiavano le iridi nocciola. – Cos’è, non hai dormito?
-Ho avuto un incubo. – mormorò il ragazzo con voce stanca, prendendosi il mento fra le mani. Il volto olivastro era coperto da un preoccupante pallore, per cui la kunoichi decise di non insistere.
-Che hai scoperto?
-Gli abitanti attribuiscono la colpa dei delitti al diavolo.
Temari sbuffò. – Ma per piacere!
-Be’, quella cosa che ieri ci ha attaccato non era umana di certo.  – commentò il moro.
-Vuoi dire che credi a queste superstizioni? – domandò lei con un filo di disprezzo. –Non me lo sarei aspettato da te.
-Non ho detto che ci credo. Dico che è da sciocchi non prendere in considerazione tutte le ipotesi. – aprì le mani e le poggiò sul tavolo, accanto a quelle dell’amica. Gli occhi, per quanto tradissero una certa stanchezza, mantenevano il solito sguardo intelligente di cui Temari si fidava.
-Va bene, - cedette – mettiamo pure che esista questo demone. Che facciamo? Come lo scoviamo?
-Non dobbiamo andare a prenderlo noi. Tornerà lui. – spiegò il Nara. – All’inizio attaccava prevalentemente gente indifesa e sola, ma adesso che i cittadini si sono fatti più cauti ha bisogno di entrare nel villaggio per raggiungere le sue prede. Possiamo solo aspettare.
-Hai in mente un piano per catturarlo?
- No, purtroppo. Ho a disposizione troppi pochi dati. Dovrò osservarlo a lungo prima di poter elaborare un attacco. Per il momento possiamo solo impedirgli di fare altre vittime.  
Temari annuì.
-E bisogna scoprire qualcosa di più su questa leggenda del diavolo.
-Leggenda del diavolo?
Shikamaru le riassunse brevemente la discussione che aveva origliato, per poi passare a raccontarle anche del vecchio e del loro rapido dialogo.
-Quel tipo l’avevo già visto. – la ragazza corrugò la fronte, in un’espressione che la faceva apparire quasi buffa. – Il primo giorno, alla locanda. Ma perché non mi aveva detto di essere di Suna?
-Forse mentiva, ma ne dubito. – ribatté il compagno, prendendo a giocherellare con la tazza del tè. -Era senza dubbio sospetto, ma ora dobbiamo concentrarci su quella leggenda. Il mio istinto mi dice che  è un tassello molto importante. Eppure – posò con forza il bicchiere sul tavolo, facendolo tintinnare  -nessuno vuole dirci niente. Che frustrazione.
-Per questo non preoccuparti. – rispose la kunoichi, tranquilla. Il ragazzo la fissò, e lei sorrise.
-Conosco giusto una persona che sarebbe molto felice di chiacchierare con noi.

 

                                                                                                                                                      

-Smettila - l'uomo
incurva le spalle in avanti,
si prende il volto fra le mani, nascondendo le lacrime
che scivolano discrete tra le dita sanguinanti.
-Quello che fai è mostruoso.
Una risata cristallina è la risposta a quella preghiera appena accennata,
una voce limpida come acqua di sorgente, eppure
fredda come una scheggia acuminata di ghiaccio.
-Non ridere!
l' uomo alza di scatto gli occhi annebbiati, ha paura
ma la frustrazione in quel momento è più forte di tutto.
Le labbra sottili, dalle quali gocciola appena qualche stilla rossa,
si tendono in un ghigno.
-Abbiamo un patto - mormora dolcissima la voce.
Poi un rumore, uno schiocco secco di ossa spezzate e pelle lacerata.
L'uomo chiude gli occhi riprende silenziosamente a piangere.






Sun’johara – Locanda 
Reception , ore 14.30

 

Shikamaru era di natura abbastanza educato e cortese col gentil sesso. Riteneva, ad esempio, che gli uomini dovessero sempre proteggere le donne, senza distinzione di età e appartenenza sociale; e mai, in nessun caso, un uomo dovesse usare violenza sul corpo femminile.
Da un’ora a quella parte tuttavia, la sua pazienza stava andando esaurendosi e forse avrebbe rivisto molto volentieri qualcuno dei suoi galanti propositi.
-La ragazza, signora! La ragazza che vive con lei! Chiechan!
-La pazza che ride con me ciancia? Ma lei è fuori di testa! – la vecchietta lo guardò con le cataratte che aveva al posto degli occhi e la bocca raggrinzita in una smorfia di disgusto.
-Voi giovani shinobi non sapete dove stia la creanza! Ragazzo degenere!
Che poi questa non è neanche una donna, giusto? Somiglia molto di più a una mummia” rifletté il ragazzo. “Sono sicuro che Sun’johara ne guadagnerebbe in affari se la rispedissi nel suo sarcofago…”
Allontanò quei pensieri negativi con un sospiro, sforzandosi di tirare fuori un sorriso.
-Signora – la forzatura nella voce era evidente. – è un’ora che cerco di chiederle dov’è Chiechan. CHI.E.CHAN. – scandì le parole una ad una.  – La ragazza che vive qui con lei, ha presente?
-Oh insomma, parli più piano! Non capisco niente di quello che dice! – sbottò l’anziana. – Pensa sia divertente prendere in giro una povera vecchia? Ma come l’hanno educata i suoi genitori?
Shikamaru fece appello ad ogni singola briciola di pazienza.
-Questa è un’autentica seccatura – borbottò tra se’ e se’. –Dove diavolo è finita Temari?
-Senta giovanotto, io ho da fare. Se ha qualcosa da dirmi, lo faccia in fretta.- ingiunse la mummia.
-Vorrei solo andare in stanza a riposare – gemette il ragazzo, prendendosi il viso tra le mani.
-Oh! E allora poteva dirlo subito, no? Provvederò allo spostamento dei bagagli suoi e della signorina appena ci sarà la disponibilità. E adesso mi scusi.
-Eh?
Il Nara vide la nonnetta salutarlo con un inchino e dileguarsi.
-Ehi signora aspetti!
-Nara! – una voce dietro di lui lo fece voltare. Temari, appoggiata con la schiena al muro,  lo guardava divertita accanto a una piccoletta dai brillanti occhi azzurri.
-Questa è Chiechan. – fece un cenno verso la ragazzina che si inchinò rispettosamente.
-Ah…piacere. – borbottò Shikamaru. –Ci sediamo da qualche parte? – propose.
Si accomodarono tutti e tre sulle sedie della reception, attorno a un tavolino di paglia decrepito.
-Allora Chiechan. – iniziò la kunoichi. –Abbiamo bisogno del tuo aiuto.
La ragazza annuì diligente, e si sistemò nervosamente i setosi capelli dietro all’orecchio.
-Cosa devo fare?
-Nulla di pericoloso, rilassati. – intervenne il moro. –Vogliamo solo farti delle domande.
Temari annuì. –Innanzitutto, anche se vivi qui relativamente da poco, sai nulla riguardo a una certa “leggenda del diavolo”?
Chie sorrise. Un sorriso angelico, innocente e pieno di buona volontà.

Non mi piace. Shikamaru incrociò le braccia dietro alla nuca e ascoltò la ragazzina che parlava, col tono di una scolaretta interrogata su una lezione imparata a memoria.
-E’ un’antica storia del paese. Anch’io ne sono venuta a conoscenza da poco, da quando sono iniziati i rapimenti. Me ne ha parlato obaasan, e devo dire che pure lei sembrava spaventata, come se stesse dicendo un segreto.
Si racconta che tanto tanto tempo fa, prima ancora che i ninja acquisissero le loro conoscenze sul chackra e le tecniche, e prima che si formassero i vari villaggi nascosti, nella Valle dell’Eco vivesse uno youkai estremamente potente e quasi altrettanto malvagio. Si nutriva di uomini perché col loro sangue riusciva a rigenerare i suoi grandissimi poteri. Molti avevano provato a fermarlo, ma erano stati uccisi e poi mangiati, uno dopo l’altro. Le voci su questo demone ben presto uscirono fuori dal paese, e vennero guerrieri da ogni dove per cercare di sconfiggerlo, ma ogni tentativo era inutile. Finché da un villaggio semisconosciuto non arrivò un medico, che aveva fatto un lunghissimo viaggio per studiare le qualità allora sconosciute della pianta del kukameno. Lo youkai di cui vi ho parlato dimorava sul monte Kumakoro, dove cresceva la pianta.  Il medico fu avvertito caldamente di non provare a salire sulla montagna, ma se ne infischiò e decise di andare comunque. Non solo: si presentò al cospetto del demone di sua spontanea volontà, dicendo che era in grado di offrirgli il potere assoluto senza il fastidioso incomodo del sangue umano. Fu così abile che lo youkai gli credette e non solo gli mise a disposizione  il kukameno, ma gli promise,  in cambio della sua collaborazione, la supremazia su tutta la Valle dell’Eco. Purtroppo per lui il medico lo aveva ingannato: dalla pianta riuscì a ricavare un potente veleno che stordì il demone e lo lasciò debolissimo. A quel punto mandò a chiamare una strega dal paese più vicino, e insieme lo sigillarono per sempre nella montagna. Si dice che la nebbia che avvolge il monte sia in realtà il respiro dello youkai, ancora vivo dopo tutto questo tempo. – concluse soddisfatta.
-Mmm…- lo sguardo di Temari lasciava intendere apertamente tutto il suo scetticismo. –Una tipica leggenda di paese: un po’ di horror, la pianta magica, e il classico lieto fine – commentò.
-Perché gli abitanti non ce ne hanno voluto parlare prima? – domandò Shikamaru.
Chie si strinse nelle spalle. –Probabilmente si vergognano.
-E perché mai?
-Fino a poco tempo fa c’era gente che andava a chiedere favori al demone. Lo adoravano come fosse una divinità. Addirittura qualcuno sperava di riuscire a liberarlo. – aggiunse allegramente.
-E per quale assurdo motivo? – continuò il ragazzo, ignorando l’occhiata canzonatoria alla sua destra.
-Non ne ho idea. Non l’ho mai capito – ridacchiò la ragazzina.
-Perfetto allora. Grazie Chiechan. – fece la kunoichi di Suna, palesemente annoiata. – Se dovessi ricordare qualcosa, o venire a conoscenza di altri dettagli, faccelo sapere mi raccomando.
-Un’ultima cosa.
Le due ragazze , che si erano già alzate, si voltarono.
-Si, Shikamaru-san? – chiese Chie incerta.

O è piuttosto irritata?
-Sai niente di alcune monete d’oro?
La ragazzina corrugò la fronte, stupita. –No, mi spiace. Di monete d’oro non so nulla, ma se volete posso chiedere a obaasan…
-Nah, fa niente, non importa. – il ragazzo liquidò la questione con un gesto della mano. –Grazie per l’aiuto, Chiechan.
La mora sorrise, fece un accenno di inchino e scivolò via.

 

 Foresta di Sun’johara
Ore 16.50

 
La foresta di Sun’johara, chiamata dagli abitanti “Il mare verde”, di notte poteva apparire oscura e pericolosa, ma di giorno si apriva dolcemente alla vista dei viandanti, offrendo agli occhi le sue molte e segrete bellezze.
 La luce filtrava a gocce dalle foglie mosse dal vento, colorando ogni cosa di un brillante verde giada. Migliaia di fiori, delle più varie tonalità, sbocciavano negli angoli irrigati dal sole, mentre negli spazi più bui crescevano rampicanti, funghi e altre piante dal profumo vigoroso. Volpi, conigli, tassi, ma anche lupi di media grandezza e altri animali carnivori erano i proprietari di quel piccolo ed inesplorato eden.
Temari era sempre stata affascinata dalle piante. A Suna aveva addirittura un piccolo giardino personale, che curava con particolare dovizia e nel quale trascorreva piacevolmente il tempo libero. Kankuro l’aveva sempre presa in giro per quel singolare hobby: alla ragazza non interessava la ricerca di veleni ed estratti medicamentosi, si limitava a guardare imbambolata i piccoli vegetali, che adorava quasi fossero sue creature. Riusciva così a rilassarsi, dimenticando per un attimo se stessa per concentrarsi sulla linfa che pulsava, gentile e inarrestabile, nelle vene di un’ aralia; o sul piegarsi continuo di un girasole al tramonto; o sullo sbocciare timido di un’aquilegia.
Potevano dirle quel che voleva; dopotutto il suo compagno passava il tempo a guardare le nuvole, ed era considerato un genio nel suo villaggio.
-Trovato qualcosa? 
Temari si voltò verso Shikamaru, distogliendo l'attenzione da un bocciolo smeraldo. Si rimproverò mentalmente: erano lì per cercare tracce del fantasma, non per perdere tempo. Decise di rimandare l'esplorazione del luogo ad incarico terminato. 
-Dì quel che vuoi, Nara, ma io qui non vedo niente. Sono ore che giriamo a vuoto. - rispose, incrociando le braccia sul petto.
-Che seccatura. - il ragazzo si appoggiò ad un tronco, grattandosi il capo pensieroso. 
-Dovremmo tornare al villaggio per assicurarci che quella cosa non rapisca qualcun altro. - commentò la kunoichi. - Si può sapere cos'è che ti tormenta, testa d'ananas? - aggiunse.
-Il comportamento di quel fantasma - sempre ammesso che di fantasma si tratti - non è normale. Che senso aveva farci quei segnali dalla foresta? Ci aveva praticamente avvertito delle sue intenzioni. Abbastanza idiota, non pensi?
-Magari riteneva di essere comunque in grado di batterci, per cui non se ne è curato. - azzardò l'altra, poco convinta. 
-Non si tratta di noncuranza. - Shikamaru scosse la testa. - Ci ha attirati lì, è diverso. 
-Forse voleva che lo fermassimo. Magari quell'essere non è cattivo, ma non riesce a controllarsi, e sperava che l'avremmo bloccato. 
-E' una teoria valida, ma è solo una supposizione. E inoltre, ieri notte.... - si bloccò, incespicando.
-Ieri notte...? - lo incoraggiò Temari. 
-C'era qualcosa nella mia stanza. - concluse il ragazzo, cupo. 
-Che cosa?!
-Non so cosa fosse. In realtà era più una mia sensazione. Ho setacciato la camera, sollevato le assi, controllato dappertutto. Ho pensato alla stanchezza e mi sono addormentato tranquillamente. Ma persino il mio incubo era strano...a un certo punto mi sono svegliato e ho sentito qualcosa sulla faccia. Sembrava un respiro. Ma quando ho acceso la luce non c'era più niente.  - terminò. 
-Nara...
-Lo so cosa pensi. Autosuggestione. Vorrei crederci, ma la percezione di ieri era troppo vivida per essere frutto della mia fantasia. - Shikamaru alzò lo sguardo verso il cielo, ma trovò solo un piccolo spicchio d'azzurro in mezzo a tutto quel verde e marrone. Se ne sentì oppresso. 
-Ho un'idea. - fece Temari. 
Il ninja tornò a guardarla. -Sarebbe?
-La casa che abbiamo visto ieri notte, quella che di mattina è avvolta dalla nebbia. Potrebbe darsi che si nasconda lì. O, se ci abitasse qualcuno, potremmo chiedere se ieri sera ha visto qualcosa. - suggerì la ragazza. 
-Buona idea - approvò il Nara, e si lasciò sfuggire un sorriso vagamente stupito, che gli costò un'altra frecciatina della kunoichi. 
-Cos'è, pensavi forse di essere tu il genio dei due, femminuccia?

C.I.A  2:  di nuovo salve a tutti!! Grazie per aver letto questo capitolo (*inchino*) Spero che vi siate divertiti a leggerlo quanto io a scriverlo! Sarebbe una grande soddisfazione. 
Come al solito sono rimasta felicissima delle recensioni ricevute :-)
Ho notato però che sono davvero pochine…o sono nella media? Non so…il fatto è che essendo io alle prime armi (infatti questa è la prima cosa che pubblico in vita mia) mi scoraggio facilmente. A questo si aggiunge che sono a conoscenza delle debolezze della mia scrittura, perciò mi chiedo se dopotutto questa fanfiction piace veramente. Intanto ringrazio di tutto cuore coloro che spendono il loro tempo a recensire, e mi auguro di ricevere la prossima volta qualche commento in più – non tantissimo, eh! Basta anche poco per dirmi se vi piace la storia :-D Grazie mille.
E ora passiamo alle risposte! (è la parte che mi piace di più *_*)

 

Pantesilea:  grazie mille per il tuo commento, mi è stato come sempre di grande incoraggiamento. *_* Spero che anche stavolta tu non ti sia annoiata ^_^ per rispondere alla tua domanda: si tratta di un evento non citato nel manga, che ho inventato io, e che penso di svelare tra un po’…
Ehm,  a proposito…ti prego perdona la mia ignoranza…mi sento una scema a chiederlo, ma che significano IC e OC? XDXD Grazie ancora *inchinodageisha*

 

SabakuNoMe: mi sa che l’altra volta ho dimenticato di dirtelo, ma lo sai che il tuo nome mi piace un sacco?? *__* Comunque grazie mille per la gentile recensione, e grazie soprattutto per aver risposto alla mia domanda! Visto che il mio stile piace sia a te che agli altri, non penserò più a cambiarlo e mi impegnerò soprattutto per non deludervi! Ah, hai visto che il vecchietto e Chie sono tornati in scena? Che ne pensi di loro? A me piacciono XD

 

Rolly too: arigatou!! Mi ha fatto enormemente piacere leggere la tua recensione, grazie per aver detto che la storia ti incuriosisce. Spero che anche questo terzo capitolo ti sia riuscito gradito, anche se in realtà non accade nulla di eclatante, solo che il mistero s’infittisce sempre di più… 
Spero sinceramente che continuerai a leggere “I Ricordi delle Ombre” e che mi dirai la tua opinione (sentiti libera di muovermi tutte le critiche che ritieni opportune!!) sul resto della storia. A presto allora! E grazie ancora *__* (*solitoinchinodageisha*)

 

Curiosità, spiegazioni e qualche spoiler:

 Il nome del monte che circonda Sun’johara, “Kumakoro”, è una creazione del tutto azzardata della sottoscritta ^_^’, e sta per “Akuma” (diavolo) + “Kokoro” (cuore). Ammettendo che il nome originale fosse “Akuma no Kokoro”, poi contratto in Kumakoro, il significato dovrebbe essere più o meno “Il Cuore del Diavolo” o “Il Cuore dello Spirito”. Capite dalla trama il perché XD  Il fatto che a Temari piacciano le piante non è una mia invenzione, ma è scritto in un databook di Naruto. 

Nel prossimo capitolo, un doloroso imprevisto metterà a dura prova la determinazione di Temari, e il suo rapporto con Shikamaru, che subirà dei (necessari) cambiamenti. E anche il ragazzo alla fine prenderà una decisione….a presto! ^_^









                                                                                                                                                                                                                                       
                                           




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Capitolo 4
*** Grigio Marcio: I Segni dell'Odio ***


I Ricordi delle Ombre 
Capitolo IV
 
Grigio Marcio: I segni dell’odio
 
Monte Kumakoro
Ore 18.30
 
Lasciato il confortevole rifugio della foresta, che ancora allungava qualche debole propaggine sulle curve sinuose del Kumakoro, l’aria diveniva poco a poco sempre più densa, fino a ricoprire ogni cosa di un appiccicoso velo biancastro. La nebbia imprigionava sotto il suo soffocante manto  non solo la luce, ma anche i suoni, gli odori, gli stessi pensieri e movimenti, che sembravano quasi impregnarsi di quel pallore.
Non c’erano sentieri, di indicazioni neanche a parlarne – ma la loro presenza sarebbe stata comunque inutile, visto che non si vedeva a un palmo dal naso – per cui Temari e Shikamaru dovevano procedere affidandosi quasi completamente alla memoria. La ragazza conservava appena  il ricordo sbiadito di quell’inquietante ammasso nero, intravisto la notte precedente su un picco ad est del monte, e non era neanche sicura che si trattasse effettivamente di una casa, o che fosse, comunque, abitata.
Sospirando, si scostò una ciocca di capelli umidi dalla fronte, gioendo intimamente di abitare in un paese dove quella schifosa nebbia era praticamente inesistente.
Sono mille volte meglio le tempeste di sabbia, pensò.
-Ehi, Nara – si fermò, appoggiandosi stancamente ad un albero. – Torniamo indietro, è una perdita di tempo. È impossibile trovare qualcosa in queste condizioni.
Tacque, cercando la risposta dell’amico, ma la nebbia le regalò solo un lontano eco delle sue stesse parole.
La kunoichi, allarmata, si scostò dall’albero e aguzzò l’udito, sperando di cogliere un rumore di passi o la voce del suo compagno, ma la bruma le oppose di nuovo il più ostinato silenzio.
-Femminuccia! – chiamò, nascondendo con l’insulto una vena di preoccupazione. Capì  di essere sola, e imprecò. Chissà quando, nel giro di quelle ore di marcia, si erano separati senza accorgersene. Probabilmente avevano anche preso due direzioni diverse.
“Procedendo in questo modo, completamente alla cieca, non ci ritroveremo mai .” ragionò la ragazza. “È meglio tornare indietro, cercare di ripercorrere la strada che ho fatto e aspettarlo a Sun’johara. Anzi, con ogni probabilità è già lì.” Concluse.
 Si frugò nella borsa e ne estrasse un piccolo cilindretto di plastica rossa, simile ad un rossetto, e se lo portò vicino al viso.
 -Se dovessimo separarci per qualche ragione, e dovessi aver bisogno di aiuto, usa questo. Basta stapparlo, e un piccolo missile esploderà per aria. Contiene della polvere colorata che mi permetterà di localizzarti. –aveva detto qualche ora prima Shikamaru.
 Temari guardò il missile per qualche secondo, con aria di sufficienza, per poi rimetterlo a posto facendo spallucce. Per ciò che la riguardava, ne aveva abbastanza di farsi aiutare da lui. il ruolo della donzella in difficoltà non le era mai piaciuto.    
Tentò di localizzare mentalmente la sua posizione, ma con la visibilità ridotta a zero e nessun punto di riferimento, era impossibile. Cercò allora di ricordarsi la direzione che aveva preso all’andata, appoggiandosi alle labili immagini intraviste nella nebbia. Ricordava di aver seguito per quell’ultimo tratto una filale di alberi bassi, così allungò il braccio di lato sperando di percepire al tatto la spessa e grezza corteccia. La fortuna fu dalla sua, e per quasi un’ora procedette in quel modo, lasciando scorrere la mano sulle piante per non perdersi, cercando di tenere a bada sia l’inquietudine che le causava quella situazione, sia il bruciore che le scaglie conficcate nei palmi le procuravano.
All’inizio tentò di articolare qualche strofa di una vecchia ninna nanna, per tenersi e compagnia e segnalare la sua presenza; ma, benché possedesse una voce sorprendentemente morbida e piacevole, la densità dell’aria distorceva quelle limpide note facendole assomigliare più ad una fosca litania. Dopo qualche minuto, non sopportando più quella tetra nenia, aveva cessato di cantare e aveva continuato il viaggio in silenzio.
I suoi pensieri, benché cercasse i tenerli sotto controllo, fuggivano da ogni parte approfittando del momento di solitudine e tranquillità. Senza neanche accorgersene, la ragazza si ritrovò ben presto immersa nell’impetuoso vortice dei ricordi che la riportò a molto tempo prima, quando le cose erano più naturali, le scelte sempre ovvie e giuste, e certe sensazioni di confusione ed incertezza del tutto sconosciute.
Un viso, fra tutti, si stagliò nitido nella sua mente: un volto ovale e pallido, corollato da una zazzera di boccoli ebano, i lineamenti pronunciati come fossero incisi sul marmo, le iridi color acquamarina, mutabili e sincere, le labbra piene e tese in un sorriso sardonico.
Taketo.
Avrebbe dovuto fermarsi a quel punto e tornare indietro, lo sapeva bene. Non voleva sperimentare ancora tutta la sofferenza che scaturiva da un semplice ricordo, l’esperienza passata le aveva insegnato quanto potesse essere dannoso. Eppure non riuscì ad impedire che la sorgente di ricordi scorresse fredda e pungente nella sua mente, s’ingrossasse e divenisse fiume, poi torrente, poi gorgo violento, e travolgesse ogni argine che debolmente cercava di opporgli.
Si lasciò andare a quella corrente.
 
 
Finalmente, sono in un vero letto.
Può sembrare banale, quando si è abituati a materassi, coperte calde, gesti precisi ad orari precisi, una vita scandita da azioni quotidiane e semplici che non mettono in bilico su un coltello la tua esistenza e quella di chi ti è attorno. Ma se sei un ninja, e ti devi svegliare spesso dopo aver dormito poco e male su un lercio pavimento, per andare a combattere contro nemici di cui non sai niente e che non sanno niente di te, con lo stomaco che senti bruciare per la fame e ringraziando comunque gli Dei del dolore che ancora riesci a provare, allora anche una branda con quattro stracci sembra il giaciglio di un re.
Sono tornata ieri dall’ennesima missione, che significa ore di insonnia da recuperare, cibo scarso, calli sulle mani per aver usato troppo il ventaglio e un mezzo esaurimento nervoso. Sento i morsi della fame che mi ricordano che forse dovrei mettere qualcosa sotto i denti, ma non mi alzo. Posso anche morire di stenti lì, per quel che mi riguarda, nessuno mi strapperà da quel benedetto letto.
Mi stringo ancora più forte al cuscino, affondando il viso nel fresco tessuto, riempiendomi i polmoni di una fragranza che conosco molto bene. Il suo odore.
Sento la porta aprirsi, e passi incerti bloccarsi all’ingresso della stanza.
-Temari? – la sua voce mi chiama, ma resisto anche a questo. Voglio dormire.
Ascolto il lento ticchettio dei sandali sul legno del pavimento, e immagino perfettamente quello che sta facendo: viene verso il letto, mi guarda con la solita espressione un po’ corrucciata e vagamente esasperata, sospira, si passa la mano nei capelli, indeciso, poi va determinato verso le finestre e spalanca le persiane.
Sento i raggi caldi che mi accarezzano il corpo, ma li ignoro. Voglio dormire.
-Oh, avanti Temari, dormi da più di dodici ore! Non puoi stare tutto il giorno a letto!
Aggiunge qualcosa sottovoce, che somiglia a “il mioletto”, e si siede sulle lenzuola.
Sta mentendo, decido. Non possono essere passate già dodici ore. Dodici! Non ho mai , mai dormito così tanto.
-Baki-sensei ti stava cercando. Voleva sapere se ti eri ripresa e vuole inoltre che tu lo raggiunga presto, perché..- s’interrompe, e io vedo, quasi come in un dipinto, la sua espressione contrariata – deve assegnarvi una missione. Un’altra. – borbotta.
Non è contento, si capisce. Il pensiero mi rende stranamente euforica. Non vuole che me ne vada, si preoccupa per me. Finalmente, dopo quindici anni, qualcuno si preoccupa per me.
Sento la sua mano che sfila via le coperte, e cerco di trattenerle, ma mi stupisco di quanto sia debole la mia presa. Mi vince facilmente.
-Allora, ti alzi?
Volto gli occhi verso di lui. Il viso bianco, segnato dalle occhiaie violacee, è chino verso di me. Mi sento in colpa: quelle borse sotto gli occhi sono opera mia, che gli sono piombata in casa e l’ho pure buttato fuori dal letto praticamente all’alba. Eppure mi fissa senza muovermi alcun rimprovero: sembra solo leggermente scontento, ma quella è l’espressione che ha essenzialmente sempre.
-Ho sonno – biascico, e mi giro dall’altro lato. -Perchè non te ne vai a dormire pure tu? – aggiungo, canzonandolo.
-E dove, di grazia? Ci sei tu nel mio letto. – replica.
-Il divano non è comodo?
-La prossima volta te lo faccio provare.
Rido sottovoce, so che non lo farebbe mai. Non a me.
Gli strappo le coperte di mano e me le tiro fin sopra la testa.
-Temari! – mi rimprovera, ma non c’è molta convinzione nel suo tono. Sembra più divertito, in effetti.
-Ti comporti come una bambina.
È vero. Mi comporto come una mocciosa. Come la bambina che non sono mai stata.
Con lui è facile concedersi qualche momento di libertà. Non dover sempre mostrarsi fredda, spietata, cattiva. Mi avvolgo più stretta nelle coperte.
-Ho sonno – ripeto, testarda, e mi sento proprio come se ne avessi cinque di anni, e non quindici.
-Vacci tu all’appuntamento con BakaBaki – aggiungo, e sento la sua risata soffocata.
Apro gli occhi e vedo il suo volto teso in una smorfia divertita, una piccola rete di rughe sulla fronte e vicino agli angoli della bocca.
Allora mi accorgo che i raggi del sole sono davvero caldi.
 
 
Un rumore ruppe quella catena di ricordi, risvegliando di botto tutti i sensi della kunoichi, che sembravano essersi provvisoriamente addormentati. La ragazza si prese il viso tra le mani, ricacciando con forza tutte le sensazioni che quel frammento di memoria aveva rievocato in lei: le confinò dolorosamente in un angolo del cervello e chiuse tutto a doppia mandata. Mai più una simile debolezza, si ripromise. Mai più.
Si voltò verso la sorgente del suono. Constatò con piacere che si era allontanata dal monte, avvicinandosi alla foresta, dove la nebbia si faceva più rada e insicura. Ora riusciva facilmente a distinguere linee e forme, anche se non i colori, resi appassiti da quell’insipido bianco latte. Qualcosa risuonò nell’aria, per la seconda volta. Sembrava quasi il tintinnio di oggetti metallici.
La kunoichi  non perse tempo: portò velocemente il braccio alla schiena, liberando il ventaglio. Lo afferrò, ma il dolore le fece sfuggire un piccolo gemito: guardandosi la mano, notò che era talmente coperta da schegge da assomigliare a un pezzo di gruviera. Non poteva articolare bene le dita per paura che alcuni frammenti si infilassero ancora più in profondità, per cui dovette rinunciare ad impugnare l’arma con la mano sinistra, quella con cui combatteva di solito. Si destreggiò quanto più poté con la destra, aprendo il ventaglio dinanzi a sé in posizione di difesa. Il rumore si ripeté per la terza volta, più a lungo e con più forza, e poi tacque.
-Chi va là? – gridò la ragazza, recuperando freddezza e sicumera.  – Uscite allo scoperto o taglierò quegli alberi a pezzi, assieme a voi!
Per qualche secondo un silenzio teso cadde sul paesaggio. Temari attendeva, col ventaglio aperto ai primi due soli, sperando che la sua minaccia facesse effetto. Fu così.
-Siamo abitanti di Sun’johara. – rispose qualcuno tra gli alberi. La kunoichi si irrigidì, voltando il capo in direzione della voce, che proveniva da un punto diverso rispetto al rumore. Acuendo l’udito, sentì qualche ramoscello piegarsi dietro di lei, ma non si mosse.
-Sono Temari della Sabbia. – rispose invece, secca. – Perché siete qui?
-Questa domanda la dovremmo fare noi a te. – un’altra voce, più decisa e più vicina. –Sei venuta a cercare la nostra Aya? Adesso, dopo che ieri sera l’avete abbandonata e avete lasciato che quella…quella cosa…l’ammazzasse?
A Temari non piacque il tono di quella domanda. Chi lo usava era estremamente vicino alla follia omicida, grondava odio e disprezzo da ogni sillaba. Con ogni probabilità era il padre della ragazza.
Si morse le labbra, indecisa: sapeva di essere circondata, ma non conosceva il numero esatto dei suoi – probabili – nemici. Per di più era ferita alla mano. Tre dati che rendevano la situazione non proprio rosea.
Eppure si era decisamente rotta le palle di parlare al vuoto; i suoi avversari lei voleva guardarli in faccia, negli occhi.
-Non l’abbiamo abbandonata. Abbiamo fatto tutto ciò che potevamo, anche se è stato….- cercò un termine che non fosse “fallimento” , ma non ce n’erano molti altri che descrivevano la situazione. Le tornarono in mente le parole di Shikamaru, e un improvviso groppo alla gola la fece desistere dal completare la frase.
-Tutto ciò che potevamo un cazzo, puttana!
Una sagoma nerboruta si stagliò davanti a lei, riempendole con la sua grandezza tutta la visuale. La kunoichi, che per un secondo era rimasta di ghiaccio, si riscosse prontamente e rivolse al suo avversario un’occhiata d’acciaio.
L’uomo era a petto nudo, e lungo le braccia si potevano vedere le neve pulsare, spuntando dalla carne come ragnatele. I capelli neri erano raccolti in una piccola treccia scombinata, mentre qualche rada ciocca bianca cadeva sulle tempie e sulle guance rugose.
Poteva avere al massimo una cinquantina d’anni, ma pareva ugualmente molto pericoloso. Temari sapeva che dà lì a qualche secondo l’avrebbe attaccata, ma non riuscì ad anticiparlo. Fissava gli occhi scuri dell’uomo, dai quali scendevano copiose le lacrime, e anche lei sentì addosso il dolore di quella perdita.
-Tutte le scuse del mondo non mi ridaranno Aya! – urlò. –Rivoglio mia figlia, strega!
-Non ci posso fare niente. – mormorò lei. I morti non tornano in vita. Sono perduti per sempre.
L’uomo lanciò un ululato, come se lo stessero squartando, e la determinazione della ragazza s’incrinò.
La pietà nei combattimenti è più letale di un kunai avvelenato.
Ma, nonostante tutto, anche lei era umana. Spietata, decisa, a volte anche un po’ sadica. Ma umana.
Cercò una soluzione a quella situazione che non comprendesse lo scontro con quel tizio, e decise che l’unica opzione rimastale era appellarsi agli altri abitanti di Sun’johara, ancora nascosti tra le piante della foresta.
-Se avete visto lo scontro, sapete che sia io che il mio compagno abbiamo fatto del nostro meglio. Siamo mortificati che sia andata così. – aggiunse, con amarezza. – Ma vi prego di ragionare. Non otterrete nulla dall’attaccare me o lui.
-Bella palla, davvero!
-Ci hai presi proprio per degli idioti, femmina?
-Credevi che non ce ne saremmo accorti?
La kunoichi fissò gli alberi, stupita. Che cazzo stanno dicendo?
-È impossibile che Suna e la Valle dell’Eco collaborino. I disgustosi tentativi del Kazekage erano solo una fottuta facciata per nascondere l’ennesimo attacco alla nostra terra. Erano un dannato trucco!
A Temari si gelò il sangue nelle vene. Non dirmi che sul serio pensano…
-Aya…- l’uomo nerboruto davanti a lei si alzò, il viso trasfigurato dall’odio. – La mia Aya è stata uccisa da voi bastardi della Sabbia! E anche tutti gli altri miei compagni!
La ragazza era completamente ammutolita. Deglutì  e strinse con maggiore forza la presa sul ventaglio.
La rabbia li ha resi ciechi. Adesso pensano che sia tutto un complotto di Suna. Non posso avere pietà, o mi mangeranno viva.
Un sibilo sinistro la fece scartare di qualche centimetro a destra. Vide una ciocca dei suoi capelli recisi cadere lentamente al suolo, mentre poco dietro di lei un coltello vibrava minacciosamente, conficcato nella corteccia di un albero. Il tentato omicidio, cui era scappata solo grazie ai suoi sensi molto allenati, le fece recuperare definitivamente sangue freddo e determinazione. Fissò lo scudo vegetale per qualche secondo, poi spostò lo sguardo deciso davanti a se’. Il padre di Aya la guardava ancora con odio, il viso asciutto tranne per poche stille in bilico sulla barbetta incolta.
Temari si lanciò verso di lui, il ventaglio aperto sui tre soli, con le lacrime lucenti che le danzavano negli occhi smeraldo. 
 
 
Monte Kumakoro – Villa Tenshi
Ore 18: 15
 
Villa Tenshi.
Il nome era inciso a lettere eleganti nel marmo della facciata, che una volta doveva essere stato bianco. La costruzione era imponente ma, stagliandosi nella luce ardente del crepuscolo, trasmetteva una forte sensazione di decadenza, come un bellissimo carillon che non suoni più.
Il cancello nero e invaso dalle erbacce era per metà parte divelto, e segnava l’accesso ad un lungo sentiero che serpeggiava fino allo scalone della villa. La pietra bianca utilizzata per le mura era macchiata di muschio e polvere, le finestre con i  pesanti balconi e le ampie vetrate crepate dall’indifferenza del tempo, il tetto di legno marcito. Doccioni dalle fattezze angeliche, sferzate dai temporali e dall’incuria, avevano assunto forme diaboliche e guardavano con le loro pupille vuote gli incauti viandanti, come avvoltoi in attesa del pasto.
Shikamaru non era tipo da impressionarsi facilmente, eppure, guardando quella specie di mausoleo decrepito, pallido ricordo di quello che doveva essere stato una volta, sentì addosso un’inquietudine sottile.
Fissò la costruzione spettrale e pensò che persino nel suo nome era in macabra discordanza con ciò che era e con il luogo che la circondava.*
Per qualche secondo rimase fermo, dondolando appena i piedi. L’idea di andare lì era stata di Temari, eppure della ragazza aveva perso le tracce da più di un’ora.
Sarà tornata a Sun’johara. A questo punto però mi sembra stupido andarmene senza aver neanche dato un’occhiata, dopotutto mi ci è voluta un’ora e mezza per arrivare qui.”
Sbuffando, andò verso il cancello, lo scostò appena ed entrò.
“Se quella cosa si nasconde davvero qui, allora dovrò subito squagliarmela. Da solo non ci sono possibilità di sconfiggerla, per quanto ne so non ha neanche punti deboli. Tuttavia, se questo è il suo covo, forse riuscirò ritrovare anche quella ragazza. Le probabilità sono poche, ma non è detto che sia morta.”
Ripensò alla discussione con Temari il giorno prima. Non si possono salvare tutti ogni volta.
Era vero. Ma questo non poteva essere un alibi, per nessuno dei due.
Shikamaru sapeva di non brillare particolarmente per zelo o coraggio,  ma di rientrare piuttosto in quella categoria di persone che per quieto vivere preferiscono  immischiarsi il meno possibile. Voleva una vita tranquilla lui, senza troppi problemi e complicazioni, facendo sempre il minimo indispensabile per se’ e per gli altri. Perché farsi mille scrupoli di coscienza? La vita è breve e già notevolmente complicata di suo, cerchiamo almeno di renderla quanto più piacevole possibile.
Questa era stata, pressappoco,  la filosofia di vita che aveva accuratamente seguito fino a poco tempo prima.
Dopo la morte di Asuma, però, molte cose erano cambiate: dentro di lui qualcosa si era rotto e dai suoi frammenti era andato a formarsi un uomo nuovo.
Aveva sofferto come per la morte di un padre. E, per la prima volta in vita sua, aveva odiato.    
Shikamaru non riusciva a ricordare di aver mai odiato veramente qualcuno prima di allora. Antipatie ce n’erano state, e anche voglia di non rivedere mai più una persona o desiderio di farla scomparire in una nuvoletta di fumo.  Ma l’odio era diverso.
Era la volontà, decisa e assoluta, di distruggere un altro. Di essere la causa della sua atroce, infinita sofferenza per poterne trarre poi il proprio piacere.
Dopo aver ucciso Hidan e aver vendicato il suo sensei, c’era stato un momento in cui aveva capito perfettamente l’agire di Sasuke. Si era sentito molto simile a lui, per certi versi, crogiolandosi nella dolcezza che l’agognata vendetta gli aveva regalato. Ma il prezzo era stato alto.
Una volta sperimentato, l’odio lascia delle cicatrici profonde, in chi odia così come in chi è odiato. Come una freccia che si conficca nel cuore; la si può rimuovere, ma il segno lasciato non andrà mai via, non del tutto.
Aveva imparato a tenersi quella piaga dentro, cercando di farla suppurare il meno possibile. E, soprattutto, aveva imparato a riconoscere le sue cicatrici negli altri.
Temari, ad esempio, portava delle ferite molto evidenti, per quanto bene cercasse di nasconderle. Nel suo caso saltavano fuori quando veniva il momento di fidarsi di qualcuno, o di agire seguendo certi impulsi emotivi. L’aveva vista lasciarsi andare alla rabbia, all’aggressività, ma mai al dolore o alla tenerezza. L’ odio che in lui aveva fatto maturare un uomo, in lei aveva cauterizzato una parte del cuore, rendendolo freddo ad ogni parvenza di debolezza.
Shikamaru sospirò. Era arrivato in cima alla scalinata, e fissava indeciso il portone d’ingresso. Era nero come il cancello, di legno pesante e probabilmente pregiato, lavorato in modo da racchiudere quattro quadretti diversi. I bassorilievi però, erano stati completamente sfregiati e resi irriconoscibili.
Allungò una mano per prendere il battente, ma un rumore a pochi passi da lui lo bloccò.
Si girò di scatto.
Il suo cuore rallentò fino a fermarsi, mentre il ragazzo percepiva chiaramente il tempo dilatarsi.
“Come ho fatto a non accorgermene?”pensò, fissando allibito la figura rossa a pochi metri da lui.
Era esattamente come la ricordava, forse appena più ripugnante, con le forme incerte che danzavano ad un vento inesistente. Non aveva occhi, ma il ragazzo era sicuro che sapesse esattamente che lui era lì.
Lentamente, deglutendo appena, mosse qualche passo indietro, allontanandosi dal portone.
Sorprendentemente, la figura fece lo stesso. Arretrò fino al margine dello scalino scheggiato, e rimase lì, senza dare segni di volersene andare né di volerlo attaccare. Shikamaru aggrottò la fronte.
-Chi…che cosa sei? – domandò.
Il piano originario era quello di scappare a gambe levate, ma l’atteggiamento di quella sottospecie di fantasma lo lasciava basito per la seconda volta. Se non avesse visto coi suoi occhi Temari scagliata per aria, avrebbe pensato addirittura che fosse amichevole.
Il fantasma , pulsante di una tenue luce rossastra, inclinò la parte del corpo che doveva essere la testa, poi mosse un braccio e dopo l’altro.
“Non riesce a coordinare i movimenti” intuì il ninja, sorpreso.
L’essere rimase fermo qualche altro secondo, poi, lentamente, scese la scalinata – anzi, ci veleggiò sopra.
Dopo qualche giustificabile incertezza, Shikamaru si decise a seguirlo.
Cautamente lo vide fare il giro della villa, attraverso il piccolo bosco privato, fino ad arrivare dall’altra parte del promontorio, dove trovava posto una piccola valle incuneata tra le pareti scoscese del Kumakoro.
Il sole aveva preso la tonalità sanguigna tipica del tramonto, e si preparava a scomparire dietro l’arco delle montagne. Pur accecato da quel bagliore, il Nara continuò a fissare lo spettro, aspettando la sua prossima mossa.
Lo vide chinare il capo, in direzione della valle, e dissolversi poco a poco nell’aria evanescente.
-Ma che cazzo – borbottò, una volta rimasto solo. – Perché mi ha portato qui?
Si avvicinò al limite della roccia, oltre la quale si apriva il baratro, e il suo sguardo fu catturato da alcuni cespugli bianchi, di forma rettangolare, che punteggiavano la piccola gola sottostante.
L’intera insenatura ne era piena. Si sporse un po’ di più per controllare se per caso fossero piante di kukameno, ma i suoi occhi ci misero qualche secondo per mettere bene a fuoco l’immagine.
Nel momento in cui capì, un velo di sudore istantaneo gli coprì il viso.
Il sangue divenne gelido nel corpo, la bocca si seccò, e per la seconda volta nel giro di qualche minuto avvertì il cuore perdere un colpo.
Non erano cespugli.
Erano lapidi.
Si rialzò e fece qualche passo indietro, quasi inciampando nei suoi stessi piedi. Era ovvio che non si trattava del cimitero di Sun’johara: troppo distante dalla città e troppo difficile da raggiungere. Allora, che diavolo era?
Shikamaru s’impose di calmarsi. Un fantasma in un cimitero; il discorso non era poi così incoerente.
Guardò la foresta sotto di lui, quell’enorme mare verde che gli nascondeva la vista del villaggio, e il respiro gli tornò regolare. Doveva parlare con Temari, subito. Se necessario, sarebbero tornati a Villa Tenshi quella notte stessa, senza l’impiccio della nebbia.
Un suono metallico attirò la sua attenzione. Proveniva dal margine vicino della foresta, sembravano quasi colpi di un combattimento. La cosa lo allarmò leggermente. Scaramucce tra abitanti?
 Sbuffando, decise di scendere a dare una controllata. Erano le otto passate, Temari probabilmente aveva pure già cenato, chissà se era preoccupata per lui. Il pensiero della sua espressione scocciata gli fece increspare le labbra in un mezzo sorriso. Voltò le spalle a Villa Tenshi e cominciò a scendere dal monte.
 
Foresta di Sun’johara
Ore 20.17
 
Era al limite.
I palmi bruciavano e sanguinavano abbondanti nei punti in cui le schegge si erano conficcate più in profondità, il vestito  lacero in più punti, due dei suoi codini sciolti e disordinati, il corpo sporco di sangue, ma, soprattutto, era ferita.
Era accaduto tutto per la sua leggerezza o, per meglio dire, pietà. Nonostante fossero più di lei, armati e sinceramente intenzionati e farla a pezzi, Temari non era riuscita a ferirli  in modo grave. La maggior parte li aveva solo storditi, sperando che la paura li inducesse a scappare; ma di fatto aveva sottovalutato la loro determinazione. I più si erano rialzati e avevano ripreso ad attaccarla, con pietre e rami e qualunque cosa capitasse loro per mano. A quanto pareva, inoltre, non erano solo sei o sette come lei inizialmente aveva creduto, ma almeno una ventina di uomini. In condizioni normali, durante una battaglia, li avrebbe sistemati in dieci minuti rimediandoci al massimo qualche graffietto. Ma erano dei civili, e di una cosa Temari era sicura: mai, mai, avrebbe ucciso dei civili.
E così adesso era in difficoltà, col ventaglio diventato improvvisamente pesantissimo, un buon litro del suo sangue a colorare il maledetto grigio marcio della foresta, e la ferita al fianco che le doleva in maniera incredibile.
Ansimando, fissò l’ennesimo nemico: un uomo sui trent’anni, biondo, con gli occhi color malva e il petto muscoloso coperto dai graffi.
“Proprio il mio tipo” pensò sarcastica. Aprì di nuovo il ventaglio, generando una raffica di vento che lo spedì contro un albero. Gemendo, il tizio si rialzò, fissandola con maggior odio di prima. Afferrò una spada dal fodero e la scagliò con precisione millimetrica verso il viso della ragazza. La kunoichi poté evitarla con facilità, ma subito dopo avvertì un intenso bruciore alla gamba.
 Approfittando della sua distrazione, un altro le aveva scagliato contro un coltello che era riuscito a colpirla. Temari urlò, per il dolore e per la frustrazione, ma non arretrò. Con un movimento fulmineo, estrasse il pugnale dalla coscia e lo rispedì al mittente, colpendolo alla spalla.
A quel punto però, la perdita di sangue era diventata troppo ingente. La ragazza si accasciò a terra, lasciando che il ventaglio le scivolasse dalle mani.
In pochi secondi il suo viso toccò il terreno, mentre i lisci capelli biondi si sporcavano nella polvere e nel sangue. Con la vista appannata, vide i suoi aguzzini avvicinarsi, scostare il ventaglio con un calcio.
-Si è arresa! Finalmente!
-Dannata cagna! La uccidiamo subito o la portiamo al villaggio?
-Che ne dite di tagliarle la testa e mandarla al Kazekage?
-E se prima ci divertissimo un po’?
Sentì una mano afferrarla per i capelli e tirarla su di scatto, ma non urlò. Non avrebbe dato loro quel piacere.
-Sei pazzo? È di Suna!
-Appunto, cosa vuoi che importi? Divertiamoci e poi uccidiamola.
-E sia. Tenetela ferma, voi, che non abbia qualche arma nascosta.
-Questo lo vediamo subito.
Sentì un’altra mano afferrarle il kimono e strattonarlo con forza. Si rigirò cercando di opporsi, ma ogni singolo movimento equivaleva a una pugnalata nel fianco. Strinse i denti con forza, sperando di svenire o morire prima che quei maledetti bastardi mettessero in atto la loro minaccia.
-E’ inutile, carina. Non morirai così facilmente. Allora, chi è il primo?
-Il primo a fare cosa, esattamente?
Ormai stava perdendo contatti con la realtà. Sentiva gli occhi chiudersi e ogni centimetro di pelle dolore, mentre un caldo languore le avvolgeva la mente e i sensi. Eppure si aggrappò a quella voce con tutte le forze residue.
-Shikamaru? –mormorò.
Buffo che fosse contenta di vederlo. Era stata lei, dopotutto, a rifiutarsi di usare il missile per chiamarlo in aiuto. Tuttavia si sentì piena di una esile allegria, un vaghissimo sentore di felicità, che l’accompagnò come miele mentre perdeva conoscenza.
Gli uomini che la circondavano si voltarono, fissando astiosi il ragazzo appoggiato all’albero.
-Sei con lei, per caso? Fa parte del complotto anche Konoha?
-Ma che state dicendo? Amici, mi sa che vi siete bevuti un bicchiere di tro….
Shikamaru si bloccò di colpo, riconoscendo il ventaglio qualche metro più in là. Fece qualche passo in avanti, poi spostò con calma lo sguardo sugli uomini che aveva innanzi a se’.
-Quel ventaglio. – indicò col dito l’oggetto poco distante. – appartiene alla mia compagna. Perché è qui?
-Le stavamo giusto per dare una bella lezione – l’ uomo si scostò, rivelando la figura di Temari, insanguinata e col kimono aperto sopra le spalle.
-Che fai, ti unisci a noi oppure vuoi una bella ripassata anche tu?
Il Nara rimase silenzioso per un minuto, lo sguardo fisso sul corpo della sua amica. Gli occhi erano due baratri insondabili quando li puntò sul gruppetto di Sun’johara.
-Perché? – domandò, tranquillamente.
Quella calma mise a disagio molti tra gli uomini presenti. Si guardarono, finché uno prese la parola.
-Abbiamo capito che tutto questo era solo un complotto di Suna, e volevamo fargliela pagare. La Valle dell’Eco è in lotta silenziosa con la Sabbia da anni, ci aspettavamo che qualcosa di simile accadesse. Ma stavolta li abbiamo anticipati! – terminò trionfante.
L’altro non rispose. Estrasse le mani dalle tasche e si avvicinò con calma al piccolo assembramento.
-Toglietevi. – ordinò atono. – O vi ammazzo.
L’uomo che aveva parlato sgranò gli occhi. –Stai scherzando? Hai visto come abbiamo ridotto lei? Vuoi finire allo stesso modo?
-Il motivo per cui siete vivi è che Temari non ha combattuto sul serio. – ribatté il ragazzo. –Toglietevi di mezzo o completo io il suo lavoro.
Si accostò alla ragazza, svenuta, e le aggiustò il kimono. Fece per prenderla, ma una mano gli si posò sulla spalla.
-Ehi ragazzino, chi credi…
Shikamaru non ebbe bisogno di voltarsi. Circondò con un braccio le spalle della compagna, e coll’altro spedì l’uomo a schiantarsi contro un albero, suscitando un silenzio esterrefatto.
Velocemente, cercando di non toccare nessuna parte lesa, depositò il corpo esangue vicino ad un masso, controllando che respirasse ancora. Le vie respiratorie non erano compromesse, ma il sangue perso doveva essere reintegrato al più presto. Aveva si e no cinque minuti.
Si voltò verso il gruppetto dietro di lui, che aveva di nuovo impugnato le armi. Il biondo di prima si fece prontamente avanti, puntandogli contro una spada corta, la bocca digrignata. Shikamaru guardò nei suoi occhi malva, e vide qualcosa che non avrebbe voluto vedere.
Vide se stesso il giorno in cui, per l’ultima volta, aveva combattuto Hidan.
Una volta sperimentato, l’odio rimane per sempre dentro di te.
 
Sun’johara – Locanda
Ore 21:30
 
Quando Temari si svegliò, la prima percezione in assoluto fu il dolore. Più tenue di quanto si sarebbe dovuta aspettare, ma abbastanza da farle desiderare di essere ancora svenuta. Avvertì le fasciature stringerle i fianchi e le dita della mano sinistra, mentre lentamente i ricordi cominciavano a riaffiorare: la nebbia, la foresta, i nemici, poi quella battaglia persa in partenza per colpa della sua reticenza a uccidere…
Spalancò gli occhi per la sorpresa. Sono ancora viva?
Ricordava vagamente qualcosa sul tagliarle la testa e spedirla a suo fratello. Si portò le mani bendate al viso, sentendosi subito molto stupida.
-Oh, si è svegliata?
Conosceva quella voce. Si voltò verso il vecchietto seduto accanto al suo futon, che la guardava con aria soddisfatta.
-Devo dire che si riprende molto in fretta. Non mi aspettavo si sarebbe svegliata prima di domani.
-Che ci fa lei qui?
E, soprattutto, dove diavolo è “qui”? Come ci sono arrivata?
-Ho curato le tue ferite, Temarichan. Posso chiamarti così, non è vero? – domandò bonariamente, inzuppando un panno in una ciotola piena di alcool. L’odore pungente fece arricciare il naso alla ragazza.
-Non c’è problema. – rispose.
Facendo leva sui gomiti, si mise seduta sulle coperte, cercando di esaminarsi. Era vestita con un kimono leggero color panna, allacciato morbido in vita per non premere sulla parte dolorante. Poco distante, individuò il fedele ventaglio, miracolosamente incolume.
Con un sospiro, si voltò verso l’uomo accanto a lei, che la guardava con un’aria metà canzonatoria e metà preoccupata.
-Come sono arrivata…in qualunque posto io mi trovi? Perché lei è qui?
Il vecchio sorrise e intrecciò le dita delle mani sul grembo.
-Siamo alla locanda, dove ti ha portata – ridotta piuttosto male, se permetti – Shikamaru-kun. Ha avuto delle belle difficoltà a trovare qualcuno che ti medicasse, in questo villaggio i medici sono pochi e nessuno vorrebbe curare un ninja di Suna. Per fortuna ha incontrato me. Era sconvolto. – aggiunse.
Temari inarcò un sopracciglio. Shikamaru sconvolto? L’immagine la faceva quasi ridere.
Il vecchietto si alzò con calma sul tatami e si avvicinò alla lampada ad olio vicino al comodino, alimentando  la fiamma.
-Dovresti riposare un altro po’, almeno fino a domattina. Anche perché uscire adesso sarebbe estremamente controproducente, con la tensione che si respira là fuori.
-In che senso?
-Oh cielo, figliola cara, il tuo amico ha quasi ammazzato dieci contadini di Sun’johara. Non che abbia fatto male, per carità, ma adesso tutto il villaggio freme per vedervi impalati in piazza. – spiegò l’anziano ridacchiando.
Temari sgranò gli occhi. Non ci credo. Quella testa d’ananas ha….?!
-Comunque, spero che scuserai la mia maleducazione per non essermi ancora presentato. Mi chiamo Kinnosuke Hitaka, ex stratega, ex medico, ex spia, ex ninja e vedovo. Piacere di conoscerti. – terminò sorridendo. La kunoichi annuì.
– E io sono… - si bloccò e scosse le spalle. –Sa benissimo chi sono, che mi presento a fare?
-Eh già. La sorella del nuovo Kazekage. Suna è decisamente cambiata dall’ultima volta che ci sono stato.
La giovane si strinse nelle spalle, mossa che le costò una fitta al fianco.
-Non molto. Il deserto è sempre quello. – ribatté con una smorfia.
Kinnosuke sorrise di nuovo. –Bene allora, tolgo il disturbo. Ho lasciato sul mobile delle bende e un po’ d’alcool, così potrai cambiarle. Mi sono preso la libertà di utilizzare sulla tua ferita un unguento di mia invenzione, che agisce molto più rapidamente dei normali punti. Entro domani sarai come nuova.
-Grazie infinite. – sussurrò lei, con sincera gratitudine. 
L’uomo annuì e aprì dolcemente lo shogi, mentre Temari scostava le coperte e cercava di mettersi in piedi, contraendo il viso quando sentiva il taglio bruciare.
-Ollallà, sei ancora qui tu?
Hitaka ridacchiò silenziosamente e fece un passo in avanti.
-Capisco che tu sia arrabbiato, ma vedi di andarci piano, che la fanciulla non si è ancora del tutto ripresa. E un gentiluomo non mette mai le mani addosso ad una donna, ricordatelo.
Lanciò a Temari un’ultima, maliziosa occhiata e sparì fuori dal corridoio.
I suoi passi sul legno si erano persi da un pezzo quando, finalmente,  la ragazza si voltò  verso la porta, ancora socchiusa, incrociando due iridi marroni fisse su di lei.
Shikamaru era appoggiato alla parete, le braccia incrociate sul petto, una gamba piegata e l’altra tesa, in una delle sue solite posizioni standard. In effetti sarebbe potuto apparire l’immagine stessa della calma, non fosse stato per l’eccessiva rigidezza del corpo e per la linea dura e decisa delle labbra.
Tutt’a un tratto, Temari si sentì eccessivamente vulnerabile.
Non voleva essere lei ad iniziare il discorso, perché percepiva chiaramente ondate di rabbia emanarsi ogni secondo dal corpo del suo compagno, ma il silenzio stava diventando opprimente, così come quello sguardo di fuoco fisso su di lei.
Sospirò leggermente e si appoggiò alla parete opposta, tentando di ricambiare l’occhiataccia.
Fallì miseramente.
-Ok femminuccia, ho capito – sbottò alla fine. – Sei arrabbiato. Mi dispiace.
L’altro non proferì parola, ma nello sguardo passò una scintilla.
-Non avevo idea fossero in tanti. Per principio non uccido i civili, e per questo mi sono fatta sopraffare. Grazie per l’aiuto. – terminò con sussiego.
Il Nara sciolse le braccia e si staccò dal muro, senza avanzare.
-Il missile si era rotto?
-No.
-Lo avevi perso?
-No.
-Non avevi capito come usarlo?
-No…
-Ti hanno attaccato di sorpresa e non hai avuto il tempo di tirarlo fuori?
-No.  Non l’ho usato di mia spontanea volontà.
Shikamaru strinse i pugni, tanto che le nocche impallidirono.
-Per quale ragione?
-Ero convinta di potercela fare da sola.
-E quando ti sei accorta di non potercela fare, perché non hai urlato per chiamarmi? Perché non hai cercato il mio aiuto?
Temari girò il capo dall’altra parte, per evitare il suo sguardo.
-Non ne avevo bisogno. Quando combatto sono da sola.
Silenzio.
-Cos’hai detto?
-Quando combatto sono da sola, Nara. Sempre.
-Non sei da sola. Siamo in due, te lo sei dimenticata?- la ragazza percepì il suo sforzo di controllare la voce, ma continuò a fissare energicamente l’armadio affianco a lei.
-Non è questo il punto. Io ero…
-E’ proprio questo il punto, maledizione! E voltati!
Non aveva propriamente urlato, ma il tono era abbastanza alto e asciutto da coglierla di sorpresa.
Girò il viso, incontrando il suo, contratto dalla rabbia. Ne fu vagamente stupita.
-Che hai da scaldarti tanto? – domandò seccata.
-Non te ne rendi conto, Temari? Non sai a cosa poteva portare questa tua stramaledetta ostinazione?
L’accusa la colse in pieno. Sapeva che se lei fosse morta, la missione intera ne avrebbe risentito.
-Non avremmo adempiuto all’incarico affidatoci da Tsunade-sama, lo so. Per questo ti ho chiesto scusa.
Shikamaru fece qualche passo avanti, l’espressione divisa tra sconcerto, esasperazione e ira.
-Non è la missione il problema, qui! Avresti potuto morire, te ne rendi conto?
E allora? I ninja muoiono durante le missioni, non è mica un evento eccezionale.
-Ero vicino, Temari. E tu non mi hai chiamato, non hai voluto che ti aiutassi. Alla faccia del lavoro di squadra!
-Non farmi la paternale, femminuccia! Siamo qui per completare un incarico, non per giocare all’allegra famigliola!
-Il tuo orgoglio è l’ostacolo vero in questa missione! Quello, insieme alla tua superbia!
-La mia superbia?!
-“Ce la potevo fare da sola” un cazzo! Non conosci neanche i tuoi limiti! Questa è superbia, incapacità di ammettere quando si ha bisogno d’aiuto!
-Attento, Nara, non andare troppo oltre. – ringhiò la kunoichi.
Ormai si erano spostati al centro della stanza, e si fronteggiavano guardandosi negli occhi.
-Sei tu che sei andata oltre. Mi hai fatto davvero incazzare.
-Poverino, il bambino si è arrabbiato. – scimmiottò la ragazza. – Cosa ci posso fare io?
-Brava, usa il sarcasmo. La strategia migliore per evitare i problemi.
-Sei tu quello che ha un problema qui, non io. – rimbeccò .
-Il mio problema è la tua mancanza di fiducia. Tu non ti fidi di me.
Temari tacque. Cercò un modo per rispondergli, ma non trovò nulla di adeguato.
Non è vero. Non è vero.
-Non è vero. – fece, incerta.
Mi fido di te. Se forse l’unica persona di cui adesso mi fidi. È solo che….
-E allora perché? Ci conosciamo da quasi quattro anni, abbiamo combattuto insieme, tu mi hai salvato la vita e io l’ho salvata a te…eppure continui a nascondermi le cose. Perché?
La ragazza si voltò dall’altro lato. Era più facile trovare le parole se evitava i suoi occhi.
-Questa conversazione non ha senso. – scoppiò. – Ho solo fatto un errore di valutazione e tu lo stai rendendo un dramma.
-Non è un semplice errore di valutazione.
Sentì la sua mano sulla spalla e fu costretta a voltarsi di nuovo. Rimase paralizzata per qualche secondo, quasi ipnotizzata a pochi centimetri di distanza dal suo viso.
-Temari. – la chiamò Shikamaru. La voce era controllata, ma misteriosamente decisa.
-Hai paura di farti male?
La ragazza sgranò gli occhi.
Il Nara guardò il suo volto impallidire mentre le ripeteva le stesse parole che lei gli aveva detto solo qualche anno prima, quando stava per mollare tutto dopo il fallito recupero di Sasuke.
-Cos’è, hai paura di farti male?
Quella domanda si era incisa profondamente nella sua mente.
Si, lui aveva avuto paura di farsi male, ma poi lo aveva superato.
Lei invece no.
Sei tu quella che non vuole esporsi per non soffrire.
Sei tu quella che ha scelto di non fidarsi.
Sei tu quella che ha paura, Temari.
Lasciò cadere la mano, e si allontanò da lei.
Poi si voltò e uscì dalla stanza.  
 
Locanda di Sun’johara – Giardino Rettangolare
Ore 22:30
 
L’uccellino chiuso in gabbia
Ha le ali già spezzate.
L’uccellino chiuso in gabbia
Mai più volerà.
Rosso rosso come il sangue
È il becco senza voce
Nero nero come la notte
È l’occhio che non vede
Bianca bianca come la morte
La sua anima di vento.
Uccellino, chiuso in gabbia
Le tue ali son spezzate
Uccellino, chiuso in gabbia
Chissà quando volerai?
 
Il cielo di Sun’johara era coperto dalle nubi quella notte, cosicché neanche la stella più intrepida riusciva a squarciarne il velo mortuario. La luna poi era ridotta ad un debole alone spettrale, attorno al quale regnava il buio più assoluto.
La locanda aveva a disposizione quasi cinquanta camere, per un totale di circa centosettanta posti letto utilizzabili; di questi ne erano occupati solamente sei o sette.
 Il silenzio era surreale e interrotto solo da un ritmato ticchettio sulle assi di mogano nel corridoio nord. I passi erano cadenzati e secchi, il loro suono deciso accompagnato da una flautata voce infantile che cantava una vecchia nenia.
Nel giardino rettangolare, l’unico rumore era lo sciabordio tranquillo di una fontana crepata, che zampillava il suo liquido argenteo in un enorme bacile di pietra. Ogni tanto qualche goccia cadeva fuori dalle fessure della vasca, spruzzando un po’ d’acqua sul volto tranquillo del ragazzo che riposava poco più in là.
Ben presto il suono dei sandali abbandonò il corridoio nord per dirigersi verso la figura che giaceva supina in mezzo alle piante di fiordaliso.
-Shikamaru-san, cosa state facendo?
Il moro dischiuse le palpebre e a fatica mise a fuoco la figurina in piedi accanto a lui.
-Chiechan, buonasera. – salutò di malavoglia. Avrebbe preferito restare solo. – Ancora sveglia?
-Non avevo sonno.
La ragazzina si avvicinò con l’ abituale andatura leziosa e si sedette vicino al ragazzo, ma non sorrideva come al solito.
-Ho sentito quello che è successo a Temarichan.
Il ninja emise una specie di borbottio, e poi tacque. Ormai l’avrà saputo tutto il villaggio. Speriamo solo che non vengano a tenderci un agguato fin dentro la locanda.
-Come sta?- domandò Chie, lugubre.
-Niente di eccessivamente serio. Sta bene. – Anche troppo.
-Meno male. Gli abitanti di questa città sono proprio degli sciocchini. – ridacchiò lei. –Credere che fosse un complotto di Suna! Farebbero di tutto pur di potersela prendere con qualcuno.
L’altro le lanciò una lunga occhiata in tralice, senza rispondere. In merito alla cosa si era già debitamente espresso con gli sciocchini in questione.
-Sono spaventati da qualcosa che non riescono ad afferrare, e cercano capri espiatori per sfogare questa impotenza.  – aggiunse meditabonda, prendendo a giocherellare con un fiore di iris.
-È abbastanza naturale, non vivono una situazione facile. – intervenne Shikamaru. In fondo, dopo aver ridotto una mezza dozzina di loro in fin di vita, poteva conceder gli un po’ di comprensione.
Chie gli rivolse un sorriso angelico. –È un comportamento da idioti, no?
-È un comportamento da umani.
La ragazzina soffocò una risata. –Hai ragione. È da umani.
Il moro la fissò a lungo, assottigliando lo sguardo. Soffre di schizofrenia?
Prese un respiro profondo, cosa che suscitò la curiosità dell’altra.
-Sai niente della casa sopra il Kumakoro? – domandò.
-Villa Tenshi?
-Si.
Chie sorrise di nuovo, e gli fece l’occhiolino. –Dicono che sia stregata.
-Probabile. – concesse il ragazzo.
-Perché ti interessa?
-Ci sono stato oggi pomeriggio.
Lei non disse nulla, nascondendo lo sguardo azzurro sotto la frangetta nera.
-C’era un cimitero. – aggiunse il Nara. –Ne sai qualcosa?
Aspettò per qualche minuto una risposta che non venne. Socchiuse un occhio e scrutò attentamente la ragazza, ancora assorta nei suoi pensieri. La vide scuotersi un poco, voltarsi e rivolgergli un sorriso dolcissimo.
-Mi dispiace Shikamaru-san, non so dirti nulla. Obaasan mi ha vietato di andare lì, dice che ci sono gli spiriti cattivi.
È tornata in modalità infantile. Perfetto.
-Non preoccuparti, grazie lo stesso.
Chie si alzò, scuotendo il kimono con una mano, e spostandosi un ciuffo ribelle con l’altra.
-Allora io vado a dormire. Buonanotte!
-Buonanotte a te, Chiechan. – sussurrò il giovane, mentre la vedeva andare via con il solito passo danzante.
Quando fu di nuovo sicuro di trovarsi solo, si alzò anche lui, stiracchiando le membra intorpidite.  
Una casa stregata. Interessante.
Temari l’avrebbe trovata senza dubbio una sciocchezza. Non era tipo da credere a questo genere di cose, nemmeno se le vedeva coi suoi occhi.
Avrebbe dovuto parlargliene.
Avrebbe dovuto dirle cosa era successo quel pomeriggio.
Avrebbe dovuto dirle cosa aveva intenzione di fare adesso.
Però era lei a non fidarsi.
Era stata lei a mettere quella barriera fra di loro, a scegliere di combattere da sola.
 
Ma io mi fido, Temari. So che farai la cosa giusta.
 
Con la coda nell’occhio, vide una debole luce rossa pulsare nel bosco, in direzione del Kumakoro.
Senza voltarsi, la seguì, correndo a perdifiato verso Villa Tenshi.
 

 
 
 
C.I.A. 3: Minna-san, ohayo!! (si scriverà così?! Non penso proprio XD) Come sempre, un ringraziamento sentito e sincero a chi è arrivato alla fine di questo lungo capitolo. La verità è che quando inizio un paragrafo penso sempre “Ok, stavolta dovrò contenermi!!” e poi finisco a scrivere dieci pagine .__.’’ Ma non preoccupatevi, da questo momento in poi la storia subirà un deciso cambio di direzione: si svolgerà tutto in un tempo limite di ventiquattro ore J
Questa parte della storia era quella che mi preoccupava di più, e allo stesso tempo quella che mi è piaciuto di più scrivere: non sapevo se sarei stata in grado di rendere bene le emozioni e le idee di Shikamaru e Temari, spero di esserci più o meno riuscita XD tutto il litigio è stato causato dall’incapacità di lei di fidarsi degli altri, dalla forte volontà di volercela fare da sola. Più indietro avevo detto che Temari ammirava sinceramente Shikamaru, e aveva fede nelle sue abilità: per questo il loro rapporto è così complicato, una specie di odio-amore XD
E ora le recensioni!! Evvivaaaaaaaaaaaaaa *_*
 
Rollytoo: gentilissima come sempre! Le tue recensioni mi fanno sentire ogni volta meglio, sono contenta che questa fanfiction ti stia appassionando: è una grande soddisfazione per la sottoscritta :-) grazie mille per l’incoraggiamento, in effetti non avevo pensato che durante le vacanze potesse ridursi il numero di visite e recensioni (la mia stupidità è arrivata in fase terminale penso .__.). Per quanto riguarda i misteri che ho lasciato aperti si, sono veramente molti…si chiariranno mano a mano nel corso della storia, fino all’ultimo capitolo rimarrà sempre qualcosa in sospeso ;-) vorrei davvero sapere cosa ne pensi di questa mia ultima fatica: attendo con impazienza la tua recensione!! Arigatou!
 
Pantesilea: grazie mille per la spiegazione *_* ok, ora ho capito, e ti ringrazio doppiamente per il complimento e per la pazienza XD anzi, grazie tre volte anche per l’incoraggiamento :-D quindi hai delle ipotesi in merito alla storia? Eh eh eh eh… ti va di dirmene qualcuna? ^_^ per esempio che ne pensi della doppia personalità di Chie? E dello strano comportamento del fantasma? Sono incredibilmente curiosa (teoricamente io già dovrei sapere tutto, però mi fa piacere conoscere come vedi tu la cosa :-) ) Al prossimo capitolo allora! E grazie ancora *_*
 
SabakuNoMe: grazie per aver recensito anche questo capitolo! Mi fa sempre piacere avere il tuo parere, anche qualora tu dovessi avere delle critiche, le accetterei molto volentieri. :-D
Chiechan e il vecchietto (da oggi Kinnosuke) hanno mostrato qualcosa in più di loro stessi: ma uno dei due rimarrà dietro le quinte per un po’….o al massimo gli farò fare qualche comparsata XD spero che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento, e mi auguro che la curiosità ti spinga a seguirmi ancora per un po’ *_* Grazie infine per l’incoraggiamento che mi trasmetti con le tue parole, e per la puntualità con cui continui a recensire. Te ne sono molto grata :-D Alla prossima!!
 
Valy_chan: un volto nuovo *_________* come sono felice!! Sto decisamente spargendo fiori a profusione alla Honey-senpai (ma si, mettiamo in mezzo anche Host Club XD) per la contentezza! Grazie mille per le tue gentilissime recensioni, sentivo il dovere di ringraziarti pubblicamente XD
In effetti, quando descrivo qualcosa cerco di raggiungere proprio l’obbiettivo che hai detto tu: renderla più “vissuta”. Sono felice che tu l’abbia notato :-D
Ho cercato di ricreare tra Shikamaru e Temari il rapporto che ho sempre pensato esistesse tra loro: un’amicizia che sconfina lentamente nell’attrazione, anche senza un continuo contatto fisico (ci sarà anche quello, ma più in là XD) secondo le solite convenzioni “giapponesi”. Comunque lo hai colto in pieno, mi fa piacere *_* ovviamente però la cosa non poteva rimanere così e basta, sennò che ShikaTema era? XD questa piccola litigata ha messo in discussione parecchie cose, e soprattutto Temari dovrà prepararsi al “confronto” che anticipavo nel prologo, ma che ci sarà veramente solo alla fine.
Chiechan è un personaggio molto lolloso, ma ha anche un lato oscuro, come si vede verso la fine del capitolo; e il vecchietto è molto intelligente, come hai detto tu, ma non lo definirei propriamente “saggio”….poi capirai perché XD
Non conosco benissimo la tecnica del Controllo dell’Ombra né i vari ninjutsu usati da Temari e Shikamaru, perciò lo scontro è stato molto veloce; ma ho cercato comunque di soffermarmi sui dettagli per non banalizzarlo. Mi fa piacere che tu l’abbia apprezzato!
Infine si, lo scontro verbale tra i due protagonisti era molto importante, l’inizio della “rottura” della loro amicizia. Il che non significa che non possono avere futuro o cose del genere: semplicemente erano arrivati ad un punto in cui le divergenze erano troppo nette, e per capirsi fino in fondo l’amicizia non bastava più. Doveva maturare qualcos’altro XD
Grazie ancora per i complimenti, spero che continuerai a seguirmi!! Un bacio :-D
 
 
CURIOSITA’, SPIEGAZIONI E QUALCHE SPOILER:
 
*IL nome della Villa sul Kumakoro, “Tenshi”, è una parola giapponese che significa “Angelo”. Dal momento che ha più l’aspetto di una casa infestata, e si trova sul monte “Cuore di Diavolo” Shikamaru pensa giustamente ad uno scherzo di cattivo gusto XD
 
La fine del capitolo è un po’ enigmatica, con quel “so che farai la cosa giusta..”; è perché il Nara sotto sotto è un demonio, anzi un genio del male XD si capirà tutto nell’ultima puntata ;-)
Nel prossimo capitolo accadrà poco di “nuovo”, nel senso che il mistero non si chiarirà e non si aggiungeranno nuovi elementi; in compenso tenete a portata di mano i fazzoletti, perché finalmente l’ oscuro passato di Temari sarà svelato….così come la sua reticenza e i suoi strani sentimenti per l’amico-nemico. Eppure la storia è appena agli inizi….
Alla prossima allora!
Un bacio :-D
 

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Capitolo 5
*** Blu Acquamarina: Uno Spettro, tra lavanda e rose bianche ***


I Ricordi delle Ombre
Capitolo V
 
Blu Acquamarina: Uno Spettro, tra lavanda e rose bianche.
 
Sun’johara – Villa Tenshi
Ore 00:30
 
Con la nebbia che di notte si diradava, l’Angelo del Kumakoro appariva come una informe massa di oscurità incisa sul biancore evanescente della luna.
Il silenzio avvolgeva tutto in una cappa soffocante, mitigata solo dal debolissimo fruscio del vento tra i rami stecchiti e le erbacce insidiose, che con sadica ostinazione ostruivano  passo e vista, come a rimproverare ad ogni essere vivente l’intrusione in quel luogo profano.
La foresta, rifugio prediletto di mille creature notturne, aveva abbassato il volume della vita a un debole pulsare nelle vene degli alberi, riscattando i perduti colori nelle pupille taglienti di gatti e muti animali selvatici.
Nessun vivente, però, che non fosse fatto di cellulosa e clorofilla, si avvicinava  a Villa Tenshi tanto da scorgerne i mostruosi doccioni dallo sguardo di pietra, per quel naturale istinto di conservazione che porta la carne a tenersi lontana da una minaccia incombente.
Lo scavare infastidito di un toporagno ruppe per un secondo la calma cristallina dell’aria. Vicino al cancello divelto, il muso affusolato fece timidamente capolino dalla terra, mentre la testa rotondetta scattava avanti ed indietro in cerca di prede o predatori. I due occhi neri dell’animale, brillanti come perle nere nel buio, si fissarono sulla figura poco lontana, bagnata dagli opachi raggi di luna.
Un intruso a Villa Tenshi.
Il roditore continuò a guardare sospettoso il nuovo arrivato, lasciando che i suoi neuroni di ratto lo esaminassero secondo gli unici due canoni che conosceva: pericolo o commestibilità. Era troppo grande per ucciderlo, e troppo vivo per mangiarlo.
Le iridi lucenti lo seguirono mentre si avviava lento verso il cancello della villa. Se avesse potuto, il toporagno avrebbe indubbiamente ghignato.
 
Troppo vivo…per ora.
 
 
Sun’johara – Locanda
Ore 00:30
 
Temari strappò con forza l’ultimo filo di cotone che spuntava dalla stoffa del ventaglio, spedendo il povero e innocente ago attaccato dall’altra parte direttamente in orbita.
Maledetta femminuccia! Chi crede di essere per farmi la paternale? Lo strozzerei volentieri con la sua stessa fottuta ombra!”
Appoggiò di malagrazia l’arma al letto, fissandola con astio, come se fosse in qualche modo responsabile del suo umore nero. Il danno era stato riparato alla bell’e meglio, ma una volta a Suna avrebbe dovuto mandarlo ad aggiustare e lasciarlo riposare per un po’. C’erano ancora alcuni strappi simili a taglietti sulla parte superiore, ma alla ragazza mancava la concentrazione e persino la voglia di ripararli.
Non le era mai successo.
Sferrò un calcio al muro, che sembrò tremare leggermente, tanto che per un istante temette di veder crollare tutta la fatiscente palazzina; ma si staccò solo qualche frammento d’intonaco, indebolito dal tasso d’umidità. La ferita al fianco le  lanciò una stilettata di dolore, per ripicca, ma l’ignorò.
Invece si guardò intorno, in cerca di qualcos’altro da prendere a calci e – possibilmente – distruggere, ma dovette rassegnarsi e lasciare sbollire la sua ira all’aria fresca della notte.
La finestra spalancata dava sul giardino addormentato e silente, che stonava completamente con lo stato d’animo in cui lei s’agitava, ormai, da più d’un’ora.
Digerito lo shock per le parole del tutto inaspettate di Shikamaru (cosa che aveva richiesto cinque minuti buoni) si era sentita addosso una pesante insegna di vergogna e senso di colpa, trasformata dal suo orgoglio in furia omicida. In momenti così avrebbe desiderato davvero essere sul campo di battaglia, a fuggire e combattere, lasciando al subconscio il compito di ammortizzare  e smaltire quelle sensazioni autolesioniste.
E invece, altro che urla e tensione: aveva davanti l’immagine stessa della tranquillità e del riposo. Non si confaceva a lei, per niente.
Hai paura di farti male?
Temari digrignò i denti per la rabbia. Era lui quello che scappava ad ogni occasione e che a momenti si seccava pure di alzare il culo dalla sedia, ma si era permesso di dare della pappamolle a lei. Non aveva diritto d’incazzarsi?
Cominciò a grattare il legno del parapetto con l’unghia, mentre l’ira scemava poco a poco, come vapore disperso dal vento, e lasciava dietro di se’ un’eco d’amarezza e vago risentimento.
I pensieri ingarbugliati nella sua mente, appannati a causa della collera, presero a farsi più chiari, fino a portarla ad ammettere che sì, forse, si era comportata da stupida.
“Accidenti a lui, però! Non c’era bisogno di essere così drammatico!” pensò, appoggiando la fronte  sul legno fresco della balaustra, lasciando che i capelli le cadessero intorno al viso come una tendina.
“Avrei dovuto chiamarlo, questo è vero. Mi sono pure scusata, ma ha fatto comunque tutta quella sceneggiata.”
Il contatto con il freddo le fece bene. Sentiva di essersi appena svegliata da un lungo sonno, ricordava il litigio di prima con molta più calma, così prese ad esaminare con maggiore attenzione le parole di Shikamaru.
Sostanzialmente le aveva rimproverato di non essersi fidata di lui. Ma questo non era affatto vero.
Se qualcuno, un giorno, le avesse chiesto con chi avrebbe voluto essere messa in squadra in caso di una difficile missione, avrebbe scelto lui senza pensarci due volte.
Era scontato come dire “L’acqua è bagnata.” Eppure quella volta non l’aveva chiamato. Perché?
Non era un problema di fiducia. E allora cos’era?
Non volevo che si esponesse per me.
Quel pensiero la ghiacciò.
 Alzò il capo e cominciò a passeggiare bruscamente su e giù per il balcone angusto, mordicchiandosi nervosamente l’interno guancia.
Preoccuparsi per lui? Chi, lei?
Ma se le uniche persone per le quali realmente  si impensieriva erano i suoi fratelli, ogni tanto. Di tutti gli altri, di tutto il resto del mondo, non le importava un fico secco. Ovviamente teneva molto al benessere degli abitanti di Suna, e si applicava duramente per svolgere il suo lavoro nel migliore dei modi. Al di fuori della sua città poi, c’era anche qualcuno che le stava più simpatico, come l’idiota biondo di Konoha – o Naruto, qual dir si voglia – oppure Sakurachan, a cui era ancora molto grata per aver salvato la vita a Kankuro. Se fossero morti si sarebbe sentita indubbiamente triste. Ma certo non le era mai saltato in mente di preoccuparsi per loro! Erano ninja, la morte faceva parte della scelta di vita che avevano fatto.
E ninja era anche Shikamaru. Senza contare che era una pura follia pensare che quei dieci imbecilli armati di rastrello e paletta avrebbero potuto in qualche modo sopraffarlo. Logicamente questo era ovvio.
Temari sospirò, fermandosi, per poi puntare lo sguardo rassegnato su un punto indefinito del parco dormiente.
 La fiducia non c’entra, la preoccupazione nemmeno. Che c’è che non va in me?
Aveva paura, quel benedetto ragazzo era nel giusto. Ma di cosa, questo non lo sapeva neanche lei.
Avvertì un ricordo pizzicare gentilmente la sua coscienza, come una risposta a lungo cercata e mai davvero voluta conoscere.
Era una sentenza dolorosa, che affondava le radici nell’anima lacerata di una vecchia Temari, sigillata insieme ai suoi cocci in un minuscolo sgabuzzino della sua memoria.
La ragazza alzò lo sguardo verso il cielo uniforme e riservato, che niente le comunicava se non un grande senso di impotenza.
Era arrivato il momento. Il momento di affrontare i suoi ricordi.
Il momento di affrontare la se stessa che si era ridotta a spettro consunto dal dolore, e che ancora si aggirava infestando qualche recondito spazio del suo cuore sfitto.
Chiuse gli occhi e lasciò che quello spettro parlasse di lei. 
 
 

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Perché a me?
Insomma, voglio dire, ci saranno centinaia di persone a Suna….centinaia di ninja smaniosi di ingraziarsi i favori del kazekage, fino al punto di leccare la sabbia dove s’è posata la sua ombra….allora perché io?
Mi volto verso Tsukijogisan, il mio diretto superiore, e so di avere i muscoli del viso congelati in un’espressione di esasperazione pura. Mi risponde con un indifferente cenno di spalle, come a dire “Cavoli tuoi, bello.”
È palesemente rassicurato che l’incarico non sia stato assegnato a lui, ma ovviamente non può mostrarlo davanti al Kazekage. Scommetterei tutto lo stipendio che si toglierebbe volentieri quel tendone grigio dalla testa per mettersi a ballare la lap-dance sulla scrivania, tant’è il suo sollievo. Lentamente passo a setaccio gli sguardi dei miei colleghi, e costato con rammarico che nessuno sembra minimamente disposto a togliermi d’impiccio, e nemmeno a condividere quel fardello con me. Evvai.
Nessuno vuole le responsabilità di quel compito. Ed è comprensibile.
Deglutendo, mi volto verso il centro della stanza, illuminata appena dall’agonizzante luce di un paio di torce morenti. Non mi piacciono i luoghi scuri, anzi, li detesto con tutto me stesso.
Il buio è solitudine, incertezza,  pericolo.
-Suginori Taketo-san, ha qualcosa da dire?
La voce del Kazekage mi coglie di sorpresa, ma evito di darlo a vedere. Ultimamente il Grande Capo del Villaggio ha un diavolo per capello, meglio evitare problemi.
Quel tono profondo, imperioso, smorza tutte le repliche e le scuse che avevo messo insieme alla velocità della luce.
Hai qualcosa da dire? Ovvero: non me ne frega un cazzo, parla e sei morto.
Raduno il fiato –e il coraggio – necessario a far uscire una risposta decente, me le mie corde vocali si rifiutano di cooperare. Ci riprovo.
-No, signore. Sarà un vero….
Suicidio.
-…onore, prendermi cura dei vostri tre figli finchè Bakisensei non si sarà ripreso.
Cominciamo col dire che a me Mister Turbante era sempre stato sui cosiddetti.
Si era diplomato a 8 anni e a 12 era diventato chunin, e da quel momento la sua persona era stata avvolta da una puzza insopportabile di arroganza e crudeltà. Riconoscevo naturalmente le sue abilità e il suo coraggio – non era da tutti prendersi spontaneamente un incarico pericoloso come divenire tutore dei figli del Kazekage - ma nonostante questo non riuscivo a trovarlo simpatico. Eravamo troppo diversi.
Per cui, quando qualche ora prima un ninja messaggero era tornato dalla Valle dell’Eco annunciando che il Grande Maestro sarebbe stato assente per almeno altre due settimane, a causa delle ferite riportate in guerra che lo impossibilitavano a muoversi, non avevo ballato la samba per la gioia ma nemmeno avevo versato chissà quante lacrime.
Ma il Kazekage aveva deciso che due settimane erano troppe, e Gaarasan, Kankurosan e Temari san non potevano stare con le mani in mano per tutto quel tempo. E aveva infinocchiato me. Perfetto.
A saperlo prima, sarei andato fino alla Valle e avrei riportato quel coglione a Suna, cadavere o meno che fosse.
-Se le cose stanno così allora potete andare. Siete congedati.
I presenti non se lo fanno ripetere due volte, dopotutto il nostro kage non è famoso per la sua loquacità e disponibilità. Io esco dalla stanza cercando di ignorare le occhiate di compassione che mi scoccano gli altri jonin, e tentando di reprimere allo stesso tempo l’immane istinto omicida nei confronti di qualsiasi cosa respiri da lì a un chilometro. Adesso devo andare a conoscere i miei nuovi, adorabili allievi.
 
Li trovo nel cortile del palazzo, fermi ad aspettarmi. Quando li vedono, gli intendenti affianco a me si voltano e imboccano un altro corridoio, cercando di farsi piccoli o quasi invisibili.
A me sembra decisamente troppo per tre ragazzini. Che poi a vederli non sono neanche così spaventosi.
Uno, con uno strano cappuccio nero da becchino, sta dando la cera a una specie di grosso pupazzo di legno, piuttosto orrendo a dirla tutta. Dev’essere Kankurosan.
Accanto a lui c’è sua sorella, Temarisan, che è la prima – e l’unica – a mostrare qualche cenno d’interesse per me. La sua occhiata però è tutt’altro che amichevole, e quegli occhi verdi mi trapassano da parte a parte come una staffilata, neanche fossi io il moccioso lì.
Di Gaarasan non riesco neppure a catturare lo sguardo, che tiene fisso sulla sabbia per terra. Dei tre è quello che mi intimorisce di più. Ho sentito dire cose non molto simpatiche sul suo modo di trattare chi non gli va a genio. 
Per un po’ non so come comportarmi. I ragazzi continuano ad ignorarmi bellamente, come se al mio posto ci fosse aria, così alla fine capisco che devo essere io a fare il primo passo. Mi avvicino un po’ di più a loro, e a quel punto si voltano tutti e tre a guardarmi.
Temari mi fissa sempre sospettosa, Kankuro ha uno sguardo vagamente annoiato e Gaara…non lo capisco. Le sue iridi azzurre sembrano presagire solo distruzione e morte, come due baratri vuoti aperti su un oceano nero.
Sento una goccia di sudore traditrice scivolarmi sulla tempia, e so di essere spaventato. Quel ragazzo…no, non so neanche se definirlo così sia corretto….quel cumulo vivente di odio sotto forma umana, ecco, mi fissa con la stessa considerazione che mostrerebbe per una mosca. Non avrebbe di sicuro problemi a uccidermi.
Cerco di sfuggire alla presa ipnotica di quegli occhi, e incontro di nuovo lo sguardo di Temari. Le sopracciglia leggermente arcuate e la sottile bocca contratta sono il peggiore degli sfottò. Ha capito ciò che provo e mi deride con la sua aria di superiorità.
Almeno però mi sento un po’ meglio.  
Vorrei dire qualcosa per presentarmi – non sono mai stato un grande oratore in realtà – ma Kankuro mi precede.
-Lei sarebbe il sostituto di Bakisensei? – lo chiede con lo stesso tono con cui direbbe “Vai al diavolo, imbecille in tutina gialla.”
Mi rendo conto che in effetti la mia tuta è orribile, ma che posso farci? Mica l’ho scelta io.
-Il mio nome è Suginori Taketo, ma potete chiamarmi semplicemente Taketo. – sforzo un sorriso, ma il mio tentativo cade nel vuoto. Mi fissano ancora come se fossi un irritante calabrone giallo.
-Bakisensei, come sapete, è stato ferito e sarà assente per ameno altre due settimane. Nel frattempo, sono stato scelto come vostro tutore temporaneo.
È in questo momento che la verità delle mie parole mi colpisce in tutta la sua straripante forza. Per quattordici giorni sarò responsabile dei tre genin più terrificanti di Suna. Senza contare che io non ho nessuna esperienza in questo campo, anzi, l’attività accademica l’ho sempre abborrita di tutto cuore. Sarà davverò un…
-Io me ne vado.
Mi volto stupito e vedo Gaara che si dirige, avvolto dalla consueta nuvola di sabbia, verso il cancello del palazzo. Rimango muto per qualche secondo, non sapendo come reagire. Dovrei arrabbiarmi? O piuttosto essere sollevato?
-Ehi, Gaara-kun! – gli urlo, mentre si allontana, ma vengo di nuovo completamente ignorato.
E vabbè. Uno in meno.
-Vado via anche io.
Eh?!
Kankuro afferra distrattamente la sua marionetta di legno, se la issa in spalla e mi passa affianco senza neanche guardarmi. Stavolta però cerco di essere un po’ più energico.
-Kankuro-kun, aspetta!
Si blocca, infastidito. –Che vuoi?
-Come sarebbe? Io sono il-
-Sostituto di Baki. L’ho capito, non sono idiota. Ma non me ne frega niente.
Stringe le spalle e la marionetta fa un buffo saltello sulla sua schiena.
-Mi alleno quasi sempre da solo, e prendo ordini solo da Baki. Perciò lasciami in pace o vattene al diavolo.
Un impulso poco sano mi suggerisce di mollargli un cazzotto in faccia e disfarlo insieme alla sua dannata bambola, ma mi trattengo. Non sarebbe molto intelligente fare a botte con il figlio del Kazekage.
Lo guardo mentre scompare, la figura curva sotto il peso del suo manichino, poi mi volto verso la mia unica allieva rimasta.
Temari continua a guardarmi con sarcasmo. Mi accorgo che è sicuramente più grande dei suoi fratelli, un paio d’anni almeno; lo capisco dalle forme del suo corpo ancora un po’ acerbe ma già notevolmente sviluppate.
-E tu, cosa vuoi fare? – le chiedo, rassegnato.
-Mhm…
Non risponde, china il capo verso destra, tutta intenta ad esaminarmi.
-Dipende. Cosa hai da insegnarmi? – domanda alla fine.
Ops. A questo non ho pensato.
Non sono particolarmente esperto nell’uso delle armi, non ho nessuna abilità innata e le tecniche che generalmente adopro sono quelle basilari imparate a scuola, più qualche manipolazione di chackra inventata da me, ma niente di che.
Non ho proprio nulla di speciale…a parte una cosa.
Guardo i suoi occhi verdi e mi chiedo se è abbastanza per interessarla. Probabilmente no, ma devo provarci.
-Conosci l’oasi che si trova poco fuori Suna?
Fa cenno di no con la testa. Ovvio, penso, quel posto semiabbandonato lo conosco solo io e qualche cane randagio che decide di andar lì a deporre la sua carcassa morente.
-Non è difficile arrivarci. Esci dal cancello, e vai sempre verso destra, finché scorgi un puntino verde. Ci vediamo lì alle cinque, va bene?
Sembra incerta, divisa tra la curiosità che le ho suscitato e la voglia di mandarmi a quel paese come hanno fatto i suoi fratelli. Ma alla fine cede.
-Ok.
Lo sussurra appena, come se avesse paura di quell’unica innocente sillaba, poi si volta e, senza salutarmi, se ne va.  
 
 
Come stabilito, alle cinque sono all’imbocco del sentiero che porta dalla distesa stentorea e accecante del deserto, al piccolo paradiso nel cuore dell’oasi. In realtà sono qui da ben mezz’ora, cercando di trovare qualcosa di adatto da dirle, ma ancora non mi è venuto niente.
Ho ormai deciso di abbandonarmi all’improvvisazione quando vedo la sua figura avvicinarsi a passo cadenzato tra le dune rese abbaglianti dal sole. In pochi minuti mi è vicino, perfettamente in orario, e con la solita espressione contrariata.
E io non so ancora cosa dirle.
-E allora? – fa secca, infastidita dal mio silenzio.
-Vieni con me.- dico, in mancanza di qualcosa di più adatto.
Posso solo sperare che la vista di ciò che sto per mostrarle sopperisca sufficientemente ad ogni spiegazione.
Seguo il sentiero per circa dieci minuti, con lei che mi viene docilmente dietro senza protestare. Intorno a noi la vegetazione si fa più fitta mano a mano che andiamo avanti, gli arbusti diventano cespugli e poi alberi,  fino a oscurare quasi la luce del sole, ma non ho difficoltà a trovare la strada. Ormai quel luogo lo conosco a memoria.
Dopo poco abbandono la stradina e mi dirigo fra le grandi piante tropicali, ormai sono vicino. Infatti, eccola lì, come previsto. Aspetto che Temari mi raggiunga e poi, con un gesto della mano, le mostro il mio giardino segreto, poco al di sotto dei suoi piedi.
 
L’oasi prende acqua da un monte poco distante, che la incanala in cunicoli sotterranei per sbocciare poi in uno stagno limpido poco lontano. Questo rende la terra sorprendentemente fertile e adatta a molti tipi di piante o fiori, che crescono rigogliosi in ogni angolo di quella piccola insenatura. Avevo impiegato ogni momento libero a cercare di identificare e catalogare tutte quelle specie vegetali, a scoprirne gli usi e le qualità nascoste, e avevo personalmente piantato alcuni bulbi di varietà che lì non crescevano spontaneamente. Il risultato, modestamente, è impressionante.
Noto con piacere che anche la mia giovane allieva sembra piuttosto colpita. Ruota gli occhi attorno alla valle come incantata, assorbendo la meraviglia di quello spettacolo colorato e profumato, come un bambino davanti ad una mela caramellata. Allora finalmente riesco a parlare.
-Che ne dici di imparare l’uso delle piante?
Si volta verso di me, ma senza il solito sguardo seccato.
-L’uso delle piante? E cioè?
-Come utilizzarle. Dalle radici di alcune specie si possono ottenere medicinali preziosi, da altre invece essenze particolari. Esistono fiori il cui profumo può essere utilizzato come gas stordente, addirittura.
È palesemente intrigata, ma appare ancora reticente.
-Questo non è allenarsi. – obietta, incrociando le braccia sul petto.
-Ci alleneremo di mattina, e il pomeriggio faremo lezione qui. Ci stai?
Dì di si, per l’amor del cielo. Chi lo sentirebbe il Kazekage, se dovesse sapere che nessuno dei suoi tre figli mi ha voluto come sostituto? Sarei spacciato.
La vedo ancora meditabonda, e sono quasi del tutto convinto che stia per rifilarmi un secco “no”, quando, inaspettatamente, china il capo in cenno d’assenso. Ha accettato. Grazie a Dio.
Sorrido e mi volto, in cerca di qualcosa da mostrarle. Mi capita sott’occhio un piccolo germoglio di Lavanda Spica, e decido di iniziare con quello.
-Bene, questa è adatta a te, direi.
Gliela porgo divertito e lei mi guarda di sbieco.
-E perché?
-Significa “sospetto”.
Inarca le sopracciglia, ma non può impedirsi un sorriso. Il risultato è talmente buffo che le scoppio a ridere in faccia. Rossa di vergogna, come un petalo di ibisco, mi supera con aria di sussiego e si siede vicino a una peonia. Mi metto a ridere ancora più forte.
-Ma che diavolo ti prende?
-La peonia significa “imbarazzo”.
Strabuzza gli occhi e si volta verso il fiore come se l’avesse in qualche modo tradita.
Mi sorprendo a sorriderle intenerito.
Forse quell’idiota di Baki può prendersela con calma, dopotutto.
 
 
 
-Ehi, Taketo, apri questa maledettissima porta!
Dei onnipotenti che siete nell’universo, e che nella vostra incomparabile saggezza avete creato noi miseri mortali….
-TAKETO!
…questo umile servo vostro vorrebbe che rispondeste a una domanda, se non è troppo chiedere….
-IMBECILLE, APRI QUESTA PORTA O LA SFONDO!
….perchè io?!?
Guardo la sveglia e mi viene quasi da piangere quando vedo che ore sono. Le due.
Sospiro contro il cielo nero dietro le tende tirate, e a fatica mi metto in piedi, tastando con le dita la parete in cerca dell’interruttore. Non lo trovo, perciò decido di rinunciare.
I colpi alla porta sono così pressanti che, per un attimo, ho veramente paura che Temari - nella sua immensa delicatezza di garbata fanciulla quindicenne - finisca con lo sfondarla.
Mi sbrigo ad aprirla e mi trovo davanti il suo sguardo illividito e – al solito – seccato.
-Finalmente!
Cioè, fa pure l’offesa?! Lei?!
Mi passa affianco accendendo la luce nel corridoio, e la vecchia lampadina torna in vita con un ronzio moribondo.
Mi rendo conto che è in tenuta da guerra, con la divisa sporca, la pettinatura sconvolta e qualche taglio su braccia ed avanbracci. Nel complesso, il suo ventaglio è messo meglio di lei, ma evito di dirlo per educazione e perché non mi sembra di umore adatto.
La guido in cucina, in silenzio, e le metto davanti un bicchiere d’acqua con un po’ di ciò che mi è rimasto della cena, e mentre mangia avidamente, le vado a preparare un bagno. Poi, con la rassegnazione data dal tempo e dall’abitudine, mi dispongo un piccolo giaciglio sul divano del salotto.
Ormai questa è la routine da quasi cinque mesi.
Dopo il ritorno di Baki, il team composto da Temari e i suoi fratelli ha cominciato a partecipare a missioni serie, pericolose e impegnative, e spesso sono coinvolti in prima linea sul campo di battaglia. Anche a me naturalmente è capitato negli ultimi tempi, ma adesso mi trovo a Suna per un congedo di due settimane, in corrispondenza di un armistizio con la Valle dell’Eco.
Nonostante i numerosi impegni di entrambi, sia io che Temari abbiamo continuato ad andare all’oasi di tanto in tanto, e io non ho mai smesso di insegnarle ciò che so sulle piante. Devo dire che è un’ottima allieva: recettiva, rapida nel mettere in pratica gli insegnamenti e sempre attenta. Ultimamente ha preso l’abitudine di venire a dormire da me; all’inizio solo quando ritornava da una missione, da un po’ di tempo però viene quasi tutti i giorni.
Non che a me dia fastidio.
La sua presenza mi piace, è….calda. Come un piccolo fuoco sotto la cenere, che riscalda continuamente senza bruciare, quieto e tranquillo.
Non è una tipa chissà quanto loquace, non ha molta pazienza e spesso risulta irritante e fin troppo sicura di se’, però, nonostante tutto, mi sono affezionato a lei. E quando sorride, le si illuminano gli occhi in modo spettacolare, sembra diventare un'altra. Peccato che lo faccia così raramente.
Aspetto di sentire il suo respiro regolare dalla camera, e sguscio dentro senza far rumore. Si è addormentata sul mio cuscino, con solo la camicia (la MIA camicia!) addosso, completamente indifesa. Sospiro vedendo che, come prevedevo, non si è minimamente preoccupata di disinfettare le ferite sul braccio e sulle gambe. Non che siano gravi, ma per prevenire le infezioni è sempre meglio essere cauti.
Verso un po’ di soluzione ossigenata sull’ovatta e, quanto più gentilmente posso, le tampono i tagli cercando di non svegliarla.
Non è un’ operazione difficile, la mente non deve impegnarsi più di tanto, per cui finisco coll’indugiare su pensieri oziosi, tipo il mio rapporto con Temari.
In effetti, più che un affetto fraterno, la nostra sembra una vera e propria relazione uomo-donna.  
Non era stato premeditato da nessuno dei due.
Come io sia  finito a convivere con una ragazzina di dieci anni più giovane, non lo so e ho paura anche di chiedermelo, perché ciò significherebbe dare una definizione al nostro stare insieme.
In questo tempo passato con lei, ho capito tante cose di Temari, e tante cose anche su me stesso.  Ho conosciuto la solitudine, ho tastato con mano gli effetti devastanti che può avere su un animo umano. Io non sono mai stato solo. Nel bene o nel male, ho sempre affianco un amico, un parente, qualcuno su cui contare e in cui avere fiducia.
Per i figli del Kazekage non deve essere stato così, lo si capisce dai loro occhi, stanchi di cercare l’indifferenza negli sguardi delle persone attorno a se’.
Io ho impiegato quasi tre mesi per far si che la sorella maggiore si aprisse un po’ con me, e comunque ci sono argomenti che con lei rimangono tabù: il suo rapporto col padre, con la madre defunta, oppure i suoi pensieri su Gaarasan, che non nomina mai.
Vorrei che si sciogliesse un altro po’, ma so che al momento è meglio aspettare. Quando si sentirà pronta, sarà lei a parlarmene.
Ho bendato con una garza sottile anche l’ultimo taglio, e mi scivola lo sguardo sul suo volto addormentato. Nel rilassamento completo del sonno, le sue fattezze sembrano quelle di una bambina.
Perché in fondo è quello che è: una bambina, sola e anche un po’ smarrita, defraudata del tempo giocondo che le sarebbe spettato.
Vivere senza una madre, con un padre freddo e distante e un fratello psicopatico deve aver lasciato delle ferite profonde, ma penso che non sia ancora troppo tardi. Forse quelle ferite possono ancora essere ricucite.
Forse posso riuscirci io.
Nel sonno vedo che contrae il viso in una smorfia, come se avesse percepito quel mio pensiero e mi stesse canzonando. Ma non mi arrenderò tanto facilmente, non sono tipo.
Ti proteggerò, Temari, che ti piaccia o meno.
Perché ormai mi risulta impossibile pensare ad un giorno senza il tuo viso ribelle, il tuo profumo misto di fiori e sabbia, il tuo ventaglio sul quale finisco sempre per inciampare, le tue occhiate maliziose che mi fanno andare di traverso il latte al mattino, le tue fisime capricciose, il tuo sguardo pensoso quando stai riflettendo o attento quando mi ascolti….senza, insomma, tutte quelle minuscole cose che mi ricordano te.
Anche a costo di essere buttato giù dal letto tutte le sante notti.        
 
 
 
-Taketo, lascia perdere.
Lasciar perdere?
-Parlerò io col Kazekage. Manderemo un’altra squadra per la ricognizione al B5.
Mi viene da ridere. Tsukijogisan è davanti a me, con il solito sguardo nervoso e le mani strette l’una nell’altra, con forza, come se volesse strapparsele. È davvero preoccupato per me.                             
-Andrà tutto bene, generale; sono ordini diretti, non ha senso protestare. E poi, se non vado io toccherà a qualche altro disgraziato, che dovrò avere sulla coscienza per avergli scaricato una mia responsabilità.
Scuoto le spalle, cercando di apparire indifferente; in realtà so che c’è il serio rischio di non tornare vivo da quella spedizione. Il B5 è  il settore che si trova dietro le montagne della Valle, in una gola lunga e stretta, perfetta per le imboscate. Suna sta cercando di prendere quella zona da mesi ormai, ma tutte gli attacchi si sono sempre risolti in un massacro dei nostri soldati. Nell’ultima battaglia sembra che l’esercito nemico abbia scelto di ritirarsi oltre la catena montuosa, quindi quel punto dovrebbe essere momentaneamente scoperto.
Un’occasione d’oro per avanzare.
La mia squadra è stata scelta per andare in avanscoperta. Siamo praticamente il capro espiatorio.
Tsukijogi-san ha cercato di dissuadermi già mille volte, ma non me la sento di tirarmi indietro. Se devo vedere un altro campo di battaglia invaso dai cadaveri, preferisco che tra quelli ci sia anche il mio.
Però sono infastidito dall’agire del Kazekage. Da due mesi a questa parte, la sua personalità è completamente cambiata.
Non è mai stato un giocherellone, simpatico o dotato di chissà quanto humor, ma ha sempre mostrato un rispetto profondo per la gente di Suna, per tutti i soldati che davano la vita in battaglia, mettendo il suo popolo in cima alla lista delle sue priorità.
Recentemente però, il suo atteggiamento si è notevolmente incrudelito.
Manda i ninja a morire come fossero carne da macello, e non permette neanche il recupero dei cadaveri dai campi, lasciando le povere spoglie a marcire sotto il sole. Inoltre, da che ricordi è sempre stato un uomo dai principi ferrei e di parola, eppure poco tempo fa ha tradito l’armistizio con la Valle dell’Eco come se niente fosse.
C’è  qualcosa di strano in lui. Non toglie più neanche il copricapo.
Ho iniziato ad indagare discretamente su ciò che può essergli successo: una malattia, una botta in testa, chissà….ma prima di riuscire a capire qualcosa, sono stato mandato al fronte e poi in questa missione suicida.
Oh, be’, almeno con me c’è Temari.
La vedo fare capolino dai cespugli non appena Tsukijogisan si allontana. Ha uno sguardo terreo, che non lascia presagire nulla di buono, persino nel modo di camminare è rigida.
-Buonasera. – la saluto, visto che non sembra intenzionata a parlare.
-Sono ancora le cinque. – mi ricorda, puntigliosa come sempre.
-Be’, allora buon pomeriggio.
-Ho saputo della missione.
Aspetto che aggiunga qualcos’altro, ma rimane zitta e immobile. Non commenta, non si lascia andare. È solo dal suo sguardo che capisco che è preoccupata.
Cerco di sorridere e sdrammatizzare, ma non raccoglie; sembra combattuta tra la voglia di piangere e quella di strangolarmi. Tra le due, so perfettamente quale sceglierebbe.
-Non è così pericoloso. Non sottovalutarmi.
Ancora non risponde. Quel silenzio non mi piace, sa troppo di buio, di incertezza, di addio.
-Temari.
Sono deciso, il più che mi è possibile. Devo darle sicurezza.
-Fidati di me.
Vedo i suoi occhi verdi bruciare, come se dentro si fosse accesa improvvisamente  una piccola fiammella.
Le sue labbra tremano un poco, poi si rilassano, si schiudono, si tendono.
-Torna in fretta.
Il suo tono è così dolce che rimango interdetto per qualche secondo. Ho appena scoperto un altro lato di lei che non conoscevo. Sorrido e, facendo quasi violenza su me stesso, mi traggo via da quella dolcezza, per dirigermi verso la mia squadra che mi aspetta all’altro lato dell’accampamento.
Può non sembrare, ma il sottoscritto è di fatto un jonin.
I miei uomini mi guardano in faccia, e sono felice di non vedere segni di paura nei loro occhi. La loro intrepidità mi conforta.
-Andiamo.- dico, perché non c’è molto da dichiarare in situazioni simili, e ad un mio cenno, ci dirigiamo veloci verso l’area B5.
 
 
I miei calcoli erano esatti.
Non appena giunti nel punto più stretto della gola, dove le due pareti scoscese quasi si toccano, i soldati hanno dovuto iniziare a camminare in fila indiana. Lì ci hanno attaccati.
Ho cercato invano di trovare un punto di fuga, una caverna o un luogo dove ripararci, ma alla fine ho semplicemente dato ordine di ritirata.
Quei figli di puttana si trovano al di sopra della gola, e continuano a gettarci addosso pece ed olio bollente, detriti e sassi. Ho già visto morire due dei miei uomini.
Noi altri siamo riusciti a trovare scampo da quella pioggia infernale grazie ad una minuscola insenatura tra le rocce, ma non possiamo rimanere qui per sempre. Prima o poi dovremo fare in modo di tornare all’accampamento, o faremo la fine del topo.
 Mi viene in mente un piano, ma è estremamente rischioso. L’uscita dalla gola dista quasi trenta metri, non è tantissimo ma neanche poco, se voglio che i miei compagni ci arrivino devo creare un diversivo.
Do ordine a Tsutsui, il mio vice, di condurre gli uomini fuori dall’insenatura al mio segnale, e poi di correre più velocemente possibile verso l’uscita. Sembra riluttante a lasciarmi qui, ma obbedisce.
Respiro profondamente, devo essere lucido e calmo.
Cerco di concentrare il chackra sulla punta delle dita, in modo da farle diventare taglienti e più dure del marmo.
Poi, in una pausa della pioggia di pietre, mi fiondo fuori dal nascondiglio e colpisco la parete davanti a me. La scossa è forte, molti dei soldati della Valle cadono, e la pioggia si blocca del tutto.
Ora. Do il segnale, e vedo Tsutsui condurre gli altri fuori dalla strozza. Nel frattempo infliggo alla parete un altro colpo, e una piccola parte della roccia si sfalda, sbriciolandosi. Non posso fare più di questo, altrimenti rischierei di provocare una frana.
Quando sono sicuro che tutti i miei uomini siano fuori, li seguo anch’io, cercando di evitare i proiettili che nel frattempo hanno ricominciato a cadermi addosso. Un getto di olio mi colpisce dritto alla spalla destra, ustionandomi, ma non posso fermarmi. Sarebbe la fine.
Quando esco fuori, la mia squadra conta due uomini in meno e due feriti, ma almeno noi siamo riusciti a sfuggire a quella trappola infernale.
-Bel lavoro, Tsutsui. – mi congratulo, e vedo il suo sguardo ringalluzzirsi per il complimento.
-Taketo-san. – mi chiama un altro.
Mi volto, e il membro più giovane della truppa mi indica con lo sguardo il pianoro.
-Quello non è Tsukijogi-san?
Ha ragione, è proprio lui, che avanza caracollando verso di noi, lasciando dietro di se’ una striscia di rosso vermiglio.
-Merda.
Sono indeciso, so quanto valgono i miei uomini ma non ho voglia di lasciarli a combattere da soli.
Tsutsui mi viene ancora una volta in aiuto.
-Capitano, quei bastardi della Valle li lasci a noi, che li sistemiamo in pochi minuti. Lei pensi a Tsukijogi-san.
Accolgo il suggerimento con un sorriso.
Vedo negli occhi dei miei compagni la gratitudine per il gesto con cui li ho salvati e la volontà ferrea di vendicare i due uomini scomparsi.
-Bene, andate. Se ci dovessero essere problemi, o dovessero superare di troppo le vostre forze, non esitate a ritirarvi. Tsutsui, il comando è affidato a te.
Fa un saluto marziale, ma non ho tempo di rispondergli perché Tsukijogi-san mi sembra ferito troppo gravemente per perdere tempo. Ed infatti, quando lo raggiungo e lo faccio sdraiare, noto che il taglio sull’addome è davvero troppo profondo per poterlo curare.
-Taketo – sibila, con quel poco fiato che gli rimane.
Vorrei dirgli di non fiatare, di risparmiare le forze, ma capisco che se è arrivato fino a qui per parlarmi, la faccenda deve essere seria. Mi rimangio le premure e le lacrime, e tento di decifrare quei gorgogli strozzati che gli escono da bocca, assieme ai continui fiotti di sangue.
-Il kazekage…non è…..il kazekage…morto….
Non capisco.
-Il Kazekage è morto? – chiedo con dolcezza e apprensione.
-Si ma…quello vero….quello falso è vivo…
Il Kazekage…è un falso?!
-Si tratta di…un vecchio ninja di Konoha…ha preso il suo posto…da mesi ormai…
L’ennesimo sbocco di sangue lo costringe a tacere. I miei pensieri sono ingarbugliati, non riesco quasi ad afferrare il significato di ciò che dice, vorrei essermi sbagliato.
-Un ex-ninja di Konoha ha ucciso il nostro kage e ne ha preso il posto?
Nel dirlo sento un brivido scorrermi sulla schiena. Non può essere, penso.
-È così…devi….tu devi…
La voce incespica, si blocca, gorgoglia, prigioniera delle corde vocali, finché Tsukijogisan tace definitivamente. I suoi occhi vacui mi fissano, immortalati in una gabbia di disperazione, ma per lui non posso fare più niente.
Mi è morto tra le braccia e io non posso farci niente.
Per qualche secondo riesco solo a sentire il battito aritmico del mio cuore.
Non può essere, continuo a ripetermi. Non può davvero essere così.
 
Quando riprendo i contatti con la realtà, sto già correndo a perdifiato verso l’accampamento. Anche lì è scoppiata la guerra, le urla si sentono da chilometri di distanza, il terreno è tinto di rosso per gli spruzzi continui di sangue.
Devo dirlo a qualcuno. Devo dirlo prima che le guardie del Kazekage mi trovino e mi uccidano come hanno fatto con Tsukijogi.
La spalla mi brucia, irritata dal sudore e dalla maglia che gratta sull’abrasione. In mezzo alla confusione e al caos del campo di battaglia, vedo una chioma bionda danzare selvaggia in mezzo ad alcuni soldati nemici.
Temari.
Mi è rimasta solo lei. L’unica lì in mezzo di cui possa fidarmi.
Scavalco i cadaveri ammassati disordinatamente ai cigli della distesa, e una preghiera per quelle povere anime martoriate mi sale alle labbra, ma non ho tempo, non ho tempo!
Il drappello di uomini della Valle viene letteralmente scagliato per aria, mentre il suo ventaglio ferma per un attimo la sua diabolica danza. Temari è al centro, sfinita, che si appoggia al masso dietro di se’ per non cadere.
Urlo il suo nome, fra il clangore delle armi e le grida di sofferenza, lo urlo con tutto il fiato che ho in gola, e vedo i suoi occhi voltarsi stupiti verso di me.
Un sorriso di gioia le illumina il viso pallido e scarmigliato.
Lo amo.
Quel sorriso, io lo amo.
Perché finora non gliel’ho mai  detto?  Eppure ho avuto tanto tempo.
Vorrei farlo adesso, ma c’è una cosa più importante.
-Il Kazekage! –grido. –Il Kazekage non è….
Mi blocco.
Ho visto una guardia scivolarle dietro la schiena, una di quelle con la divisa del nostro esercito. Mi fissa dritto negli occhi, con uno sguardo di sfida. Tiene un pugnale corto puntato alle spalle di Temari.
Se parlo la ucciderà.
 
Vorrei urlare, ma non posso.
Se grido che il Kazekage è un falso, c’è la speranza che attorno a me qualcuno lo senta, ma lei morirà. Se non lo faccio, invece…
La guardo.
Vedo il suo viso meravigliato dalla mia interruzione.
Vedo i capelli biondi, sottili come fili d’oro, che brillano sulla distesa color sabbia e sangue.
Vedo il petto morbido alzarsi e abbassarsi al ritmo di un respiro spezzato.
Vedo i suoi occhi profondi come un frammento di giada, mentre si tingono improvvisamente di orrore.
 
Allora abbasso lo sguardo, e scorgo la spada che mi ha trapassato lo stomaco.
 
Oh.
Be’, è ovvio.
Sono rimasto immobile al centro di un campo di battaglia.
Una preda facile.
Cado sulle ginocchia, le forze mi hanno abbandonato tutte insieme.
Sento un rivolo caldo che mi scorre sul mento e so che è sangue.
Sto per morire, eh?
Non ci vedo più, i sensi si stanno affievolendo lentamente.
Mi sembra di essere caduto in una culla nera, il dolore non mi assale nemmeno.
Eppure, come un miraggio lontano, vedo ancora i tuoi occhi.
 
Temari.
Mi spiace di non essere riuscito a dirti di tuo padre.
Mi spiace di non essere riuscito a dirti che sono innamorato di te.
Perdonami.
Le tue lacrime sono salate.
Stai piangendo, per me?
Ah.
Anche se è aspro, ricordatelo, Temari.
Ricorda il dolore di aver amato, perché è sempre più dolce del dolore che causa l’odio.
Io lo ricorderò, dovunque me ne stia andando.
 
Ti ho detto che somigli alla lavanda.
Forse non ero così abile, dopotutto.
Non sono riuscito a distinguere la lavanda da una rosa bianca.
 
Ti amo, Temari.
Addio.
 
 

 
 
 

 
C.I.A:  Salve genteeeeee ^_^ come va? Grazie mille per aver letto anche questo capitolo!
Oggi mi sento particolarmente allegra….sarà che questa parte della storia era talmente deprimente che ho esaurito tutta la mia scorta di tristezza quando l’ho scritta XD
Come avevo già anticipato, questo capitolo non era importante a livello della trama, tranne l’inizio, quando Shikamaru entra a Villa Tenshi. È “importante” per capire il motivo della reticenza di Temari a fidarsi di lui. Ma partiamo dall’inizio.
L’incubo che la poveretta ha quasi tutte le notti, nasce dall’immenso senso di colpa per non essere riuscita a salvare Taketo, che le è praticamente morto tra le braccia. Per questo lui nel sonno le chiede “Cosa mi hai fatto?”; in realtà è il subconscio di Temari che non fa altro che auto colpevolizzarsi.
Per quanto riguarda il motivo per cui lei non ha voluto chiamare Shika in soccorso, non so se sono stata in grado di farlo capire bene…principalmente c’è di mezzo la sua paura di soffrire di nuovo, casomai qualche chiarimento in questo senso lo metterò più avanti nella storia.  
All’inizio volevo raccontare tutto dalla prospettiva di Temari, però poi ho cambiato idea. Ho adottato la visuale di Taketo per cercare di renderlo più vicino al lettore o alla lettrice, non so se ho fatto bene, ma spero che la cosa vi sia piaciuta almeno un po’. Se vi può consolare, io ho pianto tantissimo scrivendo questa parte, perché mi ero affezionata a lui XD
Mi scuso anche per i tempi di aggiornamento, ma purtroppo io scrivo ogni capitolo di volta in volta e quando devo pubblicarlo mi faccio venire le peggiori fisime ^__^ in particolare questo, è stato “delicato”, perché volevo vedere quanto riuscivo a far emozionare il lettore. Spero sotto sotto di esserci riuscita *_*
E ora…le recensioniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii !!
 
RollyToo: *_* grazieeeeeeee….vabbè, ormai ti sarà chiaro che le tue recensioni sono uno dei supporti principali di questa storia (e della sua autrice! XD) sono felice che lo scorso capitolo ti sia piaciuto. In effetti il mio obbiettivo è scandagliare bene la psiche di Shikamaru e Temari, e per questo gli scontri sono necessari, perché è attraverso la rabbia che secondo me esce fuori la vera essenza di una persona. Per quanto riguarda la curiosità sul flash back di Temari, per accontentarti ho inserito la stessa vicenda raccontata da Taketo, spero che ti sia piaciuta J  (se non è così sentiti libera di dirmelo apertamente!!) Sono felicissima di vedere che il mio stile riesce a farti emozionare (cioè, sono più che felice, ma non so come esprimerlo XD) Chiedo venia per il tempo che ci ho messo ad aggiornare, in via generale sappi che cercherò di pubblicare due capitoli al mese, anche se non so darti una data precisa :-D allora a presto, spero che mi dirai anche cosa pensi di questo capitolo!! Grazie mille ^_^
 
SabakuNoMe: Ciaoooooooooooooo!! Grazie mille per la tua recensione, gentile e incoraggiante come sempre *_* Mi scuso per non aver aggiornato prima, però questo capitolo ha richiesto più cure degli altri e non so neanche quante volte l’ho riscritto XD
Hai ragione, Temari è troppo orgogliosa per chiedere aiuto a Shika, ma in parte la sua reticenza è dovuta anche alla paura di soffrire. Comunque, che ne pensi di questo capitolo? I fazzoletti ti sono serviti? Spero che ti sia piaciuto!! *_* A presto allora, grazie ancora!
 
Pantesilea: meglio tardi che mai!!! XDXD scherzo, mi fa piacere che tu abbia fatto caso anche ad un simile dettaglio :-D Grazie mille per i complimenti sul capitolo precedente, in effetti avevo pensato che fosse un po’ troppo lungo, però la tua recensione mi ha sollevata. Di questo invece non so che dirai…..è chilometrico!! Avrei voluto accorciarlo ma non sapevo come fare, avevo paura di non riuscire a farvi amare Taketo. Dimmi, sono stata ridondante? Dillo pure apertamente se lo pensi, eh! XD La scena dello scontro verbale tra Shika e Tema e quella che mi ha richiesto più energie, perciò sono doppiamente contenta che ti sia piaciuta *_* Per quanto riguarda le tue deduzioni…mhm….non posso anticiparti nulla, però sappi che non è proprio un granchio reale!! XDXD Allora a presto, e ancora grazie!!
 
 
Curiosità, Spiegazioni e qualche Spoiler
Avrete sicuramente notato che spesso in questo capitolo compaiono i fiori. Il motivo è che ultimamente ho letto un libro, “Il Linguaggio Segreto dei Fiori”, bellissimo, che parlava appunto del significato di ogni pianta e mi sono appassionata XD Poi a Temari piacciono le piante, quindi la cosa calzava a pennello u.u
Inoltre, per non dimenticare che sempre di Naruto stiamo parlando, ho portato in scena anche Orochimaru, al tempo in cui si travestiva da Kazekage. :-D
La rosa bianca, come Taketo giustamente ricorda, significa “Cuore puro che non ha mai amato”, perché Temari ha sperimentato molti sentimenti negativi, come l’odio, l’abbandono e la solitudine, però non aveva mai amato, fino al suo incontro con Tacchan (si, gli ho dato anche un soprannome XD)
Il colore di questo capitolo, infine, è “Blu Acquamarina” perché nel brano precedente avevo detto che era questo il colore degli occhi di Taketo. J
 
Nel prossimo capitolo si riprenderà il filone principale: Shikamaru scoprirà uno dei misteri di Villa Tenshi, mentre Temari affronterà il suo amore (letteralmente!).
A presto allora!!
Kisses
 

 
 
 

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Capitolo 6
*** Nero Notte - Sentimento di Crisalide ***


I Ricordi delle Ombre
Capitolo VI
 
Nero Notte – Sentimento di Crisalide
 

 
Kumakoro – Villa Tenshi
Ore 1:20
 
 
Quando il pesante battente rettangolare si aprì, reagendo allo sforzo con un lugubre mugugno di cardini arrugginiti e pannelli scricchiolanti, le narici del giovane jonin furono assalite da un acre odore di umidità e polvere, un tanfo di abbandono e trascuratezza tipico delle grandi residenze lasciate a decomporsi. 
Il puzzo asfissiante  lo costrinse ad arretrare, cercando un alito di aria fresca, mentre i suoi occhi si abituavano lentamente al buio ghiacciato che regnava dentro Villa Tenshi. 
Benchè  infatti la serata fosse mite e soffiasse una brezza piacevole, l’interno del grande palazzo di pietra emanava ondate di placido gelo, che lambirono il corpo di Shikamaru come una viscida e tremolante carezza.
Il Nara soppresse a stento un sospiro; poi trasse dallo zaino una lunga candela di cera e l’accese con un piccolo acciarino grigio, uno dei pochi ricordi di Asuma sensei che gli erano sopravvissuti.
Era l’ultima fiaccola rimastagli: le altre tre che si era portato le aveva consumate nell’ affascinante esplorazione notturna dell’ex cimitero di Sun’johara.
 
Ci aveva messo un po’ a capirlo, in effetti.
Probabilmente non ci sarebbe mai neanche arrivato se, la notte prima, quella cosa non si fosse introdotta in camera sua per torturarlo con quei dannati incubi.
A quel punto era stato relativamente facile elaborare un piano per il contrattacco, e in questo era stato aiutato dallo stesso fantasma scarlatto.
“Temari ne andrà pazza…se non mi uccide prima.”
 
Pochi spilli giallognoli trafissero l’oscurità maleodorante davanti a lui, proiettando un’ombra dalle fattezze contorte sui muri cavernosi e gocciolanti lacrime di umidità.
Persino il respiro sembrava amplificarsi sotto la grande volta nera, tanto che aveva quasi la sensazione di essere circondato da un’altra decina di persone che gli respiravano addosso.
Dopo qualche secondo di incertezza, stringendo più forte la candela che aveva cominciato a sciogliersi in goccioloni pallidi sulla mano e sul pavimento, fece qualche passo nell’atrio della sala.  L’istinto gli suggeriva l’ esistenza di una minaccia pericolosa e antica, ancora acquattata nei recessi di quella villa; un’entità sfuggevole, un’ombra nera nella notte, un suono indistinto come un singhiozzo portato dal vento. 
Se le sue deduzioni erano giuste – e generalmente lo erano – lo spettro cremisi non era da considerarsi un reale nemico: tutto quello che aveva fatto era stato provare ad attirarli lì per due volte: la prima il giorno del rapimento di Aya, e la seconda quelle mattina stessa.
E, sempre se l’intuito non l’ingannava – perché da quel punto in poi la logica andava decisamente a farsi benedire – quell’essere era forse l’alleato più fidato sul quale potesse contare al momento, eccetto Temari.
 
La fiamma guizzante della candela illuminò un lungo scalone di pietra, che dal centro della sala conduceva direttamente ai piani superiori. A destra del corrimano, un oscuro corridoio serpeggiava sotto la scala per arrivare chissà dove.
Shikamaru decise di iniziare l’esplorazione ai piani superiori, dove aveva più possibilità di trovare qualcosa di interessante. Percorse velocemente i gradini, sollevando nuvole di polvere e disapprovati squittii ad ogni passo, fino ad arrivare al primo ed unico pianerottolo. Rimase sorpreso nel constatare che, nonostante le imponenti dimensioni della casa, le camere erano solo cinque, più un bagno.
Ancora più strano fu notare che tutte erano desolatamente vuote; non abbandonate, parevano piuttosto mai state usate.
Ogni stanza era enorme; una fungeva da biblioteca, per quello che riuscì a intravedere nel buio; era una grossa sala circolare corollata da scaffali lunghi sino al soffitto e qualche scrivania disposta qua e là. Su un paio di tavoli scorse dei libri ancora aperti.
Con cautela, avanzò nel cerchio incerto della candela fino al primo scrittoio, dove tre volumi rilegati in pelle erano appoggiati l’uno accanto all’altro, insieme ad una pila disordinata di appunti, scritti in una grafia fitta e quasi illeggibile.
Con un polpastrello calcò prima la superficie del legno e poi quella delle copertine: neanche un filo di polvere.
Quindi dopotutto, questo posto non è disabitato, anche se qualcuno vuole che si pensi così. Per questo, mentre qui è pulito, il salone è ridotto in quello stato.”
Si sporse a leggere i titoli dei testi. Si trattava di saggi di stampo prettamente medico, trattati di biologia, anatomia, studio della decomposizione dei corpi.
 Quest’ultimo argomento occupava anche molti dei fogli di appunti, unito a considerazioni circa la natura di alcuni esperimenti, fatti con – e su -  cadaveri.
Il Nara non poté reprimere un brivido, mentre un presagio dentro di lui cominciava a mettere a posto alcuni tasselli di quel diabolico scarabeo.
Una goccia di cera bollente gli ricordò che non aveva molto tempo: la candela si stava consumando rapidamente.
Fece dietrofront e ritornò all’esplorazione delle altre camere: nessuna si rivelò interessante come la biblioteca, avevano tutte l’aspetto dimesso di una macchina ben progettata e poi lasciata inutilizzata.
Nessun segno di personalizzazione, i mobili e l’arredamento erano intonsi come se lì non ci avesse mai abitato nessuno.
Solo una stanza si distingueva dalle altre, la seconda a sinistra, perché al posto del baldacchino aveva un comune letto senza spalliera, addossato alla parete ed ancora sfatto. Inoltre, così come la biblioteca, non presentava traccia di polvere.
Il ragazzo si avvicinò al modesto giaciglio, cercando qualche documento o fotografia; ma non trovò niente, ad eccezione di una grossa cassetta nera.
Tentò di aprirla, ma era chiusa con una serratura troppo complicata: persino il suo genio avrebbe impiegato un po’ ad individuare la combinazione giusta. L’agitò delicatamente per carpirne il contenuto, e sentì chiaramente dei piccoli oggetti metallici sbattere l’uno contro l’altro.
Monete?
Shikamaru tornò al piano inferiore, sentendosi leggermente euforico. Aveva avuto la prova che le sue intuizioni erano esatte, anche se il pensiero di quel che ciò avrebbe significato per lui non lo entusiasmava.
Stavolta imboccò il corridoio. Camminò per qualche minuto alla luce della candela che si faceva sempre più fioca, lasciando poco a poco che l’ oscurità riprendesse il sopravvento. Quando ormai il cerchio dorato attorno alle sue dita stava per spegnersi, s’imbatté in una porta di scrostata vernice verde.
Lentamente spinse la maniglia, che ruotò sui cardini indolenziti con un rumore lugubre da scena di film horror.
La stanza era una grossa cucina, con due grandi tavolacci al centro, un’enorme dispensa, un angolo dove erano stipate poche botti scheggiate, e tre ripiani cottura.
Per scrupolo di coscienza, il giovane jonin decise di setacciare anche quella sala, ma non ci trovò assolutamente niente se non un’intera famigliola di topi, morti di vecchiaia o forse di fame.
Anche lì la polvere e la dimenticanza regnavano indisturbate, mentre nelle credenze cigolanti non c’era traccia di cibo né di stoviglie.
Lo stoppino della candela aveva finito di agonizzare, così Shikamaru lo spense con due dita e lo gettò lontano.
Nel momento in cui le tenebre tornarono ad occultargli la vista, un gelido alito di vento gli sfiorò la schiena, facendolo rabbrividire.
Nonostante il freddo mortuario della Villa, sentì una goccia di sudore scivolargli dalla tempia, mentre con ostentata calma si frugava le tasche in cerca dell’accendino.
Lo aprì con uno scatto secco, che risuonò come una frustata nell’aria torbida.
Dentro di lui l’inquietudine si acuì, diventando dolorosa come una pugnalata sotto le costole.
Mi sta osservando.
Era la stessa cosa dell’altra notte, il suo sangue di Nara lo avvertiva distintamente.
Domina le ombre.
Rimase fermo per qualche secondo, aspettando un attacco che non venne. Il ragazzo cercò di mostrarsi impassibile, controllando le emozioni del viso.
Forse vuole vedere fin dove arrivo. Ottimo, perché c’è ancora una cosa che devo controllare.
Mosse qualche passo cadenzato in avanti, urtando il piede contro un oggetto metallico e freddo.
Abbassò appena l’acciarino per controllare: era l’anello di una botola sul pavimento.
Per un secondo la soddisfazione vinse persino sulla paura.
Trovato.
Si chinò, reggendo l’accendino con una mano e tirando con l’altra il batacchio, conscio di essere tenuto sotto controllo dalla presenza accanto a lui.
Un piccolo quadrato di legno, grande abbastanza da permettere il passaggio di un uomo di medie proporzioni, si sollevò dal terreno. La fiammella tremolante gli mostrò una ripidissima scala a chiocciola, il cui percorso di perdeva nel buio cupo del piano sotterraneo.
Shikamaru iniziò a scendere, badando bene di tenere sempre la fiamma alta per non inciampare.
Non è proprio il caso di facilitargli ulteriormente il compito. pensò.
Arrivato all’ultimo gradino, sentì molto al di sopra di se’ il tonfo della botola che si rimetteva a posto.
Mi ha chiuso dentro.
Cercò di dominare il panico, sforzandosi di pensare che, in fondo,  anche quello era previsto.
 
Finita la scala, si ritrovò in uno spazio ovale, di dimensioni enormi, che doveva coprire una buona parte della pianta nascosta della Villa.
Individuò alla sua destra un interruttore, e lo premette, riportando in vita due opache lampadine al neon, che illuminarono l’ambiente poco e male.
Capì che si trovava in un laboratorio.
Nella penombra dilagante, due tavolacci di legno grezzo erano occupati da provette, arnesi dalle funzioni sconosciute, contenitori di tutte le dimensioni, creme in tubetti, bende, bottiglie traboccanti sostanze e liquidi colorati, e vari fornellini elettrici.
Dal tutto si alzava un costante e amarognolo odore d’alcool e disinfettante, benché non ci fosse in giro neanche una sola goccia di sangue, almeno per quel che poteva vedere.
Il jonin si avvicinò ai tavoli e notò che, mentre alcune cose sembravano abbandonate lì per decenni, altre, al contrario, erano quasi nuove.  
Questo lo lasciò interdetto: c’era ancora un piccolo dettaglio, nel suo brillantissimo e preciso quadro, che non tornava, e non poteva lasciare che il piano procedesse senza prima aver capito e studiato ogni possibile variabile.
Il suo sguardo venne attirato da un debole pulsare in fondo alla sala: una tenue luce verde che sembrava provenire da una grossa vasca di metallo.
Shikamaru sentì la presenza farglisi più vicino; scattò in avanti in direzione del contenitore, ma si arrestò pochi metri prima di finirci dentro.
 
Quando i suoi occhi incontrarono il contenuto della piscina, fu come la stanza finale di una lunghissima e triste ballata.
Il ragazzo non ebbe tempo di sorridere né di inorridire, perché in quell’ istante un colpo violento alla nuca gli confermò che la sua intuizione era stata esatta.
 
Adesso tocca a te, Temari.
 
 
 
Sun’johara – Locanda
Ore 2:30
 
Non aveva avuto incubi quella notte.
Nessuna immagine molesta, nessun volto rigato di sangue né parole accusatorie nei suoi confronti. Nulla.
Eppure, nonostante la calma e la serenità che aveva raggiunto, dopo tanto tempo, sembrava che il destino non volesse proprio concederle neanche un minuto di requie.
Temari scacciò le coperte con uno strattone e scivolò fuori dal futon, rabbrividendo mentre i piedi nudi passavano dal caldo confortevole  delle coperte al gelo inospitale dei tatami.
Aveva cercato di dormire, e per qualche ora ci era anche riuscita, in verità: ma poi il sonno aveva deciso di abbandonarla, lasciandola sola a confrontarsi coi suoi fantasmi.
Ripensare a Taketo, dopo tutti quegli anni in cui si era vietata anche solo un ricordo, un accenno vago a lui, era stato doloroso, come riaprire una ferita.
 Ma era stato anche incredibilmente benefico e liberatorio.
Come una piaga cucita male, dai cui punti continuava a colare pus velenoso; adesso quel taglio era stato disinfettato e i punti rimessi daccapo; e forse, prima o poi, si sarebbe rimarginato del tutto.
La ragazza si sfiorò gli occhi pesti e i capelli scombinati: aveva pianto, quella notte, aveva pianto come quando da bambina non capiva il mondo attorno a lei, non capiva le occhiate stranite dei suoi concittadini, la freddezza di suo padre, l’assenza vuota di sua madre.
Le lacrime che col tempo erano diventate macigni pesanti nel suo cuore si erano disciolte ed erano  filtrate via, purificandola da tutta la sua amarezza e senso di colpa.
Si sentiva stanca e stremata, ma anche serena.
L’unico neo era rappresentato dal litigio con Shikamaru. Ora ammetteva la sua stupidità nell’ avergli risposto a quel modo, ma ancora non se la sentiva di confessare apertamente il proprio errore.
Sapeva che la vera barriera tra loro due era il suo orgoglio; eppure non riusciva a comportarsi diversamente.
Percepiva la fierezza che la racchiudeva come un bozzolo protettivo, una crisalide dorata e più dura dell’acciaio, che permeava il suo cuore rendendolo immune alla sofferenza.
Come una crisalide, però, Temari riconosceva di essere immatura, completa a metà; il prezzo da pagare per l’immunità dal dolore era stata l’acerbità dei sentimenti, la freddezza verso qualsiasi forma o dimostrazione d’amore.
Persino la sua amicizia con il giovane Nara era un perfetto gioco di equilibri tenuto sul filo del rasoio: mai esporsi troppo, per non tagliarsi; mai indietreggiare, per non rompere il filo; mai avanzare, per non cadere nel baratro.
Ma ormai non pensava più che tutto potesse continuare a quel modo.
Lui aveva fatto dei passi verso di lei: la sua preoccupazione discreta per non umiliarla; i suoi silenzi calmi per dimostrarle fiducia, l’ironia o il sarcasmo per farla divertire, le chiacchiere per distrarla dai pensieri cupi; e la rabbia, soprattutto la rabbia, per dirle che ci teneva a lei.
La ragazza si appoggiò al muro, sentendo un piacevole calore insinuarsi dentro, riscaldarla come un raggio di sole in una giornata di neve e ghiaccio. Era felice.
Era felice di sapere che lui, in qualche modo, si preoccupava per lei. E questo era inaspettato, perché fino a poco tempo prima il pensiero l’avrebbe mandata in bestia.
La sua crisalide stava cominciando a sfasciarsi, ma Temari ancora non sapeva se dentro a quell’involucro avrebbe trovato una farfalla o il cadavere rinsecchito di un vecchio bruco.
Ebbe voglia di vedere Shikamaru.
Di parlargli, di capire. Di trovare in quegli occhi calmi e tranquilli la risposta di cui aveva bisogno.
Cos’è che voglio davvero?
Voglio lui. Lo voglio.
La sua mente rinnegò quel pensiero subito dopo averlo partorito, e lei se ne allontanò, spaventata, come da una dolorosa scottatura.
No, non è vero.
Cercò di convincersene, ma dentro sentiva che qualcosa era cambiato, che non avrebbe più potuto pensare a se stessa, o a lui, come aveva sempre fatto.
Un bruco può diventare farfalla, ma una farfalla non potrà mai ritrasformarsi in bruco.
Il cuore le batteva a singhiozzo, si sentiva confusa, febbricitante.
Era un sentimento molto diverso dalla sicurezza pacifica e placida che le aveva comunicato in passato la presenza di Taketo.
Se lui era stato l’acqua che aveva spento la rabbia dentro di lei, ora Shikamaru era il fuoco che riaccendeva ogni emozione, sensazione, pulsione più intima del suo essere.
Erano affetto, gentilezza e felicità, contro passione, complicità, e attrazione.
Era amore?
Temari rabbrividì. Non è ancora il momento.
No, non era pronta. Non ancora.
Tornò a letto quasi di corsa, desiderando annegare quei pensieri nella fluida quiete del sonno.
Appoggiò il viso bollente al cuscino, tirò le coperte, chiuse gli occhi nel buio nero della notte senza stelle.  
 
Sarebbe rimasta in quella posizione per probabilmente tutta la notte, se un urlo infantile non avesse inciso l’aria attorno a lei.
Il grido durò pochi istanti, ma fu abbastanza raggelante da toglierle ogni parvenza di sonno.
Si alzò di nuovo, afferrando il ventaglio con una mano e spalancando le imposte della finestra con l’altra.
Da lontano vide Sun’johara animarsi di luci e suoni, mentre una certa fiammella rossa danzava scatenata al centro della piazza del villaggio.
La kunoichi non perse tempo a vestirsi: si slanciò fuori dalla finestra, atterrando con la grazia di un felino sul terreno rugiadoso, e cominciò a correre veloce verso la cittadella, maledicendo la posizione così fuori mano del suo alloggio.
Invece di entrare direttamente a Sun’johara, decise di anticipare le mosse del rapitore: all’ultimo secondo scattò verso la foresta, fermandosi di fronte alla prima schiera di alberi.
Estratto il ventaglio, aspettò pazientemente finché l’alone rossastro non fu a pochi metri da lei: allora riconobbe la figura minuta di un bambino, spietatamente appeso per le braccia e privo di sensi, che levitava a qualche centimetro dal suolo senza che nessuno lo tenesse.
 
Per qualche secondo nessuno si mosse; poi, all’improvviso, la ragazza scartò di lato, mentre poco dietro di lei qualcosa di enorme sbatteva contro gli abeti della foresta, sradicandone uno.
Un altro colpo a qualche millimetro di distanza dal suo naso mandò in frantumi un grosso spuntone di roccia, che si sgretolò al suolo come un castello di sabbia secco.
Temari continuò a muoversi forsennatamente, cercando di accostarsi al bambino e, allo stesso tempo, di non farsi colpire.
La cosa non era semplice perché ciò che l’attaccava non avevo corpo: lo spettro rosso infatti continuava a volteggiare a mezz’aria senza neanche avvicinarsi a lei, mentre una strano concentrato nero, velocissimo, la bombardava di colpi che schivava per un pelo.
Non lo aveva notato la prima volta, troppo occupata a tenere d’occhio lo spirito cremisi, ma c’era un’altra presenza lì con loro: ed era quella che la stava attaccando così selvaggiamente.
Non poteva prevedere sempre la traiettoria del colpo, ma con la coda nell’occhio notava qualcosa, una macchia nera, che dal suolo si staccava slanciandosi verso di lei.
Alla fine, un’intuizione fulminea rimise le cose al loro posto.
 
Stava combattendo contro un’ombra.
 
Ricordò la notte prima, quando, passando davanti alla casa dove era stata rapita la ragazza, aveva avuto la sensazione che ci fosse un dettaglio sbagliato.
Il sangue. Era quello che mancava.
Aveva visto Ayasan sanguinare abbondantemente, mentre il liquido rosso si riversava a fiotti sulla strada; ma quando era tornata lì, dopo al massimo un’ora, il terreno non presentava neanche una minuscola macchiolina. E non poteva certo essere stato lavato.
L’ombra lo aveva…bevuto?!
 
Un albero accanto a lei esplose, seminando schegge nel raggio di venti metri. Temari si allontanò di corsa, approfittando della pausa tra un attacco e l’altro per avvicinarsi al bambino.
Il fantasma cremisi si voltò verso di lei, ma non accennò nessun tentativo di fermarla: la lasciò fare mentre afferrava il pallido corpicino e lo riportava a terra.
Fortunatamente spirava un vento calmo ma costante: poté aprire il ventaglio e portarsi ad una quindicina di metri d’altezza, fuori dalla portata dei due spettri.
Con lo sguardo frugò la strada, imbiancata dalla spettrale luce della luna, nel tentativo di individuare il nemico.
I suoi occhi però non incontrarono altro che le placide ombre della notte, spalmate sul terreno e apparentemente innocue, mentre lo spirito scarlatto, ancora immobile, la fissava con il suo viso cavo.
Dopo qualche minuto, si accorse che la corrente che le forniva appoggio si stava sfaldando, così ruotò il ventaglio per dirigersi verso un altro flusso d’aria, che spirava con più forza verso la foresta.
In quel momento, l’essere cremisi cominciò ad agitarsi.
Si sollevò di qualche metro, senza riuscire a raggiungerla, roteando i disossati arti come per attirare la sua attenzione.
La giovane lo guardò, cercando di capire, ma l’illuminazione le giunse troppo tardi.
In un attimo, dall’oceano nero di alberi e piante si alzarono due braccia arboree, due lunghi serpenti di arbusti e fronde, che si scagliarono immediatamente contro di lei.
Allibita dall’improvvisa metamorfosi della foresta, Temari scartò di lato, scansandoli, ma un ramo laterale si impigliò nella stoffa del ventaglio, provocando una lunga lacerazione nel tessuto bianco.
La pressione dell’aria cominciò subito a diminuire, portandoli ad ondeggiare come una barca in balia di una tempesta monsonica, del tutto fuori controllo.
La kunoichi sfruttò l’oscillazione per allontanarsi poco a poco dal nucleo della selva, schivando le oblunghe serpi che grottescamente cercavano di colpirla, ma non poté evitare che qualche colpo andasse a segno.
Cercò di incassarli come meglio poteva, ma  il ventaglio continuava asubire danni sempre maggiori: avrebbe finito col distruggersi in breve tempo.
La ragazza si sforzò di radunare tutta la calma che le era rimasta per formulare un piano decente.
Non sarebbe riuscita ad uscire in tempo dall’area boschiva, e non poteva neanche evocare Kamatari: la Tecnica dell’Evocazione richiedeva chackra e concentrazione, e lei non poteva distrarsi un secondo o sarebbe stata spazzata via.
Rimaneva solo una cosa.
 
Non era decente come piano, anzi, era la cosa più lontana da un piano che avesse mai formulato.
Era una scommessa suicida.
Sicuramente a Shikamaru sarebbe venuta in mente un’idea migliore.
Ma lui non c’era, perciò pazienza.
 
Velocemente, afferrò il bambino e lo strinse forte al petto, sperando di riuscire a proteggerlo col suo corpo. Poi, osservò una delle braccia contorcersi e slanciarsi verso di lei.
Non si mosse.
Rimase ferma fino ad un secondo prima di essere colpita; all’ultimo istante alzò il ventaglio, sfilandoselo da sotto i piedi, e si spostò a destra, un millimetro più indietro del serpente vegetale.
L’ imponente barriera d’aria generata dal movimento del mostro si scontrò con le parti intatte dell’ arma, spedendola lontano di un centinaio di metri.
Fuori dall’area della foresta, appena prima delle mura di Sun’johara.
Temari si sforzò di tenere gli occhi aperti e, quando vide avvicinarsi il terreno giallognolo della cittadina, manovrò il ventaglio per frenare la caduta.
Funzionò.
Atterrò sul lato destro, proteggendo la ferita al fianco e alla gamba, e stringendo forte il bimbo per non fargli accusare il colpo.
La sua adorata arma, invece, finì direttamente sul terreno ghiaioso con dei trick track  estremamente scoraggianti.
La giovane si rialzò, a fatica, e controllò che il piccolo respirasse ancora. Era pallido, ma non ferito, e sembrava solo profondamente addormentato. Il visino gli si contraeva in smorfie insoddisfatte o disperate, che suggerivano che probabilmente stava facendo un incubo.
Incubo?
Temari lo scosse, delicatamente. Quando vide che non si svegliava ripeté il gesto con più forza, finchè due annebbiati occhi neri si posarono su di lei.
Non appena ebbe realizzato di non essere nel suo letto, il bimbo prese a piangere disperato, mugugnando il nome della madre, del padre, del fratello, della sorella e del cane.
Non poteva avere più di sei anni, perciò la ragazza cercò di usare tutta la sua dolcezza per cavargli fuori qualche parola sensata. Non fu facile, dal momento che sapeva di avere un aspetto tutt’altro che rassicurante, coi capelli sconvolti e incrostata di sangue  e fango.
Alla fine però riuscì a calmarlo.
-Mi porti dalla mia mamma? – la pregò il bambino.
-Ti ci porto subito. – lo rassicurò. – Ma prima, dimmi: stavi avendo un incubo?
-Si, un brutto sogno.
-Ti ricordi cosa è successo?
Lui scosse poco la testa con fare pensoso.
-Stavo dormendo in camera, stavo contando le pecorelle come mi ha insegnato il nonno…Poi ad un certo punto è cominciato il brutto sogno. C’erano mamma, papà, Mika e Shoji…e anche Pako…e piangevano, e c’era qualcosa di brutto….come quando è morta la nonna, o quando è andata via Ayachan…
Gli occhi si rifecero lucidi, così Temari non insistette.
-D’accordo, allora adesso andiamo da loro, va bene? Saranno molto preoccupati.
Lo prese per mano, scoccò un’occhiata rassegnata al ventaglio, raccogliendolo con quanta delicatezza aveva, e si diresse verso il centro del villaggio.
Non dovettero camminare molto: dopo qualche minuto una folla venne loro incontro, armata di torce e di ogni genere di arma contadina.
A vedere quella gente spinta dal proprio coraggio verso una morte quasi certa, la kunoichi provò un inaspettato moto di tenerezza.
Non va bene. Mi sto decisamente rammollendo.” Pensò.
 Il bambino individuò in quella folla il padre, e si slanciò verso di lui emettendo gridolini.
Allora tutti si fermarono, sbigottiti; molti lasciarono cadere le armi, alcuni piansero, altri fissarono sorpresi Temari che si era arrestata a poca distanza.
Lei però non era decisamente dell’umore adatto per partecipare ai festeggiamenti generali; approfittò della situazione per sgusciare silenziosamente verso la locanda.
“Anche Shikamaru ha avuto un incubo la notte scorsa. Possibile che la cosa che si era infilata in camera sua fosse quell’Ombra?
Questo complica tutto. Non posso accettare che sia una semplice proiezione di un corpo.
E se fosse il demone di cui parlava Chie? È assurdo, lo so, ma in tutta questa storia ormai non c’è più neanche un briciolo di sensatezza. A questo punto mi va bene anche un demone, purché ci sia una spiegazione.
Certo è che la foresta non si è animata da sola.
È così potente da poter condizionare anche oggetti inanimati?”
Lo scoramento, residuo del netto calo di adrenalina, la colpì in pieno. Se davvero le cose stavano così, allora lei e Shikamaru avrebbero potuto fare ben poco. Aveva una certa esperienza di demoni – diciott’anni con un fratello indemoniato insegnano – e sapeva che per risolvere quel problema non erano adatti. Non erano fisicamente in grado di farcela.
 
Continuò a rimuginare in questo modo finchè non fu arrivata alla porta di camera sua. A quel punto esitò: doveva andare a parlare con lui.
Erano comunque in squadra insieme. Farsi prendere da qualche sciocco sentimento di imbarazzo sarebbe stato mortificante per lei.
Forse lo avrebbe trovato ancora un po’ alterato, ma pazienza. Magari in due avrebbero messo su una strategia.
Si voltò e si diresse decisa verso la stanza del ragazzo, rinunciando anche a sistemarsi capelli e ferite: lui l’aveva vista in condizioni peggiori. I suoi passi rimbombarono decisi nel corridoio tetro; ma ad un tratto un altro rumore si sovrappose al ticchettio monotono dei sandali, ed era un suono cupo di metallo sonante.
Temari accelerò il passo, coprendo in pochi secondi la distanza che la separava dalla porta, giusto in tempo per vedere un’ombra scivolare sul muro e poi svanire.
Un brutto presentimento l’assalì.
Un’inquietudine assillante le falciò il respiro e aumentò i battiti nel petto, mentre scattava veloce verso la camera di Shikamaru.
La porta era aperta, di lui nessuna traccia.
La ragazza rimase interdetta per qualche istante, incapace di assorbire con esattezza ciò che era successo, poi il suo sguardo fu attirato da qualcosa che brillava sfrontatamente sulla superficie nivea del letto.
Si avvicinò per controllare.
 
Erano monete d’oro.
 
 
 
 
 
 
C.I.A 5:  Salve a tutti!!
 
Per prima cosa, chiedo infinitamente perdono per il ritardo di questo aggiornamento.
Non era mia intenzione far trascorrere quasi un mese, ma dal primo settembre in poi non ho avuto neanche un attimo di respiro: ho scritto questo capitolo approfittando di poche mezz’ore che riuscivo a ritagliarmi ogni tanto, ed infatti qualitativamente parlando non sono soddisfatta di ciò che ho scritto. ._.
Avrei voluto limarlo un altro po’, ma veramente avrei impiegato troppo tempo, quindi alla fine l’ho pubblicato così com’è, sperando non faccia troppo schifo XD
Dunque, in questa puntata Shikamaru entra a Villa Tenshi, secondo il suo piano…chissà quale sarà XD?
Temari invece si è guadagnata un po’ di stima da parte degli abitanti di Sun’johara…e ha fatto un po’ di chiarezza tra i suoi sentimenti, anche se non completamente.
Posso anticipare che da questo momento in poi i momenti ShikaTema ci saranno, ma saranno di meno e più intensi, perché la storia prenderà una piega più dinamica (leggete: sangue e battaglie).
E ora, le recensioni *_*
 
SabakuNoMe:  sei sempre la prima *_* mi fa piacere che tu abbia pianto – nel senso buono della cosa, cioè. Hai ragione, Temari si auto colpevolizza in maniera eccessiva, ed è questa sua sfiducia prima di tutto in se’ (e nella sua incapacità di proteggere gli altri) che ostacola il suo rapporto con Shikamaru. Anche se in quest’ultimo capitolo qualcosa è cambiata XD Taketo è un bel personaggio in effetti, tra i miei preferiti (e certo, l’ho creato io v.v) mi spiace avergli fatto fare quella fine. Allora aspetto con ansia una tua recensione! A presto!
 
Pantesilea: sono infinitamente commossa dall’interesse che stai mostrando per questa storia, sul serio. Sapere che c’è qualcuno che ci tiene così tanto mi rende molto felice, spero che tu non sia rimasta delusa da questo capitolo XD
Si è capito che il precedente ti è piaciuto e ne sono contenta. Che ti abbia commosso è per me una bella soddisfazione; mi piacerebbe davvero sapere quali sono i tuoi pensieri sul punto di vista di Taketo, se vuoi inviarmi qualche messaggio privato fallo senza problemi: di sicuro non rischi di farmi spoiler XD
Detto questo, spero di ricevere al più presto una tua recensione. Un abbraccio!
 
RollyToo:  ti ringrazio molto per le gentili parole della tua recensione, e ti ringrazio doppiamente per la piccola critica all’episodio di Taketo. La verità è che quando ho cominciato I Ricordi delle Ombre, il passato di Temari doveva essere diverso; ma poi la trama si complicava decisamente troppo e io stessa avrei avuto difficoltà a gestirla, quindi ho optato per un cliché meno problematico.
Se c’è stata una piccola delusione da parte tua mi spiace, ma sono contenta che me l’abbai detto così non farò più quest’errore! XD Shikamaru potrebbe scoprire qualcosa, oppure rimanere all’oscuro, ma questa è una cosa che deciderò più avanti :-D Invece per la reazione di Temari mi sono ispirata al personaggio dell’anime più che del manga, cercando di rimanere più fedele possibile. Sono lieta che ti sia piaciuta ^_^
E grazie ancora per  i complimenti sullo stile! Purtroppo, dal momento che in questo periodo sono stanza, so di non essere riuscita a mantenere lo stesso livello in questo capitolo, ma cercherò di rifarmi! A presto allora! *_*
 
Curiosità, Spiegazioni e Qualche Spoiler:
 
Purtroppo, a causa degli impegni, non posso promettere una data precisa per l’aggiornamento o una regolarità, ma posso impegnarmi per cercare di pubblicare almeno due capitoli al mese.
I capitoli che seguiranno richiederanno particolare cura dalla sottoscritta, perché finalmente i misteri si chiariranno e non posso lasciare nulla in sospeso.
Il prossimo sarà ugualmente un capitolo “di passaggio”, ma ci saranno un paio di sorprese abbastanza consistenti ^_^ dall’ottavo in poi, però, sarà molta più azione perché una parte del mistero verrà chiarito, mentre alcuni dettagli si capiranno solo negli ultimi due episodi.
Allora a presto (spero!)
Grazie per aver letto anche questo capitolo!
Lovelykim  

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Capitolo 7
*** Argento Vivo - Incognita ***


I Ricordi delle Ombre
Capitolo VII
 
Argento Vivo – Incognita

Sun’johara –Locanda
Ore 2.45
 
I piccoli cerchietti di metallo sfavillavano di un caldo bagliore, che risaltava ancora più nettamente sulla tinta bianca del lenzuolo. Dovevano essere almeno un centinaio di monete, tutte d’oro zecchino: abbastanza da comprare un quarto di Suna.
Temari si passò il denaro fra le mani, contandolo  e ricontandolo all’infinito, come se volesse essere sicura di non perdere neanche uno spicciolo.
“…19, 20, 21, 22, 23…”
Una moneta scappò dalle dita scivolose, finendo a terra con un allegro tintinnio. Quel rumore risvegliò la ragazza dalla sua catalessi.
“Basta. Mi devo calmare.”
Chiuse gli occhi, massaggiandosi le tempie, e si sedette pesantemente sul letto, facendo cadere altri soldi sul tatami. Non si curò di raccoglierli; in quel momento, i suoi pensieri erano tutti atti a capire che fine avesse fatto Shikamaru.
Aveva esaminato la stanza, il cortile interno, la strada e i sentieri attorno alla locanda: nessun segno di lotta né di trascinamento; il che poteva significare che se n’era andato di sua volontà, o che era stato indotto ad allontanarsi.
Nella città non erano avvenuti altri rapimenti, quindi non si era diretto da quella parte; ed in più il suo zaino e tutto l’equipaggiamento ninja erano spariti.
Questi dati lasciavano intuire che se ne fosse andato per una ragione.
“Stiamo parlando di Shikamaru. Avrà avuto sicuramente un piano.”
Ma questo non spiegava la presenza delle monete.
Ricordava di aver sentito il giovane jonin domandare qualcosa del genere a Chie, ma alla fine  non erano più tornati sull’argomento.
Poteva trattarsi di un segnale che le aveva lasciato? Ma, a quanto ne sapeva, il Nara non aveva con se’ una tale somma di denaro quando erano partiti da Konoha.
No, decise, i soldi sono stati aggiunti dopo, da quell’ombra che ho visto quando sono arrivata qui.
Non poteva essere la stessa ombra che l’aveva attaccata poco prima: che senso avrebbe avuto fuggire? In quel momento era anche praticamente disarmata, ucciderla sarebbe stato un gioco da ragazzi. E perché le monete, poi? Perché così tante?
Temari si prese la testa fra le mani, confusa.
“Di una cosa sola  posso essere certa: in qualche modo, non so come, tutto questo dev’essere stato programmato da quella testa d’ananas. Devo comprendere cosa vuole che io faccia.”
Un impeto d’ irritazione le fece contrarre i muscoli del viso.
Avrebbe anche potuto mettermi al corrente, prima di sparire. Giuro che quando lo prendo…
Sospirò, per calmarsi.
Cerchiamo di capirci qualcosa in più.
Si alzò, aprì la porta ed imboccò le scale che conducevano al piano terra.
Alla reception c’era la sorella della mummia, vestita da geisha come l’altra, ma distinguibile grazie ad  un evidente e peloso porro sotto l’occhio destro.  Sonnecchiava col naso schiacciato contro il vetro del bancone, con un’espressione così beata che fu tentata di suonare il campanellino e svegliarla di botto, ma represse quell’impulso sadico e si limitò a picchiare moderatamente sul legno lucido del tavolo.
La donna alzò il viso, puntando su di lei due occhi congestionati dal sonno.
-Che vuole? – borbottò.
“Ma questa qui non si è accorta proprio di niente?!”
-Ho bisogno di farle delle domande, signora. È molto importante.
-Domattina – biascicò l’altra, tornando a seppellire il viso tra le pieghe del kimono.
Temari le afferrò un braccio e la scosse, brevemente ma con decisione.
-No. Adesso. – intimò, con fermezza.
La receptionist la fissò con un misto di odio e timore, che non sfiorò minimamente l’algida imperturbabilità della ragazza.
-Cos’è questa storia delle monete d’oro? – domandò, posando sul bancone le mani strette in pugno.
-Non so di cosa parla. – sputò la vecchia.
-Si, invece. In camera del mio compagno di squadra ho appena trovato molto denaro non suo, che deve esser stato messo da qualcun altro. E non è la prima volta, o sbaglio?
-Mi spiace per il suo amico, allora. – ghignò in risposta la donna, ignorando la domanda.
-Che significa?
-Mah, così, dicevo per dire.
-Risponda, per favore.
-A cosa?
-Le ho chiesto che significano quelle monete, e perché dovrebbe essere dispiaciuta per il mio collega.
-Ti ho detto che non lo so, ragazzina. Vattene e lasciami dormire.
-Signora.- Temari stava decisamente perdendo la pazienza. – Mi dica che diavolo sono quelle monete. Devo saperlo. Come pensate che riesca ad aiutarvi, se non mi date le informazioni di cui ho bisogno?
-Non vogliamo il tuo aiuto. Suna non ci è mai stata amica e mai lo sarà. Potete andarvene tutti a…
-Obaasan, basta così.
La ragazza si voltò, sorpresa, al suono di quella voce familiare.
In piedi, sull’uscio della locanda, c’era Yo-Baen, i vestiti sporchi di terreno ed un sorriso stanco ed incerto dipinto sulle labbra. Aveva un aspetto piuttosto dimesso, ma sembrava contento di essere a casa.
-Temari san ha appena salvato la vita al piccolo Len Mimura, non merita questo trattamento. Venite, Temari, risponderò io alle vostre domande, così lasceremo obaasan libera di dormire.- la invitò, accompagnandosi con un cenno disinvolto della mano.
La giovane si allontanò dalla reception senza degnare di uno sguardo l’anziana, e si diresse verso la sala che le indicava Yo-Baen, di fianco alla Hall.
Nella piccola stanza di pochi metri quadri, dall’arredamento confortevole ma essenziale, trovavano posto un divano e una sedia a schienale rigido, sulla quale si accomodò.
-Siete ferita, vedo. Volete che chiami un medico? – domandò l’altro, lanciando uno sguardo discreto ai vestiti slabbrati e ai tagli sulle braccia.
-Non serve, questi non sono nulla. – tagliò corto la ragazza. Era piuttosto colpita dal cambiamento d’atteggiamento dell’uomo nei suoi riguardi, ma non aveva tempo per mettersi a chiacchierare amichevolmente.
Lui sembrò intuirlo, per cui glissò inutili premesse.
-Volevate qualche informazione in più sui rapimenti, giusto?
-Principalmente, volevo sapere che significato hanno le monete che ho appena trovato sul letto del mio compagno.
-Le monete? – l’espressione di Yo-Baen si fece sconcertata. –Pensavo di avervelo detto….colpa mia, scusate. Avrei dovuto avvertirvi prima di lasciarvi partire per Sun’johara.
Vedete, abbiamo notato che, ogni volta che una persona spariva, ai parenti veniva recapitata una forte somma di denaro. Non sappiamo da chi; i soldi comparivano di punto in bianco davanti alle case, o dentro le camere da letto…succedeva ogni volta.
La quantità di monete varia a seconda dell’età dello scomparso: duecento kirkur d’oro per i bambini, un po’ meno per gli anziani e per gli adulti. Senza dubbio però sono cifre considerevoli….quasi come…
-Un indennizzo. -  completò la kunoichi, aggrottando le sopracciglia. L’uomo annuì.
-E’ molto strano, però, vedete…chi vive in questo villaggio non conduce una vita facile. I campi sono fertili, ma la fatica è comunque molta; senza contare che i giovani preferiscono generalmente lasciare Sun’johara e cercare lavoro altrove. Per cui, quando vede i soldi, la gente non si fa molti problemi ad accettarli, qualunque sia la loro provenienza. Non sarà eticamente corretto, è vero… ma non abbiamo altra scelta.
Temari chiuse gli occhi, cercando di riflettere. Non provava disgusto o biasimo per i contadini del luogo: dopotutto il denaro non lo andavano propriamente a cercare, era un fatto indipendente dalla loro volontà. E quando si vive in condizioni di povertà estrema, si scende a patti con ogni tipo di orgoglio o codice morale; e questo lei lo aveva visto accadere anche a Suna.
Le monete sono una risarcimento per chi ha subito una perdita, come se questo misterioso assassino volesse in qualche modo scusarsi per la sua azione.
Ma, se prova pentimento e senso di colpa, perché continua ad agire in questo modo? Cosa spera di ottenere?
Sembra quasi che sia dotato di una doppia personalità. Una, orribile e mostruosa, che si manifesta con quell’Ombra…e una umana, che prova rimorso.
Però non mi convince. Le monete sono apparse poco dopo il mio scontro, e chi le ha lasciate ha fatto rumore: doveva avere un corpo. E se non fosse la stessa persona, ma fossero invece in due?
Giocherellò distrattamente col bicchiere di tè che le aveva servito Yo-Baen, vedendo il suo viso riflesso di varie tonalità verdastre nel cerchietto liquido del bordo. Con la mano accarezzava la ceramica calda, cercando di trovare qualcosa, un passaggio, un indizio, che fino a quel momento le fosse sfuggito. Sentì dalla stanza accanto che il portone della locanda si riapriva, mentre due allegre voci si sovrapponevano ai suoi pensieri, ma le ignorò.
Ricapitoliamo.
Shikamaru è sparito.
Ho ragione di pensare che se ne sia andato spontaneamente, sebbene la presenza delle monete attesti il contrario. Ho l’impressone che si sia lasciato rapire, per avvicinarsi ancora di più al covo del nemico; sarebbe senza dubbio una cosa degna di lui.
Se io fossi in quella criptica e dannata testa d’ananas, e avessi una mente tanto contorta da formulare un piano del genere, allora affiderei la mia liberazione ad un compagno di squadra. Cioè io.
Un altro repentino moto di stizza le fece di nuovo irrigidire la mandibola.
Shikamaru doveva aver previsto che lei non sarebbe stata d’accordo.
Aveva previsto che avrebbe comunque capito le sue intenzioni.
Aveva previsto che sarebbe andata comunque a salvarlo.
E sia. Lo vado a prendere...
-Grazie, Yo-Baen. Adesso è il caso che vada a recuperare il mio amico.
 
…E poi lo ammazzo.
 
 
Sun’johara – Dintorni
Ore 2:30
 
La Valle dell’Eco era un territorio vasto e per lo più inesplorato, che annoverava tra i suoi luoghi ogni tipologia di ambiente e clima. Si andava dalla secca e torrida landa confinate con Suna alla lussureggiante foresta interna al paese, che degradava poco a poco fino a sprofondare  nella macchia indaco del mare.
Sun’johara era un villaggio al confine tra la seconda e la terza zona, per cui poteva vantare delle condizioni atmosferiche abbastanza clementi, mitigate dall’ influenza del mare che impediva forti escursioni termiche, anche durante le ore serali.
Nonostante ciò, Temari trovò quella notte insolitamente fredda. Il vento, che soffiava forte dal paese della Sabbia, trascinava con se’ lucenti granelli di terra silicea, che si infilavano fastidiosamente negli occhi, brillando alla luce della luna come tante lucciole.
La kunoichi lanciò un’occhiata distratta al villaggio dietro di lei: poteva vedere in lontananza alcuni falò, accesi per festeggiare il mancato rapimento di Len Mimura.
Sulle spalle aveva ancorato saldamente il ventaglio, riparato per la terza volta grazie ad una particolare colla dagli effetti prodigiosi, ma lenti: doveva cercare di non usarlo per almeno un’altra ora.
Il suo sguardo vagò lungo il profilo erto e affilato del Kumakoro, completamente avvolto dall’oscurità. Sapeva dove doveva andare.
Il problema, però, era che lei non era mai stata a Villa Tenshi. A parte quell’unica volta, la notte prima, quando l’aveva intravista nel buio, niente le poteva suggerire la sua reale ubicazione.
Il vento soffiò più forte, scuotendo sinistramente le chiome degli alberi, che sembrarono protendersi verso di lei tra gli ululati taglienti.
La foresta non era un luogo sicuro, lo sapeva: il demone poteva annidarsi ancora li, ad aspettare un suo passo falso. Senza contare che lei era pressoché disarmata.
Ma più aspetto, più c’è il rischio che Shikamaru muoia.
Sospirò, per farsi coraggio, ed il mantello nero frusciò attorno alle sue caviglie mentre si muoveva.
Tirò il cappuccio fin sopra alle orecchie, sperando che il colore scuro del tessuto le permettesse di mimetizzarsi in mezzo alle chiome degli alberi, ben conscia che le avrebbe dato, comunque,  una protezione molto limitata.
Si avviò incerta attraverso le enormi radici secolari, cercando di non inciampare e far meno rumore possibile, ma presto dovette fermarsi per concentrare la sua attenzione su qualcos’altro.
Qualcosa mi sta seguendo.
Fuggire sarebbe stato inutile: sapeva di essere pedinata già da qualche minuto, ma aveva proseguito ignorando la presenza dietro di lei, sperando si trattasse solo di qualche animale selvatico capitato male. Ma ad ogni passo la cosa si avvicinava sempre di più.
Probabilmente non si trattava dell’ombra: se fosse stato così, l’avrebbe di sicuro già attaccata e liquidata da un pezzo. Temari osservò le foglie accanto a lei tingersi di una soave sfumatura rossa, ma si impose di rimanere calma.
Respirò profondamente mentre la creatura faceva capolino tra le sterpaglie e i massi muschiati, volteggiando a qualche metro da lei.
Questa storia deve finire una volta per tutte. Pensò, fissandola risoluta.
-Cosa. Vuoi. Da. Me? – sillabò dopo qualche secondo, in tono neutrale.
Lo spettro si dimenò appena, cercando forse di contrastare l’azione del vento, che  tendeva a sparpagliare le sue forme fumose. La ragazza tentò, invano, di interpretare il suo messaggio.
-Non capisco. – ammise, alla fine. -Non intendi attaccarmi, giusto?
L’essere scosse la parte superiore del corpo, mossa che l’altra interpretò come un cenno di diniego.
-Cosa vuoi che faccia? – domandò di nuovo.
Il fantasma si alzò di qualche centimetro, si spostò sulla destra e tornò indietro, muovendosi a scatti.
-Vuoi che ti segua? – abbozzò la giovane, sorpresa.
Cenno di assenso.
La kunoichi esitò, incerta.
Posso fidarmi?
Dopotutto quella creatura, qualunque fosse la sua natura, aveva cercato di avvertirla quando il demone d’ombra l’aveva attaccata utilizzando le piante. E non l’aveva mai vista afferrare davvero una persona per portarla via, benché la sua presenza su ogni luogo del delitto fosse certamente sospetta…
Ma se aspetto troppo, Shikamaru rischia seriamente di morire.
Prese un profondo respiro.
-D’accordo. Vengo con te.
Subito dopo averlo detto, vide la luce rossa scivolare fluidamente tra gli alberi, lasciando dietro di se una delicata scia cremisi.
 
 
 
 
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-Papà!
-Non ora, Akemi. Sto lavorando.
Il volto imbronciato di mia figlia è la cosa più tenera e allo stesso tempo più irritante che abbia mai visto nei miei trentatré anni di vita. È come un fiore rosato e liscio che improvvisamente riempia i petali di rughe. Mi fa davvero ridere.
Non mi sono mai fatto problemi a vederla entrare e uscire dal laboratorio, ma ovviamente sto molto attento che non tocchi le provette e le soluzioni alchemiche. Sono formule delicatissime, basterebbe un lieve scompenso di un solo materiale e tutto il lavoro di anni andrebbe a farsi benedire. Ultimamente poi, sono diventato molto più cauto – mia moglie dice ossessivo, ma è decisamente un’esagerazione – e non mi va che nessuno a parte me e i miei apprendisti, entri mentre sto facendo una ricerca.
-Mamma dice che devi salire.
-Di’ alla mamma che sono impegnato.
-Ma sono due giorni che sei chiuso qui! Oggi dovevamo andare tutti insieme dalla nonna!
-La strada la conoscete, no? Andate da sole. O portatevi Bobo.
Per inciso, Bobo è il nostro cane. Un animale che ho sempre apprezzato per la sua tranquillità – abbaia molto di rado – e il suo innato senso del dovere. E soprattutto, perché non mi infastidisce quasi mai.
-Devi venire anche tu. – insiste.
Alla fine stacco gli occhi dalle equazioni che sto inutilmente  cercando di risolvere da due ore, e fisso severamente mia figlia di sette anni.
È estremamente frustrante: mi manca una sola incognita, una sola cifra, e poi, almeno in teoria, avrei trovato il quantitativo ideale di metallo per compensare la formula ed ottenere….
-Papà!- mi richiama. Devo aver di nuovo assunto uno sguardo pensoso.
-Si. Stavamo dicendo…?
-E’ il compleanno della nonna!
-Oh, certo. La nonna. Ovvio.
Me ne ero completamente dimenticato.
Akemi comincia a saltellare da un piede all’altro, si avvicina ai composti, attratta dai colori fosforescenti, li annusa, schiaccia il visino contro il vetro delle provette.
Non mi piace che stia così vicino alle soluzioni. Potrebbe rovesciarne qualcuna.
-D’accordo, salgo fra cinque minuti.
-Sono le sette, devi venire ora!
-Akemi. – sono troppo brusco, me ne rendo conto; ma quel giorno è stato già abbastanza insoddisfacente per me, senza aggiungerci anche le chiacchiere di una bambina.
-Salgo fra poco, ho detto. Vai sopra.
Vedo gli occhietti farsi lucidi, ma distolgo in fretta lo sguardo e torno a concentrarmi sui calcoli.
I bambini dimenticano velocemente, penso, con una carezza ed un biscotto ogni cosa torna a posto. Con la matematica purtroppo non è così. Forse è anche questo che la rende una materia così affascinante. Volendo, coi numeri si può spiegare ogni cosa, basta trovare l’incognita. Come la chimica, che da quando mi sono sposato è diventata la mia passione.
Quando ho avuto Akemi, mia moglie, Katima, ha insistito perché lasciassi il lavoro ninja, a suo dire troppo pericoloso per un padre di famiglia. L’ho accontentata, anche se mi è costato caro, ma ho scoperto che potevo continuare a fare ricerche su elisir e antidoti, come ho sempre fatto. All’inizio era solo un hobby, per passare il tempo, ma adesso mi sono specializzato, e ho incanalato tutte le energie in un solo grande progetto. Se avrà successo, potrei persino diventare lo scienziato più famoso del mondo…la mia scoperta rivoluzionerebbe il settore medico, e non solo!
Devo solo trovare questa dannata  incognita..
Sento di essere vicino alla meta, ma non riesco a raggiungerla del tutto. Riscrivo l’equazione più volte, la rielaboro, rifaccio i calcoli, ma niente.
Alla fine strappo il foglio, sono davvero irritato. Cos’è che manca? Dov’è l’errore?
Mi alzo e mi sgranchisco le gambe, indolenzite per essere rimaste troppo a lungo nella stessa posizione.
Allora mi rendo conto che i cinque minuti sono passati da un pezzo.
Faccio un salto sulla sedia, corro verso la scala a chiocciola e intraprendo la scalata più velocemente possibile. Quando arrivo di sopra, l’orologio segna le dieci passate.
Un senso di stanchezza mi pervade, mi butto sulla sedia più vicina.
Lascio vagare lo sguardo sulle suppellettili e, per un momento, non riconosco il luogo in cui mi trovo. Quando abbiamo comprato quel soprammobile? Il quadro sul camino, non rappresentava un paesaggio agreste invece di un canestro di frutta? Il mobile nell’angolo non si trovava in un’altra stanza? E lì invece, non c’era una sedia a dondolo?
I miei occhi incontrano, nella semioscurità della stanza, la figura di mia moglie, immobile sull’uscio. La sua espressione è indecifrabile, calamitica e insostenibile. Mi sento come se avessi improvvisamente fatto qualcosa di molto sbagliato.
-Akemi? – chiedo, con la gola secca.
-E’ a letto.
-Oh.
Devo ammettere che questo mi sconcerta un po’. Sino a questo momento mia figlia era sempre venuta ad augurarmi la buona notte prima di andare a dormire. Anzi, fino a qualche mese fa l’accompagnavo persino a letto e passavamo un po’ di tempo a parlare, mentre mia moglie ci guardava e preparava il latte caldo.
Ultimamente non ho avuto più tempo neanche per questo.
Osservo Katima e mi sembra di non vederla da tanto tempo: ha il viso tirato, quasi emaciato, di un colorito innaturale che non può dipendere solo dalla poca luce.
-Sei malata?- chiedo di getto.
-Sono stata due settimane in ospedale, ricordi? – risponde lei, flebile.
Sembra leggere la mia espressione scioccata.
-E’ stato quando mia mamma è venuta qui. Ho avuto la polmonite…mi ci hai accompagnato tu.
Un ricordo vago affiora nella mia memoria. Ricordo di averla vista tossire spesso, in effetti…e di averla portata dal medico…ricordo confusamente anche il ricovero…
-Ma pensavo stessi meglio. – mormoro.
Lei sorride amaramente. – Questo perché non sei mai uscito dal laboratorio. Con me in quelle condizioni e te sempre rinchiuso in quella cella sotterranea, per Akemi non è stato un bel periodo.
L’accusa mi colpisce in pieno, ma provo ad ignorarla.
-Com’è andata la festa? – chiedo, invece.
Lei scuote le spalle. – Si sentiva la tua assenza.
Mi dimeno sulla sedia, tento ancora di cambiare discorso.
-Quel mobile è nuovo? – indico con un dito l’oggetto che mi aveva colpito poco prima.
Katima mi guarda tristemente.
-Lo abbiamo portato qui un mese fa.
A quel punto sento l’impellenza di andarmene.
Voglio scappare, letteralmente. Non ho mai provato un impulso simile sul campo di battaglia; ma adesso, con la donna che ho amato e che ancora amo, sento un disagio ed un’angoscia così profonda da non riuscire a sostenerla oltre.
Mi alzo.
-Penso che tornerò giù. Fa le mie scuse ad Akemi, se si sveglia. Domani la porterò un po’ al parco.
Lei non risponde.
Sa, come me, che non lo farò.
Mi volto e torno verso la scala a chiocciola.
-Tesoro. – mi trattiene, la voce ridotta ad un sussurro.
-Cosa c’è?
-Se mi dovesse succedere qualcosa, prenditi cura di Akemi. Come dovrebbe fare un padre. – aggiunge.
La forza di quelle parole, e l’accusa implicita che contengono, mi schiaccia come un meteorite caduto dal cielo. Non voglio vederle, non voglio sentirle.
Faccio un cenno con la testa.
Dovrei rassicurarla, dirle che andrà tutto bene, che la sua malattia non vincerà.
Dovrei andare da Akemi, svegliarla con un bacio e poi farla riaddormentare cantandole una ninna nanna.
Dovrei recuperare il padre amoroso e il marito attento che avrei voluto essere.
Ma non lo faccio.
Volto le spalle, dirigendomi di nuovo nel mio rifugio sotterraneo, alla ricerca di qualcosa che è ancora un’incognita irrisolta.
 
 
 
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Kumakoro – Villa Tenshi
Ore 3:00
 
Quando Shikamaru riprese coscienza, non fu affatto un’esperienza piacevole, per svariati motivi.
Innanzitutto c’era il dolore alla parte superiore della testa, unito ad un pesante martellio e un vago senso di nausea, come quando ci si ridesta coi postumi di una bella sbronza.
Poi, si sa, le menti dei geni sono più rapide e veloci di quelle dei comuni mortali: per cui, una volta sveglio, venne immediatamente assalito dai ricordi poco gradevoli di qualche ora prima e dalla percezione di non essere in un luogo sicuro.
Ma il lato peggiore fu senza dubbio il mal di testa che esplose, dopo pochi secondi e con una forza impressionante, disorientandolo del tutto e facendolo annaspare nei suoi stessi pensieri.
Mi hanno drogato. capì, in un secondo di lucidità.
Non era per niente una buona notizia. Non aveva mai ipotizzato di potersi trovare privo delle sue egregie facoltà mentali. Era un problema decisamente serio.
Rimase immobile per qualche istante, cercando di riordinare le idee, ma era come muoversi a tentoni in un pantano melmoso.
Quasi come se tutte le sensazioni dal mondo esterno gli arrivassero offuscate, ammorbidite; in compenso però avvertiva con dolorosa chiarezza il pulsare del cervello, che sembrava volergli esplodere nel cranio.
Riuscì comunque a radunare brandelli del piano originale e a rimetterli insieme.
Per prima cosa, si tastò le tasche: le armi gli erano state confiscate, compreso il coltellino e l’accendino di Asuma-sensei.
Quello però me lo riprendo.
La determinazione gli diede un po’ di forza. Fece scivolare la mano dietro la schiena, sotto il giubbotto, e tastò la piccola tasca segreta che aveva cucito prima di partire.
Perfetto, c’è ancora. si consolò.
Prese un bel respiro, ma arricciò il naso per il disgusto: doveva essere ancora nei sotterranei della villa, perché l’aria puzzava incredibilmente di chiuso ed escrementi di topo.
Gli occhi poco a poco si abituarono alla luce scarsissima che filtrava da qualche fessura nella  parete di pietra dinanzi a lui, individuando una stanza spoglia di pochi metri quadri, del tutto vuota e senza uscite, ad eccezione di una caditoia seminascosta sul soffitto.
In realtà la luce non era sufficiente per stabilire se fosse effettivamente una botola, ma il jonin poté controllare che non c’erano altre entrate. E a giudicare dal livido dolente che sentiva in prossimità della coscia, doveva essere stato scaraventato dentro proprio da lì.
Shikamaru provò a muoversi, ma uno spasimo gli trafisse ancora la testa e lo costrinse a desistere.
Lanciò un gemito di frustrazione.
Devo uscire di qui. Anche solo per un secondo, non mi servirà di più.
Si mise carponi, tastando con le mani le pareti umide della cella, che secernevano abbondanti goccioloni d’acqua.
Sono sottoterra. Peggio ancora.
Il terreno sul quale sorgeva Villa Tenshi era stato precedentemente scavato e cementificato, perciò doveva trovarsi da qualche parte fuori da quella zona, e relativamente in superficie se riusciva ad avere aria ed un po’ di luce. Non aveva armi con se’; e questo era prevedibile, ma era stato troppo ingenuo nel pensare che lo avrebbero rinchiuso dentro la villa .
Un’altra variabile andata a farsi fottere.
Sospirò, mentre  il mal di testa contrastava ogni suo tentativo di pensare razionalmente.
Cosa posso fare? Non c’è molto tempo. Devo sbrigarmi o Temari non mi troverà mai.
 
In seguito, Shikamaru avrebbe dato la colpa di quell’idea alla mancanza di lucidità. 
 
Effettivamente, non c’era bisogno di essere un esperto di esplosivi come Tenten per intuire quali sarebbero state le possibili –anzi, le probabili – conseguenze del suo gesto.
Lo sapeva.
Ma quella era decisamente una situazione disperata.
Molto più che disperata: da suicidio.
Che seccatura.
Si sfilò il giubbotto da jonin e lo rivoltò, mettendo in mostra il pezzo di stoffa che era stato rattoppato alla bell’e meglio. Stava per strappare le cuciture, quando un rumore sopra la sua testa lo bloccò.
Velocemente, lo rinfilò e si appoggiò al muretto, cercando di assumere un’ espressione annebbiata e dolorante; non fu particolarmente difficile.
Vide la botola aprirsi e una lunga corda srotolarsi dalla cupa sommità del soffitto. Una figura, ancora irriconoscibile, si calò giù agilmente, tenendo in mano una minuscola lampada ad olio.
Ha un massa. Non è il demone.
La tensione nel suo corpo tuttavia non si sciolse. Sapeva che quell’individuo poteva essere, se lo desiderava, pericoloso quanto un diavolo in terra.
Per questo, quando lo vide accanto a lui, illuminato vagamente dalla fiamma guizzante della candela, non si scompose ne’ si mostrò stupito.
Ma anzi, con la calma che solo un vero Nara può possedere, gli sorrise e lo salutò placidamente:
-Buona sera,  Hitaka-san.
 
 
 
 
Kumakoro – Foresta
Ore 3:35
 
Temari camminava da più di un’ora ormai, ma nonostante il movimento incessante sentiva le piante dei piedi gelate e le dita del tutto intirizzite.
Continuava a seguire vigile ogni gesto e mossa dello spettro che la guidava, scavalcando le radici enormi che di tanto in tanto le si paravano davanti.
Il fantasma la superava di almeno dieci metri, voltandosi spesso per controllare che lei tenesse il passo.
La kunoichi camminava e allo stesso tempo teneva aggiornata la sua mappa mentale, in modo da poter ricalcare, in caso di emergenza, il percorso fatto fino a quel momento.
La sua idea iniziale era stata scalare il Kumakoro fino ad arrivare al promontorio dove le sembrava fosse situata Villa Tenshi; ma l’essere cremisi l’aveva trascinata all’altro capo del monte, costeggiando i limiti di un profondo crepaccio.
Avanzava con estrema riluttanza, poiché la luce lunare filtrava a malapena tra il fogliame compatto degli alberi, cosicché doveva stare perennemente attenta a non mettere il piede in fallo e precipitare.
Improvvisamente, vide la figura rossa stagliarsi dinanzi a lei, immobile.
-Siamo arrivati? – domandò, col fiatone.
Per tutta risposta, lo spettro fece un cenno verso il dirupo dietro di se’.
Temari si avvicinò al bordo del burrone, gli occhi spalancati di fronte allo scenario imponente – ed insieme terrificante – che si stagliava di fronte a lei.
La luna si librava alta, trionfante nella cupa aureola delle nuvole, riflettendosi luminosa sulla superficie dell’acqua di un lago, in fondo allo strapiombo. Oltre la falda la foresta riprendeva il sopravvento, in una lunga e ricca scia di chiome argentate, che frusciavano dolci ai mormorii del vento.
Vicino alla riva del lago, si intravedevano a malapena le rovine di un piccolo cottage in disuso. Senza aspettare l’imbeccata del fantasma, la giovane s’inerpicò per la ripida discesa che la conduceva in basso, verso le acque gelide, aggrappandosi ai rami più sporgenti per non cadere.
Dovette anche togliersi il mantello, per evitare che la stoffa la intralciasse o la facesse scivolare.
Arrivata finalmente di fronte alla vecchi dimora, era stanca e sudata, ma stranamente esaltata.
Sono vicina a qualcosa d’importante.
Un curioso senso di riverenza la rese incerta per qualche attimo, ma l’esitazione non durò a lungo: ripreso il controllo di se stessa, si avvicinò alla portone e lo aprì, cercando di essere il più possibile silenziosa.
Il buio all’interno era totale, così desolante da scoraggiare persino la curiosità della kunoichi, che dovette aspettare l’arrivo dello spettro per avere un po’ di luce.
L’abitazione – o ciò che ne rimaneva – era stata probabilmente molto accogliente, a suo tempo: lo si capiva dal camino in salotto, dalla sedia a dondolo nell’angolo dalle vecchie fotoingiallite e mangiate dal tempo.
Adesso però, appariva solo come un triste spettacolo di qualcosa che, all’improvviso, era stato completamente distrutto.
La creatura la guidò direttamente nel seminterrato, dove sembrava essere stato costruito un piccolo laboratorio casalingo. Anche  lì l’incuria e il disordine regnavano sovrani, e c’erano anche evidenti segni di un saccheggiamento passato.
Temari si fermò di fronte al bancone da chirurgo al centro della stanza, sul quale giacevano cocci di vecchie bottiglie i cui contenuti erano evaporati già da tempo.
Lì sopra, coperto dalla polvere che lo avvolgeva come una coperta, c’era una specie di grosso libro.
La giovane guardò interrogativa lo spirito di fronte a se’, poi afferrò delicatamente il tomo – che si rivelò denso di appunti scritti in una grafia ordinata e leggibile – e cominciò a sfogliarlo.
 
E lì iniziò un’altra storia.
 
 
 
 
 
C.I.A.: Salve a tutti! Spero di non avervi fatto penare troppo per questo nuovo capitolo, ho scritto più in fretta che ho potuto. =D
Da dove iniziare? Come vedete la storia sta per risolversi, ma probabilmente molti di voi hanno già intuito qualcosa.
Per esempio, quanti sono rimasti onestamente sconvolti dalla presenza di Hitaka? Scommetto molto pochi….sono estremamente prevedibile XD
Lui non è propriamente cattivo, anzi. È solo un genio molto ma molto stupido.  Come una certa persona che noi conosciamo bene….Ora passiamo alle recensioni! Ollalla!
 
Pantesilea: Ormai non saprei più che dirti per ringraziarti. Innanzitutto per essere sempre in prima linea a recensire, e poi per le tue parole così incoraggianti che mi spingono a dare sempre il meglio di me stessa. Posso dirti solo: grazie, grazie, grazie.
Mi fa piacere che lo scorso capitolo ti sia piaciuto: l’introspezione dei personaggi è generalmente la parte cui dedico più attenzione di tutte, sono contenta che venga apprezzata!
Allora spero di poter leggere presto un altro tuo commento! Arigatou!
 
RollyToo: gentile come sempre XD le tue parole sul mio stile mi rincuorano tantissimo. Davvero ti piacciono così tanto le mie descrizioni? A me sembrano a volte un po’ scontate….e ho paura anche di finire con l’usare sempre gli stessi termini. Insomma, sono un’insicura cronica! Per questo le tue recensioni mi sono quasi vitali. Mi fanno sentire meglio XD
Grazie mille per la perseveranza che hai nel commentare ogni storia, per la tua chiarezza sempre e comunque, e anche per avermi dato della pazza la scorsa volta XP
Spero di risentirti prestissimo, un bacio!
 
SubakuNoMe: Grazie mille per la recensione, come al solito sono felicissima che questa storia continui a piacerti. Spero che questa puntata non ti abbia delusa o “raffreddata” in qualche modo. Aspetto con ansia un tuo commento! A presto!
 
Curiosità, Spiegazioni e Qualche Spoiler:
 
I kirkur sono le monete di Sun’johara, come avete capito. Inoltre la mummia geisha ha una sorella, che è più vecchia di lei e più antipatica. già già XD il titolo si rifà alla luce della luna, che compare spesso in questo capitolo.
Posso anticiparvi che nel prossimo episodio il 50% dei misteri saranno svelati, mentre per il resto dovrete aspettare ultimo e penultimo capitolo (che sono ancora un po’ lontani) Ma penso che molto lo abbiate già intuito. Allora alla prossima!
Lovelykim
Ps: per quelli che leggono senza commentare….non che scrivereste una recensione, anche piccina picciò? Giusto per incoraggiare questa povera sfigata di un’autrice…Grazie!
 
 
 

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Capitolo 8
*** Azzurro Cielo - Di Eroi e Spaventapasseri ***


 I Ricordi delle Ombre
Capitolo VIII
 
 
Azzurro Cielo - Di Eroi e Spaventapasseri
 
 
 
 
Il mio nome è Kinnosuke Hitaka.
La mia vita finora non è stata niente di speciale, forse non sarebbe neanche degna di essere ricordata, o raccontata a qualcuno.
Sono uno di quegli uomini nati e vissuti nell’ombra, che hanno trascinato la loro esistenza nel tentativo vano di trovare un po’ di luce per se stessi, sguazzando nell’ oscurità che li aveva partoriti senza scorgere un solo ago di sole.
Di tutto ciò non posso incolpare i miei genitori, o qualcun’ altro attorno a me: ho avuto un’infanzia felice – relativamente, è ovvio: sono nato in tempo di guerra – e non ho mai sofferto di carenze né di cibo né d’affetto.
Ho intrapreso la carriera ninja con entusiasmo e zelo, come chiedevano i nostri superiori che ci inculcavano a forza idee esaltate di giustizia e libertà, così come si nutre col mangime migliore la carne destinata a priori al macello.
Ho seguito perfettamente il copione riservato a quelli come me: dopo aver combattuto strenuamente in una guerra di cui non capivo la ragione, e dopo esserle miracolosamente sopravvissuto, ho sposato la donna che amavo, ho avuto una bambina, ho iniziato un’ esistenza nuova col mio lavoro di maestro elementare in una minuscola scuola di un minuscolo villaggio.
Fortunato, si dirà di me.
È così. Sono un uomo fortunato, sotto molti aspetti. E il primo segno di questa mia buona sorte è Akemi.
La mia bambina, la mia dolcissima, tenera bambina. Quando l’ho vista per la prima volta, in braccio a sua madre, ho sentito tante spine trapassarmi il petto, scuotermi fin dentro l’animo, come se qualcosa si fosse improvvisamente rotto.
O fosse improvvisamente nato.
Guardarla crescere è stata l’emozione più bella della mia vita, un dolcissimo vino somministrato direttamente nelle vene goccia a goccia, giorno per giorno.
Ha i miei capelli neri, lunghi e liscissimi – Katima voleva tagliarglieli, ma io ho protestato – e il viso bianco come una rosa d’avorio. Quando sorride, quando spalanca quegli immensi occhi azzurro cielo e contrae la bocca in una smorfia, sembra un sole spuntato per sbaglio al centro di una notte senza luna.
Mia moglie è raggiante quanto me, insieme passiamo ore a contemplarla mentre dorme.
Amo lei, amo loro, più di quanto abbia mai amato un essere vivente, più di quanto ami me stesso.
 
Sono fortunato, si.
Ma non sono felice.
 
Dio fu ingiusto quando creò l’uomo. Gli diede in dono un’arma a doppio taglio, lasciando che impugnandola si ferisse sempre più in profondità, lacerandosi le carni con le sue stesse mani.
Diede all’uomo l’ambizione; che può elevarlo alle vette più alte della gloria, o sprofondarlo nei recessi più abbietti della perversione.
Per questo, nonostante abbia avuto dalla mia esistenza tutto ciò che un uomo possa umanamente desiderare, capisco che non sarò mai soddisfatto.
Mi manca la gloria, la fama, gli sguardi d’ammirazione della gente attorno a me.
Quando ero stratega a Suna, per un po’ fu anche il mio momento. Ero intelligente, brillante, spregiudicato, il giocatore che muoveva glacialmente ogni pezzo della scacchiera. Avevo ottenuto molto successo con questo mio modo di fare, vedevo gli sguardi dei superiori tingersi del verde acido dell’invidia, e ne ero lusingato.
Dovetti ringoiare il rospo, però, quando la mia alterigia mi costò la carica di stratega: venni mandato in campo come un qualunque soldato semplice.
Per la vergogna mi sarei probabilmente lanciato sulla prima mina, se non avessi incontrato Katima.
Fu durante la terza guerra contro la Valle dell’Eco. Io mi ero offerto di andare di pattuglia, determinato com’ero a farmi uccidere dal primo nemico che avessi incontrato. Ed infatti rimasi ferito gravemente all’addome, dopo neanche quattro minuti dall’inizio delle ostilità.
Katima era un’infermiera, ma del campo avversario. Mi trovò riverso in una pozza di sangue a qualche metro dalla sua tenda e, non so per quale motivo, decise di curarmi nonostante fossi chiaramente della parte antagonista. Qualcosa del mio viso, disse, l’aveva colpita.
Quando mi svegliai, la sua dolcezza, e allo stesso tempo la sua grande vitalità, mi convinsero che forse esisteva ancora una ragione per cui andare avanti.
Ci innamorammo e, mi vergogno a dirlo, disertammo insieme. Ci trasferimmo a Sun’johara, un piccolo villaggio della Valle dell’Eco, che scegliemmo perché lì abitavano alcuni suoi parenti – i miei erano morti da tempo.
Nessuno mi conosceva, e quel piccolo stralcio di Eden sembrava lontano mille miglia dalla guerra. Dopo aver abbandonato per sempre Suna, poche erano le possibilità di riprendere la mia carriera ninja: avrei dovuto combattere per il mio vecchio nemico (e questo era più di quanto potessi sopportare) o abbandonare la mia nuova vita. Mia moglie mi chiese di lasciare semplicemente perdere ogni desiderio simile ed io accettai, per amor suo e della bimba che avremmo avuto di lì a poco.
Ma il rimpianto di quella gloria sfumata persiste ancora in qualche angolo del mio cervello. Se non avessi rinunciato, se avessi ricominciato tutto daccapo, chissà…
Ultimamente ho iniziato a pensare più spesso a queste cose; proprio ora che la guerra sembra in una fase di stanca.
Riflettendo, ho trovato qualcosa che potrebbe funzionare come palliativo per questa mia ambizione frustrata: la chimica. Ne sono sempre stato affascinato, ma non ho mai avuto davvero il tempo per dedicarmici – ed ora di tempo ne ho quanto voglio.
Mio suocero era un appassionato e mi ha insegnato le basi: purtroppo è morto prima che potessimo incominciare a lavorare seriamente insieme. Leggendo i suoi appunti ho cercato di ricostruire alcune formule molto interessanti, incentrate sulle proprietà del kukameno.
Stando a quanto è scritto lì, quella pianta dovrebbe avere degli effetti potentissimi: le applicazioni in campo medico sono potenzialmente infinite.
Se trattato in una certa maniera, il kukameno può indurre una riproduzione sistematica delle cellule…di tutti i tipi di cellule.
Il che significa che potrebbe, praticamente, rendere immortali.  
Un elisir dell’immortalità….mio suocero non era riuscito a scoprirlo, ma ci stava lavorando. E adesso la sua eredità è passata a me.
Posso farcela, lo so.
Posso terminare ciò che lui ha cominciato. Scriverò su questo quaderno tutte le ricerche e i risultati, appunterò ogni singola informazione: sarà il testimone più affidabile della mia dedizione.
 In questo modo uscirò definitivamente dalle ombre: potrò vedere la luce. Tutti riconosceranno la mia genialità, il mio impegno: persino la diserzione, lo so, mi sarà perdonata.
Sarò un eroe.
 
E vivrò nella luce, per sempre.
 
 
 
 
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-Gli esseri umani hanno la tendenza a ritenersi superiori a qualsiasi altra creatura vivente, ma io sono convinto che in realtà siano i più stupidi.
Credono il loro sguardo più acuto di quello dell’aquila, la loro intelligenza più pronta di quella di una scimmia, il loro animo più nobile di quello di un leone.
Fesserie.
Gli uomini sono degli illusi, dei bambini non ancora svezzati che vivono a stento delle proprie speranze, e delle proprie ambizioni. Solo la realtà può rimetterli definitivamente in riga, e permettere che si rendano effettivamente conto di quanto sciocchi ed irrilevanti siano i loro desideri.
A quel punto, con lo sguardo basso e la coda fra le gambe, ogni uomo guarderà solo alla propria necessità, al proprio stretto benessere, così come quella cattiva madre gli ha insegnato.
Certo, può capitare che ci siano individui più stupidi degli altri, che non si arrendono nemmeno davanti all’evidenza. Costoro sono una razza a parte, etichettata ed in via d’estinzione: i cosiddetti Eroi.
Cosa sono, gli eroi?
Non sono altro che traballanti spaventapasseri in un campo di grano, che si ergono al di sopra delle altre spighe sfidando il cielo e gli uccelli: così, se non li abbrustolisce un fulmine, passano la loro vita a farsi beccare e torturare da corvi e gazze.
Le loro cuciture prima o poi si rompono, ed ecco che all’improvviso fiumi di sogni spezzati e fallacci promesse si riversano sul terreno come paglia e segale, disperse in un attimo dal vento.
Io volevo essere un eroe, Shikamaru-san.
Per inseguire un sogno, ho lasciato mia moglie morire da sola, in una squallida stanzetta, sotto gli occhi di mia figlia.
Per rincorrere un’ambizione, ho lasciato che Akemi crescesse nella solitudine più assoluta, che la mia casa andasse in rovina, che la mia mente si atrofizzasse su un solo ossessivo pensiero.
E dire che mi ritenevo un genio…
I geni sono i più pericolosi di tutti, ragazzo mio. A loro non è concesso voltarsi indietro e far finta che niente sia successo: la loro stessa mente gli impedisce di aggirare il problema, li spinge ad affrontarlo, li perseguita giorno e notte come un demonio.
Dopo la morte di Katima ho centuplicato i miei sforzi. Non mi interessava più l’elisir dell’immortalità: volevo un modo per riportarla indietro.
Ho guadagnato parecchi soldi in quel periodo: la gente mi pagava bene perché producessi medicinali ed altri intrugli per la pelle o per rendere i campi più fertili. Ben presto però mi stancai di avere tante persone attorno, così feci costruire Villa Tenshi, lontano da tutto e da tutti.
L’hai visitata, vero? È molto grande. La progettai pensando che presto la mia Katima sarebbe tornata da me: e allora avremmo dato una festa sensazionale, ed io avrei annunciato la mia scoperta. Ma la verità è che la feci costruire sul Kumakoro anche per un altro motivo: e questo sono certo che l’hai capito perfettamente, vero? Ahahah…..
Mi occorrevano i cadaveri, Shikamaru-kun. Posso lasciar perdere il “san”, vero? Mi dà tanto un’idea di estraneità, ed io e te stiamo diventando buoni amici qui. Riesci ad indovinare a cosa mi servissero? Che sciocco, certo che ci riesci. Dopotutto sei anche tu uno spaventapasseri….tra simili ci si intende abbastanza….
Insomma, dovevo fare degli esperimenti. Hai visto il corpo di mia moglie, suppongo…era quello nella vasca di metallo, di sopra. L’ho imbalsamato per bene, non volevo che si corrompesse neanche un unghia di lei. Poi ho cominciato con gli esperimenti sugli altri cadaveri: quelli del cimitero vicino a Villa Tenshi. Andavo di notte, nessuno si accorgeva di niente.
Ho continuato così per sette anni, profanando le tombe; oh, il materiale non mi è mai mancato: la gente muore continuamente.
So che sei disgustato, lo vedo nel tuo sguardo.
Anche io, riparlandone adesso, mi sento davvero orripilato da me stesso. Ma io le amavo, capisci? Katima ed Akemi….erano tutto, tutto per me. E le avevo perse.
Dopo sette anni mia figlia, entrando di nascosto nel laboratorio, vide il cadavere della madre e quello delle altre persone – capisci che io non le avevo detto niente dei miei progetti.
La prese molto male. Mi urlò cose orribili, accusandomi di essere il peggiore dei reietti, distrusse tutte le provette e i fogli pieni di appunti assieme alle scorte di kukameno. Disse che ormai avevo perso ogni briciolo d’umanità, e scappò. Io non la inseguii, e questo fu il mio secondo, fatale errore. La mattina dopo, alcuni abitanti del villaggio vennero ad informarmi che il suo corpo – il corpo della mia dolcissima, bellissima Akemi - era stato trovato in mezzo a quello di altre sei persone, trucidate da un gruppo di briganti di passaggio.
Il dolore mi fece impazzire. Avevo perso tutto, Shikamaru-kun, tutto. Pensai di uccidermi, ci andai molto vicino…. Ma poi un’idea mi saltò in mente: forse, avrei potuto salvare anche Akemi….forse, se avessi finalmente trovato il modo di usare il kukameno correttamente, avrei potuto riaverle entrambe. Cosa avevo da perdere, ormai?
 
Trentadue anni, Shikamaru-kun.
Passai trentadue anni facendo ricerche: è tanto tempo, credimi. Imbalsamai il cadavere di mia figlia come avevo fatto con Katima, preparandomi al giorno in cui le avrei potute riabbracciare.
Giorni, mesi, anni e decenni di preparativi…e alla fine ci arrivai, o almeno così credevo. Ma anche l’ultimo esperimento fallì: provai la pozione su Katima, ma lei non si svegliò.
Al contrario, dal suo corpo uscì un debole alone, che si condensò per qualche momento, e poi evaporò disperdendosi al vento. Io svenni per la fatica, e quando mi ripresi, il dolore fu decisamente troppo per riuscire a sopportarlo.
Uscii correndo dal laboratorio, e vagai per giorni tra i sentieri nebbiosi del Kumakoro, incapace di decidermi a morire una volta per tutte.
Infine, le forze mi vennero meno tutte insieme, e svenni proprio dentro l’antico cimitero di Sun’johara.
Fu allora che la sentii.
Mi chiamava, dolcemente, carezzando ogni sillaba del mio nome.
Come te la immagineresti la voce di un demone, Shikamaru-kun? Forse cavernosa, grottesca, tagliente, nasale, stridula? Oh, niente affatto. Era miele, riesci a crederci? Un demone che dal centro della terra mi parlava come se stesse cantando una ninna nanna.
Avevo sentito, naturalmente, le leggende riguardanti il Kumakoro, ma in quel momento le dimenticai completamente. Quella voce, pensai, era troppo gentile per provenire da un essere malvagio. E assomigliava alla risata di Akemi.
Mi disse che sapeva delle mie sofferenze, che mi compativa, che era a conoscenza del mio immenso valore. Mi disse che il mio amore l’aveva commossa, che avrebbe voluto tanto aiutarmi.
Nel mio delirio, la supplicai di farlo. “Aiutami” mormorai.
Lei disse che lo avrebbe fatto, purché io aiutassi  prima lei.
“Anch’io sono prigioniera qui.” mi confidò.
Mi diede delle indicazioni, mi spiegò come fare a liberarla; era un rito molto breve, non particolarmente complicato. Dovevo spostare un masso, e bagnarlo con un po’ del mio sangue, poi togliere un sigillo et voilà, avrei ottenuto in cambio ciò che volevo.
Obbedii. Feci ciò che mi chiedeva.
Il resto non lo ricordo molto bene: vidi una nuvola farsi nera, un fulmine squarciare all’improvviso il cielo a metà, ed un rombo cupo scuotere il cimitero dalle viscere della terra.
Mentre gli occhi mi si chiudevano di nuovo per lo sforzo, si delineò, appannata, l’immagine di qualcosa di fosco, come un ombra, che torreggiava di fronte a me. Non aveva occhi né  naso, ma una fessura priva di labbra al centro del viso: la vidi curvarsi tagliente in un sorriso cattivo, crudele.
 
Quando ripresi i sensi, ero nella mia stanza, a Villa Tenshi. Davanti a me c’era mia figlia, che sorrideva.
Saltai su come un pazzo, l’abbracciai e la baciai tra le lacrime, al settimo cielo. Chiamai il suo nome più e più volte, assieme a quello di Katima, ma lei non venne. Alla fine mi scostai, per studiarla bene in volto.
Ne rimasi raggelato.
L’azzurro cielo, l’azzurro caldo degli occhi di mia figlia era diventato un’ombra cupa, sadica, un metallico azzurro privo di sfumature. Non c’era gioia, non c’era amore, non c’era volontà: c’era l’abisso.
Mi scostai, e vidi il suo sorriso tendersi.
Capisci, vero, Shikamaru-kun? Ero stato troppo ingenuo. Troppo stolto nel pensare di rimediare ai miei errori con una preghiera. E così, avevo finito per incorrere in uno sbaglio ancora più grande. Ma questo, purtroppo, lo capii troppo tardi.
Il resto, lo puoi immaginare.
Quella creatura ha cominciato a vagare indisturbata tra la gente del villaggio: sceglieva una vittima alla volta, con calma, l’attirava con l’inganno a Villa Tenshi e la divorava.
Poco a poco ha acquistato maggiore forza e sicurezza: come hai visto, riesce per breve tempo a separarsi dal suo ospite per agire coi suoi poteri.
Adesso ti stai chiedendo delle monete, suppongo. Quella è opera mia. Il denaro non può sanare il vuoto lasciato dalla perdita di una persona, lo so bene, ma ormai io non so che farmene. Mi sarebbe solo di peso.
Mi giudichi male, Shikamaru-kun? Non so decifrare lo sguardo che hai adesso, forse perché non c’è tanta luce. Pensi che sia un pazzo, o uno stupido, o entrambe le cose, magari. Avresti ragione.
Dovrei uccidermi, ma non ho il coraggio di farlo. La verità è che non ce la faccio ad affrontare Katima ed Akemi: non ancora. Vorrei andare all’altro mondo con la consapevolezza di aver fatto almeno una cosa buona, che possa se non altro riscattarmi un po’ ai loro occhi. Ma più cerco di aggrapparmi a qualcosa, più il pantano mi inghiotte… non ho la forza per combattere quel mostro, non ho la forza per riparare ai miei errori…sono uno spaventapasseri, Shikamaru-kun? O sono piuttosto una oscura, misera radice? Chissà…le mie cuciture si sono rotte da tempo…e quei sogni spezzati come cocci di vetro hanno già tagliato a sufficienza. Quanta carne sarà rimasta che non sia tessuto cicatriziale? I fulmini mi hanno già abbattuto, ma c’è sempre, sempre un altro temporale…
 
 
Cella Sotterranea – Kumakoro
Ore 4:00
 
Shikamaru lasciò che il monologo dell’uomo sfumasse poco a poco in un incomprensibile borbottio. Dentro di lui si agitavano con forza sensazioni diverse, senza che riuscisse a districare le une alle altre. Decise di rimandare l’elaborazione di un giudizio a quando fosse riuscito ad andarsene di lì: adesso aveva qualcos’altro da fare.
L’effetto della droga stava poco a poco scemando, ma non poteva dirsi del tutto svanito. Il jonin si mosse cautamente, accennando ad un movimento verso Hitaka.
Questi smise di borbottare e lo fissò.
-Non è colpa sua. Non completamente, almeno. – fece il ragazzo. E lo credeva davvero.
-Ma lei deve farmi uscire da qui.
Kinnosuke sospirò. –La fai facile. Potrebbe ucciderti.
-Perché non l’avrebbe ancora fatto?
-Probabilmente intende mangiarti. Per ora è in giro a cercare Temari-san.
Shikamaru sentì qualcosa di freddo, come una scaglia di ghiaccio, scivolargli lungo la schiena.
Temari.
-A maggior ragione dobbiamo sbrigarci. Mi aiuti ad alzarmi.
L’uomo si avvicinò, tendendo un braccio. Nonostante avesse superato da parecchio i sessanta, mostrava una notevole prestanza fisica che l’altro non poté non apprezzare.
-Ha mai cercato di aiutare le altre vittime? Ha mai pensato di informare gli abitanti del Villaggio o di chiedere aiuto?
-Ho fatto tutto ciò che potevo – mormorò l’ex ninja, stancamente. –Ho sempre tentato di liberare le vittime di quel mostro, ma non ci sono mai riuscito. Io stesso, sono in vita solo perché quell’essere gode nel vedermi soffrire, ma non avrebbe tanti problemi a farmi fuori. Sono andato in giro per la città, diffondendo voci sul demone….mi vergognavo troppo per dire le cose come stavano esattamente…ma mi hanno preso per pazzo, e-
Si bloccò, dilatando gli occhi.
Le narici si allargarono, il viso impallidì e le labbra divennero esangui.
-Sta arrivando. – mormorò.
Il Nara scattò indietro, trascinando il vecchio con se’. Sentì l’aria attorno a loro abbassarsi di una decina di gradi, mentre la fiammella della lampada lanciava gli ultimi guizzi esanimi e una nebbia nera si infiltrava poco a poco dalla botola.
Ora o mai più.
Afferrò velocemente il giubbotto, strappò con una sola mossa le cuciture, estraendo il piccolo cilindro rosso dalla tasca nascosta.
Non poteva esitare, neanche un secondo.
Quella cosa stava entrando e, se Hitaka aveva ragione, presto sarebbe divenutoparte di quella creatura, nel senso cannibale del termine.
Sospirò.
Spero funzioni.
Preso un profondo sospiro, denso di muffa e umidità, si lanciò a capofitto verso la botola, proprio in mezzo alla nebbia nera.
 
 
Casa nel Crepaccio – Kumakoro
Ore 4:00
 
Temari chiuse il quaderno, senza riuscire a reprimere un sospiro, e vide un foglietto rettangolare scivolare fuori dalle pagine ingiallite. Si chinò a raccoglierlo, tenendolo delicatamente tra indice e pollice, per paura di strapparlo.
Era una vecchia foto, di quelle in bianco e nero, consumata al centro e laddove era stata piegata più volte. Si distinguevano ancora i volti: una donna, coi selvaggi capelli rossi che danzavano nel vento, un uomo, dal sorriso distratto e sognatore, e una bambina, i capelli corvini e lo sguardo franco e diretto, che faceva una smorfia.
Temari sospirò di nuovo.
 Quindi le cose stanno così.
Si voltò verso il fantasma scarlatto, a pochi metri da lei.
-Perdonami. –mormorò. –Tutto questo è davvero triste. Ne hai sofferto fin troppo.
La figura piegò il capo a destra, agitando i monconi privi di mani. Benchè non avesse voce per gemere, né occhi per piangere, per la prima volta la ragazza fu in grado di comprendere appieno la sua immensa tristezza.
Prese un profondo respiro.
-Li salverò tutti e due. Te lo giuro.
Anzi, tutti e tre.
Per un momento, si sentì molto Naruto Uzumaki.
Rimise il quaderno dove l’aveva trovato, ed uscì all’aria aperta.
Sotto il chiarore nudo della luna, il clima denso di pathos di poco prima si alleggerì, permettendole di riacquistare tutta la sua lucidità.
Lanciò uno sguardo di sfida alla montagna silente oltre il burrone. Tentò invano di individuare la Villa, ma, come pensava, da lì era del tutto impossibile.
-Non puoi condurmici tu? – domandò allo spettro.
L’altro annuì.
Veleggiando, si diresse verso il sentiero incastrato tra gli alberi dal quale erano scesi poco prima, iniziando a salirlo velocemente.
La fa facile, lei. Non ce le ha mica le gambe.
Prima che la kunoichi potesse avanzare una qualunque protesta, però, un rombo scosse il silenzio della foresta.
La ragazza si voltò, allibita, e vide un enorme e rosso fungo di fumo disegnarsi nel cielo nero della notte, lasciando dietro di se’ una scia definita, che partiva da un punto preciso del monte.
Un razzo segnalatore.
Non riuscì a reprimere un sorriso.
Ma quando me l’ha preso…?
Piegò la gambe e scattò in avanti, correndo più velocemente che poteva. Doveva arrivare prima che la delicata brezza notturna disperdesse il fumo rossastro, o sarebbe stato tutto inutile.
I capelli biondi, slegati, si dimenavano contro la corrente, mentre lo sforzo faceva tendere e guizzare continuamente i muscoli tonici. Il cielo nero era ancora puntigliato di minuscoli granelli di luce, ma andava poco a poco sfumandosi in un azzurro intensissimo dai bordi pallidamente azzurri. Di lì a poco sarebbe spuntato il sole, e di conseguenza sarebbe tornata la nebbia.
Speriamo di risolvere tutto prima di allora. I combattimenti nei quali non puoi vedere il tuo nemico sono i più pericolosi.
Cercava di figurarsi un possibile scontro con l’avversario per non pensare a ciò che avrebbe potuto trovare se non fosse arrivata in tempo. Così come lei, sicuramente anche l’Ombra aveva visto il razzo.
Correndo come una forsennata, poté coprire tutta la distanza in poco più di quindici minuti. Quando arrivò, si trovò in una pianura scoperta sul lato del monte, e il vento sopra di lei stava disperdendo gli ultimi tocchi di fumo.
Si guardò intorno, dominando a malapena l’ansia. Niente.
Il buio era ancora troppo intenso per vedere bene da lontano, così cominciò a camminare lentamente sul terreno soffice ed umido di rugiada, tra i massi scuri che picchiettavano il suolo sbucando qua e là.
La piana era grande ad occhio e croce seicento o settecento metri, ed era completamente circondata dagli alberi. Camminando, Temari si avvicinò ad un mucchio di ciottoli disposti in maniera assai strana: sembrava che fossero stati fatti esplodere; alcuni blocchi di pietra erano scheggiati, e molti polverizzati per metà. Poco lontano, vide qualcosa che somigliava ad un insieme indefinito di assi spezzate e detriti, dal quale si levava appena una nuvoletta di pulviscolo di calcinacci. La ragazza si accostò cauta e notò, sopra alcune rocce, un sottile strato di polvere rossa. 
-Shikamaru?
Si guardò attorno. Era da lì che era partito il segnale, non c’erano dubbi. Ma dove diavolo era finito quell’idiota?
-Shikamaru! – chiamò con più forza, ma la landa le oppose il più ostinato dei suoi silenzi.
Imprecò ad alta voce, e dalla stizza mollò un calcio al sasso più vicino, che volò a qualche centimetro di distanza.
Poi si sedette a terra, prendendosi un minuto per riordinare le idee. Non le fu facile, perché una parte di lei minacciava il crollo subitaneo del sistema nervoso al pensiero che il compagno fosse stato già portato via. Tentò di metterla a tacere, con un risultato abbastanza penoso.
Dannazione. Dannazione. Dannazione. Dannazione!
Sferrò un pugno per terra, nella speranza che il dolore fisico la distraesse in qualche modo dai pensieri più negativi, ma il palmo incontrò qualcosa di stranamente soffice e morbido. Si chinò ad osservare.
Un giubbotto da jonin.
Si alzò di scatto, fissando allarmata la terra smossa sotto di se’.
Possibile che…..sia qui sotto?!
Si slanciò verso i massi e le assi di legno, frugando il terreno a mani nude e cercando di liberarlo per quanto le era possibile. Mentre lo faceva, gridava il nome del giovane ninja sperando in una risposta, che però tardava ad arrivare.
Quando, infine,  le mani affusolate si furono coperte di graffi e imbiancate dalla polvere, e la fronte altera coperta dal sudore, scorse un movimento da sotto una tavola segata a metà. Con tutta la forza che aveva, afferrò i bordi taglienti del legno e cominciò a tirare.
-Resisti –mormorò.
Con molta fatica, riuscì ad aprire uno spiraglio e a sollevare di poco la sbarra, puntellandola da un lato. In quel momento, avvertì una forza fuggire, rapidissima,  da sotto l’asse, ma non fece in tempo a rimpiangere il suo gesto perchè fu scagliata, assieme al legno, a una ventina di metri di distanza.
L’impatto fu doloroso, ma il tappeto di morbide felci attutì di poco la caduta. Sbiascicando imprecazioni, la giovane si inginocchiò tentando di rimettersi in piedi.
In lontananza, vide la figura scura profilarsi da dietro i massi spaccati, con la siluette informe che si disegnava nel buio, più nera della stessa oscurità.
Era qualcosa di spaventoso, perché indefinibile: non aveva occhi né naso, né alcuna forma umana, se si esclude uno squarcio sottile a metà corpo, che somigliava ad una bocca dai contorni arrossati. Era ancora più disumana del fantasma rosso.
La kunoichi portò il braccio dietro la schiena, sganciando il ventaglio, ma non poté attaccare come avrebbe voluto: due viscidi tentacoli neri erano spuntati dal suolo e le avevano immobilizzato le mani. La cosa le sapeva maledettamente di déjà-vu.  
In effetti, la Kage Mane no Jutsu* è molto simile a questo.
Ripensò all’esame di Selezione dei Chunin di quattro anni prima. Era riuscita a tenere testa a Shikamaru finché era rimasta in aria, e  fino a quando il sole non era arrivato giusto a mezzogiorno.
Adesso però era notte, dove poteva trovare della luce?
Merda.
Tentò di dibattersi, ma la presa delle braccia velenose si faceva sempre più stretta. Intanto l’Ombra aveva cominciato a strisciare verso di lei, evitando le rade pozze di luce formate dai raggi lunari.
La ragazza si guardò attorno, cercando una soluzione. Le fronde degli alberi la coprivano dall’alto, tenendola completamente nell’oscurità, e anche il vento aveva smesso di soffiare, cosicchè l’aria attorno a lei era diventata stagnante. E la Bestia era sempre più vicina.
Digrignò i denti.
Non posso morire così, cazzo!
In quel momento, un lievissimo alito di vento accarezzò la chioma di un albero, spostando di poco le foglie e lasciando filtrare un sottilissimo aculeo di luce. Il Demone si bloccò per qualche secondo, deviò, e poi ricominciò ad avvicinarsi, come un ragno che, strisciando verso la farfalla intrappolata, trovasse improvvisamente un buco nella ragnatela.
Ma certo.
Temari alzò il ventaglio, come se volesse difendersi.
-Kamaitachi no Jutsu!**
Una ventata di aria tagliente, generata dai soli dell’arma, si levò non contro l’Ombra, bensì contro gli alberi sopra la testa della giovane. Alcuni rami si spezzarono, altri persero le foglie: migliaia di fili di luce inondarono la ragazza, bagnandola del salvifico bagliore argenteo. La presa sulle sue gambe si allentò, mentre l’essere nero emetteva un suono raccapricciante, cupo, a metà tra un gemito e un urlo di rabbia.
Immediatamente, la kunoichi saltò indietro, ripetendo la tecnica, fino a che tutti gli alberi attorno alla radura non furono ridotti a un gruppo di bastoni spelacchiati. La luce della luna, anche se indebolita dall’alba imminente, era abbastanza forte da confinare il Demone in una stretta insenatura tra i massi.
Non può sopportare la luce, ecco perché i rapimenti avvenivano sempre di notte. Buono a sapersi.
Un sorriso di sfida le colorì il viso scarmigliato.
-Ora ce la vediamo io e te, bastardo! Esci!
Avanzò cautamente verso l’Ombra, ma di fatto non sapeva come attaccarla. L’unica strada era far si che la luce la colpisse in pieno, ma quella cosa si muoveva ad una velocità tale che non era sicura di riuscirci. Bisognava immobilizzarla.
Prima che riuscisse a trovare il modo, vide la sagoma scura colare tra le assi del rifugio distrutto.
Shikamaru!
Saltò velocemente vicino ai resti, badando bene di rimanere sempre sotto il fascio di luce. I suoi timori però non trovarono conferma: la creatura scivolò dal buio ridotta ad un rigagnolo di liquido nero, per poi fuggire velocemente in direzione della foresta.
Temari provò un moto di rabbia nell’essersela lasciata scappare – quando le sarebbe capitata di nuovo un’occasione simile? – ma venne soffocato immediatamente dall’idea che, mentre combatteva, forse il suo compagno era morto. Riprese a scavare a piene mani, cercando allo stesso tempo di non rimanere mai troppo a lungo nelle zone d’ombra che – inevitabilmente -  si venivano a creare. Dopo qualche minuto, un bagliore rossastro alle sue spalle l’avvertì della presenza dello spettro.
-Grazie per l’aiuto. – mormorò, caustica.
-Non c’è di che.
 
Temari si voltò.
 
 
 
 
C.I.A.: Ohayo minna-san! Come vanno le cose? =)
Scusate per il ritardo di quest’aggiornamento, ci ho messo tanto a scrivere questo capitolo, perché è il momento delle “rivelazioni” XD All’inizio non volevo dire tante cose, preferivo lasciare qualche mistero irrisolto per la fine…ma poi è uscito così…
Beh, in realtà non ho detto tutto tutto, però alcune cose lasciate in sospeso sono facilmente intuibili. L’unica vera incognita ormai rimane il piano di Shikamaru, anche se per una parte si è già manifestato XD Insomma, sono davvero pessima a tenere i segreti!
Spero vivamente che questo capitolo non vi abbia deluso, che non abbiate trovato le spiegazioni campate in aria o cose simili….se è così ditelo senza problemi, sono preparata al colpo ^_^
Come ho già detto, l’idea iniziale de “I Ricordi delle Ombre” era diversa dalla versione ufficiale, ma ho cambiato idea già dopo il secondo capitolo. La mia scaletta è in continuo aggiornamento, ma per linee generali è già stabilita, grazie al cielo XD
E ora , le recensioni!
 
Pantesilea: Ciao cara! Come vanno le cose? Purtroppo stavolta non sono riuscita ad essere rapida come nell’ultimo capitolo….sorry ^^’’ Grazie mille per i tuoi complimenti, sono felice che la storia ti stia continuando a piacere. La calibrazione della tensione e della suspence è qualcosa che fatico un po’ a mantenere, ho sempre l’impressione di dire troppo o troppo poco, perciò il tuo sostegno mi dà molta sicurezza XD Ultimamente, però, ti confesso che Temari e Shikamaru mi stanno dando problemi. Nel senso che, come hai detto tu, non sono proprio “dolci” come personaggi, quindi creare scene romantiche per loro è sempre una faticaccia…nel prossimo episodio ce ne sarà una più fluff, ma mai esageratamente….non ce li riuscirei proprio a vedere! Allora appuntamento a presto, fammi sapere che ne pensi di questo capitolo – e se hai altre teorie, ma penso proprio di si XD
Un bacio!
 
Revange:Ti ringrazio tantissimo per i complimenti, mi fa piacere avere un nuovo recensore XD Cos’è che ti piace della mia storia? Perché io, anche adesso, trovo tantissimi punti deboli…per esempio le scene di combattimento, che mi mandano in crisi XD Fammi sapere! E grazie ancora! *_*
 
Valey_Ivanov: Evvai,un volto nuovo! *_* Piacere di conoscerti! XD Grazie per aver recensito lo scorso capitolo. Davvero la mia fanfiction ti piace? Sono contentissima. Sui personaggi effettivamente ci lavoro parecchio, perché non voglio “snaturarli”, renderli poco credibili; mi sembrerebbe di fare un torto a loro e al povero Kishimoto XD In questo capitolo la suspance va un po’ a farsi benedire…penso anche che la prima parte sia un noiosa….ho cercato di rifarmi con il piccolo mistero della conclusione, ma penso che molti di voi non ci siano cascati .__.
Allora grazie mille, ci sentiamo (spero!) al prossimo capitolo! Arigatou!
 
SabakuNoMe: Ciao!!Non preoccuparti per il ritardo, capisco che tutti voi abbiate impegni, e d’altronde anche io spesso aggiorno con una lentezza snervante XD I prof sono una razza aliena, lo so (con tutto che mia madre è insegnante) quindi va con calma. Mi fa piacere già che continui a seguire la mia storia! Temari è parecchio incazzata con Shikamaru, solo che al momento è troppo impegnata a salvargli la pellaccia per elaborare  la rabbia. Allora spero di sentirti presto! E in bocca al lupo per gli esami!
 
RollyToo:Eh no, cara: non ti perdono. Mi hai fatto sudare freddo per la tua recensione! XD Scherzo, naturalmente. I tuoi commenti sono la mia fonte di incoraggiamento, come sempre! Che ne pensi di questo capitolo? Ho rivelato troppe cose, troppo in fretta? Ho di nuovo scelto dei cliché? Spero di no, ma il dubbio ce l’ho .__. E perciò confido nella tua franchezza. In questo capitolo ho glissato un po’ sull’introspezione dei personaggi, primo perché ce n’era tantissima nei capitoli precedenti, secondo perché all’inizio parla tantissimo Hitaka, e terzo perché dovevo pur mettere in evidenza che c’è anche dell’avventura e del mistero in questa fanfiction! Sennò avrei dovuto cambiare il titolo in “Un’allegra mattinata con lo psicologo di Konoha.”
Mmm….forse ci starebbe meglio. XD
Sto cercando di delineare il rapporto tra Temari e Shikamaru così come avviene nel manga e nell’anime: attraverso le provocazioni, i pensieri, gli scontri….sono felice che ti piaccia, perché è una bella fatica XD il mio problema è l’ironia. Ogni tanto ce ne metto un po’, ma ho paura di non essere in grado di rendere la storia abbastanza scorrevole =/ Allor aspetto la tua recensione! Un bacio!
 
 

Curiosità, Spiegazioni e Qualche Spoiler:
 

 
*Letteralmente, “Tecnica del Controllo dell’Ombra”
**"Tecnica delle Lame di Vento”
Ebbene, una buona parte del mistero è risolta, ma adesso…come si concluderà la storia? XD Nel prossimo capitolo sarà Shikamaru a dover affrontare il suo fantasma…e ci sarà –promesso! – anche un momento per lui e Temari, visto che ultimamente non si sono proprio visti. Allora a presto!
 
Lovelykim

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Capitolo 9
*** Verde Smeraldo - Espiazione ***


I Ricordi delle Ombre
Capitolo IX
 
 
Verde Smeraldo – Espiazione
 

 
Kumakoro – Foresta
Ore 4:40
 
Temari non si mosse.
Il tempo stringeva, non avrebbe dovuto esitare, ma davvero l’arrivo di quell’uomo l’aveva colta di sorpresa.
-Hitakasan?
Il vecchio le sorrise, anzi, per meglio dire, atteggiò le labbra in una smorfia dolorosa. Reggeva in mano un acciarino argentato, che con la fiammella illuminava vagamente il terreno sottostante, tanto che per un secondo la kunoichi lo aveva scambiato per lo spettro rosso.
-Quell’accendino è…
-Dopo, Temarichan. Prima dobbiamo aiutare Shikamarukun ad uscire di lì.
L’altra tacque, rimangiandosi suo malgrado tutte le domande che le erano affiorate sulle labbra. Riprese a scavare con energia, aiutata dall’ex ninja, ma non riuscì a tenere a lungo a freno la lingua.
-Cos’è successo? – domandò bruscamente ad un tratto.
-Ero venuto per liberare Shikamarukun, ma…Lei ci ha sorpresi. Prima che potessi fare alcun che, quel benedetto figliuolo ha scagliato in aria una specie di missile, che è esploso e ha distrutto la prigione. Era un segnale per te, suppongo.
La ragazza sollevò una pesante asse, sforzandosi di non lasciarsela cadere addosso, poi la gettò da un lato con rabbia.
-Che imbecille. – borbottò.
-Già. Ma non c’era molta scelta.
-Lei come ne è uscito?
-Mi aveva spinto sotto l’architrave. –indicò col dito una lunga tavola di legno, ancora miracolosamente integra – e questo mi ha protetto. Sono riuscito a fuggire in poco tempo.
Chinò lo sguardo, vergognoso, e proseguì –Mi spiace di non aver potuto aiutarti contro di Lei. Ma davanti a quella cosa, tutte le mie brillanti strategie si rivelano puntualmente inutili.
-Non c’è problema. Sono abituata a vedere intelligenze superiori andare in crisi. – ribatté l’altra, mordace.
Si fermò, col fiatone, e fissò arcigna l’anziano che si era bloccato da qualche minuto e guardava con aria pensosa la cella distrutta.
-Vuole aiutarmi o no? – fece, aggressiva.
-Sto cercando di ricordarmi la posizione della botola. – replicò lui, calmo. –Se io fossi stato Shikamaru kun, avrei cercato di addossarmi al muro maestro più vicino, per evitare di essere colpito in pieno dalle rocce. Dovrebbe essere lì.
Temari si fiondò verso il punto indicato dal dito proteso del vecchio, e ricominciò velocemente a spostare i massi, accumulandoli ai due lati dell’apertura. Usare la Kamaitachi no Jutsu avrebbe reso tutto molto più rapido, ma avrebbe rischiato di trascinare assieme alla corrente tagliente anche il jonin della Foglia, quindi era fuori discussione.
Dopo cinque minuti di ininterrotto scavare, cominciò ad affiorare il profilo del muro maestro che, come predetto da Hitaka, era ancora intatto.
-Ehi, Nara! – gridò la kunoichi; non ottenne alcuna risposta.
Imprecando, si fece largo attraverso un improvvisato corridoio tra i detriti, riuscendo ad arrivare in fondo alla fenditura.
-Nara! – ripeté, ma stavolta il controllo della voce  le era venuto meno, mentre il tono imperioso tradiva una nota di panico.
-Idiota! Che razza di genio sarebbe uno che muore in questo modo?!
Quando, per l’ennesima volta, il suo richiamo venne ignorato dalla notte glaciale, la paura l’assalì.
Sentì i pensieri farsi goffi, incespicare nella mente come in delle sabbie mobili; un sudore freddo le scorse sulla schiena e le ghiacciò la fronte; tutto ad un tratto, la stanchezza la fece barcollare.
Non può succedere. Non così.
Chiuse gli occhi, tentando di arginare l’ondata di dolore – un dolore che lei conosceva già fin troppo bene – e di allontanare dal suo cuore lo scoramento che la rendeva inerme, fragile, come lei odiava essere.
Non così. Non di nuovo.
Poi, qualcosa le sfiorò la caviglia.
Sobbalzò, voltandosi a scrutare  il buio sotto di lei. Non riuscendo a vedere nulla, si chinò sulle ginocchia – per quanto lo spazio angusto glielo permettesse – e iniziò a tastare il suolo coi palmi delle mani martoriati.
Ad un certo punto, le sue dita sfiorarono qualcosa di morbido e caldo.
Era una mano. Che era attaccata ad un braccio. Che era attaccato a….
-Shikamaru!
Metà del busto era libero, ma dallo stomaco in giù aveva il corpo incastrato tra un enorme masso e un’asse spezzata. Il viso era bagnato di sangue, colato lentamente da una ferita vicino alla tempia;  la maglia, stracciata, lasciava intravedere alcuni graffi sul petto; ma, anche se affannoso, il respiro c’era ed era abbastanza regolare.
Temari perse qualche secondo nel tentativo di fermare il tremito che le aveva reso le mani malferme; poi, con delicatezza e decisione, spostò le pietre e trascinò il corpo inanimato del compagno fuori dalla buca.
Strappò una striscia di stoffa dalla sua tenuta e la divise in striscioline più piccole; su tutte spalmò un impacco vegetale, ottenuto da un infuso di piante curative, e le applicò sulle ferite del volto e delle braccia. Hitaka, al suo fianco, le passava gli stracci e detergeva le ferite in silenzio.
Gli sbottonò la camicia, e vide che le abrasioni sul petto erano larghe, si, ma non profonde.
Nel complesso, le sue condizioni fisiche erano assai soddisfacenti per essere appena sopravvissuto ad un crollo.
Sentì il sollievo pervaderla completamente, e si lasciò cullare da quella sensazione benefica, come un calore tiepido, per qualche secondo.
È vivo. Ce l’ho fatta in tempo.
Stavolta ce l’ho fatta.
 
~~~
 
 
Non pensi che questo sia più che abbastanza, ormai?
Sei arrabbiata, lo vedo dallo sguardo d’odio riflesso in quelle pupille non tue.
Qualcosa è andato storto, la tua ragnatela si è spezzata,
e tu, come una viscida Vedova Nera, continui ad andare avanti ed indietro impazzita,
in equilibrio su un filo pericolante.
Ruggisci, eh?
Vorresti spaventarmi? Illusa. È perché non hai un cuore:
non puoi capire che, quando si  ha perso tutto,
anche la morte sembra un premio.
Io sono serena; è vero, è una serenità mostruosa,
ma da mostro a mostro, almeno sono più felice di te.
Sei sorpresa, vero? È perché sto ridendo.
Si, mia cara, io rido.
E sento le loro voci che da lontano ridono con me.
 
Non sono pazza, sai. La follia è un lusso,
un lusso che il destino concede raramente.
A me non è stato dato, per quante volte l’abbia chiesto.
 
Questa sofferenza, oh mostro che mi guardi con occhi di stelle,
che con spirito parassita corrompi un giglio novello,
questa sofferenza mi danna e mi salva.
Il dolore rende acceso il mio animo, impedendogli di sgretolarsi
come le pietre bianche del limbo*,
e come le colonne glauche delle anime piccine,
accosta per me ardenti pire di lacrime. 
Questo dolore, si, io finalmente lo accolgo: e lo odio,
e lo amo, perché mi rende altro da te, perché mi impedisce d’essere te.
 
Mi guardi, sei indecisa: vorresti uccidermi perché ti sto sfidando.
Come se potessi farlo.
Desidereresti che io ti supplicassi: è più gradevole vedere il proprio potere nell’annientamento
e nella disperazione di un altro; ma non mi inginocchierò.
Non per orgoglio – ah, ho già imparato quanto distruttivo sia il suo potere -  
ma per quell’unica scintilla di decenza che ancora c’è in me.
Ora sei tu a ridere.
Fai bene.
Che pretese potrebbe mai avanzare un essere come me?
Né vivo né morto, né spoglia né spirito,
non sono niente se non il vento che, trascinandomi, mi disperde.
La mia vita l’ho fatta; vissuta intensamente e conclusa in modo meschino,
ma non ho rimpianti.
Attorno a me sento i palpiti di quei cuori che mi hanno amata,
e tanto basta a dare forza a questo mucchietto di fumo.
Tu sogghigni, e pensi: “Perché ti ostini?
Hai visto chi ti era vicino vendere l’anima e il proprio sangue,
eppure sei tanto sciocca da volere ancora opporti?
Segnato è il destino dell’uomo, da quando all’inizio emette il suo primo lamento,
la sfortuna e il dolore saranno suoi fedeli compagni.”
Questo tu pensi, lo vedo bene.
Ma, seppure così fosse, pensi che sia abbastanza da fermarmi?
Non c’è sofferenza, morte, disgrazia o disonore che l’amore non possa guarire.
Io amo; in questo seno scarnificato, ancora il mio cuore è fedele al sentimento passato,
e gli occhi ciechi piangono lacrime di sangue.
 
Troppi sbagli ed errori sono stati fatti;
il miasma che ha avvolto Sun’johara deve essere purificato.
L’amore lega il mio destino a quello di chi ho amato;
E non cesserò di lottare,
e non cesserò di soffrire,
perché nel sacrificio si espiino per sempre  quelle colpe.
 
 
~~~
 
Questo è un problema.
Temari fece scivolare le dita affusolate sul viso addormentato di Shikamaru, che si contraeva ritmicamente, segnando la pelle olivastra con profonde rughe. Lo chiamò altre volte, ma il ragazzo non accennava a riprendere i sensi, e le smorfie che gli sconvolgevano i lineamenti facevano intendere che fosse intrappolato in un incubo.
La kunoichi si morse le labbra, nervosa. Quel sonno comatoso non poteva essere stato provocato dalle ferite alla tempia, decisamente troppo lievi, ma doveva essere opera del Demone. E se era così lei non poteva fare altro che aspettare.
Trascinò il corpo svenuto verso il margine della foresta, per limitare la loro esposizione ad eventuali – anzi, probabili – attacchi nemici.
Quella cosa non rimarrà a lungo lontana da qui. La luce della luna era decisamente troppo debole per riuscire davvero a fermarla o a ferirla in modo grave. C’è la reale possibilità che torni presto per finire il lavoro.
Si sedette sull’erba, appoggiando la schiena alla corteccia muschiata di un albero, mentre con la mano accarezzava distrattamente il ventaglio.
Se l’Ombra fosse tornata, non avrebbe avuto la stessa fortuna. Adesso si trovava in una posizione di ulteriore svantaggio, dovuta al fatto che Shikamaru non solo era scoperto ad ogni tipo di attacco, ma non poteva neanche difendersi, viste le condizioni in cui si trovava. Avrebbe dovuto proteggere se stessa e lui allo stesso tempo.
Si massaggiò le palpebre brucianti, scervellandosi invano per trovare una soluzione.
Oltre alle notevoli complicazioni dovute allo stato del suo compagno, c’era da aggiungere che il vecchio jiji era svanito, evaporato come una goccia d’acqua.
Quando era tornata su dal sotterraneo, l’aveva aiutata a medicare il jonin, dopodiché si era volatilizzato senza dire una parola e senza farsi notare.
Onestamente, Temari non sapeva che pensare di lui.
Da un lato provava compassione per il fardello che si portava dietro: un peso dovuto ad anni di sensi di colpa, errori ed ambizioni frustrate; dall’altro la sua arrendevolezza nei confronti della situazione che si era venuta a creare la irritava.
Gli sbagli si pagano caro, che senso aveva fuggire dalle proprie responsabilità? Macerarsi nel dolore non gli avrebbe portato niente, di certo Akemi e Katima non sarebbero tornate, neanche se avesse versato tutte le lacrime di questo mondo. Perciò, tanto valeva provare a fare qualcosa.
Una considerazione improvvisa interruppe il filo dei pensieri.
Forse lui non lo sa. Possibile che… non se ne sia accorto?
Dondolò la testa avanti e indietro, esasperata.
Perché tutti  i cosiddetti “geni” si rivelano puntualmente una massa di imbecilli?
Accanto a lei, uno degli imbecilli in questione emise un piccolo gemito. La ragazza si sporse di lato, e notò che il viso gli si era coperto di luccicanti gocce di sudore, come se gli fosse salita improvvisamente la febbre. Non c’era acqua nei dintorni, per cui cercò di ripulirgli la faccia con il lembo della sua manica, ma il ragazzo continuava a mugugnare in preda a chissà quali orribili visioni.
Il serpente che da qualche minuto aveva stretto in una morsa le viscere di Temari, riprese a contrarsi dolorosamente. Era incredibilmente frustrante essere costretta ad assistere al tormento di un compagno senza poter fare alcunché. Ad ogni nuovo spasmo del volto addormentato anche il suo stomaco faceva un salto, e i denti mordevano le labbra con un po’ più di forza.
-Cosa stai sognando? – mormorò inconsciamente.
Il suo sguardo scese dal viso alle braccia, e poi alle mani che si contraevano sigillate, mentre qualche goccia di sangue colava dalla carne solcata dalle unghie. Allungò le dita e  cercò di sciogliere quella morsa, ma la presa si serrò sul suo polso impedendole di ritirarsi. Cercò di liberarsi, invano: ad ogni tentativo, la stretta si faceva più forte, costringendola ad avvicinarsi, suo malgrado.
Quand’è che è diventato così forte?
Di nuovo le balenò alla mente l’immagine di un ragazzetto fragile, con i capelli dritti ed i lineamenti ancora un po’ incerti.
Intelligente, certo. Ma…forte?
Solo che lui non è più un bambino. È un uomo.
Quella parola, “uomo”, le si bloccò nel cervello senza che riuscisse a scacciarla.
Shikamaru era un uomo.
Ma che scoperta esaltante.
E grazie che era un uomo. Come se lo stesse notando solo ora…come se lo conoscesse per la prima volta.
Forse è così. pensò, e dovette rigurgitare un’ondata di orgoglio imbarazzato.  
Fino a quel momento, forse, lui era stato solo un “compagno” e non un “uomo”, così come lei era stata una “kunoichi” e non una “donna”.
Ma la loro situazione non permetteva più di ignorare la differenza; o, almeno, non lo permetteva a lei.
Di nuovo la colse un impeto di pura frustrazione. Erano in pericolo di vita, pronti ad essere la prelibata colazione di un mostro da film horror, e lei si perdeva in filosofiche congetture sull’essere uomo e donna.
Ma per l’amor del cielo.
Shikamaru scelse quel momento per voltarsi dall’altro lato, trascinando l’altra che gli finì proprio addosso.
-Nara, questa me la paghi – borbottò, ma non riuscì di fatto a mettere fra se stessa e lui la distanza che avrebbe voluto.
Vide ai bordi delle palpebre chiuse due stille d’acqua, e la preoccupazione la rese più docile.
Stavamo meglio prima. pensò.
Sempre una provocazione, un divertimento squisito ed incosciente, senza tutti quegli interrogativi sul come e sul perché. Ed invece…
Il ragazzo riprese a biascicare qualcosa nel sonno. Temari avvicinò l’orecchio per sentire meglio.
-A…su…ma..-
Una smorfia amara le solcò il viso. Stava sognando il suo sensei, ecco il perché tutta quella sofferenza.
Ricordò gli incubi che avevano tormentato lei fino a poco tempo prima, e ricordò come lui si fosse prodigato per renderle le cose meno difficili, con piccole e impercettibili premure.
Sospirò.
Sono messa male.
Si sarebbe lasciata intombare viva sotto un cumulo di sabbia piuttosto che ammetterlo, ma, dentro di lei, era nato un qualcosa – stentava a chiamarlo sentimento – che la portava a pensare sempre di più allo Shikamaru uomo, piuttosto che allo Shikamaru compagno.  
E questo era un problema.   
Complicazioniovvie a parte (tra le quali la distanza considerevole che divideva Suna da Konoha), lei non si sentiva pronta ad affidarsi sentimentalmente a qualcuno, figurarsi intrecciare una relazione.
Con lui, poi. Fino a qualche tempo prima le sarebbe venuta una sincope alla sola idea.
Sospirò, ma il suo lamento flebile venne coperto dal respiro del ragazzo, divenuto improvvisamente pesante e difficoltoso.
Temari era preoccupata. Non era un medico, aveva l’abilitazione per gli interventi di base come ricucire un taglio, steccare un osso e cose così, ma di medicina vera e propria sapeva poco o niente.
Il giovane cominciò ad agitarsi sempre di più, stringendo i denti e affondando le unghie nella mano di lei. I capelli sfuggivano dalla coda, ricadendo sul volto bagnato di sudore freddo, la fronte si ricopriva di rughe e le palpebre si assottigliavano piegandosi all’interno.
La ragazza fece l’unica cosa che poteva: gli schiaffeggiò con forza il viso, sperando di svegliarlo. 
Miracolosamente, funzionò.
Il Nara smise di tremare poco a poco, mentre le spalle si rilassavano e le palpebre si schiudevano lentamente.
Le ciglia umide si scostarono, rivelando le due iridi castane, rese brillanti appena dal pianto trattenuto. Lo sguardo vagò confuso da destra a sinistra, prima di fermarsi sulla figura piegata di fronte a lui. Impiegò qualche secondo per metterla bene a fuoco.
-Temari. – rantolò, con voce rauca.
-Ben svegliato, femminuccia. – rispose l’altra, chiaramente sollevata nonostante l’insulto.
Shikamaru richiuse gli occhi, sfinito: sembrava che lo sforzo necessario a svegliarsi lo avesse prosciugato di tutte le energie. La testa gli ricadde all’indietro, ma la compagna si affrettò a sorreggerla perché non battesse di nuovo sul terreno.
-Shikamaru!
Gli ci volle qualche secondo per tornare in se’. Quando dischiuse di nuovo le palpebre, lo sguardo era più lucido e tranquillo, ma ancora evidentemente turbato.
Aveva sognato…aveva avuto due incubi, uno peggiore dell’altro. Era stato traumatizzante, ma almeno gli avevano permesso di scoprire qualcosa in più sulle armi del nemico.
-I..rico..rdi – annaspò, tentando di mettersi seduto.
Temari lo sostenne per le spalle, lasciando che si appoggiasse al suo petto.
-Sta calmo. Respira piano. – ordinò pacata.
L’altro obbedì, mentre aspettava che l’emicrania si placasse. Appoggiò il viso sul seno della ragazza, caldo e morbido, mentre il suo respiro ed odore si mischiavano alla brezza fresca della notte.
La sua presenza è un calmante,pensò.  Peccato che non sia sempre così.   
Fissò le pupille marroni negli occhi verdi di lei: un oceano infuocato, mobile, intenso tanto da risultare insostenibile e ammaliante. Quello sguardo saldo e diretto, che poteva spezzare e penetrare anche gli animi più duri dell’acciaio, era adesso una pozza di smeraldo vivo, ardente di una preoccupazione appena nascosta.
Non l’aveva mai vista così.
Era sicuro. Quella scintilla danzante che intravedeva glielo aveva confermato: finalmente, Temari aveva abbassato le difese.
Un calore nuovo, che sapeva di parole bruciate e di desiderio, si insinuò sottopelle, dentro le vene, riscaldandolo e scacciando l’angoscia. Lasciò che orrore e inquietudine annegassero in quel mare, mentre una nuova consapevolezza irradiava il suo cervello addormentato.
Vide le iridi di lei farsi più fonde, e seppe che stavano bruciando di quello stesso fuoco.
 
Non ora. s’impose. Ricordati in che situazione sei.
 
-Sei venuta. Tutto secondo il piano. –disse.
Anche nell’oscurità, poté notare le gote del suo viso tingersi di rosso e gli occhi lampeggiare sinistramente.
Sentì che la ragazza si scostava bruscamente e strattonava la mano per liberarsi dalla presa, ma, di riflesso, finì con l’aumentare la pressione.
-Mollami – ringhiò lei. – Avrei dovuto lasciarti sotto quel cumulo di macerie, razza di…
-Ma non l’hai fatto.
-Perché non avevo voglia di dare spiegazioni a Tsunade. Ma, ripensandoci, le avrei probabilmente fatto un favore, liberandola di un impedito come te!
-….sei di una dolcezza commovente.
-E tu sei un bastardo.
-Bel modo di parlare ad un compagno ferito, davvero.
-Perché non hai idea di quel che ti farò dopo, femminuccia. Scrivi il tuo testamento.
Ad ogni sua violenta risposta, poteva vedere il ghigno sul volto di Shikamaru allungarsi.
-Impedito, bastardo, femminuccia…dov’è finita la gentilezza di prima?
-Quale gentilezza?! Ero solo…
-Preoccupata?
-Col cavolo!
-…. sembra che non te ne importi proprio niente.
-E’ così, idiota.
La kunoichi gli lanciò un’occhiataccia che avrebbe stroncato chiunque, ma lui c’era troppo abituato per lasciarsi intimorire.
….pare che sia ancora piuttosto riluttante. Mi sono sbagliato?
-Mi hai chiamato per nome. – fece, all’improvviso.
-E allora? – abbaiò lei.
-Non lo avevi mai fatto prima. – ribattè, calmo.
Temari non rispose. Sentiva che in quel momento avrebbe potuto tradirsi con una sola parola.
Shikamaru sospirò.
-Ho sognato Asuma. – riprese, cambiando del tutto argomento. La voce si era fatta più flebile e stanca, ma la mano era ancora stretta attorno al polso della compagna.
 -Non è stato un sogno normale. Ho visto il giorno della sua morte. – rabbrividì.
Raccontarlo era penoso, ma doveva farlo per forza. 
-Sfrutta i nostri ricordi – mormorò, dopo qualche secondo. –Rievoca negli incubi le esperienze dolorose delle sue vittime, rendendole psicologicamente fragili. Poi, quando non sono più in grado di ribellarsi, le attacca frontalmente.
-Si, lo so.
-Lo sai?!
-Ho salvato un bambino che era stato preso da quella cosa. Quando mi ha raccontato il suo incubo, avevo capito che c’era qualcosa di strano. – spiegò.
Il Nara sforzò un sorriso.
-Ti avevo sottovalutato. Colpa mia.
-Perché sei un pallone gonfiato. Come tutti gli uomini, anche se vi atteggiate a duri.
-Ahahahah. Questo mi sa di déjà-vu. – si voltò dall’altro lato.
-Ma probabilmente hai ragione. Sono solo un ragazzetto esaltato, giusto?
Il tono della voce l’allarmò. La kunoichi vide il viso del compagno adombrarsi, e gli occhi spegnersi, mentre ricordava il giorno dell’uccisione di Asuma. 
Conosceva gli effetti devastanti che il senso di colpa poteva avere su una persona.
All’improvviso realizzò che, come lei non aveva saputo riprendersi del tutto dalla morte di Taketo, allo stesso modo Shikamaru non aveva cessato di colpevolizzarsi per la perdita del suo sensei.
Ci assomigliamo. pensò. Abbiamo entrambi sprecato troppo tempo a piangere su cose che non possiamo cambiare.
Levò la mano libera e la posò sui suoi capelli. Erano morbidi.
Ne fu stupita; se li era sempre immaginata ispidi e ribelli, ruvidi al tatto come fasci di paglia. Invece avevano una bella consistenza: lisci e soffici come le piume di un corvo, facevano un piacevole solletico mentre li passava fra le dita. 
Il ninja alzò lo sguardo a quella inaspettata carezza, osservandola con il solito sguardo indecifrabile. Temari ritirò la mano, imbarazzata.
-Allora. – sussurrò, per rompere il silenzio. –Quale sarebbe la seconda parte del tuo piano, genio?
Il Nara sorrise.
-Oh. Sono certo che ti divertirai un mondo – sghignazzò.
 
 
 
 
 
L’Ombra si muoveva veloce tra i rami, simile ad un singulto del vento.
Attorno a lei, un alone di morte travolgeva gli esseri che si trovavano sulla sua strada: e tutto ciò che sfiorava finiva inglobato da quella massa nera senza anima e senza pace.
L’alba era agli sgoccioli, presto le spighe di sole avrebbero cominciato a dipingere il terreno di sfumature dorate: e quella sarebbe stata la sua fine. Doveva terminare tutto prima di quel momento, o avrebbe offerto ai suoi nemici l’occasione per attaccarla quando era più inerme: durante il giorno.  
Nel cuore denso di tenebre della foresta, si era rigenerata e rinvigorita; e non avrebbe più commesso lo stesso errore.
Saettò tra le foglie, colando fra le radici come un torrente d’inchiostro, e arrivò alla radura dove, poco prima, la ragazza l’aveva umiliata.
Vide i due ninja stesi sotto un albero, che parlottavano fra loro, e una risata gutturale eruppe dallo squarcio che aveva in volto.
Aveva bisogno di un corpo che non fosse sensibile alla luce del sole o della luna. Si trattava di una soluzione meramente temporanea, perché la carne umana è difficile da gestire, ma le avrebbe permesso di sbarazzarsi finalmente di quell’impedimento fastidioso.
La massa nera tremolò, si solidificò poco a poco, assumendo una precisa forma femminile. Lentamente, uscì dalla boscaglia, avanzando attraverso le felci e gli arbusti con passo cadenzato.
I due ragazzi si voltarono verso di lei e, riconoscendola, ebbero un sussulto di sorpresa. La femmina si alzò, indecisa se venirle incontro o meno, mentre il compagno la fissò incredulo per qualche secondo.
-Temarichan. – mormorò l’Ombra. –Ho bisogno di aiuto!
Si gettò per terra. L’altra le corse incontro, allarmata.
-Cosa è succes..?
Vide il volto bianco divenire livido, e le labbra rosee tingersi di rosso scarlatto.
Temari cadde a terra, vomitando sangue, e reggendosi lo stomaco perforato con entrambe le mani.
Il demone rise, uno squillo acuto di campanellini e catene.
-NO!
Il ragazzo provò ad alzarsi, l’espressione furibonda dipinta negli occhi, ma cadde indietro miserabilmente. Era ancora troppo debole.
L’Ombra si avventò su di lui, attorcigliandogli i tentacoli neri attorno al collo.
Poi strinse, strinse, strinse.
Fino a che anche lui, ridotto ad un fantoccio agonizzante, non cadde a terra con la schiuma alla bocca.
L’Ombra si allontanò, ammirando il suo lavoro.
Li aveva stroncati entrambi. Tornò verso la femmina, la sollevò per aria per godersi l’espressione di paura e dolore sul volto macchiato di rosso.
Ma, c’era qualcosa che non andava.
Stava sorridendo.
Negli occhi verdi non c’era traccia di timore, né di sofferenza, ma solo un chiaro e riconoscibile scherno. La stava prendendo in giro.
L’Ombra aumentò la pressione sulla ferita, spruzzandosi di macchie cremisi, ma l’altra rimaneva imperturbabile. Allora scagliò il corpo esangue contro un albero, e si voltò per dare il colpo di grazia al compagno, ma il ragazzo era sparito nel nulla.
La furia la travolse. Ruggendo, setacciò la radura alla ricerca del cadavere mancante, senza trovarne la minima traccia.
Livida di un inesprimibile odio, tornò a fissare Temari.
La giovane, simile ad un burattino dai fili spezzati, la guardò col volto riverso all’indietro.
Poi, con sforzo, mentre un fiotto di sangue gocciava ancora dalla bocca semiaperta, tese le labbra in un sorriso.
Fregata.
 
 
 
 
 
 
CIA: Sono sinceramente mortificata che questo capitolo sia giunto così in ritardo rispetto alla tabella di marcia (già lenta notevolmente di suo).
Quest’ultimo mese è stato un po’ duro per la sottoscritta: ho avuto vari problemi da cui sto cercando di riprendermi e non sono stata capace di buttare giù assolutamente nulla. Di questo mi scuso con tutto il cuore .__. Cercherò di rimediare col prossimo capitolo, che sarà anche il penultimo :-D
In questo episodio non succede quasi niente, tranne il momento un po’ più tenero tra Shikamaru e Temari, ma è stata una scelta mia: volevo preparare il terreno per il “boom” della prossima volta, quando ci sarà scontro definitivo, quindi questo è stato un capitolo di passaggio (“E tu ci hai messo così tanto solo per un capitolo di passaggio?! Ma sei cretina ?!” si, sono cretina. Perdonatemi .__.)
Le mie scuse a chi si aspettava che succedesse chissà che, dovrete pazientare un altro po’. XD
Ora, le recensioni!
 
Lisey91: Grazie mille per la tua preziosa recensione. Davvero hai letto la storia tutta d’un fiato? Wau! Ne sono felicissima. Eh si, rendere bene le ShikaTema è abbastanza difficile, soprattutto perché non sono la solita coppia canonica da cioccolatini e fiori. Hanno due caratteri particolari, e si rischia di appiattirli se non gli si danno tutte le sfumature necessarie (io non so se ci sono riuscita, ma mi rincuora sapere che li consideri IC *_*)
All’inizio anche io ero molto indecisa se pubblicare o meno questa fanfiction, avevo paura di non essere all’altezza, ma credimi: ne vale la pena. Quindi spero di poter leggere presto qualcosa di tuo!
A presto, un bacio :-D
 
Revange: grazie mille per aver commentato anche questo capitolo. Non penso che la mia scrittura sia qualcosa di eccezionale, anzi, ho l’impressione di aver toppato in pieno stavolta XD Mi fa piacere che la colorazione introspettiva di ogni puntata ti piaccia: non è facile, perché non posso mai scadere nel melenso (o almeno ci provo) quindi è un continuo gioco di equilibri nel tentare di rendere al meglio ogni personaggio. Allora aspetto la tua recensione, grazie ancora ^_^
 
Pantesilea: Salve cara! Ti ho fatto penare un po’ con questo capitolo, eh? XD Mi dispiace. Grazie per aver commentato, come al solito: spero che tu non sia rimasta delusa da questo episodio (che purtroppo o usciva così, o mi sa che non pubblicavo proprio più niente XD). Farò del mio meglio la prossima volta. Grazie per avermi risollevato il morale e avermi dato maggiore sicurezza circa la rivelazione - un po’ brusca - di tutti i misteri nello scorso capitolo. Rimane ancora qualche cosa da dire, ma accadrà nella prossima puntata.
Vorrei sapere se la scena tra Shikamaru e Temari ti è piaciuta o se ti aspettavi invece qualcos’altro
 (come sai, sono disponibilissima ad accettare critiche, quindi spara pure, se qualcosa non ti convince). I tuoi commenti sono insostituibili, spero di ricevere presto un’altra tua recensione.
Un bacio, a presto!
 
Valery_Ivanov:Ciao! Grazie per aver commentato anche lo scorso capitolo, mi hai resa molto felice. Dunque, Temari non ha trovato proprio Shikamaru dietro di se’…eh eh…l’ho fatta penare un altro po’. XD Hitaka comunque è uno dei miei personaggi preferiti, in quanto uno dei più “umani” come hai giustamente detto tu. Ma non ha ancora capito la cosa più importante…eh già…
Spero che la parte più ShikaTema ti sia piaciuta un po’, o che almeno non facesse troppo schifo. So di non averla resa come avrei voluto, e questo mi dispiace, ma mi sforzerò di più nel capitolo finale, quando tutti i nodi verranno finalmente al pettine.
Detto questo, spero di poter leggere presto una tua recensione *_* A presto, un bacio!
 
Shia17: Ciao! È un piacere vedere gente nuova che recensisce. Grazie mille per i tuoi complimenti, non so se me li merito davvero tutti XD Anche tu hai pensato che Temari avrebbe trovato Shika, eh? E invece era Hitaka (poverino, non se lo fila quasi nessuno). Però il momento per loro due c’è stato lo stesso, anche se  magari non era romantico come ci si aspettava.  
Di questo capitolo, invece, che dici? Ti è piaciuto? Aspetto presto un’altra recensione! Un bacio e grazie ancora! :-D
 
Curiosità, Spiegazioni e Qualche Spoiler:
 
*i giapponesi credono che i bambini nati morti (o morti subito dopo la nascita) vadano in questa dimensione, il limbo, nella quale passano l’eternità impilando sassolini bianchi per formare delle colonne, che vengono ogni volta distrutte dai demoni.
Nel prossimo capitolo, il penultimo (sigh!) ci sarà lo scontro finale: gli ultimi dubbi attorno alla figura del fantasma scarlatto e agli altri personaggi saranno finalmente eliminati.
Allora a presto, un Buon Natale e un Felice Anno Nuovo a tutti!
 
Lovelykim
 

 
                            

 
  
 
 
 
 
 
 
 
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Capitolo 10
*** Bianco Perla - Il Valore del Perdono ***


I Ricordi delle Ombre
Capitolo X



Bianco Perla - Il Valore del Perdono             
 
Kumakoro – Cimitero
Ore 5:15
 
Mancava decisamente poco all’alba: ormai era questione di minuti. Il cielo era sfumato in un indaco intenso, libero dalle nuvole e ancora vagamente picchiettato da stelle, con al centro la luna che andava impallidendo sempre di più.
Il sole era ancora nascosto dalle cime delle montagne, ma qualche leggero spruzzo di luce bagnava già le chiome della foresta, accendendole appena. Nel cimitero del Kumakoro, in un’insenatura larga poco meno di un chilometro, le lapidi glauche stillavano opache gocce di rugiada, come se gli antichi morti, che da secoli riposavano in quel luogo, stessero piangendo il calore del sole a loro negato.
In alto, sullo spuntone di roccia sopra di lei, Temari vide torreggiare Villa Tenshi, con le sue fattezze grottesche e l’aria di un vecchio gigante stanco. Scacciò la malinconia che quella vista le ispirava, e riprese il suo minuzioso lavoro accanto alle tombe, sperando che nessuna anima vagante l’accusasse dall’aldilà di essere una profanatrice. Pochi metri più in là, Shikamaru riposava, col busto appoggiato mollemente ad un tronco scheletrico.
Dopo qualche minuto, il suo placido riposo fu interrotto da un’esclamazione, che poteva essere di giubilo o anche di disperazione. Si alzò, a fatica, e si avvicinò alla kunoichi dai capelli dorati.
Temari si voltò a guardarlo, un sorriso soddisfatto e felice sulle labbra piene, mentre con un gesto indicava il terreno e ciò che vi aveva trovato.
-Perfetto.- mormorò il ragazzo, in tono stanco. Era ancora fisicamente provato dalle ferite riportate nel crollo, ma, allo stesso tempo, sentiva di aver ritrovato tutte le sue facoltà intellettive.
-La Bushin no Jutsu non la ingannerà per molto. Dobbiamo sbrigarci. – poi aggiunse, sorridendo – Mi sento leggermente in colpa nei confronti di Naruto. Gli abbiamo fregato la tecnica.
-Ma per piacere. – ribatté l’altra, alzando gli occhi al cielo.
Shikamaru tornò indietro, strascicando i piedi. La giovane lo vide allontanarsi, curvo in avanti, e si domandò se veramente avrebbero potuto farcela. L’unica chance che avevano consisteva nel fidarsi completamente di ciò che il Nara aveva intravisto prima di svenire, quando l’Ombra si era temporaneamente impossessata della sua mente. Sapevano entrambi che era un azzardo, ma rimaneva l’unica scelta praticabile.
Il vento prese a spirare, prima debolmente, poi con maggiore forza; fino a quando, tra le fragranze della notte morente, Temari percepì un odore di ciclamino che le era ben noto. Lentamente, dosando con attenzione ogni singolo movimento, si voltò verso il limitare del cimitero, da dove una piccola figura avanzava traballando. Non si mosse.
-Temarichan! –guaì la creatura.
-Chie. –rispose l’altra, atona.
-Ti ho cercata tanto! Devi tornare subito, il villaggio è nei guai. Lo spettro rosso ha…
-Dacci un taglio. – la interruppe la kunoichi.
Chie si bloccò, fissando i grandi occhi azzurri in quelli verdi di lei. Lo sguardo di Temari, ferreo ed energico nonostante la stanchezza, non lasciava spazio ad obiezioni di alcun tipo.
-Temarichan?
-Basta con questa storia di “Temarichan”. Hai appena cercato di ammazzarmi, e non concedo ai miei nemici il lusso di chiamarmi per nome. – fu la risposta, tagliente come una lama.
La bambina – o quanto meno la creatura che tanto ne aveva l’aspetto – spalancò gli occhi e le narici, digrignando la bocca sottile per la rabbia.
-Maledetta. – sibilò. Il timbro della voce era completamente cambiato: il suono usciva strozzato, gutturale, come se le corde vocale stessero sfregando con forza l’una contro l’altra. Il corpo cominciò a trasfigurarsi: la pelle divenne nera, gli occhi assunsero una colorazione cremisi.
-Quindi è questa la tua vera natura. – mormorò Temari, sganciando il ventaglio e ruotandolo dinanzi a se’. –Fatti sotto.
L’Ombra, che conservava a stento sembianze umane, ruggì con forza; ma non attaccò ne’ si mosse. Si voltò invece verso oriente, per controllare a che altezza fosse giunto il sole.
Poteva ancora farcela.
Gli occhi, con le pupille ridotte ad una sottilissima fessura, tornarono a puntarsi sulla kunoichi, immobile e concentrata.
Per circa un minuto, nessuna delle due si mosse; si fissarono, combattendo una battaglia di sguardi.
Poi, all’improvviso, il demone scattò in avanti con un movimento rapidissimo, sfrecciando nell’aria come un proiettile. La ragazza fece appena in tempo a schivarla, spostandosi più in là di un metro ed alzando il ventaglio per coprirsi completamente. Prima che la creatura potesse sferrare un secondo attacco, ruotò i polsi sferzando l’aria con mille brillanti lame di vento; ma il tentativo andò a vuoto, perché l’avversaria aveva una velocità troppo elevata.
Chie si avventò contro di lei, emettendo sibili dalla bocca ritorta, le unghie protese in avanti. Con l’avanzare del giorno e il dissiparsi progressivo delle tenebre, non poteva più passare da un corpo all’altro; e anche se i suoi movimenti erano rapidi e saettanti, risultavano piuttosto scoordinati.
Dall’altro lato, neanche Temari era esattamente in piena forma: non riposava in modo decente da più di due giorni, le ferite sul corpo le tiravano tutte, e faceva una fatica immensa a cercare di manovrare  ventaglio senza farlo cadere a pezzi. L’adrenalina sopperiva solo in parte alla mancanza di energie, ed era un espediente meramente temporaneo: non avrebbe resistito a lungo allo scontro, e lo sapeva.  Dopo cinque minuti di botta e risposta, aveva già il fiatone e il battito cardiaco accelerato.
Devo tenerla lontana dalla foresta il più a lungo possibile. Pensò, lanciando un’occhiata agli alberi dietro di se’.
L’ultimo attacco la colse di sorpresa: l’Ombra si scagliò contro il ventaglio, e lei si ritrovò in aria prima di rendersi conto di essere stata colpita. L’impatto col terreno fu duro, e le portò alle labbra il sapore salato del sangue. Si rialzò, facendo leva sui gomiti, più velocemente che poteva; si allontanò dagli alberi tentando di ignorare il pulsare sordo al fianco che presto – lo sapeva – sarebbe diventato un cocente bruciore. La creatura dall’aspetto infantile si ergeva di fronte a lei, dondolandosi avanti e indietro, i tratti del viso completamente sconvolti da una smorfia di pura crudeltà. Il pensiero che quel corpo, a suo tempo, era appartenuto ad una bambina, la gelò per un attimo. Si poteva davvero arrivare ad un tale livello di mostruosità?
Fino a profanare il corpo sacro di un bambino?
Come se avesse colto il flusso dei suoi pensieri, la creatura di fronte a lei tese le labbra in un ghigno.
-Temarichan – cinguettò, con voce allegra – Guarda un po’, ti ho fregata.
La kunoichi impallidì, sentendo qualcosa scivolarle lungo le gambe. Abbassò lo sguardo, orripilata: concentrata com’era a seguire i suoi movimenti, non aveva fatto caso ai tentacoli d’ombra che erano strisciati lenti fino a lei. Tentò di scansarsi, ma, anche se molto indebolite per la presenza di una piccola quantità di luce, le due propaggini nere erano abbastanza forti da inchiodarla al suolo.
Con la coda nell’occhio, scorse un movimento accanto alla prima schiera di lapidi, ad una ventina di metri da lei.
-Non provarci nemmeno. – sussurrò, e sapeva che lui l’aveva sentita.
Se si fosse intromesso adesso, l’intero piano se ne sarebbe andato a quel paese. Temari si guardò attorno, cercando di misurare lo spazio percorso in quei minuti di combattimento, e notò che si era allontanata troppo dal punto prestabilito. Prima che Shikamaru entrasse in azione, bisognava assolutamente che Chie tornasse lì.
Fece un po’ di forza sulle gambe, ma i legacci erano molto resistenti. L’Ombra aveva cominciato ad avvicinarsi, lentamente, schivando gli attacchi che le spediva col ventaglio. Fece il giro attorno a lei, e la ragazza capì che intendeva colpirla da dietro. Non poteva voltarsi per contrattaccare, era alla sua mercé.  
Per un momento, il panico s’impadronì di lei. Non temeva per la sua vita, no: sapeva che Shikamaru non sarebbe stato a guardare mentre moriva. Ma se lei avesse fallito, non c’era quasi più speranza di ricatturare quel demonio. L’Ombra non era stupida: se il ninja della Foglia fosse piombato all’improvviso sul campo di battaglia per soccorrerla, avrebbe rimesso insieme i pezzi del loro progetto e non si sarebbe più fatta cogliere in fallo. Già era abbastanza sorprendente che non se ne fosse ancora accorta.
Temari ruotò il busto per ciò che le era possibile, ed in quel momento un grido lacerante, di rabbia e di dolore, si diffuse nell’aria come una macchia d’inchiostro. Vide Chie scattare all’indietro, di nuovo di fronte a lei, il volto contratto dalla furia, col braccio penzolante e una rosa di sangue che sbocciava sullo yukata strappato.
La ragazza gemette, mentre le due bisce si suoi piedi si sgretolavano come sabbia, lasciandola libera.
-Non saresti dovuto intervenire. – fece, senza voltarsi, con una rabbia che non era per Shikamaru ma per se stessa. – Adesso si che è  tutto inutile.
-Chiedo perdono, Temarichan. Mi pareva di averti vista un po’ in difficoltà. – rispose una voce tranquilla.
Lei si voltò appena, senza riuscire ad impedirsi di assumere un’espressione sbigottita.
-Hitakasan?
-Per servirti. – l’uomo abbozzò un mezzo inchino, tenendo però gli occhi sempre fissi su Chie. –Ho deciso di smetterla di nascondermi. Vivere da topo per cinquant’anni può risultare enormemente avvilente.
La kunoichi provò un moto di sincera gratitudine. Poteva solo immaginare lo sforzo che l’amico stava facendo in quel momento, per aiutarla a combattere contro un mostro, si, ma che aveva pur sempre l’aspetto di sua figlia. Tornò a fissare il demone, rincuorata.
-Si aprano le danze. – mormorò Hitaka.
 
                                                                           ******************
 
Shikamaru si sforzò al massimo per cercare di eliminare ogni rumore di sottofondo, ogni grido che proveniva dal combattimento poco lontano.
La cosa può non essere particolarmente facile, se la ragazza che ami sta rischiando la vita a cinquanta metri da te.
Digrignò i denti. Non ora.
L’arrivo di Hitaka gli aveva dato un po’ di sollievo. Aveva visto Temari cadere nella trappola di Chie – a cosa stava pensando, dannazione?! –ed era stato sul punto di scendere in campo, mezzo disfatto com’era. L’aiuto insperato dell’ex ninja era stato il primo evento provvidenziale di quegli ultimi tre giorni. 
Mosse velocemente le mani, componendo i sigilli uno dietro l’altro. Attorno a lui aveva cominciato ad addensarsi una nebbia vischiosa, che andava mano a mano facendosi più nera e voluminosa. Lanciò un’occhiata veloce al combattimento. Vide subito che al quadro mancava un altro elemento, che però era assolutamente fuori dal loro controllo. Se non fosse arrivato, se non avesse deciso di combattere, allora ogni tentativo sarebbe stato vano.
Verrà, ne sono sicuro. Chi ama non può abbandonare.
Per un secondo la mente brillante indugiò nei ricordi. Non nei suoi, però, ma in quelli di Temari: i ricordi che aveva assorbito durante il viaggio infernale nella mente del mostro.
Quando aveva scagliato il missile, il suo viso era entrato per un momento a contatto con la sostanza nera che componeva il suo corpo: era stato come attraversare con forza una superficie di vetro cosparsa di colla. Dentro di lui si erano affollate, tutte insieme, immagini e sensazioni di persone diverse, tutte le vittime sacrificate da quella bestia orrenda, in un caleidoscopio colorato di male e sofferenza, che aveva minacciato di soffocarlo. In mezzo a quel carnevale di sensazioni violente, si era aggrappato all’unico volto familiare, amico, che riuscisse a trovare: Temari. E così, in un secondo, molte immagini tratte dal passato di lei gli erano passate davanti: la morte della madre, Karura,  poi Kankuro e Gaara, il padre…e quell’uomo, Taketo. La sua gentilezza, la sua fine orrenda. Quel breve excursus nella vita della ragazza, terminato quando i suoi ricordi su Asuma erano tornati ad aggredirlo, gli aveva permesso di capire molte cose. Per esempio, adesso comprendeva il perché della sua reticenza a mostrarsi legata a qualcuno, ad aprire il suo cuore e parlare con chiarezza di se stessa. Non poteva biasimarla, dopo tutte quelle sofferenze.
La parete nera attorno a lui s’infittì, fino ad assumere una consistenza simile al burro. Era ancora troppo poco, purtroppo.
Shikamaru lanciò un’occhiata dinanzi a lui: a pochi metri di distanza, la battaglia stava continuando. Si chiese quanto tempo gli rimaneva, prima che Hitaka e Temari si lasciassero sopraffare. Certo, l’ex ninja aveva indubbiamente portato un forte aiuto alla loro situazione precaria; ma un occhio attento poteva vedere quanto il suo corpo fosse fuori allenamento, e la situazione minacciava di peggiorare da un momento all’altro. Se l’Ombra avesse deciso di ritirarsi di punto in bianco, il loro piano sarebbe andato a farsi benedire.
Qualcosa accanto a lui frusciò, sfiorandolo delicatamente. Il Nara represse a stento l’istinto di alzarsi: non poteva perdere la concentrazione.
-Speravo che saresti venuta. – mormorò. –Lì giù hanno bisogno di te.
Percepì un altro fruscio, mentre il fantasma si allontanava in direzione dei combattenti.
Apparve nel momento in cui Temari respingeva un altro attacco del demone: il ventaglio si era ormai incrinato, una buona porzione dell’intelaiatura era scoperta, per cui la difesa risultò molto meno efficace del previsto.
-Dannazione! – gridò, poi si accorse del bagliore rosso accanto a lei, e si voltò.
Lo spettro cremisi veleggiava a qualche centimetro da terra, tra lei e Hitaka. Chie lo guardò con odio furibondo, digrignando i denti e assottigliando le palpebre fino a renderle due fessure.
-Vattene, maledetta! – soffiò. –Cosa pensi di fare?
Lo spirito si mosse appena, ma non tornò indietro. Si diresse invece verso Kinnosuke, che sanguinava abbondantemente da un braccio, e gli si pose davanti, come a fargli da scudo.
L’uomo strabuzzò gli occhi, sorpreso.
-Temari-chan, mi sbaglierò, ma…sta cercando di aiutarci? – domandò sospettoso, indicando lo spettro.  La kunoichi annuì.
-Non è nostra nemica. Hitakasan, non capisce? Questa è…. –l’ululato agghiacciante della bestia coprì le ultime parole, rendendole incomprensibili. Chie aveva ripreso a trasfigurarsi: il suo corpo perse in breve ogni parvenza di umanità, divenendo simile ad un mucchio nero ed informe. Quando l’agglomerato denso come il catrame smise di ribollire, la sostanza si gettò sul fantasma, con una forza ed una violenza tali da sradicare un albero. L’altro non si sottrasse, anzi: si slanciò a sua volta in avanti, protendendo il corpo vaporoso fino a coprire sia Hitaka che Temari.      
La barriera rossa sembrò reggere bene l’attacco: l’Ombra venne catapultata all’indietro come se avesse urtato contro una parete morbida. Dalla pozza di liquame scuro si udirono gorgoglii raccapriccianti, misti a cruente parole di morte.
Hitaka si voltò verso il fantasma, che aveva riassunto le sue dimensioni normali.
-Ho sempre pensato che fossi dalla sua parte.  – confessò. – Ti credevo una qualche divinità diabolica convocata qui dagli inferi. Mi sbagliavo.
Lo spettro ricambiò lo sguardo col viso amorfo, che non poteva esprimere alcuna emozione. L’intensità dei suoi sentimenti era, però, talmente forte che persino Temari se ne accorse.
-Hitakasan – lo chiamò. – Cerchi di fare uno sforzo d’immaginazione.  Per uno che voleva far tornare in vita i morti non dovrebbe essere troppo difficile. 
-Come? – domando l’anziano, senza capire. – Uno sforzo di immaginazione?
-La guardi bene, ci rifletta con attenzione. Ripensi a ciò che successe il giorno in cui tentò di resuscitare sua moglie. – suggerì.
Kinnosuke contrasse il viso in una smorfia, e le rughe si accalcarono l’una sull’altra, come pieghe su un lenzuolo stropicciato. Non era una cosa facile, per lui. Ma, se Temarichan insisteva così tanto, allora una ragione ci doveva essere.
Tornò con la memoria a quel giorno di sei mesi prima, quando aveva versato la pozione di kukameno sul corpo immobile della moglie. L’aveva guardata a lungo prima di decidersi: se la formula fosse stata sbagliata, avrebbe potuto addirittura sciogliere la carne e le ossa mummificate. Accanto a lei era adagiata Akemi, con un’espressione talmente tranquilla che, se avesse mosso un po’ il petto, avrebbe pensato che fosse viva. La salma, straziata dai colpi di alcuni briganti, era stata ricomposta con la massima cura, e nemmeno più una cicatrice osava solcare la carnagione nivea e compatta. La vista di sua figlia, il pensiero che, se tutto fosse andato bene, avrebbe potuto riabbracciarla e chiederle perdono, era stata l’ultima spinta necessaria.
Aveva spalmato la sostanza su tutto il cadavere della moglie, assicurandosi che ogni tessuto ne fosse imbevuto, poi si era fermato ad aspettare. Dopo qualche minuto, dalla vasca si erano sollevati minacciosi vapori rossastri.
-No! – aveva gridato, con quanto fiato aveva in gola; ma il suo urlo era stato attutito subito dalle esalazioni, provenienti dal corpo di Katima che andava via via scomparendo e decomponendosi.
Il dolore lo aveva quasi reso folle. Aveva cercato di togliere l’impacco dalle zone non ancora dissoltesi, ma era stato tutto inutile: le cellule avevano preso ad autodistruggersi, non c’era niente che potesse fare per impedirlo. L’unica cosa rimastagli era osservare quel vapore cremisi salire verso il soffitto e poi disperdersi nel cielo al tramonto.
Non avrebbe dimenticato quel momento da lì a quando fosse morto. L’orrore e la sofferenza lo avevano semplicemente annientato. E adesso, a riaprire quella vecchia ferita, sentiva il dolore rigenerarsi come se tutto fosse accaduto poche ore prima.
Si prese la testa fra le mani, gemendo.
-Che cosa ho fatto….Katima, Akemi….se avessi l’occasione di vedervi solo per un attimo, quanto basta per chiedervi perdono…  
Avvertì la luce attorno a se’ farsi più forte. Alzando lo sguardo, reso opaco dalle lacrime, il suo viso incontrò quello rosso dello spettro, piegato su di lui. Lo stupore prese  momentaneamente il posto della disperazione.
-Adesso ce l’ha, quell’occasione. – mormorò Temari, con dolcezza. – Perciò la utilizzi bene.
Hitaka fissò il fantasma, ammutolito, per parecchi secondi. Quando infine parlò, la voce era ridotta ad un sussurro pallido, come una preghiera bisbigliata all’altare di una minuscola chiesa.
-Katima? Sei tu…?
Lo spettro mosse appena la testa.
L’uomo sentì una gioia immensa, unita ad un altrettanto forte debolezza, aggredirlo fin dentro le ossa. La felicità gli scorreva nelle vene come vino, il sangue gli colorava le guance, qualcosa di simile ad un dolcissimo veleno gli paralizzò corpo e mente.
-Katima…Katima… -era il solo nome che riuscisse a biascicare. Cadde a terra, di fronte allo spirito, il volto solcato da nuove lacrime, che avevano colore e sapore molto diversi da quelle di prima.
-Mio Dio, grazie…grazie…
Cercò di afferrare le braccia dello spettro, ma la sua impalpabilità lo tradì. Nonostante questo, la gioia non accennava a diminuire, lo inebetiva del tutto. 
-E pensare che ti ho avuta con me per tutto questo tempo…che idiota, davvero…mi perdonerai mai? Sarai in grado di dimenticare ciò che vi ho fatto?
Katima non rispose a quelle domande – non avrebbe potuto – ma, con gli arti che somigliavano a lunghe spirali di fuoco, avvolse il marito nell’abbraccio più caldo che potesse.
Temari li guardò, con un profondo senso di soddisfazione e contentezza che le scaldava l’animo. Finalmente, ce l’avevano fatta. Nemmeno la morte, l’ambizione, la superbia…nemmeno la crudeltà più nera era riuscita a porre fine a quel legame eterno. Il loro amore aveva vinto ogni prova.
Nemmeno le Ombre più scure possono affollarsi, laddove brilli  anche solo un unico raggio di luce.
 
Le ombre…
 
Temari si voltò, ma era troppo tardi.
Il demone aveva approfittato di quella sua distrazione, un errore imperdonabile, da principianti.
La massa nera volò accanto a lei, e la kunoichi poté sentire chiaramente la puzza di morte che emanava sommergerla, soffocarla quasi. Poi si abbatté, forte e terribile, su Hitaka e Katima, ancora abbracciati.
-Merda! – strillò lei. Si frenò poco prima di usare la Kamaitachi no Jutsu: Kinnosuke ne sarebbe stato travolto ed ucciso. Assistette impotente alla scena che si verificava di fronte a lei: l’Ombra aveva inghiottito i due, le cui sagome indistinte si agitavano incerte nell’amalgama nero, tentando invano di liberarsi. I loro movimenti erano goffi ed imprecisi, i corpi non si distinguevano più, parevano due sfortunati immersi nelle sabbie mobili, già condannati ad una fine atroce.
La ragazza si guardò intorno, disperata. Se fosse intervenuta a mani nude, avrebbe rischiato di fare la loro stessa fine. Il buon senso avrebbe suggerito di stare ferma e sperare che riuscissero a cavarsela, ma non poteva sopportare una cosa del genere. Era troppo ingiusto.
Per cui, Temari scelse di fare qualcosa che fino ad allora non aveva mai fatto. Qualcosa che, se fosse stata ancora la Temari di qualche giorno prima, non si sarebbe mai, mai perdonata.
Chiamò aiuto.
-Shikamaru! –gridò, con tutta l’aria che aveva nei polmoni. Si augurò che l’avesse sentita. Che non le venisse più a dire che non si fidava, che era troppo superba e altre stronzate simili!
-Ehi, Nara, il piano era tuo, no? Sbrigati, cazzo!
Subito dopo, un gorgoglio sinistro dietro di lei l’avvertì che la lotta era finita. La giovane si voltò, impaurita, addolorata; e poté solo costatare con la vista ciò che la mente aveva già compreso: Hitaka e Katima avevano smesso di agitarsi. Avevano perso.
-Porca puttana! Ma perché? – gridò, a nessuno in particolare.
Se da qualche parte esisteva un Dio, decise, doveva essere o molto sadico o un grande amante dei melodrammi.
Sfoderò il ventaglio: se i suoi due amici erano morti, allora non si faceva tanti scrupoli ad affettare quante più cose le capitassero a tiro. La rabbia la incendiò completamente, chiamando ad appello energie fisiche e mentali da tutti gli angoli del cervello e del corpo, risucchiando ogni goccia di chackra rimastole.
-Preparati a sputare l’anima. – disse, furibonda, alla bestia davanti a lei.
In quel momento, il primo refolo di sole spazzò l’aria attorno a loro. Era la prima vera luce del giorno, una luce che illuminava poco e non riscaldava. L’Ombra sussultò appena, ma non si mostrò intimorita. Temari, invece, aveva il viso illividito per la rabbia.
Ci fu qualche secondo di sospensione.
Nessuna delle due si mosse, la foresta tirò il fiato ed il tempo rimase indietro a guardare ciò che sarebbe successo. Poi, la Bestia si protese in avanti, prolungando i lunghi tentacoli neri come una piovra ed emettendo un urlo che, probabilmente, era giunto fino a Sun’johara. Temari saltò per evitarli e, in quel momento, qualcosa di scuro e nero passò sotto di lei.
 
La sua ombra era scomparsa.
Finalmente.
 
Prima che i suoi piedi toccassero di nuovo il suolo, di fronte a lei si era innalzato un muro, lungo e spesso, nero come il carbone e quasi altrettanto solido. Una voce familiare, affannata e appena trattenuta, la raggiunse da dietro. 
-Mi dispiace. Non ho potuto fare più velocemente di così.
Temari si girò. Shikamaru aveva il viso teso, pallidissimo persino nella luce quiescente dell’alba, ma lo sguardo era deciso e preso dalla furia. Come lei, doveva aver assistito alla scena di poco prima, senza poter intervenire. Riportò lo sguardo innanzi a se’, contro la barriera nera.
-Come facciamo senza Hitaka? – ribatté, con asprezza. – Non funzionerà.
-Non avevi detto qualcosa a proposito di vomitare anche l’anima? Forse è ancora vivo.
La ragazza piegò appena le ginocchia, passando in posizione di attacco.
-E allora sbrighiamoci. – dichiarò.
La nebbia solida che faceva loro da scudo si dissolse. L’Ombra, impreparata, fu colta in pieno da un attacco del ventaglio, la cui potenza ed efficacia era stata però notevolmente ridimensionata dagli ingenti danni.
Si dibatté, confusa, per qualche secondo; dopodiché si scagliò contro Temari, lo squarcio dentato che aveva al posto della bocca aperto all’inverosimile. Non poté raggiungerla, però, perché venne inchiodata al suolo dalle ombre di Shikamaru, che si avvinghiarono al suo corpo trattenendola.
I due mucchi neri, talmente amalgamati da parere un tutt’uno, si agitarono a lungo scomponendosi in mille pozze liquide che parevano d’inchiostro. Il Nara sudava freddo, lo sforzo gli faceva quasi lacrimare sangue. Con molta fatica, permise ai suoi tentacoli di invadere la massa del demone, ombra che frugava ombra, fino ad individuare la figura priva di sensi di Hitaka. Il fantasma rosso brillava debolmente, ma si agitava ancora con forza per liberarsi dal vischio nero. Le ombre continuarono a lottare per aprire un varco, e alla fine ci riuscirono.
Hitaka e Katima vennero sputati fuori con un teatrale “plop”, mentre la Bestia nera emetteva urla disumane d’agonia e di rabbia.
Temari scivolò velocemente accanto ai due: lo spettro era illeso, essendo già morto, ma l’anziano respirava appena. Capì subito che non avrebbe potuto far nulla per lui.
Dominando a stento l’enorme tristezza che l’aveva invasa, si voltò verso Shikamaru.
-Dobbiamo muoverci. Non gli resta  molto.
Lui annuì senza guardarla. La kunoichi tornò a rivolgersi all’uomo steso dinanzi a lei, illuminato appena dalla luce lattiginosa  dell’alba. Hitaka rispose, tacitamente, alla sua domanda altrettanto silenziosa: levò il braccio, da cui sgorgava ancora un fiotto di sangue, e lasciò che Temari raccogliesse, tremante, alcune gocce di liquido scuro. I suoi occhi erano tranquilli, discreti come lo era stata la sua vita, un’esistenza fatta più di tenebre che di luci. Katima era immobile accanto a lui, apparentemente priva di emozioni, ma la ragazza notò subito che il colore del suo alone stava cambiando. Si stava affievolendo sempre di più, come se fosse sul punto di scomparire.
S’impose di non pensarci. Doveva rimanere calma.
Tappò la boccetta e si alzò, portandosi con rapidità a destra dell’Ombra, che continuava la sua lotta con Shikamaru.       
Un respiro profondo, i suoi occhi verdi che si incontrarono con le iridi marroni di lui.
Entrambi capirono il gesto dell’altro, senza parole.
Nel momento in cui Temari si gettava in avanti, diretta verso una lapide in particolare, il Nara lanciava il suo attacco finale.
Le braccia d’ebano corsero sull’erba accarezzata dal sole, avvolgendo l’Ombra di un amplesso mortale. Il chackra bruciava nelle vene come magma, fuoriusciva dal corpo del ninja trascinandosi le ultime energie e la sua anima, ma non s’interruppe. Il demone gridò, l’ultimo, potente e mostruoso grido, che gelò più di un sonno in quell’alba stantia, poi cominciò ad arretrare. Le ombre lo circondarono, impedendogli di fuggire; ombre che non riusciva più a controllare, perché non erano fatte di dolore, di oscurità e buio, ma di notte liquida, di segreti nascosti in recessi profondi del cuore, di emozioni, di ricordi.
Shikamaru spinse la creatura all’indietro, forzandola contro il funebre monumento di un caduto sconosciuto.
Sulla lapide spaccata e coperta di muschio, gocciolava appena una densa macchia rossa.
Ci mise un secondo a capire, ma quel secondo gli fu fatale.
La sua prigione di pietra stava riaprendo le fauci, per inghiottirlo di nuovo. Il sangue di Hitaka, che l’aveva liberato, era lì, per intrappolarlo ancora nel luogo da cui era venuto.
L’Ombra si dibatté, ma fu inutile. Nel momento in cui il suo corpo venne a contatto con la dura e fredda pietra, un lampo squarciò il cielo, tagliandolo a metà. Il riverbero argentato del fulmine si dipinse per un istante sulla creatura agonizzante, mentre la terra si spaccava in più punti, sprofondando o alzandosi in piccole catene. Il gorgoglio del terreno e il lacerante grido del mostro si protrassero per vari secondi, arrivando quasi agli ultrasuoni. Shikamaru e Temari caddero a terra, premendosi le mani sulle orecchie e stringendo i denti per non farli sbattere.
 
Poi, così come era cominciato, tutto finì: la terra smise di tremare, il sole che si era oscurato tornò a risplendere, con forza, e nel cimitero ridiscese la calma secolare della morte.
 
I due ninja si alzarono, con le orecchie che fischiavano. I loro sguardi, increduli, si incrociarono: ognuno cercava nell’altro la conferma che fosse davvero finita, per sempre stavolta. Passò qualche interminabile minuto di silenzio, dopodiché, piano, con tenera incertezza, Temari sorrise.
Un sorriso sincero, che non sapeva di sarcasmo o di amarezza, ma di gioia, pura e semplice.
Un sorriso troppo bello, che, come tutte le cose belle, non era altro che uno sprazzo velocissimo, impossibile da afferrare e trattenere.
Al suono di un gemito, entrambi si voltarono.
Hitaka aveva chiuso gli occhi, e giaceva a terra, immobile, la bocca aperta nel tentativo di articolare alcune parole.
Non si avvicinarono. Non avrebbero potuto fare niente, e quel momento doveva essere solo per lui e Katima.
A Temari sembrò di vedere le labbra esangui muoversi un’ultima volta, ma non poté esserne sicura, perché gli occhi le erano divenuti umidi e appannati. Accanto a lei, Shikamaru riuscì ad impedire che la tristezza gli colasse come rugiada sul viso contratto, mentre col pensiero dava l’ultimo addio ad un uomo che, in poco tempo, era stato in grado di insegnargli molto.
Il fantasma rimaneva immobile vicino all’amato, con il corpo che diveniva sempre più evanescente, perdendo mano a mano ogni sfumatura cremisi.
Quando Hitaka ebbe reclinato il capo, dopo aver pronunciato frasi che nessuno poté sentire, lo spettro era ormai di un bianco perla, che splendeva delicato contro la luce calda del sole.
Si levò un vento tiepido, una brezza gentile che sfiorò con una carezza i corpi dei due jonin. Entrambi chiusero gli occhi, beandosi di quella sensazione, e quando li riaprirono, Katima e Hitaka erano scomparsi. Nell’aria color pastello del giorno che sorgeva, l’ultimo soffio di vento sussurrò loro una parola, la più bella e cara  mai pronunciata.  
 

Grazie.
 
Dopodiché, entrambi persero i sensi.





C.I.A: Vorrei cominciare scusandomi per il ritardo mostruoso di questo aggiornamento. Avete il diritto di farmi una schifezza :-S
Ho fatto una fatica disumana per scrivere questo capitolo. È incredibile, non voleva proprio saperne di uscire! Alla fine è venuto così (è inutile dirlo, non sono soddisfatta xD) spero non sia troppo campato per aria. Sapete tutti che le scene di combattimento sono un po’ il mio tallone d’Achille. Questo capitolo era tutto un combattimento, quindi forse e per questo che sono andata in crisi.
Allors, finalmente tutti i misteri sono risolti. Quanti di voi avevano capito che il fantasma era Katima? Tutti suppongo…. ._. Forse qualcuno avrà pensato che fosse Akemi. Tra le due in effetti ero un po’ indecisa, ma volevo metterci in mezzo una storia d’amore (oltre quella principale, intendo) e così ho optato per la moglie fedele e generosa.
Katima e Hitaka sono i miei personaggi preferiti, rappresentano il mio ideale d’amore. Spero che dovunque siano, adesso, siano entrambi felici XD Il titolo del capitolo, “Bianco Perla – Il Valore del Perdono” si riferisce al fatto che è stato il perdono della moglie a permettere a Kinnosuke di riappacificarsi con se stesso. :- D
Ora, le recensioni!
 
Valery_Ivanov: Grazie mille per la recensione, così calorosa poi *.* Mi spiace se ti ho fatta aspettare così tanto (e per quel che è venuto fuori alla fine, forse non valeva neanche la pena). Dici che sono brava a rendere lo ShikaTema? Ne sono felicissima! Il prossimo capitolo sarà tutto per loro, e davvero non so cosa dovrò inventarmi…Spero di poter leggere presto un altro tuo commento. Grazie mille <3
 
Lisey91: Cioè, ma tu avevi capito tutto! O.o Infatti il piano di Shikamaru, come si è visto, era proprio quello che hai detto tu, attirare l’Ombra nel cimitero e poi imprigionarla di nuovo. (Certo che sono proprio un mostro di originalità… .__.’’) Lo scorso capitolo ti è piaciuto, quindi? In effetti riguardo agli episodi di passaggio sono d’accordo con te. Anche io penso che siano importanti, nella giusta quantità, perché permettono di capire più cose sui personaggi. Sono un po’ come i filler, sono interessanti, ma se sono troppi poi scocciano XD La parte ShikaTema di quel capitolo mi è costata un bel po’ di sudore, non oso immaginare che ne sarà di me col prossimo…
Come hai detto tu, giustamente, il verde è quello degli occhi di Temari, e quel “Lui non l’ha capito” si riferiva ad Hitaka, che non aveva ancora realizzato che il fantasma era in realtà Katima.
Grazie mille per aver recensito! Spero con tutto il cuore di ritrovarti anche per questo episodio! Un bacio ;-)
 
Pantesilea: Cara mia, che piacere vederti! *_* Questo periodo è orribile per tutti, non c’è che dire. Spero comunque che troverai un po’ di tempo da dedicarmi xD Grazie per i complimenti dell’altra volta. Le tue rassicurazioni sulla scena ShikaTema mi fanno ben sperare, la prossima volta mi impegnerò per fare qualcosa di un po’ più fluff, visto che in questo episodio quei due non si sono neanche fatti una chiacchierata. Spero di poter leggere presto una tua recensione (le attendo sempre con ansia!) Un bacio :-)
 
Sha_17: Buon anno anche a te! (In ritardo spaventoso, ma vabbè, meglio che mai XD) Grazie per aver commentato. A quanto pare la parte ShikaTema, su cui avevo più dubbi, è piaciuta *_* Il tuo incoraggiamento mi è stato prezioso, te ne sono grata.
Attendo un altro commento allora! Grazie mille ;-)
 
SabakuNoMe: Ciao cara! Non vedere il tuo commento in effetti mi aveva un po’ demoralizzata, ma adesso che so che comunque mi segui mi sento ringalluzzita XD Il tuo supporto come sempre è importante, ma mi rendo conto che gli impegni sono davvero tanti (soprattutto se ci sono di mezzo i professori). Grazie per aver recensito, grazie ancora di più per i complimenti. Il finale della battaglia ti ha soddisfatto? Attendo un tuo commento! Un bacio :-)
 
Curiosità, Spiegazioni e Qualche Spoiler:
 
Riguardo il piano di Shikamaru ho paura di non essermi spiegata troppo bene, perciò nel prossimo capitolo ci sarà anche una brevissima spiegazione su come il Nara sia riuscito ad elaborare il suo piano malefico. Si tratterà di un epilogo abbastanza breve, poiché ormai tutti gli enigmi sono stati svelati , e rimane da definire solo la situazione tra lui e Temari. Ci sarà del romanticismo, ma sempre calibrato – stiamo parlando di quei due, in fondo.
Grazie mille per avermi seguita fin qui. Se penso che il prossimo sarà l’ultimo capitolo mi salgono le lacrime agli occhi…
Quindi non ci penso. v.v
A presto!
 
Lovelykim
 

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