The Girl with the Triad Tattoo - Stranger in a Strange Land di Perfect_Denial (/viewuser.php?uid=173429)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I'm in my head and I'm spinning ***
Capitolo 2: *** This is not reality. This is a dream. ***
Capitolo 3: *** The Girl with the Triad Tattoo ***
Capitolo 4: *** Follow your dreams, no matter what... ***
Capitolo 5: *** Jared ***
Capitolo 6: *** The Man with the triad tattoo ***
Capitolo 7: *** Freaking out ***
Capitolo 8: *** Enemy of mine ***
Capitolo 9: *** Escape into the night ***
Capitolo 10: *** Release me ***
Capitolo 11: *** But where's your heart? (Parte I) ***
Capitolo 12: *** But where's your heart? (parte II) ***
Capitolo 13: *** Through the eyes of S. ***
Capitolo 14: *** Love is not enough ***
Capitolo 15: *** Love will tear us apart ***
Capitolo 16: *** Can you feel it? Things are changing... ***
Capitolo 17: *** In between days ***
Capitolo 1 *** I'm in my head and I'm spinning ***
Capitolo
1 –
I'm
in my head and I'm spinning
Serena
era seduta alla scrivania e tamburellava con le dita sulla tastiera
del pc. Erano le 7 di un pomeriggio lavorativo qualunque, se non
fosse per le tre riunioni, una conferenza stampa e relativa
presentazione delle nuove collezioni alle quali aveva dovuto
partecipare, in quanto assistente al Managing Director della filiale
newyorkese di TOD'S.
Era
stata una giornata lunga e stressante e, se non bastassero i tacchi
da 12 cm ad ucciderla, di certo ci sarebbero riuscite le rimanenti
venti email da leggere, delle quali doveva occuparsi prima di poter
andare a casa. Iniziavano a bruciarle gli occhi e la stanchezza
incombeva, lenta e inesorabile, come la nebbia di novembre.
Alzò gli
occhi verso la vetrata di fronte a lei, dalla quale si godeva di una
magnifica vista su Madison Avenue e Central Park, nel tentativo di
raccogliere le forze rimaste per concentrarsi, riattivare il cervello
e terminare il lavoro.
Ma
la sua mente era altrove. Tornava sempre a quegli occhi color
nocciola, ormai ospiti fissi dei suoi pensieri, che sembravano
passarla ai raggi X. Ormai avrebbe dovuto farci l'abitudine, si
diceva, ma ogni volta le farfalle nello stomaco si facevano sentire
puntualmente.
Con
un sospiro e una scrollata di spalle, per riscuotersi da quella
fantasia, guardò l'ora sul suo Blackberry: le 19:18.
“Fanculo”
disse, “Vado a casa, arriverò in anticipo
domattina per finire. Le
cose più urgenti le ho sbrigate, gli altri si
arrangeranno”. Le
ultime luci del tramonto irroravano una luce rosso sangue
nell'ufficio deserto.
Serena
spense il pc, si stiracchiò e iniziò a radunare
le sue cose, ormai
sparse ovunque sulla scrivania di cristallo, sotto a decine di fogli,
cartelline e altre cianfrusaglie. Andando a prendere il trench al
guardaroba, passò davanti lo specchio alla parete, e la
donna
riflessa le restituì lo sguardo: la sua folta chioma di
capelli
ricci color rosso fuoco non ne voleva sapere di starsene buona al suo
posto e gli occhi azzurro-verde erano arrossati per le troppe ore
passate davanti allo schermo, ma per il resto, Serena si sorprese nel
veder trasparire, nonostante la stanchezza, quella luce nel suo
sorriso, che solo le persone innamorate trasmettono.
Indossato
il soprabito, prese la borsa ed il Blackberry squillò. Il
suo cuore
saltò un battito e con un tuffo al cuore constatò
che era lui.
“Serena datti un contegno, cazzo. Neanche avessi 15
anni!”
“Ciao
Shan!”
“Hey,
Kid! What's up?”
la chiamava sempre Kid,
inizialmente come un tentativo per sminuire il peso degli 11 anni che
aveva più di lei e, col tempo, era diventato il suo
soprannome.
“Hey,
hun! I'm off from work, going home....bad day. I miss you, where the
hell are you?”
“Ah!
There you go, you know you can't live without me anymore! Anyway, I'm
in.....Tomo where the fuck are we?
Melbourne?....Melbourne.”
“Saluta
Tomo da parte mia! Ma che ore sono laggiù? Avete
già suonato?”
“No,
abbiamo ancora un'oretta di libertà prima del soundcheck.
Tomo e io
ci facciamo un giro in città. Ti ho appena comprato una
cosa...più
tardi la twitto, così puoi vederla.”
“Scherzi?
Voglio la sorpresa...e non voglio che la veda mezzo mondo!”
“Va
bene, va bene, non la pubblico. Forse.” ridacchiò
Shannon.
“Ok
non so di cosa si tratta, ma...non mi provocare. Potrei salire sul
primo volo per l'Australia per vendicarmi. Tra l'altro non sarebbe
neanche la prima volta che faccio una cosa del genere per
te.”
Sorrise, maliziosa.
“Vero.
Magari posso farti arrabbiare apposta, così mi raggiungi
qui”
Serena sapeva che c'era Tomo lì con lui, quindi
cercò di deviare la
conversazione su un piano più
“neutrale”. Fece una piccola
pausa, prima di continuare.
“Non
posso credere che dovrò aspettare quasi un mese prima di
rivederti.
Questi giorni sono stati devastanti, ancora devo smaltire il jet
lag...”
“Non
me ne parlare. Volevo chiedere qualche giorno di ferie per
raggiungerti, ma in questi giorni Victoria è veramente
intrattabile.
Capisco che sia sotto pressione per le nuove collezioni, ma
è da una
settimana che non esco dall'ufficio prima delle dieci di sera! Grazie
a dio sarà a LA fino a lunedì, perlomeno non mi
toccherà farle da
schiava anche questo week end! Ah, ti ho detto che la prossima
settimana forse andrò a Milano con lei? “
“Sarai
contenta di tornartene in patria per qualche giorno. Basta che non
cambi idea e non decidi di non tornare più negli
States...”
“Lo
sai che non potrei mai...” Il momento era arrivato. Serena si
mordicchiò il labbro inferiore e iniziò a
tormentare un bottone
precario sul polsino della giacca. Ancora non si erano mai detti
“ti
amo” esplicitamente e men che meno, aveva voglia di dirlo per
telefono...ma la pausa che seguì valse più di
mille parole. Sapeva
che Shannon aveva capito.
“Me
too.” disse lui.
L'atterraggio
sulla terra, dalla nuvola sulla quale era atterrata, insieme ad
unicorni, arcobaleni e cori angelici, fu più repentina del
previsto.
INCOMING
CALL:
The
Bitch
“Merda,
mi sta chiamado
il Boss, Shan, devo rispondere!”
“Ok,
kid. Dille di
prendere qualche tranquillante, da parte mia. Ci sentiamo
più
tardi.”
“Bye
sweetie!”
“Meno
male! Ma con chi
stavi parlando?”
“Ciao
Victoria....scusa, parlavo con il mio ragazzo, che è in
Australia”
Serena si impose di non arrossire (come se il Boss potesse percepirlo
attraverso il telefono) e allo stesso tempo tentò di
assumere
l'aria “professionale” che usava in campo
lavorativo.
Principalmente consisteva nel: raddrizzare la schiena, alzare il
volume della voce e parlare più chiaramente possibile. Oh e,
ovviamente, indossare la maschera da stronza arrivista, inflessibile,
sgobbona e ruffiana quel tanto che bastava. Le armi che aveva usato
per arrivare dov'era.
“Serena,
mi hai girato
il file con i prezzi del nuovo campionario? Mi servono
subito!”
“Ci
stanno ancora
lavorando in amministrazione. Ho chiamato poco fa e Jeena mi ha
assicurato che te li avrebbe inviati entro stasera.”
“Dille
di muoversi, se
non mi arrivano la colpa è tua. Stagli addosso, quella
è capace di
andarsene a casa perché deve raccontare la favoletta della
buona
notte alla figlia!”
“Ci
penso io. Visto che
hai chiamato, volevo chiederti: per Milano devo iniziare ad
organizzare la trasferta. Se puoi darmi i dettagli....”
“No
lascia tutto a Josh
in amministrazione, ci pensa lui a sbrigarsela con l'agenzia.”
“Sì,
ci ho già
parlato, ma gli servono i dettagli del viaggio: le date per il volo,
quante persone, eccetera.”
“Ma
che significa
quante persone? Io e te, no? Chi altri vuoi che porti?”
“Comunque
si parte venerdì prossimo e si rientra mercoledì.
Per il ritorno
partiamo da Ancona, visto che dovremo passare in sede centrale per la
riunione con i dirigenti. Per il volo, voglio Qantas e prenota il
Park Hyatt, come al solito. Dovremo anche affittare una macchina a
Malpensa, così martedì andiamo con quella nelle
Marche. E ti ho
mandato per email i dettagli di una persona che devi contattare per
prendermi un'appuntamento a Parigi a fine marzo. Contattalo
subito!”
“Va
bene. C'è altro?”
“Per
ora no, fai tutto
entro stasera però, è urgente! E mi raccomando i
prezzi!”
“Ok.
A lunedì!”
CLICK
Serena mollò un sonoro
calcio alla sedia e riaccese il pc. La conferma che sarebbe andata a
Milano non la consolava affatto per il momento. Si chiese se era il
caso di informare la sua famiglia che sarebbe tornata in Italia.
Magari ne avrebbe parlato con sua sorella o suo fratello. Anche se
non ne vedeva lo scopo, visto che non avrebbe avuto neanche un
momento di libertà per tornare a casa, in giro con quella
pazza di
Victoria. Erano ormai due anni che non tornava a casa sua. Le mancava
da morire, ma dopo quello che era successo non poteva e non voleva
rimetterci piede. Il suo orgoglio glielo impediva. E se poi avesse
rincontrato lui? No, neanche a pensarci.
Erano quasi le otto,
quando sollevò la cornetta e compose il numero dell'interno
di Jeena
per verificare che il prospetto con i prezzi fosse pronto e nel
frattempo aprì l'email di Victoria:
Contatta
Emma
Ludbrook, l'assistente di JARED LETO al numero …... per
inviarle
l'invito alla Vogues Fashion Night Out nello show room di Parigi
(Saint Honoré) il 7 Giugno. Inoltre vorrei parlarci di
persona,
quindi chiedile se è possibile fissare un appuntamento il
giorno
dopo, magari direttamente nell'hotel in cui alloggia. E' per la nuova
campagna stampa, Emma lo sa, gliel'ho già accennato e le ho
detto
che per i dettagli l'avrei fatta contattare da te.
Ciao,
Victoria.
“Oh,
merda!” Esclamò Serena.
FINE
CAPITOLO 1
|
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Capitolo 2 *** This is not reality. This is a dream. ***
Capitolo
2 –
This
is not reality. This is a dream.
“I
think I'm paranoid and complicated
I
think I'm paranoid
Manipulated
Bend
me, break me any way you need me
All
I want is you
Bend
me, break me
Breaking
down is easy
All
I want is you
“
(Garbage
– I think I'm paranoid)
Aveva
incontrato Jared solo una volta prima d'ora. E non poteva dire che
fosse stato piacevole. Lo aveva conosciuto a Los Angeles, la mattina
dopo il suo primo appuntamento - se così poteva chiamarlo -
con
Shannon. Non poteva fare a meno di ridacchiare tra sé come
una
scolaretta, ogni volta che ci pensava.
“Dovrei
rapirti in questo stesso istante.” Le aveva detto Shannon,
seduto
di fronte a lei al tavolo di El Greco, il ristorante più
chic e
maledettamente borghese di tutta Fifth Avenue.
“Andiamocene
via da qui. Andiamo dritti al JFK e saliamo sul primo volo per Los
Angeles. Vieni via con me.”
Non
erano state quelle parole in sé a convincerla. Razionalmente
sapeva
bene di conoscerlo solo da una manciata di ore. Sapeva anche che era
l'idolo di milioni di ragazze in tutto il mondo, il batterista di un
gruppo rock (IL Gruppo Rock, per quanto la riguardava) di fama
mondiale e, diciamocelo, noto tombeur de femmes.
No, non era
stato ciò che le aveva detto, né il suo sguardo
magnetico, che la
trapassava come una lama gelata. Era stato il fatto che, nel momento
in cui si erano guardati negli occhi per la prima volta, la mattina
di quel banalissimo venerdì 29 ottobre, aveva trovato il
posto
esatto in cui sarebbe voluta rimanere per tutta la vita: tra le sue
braccia, nient'altro che un riflesso nei suoi occhi color nocciola.
Per quanto orribilmente sdolcinato potesse
sembrarle e per quanto non avesse mai voluto ammettere a sé
stessa
di desiderarlo. Lei che era sempre così sicura di tutto. Lei
che
viveva per il suo lavoro, che pensava che ciò che
aveva era
tutto ciò che avesse sempre voluto e ciò che le
sarebbe bastato per
tutta la vita. Aveva il controllo di tutto, sé stessa
inclusa, fino
a poche ore prima. E adesso tutto si era rovesciato
irrimediabilmente. Questo è quanto. Era morta ed era
risorta.
Ed
era lì, di fronte a lui ed alla sua giacca nera e t-shirt
bianca e
quel sorriso sghembo che le faceva dimenticare chi cazzo era e
perché
si ostinasse ancora a voler respirare. Cos'altro poteva rispondere?
“Ci
sto. Quando partiamo?”
Ok,
ok. L'ho detto, ora sta' calma. Questo
pensava e soprattutto temeva che da un momento all'altro lui le
scoppiasse a ridere in faccia dicendo “Ahahaha! Ma ci avevi
creduto? Io dicevo così, per dire!” Dannata
insicurezza!;
scacciò quel
pensiero con un'impercettibile scrollata di spalle e attese la sua
risposta trattenendo il fiato.
“Subito.
Senza valige, né niente. Solo tu ed io. Staremo a casa mia a
LA e lì
c'è tutto quello che ci serve. E per domenica sera prometto
di
lasciarti tornare a casa. Lo so che un “pezzo
grosso” come te,
lunedì mattina alle 8 è già in
ufficio!” Sogghignò e fece un
cenno al cameriere per chiedere il conto.
Per
prendere tempo - e coraggio - Serena si riempì il calice di
vino
rosso e lo tracannò quasi tutto d'un fiato, tanto che
Shannon sgranò
gli occhi e disse “Questo non me lo sarei mai aspettato da
te!”
Scherzava, ovviamente, ma lei non poté reprimere un
campanello
d'allarme che risuonava implacabile nella sua testa. Quell'uomo non
la conosceva affatto. Aveva un'immagine di lei completamente errata!
Non era la precisetta snob che lui credeva...o era lei a trasmettere un'immagine sbagliata di sé stessa? Non poteva fare a meno
di
chiederselo: cosa avrebbe fatto, una volta bloccato a LA per tutto il
week end, con una donna con la quale si sarebbe accorto di non avere
nulla in comune? Smettila Serena! Stop ai film
mentali. Le
piaci, è più che evidente e se ti
conoscerà meglio, di sicuro
questo non potrà che migliorare le cose.
Il
cameriere si avvicinò e porse il conto a Shannon, il quale
pagò
prima che Serena facesse in tempo anche solo ad estrarre il
portafogli dalla borsa. Non che avessero mangiato niente, a dire la
verità. Due Manhattan,
una bottiglia di vino rosso californiano, il contenuto quasi intero
del cestino del pane e la ultima ora e mezza era fuggita via tra
chiacchiere e risate. Il ragazzo davanti a loro arricciò il
naso,
chiedendo se per caso ci fosse stato qualcosa non di loro
gradimento, visto che avevano tenuto il tavolo occupato senza
ordinare quasi niente. Shannon rispose che era tutto perfetto, ma
“Mi
sono accorto che stavo perdendo un'occasione per essere da un'altra
parte” e la indicò con uno sguardo ammiccante, al
quale il cameriere
rispose ironico “Bonne chance!”
All'uscita
dal ristorante, Shannon era già al telefono per chiamare un
taxi per
l'aeroporto. Serena era completamente sconvolta ed elettrizzata. Le
tremavano le mani, quando si accese una sigaretta e guardando la sua
microscopica pochette, si maledisse per aver scelto di abbinarla alle
sue nuove Jimmy Choo, visto che dentro era riuscita ad infilare a
forza solo il portafogli, le chiavi di casa, il suo rossetto e un
pacchetto di sigarette. Due giorni in compagnia di quell'uomo
fantastico, che già l'indomani mattina, vedendola senza
trucco, se
ne sarebbe pentito. Cercando di ignorare questi presagi nefasti, si
costrinse a smettere di fissarsi i piedi e sollevare lo sguardo e
trovò Shannon che la scrutava con un'espressione
interrogativa.
“Non
ci starai già ripensando, vero?”
“No....No!
Riflettevo su....che clima ci sarà a Los Angeles?”
mentì lei,
accompagnando le parole con quello che sperava sarebbe passato per un
sorriso enigmatico ed ammiccante. Si sopravvalutava, come al solito.
Ora
che erano lì fuori, in piedi uno accanto all'altra, sembrava
che la
scintilla che si era accesa tra loro si stesse già
affievolendo,
alla fresca aria autunnale di New York. O forse era solo quello che
percepiva lei. Trasse una lunga boccata di fumo e Shannon la
imitò
accendendosi una bionda.
“Tranquilla,
dai. Vedrai che ci divertiamo. Non sei mai stata a Los Angeles, vero?
“
“No.
La mamma mi ha sempre detto di stare lontana da luoghi di perdizione
del genere.” cercò di spezzare la tensione con una
battuta penosa,
ma per fortuna lui sembrò trovarla divertente.
Il
taxi arrivò. Shannon la precedette per aprirle la portiera
con un
sorriso rassicurante e dolce, tanto che Serena si ritrovò ad
avvicinarglisi per stampargli un bacio sulla guancia, prima di
accomodarsi sul sedile posteriore.
“No
luggages?”
chiese il tassista
con accento indiano.
“Nope.
Straight to JFK, please”
FINE
CAPITOLO 2
Stay
tuned per il terzo capitolo. Ci vediamo nella Città degli
Angeli!
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Capitolo 3 *** The Girl with the Triad Tattoo ***
capitolo 3
Capitolo
3 –
Let's get lost tonight (The girl with the triad tattoo)
(Premetto
che ci saranno delle incongruenze, rispetto alla realtà dei fatti,
necessarie ai fini dell’intreccio. Tutto ciò che è relativo alla
casa di Shannon ad esempio, è completamente frutto della mia mente
malata ;) Bando alle ciance, buona lettura e fuori i commenti e le critiche!;)
Disarm
you with a smile
And cut you like you want me to
[...…]
The
killer in me is the killer in you
My love
(The Smashing
Pumpkins – Disarm)
Perfect
strangers
down the line
lovers out of time
Memories unwind
So far, I
still know who you are
But now I wonder who I was
(The
Smashing Pumpkins – Perfect)
D’un
tratto a Serena tornò in mente una cosa: “Prima hai detto che
domenica sera mi
avresti lasciata
tornare…quindi tu resterai a Los Angeles?”
“Sì,
tra un paio di giorni ripartiamo per il leg europeo del tour. Mancano
solo pochi mesi alla fine di questa odissea, ma già ne sento la
mancanza.”
“Ormai
non sarai più abituato a stare a casa tua. Io mi sentirei persa, se
non avessi un posto nel quale tornare ogni giorno. Non che non ami
viaggiare, al contrario! Ma da qualche parte dobbiamo pur mettere
radici”
“Sì,
forse hai ragione…ma non sono ancora pronto a rinunciare a tutto
questo. Conoscere gente nuova, luoghi e culture così diverse…dopo
un viaggio del genere, niente sarà più com’era prima. Io non sono
più com’ero prima. Il solo pensiero di rinchiudermi tra quattro
mura e riprendere a fare una vita normale, mi dà la claustrofobia.”
Si voltò verso Serena, con il suo solito sorriso sghembo “E tu
invece? A proposito di radici, le tue dove sono? Qui negli States o
ancora in Italia?”
“Io
sono cittadina del mondo, tesoro. Pensa a me come alla Svizzera.”
Non era quello il momento giusto. Non si sentiva pronta a raccontare
la sua storia, perciò decise di deviare la conversazione, sperando
che non insistesse.
“Mmm…guarda
che non te la cavi con così poco, dovrai pur raccontarmi qualcosa
prima o poi. Bella e misteriosa. Comincio a pensare che tu sia la
figlia di qualche mafioso italiano, fuggita in America sotto falso
nome, o qualcosa del genere.”
“No
niente del genere. In realtà sono una spia russa sotto copertura.”
Risero entrambi, ma Serena riprese: “Guarda che la mia storia non
te la racconto perché è noiosissima. Sono a New York da quasi 2
anni. In Italia lavoravo alla sede centrale di TOD’S e quando mi
hanno offerto di trasferirmi a New York ho accettato al volo.
L’appartamento in cui vivo, sempre sulla Madison, è di proprietà
dell’azienda, quindi non devo neanche pagare l’affitto. Ho la
fortuna di fare il lavoro che ho sempre sognato. Partecipo a sfilate
e ho accesso a tutte le serate di gala e i party, ai quali spesso
partecipo, se devo accompagnare il mio capo.”
“Cavolo
sembrerebbe il sogno di qualsiasi ragazza.”
“Beh,
non è proprio una passeggiata. Praticamente vivo di solo lavoro,
vita privata zero. E’ stata molto dura, soprattutto il primo anno,
essere qui, completamente sola, senza poter contare su nessuno. Ho
dovuto fare appello a forze che non credevo nemmeno di possedere, per
costringermi a non mollare. Una volta che hai superato certe
difficoltà e vinto le tue paure poi, ti senti davvero immortale.”
“E
non ti manca mai la tua famiglia?”
“Certo
che mi manca. Non sono mica di pietra.” Serena prese una ciocca di
capelli ed iniziò a giocherellarci, nervosa. Non le andava di
approfondire l’argomento e sperava che lui capisse, senza bisogno
di parole. Shannon tacque per qualche istante, indeciso se proseguire
il discorso o meno.
Finalmente
arrivarono all’aeroporto.
*
Shannon *
Questa
ragazza mi farà diventare matto. Fredda come il ghiaccio fuori,
ma
con gli occhi più dolci che abbia mai visto.
Abituata
a trattare con le persone come se tutti fossero ai suoi ordini,
ma
allo stesso tempo insicura e timida.
“Senti
scusa, si può fumare qui dentro?” nel tempo che ha impiegato
a
bussare sul vetro, che divide i passeggeri dall’autista e
pronunciare la frase,
se
ne è già accesa una. “No smoking!” disse il tassista irritato.
“Dai, ho anche aperto il finestrino.” “Rompiscatole” aggiunge
sottovoce,
continuando
a fumare come se niente fosse.
Questo
aspetto a dire la verità mi piace. E’ totalmente imprevedibile,
quando
meno te l’aspetti ti fa rimanere a bocca aperta.
Seguivo
il suo tacchettio spedito, sul pavimento lucido del terminal,
con
quella chioma rossa che ondeggiava, attirando lo sguardo non solo di
molti uomini,
ma
anche di donne.
Perché
questa ragazza mi attrae così tanto? Cos’ha di speciale?
Ne
ho avute di belle donne, in vita mia. Modelle, attrici…ma adesso mi
ritrovo qui, con questa italiana misteriosa…
che
diavolo mi prende?
Insomma,
è il genere di donna della quale di solito mi sbarazzerei in cinque
minuti,
invece…non
so, forse è proprio perché è “inaccessibile”, che mi attrae.
E
ci scommetto che, dietro quegli occhi verdi, nasconda qualcosa.
Un
segreto, magari, qualcosa riguardo quel passato del quale sta così
attenta a non parlare.
Oltre
tutto devo essere proprio matto a cacciarmi in questa situazione
proprio adesso,
quando
so per certo che, per almeno un altro anno, non potrò tornare a
casa!
Cavolo,
starei ore a sentirla parlare.
Non
esiste argomento del quale non sia informata, ma soprattutto quando
la conversazione
devia
in campo musicale, vedo che le brillano gli occhi.
E
devo riconoscere una clamorosa sconfitta, visto che mi ha messo a
tacere con nomi e date e titoli di album e canzoni, che ignoravo!
Prima
al ristorante avevo notato il per
aspera et astra
tatuato nella parte interna del braccio, ma in realtà scopro che ha
anche una triade alla base del collo, sulla schiena.
Per
mostrarmelo, si volta di spalle e con una mano raccoglie i capelli
sulla nuca, scoprendo il collo.
In
quel momento le avrei volentieri strappato a morsi i vestiti di
dosso.
“Shannon,
ma mi stai ascoltando?” Eravamo seduti a un tavolo di Starbucks per
un caffè e mangiare qualcosa, in attesa che chiamassero il nostro
volo.
E
l’avevo fatto di nuovo.
Mi
ero incantato a guardarla ed avevo completamente perso il filo del
discorso.
“Certo
che ti ascolto! Mi parlavi di quella volta in cui hai conosciuto Karl
Lagerfeld…”
“See,
buonanotte…perdi colpi eh? Ti stavo chiedendo di raccontarmi
di
quando sei stato in Cina, per girare il video di
From
Yesterday…”
Accidenti
a me!
Durante
il volo, inizialmente avevano guardato un paio di film, di cui uno
tristissimo su un ragazzino che muore di leucemia. Alla fine, Shannon
si era quasi commosso, mentre Serena si era addormentata sonoramente,
appoggiata alla spalla di lui.
“Ma
non è possibile che tu dorma sempre! Sono io quello più vecchio,
dovrei essere io ad essere stanco!”
“Tesoro,
io mi sono fatta il culo questa settimana e, visto che è venerdì,
posso avere il diritto di essere distrutta? E poi tu sei più
abituato di me, a viaggiare, saprai meglio come ammazzare il tempo,
no?” “A proposito, che stai combinando con quell’I-Phone?”
“Ti
ho fatto una foto mentre dormivi ed ho intenzione di twittarla”
“Molto
divertente…” Serena fu interrotta da una ragazzina, che si era
avvicinata timorosa a loro, armata di penna, block notes e
fotocamera. Non doveva avere più di 16 – 17 anni.
“Ehm,
scusate…mi faresti un autografo Shannon?”
“Certo.
Vuoi anche la dedica? Come ti chiami?”
La
ragazzina diventò paonazza e aprì la bocca per rispondere, ma
all'inizio non uscì alcun suono.
“J-Jane”
“Ok.
A J-Jane, con affetto, Shannon Leto. Può andare?”
“Grazie”
e lentamente si allontanò per tornare al suo posto, inciampando nei
suoi stessi piedi.
“Voglio
anch’io il tuo autografo, eh! Non pensare che me ne dimentichi”
“Mah,
non so, vedremo…se avrò tempo e ti comporterai bene” Serena gli
mollò un lieve pugno sul braccio.
“Guarda
che io
mi comporto sempre
bene…piuttosto veda Lei, signor Leto, di non approfittarsi di
questa povera fanciulla indifesa!”
“Fanciulla
indifesa? Mi sa che
avrò bisogno io
di protezione contro di te…ma non la abbassi mai la guardia?”
“Devo
pur tutelarmi in qualche modo! Se abbassi le difese un secondo, c’è
subito qualcuno pronto a fregarti…E' la legge della giungla,
soprattutto nel campo della moda”
“Certo,
da questo punto di vista hai ragione…ma io non voglio fregarti.
Però devi darmi modo di dimostrartelo...” poi riprese, ammiccante
“so comportarmi anche da gran signore se voglio, eh!”
“Non
ho dubbi. Ma di regola, scommetto che non hai bisogno delle buone
maniere per conquistare una donna, o sbaglio?”
“Beh…sì.
Ma le donne di prima classe, si meritano il meglio.”
Serena
cercò di non mostrarsi troppo lusingata da quelle parole. Ma aveva
fatto centro e lo sapevano tutti e due. Maledetto
Shannon Leto! Mi farai infrangere Le Regole…Sei proprio una povera
illusa, Serena, a credere che lo vedrai di nuovo, dopo questo week
end! Vuoi star male di nuovo? Ti ricordi come ci si sente, vero?
Serena aveva preso
una decisione, in quel preciso istante. Non avrebbe infranto Le
Regole. Non si sarebbe fidata al 100% di lui. Non gli avrebbe dato
tutta se stessa.
Il
viaggio durò 6 ore circa ed atterrarono che erano quasi le 3 del
mattino, ora locale di Los Angeles. Il cielo era terso e una luna
rossa di fuoco cedeva ormai il passo all’aurora, all’orizzonte.
“Smell
that? Smells like home”
sorrise Shannon, mentre finalmente scendevano dall’aereo, con
un’espressione che lo faceva sembrare un quindicenne al suo primo
concerto rock.
All’uscita
dall’aeroporto, Shannon fermò un taxi e salirono. “7524
Sunset Boulevard, West Hollywood, please”.
Lungo il
tragitto, Serena si sentiva Alice nel Paese delle Meraviglie. Non
riusciva a distogliere lo sguardo da ciò che vedeva fuori dal
finestrino: gli Studios, gli immensi
boulevard
costeggiati da palme altissime, le spiagge immense, dove la gente era
riunita attorno ai falò o ammassata davanti agli ingressi dei club.
“Vedrai
che adorerai la Città degli Angeli e non vorrai più tornare nella
tua grigia New York” Serena quasi sobbalzò, tanto si era persa
nell’osservazione estatica di quanto vedeva, da dimenticarsi dove
fosse e con chi.
“Scherzi?
Io sono perdutamente innamorata di New York! Adoro perfino il caos
infernale, il traffico, la puzza e i drogati all’angolo delle
strade…ha un fascino tutto suo!” “Certo, per quel che vedo, Los
Angeles è stupenda, non posso negarlo. Sembra che siano tutti in
vacanza!”
“E
in un certo senso ormai lo è anche per me, visto che ci torno solo
quando non lavoro o nelle brevi pause durante il tour…”
Sentir
chiamare “lavoro”, far parte di una rock band e viaggiare per il
mondo, le faceva sempre uno strano effetto. Era come sentire il
proprietario di un intero piano attico di un hotel a 5 stelle,
chiamarlo “casa”. E’ riduttivo anche solo dire
che è riduttivo.
“Ma
stiamo andando a casa tua? “ Serena era disorientata. Non sembrava
proprio che si stessero dirigendo verso quella che sapeva essere la
casa nella quale viveva con Jared, dove avevano anche lo studio di
registrazione. Dalle poche foto che giravano sul web, sembrava fosse
più in collina…
“Certo.
Perché me lo chiedi?”
“Niente,
chiedevo…Ma quindi non a casa tua
e di Jared?”
“Senti,
senti…sei parecchio informata, eh!?” sorrise ironico e attese la
sua risposta. Se era una tattica per metterla in imbarazzo…c’era
riuscito.
Accidenti
a me e alla mia boccaccia!
“Beh,
anch’io leggo i vostri tweet sai? E come ogni Echelon che si
rispetti, c’è anche un 10% di fangirl in me!” Serena avrebbe
voluto sparire, o almeno mimetizzarsi con la fantasia floreale del
sedile.
“Una
vera fan girl saprebbe che ho comprato una nuova casa sul Sunset
Strip che è tutta mia. Quindi, mi dispiace contraddirti, ma sei
un'impostora…e quindi, come minimo, puoi dire addio all’autografo
e alla foto!” Serena rise, sollevata, e prese mentalmente nota di
non sollevare mai più
la questione.
Arrivarono
in un viale di una zona residenziale, lungo una strada parallela al
celebre Sunset Strip. Shannon chiese al tassista di accostare davanti
ad un cancello semi coperto dalla vegetazione, dal quale a malapena
si riusciva ad intravedere una casa. La recinzione era in pietra
viva, con un cancello centrale in legno wengé. Shannon si avvicinò
ed aprì il cancello automatico con un telecomando e
contemporaneamente si accesero due file di faretti dalla luce verde
lungo i due lati del vialetto di ghiaia, delimitato da palme, cactus
ed altre piante esotiche delle forme più bizzarre che Serena avesse
mai visto.
“Forte,
eh? Il proprietario precedente della baracca era un tipo eccentrico.
Un produttore di sit-com che ha fatto carriera e si è comprato la
villa che apparteneva a Mickey Rourke, giù a Beverly Hills.”
Serena non aveva idea di cosa parlasse, ma non poté che annuire e
sperare che bastasse a non farla sembrare un’idiota. Lo seguì,
sentendo l’emozione acuirsi ad ogni passo. Il vialetto prese a
scendere e dei gradini di pietra conducevano dritti di fronte al
portone in legno scuro, al centro di un edificio coperto da edera e
rampicanti, che sembrava confondersi con la vegetazione circostante.
“E’ bellissimo già l’esterno, non oso immaginare come sarà
l’interno.”
“Aspetta
e vedrai. Premetto che è la terza volta che metto piede qui dentro,
visto che sono sempre in giro, quindi è ancora da sistemare
e…personalizzare!”
L’interno
era molto più grande di quanto Serena si aspettasse. Forse perché,
a parte qualche colonna ed il muro di fronte all’ingresso, che
erano in pietra bianca, per il resto l’open space in cui erano
entrati era circondato da vetrate, che si affacciavano sul giardino
esterno e sulla piscina. Lo stile era modernissimo e lineare, ma allo
stesso tempo accogliente. C’erano elementi in cristallo ed in
mogano, con finiture in acciaio lucido. Un grande lampadario in
legno, troneggiava al centro della stanza, al di sopra di un tavolo
ovale di cristallo con base in legno nero lucido intagliato. A
sinistra, la zona cucina, evidentemente mai usata, con alti scranni
in acciaio e cuoio davanti al mobile bar, illuminato da faretti di
luce verde e con diverse file di alcolici e bicchieri da cocktail,
allineati sui vari ripiani. Sulla destra, c’era l’angolo giorno,
con una libreria che ricopriva buona parte della parete in pietra,
con tanto di scala e soppalco. Sotto, un caminetto moderno scendeva
dal soffitto, tra due divani in pelle bianca. Ad una colonna era
appesa una FenderStratocaster
rossa, con sopra scarabocchiati degli autografi. Lo sguardo di Serena
era rimasto fisso sulla chitarra, per cercare di capire a chi
appartenesse. Non poteva fare a meno di avere la sensazione di essere
appena entrata in un Hard Rock Cafè.
Sì,
questa è decisamente una casa “da uomo”. E da uomo single!”
rifletté Serena, senza riuscire a trattenere un sorriso. Shannon si
voltò verso di lei e la guardò come un bambino di 5 anni che mostra
il lavoretto di Natale alla mamma.
“Allora,
che te ne pare?”
“Molto
carina.” “Sai, se ti piacciono la chitarra autografata da chissà
quale rockstar ed il caminetto spaziale…O magari queste cose
servono solo per far colpo sulle ragazze…”
Shannon
sfoderò il suo miglior ghigno ammaliatore “You
ain’t seen nothing yet”.
Quell’attimo di spavalderia svanì all’improvviso, come se un
velo le fosse stato tolto da davanti gli occhi, rivelandole la
realtà: erano lì per un motivo. Un motivo ben chiaro.
“Ti
va di bere qualcosa? Ti farò assaggiare uno dei miei famosi Long
Island.”
“Vada
per il Long Island. Nel frattempo, ti dispiace se uso il tuo bagno?
Devo incipriarmi il
naso”
“Fai
pure. Uhm…seconda porta a destra.”
Il
tempo di rinfrescarsi e di un paio di discorsetti motivazionali allo
specchio, e Serena tornò in salone, dove trovò Shannon che
armeggiava con lo stereo, un Long Isalnd in una mano ed una sigaretta
tra le labbra.
“If I had a heart I could love you if I had a voice I would sing After the night when I wake up I'll see what tomorrow brings...”
“Oh,
eccoti qui. Il tè freddo, stava diventando caldo...”
“Beh,
una Signora ha pur diritto di rifarsi il trucco in santa pace, dopo 8
ore di viaggio!”
“Quale
'Signora'? Non vedo nessuna Signora...!” ridacchiò, guardandosi
intorno.
Serena
sgranò gli occhi, fingendo un'espressione sbigottita e gli mollò
una pacca sul braccio, per vendicarsi.
“Ouch!
Per essere una 'Signora', picchi forte!”
“And
you ain't seen nothing yet!”
Risero entrambi di gusto. Non tanto per la battuta, ma anche perché
il ghiaccio ormai era rotto ed erano entrati in sintonia.
Serena
era appoggiata con la schiena al mobile bar, vicino a lui.
“E
adesso?”
“E
adesso cosa?” rispose, guardandola negli occhi ed appoggiando le
mani al bancone, alle spalle di Serena. Non poteva sfuggirgli. Non
poteva perdere il controllo così. Voleva essere lei a decidere e ad
essere al comando. Era l'unico modo.
“E
adesso baciami.” Appoggiò un braccio sul suo petto e lo trasse a
sé.
Dopo
ore, minuti, anni, o ere geologiche si separarono e Serena si sentì
strana. Lui la teneva ancora abbracciata ben stretta e in quel
momento capì che la sua, era una battaglia persa. Appoggiò la testa
sulla sua spalla e decise che era precisamente lì che sarebbe voluta
rimanere per il resto dei suoi giorni....
FINE
CAPITOLO 3
|
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Capitolo 4 *** Follow your dreams, no matter what... ***
capitolo 4
Capitolo
4 –
Follow your dreams, no matter what...
- «All
that I am
All
that I ever was
Is
here in your perfect eyes, they're all I can see
- If
I lay here
- If
I just lay here
- Would
you lie with me and just forget the world?»
Snow
Patrol – Chasing cars
Serena
si svegliò la mattina dopo, di colpo e completamente. Come se
qualcuno le avesse urlato in faccia. In realtà non era proprio
mattina, sarebbe più corretto dire che erano le prime luci
dell'alba. E in realtà non si era “svegliata”, dato che non
aveva dormito granché quella notte. Ancora stordita ed aggrovigliata
nelle lenzuola, riuscì a raggiungere il suo Blackberry sul comodino:
le 5:18. Attraverso le tende della finestra, spirava una sottile
linea di luce rossastra, proiettando lunghe ombre su tutta la stanza.
Il pavimento era costellato qua e là, dai loro indumenti e,
guardandosi intorno, iniziò a ricordare dove fosse.
Erano
all'interno della dependance in piscina, praticamente una seconda
casa, ma più piccola di quella principale. Arredata di tutto punto e
completa di cucina, Jakuzi, camera e il più grande televisore (o il
più piccolo schermo cinematografico) che Serena avesse mai visto.
Ovviamente non potevano mancare Play Station, X-box e una valanga di
dvd e giochi.
Non
tardarono ad apparirle dei flash della notte appena trascorsa.
L'implacabile furia di Shannon e di come l'avesse portata di peso,
sollevandola sopra le spalle, fin lì. Per soffocare il sorrisetto
che le si era stampato in faccia, neanche fosse stata una ragazzina
alla sua prima esperienza, scivolò sotto il lenzuolo fino alla testa
e, voltandosi, sentì il corpo caldo dell'uomo vicino a lei, il petto
che si alzava ed abbassava ad intervalli regolari, ancora
addormentato. Non riuscì a resistere e si adagiò sopra la sua
spalla, cingendogli la vita con un braccio.
“Hey,
Kid.
Ma allora sei sveglia!”
“No,
sto ancora dormendo. E sto sognando...”
“Cosa
sognavi, di bello?”
“A
dire la verità....te! Ah, scusa, ma mi avevi chiesto cosa sognassi
di bello!!?”
“A-ah!
Guarda che lo so che ormai sei innamorata persa di me, puoi anche
ammetterlo!”
Risero
entrambi. Ma c'era ancora tempo, prima che il sole sorgesse
completamente, dissipando la notte. Shannon le afferrò le mani e
salì su di lei, iniziando a baciarla e a scendere dal collo, sempre
più giù...
Qualche
ora più tardi, Serena fece per alzarsi...
“Dove
vai?”
“Beh,
prima o poi dovremo alzarci di qui...hai promesso di farmi vedere Los
Angeles ieri, se non sbaglio...o era tutta una scusa?”
“Ma
c'è tutto il tempo, per quello...” la afferrò per la vita e la
riportò accanto a lui, abbracciandola stretta. Di nuovo in suo
potere. “Stavo pensando che tu saprai un sacco di cose su di me,
mentre io non so quasi niente su di te. Per esempio, perché hai
lasciato l'Italia? Voglio dire, ho capito che adori questo lavoro, ma
per mettere 200,000 miglia tra te e la tua famiglia, la tua casa e i
tuoi amici, devi aver avuto qualche altro motivo valido...”
“Non
riuscirò a sfuggirti stavolta, vero?”
“Nope.
Insisterò finché non mi avrai raccontato tutto, a costo di
imprigionarti qui dentro e buttare via la chiave.”
“Uff,
che uomo insistente...e va bene! Quando mi hanno offerto il lavoro a
New York, avevo appena mollato il mio fidanzato...con il quale stavo
per
sposarmi, se non
l'avessi beccato che si faceva la sua segretaria – pensa che cliché
– in quella che sarebbe dovuta diventare casa nostra. Mi avevano
già offerto questo lavoro, qualche mese prima, ma avevo quasi
rifiutato, sapendo che avrei dovuto sposarmi a breve. Stavo
rinunciando al sogno di una vita. Un'occasione che non si presenta
una seconda volta, una volta persa. Morale della favola: due mesi
dopo sono partita, da sola e con una valigia leggera. Niente
fardelli. Volevo ricominciare. E che cazzo, avevo 27 anni, un lavoro
da 2500$ al mese, a Manhattan
ed ero single di
nuovo, dopo 10 anni di vita di coppia. Dei quali almeno quattro spesi
tra privazioni, insofferenza e rassegnazione. Da allora ringrazio
Dio ogni giorno, per aver colto sul fatto il mio ex”. A quel punto
si rabbuiò e
cercò di divincolarsi dall’abbraccio “E questo è quanto, più o
meno. Sono stata esaustiva?” Shannon la trattenne fermamente e le
sollevò il mento, invitandola a guardarlo negli occhi:
“Cavolo,
mi dispiace...non avrei dovuto insistere. Dev'essere stata dura, ma
di certo alla fine non potrai pentirtene, visto che ti ha reso la
donna che sei oggi. Si impara di più dalle difficoltà, te lo dico
io...”
“Sì,
beh...ovviamente non mi pento di niente...anche se ho sacrificato
praticamente tutto ciò che avevo e non potrò mai più tornare
indietro.”
“Ma
in tutto questo tempo non hai mai avuto ripensamenti? E poi, sono
sicuro che la porta di casa tua sarà sempre aperta, qualora volessi
tornare...”
“Ehm...no.
Non è proprio così. Tu non li conosci, non sai che nel momento in
cui ho lasciato quella casa, sapevo che non avrei mai più potuto
rimetterci piede. Il mio ex fidanzato è il rampollo di una famiglia
molto influente e la nostra azienda di famiglia è in affari con
loro, da sempre. Quando mi sono rifiutata di sposarlo, lui ha fatto
passare me
per pazza e la sua famiglia lo ha appoggiato ignara ovviamente del
suo tradimento. Una soap opera sarebbe meno scontata...” “I miei
genitori non mi hanno mai perdonato il fatto di essermene andata e di
aver rinunciato al loro
sogno...vale a dire: sposarmi, mandare avanti l'azienda, fare figli
ed essere una casalinga e una moglie perfetta...Adesso hai capito
perché sono 'scappata'?”
“Per
seguire i tuoi sogni...”
“Già.
E una volta presa una decisione, non torno mai indietro.”
“Sai,
ti capisco. Anche io quando mi sono imbarcato in quest'avventura con
la band, ho rischiato tutto...ma ti assicuro che il duro lavoro e la
determinazione nel cercare di raggiungere un obiettivo, portano
sempre a grandi soddisfazioni...Io ne sono la prova vivente!”
Ridacchiò. Poi tornò serio e aggiunse: “e sappi che d'ora in poi,
non sei più sola qui...per qualsiasi cosa potrai contare su di me.
Ovviamente potrei metterci un po' per raggiungerti, perché
probabilmente sarò in Giappone o chissà dove, ma comunque...”
“Ahahaha!
Se mi si rompesse lo scaldabagno in casa, non saresti di grande
aiuto!” Stavolta lo guardò lei dritto negli occhi e disse
“comunque sia, grazie.”
*
Shannon *
Prima
modifica da fare: mettere gli infissi alle finestre.
Shannon
prese mentalmente nota, aprendo a fatica gli occhi alla luce del
giorno.
Doveva
essere almeno mezzogiorno.
Si
voltò e vide Serena che dormiva su un fianco, con la testa sotto il
cuscino.
Si
alzò e miracolosamente trovò i suoi boxer, sotto il comodino. Andò
verso l'angolo cottura e mise su il caffè.
Americano, non espresso.
Ce
ne vorrà almeno un litro, per riprendermi.
“Buongiorno.
Di nuovo.” Serena si era seduta sul letto e gli rivolse un sorriso
dolcissimo.
Dio,
senza tutto quel trucco è ancora più bella. E con quel sorriso e
quegli occhi,
potrebbe
chiedermi e ottenere qualsiasi cosa...
“Buongiorno
a lei, Signora. Il letto è stato di Suo gradimento?”
“Indicibilmente.
Peccato non possa dire lo stesso per la compagnia...”
“E
io che ti stavo preparando il caffè, con tanto amore...”
“Dai,
scherzavo...” Si alzò, pescando a caso la t-shirt di Shannon dal
mucchio e, indossandola, lo raggiunse in cucina. Appoggiò la testa
sulla sua schiena, lo abbracciò e gli diede un bacio, proprio dove
aveva il tatuaggio con la
map of the world.
“Prima
o poi dovremo andare a mangiare qualcosa, io sto morendo di fame...”
“Sì
anch'io...ti piace il giapponese? Pensavo di portarti al Katsuya, giù
a Hollywood, così poi facciamo un giro in spiaggia...”
“Se
mi prometti di portarmi a mangiare, ti seguo anche in capo al
mondo...Ma prima portami a fare shopping.
Non posso andarmene in giro
in spiaggia con
i tacchi da 12 e il vestito di seta...”
“Tranquilla,
ti porto al Rodeo Drive...Così potrò sceglierti io un paio di
scarpe senza tacco
e
finalmente non dovrò prendere la scala per baciarti!” e così
dicendo la sollevò
come
se pesasse meno di una piuma e la mise a sedere sul bancone
della
cucina, di fronte a lui.
Proprio
in quel momento celestiale, il cellulare di Shannon vibrò e lui
corse a prenderlo.
“Jared.
Che palle, che cazzo vuole, di sabato?! Scusa, devo rispondere, sennò
è capace di chiamarmi altre venti volte...”
Si
avviò verso il giardino per rispondere...
“Jay,
what's up?”
“Oh,
Shannon sono a casa. Puoi
passare oggi appena possibile, dobbiamo definire
un
paio di cose prima di ripartire...”
“Che
vuol dire ' oggi appena possibile'??
No, Jay, ho da fare oggi. E anche domani. Non ne possiamo parlare
lunedì?”
“E
dai, Shan, che cazzo avrai da fare di così importante? È questione
di mezzora
ed
è importante...”
See,
mezzora...il solito Jared! Per 'mezzora' intendeva sempre almeno un
paio d'ore! E di sicuro doveva parlare di cazzate che, probabilmente,
avremmo potuto decidere in 5 minuti, insieme a Emma, direttamente
sull'aereo!
“Jay,
senti, te la spiattello così: sono con una ragazza, va bene? E lei
resterà qui solo fino a domani sera, quindi dovrai aspettare!”
“E
allora, dov'è il problema? Porta anche lei, no? Un'oretta, poi sarai
libero
di
darti da fare quanto e come ti pare!”
Ci
siamo. È già diventata 'un'oretta'.
“Che
rottura di palle, che sei...e va bene, ma prima andiamo a pranzo.
Vieni
con noi, così ne parliamo lì. Al Katsuya.”
“Ok.
Entro un'ora ce la fate a rendervi presentabili?” Jared ridacchiò,
poi aggiunse
“Oh, Shan, non è che mi porti una delle tue solite
bambolone sceme, eh? Sennò
a pranzo ci andate da soli”
“No,
stai tranquillo, Divah dei miei coglioni!....Questa è speciale.”
Aveva
fatto del tutto per non origliare quella conversazione, ma Serena non
aveva potuto fare a meno di rimanere allibita, sentendo come Shannon
parlava con il fratello. Uomini!
Pensò tra sé. Ma quell'ultima frase che aveva detto...
Shannon
tornò e la trovò seduta dove l'aveva lasciata, le gambe
accavallate, un caffè fumante in una mano e la sigaretta accesa
nell'altra. E con un sorrisetto malizioso, che tentava di occultare,
senza successo.
“Dov'eravamo
rimasti? Ah, sì, ti stavo dicendo che da qui non ti lascerò più
andar via, lo sai vero?”
Così
vicino a lei, non riusciva a resistergli...e quel suo odore,
inebriante e unico, che gli offuscava la mente e intossicava i
sensi...E le sue mani che scorrevano lungo le sue gambe, fin sotto la
t-shirt...Quest’uomo
sarà la tua rovina,
si ripeteva. Appoggiò la testa nell’incavo tra il collo e la
spalla e, all’improvviso, il mondo fu un posto più bello. Al
diavolo. Se devo farmi male, voglio farlo per bene!
“Ma
purtroppo, il dovere mi chiama. Jared vuole che ci vediamo, perché
deve parlarmi, quindi gli ho detto di venire a pranzo con noi. Tra
un'ora. Ti dispiace?”
“Se
mi dispiace?? Scherzi, vero?....ehm...suppongo che, se non dispiaccia
a lui, trovarsi di fronte una sconosciuta...”
“Ma
se me l'ha detto lui, di portarti? Così curioso com'è, ti farà il
terzo grado, quindi preparati. Non lo fa con cattiveria, è curioso,
ma se diventasse troppo indiscreto puoi sempre mandarlo a fanculo.”
Sì,
come no. Mandare a fanculo Jared Leto. Non voglio morire così
giovane.
Dopo
un tempo immemore e docciati di fresco, riuscirono a rendersi
presentabili ed uscire al tiepido sole autunnale. Serena indossava
ancora l'abito di seta nero, monospalla con la gonna dal taglio
asimmetrico, con sopra una giacca di pelle, con collo di pelliccia.
Immancabili decolleté Jimmy Choo, tacco a spillo e plateau, di
vernice rossa.
“Non
mi sembra proprio uno stile adatto a Los Angeles” ammise,
guardandosi allo specchio dell’armadio nell’ingresso. Shannon la
squadrò da capo a piedi, increspando le labbra. Come se la vedesse
per la prima volta in quell’istante e sgranando gli occhi per lo
stupore “Cavolo è vero! Poi, non vorrei dover fare a botte con
qualcuno per difenderti”
“Scemo!”
Lui
si era infilato un cardigan nero con lo scollo a V, sopra dei jeans e
sneakers, entrambi neri. Poi sfilò da un cassetto del guardaroba
una cuffia grigia, che Serena riconobbe all’istante, con un tuffo
al cuore.
Stava
trafficando nell’ingresso con delle chiavi, quando aprì l’armadio
a muro e ne estrasse due caschi integrali, uno bianco e l’altro
nero.
“Sei
pronta a conoscere il mio gioiellino?”
Serena sgranò gli occhi. “Fantastico,
non sono mai salita su una Ducati, prima d’ora!”
“Beh
mi auguro che tu non soffra di cuore, in questo caso…Sentiamo, non
vorrai farmi credere di saperne più di me, anche in fatto di moto?”
“Non
penso proprio. In vita mia sono salita solo su un’altra moto. Una
Custom 1100, tutt’altro genere quindi.”
“Fammi
indovinare: ce l’aveva il tuo ex”
“Esatto.
Una California 1100, il top della linea. Tipico di lui: pretendeva
sempre il meglio del meglio in tutto. Io la adoravo, ma lui la teneva
sempre in garage o al massimo faceva qualche giro da solo, non mi
portava quasi mai. Diceva sempre è
troppo pericoloso per te.”
“Ma
che senso ha, scusa? Comprare il meglio che esista sul mercato, per
poi lasciarla a prendere polvere in garage? Ora capisco che idea
dovesse avere di te…”
“Che
vuoi dire?”
“Voglio
dire che si è preso ‘il meglio sul mercato’: una ragazza
bellissima, intelligente e 'tosta', che poi lasciava ‘chiusa in
garage’…ti vedeva come la donna perfetta, da sposare, ma per le
emozioni forti si rivolgeva altrove…”
“Grazie
tante, quindi pensi che io sia una noia mortale?!”
“No,
no, io
non lo penso affatto…al contrario! Sei divertente e
imprevedibile...stavo solo cercando di capire che tipo fosse lui.”
“Mmm
va bene drittone, ti sei salvato in calcio d’angolo!” sorrise
maliziosa, poi riprese “però credo che tu sia molto più saggio di
quanto non immagini, perché lo hai inquadrato alla perfezione”
“Più
saggio. È un modo diplomatico per dire più
vecchio??”
“No,
no…stavolta ero seria, non ti prendevo in giro. Anch’io sono
piuttosto suscettibile in fatto di età. Ti dico solo che, a chiunque
mi chieda quanti anni abbia, rispondo ancora 25…e finora nessuno mi ha
mai smascherata!”
“Ma
se hai trent’anni anni e ne dimostri almeno dieci di meno, kid!”
aprì la porta laterale e imboccò le scale che conducevano al garage
“ E comunque, ti prometto che con me ti divertirai molto di più”.
Se
si riferisse al giro in moto o alla loro 'storia', a Serena non
importava. Sapeva già che sarebbe stata un'avventura e che rischiava
di farsi molto male.
Ma
non per questo avrebbe rinunciato all'adrenalina del viaggio.
FINE
CAPITOLO 4
|
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Capitolo 5 *** Jared ***
capitolo 5
Capitolo
5 –
Jared
Ciao
a tutti! Non amo le chiacchiere all'inizio dei capitoli perciò sarò
brevissima: volevo solo precisare che ovviamente il personaggio di
Jared, come pure ogni riferimento a luoghi è (quasi del tutto)
frutto della mia mente malata ;) Buona lettura e siate il più
spietati possibile nelle recensioni! :) XoXo
“You
and me
we're
in this together now
none
of them can stop us now
we
will make it through somehow
you
and me
if
the world should break in two
until
the very end of me
until
the very end of you...”
We're
in this together (Nine Inch Nails)
Serena
si trovò di fronte un Range Rover nero, nuovo di zecca, una Porche
decappottabile rosso fuoco e l'inconfondibile Ducati bianca, che
troneggiava al centro di una piattaforma, come un trofeo sul suo
piedistallo.
Shannon
salì. Era chiaro che da tempo attendeva quel momento. Avviò il
motore e l'inequivocabile rombo rimbalzò in tutta la stanza. Serena
allacciò il casco e prese posizione dietro di lui. Conciata in quel
modo, con i tacchi a spillo, la minigonna e l'indomabile chioma che
svolazzava fuori dal casco, si sentiva una coniglietta di Playboy. Lo
disse a Shannon e lui scoppiò a ridere.
“E'
vero, sembrerò un gran figo anch'io, solo perché sono con te!”
Serena
rise meccanicamente. Era ancora in tensione, pensando a chi avrebbe
incontrato di lì a pochi minuti.
“Tranquilla,
il Katsuya non è lontano dal Rodeo Drive. Ti porto io nel posto
giusto, dove fare shopping. Tanto mio fratello è sempre in ritardo,
abbiamo tempo”
“Mi
salvi la vita. Non resisterei altri 10 minuti con queste scarpe.”
“Per
così poco?! Dai, partiamo. Tieniti forte a me e appoggia bene i
piedi sui pedali.”
Serena
obbedì, lieta di avere una scusa per abbracciarlo stretto.
E
partirono, scendendo dal Sunset Strip, lungo la discesa che portava
dritta nel cuore della Città degli Angeli.
Il
viaggio in moto prevedeva anche un giro panoramico sulle Hills,
dalle quali si godeva una vista mozzafiato della città, per poi
scendere giù, fino a Santa
Monica, tra i viali
immensi, inondati dal sole. Si fermarono ad un negozio a tre piani di
Alice+Olivia.
Serena aveva scommesso con Shannon, che avrebbe indossato qualsiasi
cosa lui avesse scelto per lei. Iniziarono a girare per tutto il
negozio, facendo impazzire l'agitatissima commessa, la quale
raccoglieva stizzita tutti i capi che i due accumulavano sopra il
bancone o a caso, sugli scaffali. Shannon passava a Serena di
proposito i capi più bizzarri, così lei usciva dal camerino,
improvvisando una sfilata con pompose gonne a palloncino fucsia,
cappelli dalle enormi falde, o abiti pieni di paillettes dorate,
mentre lui si sbellicava dalle risate. Finché Serena non ne ebbe
abbastanza e l'afferrò per la maglia, trascinandolo con sé dentro
il camerino e tirando la tenda.
Serena
uscì dal negozio indossando degli shorts di jeans, una t-shirt
bianca, dei comodissimi stivaletti in camoscio e un rinnovato vigore
fisico. Avevano messo a tacere la commessa, prosciugando la carta di
credito di Serena, con l'acquisto di una valanga di abiti che le
avrebbero spedito direttamente a casa a New York. Avrebbe avuto tutto
il tempo per pentirsene, una volta finito quel week end da sogno.
L'ingresso
del Katsuya era piuttosto semplice, in apparenza, ma la presenza del
parcheggiatore in divisa e le auto di lusso che sfilavano, lasciando
uscire gente estrosa e dall'abbigliamento ricercato, suggeriva
l'esatto opposto. A Serena parve persino di riconoscere Bradley
Cooper, in un gigante barbuto alto almeno 1,90, seminascosto dietro
pashmina, berretto e occhialoni scuri. Shannon parcheggiò la moto
accanto al ristorante ed entrambi scesero, stiracchiandosi e
togliendosi i caschi.
“Sei
ancora viva? Ce la fai a camminare, o devo prenderti in braccio?”
“A-ah!
Guarda che riesco a camminare benissimo...” Certo,
se solo le mie gambe collaborassero...
Shannon
inforcò i suoi Carrera da sole e la cuffia e la afferrò saldamente
con un braccio intorno alla vita, avviandosi con lei verso
l'ingresso.
Non
so se essere più preoccupata per chi sto per incontrare, o per il
viaggio di ritorno in moto. Guida come un pazzo scatenato, accidenti
a lui...Ma forse farei lo stesso anche io, se avessi ai miei comandi
una Ducati Monster, così potente…Perché non riesco a togliermi
dalla testa le parole di Search&Destroy 'I'm no Jesus, but
neither are you my friend'?
Forse per ricordare a me stessa che Jared è un essere umano come gli
altri, dopo tutto....Ma perché la cosa non mi consola affatto??
Proprio
mentre cercava di tranquillizzarsi, pensando che avrebbe avuto almeno
qualche minuto per ambientarsi (e magari sfogare il suo nervosismo
prendendo d'assalto il cestino del pane) prima di incontrarlo,
entrarono e lo videro. Era seduto al tavolo nell'angolo più remoto
del locale, semi nascosto da separé di foggia orientale e colorate
piante da vaso tropicali. Occhiali da sole e Blackberry in mano,
come da manuale.
“Hi,
I'm Jared” disse,sollevando
gli occhiali e riponendoli sopra la testa.
“Serena.
Piacere di conoscerti.” Cercò di ricordare a se stessa che, dopo
tutto, era abituata a trattare con importanti finanzieri,
industriali, stilisti e giornalisti. Ma non poté fare a meno di
smettere di respirare per qualche istante, nel momento in cui
incrociò quello sguardo. Quegli occhioni blu, che la osservavano con
curiosità. Sì, Serena era ufficialmente a disagio. Né più, né
meno della ragazzina alla quale Shannon aveva firmato l'autografo
sull'aereo.
“Oh,
grazie per la considerazione, bro!
Piacere di vederti e tutto il resto!”
Jared
finse di accorgersi di suo fratello solo in quel momento: “Anche tu
qui? Sorry man.
Mi ero distratto...” e rivolse lo sguardo a Serena, squadrandola
velocemente dalla testa ai piedi. Fosse stato un uomo qualsiasi a
guardarla così, gli avrebbe rivolto uno sguardo di puro disprezzo,
come sempre. Tuttavia rimase talmente spiazzata, che decise di
deviare la sua attenzione, concentrandosi sui dettagli. Jeans grigio
chiaro, sneakers viola e rosse, t-shirt blu sbiadita con scollo a V,
la triade al collo e i Ray-ban appoggiati in testa, che fermavano i
capelli all'indietro, scoprendo e risaltando ancora di più gli
occhi....
Terminati
i convenevoli, si sedettero: Shannon a capo tavola e Jared di fronte
a Serena. Fantastico!
Pensò lei. Ora non
potrò evitare di guardarlo.
Iniziarono
a chiacchierare del più e del meno e la conversazione in realtà fu
molto piacevole. Jared chiese loro come si fossero conosciuti, da
dove provenisse Serena (“Mi piace il tuo accento. Mmm…spagnola?”)
e come mai abitasse a New York. Non era un terzo grado. In realtà
era persino divertente conversare con lui. Si rivelò un ascoltatore
attento e la sua curiosità era genuina e disinteressata. Diverse
portate di sushi e piatti vegetariani (per Jared), due bottiglie di
vino bianco e il ghiaccio era rotto. Di tanto in tanto, lo
sorprendeva a guardala di sottecchi, mentre Shannon le si avvicinava
per abbracciarla o parlarle all'orecchio.
“La
prossima volta che sono a New York, passo a trovarti allo show
room...”
“Certo,
mi farebbe piacere! Anche se non ti ci vedo proprio con indosso i
mocassini tipici TOD'S...Ma sbaglio o non tornerete negli States
prima di metà dicembre?”
Jared
sollevò un sopracciglio, socchiudendo gli occhi e guardandola
interrogativo.
“Ah,
non te l'avevo detto? E' anche Echelon. Non si direbbe, vero?”
Shannon sorrise, dando di gomito a Jared.
“Che
vorresti dire scusa?!”
“Easy,
tiger! Voglio dire
che non te l'aspetti, che una che lavora ai piani alti della fashion
industry, si scateni ai concerti rock...”
“Semmai
è il mio capo che lavora ai piani alti, non io...sono solo la sua
umile
assistente. Comunque sì, seguo voi e la vostra musica da anni,
ormai.”
“E...ehm,
se posso chiedertelo, fai anche parte di qualche Division?”
Serena
iniziò a sentirsi un po' a disagio. Era evidente il cambio di umore
repentino di Jared. La realtà era che non aveva mai pensato
seriamente, finora, a quell'aspetto della questione. Decise di essere
evasiva e cercare di sembrare il più neutrale possibile.
“Non
da quando sono qui negli States. Ovvero da quasi due anni”
In
quel momento risuonò l'inconfondibile intro di Back
in Black,
proveniente dai pantaloni di Shannon. Il suo i-phone.
“Scusate,
è Antoine, devo rispondere” così dicendo si alzò da tavola,
puntando dritto verso l'uscita.
“Sai,
mi incuriosisci molto. Mi hai raccontato un sacco di cose su di te,
ma non sono ancora riuscito a....inquadrarti. E, fidati, di solito ci
metto 5 minuti a capire chi ho davanti, ormai sono allenato, ma
tu...sei un mistero.” Si mordicchiò il labbro inferiore e attese
la sua risposta, evidentemente soddisfatto e certo di essere riuscito
a metterla in imbarazzo.
“Beh,
mai rivelare tutti i propri segreti, soprattutto a un uomo.
Altrimenti sarebbe troppo semplice!” Sorrise, cercando di
alleggerire la tensione che aveva creato lui, con le sue parole. Ma
non riusciva a distogliere lo sguardo da quel provehito
in altum tatuato
sul petto. Ma che
cazzo di potere avete, voi Leto??! Occhi angelici, ma uno sguardo
freddo che ti trapassa come la lama di un coltello.
“Sì,
beh...magari questa 'tattica' ha funzionato con mio fratello...ma
sappi che lui si stanca subito delle sue conquiste. Con tutte le
modelle e le belle donne che si porta a letto, figurati se riesce a
portare avanti una relazione a distanza con te.
E passeranno mesi prima che possiate rivedervi. Ma questo lo sai
già.”
“Ma
tu per chi mi hai presa, scusa? Non vedo come questi siano affari che
ti riguardino!”
“Ma
io lo dicevo per te, ti avvertivo di stare attenta. E' inutile che ti
affezioni troppo a lui. Tanto non vi rivedrete mai più e lo sai bene
anche tu, inutile negarlo. Però mi sembri una tipa sveglia, quindi
ti suggerisco di fare tesoro delle mie parole. Tornatene a New York,
domani e non illuderti: lui ripartirà lunedì, ha un contratto da
rispettare e un tour da portare a termine. Come me.”
Serena
sentiva la rabbia montare dentro di lei ad ogni parola, come un'onda
anomala che stava per abbattersi devastante e non sarebbe riuscita a
contenerla oltre. Decise di fare appello ad ogni goccia di maturità
che possedeva. A che
gioco stai giocando, Leto?? Qualunque cosa tu abbia in mente, hai
trovato la persona sbagliata, con cui giocare.
Lentamente,
ma con determinazione si alzò dalla sedia. E le sue parole furono
altrettanto fredde e taglienti, quanto lo erano quelle che le aveva
rivolto lui.
“Ti
ho già spiegato che quello che succede tra me e Shannon non è affar
tuo. Non mi faccio illusioni sul futuro, ma di certo non gli starò
lontana solo perché me lo hai ordinato tu!”
Così
dicendo, raccolse la borsa che le era caduta a terra, quando si era
alzata, estrasse 200$ dal portafogli e li sbatté sul tavolo, davanti
a Jared, che la osservava impassibile.
“Questi
sono per il pranzo. Spero che bastino!”
Gli
voltò le spalle e camminò a passo spedito verso l'uscita, sentendo
lacrime di rabbia e frustrazione farsi avanti prepotentemente. Non
adesso. Non fare la bambina. Esci di qui, prima di tutto.
Una
volta varcata la soglia, quasi andò a sbattere contro Shannon, che
stava rientrando.
Merda!
“Ehi,
ma dove...che è successo?!” La afferrò per le braccia e la scrutò
preoccupato.
“E'
successo che tuo fratello è un emerito stronzo! Io là dentro non ci
torno! Tu fa pure con comodo, io me ne vado a fare un giro da sola,
poi magari ci sentiamo più tardi e....”
“Ma
che cazzo dici?...In giro da sola? Ma vi ho lasciati soli neanche 5
minuti...mi spieghi che cazzo è successo?”
Non
le piaceva il suo tono e non aveva voglia di giustificarsi. Voleva
solo andarsene il più lontano possibile, in quel momento.
“Chiedilo
a lui!”
“E
dai, ma dove vai, da sola? Aspetta...fammici almeno parlare, prima!”
“Parlaci
quanto ti pare. Io so badare a me stessa, non ti preoccupare.”
“Serena!”
Ma
era già salita sul primo taxi che l'avrebbe portata lontana da lì.
*
Jared *
Quella
se n'è andata davvero.
Adesso
mi toccherà stare a sentire la sfuriata di Shannon, ma ci sono
abituato,
non
me ne frega un cazzo.
Tanto
se succede qualche casino, tutto si ripercuote sempre su di me...sono
sempre io quello che deve riparare alle cazzate che combinano gli
altri, nella band.
Col
cazzo che gli viene in mente a lui, che se si scopa una Echelon e
quella per caso
lo
va sventolare ai quattro venti, scoppia un casino.
Sempre
così, fin da quando eravamo piccoli. Lui faceva una cazzata
qualsiasi a scuola,
magari
faceva a botte con qualcuno o lo mettevano in punizione
e
di chi era la colpa?
“Sei
tu quello che deve dare il buon esempio e convincerlo a farlo rigare
dritto” diceva mamma.
O
quando l'ho recuperato che viveva in quel tugurio nella Valley,
ammazzandosi
di canne e acidi e l'ho convinto a mettere su la band con me,
solo
per darsi una ripulita?
E
a 40 anni suonati, sono ancora io quello che deve assumersi la
responsabilità
per lui!
Devo
riconoscerlo, stavolta ha avuto gusto. Molto gusto.
Troppo.
Niente male, la tipa.
Se
solo l'avessi conosciuta io, prima di lui...
Ma
che dico, accidenti a me!?
Abbiamo
un'unica semplice regola, da rispettare: 'vietato scoparsi le
Echelon'.
E'
così difficile, con tutti i milioni di donne che esistono al mondo?
Che
cazzo gli è venuto in mente??
“Oh,
ma che ti sei bevuto il cervello? Che le hai detto, per farla
scappare così?”
“Che
le ho detto io??
Ma tu non ragioni mai, prima di fare ste cazzate?
Lo
sai che succede, se quella va a spifferare in giro quello che è
successo?!
Guarda
che ci mettiamo un secondo, un
secondo, a
sputtanarci la reputazione!”
“Ma
con lei è diverso, non è una scema, non va mica a scrivere su
twitter
o
facebook 'indovinate
chi mi sono scopata questo week end: Shannon Leto!'
Guarda
che ha 30 anni, mica 15!”
“Certo,
come no?! La conosci da quanto, 36 ore? Possibile che devo
essere sempre io, a farti
ragionare? Ne ho piene le palle, di questa storia,
è anche ora che cominci a
prenderti le tue responsabilità del cazzo!”
“Senti
chi parla di prendersi le responsabilità! Proprio tu che ti scopi
qualsiasi
bionda ti passi davanti! E poi,
saranno anche cazzi miei,
quello che voglio o non voglio
fare...piantala di darmi ordini, ne rispondo io, contento!?
E se non ti sta bene, trovati
un altro batterista, perché mi sono proprio rotto di
stare a sentire ramanzine da
te!” Shannon sbatté il pugno sul tavolo, davanti al fratello.
Ormai aveva scatenato la belva
che era di lui.
Tanto che lo sguardo ferreo di
Jared, iniziò a vacillare.
Avevano iniziato ad alzare la
voce, tanto che molte persone sedute ai tavoli vicini,
presero a voltarsi, per vedere
cosa succedeva.
“Aspetta
un attimo....non ti roderà mica perché ci sono arrivato io, prima
di te??”
“Ma
che cazzo ti viene in mente, sei scemo? Figurati...ne trovo altre
mille meglio di lei!”
“Sai
che ti dico, sei proprio un cazzone...tutta questa menata, solo
perché sei geloso marcio! Per una volta che il sottoscritto ha
qualcosa di bello, devi venire
a sputare veleno per cercare di
rovinarmelo!”
Fanculo
Shannon! Come fai a capire sempre quello che ho in testa, anche prima
di me?
“Senti,
hai finito? Risparmiami le tue cazzate, per favore. Ho di meglio da
fare, che stare qui a sentirti.” Finalmente si alzò, raccolse il
giubbotto di pelle e il Blackberry
e chiese il conto al cameriere.
“Fai
come cazzo ti pare. Stavolta però non venire a rompere i coglioni a
me, se succede qualcosa. Ci vediamo sull'aereo. Vedi di arrivare
puntuale.”
Shannon lo detestava con tutto
il cuore.
Sentire suo fratello minore che
gli dava ordini e lezioni di responsabilità,
era una cosa che non aveva mai
sopportato.
Lo sapeva che lo faceva per il
suo bene, in fondo.
Tuttavia ogni volta, resistere
all'impulso di spaccargli la faccia era sempre più dura.
Strinse i pugni e gli voltò le
spalle.
Con lui avrebbe pareggiato i
conti più in là.
Doveva andare a cercare una
ragazza.
|
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Capitolo 6 *** The Man with the triad tattoo ***
capitolo 6
Capitolo
ricco di riferimenti e citazioni, spero vi piaccia!
Come
si dice “The lights are out and the party is over”, ma sarà
terminato davvero?? Stay tuned! ;)
Diamo
il via ai ringraziamenti, tanto speciali, quanto doverosi:
-
A
LexieEchelonMF e Damoon per i vostri consigli, il supporto e
l’ispirazione <3
-
A
mia sorella, lettrice in incognito ;)
-
A
IlaOnMars6277, per avermi spalancato gli occhi sul mondo delle
fanfiction, grazie anche alle sue meravigliose storie <3
-
A
tutti voi lettori, che mi accompagnate (me e Serena ;) in questa
avventura.
Capitolo
6 –
The Man with the Triad tattoo
Serena
scese dal taxi in Hollywood
Boulevard, proprio
lungo il celebre Walk
of Fame. Passeggiava
senza meta, tra turisti curiosi armati di fotocamera, puttane,
artisti di strada e una selezione dell'umanità più bizzarra che
esistesse sulla faccia della terra.
Ad
intervalli regolari, rifiutava una chiamata di Shannon al cellulare.
Doveva ancora sbollire la rabbia e la frustrazione. Forse la sua
reazione era stata esagerata? Ma
chi si crede di essere? Pretende anche di decidere per la vita del
fratello, oltre tutto! Poi, per chi mi ha preso? Per una groupie? Una
che si scopa le rockstar, tanto per stare con gente famosa? E per
fortuna che è il mio idolo, altrimenti a quest'ora l'avrei già
fatto fuori!
Ma
ad un tratto, un'illuminazione improvvisa la costrinse a fermarsi di
botto, tanto che la fiumana di gente che camminava dietro di lei
quasi la travolse. E
se l'avesse fatto di proposito, a farmi incazzare? E' tutto legato al
fatto che sono Echelon ed è per questo che non gli va giù che
frequenti Shannon?
“Rimane
sempre uno stronzo!” Esclamò a voce alta
Magari
potresti provare a giustificarlo...o almeno a comprendere le sue
motivazioni. E' pur sempre Jared Leto, hai presente? Quello che ti
fissa con i suoi occhioni blu dalle decine di poster affissi alle
pareti di casa tua?....
“Rimane
sempre uno stronzo!!”
In
quel momento, le sue riflessioni furono interrotte da “La nuit du chasseur”
e l'intro di Night of
the Hunter. Questa
volta era decisa a rispondere.
“Shannon!”
“Ehi,
Kid, era ora! Ma dove cazzo sei? Mi stavo preoccupando a morte!”
“Ehi
big bro,
ti ho già detto che sono adulta e vaccinata. Sto...boh, sto
passeggiando lungo l'Hollywood Boulevard...”
“Dovrai
essere un po' più specifica, o non ti troverò mai...”
“Sono
davanti ad un Planet Hollywood. Numero....15750”
“Non
muoverti, arrivo.”
Serena
si era accampata su una panchina, mentre rispondeva a qualche email
ed sms che aveva bellamente ignorato per tutto il giorno. Scorrendo i
messaggi in arrivo, trovò una notifica da twitter ed il suo cuore
saltò un battito, come al solito.
@ShannonLeto
Such an amazing day in LA!
C'era
anche una foto allegata. La vista delle colline dal parco naturale,
nel quale erano passati quella mattina, durante il giro in moto. Come
poteva tenere il broncio a quell'uomo?
Circa
10 minuti più tardi, Serena vide sfrecciare nel traffico una Ducati
bianca, che accostò proprio di fronte a lei.
“Tu
sei veramente fuori di testa”
“Hai
scelto le parole sbagliate, guarda che me ne vado di nuovo!”
“No,
hai tutte le ragioni per essere arrabbiata!...Ma che cazzo, c'era
bisogno che mi mollassi lì così??”
“Beh,
scusa tanto eh, se tuo fratello mi ha fatto capire che sono una
povera illusa e che tu di sicuro ti dimenticherai di me, come fai
sempre con tutte le modelle strafiche che ti scopi, per poi invitarmi
a tornare da dove sono venuta!”
A
quel punto successe qualcosa che Serena non si aspettava: un
sorrisetto malizioso si stampò sul viso di Shannon, che assunse
l'espressione di chi la sa molto lunga.
“Quindi
è così?......Sei gelosa! Dai, puoi anche ammetterlo, non c'è bisogno
di tanti giri di parole...”
Dannato
Leto!
“Cosa??
Ma come ti viene in mente, io....il punto è un altro! Stavamo
parlando del fatto che....” non riuscì a rimanere seria, di fronte
a lui che, ormai, rideva apertamente “...parlavamo del fatto che ho
conosciuto e mandato affanculo Jared
Leto,
in meno di un'ora. Devo aver battuto qualsiasi record! E il tutto
senza capire neanche bene cosa cazzo sia successo!”
Shannon
scese dalla moto ed appoggiò le mani alla spalliera della panchina,
sulla quale era seduta Serena.
“Allora,
per prima cosa: Jared non si è incazzato con te, ma con me,
per via di questa... 'regola' che abbiamo.....sarebbe, beh......" si grattò la testa, pensieroso "Vietato
scoparsi le Echelon”
Serena
tentò invano di soffocare una risata isterica. “Ma cosa siete, una
confraternita??”
Forse
perché la rabbia di pochi minuti prima, era ormai sfumata. O, più
probabilmente, perché non riusciva ad arrabbiarsi con lui. Insieme
siamo proprio peggio di due adolescenti!
“Dai,
sii seria, stavo cercando di spiegarti!” La afferrò per la vita e
la trasse verso di lui, immobilizzandola nella sua stretta, naso
contro naso, occhi negli occhi.
“In
pratica non gli va a genio l'idea, perché teme che tu possa
spifferare tutto in giro...”
“E
lo pensi anche tu?”
“No”
“Allora,
per me, il problema non sussiste.”
“Sai,
poi gli ho detto che, se dovessi parlare, ci penserei io a
punirti...”
“E'
una minaccia...o una promessa?”
Shannon
non rispose e la baciò, con tanto ardore, da far sparire la terra da
sotto i loro piedi....In volo libero, falling
through the air...
***
Era
quasi mezzanotte. La porta finestra del salone era socchiusa,
lasciando spirare una dolce brezza ed intravedere piccoli frammenti
di cielo stellato, attraverso le fronde degli alberi. Il caminetto
“spaziale” era acceso ed il bagliore delle fiamme si riversava
sui due corpi avvinti, distesi sul grande tappeto di fronte. Erano
accampati lì da qualche ora, ormai. Shannon le accarezzava i
capelli, mentre lei era comodamente adagiata sul suo petto,
percorrendo con le dita la linea dei suoi pettorali.
“Kid,
ti posso chiedere una cosa?”
“Beh,
dipende da cosa...”
“Non
mi hai ancora spiegato perché ti sei incazzata così tanto, per
quello che ti ha detto Jared.”
“Ma
pensavo fosse chiaro. Non mi piace che altre persone si intromettano
nella mia vita, né tanto meno, mi dicano cosa devo o non devo fare.”
Si appoggiò su un fianco, così da poterlo guardare negli occhi “ne
ho avuto abbastanza per tutta una vita, di persone che prendevano
decisioni per me, al posto mio. A proposito, invece tu? Mi spieghi
perché lo sopporti? Capisco che sia tuo fratello e gli voglia bene,
ma...”
“Non
è così semplice Serena. Vedi, lui si è sempre sentito responsabile
per me, nonostante sia io il più grande, anche se di poco...Diciamo
che, nella mia vita ho accumulato un bel numero di cazzate. Cose
delle quali non vado fiero e, per molte delle quali, sto ancora
pagando le conseguenze...beh, anche in quei momenti, Jared c'è
sempre stato. Anche quando doveva farsi il giro dei bar più
malfamati della Valley,
alle 4 del mattino, per venirmi a cercare e riportarmi a casa,
strafatto e senza più un soldo in tasca. Quando abbiamo iniziato a
suonare sul serio, è stato lui a spronarmi, soprattutto per trovarmi
un modo più costruttivo di passare la giornata. Era da troppo tempo
che non prendevo in mano le bacchette e, quando ho ripreso a suonare,
ho capito...it
felt right. It totally made sense.
Per
questo, ogni volta che suono, vado fuori di testa. E' la mia droga,
non posso farne a meno. E per essere diventato la persona che sono
adesso, devo ringraziare solo quel coglione di mio fratello, che mi
ha tirato sempre fuori dai casini.”
“Allora
sembrerebbe proprio il fratello che tutti vorremmo avere. Magari
dovresti solo fargli capire che, ormai, sei più che in grado di
decidere per la tua vita da solo.....dopo tutto hai 40 anni, sei
nella terza età!”
“Grazie,
eh! Gira pure il coltello nella piaga...!”
“E
va bene, diciamo che sei un 'uomo maturo'....ti suona meglio?”
“Comunque
la giri, sempre 40 sono....Ma dovrai scontare una pena, per queste
cattiverie. Vieni qui” la baciò di nuovo con passione, fuori dal
mondo e fuori dal tempo.
“Fidati
di me” le sussurrò lui all'orecchio, prima di scendere su di
lei...
***
“Oh,
cazzo! Che ore sono?”
Shannon
allungò un braccio per cercare il cellulare sopra il divano. “Le
8:25, dobbiamo muoverci!”
Serena
saltò in piedi, dimenticandosi di essere ancora svestita e
indolenzita per aver trascorso le ultime ore sul pavimento. Iniziò a
radunare freneticamente le sue cose, sparse qua e là.
“Mi
porti tu in aeroporto, o chiamo un taxi?”
“Ma
quale taxi? Certo che ti porto io. L'aereo è alle 11, quindi tra 5
minuti si parte.”
Serena
ebbe appena il tempo di dare un'ultima occhiata all'interno, prima
che il portone si chiudesse, ricordandole che quel sogno era ormai
giunto alla fine. La mezzanotte era scoccata e la sua carrozza era
arrivata, per riportarla alla triste realtà.
Shannon
inchiodò davanti all'ingresso del terminal. Controllarono che il
volo fosse in orario e si diressero verso il gate.
“Beh,
allora ci siamo...”
Shannon
la strinse fra le sue braccia, affondando il viso nei suoi capelli.
“Per
il momento, tutto quello che posso prometterti è che un giorno ci
incontreremo di nuovo....spero presto. Mi mancherai, Kid!”
“You
too, drummer. Think about me sometimes”
“I
will”
Lentamente e a malincuore si separarono dalla stretta “e
chiamami...sai, casomai ti si rompesse lo scaldabagno o qualcosa del
genere...”
“Ahahaha!
Spero che in quel caso non mi addebiterai la chiamata, chissà in
quale parte del mondo sarai...”
«I
passeggeri del volo PNX6277 per New York JFK
sono
pregati di presentarsi al gate per l'imbarco»
“E'
ora.”
Serena
si avvicinò a lui, per dargli un ultimo bacio sulla guancia prima di
andarsene, ma non appena gli ebbe voltato le spalle, Shannon la
trattenne per un braccio “Lo so che non ho nessun diritto di
chiedertelo, ma....mi aspetterai?” Serena capì subito, guardando
la sua espressione, che aveva atteso fino all'ultimo per
domandarglielo.
“A-ah,
attento Leto. Se mi chiedi una cosa del genere, mi aspetterò che tu
faccia altrettanto. E davanti a te, hai molti lunghi e solitari mesi
on the
road...”
“Non
sto scherzando. Io lo farò, se tu lo farai. E io rispetto sempre le
mie promesse.”
“Se
è così...d'accordo.”
So
già che non rispetterai mai questa promessa, Leto. Figuriamoci! Gli
uomini sono così bravi a fare promesse che non possono o non
vogliono mantenere...Tuttavia
davanti allo sguardo intenso e fermo di lui, il suo cinismo si
incrinò. Posso
fidarmi di te, Shannon?
Serena
non trovò una risposta e, per il momento, preferì mettere a tacere
quella vocina fastidiosa che ronzava nella sua testa. Tutto ciò che
sapeva, mentre si allontanava, era che una parte di lei (la mente, o
il cuore?), sarebbe rimasta lì con lui e non si sarebbe più
ricongiunta con il resto del suo corpo, finché non si sarebbero
reincontrati.
Istintivamente
toccò la triade che portava al collo. La grigia New York la
attendeva. Avrebbe avuto tutto il tempo per chiedersi se era stato
tutto un sogno.
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Capitolo 7 *** Freaking out ***
capitolo 7
“Vieni a fare un giro dentro di
me e questo fuoco si consumerà da sé. Un bacio sporco sa spogliarmi il cuore
dai demoni. C'è qualcosa dentro di noi che è sbagliato, ma ci rende simili.” (Afterhours, La vedova bianca)
Milano
7 Dicembre 2010
Serena
era in ritardo. Si scaraventò fuori dal taxi, raccogliendo tutte le borse ed i
sacchetti che doveva portare a destinazione. L'aria fredda di dicembre la
schiaffeggiò prepotentemente, scompigliandole i capelli e facendola stringere
ancora di più nel cappotto. Tutta colpa di quegli idioti dell'ufficio stile,
che mi hanno tenuta in videochiamata da skype per ben un’ora e quaranta minuti!
Come se non bastasse Victoria, che mi chiama ogni 10, per aggiungere altre
commissioni a quelle che ho già dovuto sbrigare!
Si
trovò di fronte il maestoso portale di Palazzo Affari, all'interno del quale
avrebbe avuto luogo il party di gala, per celebrare il 40° anniversario
dell'azienda. Entro poche ore, il meglio del meglio dell'alta moda italiana,
inclusi esponenti delle principali testate e della Milano “bene”, sarebbero
stati tutti sotto lo stesso tetto. Serena aveva la nausea. Si prospettava una
serata all'insegna dei sorrisi artefatti, futili chiacchiere su argomenti privi
di qualsivoglia spessore, strette di mano e foto di gruppo. Sì, ci sarebbero
volute massicce dosi di alcool per reggere la serata. Senza parlare dei viscidi
rampolli dell'alta società o degli stilisti di mezza tacca in cerca di gloria
che, complici un paio di cocktail di troppo, diventavano facilmente inclini
alle confidenze. Per fortuna i preparativi erano quasi ultimati, dopo l'ultimo
giro degli show room e un salto da John Galliano per ritirare il suo abito e
quello di Victoria per il party. Ora la attendeva la parte migliore: trucco e
parrucco.
“Eccomi!
Scusate il ritardo, ho preso tutto....o almeno spero!”
“Tranquilla,
tesoro. Con le modelle abbiamo finito, ora manchi solo tu. Mettiti comoda e
datti una calmata, mentre io penso ai capelli.”
“Grazie
Julia. Ti prego fai uno dei tuoi miracoli.”
Julia
studiò per un attimo l'abito che Serena avrebbe indossato quella sera, poi si
mise all'opera.
“Allora,
mentre eravamo a pranzo non hai più finito di raccontarmi cos'hai combinato con
un certo batterista, o sbaglio?”
“Ah
sì...parli di quello che non sento più da settimane e che, ne sono quasi certa,
abbia di meglio da fare che pensare a me?”
“Sì
proprio lui!...Ma scusa, mi avevi detto che sei stata tu a sparire, come fai a
sapere che lui non vuole rivederti?”
“See,
figurati....Non ho più 14 anni. Tu lo sai che sono troppo cinica e razionale,
per credere alle favole....No, è troppo assurda e improbabile come storia, è
meglio chiuderla qui...Già mi viene da piangere al solo pensiero che in questo
momento saranno in Italia, a Bologna. L'unica data italiana e io non potrò
esserci, visto che domani sera ripartiamo per New York!”
“Tesoro,
secondo me dovresti chiamarlo. Quanto meno per toglierti la curiosità e sapere
se ancora si ricorda di te...anche se sono sicura di sì! Oh, magari riuscite
anche ad incontrarvi, qui a Milano...”
“Come
no....magari lui viene a cercarmi e mi corre incontro sotto la pioggia, poi si
inginocchia e mi chiede di sposarlo....Sogna, Julia, sogna! Queste cose
succedono solo nei film. Io qui devo lavorare, lui dopodomani ripartirà ed
entrambi continueremo per la nostra strada. E per me questo equivale ad un 'happily
ever after', te l’assicuro. Niente drammi, niente problemi.”
“Sì,
vallo a raccontare a chi non ti conosce!...Si vede lontano un chilometro che
questo tipo ti piace e che ci stai male! Allora, per una volta, corri il
rischio, muovi il culo e chiamalo, prendi l'iniziativa! Perché un uomo ti ha
delusa una volta, mica saranno tutti stronzi patentati come lui!!”
“Ok....ora
mi fai paura!” Serena osservò con timore il ferro arricciacapelli arroventato
che Julia brandiva mentre la rimproverava. “Però, seriamente....non lo so, ci
devo pensare...Vediamo di far filare tutto liscio stasera, prima di tutto, il
resto può aspettare...”
Automaticamente
sfilò il blackberry dalla borsa e iniziò a sfogliare le foto, fino ad arrivare
a quella che cercava. Con tutte le volte che l'aveva guardata, si stupiva
sempre di come avesse potuto non consumarsi. Era l'unica foto insieme a lui:
scattata nel camerino della boutique di Rodeo Drive, nel quale si erano tanto
divertiti. Era piuttosto scura e sgranata, ma l'espressione di Shannon, mentre
lei lo baciava sulla guancia, era impagabile. Ok, l'hai vista, ora mettila
via. Hai davanti una serata di gala ed un abito da 1.200€, diosanto. Non ce la
farai ad affrontarli entrambi, se continui a pensare a lui.
Aeroporto G. Marconi - Bologna
7 Dicembre 2010
“Shannon,
muovi il culo!”
“E
non rompere le palle, arrivo!”
Ci
risiamo, con l'atteggiamento da Miss Touchy
...
“Ma
a chi stai telefonando, siamo appena atterrati! Avrai mica qualche donna che ti
aspetta anche qui?”
“Sono
cazzi miei, a chi telefono.” Shannon si sistemò lo zaino, sollevò sulla testa
il cappuccio della felpa e si infilò una paglia in bocca, in attesa di accenderla
non appena sarebbero usciti.
“Oh,
e datti una calmata!...Certe volte capisco proprio perché ti chiamano
L'Animale!”
Cristo,
ultimamente è insopportabile...solo ieri sera ha polverizzato 5, e dico 5, paia
di bacchette! E l'altra sera, ha persino snobbato la prospettiva di 12 ore di
sesso non stop con quella modella biondina di Londra, che si era anche fatta il
viaggio in treno fino a Brighton per lui....Decisamente non è da Shannon. Per
non parlare del fatto che manda affanculo chiunque gli rivolga una parola di
troppo, quando non risponde mugugnando come un primitivo. Ma io ne ho piene le
palle di fargli da balia, chiederò a Tomo di dirgli due parole, magari a lui dà
ascolto...
Shannon allungò il passo,
seguendo la crew che puntava dritta
verso l'uscita del terminal,
dove li aspettava il tour bus.
Voleva allontanarsi il più
possibile da suo fratello, prima che iniziasse a fare domande.
Ma soprattutto aveva bisogno di
schiarirsi le idee e riflettere sul da farsi.
Ora che erano in Italia, non sarebbe
più riuscito a smettere di pensarci.
Erano passati diversi giorni,
da quando si erano sentiti al telefono l'ultima volta.
All'inizio aveva temuto che avesse
incontrato qualcun altro.
D'altronde, perché non avrebbe
dovuto preferire un uomo “in carne e ossa” a lui?
Dopo tutto non avevano che trascorso
un week end insieme,
oggettivamente lei non lo
conosceva granché.
Ma quello che c'era stato fra
loro, non poteva essere spiegato razionalmente.
Più ci pensava, meno riusciva a
trovare una motivazione logica al perché avesse smesso del tutto di rispondere
al telefono e alle email, scomparendo nel nulla…
Per fortuna mi è venuto in
mente di chiamare il suo ufficio, per avere notizie!
Sono rimasto di merda, quando
ho saputo che era anche lei in Italia!
So close, yet so far....perché
non rispondi, Serena?
Doveva ammetterlo: era troppo
frustrante.
ESSERE RIFIUTATO DA UNA DONNA!
Per la prima volta che una mi
piace davvero, è lei a respingermi!
Il Karma starà cercando di
farmela pagare per tutte le donne con cui ho fatto lo stronzo...
Prima tra tutte Nicole.
Si è incazzata come una iena
l’altra sera a Brighton dopo il concerto,
quando l’ho rimandata in hotel
da sola.
Iniziava anche a darmi sui
nervi, per la verità.
Non riuscivo a scollarmela di
dosso, nonostante l’avessi avvertita
che potevano esserci dei
paparazzi in giro…
Dopo tutto però i patti con lei
sono sempre stati chiari, fin dall’inizio: solo sesso, niente legami.
Ed anche lei è sempre stata
d’accordo…che cazzo di bisogno c’era di mollarmi un ceffone?!
Per sua fortuna non picchierei
mai e poi mai una donna…
e soprattutto non mi
interessava granché di lei, avevo altro per la testa.
Sono un egoista del cazzo, lo
so, ma non posso farci niente…
quell’italiana ormai è
diventata un chiodo fisso.
Gli dava troppo sui nervi il
fatto di doverla rincorrere....ma quella caccia era anche perversamente
eccitante, non poteva negarlo.
Perché non riusciva a togliersi dalla testa
l'odore della sua pelle?
E quell'istante perfetto, in
cui tutti i suoi meccanismi di autodifesa crollavano e si abbandonava a lui
completamente.
Era la sensazione più bella che
avesse mai provato in vita sua.
E ora non voleva rassegnarsi
all'idea che tutto finisse così.
Sì, in quel momento Shannon
Leto prese una decisione:
se la sarebbe ripresa, a tutti
i costi.
Palazzo Affari – Milano
7 Dicembre 2010
“Devo
consegnare questi a....Serena Blasi.”
“Lasci
pure a me, ci penso io.”
Max
congedò il fattorino e osservò meravigliato quelle rose rosso sangue...dovevano
essere almeno una trentina, a occhio e croce! Hai capito, Serena! Chissà chi
glieli manda...
Risalì
a passo svelto la grande scalinata di
marmo bianco, di fronte all'ingresso principale, facendo lo slalom tra
facchini, modelle isteriche, sarte, tecnici luci e camerieri del catering in
divisa.
“Serena,
tesoro...C'è una sorpresa per te!”
Massimiliano
fece il suo ingresso trionfale nel camerino, spalancando la porta, il mazzo di
rose alto davanti a sé e con il fiato corto per la corsa. Serena stava ancora
finendo di vestirsi...praticamente era ancora in mutande, ma non si diede la
pena di coprirsi. Max era come una vecchia zia bisbetica per lei. Sgranò gli
occhi alla vista dei fiori.
“Muovi
il culo e leggi il biglietto. Voglio sapere chi te lo manda.”
“Per
me? Ma chi cazz.....?”
A
Serena si chiuse il respiro.
Wherever
you might be tonight, I will be thinking about you.
I told
you I always keep my promises.
Won't
give up on you, Kid.
Love,
S.
“Max....è
lui!”
“Quel
rozzo batterista tatuato? E chi se lo immaginava che fosse un gentleman?!
Tesoro, ora ti ha proprio messa in trappola, sei obbligata a chiamarlo!” Max
sogghignò, gustandosi ogni istante dell'espressione esterrefatta di lei.
“Ma
come ha fatto a sapere dove sono....?”
“Beh,
sono sicuro che avrà dovuto sguinzagliare la CIA per trovarti...” rispose
sarcastico, alzando gli occhi al cielo “Tesoro, ti voglio bene, ma...svegliati!
Anche a un idiota sarebbe venuto in mente di telefonare al tuo ufficio per
sapere dove sei!”
“Max,
tu non capisci! Sarà già in Italia in questo momento!” Esclamò, afferrandolo
per il risvolto della giacca e scuotendolo freneticamente “È a Bologna e io non
potrò essere al loro concerto! Non potremmo vederci comunque, poi lui ripartirà
per chissà quanti mesi e....Poi te l’ho detto, non voglio comunque averci più
niente a che fare!”
“Serena
calmati, cazzo! Non è che puoi farti venire una crisi di nervi così! Allora,
per prima cosa, molla immediatamente la mia giacca. È di Armani. Secondo: ti
scoli una mezza bottiglia di vino e ti dai una bella calmata. Terzo: telefoni a
quel pover'uomo che ha avuto la sfortuna di conoscerti e lo ringrazi!”
Serena
si rese conto di quanto adorasse Max, soprattutto nei momenti di crisi: riusciva
sempre a mantenere la calma e ad essere razionale. Dopotutto, sotto quei chili
di dopobarba e la sciarpetta rosa salmone, era pur sempre un uomo.
“Ok,
ok....fammi riflettere un attimo!” Si attaccò alla bottiglia di vino bianco e
ne buttò giù un bel sorso. Non
voleva ammetterlo, ma Massimiliano aveva ragione: l’aveva incastrata,
mandandole quei fiori. Non poteva evitare di chiamarlo, almeno per ringraziare.
L’orgoglio che cercava di ingoiare era come una medicina sgradevole, che ti
lascia l’amaro in bocca.
Trenta
rose rosse. Thirty.
Ma qual era il loro significato?
Chissà se le
avrai regalate anche alla bambolona bionda con la quale ti hanno fotografato
dopo il concerto a Brighton. Avvinghiata a te come una cozza e con quel fisico
perfetto, accidenti a lei! E la sensazione che sapesse già più che bene, dove
mettere le mani…Non sarà stata né la prima, né l’ultima, d’altronde…con tutte
quelle che gliela servono su un piatto d’argento ogni sera, sarebbe da fuori di
testa, non approfittarne! E lui dovrebbe essere quello che ‘mantiene sempre le
sue promesse’?? E io scema, che ci avevo quasi creduto! Qualsiasi sia la
ragione per cui mi hai mandato questi fiori, Leto, ora tocca a te soffrire.
Ci sono già
cascata una volta, non mi farò prendere in giro di nuovo da un uomo. Live it,
learn it!
30STM tour bus – Bologna
7 Dicembre 2010
“Pronto,
Shannon!”
“Oh,
Kid! Allora sei viva?! Scommetto che hai ricevuto i fiori...” Col cazzo che
mi avresti cercato di tua spontanea volontà, altrimenti!
“Sì,
beh....grazie. Sono bellissimi.”
Tutto
qui?...E va bene, è il caso di mettere le carte in tavola.
“Serena,
guarda che io non ti ho dimenticata...perché ti comporti così?”
“Così,
come? Io sono normalissima...”
“La
smetti con questa farsa e mi spieghi quale cazzo è il tuo problema?”
“Il
mio problema? Ti sbagli, mi fa piacere sentirti...ehm...sei in Italia anche tu,
se non sbaglio. Pensa che coincidenza...”
“Sì,
sono a Bologna....Senti, puoi toglierti questo tono formale del cazzo? Prima
sparisci per giorni, poi fai così...ma si può sapere che ti è preso?”
“Assolutamente
niente, ti dico. Solo che adesso devo lavorare, tra poco inizia la serata e c'è
tanto da fare....Magari ci sentiamo quando torno a New York, ok? Oh, e in bocca
al lupo per domani sera, so che gli Echelon italiani non vedono l'ora di
rivedervi. Bye Sweetie.”
Ha
riagganciato. Mi ha chiuso anche il telefono in faccia. Io quella la uccido!
FINE CAPITOLO 7
N.B:
Freaking out= andare fuori di testa
Massimiliano
a.k.a. la “vecchia zia bisbetica” ;) è praticamente il ritratto di un mio ex
collega di lavoro….che spero non legga MAI questa storia! :D
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Capitolo 8 *** Enemy of mine ***
capitolo 8
Capitolo
8 –Enemy of mine
Palazzo
Affari – Milano
7
Dicembre 2010
“Serena
la stampa è arrivata, Victoria ti sta cercando!”
“Arrivo,
Max!” Serena spense la sigaretta nel posacenere, si arrampicò
sulle décolletées dai tacchi vertiginosi e partì all’attacco. Le
tremavano le mani per via dell’adrenalina per la serata, mista alla
rabbia in seguito alla telefonata con Shannon. In parte era ben lieta
di prendere parte a quell'evento. Almeno per qualche ora sarebbe
riuscita a tenere la mente occupata, risparmiandole flash dell'incubo
che era tornato a tormentarla la notte precedente, quando si era
svegliata di soprassalto, madida di sudore. Erano mesi che non le
succedeva più. Perché proprio adesso?
Quella
casa...
(la
baita di Cortina del suo ex)
Quel
letto...
(e
le manette agganciate alla spalliera)
E
quel ghigno soddisfatto di lui, mentre la bendava....
Memorie
di un passato che tornava a perseguitarla....
Ma
quella sera tutto sarebbe andato per il verso giusto, non avrebbe
permesso a niente e nessuno di compromettere ciò per cui aveva tanto
lavorato. Tanto meno
a te, Marco! Non riuscirai a controllare la mia mente…non di nuovo.
Non te lo permetterò!
Passò
davanti al grande specchio nel pianerottolo, prima di scendere la
scalinata dell’ingresso e dovette ammettere che non le dispiaceva,
il riflesso che vedeva. L’abito di chiffon lungo fino a terra
color cipria con cinta nera e profondo scollo a V, si abbinava
perfettamente alla pettinatura stile retro che le aveva fatto
Julia. Ora
l’importante è non inciampare nel vestito rotolando lungo le scale
davanti a tutti. Respira, Serena, puoi farcela!
Scese
la scalinata miracolosamente incolume e raggiunse Max nell’ingresso,
nel quale sfilavano gli ospiti, diretti al salone principale.
“Accidenti,
sei proprio splendida....E segnati la data sul calendario, tesoro,
perché lo sai che non faccio più di un complimento ogni 10 anni!”
“Eeeh…cosa
farei senza di te, Max?” Rispose, prendendolo a braccetto e
facendosi strada insieme verso il clou del party.
La
musica era già partita. Le luci dei grandi candelabri di cristallo
proiettavano riflessi multicolore lungo le pareti e sugli invitati
che affollavano il salone principale. La stanza era grande almeno
come un campo da calcetto e aveva una capacità di quasi 400 persone.
L’altissimo soffitto a volta e le grandi vetrate erano adornati con
teli in velluto grigio perla morbidamente drappeggiati ed alti vasi
di cristallo ricolmi di rose bianche e nebbiolina formavano due file
parallele al centro del salone, lungo i due lati di una passerella
bianca che divideva in due la stanza. Il lato destro era occupato da
tavolini e poltroncine, tutto rigorosamente bianco e, la parete, era
tappezzata da specchi che creavano giochi di ombre e illusioni di
profondità. Il lato sinistro invece era occupato in gran parte dal
bar; alle pareti grandi schermi trasmettevano immagini e video di
sfilate, mentre dal soffitto pendevano tele con dipinti d’arte
moderna. Era stata ingaggiata anche una compagnia di danza
contemporanea, che si sarebbe esibita nel corso della serata, durante
le pause tra un’uscita e l’altra delle modelle tra il pubblico.
Alla
luce soffusa della stanza, Serena riuscì ad individuare Victoria.
Stava conversando con due uomini, fingendo di sorseggiare il suo
cocktail e di divertirsi un mondo. Solo chi poteva affermare di
conoscerla bene quanto lei, si sarebbe accorto di quella farsa.
Sapeva che il suo capo era imbattibile, quando si trattava di
raggirare qualcuno per raggiungere un obiettivo. Nel settore della
moda e, soprattutto nella posizione di spicco che lei ricopriva, non
poteva mostrare segni di debolezza. Era fondamentale. Serena sapeva
che Victoria dedicava tutta se stessa a quel lavoro e, nonostante
molto spesso provocasse in lei l’istinto di commettere un
“Victoricidio”, era ormai diventata la sua famiglia in terra
straniera, oltre che un modello da seguire.
“Oh,
eccoti. Ti presento il Direttore ed il Vice Direttore di
Hachette-Rusconi”
“Serena.
Molto lieta.”
“Quindi
è lei, l'assistente della quale ci hai tanto parlato. Mi auguro che
Victoria non le renda la vita impossibile, signorina.”
“Beh
sì, è un lavoro impegnativo, ma non potrei avere un boss migliore
di lei. Mi ha dato l'opportunità di imparare moltissimo, le devo
tutto.”
Gradualmente
le luci si abbassarono, mentre un fascio di luce bianca investì il
centro della sala, illuminando quasi a giorno la passerella. Lo show
stava per iniziare.
Best
Western hotel - Bologna
7
Dicembre 2010
Jared
aprì la porta della stanza e un'ondata sgradevole di fumo quasi lo
travolse. Li trovò proprio dove aveva immaginato: stravaccati sul
divano, immersi in una partita a Halo,
che probabilmente andava avanti da almeno un paio d'ore. Entrambi si
erano tolti le scarpe e pigiavano freneticamente sui tasti del
joystick, lo sguardo fisso sullo schermo. Shannon aveva una sigaretta
accesa tra le labbra, mentre Tomo di tanto in tanto gli lanciava
addosso epiteti intimidatori come: “You're
going down this time, you bastard!” o
“There! Bite
my dust, you looser!!”
“Che
razza di sfigati che mi ritrovo nella band....giocare con la X-Box
neanche foste due nerd brufolosi di 14 anni!...”
“E'
la Play Station! Ed è vietato parlar male così di lei,
in nostra presenza!” Tomo rispose senza distogliere minimamente lo
sguardo dallo schermo.
“Ovviamente
di uscire a cena non se ne parla, vero?”
“La
cosa bella di te, Jay, è la tua perspicacia...Ordiniamo qualcosa e
mangiamo qui, c'è una sfida in corso, non possiamo mollare
adesso...”
“Sfida?
Guarda che non hai possibilità di vincere contro di me, Leto! Ne hai
perse tre su cinque finora, sta diventando fin troppo facile farti il
culo! Magari se ti concentrassi e non giocassi a cazzo, come stai
facendo....”
“Sono
concentratissimo, sto solo aspettando il momento migliore per farti
piangere di vergogna!”
Jared
sbuffò sonoramente.
Ho capito, torno a lavorare in camera mia...qui è peggio che essere
in un asilo. Andrò a convincere Emma a venire a cena con me più
tardi, non ho nessuna voglia di restare segregato in albergo.
Afferrò
una busta di popcorn dal cumulo di schifezze accatastate sul tavolino
e puntò dritto verso la porta.
“Fate
come cazzo vi pare. Io esco.”
“Tim
parlava di uscire a cena. Non andare a rompere le palle alla povera
Emma, stava riposando.”
Jared
sbatté la porta alle sue spalle, fingendo di non aver sentito suo
fratello.
Dopo
l'ennesima vittoria, Tomo alzò gli occhi al cielo e mise in pausa il
gioco.
“Allora,
amico, mi vuoi dire che ti frulla in testa o devo continuare a
vincere senza meritarmelo?”
Si
era alzato in piedi, le mani sui fianchi e un cipiglio che lo faceva
assomigliare ad una mamma preoccupata.
“Oh,
ma che vuoi, Tomo? Solo perché ti
ho lasciato
vincere un paio di volte...”
“Non
è solo per questo...ti stai comportando da emerito cazzone da
giorni, quindi o parli con me adesso...oppure prima o poi Jared, o
chi per lui, ti farà fuori!”
“E
va bene!” Shannon lasciò andare il joystick e incrociò le braccia
al petto, appoggiando la testa allo schienale “Sto ancora pensando
a lei...Contento?”
“Va
bene, fin qui ci ero arrivato, ma mi vuoi spiegare che avete
combinato voi due?”
“Io
non ho fatto niente di male!...Lei è semplicemente scomparsa, senza
motivo! In questo preciso istante è a Milano, le ho persino fatto
recapitare dei fiori...Ma quando mi ha telefonato per ringraziarmi è
stata più fredda di un blocco di marmo...è stata una pugnalata,
sentirla così....e non ha voluto neanche spiegarmi il perché!”
“Ma
dovrai pur aver fatto o detto qualcosa per farla incazzare!...Da
quanto tempo non ci parlavi?”
“L'ultima
volta è stato il giorno prima di Brighton...E prima che me lo chieda
sì, fin lì andava tutto liscio, come sempre...”
“Brighton
dici? Non ha niente a che fare con le foto che giravano in rete,
vero?”
“Quali
foto?? Non mi fare il misterioso, croato del cazzo, sputa!”
“Ma
sì...quelle di te e Nicole fuori dalla location, dopo il concerto.
Ma in che pianeta vivi?? Le hanno viste anche i sassi!”
Un
sorriso si allargò sul volto di Shannon. Forse il primo davvero
spontaneo che faceva dopo giorni.
E'
così! Non può esserci altra spiegazione....
Ma
lentamente la comprensione si fece strada nella sua mente. Tornò
serio e mollò un pugno con tutta la sua forza sul bracciolo del
divano.
“COGLIONE!”
Sputò fuori dai denti “E' di certo per questo che ce l'ha con me!
E adesso come faccio a rimediare questa cazzata?!” Shannon saltò
in piedi e iniziò a camminare nervosamente avanti e indietro,
incenerendo la sigaretta in pochi secondi.
“Penso
che se attivassi quel tuo cervello bacato che ti ritrovi per un
istante, lo capiresti subito qual'è l'unica cosa sensata che puoi
fare!”
“Vuoi
dire.....Milano?”
“Milano.”
Palazzo
Affari – Milano
7
Dicembre 2010
La
serata finalmente era terminata. Gli ultimi tiratardi erano ancora
raggruppati fuori dal portone principale del palazzo, chiacchierando
e stringendosi nelle pellicce e nei cappotti, in attesa dei taxi.
Serena, Max e Julia, ormai alticci e divertendosi come pazzi, si
avviarono a piedi verso il loro hotel, proprio di fronte alla
Galleria.
“Secondo
me Victoria è talmente ubriaca che non riuscirà a trovare la sua
camera stasera!”
“E
ci credo, si reggeva a malapena in piedi! Ma di certo ci sarà
qualcuno
a trovarla per lei....”
“Qualcuno
chi?? Pettegola che non sei altro, dicci chi si spupazza la donna
d'acciaio!”
“Julia,
io ve lo dico...ma deve rimanere fra noi tre, altrimenti rischio il
posto...e in più è solo una voce, non c'è niente di certo.....A
quanto pare Sua Altezza il Capo Supremo, in persona!”
“NO!
Ma è anche sposato!”
Continuarono
a camminare, ridendo fino alle lacrime. Piazza Duomo era quasi
deserta, fatto salvo per pochissime persone ancora davanti ai bar ed
un piccolo gruppo di uomini chiassosi alle loro spalle che,
probabilmente, si dirigevano nella loro stessa direzione. Si
trovavano a pochi passi di distanza, quindi Serena non poté fare a
meno di cogliere brandelli della loro conversazione.
“Che
ingrata, cazzo! Fosse successo a me, avrei fatto di peggio....”
disse uno degli uomini, sghignazzando senza ritengno.
“Anche
lui, però....stavano per sposarsi, non avrebbe dovuto farlo...”
un'altra voce, più remissiva. Probabilmente un uomo più anziano
degli altri.
“...non
avrebbe dovuto farsi
beccare,
casomai!” Esclamò un terzo uomo e di nuovo tornarono a ridere
sguaiatamente, incuranti delle tre persone a portata d'orecchio...
Non
essere paranoica è solo una coincidenza....
Decise
di ignorare volutamente quelle voci e ricacciare i suoi timori
nell'angolo più buio della sua mente.
Erano
quasi le due del mattino. L'aria era tagliente e fredda come la lama
di un coltello, ma la tradizionale nebbia milanese si stava già
diradando, come un sogno che svanisce prima dell'alba, portando alla
luce gli orrori della triste realtà.
Finalmente
svoltarono l'angolo del palazzo, trovandosi di fronte all'ingresso
principale dell'hotel.
“Serena!”
NO!
“Che
ci fai tu, qui??”
FINE
CAPITOLO 8
So
che mi odierete tutti per aver troncato qui il capitolo....ma cosa
sarebbe una storia senza un po' di suspence?! ;) Ok, ok, non
uccidetemi...Prometto che il seguito arriverà very SOON!!
Love
you all!
MARShugs
E.
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Capitolo 9 *** Escape into the night ***
capitolo 9
Capitolo
9 – Escape into the night
Park
Hyatt Hotel
Milano
Eccolo
lì, davanti a lei.
Lo
specchio oscuro della sua anima.
Non
era cambiato di una virgola negli ultimi due anni.
Lo
stesso sorriso, tanto perfetto, quanto artificioso.
Gli
stessi occhi, color verde scuro, freddi come il ghiaccio,
calcolatori, di chi è abituato a valutare chi ha davanti in base a
quale potrebbe essere il proprio tornaconto.
Quel
cipiglio altezzoso, tipico degli uomini in grado di ottenere tutto
ciò che vogliono dalla vita.
Di
questi dettagli si era invaghita scioccamente lei anni prima, quando
le era bastato uno sguardo da parte di quel ragazzo così attraente,
più grande di lei,
per
il quale tutte le sue amiche avrebbero fatto follie, per cadere ai
suoi piedi.
E
da lì, a finire sotto
i suoi piedi era bastato ben poco.
Il
passato era un nemico che avrebbe preferito non dover mai affrontare.
Eppure
ora non poteva sfuggirgli.
«My
soul is so afraid to realize
how
every little bit is left of me»
Marco
la guardò allibito, squadrandola dalla testa ai piedi. Di certo lei
lo era, cambiata. Eccome.
Non
tanto per l'aspetto fisico. Era sempre stata una bella ragazza.
Ma
c'era qualcosa nei suoi occhi che lui, nonostante la conoscesse da
oltre 15 anni, non aveva mai visto prima e non riusciva a decifrare.
No,
non poteva essere lei...
Che
ne era stato della Serena dolce e remissiva, che aveva persino paura
di salire sulle montagne russe?
Aveva
pensato a lei spesso, nonostante non l'avesse più vista
da
quando decise di partire per New York.
Ma
non perché le mancava, sia chiaro.
Le
smancerie romantiche non facevano per lui.
Perché
di donne ne aveva avute molte, da sempre. Quella con la quale lei lo
aveva colto in flagrante era solo una, una delle tante.
La
sua segretaria. Una ragazza tanto carina, quanto inutile.
L'aveva licenziata pochi giorni
dopo, non avrebbe saputo più che farsene di lei, una volta ottenuto
ciò per cui l'aveva assunta.
Ma
da quando Serena se n'era andata, non trovava più nessun piacere nel
sesso.
La
verità era che niente lo eccitava più, come faceva lei.
Lei
che era sua, sempre.
Nonostante
tutte le altre donne che si scopava occasionalmente, che duravano
giusto
il tempo necessario a farlo sentire vivo e mettere alla prova il suo
fascino.
Non
poteva farne a meno, doveva sentirsi desiderato.
Ma
con lei era tutta un'altra storia. Non c'era bisogno di strategie, né
di trucchi, per averla.
Sì,
si erano divertiti insieme. Non poteva negarlo e neanche lei.
E
ciononostante gli aveva voltato le spalle, se n'era andata per
sempre.
La
detestava per questo.
Aveva
fatto in modo che non potesse più tornare. Aveva cercato di
seppellire il ricordo di lei nell'angolo più oscuro della sua mente.
E invece ora era lì, di fronte a lui, raggiante, quanto non lo era
mai stata prima.
“Chi
non muore si rivede, a quanto pare.” Marco gettò via il mozzicone
di sigaretta ed infilò le mani nelle tasche del blazer, studiandola
attentamente.
“Potrei
dire lo stesso di te...”
Silenzio.
Serena
non riusciva a muovere un muscolo. Non aveva mai pensato realmente
a cosa sarebbe potuto accadere, qualora si fosse trovata in una
situazione del genere.
Aspettò
che fosse lui a parlare di nuovo.
“Beh,
dopo tanto tempo, non mi dai nemmeno un bacio?”
Serena
lo guardò truce. “Mi prendi in giro?!”
Cercava
di metterla in imbarazzo, per di più davanti a Max e Julia? Per
fortuna entrambi l'avevano preceduta in hotel, intuendo che sarebbe
stato
più
delicato lasciare loro un po' di privacy.
“Il
senso dell'umorismo l'hai dimenticato a New York? Guarda, che
scherzavo...anche se non mi dispiacerebbe affatto. Ti trovo
splendida, piccola.”
“Piccola”??
Come osi chiamarmi ancora così?!
“Senti,
potresti evitare questi commenti? E soprattutto, non sono più
“piccola”,
soprattutto non per te.
Piuttosto, vuoi dirmi che diavolo ci fai qui a Milano? E nel mio
stesso hotel, a quanto pare...”
“Ehi,
è un paese libero, a quanto mi risulta. Comunque sono qui per
lavoro.
Avevo
un incontro con un potenziale nuovo fornitore, ma è stato
posticipato a domani a pranzo. Quindi per me la notte è ancora
lunga, se vieni dentro ti offro da bere...
in
memoria dei vecchi tempi.” Le fece l'occhiolino, accennando verso
l'entrata dell'hotel.
Piuttosto
preferirei bere veleno. Ma ho l'occasione di dirti in faccia un paio
di cosette e liberarmi di questo peso. Devo farlo. Adesso o mai più.
“E
va bene...” seppur riluttante, lo seguì verso il bar, sentendosi
come un condannato a morte nel miglio.
Si
sedettero ad un tavolino di fronte al bancone del bar, in fondo alla
hall semi deserta.
Lui
ordinò una bottiglia di Ferrari
“E'
il caso di festeggiare quest'incontro, no?”
Tipico.
Cerca di dissimulare le proprie emozioni, sperperando un po' di
soldi.
Un
tempo magari, l'avrei preso per un gesto galante. Ma i tuoi
trucchetti, risparmiateli per quelle baldracche senza cervello che ti
porti a letto.
“Allora,
non mi racconti niente? Tu come mai sei qui?”
Serena
iniziò a raccontare.
E
più parlava, più si rendeva conto che i suoi timori erano
infondati.
Lui
non la intimidiva più.
Era
cambiata ora e si sentiva molto più forte, di quanto non fosse mai
stata prima.
Capì
che aveva trasformato lui, nell'incarnazione delle sue paure e che,
se fosse riuscita a tenergli testa, avrebbe vinto lei, se ne sarebbe
liberata per sempre.
Man
mano che questi pensieri andavano prendendo forma nella sua mente,
iniziò a sentirsi molto più sicura di sé.
In
fondo lui, qualche lezione dai suoi errori, doveva averla pur
imparata.
Non
lo stava perdonando per ciò che le aveva fatto passare.
Per
averla chiusa in gabbia per tanti anni. Per averle portato via tutti
i suoi sogni.
No,
avrebbe potuto dimenticare, col tempo, ma non perdonare.
Your promises, they look like lies Your honesty, like a back that hides a knife
La
prima bottiglia terminò in fretta. Erano a metà della seconda,
quando lui si appoggiò allo schienale della poltrona e le rivolse
uno sguardo interrogativo
“Ti
trovo molto cambiata...Magari se fossi stata così anche quando
stavamo insieme,
le
cose sarebbero potute andare diversamente...”
“Andare
diversamente? Ti ricordo che eri tu, quello che ho beccato immerso
in
un approfondimento
psicologico intensivo
con quella troia....a casa nostra!
A
proposito, che ne hai fatto della casa?”
“L'ho
dovuta vendere. Troppi ricordi.”
La
guardò mangiandola con gli occhi, prima di bere un altro sorso dal
bicchiere.
“E
la casa di Cortina? Troppi ricordi anche lì?”
Vediamo
come te la cavi con questa. A che gioco stai giocando?
Era
un argomento off-limits e Serena lo sapeva bene. Non avevano mai
parlato tra loro apertamente di ciò che era successo lì dentro.
L’ultimo
tentativo disperato di lei per mantenere viva la fiamma della
passione, realizzando le fantasie più estreme di lui, per una
notte…ma quando scoprì quali fossero, era troppo tardi per tirarsi
indietro.
“No, mio padre non ha voluto
venderla. Ma non ci sono più tornato da....beh, da allora. Non
sarebbe lo stesso senza di te, piccola, lo sai.”
Piccola.
Kid.
Inaspettatamente
la bambina che era in lei si fece strada a spallate dentro di lei.
Sentì
il desiderio di gettarsi tra le forti e sicure braccia di Shannon,
perché il peso del dover affrontare quella situazione da sola, le si
rovesciò addosso, freddo e sgradevole quanto una doccia gelata.
Sarebbe stato tutto più
semplice, se in quel momento ci fosse stato qualcuno al suo fianco,
pronto a “proteggerla”, per una volta nella sua vita.
E
sì, avrebbe persino accettato volentieri un banale “non ti
preoccupare, andrà tutto bene”.
Cavolo,
mi sto proprio rammollendo.
“Ti
ho già detto di non chiamarmi 'piccola', se non sbaglio.”
“Dai...in
fondo ci siamo divertiti insieme.” Fece un cenno al cameriere ed
ordinò un whisky. “Ma il tuo senso del divertimento è sempre
stato molto diverso dal mio.”
Era
troppo.
“E’
qui che ti sbagli. Non vedo come tu possa divertirti in quello che
fai. Quando scopavi con tutte alle mie spalle…o magari quando mi
hai infamata davanti a tutta la mia famiglia ed i miei amici? Ti
divertivi a trattarmi come un oggetto di tua proprietà?
Anzi
no, persino alla tua moto tenevi molto più di me!”
Silenzio.
Lui
che continuava a sorseggiare impassibile il suo whisky, sempre con
quel perenne sorrisetto sulle labbra.
Lui
che, di tanto in tanto, alzava gli occhi al cielo, come se ne avesse
abbastanza di ascoltare le sue fandonie.
La
rabbia stava montando dentro di lei e starsene lì ferma non le dava
abbastanza soddisfazione.
“Beh,
vedo che non abbiamo altro da dirci. Io me ne vado a dormire. Domani
ho un aereo da prendere, per tornare a casa
mia.
Addio Marco. Non posso dire che sia stato un piacere rivederti.”
Si
alzò decisa e gli aveva appena voltato le spalle, quando lo vide.
Stava
sognando, era accecata dall’ira, ubriaca, o cos’altro?
Eppure
era l’unico uomo che conoscesse che fosse in grado di indossare
occhiali da sole persino di notte…
Era
di fronte alla reception, dall’altra parte della hall e parlava
gesticolando, con l’addetto al turno di notte dietro al bancone.
Quest’ultimo
si guardò intorno per un momento, poi indicò in direzione di
Serena, la quale assisteva alla scena stupefatta, incapace di aprir
bocca.
“Serena,
dove vai? Non abbiamo ancora finito, io e te…”
Marco, alle sue spalle, l’aveva
afferrata saldamente per un braccio, ignaro di quanto stesse
accadendo a pochi metri da loro.
Shannon
si voltò ed intercettò lo sguardo allibito di Serena.
Un
sorriso disarmante si aprì sul volto di lui.
Era
lì per lei.
Non
sarebbe più stata sola. Rivederlo
le diede coraggio.
Avvertì
lo sgradevole contatto della mano di Marco ancora stretta attorno al
suo braccio e si riscosse dai suoi pensieri.
“Lasciami,
mi fai male! Ti ho già spiegato che non ho altro da dirti. Voglio
solo cancellarti dalla mia vita!” Senza rendersene conto, aveva
alzato il tono della voce, attirando l’attenzione dei pochi
tiratardi che ancora si aggiravano per la hall.
“Rimettiti
seduta, per piacere, ci stanno guardando tutti. Mi stai mettendo in
imbarazzo” sibilò lui a denti stretti, cercando di persuaderla.
“Is
there a problem here?”
Shannon
era in piedi dietro di lei. Si sfilò gli occhiali da sole,
incenerendo Marco con lo sguardo ed incrociando le braccia sul petto,
con fare minaccioso.
“It’s
not your business man, so piss off!”
Gli rispose
Marco, sfoderando il suo miglior slang americano da ex studente di
Harvard, squadrandolo con disgusto dalla testa ai piedi.
E
questo chi cazzo è? Fanno entrare cani e porci all’Hyatt, a quanto
pare.
“Amico,
datti una calmata e lascia andare la signorina immediatamente.”
“Altrimenti
cosa fai? Si dà il caso che io e lei stavamo avendo una
conversazione e la cosa non ti riguarda. Quindi, se non ti dispiace…”
“Sì
che mi dispiace, invece” Shannon si avvicinò a pochi centimetri
dalla faccia di Marco, fissandolo dritto negli occhi.
Quest’ultimo
esitò per un istante, prima di alzare le mani e fare marcia
indietro.
“Va
bene amico, come ti pare…”
Serena,
che aveva trattenuto il respiro fino a quel momento, finalmente
intervenne
“Marco,
lui è un mio….amico, di Los Angeles. Si chiama Shannon Leto” Si
rendeva conto dell’inadeguatezza delle proprie parole, nel
tentativo di descrivere Shannon, ma tanto i due continuavano a
fissarsi in cagnesco senza alcun segnale di averla sentita.
La
tensione nell’aria era quasi palpabile.
“Ehm…Shannon,
dai, andiamocene. E’ tutto a posto.” Cercando di attirarlo
lontano da lì, Serena gli prese la mano. Un gesto che non passò
inosservato da Marco, ormai fuori di sé dalla rabbia “Sì, vattene
pure! Tanto tornerai da me strisciando! E tanti auguri a te, se te la
vuoi scopare…accomodati pure! Tanto non ho bisogno di lei!”
Cazzo!
Sentì
la mano di Shannon scivolar via dalla sua e, prima che riuscisse a
rendersene conto, lui si era lanciato contro il suo ex afferrandolo
per il collo della camicia
e
puntandogli il dito contro.
“You
watch your fuckin mouth, when you talk to her! Do you understand me,
you prick?” (*)
Gli
ringhiò addosso.
Marco
alzò le mani in segno di resa, assumendo l’aria più innocente che
riuscisse
a
mettere insieme.
Un
paio di uomini della sicurezza dell’hotel si avvicinarono per
dividerli, ma Shannon aveva già capito di essersi spinto troppo
oltre. Lo lasciò andare
e
tornò verso Serena, tenendo lo sguardo ben piantato su di lui.
Lei
lo afferrò saldamente per un braccio e, prima di trascinarlo via con
sé, disse rivolta alle guardie “E’ tutto a posto, si è trattato
solo un malinteso. Scusateci, non succederà più.”
Chiamò
l’ascensore, pigiando il tasto ripetutamente e con più violenza
del necessario.
E
muoviti, quanto cazzo ci metti ad arrivare? Prima che Shannon ci
ripensi e torni indietro a spaccargli la faccia. Non l’ avevo mai
visto con uno sguardo del genere.
Sembrava
quasi un folle omicida, per un attimo…a momenti faceva paura anche
a me.
“E
comunque si può sapere che diavolo ci fai qui?? E come hai fatto a
trovarmi?”
Finalmente
l’ascensore arrivò. Entrambi si scaraventarono dentro e non appena
Serena ebbe schiacciato il tasto del quarto piano, Shannon la prese
per la vita e la spinse rudemente contro la parete, guardandola
dritta negli occhi.
“Io
ti troverò sempre Kid, non puoi sfuggirmi. Piuttosto, mi spieghi
perché cazzo eri insieme a lui?”
FINE
CAPITOLO 9
Vi
lascio con uno Shannon alquanto adirato…Alla prossima puntata!;)
Grazie di nuovo a tutti voi,
lettori e recensori
Baci,
E.
NOTE:
Ok,
questo capitolo è stato un parto vero e proprio,spero vi sia
piaciuto! ^_^
(*)
“Stai attento a quello che dici, quando ti rivolgi a lei! Mi hai
capito, stronzo?” (in inglese suona molto più figo e minaccioso,
dovete ammetterlo ^_^)
Marco
l’ho immaginato con le fattezze dell’immenso Gavin Rossdale,
frontman dei Bush, nonché attore…nonché marito di Gwen Stefani.
Se non avete idea di cosa io stia parlando, eccolo qui:
http://www.google.it/imgres?q=gavin+rossdale&hl=it&sa=X&biw=1280&bih=899&tbm=isch&prmd=imvnsol&tbnid=LeljE_PG7_lTxM:&imgrefurl=http://shhville.wordpress.com/2010/08/09/monday-mini-featuring-james-badge-dale-gavin-rossdale/&docid=6G1dcdEGzt6rxM&imgurl=http://shhville.files.wordpress.com/2010/08/gavin-rossdale-bush-2396619-1119-16321.jpg&w=1119&h=1632&ei=CllvT9f9DunE4gTd9PC_Ag&zoom=1&iact=hc&vpx=767&vpy=422&dur=323&hovh=271&hovw=186&tx=103&ty=168&sig=117082661733978997272&page=1&tbnh=172&tbnw=124&start=0&ndsp=28&ved=1t:429,r:25,s:0
Il
look di Shannon:
https://www.facebook.com/photo.phpfbid=190576987629470&set=a.186184144735421.39839.142501715770331&type=3&theater
L’ispirazione
per questo capitolo, l’ho tratta da una delle mie canzoni preferite
da sempre: “The perfect drug” dei Nine Inch Nails. Qualora non
aveste mai visto il video….cosa aspettate a farlo??? XD
http://www.youtube.com/watch?v=Hpuu_xODUpo
|
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Capitolo 10 *** Release me ***
capitolo 10
Fondamentale
una premessa: non conosco (ahimè) Shannon Leto, pertanto tutto ciò
che ho descritto, relativamente al suo passato è COMPLETAMENTE –
non mi stancherò mai di ripeterlo – frutto della mia mente malata
;)
Grazie
di nuovo a tutti voi, recensori e lettori silenziosi. MARShugs <3
E.
Capitolo
10 – Release me
(*)
“E
lasciami, cazzo, Shannon! Ma perché sei venuto fin qui, accidenti a
te? Non riesci proprio a leggere tra le righe, vero?!”
“Facciamo
che prima mi spieghi tu, come mai ti ho trovata insieme a lui...ti dò
5 secondi di tempo per giustificarti.”
“Giustificarmi?IO??
Ma fai sul serio? Parli proprio tu che....” Serena sbuffò e
distolse lo sguardo da lui, prendendo a fissare il muro alle sue
spalle accigliata. L'ultima cosa che voleva era sembrare una
“fidanzata gelosa”...dopo tutto non poteva certo pretendere di
avere l'esclusiva su Shannon
Leto!
“...proprio
io, cosa??
Finisci la frase. Dai, sputa il rospo, voglio sentirtelo dire!”
Continuava a starle addosso, con lo stesso sguardo minaccioso e le
prese il mento con una mano, obbligandola a guardarlo di nuovo negli
occhi.
“Non
ti darò questa soddisfazione, quindi lasciami subito!”
“Certo
che sei testarda eh? Ma hai trovato qualcuno che lo è più di te”
così dicendo premette il pulsante di arresto e l'ascensore, con uno
scossone, si fermò.
Era
in trappola. Di nuovo non poteva sfuggirgli.
“Se
non l'avessi ancora capito, ci metto un minuto a tornare di sotto e
dare a quel tipo la paga che merita, quindi parla!”
“Ho
visto le tue foto con quella bionda, va bene?? Certo che potevi anche
evitare di prendermi in giro con quella farsa all'aeroporto, quando
mi hai chiesto di aspettarti!”
“Finalmente
l'hai ammesso!" Shannon alzò gli occhi al cielo "Per tua informazione, ho cercato di scollarmi di dosso
Nicole – così si chiama lei – per tutta la sera e quando,
finalmente, ha capito che facevo sul serio, mi sono anche beccato un
ceffone!...Tutto questo per te, cocciuta di un'italiana!”
“E
va bene...ma non pensare di intenerirmi con questa storia! Avevo una
mezza idea di fare lo stesso anche io!”
“Per
fortuna allora che sono arrivato in tempo per salvarti il culo da
quel viscido!”
Silenzio. Continuarono a guardarsi in cagnesco per degli istanti interminabili, poi inaspettatamente Shannon le rivolse uno dei suoi sorrisi sghembi
disarmanti, in grado di azzerarle qualsiasi capacità psico-motoria.
“Mi
sei mancata, Kid”
Ma
lei era ancora troppo combattuta ed agitata, per cedere.
“Ora
potresti gentilmente lasciarmi e far ripartire l'ascensore, prima che
la sicurezza venga a prenderci per sbatterci fuori dall'hotel
definitivamente?”
“E
va bene, finiremo questa discussione in camera tua...”
Serena
si mordicchiò il labbro per un momento, riflettendo sul da farsi.
Perché
dopo aver chiarito l'argomento “bionda”, non si sentiva ancora
alleggerita di un peso? Un tarlo le rodeva la serenità, facendola
esitare di fronte all’idea di lasciarsi andare al suo abbraccio,
nonostante lo volesse disperatamente…quelle braccia, quelle mani,
quegli occhi…tenerezza, sì, ma anche rabbia folle,
aggressività…l’Animale…Assistere
a quel suo raptus di collera, nella hall, non le era piaciuto neanche
un po'. Non si sarebbe mai aspettata una reazione del genere da lui e
quella scintilla di follia nei suoi occhi l'aveva spaventata a morte.
Non poteva far finta che non fosse successo.
In
fondo sei anche tu come Marco?
Dio
no, non di nuovo!
Shannon
accanto a lei era ancora visibilmente in tensione. Le stava ancora
addosso, stringendole i polsi con troppo vigore ed essere rinchiusi
in quell'angusto ascensore, sospeso a mezz'aria, contribuiva solo a
farla sentire soffocare. L'istinto naturale di fuggire via da lì
stava prendendo il sopravvento su di lei...
“Tu
in camera con me non ci vieni. Almeno finché non ti sarai calmato!”
Premette il pulsante del pianoterra e in pochi secondi erano di nuovo
nell'ingresso. “Ho
bisogno d'aria” Serena
gli afferrò la mano con decisione, trascinandolo con sé nella notte
gelida milanese.
“Muoviti,
cammina. Non ci tengo ad incontrare di nuovo Marco, per dare il via
al secondo round! “
Shannon
sgranò gli occhi per lo stupore “Cosa?? Ehi, che ti prende, Kid?
Ti ho spiegato che non è successo niente con quella, né con
nessun'altra....ora che problema c'è?” Lui rallentò, confuso,
senza riuscire a trovare un senso alla reazione di lei. Ma Serena non
riusciva a fermarsi, non poteva resistere all'istinto naturale di
andarsene lontano da lì. Quando ebbe messo diversi passi di distanza
tra loro due, finalmente si voltò di scatto e quasi
urlò contro di lui “Perché hai reagito così?!”
“Così
come? Che intendi?”
“Così
così! In hotel, con Marco!”
“Ho
rinunciato a spaccare la faccia a quello stronzo incravattato e ora
che fai, lo difendi??”
Lei
non riusciva a distogliere lo sguardo da lui, attendendo con timore
la sua prossima mossa. Erano
poi tanto diversi tra loro? Perché
non capiva? Perché non rispondeva, perché non la rassicurava?
Riprese a camminare
a passo spedito, attraversando loggiati e strade misteriosamente
deserte. Come se tutta la città, insieme a lei, stesse tenendo il
fiato sospeso, in attesa di ascoltare le motivazioni di lui, sperando
che bastassero a farle cambiare idea.
“Serena
aspetta!” La raggiunse correndo “Aspetta! Ok, credo di doverti
dare delle
spiegazioni, prima che mi prenda per uno schizzato totale”
Serena
si fermò, senza però avere il coraggio di voltarsi e guardarlo
negli occhi. Shannon si grattò il mento ispido per un attimo, poi
infilò le mani nelle tasche dei jeans e iniziò a raccontare,
tenendo lo sguardo fisso davanti a sé.
“Ti
avevo detto che, anni fa, prima di iniziare con la band, stavo
passando un periodo un po'....diciamo “complicato”. Beh, mi ero
buttato a capofitto nell'alcol e nelle droghe...in realtà è
iniziato tutto dopo essermi fatto 6 mesi di galera. Rissa in luogo
pubblico. Ci fu anche un processo, ma non potevo permettermi un buon
avvocato, quindi venni condannato a 1 anno e 6 mesi più un
risarcimento di 8,000$. Scontai solo i sei mesi ed uscii con la
condizionale e l'obbligo di seguire una terapia per il controllo
della rabbia. Ci misi quasi il doppio del tempo per riprendermi.”
Di tanto in tanto le gettava un'occhiata preoccupata, come temendo
che prima o poi lo piantasse in asso, lì in mezzo alla strada.
Invece Serena continuò a camminare al suo fianco, ascoltando con
attenzione ogni sua parola.
Riprese:
“In realtà si trattò di un casino scoppiato nel parcheggio di
questo bar di Los Angeles, dove ci ritrovavamo sempre a bere e
giocare a biliardo con gli amici. La causa di tutto fu un viscido di
uno yuppie bastardo. Sai, uno di quegli avvocati arricchiti che il
sabato sera tirano fuori la Maserati dal garage, per farsi il giro
dei sobborghi e sbattere i propri soldi in faccia ai poveracci. Tanto
per rimediare qualche ragazzina scema da scoparsi. Comunque. Fatto
sta che il tipo era stato per tutta la sera appiccicato alla barista,
che si dà il caso fosse una mia amica. Lei cercava di farglielo
capire con le buone e tenendosi alla larga, che non era
interessata....considerando anche che il tipo ci stava dando dentro
con gli alcolici. A fine serata lei esce dal bar, diretta verso la
sua auto posteggiata nel parcheggio sul retro e chi ti incontra? Lui
e due suoi amici stronzi erano rimasti lì, ad aspettare che lei
uscisse. Prima iniziano a provocarla a parole, poi lui le si avvicina
e cerca di immobilizzarla contro la fiancata dell'auto, aiutato dai
suoi compari e inizia a metterle le mani addosso. Per fortuna io e i
miei amici eravamo ancora nei paraggi e, sentendo quel casino, siamo
corsi a vedere cosa stesse succedendo. Eravamo quattro contro tre e
noi avevano anche....l'attrezzatura pesante, se capisci cosa intendo.
In pratica quelle mezze seghe se la fanno sotto dalla paura e cercano
di correre via, ma io mi avvento sullo yuppie per trascinarlo lontano
da lei e poi...ricordo solo la sensazione di dolore quando inizio a
colpirlo con tutta la mia forza....sentivo le nocche insanguinate
contro la sua faccia, ma non riuscivo a smettere....non lo so che
cavolo mi è preso, ero come accecato dalla rabbia. Hanno dovuto
tenermi in tre, prima che mi fermassi, ma la polizia era già
arrivata....Dalla ragione sono passato al torto, nel giro di pochi
minuti...” Si fermò, appoggiando i gomiti ad una staccionata,
perdendo lo sguardo in un punto imprecisato aldilà del laghetto di
Parco Sempione, nel quale erano arrivati.
Serena
si appoggiò di schiena alla staccionata ed incrociò le braccia sul
petto, riflettendo su ciò che lui le aveva appena rivelato. Era
chiaro che si trattava di una cosa della quale non andava fiero e lo
metteva a disagio parlarne, nonostante fossero passati diversi anni.
“E
lo yuppie se la cavò, alla fine?”
“Sì...l'ambulanza
arrivò in pochi minuti e nel giro di una settimana era fuori
dall'ospedale. Qualche costola incrinata, naso rotto, punti di sutura
qua e là...”
“...ok,
ok. Non c'è bisogno di scendere nei dettagli, grazie, il quadro mi è
chiaro...Ma immagino che lui abbia sporto denuncia, altrimenti non ti
avrebbero arrestato!”
“Infatti...
la cosa peggiore è stata sorbirmi tutte quelle ore di terapia per il
controllo della rabbia...sono tornate a galla un sacco di cose che
non pensavo neanche di ricordare...”
*
Shannon *
Siamo
qui a parlare e il tempo scorre via a manciate.
Le
parole mi escono di bocca senza che nemmeno me ne accorga, mentre ti
racconto tutti i miei segreti. Non pensavo che avrei mai trovato una
persona con la quale
sarei
riuscito a parlare del mio passato....e in effetti sei la prima alla
quale lo racconto, a parte Jared. Da un lato vorrei che tutto questo
non fosse mai accaduto, ma dall'altro
so
che non sarei mai diventato la persona che sono adesso, se non avessi
dovuto affrontarlo.
“Don't
regret anything you do,
because
in the end it makes you who you are..”
Ho
imparato dai miei errori e ho pagato per essi.
Finché
non affronti le tue paure, il passato tornerà sempre a tormentarti.
Me
l'hai insegnato tu, stasera.
Se
non fossi arrivato io, a scombinare tutti i tuoi piani, avresti vinto
tu contro di lui.
Sei
più forte di me, Serena. Più di quanto tu non immagini.
Io
ci ho messo anni ed anni per arrivare fin qui...
Sì,
le nostre storie sono completamente diverse, ma in fondo siamo molto
simili.
Hai
un'espressione così comprensiva e assorta, mentre mi ascolti che
sento di non aver più bisogno di niente. Mi basti tu, seduta qui,
accanto a me, la città ai nostri piedi e davanti a noi uno
sterminato oceano di possibilità.
Non
mi serve sapere che tu sia legata a me in qualche modo
istituzionalizzato o convenzionale. E non mi importa se ci rivedremo
tra mesi e mesi, probabilmente.
Mi
basta la fotografia mentale di te, seduta a gambe incrociate su
questa panchina, il mento appoggiato alla mano, il mio riflesso nei
tuoi occhi.
E
quando sarò via, mi piacerà pensare che in quel momento stavi
pensando a me e al nostro rapporto.
Se
di rapporto si può parlare.
È
strano come certe persone ti entrino dentro così, improvvisamente e
irrevocabilmente. Fino a un paio di mesi fa, non avevo neanche idea
di chi tu fossi.
E
pensavo che ormai fossi arrivato in cima...il successo professionale,
un sogno che si realizza...Invece il successo non serve a niente e i
soldi neanche...aggiungono solo centimetri all'ego. No, finché non
trovi una persona con cui condividere la felicità, non puoi dire di
averla mai assaporata.
Solo
a pensarle queste cose, dovrei sentirmi un povero stronzo....e invece
per la prima volta in vita mia....sì, sono felice.
Cazzo,
sono innamorato?
Non
lo so...so solo che mi piace tutto di lei...persino le sue
insicurezze, quando si guarda di nascosto negli specchi, lasciando
trapelare tanta insicurezza, dietro quella maschera.
Oppure
quando mi dà un bacio sul collo, dopo che abbiamo fatto l'amore e
appoggia la testa sul mio petto...
Mi
volto di nuovo verso di te e mi sorridi.
Voglio
imprimere questa immagine e conservarla in qualche cassetto della mia
mente.
Non
so se né quando ci saranno altri momenti come questo, di assoluta
sincerità, entrambi messi di fronte alle nostre paure, ma con la
voglia di buttarcele alle spalle, insieme.
Lo
so che non apparterrai mai più a nessuno, in vita tua. Non potrai
mai essere mia.
E
se mi accontentassi di questo? Sapere che mi pensi e, magari, a modo
tuo, mi vuoi bene?
Può
bastarmi?
No.
Cazzate.
Lo
so che mi mancherai.
Ma
non otterrò mai più di questo. Almeno finché tu non vorrai.
E
prima che ce ne accorgiamo sarà già mattina e dovremo separarci di
nuovo.
Non
ancora, vi prego.
Datemi
ancora un'ora. Mi serve altro tempo.
Ancora
un minuto di pace, insieme a te.
Iniziamo
insieme il primo giorno del resto della nostra vita.
“Giuro
che tornerò, per rapirti di nuovo”
“Ma
chissà quando, Shan? Quando tornerai sarai una persona diversa...di
certo questo viaggio ti cambierà. E se non avessi più bisogno di
me?”
I
tuoi occhi si velano di tristezza, per un attimo e distogli lo
sguardo da me.
“Non
sarà così. Te l'ho detto che mantengo sempre le mie promesse. E se
cambierò, spero solo di diventare migliore.”
“Hold
on to the thread
The
currents will shift
Glide
me towards you
Know
something's left
And
we're all allowed
to
dream of the next
Oh,
the next time we touch...” (**)
L'orizzonte,
attraverso i grattacieli e le luci della città, ancora addormentata,
iniziava già a tingersi di sfumature rosso e viola. Rimasero lì
seduti fino al mattino, abbracciati, impazienti e allo stesso tempo
spaventati dall'arrivo del nuovo giorno e dalle sorprese che il
destino aveva già architettato per loro.
FINE
CAPITOLO 10
(*)
Il titolo del capitolo è tratto dall'omonima canzone dei Pearl Jam,
“Release”. Se vi va di ascoltarla, eccola qui:
http://www.youtube.com/watch?v=iPUwtyZglQI
(**)
Pearl
Jam – “Oceans “ Stesso discorso, qualora non la conosceste,
anche il video è bellissimo:
http://www.youtube.com/watch?v=4WOk7UNAvOw&ob=av2e
|
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Capitolo 11 *** But where's your heart? (Parte I) ***
capitolo 11 (prima parte)
Capitolo 11 – But where's your heart? (PARTE
1)
PREMESSA!! Spero che ricordiate come è iniziata
la fic, perché in questo capitolo si ritorna al presente della narrazione.
Siamo a New York, marzo 2011, in pieno Hurricane tour, mentre Shannon e i guys
sono in Australia. Per qualsiasi riferimento, (ri)leggetevi il Capitolo 1,
oppure...chiedete! ;)
Ho preferito dividere il capitolo in due parti,
per non confondevi troppo le idee...spero vi piaccia! Baci, Perfect_Denial ;)
“Hey
S, vieni con noi? Io, Max e Julia ci imbuchiamo al backstage e all'afterparty
di Tom Ford, al Lincoln Center. Julia conosce la PR, quindi riesce a farci
entrare!” Josh si stava infilando la giacca ed aveva già una sigaretta tra le
labbra, pronto a gettarsi a capofitto nella serata newyorkese.
Era
venerdì sera e lei se n'era completamente dimenticata.
“Mmm
non so se è una buona idea, Josh, sono veramente distrutta...e poi dovrei
passare a casa a cambiarmi, ci sarà il dress code, come minimo....”
“Primo:
è venerdì sera...non fare sempre la parte della precisetta guastafeste, dovrai
pur divertirti ogni tanto! Secondo: sei già bellissima così, non vedo perché
dovresti cambiarti....” la guardò per un attimo, sorridendo ed inclinando
lievemente il capo di lato, come per osservarla meglio. Era carino e galante. E
Serena lo sapeva bene, visto che insieme avevano trascorso un paio di mesi
decisamente....divertenti, l'estate precedente, dopo le due settimane di villeggiatura
presso la casa di lui negli Hamptons. Alla fine di agosto, lei aveva deciso di
giocarsi la scusa di essere colleghi di lavoro, per mascherare l'assenza di
un'affinità emotiva (aldilà di quella in camera da letto) e dare un taglio alla
relazione.
Rimase
un momento in silenzio a mordicchiarsi il labbro.
Oh, smettila con le paranoie!
Dovesse farti male, una serata fuori ogni tanto?
E che c'è di male se c'è anche
Josh? Siete entrambi adulti e vaccinati, quindi è ora di comportarsi come tali
e superare questo stupido imbarazzo!
“E
va bene, non so come hai fatto ma mi hai convinta, drittone! Ma prima passo in
magazzino a recuperare qualcosa da mettere...A che ora inizia la serata?”
Josh guardò l'orologio “Visto che sono le 9, direi che non puoi
metterci più di 10 minuti a prepararti, perché con il traffico che c'è, per
quando arriviamo là, si saranno già accaparrati tutte le modelle migliori”
sogghignò soddisfatto “Intanto chiamo un taxi e ti aspetto qui fuori, Cenerentola!”
Si accese la sigaretta, fece l'occhiolino a Serena ed uscì.
Il solito sbruffone...Vabbè, vediamo cosa offre il nostro
guardaroba campionari....
Prese a rovistare velocemente tra gli scaffali e gli appendiabiti,
mentre si svestiva il più in fretta possibile. Poter usufruire a suo piacimento
dei campionari di tutte le collezioni era uno dei privilegi che preferiva.
C'era veramente di tutto: scarpe, borse, cappelli, abiti, accessori vari...era
il suo Valhalla personale, anche perché l'accesso a quei capi era riservato
solo a pochissime persone in azienda.
Dunque, Tom Ford.....ci sarà il mondo stasera.....direi abito nero
con retro in pizzo e sopra trench doppiopetto color cipria. Scarpe.....Miu Miu:
decolleté mary jane in vernice nera.....mmm, sì, può andare!
Raccolse tutta la sua roba in una busta e la depositò in un
armadietto. L'avrebbe recuperata lunedì. Diede un'ultima occhiata allo specchio
nell'angolo, si ravviò i capelli e, con un'alzata di spalle, decise che per
quelli, non c'era niente che potesse fare.
Non appena Josh la vide uscire, la folta chioma svolazzante e il
viso illuminato da un ampio sorriso, la squadrò da capo a piedi e le aprì la
portiera del taxi, posteggiato di fronte all'ingresso principale del negozio.
“Che eleganza...farò un figurone a presentarmi con te.”
“Scemo....ma Max e Julia, dove sono?”
“Ci aspettano lì....Julia doveva, ehm, trovare la sua amica per
farci mettere in lista...”
“Se fossi maliziosa penserei che mi stai rifilando una bugia
penosa, per stare da solo con me.....ma se preferisci, faccio finta di niente!”
“Cosa mi tocca inventare, sono proprio disperato! Così non potrai
sfuggirmi, come riesci sempre a fare al lavoro!”
Lungo il tragitto, Serena non riuscì a evitare di sentirsi
elettrizzata per la serata. Era da troppo tempo che non usciva, per puro
divertimento, sempre impegnata com'era a fare da schiava a Victoria.
“Allora, non mi racconti niente? Che mi dici a proposito delle
voci che girano su di te ed una famosa rockstar...?”
“Ti dico che sei un pettegolo e da te non me lo sarei mai
aspettato!” Gli diede una gomitata amichevole, cercando di sminuire in tutti i
modi i suoi tentativi di flirtare con lei ed allentare la tensione.
“Insieme è una parola grossa....diciamo che per il momento,
siamo...'amici speciali', non saprei come altro definirci, visto che lui è in
tour in giro per il mondo e non lo vedo da
dicembre scorso....però sì, siamo molto legati finora, in futuro si
vedrà!”
“Quindi hai ufficialmente acceso la luce rossa, sei 'occupata'?”
“La luce rossa? Ma come ti vengono in mente queste cazzate?!”
“Talento naturale.” Le fece l'occhiolino e la osservò di
sottecchi, mentre lei aveva estratto uno
specchietto ed il rossetto dalla borsa e se lo passava sulle labbra. “Beh, in
questo caso, mi faccio da parte....potrei mai competere con una rockstar?”
“Su, su...ora non piangerti addosso! So che sarai devastato
da questa notizia...ma vedrai che stasera un paio di modelle per divertirti un
po' riuscirai ad accaparrartele!”
Risero insieme di gusto,
proprio mentre il taxi accostava di fronte al red carpet del Lincoln
Center, gremito di gente che scalpitava per entrare e paparazzi che scattavano
foto all'impazzata.
Appena scesero, individuarono subito Max e Julia che li salutavano
dalla loro postazione di fianco ad una donna elegantissima, con in testa
un'acconciatura che sfidava qualsiasi legge di gravità, una cartellina davanti
agli occhi e un auricolare con microfono nel quale lanciava ordini frenetici.
Tra la folla Serena individuò una camicia a scacchi rossa da boscaiolo e
riconobbe l'uomo in posa con i pollici alzati, un sorriso artefatto di
circostanza e sguardo da maniaco. E figuriamoci se poteva mancare lui! (*)
Schivarono un paio di fotografi e raggiunsero gli altri. Due democratici baci
sulle guance a tutti e si gettarono a capofitto nella serata.
Il backstage era affollato ancor più dell'ingresso. C'erano
modelle annoiate ed anoressiche che posavano per i fotografi ad ogni angolo e
modelli uomini dallo sguardo vagamente incazzato; redattori di emittenti
televisive spintonavano gli altri giornalisti, cercando di farsi strada verso
lo stilista, prodigo di sorrisi hollywoodiani, che sfoderava per chiunque
avesse in mano un obiettivo.
“Allora che facciamo? O ci mettiamo in fila per salutare il
maestro, oppure andiamo al bar ad alcolizzarci!” Max sbuffò vistosamente,
mentre il suo fiuto da bevitore incallito del sabato sera, individuava il bar
in un nanosecondo.
“Ah, io di buttarmi nella ressa non ne ho voglia....magari mentre
aspettiamo che sfollino i giornalisti,
ci facciamo un cocktail!” Josh passò un braccio attorno alla vita a Serena ed
uno a Julia, spingendole verso il bar.
Un paio di Margarita più tardi, erano pronti per spostarsi verso
la location nella quale avrebbe avuto luogo il party. Visto che era a non più
di 500 metri, decisero di andare a piedi, Serena e Julia barcollando sui tacchi
e sorreggendosi a vicenda, in parte per via dell'alcol in circolo, in parte per
le risate. Cantavano a squarciagola Don't stop believing dei Journey (**)
e Friday I'm in love dei Cure e tutti i problemi e gli scazzi della
settimana appena trascorsa, scivolavano via senza lasciare traccia...
***
Serena richiuse la porta di casa con un calcio e gettò la borsa e
le chiavi sul divano, liberandosi del
trench, del lettore mp3 e lanciando la posta sopra il tavolino del salotto. Il
suo mini appartamento sulla Madison Avenue era poco più grande dello sgabuzzino
delle scope della casa dei suoi genitori, ma era accogliente e confortevole, a
suo avviso. Era il suo rifugio ed aveva imparato ad apprezzarne ogni
centimetro; soprattutto adorava quel minuscolo soppalco dov'era posizionato il
suo letto, sotto un soffitto tappezzato da poster dei Mars e un collage con
tutte le foto che Shannon le mandava da ogni città del mondo nella quale
metteva piede. In alcune c'era anche lui, in altre Tomo o Jared, qualcuno della
crew, oppure il pubblico durante un concerto; in alcune invece il soggetto era
semplicemente un luogo o un particolare che l'aveva colpito. Quel posto era
perfetto per chiudere gli occhi ed
immaginare di visitare quei posti magnifici insieme a lui.
Considerando che erano ormai quasi le 3 del mattino, decise di
optare per una veloce doccia bollente, magari seguita da tisana rilassante, ma
prima aveva voglia di sentire la voce di Shannon. Il pensiero di lui a miglia e
miglia di distanza, di tanto in tanto la assaliva e le toglieva ancora il
respiro. Le mancava da morire poterlo abbracciare e baciare...ma presto – o
relativamente presto – si sarebbero rivisti. Da mesi ormai si sentivano
praticamente tutti i giorni, ma avevano tacitamente concordato di smetterla di
porsi domande e cercare di definire il loro rapporto, almeno per il momento.
Era già bellissimo così com'era ed appiccicargli un'etichetta poteva solo intaccarne
la perfezione e sminuirne la magia.
Gettò via le scarpe in un angolo e, mentre attendeva che il
portatile si avviasse, si svestì e ripose con cura gli indumenti su una
gruccia...non poteva permettersi di sgualcirli, con quel che valevano! Indossò
un paio di shorts e una t-shirt, versò ciò che restava del caffè che aveva
fatto la mattina in una tazza, accese una sigaretta e si accomodò sul tappeto
davanti al divano a gambe incrociate, il notebook appoggiato sopra il
tavolinetto davanti a lei. Vide che Shannon era online su Skype e fece partire
la chiamata.
“Hey Kid! Aren't you
sleeping?”
“Nope. I just came
home actually....It's 3 in the morning here. What's up?”
Shannon si stropicciò gli occhi e tentò di appiattirsi i capelli,
con il risultato di arruffarli ancora di più e si schiarì la voce.
“Siamo ad Adelaide, tra mezzora abbiamo un'intervista con la tv (***)....Aspetta
un attimo! Sei APPENA tornata a casa??? Cos'hai combinato in giro fino a
quest'ora ragazzina??” Nonostante la pessima qualità dell'immagine della
videochiamata, era chiaro che stava scherzando...o forse da qualche parte
c'erano tracce di gelosia vera?
“Beh, non posso mica aspettare che mi porti fuori tu, no?!” Bevve
un altro sorso di caffè, prendendo tempo per gustarsi quell'attimo di suspence
che sperava di aver creato...
“Allora? Ti decidi a raccontarmi cos'hai fatto?....Va bene, hai
vinto tu! Sono ufficialmente geloso!” Entrambi scoppiarono a ridere.
Serena allungò una mano per afferrare la posta ed iniziò ad aprire
le buste, mentre raccontava la sua serata...
“Quindi c'era anche Josh? Bene, bene....mi fa proprio piacere
sentirlo....Spero per lui che si sia comportato come si deve...”
“Ma figurati...poi se te l'ho detto è perché non c'è niente da
nascondere!...ah, tra l'altro siamo riusciti a conoscere Tom Ford in persona,
al party!...ed ho intravisto anche quel vostro amico....il fotografo....Terry
Richardson!”
“Di certo non è amico mio...solo di Jared.” Shannon si accese una
bionda e si mise a sedere sul letto del tour bus, appoggiando il computer sopra
le gambe. Sotto il riflesso della luce che filtrava attraverso i vetri
oscurati, Serena notò che aveva gli occhi arrossati e la sua cera non era delle
migliori.
“Ma hai dormito stanotte? Mi sembri distrutto...”
“Beh, calcola che dopo il concerto siamo tornati nel bus che erano
quasi le 4 ed ho dormito fino a un'ora fa...in pratica devo ancora svegliarmi
del tutto. Però sono contento, ieri sera è andata alla grande! E stasera
abbiamo il Soundwave, mi hanno detto che si prevedono oltre 700.000 persone...”
Serena si era immobilizzata, osservando incredula una lettera
gialla che teneva tra le mani tremanti.
“Kid, ma che...?”
Serena alzò gli occhi verso lo schermo, ancora incapace di
proferire parola.
Sua nonna...
FINE
CAPITOLO 11 (PARTE I)
(*) Terry
Richardson, noto (quanto discusso) fotografo di moda e VIP. Visitate il suo
blog a vostro rischio e pericolo ;) à http://www.terrysdiary.com/
(**) Qui potete
trovare l'intervista in questione, tra l'altro una delle mie preferiteà http://www.youtube.com/watch?v=t2JHjkkIYwM
(***) Altro riferimento al video dell'intervista epica
di Jared, durante la quale si esibisce sulle note di questa canzone.
Imperdibile à http://www.youtube.com/watch?v=Bm46300TdsA
Il titolo del capitolo è tratto da Famous Last
Words dei My Chemical Romance : http://www.youtube.com/watch?v=8bbTtPL1jRs&ob=av3e
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Capitolo 12 *** But where's your heart? (parte II) ***
capitolo 11 (parte II)
Capitolo 11 – But where's your heart? (PARTE 2)
“Is it hard understanding?
I'm incomplete
A love that's so demanding
I get weak
I am not afraid to keep on living
I am not afraid to walk this world alone
Honey if you stay, I'll be forgiven
Nothing you can say can stop me going home”
(Famous last words – My Chemical Romance)
Somewhere
in Italy
A
couple of days later...
Serena scese dall'auto di fronte
all'imponente cancello in ferro battuto antistante la villa, immersa nel verde
delle dolci colline marchigiane. Si avvicinò all’inferriata per sbirciare
dentro, riparandosi gli occhi dal sole. Si chiese come fosse possibile che il
tempo non avesse intaccato minimamente l'edificio, né la tenuta. Dalle mura
esterne non riusciva a vedere molto, solo il piazzale ed il cancello interno,
dal quale si accedeva direttamente al cortile e al porticato. Da lontano scorse
il ciliegio, proprio di fronte alla finestra della sua camera, in fiore e
rigoglioso come era sempre stato. Tutto era esattamente come nei ricordi,
indelebili nella sua memoria. Eppure era tutto diverso, proprio come accade nei
sogni.
Trasse un respiro profondo, suonò il
campanello, si annunciò ed entrò, trascinandosi dietro la valigia.
I suoi passi sembravano troppo
rumorosi alle sue orecchie, mentre si avviava con lentezza, eppure decisa su
per il vialetto di ghiaia. Il giardino ed il porticato sembravano deserti, ma
Serena riconobbe all’istante le due auto parcheggiate nel vialetto laterale,
che conduceva verso la terrazza sul retro: la Jaguar verde scuro di suo padre
ed il Range Rover di sua madre.
Bene! A quanto pare Federico e Ania non si sono neanche
degnati di tornare per il funerale! Che bella famiglia di stronzi, che mi
ritrovo…
Il giardino era curato come sempre, e
i roseti, orgoglio di sua madre, erano ancora al loro posto. Una scalinata
imponente conduceva fino al portone di quercia ottocentesco, sovrastato dai
blasoni delle casate nobiliari alle quali appartenevano i suoi nonni materni i
quali, prima dell’affermazione della libertà di classe e il relativo
decadimento dei privilegi nobiliari, erano conosciuti come il Barone e la
Baronessa Antici. Quante volte da bambina aveva sognato di essere anche lei una
nobile, mentre sua nonna le raccontava di quando era giovane e la notte
sgattaiolava fuori di casa di nascosto per incontrare il suo futuro marito, che
la aspettava fuori dal cancello della villa. Il titolo nobiliare era decaduto
nel momento in cui sua madre aveva sposato un non-nobile, ma sua nonna l’aveva
sempre cresciuta insegnandole il galateo, il portamento ed i balli tradizionali
“Ricordati Serena che una vera Signora si riconosce sempre da queste due cose:
testa alta e buone maniere. Cambieranno i tempi, ma questo non cambierà mai.”
Quanto
mi mancherai nonna. E il rimorso di averti lasciata qui, in balia di queste
arpie
che
non ti hanno mai apprezzata per ciò che valevi davvero,
mi
torturerà per sempre, lo so....
“Allora è proprio vero che chi non
muore si rivede. Non pensavamo che ti saresti fatta viva.”
Un uomo sui sessant'anni, brizzolato,
ma con un portamento ed un cipiglio degno di un ragazzo di trenta, le aprì la
porta. I suoi occhi di un azzurro intenso, le avevano sempre ricordato quelli
di Jared, benché quelli di suo padre fossero molto più freddi e distaccati.
“Sì, beh....ciao papà, è un piacere
anche per me rivederti, dopo tutto questo tempo...” mormorò Serena con tono
risentito.
A
quelle parole, il vecchio e mal celato risentimento dipinto sul suo volto si
incrinò e gli occhi dell'uomo si inumidirono di lacrime.
“Tutto
questo tempo...e senza darci notizie....tua madre e io abbiamo passato un
inferno, cosa credi? Ma ormai sei qui...vieni dentro, questa è sempre casa
tua.” Così dicendo la abbracciò con forza. Serena rimase spiazzata da quella
manifestazione di emotività ed affetto da parte di suo padre. Tutto si sarebbe
aspettata, tranne che l'avesse accolta a braccia aperte. Ma in quel momento,
lasciarsi andare a quell'abbraccio così confortante, era l'unica cosa che si
sentiva di fare e probabilmente ciò che attendeva da una vita. Che senso aveva
cercare di trovare una spiegazione razionale?
Il
suo arrivo non era passato inosservato: una donna stava percorrendo il
corridoio con le braccia protese verso di loro, il viso rigato dalle lacrime,
noncurante del mascara che colava lungo
le guance. Sua madre li raggiunse e li abbracciò, lasciandosi andare ad un
pianto liberatorio.
“Non
mi importa ciò che è successo, l'importante è che tu sia tornata”
Quell'ultima
parola le riecheggiava in testa e più la risentiva più suonava come una
minaccia.... “tornata”??? Decise che per il momento, non era il caso di
farsi venire una crisi isterica per così poco, ma di dare loro una
possibilità....magari in quel periodo di tempo trascorso separati, i suoi
genitori avevano imparato qualcosa dai propri errori. E poi magari erano veramente
pentiti e pronti ad accoglierla. Serena avrebbe preferito morire piuttosto che
ammetterlo: le mancavano la sua famiglia e la sua casa. Anche se sentiva che
lei e New York si appartenevano, le sue radici erano ancora in Italia e non
poteva sopprimere il desiderio recondito di mantenere quantomeno una porta
aperta, così da essere libera di tornare se un giorno avesse voluto.
Per
questi motivi, socchiuse gli occhi e ricambiò l'abbraccio dei suoi genitori.
***
“Il
funerale è tra mezzora, stavamo per partire. Ma magari prima vorrai sistemare
le tue cose in camera...quanto tempo ti fermi?” Sua madre stava armeggiando in
cucina, riponendo le tazzine del caffè ed i biscotti, che avevano appena
consumato.
“Riparto
domani sera, ho il volo alle 21,45 da Roma...”
“Oh”
sua madre si immobilizzò e, nonostante voltasse le spalle a Serena, lei intuì
che avesse assunto l'espressione di chi ha appena ricevuto un ceffone in piena
faccia “neanche sei arrivata, già riparti? Hai preso casa tua per un albergo? È
questa la considerazione ed il rispetto che hai per la tua famiglia?”
“Casa
mia ormai è a New York, mamma. Sono tornata solo per il funerale, ripartirò
domani. Se per voi è un problema avermi sotto lo stesso tetto, posso andare
a dormire in hotel” Serena strinse i pugni, cercando di tenere a freno la lingua.
L'ultima cosa che voleva era iniziare l'ennesima lotta con i suoi genitori,
specialmente in quel giorno di lutto.
“Non
essere sciocca, cosa penserebbe la gente se ti vedesse andare a dormire in
albergo? La tua camera è sempre lì dove l'hai lasciata. Ora vai a cambiarti,
non voglio fare tardi in chiesa” disse suo padre.
Tipico.
Facciamoci vedere in prima fila in chiesa, a capo chino e tutti belli
allineati. Quanta falsità... Questa volta però dovrò prendere parte a questa
sceneggiata anch'io, ma lo faccio solo per te nonna. So che non avresti mai
voluto vederci litigare davanti alla tua bara....
Serena
strizzò lievemente gli occhi, sentendoli gonfiarsi di lacrime a questo
pensiero. D'istinto voltò le spalle ai suoi genitori, raccolse la valigia e si
avviò su per la scalinata di marmo bianco che conduceva al piano nobile. Ad
ogni gradino sentiva i ricordi sempre più nitidi nella sua mente. Percorrendo
il corridoio del primo piano, si rese conto che avrebbe potuto percorrerlo
anche bendata, tanto quel luogo le era familiare. Forse è proprio questa
sensazione, che ti fa capire che sei veramente a casa: la certezza di poterne
riconoscere ogni centimetro anche camminando ad occhi chiusi.
La
sua camera era la prima porta sulla destra. Probabilmente la più piccola
delle cinque camere da letto della casa, ma l'unica ad avere un balcone
tutto per lei, teatro di tanti pomeriggi primaverili passati a studiare accampata
lì fuori. Un letto a baldacchino in legno bianco dominava la stanza, di fronte
alla cabina armadio a quattro ante, ricoperte da specchi. Alla destra del letto
c'era un piccolo scrittoio, con decine di libri accatastati in pile ordinate e,
di fianco, una libreria semi vuota. Si era fatta spedire gran parte dei libri e
cd, quelli ai quali era più affezionata. E gran parte della parete era rivestita
dalle foto dei suoi Eroi, di lei con i suoi amici e.....di lei e Marco.
Automaticamente
spalancò le pesanti tende di velluto e la finestra, lasciando che il sole
investisse la camera. Serena si guardò attorno con attenzione: sembrava che
nessuno avesse più messo piede lì dentro, se non per pulire. Tutto era in
ordine e non c'era traccia di polvere, sebbene si respirasse aria di chiuso.
Con
un colpo al cuore, le tornò in mente il suo tesoro e si precipitò a controllare
che nessuno ci avesse messo le mani. Aprì la porta dell'armadio che dava sulla
piccola cabina interna, accese la luce e rovistò freneticamente tra le scatole
di scarpe nel ripiano più alto, fino a che non trovò quel che cercava: una
scatola tappezzata di adesivi e foto, nella quale aveva accumulato negli anni
tutti i biglietti dei concerti, spillette, biglietti dei treni, foto ed
autografi delle sue band preferite. Quella scatola aveva il gusto dolce amaro
delle lotte per la prima fila e dei lividi del giorno dopo, come prove tangibili delle emozioni
della serata precedente. Lì dentro c'era tutta la sua adolescenza. Stavolta non
l'avrebbe lasciata in quella casa, l'avrebbe portata con sé.
Visto
che aveva poco tempo, ignorando il richiamo del letto confortevole e
l'incombere del jet lag, decise che senza una bella doccia bollente, non
sarebbe riuscita a superare quella giornata.
Estrasse il computer dalla borsa, lo accese e fece partire la sua
playlist marziana preferita, prima di entrare in doccia. L'avrebbe aiutata a
smetterla di torturarsi con i pensieri negativi, come sempre. Incrociò gli
occhi blu di Jared che le restituivano lo sguardo dal poster, mentre partivano
le prime note di Attack:
I won't suffer, be broken, get tired, or
wasted
Surrender
to nothing,
or
give up what I started and stopped it, from end to beginning
A new day is coming, and I
am finally free
***
Cercare di ricordare il momento esatto in cui era diventata
Echelon le era impossibile. Sarebbe stato come cercare di ricordare il momento
in cui aveva iniziato a camminare, o a parlare. Era successo e basta.
Probabilmente era stata più un'evoluzione naturale....o una presa di coscienza
graduale, chiamatela come vi pare. In un momento imprecisato tra il suo periodo
Nine Inch Nails e quello dei suoni graffianti e stonati dei Pixies.
Ripensando alla sua adolescenza, rivedeva se stessa,
diciassettenne, seduta a quella stessa scrivania, i libri di scuola sotto il
naso, ma lo sguardo che tornava immancabilmente verso di loro. I vari Kurt
Cobain, Jonathan Davis, Billy Corgan, Sid Vicious, Jerry Cantrell, Eddie
Vedder, Trent Raznor e soci, che le restituivano lo sguardo, immortali e fieri,
dall'alto dei poster affissi alle pareti. Ricordava la sensazione che provava,
mentre cercava di assorbire il più possibile da ciò che i loro occhi
comunicavano. Sicuramente molto più di quanto non le avrebbe mai trasmesso un
manuale di Storia del Novecento o di Fisica Applicata, comunque.
Qual'era il loro segreto? Si domandava la nostra riottosa. Perché
di sicuro quella gente doveva aver scoperto qualcosa che lei ignorava. Nello
stesso momento in cui lei era chiusa lì dentro, cercando di barcamenarsi tra
Hegel e Schopenhauer, per costruire un futuro al quale non voleva prendere
parte, loro erano là fuori, chissà dove, a vivere la loro vita in pieno, nel
bene e nel male, urlando al mondo tutta la loro rabbia e passione attraverso la
musica. Sembravano voler dire “noi siamo così, o vi sta bene, oppure andatevene
affanculo”.
Mentre lei, davanti a sé, non vedeva altro se non l'elettrizzante
prospettiva di prendere una laurea, per poi gestire l'azienda di famiglia,
sposarsi ed avere almeno due figli – nell'ordine: un primogenito maschio e una
femmina, possibilmente - e probabilmente camere separate tempo una decina
d'anni, come i suoi genitori, e le ferie d'agosto al mare, e d'inverno in
montagna e...
...e questo a lei non sarebbe mai bastato.
Voleva bene a Marco, erano già fidanzati da qualche anno, quando
gli ultimi anni del liceo scivolavano via rapidamente, ma si chiedeva spesso se
lui si rendesse conto di quanto lei volesse disperatamente di più. Non aveva
ancora ben chiaro cosa, ma sognava una vita diversa, vissuta in pieno,
affinché un giorno - nella sua immaginazione intorno ai 40 - 50 anni - avrebbe
potuto sostenere con fierezza il suo sguardo allo specchio, certa di non avere
rimpianti. Parlare di queste cose con lui (il ragazzo modello ambito da tutte
le sue coetanee, circondato da amici che lo veneravano, con i quali divideva il
suo tempo tra le partite a calcetto il venerdì sera e
tutti-allo-stadio-a-sputare-addosso-agli-arbitri la domenica pomeriggio, gli
animi ancora caldi per i postumi della sera prima) era inutile, non l'avrebbe mai
capita. Col passare degli anni, il Marco del quale si era innamorata, quello
che la sera si arrampicava sul ciliegio del giardino per raggiungere il balcone
della sua camera e rimanere a dormire con lei fino all'alba, si stava
gradualmente trasformando in altro. Stava scomparendo quel ragazzo spericolato
e temerario, capace dei gesti più coraggiosi e romantici che nessuno avesse mai
compiuto per lei. Pian piano l'uomo in giacca e cravatta del lunedì mattina,
rolex al polso e festini in barca nei week end, stava prendendo il sopravvento.
Il giro di volta c'era stato quando lui se ne era volato in
America, ad Harvard, per frequentare l'ultimo anno della facoltà di economia.
In teoria avrebbe dovuto impiegare quell'anno accademico per scrivere la tesi
di laurea, in pratica bruciò consistenti pacchi di soldi nel giro di pochi
mesi, in alcol e droga, insieme ai suoi degni compari, figli di imprenditori,
politici e star del cinema. Quando tornò a casa, la conversione era stata
ultimata e lui era diventato...corrotto. Non trovava un termine migliore per
definirlo. Come se qualcuno avesse tagliato via la parte di lui ancora in grado
di provare emozioni. Ma ormai il suo destino e quello di Serena erano stati
scritti. Lei si sentiva come risucchiare da una spirale autodistruttiva dalla
quale, ogni qualvolta cercava di uscire, riusciva solo a sprofondare sempre più
in basso. Per quanto si sbattesse, non trovava una via d'uscita semplice da
quella situazione, quindi cercò di rassegnarsi ed auto convincersi che, magari col
tempo, avrebbe finito per trovare un modo di adattarsi a quella situazione. Era
l'Agosto 2005. Era appena uscito A Beautiful Lie e l'intensità di quelle
canzoni e la scoperta di un mondo legato alla simbologia e l'ideologia della
band, la affascinava sempre di più. Era qualcosa di grandioso e potente, la
genialità e la creatività di ogni aspetto che caratterizzava la band. Sì, era
riduttivo definirla così, era più che altro un “progetto” o uno stile di
vita...sentiva di appartenere a quel mondo sempre di più. Col passare del tempo
iniziò a rispolverare i suoi sogni, dall'angolo angusto della sua mente nel
quale li aveva seppelliti.
Almeno finché Marco non tornò dall'America...
In capo a qualche anno, l'inarrestabile “macchina” del matrimonio,
ordita e portata avanti dalle rispettive famiglie, procedeva ormai a pieno
ritmo. Secondo i loro genitori era ormai giunto il momento perfetto: lui - in
un modo o nell'altro - si era laureato e già lavorava al fianco di suo padre in
azienda. Ora bastava solo che lei si licenziasse dal suo impiego in TOD'S, che
“tanto che te ne fai di quel lavoro? Non ne hai bisogno, specialmente non
ora che ti sposi...e poi dovrai anche aiutarci in azienda. Tua madre ed io non
ci saremo per sempre ed è ora che ti prenda le tue responsabilità, signorina”.
Rivedeva davanti a sé l'espressione di suo padre, mentre
pronunciava quelle parole. Come se desse per scontato che quella fosse la cosa
giusta. L'unica opzione disponibile, non ve n'erano altre. E ricordava come
fosse ieri, il momento in cui tornò a casa sconvolta, dopo aver colto in
flagrante Marco che la tradiva e le parole di sua madre, che la trapassarono
come una lama gelata “Lascia perdere. Capisco che tu adesso sia sconvolta,
ma devi imparare a passare sopra a queste cose, soprattutto quando sarai
sposata. D'altra parte lui è sempre stato un così bravo figliolo, non puoi
mollare tutto alla prima difficoltà”. Serena rimase ad ascoltarla in
silenzio, con sguardo vacuo, finché non ebbe finito di parlare. Non
era più tempo per le lacrime. Guardò gli occhi di Jared che
le restituivano lo sguardo dal poster affisso alla parete....Fight for what
you believe in....This is my chance I want it now....It's the end here today,
but I will build a new beginning...Believe in your dreams no matter what...
E capì.
Non c'era abbastanza spazio lì per lei, si sarebbe sempre sentita
soffocare se non fosse riuscita a prendere in mano la sua vita.
Aveva preso una decisione.
Si fece tatuare la triade sul collo
ed il giorno dopo partì per l'America, decisa a non tornare mai più.
FINE
CAPITOLO 11 (PARTE II)
Vi chiedo umilmente perdono per il
vergognoso ritardo…colpa in parte del VyRT che ha assorbito gran parte della
mia concentrazione -.-‘’ e in parte degli impegni lavorativi. Capitolo intenso
e tristissimo, lo so, ma spero vi sia piaciuto….non preoccupatevi, il nostro
amatissimo Shan tornerà prestissimo! ;)
Un grazie super speciale a Lexie e Ila (vi
lovvo donne!) e a tutte voi che leggete e recensite <3
See you soon,
pretty soon, really soon ;)
XoXo
NOTE:
Casa di Serena:
fronte: http://www.google.it/imgres?um=1&hl=it&biw=
1680&bih=935&tbm=isch&tbnid=yZ9ZZ8mKtJTs5M:&imgrefurl=http://www.appartamentivacan
zeitalia.it/dettaglio_pagina.php%3Fregione%3D10%26page%3D66&docid=Jk--JmBdwmM7VM&i
mgurl=http://www.appartamentivacanzeitalia.it/images/gallery/upload/pagine/big/7f7fb8f1394e2
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Capitolo 13 *** Through the eyes of S. ***
capitolo 12
Capitolo 12 – Through the eyes of S.
Sleep will not come to this tired body now
peace will not come to this lonely heart
there are some things i'll live without
but i want you to know that i need you right now
i need you tonite
i steal a kiss from her sleeping shadow moves
cause i'll always miss her wherever she goes
and i'll always need her more than she could ever need me
i need someone to ease my mind
but sometimes a someone is so hard to find
and i'll do anything to keep her here tonite
and i'll say anything to make her feel alright
and i'll be anything to keep her here tonite
cause i want you to stay, with me
i need you tonite
She comes to me like an angel out of time
as i play the part of a saint on my knees
there are some things i'll live without
but i want you to know that i need you right now
suffer my desire
suffer my desire
suffer my desire for you
(In the arms of sleep – Smashing Pumpkins)
TOC TOC TOC!
Ma cos’è questo rumore fastidioso…Ma chi cavolo…..?
Serena si rigirò tra le lenzuola, col risultato di
aggrovigliarsi ancora di più e a fatica schiuse gli occhi,
lasciando filtrare a piccole dosi la violenta luce del giorno che
investiva la stanza.
Il giorno precedente era stato devastante, sia fisicamente che
mentalmente….non fosse stato abbastanza dover affrontare quel
lutto, aveva anche dovuto sostenere tutti quei parenti e amici che la
guardavano di sottecchi o al massimo – i più audaci
– azzardavano una stretta di mano e qualche vuota frase di
circostanza. Perché si incazzano sempre tutti con chi prende e
se ne va? Qualsiasi sia il motivo per cui si decide di lasciare la
propria città natale, la società prima o dopo
penserà che l’abbiamo fatto per una qualche pretesa di
superiorità o l’esecrabile ambizione di desiderare di
più (o di meglio) di quanto già possediamo.
Che si fottano! La soddisfazione di non doverci più avere a che
fare, li rende tutti molto più sopportabili! Snob perbenisti del
cazzo, incapaci di guardare oltre i vostri nasi e sempre pronti a
giudicare….non che mi sia mai importato granché di
ciò che pensano gli altri di me…no, quel genere di
falsità non mi ha mai dato fastidio più di tanto.
E’ stato vedere Marco con quel tronfio di suo padre e quella
sanguisuga di sua madre, schierati nel primo banco della chiesa con
espressione falsamente contrita, a farmi ribollire il sangue. Dio,
quanto avrei voluto cacciarli di lì a calci! Per fortuna tra
poche ore potrò ripartire…una cosa è certa: non
tornerò mai più in questo paese fuori dal mondo! L'ho
fatto solo per te, nonna....spero che tu sia in un posto migliore, dove
potrai guardare questa gente dall'alto in basso e magari farti quattro
risate...
E quanto cazzo mi manchi, Shannon…chissà dove sarai in questo momento….
TOC TOC TOC!
Trattenne faticosamente uno spontaneo andatevene affanculo!!, in favore
di un più educato “mmm…avanti!”
“Sei presentabile? Non dirmi che stai ancora dormendo, sono quasi le 11….”
Serena si ridestò di colpo, rizzandosi a sedere sul letto e tirandosi d’istinto il lenzuolo fin sotto il mento.
“Ma chi cazzo ti ha fatto entrare in camera mia?? Cosa vuoi??”
“E stai calma! Non è il caso di agitarsi tanto…mi
ha fatto entrare tuo padre, chi sennò? Volevo accertarmi che mi
salutassi a modo, prima di fuggire via di nuovo nella tua adorata New
York.”
Marco si sedette sul letto accanto a lei. Nello stesso letto nel quale
aveva passato così tante notti, quasi una vita fa, quando
si arrampicava sul ciliegio di fronte al balcone della sua stanza, solo
per guardarla addormentarsi.
“Stavolta non fuggirò. Me ne andrò via a testa
alta, senza dover rendere conto a nessuno, né dovermi scusare
per le mie decisioni” Serena lo scrutava ancora incredula che
avesse la faccia tosta di presentarsi davanti a lei, dopo tutto quello
che era successo tra loro...
Lui distolse lo sguardo da lei, visibilmente combattuto. Serena sapeva
che non avrebbe mai e poi mai, parlato per primo, né avrebbe
rivelato tanto facilmente ciò che lo tormentava.
“Ma tu cos’è che vuoi ancora da me? Tra noi è
finita da un pezzo…io sono innamorata di un
altro…perché non mi dimentichi e basta?”
“Perché ti odio, cazzo!” Si alzò di scatto e
prese a misurare la stanza a lunghi passi, una mano nella tasca dei
jeans e l’altra che si tormentava i capelli. Serena attese, presa
alla sprovvista da tale perdita di controllo del suo ex. Raramente lo
aveva visto così sconvolto.
“Ti detesto, perché non riesco a dimenticarti! Odio
vederti così felice e sicura di te. Odio anche quel tipo
americano che ti lanciava quegli sguardi, a Milano….” Si
avvicinò di nuovo al letto e la guardò con sguardo truce,
a pochi centimetri dal suo viso. “Odio vedere quanto tu sia
felice senza di me. Io ho bisogno che tu mi ami, lo capisci?” La
afferrò per i fianchi e la trasse verso di sé per
baciarla, e le loro labbra si sfiorarono per una frazione di
secondo….abbastanza perché Serena sentisse la differenza
tra quelle calde e accoglienti di Shannon e le sue, avide di
possederla, mentalmente quanto fisicamente. Non vi erano dubbi sulle
sue intenzioni. Prese a baciarle il collo con furia, cercando
freneticamente l’orlo della camicia da notte e cercando di
spingerla verso la spalliera del letto….poi stringendole i
polsi….imprigionandola così in quella stretta,
com’era successo tanti anni prima….
Serena incredula, sentiva tutto l’ingombrante peso del vuoto,
nella sua mente…non riusciva a muoversi, figurarsi
reagire…sarebbe stato più facile lasciarlo
fare….niente che non avesse già fatto prima d’ora, tra
l’altro….
”Amami, cazzo. Noi due siamo fatti per stare insieme, lo capisci? Non puoi sfuggirmi di nuovo…”
A quelle parole qualcosa si risvegliò dentro di
lei…dapprima solo una voce, un eco lontano….poi pian
piano crebbe di intensità, man mano che lui scendeva con le sue
labbra verso il suo seno.
Finché non iniziò a urlare.
No, cazzo, NO!
“Basta….Smettila, cazzo….....LASCIAMI!!”
L’ultima parola l’aveva urlata a pieni polmoni, mentre
cercava di divincolarsi dalla ferrea stretta di lui.
“Smettila Marco, ma che ti sei messo in testa??!”
All'improvviso la porta si spalancò e suo padre irruppe nella
stanza, sgranando gli occhi alla scena che gli si parò davanti:
Marco sopra di lei, che le teneva ferme le braccia e Serena sconvolta e
rossa in viso che gli urlava contro.
“Ma che stai facendo? Come ti permetti, giù le mani da mia figlia! Fuori da casa mia immediatamente!”
Marco alzò le mani e si allontanò in fretta da lei.
Sembrò rendersi conto solo in quel momento di essersi spinto
troppo oltre...lanciò un ultimo sguardo pentito a Serena e si
diresse verso la porta.
“Franco, io....non so che mi è preso e...”
Il padre di Serena gli rivolse uno sguardo di puro disprezzo, prima di
voltarsi indicando la porta “Non mi interessano le tue scuse, in
casa mia non sei più il benvenuto. Fuori di qui.” le
parole che uscirono dalla sua bocca erano tanto fredde quanto intrise
di risentimento.
Marco per un istante sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, ma
evidentemente decise che sarebbe stato inutile. Non esitò oltre
e uscì, a capo chino, sbattendo la porta alle sue spalle.
“Piccola mia, stai bene? Ti ha...”
“No, no papà, sto bene...sono solo scossa....era
completamente fuori di sé, mi ha colta alla sprovvista.”
“Non avrei mai immaginato....e pensare che lo consideravamo come
uno di famiglia...” si morse il labbro e si sedette sul letto di
fianco a lei, visibilmente preoccupato e combattuto. “Serena,
dimmi la verità, era già successo prima? Dio, come
abbiamo fatto ad essere così ciechi da non capire...che razza di
vigliacco è, a mancarti di rispetto in questo modo?”
“No, niente del genere sta' tranquillo...Davvero!”
aggiunse, in risposta all'espressione scettica di suo padre
“Ma non sono sorpresa più di tanto...questa è solo
l'ennesima conferma di quanto sia spregevole...soprattutto dopo quello
che è successo a Milano, qualche mese fa...”
“Come sarebbe? Non ci aveva mai detto che vi siete incontrati a Milano!”
“Forse è meglio che mi vesta e scenda di sotto....chiama
anche la mamma, è ora che vi racconti tutto dal principio....e
che finalmente sentiate la mia versione dei fatti. Forse così
capirete.”
***
Shannon si svegliò di soprassalto, madido di sudore.
Ma che sogno del cazzo!
Non era tipo da lasciarsi impressionare facilmente, né tanto
meno da leggere segnali nefasti negli incubi, ma quella notte i
fantasmi del passato erano tornati a fargli visita. Aveva rivisto le
sue mani sporche di sangue e le sbarre alle finestre...ma la cosa
peggiore fu vedere lei, in mezzo alla piccola folla spettatrice del
processo in tribunale, che lo guardava con quello sguardo triste misto
a rassegnazione e delusione....e vederla voltargli le spalle ed
andarsene, senza una parola, mentre lui veniva ammanettato e portato
via dalle guardie...
Si sedette sulla sponda del letto e guardò l'ora sul cellulare: quasi le 3.
E' solo un sogno, datti una calmata. Lei di sicuro non c'era al processo....
Maledetta la mia insicurezza! Perché questa paura che tu mi
volti le spalle, adesso che conosci la verità su di me...?
Eppure mi sei rimasta accanto in tutti questi mesi,
dopo quella notte pazzesca a Milano....
E se decidessi di non tornare più dall'Italia, una volta chiusi i conti con il tuo passato?
Considerando quanto tu sia più coraggiosa di me, nell'affrontare
queste situazioni, potresti benissimo decidere di rimanere lì,
nella tua vera casa....e dimenticarti di me che, in fondo,
sono poco più di un estraneo....
Ma ora che sei entrata nella mia vita, non posso e non voglio lasciarti andare così...
Bah, di dormire non c'è più verso stanotte.
E questa voglia improvvisa di attaccarmi alla bottiglia fino a perdere i sensi...
Si stropicciò gli occhi, cercando di mettere a fuoco la stanza
buia e riordinare le idee. Finalmente poteva trascorrere qualche giorno
a casa sua, prima di ripartire per il tour. Eppure dentro quella grande
casa vuota, non riusciva a sentirsi a suo agio e di certo la pioggia
torrenziale che continuava imperterrita a spazzare Los Angeles non
contribuiva a migliorare il suo umore. La pioggia lavava via la patina
dorata alla Città degli Angeli, rendendola uguale a qualsiasi
altra grigia e sporca metropoli del mondo. E lo stesso effetto aveva
sempre sortito su di lui: si sentiva ogni volta pericolosamente messo a
nudo, impotente, privato di qualsiasi sistema di autodifesa. La sua
maschera cadeva e rimaneva solo il vecchio se stesso, con tutti i suoi
demoni, con i quali fare i conti. Ma soprattutto in quel momento
sentiva l'incombere del suo incubo peggiore: la solitudine.
Cercò di riscuotersi da quei pensieri negativi che gli
attanagliavano lo stomaco e decise che l'unico rimedio efficace, era
anche ciò che sapeva fare meglio: suonare. Senza pensarci due
volte, si diresse a piedi scalzi verso il piccolo studio di
registrazione nel seminterrato, al quale si accedeva dal garage. Era
una piccola stanza dove tutto era ancora accatastato alla meglio, in
attesa di trovare una sistemazione definitiva ed un ordine logico, ma
era riuscito ad infilarci a forza la batteria, diverse chitarre sia
acustiche che elettriche, amplificatori, mixer, un paio di pc e le
percussioni.
Facendosi largo tra rullanti, sgabelli e lattine di birra vuote,
imbracciò la sua chitarra preferita, recuperò un notes ed
una penna dal caos di spartiti e fogli vari sulla scrivania, si sedette
ed iniziò a scrivere:
YOUR SONG
And in sorrow and pain you will drown
But there’s more out there to be found
There is more inside me
Waiting for you to be found
And this is a song for you
My Sun and Stars
Turning my world upside down
Bringing back light in this hell of a town
There is somethin’ inside me
And sometimes I feel so wicked
But that’s ok ‘cause so are you baby.
Running away from your fears,
Forever craving for revenge
Your dreams are all you ever had
But now is there some room left for me?
And this is a song for you
My Sun and Stars
Turning my world upside down
Bringing back light in this hell of a town
But now that you’re so far away
All I got is this one useless song
Fill my life with that glance of yours
Wash away my fears and ghosts
And Kid, stick with me until tomorrow comes.
LA TUA CANZONE
E affogherai nella tristezza e nel dolore
Ma c’è molto di più da scoprire là fuori
C’è molto di più dentro di me
Che attende di essere scoperto da te.
E questa canzone è per te
Mio Sole e Stelle
Che hai sconvolto il mio mondo
Hai portato luce in questo inferno di città
C’è qualcosa dentro di me
E mi sento così malvagio a volte
Ma va bene così, perché tu sei uguale a me
Fuggi via dalle tue paure,
desiderando ardentemente vendetta
I tuoi sogni sono tutto ciò che hai sempre avuto
Ma ora c’è un po’ di spazio per me?
E questa canzone è per te
Mio Sole e Stelle
Che hai sconvolto il mio mondo
Hai portato luce in questo inferno di città
Ma adesso che sei così lontana
Tutto ciò che mi rimane è questa inutile canzone.
Riempi la mia vita con quel tuo sguardo
Spazza via le mie paure ed i miei fantasmi
Kid, resta con me finché non arriva il domani.
(*)
Di parola in parola, di nota in nota, iniziava a sentirsi meglio.
Sentiva il peso che aveva nel petto scivolargi via di dosso,
finché un immenso senso di liberazione lo pervase. Non era
ancora granché come canzone, ma gli sembrò buona finora.
Il giro di chitarra era un rock melodico, niente di troppo raffinato,
ma aveva il suono di tutta la poesia che c'è nella malinconia e
nello struggimento per una donna. Sì, con pochi ritocchi,
sarebbe stata perfetta....anche se probabilmente non gliel'avrebbe mai
fatta ascoltare. Preferiva dimostrare ciò che provava con i
fatti ed i gesti, piuttosto che con le parole. L'esatto opposto di suo
fratello. Le parole volavano via con il vento e spesso potevano essere
facilmente fraintese, per questo preferiva affidarsi alla concretezza
di gesti inequivocabili, soprattutto in amore. Era fatto così,
anche volendo non sarebbe riuscito a cambiare.
Dove sei, Kid? Perchè non riesco a togliermi dalla testa questa
brutta sensazione che non ti vedrò più?
Sono solo due giorni che non ti fai viva e
già mi sembra di impazzire.
Si accese una sigaretta e si appoggiò alla piccola finestra che
dava sul vialetto d'ingresso, stringendosi le braccia al petto. Il
freddo del vetro gli ricordò di essere ancora senza maglietta e
a piedi nudi e lo fece rabbrividire leggermente, ma quanto meno lo
aiutò a riscuotersi da quel torpore.
Al di là del giardino avvolto nell'oscurità, le piante
spazzate dal vento e dalla pioggia, intravedeva la strada di fronte.
Era praticamente deserta, complice quel tempo da lupi e l'ora tarda,
fatto salvo per un taxi che sembrava essersi fermato proprio di fronte
al suo cancello.
Dopo un paio di minuti, ne rotolò fuori qualcuno, con indosso un
lungo impermeabile e, trascinandosi dietro un trolley. Facendosi strada
tra le pozzanghere e riparandosi la testa con un giornale, sembrava
correre proprio in direzione......
DIN DON!
No fuckin' way! (**)
FINE CAPITOLO 12
NOTE:
(*) Qualora non si fosse capito: credits to myself ;)
(**) Non ci credo, cazzo!
|
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Capitolo 14 *** Love is not enough ***
capitolo 13
Capitolo
13
– Love is not enough (*)
Los
Angeles
March
2011
h
4:00 am
“Ma
che diavolo ci fai tu qui??? E nel mezzo della notte...?” Shannon
spalancò il portone d'ingresso, senza badare al vento freddo
ed alla pioggia che lo investirono prepotentemente. Nonostante l’ora
tarda e lo shock iniziale sorrideva, con l’espressione estatica e
stupefatta di chi ha incontrato Babbo Natale in piena estate.
Serena
aveva gettato a terra il giornale fradicio e si stava strizzando i
capelli “Che bell'accoglienza calorosa, eh!? Meglio che me ne
vada...magari dormirò sotto un ponte, o che so io...”
Shannon la afferrò saldamente per la vita, spingendola verso
la parete a mattoncini e baciandola con tanta passione da sollevarla
letteralmente da terra. Nessuno dei due prestava attenzione alla
pioggia che si abbatteva imperterrita su di loro, né al vento
freddo che sferzava loro i capelli.
“Ormai
sei qui, non ti lascerò andare da nessuna parte...” le disse
lui, tenendola ancora stretta e cercando i suoi occhi.
“Stavolta
non ho alcuna intenzione di farlo...I'm
here to stay.”
“Di
nuovo in fuga dal passato?”
“No,
stavolta non sono fuggita, me ne sono andata a testa alta.....Ti
racconterò tutto, promesso. Però domani. Ora ho solo
bisogno di questo” unì di nuovo le labbra alle sue,
impaziente di assorbire tutto il calore del suo corpo. Si lasciò
andare finalmente a quella stretta, come mai aveva fatto
prima...senza freni, lasciandosi trasportare dalle emozioni di quel
momento, aggrappandosi a lui con tutta se stessa.
Once
and for all I'm far away
It's
hard to believe, finally the shades are raised....(**)
Lui
prese a baciarle il collo, facendosi strada sotto l'impermeabile e la
t-shirt zuppi di pioggia...
“Sarà
meglio entrare. Se ti ammalassi, poi addio tour...gli Echelon mi
ucciderebbero!”
Shannon
sogghignò e la prese per i fianchi, guidandola dolcemente
verso la porta “penso che prima lo farebbe mio fratello”
“Già,
sono sicura che non vede l’ora” aggiunse, più rivolta a se
stessa, che a lui. “Ma...aspetta! Fammi almeno prendere la
valigia.....” disse lanciando un'occhiata preoccupata al trolley,
abbandonato sul portico ad impregnarsi di acqua piovana...
“Lasciala
lì, te la ricompro...basta che adesso la smetti di parlare e
vieni con me” la sollevò sulle spalle senza sforzo e la
portò in casa, richiudendo la porta sul mondo e la realtà.
***
“Buongiorno.
Il tuo blackberry vibra da un quarto d'ora almeno....magari sarà
il caso di rispondere?” Shannon era già sveglio, la schiena
appoggiata alla testata del letto, con gli occhi puntati sul suo
i-phone, concentrato nella scrittura.
“mmm....ma
che....?” Serena si rigirò nel letto, guardandosi intorno
cercando di mettere a fuoco la stanza e la situazione.
Ok
sono con Shannon....a casa sua....a Los Angeles....
osservò
con circospezione la camera nella quale si trovava ed il suo riflesso
le restituì lo sguardo dal soffitto: un grande specchio era
posizionato proprio in corrispondenza del letto. Per il resto
regnavano incontrastati il bianco ed grigio perla. Niente di troppo
vistoso, ma comunque elegante.
Sì,
non può essere altro se non la camera di Shannon….un
momento, ma che giorno è??
Saltò
su di scatto all'ennesimo vibrare del cellulare e lesse con orrore
sul display, proprio ciò che temeva:
INCOMING
CALL:
The
Bitch
“Holy
shit! She is gonna kill me!”
Gettò uno
sguardo di puro terrore a Shannon, il quale scoppiò a ridere
senza ritegno.
“What
the fuck are you laughing at??? Why didn’t you wake me up as soon
as you heard it the first time??! Today is Thursday and I totally
forgot to call at work and ask for more days off!!”
“Calm
down, kiddo! It’s not even 10 am and you’re already having a
crisis!?”
Ma
Serena non l’ascoltava. Afferrò il cellulare, rischiando di
farlo volar via, tanto le tremavano le mani.
“Ehm”
si schiarì la voce “Hi
Victoria, sorry for not answering before, but...”
“I
don't need your apologies Serena, I want an explanation: where the
hell are you??? You didn't even bother warning me you were not coming
back today??!”
Stavolta
l'aveva fatta grossa e lo sapeva. Aveva chiesto un permesso fino a
mercoledì per poter tornare in Italia per il funerale, quindi
il giovedì sarebbe dovuta essere in ufficio.
Invece
era a 6 ore di volo di distanza.
Al
suo ritorno, Victoria l'avrebbe scuoiata viva, ne era certa.
“Ti
chiedo scusa per non averti avvisata prima, ma non potrò
tornare a lavoro prima di lunedì. Ho dovuto risolvere delle
questioni di famiglia, prima di ripartire e non sono riuscita...”
Victoria la interruppe, facendo salire di un’ottava il tono della
voce, come faceva sempre quando doveva rimproverare qualcuno.
“Non
è una scusa valida. Ho appena telefonato in ufficio e Josh mi
ha detto che non ti sei presentata stamattina. Se non posso contare
su di te, sarò costretta a sostituirti!”
Panico.
“Lo
so, ma davvero non era previsto che mi trattenessi più a
lungo, è stato un imprevisto. Ho il volo domani pomeriggio,
quindi sabato mattina sarò a New York e posso recuperare il
lavoro arretrato nel week end...” si morse il labbro e imprecò
mentalmente in tutte le lingue che conosceva.
“Ma….come
sarebbe?? Se parti domani sera da Fiumicino come fai ad essere in
ufficio dopodomani....?” Chiese stizzita.
“Ehm….perchè
ho dovuto fare una piccola deviazione a Los Angeles...”
“COSA??
Ma sei impazzita? Sei in giro a spassartela quando sai benissimo che
io non ci sono e l'ufficio verte nel caos più completo? Ti
ricordo che dovresti essere tu la mia sostituta, quando sono fuori,
altrimenti cosa ce l’ho a fare un’assistente??”
Silenzio.
Serena
attese col fiato sospeso che Victoria pronunciasse le fatidiche
parole “sei licenziata”. Perché di sicuro sarebbero
arrivate da un momento all’altro, investendola con la delicatezza
di una tranvata in piena faccia. Dopo un passo falso del genere,
sapeva che con Victoria non esistevano seconde chance, bastava
fallire una volta, per giocarsi tutto.
“Mi
hai proprio delusa, da te non me lo sarei mai aspettata. Siamo sotto
campionario, il periodo più intenso dell’anno, non è
neanche lontanamente concepibile prendersi una vacanza, pensavo che
ormai il concetto ti fosse chiaro.” Sbuffò e tacque per un
istante interminabile “guarda, dovrei licenziarti così su
due piedi, ma visto che sei a LA anche tu, per tua fortuna puoi
essermi utile anche qui. Trovati a mezzogiorno da Barney's, a Beverly
Hills, ho un brunch col direttore. Ti mando l'indirizzo via sms”
Serena
impiegò qualche istante prima di realizzare di non essere –
per il momento – disoccupata, ma quell'istante di esultanza si
spense in un secondo. Si voltò verso Shannon che la osservava
con sguardo interrogativo e preoccupato. L’aveva vista annuire
costernata, avvampare per poi sbiancare come un lenzuolo...ormai non
aveva più idea di cosa stesse dicendo la donna all’altro
capo del telefono.
E
adesso come cavolo faccio a spiegarti che devo correre tutto il
giorno dietro a Victoria, invece che passare la giornata insieme a
te???
Ma
una decisione la doveva prendere e subito.
“Ok,
ci sarò. Grazie Victoria.”
Saltò
in piedi, cercando in tutti i modi di evitare di intercettare lo
sguardo di Shannon ed iniziò a rivestirsi in fretta e furia,
recuperando gli abiti stesi ad asciugare sul davanzale della
finestra. Si sentiva dannatamente in colpa, ma non poteva rinunciare
al suo lavoro. Non dopo tutta la fatica che le era costato e tutto
ciò che aveva sacrificato per arrivare dov'era. Victoria era
una stronza patentata ok, non ci pioveva su questo, ma il peggio era
che, sotto sotto, non poteva che darle ragione: come aveva potuto
pensare a se stessa proprio in un periodo così intenso? Il
boss le concedeva carta bianca, ogni volta che era in trasferta e
Serena era pienamente consapevole che al minimo errore le sarebbe
stata tolta.
“Beh,
allora??? Cos'è successo, mi vuoi spiegare?” Shannon la
trattenne per un braccio, mentre lei aveva già una gamba
infilata nei jeans.
“Shannon,
io....” si decise finalmente a voltarsi a guardarlo e lui lesse la
risposta nei suoi occhi.
“Devi
andare, vero?”
Delusione
e risentimento impregnavano il suo viso. Lasciò andare il
braccio di lei e si sedette all'altro capo del letto, dandole le
spalle, iniziando a rivestirsi in fretta e furia.
“Shannon...stammi
a sentire, per favore....ma dove vai?”
Lo
trattenne afferrandolo per le spalle e cercando di baciarlo, ma lui
scostò il viso e balzò in piedi, per allontanarsi da
lei.
“Non
ho potuto dirle di no....stava per licenziarmi! Sarei dovuta
rientrare oggi a lavoro, ma sono stata un'idiota e non ho neanche
avvertito che sarei passata da Los Angeles e rientrata due giorni più
tardi del previsto. Ho cambiato la destinazione del volo di ritorno,
solo per poter stare un po' con te...”
“Lo
vedo quanta voglia hai di stare con me! Neanche sei arrivata e già
te ne vai!” Sbottò lui, tagliando corto “Senti mi dispiace
per il tuo lavoro, ma così non possiamo andare avanti...”
Quelle
parole erano una pugnalata al cuore.
“Ma
stai esagerando, dai....io starò via solo qualche ora, stasera
sarò di nuovo qui. Poi abbiamo tutta la giornata di domani,
visto che il mio volo è alle 9....” ma Shannon non era
ancora convinto, lo capiva dal modo in cui non riusciva a stare
fermo, cercando freneticamente qualcosa – probabilmente le
sigarette – rovistando e buttando all'aria mezza stanza.
Dovrei
sentirmi in colpa? Lo sa benissimo quanto è importante per
me...quanto ci tenga alla carriera. Come può non capire???
Proprio lui che ha fatto del suo lavoro uno stile di vita!
Dopo
il senso di colpa, iniziò a farsi strada dentro di lei un
altro sentimento....era....sì, era proprio rabbia.
“Oh,
insomma, ti vuoi calmare?? Fermati un attimo e ne parliamo!” Lo
prese per una mano, mentre stava rivoltando per la terza volta tutte
le tasche della sua giacca e gli puntò addosso uno sguardo
inquisitore. “Io meglio di così, non saprei proprio come
altro fare! Tu continuerai a girare per il mondo almeno per un altro
anno, mentre io sono incatenata a quella scrivania! Scusa tanto, se
ho un lavoro 'normale' come il 99% della gente comune e non posso
seguirti in tour! Se vedi un’altra soluzione dimmelo, illuminami!”
“A
me non sta bene una relazione così, ok?!” Aveva sputato
fuori queste parole tutte d’un fiato, guardando ostinatamente un
punto imprecisato al di sopra della spalla destra di lei.
Se
l’avesse presa a schiaffi, le avrebbe fatto sicuramente meno male.
“E’
questo che pensi?….vuoi mollare tutto così? Quando è
appena cominciata?” Le tremavano le gambe al solo pensiero di
perderlo per sempre e l’ultima frase le uscì con un filo di
voce appena udibile “Non sta bene neanche a me, ma lo sai benissimo
qual'è l'alternativa...lo sappiamo entrambi...”
“Non
è colpa di nessuno dei due, è solo il momento ad essere
sbagliato…Nessuno di noi ha intenzione di rinunciare ai propri
sogni, non adesso che siamo così vicini alla meta…”
“E
quando mai sarà il momento giusto, Shannon?....” ma le sue
parole furono interrotte dalla vibrazione del cellulare che la
riportò duramente alla realtà: un sms da Victoria.
Probabilmente le aveva inviato l'indirizzo per l'appuntamento.
Serena
strinse i pugni, in un disperato tentativo di trattenere anche le
lacrime che premevano per uscire. Sapeva che non poteva cedere alla
disperazione in quel momento. Scelse egoisticamente la SUA vita.
Scelse la carriera. Scelse il suo lavoro. Scelse la soluzione più
semplice, quella che le avrebbe fatto meno male.
“Devo
andare. Continueremo il discorso stasera.” Parlò con tutta
la freddezza e la determinazione di cui era capace, era l’unico
modo per cercare di tenere a bada le emozioni.
Shannon
alzò gli occhi al cielo. Aveva capito perfettamente. La sua
più grande dote era anche la più grande maledizione:
riuscire a leggere nel cuore delle persone.
“Seee,
come no!” Si sbattè i pugni in tasca e finalmente vi trovò
le sigarette. Estrasse una bionda, la battè leggermente sul
dorso della mano e se la infilò tra le labbra, prendendosi
tutto il tempo possibile. Si guardò intorno ed individuò
un accendino a terra, di fianco al comodino. Accese, traendo un’ampia
boccata di fumo.
“Lo
sai benissimo che stasera devo suonare alla Penthouse (***).
Dobbiamo essere lì alle 6 al massimo. Volevo chiederti di
venire con me, ma chiaramente sei troppo occupata.”
“Beh,
ma io non ci metterò più di un paio d’….”
“Non
importa. Come hai detto tu, ne parleremo stasera” tagliò
corto lui “esco, anch'io ho da lavorare. C’è un mazzo di
chiavi di riserva nella teca di fianco al portone. Puoi prendere
quelle per rientrare. Non aspettarmi alzata, farò tardi.”
Così
dicendo le voltò le spalle ed uscì dalla stanza,
imboccando il corridoio a passo spedito, puntando dritto verso
l'uscita.
“Shannon
aspetta!!! Io ti…”
Ma
lui se n’era già andato, sbattendo il portone di casa alle
sue spalle. Serena rimase ad ascoltare l’eco dei suoi passi
nell'ingresso, dimenticandosi di respirare, finchè la casa non
ripiombò in un angosciante silenzio, intriso di risentimento e
sensi di colpa.
“Io
ti amo” disse, ormai rivolta solo a se stessa.
Asciugò
le lacrime che le rigavano il viso, senza che neanche se ne fosse
resa conto e guardò l’ora: le 11.25. Oh,
merda, tra mezzora devo essere in centro! Non posso deprimermi
adesso, ci penserò più tardi. Datti una mossa,
piuttosto!
***
Shannon
riaprì la porta di casa e gettò il mazzo di chiavi
sopra il mobile dell’ingresso. Era davvero distrutto, ma non solo
fisicamente. Quella sera aveva suonato da schifo, a suo avviso: non
era riuscito a dosare la forza e la concentrazione se ne andava a
puttane ogni 5 minuti. Tomo l’aveva preso per scemo quando gli
aveva raccontato le sue impressioni sulla performance “Beh magari
potevi farti un tir di valeriana, prima del concerto, questo te lo
devo dire. E' anche a causa di cazzoni come te, che polverizzano in
un’unica serata una scorta annuale di bacchette, che la foresta
amazzonica è messa così male, amico”
Che
idiota! Constatò
sogghignando tra sé e sé.
Si
stropicciò gli occhi, cercando di mettere a fuoco la stanza,
avvolta nella semi oscurità. Non aveva voglia di accendere la
luce. Dopo i riflettori ed i flash delle macchine fotografiche ai
quali era esposto ogni santo giorno, sentiva il bisogno di godersi un
po’ di oscurità di tanto in tanto. Automaticamente si mosse
verso la sua stanza, anche se cosa avrebbe trovato, una volta
entrato, era un’incognita. Non c'era traccia di lei in giro. In
realtà non era neanche certo di cosa volesse.
Sperava di trovarci lei, era chiaro. Ma allo stesso tempo una parte
di lui sperava che se ne fosse andata. Solo così avrebbe
potuto vigliaccamente dare la colpa a lei per la fine della loro
relazione.
Giunto
di fronte alla porta si morse il labbro e si ravviò i capelli,
chiamando a raccolta il coraggio.
Eccola
lì, raggomitolata su un fianco, ancora vestita e,
probabilmente, infreddolita. I lunghi capelli ricci sparpagliati sul
guanciale e, in parte, a coprirle il viso. Era distesa sul lato del
letto nel quale di solito dormiva Shannon, un cuscino stretto tra le
braccia, un fazzoletto in una mano e chissà quali sogni dietro
quelle ciglia. Aveva pianto fino ad addormentarsi, probabilmente.
Come
poteva avercela con lei? In quel momento si rese conto di quanto
l’amasse e, allo stesso tempo, di quanto quello fosse il momento
sbagliato per loro. Continuando così, si sarebbero fatti solo
del male. Si sedette sul letto e le spostò i capelli per darle
un bacio, voltandola e tirandola dolcemente verso di sé. Lei
aprì gli occhi, ancora persa tra il mondo dei sogni e la
realtà.
“Shan?
Sei tornato…sono ore che ti aspetto…Io ho provato a venir via
prima, te lo giuro, ma Victoria mi ha appioppato altre mille
commissioni da fare e sono corsa su e giù come una matta per
tutta Beverly Hills e Santa Monica e…” Shannon vide gli occhi di
lei diventare di nuovo lucidi e non sopportava di veder piangere una
donna. Soprattutto una donna della quale era innamorato….e
soprattutto di vederla piangere per causa sua.
“Sssh,
ho capito. Lo so che non l’hai fatto apposta e ti devo chiedere
scusa, per come mi sono comportato. Sono stato un maledetto egoista a
pretendere che tu rinunciassi a tutto per stare con me.”
“Non
scusarti, hai ragione tu. In tutto. Ho riflettuto su ciò che
mi hai detto stamattina e so che è solo questo il problema: il
momento, Shannon. Non c’è spazio per me nel tuo mondo, né
per te nel mio…”
“Lo
so…è che per quanto mi sforzi, non riesco a trovarla, una
soluzione….ma io ti amo, cazzo! Per una volta nella mia vita sono
sicuro di qualcosa…e invece è tutto inutile!” Sbattè
il pugno sul materasso, gli occhi ambrati fiammeggianti di rabbia e
frustrazione.
Serena
lo abbracciò stretto, guardandolo negli occhi. “Se questo è
un addio, voglio dirtelo a modo mio. Non voglio litigare, né
vederti incazzato.”
“Solo
se entrambe le parti lo vogliono, si può dire ‘addio’. Ed
io invece ti rivoglio, hai capito? Quando tutta questa follia sarà
finita, io ti rivoglio.” Salì su di lei, guardandola
intensamente, con quelle parole che suonavano più come un
giuramento, che come una domanda. Prese a baciarla con foga,
esplorando ogni centimetro della sua pelle.
Serena
lo ribaltò, salendo a cavalcioni sopra di lui, liberandosi
della sua stretta soffocante e prendendo il comando della situazione.
Si muoveva sopra di lui, sfilandogli di dosso la t-shirt e slacciando
in pochi secondi la cintura e i bottoni dei jeans. Lui con uno scatto
si alzò a sedere, afferrandole saldamente la schiena con una
mano e con l’altra sbottonandole la camicetta lentamente. Serena
affondò le dita sulla sua schiena scolpita, ogni singolo
muscolo contratto, nel momento in cui lui entrava dentro di lei. Lui
l’accarezzava avidamente, risalendo con le mani dai fianchi, alla
vita, fino al collo, lentamente ma inarrestabili, provocandole
brividi di piacere. Sentiva il desiderio crescere in entrambi, il
desiderio di essere una cosa sola ancora una volta, forse per
l’ultima volta…
The
closer we think we are
Well, it only got us so far
Now you’ve
got anything left to show?
No, no I didn’t think so.
The
sooner we realize
We cover ourselves with lies
But underneath
we’re not so tough
And love is not enough (****)
FINE
CAPITOLO 13
NOTE:
Lo
so, lo so, avete ragione….è un capitolo strappalacrime!
Spero di non avervi rattristato troppo…:(
Chiedo
umilmente pietà per il ritardo disumano con il quale è
arrivato questo capitolo, ma mi ha davvero messa a dura prova. Ho
disseminato citazioni e riferimenti qua e là, ve ne cito solo
alcuni, per il resto…vediamo chi riesce a beccarli! ;)
(*)
Il titolo è tratto dall’omonima canzone dei Nine Inch Nails,
contenuta nell’album With Teeth
(**)
Rearviewmirror
– Pearl Jam
(***)
Los Angeles Penthouse Secret Concert, del 18.03.11. Le foto della
serata (thanks to Shannon Leto’s Army <3):
http://www.shannonletoarmy.com/gallery/thumbnails.php?album=392
(****)
Love is not enough - Nine Inch Nails.
Sarà
davvero finita tra questi due sciagurati??? ;)
A prestissimo e grazie di nuovo a tutti voi lettori in incognito e recensori! <3
Kissy
kissy,
E.
|
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Capitolo 15 *** Love will tear us apart ***
capitolo 14
Capitolo
14
– Love
will tear us apart (*)
Los Angeles
March 2011
h 11.25 am
Il mattino seguente, Shannon l’aveva accompagnata
in aeroporto, dove si sarebbe incontrata con Victoria per prendere insieme il
volo di ritorno per New York. Il breve tragitto in auto dall’Hollywood Boulevard
fino al Los Angeles International, sembrò protrarsi per ere geologiche,
tanto era opprimente e assordante il silenzio che riempiva l’abitacolo.
Quella notte pazzesca, anziché avvicinarli li aveva
divisi, era chiaro.
Per quanto nessuno di quei due sciagurati volesse
ammetterlo, entrambi si sentivano vigliaccamente sollevati, ora che la loro
storia aveva raggiunto quell’empasse. Che entrambi ne soffrissero si
vedeva a milioni di anni luce e niente al mondo avrebbe impedito a Serena di
versare tutte le lacrime che aveva inzuppando il maglione di lui, quando
l’aveva salutato, in piedi davanti al mostruoso Suv nero. Né Shannon avrebbe
potuto fare a meno di stringerla forte a sé, esitando un secondo di troppo,
come se mai e poi mai avrebbe desiderato lasciarla andare.
Victoria scese dal taxi che aveva accostato davanti
all’ingresso delle Partenze, a pochi metri di distanza da loro. Occhiali scuri
per imprigionare i segni del tempo che le solcavano il viso, rossetto rosso
sangue come l’impermeabile che indossava, i capelli a caschetto neri stile Pulp
Fiction tagliati con millimetrica precisione ed una sigaretta già accesa stretta
tra le lunghe dita ossute. Si guardò intorno per un istante prima di
individuare Serena e Shannon e rivolgere a quest’ultimo un saluto entusiasta agitando
la mano e sorridendo a trentadue denti, ignorando quasi del tutto la sua assistente.
Shannon rispose con un cenno della testa ed un sorriso imbarazzato “What the
hell is wrong with her?” sussurrò tra i denti rivolto a Serena “I guess
you have a new fan…” Serena si ricompose, cercando di asciugare le lacrime
senza dare nell’occhio: non aveva alcuna intenzione di mostrare le sue
debolezze, soprattutto non di fronte a Victoria. Quest’ultima tuttavia era già
immersa in una fitta conversazione con quello che aveva tutta l’aria di essere un
pilota della British Airways. A quanto pareva, per costringerlo a farle da
facchino, per scaricare i suoi bagagli e caricarli sul carrello.
Shannon si sbattè i pugni in tasca e si guardò
intorno, come a cercare ispirazione in ciò che lo circondava, prima di tornare
a concentrarsi su Serena.
“Beh, ci fosse stato mio fratello al posto mio,
sono sicuro che avrebbe trovato un bel discorso maledettamente poetico da fare
in questo momento…”
“Non mi interessano i grandi discorsi, pensavo che
ormai l’avessi capito…Però una cosa vorrei saperla, prima di andarmene…”
“Cosa?” Shannon alzò lo sguardo, abbagliato dal
raggio di sole che illuminava il volto di lei, facendole brillare gli occhi.
Perse per un istante il filo della conversazione, mentre cercava di assorbire
quanti più dettagli e sensazioni possibili di quel momento: il suo profumo, il
modo in cui si riavviava i capelli, dopo che una folata di vento li aveva
scossi….ma soprattutto quell’azzurro-verde dei suoi occhi, impossibile anche
solo da descrivere. Temeva che, con il tempo, il ricordo di quel colore sarebbe
sbiadito, come le pagine di una vecchia rivista. Quando lei parlò, faticò un
po’ per mettere a fuoco le sue parole e ritornare con i piedi per terra.
“Lo pensavi davvero quello che mi hai detto stanotte?”
“Che vuoi dire?”
“Voglio dire…” Serena prese a fissarsi le punte dei
piedi, a disagio, giocherellando con una ciocca di capelli “…dai, hai capito….”
Shannon le prese il mento con la mano e lo sollevò,
finché i suoi occhi ambrati non imprigionarono lo sguardo di lei. Aveva capito
benissimo a cosa lei si riferisse.
“Verrò a cercarti fino in capo al mondo se
necessario, Kid.”
“Ti prego, non farmi promesse che non potrai
mantenere…So bene che non ci rivedremo più, a meno di non volerlo entrambi….e invece
io devo concentrarmi sulla mia carriera e tu sulla tua, è giusto così.”
Shannon la lasciò andare e alzò un sopracciglio,
scettico. “Sei sicura che sia per colpa della carriera? Perché a me sembra solo
che tu abbia una paura maledetta e ti stia nascondendo dietro la scusa del
lavoro! Se è così, dimmelo subito, smettiamola con le cazzate…è chiaro che se
non vuoi rischiare, vuol dire che pensi non ne valga la pena!” Si morse il
labbro, come a volersi rimangiare ciò che aveva appena detto. Sapeva di averla
messa spalle al muro in questo modo.
Non
costringermi a farlo, Shannon, ti prego. Eppure non vedo altra soluzione….
“Hai ragione, Shannon, voglio essere onesta con te.
Io ti voglio bene, ovvio, ma l’amore è tutt’altra cosa. Non voglio farti
credere di ricambiare i tuoi sentimenti, né sono disposta a sacrificare la mia
carriera e la mia vita per inseguire una chimera…credimi, è meglio per entrambi
se non ci vediamo più.”
“…neppure se ti vedo piangere
riesco ad essere felice
neppure se ti parlo veramente
quando ti dico
che per me non conti niente…”
Si era giocata tutto e lo sapeva. Lottò con tutte
le sue forze per trattenere le lacrime amare che premevano per uscire e per
continuare a guardarlo dritto negli occhi, per non tradirsi. Una parte dentro
di sé, da dietro le sbarre nella quale era rinchiusa, urlava, la implorava di
restare con lui. Ma ormai aveva preso una decisione, era troppo tardi per
tornare indietro.
“Se è così che stanno le cose…non abbiamo altro da
dirci.” Shannon le rivolse uno sguardo deluso e rassegnato, gli occhi ambrati fiammeggianti
di rabbia. Anche se l’orgoglio gli impediva di dimostrarlo, aveva incassato il
colpo ed ora l’unica cosa che voleva, era mettere un bel tot di chilometri di
distanza tra lui e lei. Si avviò verso il lato del guidatore ed aprì la
portiera, mentre dal cielo iniziavano a cadere di nuovo pesanti e fredde gocce
di pioggia.
Serena, incapace di proferire parola, lo guardò
sbattere la portiera, avviare il motore dell’auto, accendersi una sigaretta e
ripartire a tutta velocità, effettuando un’inversione a U, da ritiro della
patente a vita.
Oddio,
se n’è andato veramente…e adesso??
Il panico iniziò a serpeggiare dentro di lei, come
un veleno che si propaga….lo sentiva pulsare nelle vene e lentamente
raggiungere ogni singola parte del suo corpo.
Allora
è così? E’ vero che bisogna perdere una persona per renderci conto di quanto
teniamo ad essa! Addio Shannon….non odiarmi, ti prego….
I suoi pensieri furono interrotti dal vibrare del
cellulare. Rispose senza neanche darsi pena di controllare chi fosse,
inconsciamente sperando che fosse lui.
“Serena, ma insomma ti muovi?? E’ mezzora che ti
aspetto qui al gate, capisco che devi salutare il tuo bel fusto, ma devi
guardarmi i bagagli, voglio andare a fare un giro al duty free!”
“Scusami, arrivo subito. E quel bel fusto
non è mio…non lo sarà mai.”
*******
Per evitare di ripensare a ciò che era successo e
quindi di sentirsi talmente in colpa e incazzata con se stessa, tanto da
progettare nei minimi dettagli il suicidio, aveva approfittato della scorta
personale di ansiolitici e tranquillanti di Victoria, così da riuscire a
dormire per gran parte del volo di ritorno. Quando mancava ormai meno di
mezzora all’atterraggio, infreddolita dopo aver dormito per diverse ore, si
alzò per recuperare l’impermeabile dal vano porta bagagli, lo infilò e stava
per riaccomodarsi al suo posto, quando una hostess alle sue spalle la chiamò.
“Miss!
You lost this.” Disse, porgendole un foglietto di carta ripiegato
che evidentemente doveva esser scivolato fuori dalla tasca del suo
impermeabile.
“Thank
you, I didn’t notice…” rispose confusa. Che
diamine era quella roba? Sedette al suo posto, allungando le gambe nel sedile
vicino vuoto e, accendendo la luce, si accorse che si trattava in realtà di un
foglio contenente quella che aveva l’aria di essere una poesia…o meglio, una
canzone, scritta con la calligrafia di Shannon!
“Your
song”???... (**)
Lesse e rilesse quelle parole più volte, senza
riuscire a smettere. Aveva scritto quella canzone per lei. ”…Stick with me
until tomorrow comes”, le stava chiedendo di restare con lui? Già
immaginava come sarebbe andata a finire tra di loro? L’aveva deluso, ecco il
perché del suo risentimento quando l’aveva salutata…
Bene Serena, ora è ufficiale:
sei un’emerita testa di cazzo!
Lui l’aveva già intuito, che
avresti scelto la tua vita, la strada più facile, senza rischiare
di mettere in gioco i tuoi
sentimenti per stare con lui…
eppure, nonostante tutto, ti
aveva dato una possibilità….e tu l’hai sprecata!
Sarai fiera di te stessa,
adesso….resterai sola e zitella a vita!! Quando sarai una manager del cazzo, al
massimo avrai 2-3 gatti - tanto per avere qualcuno ad aspettarti a casa la sera
tardi - che assisteranno impotenti alla tua morte solitaria, in una fredda
notte d’inverno.
Probabilmente nevicherà pure
quella notte, rallentando i soccorsi.
Che comunque sarebbero inutili,
perché non ti troverebbero prima del giorno dopo, come minimo. Ed è
precisamente ciò che ti meriti, per aver lasciato andare quell’uomo stupendo,
che,
Dio solo sa perché, ma si
ostina ad amarti!!
Ma tanto ormai è andata,
chiaramente non vorrà più vedermi…
Senza rendersene conto, stava stringendo il foglio
tra le mani, stropicciandolo, mentre una lacrima fredda e inconsapevole,
scendeva a rigarle il volto.
Perso per sempre….
********
Erano circa le nove di sera, quando Serena e
Victoria uscirono dal LaGuardia Airport, saltando sul primo taxi
disponibile, che le portò dritte in direzione del centro di Manhattan.
“Ricordami domattina appena arriviamo in ufficio di
chiamare l’ufficio stile, per sentire se hanno già i risultati dei test delle
pelli del nuovo campionario….poi senti Josh se è tutto pronto per mercoledì…”
“Per mercoledì….?” Serena riemerse dai suoi
pensieri, domandandosi di cosa diavolo stesse parlando…
“Serena, svegliati! Mercoledì partiamo per la sede
centrale in Italia, per l’anteprima delle collezioni, te ne sei dimenticata??”
“No, certo che no…ero solo sovrappensiero, scusami.
Controllerò i documenti e le prenotazioni domattina.”
Victoria alzò gli occhi al cielo, sbuffando “Certo
che quello Shannon ti ha proprio fatto perdere la testa, eh? Scommetto che ti
sei anche dimenticata di contattare Emma per l’invito per lei e Jared Leto a
Parigi…”
“Beh, avrò pur diritto di perdere la testa anche io
ogni tanto, no?? Non sono mica un robot!” sbottò lei interrompendola, incapace
di trattenere oltre la sua irritazione, causata sì dai continui rimproveri di
Victoria, ma soprattutto dal sentir pronunciare quel nome. Victoria rimase di
stucco per un istante, prima di rivolgere altezzosamente lo sguardo verso il
finestrino, fingendo di guardare il panorama. “Della tua vita privata non mi
interessa, sono affari tuoi. Però sul lavoro, ogni tuo errore si ripercuote su
di me, quindi vedi di tenere gli affari di cuore e il lavoro separati.”
Serena non rispose. Sapeva che non sarebbe stata
capace di trattenersi dall’urlarle in faccia di andarsene al diavolo, qualora
avesse aperto bocca….e in realtà la sua mente era ancora imprigionata nel
ricordo dell’amarezza in quegli occhi color nocciola, quando si erano posati su
di lei per l’ultima volta.
*******
Dopo aver fatto scendere Victoria a casa sua, in
Park Avenue, il taxi risalì la Madison, facendosi strada a fatica nel traffico.
L’intro di Night of the hunter risuonò nell’abitacolo e Serena si disse
che avrebbe presto dovuto cambiare suoneria, per evitare di avere il cuore in
gola ogni volta.
“Hey
Josh! What’s up?”
“Hey
S.! Are you back in the City already? You know, I think I might have put you in
trouble with Victoria and I’m sorry about that…”
“Are
you kidding me? No need to apologize, it’s not your fault at all! I don’t know
what I was thinking when I jumped on the first flight to LA, without warning
you nor the Boss, that I wasn’t coming to work…”
“Well,
I bet you knew exactly what you were thinking…I guess you joined your
boyfriend, didn’t you?” disse lui con aria maliziosa.
“Well,
let’s say you’re not completely wrong: yes, I stayed in LA with Shannon, but
no, he’s not my boyfriend….not anymore…”
“You
sound really sad sweetie…how about me picking you up and go have a blast in the
city tonight?”
“You’re
really sweet Josh, but….I don’t know…” Il senso di colpa le attanagliò lo stomaco,
guadagnando lentamente terreno dai recessi della sua mente. Non si sarebbe mai
punita abbastanza, per ciò che aveva fatto a Shannon, per come l’aveva deluso e
tradito la fiducia che riponeva in lei…Ormai aveva rovinato tutto, non le
restava niente. Tanto valeva arrivare a toccare il fondo, era l’unica speranza
che aveva per poter risalire…
“…è una vita spesa male,
ma tanto ormai è finita e lo sai
perché è finita.
È colpa mia
che non mi curo delle tue speranze
per piccoli egoismi e altrettante bugie
e nessuna spiegazione…” (***)
“What
the hell….I’m in! Let’s
say 11 o’clock?”
“Great!
Dress up to kill, cause there’s a huge new club opening
event at the Village I don’t wanna miss!”
“Dance
music? Ewww….but I guess that’s exactly what I need right
now. See ya later!”
FINE
CAPITOLO 14
NOTES:
Come
al solito, scusatemi per l’imperdonabile ritardo, ma è un periodo un
po’…complicato e la creatività è ai minimi storici purtroppo L Tuttavia spero vi sia piaciuto il
capitolo, se volete lasciare un commento sarà ben gradito! ^_^
Ringrazio
di cuore la mia Donnah Lexie ed i suoi amorevoli calci nel sedere, per
spronarmi a scrivere <3 e ovviamente tutte le mie adorate Crazy for GOT
<3 <3 <3.
E
infine grazie a voi tutti, lettori e recensori, spero di riuscire a regalarvi
qualche emozione <3
(*) Il titolo si
riferisce all’omonima canzone dei Joy Division
(**) Vedi capitolo 12
(***) Il Teatro degli Orrori – E’ colpa mia http://www.youtube.com/watch?v=t0CK_spHYrE
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Capitolo 16 *** Can you feel it? Things are changing... ***
capitolo 16
Capitolo
15
– Can
you feel it? Things are changing…
New York
June 6th
2011
Serena’s place
“HOLY
SHIT!!!”
Serena sputò fuori dai denti una serie di
imprecazioni, dopo aver sbattuto il ginocchio contro il tavolinetto del salotto
di casa sua, saltando in piedi dal divano. Massaggiandosi l’arto dolorante, si
fece largo saltellando su un piede solo, tra lattine di birra, bottiglie di
vodka, indumenti vari e posaceneri improvvisati in bicchieri di carta riempiti
d’acqua per metà, finché non recuperò il blackberry dall’interno della sua
borsa: la sveglia suonava già da un pezzo, per quanto riuscisse a ricordare. Si
stropicciò gli occhi, cercando di mettere a fuoco il display per leggere l’ora
e si appoggiò con una mano alla libreria, nel vano tentativo di fermare la
stanza che continuava a girare.
“Josh,
wake the fuck up, it’s 8:20 already! I have to pick up Victoria in less than an
hour!”
Si precipitò verso la finestra, spalancando le
tende ed aprendola, per far entrare la luce del sole nel vano tentativo di
dissipare l’odore decadente di alcol, fumo e sesso che impregnava la stanza. Si
lasciò avvolgere dal sole tiepido di giugno, affacciandosi dal davanzale e
soffermandosi per un istante per trarre lunghe boccate d’ossigeno, cercando di
organizzare mentalmente le cose da fare prima di partire. L’aria newyorkese era
sì, intrisa di smog, ma ciononostante Serena respirò a fondo, un po’ per
cercare di scrollarsi di dosso i vaghi ricordi della sera precedente, ma anche
per arginare la sensazione di panico che
la assaliva puntualmente ogni mattina, prima di gettarsi a capofitto nella
giornata. Ormai non si sforzava neanche più di cercare di mettere insieme i
pezzi della sera precedente. Fintanto che era insieme a Josh, sapeva che non le
sarebbe successo niente di male….o almeno, niente di male dal punto di vista
fisico. Per quanto riguardava il buco nero che si sentiva nel petto beh, non
c’era niente che nè Josh, né nessun altro, avrebbero potuto fare; tutto l’alcol
del mondo non sarebbe mai servito a colmare quel vuoto dentro che sentiva. Si
soffermò a guardare il panorama dal quinto piano del suo appartamento e di
nuovo avvertì quella familiare morsa allo stomaco, sentendosi risucchiare dal
vuoto sottostante…senza rendersene conto si era aggrappata al davanzale con
tutte le sue forze, sudando freddo e sbiancando in volto, finché due mani non
la afferrarono saldamente per i fianchi.
“Ehy, dove credi di andare?”
“P-perché?” Balbettò lei, colta alla sprovvista.
Josh, i capelli biondo miele arruffati e la barba sfatta, le scostò i capelli e
la baciò lungo il collo, il torace premuto contro la sua schiena, che si alzava
ed abbassava al suo stesso ritmo.
Le era stato molto vicino negli ultimi mesi, a suo
modo. Se c’era una cosa della quale Josh Greenwood (*) era sicuro, era l’efficacia di una sana sbornia, come rimedio
ai problemi di cuore. Ciò faceva di lui un qualunquista? Forse. Ma in quella
metropoli frenetica e costantemente in evoluzione nella quale viveva, in
qualcosa bisognava pur credere. In fondo si divertivano insieme, lui e “S.”,
anche se sapeva che lei era mossa più che altro dalla necessità di buttarsi
alle spalle i postumi della relazione con Shannon. Per lei era più semplice
gestire i postumi di una sbronza, piuttosto che continuare a tormentarsi.
La scrutò per un attimo socchiudendo gli occhi e
soppesando la possibilità di continuare il discorso. Quella spirale
autodistruttiva nella quale si era cacciata, prima o poi sarebbe
degenerata…quanto ancora avrebbe potuto reggere, buttando giù quantitativi assurdi
d’alcol quasi tutte le sere, dormendo 2-3 ore per notte, per poi alzarsi e
sopportare giornate lavorative lunghe almeno 12 ore consecutive? Josh capiva
che quella era una specie di contorta e malata punizione che Serena tentava di
auto infliggersi…tuttavia si sentiva responsabile per lei, visto che - a parte
qualche amico - a New York era sola in realtà e temeva che avrebbe commesso
qualche cazzata peggiore, se non ci fosse stato lui a riportarla con i piedi
per terra. Ciò includeva l’assicurarsi che riuscisse a rientrare a casa sana e
salva, quando la riaccompagnava in taxi alle 6 del mattino, ma anche sorbirsi
le sue crisi isteriche ogni qual volta erano in un locale pubblico e una
canzone dei Mars passava alla radio. Questo ed altro, era costretto a sopportare,
ma non riusciva a fargliene una colpa. Dopotutto, grazie a lei era persino
riuscito a salire di grado in azienda, finalmente….Senza parlare del fattore
sesso che, diciamocelo, ha sempre un certo spessore – sogghignò tra sé.
“Dai
Josh, è ora di muoversi” Serena si divincolò dalla sua stretta e iniziò a
freneticamente a recuperare i resti della serata precedente dal pavimento del
salotto.
“Tranquilla,
me ne stavo andando. Anche io ho un lavoro, sai?” Josh alzò gli occhi al cielo,
sbuffando “però prima di andare mi faccio una doccia. Nel frattempo potresti
anche prepararmi un caffè, tanto per ringraziarmi della serata…”
“Stronzo.
Il caffè te lo fai da solo, io devo essere pronta e fuori di qui in meno di
mezzora!”
“Hey
S, cos’è tutta questa gentilezza di prima mattina? Guarda che potrei anche
abituarmici, eh!”
“Scusa,
ma ho troppo mal di testa anche solo per pensare a come risponderti,
quindi fammi il favore…”
“Seee
seee…grazie a Dio te ne vai per qualche giorno…ma cos’ho fatto per meritarmi te??”
“Ah,
non lo so, ma nella tua vita precedente devi averla fatta grossa!” Sorrise,
ironica, mentre lui fingeva uno sguardo truce, prima di chiudersi alle spalle
la porta del bagno.
Valigia. Abito per la serata di
gala già spedito all’hotel. Documenti per il viaggio. Mi farò prendere dal
panico più tardi, per l’incontro con Jared di domani. Paris, j’arrive.
June 7th 2011
@ Gibert Joseph (**)
Paris
Il locale è già pieno zeppo di
gente e anche la strada di fronte.
L’auto è costretta a deviare
nella stradina laterale chiusa al traffico, per farci entrare dal retro. In
realtà non ci aspettavamo tutta questa ressa, per questo siamo venuti tutti
insieme in un’unica auto. Odio queste cazzate da VIP di entrare di nascosto dal
retro dei locali, per non essere costretti a passare in mezzo alla gente, ma ci
hanno obbligato per “motivi di sicurezza”. Sento di perdermi la parte migliore
di questo lavoro, quando devo privarmi dell’opportunità di stare in mezzo agli
Echelon….fino a pochi anni fa, era tutto diverso. Non dico che fosse migliore,
ma sicuramente diverso. Prima e dopo i concerti potevamo restare per ore a
chiacchierare e ubriacarci con i ragazzi che venivano a sentirci, non dovevamo
rispondere a nessuno di quel che combinavamo…e affanculo la “sicurezza”! Però
che cazzo, non voglio mica lamentarmi di aver ottenuto questo successo enorme
con l’album, sarei un ipocrita se dicessi il contrario…oltretutto mi sono fatto
il culo per arrivare fin qui e la strada da percorrere è ancora lunga. Non mi
ha mai regalato niente nessuno e sarà sempre così, non puoi permetterti il
lusso di prenderti una vacanza, quando “giochi” a questi livelli….ma se fosse
facile, qualunque stronzo riuscirebbe a farlo, no?
L’Audi nera accosta davanti ad
una porticina di ferro antipanico, tenuta aperta da una donna sui 35-40 anni,
bruttina, ma con un gran sorriso zuccheroso e al collo un cartellino di riconoscimento
con il logo del negozio e la scritta “Store Manager”.
“Bonjour….Geraldine!”
Mi avvicino per leggere il suo nome stampato, sfoderando la mia migliore
finta “erre moscia” alla francese. Lei arrossisce fino alla punta dei capelli
di un biondo incartapecorito.
“Ehm….goodmorning! Please, come inside Mr
Leto”
I francesi che parlano inglese.
Poi prendono in giro me, quando mi sforzo di parlare francese il meglio
possibile. Non faccio storie e la seguo all’interno, in una stanza piena zeppa
di scatole e scatoloni, riviste di musica e libri impilati, una scrivania
consunta e diversi vecchi pc ingialliti, il tutto incastrato alla buona in non
più di venti metri quadrati di spazio, senza finestre.
Shannon mi segue, facendo un
rapido cenno a Geraldine, mentre Tomo si toglie gli occhiali da sole e la
saluta educatamente. Mi affaccio cautamente alla porta che dà sull’interno del
negozio e vedo Emma già dietro al tavolo allestito col nostro merchandising, tra
l’angolo riservato ai dischi vinili e le scale mobili per il piano superiore.
Mi saluta con la mano, appena mi vede, per poi battere col dito sull’orologio
al polso, impaziente. Le sorrido e le faccio cenno di rilassarsi, tanto per
farla incazzare un po’.
“Mr Leto, you will find everything already in
place. How much time do you have?”
“Time?
Not much really. I’m afraid our time on this
planet is limited, my friend.” Dico
appoggiandole la mano su una spalla. Lei mi guarda sgranando gli occhi,
attonita, come se le avessi appena chiesto di sacrificare il suo primogenito.
Mi guardo attorno cercando sostegno, ma Tomo ha già alzato gli occhi al cielo,
mentre Shannon sta armeggiando con il cellulare, isolato dal mondo. “Laisse
tomber” dico rassegnato a Geraldine, “Abbiamo solo un’ora di tempo,
purtroppo…Spero di riuscire ad accontentare tutti!”
“Tutti?
In un’ora? Mr Leto, ci saranno almeno 300 persone qui fuori, di sicuro non
riuscirete ad autografare tutti…”
“Volere
è potere, cara Geraldine.” Di nuovo mi guarda come se fossi pazzo….ma ormai
non ci faccio più caso. Stasera c’è quella stramaledetta Vogue’s Night Out,
alla quale devo andare e non ne ho nessuna voglia. Se potessi resterei qui, a
chiacchierare con questi ragazzi…ma purtroppo si tratta di pubblicità e non ho
potuto rifiutare.
Sento gli occhi di Shannon
piantati sulla mia schiena come pugnali. Da qualche giorno si rivolge a me solo
tramite grugniti e mi lancia certe occhiate, neanche volesse incenerirmi. Gli
rode il culo al solo pensiero che il sottoscritto stasera incontrerà lei…Beh,
ma non è mica colpa mia! Devo andarci per forza, non faccio i salti di gioia….gli
ho anche rimediato un pass, qualora cambiasse idea e decidesse di venire con
me, ma niente da fare…dice che “E’ meglio così” e su questo non posso dargli
torto…mi dispiace solo che stia così di merda…
“Mr Leto it’s all set. If
you want, you can come out and go to your place” Geraldine, col suo inglese
precario, si affaccia alla porta del magazzino/ufficio/retrobottega/scantinato
nel quale ci siamo accomodati. Tomo è al cellulare, tanto per cambiare e Shan è
metà dentro, metà fuori dalla porta che dà sul vicolo esterno, a polverizzare
l’ennesima sigaretta di oggi e chiacchierare con i due uomini della sicurezza e
l’autista.
“Merci mon chèrie! Nous venons tout de
suite.”
“Si
dice MA chèrie, non mon.” Alza gli occhi al cielo esasperata ed esce
richiudendo la porta, borbottando qualcosa che assomiglia a “Américains!”
Mi
volto verso il resto della band, battendo le mani una volta per avere la loro
attenzione e infilo gli occhiali da sole.
“Gentlemen
we’re ready to go. Let’s do this.”
FINE CAPITOLO 15
Notes:
Chiedo umilmente perdono a tutti voi, per l’enorme ritardo! Vi
ringrazio davvero tantissimo anche perché, nonostante la mia imperdonabile
lentezza nel postare, avete avuto la pazienza di restare con me (e Serena) per tutto questo tempo!
<3 <3 <3
(*) Scusate, non ho
potuto farne a meno! :D Ora avrete capito a chi mi sono ispirata per il
personaggio di Josh, quantomeno per l’aspetto fisico: al nostro Babu! <3 .
Per i lettori estranei al mondo Marziano: Robert Greenwood è il – presunto (?) – fratellastro
di Jared e Shannon Leto; per darvi un’idea di chi sia: http://www.youtube.com/watch?v=NwD8Yug55cA
(**) Le foto dell’evento
parigino le trovate qui:
http://www.shannonletoarmy.com/gallery/thumbnails.php?album=430
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Capitolo 17 *** In between days ***
capitolo 16
Capitolo
16
–In between days
«…Go on go on, just walk
away
go on go on, your choice is made
go on go on, and disappear
go on go on, away from here
yesterday i got so scared, i shivered like a
child
yesterday away from you, it froze me deep inside
come back come back, don't walk away
come back come back, come back today
come back come back, why can't you see?
come back come back, come back to me»
The Cure – In between days (*)
June 7th 2011 - sunset
@Mandarin Hotel - Paris
Una
busta quadrata, apparentemente insignificante.
Sul
retro, un logo stampato in rilievo e nient’altro.
La
busta è trasparente e lascia intravedere un cartoncino di dimensioni
leggermente
più piccole, chiuso all’interno.
E’ appoggiata
alla massiccia specchiera rettangolare sopra il comò in lucido wengé,
della
suite al piano attico del Mandarin Hotel di Parigi.
I
fiori freschi nei vasi disseminati in ogni angolo, diffondono un odore
nauseabondo, soffocante, complice anche l’aria di chiuso e la puzza stagnante
di fumo
che impregna la suite.
All’interno,
tutto è silenzio e immobilità,
se
non per l’uomo che misura la stanza a grandi passi, nervoso,
lanciando
di tanto in tanto un’occhiata furtiva alla busta e
all’orologio
ticchettante alla parete.
Un
asciugamano bianco appuntato sui fianchi e un altro, più piccolo, intorno al
collo; la pelle ed i capelli ancora bagnati, dopo la doccia e le goccioline
d’acqua che scendono
tra
le scapole, seguendo la linea scolpita dei muscoli, giù fino a perdersi
al
di sotto dell’asciugamano.
Chi
lo vedesse per la prima volta in questo momento, direbbe di avere di fronte un
pugile, appena prima di salire sul ring per un incontro.
No,
non per via dell’abbigliamento,
bensì
per quella vena pulsante e contratta sulla fronte, proprio al centro, e quel
sopracciglio lievemente alzato, tipico di chi – allo stesso tempo –
attende
e teme quell’occasione da troppo tempo.
Shanimal
afferrò il pacchetto di sigarette mezzo vuoto e sfilò una bionda,
portandosela
alle labbra.
L’orologio
segnava le 9 e 17 minuti e, secondo il pass che gli aveva procurato Jared, l’evento
doveva essere già iniziato.
Sbuffò,
perso nei suoi pensieri, prima di avvicinare lo Zippo alla sigaretta,
inclinando
leggermente il capo e schermando la fiamma blu e viola con la mano.
Jared.
E’ entrato tutto allegro in
camera mia meno di un’ora fa, parlando francese e
chiedendomi se avevo preso una
decisione per stasera…
tanto lui non entrerà al party
prima di un’altra ora, come minimo, perché prima ha un appuntamento con non so
chi, insieme ad Emma.
Alla fine, per farlo contento,
gli ho detto che non ci sarei andato, per farlo smettere
di starmi addosso.
Voglio stare da solo, stasera.
Il pensiero di essere nella
stessa città, sotto lo stesso cielo,
basta a togliermi il respiro, non
saprei proprio come comportarmi,
se me la ritrovassi di fronte,
in mezzo alla folla, ai paparazzi, a Jared e al mondo intero….
No, è meglio che non vada,
farei solo la figura del coglione.
Chissà se sa che sono a Parigi
anche io…
….ah, cazzo, è vero! Come
potrebbe non saperlo, l’avrà letto ovunque della presentazione che abbiamo
fatto oggi pomeriggio da Gibert!
“Shan,
tesoro, mi passeresti la mia borsa? E’ sulla poltrona vicino al comodino…”
Cheppalle, mi ero quasi
dimenticato di lei.
Con quella voce insopportabile
e quell’accento del North Dakota…
Jeena? Jenna? Jane? Non me lo
ricordo e francamente non mi interessa...
ho bisogno di stare da solo,
per riflettere.
Appena esce dalla doccia, le
dico di togliersi di torno.
******
“Può informare la signora Victoria Winter che Emma
Ludbrook e Jared Leto la stanno aspettando nella hall?”
“Bien sur, Madame.” L’uomo in livrea dietro
il bancone in marmo rosa, sollevò il ricevitore e compose il numero della
camera, con un sorrisetto di circostanza spalmato in faccia. Dopo qualche
parola in un pessimo inglese, annunciò soddisfatto: “La signora scende subito”.
“Che allegria, non vediamo l’ora…” borbottò Jared,
voltando le spalle alla reception e guardandosi intorno annoiato.
“Uff, senti, te l’ho già spiegato! Dieci minuti,
poi sarai libero di fare quel cavolo che ti pare! Non ho potuto dirle di no…poi
si tratta solo di un abito da indossare, santissimo Iddio, non ti sto chiedendo
la luna!” Emma ripose il Blackberry nella borsa, per evitare di
scaraventaglielo addosso e si passò le mani tra i capelli. Doveva ancora riprendersi
dal jet lag, figurarsi se aveva le forze per litigare con Jared (cosa per la
quale, tra l’altro, aveva alle spalle anni di allenamento).
“E va bene, ho capito! Ti ho dato la mia parola che
lo indosserò….solo, non pretendere che faccia i salti di gioia. Non solo sono
costretto a partecipare alla Vogue’s Night Out…dovrò farlo anche vestito da
pinguino!!” Si sfilò gli occhiali da sole e puntò dritto verso il bar “Non potevano
semplicemente farmelo portare in hotel? Perché mi vuole incontrare di persona?”
Emma alzò gli occhi al cielo, esasperata, mentre
allungava il passo per stargli dietro “Te l’avrò ripetuto cento volte…se magari
mi stessi a sentire ogni tanto! Dobbiamo metterci d’accordo per lo shooting
nello show room di New York, per il redazionale di Vogue...Non è difficile da
ricordare!”
“E’ il mio cervello che si rifiuta di memorizzare
le informazioni che non giudica rilevanti…” si accomodò sulla poltroncina di
chinz nell’angolo più appartato della hall e fece un cenno al cameriere, prima
di scostare la poltrona libera di fronte a sé, per invitare Emma a sedersi.
“Senti Jay, capisco che non sopporti questi eventi.
Capisco che al momento sei preso da altre cose ben più pressanti ed incombenti.
Però, davvero, si tratta solo di stasera, tanto dopodomani ripartiremo e di
tutta questa faccenda non se ne parlerà più prima di qualche mese…Renditi conto
che parliamo di VOGUE! Ho dovuto faticare non sai quanto per mettermi in contatto
con le persone giuste e farti diventare testimonial per Tod’s. Lo sai bene,
quanto è importante questa occasione….” Restò a fissarlo per qualche istante,
sentendo rabbia e frustrazione montare dentro di lei, mentre lui, gli occhi
puntati sul blackberry, sembrava non aver ascoltato una sola parola di ciò che
gli aveva appena detto. Ormai
esasperata, scattò in piedi, per cercare di far sembrare più minacciose le sue
parole: “E tutto dipende da questa STRONZA che dobbiamo incontrare
adesso, quindi vedi di non fare la Diva e comportati bene!!!”
Jared, di fronte a lei aveva alzato gli occhi
esterrefatto e fissava un punto imprecisato dietro Emma, più o meno al di sopra
della sua spalla sinistra.
“Jay, ma che ti prende? Ti sei incantato??” Jared
deglutì rumorosamente, mentre Emma si voltò avvampando di vergogna all’istante.
“Buonasera...beh, deduco che stiate aspettando me. Victoria Winter, Tod’s New York.”
******
“Serena, comment ça va ma chèrie?” Madeleine le
andò incontro a braccia aperte, facendo svolazzare l’abito di chiffon color
pesca e facendo tintinnare i mille braccialetti, anelli e pendenti vari che
esibiva come medaglie al valore. I capelli bianchi elegantemente stretti in uno
chignon, che lasciava sciolta solo qualche ciocca a incorniciarle il volto,
luminoso e solare, nonostante l’età.
“Madeleine! Je vais bien, merci et toi?”
“Je vais comme toutes les vieilles de mon age. Tu
viens d’arriver? C’est un plaisir de te voire! Mais tu est fatiguée? Tu
travaille trop, ma chèrie, ce soir je parlerai avec Victoria….”
Serena si era già persa in quel fiume di parole che
la donna le stava vomitando addosso, parlando fitto fitto in francese. Non
aveva avuto ancora tempo per riprendersi dal fuso orario e si stava già
preparando mentalmente al tour de force, in vista della serata impegnativa che
la aspettava. Di lì a poche ore, l’intera Rive Gauche sarebbe stata invasa da
vip, stilisti, modelle e giornalisti provenienti da tutto il mondo e
all’interno dello show room TOD’S di Saint Honoré avrebbe avuto luogo il party
di gala, in collaborazione con Vogue France. Ospite d’onore della serata, tra
gli altri vip, niente meno che Jared Leto! Quella sera sarebbe stato il loro
testimonial, infatti, proprio in quel momento, lui era con Victoria per definire
i dettagli della serata e consegnargli personalmente l’abito che era stato
scelto per lui. Secondo Josh di sicuro si sarebbe fatto vedere anche Shannon
quella sera…ma Serena aveva cercato in ogni modo di persuaderlo del contrario,
dicendo che di sicuro avrebbe voluto tenersi alla larga. E chi può
biasimarlo, dopo quello che gli ho fatto?
Per il momento, aveva solo un Leto del quale
preoccuparsi e sarebbe arrivato da un momento all’altro. Le Roger Vivier (**) che indossava le stavano già
facendo vedere le stelle, mentre doveva concentrarsi per identificare clienti e
giornalisti in mezzo alla folla, facendosi strada all’interno dello show room.
Si preannunciava una lunga serata e in assenza di Josh, che sapeva come farla
ragionare, l’open bar rappresentava un’attrattiva irresistibile.
Mentre tentava di scrollarsi di torno l’ennesima
fashion blogger emergente che cercava in tutti i modi di proporle una
collaborazione, Victoria le fece cenno di avvicinarsi, dall’altro capo della
stanza…Una tempesta selvaggia di flash si scatenò intorno alla ressa che si era
formata in corrispondenza dell’ingresso dello show room.
Jared era arrivato.
“So….hi. How are you?” Serena
si trovò di fronte il cantante, mentre entrambi cercavano di raggiungere il capo
opposto del negozio.
“Hi Serena! It’s been a while…you look stunning by the way. Even
thoug ..…..nevermind.”
Jared la squadrò da capo a piedi, con sguardo
interrogativo, indeciso se parlare o meno.
“Nevermind…what??” Serena alzò un sopracciglio ed
incrociò le braccia al petto.
“Nothing, I mean…are you ok? You don’t look
so…healthy”
“I’m perfectly healthy, thank you for your concern.
Now, shall we change subject?”
“Cambiamo pure argomento, se preferisci, ma la
sostanza rimane…Sei magra da far paura, tanto per cominciare…Ed è un vero
peccato, vederti così. Che ti è successo?”
“Sto benissimo, grazie!….e se così non fosse, tu
saresti l’ultima persona con la quale vorrei parlarne. Senza offesa, eh!”
“Beh vedo che riesci ancora a tirar fuori gli
artigli, quando serve. Mi piace questa dote, in una donna.” Si morse il labbro,
aspettando che le sue parole facessero effetto.
Serena non aveva nessuna intenzione di stare al suo
gioco, non avrebbe ceduto neanche di fronte a quei lineamenti perfetti, o
quegli occhi di un colore che le ricordavano prati verdi, il profumo del grano
e i colori dei pomeriggi d’estate perduti, di quando era bambina; senza parlare
del completo nero che metteva in risalto le spalle possenti, lasciando
intravedere brandelli del PROVEHITO IN ALTUM tatuato sul petto. Lei adorava
l’uomo che aveva davanti. Lo adorava anche al di là delle sue doti come
musicista o come attore. Lo adorava come individuo, come essere vivente, come
persona….E allora perché riusciva a darle così tanto sui nervi??
Non fu in grado di replicare alcunché, distratta
dalla ressa dei giornalisti che non davano tregua a Jared e continuavano a
chiamarlo, chiedendogli di voltarsi per farsi immortalare. Jared passò un
braccio intorno alla vita a Serena e si voltò verso la stampa, sussurrandole
all’orecchio “Beh, magari potrei offrirti da bere, più tardi…ma non farti idee
strane tesoro: ho solo un paio da cosette da dirti”.
Se non fosse bastato sentire il respiro di Jared
sul suo collo a darle i brividi, i flash la abbagliarono facendole quasi
perdere l’equilibrio, costringendola ad aggrapparsi a lui per non cadere.
“Senti ce ne andiamo di qui? Vorrei parlarti anche
io, possibilmente in un posto tranquillo…”
“Sì, questo posto è un gran casino…usciamo un
attimo in balcone” la prese per mano, facendosi strada in mezzo alla gente
accalcata davanti al bar, passando tra fruscianti abiti di seta, eau de
parfum nauseanti e acconciature affilate come armi improprie e il vocio in
tutte le lingue del mondo di chi tentava di sovrastare il cacofonico tunz
tunz della musica.
NOTE:
(*) The Cure – In between days >> Ho scelto la versione
dell’MTV Unplugged, dove Robert Smith duetta con I KoRn in un fantastico medley
di – appunto - In between Days e Make me bad. Vi consiglio di
ascoltarla mentre leggete il capitolo, poi se volete potete anche mandarmi
aff*** se non vi è piaciuto l’abbinamento e/o la canzone!
Voilà! >> http://www.youtube.com/watch?v=-d1lQxreiFQ&feature=related
(**) Le scarpe che
indossa Serena>> http://www.leam.com/it/shop/saldi-scarpe-donna/roger-vivier/scarpa-nero-86263 e l’outfit>> http://www.tods.com/it/woman/ready-to-wear/blazer
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