More than ice cream [traduzione di lithtys]

di aliciablade
(/viewuser.php?uid=16244)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** parte prima ***
Capitolo 2: *** parte seconda ***
Capitolo 3: *** parte terza ***



Capitolo 1
*** parte prima ***


Note della traduttrice: questa ff è tradotta da lithtys col permesso dell'autrice.

MORE THAN ICE CREAM

by Alicia Blade

La stavo guardando da più di un'ora e giuro che la matita non si era fermata un momento. Naturalmente, sembrava quasi che stesse usando più la gomma rosa che la mina, ma d'altra parte, era determinata. E concentrata in quel che faceva. Non mi aveva neanche visto, ed ero seduto proprio nella sua linea di tiro. Stava scarabocchiando, i suoi adorabili occhi blu un momento fiammeggiavano ferocemente guardando la carta, il momento dopo fissavano pensierosamente il vuoto. Le sue labbra passavano dal sorridere in modo sognante, all'incresparsi per la concentrazione, al chiudersi gentilmente attorno alla matita mentre pensava ancora un po'. Ogni tanto si sarebbe fermata con un sospiro e avrebbe scosso il polso mentre rileggeva l'ultima coppia di pagine, prima di rituffarsi nella scrittura.

"Cosa diavolo sta facendo?", borbottai, sentendo la presenza del mio migliore amico all'improvviso di fianco a me.

"Non ne ho idea. Ma sicuramente sembra determinata a farlo, qualsiasi cosa sia".

Annuii. Non era mai stata così intenta a fare nulla, neanche a magiare il gelato - che è uno dei suoi passatempi preferiti".

"Forse un compito?".

"Ci sono le interruzioni per le vacanze estive".

"Oh, già", ridacchiai. "Inoltre, se mettesse tutto quell'impegno nei compiti, forse passerebbe qualche verifica di tanto in tanto".

Potevo sentire l'occhiata sarcastica di Motoki senza neanche distogliere lo sguardo dalla ragazza.

"Sei impossibile", mi rimproverò.

"Scusa. La forza dell'abitudine. Lo sai che non lo intendo davvero".

Sospirò. "Si, lo so. Ma lei no".

Abbassai lo sguardo.

"Allora dato che sei così curioso di sapere qual'è il suo progetto, perché non vai a chiederglielo?".

"Stai scherzando? E rovinare quella concentrazione? Probabilmente la spaventerei a morte".

"Non ti ha mai fermato prima. Inoltre, non ho mai pensato che tu fossi tipo da lasciar perdere un incontro con Usagi-chan".

Alla fine distolsi lo sguardo da lei e fissai Motoki, fingendo che il rosso che andava velocemente diffondendosi sul mio volto fosse rabbia. Non ingannai nessuno, neanche me stesso. "Forse fra un po'", dissi finalmente, tornando a guardarla. Dopo tutto, per quanto amassi parlare con lei, amavo anche guardarla. Specialmente ora, quando era così concentrata su qualcosa. Non l'avevo mai vista stare immobile per tutto quel tempo. La sensazione era simile ad inciampare in un tesoro nascosto.Volevo raccoglierlo fra le braccia, ma allo stesso tempo, volevo solo sedere e guardarlo con aria sciocca e lasciarlo completamente da solo.

"Fai come vuoi. Non farti solo beccare a fissarla. E'bava quella che vedo sul tuo mento?".

Questa volta, l'occhiata fu un po'meno forzata e accompagnata da una pacca che probabilmente avrebbe potuto essere più gentile. Rise, e andò a servire un cliente dall'altro lato del bancone.

Sospirando, mi girai e la guardai ancora un po'. I suoi stupendi occhioni stavano fissando fuori dalla finestra, persi in qualche pensiero, il più tenero dei sorrisi faceva mostra di sé in ogni suo lineamento, la sua pelle ed i suoi capelli biondi catturavano il sole che andava tramontando. Lentamente, fece cadere la penna dalle dita e abbassò lo sguardo sul suo quaderno. Lo fissò per lungo tempo, saltellando fra le pagine, leggendo ciò che aveva scritto, ma non riprese mai la matita. Infine sospirò e, chinandosi sul block notes, baciò l'ultima pagina.

Guardai incantato, il cuore che batteva forte, per non dire selvaggiamente, dietro ai polmoni. Come invidiavo quel quaderno.

Alla fine, quando sembrò che tutte le sue idee, la sua ispirazione e determinazione, fossero completamente svanite, scivolai dallo sgabello e mi incamminai verso di lei.

Mentre mi avvicinavo, sapevo che tuttavia quel tesoro nascosto non si sarebbe mai raccolto di sua volontà fra le mie braccia.

"Heilà, Odango Atama", dissi, sedendomi di fronte a lei.

Ansimò, guardando in su verso di me, la faccia che andava notevolmente impallidendosi, prima che afferrasse il quaderno, chiudesse la copertina e lo stringesse contro il petto. "Che cosa vuoi?", battibeccò, prima che una sfumatura di rosso le tingesse le guance.

Sogghignai. Qualsiasi cosa ci fosse in quel block notes, doveva essere interessante. "Sapere che cosa hai scritto in quest'ultima ora. Non ti ho mai vista così concentrata su un quaderno prima d'ora".

"Niente che ti possa interessare", replicò con rabbia, il rossore che andava accentuandosi sulle sue guance.

Sollevai un sopracciglio, gustandomi completamente ogni momento della sua furiosa espressione. Nonostante non fosse la mia maniera ideale di trascorrere il pomeriggio con lei ( qualcosa come una romantica passeggiata nel parco rispondeva più a questa descrizione), prendevo ciò che potevo. E in questo momento, era questo ciò che potevo avere. E meritava ogni momento.

"Di cosa ti imbarazzi? Stai scrivendo qualche bollente, romantica storia o simili?".

Arrossì, gli occhi si spalancarono enormemente, e quasi soffocai. Dio, non poteva essere. Solo il pensiero mi faceva quasi contorcere dalle risate. Ma in qualche modo, resistetti.

"Naturalmente no, Mamoru-hentai!", strillò, saltando dallo sgabello. "Perché per una volta non vai a infastidire qualcun'altro?". Sempre stringendo il quaderno al petto, si precipitò fuori dalla sala giochi.

Quando se ne fu andata, sospirai e mi appoggiai allo schienale. Non ci volle molto perché Motoki tornasse e si appoggiasse al tavolo, scuotendo la testa.

"Sai, un giorno o l'altro dovrai dirglielo".

Sogghignai furbamente. "Già. In questo modo, non mi parlerà MAI più. Grande idea". Sospirai. "Inoltre, anche se è solo per tormentarla...almeno ho quello".

Roteò gli occhi. "Impossibile", borbottò, dandomi dei colpetti sulla spalla mentre se ne andava.

...

Il sole iniziava a tramontare mentre mi ritrovai a camminare verso casa. Tagliai per il parco, come facevo ogni qual volta ne avessi la possibilità. Era di gran lunga uno dei più bei posti di Tokyo, con i suoi alberi, campi d'erba e i laghi e gli stagni così tranquilli. Era il posto perfetto per sognare, e naturalmente, io mi ritrovavo sempre a immaginare una ragazza. Una stupefacente ragazza.

Una sorprendente ragazza seduta su una panchina non distante neanche 50 piedi da me.

I miei piedi si fermarono mentre la guardavo. Mi dava la schiena, ma avrei riconosciuto la sua acconciatura ovunque. Mentre mi avvicinavo, vidi che aveva i piedi sulla panchina, le braccia che abbracciavano le ginocchia mentre fissava il lago. Questo scintillava di arancio, rosso e rosa, le luci si riflettevano nei suoi occhi. Notai anche che aveva ancora il quaderno, e che lo teneva sempre stretto al petto.

Esitai un momento, odiando il fatto di dover interrompere il tranquillo incantesimo che sembrava essere sopra di lei, ma non potei resistere alla tentazione. Motoki aveva ragione; non ero tipo da lasciar perdere un incontro con Usako.

"Ci incontriamo di nuovo, Odango".

Mi guardò, sussultando di nuovo, ma non totalmente turbata come prima. Battè le palpebre, quasi come se non avesse udito le mie parole, ma dopo i suoi occhi si oscurarono lentamente e mi guardarono indispettiti. "Oh, sei di nuovo tu", borbottò, e si girò a guardare il tramonto.

Mi schiarii la voce. "Posso sedermi con te?".

I suoi occhi si spalancarono mentre i suoi pensieri elaborarono la mia richiesta. Infine, con un alzata di spalle quasi impercettibile, sussurrò, "Certo".

Sedendomi sulla panchina, feci in modo si lasciare una distanza appropriata fra di noi, sebbene non volessi altro che sedermi vicino a lei, ed avvolgere il braccio attorno alle sue spalle. Non osai e lo spazio vuoto della panchina sembrava freddo e triste per questo.

"Allora, mi stai facendo impazzire", dissi alla fine, quasi sussurrando, odiando dover rompere il silenzio.

Si girò verso di me, le labbra rosa e piene, spalancate per la sorpresa. "Che cosa intendi?".

Sogghignai e le indicai il quaderno. "Non riesco a capire che cosa ci sia di così importante lì dentro da portarlo con te tutto il giorno. Sto morendo dalla curiosità".

Lo stupore nei suoi occhi si affievolì e guardò giù all'erba, tirando le ginocchia ancora più vicino. "Non capiresti".

Sbattei le palpebre. "Oh? Sei sicura?".

Annuì.

"Suvvia, che cos'è? Un'agenda? Una poesia? Un diario?".

Pensai di aver visto il principio di un sorriso farsi strada sul suo volto, ma si voltò dall'altra parte. "No. Nessuno di questi".

"Allora che cos'è?", quando si zittì, osai avvicinarmi a lei. Non si tirò indietro. "Se indovino, me lo dirai?".

Roteò gli occhi, tirando un sospiro esagerato. "Va bene". Ma questa volta potei vedere il sorriso più chiaramente e mi chiesi se si stesse divertendo per questa sciocca conversazione. Non osai sperare.

"Allora...non è un'agenda , né una poesia e neanche un diario?".

"No, no e no".

"Allora è...una lista delle cose da fare?".

Il suo volto apparì stizzito e risi.

"Non penso sia questo. Forse una storia?".

"No".

"Può essere un disegno?".

"Uh-uh".

"Stai iniziando presto un progetto di ricerca?".

Rise."Si, giusto!".

Pensai per un bel po', aggrottando le sopracciglia, prima di tirare un lungo sospiro. "Mi arrendo. Non me lo dirai?".

Fu silenziosa per un lungo momento, i suoi occhi mi guardavano. La fissai a mia volta, cercando di sembrare amichevole e gentile. Non era difficile, visto che tutto ciò a cui riuscivo a pensare, oltre al misterioso diario, era piegarmi in avanti e baciarla. Sperai che non riuscisse a leggere i miei pensieri con quegli occhi penetranti. Ma naturalmente, se avesse potuto, allora avrebbe scoperto il mio segreto molto tempo fa.

"Devi promettermi di non ridere".

"Potrei ridere?".

Il suo sguardo diceva che beh, si, naturalmente avrei riso. Sospirai, e mi feci più vicino. Ci stavamo quasi toccando. Potevo sentire il suo profumo. Mi sforzai di stare concentrato.

"Prometto di non ridere".

Facendo un profondo respiro, distolse lo sguardo e fissò il cielo ormai rosa. "E'...una lettera".

Aspettai, per vedere se diceva ancora qualcosa, ma non seguì nulla.

"Una lettera", ripetei. "Per chi?".

"Non posso dirtelo!".

"Oh", dissi sogghignando. Ci fu un lungo, calmo momento di silenzio.

"E'una lettera d'amore", alla fine sussurrò, così piano che la udii a malapena. Guardai in giù, verso il suo piccolo e timido viso rivolto verso il cielo. Per un momento, pensai di averla vista tremare, ma dopo pensai che forse era solo stato un brivido.

"Oh", dissi di nuovo, sentendomi depresso e stupido per la mancanza di parole. Per un breve momento, un guizzo di speranza entrò nella mia mente e mi chiesi se poteva mai...possibile che...Ma non appena mi venne questo pensiero, lo misi da parte. Che sciocco. Sapevo già per chi era. Guardai il terreno, inghiottendo per liberare la gola dalla sua improvvisa secchezza. "Per Motoki, suppongo", dissi, sentendo crescere il blocco nel mio stomaco, proprio come accadeva ogni volta che pensavo alla sua cotta per il mio migliore amico. Naturalmente, non potevo biasimarla. E non potevo esserne invidioso. Dopo tutto, era molto più carino con lei di quanto non lo fossi io. E lei non aveva idea di quanto io...non ne aveva nessuna idea.

"No", rispose, le nocche che diventavano bianche mentre stringeva il quaderno. "Non è per Motoki".

"Non lo è?", boccheggiai, fissandola. Scosse la testa, non ricambiando il mio sguardo. "Oh". Cercai disperatamente chi altri avrebbe potuto essere, ma mi accigliai, sapendo che aveva così tanti amici di scuola che non avevo mai incontrato. Le possibilità che lo conoscessi erano molto scarse. Non che tuttavia importasse.

"Vedi? Lo sapevo che non avresti capito", borbottò improvvisamente, nascondendo il viso nelle ginocchia.

La fissai, i capelli d'oro che cascavano sulle spalle e giù per la schiena, il collo pallido, quasi bianco contro il mondo che andava oscurandosi. "Che cosa intendi?", sussurrai, osando allungare una mano verso la sua schiena. Accarezzai dolcemente il materiale della sua maglietta, proprio lungo la parte superiore della spina dorsale, dopo lasciai che il mio palmo si fermasse lì, col cuore che palpitava a quelle carezze. Fece un sospiro improvviso, ma non si mosse. Lascia la mia mano dove si trovava. "Che cosa intendi col dire che non capisco?Io...potrei".

"Oh, certo", la udii borbottare sarcasticamente. Mi avvicinai per essere sicuro di sentire ogni parola e percepii il gentile profumo del suo shampoo. "Sono sicura che sai tutto dell'amore non corrisposto!".

"Non corrisposto?", dissi, chiedendomi se avessi capito male.

Annuì. "Non gli piaccio per nulla". La sua voce turbata inaridì il mio cuore. Non l'avevo mai sentita così persa e senza speranza.

La guardai scioccamente, mentre le sue piccole spalle iniziavano a tremare e seppi che stava ricacciando indietro le lacrime. "Sei sicura?", chiesi con la voce roca, chiedendomi come una cosa così fosse possibile. Come poteva non piacere ad ogni ragazzo? Come poteva costui non volerla stringere ed amare e vedere il suo meraviglioso sorriso? Era incomprensibile.

"Si, lo sono...", fece una pausa, sollevando un poco la testa e inclinandola nella mia direzione, leccandosi le labbra. "Beh, almeno...sono...sono abbastanza sicura".

Sentii un sorriso increspare le mie labbra alla sua modestia. Naturalmente non ne era sicura. Una cosa così era impossibile. Sospirando, mi feci coraggio e avvolsi il braccio attorno alle sue spalle. Si irrigidì per un breve momento, poi scivolò nel mio abbraccio, la sua schiena accoccolata contro il mio fianco.

"Allora è un completo idiota", dissi.

Si voltò a guardarmi, con gli occhi spalancati e lentamente, un sorriso divertito le curvò le labbra. "Questo è quello che gli ho sempre detto".

Mi accigliai, non capendo il luccichio nei suoi occhi, ma lei si girò velocemente, il piccolo sorriso che scompariva prima che avessi un'opportunità di analizzarlo.

"Hai...", iniziai a chiedere, la voce intrappolata in gola. Schiarendola, provai di nuovo, odiando le parole che uscirono già mentre le dicevo. "Hai intenzione di dargliela?".

"Non posso".

"Perché? Non penso sia davvero possibile che tu...tu non gli piaccia, Usagi-chan".

Era tranquilla mentre mi guardava con la coda dell'occhio. "Mi hai chiamata Usagi".

Realizzando che aveva ragione, trattenni un sorriso canzonatorio. "Scusa. Non accadrà più".

L'intensità del sentirla così vicino, così calda contro di me, iniziava a sopraffare i miei sensi, e lentamente cominciai a sfregare la mano sulla parte superiore del suo braccio, fingendo di cercare di tenerla calda. In realtà, stavo provando a tenerla al mio fianco per sempre.

"Te l'ho già detto. Non posso dargliela. Inoltre, so che non ricambierà mai i miei sentimenti. Vedi, sapevo che non avresti capito. Naturalmente nessuna ragazza ti ha mai respinto". Potevo sentire una sfumatura di amarezza nella sua voce e sbiancai, a bocca aperta. Ci vollero tutti i miei sforzi per non scoppiare in una risata ironica.

"Odango, penso di capire meglio di quanto tu creda".

"Davvero?".

Annuii, trattenendo il fiato e distogliendo i miei occhi da lei. Il cuore mi batteva così forte che ero sorpreso non mi chiedesse da dove arrivava tutto questo chiasso.

Guardò in su verso di me, stupore e curiosità scritte sul suo volto. Almeno non sembrava più che stesse per piangere da un momento all'altro.

"Una volta...sono stato innamorato", mentii a metà, "di una splendida ragazza". Misi un'enfasi speciale su splendida, fissandola nei suoi meravigliosi occhi, guardando le sue ciglia scure ondeggiare ignaramente. "Mi odiava", conclusi, vedendo la sua faccia cambiare mentre ascoltava la mia storia breve, triste e molto vera.

Increspando le labbra, si girò lentamente. L'ultimo frammento di tramonto rossastro si aggrappò all'orizzonte e lei, inconsciamente o no, non lo potevo dire, si accoccolò ancora di più nel mio abbraccio. Pensai di averla udita sussurrare, "Stupida ragazza", ma non potevo esserne sicuro.

La figurai nella sala giochi poco tempo fa, che scriveva la lettera, così intensamente, in modo così completo, riversandoci tutto il suo cuore, ed il pensiero quasi mi spezzò il cuore. Se non fossi stato così felice di abbracciarla, probabilmente sarei scoppiato in lacrime. Poi pensai a lei, da sola, di notte, che sognava quest'altro ragazzo, che si struggeva per lui, che lo amava e nonostante il mio cuore fosse straziato dalla gelosia, si scioglieva in solidarietà. Conoscevo quel dolore. Lo conoscevo troppo bene.

Non volevo per nulla che lo conoscesse anche lei.

"Usagi-chan", dissi gentilmente, rompendo il mio voto e usando il suo vero nome. "Penso che dovresti considerare l'idea di dirglielo".

"Perché?", sussurrò.

"Perchè...se è vero amore, allora...te lo meriti. Te lo meriti più di qualsiasi altro in questo mondo. E se lui non ti ricambia, allora...", sospirai, stringendola più forte. "Allora se vuoi, lo prendo a botte".

Rise, ed il suono mi allettò l'anima. Che cosa avrei dato per essere il nome scritto così amorevolmente in quel quaderno.

"Grazie, Mamoru-san. Credo...che ci penserò".

"Okay". Sospirai, guardando in su mentre le prime stelle brillavano nel cielo. "Ora probabilmente dovresti andare a casa. Qualcuno si starà iniziando a preoccupare". Per quanto volessi rimanere lì per il resto della notte, sapevo di non poter essere così egoista, specialmente quando avrebbe potuto mettersi nei guai. Inoltre, stava probabilmente immaginando che io fossi il ragazzo che amava ed questo pensiero mi spezzò il cuore. Se poteva essere dilaniato ancora di più.

Annuì tranquillamente e si alzò. Le sue braccia erano ancora avvolte attorno al block-notes e di nuovo sentii crescere la gelosia. Quel quaderno riceveva un po'troppa della sua attenzione in questi giorni.

"Grazie", sussurrò, gli occhi che scintillavano. Il mio cuore si contorse per l'amore e la compassione e, crudele ironia, dicendomi che se avessi fatto questo mesi fa, ora le cose avrebbero potuto essere diverse.

"Prego. Vuoi che ti accompagni a casa?".

Scosse la testa. "No, grazie comunque. Starò bene".

Annuii, non amando l'idea di lei che camminava verso casa da sola di notte, ma sapendo che c'erano ancora molte persone in giro. Sapevo anche che se mi fossi trovato da solo con lei sulla porta di casa, avrei potuto non essere in grado di resistere alla tentazione di darle un bacio.

"Buona notte, allora".

Sorrise. "Buona notte, Mamo...Mamoru-san".

_____________________________________________________________________

Note di lithtys: le ff di Alicia Blade sono tutte molto belle, ma questa l'ho trovata particolarmente carina. Cosa ne pensate?

A presto con la seconda parte!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** parte seconda ***


Note della traduttrice: questa ff è tradotta da lithtys col consenso dell'autrice.

MORE THAN ICE CREAM

by Alicia Blade

PARTE SECONDA

Motoki venne ad aprire la porta del suo appartamento in pantaloni di flanella e maglietta, con lo spazzolino in bocca. Sbattè le palpebre incuriosito quando mi vide sulla soglia, mi guardò dalla testa ai piedi ed i suoi occhi si riempirono di comprensione. Questo era il motivo per cui me lo tenevo intorno.

"Vieni dentro", borbottò con la bocca impastata di dentifricio e mi fece cenno di andare verso il salotto, chiudendo la porta dietro di me.

...

"Allora, cosa è successo?", mi chiese Motoki, versandomi una tazza di caffè cinque minuti più tardi. Ero sdraiato su suo divano, che fissavo il soffitto, ringraziando la mia buona stella per essermi costruito una così forte resistenza al pianto attraverso gli anni.

"Ho scoperto che cosa stava scrivendo Usagi oggi".

"E?".

Mise sul tavolo la mia tazza di caffè e si sedette sulla sua poltrona preferita, guardandomi. Mi presi molto tempo per rispondere, temendo le parole che sapevo sarebbero eventualmente uscite dalla mia bocca.

"Era una lettera d'amore. Non c'è bisogno di dire, che non sarò il fortunato che la riceverà".

Mi fissò silenziosamente, per un momento, prima di scuotere la testa e appoggiarsi all'indietro.

"Mi dispiace, Mamoru. Ti ha...ti ha detto per chi era?", la sua voce era esitante e preoccupata, e sorrisi gentilmente alla sua preoccupazione.

"No. Ma ha detto che non era per te. Così credo che, dopotutto, non dovrò ucciderti".

Sogghignò, apparentemente confortato nel sapere che il mio senso dell'umorismo era ancora in qualche modo intatto, ma il suo sguardo vacillò vedendo che non ricambiavo il sorriso. "Sai, è di Usagi che stiamo parlando. Intendo, si innamora molto facilmente. Sono sicuro che questo nuovo ragazzo è solo un'altra delle sue fasi. Non dovresti preoccuparti troppo. Sai come sono le ragazze".

Scossi la testa e lui smise di parlare. "No, Motoki, non penso che questa sia solo un'altra fase, per quanto desidererei che lo fosse. Tu non l'hai vista. Questa volta era diversa. Diversa rispetto a quando guarda te, o qualche ragazzo sul marciapiede. Era...", sospirai, chiudendo gli occhi. "Era lo stesso sguardo che hai te quando parli di Reika. Era lo stesso sguardo che sono sicuro di avere quando parlo di lei".

L'unico suono nell'appartamento era il ticchettio dell'orologio mentre Motoki assimilava ciò che gli avevo detto. Finalmente, udii il familiare cigolare della sua poltrona e del pavimento mentre si alzava. "Bevi il tuo caffè", disse. " Ti porto alcune coperte".

...

Lasciai l'appartamento di Motoki la mattina dopo prima che lui si svegliasse, piegando le coperte in una pila sul braccio del sofà. Naturalmente, ero consapevole che lui era il miglior amico che un ragazzo come me avrebbe mai potuto avere. Non giudicava mai, era sempre pronto a dare consigli o anche solo ad ascoltare. E capiva, almeno per quel che riguardava Usagi. Pensai al giorno in cui gli avevo detto la verità, molti mesi fa. Guardandomi indietro, non potei credere a quanto fossi stato nervoso nel dirglielo. Naturalmente aveva capito. A volte, mi sentivo come se lui sapesse meglio di me che cosa stavo attraversando. Dopotutto, non era estraneo all'amore. Lo aveva trovato in Reika, la sua ragazza da quasi quattro anni. Fortunatamente per lui, l'amore aveva anche trovato lui.

Il giorno in cui gli avevo confessato ciò che per settimane avevo tentato di negare anche a me stesso, era un giorno come gli altri. Avevo visto Usagi alla sala giochi, l'avevo chiamata Odango Atama, mi aveva dato del baka crudele e senza cuore, poi se n'era andata via risentita mentre il suo viso era ancora rosso per la rabbia. L'avevo seguita con lo sguardo il più a lungo che avevo potuto e quando mi ero girato - c'era lui, Motoki, che mi guardava con la sua famosa espressione "sta accadendo qualcosa e tu stai per dirmi che cosa".

Mi ero appoggiato indietro, guardandolo negli occhi in modo da spaventarlo. "Posso aiutarti?".

La sua bocca sorrise con arguzia. "C'è niente che mi vuoi dire?".

Sbattendo le palpebre, mi sforzai di respirare profondamente, sapendo già che aveva capito. "Che cosa intendi?".

"Ultimamente, ti stai comportando in modo strano. Specialmente intorno ad Usagi".

"Non capisco cosa intendi. Tutto è, come è sempre stato".

"Per quanto riguarda gli insulti e le prese in giro, si, ma vedo il modo in cui la guardi. E penso di sapere cos'è".

Lo fissai con incredulità, cercando di fare del mio meglio per apparire shockato e disgustato, ma quando il suo perspicace sorriso non si affievolì, lo ammisi e lasciai cadere la maschera. "Ok, mi hai beccato".

Sogghignò alla mia sconfitta, ma era più affettuoso, e forse anche orgoglioso, che beffardo. "Da quando?".

Sospirai. "Da quando l'ho sentito o da quando l'ho capito?".

"Entrambi".

Scuotendo le spalle, "Ne sono consapevole da quasi un mese. Ma l'ho sentito...", scossi la testa, scrutando il tavolo di fronte a me, "da quando l'ho incontrata".

Annuì. "Lo sapevo".

"Non è che importi", dissi, roteando gli occhi e sopprimendo i miei sognanti sentimenti che mi scaldavano il cuore. "Intendo, chi voglio prendere in giro? Non proverà mai nulla per me".

"Non lo puoi sapere. Forse se tu addolcissi le tue prese in giro".

"Già, e questo non la agiterebbe. Abbiamo una routine. Se la incasino, chi sa cosa potrebbe accadere?".

"Esattamente. Chi lo sa? Inoltre, Mamoru, non siamo all'asilo. Stuzzicare una ragazza non è il modo per conquistare il suo affetto".

"Si, ne sono consapevole. Grazie, dottor Phil".

"Sicuro, Romeo. Allora, sarai più carino?".

"No".

"No?".

Sorrisi tristemente. "Motoki, non ho mai, mai sentito nulla di simile prima d'ora. Mi conosci, non sono uno che è preso dalle ragazze e dalle romantiche storie d'amore, ma c'è qualcosa in lei. E non solo questi bisticci mi fanno, in un certo modo, parlare con Usagi, ma mi sento a mio agio. Posso gestirli. Intendo, non posso neanche immaginare che sciocco ciarlatore diverrei altrimenti. Inoltre, perchè mai dovrebbe perdonarmi per il modo in cui l'ho trattata?".

"Perchè è Usagi. Perdonare è quello che fa. E'amica di Rei, per amor di Dio!".

Risi, sapendo che aveva ragione.

"Ma fai quello che vuoi. Per come la vedo io, ti stai solo scavando la fossa più profonda, ma hey, almeno è caldo laggiù, giusto? Anche senza il sole".

Sogghignai. Ha sempre le migliori, e le peggiori, analogie per tutti quelli che conosce.

"Senti, Mamoru,", continuò, riempiendomi nuovamente la tazza di caffè, "Credi...non credi...che questo sia il vero amore, vero?".

Fissai la nera bevanda, vedendo il mio riflesso guardarmi a sua volta. "Penso che questa sia l'unica cosa vera che ho conosciuto in tutta la mia vita".

...

Da quel giorno, le prese in giro erano continuate, ma avevo iniziato a cercare ogni opportunità per aggiungere un po'di gentilezza, piccoli avvertimenti di ciò che volevo realmente dirle. Un complimento qui, la più piccola scusa lì. Il suo sguardo era sempre impagabile, come se stesse cercando di capire se aveva solo immaginato di sentirmelo dire; come se stesse cercando di essere sicura che stesse parlando al solito ragazzo. Avevo iniziato ad adorare quello sguardo ancora di più rispetto ai cipigli imbarazzati ed innervositi che solitamente incontravo. E come la sottile confessione stava diventando più prossima, allo stesso modo lei diventava più affabile. Qualche volta, sembrava quasi che stesse per sorridermi. Anche se non lo aveva mai fatto.

Non fino a quella notte, almeno. Ed era stato per la ragione sbagliata. Non lo sapeva. Non lo avrebbe mai saputo. Il suo cuore non mi apparteneva. E non mi sarebbe mai appartenuto.

La prima cosa che feci quando raggiunsi il mio appartamento fu di scivolare sotto la doccia, l'acqua calda quanto potevo sopportarla, sperando che portasse via un po'del mio dolore. Non lo fece.

...

Non vidi Usagi quel giorno. Infatti la evitai. Non potevo proprio sopportare il pensiero di esserle vicino sapendo una volta per tutte che la mia situazione era senza speranza. Sapendo che non solo non era mia, ma che stava per diventare di qualcun'altro. Ed il giorno in cui la sua lettera d'amore avrebbe trovato il ragazzo per cui era stata scritta era il giorno in cui la mia vita come la conoscevo, sarebbe finita. Perché naturalmente, non importa che cosa aveva detto o creduto, quel ragazzo ovviamente, si sarebbe innamorato di lei. Onestamente, quale uomo non prenderebbe il più inestimabile tesoro che abbia mai trovato? Così lui sarebbe stato felice e anche lei ed io...

Non volevo essere lì quando sarebbe accaduto.

Motoki mi chiamò durante la sua pausa pranzo. Non si preoccupò di chiedermi perchè non ero più andato a prendere il mio giornaliero caffè mattutino. Certamente, sapeva già la risposta. Invece, mi chiese come stavo e, data una vaga risposta, si accinse a cercare di farmi sentire meglio. I suoi metodi erano a dir poco rischiosi, ma sapevo che ci metteva il cuore.

"Allora...Usagi ha chiesto di te stamattina".

"Lo ha fatto?", chiesi, col cuore che palpitava.

"U-huh. Ha chiesto se eri stato già qui o se pensavo che saresti venuto. Le ho detto che ne dubitavo". Si fermò. "Sembrava molto delusa".

Non potei evitare di sorridere al pensiero. Almeno non mi odiava ancora. Mi chiesi se ora mi considerasse persino un amico. Dopotutto mi aveva confidato un segreto molto grande. Un mese fa, diavolo, una settimana fa, sarei stato estasiato a tale prospettiva. Ma ora, non sembrava più avere in sè la stessa promessa, la stessa speranza.

"Mamoru", continuò Motoki con esitazione. "Sei SICURO che la lettera d'amore non fosse per te?".

Risi senza allegria.

"No, sono serio. Intendo, non ha detto per chi fosse, e normalmente mi dice quando ha una nuova cotta, ma non ho sentito nulla di questo nuovo ragazzo. Ma se i sentimenti sono così forti come tu presumi, e sei tu, allora ha senso che non me lo abbia detto, giusto?".

Sospirai. "Motoki, grazie, davvero, per quello che stai cercando di fare, ma se fossi io il ragazzo, non me lo avrebbe per nulla detto, no?".

"Beh, non necessariamente. Forse era un modo per testare le acque, sai? Vedere che reazione avresti avuto prima di buttarsi in qualcosa".

Eccolo di nuovo con quelle analogie. Nonostante, pensandoci, avesse un certo senso. Scossi la testa. "Motoki, per favore smettila. Mi rende solo le cose più difficili".

Sospirò. "Bene. Mi dispiace. E'solo che, beh, da quando mi hai detto come ti senti, ho sempre avuto questa sensazione che tu l'avresti infine ottenuta, capisci? Non mi è mai davvero venuto in mente che tu potessi realmente perdere questa volta".

"Come tutte le altre volte, intendi?", dissi, alludendo alla mia molto anormale, ed anche tragica, infanzia.

"Già. Onestamente pensavo che questa volta...".

"Beh, grazie. Fa bene sapere che qualcun'altro è dalla mia parte".

"Ne hai mai dubitato?".

"No. Ma comunque, non ha neanche il mio indirizzo. Come potrebbe spedirmela? Non c'è alcun modo...".

"In realtà, il tuo indirizzo ce l'ha".

Sbattei le palpebre. "Ce l'ha?".

"Si. Credo...non ti ricordi?".

"Di che cosa stai parlando?".

"Oh. Um, forse mi sono dimenticato di dirtelo".

"Motoki", dissi duramente, accigliandomi. Nonostante non potesse vedere la mia faccia, sono sicuro che lo aveva sentito nella mia voce. "Come ha avuto il mio indirizzo?".

"Beh, un paio di mesi fa stava per fare questa enorme festa di compleanno per una delle sue amiche. Penso fosse Rei. E voleva mandare degli inviti formali a me ed a te, così le ho dato il tuo indirizzo, ma dopo i suoi genitori hanno deciso che non poteva farla, così non si è mai svolta. Scusa, pensavo lo sapessi...".

"Motoki, come hai potuto dimenticartene? Oh, non prendertela, non importa. Tanto questa lettera non è per me".

Non disse nulla, e potevo dire che voleva continuare a discutere, ma ci ripensò.

"Scusa, Mamoru. Davvero".

"Lo so. Grazie".

"Se vedi di nuovo Usagi, vuoi che le dica qualcosa da parte tua?".

Ci pensai, immaginando tutte le milioni di cose che volevo dirle. Infine, risposi, "No, ma grazie".

"Di nulla, devo tornare al lavoro. Ti vedrò domani?".

"Forse. Ciao".

...

La mattina seguente, considerai per almeno 45 minuti se ritornare o no al mio normale programma ed andare a vedere Motoki, e Usagi. Il pensiero della mia Usako che mi stava cercando, che voleva vedermi, rese la tentazione quasi insopportabile, ma dopo pensai al suo angelico volto mentre metteva per iscritto in quel quaderno i suoi sentimenti e lo sguardo che aveva quando aveva ammesso di essere innamorata.

Decisi di andare a correre.

Appena rientrato nel mio appartamento, vidi la mia segreteria lampeggiare per un nuovo messaggio. Premendo il taso, sentii la voce di Motoki.

"Hey, sono io. Ho capito che oggi non saresti venuto, ma, beh, ho pensato che avresti voluto sapere; Usagi era qui stamattina e mi ha chiesto di nuovo di te. Sembrava devastata quando le ho detto che non eri qui. Sai, non puoi evitarla per sempre. Okay, questo è tutto. Ci vediamo domani? Ja!".

Sospirai e lo cancellai, prima di collassare sul divano, il sudore appiccicoso mentre mi sedevo fissando il soffitto. Devastata? Onestamente, devastata? Ma perché? Perché le importava così tanto di vedermi? Perchè non era fuori a portare avanti...?

Gemendo, mi alzai e mi diressi verso la doccia.

...

Il terzo giorno da quando avevo visto Usagi nel parco, non resistetti più. D'accordo, il dolore del sapere che era innamorata di qualcun'altro era straziante, ma la pena di non vederla era peggiore. Mi diressi alla sala giochi.

Non era lì quando arrivai, così ordinai il caffè ed una ciambellina glassata, chiaccherai un po' con Motoki, e mi sedetti sul mio sgabello preferito per leggere il giornale.

La mia ciambella era finita, il caffè era arrivato alle ultime gocce, ed avevo letto i Peanuts già tre volte di troppo prima che mi venisse in mente che forse oggi non sarebbe venuta. Sospirai demoralizzato, piegando il giornale in modo preciso e mettendolo da parte. Dopo, mentre stavo per posare il caffè, le porte si aprirono ed era lì.

Sentii pace e desiderio e contentezza strisciare in me. Non avevo realizzato quanto mi fosse mancata fino a quel momento.

I suoi occhi controllarono velocemente la sala giochi e la vidi sobbalzare un po'quando il suo sguardo si posò su di me. Sembrava atterrita e spaventata e anche un pizzico speranzosa.

Cercai di sorriderle calorosamente. Potevo vederla trattenere il fiato e lentamente - molto, molto lentamente - farsi strada verso di me. Sembrava pronta a lanciarsi verso la porta alla velocità della luce.

Mi schiarii la voce mentre si sedeva tremante sulla sedia di fronte a me. Il suo evidente nervosismo mi stava uccidendo.

"Hey, Odango Atama,", cercai casualmente di scherzare, sperando di farla in qualche modo rilassare. Non la avevo mai vista così atterrita. Odiavo il pensiero che fosse causa mia. Comunque, nonostante questo piccolo sforzo, il nomignolo non sembrò neanche venire registrato. Continuò solo a fissarmi, la faccia quasi bianca, le labbra saldamente increspate insieme. Realizzando che stuzzicarla non aveva funzionato nel risollevarle lo spirito, decisi invece di provare ad essere premuroso. "Stai bene?", le chiesi gentilmente, stendendo un braccio sul tavolo per appoggiarle la mano sul braccio. Piagnucolò, fissandola shockata.

"No, non proprio", sussurrò di rimando, non distogliendo lo sguardo da dove la mia mano toccava la sua pelle.

La ritirai. Che cosa era stato a farle questo?

"Che cosa...cosa è successo?", chiesi, un migliaio di orribili scenari mi vennero in mente.

"Oh, non prendermi in giro!", gemette, tirando indietro il braccio. Si inarcò, cercando di rendersi più piccola possibile o di scomparire del tutto.

"Mi spiace", dissi, ritirandomi. "Non stavo cercando di prenderti in giro".

"Per favore, Mamoru-san, per favore", sussurrò urgentemente, non osando guardarmi in faccia. Morivo dalla voglia di stringerla, ma non osai, non avendo idea se ero stato io a causare ciò o come farla stare meglio. "Per favore non fingere...non fingere che non sia cambiato nulla. Non posso sopportarlo". Lentamente si tirò su a sedere e sollevò il viso, anche se i suoi occhi erano chiusi. Sembrava ancora mortalmente pallida. Guardai scioccamente la sua aria determinata, ubriaco di paura. "Dì tutto quello che ti va. Posso sopportarlo. Solo...dimmi la verità. Dopo...quello che ti ho detto...che cosa...che cosa...vuoi essere?".

________________________________________________________________

Note di lithtys: ecco conclusa la seconda parte.

Grazie a Mysticmoon, miki90, Kirby, Kylie, sailormoon81, semplicementeme, Mikayla ed a Cassandra14 (ho letto il tuo commento prima che sparisse!). ^///^

Inoltre ringrazio Mikayla per la correzione: ho subito cambiato la frase. Perdono! ^__^'

La lettera di Usagi era per Mamoru? Gliel'avrà consegnata? Chissà...bisognerà attendere il terzo ed ultimo capitolo per saperlo!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** parte terza ***


Note della traduttrice: questa ff è tradotta da lithtys col permesso dell'autrice.

 

MORE THAN ICE CREAM

by Alicia Blade

PARTE TERZA

 

Sbattei le palpebre. "Che cosa voglio essere?".

Annuì, ma non aprì gli occhi. "Fino a che punto andiamo. Che...che cosa siamo? Che cosa vuoi...?", la sua voce si inaridì e credetti di vedere il principio di una lacrima all'angolo degli occhi, ma erano chiusi così saldamente che non avrebbe potuto scappare.

La guardai con aria sciocca, elaborando le sue parole. Dopo quello che mi aveva detto? La verità? Che cosa volevo essere? Che cosa volevo che NOI fossimo? Potevo pensare ad un migliaio di risposte a quella domanda: amanti, anime gemelle, ragazzo e ragazza, marito e moglie, insieme per sempre? Ma pensai alla conversazione nel parco, a tutto ciò che mi aveva detto e sapevo che non potevo dire nessuna di questa cose. Ovviamente era preoccupata che dopo avermi rivelato la sua anima apertamente come aveva fatto, l'avrei respinta. Ora vorrei tornare indietro alle prese in giro, ad essere nemici.

Mi chinai in avanti, osando allungare la mano e toccarle l'avambraccio. Rabbrividì.

"Mi piacerebbe che fossimo amici", dissi incerto, sapendo che era parzialmente vero. Nonostante non fosse abbastanza, non sarebbe mai stato abbastanza, era l'unica cosa che potessi dire vicina a raccontarle tutto, tutti i miei sentimenti più profondi.

Aprì lentamente gli occhi, ed alcune lacrime luccicanti scesero sulle sue guance. Strinsi i denti per trattenermi dall'asciugargliele. Infine, dopo avermi fissato silenziosamente ed averne versate altre intatte, abbassò lo sguardo e le asciugò con la manica. "Capisco", soffocò un singhiozzo. "Gr...grazie per avermi detto la verità".

La guarda di sottecchi. Avevo supposto di sentire come minimo una sorta di gioia o felicità dopo la mia mezza-confessione, ma non c'era stato nulla di simile. Anzi, sembrava più avere il cuore infranto.

Cuore infranto.

Boccheggiai, la verità mi colpì e sapevo che cosa l'aveva resa così triste. L'unica cosa che poteva averla resa così triste.

"Usagi-chan", sussurrai, afferrandole le dita. "Mi dispiace. Non lo sapevo".

"Naturalmente non lo sapevi. Ma ora lo sai", sussurrò.

"E'un completo idiota. Non ti merita", dissi con vigore, guardandola in viso.

"Oh, non dire quello di...", si fermò, la faccia rossa dal pianto, e mi guardò di nuovo. "Chi?".

"Il ragazzo...credo che tu gli abbia dato la lettera, no?".

Sbattè le palpebre e lentamente annuì, l'espressione divenne dubbiosa e sospettosa.

"Beh, se ti ha rifiutata, è un completo idiota. Non ha idea di quello che si perde".

"Stai...scherzando?", chiese con la voce tremante.

Era il mio turno di essere confuso. "Naturalmente no. Intendo, i complimenti da parte mia sono una rarità, e mi spiace anche per questo. Ma dico davvero, Usagi-chan. Sei una ragazza straordinaria. E se non riesce a vederlo. Allora...".

"Aspetta!", disse, chinandosi improvvisamente sul tavolo, con gli occhi piantati nei miei. "Fermati", si risentì ed analizzò la mia faccia mentre la fissavo a mia volta. Tutti i segni del pianto se n'erano andati, a parte gli occhi rossi e gonfi. "Dici davvero? Non sai...non sai della lettera?".

Boccheggiai. "Solo quello che mi hai detto".

Tirò un incerto sospiro e lentamente si risedette contro la panca. "Oh", disse tranquillamente, con gli occhi che guardavano il soffitto. Potevo quasi sentire gli ingranaggi girare nella sua mente, prima che improvvisamente diventasse di nuovo completamente pallida. "Um, um...è stato un piacere vederti, Mamoru-san. Um...devo andare!". Saltando giù dallo sgabello, corse verso la porta. La seguii con lo sguardo, vedendo i suoi fiumi di capelli biondi volare dietro di lei mentre spariva giù per la strada. Tirando un sospiro, scossi la testa confuso. Quella ragazza mi stava facendo diventare pazzo, in più di un modo.

...

Un ora dopo, uscivo dall'ascensore sul pianerottolo del mio appartamento. Avevo aspettato che lei tornasse per quasi quarantacinque minuti, sperando che venisse indietro a spiegarmi...beh, tutto. Non potevo evitare di sentire che c'era qualcosa di molto importante che mi stavo lasciando sfuggire.

Ma mentre attraversavo il corridoio, cercando nella tasca le chiavi, una piccola, bella ragazza svoltò l'angolo a tutta velocità e mi sbatté contro emettendo un forte strillo. Sbigottito, sollevai le braccia per stabilizzarla prima che potesse cadere.

Il suo respiro era stanco, ma mentre alzava lo sguardo su di me, si trasformò in un forte affanno. Gli occhi le si spalancarono ed il volto, rosso per lo sforzo, impallidì notevolmente.

"Beh, questa è una novità", sogghignai, non avendo la forza di lasciarla andare anche se sapevo che era l'unica cosa giusta da fare.

Non ebbi comunque scelta poiché si tirò improvvisamente indietro e premette la schiena contro il muro come un animale preso in trappola od un criminale sotto i riflettori. "Che cosa ci fai qui?", boccheggiò.

"Vivo qui", dissi, indicando verso l'appartamento in fondo al corridoio dal quale era appena arrivata.

Arrossì, perdendo un po' della sua espressione sgomentata. "Lo so ", sussurrò. "Solo che pensavo che tu ancora...fossi...um...devo andare". In un battito di ciglia, si stava precipitando via, ma in mezzo battito di ciglia, stavo allungando la mano e afferrandola per la vita.

"Aspetta", dissi, disprezzando l'idea che lei se andasse via in questo modo due volte in un giorno. Non quando avevo così tante domande. Non quando avevo così tanti sentimenti. Mentre si girava a guardarmi, i suoi occhi sbirciarono timidamente all'insù attraverso le scure ciglia. Sentii le mie mani tremare volendo prenderle il viso e premere le mie labbra sulle sue. Pensai a lei col cuore infranto e mi chiesi se potevo guarirla. Ci avrei provato con piacere. Avrei fatto di tutto.

Ritrassi il braccio.

"Usagi-chan, non vuoi restare?", le chiesi nervosamente. "Devi essere venuta qui per vedermi, vero?".

Abbassò lo sguardo, non dicendo nulla.

"Deve esserci una ragione per la quale sei qui. Perché non entri? Ho del gelato".

Le sue labbra si piegarono all'insù e lentamente sollevò gli occhi verso di me. Sembrava ancora timida ed anche un po'spaventata, ma anche un po'felice. "Io...veramente...". Guardò indietro verso l'ascensore, mordicchiandosi debolmente le labbra, poi verso il mio appartamento. Infine raccolse le forze per qualche sorta di impatto ed esalò un grosso respiro. "Okay".

Sogghignai. "Da questa parte", volevo prenderle la mano, ma non potevo. Mi seguì ad un passo di distanza, strascicando i piedi. Mi voltai e la vidi fissare la mia porta con occhi spalancati. Con esitazione, le misi una mano sulla spalla.

"Stai bene? Ti sei comportata in modo così strano oggi".

Increspò le labbra, guardando ancora verso la mia porta ed annuì. Dopo, sollevando i suoi occhi su di me, dichiarò. "Sei stato così gentile con me".

Sbattei le palpebre, volendo sempre di più prenderla fra le braccia. Stava diventando quasi impossibile resistere, specialmente quando i suoi occhi mi stavano guardando con così tanta...che cos'era quella? Premura? Adorazione? Non osavo sperare.

...

"Beh, intendo ciò che ho detto. Se ti va di essere amici...", smisi di parlare mentre il suo volto si abbassava per guardare al pavimento.

Raggiunto il mio appartamento, infilai la chiave, sentii il familiare scatto, e lasciai che la porta si spalancasse. La prima cosa che vidi nel mio pulito e lindo appartamento fu qualcosa fuori posto. Sbattei le palpebre e mi chinai per prendere una busta di carta Manila. "Che cos'è?", meditai fra me e me. Girandomi verso Usagi, sorrisi nel vederla stare immobile nel corridoio, giocherellando nervosamente con le dita. "Puoi entrare. Siediti. Mettiti a tuo agio".

Fece un profondo respiro, i suoi occhi incollati alla busta, prima di entrare nel mio soggiorno. Mi ricordava un prigioniero che andava all'esecuzione. Chiusi silenziosamente la porta e ritornai a fissare curiosamente la lettera.

In grandi, gonfie lettere, c'era il mio nome "Chiba Mamoru", scribacchiato su un lato. Nient'altro. Scuotendo le spalle, mi diressi verso la cucina. "Va bene al cioccolato?", le chiesi, posando la lettera sul bancone.

"Aspetta...non...non hai intenzione di aprirla?", chiese tremando.

Mi voltai e vidi uno sguardo ferito e guardando di nuovo la lettera, realizzai improvvisamente perché la scrittura mi sembrava così familiare. " Usagi-chan, questa è...da parte tua? E' questo il motivo per cui sei venuta qui?".

Trasalì e abbassò lo sguardo al pavimento. " Pensavo di avertela data due giorni fa, ma sono andata in un appartamento al piano sbagliato. Pensavo mi stessi evitando per questo". Si fermò, forzando una piccola risata. "Non so se i tuoi vicini l'hanno aperta, ma sicuramente sembravano contenti quando sono tornata a riprenderla".

Lentamente allungai la mano verso la busta, sentendola come un peso nelle mie mani, e lessi nuovamente il nome. Non c'era alcun modo che questa potesse essere ciò che speravo fosse. Semplicemente non c'era...

"Perché non ti siedi?", le chiesi gentilmente, schiarendomi la gola. Guardò il mio sofà e si diresse cautamente lì. Pensavo che sarebbe svenire, tremava così tanto, ma lo raggiunse e si sedette, le gambe unite e la schiena dritta come un asse.

"Mi piace il tuo appartamento".

Sorrisi, andando a sedermi al tavolo da caffè di fronte a lei."Grazie. Puoi tornare ogni volta che vuoi".

"Vedremo", sussurrò, guardando mentre le mie tremanti mani strappavano la busta.

Misi una mano dentro e tirai fuori un quaderno a spirale color porpora. Il mio cuore iniziò a battere selvaggiamente. Tutto il mio corpo tremava mentre riconoscevo il quaderno al quale era stata così attaccata.

Combattei per respirare, guardando in su verso la trepidante ragazza. Stava fissandosi il grembo, cercando disperatamente di non avere contatto visivo.

"Usagi-chan, questo...questo è...".

Increspò le labbra e si sforzò di annuire.

"Per me?", deglutii. Non si mosse.

Con dita tremanti, lo aprii lentamente.

"Oh, per favore", gemette improvvisamente, sbattendo le mani sulla pagina. "Per favore, per favore, non leggerla di fronte a me!", la guardai vedendo che stava piangendo di nuovo, la faccia infuocata. "Per favore, Mamoru-san...".

"Okay", sussurrai, e lentamente chiusi il diario, non avendo letto neanche una parola. "Okay, non lo farò". Misi il quaderno sul tavolo e stesi le braccia per prenderle le mani. La mia voce tentennava mentre le accarezzavo i palmi delle mani con i pollici. "Non la leggerò di fronte a te. Ma...ma Usagi-chan, mi diresti...mi diresti che cosa dice?", non feci alcuno sforzo per nascondere il tono supplichevole della mia voce, volendo così fortemente credere, sperare, sapere...

Stette zitta per un lungo momento, mentre le accarezzavo le mani, le lacrime che lasciavano minuscole linee umide sgorgando dai suoi meravigliosi occhi. Infine, mordicchiandosi il labbro, guardò in su verso di me e fece un profondo, tremolante respiro.

"Bene. Dice", sussurrò, dopo si fermò per schiarirsi la gola e ricominciò nuovamente con un po'più di convinzione. "Dice...dice che sei l'uomo più splendido al mondo". I suoi occhi ardevano nei miei, pieni di lacrime, onestà, verità, e , Dio, poteva essere? "E che so che penserai che è una stupida cotta, ma...ma sono pazzamente innamorata di te. Lo sono sempre stata. E lo sarò sempre". Scoppiò in singhiozzi, tirando via le mani per coprirsi il volto.

Da parte mia, potevo solo fissarla, cercando disperatamente di contenere l'impatto, il significato delle sue parole. Cercando disperatamente di ricordare il discorso che avevo provato così tante volte nelle mie fantasie. Cercando disperatamente di non svegliarmi da questo sogno.

Con cautela, allontanai gentilmente le mani dal suo volto. Me lo lasciò fare.

"Non piangere", sussurrai, sentendo l'inadeguatezza delle mie parole non appena le ebbi pronunciate, ma le ripetei ancora due volte, asciugandole le lacrime con dita tremanti. Avevo così paura di farle del male, ero così spaventato dall'idea che potesse sparire ad ogni tocco. "Usagi-chan", mormorai lentamente, inginocchiandomi davanti a lei. "Non so...non so cosa dire", gemetti, sperando disperatamente di riuscire a spiegarle come mi sentivo, ma mi sfuggivano le parole.

Scosse la testa. "Non dire nulla", disse, distogliendo lo sguardo. "Lo so già. Amici, giusto?", singhiozzò e potevo vederla cercare disperatamente di ricacciare indietro le lacrime.

"No, non è così", dissi con forza, prendendole il viso fra le mani, forzandola a guardare in basso verso di me. L'euforia improvvisamente esplose in me e sorrisi guardando la sua faccia così incredibilmente bella. "E'solo che...Usako...non ci sono parole abbastanza forti per dirti quello che vorrei".

Chinandomi in avanti, premetti le mie labbra sulle sue, gentilmente quanto riuscivo vista la passione che mi inondava. Ansimò, il corpo che diventava rigido, ma le sue labbra erano calde e morbide mentre cercavo di dirle attraverso i baci quello che non riuscivo a comunicarle con le parole.

Le mie dita si allacciarono nei fili dei suoi capelli, i miei pollici che massaggiavano la pelle perfetta delle sue tempie e delle sue orecchie. Era così tanto più morbida di quanto avessi mai potuto immaginare.

La sentii piangere silenziosamente, quasi inudibile, e la tensione la abbandonò improvvisamente. Mi tirai indietro, stando abbastanza vicino da sentire il suo respiro mentre teneramente facevo scorrere le dita sul suo collo e sulle sue braccia, lasciandole con esitazione sulla sua vita. Le mie labbra tremavano per il desiderio e la soddisfazione. Anche le sue.

Appoggiandomi indietro, guardai in su verso di lei, mentre spalancava gli occhi. Brillavano ancora di lacrime non versate mentre mi fissava, la bocca aperta per la sorpresa. Fu il miglior momento di silenzio che ebbi mai provato.

Si leccò le labbra, trattenendo il fiato, guardandomi con dubbio ed incredulità. "Non capisco", sussurrò infine, ed il mio sciocco sogghigno tornò.

"Usako", dissi, la voce poco più alta di un sussurro. "Quello che sto cercando di dirti è che...sei la ragazza più splendida al mondo. E so che penserai che è una stupida cotta, ma...ma sono pazzamente innamorato di te. Lo sono sempre stato. E lo sarò sempre".

Iniziò a tremare, alcune lacrime che cadevano nonostante avessi allungato una mano per asciugarle. Si appoggiò nella mia mano. "Davvero?", chiese innocentemente.

"Davvero".

"Oh, Mamo-chan", squittì, gettandosi fra le mie braccia e piangendo sulla mia maglietta. Non persi tempo e la strinsi a me, memorizzando ogni sensazione, ogni centimetro della sua schiena, ogni profumo dei suoi capelli e della sua pelle, ogni suono che usciva dalle sue perfette, amabili e stupende labbra.

"Usako", sussurrai contro i suoi capelli quando il suo triste pianto venne meno. "Stavo diventando matto pensando che fossi innamorata di qualcun'altro".

Ridacchiò. "Stavo diventando matta pensando che l'avessi letta e mi stessi evitando".

Baciandola sulla testa le chiesi. "Posso leggerla ora? Per davvero?".

Ridacchiò e acconsentì.

Strisciai verso il sofà e la portai con me, non sopportando di starle lontano più di qualche centimetro. Mi seguì volentieri, portando i piedi sul cuscino e si accoccolò contro il mio fianco mentre prendevo il quaderno. Mentre saltellavo fra le pagine, notai che quasi ogni riga era stata cancellata, scribacchiata e ricancellata tantissime volte, in modo che ora risultava illeggibile. Risi, e mi guardò, con gli occhi scintillanti.

"Volevo davvero che fosse perfetta", disse, arrossendo. Qui e là potevo a malapena capire qualche parola.

"Occhi meravigliosi...energico, ma...quello che intendo...quando ti vedo sorridere...per sempre...".

"Mi sarebbe piaciuto che la avessi lasciata stare", dissi, baciandole la fronte. "Mi sarebbe piaciuto leggerla".

Sogghignò, "Te ne scriverò un'altra. Questa volta non tralascerò nulla. E'stato così facile, davvero. Una volta che ho iniziato, è uscito tutto. Ma...non sapevo che cosa avresti pensato, così l'ho cancellata". Batté le ciglia. "Ne scriverò un'altra per te.. Ma...c'è qualcosa...in fondo".

Andai alla fine, all'ultima pagina, e non potei evitare di ridere davanti alla lettera d'amore. La mia lettera d'amore. Diceva:

Caro Mamoru-san,

sei l'uomo più splendido al mondo. E so che penserai che è una stupida cotta, ma...ma sono pazzamente innamorata di te. Lo sono sempre stata. E lo sarò sempre.

Per sempre tua,

Usagi

"Te l'ho detto che avevo scritto quello", sussurrò. Sollevai il suo viso verso il mio.

"Grazie", mormorai.

Mi sorrise radiosamente, facendo battere pazzamente il mio cuore. Dopo, con un po'di preavviso, mi avvolse le braccia attorno al collo e mi baciò. Mi sciolsi istantaneamente nel suo tocco, tenendola stretta a me, ricambiando il bacio con tutto l'amore e la passione e la verità che avevo tenuta nascosta da quando l'avevo incontrata. Era quasi come un nuovo primo bacio - questa volta, era lei a baciarmi. Mi stava dicendo, senza parole, che questo era tutto vero e favoloso e sarebbe stato così anche domani.

Quando si ritrasse e posò la testa sulla mia spalla, mi sentii come se mi fosse caduto il Paradiso addosso. Sapevo che se ogni persona avesse potuto sentire questo tipo di felicità, tutti i problemi del mondo si sarebbero risolti. Sapevo che non l'avrei mai, mai lasciata andare.

"Ti amo, Mamo-chan".

"Ti amo anch'io, Usako", baciando i suoi soffici capelli, feci scorrere una mano sulla sua schiena, carezzandola gentilmente. "E credo di dovere al mio amore un po'di gelato".

"Mmmm...no grazie".

La guardai confuso. "Che cosa?".

Ridacchiando, si ranicchiò ancora di più fra me ed il sofà. "Per prendere il gelato, devi alzarti. E...questo è meglio. Stiamo così per sempre".

Sospirai felice. Se fosse rimasto qualche dubbio, svanì a quelle parole.

Mi amava più del gelato, e conoscendola, l'amore non poteva essere più forte di così.

 

FINE

___________________________________________________________________

 

Note di lithtys: eccomi giunta all'ultima parte di questa storia. Spero vi sia piaciuta tanto quanto è piaciuta a me! Mi scuso se la traduzione non è proprio pefetta, ma ho fatto del mio meglio ^___^'

Ringrazio Mykaila, miki90, sailormoon81, Strega_Mogana, Shura23 e Cassandra14.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=96568