Speed&Love

di Vagabonda
(/viewuser.php?uid=64590)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. La Volvo ***
Capitolo 2: *** 2. Ritorno ***
Capitolo 3: *** 3. Direzioni ***
Capitolo 4: *** 4. Casa dolce casa ***
Capitolo 5: *** 5. Nuove sensazioni ***
Capitolo 6: *** 6. La prima impressione è quella che conta ***
Capitolo 7: *** 7. La casetta di mattoni ***
Capitolo 8: *** 8. Qualcosa di sbagliato ***
Capitolo 9: *** 9. Fuga ***
Capitolo 10: *** 10. Storie di auto ***
Capitolo 11: *** 11. La gara ***
Capitolo 12: *** 12.Rabbia repressa ***
Capitolo 13: *** 13. Solo di fronte al mondo ***
Capitolo 14: *** 14. La vittoria di Bella ***
Capitolo 15: *** 15. E il sorriso non c'è più ***
Capitolo 16: *** 16. Stingimi, salvami ***



Capitolo 1
*** 1. La Volvo ***








Image Hosted by ImageShack.us







Camminavo con passo sicuro e ancheggiante in direzione della concessionaria. Un riflesso nel vetro di una macchina catturò la mia attenzione, mi chinai a guardare: una bellissima donna dai capelli neri e occhi verde smeraldo ricambiò il mio sguardo soddisfatto. Mi rialzai, aggiustandomi lo chignon, poi entrai nel negozio. Appena mi vide il commesso sgranò gli occhi e si aggiustò la cravatta. Sorrisi: facevo quell’effetto a molti. Si diresse verso di me e, arrivatomi di fronte, mi chiese gentile –Posso aiutarla, signorina?-
-Sì, vorrei vedere quella Volvo c30 grigio metalizzata- dissi indicando la splendida macchina per qui ero venuta lì.
-Certamente, mi segua-
Arrivati di fronte all’autovettura cominciò a elencarne le caratteristiche che, ovviamente, conoscevo già a memoria. Ottima carrozzeria, finestrini antigraffio, motore potente…ma non era quello che mi interessava. Quella macchina aveva ben altro significato per me.
-Posso provarla?- domandai al ragazzo, interrompendo il suo sproloquio.
Mi guardò sorpreso e a disagio –Ecco, veramente non si potrebbe…- mormorò titubante.
Lo osservai, non era brutto, moro con splendidi occhi azzurri, ma aveva un po’ troppi brufoli ed era parecchio più basso di me, anche senza i miei vertiginosi tacchi da 12 centimetri che portavo in quel momento. Ma avrei fatto di tutto per avere quella macchina. Mi sporsi verso di lui finche la sua testa non fu esattamente all’altezza del mio seno –Con me puoi fare un eccezione…- dissi con voce sensuale.
Lo sentii deglutire –Potrei andare nei guai…- rispose poco convinto, gli occhi fissi sulla scollatura del mio vestito.
Mi avvicinai ulteriormente, abbassandomi per potergli parlare all’altezza dell’orecchio.
-Sarà il nostro piccolo segreto…- sussurrai.
Trattenne il respiro per qualche secondo –O-ok- si arrese alla fine, porgendomi le chiavi.
Mi rialzai di scatto, esultando dentro. Ottenevo sempre quello che volevo e questa volta non sarebbe andata diversamente.
Entrai nell’autovettura dalla porta che il commesso mi aveva galantemente aperto e sentii la morbida pelle modellarsi sul mio corpo magro. Ispirai il buon odore di cuoio e afferrai il volante con entrambe le mani, infilai la chiave e girai. Immediatamente il motore prese a fare le fusa e fui sommersa di ricordi.
Una bambina stava giocando nel cortile di una grande villa quando una farfalla le si posò sulla mano. La bambina fu subito affascinata dai colori sgargianti delle ali e cercò di afferrare il piccolo animale, che però volo via. La bimba si alzò e seguì la farfalla. Era talmente concentrata su quel nuovo gioco che non si accorse del rombo del motore che si stava avvicinando. Ma quando si voltò, era troppo tardi.
-Signorina, tutto bene?- chiese una voce, allarmata.
Sussultai e aprii gli occhi di scatto. Copiose lacrime mi rigavano il viso e il respiro era affannato.
“Dannazione!” pensai, non era stata una buona idea entrare in quella macchina.
Il motore stava ancora andando perciò lo spensi e uscii dall’abitacolo.
Il mio pubblico, composto dal commesso più due suoi colleghi, mi osservava preoccupato. Sorrisi rassicurante.
-La prendo, quanto vuole?- chiesi poi, tirando fuori dalla borsa il libretto degli assegni.
Il ragazzo era sempre più perplesso –Ma bisognerebbe prima sbrigare alcune pratiche…
Staccai un assegno e glielo misi in mano –Lo riempia con la cifra che vuole, ma non bari!- dissi, facendogli l’occhiolino.
Lui arrossì e borbottò qualcosa di incomprensibile.
Pochi minuti dopo sfrecciavo a massima velocità per la strada. A malapena vedevo dove andavo, non avevo una meta precisa, volevo solo stare un po’ da sola con i miei fantasmi. Con una mano sul volante portai l’altra all’altezza del capo e con un solo movimento una cascata di boccoli ramati mi cadde sulle spalle. Lanciai la parrucca sul sedile posteriore e mi tolsi le lenti a contatto, lasciando liberi i miei occhi color cioccolato. Sospirai di piacere: finalmente potevo essere me stessa.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. Ritorno ***








Image Hosted by ImageShack.us





Eccomi qua! Sono davvero contenta che la ficcy abbia riscosso così tanto successo, ben 22 preferiti solo al primo capitolo e tante e bellissime recensioni, grazie mille!
Molti di voi hanno ammesso che la trama sembra poco chiara e misteriosa...tranquilli, vedrete che mano a mano che la storia procede molti dettagli verranno a galla e il puzzle si completerà...vi basta solo continuare a leggere!;)








Parcheggiai la macchina nell’officina e, dopo aver dato un’ultima occhiata al mio riflesso nello specchietto retrovisore, scesi chiudendo la portiera.
Mi guardai intorno: l’ambiente era spazioso, scaffali stipati con ogni tipo di utensili si susseguivano lungo tre lati e una grande porta scorrevole era alzata per far passare le autovetture. A prima vista, l’officina appariva deserta.
-Dylan!- chiamai. Ma dov’erano finiti tutti?
Una serie di rumori metallici mi fece sussultare. Mi voltai nella direzione del suono e scoprii che proveniva da una macchina nell’angolo. Mi avvicinai perplessa, mentre l’auto emetteva strani versi. Arrivatagli di fronte mi accorsi di un paio di piedi scalzi che spuntavano da sotto di essa. Sorrisi e mi schiarii la voce. Niente, solo il solito schiamazzo di attrezzi. Cominciavo ad irritarmi così, fingendo noncuranza, mi appoggiai alla macchina con tutto il mio peso.
Soddisfatta vidi con la coda dell’occhio movimenti inconsulti dei piedi, poi un corpo muscoloso emerse da sotto l’autovettura, seguito da un viso sporco e infuriato.
-Ehi, chi è il coglione che ha cercato di schiacciarmi?! Vieni fuori, che ti faccio vedere io!!- disse Dylan, tossendo.
Era un ragazzone sui vent’anni, molto robusto per la sua età, come tutti in officina. Non era bello, aveva il naso schiacciato e storto per tutte le volte che gliel’avevano rotto mentre gli occhi erano piccoli e troppo vicini tra loro. Nonostante l’aspetto poco raccomandabile però era una persona dal cuore d’oro, sempre pronta ad aiutare gli altri e con un grande senso dell’amicizia.
-Ti sembra questo il modo di accogliere una povera fanciulla indifesa?- risposi indignata, ridacchiando mio malgrado.
Si alzò in piedi, guardandosi intorno, poi finalmente mi notò.
-Bella! Ma che piacevole sorpresa!- esclamò sincero –Ah, comunque ti si può dire tutto, tranne che sei una docile ragazza!- aggiunse scherzando.
Feci la faccia offesa, ma ricambiai il suo abbraccio caloroso.
-Sei mancata a tutti sai? Ma dov’eri finita?- chiese quando ci fummo separati, guardandomi curioso.
Mi mossi a disagio –Sono stata fuori città per un po’-
Dal mio tono capì che non desideravo approfondire l’argomento.
-Comunque gli altri saranno molto contenti del tuo ritorno, specialmente il tuo ragazzo! Non sai quanto ci ha rotto i coglioni durante la tua assenza!- borbottò, alzando gli occhi al cielo.
Proprio in quel momento, come sentendosi chiamato in causa, comparve sulla soglia dell’officina Jacob.
Indossava una maglia aderente che metteva in mostra i bicipiti muscolosi e che un tempo doveva essere stata bianca, anche se ora appariva sporca di olio di motore, come tutto il resto del corpo. Avanzava verso di noi a testa bassa, i lunghi capelli neri a coprirgli il viso, guardando il pezzo di metallo che portava in mano.
-Dylan, mi sa che ho trovato il pezzo di ricambio che cercavi…- disse, alzando la testa e bloccandosi di colpo.
Capii che mi aveva vista quando un enorme sorriso comparve sul suo volto.
-Bella!- gridò, lasciando l’oggetto che cadde a terra con un rumore metallico e correndo da me.
Mi prese in braccio e premette forte le labbra sulle mie. Rimasi spiazzata da tanta esuberanza e prima ancora di poter rispondere al bacio mi aveva già rimesso per terra.
-Allora, dove sei stata? Voglio sapere tutto, ogni singolo dettaglio! Non sai quanto mi sei mancata…- disse, cominciando a baciarmi sul collo.
Guardai Dylan disperata, implorando il suo aiuto. Grazie al cielo capì al volo e con un imprecazione corse a raccogliere il pezzo di ricambio rimasto a terra.
-Cretino, ma lo sai che questi cosi sono delicati?!- gridò, rivolto a Jacob.
Lui si voltò sbuffando –E dai, non rompere, non sai che fatica ho fatto per procurartelo!-
-Eh appunto, allora cerca di non distruggerlo subito, a me non frega niente, tanto poi la macchina è tua!- ribatte l’altro.
Mi illuminai, cogliendo al volo l’occasione per cambiare discorso.
-A proposito, come procedono le gare?- chiesi a Jacob, che si girò a guardarmi sorridendo.
-Benissimo, nell’ultima corsa abbiamo letteralmente stracciato gli Scorpions!- esclamò fiero, poi si incupì –certo però, da quando manca la nostra fornitrice preferita le auto non sono più quelle di prima…
Sorrisi all’allusione –Ma adesso sono tornata e prometto che appena possibile vi fornirò macchine di prima qualità-
-Lo spero bene! Jody fa proprio schifo come ricettatrice, ha la sensualità di un manico di scopa!- si lamentò, poi tornò a fissarmi –non certo come te piccola, ogni volta che ti vedo mi fai scatenare in me emozioni indescrivibili…-
Mi baciò di nuovo ma questa volta con più passione, facendo aderire bene i nostri corpi. Volli mettere alla prova le sue parole, così cominciai a spingere col bacino verso di lui. Ululò di piacere e quando sentii la sua eccitazione, mi allontanai soddisfatta. Adoravo avere quel controllo su di lui, mi faceva sentire potente, più donna.
-Ehi piccioncini, piantatela di fare schifezze e venite a darmi una mano!- proruppe Dylan, che stava cercando di tirare giù da uno scaffale una pesantissima cassetta degli attrezzi. Jacob si precipitò ad aiutarlo e anche io volli rendermi utile. Ma pur in tre quella maledetta cassa non ne voleva sapere di spostarsi, fu un sollievo quando vidi un paio di mani forti al mio fianco. Finalmente riuscimmo nell’impresa e mi voltai per ringraziare il nuovo arrivato.
-Hey Bells, che bello rivederti! Quando sei arrivata?- chiese l’omaccione al mio fianco.
Era Ryan, l’altro corridore, che teneva per la vita Jody, la sua ragazza.
-Ciao! Anche io sono contenta di rivedervi, comunque non sono qui da molto-
-Bene, adesso che sei tornata magari il tuo tipo la pianterà di lamentarsi del mio modo di lavorare- disse la vocetta stridula di Jody.
-E quello lo chiami lavorare? Ah no, aspetta, com’è che dicevi…”rimorchiare”?? Ma se sono più bravo io a rimorchiare con la gru!- ribatte Jacob, irritato.
Squadrai la ragazza, effettivamente non era proprio quella che si può definire “una bomba sexy”: piatta come un ferro da stiro, era costretta a mettere nel reggiseno già imbottito quintali di fazzoletti per poter raggiungere una prima. I capelli, schiacciati sul cranio, erano biondo platino, tinti, gli occhi di un verdino sbiadito con le palpebre perennemente semichiuse che contribuivano a conferire al suo volto la tipica espressione da svampita. No, Jody non sarebbe stata in grado di invogliare nessun tipo di forma vivente.
Ancora mi chiedevo come avesse fatto a trovare un fidanzato, per giunta carino come Ryan, un tipo alto, muscoloso, con due splendidi occhi azzurro mare e un culo da far invidia a Brad Pitt. Chi lo sa, magari era brava a letto…
-Ehi ragazzi, che ne dite stasera di uscire tutti insieme?- disse Jacob, interrompendo le mie fantasie.
La sua proposta fu accolta da un coro di sì da cui l’unica a dissociarmi fui proprio io. Non mi andava affatto di uscire, già quell’ora passata in compagnia mi aveva sfiancata, figurarsi una cena!
-Ehm, io non posso venire…- mormorai arrossendo.
Le urla cessarono di botto e otto paia di occhi mi fissarono sconvolti.
-Come?- chiese Jacob, spiazzato.
All’improvviso la macchia di olio sul muro divenne tremendamente interessante.
-Sì, sono un po’ stanca, ho fatto un lungo viaggio…-
-Ma si può sapere dove sei stata?- mi interruppe lui.
Le mie guance passarono dal color fragola al peperone.
Per fortuna Dylan venne nuovamente in mio aiuto –Ha ragione poverina, deve essere esausta! Lasciamola riposare, tanto ci vediamo presto, vero Bella?- disse, rivolgendosi a me.
Annuii riconoscente, poi mi accompagnarono alla macchina.
-Wow!- esclamò Ryan, vedendo la Volvo –dove hai racimolato questo gioiellino?-
Sorrisi, fiera della mia auto –La stavo cercando da un po’- ammisi.
Notai che Dylan stava studiando attentamente la Volvo.
-Sì- disse infine –direi che dopo qualche ritocco dovrebbe essere pronta per le corse. Macchine come questa hanno il motore potente…- si fermò davanti alla mia espressione terrorizzata –ho detto qualcosa di sbagliato?- domandò confuso.
-No!- quasi urlai –ti prego, non toccarla-
Vedevo dalla sua espressione che non capiva.
-Lo presa per me, non per farla correre- confessai imbarazzata.
Mi squadrarono sorpresi, ma nessuno commentò la mia azione. Forse avevano capito che non sarebbe servito a niente discuterne.
-Ok, come vuoi tu…comunque complimenti, davvero una gran bella auto!- proruppe Dylan, rompendo quel silenzio imbarazzante.
Lo guardai sorridendo. Ah, se non ci fosse stato lui!
-Va bene, allora io vado- dissi, scoccando un veloce bacio sulla guancia a Jacob e infilandomi nell’autovettura. Non vedevo l’ora di allontanarmi da lì.
Avviai il motore e al suono di quelle fusa una cascata di ricordi minacciò di sommergermi. Cercai di scacciarli in un angolino della mia mente, dovevo rimanere lucida almeno fino a che non me ne fossi andata. Mentre mi allontanavo, vidi nello specchietto retrovisore gli altri che mi salutavano. Tutti tranne Jacob che continuava a fissare la macchina con espressione indecifrabile. Mi morsi il labbro inferiore e ricambiai il saluto.
Quando fui in autostrada permisi finalmente ai ricordi di sovrastarmi e mi immersi in loro.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3. Direzioni ***








Image Hosted by ImageShack.us





Eccoci qua, con un nuovo capitolo! Questa volta (per la nostra gioia) la storia sarà narrata da un affascinante vampiro dai capelli ramati...chi sarà? Eh sì, proprio lui, il magnifico Edward! Ma sorpresa, sarà un Edward un pò diverso a quello a cui siamo abituati...non temete, non rimarrà così per sempre!
Spero comunque che il capitolo vi piaccia, per quanto riguarda quello della volta scorsa, volevo dirvi una cosa: ANCHE IO ODIO JACOB! Ma il sacco di pulci è necessario, almeno per una parte della storia...spero che non mi detesterete per avercelo ficcato dentro!XD
Bando alle ciance, vi lascio al nostro Edward, e miraccomando: lasciate un segno del vostro passaggio! Bacioni! :*








Velocità.
Il vento che ti spettina i capelli, che ti colpisce il viso, che ti fa sentire VIVO.
La mia Volvo scintillante percorre con rapidità la piccola stradina di quartiere. Non so come sono arrivato lì, e francamente non me ne frega niente. Sento solo il sibilo dell’aria e vedo solo la strada che sto percorrendo. Già, ma quale sarà la mia strada?
Poi qualcosa cambia, una bambina, all'incirca di sei anni, sta correndo per la via. Forse rincorre qualcuno, ah sì, ora vedo: è una farfalla, dai mille colori. Vola libera nel cielo, bella e silenziosa. Come vorrei essere io.
Mi avvicino sempre di più alla piccola, no, se non mi fermo subito la macchina la schiaccerà! Premo forte il freno ma ormai è troppo tardi.
Ho perso il controllo dell’auto.
Ho perso il controllo della mia vita.

Aprii gli occhi di scatto, ancora scosso. Le immagini nella mia mente si andavano affievolendo, ma il peso dei ricordi rimaneva, sempre. Era stato come un sogno, gli stessi colori vividi, le stesse sensazioni. Ma i vampiri come me possono sognare? No, noi non dormiamo perciò non compiamo alcuna attività onirica. Eppure ciò che avevo visto era la cosa più simile a un sogno che potessi provare: ricordi, memorie che la mia mente aveva immagazzinato e che ormai rivivevo da quasi quindici anni, dal giorno di quel terribile incidente. Mentre la macchina si allontanava a tutta velocità mi ero sentito malissimo e riprovavo quelle emozioni ogni notte. Non ne potevo più.
Improvvisamente mi accorsi del continuo suonare dell’apparecchio sul comodino di fianco a me. Era una sveglia, puntata sulle otto del mattino. Mi sporsi per spegnerla e contemporaneamente mi alzai dal letto su cui ero coricato. Raccolsi i vari vestiti sparsi per terra e li indossai, quand’ebbi finito feci per andarmene, assorto nei miei pensieri.
-Mmm amore, dove vai?- chiese una voce insonnolita alle mie spalle.
Mi voltai appena in tempo per vedere un paio di mani afferrarmi per la camicia e tirarmi sul letto.
-Resta ancora qui con me…- continuò la voce, sensuale.
Due labbra mi baciarono, avide, ma con un solo gesto brusco allontanai la sua proprietaria. Una ragazza giovanissima mi stava fissando sorpresa.
-Cosa ti prende?- domandò sconcertata –non sono forse stata brava stanotte?- fece finta di lagnarsi, avvicinandosi nuovamente a me.
Notai solo allora che era interamente nuda, i seni turgidi e la sua intimità scoperti. Sentii l’eccitazione che, mio malgrado, mi causò quella vista, in un attimo fui su di lei, pronto per possederla. Dopo cinque minuti mi rialzai dal letto, impeccabile come sempre, mentre la ragazzina sotto di me ansimava, completamente sudata.
-Non andare- mi pregò ancora, alzandosi a fatica –abbiamo tutta la giornata per noi…-
-Ti sbagli- risposi freddamente –ho altri impegni molto più importanti che sprecare il mio tempo con una sgualdrina minorenne-
La sentii trattenere il fiato, i pensieri ancora confusi che si affollavano nella sua mente. Percepivo due sensazioni contrastanti, da una parte desiderava vendicarsi per l’offesa appena subita, ma c’era il ricordo fresco dei minuti appena trascorsi insieme che la frenava.
Sorrisi, voltandomi. Vidi che si era alzata e che mi dava le spalle, mentre con mani tremanti cercava di rivestirsi. Era riuscita solo a infilarsi i pantaloni quando le arrivai alle spalle. La presi in vita e cominciai a baciarle la scapola. Sentii il suo corpo irrigidirsi e lessi nei suoi pensieri che non voleva cedere alle mie provocazioni.
“Fai la difficile eh?” pensai divertito, afferrandole i seni e stringendoli tra le mie mani. Gemette, lasciando cadere la magliettina che aveva in mano.
Dalle scapole salii verso il collo, andandole a mordicchiare il lobo dell’orecchio. Sentivo brividi percorrerle il corpo, anche se non capivo se erano di paura o di piacere. Poi si voltò di scatto, cercando di raggiungere le mie labbra con le sue, ma un mio ceffone la mandò a terra, tremante.
Mi chinai su di lei, sussurrandole all’orecchio –Come ti chiami?-
-Susan- mormorò lei, pianissimo. Susan, che nome da bambina.
-Nessuno può decidere cosa farmi, sono io che comando, hai capito Susan?-
Annuì più volte, guardandomi spaventata. La sua mente taceva, incapace di formulare pensieri coerenti.
Soddisfatto uscii dalla stanza, lasciando la ragazzina di nome Susan da sola con il suo terrore confuso.

La casa dove avevo passato la notte non era lontana dal luogo dove dovevo recarmi. Non mi ricordavo come ci fossi arrivato ne che fossi con qualcuno, probabilmente l’alcol aveva agito al posto mio, come ormai accadeva da tempo. Il mio comportamento faceva soffrire la mia famiglia, specialmente mia madre, che trascorreva i giorni nella costante preoccupazione per il suo figlio minore. In realtà tra tutti i componenti ero il più vecchio, dopo mio padre. Ero nato nel 1901 a Chigago e quando il mio padre adottivo mi aveva trovato stavo morendo di spagnola. Per i miei genitori naturali non c’era stato nulla da fare, ma io potevo ancora salvarmi. Così mi aveva trasformato in una creatura delle tenebre, un vampiro.
Come tutti quelli della mia razza ero fortissimo, dalla velocità supersonica e con una bellezza mozzafiato. Inoltre, cosa che spesso accadeva, possedevo un dono: leggere nella mente delle persone. Non ero l’unico dotato in famiglia, mia sorella poteva prevedere il futuro in base alle decisioni delle persone mentre mio fratello aveva la capacità di sentire e manipolare le emozioni della gente. Questi nostri doni non erano altro che particolarità che possedevamo da umani portate all’eccesso durante la trasformazione. Io per esempio dovevo essere molto perspicace, pensai amaramente. E pensare che adesso avrai dato qualsiasi cosa per non sapere cosa la gente pensava di me. Ma come potevo ignorare i loro pensieri?
Mi resi conto di essere arrivato a destinazione solo quando andai quasi a sbattere contro la vetrina del negozio di auto. I miei riflessi super sviluppati mi avvertirono del potenziale pericolo e la mia mano scattò automaticamente per bloccare l’impatto. Per fortuna si trattava proprio della porta d’ingresso, che si aprì cigolando. Se fosse stata una parete a quell’ora sarebbe già andata in frantumi.
Il rumore della porta attirò l’attenzione del commesso, che subito si precipitò da me, preoccupato.
-Che piacere rivederla, signor…-
-Cullen- lo aiutai –Edward Cullen-
-Sì, Edward Cullen- ripetè agitandosi. Sondai la sua mente, in cerca di un indizio che potesse spiegare il suo strano comportamento, ma fu lui stesso a parlare.
-Devo confessarle che oggi è successo un fatto spiacevole, molto spiacevole- cominciò gravemente –la vostra macchina è stata rubata, e in modo ignobile oserei dire-
La sua espressione ferita era un programma –In che senso?-
-Una ragazza…una donna, si è recata qui stamattina con il preciso intento di trafugare la vostra Volvo c30 che ci avevate lasciato per la revisione-
-E voi non avete cercato di fermarla?-
-Oh sì, ci abbiamo provato- disse, muovendosi a disagio –ma lei ha usato degli ottimi argomenti di persuasione-
Nella sua mente vidi con chiarezza l’immagine di un notevole decolté, e intuii quello che doveva essere accaduto. Trattenni a stento le risate, mentre il commesso-maniaco mi guardava sorpreso.
-Ci trova qualcosa da ridere, signore?- chiese offeso. Ah, se avesse saputo la verità!
Cercai di ricompormi –No, affatto, anzi, stavo pensando al valore della macchina che vi avevo lasciato in custodia, un modello unico nel suo genere…-
Lo vidi impallidire –Signor Cullen, sono davvero mortificato, ma non corra troppo, forse c’è un’altra soluzione. La ragazza prima di andarsene ha pagato l’auto con un assegno- si affrettò a dire, porgendomi un pezzo di carta piegato a metà. Lo aprii, si trattava di un assegno in bianco, non vi erano dati anagrafici se non la firma, scritta con elegante calligrafia evidentemente femminile.
Bella Swan Lessi.
Restituii il foglio all’impiegato –Sono sicuro che se va dalla polizia sapranno dirle di più al riguardo- disse prendendolo.
Annuii, anche se non ne avevo alcuna intenzione –Mi può per favore descrivere questa donna?-
Mi guardò sorpreso dalla mia richiesta –Certo- rispose comunque –ecco vediamo, era alta, mora con i capelli raccolti in uno chignon e gli occhi verdi, indossava un vestito rosso e dei tacchi molto alti, non ricordo altro- concluse arrossendo.
Non era difficile intuire che mi stava nascondendo qualcosa, così preferii affidarmi ai suoi ricordi. Vidi una donna dalla bellezza sorprendente chinarsi verso di me e parlare con voce sensuale. L’abito lungo aderiva perfettamente al suo corpo magro, facendo intravedere due gambe slanciate. La fragranza del suo corpo era rimasta impressa nella mente dell’uomo, sapeva di pompelmo e vaniglia. Ciò che aveva omesso il commesso era che la ragazza era dannatamente affascinante.
-Sa da che parte è andata una volta uscita di qui?- domandai impassibile.
-Mi pare che si sia diretta verso l’autostrada-
Mi voltai e camminai velocemente fuori dal negozio. Sentii l’impiegato chiamare il mio nome a gran voce, il che mi irritò alquanto. Gli lanciai un’occhiataccia e quello si zittì subito, poi proseguii in direzione dell’autostrada. Una volta lì avrei potuto correre seguendo la scia del profumo della donna, fino a trovarla. La mia velocità avrebbe impedito agli altri di vedermi.
“Sto arrivando, affascinante ladra di Volvo” pensai, poi cominciai a correre.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4. Casa dolce casa ***








Image Hosted by ImageShack.us





Parcheggiai la Volvo nel grande garage dietro casa. Scesi sbattendo la portiera, ancora irritata per il litigio con Jacob. Già prima che partissi le cose tra noi non andavano bene, adesso che ero tornata una parte di me sperava che il nostro rapporto si sarebbe aggiustato, ma dopo quel primo incontro non prevedevo niente di buono. L’altra parte invece…non ne poteva più. Di Jacob, della nostra storia che ormai si tirava avanti più per abitudine che per altro.
Camminai con passo svelto in direzione della porta, impaziente di cambiarmi e soprattutto di farmi una bella doccia. Salii di fretta i tre gradini e infilai le chiavi nella toppa. Girai la maniglia e entrai nella mia dimora.
Quando i miei genitori erano morti, tre anni prima, avevo appena compiuto i diciotto anni. Mi avevano lasciato in eredità una cospicua fortuna e quella casa enorme, l’unica cosa che mi era rimasta veramente di loro. Amavo quella villa, dove erano racchiusi tutti i ricordi della mia infanzia, da quelli belli a quelli più spiacevoli. Mi girai a guardare la stradina di fronte a casa, cercando di ricacciare indietro le solite immagini che minacciavano di sopraffarmi. Chiusi la porta e corsi su per le scale, diretta in camera mia. Mentre saltavo da un gradino all’altro, cominciai a spogliarmi, lanciando vestiti ovunque. Il bello di vivere da sola è che potevi fare quello che volevi, senza nessuno che ti intimasse di fare ordine.
Arrivai nella stanza con addosso solo le mutande e il reggiseno e mi gettai sul letto, esausta. Quello che avevo detto agli altri per svignarmela non era una bugia: ero davvero provata da tutti gli avvenimenti di quei giorni. Accarezzai l’idea di andare subito a dormire, ma era pomeriggio presto e sentivo il bisogno impellente di una doccia. Così mi costrinsi ad alzarmi e feci per dirigermi verso il bagno. Una foto sul comodino catturò la mia attenzione: due persone, un uomo e una donna, mi guardavano, sorridenti. L’uomo era bassino, con corti capelli radi che lasciavano intravedere la calvizie incombente e un bel paio di baffoni che gli conferivano un’aria simpatica. La donna era un po’ più alta e secca, con boccoli rossicci e occhi azzurri. Entrambi sembravano felici e abbracciavano una bambina in mezzo a loro. La piccola aveva lunghi capelli castani, mossi come quelli della donna, e un grande sorriso stampato sul volto. Due grandi occhi color cioccolato mi fissavano, identici ai miei, che si riempirono di lacrime, sommersi dai ricordi.

-Mamma mamma! Guarda che bella!- diceva la bambina, indicando una farfalla multicolore.
-Sì tesoro, è stupenda, ma non stare in mezzo alla strada, è pericoloso!- intimava la madre, seduta sotto il gazebo in giardino.
-Su Renee, lasciala divertire, è vacanza anche per lei!- diceva l’uomo al suo fianco, versandole del te nella tazza sul tavolino.
La donna chiamata Renee gli faceva un cenno con la mano –Basta, grazie. Ma Charlie, caro, non pensi che potrebbe farsi del male?- chiedeva poi, apprensiva.
L’uomo rideva –Non ti preoccupare, chi può passare per una stradina di periferia a quest’ora?-
Tranquillizzata dalla sicurezza del marito, la donna annuiva, tornando a bere il suo te fumante.
-È pronta la macchina? Odio rimanere senza di lei troppo a lungo- disse dopo poco con una smorfia.
Charlie assentì, posando la sua tazza e afferrando un biscottino –Ho sentito Billy prima, dice che entro domani potremo andarla a ritirare-
Renee sorrise soddisfatta –Bene, mi manca la mia Ferrari, dopotutto la Mercedes che mi ha dato durante l’attesa non era un gran che-
-Ti capisco cara, ma che ci vuoi fare? Non tutti hanno la nostra conoscenza, in fatto di auto-
-Hai proprio ragione!-
Le sue parole furono coperte dal rombo di un motore in rapido avvicinamento. Renee si girò, infastidita dal grande frastuono. Cercò di identificare il colpevole e vide un’auto, una stupenda Volvo grigio metallizzata, che percorreva velocemente la strada. Stava per voltarsi quando l’occhio le cadde sulla bambina che stava ancora giocando in mezzo alla via. L’orrore le riempì il cuore, si alzò di scatto precipitandosi verso la figlioletta. Da brava esperta di macchine qual’era, sapeva che non c’era la minima possibilità di allontanare la piccola prima che l’auto impazzita la raggiungesse, ciò nonostante l’istinto di mamma ebbe il sopravvento e, urlando, corse verso di lei.
Ma come previsto la colluttazione fu inevitabile. La bambina venne scaraventata via, come una piuma, mentre un grido riempiva l’aria.
-BELLA!!!!!!!!!-


Forti singhiozzi scossero il mio corpo, riscuotendomi. Ero per terra, tremante per il freddo e non solo.
“Probabilmente durante il flashback sono caduta” mi dissi. Mi alzai, ancora sconvolta, e corsi a sciacquarmi la faccia. Asciugandomi il viso, vidi il mio riflesso nello specchio. Apparivo stanca e provata, le guance erano dimagrite e la pelle tirata era più pallida del solito.
“Sembro uno zombie” constatai amaramente. E pensare che la mia arma migliore era proprio la mia bellezza singolare! Il mio aspetto serviva a celare il vuoto che si nascondeva dietro alle dolci forme. Se avessi perso anche quella, allora non mi sarebbe rimasto niente.
Con un sospiro mi tolsi la biancheria e mi infilai nella doccia. Quando il getto gelido dell’acqua colpì le mie membra stanche, gemetti di piacere. Ah, che sensazione sublime! Era come se l’acqua, oltre che lavarmi la pelle, mi purificasse anche interiormente, liberandomi dalle impurità.
Rimasi nella cabina per almeno mezz’ora, alternando acqua fredda e calda, come consigliavano di fare i medici. Giova alla salute, dicevano. Infine uscii in una nuvola di vapore, completamente rossa per l’ultima passata bollente. Passai davanti allo specchio, guardandomi per abitudine.
Grosso errore.
La lunga cicatrice sulla schiena risaltava, bianco su rosso. Andava dalla scapola destra fino al gluteo sinistro, tracciando come una seconda colonna vertebrale obliqua. Irata e confusa, distolsi lo sguardo, pesando con odio al colpevole di quello sfregio.
Avevo girato mezzo mondo per scoprire chi fosse stato, ospedale dopo ospedale. Quando ero stata investita, avevo riportato ferire così gravi che nessun dottore pensava che sarei sopravvissuta. Ma mio padre aveva contatti influenti e con essi più un bel gruzzoletto era riuscito a riunire una equipe composta da medici straordinari. Unendo le loro conoscenze, erano riusciti a salvarmi, ma a caro prezzo. Ormai da quindici anni ero costretta a vedere quell’orrendo segno sulla mia schiena, e a rivivere gli istanti tremendi di quel giorno.
Dopo la scomparsa dei miei mi ero sentita davvero sola: non avevo altri parenti da cui andare così, appena maggiorenne, avevo deciso di intraprendere un viaggio per dare un nome al mio quasi-assassino. Avevo salutato i miei amici e il mio nuovo fidanzato, Jacob, ed ero partita. Ero stata lontana da casa per quasi tre anni, ma ora ero ritornata con le risposte che cercavo. Subito ero andata a prendere la macchina le quali ruote avevano causato la mia cicatrice, quella splendida Volvo c30, e adesso non mi restava altro che attendere che il suo particolare proprietario venisse a riprendersela.
“Ti sto aspettando, Edward Cullen”







Miei cari!
Ho notato che il capitolo dal punto di vista di Ed ha riscosso grande successo...tranquille, il prossimo sarà narrato di nuovo da lui! ebbene sì, la bambina dell'incidente è proprio Bella, e indovinate un pò chi è il pirata della strada...
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, non mi resta altro che dirvi: recensite in tanti!
Bacioni! Ele

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5. Nuove sensazioni ***








Image Hosted by ImageShack.us





Non fu affatto facile trovare l’affascinante ladra. Inizialmente la pista era diritta e mi aveva condotto ad un officina dalla quale però dopo si era allontanata. Da lì in poi era stato un vero e proprio inferno. La scia proseguiva in direzioni sempre diverse, come se la ragazza avesse voluto volontariamente farmi girare a vuoto. Finalmente ero giunto alla mia meta: le tracce si interrompevano vicino a un’enorme villa, completa di giardino con gazebo.
Mi immobilizzai, quella vista sembrava aver risvegliato in me ricordi dimenticati, lontani. A disagio, mi avvicinai furtivamente al garage e, cercando di far meno rumore possibile, sollevai la porta. La mia Volvo comparve in tutta la sua magnificenza. Pareva in ottime condizioni, anche meglio di quando l’avevo lasciata per la revisione.
“Almeno ho beccato una che se ne intende, di macchine”
Sorrisi, soddisfatto della scoperta, richiusi il box e mi diressi verso la grande casa. Sempre seguendo il profumo squisito raggiunsi una camera da letto, dove l’aroma era più forte. Mi acquattai sotto la finestra e attesi l’arrivo della mia ospite.
Il rumore dei suoi passi non si fece attendere. Sentii la maniglia della porta d’entrata ruotare e mi sporsi leggermente, curioso di vedere dal vivo la fanciulla.
Quando però lei entrò, rimasi senza fiato.
-Cazzo…- mormorai.
Indossava solo la biancheria intima, di colore blu, che si intonava perfettamente alla carnagione chiara. Morbidi boccoli castani cadevano sparsi sulle spalle, ravvivati da una mano passata velocemente, le labbra rosse come boccioli di rosa erano semichiuse, gli occhi serrati. Il desiderio di vedere il suo sguardo era quasi incontenibile, tanto che mi sporsi ancora di più verso la finestra.
Infine sollevò le palpebre. Rimasi paralizzato. Un paio di fantastiche iridi color cioccolato mi fissavano, intensamente. Mi ritrassi, terrorizzato all’idea che potesse avermi visto. Aspettai che il respiro si fosse regolarizzato, per azzardarmi a sbirciare. Sospirai di sollievo, non era me che stava guardando, ma una foto sul comodino, che ora teneva stretta in mano.
Ma il mio conforto fu breve, infatti sussultai notando i grossi goccioloni che si andavano formando negli occhi della ragazza. Tremai al pensiero di poter essere la causa del suo dolore, ma vidi che il suo sguardo era rivolto alla cornice che stringeva convulsamente tra le mani. La paura fu sostituita dalla rabbia: sentivo il desiderio di punire coloro che stavano facendo soffrire quella splendida creatura.
Si sedette sul letto, dandomi le spalle, e potei vedere il soggetto dello scatto.
Era una famigliola felice, il padre e la madre abbracciavano la figlioletta, che aveva gli stessi splendidi occhi della fanciulla.
Distolsi lo sguardo, incapace di sostenere un minuto di più quello della piccola. Non sapevo neanche io il perché, ma era come se mi sentissi in COLPA, avevo il presentimento di essere proprio io ad aver causato il dispiacere della bellissima ladra, che altri non era che la bambina della foto.
Mi girai di scatto al suono di un singhiozzo. Sgranai gli occhi: la fanciulla era in lacrime, tremante forse di freddo, forse per altro.
La mia mente reagì istintivamente, seguita dal mio corpo. Spalancai la finestra e mi precipitai da lei, prendendola in braccio. Mi guardai intorno freneticamente finche non trovai ciò che cercavo. Su di una sedia era poggiata una coperta di pail, abbastanza inutile visto che era giugno inoltrato, ma pratica durante emergenze come quella. Con un sussulto, capii che non doveva essere la prima volta che le capitava.
Motivo in più per sbrigarmi. Gettai il plaid sulla ragazza, che continuava a tremare tra le mie braccia, e la stinsi al mio corpo, sussurrandole parole per tranquillizzarla.
-Ssh, non ti preoccupare, adesso ci sono io- bisbigliai.
Mi sorpresi di me stesso. La frase che avevo appena detto non aveva alcun senso, come potevo rassicurarla con la mia presenza, se nemmeno la conoscevo?
Eppure SENTIVO che il mio posto era accanto a quella fragile creatura. Quando l’avevo vista era come scattato qualcosa, dentro di me. Percepivo la necessità di proteggerla, a qualsiasi costo. E vederla così, sofferente per cause a me sconosciute, mi faceva quasi impazzire.
-Vi prego, restate con me…mamma…papà…non andate…- supplicò la ragazza, distogliendomi dalle mie fantasie.
La strinsi ancora di più a me, impotente.
-Sono sola…- sussurrò allora, la voce rotta dal pianto.
-Ti sbagli, ci sono io con te- le dissi dolce.
-Non te ne andare…-
-No, mai. Ti prometto che rimarrò sempre al tuo fianco-giurai, poi mi chinai verso di lei.
Le sue labbra invitanti erano a pochi centimetri dalle mie e avvertivo il desiderio pressante di farle incontrare.
“Che idea sciocca, manco la conosco!” cercai di convincermi.
Eppure, averla lì, semi nuda tra le mie braccia, così fragile e indifesa, scatenava in me un’eccitazione incontenibile. Ero confuso e non sapevo cosa fare: non mi era mai capitata una cosa del genere, in nessuna delle mie scappatelle notturne.
-Edward…- si lasciò scappare la fanciulla.
Le sue palpebre si sollevarono di scatto, ma per allora ero già sparito.
Sotto la finestra della camera, in mezzo all’erba ancora bagnata di rugiada, tremavo come un bambino.
Non mi ero immaginato niente: quella piccola sconosciuta aveva pronunciato il mio nome.
Ero senza parole, atterrito. La mia mente non riusciva a trovare una spiegazione logica a quanto era appena accaduto.
Avevo visto per la prima volta un’umana che mi aveva fatto provare emozioni fortissime, avvertendo l’istinto impellente di proteggerla. L’avevo rassicurata, promettendo che sarei sempre stato con lei, quasi baciata, infine lei aveva chiamato il mio nome senza neanche conoscermi!
Cosa mi stava succedendo?
Un forte rumore d’acqua interruppe i miei pensieri. Lentamente guardai dentro la stanza e vidi che era deserta. Allarmato, mi chiesi cosa fosse successo alla ragazza, dove fosse in quel momento e se si trovasse in pericolo.
“Ok, so che sto per fare una cazzata, ma non resisto!” pensai, fiondandomi dentro la camera.
Mi diressi verso il fragore che avevo sentito e capii che proveniva dal bagno. La porta era semi chiusa, come a invitarmi a guardare. Non resistetti alla tentazione di accertarmi della salute della ragazza e sbirciai dalla fessura.
Il suo corpo, ora completamente nudo, era bagnato dal flusso ininterrotto che usciva dal tubo della doccia. Le sue mani presero il sapone e cominciarono a passarlo lungo tutto il corpo, sulle braccia, sui piccoli seni, via via scendendo verso il basso. Quando arrivò in mezzo alle cosce, mi voltai, col respiro corto.
Mi accorsi dell’eccitazione che avevo tra le gambe e soffocai un imprecazione. Maledicendo me e la mia dannata curiosità decisi di andarmene, ma il mio corpo sembrava ragionare da solo e non aveva alcuna intenzione di alzare i tacchi. Si decise solo quando il rumore dell’acqua si interruppe e la porta della cabina doccia si aprì. Allora mi nascosi meglio dietro alla porta, restio all’idea di allontanarmi troppo.
Intanto la ragazza era uscita dalla doccia e si stava asciugando. Fortunatamente era di lato con la testa dalla parte opposta rispetto a me, ciò nonostante quando passò l’asciugamano nelle parti più intime del suo corpo dovetti ricacciare indietro il veleno che mi aveva riempito la bocca.
Poi si girò e l’orrore mi mozzò il respiro. Una lunga cicatrice attraversava diametralmente la candida schiena, rossa per il calore, risaltando bianca e terribile.
“Chi mai avrò potuto fare una cosa del genere?” pensai disgustato.
Anche la fanciulla stava contemplando lo sfregio, con espressione corrucciata e irata. Chissà come se l’era procurato…
Decisi di sbirciare nei suoi pensieri per scoprirlo ma, pur concentrandomi, non percepii niente dalla sua direzione. Mi sforzai ulteriormente. Zero assoluto.
Fissai sconcertato la ragazza, era la prima volta che mi capitava di non riuscire a leggere nel pensiero.
“Quante esperienze nuove che mi fa fare…” riflettei sarcastico.
Con la coda dell’occhio vidi che si stava per voltare e con uno scatto vampiresco riuscii a tornare nel mio nascondiglio sotto la finestra.
La sentii vestirsi e la morbida stoffa che scorreva sulla sua pelle mi fece rabbrividire di desiderio. Poi il suo profumo perse di intensità, segno che si stava allontanando, infatti sentii i passi scendere le scale.
Mi alzai in piedi, spolverandomi i vestiti sgualciti. Era arrivato il momento di sfoderare il mio fascino con la splendida ladra.







Per rispondere a:

Goten: sono contenta di averti sorpresa! ^^
Shinalia: no no, la macchina ha colpito solo Bella, poi si vedrà come sono morti i genitori…
Nessie95: esatto, hai capito giusto! Eh vedrai, la nostra Bella non sarà clemente…^^
Sabry87: sorry ma dovrai aspettare ancora il prossimo capitolo per l’incontro ma non ti preoccupare, non deluderà le tue aspettative (spero XDXD)
Lorelaine86: tranquilla, anche a quello c’è una spiegazione!
baby95: sono contenta che la storia ti piaccia!^^
xtina88: allora il prossimo capitolo ti piacerà!
Valle89: tesorina mi dispiace, ma non temere, come ho detto Edward non è come sembra…vedrai che le cose si aggiusteranno, promesso!
anna cullen: se ti piace il pov Edward questo chappy fa a caso tuo!
gerby88: ihih si hai ragione, il cane è davvero ingombrante…ma tranquilla, Edward si darà da fare per sbarazzarsene…


Ho una domanda per voi:
chi ha capito cosa è successo ad Edward?
Dai, non è difficile...vediamo chi indovina ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6. La prima impressione è quella che conta ***








Image Hosted by ImageShack.us





Amore mie!!!
O.O Ma da quant’è che non aggiorno!??!! Scusate ma avevo già Parigi in ballo e non ce la facevo a giostrarle tutte e due…sono entrambe storie importanti e se le avessi portate avanti contemporaneamente non sarei riuscita a dare il meglio di me, e io per voi voglio solo il meglio…
Cavolo comunque, questa storia me l’ero proprio dimenticata…xD Ho dovuto rileggerla dall’inizio per continuarla…consiglio anche a voi di ridarci un’occhiata!
Comunque eravamo arrivati al punto in cui Bella e Edward dovevano incontrarsi…siete pronte per il grande momento?? E allora vi lascio alla lettura…
Ci vediamo in fondo con le risposte alle vostre recensioni!
Un bacioneeee! Ele







La doccia mi aveva fatto bene, adesso ero molto più tranquilla e rilassata. Terminai di asciugarmi il corpo, evitando accuratamente di guardarmi allo specchio nuovamente. Poi andai in camera e presi un paio di mutande e un reggiseno a caso. Li infilai e tornai in bagno per asciugarmi i capelli. Mentre il phon emanava aria calda e io scuotevo la mia folta chioma, mi chiesi quando sarebbe arrivato il mio ospite.
Nonostante tutto l’odio che provavo nei suoi confronti, ero davvero curiosa di conoscere questo Edward Cullen. La persona con cui avevo parlato me lo aveva descritto come un ragazzo bellissimo, dal carattere misterioso e riservato. Il classico fighetto con la puzza sotto il naso, avevo pensato io. Ma, non so come, la mia interlocutrice doveva aver intuito questa mia riflessione perché subito si era affrettata a precisare che questo Edward non era affatto uno snob, bensì un ragazzo pieno di segreti. E ciò non aveva fatto altro che far crescere la mia dannata curiosità nei suoi confronti.
Quand’ebbi finito di asciugarmi i capelli ritornai in camera e aprii l’armadio. Adesso arrivava la parte più difficile: decidere come mi sarei dovuta vestire per ricevere il mio ospite. Diedi un’occhiata veloce ai vari capi: c’erano vestiti di ogni colore, lunghezza e foggia. Ma per quell’occasione mi serviva qualcosa di particolare, qualcosa che riuscisse a lasciare senza fiato il povero Edward Cullen. E in quel’armadio non c’era niente di tutto ciò.
Stavo ponderando l’idea di uscire a fare un giretto di shopping quando improvvisamente mi ritornò in mente un particolare. Ancora in intimo e scalza, corsi nella camera dei miei, precipitandomi sulla cassettiera di mia madre. Aprii il primo cassetto impolverato e sorrisi. Proprio quello che faceva al caso mio.
Tornai in camera col mio bottino e mi preparai per bene. Ravvivai i capelli con una crema che definiva i miei boccoli castani e passai un leggero filo di trucco sugli occhi. Desideravo apparire il più naturale possibile, per quel nostro primo incontro.
Terminai la mia opera e, soddisfatta, diedi un’occhiata veloce al grande specchio nell’armadio. La fanciulla che vi vidi riflessa era semplicemente bellissima.
Il corto tubino nero di mia madre aderiva perfettamente al mio corpo magro, quasi fosse fatto su misura. Leggermente a sbuffo, valorizzava il mio seno e terminava circa a metà coscia, con una fascia beige di seta. Non aveva spalline, lasciando perciò scoperto il mio collo candido, ma un grande fiocco, anch’esso beige, era appuntato vicino alla scapola sinistra. Le mie lunghe gambe erano nude e i piedi calzavano un paio di decolté neri lucidi. I capelli erano sciolti, ma in mezzo ai miei boccoli si poteva intravedere il cerchietto grigio chiaro.
Sorrisi, fiera del mio lavoro, e ringraziai mentalmente mia madre per quello splendido vestito. Certo, era anche merito del mio corpo perfetto, se l’abito mi calzava a pennello.
Con un sospiro mi gettai sul letto, stando attenta a non sgualcire il fiocco. Sentivo la stanchezza pesarmi sugli occhi, e le morbide coperte sotto di me parevano esercitare una sorta di attrazione. Certamente mi sarei addormentata, se proprio in quel momento non fosse suonato il campanello.
Mi alzai di scatto, col cuore che pompava a mille. È lui, pensai, e ne ero certa. Mi precipitai giù, leggiadra come una farfalla, oramai abituata a camminare su quei tacchi vertiginosi. Arrivai davanti alla porta, e mi bloccai di colpo.
E se non dovessi piacergli? E se qualcosa andasse storto?
Scossi il capo vigorosamente. Ma che pensieri facevo?! Dovevo ricordarmi che quella non era una visita di cortesia ma una vera e propria missione da 007. E io ero l’affascinante spia che aveva il compito di ammaliare l’assassino e fargli confessare il suo tremendo crimine. Sorrisi leggermente. E poi, come avrei potuto non piacere a qualcuno? Io ero perfetta!
Un altro scampanellio mi fece sussultare, riportandomi alla realtà. Mi ravvivai un’ultima volta i capelli, poi spalancai la porta.
Davanti ai miei occhi comparve il ragazzo più bello che io avessi mai visto. La leggera camicia blu scuro era mezza sbottonata e lasciava intravedere i bicipiti scolpiti, mentre un paio di pantaloni cachi fasciavano le gambe muscolose. Il viso era semplicemente sublime: i capelli, arruffati dallo scirocco di giugno, erano di un rossiccio brillante, gli occhi ambrati mi fissavano intensamente e un sorriso da urlo incurvava le labbra piena del bellissimo individuo.
-Piacere, sono Edward Cullen. Mi sa che lei ha qualcosa che mi appartiene- disse, facendomi così scoprire il suono sublime della sua voce, talmente melodioso che in confronto il canto degli usignoli era rumore.
-Si sente bene?- mi chiese perplesso quella stupenda visione. A quella domanda mi parve di sentire una sfumatura ironica nella sua splendida voce.
Strabuzzai gli occhi, arrossendo leggermente. La perfezione di quel ragazzo era tale che per un momento mi aveva fatto dimenticare il vero motivo per cui ero lì. Ma solo per un momento.
-Mai stata meglio- risposi affabile, mostrando i miei denti bianchi in un sorriso –vuole accomodarsi?-
Lui non se lo fece ripetere due volte e mi precedette verso il salone. Chiusi la porta, cercando di regolarizzare il respiro che si era magicamente alterato alla fragranza del suo profumo. Sapeva di giglio, dolce e pungente. Mi voltai a guardarlo e non potei fare a meno di soffermarmi sul suo lato b. Devo ammettere che non avevo mai visto un culo più sodo di quello.
Lo seguii in salone, dove vidi che si era già accomodato sul divano anni 50 in velluto rosso. Con la mano, mi fece segno di accomodarmi di fianco a lui, e io obbedii docilmente. Non capivo cosa mi stesse succedendo, non mi ero mai sentita così accomodante con nessuno. Normalmente, ero io quella che prendeva l’iniziativa, io che davo ordini agli altri. Ma quella volta…quella volta era diverso. Perché lui era lui. Ed era dannatamente affascinante.
-Allora, diceva che io ho qualcosa che le appartiene?- domandai ingenuamente.
Lui sorrise, mostrando una sfilza di denti candidi come i miei –Precisamente-
-E di grazia…di cosa si tratterebbe?- continuai, stando al gioco.
-Della mia splendida Volvo c30 grigio metallizzata. Ma lei questo lo sa benissimo-
La sua voce era bassa e profonda, e mi ritrovai imprigionata tra lei e i bellissimi occhi liquidi del ragazzo.
-Ho già visto dove la tiene, e devo dire che l’ho trovata in ottime condizioni…deve essere una che se ne intende, di auto- disse, avvicinandosi a me.
Inghiottii a vuoto –S-sì, infatti…è un vizio di famiglia…-
-Rubare auto?-
-No, collezionarle…-
A queste parole parve farsi interessato, e abbassò gli occhi come sovrappensiero, permettendomi finalmente di respirare normalmente. Poi dopo un attimo parlò ancora, ma questa volta udii una nota di sincera curiosità nella sua voce.
-Mi piacerebbe molto vedere la sua collezione- esclamò. Più che una richiesta, pareva un ordine.
-Mi dispiace, ma in questo momento non è possibile-
La mia risposta lo lasciò profondamente deluso. La ruga che si formò nello spazio in mezzo alle sue folte sopracciglia era semplicemente divina.
-Ah, e posso sapere il motivo di tale rifiuto?- mi chiese, accostandosi ulteriormente al mio corpo.
Potevo sentire il suo alito fresco sul mio viso, che mi tramortiva e confondeva, quasi quanto la pericolosa vicinanza della sua mano alla mia.
Che cosa mi stava succedendo? Non lo sapevo, ma di una cosa ero certa: dovevo correre ai ripari.
-M-mi può scusare un attimo?- balbettai, e senza nemmeno aspettare una risposta mi alzai e mi diressi velocemente verso il bagno.
Quasi sbattei la porta, dalla foga con cui la chiusi.
Appoggiai la fronte alle mattonelle gelate del bagno. Gelate come l’alito dell’affascinante individuo nella stanza accanto.
-Oh Bella, piantala!- sussurrai. Non potevo permettere che la sua bellezza mi distraesse dal suo nome. Cavolo, lui era Edward Cullen! Il pazzo che mi aveva quasi ucciso! No, non mi sarei lasciata abbindolare. Era arrivato il momento di sfoderare le mie armi migliori.
Quando tornai in salone, ero un’altra persona. Cullen era girato, intento ad osservare le foto sul camino, perciò non mi vide arrivare. Con un unico movimento fluido mi sedetti al suo fianco, facendo casualmente urtare la mia mano contro la sua gamba.
-Ops, che sbadata- trillai, strusciando le dita sui suoi pantaloni.
Esultai dentro quando lo vidi irrigidirsi.
-Non…non si preoccupi- mormorò, fissando prima la mia mano, poi il mio viso. I suoi occhi mi parvero più scuri, come se un’ombra vi si fosse posata sopra.
Ahia Bella, mossa azzardata. Mai guardare direttamente negli occhi il nemico.
-Che maleducata, non le ho ancora offerto da bere- esclamai, alzandomi e dirigendomi verso il mobiletto bar, che per un fortuito caso si trovava esattamente di fronte al divanetto.
Il mobile era a raso terra, pertanto dovetti chinarmi per raggiungere la maniglia. Lo feci con lentezza calcolata, facendo flettere in avanti il busto, mentre il vestito si alzava progressivamente.
-Cosa preferisce? Un Martini? O un cocktail più leggero?-
-Vodka. Liscia.-
La sua voce era roca, e ciò mi diede una soddisfazione più che lecita. Preparai la sua Vodka, mentre io mi limitai a un Campari. Dovevo rimanere il più sobria possibile, e bastava già la sua presenza per ubriacarmi.
Tornai al suo fianco e gli porsi il bicchiere. Lui lo prese e scolò il suo contenuto in un solo sorso. Bene, il mio piano stava procedendo meglio del previsto.
Attesi che finisse il drink, fissandolo intensamente. Anche lui cominciò a guardarmi, e fu una con fatica immensa che riuscii a non perdermi nel suo sguardo dorato.
-Ha una bellissima casa- mi disse a un certo punto, forse per spezzare quel silenzio così denso.
Sorrisi, compiaciuta del complimento –La ringrazio, ma è tutto merito di mia madre. È lei che ha scelto e disposto i mobili-
-Andrebbe molto d’accordo con la mia allora, anche Esme adora arredare gli ambienti casalinghi- continuò. Poi mi osservò un attimo, e aggiunse –Sua madre deve essere anche una splendida donna, se ha avuto una figlia come lei-
Non potei evitare di arrossire di piacere –Lo era, infatti-
-Era?-
-Sì. Lei e mio padre sono morti qualche anno fa, in un incidente-
-Oh, mi dispiace- e pareva che gli dispiacesse davvero!
Scossi il capo –Ho superato il lutto, comunque la ringrazio-
Ci guardammo per un altro minuto, poi lui si schiarì la voce.
-Allora…me la restituisce la mia Volvo o no?- chiese senza preamboli.
Sorrisi maliziosa –Mi dia un buon motivo-
-Sono venuto fino a qui, non avrai voluto farmi fare un viaggio a vuoto…-
Non mi sfuggì il cambio di persona.
-Spero che la delusione non ti distrugga…- sussurrai.
-Non c’è proprio niente che io possa fare per convincerti?- domandò, il volto a pochi centimetri dal mio.
Sinceramente, non sapevo come fossimo arrivati ad essere così vicini, e, francamente non me ne importava niente. Sentivo solo la fortissima attrazione che spingeva il mio corpo verso di lui e che, ne ero sicura, era completamente ricambiata.
-Mmmmh…- mormorai, assorta, sfiorando la sua guancia con le dita. La sua pelle era gelata, ma a contatto con i miei polpastrelli mi parve di fuoco.
Accavallai le gambe, e il vestito già corto si alzò, fino a lasciare scoperto una buona porzione di coscia. Portai il polpaccio sulla sua gamba e la mano destra sul suo petto. Che strano, mi pareva di non sentire il suo respiro…ero davvero così brava?
Lui si mosse. Poggiò la mano sinistra sul mio fianco e lo sfiorò, provocandomi miliardi di brividi, poi lo sentii scendere, fino a toccare la nuda pelle della coscia con le sue dita bollenti.
Le nostre bocche erano a pochissima distanza. Allora ebbi un lampo di genio. Con la lingua mi leccai le labbra e poi a sorpresa la passai anche sulle sue. Ma non lo baciai, no, quello aspettai che fosse lui a farlo.
Ma quando accadde, non ero preparata.
C’è sì, lo ero, ma non a quello.
Le sue labbra aggredirono le mie con una forza, una passionalità inaudita. La sua lingua si intromise prepotentemente nella mia bocca, cominciando a muoversi insieme alla mia, intraprendendo una danza sfrenata che era lui a condurre. Le sue mani mi afferrarono dalla schiena e mi spinsero verso di lui, mentre le mie facevano pressione sul suo collo, come per avvicinare ancora di più i nostri volti.
Cercavo di rimanere lucida, ma era quasi impossibile! La nostra passione ardeva come mille braci inestinguibili, non mi ero mai sentita così presa da qualcuno. Eppure sapevo che non avrei dovuto rispondere a quel bacio, eppure sapevo che sarebbe stato una follia non farlo. Una pazzia perdermi un’esperienza simile.
Mi staccai ansimando, alzandomi in piedi con gli occhi chiusi. Aspettai qualche secondo, poi li spalancai e guardai il ragazzo seduto di fronte a me.
Edward Cullen era spettacolare, tutto sudato e eccitato. Provai a ingoiare il groppo in gola, inutilmente. Senza dire una parola, corsi in bagno e mi sciacquai la faccia più volte, finche non mi fui ripresa. Poi tornai di là e con mia somma sorpresa lo ritrovai nella stessa identica posizione di prima, i capelli spettinati lì dove le mie mani erano passate, le labbra semi aperte, in una posizione talmente sexy che sarebbe dovuta essere dichiarata fuori legge.
Mi avvicinai a lui, impassibile e gli tesi la mano –L’accompagno all’uscita-
Lui guardò prima la mano, poi me, poi ancora la mano, e tese la sua come per afferrarla. Ma io lo presi a braccetto e lo condussi alla porta.
-È stato un piacere conoscerla, signor Edward Cullen- dissi, quando lui fu fuori, e senza nemmeno aspettare una risposta, gli sbattei la porta in faccia.
Dopo un secondo mi accasciai al suolo, la testa rivoltata all’indietro, gli occhi chiusi e la bocca spalancata, in attesa che il mio cuore ricominciasse a battere normalmente.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 7. La casetta di mattoni ***








Image Hosted by ImageShack.us





Ero incazzato nero, mentre mi allontanavo da quella maledetta villa. Da quella ragazza così insignificante, superficiale, costruita…eppure così tremendamente sexy.
Come avevo potuto farmi abbindolare da lei? Certo, all’inizio ero stato io a condurre il gioco, ma poi all’improvviso le parti si erano invertite, e con mia somma sorpresa mi ero ritrovato stretto tra le sue braccia bollenti, la sua boccuccia di rosa attaccata alla mia, in quello che posso definire con sicurezza il bacio più focoso ed eccitante della mia vita…
Scossi la testa, ancora più furioso. Possibile che un’insulsa umana potesse causarmi tanto scompiglio? Loro erano esseri inferiori e non meritavano di possedere un pianeta bello e florido come la terra. Con tutta quella loro tecnologia lo stavano distruggendo, sfruttavano fino all’esaurimento le risorse energetiche e inquinavano l’ambiente con le loro macchine infernali. Gli umani erano esseri egoisti e tronfi, credevano di sapere tutto, di essere i padroni del mondo, ma si sbagliavano. Ah, se avessero saputo dell’esistenza di noi vampiri! Noi, la razza perfetta, così belli e forti, così attenti a tutto ciò che ci circondava, noi eravamo gli unici veri signori di tutto.
O almeno, questo era quello che pensavo io. Mio padre Carlisle, sfortunatamente, non era della stessa idea. Lui riteneva gli umani come creature buone per natura, e che era solo a causa delle continue guerre se la loro mente si era riempita di pensieri malvagi. Bisogna aiutarli, diceva il mio vecchio. Perciò faceva il medico, per preservare e salvare vite di quegli insulsi esseri. Puah, che spreco di tempo. E pensare che lui mi considerava come il suo discendente, il figlio che avrebbe seguito le sue orme! Sapeva pure delle mie considerazioni a riguardo, ma era convinto che fossero solo vaneggiamenti da adolescente (cosa un po’ improbabile, visto e considerato che avevo cento e passa anni) e che col tempo avrei compreso la verità dei fatti. Era per questo motivo, questa sua cecità nei miei confronti, che non tornavo quasi mai a casa dei miei. Vivevo in una casetta di mattoni nel bosco ai confini della città, un luogo tranquillo e immerso nella natura, dove potevo rilassarmi e immergermi dei miei pensieri. Ed era proprio lì che mi stavo dirigendo ora, perché un po’ di serenità era proprio quello che faceva a caso mio. Cominciai a correre ad una velocità spaventosa perfino per i vampiri, e in breve tempo giunsi alla mia meta.
La sola vista della mia piccola dimora aveva il magico dono di fami tornare il sorriso sulle labbra. La casetta era davvero graziosa: tutta rossa di mattoni, con una fascia di pietra che la congiungeva al suolo e le tegole in terracotta, spioventi. L’interno era accogliente, sebbene non molto ampio. Un salotto, completo di camino, una camera da letto, quasi inutilizzata, se non quando portavo delle ospiti a casa, una cucina e un bagno. Tutti luoghi assai inutili per me, ma indispensabili a mio parere, per considerare casa la mia dimora.
Mi diressi in camera, dove mi tolsi la leggera camicia blu che indossavo. Era troppo impregnata dallo squisito odore di quella ragazza, così sublime e ammaliante che mi irretiva i sensi, impedendomi di pensare. Nessuna fragranza aveva avuto un tale effetto su di me, prima di allora. Quel profumo ineguagliabile mi faceva desiderare il suo sangue quasi quanto il suo corpo, e questa ovviamente, non era affatto una buona cosa. Perciò mollai la camicia sul letto, prima di ritornare fuori alla leggera brezza di giugno, a petto nudo e con la mente più libera.
Sapevo che adesso avrei dovuto pensare, riflettere sugli avvenimenti di quel giorno e sulle conseguenze che avrebbero provocato. Ma non ce la facevo. Semplicemente, la mia mente si rifiutava di collaborare, mentre il mio corpo si arrampicava sinuoso sugli alberi della foresta. Stare in quel luogo era magnifico, per me. Era l’unico posto in cui potevo essere me stesso, e abbandonarmi ai miei sensi e istinti. Le forti braccia passavano da un ramo all’altro, cingendoli delicatamente per evitare di spezzarli. Non mi fermavo su un albero per più di pochi secondi. Perché io ero così, sempre in cerca di nuove avventure, sempre nomade e senza responsabilità. Ma quella ragazza, lei aveva cambiato qualcosa. Nella bellezza della foresta, nella delicatezza dei miei movimenti, in tutta quella tranquillità, c’era comunque qualcosa di sbagliato. In me. Lei, quella Bella Swan (solo pensare al suo nome mi causava mille brividi) mi aveva fatto qualcosa, qualcosa che ora mi faceva sentire più leggero eppure con un peso sul petto, come se la mia mente stesse volando e le rabbia che avevo provato fosse ormai un ricordo lontano.
Saltai giù dal ramo di una quercia, dove mi ero fermato un po’ più a lungo, e mi avvicinai allo stagnetto lì vicino. Non era ampio ne profondo, eppure l’acqua appariva scura e limpida, come in un cupo specchio. Mi inginocchiai e immersi le mani ghiacciate nel liquido cristallino. Probabilmente l’acqua doveva essere parecchio fredda, considerato che la fittezza degli alberi di quel bosco non permetteva ai raggi del sole di filtrare, eppure a contatto con le mie membra morte, mi parve quasi calda. Mi sciacquai il viso più volte, apprezzando le goccioline che si creavano sulla mia fronte, e che scendevano lentamente, percorrendo il mio volto fino al petto.
Rabbrividii di piacere e sorrisi. Finalmente mi sentivo a casa. I pensieri di poco prima se ne erano andati, non c’era più nessuna Bella Swan, nessun disagio. Solo una piccola parte della mia mente conservava ancora il ricordo di quel suo profumo così sublime, ma in quel momento non contava. Allora, c’eravamo solo io e la foresta, con la sua natura così rigogliosa e piena di vita. O almeno, questo era quello che pensavo.
-Meno male che sono tua sorella, altrimenti ti sarei già saltata addosso- esclamò una voce alle mie spalle, facendomi sobbalzare. Fortuna che noi vampiri non possiamo avere gli infarti!
Mi girai di scatto, fulminando la piccola creatura appollaiata sul ramo più alto della quercia –Alice- sibilai –che cosa ci fai qui?-
La piccola vampira mi guardò sorniona. Era proprio carina, coi quei suoi capelli corvini perennemente spettinati e i suoi modi aggraziati. Lei allungò le esili braccia sul ramo di fianco al suo, seguite dalle gambe forti, e con quella che parve una danza, riuscì infine a toccare il suolo, poco distante da me.
-Anche io sono contenta di vederti, fratellino- disse poi, sorridendo a avvicinando misi.
-Ti ho fatto una domanda. Cosa vuoi?- ripetei, scostandomi dal suo abbraccio.
-Ehi ehi, come siamo antipatici oggi! Ero solo passata a salutarti, considerato che non ci vieni mai a trovare…-
-Sai quanto me che non sono più il ben venuto in quella casa- mormorai, distogliendo il mio sguardo nero dal suo ambrato.
Lei mi guardò tristemente –Se solo tu abbandonassi questo tuo comportamento, sono certa che Carlisle ti riaccoglierebbe a braccia aperte. Lo sai che sento Esme singhiozzare tutte le notti? E che Emmet non sorride più? Manchi a tutti, Edward, la casa e noi non siamo più gli stessi senza di te-
Mi azzardai a sbirciare nella sua direzione. Alice pareva sincera, e i suoi occhi erano più grandi e espressivi che mai. La superai e mi diressi verso la casetta di mattoni.
-Io e Carlisle abbiamo idee troppo diverse per poter convivere sotto lo stesso tetto. E poi, sono sicuro che Emmet sarà ben felice di occupare la mia camera con la sua collezione di DVD dell’Ape Maia, per non parlare di Rosalie- borbottai, camminando velocemente.
-Non dire sciocchezze- mi rimproverò la vampira, seguendomi –Emmet è distrutto quanto tutti noi, e Carlisle darebbe qualsiasi cosa per riaverti-
-E Rose? Di lei non dici niente?- replicai, la voce tagliente come il vetro.
Alice non rispose, continuando a volteggiare e arrestandosi di fronte alla casa. Mi guardò, indecisa se entrare o meno, ma io mi sedetti sul muretto lì vicino, osservando due usignoli che cantavano su un ramo. Sentii un sospiro e poi la sua aggraziata figura si sedette ai miei piedi, le gambe incrociate e gli occhi fissi sulla mia schiena.
-Lascia perdere Rose, lei non capisce- sussurrò –torna da noi, Edward. Torna a casa-
Mi voltai di scatto, gelandola con lo sguardo –Questa è la mia casa- ringhiai –e Rosalie capisce più di tutti voi messi insieme: io sono diverso, Alice, e per quanto tuo padre possa desiderarlo, non sarò mai come voi-
Vidi i suoi occhi stringersi e le labbra tremare. Si alzò e mi prese la mano, con un movimento così veloce che non feci in tempo a scansarmi.
-Edward, non sarà così per sempre. Troverai una persona che ti aiuterà a capire, e vedrai che presto tornerai da noi- esclamò lei, e la sua voce era così carica di passione che per un attimo rividi me e la mia famiglia, insieme, come una volta.
-Che cosa vuoi dire?- mormorai, guardandola con sospetto.
Lei distolse lo sguardo e lasciò la mia mano –Credimi, so che è così-
Non mi convinceva. Sapeva qualcosa, e non voleva dirmela. Frugai nei suoi pensieri, ma non trovai niente: Alice era sempre stata brava a nascondermi le sue riflessioni.
-Dimmelo, Alice- ordinai, con voce ferma –dimmi quello che non so-
Lei scosse la testa –Non posso, Edward-
-Perché?-
-Devi scoprire la tua strada da solo-
Allora capii: aveva avuto una visione. Alice infatti, aveva la capacità di leggere nel futuro delle persone, così come io facevo nelle loro menti.
-Che cosa hai visto? Dimmelo- ripetei, e questa volta il mio tono aveva un che di pericoloso.
Fece di nuovo no con il capo, serrando le labbra. La presi per le spalle e la avvicinai a me.
-Alice, devo sapere- dissi, quasi supplicandola.
Lei mi fissò un momento, poi sospirò –Non ti dirò cosa ho visto, perché come sai il futuro può sempre cambiare. Ma sappi che ben presto un evento nella tua vita cambierà per sempre il tuo destino, e che vedrai il mondo sotto un’altra luce-
Che cavolo voleva dire? Tutto e niente, pensai.
Chissà, magari l’ha già incontrata, la sua salvezza…
Incatenai i miei occhi ai suoi, appena udito quel pensiero ambiguo. La mia salvezza? E chi era? Poi, un’idea mi colpì come un fulmine.
-Tu…tu mi hai spiato…- sibilai, abbandonando le sue spalle come se scottassero.
-No Edward, no- sussurrò dolcemente lei, facendo per avvicinarsi.
-Stammi lontano!- esclamai. Alice era sempre stata la mia sorella preferita, così buona e allegra, ma in quel momento la vampira che avevo davanti ai miei occhi non era il folletto che credevo di conoscere. Era una strega, che mi aveva spiato, che avevo frugato nel mio futuro, che voleva controllarmi.
-Io ti voglio solo aiutare…-
-No! Tu mi vuoi manipolare! Ma io non te lo permetterò, oh no, io non mi faccio comandare da nessuno!- urlai, cominciando a correre furiosamente.
In pochi secondi, mi lasciai alle spalle la casetta di mattoni, mia sorella, e quello che mi parve un suo singhiozzo soffocato.
Alice sapeva qualcosa, pensai con rabbia, qualcosa che non aveva voluto dirmi, qualcosa di importante, qualcosa che io dovevo assolutamente scoprire.







Bhe, che ne dite? Lo so, è un po’ cortino, ma abbastanza importante per il seguito della storia. Quale sarà il segreto che Alice nasconderà ad Edward? Se siete stati attenti nello scorso capitolo, dovreste aver notato un parte che si riallaccia con questo…parlo in ostrogoto? Può darsi ^^
Scusate se ho impiegato tanto per aggiornare ma ho appena concluso la mia altra ficcy, “Parigi alla chiave del cuore”, ed era la mia long fic e ci ero molto affezionata…perciò, cercate di comprendermi.
Spero che il capitolo sia piaciuto, nel prossimo si avrà una svolta decisiva…ah, vi avverto già da ora: ricomparirà il botolo di pulci (Jacob, per intenderci) ma non temete, lo odio quanto voi! xD
A presto cari, un bacio,
Ele




Per rispondere a:

RenEsmee_Carlie_Cullen: Bhe, diciamo che non era proprio nelle condizione psicologiche ideali per soccorrere Bella, quando l’ha investita…scusa, ma oggi parlo per enigmi! xP
Michelegiolo: Ahah sì, hai ragione, in questa storia Bella è proprio intraprendente…ma anche Ed non scherza! Sono contenta che la storia ti appassioni :)
Bella_kristen: Tesoraaaaaa!!!! UEEEEE PARIS è FINITAAAA!!!! Ma non disperiamo, adesso c’è Speed & Love…e, detto tra noi, ho già un’altra ficcy in cantiere…è solo un’idea, ma spero che ne verrà fuori qualcosa di buono…^^ Allooora, massì è vero che sono una depravata, non mi offendo! xD Sentiamo, per te cosa nasconde Alice?? Stupiscimi…^^ Baciiiiiiii
mione94: Amore mioooooo ma come farò senza di te pe ben cinque giorni???? ç_______ç me piange……fammi sapere come va a Vienna (e fatti un bel tedesco) e se il nuovo chappy ti piace!!!! Ti amooo

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 8. Qualcosa di sbagliato ***








Image Hosted by ImageShack.us





C’era qualcosa di profondamente sbagliato, in tutto ciò. Non avrei dovuto sentirmi così, non sarei dovuta farmi prendere tanto da lui. Lu che quindici anni fa mi aveva quasi uccisa, lui che avevo cercato per mari e monti, per avere la mia vendetta. Lui, la fonte di tutti i miei problemi. Edward Cullen, affascinante giovane sui vent’anni, sorriso mozzafiato e baciatore professionista. Risi amara, mentre salivo velocemente le scale della mia dimora. Arrivai in camera e mi gettai sul letto, sfilando il tubino nero dalle gambe. Non avevo voglia di struccarmi, ne di cambiarmi, ne di fare niente. Ozio. Ecco cosa mi serviva. Un po’ di oblio non mi avrebbe fatto male, chissà, magari sarei anche riuscita a dimenticare le mie preoccupazioni. Magari non avrei pensato ed Edward Cullen e alle sue labbra così morbide, almeno per un paio d’ore. Con quei pensieri in testa e le braccia allacciate sulla pancia, mi addormentai, semi nuda ma con la mente anche troppo affollata.
Dormii a lungo e mi svegliai a mattina inoltrata. Quando aprii gli occhi, un raggio di sole mi colpì in pieno viso, accecandomi. Cercai di nascondere il viso nelle coperte, ma non le trovai. Rotolai giù dal letto, sbuffando sonoramente, e mi trascinai in bagno di malavoglia. Mentre, nuda, tentavo di sbrogliare la matassa che avevo al posto dei capelli, l’occhio mi cadde sulla lunga cicatrice biancastra sulla mia schiena, e mi fermai di colpo. Improvvisamente, la consapevolezza di quello che era successo il giorno prima mi colpì come un doloroso pugno nello stomaco.
Avevo conosciuto Edward Cullen. Avevo flirtato con Edward Cullen. Avevo baciato e toccato Edward Cullen. Schifata, distolsi lo sguardo dal mio corpo, per dedicarmi con foga ai povero capelli. Come avevo potuto!?! Con il mio quasi-assassino poi!!
Scossi la testa, vergognandomi di me stessa. Dovevo vedere un volto amico, qualcuno che non fosse il bellissimo ragazzo dai capelli di fuoco che appariva davanti ai miei occhi ogni volta che chiudevo le palpebre. Lasciai perdere i capelli e mi precipitai in camera, afferrando un vestito e infilandolo velocemente. Dovevo uscire da quella casa. Subito.
Schizzai al piano di sotto mentre calzavo le mie vertiginose zeppe, correndo sulle scale. Una volta chiusami la porta alle spalle, mi sentii meglio. Riuscivo a respirare quasi normalmente e la sua presenza non era così forte come all’interno della mia dimora. Andai nel mio ampio garage, snobbando alla grande la Volvo grigio metallizzata. Non potevo prenderla, non quel giorno. Scelsi una Alfa Spider rosso acceso, una delle preferite di papà. Mi infilai nell’autovettura e feci ruggire il motore. I muscoli si distesero, completamente rilassati, e le mani afferrarono forte il volante morbido. Diedi ancora gas e la macchina rombò, feroce. Sgommai fuori dal garage, dirigendomi a tutta velocità verso l’officina dei miei amici. Più correvo, meno tempo avevo per pensare.
Raggiunsi la mia meta in breve tempo. Fortunatamente la serranda del posto era già alzata, segno che Dylan era già all’opera. Bene, così non avrei dovuto aspettare. Altro tempo guadagnato. Suonai per avvisarli del mio arrivo e parcheggiai l’auto proprio mentre il mio amico mi raggiungeva sorridendo.
-Bells, che bello, sei tornata!- mi urlò, aiutandomi a scendere dalla vettura e stritolandomi in un abbraccio mozzafiato.
-Certo, pensavi che ti abbandonassi?- replicai ridendo e ricambiando la sua stretta. Mi resi conto sorpresa che rivedere Dylan mi faceva davvero piacere. Che bello.
-Che hai fatto ieri poi? Altre commissioni?- mi domandò il mio amico, mentre insieme ci dirigevamo verso una macchina mezza smontata in un angolo dell’officina.
Le lanciai un’occhiata curiosa. Da quello che potei capire, conciata com’era, doveva essere una delle vetture destinate alle gare. Certo che per correre, era proprio una bella macchina.
-No, sono andata a casa. Ero davvero stanca- risposi distratta, ancora concentrata sulla novità.
Con la coda dell’occhio vidi Dylan penetrarmi con lo sguardo –Ti sei riposata?-
-Più o meno- se per riposata intendeva strusciarsi contro l’uomo più sexy che avessi mai conosciuto, bhe, sì, ero proprio in forma.
-Mm, tu non me la racconti giusta- si lamentò il mio amico, chinandosi sull’auto da corsa. Lo affiancai –Si può sapere cosa hai fatto tutto questo tempo?-
Nonostante la curiosità mi allontanai, muovendomi a disagio. Lui si voltò, notando i miei movimenti, e mi sorrise fiducioso –Eddai Bella, lo sai che a me puoi dire tutto. Capisco che magari tu non voglia parlarne con Ryan e Jody, ma io non sono loro. So tenerlo, un segreto-
Gli fui grata che non avesse nominato Jacob. Non sapevo ancora come comportarmi, con lui. Sospirai, avvicinandomi nuovamente a lui –Vedi Dylan, è complicato…-
-Farò uno sforzo- mi interruppe lui –ma ti prego, aiutami a capire. Sto impazzendo-
Risi –Addirittura!-
Ma lui era serio –Bella, non sapere dove sei stata, con chi sei stata, cosa hai fatto…mi mette a disagio- disse lui, poi mi prese le mani, fissandomi negli occhi –io voglio il meglio per te, ricordatelo-
Gli sorrisi, commossa dalla sua premura –Grazie Dylan-
-Ehi Dylan, che fai, ci provi con la mia ragazza?- esclamò una voce in quel momento, rompendo la magica atmosfera. Lasciai in fretta la stretta di Dylan e lui fece cadere le braccia lungo i fianchi, infastidito.
-Stupido idiota…- lo sentii mormorare, mentre riprendeva a lavorare sulla macchina. Non riuscii a vedere il suo volto, nascosto dai lunghi capelli scuri, ma non mi fu difficile immaginare la smorfia sul suo viso. Per qualche strano motivo, Jacob non gli era mai andato a genio.
-Ciao piccola- mi sussurrò in quel momento il diretto interessato –mi sei mancata-
Jacob mi cinse i fianchi da dietro e nascose il viso nei miei capelli, ispirandone il profumo. Mi irrigidii, fissando supplicante Dylan. Ma lui non intervenne, continuando a trafficare con cacciaviti e robe varie, anche se, ne ero certa, non gli era sfuggita la mia muta richiesta di aiuto.
Fortunatamente, Jacob mi lasciò quasi subito, storcendo il naso, infastidito –Ma che puzza c’hai addosso, Bella?-
Lo fissai corrucciata –Io non puzzo-
Sbuffò –Sarà, ma hai un odore davvero strano. Sai di dolciastro e di…freddo-
Rabbrividii alle sue parole. Riconoscevo quella fragranza, era rimasta impressa come un marchio a fuoco nella mia mente.
Ma Jacob non si accorse della mia smorfia, troppo occupato e guardare il lavoro di Dylan –Sei riuscito ad aggiustare il motore?-
L’altro grugnì, continuando imperterrito a dedicarsi all’auto. Jacob lo fissò irritato, detestava venire ignorato –Bhe, sbrigati che quella Ferrari mi serve per venerdì. Abbiamo un’importante gara, e io devo essere pronto al massimo. D’altra parte, per il migliore serve il meglio, giusto?-
Questa volta Dylan non si prese nemmeno la briga di rispondergli, in compenso si rivolse a me –Sabato corriamo contro una nuova squadra- spiegò, pulendosi le mani dal grasso del motore –si dice che siano molto forti, e non stento a crederci. Nel giro di poche settimane hanno sbaragliato le squadre più brave e raggiunto un posto molto alto in classifica. Sono a soli pochi punti da noi-
-Wow- commentai. Il nostro team, i Werewolf, era nella top ten dei migliori corridori.
Dylan annuì –Esatto. Perciò dobbiamo prepararci al meglio, e abbiamo bisogno di tutto il tifo possibile. Pensi di venire?-
Lo fissai, sorpresa da tale richiesta. Non era mai mancata ad una gara, prima di…bhe, prima del mio viaggio.
-Certo! Ci sarò di sicuro-
Dylan annuì, abbandonando lo straccio sporco di olio e richiudendo il cofano della macchina –Bene. Vado ad avvertire gli altri- disse poi, allontanandosi velocemente con la sua camminata calma e dinoccolata. Lo guadai andare via, lo sguardo carico di tristezza. Perché si era comportato in quel modo? Con me era sempre stato così gentile, e complice…lo consideravo il mio migliore amico. E allora, perché all’improvviso mi era parso così freddo e distaccato?
-Ma che gli è preso?- mormorò Jacob in quel momento. Mi ero quasi dimenticata della sua presenza.
-Non lo so. Sarà stanco, immagino- risposi, più per convincere me stessa che lui. Almeno non mi ero immaginata tutto, pensai. Anche Jacob si era accorto dello strano comportamento di Dylan.
Il mio ragazzo alzò le spalle –Bhe, sono affari suoi. Spero solo che il suo cattivo umore non contagi anche gli altri. Se venerdì perdiamo la gara per colpa sua, giuro che gli spacco la faccia-
Lo fissai arrabbiata e lui alzò le mani in segno di scusa –E va bene, scherzavo! Non so cosa ci trovi in quel tipo…-
-È mio amico-
-Tu la pensi così…ma credimi, per lui sei tutt’altra cosa-
Affilai lo sguardo, tagliente –Cosa vuoi dire?-
Lui sospirò, alzando gli occhi al cielo –Suvvia Bella, non dirmi che non ti sei accorta di come ti guarda! Ti mangia con gli occhi-
-Ma che cazzo dici?- sibilai. Stavo cominciando davvero a innervosirmi. Chiunque se la prendesse con Dylan, avrebbe dovuto fare i conti con me.
-È la pura verità. Tu gli piaci, Bella. E non posso dargli torto…- proseguì, tentando di afferrare la mia mano.
Mi scostai da lui, furibonda –Non sai quello che dici-
Jacob sbuffò, ficcandosi le mani in tasca –Fai come vuoi, ma non puoi negare la realtà-
-Io non nego niente, sei tu che vedi cose dove non ci sono- sbottai, ormai livida, dirigendomi a grandi passi verso la mia macchina.
-Bella!- lo sentii gridare confusamente, le orecchie che mi fischiavano dalla rabbia.
Mi infilai svelta nell’Alfa e accesi il motore, pronta a partire. Ma un paio di mani afferrarono le mie, prima che potessi chiudere la portiera.
-Dove scappi? Sei appena arrivata- si lamentò Jacob.
-Ho da fare- replicai gelida.
Lui sospirò, fissandomi dispiaciuto –Non volevo farti arrabbiare, sul serio. È solo che sono geloso, lo sai- azzardò un sorrisino, col solo risultato di fami infuriare ancora di più.
-La tua gelosia non è affar mio, Jacob- ringhiai. Tuttavia, non potei fare a meno di ripensare al giorno precedente, e a quello che era successo tra me ed Edward Cullen. Tecnicamente, Jacob era ancora il mio ragazzo, e avrebbe avuto tutti i suoi buoni motivi per dubitare della mia lealtà.
-Hai ragione, sono una frana. Imploro il tuo perdono-
Lo guardai, sembrava seriamente dispiaciuto. Chiusi gli occhi, ispirando profondamente. Cosa dovevo fare con lui? Gli volevo bene, ma non lo amavo, questo lo avevo capito da tempo. Ma non ero ancora pronta per lasciarlo, conoscevo Jacob abbastanza bene da immaginarmi la reazione che avrebbe avuto. E le conclusioni che avrebbe tratto.
Perciò mi sforzai di sorridere e di rivolgermi a lui con tono più calmo possibile –Va bene, ma non parlare più male di Dylan-
Lui si mise la mano sul cuore –Lo prometto solennemente- esclamò, contento che l’avessi perdonato.
-Adesso devo andare-
Si rabbuiò –Di già? Resta ancora un po’-
Scossi il capo, decisa –Non posso Jacob-
-Ma dove vai?- mi chiese, con un tono possessivo che mi irritò molto. Io non ero di nessuno.
-Te l’ho detto, ho un impegno-
Finalmente parve capire che non mi andava di parlarne e rilassò le spalle –Va bene, torna presto-
-Sì-
Si sporse per baciarmi e mio malgrado fui costretta a ricambiare. Dovevo chiudere quella storia al più presto.
-Ciao, Jacob-
-Ciao, Bells-
Mi allontanai velocemente dall’officina, impaziente di lasciarmi la figura del mio ragazzo alle spalle. Sulla strada del ritorno, non potei evitare di confrontare il bacio di Jacob con quello di Edward. La differenza tra i due era a dir poco esorbitante, e mi ritrovai a pensare alle morbide labbra dello splendido ragazzo, morbide e profumate, premute contro le mie. Scossi il capo, concentrandomi sulla strada. Veramente preferivo il bacio di un estraneo a quello del ragazzo con cui ero stata per tre anni? C’era davvero qualcosa di profondamente sbagliato, in tutto ciò.








Cuori mieiiiii!!
Sono davvero soddisfatta di me stessa. Sul serio. Questo capitolo mi è venuto davvero bene. Lo so, viva la modestia!! Ma io lo dico: quando qualcosa mi riesce bene, non ho problemi ad ammetterlo. E si da il caso che oggi abbia scritto con una fluidità quasi paurosa. Le parole sgorgavano dalle mie mani come per magia, e ciò che ne è venuto fuori mi piace, parecchio. D’altra parte, tormentare quel cane è sempre un piacere, per me.
Hai visto RenEsmee_Carlie_Cullen? Non gli sto rendendo la vita facile, a Jacob ^^
Ne approfitto per ringraziare lei e Bella_kristen, che mi hanno lasciato due bellissime recensioni. E sì, ho una domanda.
Ma dove siete finite tutte?!?
La storia prosegue grazie a voi, ma se voi non ci siete…è difficile continuare. Ho bisogno di essere spronata, ragazze, anche perché questo non è affatto un periodo facile, per me. non voglio lamentarmi, ma davvero non sto bene. Ho un sacco di problemi in famiglia e con un tipo con cui sono appena uscita da una sottospecie di storia. E la scrittura è l’unico vero rifugio che ho. Aiutatemi a non perderlo :-)
Tra un po’ ci sono le vacanze…finalmente! Per gli aggiornamenti natalizi: non so quando riuscirò a postare il prossimo capitolo. Dal 23 al 27 sarò senza computer, e dubito di riuscire ad aggiornare prima di quei giorni, ma a Roma dovrei riuscire a buttare giù qualcosa. In ogni caso, dovrete attendere l’anno nuovo per il nuovo capitolo. Anno nuovo, nuovo capitolo! Capita eh? (lo so, faccio pena)
Un’ultima cosa: ho scritto due nuove ficcy (ve l’ho detto, la scrittura è il mio rifugio sicuro) si chiamano “Iside-Deep Purple” e “Roba da Callen”.
La prima è un’originale fantasy, scritta completamente di mio pugno, la seconda un Twilight mischiato alla vita reale. Nel complesso, sono carine entrambe. Se ci faceste un salto mi farebbe davvero piacere :-)
Adesso andrò a cucinare, altro modo per scaricare la tensione (di sicuro meglio che studiare storia per la verifica di domani ihih)
Un bacione e buone feste, mie care.
Ele

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 9. Fuga ***








Image Hosted by ImageShack.us







Da quando ero scappato via dalla foresta, da mia sorella e dalla casetta di mattoni, non mi ero più fermato. Avevo attraversato tutto lo stato, passato i confini a nord e mi ero diretto verso la fredda e cupa Alaska. Solo lì, una volta arrivato, avevo finalmente arrestato quella mia folle corsa. C’era un posto, non lontano dalla casa del clan di Denalì, dove solo riuscivo a pensare.
Quando vi giunsi, sorrisi rilassandomi: la mia montagna ghiacciata era ancora lì, come sempre, ad aspettarmi. Era solo un piccolo spuntone di roccia innevato, ma la sua forma slanciata e sottile, apparentemente fragile, mi ricordava un po’ me stesso. Perché nonostante le apparenze, sotto la mia pelle indistruttibile e i miei occhi di ghiaccio, si celava un cuore ferito irreparabilmente. C’era stato un tempo, all’inizio della mia vita da vampiro, in cui avevo vissuto in armonia con la mia famiglia. Poi erano subentrati i ricordi. Stralci della mia vecchia esistenza, immagini agghiaccianti accompagnate da sentimenti contrastanti, ma soprattutto il rimorso inestinguibile che mi appesantiva il petto giorno dopo giorno. Mentre i flash visivi che avevo erano confusi e sfocati, quel peso opprimente era tangibile e gravava sulla mia anima dannata come un fardello inestinguibile.
Quando tutto era cominciato, sapevo che non ce l’avrei fatta. Quei ricordi umani in principio mi infastidivano, offuscavano la mia vista perfetta, come un’ombra sui miei occhi, ma li cacciavo via. Ma loro ritornavano, sempre, più forti e sgradevoli di prima. Non erano realistici, anzi, tendevano ad assottigliarsi sempre di più. Mano a mano che il tempo passava, le immagini sbiadivano, e avevo persino sperato che sarebbero finite per scomparire. Invece era subentrato quel peso terribile sulla coscienza, che mi schiacciava e annullava. Le crisi peggiori avvenivano specialmente di notte, quando le tenebre calavano sulla mia oscura esistenza. E allora capivo, comprendevo e accettavo la cruda verità: sarei morto, pur di non vedere più quei volti, non sentire quelle voci che mi spaccavano la testa, non avvertire i sensi di colpa che mi squassavano il petto.
Mi accasciai nella neve, le mani chiuse a pugno, gli occhi serrati e il respiro affannoso, in cerca di un pianto che non sarebbe mai arrivato. Perché quei fantasmi mi tormentavano? Sapevo dei doni che spesso si manifestano in noi vampiri, ma mai ne avevo conosciuto uno che soffrisse di un male simile al mio. Era forse una maledizione, questa che gravava sul mio spirito? Una punizione divina, una condanna eterna? Se era così, non potevo continuare ad avere quegli attacchi per sempre, non dopo gli ultimi avvenimenti.
Ultimamente, i fantasmi si erano calmati, e spesso potevo trascorrere notti tranquille. Ma da quando Bella Swan era entrata nella mia vita, si era come aperto uno squarcio tra il mondo degli spiriti e la mia testa, che era sempre affollata da voci e grida disumane. Non passavo giorno senza sentirne la costante presenza, con la luce del sole e con le tenebre. Mi stordivano, confondevano il presente col passato, offuscavano la mia mente e irretivano i miei sensi, impedendomi di pensare.
Erano giorni che andavo avanti così, che vivevo in quello stato di perenne agonia e stordimento, e finalmente avevo carpito il primo pensiero razionale della mia mente. Perciò mi ero recato su quella montagna, unico luogo dove sapevo, o almeno, speravo che le voci dei morti mi avrebbero dato tregua.
Ma ora che ero lì, circondato da un panorama di catene innevate che occupava tutto l’orizzonte, capivo quanto vana e illusa fosse stata la mia speranza. Loro erano sempre con me, e alche allora ammiravano quella vista mozzafiato attraverso i miei occhi. Singhiozzi cominciarono a scuotere il mio corpo, e una rabbia e una tristezza infinite si impadronirono di me. Ah, dannate membra! Quale agonia, quale dolore ero costretto a sopportare, poiché i miei occhi erano freddi e asciutti, mentre io anelavo disperatamente a quelle lacrime così precluse!
-Edward?-
Nemmeno mi voltai, al suono di quella voce. Avvertivo un tono familiare, il leggero accento nordico e una morbida durezza delle parole, ma non riuscivo ancora a ragionare lucidamente. E poi, perché illudersi? Certamente era un altro fantasma, magari uno nuovo, che veniva a raggiungere i suoi compagni in quel perverso gioco che si consumava dentro alla mia testa.
-Edward, sei tu?-
Riecco, quell’accenno di erre moscia e lo strascicare le vocali. Non potevo più ignorare la voce. Mi girai, e vidi una donna ferma in mezzo alla neve, la testa leggermente piegata e gli occhi stetti, curiosi e indagatori. Quando anch’ella mi vide, le chiarissime iridi ambrate si ampliarono, e mi corse in contro, stringendomi in un abbraccio vigoroso.
-Oh Edward, che bello rivederti!- esclamò, e capii dalla felicità che trapelava dalla sue parole che quelle erano veritiere.
Ricambiai la stretta automaticamente –Anche per me è un piacere rincontrarti, Tania-
-Dov’è la tua famiglia? E perché sei qui tutto solo? Dovete assolutamente passare da casa, gli altri saranno felicissimi se vi fermerete!-
-Temo che non troverai nessuno da ospitare- replicai in tono sommesso.
Lei si staccò da me, guardandomi sorpresa –È forse successo qualcosa? State tutti bene? Esme?-
Scossi il capo –Non ti preoccupare, è tutto a posto. Ci sono solo io, avevo bisogno di schiarirmi le idee, e sono venuto qui-
Le sopracciglia bionde di Tania sparirono sotto la cascata di morbidi capelli –Qui? in questo luogo dimenticato da Dio? E perché non da noi? Sono anni che non abbiamo vostre notizie, non capisco come mai gli altri non sono venuti-
Che maleducati! Irina non sarà affatto contenta, e Kate si incazzerà di brutto.
Continuai a dissentire, un’espressione contrita sul viso –Ti prego di non riferire a nessuno della mia breve visita. Sono passato di qui solo perché queste montagne mi aiutano a pensare, loro non c’entrano- dopo un attimo di pausa, continuai –non sanno dove mi trovo, non abito più sotto il loro stesso tetto da tempo-
Vidi Tania sobbalzare e alla sorpresa, sul suo viso si aggiunse il sospetto –Hai abbonato Carlisle-
Non era una domanda –Sono stato costretto- risposi –le nostre idee erano diventate troppo dissimili-
Tania non capiva. Sentivo la confusione nella sua testa, pensieri che turbinavano forsennatamente andando ad aggiungersi ai miei. Alzai una mano, sfiorando il viso della vampira –Non occorra che tu comprenda, mi importa soltanto che mantenga questo piccolo segreto. Lo farai Tania, per me?-
Lei mi lanciò un lungo sguardo e ci fissammo reciprocamente in silenzio. Nei suoi occhi vedevo rispecchiarsi i sentimenti che provava in quel momento: era ancora stordita e lievemente irritata, non le piaceva rimanere all’oscuro. Inoltre pensava alla sua famiglia, a cosa avrebbe comportato mantenere il silenzio. Infine, mi parve di scorgere una scintilla nel fondo delle profonde iridi, qualcosa di antico che non riconobbi.
Poi parlò –Va bene Edward, non dirò niente. Ma sappi che questo segreto mi costa molto, e che non sono contenta di ciò che mi chiedi. Tuttavia…- La sua mano andò a posarsi sulla mia, stringendola in una presa salda e tiepida -…credo di comprendere le tue ragioni, e ti capisco se desideri rimanere solo-
Annuii impercettibilmente, ma ormai non ascoltavo più. Quando le sue dita avevano sfiorato la mia pelle, una scarica aveva attraversato le mie membra morte, e nella miriade di pensieri che affollavano la mia mente, era galleggiata un’immagine, più nitida e chiara di tutte le altre. Una ragazza bellissima, seduta al fianco di un giovane, il suo tocco dolce e sensuale, le labbra morbide e bollenti, il suo profumo inebriante.
Sentivo la mano di Tania scivolare via dalla mia guancia, la afferrai con forza e la tirai a me. Il suo corpo duro sbattè contro il mio, le mie braccia strinsero i suoi fianchi mentre le mie labbra si incollavano alle sue.
Chissà se fu presa alla sprovvista, o se in fondo se lo aspettava. Tania ricambiò il bacio con trasporto, intrecciando le dita tra i miei capelli e tirandomi a se. Portò le mie mani sul suo seno, e avvertii i capezzoli turgidi sotto il mio tocco. Strattonai violentemente il suo corpo, le nostre lingue che si intrecciavano, afferrai i suoi glutei sodi e spinsi il bacino verso il suo. Lei inarcò la schiena e un gemito sfuggì dalle sue labbra, subito soffocato dal nostro impeto.
E poi, successe. Fu stranissimo, come se la mia anima abbandonasse il mio corpo. La mente volò altrove, tornando a pochi giorni prima, quando le mie mani avevano stretto un altro corpo, le labbra lambito un'altra bocca, più calda e morbida. Abbandonai la presa e mi allontanai velocemente. Tania non capiva, lo leggevo dal suo sguardo ancor prima che dal pensiero.
-Ho fatto qualcosa che non andava?- domandò confusa, muovendo un passo nella mia direzione –Edward, io…-
Indietreggiai ulteriormente, il dolore dipinto sul volto –Tania, mi dispiace. Io…io sono un mostro-
La sua espressione si addolcì, e tese una mano verso di me, come per accarezzarmi –Non è vero. Tu sei buono…-
Scossi la testa vigorosamente –No, no! Io ti ho usata, capisci? Io non ti amo, io…io…devo andare-
Non feci nemmeno in tempo a finire la frase, che già stavo sfrecciando tra le bianche montagne. Quando ripresi a respirare ero già molto lontano da Tania e dal mio rifugio.
Ma adesso non ne avevo più bisogno, adesso avevo capito. Finalmente, la mia fuga era finita.





Cuori miei! Ma dove siete?? Mi mancate…mi sento un pò trascurata, non abbandonatemi così…*piange disperata*
No, oggi non sono proprio in vena di piangere, mi sento carica e più energica che maiiii ^^
Allora: capitolo IMPORTANTISSIMO! Vediamo Edward che è in preda a questi tremendi attacchi, e spero che ciò vi sia di aiuto per comprendere che cosa gli è successo…lo è?? Fatemi sapere ^^
Inoltre anche Tania non sarà un personaggio da poco…tranquille, non temete, anche io la trovo un’oca piastrata senza cervello, e poi non dimenticate che questa è un Ed/Bella!!
Mi prostro ai piedi di quelle squisite personcine che hanno aggiunto questa ficcy a seguiti e preferiti, e ringrazio mille e più volte RenEsmee_Carlie_Cullen e Bella_kristen per le loro recensioni!
Spero di vedervi numerosi, il vostro giudizio è della massima importanza per me, ricordatelo ù.ù
A presto spero, bacioniii
Ele

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 10. Storie di auto ***








Image Hosted by ImageShack.us







Adoravo le gare. Preparare la macchina più potente, il rombo dei motori prima del via, e infine vedere quei bolidi che sfrecciavano alla massima velocità sulla strada. Tutte cose che mi esaltavano, che facevano tornare a scorrere l’adrenalina nelle mie vene.
Le macchine sportive mi erano piaciute fin da bambina. Mentre le mie coetanee passavano il tempo a gingillarsi con braccialetti e collanine, o a giocare con le bambole, io possedevo una straordinaria collezione di modellini di costosissime auto da corsa, alcuni dei quali davvero introvabili. Merito di mio padre, che ogni volta che tornava da uno dei suoi viaggi mi portava una di quelle rarità, che io apprezzavo più di ogni altra cosa. Mia madre non approvava questa mia passione, sebbene pure lei fosse un’amante di quel genere. Ma aveva sperato che sua figlia crescesse come si addiceva ad una brava signorina, trucchi e vestiti compresi. Quello che andava davvero fiero della mia propensione per le auto era mio padre.
Charlie Swan discendeva da una ricca famiglia. Unico rampollo della nobile casata, alla morte dei suoi aveva ereditato un proficuo patrimonio, che subito aveva cominciato a sperperare per soddisfare il suo vizio. Charlie idolatrava le macchine sportive. La sua non era solo una semplice ossessione, di più: lui viveva per le auto. Dai suoi viaggi per il mondo, tornava sempre con un esemplare nuovo, da sfoggiare con gli amici e le donne. E più erano belle, costose e potenti, più le macchine lo attiravano. Charlie non era sposato, ma nemmeno pensava di mettere su famiglia. Il suo unico vero amore erano quelle carrozzerie lucenti, ed era convinto che mai nessun altro essere avrebbe potuto occupare altro posto nel suo cuore . Poi, un giorno, era arrivata lei. L’aveva vista per la prima volta ad una di quelle gare a cui gli piaceva tanto andare. Si erano rincontrati ancora, e ancora, finche lui non si era deciso a chiederle di uscire.
Renee Smith era una bella donna. Morbidi capelli color miele incorniciavano il viso ovale, perennemente illuminato da un sorriso abbagliante. Charlie ne era subito stato rapito. Inoltre, quella donna condivideva la sua grande passione, e non mancava mai ad una corsa. L’aveva vista, la scintilla nei suoi grandi occhi azzurri: la stessa che risplendeva nei suoi quando guardava le auto. E sebbene non fosse di famiglia nobile, aveva finito per sposarla. Ma Charlie non aveva dovuto dividere il suo cuore, gli era bastato allargarlo. In esso, avevano trovato posto sia l’amore per Renee, sia quello per le sue amate macchine. Ma quando il cielo aveva concesso loro il magnifico dono di una bambina, per Charlie tutto ciò non aveva più contato niente. Certo, amava sua moglie, e non poteva fare a meno della sua collezione, ma prima di tutto veniva Bella. Adorava sua figlia e lei non aveva occhi che per lui. Non era solo la passione per le macchine sportive ad unirli: tra loro c’era un rapporto così intimo e speciale, che nemmeno sua madre riusciva a capirlo.
Quella bambina, io, aveva una vita perfetta. Due genitori che la adoravano, una casa bellissima e la sua collezione di modellini. Spesso le amiche venivano a trovarla a casa, e si stupivano della magnificenza della sua dimora, dello splendore della sua famiglia e dei suoi giocattoli unici. Ero felice, sì, ma la mia felicità non era destinata a durare.
Lui mi aveva portato via tutto questo. In quel giorno indimenticabile, Edward Cullen mi aveva strappato dai miei genitori e dalla mia vita perfetta. Le corse da un ospedale all’altro, la ricerca frenetica di una cura per il mio male, giorno dopo giorno vedevo mio padre consumarsi, farsi sempre più piccolo e fragile, i suoi bei capelli neri ingrigirsi, gli occhi, del mio stesso fantastico color cioccolato spegnersi, insieme a quella fiammella che li aveva animati per tanto tempo. E intanto sulle sue amate auto la polvere cominciava a depositarsi. Ma lui non avrebbe mai più avuto la possibilità di lucidarle.
Era accaduto un giorno d’estate. Io, dalla mia finestrella in ospedale, osservavo i raggi del sole colpire i numerosi monitor a cui ero attaccata, facendoli luccicare con mille stelline. Pensavo a quanto mi sarebbe piaciuto correre per il parco dell’istituto, giocare con gli altri bambini, godermi quella bella giornata. Era da quasi un mese che ero ferma in quell’ospedale, e papà continuava a ripetermi che presto sarei potuta tornare a casa con lui e mamma. Ero felice, dopo quattro anni di dolore, e credevo fermamente che sarei potuta tornare alla mia vita di prima. Poi, un rumore nel parcheggio. Mi ero affacciata alla finestra e avevo seguito tutta la scena in diretta. La mia camera era all’ultimo piano, perciò mi era stato impossibile riconoscere i volti delle due persone che erano finite sotto la macchina, ma ciò non mi aveva impedito di urlare. Mi era dispiaciuto, per quei due, avevo persino pianto. Magari avevano dei figli, che ora saranno rimasti senza genitori. Poverini.
Così era scomparso mio padre. Investito da un’auto, una di quelle belle, sportive, che tanto amava. Lui era morto sul colpo, mia madre si era spenta poco dopo. Che buffo, proprio davanti ad un ospedale, l’ennesimo dove mi avevano portata.
Qualche mese dopo mi avevano dimesso, e per la prima volta da non so quanto tempo ero stata contenta, sì, di abbandonare quel luogo di morte e sofferenza. Mi avevano spedito da un assistente sociale, con il quale avevo trascorso gli ultimi anni della mia adolescenza. Poi, al compimento dei diciotto anni, ero ritornata in quella casa, luogo del mio idillio infantile. Prima ancora di varcare la soglia della mia nuova e vecchia dimora, mi ero recata nel garage.
In quel luogo, tutto parlava di mio padre. Gli attrezzi appoggiati sui cassettoni, le boccette di olio ancora svitate, uno staccio appeso ad un chiodo, come pronto per essere usato. Dopo anni, avevo versato tutte le mie lacrime. E accarezzando le carrozzerie polverose di quei gioielli di famiglia, era così che era cominciata la mia storia.
Quelle macchine erano ancora lì, sempre lucide, sempre curate, senza nemmeno un graffio. Riscoprire la mia antica passione, capire che si era solamente assopita, ma che era ancora lì nel mio cuore, mi aveva dato una spinta per andare avanti. Come per Charlie, prima che incontrasse la mamma, erano esistite solo le auto, così era per me. Certo, gli uomini non mancavano nella mia vita, ma si trattava quasi sempre di avventure di una notte o pure storie di sesso. L’unica eccezione era stata Jacob, anche se fin dall’inizio avrei dovuto sapere che non sarebbe funzionata tra noi. Il mio destino erano le auto, il mio scopo la vendetta, e non c’era spazio per altro nella mia vita.
Avevo cominciato a fare incetta di macchine sportive per il mio gruppo, sfruttando le mie capacità di persuasione. Ero una bella donna, formosa e sensuale, ed era difficile che un uomo riuscisse a resistere al mio fascino. Anche Jody si occupava di procurare auto, ma lei non era nemmeno lontanamente paragonabile a me. Se io ero il sole, lei era la pallida luna illuminata dai miei raggi.
Ma per quella gara, Dylan non aveva voluto sentire scuse.
-Ho una chicca che conservo da un po’ di tempo- aveva detto misterioso.
Ovviamente, si trattava della strepitosa Ferrari che avevo notato durante la mia ultima visita all’officina. Non c’era niente da dire: era proprio una bella macchina, potente e sinuosa, perfetta per un’occasione importante come quella.
Dopo che Dylan aveva ultimato le modifiche al motore, era passata nelle abili mani di artista di Ryan, che aveva provveduto a decorarla con un fregio significativo sulla fiancata sinistra. Ed ora, un sfavillante Werewolf, rosso fuoco, brillava sull’auto, pronta per scendere in pista.
Quel venerdì, il parcheggio era affollatissimo. Feci lo slalom tra le persone ammassate, in cerca della mia squadra. Non c’era da sorprendersi: dopotutto, quell’incontro era atteso da settimane.
Trovai gli altri occupati negli ultimi preparativi. Dylan stava dando le ultime raccomandazioni a Jacob, che lo ascoltava annoiato, mentre Ryan cercava di calmare un’agitatissima Jody, che fremeva sul posto.
-Oh Bella, sei venuta!- esclamò Jacob, regalandomi un sorriso a trentadue bianchissimi denti, e approfittandone per staccarsi da Dylan.
-Certo, non potevo mancare alla gare del secolo- dissi sorridendo, fissandoli fiduciosa. Eravamo pronti, e avremmo vinto. Ne ero sicura.
-Durerà tutto pochissimo, straccerò quel damerino in un lampo, e poi andremo a festeggiare- mi rassicurò il mio ragazzo, fissandomi malizioso.
Festeggiare. Speravo proprio che la gara sarebbe stata dura, avvincente ma soprattutto molto, molto lunga.
Jacob mi stava ancora guardando, un sorrisino ebete stampato in faccia, così mi affrettai a cambiare argomento.
-Avete già visto il corridore avversario?- domandai in generale, ma rivolgendomi specialmente a Dylan. Era lui che si occupava di queste cose.
Annuì grave –Sì, e purtroppo mi sa tanto che non sarà una passeggiata. È un tizio grosso come un armadio e con una muscolatura degna di un lottatore di wrestling, che guida una Jaguar nera come la pece-
-Oh, quanto la fai lunga!- si lamentò Jacob, alzando gli occhi al cielo –sarà un pompato senza coglioni, scommetto che lo farò fuori ancora prima del via-
-Non fare lo sbruffone, Jacob. Mai sottovalutare l’avversario- lo ammonì Dylan.
-Dico solo la verità. Io sono il migliore, e nessuno può battermi, bicipiti o no-
Il mio amico lo fissò per qualche attimo, poi si rivolse a Ryan –Forse sarebbe meglio che stasera corressi tu-
Una mano lo afferrò per la maglietta, strattonandolo –Ehi, ma che cazzo dici?- proruppe Jacob, sempre tenendo Dylan –oggi corro io-
-Non mi sembra una buona idea- replicò Dylan, tranquillo –ti vedo alquanto alterato. Bisogna essere calmi e avere la mente fredda, per fare una buona gara. E tu non possiedi nessuna di queste due qualità-
Jacob affilò lo sguardo e digrignò i denti. Prima che potesse colpire l’amico, Ryan fermò la sua mano.
-Adesso basta, ragazzi- li ammonì –tra poco si corre-
Il mio ragazzo fissò per qualche secondo Dylan, poi lo lasciò andare in malo modo, strattonandosi dalla presa dell’altro corridore –Hai ragione, non ho tempo per queste stronzate. C’è una gara che mi aspetta-
Detto questo, si infilò dentro la Ferrari, e si diresse sgommando verso la partenza.
Lo guardai allontanarsi, poi spostai gli occhi su Dylan –Perdonalo, sai che prima di una sfida è sempre nervoso- cercai di spiegare. In realtà, anche io mi sentivo infastidita dal comportamento di Jacob, specialmente per come aveva trattato il mio amico.
Dylan mi guardò, un’espressione apatica e neutra sul viso, così diversa da quella solare e giocosa che ero abituata a vedere –Certo, certo- borbottò, voltandosi per raggiungere Jacob. Ryan e Jody si erano già avviati.
Rimasi sola, in mezzo alla folla, le labbra serrate e negli occhi le lacrime che premevano per uscire. Era da quella mia ultima disastrosa visita che Dylan mi trattava freddamente, era distaccato e non pareva fregargliene più niente di me. Dopotutto, avrei dovuto capirlo. Negli ultimi tempi ero diventata evasiva e intrattabile, forse a causa dei pensieri che affollavano perennemente la mia testa. Pensieri incentrati tutti su di un unico, bellissimo viso perlaceo, incorniciato da morbidi crini ramati e illuminato da un sorriso sghembo da infarto.
Scossi il capo, le guance rosse. Non potevo permettermi certi pensieri, non in quel momento. La gara stava per iniziare e la mia squadra aveva bisogno di me. Mi feci largo tra le persone ammassate, correndo verso la lucida Ferrari, affiancata da una spettacolare macchina nera come la notte.





Ma salve belle ragazzuole!
Non sapete come sono felice che le recensioni siano nuovamente cominciate a salire…Evvivaaaaaaa xD
Bhe, se nello scorso capitolo si era accennato al passato del bel vampiro, in questo ho cominciato a parlare dell’infanzia di Bella…ma ancora molti tasselli mancano per completare il puzzle, tasselli che intrecceranno le vite dei due protagonisti…
…come sono grave oggi!! xD
Inoltre, vi do un indizio per il prossimo capitolo: chi saranno i misteriosi avversari con i quali si dovranno confrontare i Werewolf??
Fatemi sapere le vostre ipotesi, sono curiosa…^^
Spero che il chap sia stato di vostro gradimento, aspetto i vostri commenti (positivi e non xD), a presto miei cari…
Baciiiiii
Ele




Per rispondere a…


yle_cullen: Ahah, ma no dai, non insultarti così! L’importante è che alla fine tu sia riuscita a commentare nella pagina giusta…ihih! Sono davvero contenta che la ficcy ti piaccia, è sempre bello quando qualcuno me lo dice! E anche che sono brava, s’intende ù.ù Insomma, ti adoro di già! XDxD Mi dispiace cara, ma come hai detto tu diamo tempo al tempo e…se son rose fioriranno…okay, basta proverbi xDxD A presto! Baciotti
rosa62: Wow, hai davvero capito l’essenza della storia! È vero, Bella ora pensa solo alla vendetta, ma vedrai che più andremo avanti, più la vicenda si evolverà…spero che continuerai a seguirla! ^^ Bacii
RenEsmee_Carlie_Cullen: Ahah sìì, puoi dirlo forte!! XDxD Anche se pure Bellina non scherza…eheh ^^ kiss kiss
cullengirl: Eh…eh mia cara, dovrai attendere..ma vedrai che tra un po’ le risposte alle domande verranno svelate…poco a poco, ma ci saranno…ihih ^^ bacioni!
Bella_kristen: Tesora miaaaaa!!! ^^ Ma ciau! Sì, mio malgrado Tania sarà un personaggio importante, ma non temere, si tratterà solo di un altro ostacolo tra l’amore tra Ed e Bella…ihih, la farò soffrire muahmuhamuah ^^ sono felicissimissima che il chap ti sia piaciuto *-* A presto mia cara, tanti baci!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 11. La gara ***








Image Hosted by ImageShack.us







La grande villa immacolata torreggiava nel bosco, le finestre scure che risaltavano sinistramente sulle facciata candida, come occhi di un mostro che mi fissavano famelici. Distolsi lo sguardo e presi un bel respiro, pur non avendone bisogno. Se avessi avuto un cuore, in quel momento avrebbe pompato il sangue a mille.
Non ricordavo l’ultima volta che ero stato in quella casa. Forse quando l’avevo abbandonata, o quando pochi giorni dopo ero venuto a spiare di nascosto la mia famiglia. Volevo vedere se stavano bene, come se la cavavano senza di me. E li avevo trovati felici, sì, e un grande senso di vuoto aveva colmato il mio petto. Perché sapevo nel profondo di aver desiderato trovarli tristi, in lutto per la mia partenza. Era un pensiero egoista, ma non potevo tollerare che fossero gioiosi mentre dentro io mi sentivo morire. Forse, se quel giorno li avessi sorpresi a disperarsi, a struggersi per me, forse avrei cambiato idea.
Mossi un indeciso passo verso la dimora, tormentato dai dubbi. Era sbagliato, malsano che io mi presentassi alla loro porta così come niente fosse, dopo anni di silenzio. L’unico membro dei Cullen con cui non avevo perso i contatti era Alice, ma dopo la nostra ultima disastrosa conversazione non avrei saputo come comportarmi.
Stavo per andarmene, quando una consapevolezza mi colpì all’improvviso. Un silenzio irreale regnava nel bosco, e non percepivo ne voci ne pensieri. Con un balzo fui davanti alla porta della casa e spalancatala vi entrai titubante. Vuota, come avevo intuito.
Il sollievo nacque spontaneo nel mio cuore, e con lui il senso di colpa. Che razza di figlio, di fratello ero, per provare gioia nel trovare la dimora della mia famiglia vuota? Ero un codardo, un vile, e di certo non meritavo il loro perdono.
Strinsi i pugni, dandomi dello sciocco. Non sarei mai dovuto venire lì, a cercare una redenzione che mai avrei potuto ottenere. Ma loro sarebbero comunque venuti a sapere della mia visita, avrebbero sentito il mio odore, percepito la mia presenza, e sarebbero venuti a cercarmi. Avevo appena seminato quello che sarebbe diventato un fiore di speranza nei cuori delle persone che amavo più al mondo, un fiore che sarei stato costretto a calpestare.
Chiusi gli occhi, il petto dilaniato dal dolore, la testa affollata dei numerosi spiriti che sempre mi accompagnavano, e scappai da quella villa così bella, dannatamente perfetta come la vita che avevo deciso di abbandonare per sempre.

Appena giunsi in vista della città mi accorsi della grande eccitazione che saturava l’aria. Una fiumane umana si stava dirigendo velocemente verso la periferia, cicalando e creando una gran confusione. C’erano madri che stringevano a se i loro bambini, preoccupate di perderli in mezzo a quel delirio, aizzanti giovanotti che scommettevano cifre spropositate, o semplici spettatori impazienti di assistere al grande evento. Capii immediatamente di cosa si trattava.
Un tempo, anche io ero stato appassionato di auto. Mi piacevano quelle sportive e con tanti cavalli, anche se non avrebbero mai potuto reggere il confronto con la mia spettacolare velocità. Ma erano comunque belle e potenti, e mi ricordavano un po’ noi vampiri. La passione per le macchine era diffusa tra gli immortali, e la mia famiglia non faceva eccezione. Carlisle possedeva una Mercedes argentata, a cui era profondamente affezionato e che lo seguiva da molti anni, Alice adorava i bolidi colorati, specialmente la sua Porche giallo canarino, mentre Emmet prediligeva i bestioni super accessoriati, come il suo Jeeppone mezzo scassato.
E io? Bhe, io avevo la mia Volvo. O meglio, avevo avuto. Amavo sfrecciare per le strade a bordo del mio gioiello scintillante, i finestrini aperti e la musica a tutto volume, e lasciare che i pensieri volassero via come fumo al vento. Certo, da quando una certa persona si ero impossessata della mia Volvo, tutto questo non era più stato possibile…
No. Fui costretto a bloccarmi sul posto e a svuotare la mente, per non rischiare di inciampare in pensieri pericolosi. Non potevo permettermi di distrarmi, non così, non in mezzo a tutta quella gente. Mi concentrai sul groviglio di pensieri indefiniti che popolavano la mia testa, cercando di captare informazioni. Scoprii che la gara che si stava per tenere era una delle più attese del momento, e che si sarebbe disputata da lì a poco. Decisi di accodarmi alla folla, lasciandomi trascinare verso il luogo dell’incontro. Dopotutto, un po’ di sana competizione non mi avrebbe fatto di certo male.
Giunsi sul posto poco dopo. Si trattava di un grande spiazzo, cornice del tragitto dove si sarebbe svolta la gara. Studiai il percorso con lo sguardo, assorto. Non sarebbe stata una passeggiata, per i due corridori. Il terreno era alquanto accidentato e irregolare, costellato da curve pericolose e pochi rettilinei. Un sorriso malinconico si disegnò sul mio volto, mentre la mia mente faceva un salto nel passato, e ricordava.

-Mi sembra tutto a posto- diceva Rosalie, china sull’auto.
Io la guardavo, ridacchiando -È perfetta-
Lei sorrideva, tirandosi su e ravvivandosi i capelli –Bhe, se qui ho finito io vado. Non voglio mica perdermi la gara!-
-E no, devi prima rassicurare il corridore- diceva Emmet, entrando nel box e afferrando per i fianchi la vampira bionda. Lei si divincolava, faceva la difficile, per poi abbandonarsi ed un lungo e appassionato bacio.
Sorridevo, guardando l’amore della mia famiglia. Alice arrivava come un uragano, intimandoci di uscire che la gara stava per cominciare. Mi scrutava, poi bloccava Emmet con la mano, mentre lui stava già per infilarsi nell’auto –Oggi corre Edward-
La fissavo sorpreso –Ma tocca a lui- cercavo di ribattere.
Ma non c’erano scuse: Alice ormai aveva deciso. Mentre entravo nell’abitacolo lei si chinava su di me, scoccandomi un bacio sulla guancia. Cosa alquanto inusuale per noi vampiri, e che non aveva fatto altro che sconvolgermi ulteriormente.
-Noi crediamo in te, fratellino- le avevo sentito dire, prima che lo sparo di pistola dichiarasse aperte le danze, e tutto intorno a me scomparisse.


Il ricordo perse di consistenza, svanendo del tutto. Quella era stata l’ultima gara a cui avevo assistito, l’ultima che avevo corso. E solo dopo le parole e il comportamento di Alice in quel giorno mi erano apparse chiare. Perché allora lei già sapeva che li avrei lasciati, e quella gara era stata il suo regalo di addio.
Un boato percorse la folla intorno a me, riscuotendomi dai miei pensieri. Le due macchine erano arrivate.
Mi feci largo tra la gente, sinuoso come un serpente, e mi appostai in un angolino, dove avrei potuto avere la visuale completa della pista. Un rombo fragoroso spezzò l’aria: una Ferrari rossa fiammante aveva dato gas al motore, come per rispondere all’urlo eccitato dei suoi fan, che non si risparmiarono, cominciando a tuonare un nome. Werewolf.
L’altra auto, una Jaguar nera come la notte, taceva, in attesa dello sparo di inizio. Ma il mio occhio acuto poteva vedere le flebili lingue di fumo che uscivano dalla marmitta, segno palese dell’irritazione del guidatore. Sorrisi: sì, sarebbe stata una bella gara.
Un urlo proruppe all’improvviso, attirando l’attenzione degli spettatori impazziti.
-Eccoci finalmente alla gara più attesa del secolo!- disse una voce, quasi subito coperta dalle grida delle persone.
Spostai lo sguardo dalla macchina corvina, infastidito. Nel mezzo della pista camminava a grande falcate un ciccione impomatato, la maglietta dei Kiss appiccicata al petto sudato. Teneva in mano un megafono, con cui incitava la folla.
-Alla mia destra abbiamo i temiliWerewolf, più volte campioni, oggi alla guida di una splendida Ferrari!- proruppe l’omuncolo, indicando la bell’auto rossa. Uno strillo dei fan accolse il rombo impazzito del motore.
-Alla mia sinistra, invece- continuò l’annunciatore, voltandosi –troviamo i nuovi arrivati, più agguerriti che mai. Con già ben dieci vittorie alle spalle, accogliamo i Vampires!-
Non udii il rombo della folla, troppo occupato ad osservare l’elegante Jaguar, che sbuffava come un drago, impaziente. Quel nome…no, non poteva essere.
-Bene, siete pronti?- urlò l’uomo, subito coperto dal grido di assenso della mandria.
-Siete carichi?- domandò, e di nuovo l’accozzaglia rispose.
-E allora…che la gara abbia inizio!- terminò l’annunciatore, spostandosi velocemente dalla pista, subito sostituito da un’affascinante donna in bikini. La ragazza alzò la mano destra, e infiniti paia di occhi seguirono quel suo gesto. Tra le dita stringeva una scintillante pistola. Quando il grilletto fu premuto, le auto partirono a razzo, fulmine rosso e lampo nero.
Alla prima curva erano ancora pari, quando la Ferrari tentò il sorpasso. Ma la Jaguar, sinuosa come una pantera, evitò l’avversaria, portandosi in testa al posto suo. Il bolide rosso ruggì furioso, sgommando verso l’altra auto che guadagnava velocemente terreno. Riuscì ad affiancarla, e con una brusca sterzata gli volò addosso. Un urlo esplose dalla folla. Ma la Jaguar non si fece ingannare, ed evitò anche quell’ennesimo attacco, continuando a dirigere la gara. Anche tutti gli altri tentativi da parte della Ferrari si rivelarono vani: la pantera nera conduceva le danze. Solo alla fine, con un ultimo scatto, la macchina rossa riuscì ad affiancarsi all’avversaria. E insieme tagliarono il traguardo.
La folla era impazzita, e una sola domanda scorreva di bocca in bocca: chi aveva vinto? Chi era stato il più veloce?
Loro non lo sapevano ancora, ma io sì. La Jaguar aveva tagliato il traguardo nemmeno un millesimo di secondo prima dell’altra auto. Pareva che quella vittoria così fortuita fosse invece stata calcolata alla perfezione. L’auto della notte aveva giocato tutto il tempo con l’amica fiammeggiante, illudendola di una vittoria impossibile, strappandole il podio amaramente. C’era un’unica persona che sapeva vincere così.
La testa mi girò, e fui costretto ad appoggiarmi al muro alle mie spalle. Cosa dovevo fare, adesso? Certamente avevano già percepito la mia presenza. Avevo ancora tempo per scappare?
-Non ci pensare neanche- mi ammonì una voce cristallina.
Mi girai terrorizzato, incrociando un paio di vivaci occhi ambrati –Alice…-
La piccola vampira sorrise, raggiungendomi in un balzo e abbracciandomi stretta –Mi sei mancato, fratellino-
Indugiai una frazione di secondo, prima di ricambiare –Anche tu-
No, non potevo più scappare.




Lo so lo so lo so: sono imperdonabile!!
Non ho scuse per questo mio ritardo assurdo, ma mi azzardo comunque ad implorare il vostro perdono.
Detto questo…
Cuori mieiiiiii, ciao a tutti!
Come procede l’anno? A me non tanto bene, con i 4 in matematica e il naso che cola…ma non mi lamento! Passiamo piuttosto al capitolo.
Allora, che ne dite? È abbastanza lunghino, ma è il contenuto che conta. Finalmente scopriamo l’identità dei misteriosi avversari dei Werewolf, che altri non sono che i nostri amici Cullen! E permettetemi di complimentarmi con voi: siete tutte riuscite ad indovinare l’identità del nerboruto corridore! Eggià, proprio il nostro Emmet, che come avete visto non si è risparmiato ^^
Per ultimo, faccio solo notare una cosa: in ogni pov Ed e Bella c’è sempre un accenno ai due protagonisti, che non riescono a smettere di pensare l’uno all’altra, e viceversa…viva la mia mente diabolica!
Ora vado, che sono stanca e malata! Spero di vedervi numerosi e vogliosi di commentare, sapete che così rendereste zia Elena moOoOolto felice! ^^
Un bacione grande!
Ele


Per rispondere a…

rosa62: o.o Cavolo, sono sbalordita! Hai afferrato in pieno la trama, raccontando lo svolgersi dei fatti in maniera fedele ed azzeccata, ed indovinando perfino la trama di questo capitolo!! Permettimi di farti un inchino con applauso, te lo meriti!!
Mr Darcy: Giustissime osservazioni, le tue! Ha ragione, Bella dovrebbe interrogarsi sull’età di Edward, ma è troppo presa dalla sua vendetta, e poi ricorda che l’Edward di questa storia non è lo stesso che siamo abituate a vedere, tanto nel carattere quanto nel fisico… Invece, per quanto riguarda gli anni passati dall’incidente di Bella: quando è capitato, lei aveva sei anni, ha girato per quattro per ospedali e dopo la morte dei suoi genitori è stata affidata ad un assistente sociale, con il quale ha convissuto fino alla maggiore età. Poi ha passato tre anni in giro per il mondo, ed ora è una ventunenne. E a proposito di Dylan…chissà! Non voglio fare spoiler ^^ Spero di aver chiarito i tuoi dubbi, e che continuerai a seguire la storia!
RenEsmee_Carlie_Cullen: Manno tesoro, non piangere!!! Lo so, questa parte della storia è molto triste, e capitolo dopo capitolo veniamo pian piano a conoscenza di tutti i dolori che hanno dovuto patire i due protagonisti…ma non temere, vedrai che la felicità arriverà anche per loro! Un bacione!
Bella_kristen: Aaaaah tesora, non avevo dubbi che avresti indovinato il misterioso corridore (che misterioso tanto non era!) Eggià, anche Bella ha un difficile passato alle spalle…e non è finita qui…alt alt alt, non farmi parlare! Ho detto anche troppo…ti lascio con questo enigma, un abbraccio forte tesoro!!!
Tomoyo_Chan: Ahah, anche tu mi fai questa domanda! Bhe, Bella non sapeva com’era l’aspetto di Edward quando l’ha investita, ed è troppo presa dalla sua vendetta per domandarselo. Sono contenta che la ficcy ti piaccia!! ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 12.Rabbia repressa ***








Image Hosted by ImageShack.us





Eravamo tutti nel box della squadra, sui volti le stesse identiche espressioni preoccupate, nel cuore lo stesso trambusto. Quella di poco prima era stata una gara straordinaria, emozionante, fuori dal comune: il pubblico aveva acclamato, fischiato, e si era preparato ad accogliere il vincitore con gioia. Sì, ma chi aveva realmente tagliato per primo il traguardo? Questo era il quesito che riempiva le nostre menti, tutte ugualmente confuse.
Fissai di sottecchi Dylan, appoggiato allo stesso tavolo dov’ero seduta io. Teneva le braccia conserte e appariva calmo e rilassato come al solito, ma a tradirlo erano i muscoli gonfi e tesi, nonché la piccola ruga in mezzo alle sopracciglia, segno tangibile della sua preoccupazione. Ci separavano solo pochi centimetri, eppure appariva più lontano che mai.
Spostai lo sguardo su Jody, in piedi vicino alla porta, che attendeva il suo ragazzo fremendo sul posto. I corti capelli biondi ondeggiavano ad ogni tremolio del corpo magro, il volto era contratto e le labbra tormentate dai denti.
Quando finalmente Ryan comparve, gli saltò addosso come se non lo vedesse da tempo. Lui l’abbracciò, cingendole delicatamente i fianchi. Ero convinta che avesse sempre paura di romperla.
Osservai il viso del mio amico, e vi lessi uno sgomento palese. Ricambiò lo sguardo e, staccandosi dalla fidanzata, sospirò rumorosamente.
-Parità- borbottò.
Lo guardai scioccata, voltandomi verso Dylan. Anche lui appariva incredulo.
-Parità?- ripetè, sputando la parola come se si trattasse di un insulto –come? Cosa dicono i giudici?-
-Questo è ciò che sostengono- rispose l’amico, laconico.
Dylan sollevò le braccia, sbattendole pesantemente sui fianchi –E le macchine? Cosa dicono le macchine?-
-Parità, Dylan- disse pacato Ryan, squadrando l’altro ragazzo –è il verdetto definitivo. Non si discute- aggiunse, facendo chiaramente intendere che la conversazione terminava lì. Poi prese per mano Jody e si allontanò a grandi passi dal box.
Fissai la schiena ossuta della ragazza, affiancata alle spalle possenti del fidanzato, finche non furono spariti. Spostai lo sguardo su Dylan, osservandolo mentre camminava nervosamente in circolo.
-Un pareggio…da non crederci…- mormorò, scuotendo il capo sconsolato.
-Ma…può davvero finire così?- domandai timidamente. Da quando il mio amico aveva preso le distanze, pochi giorni fa, avvertivo come un groppo in gola, che spesso e volentieri mi impediva perfino di parlare con lui.
-Non lo so. Spetta ai giudici decidere- rispose lui, gli occhi fissi sulle braccia incrociate.
Lo guardai tristemente, e di nuovo fui assalita da un senso di nausea. Come avevamo potuto arrivare a questo? Dov’era finito il nostro rapporto, la nostra complicità, la fedele amicizia? Tutto affanculo, ecco dov’era.
Dylan si fermò, puntando lo sguardo in direzione dell’entrata del box. Anche io mi girai: passi rumorosi erano in rapido avvicinamento.
Ancor prima di vederlo, sentimmo la sua voce.
-Porca puttana!!- sbraitò Jacob, entrando a grande falcate nell’ambiente. Si bloccò di fronte a Dylan, le spalle curvate in avanti e il respiro affannato –abbiamo a che fare con un branco di idioti. Non hanno ancora decretato il vincitore-
-Non hai sentito?- replicò tranquillamente l’altro, quell’odiosa maschera fredda sul viso –è parità-
-Ma col cazzo!- esclamò Jacob, pestando un piede per terra –che razza di verdetto è? Io voglio un nome, e lo voglio subito. Altrimenti farò a modo mio-
-Ah sì? E come pensi di comportarti, vuoi andare a rubare la telecamera di qualche spettatore, per vedere chi per primo ha tagliato il traguardo?-
Il corridore affilò lo sguardo, stringendo i pugni. L’amico lo guardò allusivo –Non essere sciocco, Jacob. Dobbiamo rispettare il volere dei giudici-
-Un branco di teste di cazzo…- mormorò l’altro.
Un pugno lo raggiunse sul viso e una cascata di sangue cominciò a colare sul volto del ragazzo. Cacciai un urlo, soffocandolo con le mani.
-Ma dei imbaddido?!- gracchiò Jacob, sputando un grumo rosso per terra.
-Non. Farlo. Mai. Più- Dylan era davanti a lui, il pugno ancora alzato, gli occhi spiritati e una smorfia spaventosa sul volto –quelle persone sanno fare il loro lavoro, altrimenti non sarebbero qui. E non spetta certamente a te giudicarli-
-Ma io di…- cominciò l’altro, tossendo e cercando di arrestare l’emorragia con le dita. Corsi a prendere un fazzoletto e glielo portai, aiutandolo a pulirsi un poco.
L’odore di sangue era pungente e ferruginoso, e ormai aveva appestato tutta l’aria del piccolo box. Repressi un conato di vomito, cercando di respirare il meno possibile. Non avevo mai sopportato quell’olezzo nauseante, che insieme all’alcool disinfettante mi ricordava i numerosi ospedali che avevo visitato nella mia triste infanzia.
Jacob gemette quando passai la salviettina pericolosamente vicino al labbro inferiore.
-Mi sa che sì è spaccato…- mormorai piano, asciugando delicatamente il resto del viso, evitando accuratamente la zona dolorosa. Terminai con gli occhi, incrociando lo sguardo del ragazzo sotto di me. Vi lessi un ovvia sofferenza, ma anche gratitudine nei miei confronti. Improvvisamente, ricordai perché mi ero innamorata di Jacob. Era quello che mi aveva colpita di lui, quell’infinita tenerezza che avevo visto la prima volta che ci eravamo conosciuti. Poi, giorno dopo giorno, il suo sguardo era cambiato, indurendo i tratti del suo viso, sporcando la sua bocca con parole maligne. E insieme alla fanciullezza di Jacob, era sparito anche quel mio sentimento di allora.
-Grazie, piccola- disse roco, sfiorandomi una guancia con le grandi dita. Gli sorrisi flebilmente, allontanandomi per andare a gettare i fazzoletti imbrattati. Dovevo chiudere quella storia al più presto, per il bene di entrambi.
-Ma che cazzo ti è preso, me lo dici?-
Mi girai allarmata: Jacob si era avvicinato a Dylan, e ora gli parlava a un soffio dal viso.
-Vai in infermeria, Jacob- sussurrò l’altro, abbassando gli occhi. Tutt’a un tratto appariva molto stanco.
-Non me ne vado finche non mi dici perché mi hai colpito- sibilò il corridore, testardo.
Allora Dylan sospirò, puntando sull’amico gli occhi pieni di rimorso –Mi dispiace, sono stato impulsivo. Ho reagito senza pensare. Ti prego di perdonarmi, se puoi-
Jacob si sollevò, fissando accigliato il ragazzo –Sì, va bene, ma non capisco come mai…-
Ma l’altro scosse la testa –Lascia perdere, e poi adesso abbiamo questioni più urgenti di cui occuparci. Devo andare a parlare con i giudici e con l’altra squadra, mi è venuta un’ idea che potrebbe risolvere la questione della parità- inaspettatamente, lo vidi rivolgersi a me –Bella, accompagna Jacob a farsi curare, per favore. Vi manderò a chiamare non appena saprò qualcosa-
Fece per andarsene, trattenuto però dalla presa del compagno su di un braccio.
Gli sorrise rassicurante, sfiorando la mano sul bicipite contratto –Riguardati, e scusami ancora- disse, uscendo velocemente dal box, la camminata dinoccolata leggermente traballante.
Guardai Jacob, ancora frastornata. Ero contenta che Dylan mi avesse rivolto la parola, tuttavia mi sentivo anche confusa dal suo tono piatto e distante. Notai un movimento alla mia destra: Jacob si era piegato su se stesso, la mano completamente sporca di sangue. Il flusso era ricominciato.
Corsi da lui, cercando di sorreggerlo. Era davvero pesante. Lui mi aiutò come poté, ma la debolezza e l’emorragia affievolivano di molto la sua forza. La pelle, solitamente di un bel colorito dorato, aveva assunto un pallore sinistro, dove il liquido scarlatto risaltava vivacemente.
All’aria aperta la situazione non migliorò. Sebbene il sangue si coagulasse più velocemente, continuava a scorrere copioso, impregnando i nostri vestiti. Pareva a me stessa di essere stata colpita, tant’ero sporca e affaticata.
Notai un ragazzo lì vicino e lo fermai, domandandogli dove avrei potuto trovare un medico. Lui mi indicò la direzione giusta, dicendo che si trovava dall’altra parte dello spiazzo. Imprecai, avrei impiegato un sacco di tempo per aggirare quell’area, tutt’al più con il peso di Jacob sulle spalle. Chiesi al tipo se era disposto a darmi una mano, ma quello rispose che aveva una commissione urgente da sbrigare, fissando spaventato il volto del mio amico.
Così mi incamminai e ben presto mi ritrovai esausta e sudata. Fortunatamente il flusso del sangue era rallentato, ma Jacob appariva sempre più debole e incosciente.
-Forza resisti, siamo quasi arrivati…- gli mormorai, non potendo più tollerare quel silenzio malsano.
Lui sollevò gli angoli della bocca –Sei una fidanzata fantastica, Bells. Sono fortunato ad avere al mio fianco una ragazza come te- tossicchiò lui
Lo sapevo. Avrei fatto meglio a stare zitta. Mi morsi le labbra, e proseguii il tragitto.
Quando ormai credevo di non poter più muovere un solo passo, una figura comparve nella mia visuale. Era Ryan, che velocemente mi si affiancò, aiutandomi a sostenere il compagno mezzo svenuto. Lo portammo in un ambiente spazioso, e lo adagiammo su una sedia.
-Ha bisogno…di un dottore…- ansimai, appoggiandomi ad un tavolo lì a fianco. Mi sentivo come se una macchina mi fosse passata sopra a tutta velocità e fosse tornata indietro in retromarcia.
-Allora capito a proposito- proruppe una voce profonda.
Mi voltai e incrociai un paio di caldi occhi ambrati. Appartenevano ad un uomo alto e portato, con splendenti capelli biondi e un sorriso da divo del cinema. Era l’uomo più affascinante che avessi mai incontrato.
Mi porse la mano –Carlisle Cullen, per servirla- si presentò, lo sfavillante sorriso ancora stampato in volto. Lo guardai ammutolita, troppo sconvolta per parlare. E ci mancò poco che aprissi perfino la bocca.
Aveva detto proprio Cullen? Quante persone esistevano sulla faccia della terra con quel cognome particolare? Adesso che ci pensavo, notavo alcune somiglianze tra il mio Cullen e questo signore distinto. Gli occhi, ad esempio, della stessa straordinaria tonalità. O la carnagione diafana. Per non parlare di quell’aura di potere che aleggiava intorno allo strano individuo.
Afferrai la mano di Carlisle, ancora tesa verso di me –Bella Swan- mormorai, distratta dalla bassa temperatura delle sue dita. Un'altra analogia tra i due.
-È un piacere conoscerla, signorina Swan- disse l’uomo, cordiale.
-La prego, mi dia del tu- borbottai confusa. Non ero abituata a tutti quei riguardi nei mie confronti.
Il sorriso sul volto di Carlisle di allargò –Come vuoi…Bella- rispose, scoccando poi un’occhiata preoccupata a Jacob. Il mio amico sembrava ave perso i sensi.
Il signor Cullen si rivolse a Ryan –Se me lo permettete, vorrei dargli un’occhiata- asserì, spostando lo sguardo su di me. Arrossii, annuendo vigorosamente, imitata dall’altro corridore. Quell’uomo di confondeva.
Carlisle non indugiò oltre e chinatosi su Jacob cominciò ad esaminare la ferita.
-Bella!- esclamò una voce familiare.
Mi immobilizzai sul posto, il cuore fremente e il respiro spezzato. No, non poteva essere…non quel giorno, non così…!
-Ma che piacevole sorpresa- disse ancora la voce.
Non potevo più indugiare, dovevo girarmi e rispondere. Lo feci con calcolata lentezza, ma quando me lo ritrovai davanti fu comunque uno shock tremendo.
I miei ricordi non gli rendevano giustizia, poiché dal vivo era decisamente più bello. I capelli ramati e gli occhi sfavillanti erano sì gli stessi della mia memoria, ma mille volte meglio. Erano forse più lucenti i suoi crini magnifici? E per caso il suo sguardo era più scuro dell’ultima volta che ci eravamo incontrati? Quando le mie labbra avevano lambito le sue, morbide e fredde, dando vita ad una danza sfrenata e indimenticabile. Deglutii a vuoto.
Un ghigno comparve sul suo viso, increspando gli angoli della bocca –Vedo che sei rimasta senza parole. Sono così sconvolgente?-
Riprenditi, sciocca. Vuoi fare la figura della ragazzina innamorata?!
-Edward. È buffo incontrarti qui. Non avrei mai detto che proprio tu potessi avere la passione per le gare automobilistiche- risposi gelida.
Lui corrucciò la fronte –Perché non dovrei? Avevo una bellissima Volvo un tempo-
Sentii le guance farsi calde e aprii la bocca per ribattere. Proprio in quel momento arrivò Dylan, seguito da Jody e da una buffa ragazza. Pareva che danzasse, tant’era la grazia con cui si muoveva, e ad ogni passo i corti capelli corvini fluttuavano leggiadri nell’aria, quasi fossero sospesi in un liquido.
-Oh Bella, vedo che hai conosciuto i signori Cullen- disse Dylan, poggiando una mano sulla spalla di Edward.
Sentii una grande rabbia montarmi nel petto. Come osava intromettersi nella vita dei miei amici? Non gli bastava aver rovinato la mia? –Avevo già avuto la spiacevole occasione di incrociare il signor Edward-
-Oh bene, questo faciliterà le cose!- esclamò Dylan, compiaciuto. Lo guardai confusa.
-Forse è meglio se vado a chiamare gli altri…- propose Edward.
-Non ti preoccupare, li ho già avvertiti io. Saranno qui a momenti- lo rassicurò il mio amico. Poi si rivolse a me, sorridendo furbescamente –i Werewolf e i Vampires hanno trovato un accordo-.







Okay, non ho scuse. Il ritardo che ho accumulato è tremendo e tremo al solo pensiero di tutto il tempo passato dal mio ultimo aggiornamento. Ma, che vi devo dire? Non avevo l’ispirazione. E, come molti di voi sapranno, senza idee una storia non esiste.
Ma, come spesso accade, lo yoga mi ha aiutata a concentrarmi e contenere la mia rabbia repressa. E così mi è anche venuto lo spunto per questo capitolo.
Eh, non ve lo aspettavate vero? Tutti attendevamo il confronto tra Edward e la sua famiglia. Ma non temete, nel prossimo capitolo sarò più che esauriente su questo argomento..o almeno, lo spero!
Una precisazione per quanto riguarda lo scontro tra Jacob e Dylan: non sono un medico e non ho la più pallida idea se un labbro possa sanguinare così tanto, ma ho sentito dire che le ferite sul viso lo fanno..perciò perdonate questa mia lacuna!
Ringrazio tutte quelle buone anime che mi hanno atteso pazientemente, non so davvero come farei senza di voi! : )
Un bacio gigante e a presto (ispirazione e verifiche permettendo!)
La vostra Ele

Per rispondere a…


rosa62: O.O Cavolo, ma come fai?! Mi leggi nel pensiero, vero?! Confessa, hai istallato un cip nella mia testa…perché è assolutamente così che si svolgeranno i fatti! O più o meno…e non avevo idea che esistesse anche un film! Wowowow, altro che applauso, io ti farò erigere una statua…ihih! Sono felice di avere una lettrice come te, grazie cara!
RenEsmee_Carlie_Cullen: Eh sì, meno male che c’è lei! E vedrai che succederà nel prossimo chappy..ehehe…
Bella_kristen: Tesora mia, che bello sentirti! Perdonami se ci ho messo tanto, ma sai com’è…no ispirazione, no storia! Come dicevi tu, gli umani non si sono accorti della piccola differenza, ma Dylan è riuscito a trovare un accordo…di cosa si tratterà?? Misterooo…ahah, come sono cattiva, vi lascio sempre con delle cose in sospeso! :P Un bacione mia cara!!




Un’ultima cosa. Non per farmi pubblicità (okay, forse un pochino), ho scritto una nuova ficcy su Twilight, si chiama “I Promessi Sposi”...ma non fatevi ingannare dal titolo! Spero che vorrete andarci a dare un’occhiata, mi farebbe piacere : ) Baciii

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 13. Solo di fronte al mondo ***








Image Hosted by ImageShack.us





Come al solito, sono in un ritardo spaventoso. Ma mi sto dando da fare, ho cinque storie in cantiere di cui due quasi terminate. Mi sono dedicata a loro, ma adesso che sono praticamente concluse, posso ritirare fuori questa mia bella storia avvincente.
Come penso capiterà anche a voi, ho avuto bisogno di rinfrescarmi un po’ le idee. Dopotutto, dodici capitoli non son pochi! Per questo ho scritto un piccolo riassunto (utile a voi quanto a me).
Vi consiglio vivamente di leggerlo siccome, alla pari di tutte le mie storie, anche questa qui è piuttosto incasinata!




Isabella Swan è un’affascinante ragazza sui ventuno anni, alta e magra, con grandi occhi castani e boccoli ambrati. Ma un’orrenda cicatrice solca la sua pelle bianca sulla schiena, ricordo di un’infanzia altrettanto dolorosa e difficile.
Isabella ha sempre vissuto con i suoi genitori, Charlie, un ricco imprenditore, e Renee. Entrambi appassionati di auto da corsa, hanno cresciuto la figlioletta tra modellini di macchine costose e rare, trasmettendole la loro passione. Ma all’età di sei anni, mentre rincorreva una farfalla, Bella è stata investita da un’auto pirata. Le sue condizioni erano parse subito critiche e senza speranza. Il padre allora aveva speso una fortuna per mettere insieme un’equipe medica in grado di salvare la sua bambina. Dopo molti ospedali e operazioni, infine Bella era riuscita a sopravvivere, ma a caro prezzo. Non solo l’orrenda cicatrice le ricordava ogni giorno il suo passato, ma anche i ricordi di quel giorno orribile continuavano a tormentarla.
Così, dopo la morte dei genitori e il compimento della maggiore età, aveva salutato i suoi amici e il suo fidanzato ed era partita alla ricerca della verità. Ricerca che si era rivelata stancante e infruttuosa, almeno fino a quando una misteriosa ragazza non le aveva rivelato il nome del suo quasi-assassino.
Allora Bella era tornata a casa e aveva trafugato l’auto del giovane con un inganno. Arrivata a casa si era fatta bella, aspettando il suo ospite che era sicura non avrebbe tardato.
Edward Cullen è un giovane tormentato e scavezzacollo. Passa ogni notte con una donna diversa, beve e se ne frega del prossimo. Ma Edward non è sempre stato così. Da tre anni ormai ha abbandonato la sua famiglia a causa delle idee discordi col padre, Carlisle. Carlisle è il padre adottivo di Edward, nonché suo creatore. Il ragazzo infatti è un vampiro, una creatura delle tenebre, dalla velocità supersonica e bellezza stupefacente. Edward considera gli umani come parassiti che non fanno altro che inquinare la terra, mentre Carlisle ha una visione più ottimista dell’umanità ed è diventato medico per salvare vite. Edward vive da solo in una casetta di mattoni in mezzo al bosco, e l’unico suo simile con cui ha ancora contatti è sua sorella, Alice, che lo scongiura quotidianamente di tornare a casa. Ma Edward non è tormentato solo da lei: spesso si trova la testa affollata di immagini di una bambina e di urla disumane. Sono forse ricordi della sua vita umana?
Quando una misteriosa e affascinante ladra gli ruba la macchina, Edward si reca a casa sua per riappropriarsene. Ma l’impresa non è così semplice: l’incontro tra i due è bollente. Tra i due giovani scorre un’attrazione irrefrenabile, che subito sfocia in baci bollenti e toccatine lascive. Si separano in malo modo, entrambi sconvolti dall’accaduto.
Edward fugge in Alaska, dove incontra la vampira Tania che l’aiuta a capire di aver sbagliato. il ragazzo si convince così a tornare a casa e chiedere scusa alla sua famiglia. Nel frattempo Bella è alle prese con un terribile conflitto interiore: come ha potuto lasciarsi andare con l’uomo che l’ha quasi uccisa? In oltre ha tradito il suo ragazzo, Jacob, sebbene non ne sia più innamorata da tempo.
Turbata dagli avvenimenti recenti, Bella litiga con Dylan, suo caro amico, nonché meccanico del gruppo con cui corre la ragazza. Jacob è il corridore, insieme a Ryan, mentre lei e Jody si occupano di rimorchiare le auto.
Il gruppo ha una gara importante contro dei misteriosi ma fortissimi avversari. L’avvincente corsa sembra concludersi in parità. Ma Edward, che ha seguito tutto, sa che non è così. Alla guida della Jaguar, contro Jacob, c’era suo fratello Emmet, che con i suoi sensi da vampiro è riuscito a vincere con un margine piccolissimo, non individuabile ad occhio umano.
Quando Edward si accorge che la sua famiglia è presente, è tentato di fuggire. Ma Alice lo blocca e lo costringe ad affrontare i genitori e i fratelli.
Perdoneranno Edward? E come si risolverà la questione della gara?
Adesso che avete ripreso il filo del discorso, non vi resta che leggere e scoprire cosa succederà.





C’erano proprio tutti, quando arrivammo alla rimessa. Erano disposti a cerchio, ovviamente in piedi, e discutevano animatamente della gara appena conclusa.
-Ma sei impazzito?- gridò la vampira bionda, passando una mano in mezzo alla folta chioma dorata. Rosalie era bellissima come sempre, il fisico seducente accentuato dalla tuta aderente da meccanico che indossava.
Ripensai a quando mi aveva voluto come compagno. Per un periodo avevo anche pensato di assecondarla, ma sapevo che non sarei mai potuto stare con lei. Il mio egocentrismo si sarebbe ben presto scontrato con il suo, e probabilmente avremmo finito per litigare su chi fosse il più bello tra i due.
Cosa ti è saltato in mente, eh Emmet?- urlò ancora, rivolta al colosso che torreggiava di fronte a lei.
Emmet, il mio fratello minore, era il più forte e imponente di tutta la famiglia. Eppure, alla sua sviluppata massa muscolare, corrispondevano le capacità intellettuali di un bradipo un po’ tonto. Lo scimmione infatti, non aveva mai brillato per la sua intelligenza. Da quando Rosalie lo aveva salvato dall’aggressione di un grizzly, erano sempre stati inseparabili. Avevano trovato l’uno nell’altra una ragione di vita, e ormai avevo perso il conto dei loro numerosi matrimoni.
Nonostante la sua stazza però, Emmet appariva ora insignificante, davanti all’ira della sua bella sposa.
-Non capisco a cosa tu ti riferisca, zuccherino- balbettò lo scimmione, fissando preoccupato la vampira.
-Invece penso proprio di sì!- strillò lei, facendo sobbalzare il poverino –hai fatto finire la gara in parità, zuccone! E non dirmi che è stato un caso!- aggiunse, quando l’altro tentò di ribattere.
-Non mi sembra il caso di scaldarsi così tanto…-
-Oh, non ti sembra il caso?!- Rosalie era furiosa, e un ringhio basso era cominciato a nascere dal suo petto.
-Rose- disse il vampiro biondo al suo fianco, poggiandole una mano sulla spalla.
Fissai mio fratello Jasper, mentre un’ondata di tranquillità saturava l’aria. Da umano, Jasper doveva aver posseduto una personalità molto carismatica, che si era trasformata in quel dono particolare quando era divenuto vampiro.
Vidi la bionda prendere un profondo respiro e il rombo del suo petto diminuire, fino a tacere. Emmet fece per avvicinarsi alla moglie, ma un gesto di Jasper lo indusse a bloccarsi. Dopotutto, il pericolo non era ancora scampato.
-E va bene- esordì Rosalie, facendo sobbalzare il colosso –può darsi che tu non l’abbia fatto apposta, sta di fatto che gli strumenti umani non sono in grado di cogliere il microscopico lasso di tempo con il quale la Jaguar ha tagliato il traguardo per prima, e dichiareranno l’esito di parità della gara- tacque un attimo, guardandosi intorno –cosa dobbiamo fare, adesso?-
-Io avrei un’idea- interloquì Alice, al mio fianco.
La fissai inorridito, scuotendo la testa vigorosamente. Non ero ancora pronto per mostrarmi! Era così bello guardare le persone che amavo parlare amabilmente tra loro, e sapevo che alla mia vista quell’atmosfera complice si sarebbe spezzata.
La piccola vampira sogghignò e procedette leggiadra verso gli altri Cullen. Io non mi mossi, rimanendo nell’angolo buio a osservare la mia famiglia al completo.
Alice danzò verso Jasper, scoccandogli un veloce bacio sulle labbra, mentre alle sue spalle Emmet sospirava, sollevato di non essere più al centro dell’attenzione.
-Dunque?- la incalzò Rosalie, incrociando le braccia.
-Come hai detto tu, gli umani non saranno in grado di notare la infinitesimale vittoria di Emmet- cominciò la vampira –perciò, io propongo di stabilire uno spareggio, per decretare il vero vincitore della corsa-
Un fitto mormorio si levò dal gruppo, ma riuscii comunque a distinguere il tono basso di Emmet, che continuava a borbottare che era lui l’unico vincitore e che non era colpa sua se quei piccoletti non riuscivano a vederci bene.
-Io ci sto- esclamò a un certo punto il colosso –non ci metterò niente a stracciare di nuovo quel pallone gonfiato dei Werewolf-
-Oh, ma non sarai tu a correre!- replicò Alice, voltandosi verso di me.
Indietreggiai di un passo, fissando inorridito il ghigno malevolo sul bel viso di mia sorella –Sarà Edward a farlo-
Quattro paia di occhi gialli si puntarono nell’angolo buio dov’ero nascosto. Sapevo che non potevano vedermi, ma di certo avrebbero percepito la mia presenza. O almeno, Jasper avrebbe sentito la mia ceca paura.
Come poteva pretendere Alice che mi presentassi alla loro porta come se niente fosse? Come se tutti quegli anni di lontananza, come se tutto il dolore che avevo causato non esistessero? Sì, avevo paura, perché mi sentivo una merda, il figlio ingrato che viene a riscuotere la dose di sofferenza che egli stesso ha recato alla sua famiglia.
In un lampo, Alice fu al mio fianco. Spostai il mio sguardo allucinato su di lei, rivolgendole un’occhiata supplicante. Lei mi sorrise incoraggiante, prendendomi per mano.
-Andrà tutto okay- mi sussurrò –io l’ho visto-
-Ti prego- le sussurrai.
Il sorriso del piccolo folletto brillò al buio, mentre lei mi trascinava fuori dal mio rifugio. Adesso ero solo, solo con la mia colpa, che mi pesava nel petto come un macigno, solo di fronte al mondo.
Quando mi videro, le espressioni sul volto dei miei familiari mutarono rapidamente. Rosalie si irrigidì, fissandomi impassibile, e il volto muto di Jasper si aprì in un sorriso. Chissà come appariva il mio, di viso. Trapelava tutto il rimorso che era celato nel mio cuore?
Non ebbi modo di soffermarmi su quella riflessione, poiché un destro poderoso mi colpì in piena faccia. Caddi lungo disteso al suolo, portando sconcertato una mano sulla parte colpita. Non sentivo alcun dolore alla guancia, ma nel petto avvertivo come se qualcosa fosse stato smosso. Come se quel pugno mi avesse ferito nel profondo. Alzai lo sguardo, incrociando quello del mio fratello orso, che mi fissava sogghignando.
-Non te l’aspettavi eh, vecchio bastardo?- esordì quello, porgendomi la mano.
L’afferrai al volo –Effettivamente, no- dissi, ritornando in piedi e scoccando un’occhiata fugace ad Alice.
La vampira sorrise sorniona –Sì, avevo visto anche questo- ammise –ma dopotutto, te lo meritavi, Edward-
Annuii, un pugno sul viso era troppo poco. Guardai Emmet, che seguitava a sogghignare. Forse però, per lui quel gancio aveva un significato diverso.
-Picchi duro- mormorai timidamente.
Il ghigno si tramutò in un sorriso –Mi sei mancato, fratellino- mi disse, stritolandomi con un abbraccio.
Ricambiai, commosso da quel suo gesto –Anche tu…cucciolo-
-Ehi!- esclamò, mollandomi di colpo –te le cerchi le botte?!-
Risi, mentre Emmet si voltava e gridava rivolto al resto della famiglia –Diamo a questo bastardo un’accoglienza come si deve!-
Guardai anch’io la mia famiglia, accorgendomi solo in quel momento di quanto mi fossero mancati. Abbracciai Jasper, che mi trasmise col suo dono tutta la sua felicità, e perfino Rosalie non riuscì a trattenere un sorriso.
-Dopotutto, senza di te non avevo più rivali- disse disinvolta, mentre mi avvicinavo a lei.
La strinsi a me –Mi spiace carina, ma non c’è storia tra noi due-
Sorridemmo, sorrisero tutti. Poi, sentii dei passi veloci avvicinarsi, seguiti a ruota da pensieri frenetici. Mi irrigidii, ma ero pronto. L’incontro con la mia famiglia mi aveva dato forza, ero pronto per quell’ultimo scontro.
-Ragazzi, come previsto gli umani hanno decretato la parità. Dobbiamo trovare una soluzione, e al più presto- proruppe Carlisle, entrando nell’abitacolo. Lo vidi bloccarsi e guardarmi sorpreso.
-Edward!- esclamò, ma un grido alle sue spalle non mi permise di rispondere.
Una zazzera di boccoli rossi mi piombò addosso, facendomi quasi cadere. Abbracciai mia madre, mentre lei mi singhiozzava sulle spalle. Mai come in quel momento avrei desiderato poter piangere, piangere di gioia.
-Mi dispiace papà, sono stato uno sciocco-
Le parole uscirono da sole dalla mia bocca, ma appena le ebbi pronunciate, seppi che erano quelle giuste. Carlisle sorrise e si avvicinò a me per abbracciarmi. E mentre ero lì, stretto dai miei genitori, compresi quanto stupido e cieco fossi stato. Compresi che la felicità che avevo visto quel giorno, il giorno che io me ne ero andato, era una mera finzione. Una maschera che la mia famiglia aveva indossato per tutti quegli anni. Ma nessun travestimento era stato peggiore del mio.
Ora che ero tornato, ora che ero di nuovo un Cullen, non li avrei lasciati mai più. E fu in questa muta consapevolezza che ci lasciammo, un grande sorriso sul volto.
Proprio in quel momento, un umano entrò nel garage. La scena che si trovò davanti agli occhi dovette sembrargli particolare, ma non fece commenti. Ciò mi piacque, e ancor di più mi piacquero le parole che pronunciò.
-Signore e signori, io sono Dylan dei Werewolf, e penso che noi abbiamo un problema-

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 14. La vittoria di Bella ***








Image Hosted by ImageShack.us





-Che cosa?!-
Spostai lo sguardo da Dylan a Carlisle Cullen, poi ancora su Dylan. Lui non lo avrei guardato, non volevo guardarlo.
-Io dovrei fare cosa?!-
-Su Bella, non scaldarti così tanto- disse Dylan, preoccupato per la mia reazione.
Sentivo ancora le sue parole rimbombarmi nella mente.
-Ci sarà uno spareggio, io e il signor Carlisle abbiamo già parlato con i giudici, è tutto deciso. Saranno Edward e Bella a correre, e il vincitore avrà la finale di campionato assicurata!-
Incrociai le braccia sul petto –Non lo farò-
Le mie parole causarono diverse reazioni contemporaneamente: Jody guardò Ryan che s’incupì, Dylan sbuffo, e da qualche parte nella stanza sentii una risatina levarsi. Conficcai le unghie laccate nella mia tenera carne.
Mi aspettavo che fosse Dylan a protestare. Perciò, quando parlò Carlisle, rimasi spiazzata.
-Bella- disse, con la sua voce calma e profonda –per quale motivo non vuoi correre?-
-Io…io non sono un corridore. Mi occupo solo delle auto- risposi evasiva.
Dylan proruppe in una risata –Non dire stronzate, Bella! Lo sappiamo tutti che tu sei brava a correre quanto Ryan e Jacob-
Arrossii –Può darsi- concessi, lusingata –ma non spetta a me farlo-
-In questo caso sì, è stato deciso così-
-Chi l’ha deciso?! Non sono stata nemmeno interpellata!-
-Lasciatela stare. Se ha troppa paura per correre, lo farà qualcun altro al posto suo-
Furono quelle parole a farmi scattare. Quelle parole e il tono di superiorità con cui erano state pronunciate. Lentamente mi voltai verso Edward, guardandolo per la prima volta. Anche lui mi fissava, un’espressione strafottente sul bel viso.
-Paura, Cullen? Pensi che io abbia paura di te?- sibilai.
-Sarebbe comprensibile. Dopotutto, una donna…contro di me…-
-Basta- la mia voce echeggiò forte nella stanza, e con lei tutta la mia rabbia –accetto la sfida, e non mi riterrò soddisfatta finché non ti avrò stracciato e umiliato davanti a tutti-
Con mia somma sorpresa, Edward sorrise –Vedremo-
Ci preparammo velocemente. Lo spareggio si sarebbe disputato da lì a un’ora. La squadra di Cullen tornò nel suo box, mentre noi sfrecciavamo nel nostro. In mezz’ora, era tutto pronto.
Dylan aveva lucidato e revisionato la Ferrari, che brillava rossa e pericolosa. Le aveva cambiato la benzina, rimesso le gomme, passato a setaccio ogni singolo dettaglio.
-Dylan- lo chiamai. C’eravamo solo noi nel box.
-Mh-
-Mi manca una tuta-
Lui si voltò, abbandonando momentaneamente l’auto. Mi guardò sorpreso –Una tuta?-
Annuii –Quelle di Ryan e Jacob sono troppo grandi-
Il mio amico aprì la bocca, ma prima che potesse parlare fu interrotto dall’arrivo della strana ragazza dei Cullen. Quella danzò leggiadra verso di me, arrestandosi con grazia quando fu a qualche passo da me.
-Non mi sono presentata, io sono Alice- disse, tenendomi la piccola mano.
La strinsi –Bella- risposi, distratta dalla sua voce. Era acuta e melodiosa, ma soprattutto stranamente familiare…dove l’avevo già sentita?
-Sono qui per darti questa- disse Alice, tenendomi qualcosa. Solo allora mi accorsi che teneva, accuratamente piegata tra le braccia, una tuta nera come la notte. La presi e l’aprii. Era fatta da un unico pezzo, una seconda pelle scura e liscia. Era fantastica.
-Pensavo ti sarebbe servita- aggiunse la piccoletta –sai, ho visto che avete solo corridori maschi in squadra! È di mia sorella Rosalie, è un po’ più alta di te, ma dovrebbe andarti bene-
La guardai –Grazie- dissi, ed ero sincera.
Lei mi sorrise –Buona fortuna!- mi augurò, prima di voltarsi e uscire dal box. La osservai, decidendo che quella ragazza mi piaceva.
Andai a cambiarmi, e prima di accorgermene mi trovai a bordo della Ferrari, pronta per partire. La tuta nera di Alice aderiva perfettamente alle mie curve, modellandosi sul sedile dell’auto.
-Non farti prendere dal panico, se ti supera- mi stava dicendo Dylan –all’inizio è normale, basta che non gli fai guadagnare troppo terreno. E ricorda che…-
Mi voltai: alla mia sinistra, incontrai lo sguardo di Edward. Mi guardava, a bordo della Jaguar. La sua tuta, nera come la mia, faceva risaltare i muscoli e la sua pelle diafana, rendendolo se possibile ancora più attraente. Notai che anche lui mi stava fissando, così passai una mano sulla mia coscia, sfiorandomi il bacino. Lo vidi deglutire e volarsi di scatto. Sorrisi, soddisfatta.
-…e non forzare troppo l’acceleratore, dosa la tua forza-
Annuii, sebbene non avessi sentito quasi nessuna delle raccomandazioni del mio amico, ero tranquilla e sicura di vincere.
Inforcai il casco e afferrai il volante. Accesi il motore dell’auto e un rumore soffuso di fusa inondò l’abitacolo. Il lento vibrare del sedile mi tranquillizzava, ma faceva attivare anche i miei sensi. Mi accorsi di essere eccitata, e ridacchiai maliziosamente. Dopotutto, stavo per correre con Edward Cullen…
Sentii lo sparo d’inizio e mi riscossi, partendo con un rombo. Edward era appena davanti a me, qualche secondo di vantaggio guadagnato grazie alla mia distrazione. Mi maledissi, imprecando a mezza voce, e spingendo più avanti la Jaguar.
Come la prima volta che i nostri corpi si erano toccati, anche le nostre macchine parevano danzare in perfetta armonia. Sui rettilinei, ero io ad avere la meglio. La Ferrari saettava luccicante, imprendibile. Ma ogni volta che incontravamo una curva, era lui a superarmi. Lo faceva con eleganza, quasi chiedendomi il permesso, facendo muovere la Jaguar come una pantera, sinuosa e letale.
Dopo quella che mi parve una vita, intravidi finalmente il traguardo di fronte a me. Era alla fine di un lungo rettilineo, l’ultimo. Con una stretta al cuore, mi accorsi di essere in testa. Spinsi l’acceleratore, euforica, e la Ferrari fece uno strano rumore.
-Porca puttana! No, no, dai…-
Sentivo l’auto perdere velocità, e la vittoria allontanarsi insieme al traguardo. Al mio fianco, un lampo nero si affiancò alla saetta rossa. Edward mi stava superando, Edward stava per vincere. Lacrime di rabbia spuntarono agli angoli del miei occhi. Non era giusto! E non potevo fare niente per evitarlo.
Poi, quando ormai mancavano pochi metri alla fine, la Jaguar rallentò. Fu questione di pochi secondi, eppure me ne accorsi. Ero convinta che dagli spalti nessuno l’avesse notato. Eppure fui io a tagliare il traguardo, io a vincere.
Scesi dalla Ferrari, circondata da persone e sorrisi. Tutti volevano congratularsi con me, volevano farmi i complimenti per quella bellissima vittoria. Vittoria non meritata, pensai con rabbia. Oltre le spalle di Dylan (che si sbracciava verso di me) vidi una sagoma nera sparire dentro il box dei corridori. Superai la calca e, non vista, mi sbrigai a seguirla.
Edward mi dava le spalle e si stava togliendo il casco. I capelli rossicci brillarono alla luce soffusa della stanza. Era un ambiente piccolo, con un solo tavolo e una sedia come unici arredi.
-Perché l’hai fatto?- la mia voce tremava di rabbia.
Lui si voltò, fissandomi silenzioso. Intuii che non avrebbe risposto. Con un balzo gli fui di fronte, lo afferrai per la tuta e lo tirai a me.
-Perché mi hai fatto vincere?- gli sibilai all’orecchio.
Eravamo così vicini che le nostre bocche quasi si sfioravano. Avvertivo il suo alito freddo sul viso, il suo corpo premere contro il mio. Controvoglia, mi accorsi che la mia ira stava già sfumando. Guardai i suoi occhi ambrati, e li vidi scurirsi mentre percorrevano il mio corpo.
-Questa tuta ti sta d’incanto- disse Edward, la voce roca per l’eccitazione.
All’improvviso, mi prese per i fianchi e invertì le posizioni. Adesso ero io quella ad essere schiacciata contro il tavolo. Fece aderire i nostri corpi e sentii la sua eccitazione premere contro il mio bacino. Trattenni il respiro, mentre lui si chinava sul mio collo, cominciando a baciarlo. Dove passava la sua bocca, una scia incandescente percorreva la mia pelle. Istintivamente portai le mani sul suo petto, tracciando il profilo degli addominali scolpiti. Sentii il suo corpo fremere sotto il mio tocco. Quando le mie dita arrivarono vicine alla sua erezione, smise di baciarmi e incatenò i suoi occhi ai miei.
-Ti voglio. Qui ed ora-
La sua voce era bassissima e sembrava penetrare le mie membra. Anche se non avessi voluto, non avrei potuto dirgli di no. Lo guardai chiudere la porta, senza staccare il mio sguardo dal suo. Feci appena in tempo a sentire scattare la serratura, prima che tutti i miei sensi fossero sconvolti.
Le sue mani erano dappertutto, agili ed esperte. Con un solo movimento, aprì la cerniera della mia tuta, facendola scivolare via dal mio corpo. I suoi occhi si fermarono sul mio seno nudo. Non portavo il reggiseno. La sua bocca si avventò sui miei capezzoli già turgidi, facendomi impazzire di piacere.
-Ah…- mormorai, mentre la sua lingua faceva cose incredibili sul mio seno destro, e le sue dita lussuriose lavoravano sul sinistro. Invertì i trattamenti, mentre io facevo di tutto per non mettermi ad urlare.
Quando non ce la feci più misi le mani sul suo torace e lo sbattei al muro. Presi le sue labbra tra le mie, trovando immediatamente la sua lingua e mordendola. Lo baciai come non lo avevo mai baciato prima, mentre le mie dita cercavano la cerniera della sua tuta. Quando entrambe le nostre pelli nere furono per terra, ammirai il suo corpo. Ogni muscolo era ben definito, dai bicipiti pieni ai pettorali pulsanti. Mi chinai sul suo collo, dove la giugulare pulsava veloce, e cominciai a leccarlo. Leccai ogni cavità che trovavo, morsi quella pelle dura e bianca, lasciando piccoli segni rossi.
Sotto il mio tocco, Edward fremeva. Era meraviglioso esercitare quel controllo su di lui, essere la padrona del gioco. Mi chinai sempre di più, continuando a lambire ogni pezzo di pelle del suo meraviglioso corpo. Quando arrivai all’inguine, abbassai i boxer senza esitazioni, rivelando la sua erezione rossa e pulsante.
La baciai lentamente, fino ad arrivare alla punta. All’improvviso, lo presi tutta in bocca, succhiando e soffiando, senza perdere d’occhio il mio amante. Edward aveva chiuso gli occhi, la bocca semi aperta in un’espressione di puro godimento. Era più eccitante che mai.
La mia lingua era impazzita. Leccavo, stuzzicavo, scopavo quel ragazzo che mi faceva andare fuori di testa. Quando era prossimo all’orgasmo, le sue mani afferrarono i miei capelli e mi tirarono a lui. Non avvertii nemmeno dolore, mentre con un ultimo spasmo veniva dentro la mia bocca.
Mi alzai, ravvivandomi i capelli e raccogliendo la tuta da terra. La infilai con un solo movimento, chiudendo la cerniera e voltandomi verso di lui. Edward era ancora accasciato al muro, nudo e ansimante. Gli passai accanto, girando la chiave della toppa.
-Questo è per la vittoria- gli sussurrai –consideralo un ringraziamento, o un premio di consolazione-
Me ne andai, lasciandolo nudo e sorpreso dentro quel piccolo box che ancora odorava di noi.





Cosa sono quelle facce?! Sorprese?!
Lo so, lo so, sono una “cattiva bambina”. Ma direi che i nostri piccioncini erano calmi da troppo tempo, e ci voleva un po’ di movimento…e questo è solo l’inizio, ho in mente per loro cose che una mente sana non potrebbe mai immaginare…ma la mia non è una mente sana, quindi aspettatevene di ogni!
Commentate numerosi, miei cari!
A presto,
Elena

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 15. E il sorriso non c'è più ***








Image Hosted by ImageShack.us





Correvo poco distante dalla strada, tra gli alberi riscaldati dal sole infuocato. Ero talmente veloce che nessun occhio umano sarebbe stato mai in grado di vedermi. Le macchine mi apparivano come sciocchi giocattoli lenti. Quelle auto che avevo sempre amato, ma che adesso non esercitavano più quell’attrazione su di me. Altro occupava la mia mente, curve che ben poco avevano in comune con quelle del freddo asfalto.
Il vento mi spettinava furiosamente i capelli, mentre pensavo a quanto fosse assurdo tutto ciò. Eppure, per quanto volessi negarlo a me stesso, per quanto rifiutassi l’idea, non mi ero mai sentito così. Così vero, così vivo come quando stavo con lei.
Scossi la testa. No, in quel momento stavo andando lì per fare altro. Dovevo chiudere quella storia, se di una storia si trattava.
Mi fermai davanti all’imponente garage, sollevando piano la porta e entrando nell’ambiente che profumava di antico. Guardai le auto, fermando il mio sguardo sulla Volvo argentata. Anche nella penombra, la mia auto scintillava come la mia pelle quando esposta al caldo sole d’estate. Accarezzai il cofano con affetto. Dopotutto, quella macchina mi mancava. Era un piccolo e veloce bolide. Mi ricordava un po’ la mia sorellina Alice.
Uscii dal garage e mi diressi verso la porta. Presi un bel respiro e mi imposi di rimanere lucido. Quella ragazza aveva la fastidiosa abitudine di farmi perdere il controllo. Bussai alla porta, due colpi forti e secchi, e attesi. I minuti passavano, ma l’uscio rimaneva chiuso. Mi mossi impaziente, ripetendo i due colpi. Niente. Mi diressi verso la finestra che sapevo si affacciava sulla sua stanza. Raggiuntala, sbirciai dentro.
Era stesa sul letto, in quello che sembrava essere un sonno profondo e tranquillo. La fronte bianca era distesa, le lunghe ciglia coprivano gli zigomi alti, le labbra rosse erano dischiuse. Il lento e calmo respiro faceva alzare e abbassare il suo petto, nudo come il resto del corpo.
Deglutii. Come inizio era davvero penoso.
Notai che la finestra era socchiusa. Senza far rumore, l’alzai e entrai nella stanza. La prima cosa a colpirmi fu il suo odore. Forte, pungente, quasi soffocante. Mi travolse e mi fece barcollare, tanto che fui costretto ad appoggiarmi al comodino a fianco del letto. Senza volerlo, urtai la foto che tanto mi aveva colpito la prima volta che l’avevo vista, facendola cadere per terra. Il vetro si ruppe con un suono secco e cristallino, schizzando pezzi lucenti tutto intorno alla cornice. Guardai i tre volti felici che ricambiavano il mio sguardo. Un sorriso eterno era dipinto sulle loro facce.
Poveri ingenui, così ignari del triste destino che da lì a poco si sarebbe abbattuto sulla loro famiglia…
Un movimento ai lati del mio campo visivo mi riscosse. La figura sul letto si stava muovendo, scalciando via quanto restava delle coperte. Poi aprì gli occhi e puntò il suo sguardo color cioccolato sul mio viso.
-Oh!-
La sua esclamazione mi fece sorridere. E quando prese le lenzuola e si affrettò a coprirsi, scoppiai in una sonora risata.
-Non c’è più nulla che io non abbia già visto- commentai.
-È diverso- replicò Bella, alzandosi in piedi, sempre celando il suo corpo –e poi non si entra così in casa d’altri. Potrei denunciarti-
Mi avvicinai a lei, sfiorandole il braccio e facendola trasalire –Accomodati- le sussurrai, la voce rauca. Lei mi fissò, un sorriso malizioso che nasceva sul bel viso. Improvvisamente, guardando quel sorriso, mi tornò in mente il motivo della mia visita.
In un battito di ciglia fui seduto sul letto, lasciandola in piedi in mezzo alla stanza a fissarmi, sorpresa.
-Dobbiamo parlare- dissi. Tanto valeva arrivare subito al punto. Ogni minuto che passavo in quella stanza con lei, col suo profumo, col suo corpo provocante, la mia volontà vacillava.
-Ti ascolto- disse Bella. L’espressione seria che aveva assunto il suo viso mi ferì.
-Non possiamo più vederci- lo dissi di getto, quasi sputando le parole.
Dopo un attimo di silenzio, rispose –Posso sapere il motivo?-
Mi mossi a disagio -È meglio così-
-Per chi è meglio? Per te, Edward? O per i tuoi sensi di colpa?-
La guardai senza capire. I bei lineamenti del suo volto, adesso, erano distorti dall’ira.
-Tu non vuoi più vedermi perché ti senti in colpa con te stesso, con la tua stupida filosofia di vita, con la tua morale blasfema. Sono solo il tuo giocattolino, eppure mi vuoi buttare via. Perché, Edward? Perché ti sei reso conto che io non sono una marionetta? Perché non sei capace di scoparmi senza provare piacere? O c’è altro Edward, eh?-
-Smettila!-
Senza nemmeno accorgermene, ero arrivato a un palmo da lei. Fremevo di rabbia.
-La verità fa male- sussurrò Bella.
Scossi la testa. Avrei voluto dirle che era solo una sgualdrina, che andava a darla in giro per racimolare dei rottami per i suoi sciocchi amici, che sì, era stata il mio giocattolino ma che adesso mi ero stufato.
-Io non ti ho mai usata. Non posso stare con te perché ti farei soffrire, e non voglio-
L’espressione sorpresa sul suo viso doveva essere la stessa che c’era sul mio. Bella allungò una mano e mi sfiorò il viso. Chiusi gli occhi, beandomi di quel contatto.
-Andrà tutto bene, finché stiamo insieme-
Le sue labbra si poggiarono delicatamente sulle mie. Assaporai il suo sapore, così buono, così fresco, così umano. Portai le mie mani sul suo bacino, tirandola a me. Avevo bisogno di sentirla vicina. Lei lasciò cadere il lenzuolo che copriva il suo splendido corpo, avvinghiandosi al mio collo.
Poi, come spesso succedeva, ciò che era nato da quello che forse era amore si trasformò in passione, infiammando le nostre bocche. I nostri respiri erano veloci, non più per l’ira, ma per il desiderio che squarciava le nostre anime.
Ci ritrovammo a rotolarci sul suo letto, baciandoci e toccandoci a vicenda. Le mie dita esperte sfioravano il suo corpo, saggiavano quella pelle morbida, stuzzicavano i punti più delicati. Le mie labbra leccavano, succhiavano e mordevano dolcemente i suoi seni sodi, il suo ventre piatto, facendola gemere di piacere.
Era quel suono a farmi perdere il controllo. Donarle piacere era qualcosa di unico, ancora meglio di quando lei lo provocava a me. Certo, non che il suo tocco e quello che faceva con quella sua incredibile bocca fossero spiacevoli, anzi: nessuno mi aveva mai sfiorato come faceva Bella.
Mi fermai sopra di lei, gli occhi incatenati ai suoi. Sotto di me, il suo corpo fremeva ancora per le mie carezze. Con delicatezza le aprii le gambe, facendo combaciare la sua intimità con la mia. Lo guardai un’ultima volta e Bella annuì, impercettibilmente. Dopodiché entrai dentro di lei, con una sola, poderosa spinta.
Cominciammo a muoverci all’unisono, una perfetta sincronia di corpi e anime. Le nostri pelli sudate, i suoi gemiti strozzati, i miei respiri spezzati. Non era la prima volta che facevamo sesso, ma questa volta era diverso. In quella torrida giornata d’estate, dentro quella piccola stanza, su quel morbido letto, facemmo l’amore per la prima volta.
Quando fui prossimo al punto di non ritorno, successe qualcosa di strano. Un grande piacere mi invase, ma a quello ci ero abituato. Insieme all’orgasmo però, arrivarono anche delle immagini.
Un gazebo, due figure, le stesse della foto, una bambina sull’erba, un sorriso felice, una farfalla che vola, la bambina che la rincorre, una strada, un rombo minaccioso, una macchina che si avvicina velocissima, una macchina argentata che brilla al sole, sempre più vicina, troppo vicina.
E il sorriso non c’è più.





Okkei, lo so, non aggiorno da un sacco di tempo e quando finalmente lo faccio non si capisce niente. Ma se abbassate quelle padelle e rinfoderate i coltelli vi spiego.
Allora. Ho già scritto due FanFic su Twilight, e ho la spiacevole (?) abitudine di dilungarmi. Così, entrambe sono uscire fuori con una trentina di capitoli e passa. Perciò ho deciso che devo riuscire a scrivere una FF normale, non una pappardella infinita.
Quindi. Dopo la gara Edward e Bella hanno continuato a vedersi, e penso si capisca. Ma questo incontro è diverso, questo è un incontro tra anime.
E quelle immagini…vediamo se qualcuno mi sa dire a cosa si riferiscono!
Dico solo che il prossimo capitolo sarà una bomba, perciò preparatevi!
A presto, scuola e vita permettendo!
Elena

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 16. Stingimi, salvami ***








Image Hosted by ImageShack.us





Mi allontanai di scatto da lei, schiacciando il mio corpo nudo contro la parete fredda della stanza. Tremando, mi accasciai a terra, mentre un suono acuto e tremulo perforava le mie orecchie. Capii che era un urlo, un urlo disumano, di puro dolore. E a urlare ero io.
Una pena mai provata prima, un’emozione che squarcia il petto, dilania l’anima, brucia il corpo. Voglio
morire, uccidetemi qui ed ora, non posso più vivere con questa consapevolezza. Non dopo quello che ho scoperto.
Ero stato io. Ubriaco, drogato, oppure solo pazzo, quel torrido pomeriggio d’estate, con la mia macchina, la mia bella Volvo, luccicante sotto il sole. Io che, guidando, non pensavo che a me stesso. Io, che non mi sono fermato in quella piccola stradina con quella piccola bambina.
Sono stato io. Io a togliere il sorriso da quel volto. Io a spezzare quelle ali di farfalla.
Nascosi il viso tra le mani. Non volevo più vedere niente, non volevo più
sentire niente.
Colui-che-sente-i-pensieri, mi chiamavano. Ma in quel momento, l’unica cosa che percepivo era il tremendo e infinito baratro in cui mi ero messo con le mie stesse mani.









Tremavo. Sul mio morbido letto, tremavo di paura e sgomento.
Com’era possibile che tutta la felicità provata appena un attimo prima fosse svanita così all’improvviso?
Sì, io con Edward Cullen ero felice.
Non era stato facile all’inizio. Ciò che era nato come puro desiderio di vendetta si era tramutato in desiderio di lui e basta. Non che avessi accantonato ciò che mi aveva fatto. Ciò che aveva fatto alla mia famiglia.
Avevo voluto ucciderlo. Fargli provare tutto il dolore che avevo sperimentato io nella mia triste infanzia. Ma poi, qualcosa era cambiato. L’avevo conosciuto, e l’affinità tra le nostre anime logore mi aveva sconvolta.
Era uno spirito in pena, in perenne ricerca di qualcosa. Che cosa, nessuno lo sa.
Volevo dargli quel qualcosa. Insieme, ero convinta che avremmo sanato le nostre ferite. Erano nate insieme, e insieme sarebbero guarite.
Gli avevo donato il mio corpo, gli avevo donato piacere. Lo avevo accarezzato, consolato, ascoltato. Avevo gioito con lui, per lui. Avevamo appena fatto l’amore, finalmente, l’Amore vero, quello dello spirito.
Poi, quelle immagini. Quelle memorie, sempre state sbiadite, adesso così nitide, violente, inaspettate. Avevano riempito le nostre menti, disintegrando la felicitò di quel momento.
Guardai Edward che, nell’angolo della mia stanza, singhiozzava sommessamente, il bel volto coperto dalle mani. Mi alzai barcollando e feci per andare verso di lui.
-Non ti avvicinare!-
Mi bloccai, ferita.
-Voglio aiutarti-
-Nessuno può aiutarmi-
Serrai la mascella, infastidita –Chi credi mi abbia aiutata in tutti questi anni?- replicai, facendolo sobbalzare. Subito però mi pentii di quelle parole –Posso essere abbastanza forte per entrambi- continuai, addolcendo il tono della mia voce –lascia che ti mostri-
Ero ormai di fronte a lui. Con delicatezza, tolsi le mani dal suo viso. Guardai quegli splendidi occhi verdi, rigati di rosso, e lessi tutto il dolore e la colpevolezza racchiusi in essi. Lessi l’anima di Edward, e mi spaventò il baratro di vuoto su cui stava per cadere. Afferrai il suo viso e lo trattenni a me, come un’ancora tiene ferma la nave durante una tempesta.
Mi voltai e portai le sue dita sulla lunga cicatrice che sfregiava la mia schiena candida. Gli occhi di Edward seguirono la linea frastagliata della carne, mentre un singhiozzo soffocato usciva dalle sue labbra. Presi la sua mano e la poggiai in corrispondenza del mio cuore.
-Come fai ad amarmi, dopo tutto quello che ti ho fatto?- sussurrò lui.
-Porterò sempre con me il segno di quel giorno- dissi, sfiorandomi la schiena –non sarò mai più perfetta, e niente potrà restituirmi quello che mi è stato tolto-
Edward abbassò il viso, ma la mia mano lo rialzò all’altezza dei miei occhi.
-Ma, nel mio cuore, questo l’ho accettato. La morte dei miei genitori, la mia vita, ciò che sono- continuai –io ho trovato la pace, Edward. Adesso tocca a te. Lascia andare i ricordi, perché non possiamo rifugiarci in essi e dimenticarci di vivere-
-Io ho smesso di vivere molti anni fa- sussurrò lui.
Scossi la testa –So cosa sei- dissi, facendolo sussultare –ma non mi interessa. Non sto parlando di quella vita. Sto parlando del presente, di quello che sei. Tu sei Edward Cullen, e io ti amo. Voglio vivere questa vita con te, voglio fare l’amore con te, voglio essere felice insieme-
-Anche io ti amo-
-E allora lasciali andare, amore mio- afferrai i suoi capelli e lo tirai a me, baciandolo con forza sulle labbra.
-Lasciali andare- ripetei, mentre le mie lacrime si mischiavano ai nostri baci.








Bella guarda l’orologio. È in ritardo. Batte il piede per terra, con impazienza. Mantieni la calma, si dice. Hai aspettato diciotto anni, un’ora in più non farà differenza.
Finalmente compare all’orizzonte. Una figura minuta, leggiadra, che percorre quel dannato vialetto con una calma quasi irritante. Lei sta per conoscere l’unica cosa le interessi, sta per svelare lo scopo delle sue ricerche, finalmente conoscerà il volto del suo quasi-assassino. Bella fa un bel respiro.
È arrivata di fronte a lei. Allunga una mano e Bella la stringe.
-Isabella Swan- si presenta. È da tempo che non usa il proprio nome. È stata molte persone nella sua vita, ma quel giorno sente di dover essere se stessa.
-Alice- dice quella, sorridendo dolcemente. A Bella ricorda un folletto dei boschi.
-Vuole entrare?- chiede educatamente.
-Preferirei rimanere fuori. Magari sederci sotto quel gazebo?-
Bella guarda l’ultimo luogo dove è stata felice quand’era bambina, e annuisce lentamente. Si siedono sulle tiepide sedie di plastica bianca. Bella pensa che le ultime persone a essersi sedute là sono state i suoi genitori.
-Allora, cosa vuole sapere da me?- chiede Alice.
Bella rimane in silenzio, spiazzata dalla franchezza di quella strana ragazza. Quando si riprende, risponde con sicurezza.
-Il nome di chi mi ha fatto questo-
Si volta e scopre la schiena martoriata. Si risistema la leggera giacchetta e si volta verso Alice. L’espressione sul suo viso è turbata, come quella di tutti coloro che vedono la sua cicatrice per la prima volta.
-Mi dispiace-
-Mi dica il nome-
-Ne è proprio sicura?- chiede Alice, sporgendosi verso di lei. Sembra sinceramente preoccupata per lei, e Bella rimane un attimo interdetta. Non è abituata a tutta quella premura.
-Ho speso la mia vita a cercare chi ha distrutto la mia famiglia- dice, la voce fredda e sicura –non mi fermerò adesso che sono arrivata alla
fine-
Alice annuisce e, senza distogliere lo sguardo da lei, tira fuori una fotografia dalla tasca dei pantaloni. La porge a Bella, poi si volta e si mette ad osservare il giardino.
Bella guarda la foto. Una macchina lucida, argentata.
-È una Volvo C30- dice Alice. Bella alza lo sguardo, ma la ragazza sta ancora esaminando le aiuole di fiori.
-Cosa significa?-
-Non è quello che volevi?- finalmente Alice si volta e la guarda –la fine della tua ricerca?-
Bella apre la bocca per replicare, ma Alice è già in piedi e si sta avviando verso la via di casa.
-Aspetta!- la richiama Bella. Avrebbe mille domande da fare a quella strana ragazza.
Alice si volta un’ultima volta verso di lei, sorridendo –Io ti ho dato di più. Ti ho dato un
inizio-












FINE



















Ecco la fine. O, per dirla come Alice, un inizio.
Lo so, sono stata criptica. Ma questa parola mi piace, e anche quest’ultimo capitolo mi pare uscito bene.
Che altro? Mi scuso per le numerose interruzioni che ha avuto questa storia. Non è stata facile da scrivere e ha dovuto tener testa alle altre venticinquemila che stavo scrivendo. Ma alla fine è venuta fuori più o meno come l’avevo pensata all’inizio, e vi devo dire che non mi dispiace affatto. Spero che sia piaciuta anche a voi, interruzioni a parte.
Se Fortuna vorrà, ci vedremo presto con altre storie. Per chi volesse lasciarmi un proprio parere (‘cibo per capre’ compreso) il link delle recensioni smania per essere cliccato.
Tanti baci e abbracci, nell’attesa della prossima storia!
Elena

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=354205