Il Futuro è Adesso.

di kickingleaves
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** One ***
Capitolo 2: *** Two ***
Capitolo 3: *** Three ***



Capitolo 1
*** One ***


Sto ricordando, ricordo i tempi di Hogwarts. Mi ricordo di Ron, a letto con quella psicopatica della Brown; ricordo quando mi ha tradita, per mera ripicca.
I ricordi mi fanno male, in questo momento di dolore - lui mi ha tradita, una volta mi ha già tradita. Le lacrime mi salgono agli occhi, ed un vago senso di nausea accompagna il ricordo del mio uomo - di mio marito, per Merlino - con un'altra donna, l'orrore del tradimento subito.
Ho passato la notte da Luna, per una sorta di pigiama party in onore dei vecchi tempi - quando, appena uscite da Hogwarts, non facevamo che stare insieme, prima di trovare un lavoro: io, lei e Gin. Ma sono stata male la mattina, ed è per questo che ho deciso di tornare prima a casa.
Il terrore mi attanaglia alla porta, ma con difficoltà riesco a muovere un paio di passi all'interno. Ed è solo il rumore di questi miei passi, che mi accompagna all'interno, nel silenzio del corridoio di casa.
Mi trema la mano mentre la porto lentamente sulla maniglia della porta di camera mia. Prendo fiato, e la spalanco.
Sospiro sollevata: Ron è lì, davanti a me, ed è solo. Dorme come un bambino. Com'è bello.

Sto ricordando, ricordo i tempi di Hogwarts. Io ed Harry. Mi ricordo quell'estate, quell'estate che l'ho lasciato per un altro; ricordo che è stato allora, che ho iniziato a smettere di provare qualcosa per lui. Mi piaceva il suo arcinemico dei tempi della scuola; rido, ora, al pensiero: quanto deve esser stata dura, per lui, vedermi passare quel mese e mezzo con Malfoy.
L'avevo lasciato dicendogli che la nostra relazione era troppo intensa, che non volevo nulla di serio, e poi eccomi lì, dietro un albero, a pomiciare con un biondino. Rido, rido a voce alta - se mi sentissi dall'esterno, direi che è una risata un po' isterica. È che ho preso la mia decisione: voglio lasciarlo.
Non ho bisogno di lui, non ho bisogno del noiosissimo Harry Potter. È noioso quando fa lo sdolcinato, è noioso quando mi dedica troppe attenzioni, è noioso perfino a letto.
Sì, ho fatto sesso solo con lui - ma la cosa deve essere più interessante di così, ne parlano tutti bene. Ho bisogno di passione. Ho bisogno di fuoco.
Sapeva a cosa andava incontro, lo sapeva fin da quando mi ha chiesto di sposarlo. «Non posso sposarti. Sono innamorata di un altro,» gli avevo detto. «Ginevra, sposami,» aveva insistito. Ha solo colto un mio momento di debolezza, ha solo avuto fortuna.

È il momento di dirglielo.
Appoggio le chiavi sulla cassettiera, accanto alla porta, ed entro nella stanza. Silenziosamente, salgo sul letto, stendendomi accanto a lui. Ho ancora il timore che una biondona possa uscire dal bagno, avvolta in un corto asciugamano, ma non mi lascio prendere troppo dalle mie paranoiche fantasie: Lavanda Brown è stata un milione di anni fa, e lui ha sempre amato me.
«Ron» sussurro, nel suo orecchio, per svegliarlo. Lo vedo dischiudere leggermente gli occhi, e ripiombare immediatamente dopo nel sonno. Sorrido, intenerita.
«Ron!»
«Sì!» scatta lui, risvegliandosi di colpo. «Sono sveglio! Non avevo sentito la sveglia, ma ci sono, sono sveglio, mamma!»
Rido; è adorabile quando si sveglia così.
«Sono io, scemo» lo apostrofo, accarezzandogli una guancia con la punta dell'indice. Non so come ho potuto pensare a lui con un'altra: non mi tradirebbe mai. È mio.
Si guarda intorno qualche istante, spaesato - sono passati undici mesi da quando viviamo qui, ma a volte dimentica ancora che abitiamo nella casa nuova - poi pianta i suoi begli occhi azzurri su di me. Sorride, con dolcezza. «Da quando non mi svegli con un bicchiere d'acqua gelata?» domanda, con un sorriso furbetto. «Da quando ho una notizia da darti.»

Mione, ti prego, dimmi che sei in casa. Ron, ti prego, dimmi che ci sei. Ho lasciato mio marito. Sono qui con una valigia, sulla vostra veranda. Vi prego, apritemi. Vi prego, non lasciatemi sulla soglia di casa vostra, attaccata al campanello.
Vi prego, apritemi, perché questo è il primo posto dove lui verrà a cercarmi. Vi prego, apritemi. Non voglio ritrovarmi a piangere come un'idiota.
«Arrivo!» lo strilla una voce piuttosto lontana; è Hermione. La porta si apre una manciata di secondi dopo ( il che non ha senso, perché nessuno ha mai preso in mano dei secondi ), e prima di vedere lei vedo quel nido di rondini che ha in testa, al posto dei capelli. Ah, no, sono i suoi capelli.
Poi vedo la sua espressione turbata, nel notare i miei occhi rossi di pianto e la valigia che mi accompagna. «Gin?! Cos'è successo?» guarda alle mie spalle, verifica la mancata presenza di Harry. «Entra, entra.»
Eseguo, trascino il piccolo trolley insieme a me. Mi è sempre piaciuta la luce che c'è qui dentro. È confortante, dà un senso di calma e serenità. Ma non mi calma, non oggi.

«L'ho lasciato.» Ho fatto sedere Ginevra al tavolo della cucina, ed ora sta parlando nonsense. Si è tolta la giacca - la sua nuova giacca delle Holyhead Harpies, quella che adora tanto e non smette di indossare - e si è lavata la faccia, ma non sembra in sé. Dice cose sconnesse e senza senso. Non ha lasciato Harry, non può aver lasciato Harry.
Mi fa pena vederla così, voglio aiutarla; ma detesto che sia qui proprio ora, che mi abbia interrotta mentre dicevo a Ron che aspetto un bambino.
E poi non può aver lasciato Harry. Eppure eccola qui, che lo ripete: «l'ho lasciato.» Non ha senso. Erano la coppia perfetta, lui così premuroso, lei così sorridente. «Ma Gin, perché?»
Sarò ingenua, ma a me sembrava davvero andasse tutto bene.
«Io lo amo ancora.»
Non capisco subito cosa intenda. Se lo ama ancora, perché lasciarlo?
Ma c'è una luce nei suoi occhi, uno sguardo che mi fa intendere che non sta parlando di Harry. Me lo ricordo. Quando ha lasciato Draco, lui le ha giurato amore eterno. Quando Harry le ha chiesto di sposarlo, le gli ha detto di essere innamorata di un altro.
Tutto fa clic nella mia testa, ogni pezzo del puzzle si inserisce al posto giusto, e la mia bocca va a formare una piccola "o" di stupore.
«Ma Gin, lui non si sta per sposare?»
Oh, Godric, non riesco neanche ad immaginare quanto Harry possa sentirsi triste e solo in questo momento - e a dire il vero non so perché penso a lui nel momento in cui Ginevra, la mia migliore amica, mi siede di fronte e piange - aiutata dalle mie ultime parole, a quanto pare.
Mi alzo, l'abbraccio. «Avevi promesso che l'avresti dimenticato, Gin. Me l'avevi promesso» le sussurro, scatenando singhiozzi più intensi.

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Capitolo 2
*** Two ***


Quando sento rumore di passi strascicati che, piano piano, dal corridoio s'avvicinano sempre più alla porta della cucina, sciolgo l'abbraccio con Hermione. Frettolosamente mi passo il palmo di una mano sul volto, cercando di asciugare le lacrime. Non voglio che mio fratello mi veda così; penserà sia stata colpa di Harry, che lui abbia fatto qualcosa - e non voglio che litighino, perché Harry ha bisogno di un sostegno.
È appena stato mollato da un triste bigliettino lasciatogli sul cuscino, per Merlino, deve aver bisogno del suo migliore amico. Non voglio togliergli anche lui.
Oh, cos'ho fatto.
Cos'ho fatto?
Questa mattina la mia scelta sembrava la più coerente del mondo, la migliore, la meno dolorosa. Ma come ho potuto farlo, distruggere così una persona che mi è sempre stata vicina?
Ron compare sulla soglia. Se non mi sentissi così male, lo troverei buffo, divertente; mi fa fare un tuffo nel passato: credo sia più di un anno, ormai, che non lo incontro la mattina, con quella sua faccia da appena-sveglio, che invece di dire "mi è suonata la sveglia" sembra suggerire "mi hanno appena cruciato".
«Perché te ne sei andata mentre mi stavi dicendo qualcosa, cos'ho fatto?» - le sue parole sono indirizzate ad Hermione, su cui sposto il mio sguardo. Non si è neanche accorto di me.

Mio marito è un idiota. L'ho sempre saputo, ma ho cercato sempre di salvarlo; ma poi entra in cucina, così, senza neanche guardarsi intorno - voglio dire, c'è sua sorella in lacrime, a due passi da me: non può non essersene accorto.
Il primo istinto sarebbe quello di fargliela notare, richiamare la sua attenzione in qualche modo, ma un lampo di genio - o una pessima idea, una delle due - impedisce alla mia bocca di aprirsi.
«Oh, te lo dico ora» annuncio.
Il mio sguardo va automaticamente a notare la reazione di Ginevra, che mi guarda con confusione; «ho interrotto qualcosa?» è la domanda che mi pone. Vorrei urlarle che sì, ha interrotto qualcosa, e che la odio per questo, ma vedere quella sua espressione da cagnolino bastonato non può che suscitare affetto e comprensione.
«Non ti preoccupare, Gin. Saresti stata la seconda a saperlo, tanto vale lo dica direttamente ad entrambi.» E poi volevo dirlo ad Harry, ma chissà il poveretto quanto poco vorrebbe saperlo, ora che è solo.
Gli sguardi sono puntati su di me. Mi schiarisco la voce.
«Sono incinta.»
È troppo tardi, quando penso che Ginevra è sola tanto quanto Harry, in questo momento. L'unica differenza tra loro è che lui è la vittima, lei il carnefice - ed entrambe le situazioni sono egualmente difficili e dolorose, soprattutto dopo tutti questi anni passati insieme.

«Oh, wow» ( cit. ) è tutto quel che riesco a dire: è incinta. Di mio nipote.
Incinta. Lei è incinta, io ho lasciato mio marito.
Se anche volessi, non avrò mai nessuno. Non avrò mai dei bambini! Ho lasciato mio marito, e l'uomo che amo è fidanzato. Insomma, sarò zitella a vita. Questo ramo della famiglia Weasley non produrrà teste rosse.
Mi alzo, perché è la cosa giusta da fare, ed abbraccio Hermione per qualche secondo. Sulla via della porta, abbraccio anche Ron, un po' più brevemente, poi li lascio soli.
Incinta.
La vita mi sta scorrendo davanti, il tempo mi sfugge. Devo agire, fare qualcosa, muovermi. Uscire da qui, da questa casa.
Raggiungo la porta di casa, la apro con mani tremanti, la chiudo il più silenziosamente possibile. Andrò a stare da Luna, non posso disturbare Ron ed Hermione proprio adesso che aspettano un bambino. Glielo dirò più tardi: ora ho solo bisogno di allontanarmi da qui.
Mi sforzo di non pensare ad Hermione - incinta, Hermione è incinta - ma non riesco ad impedirmelo; ma mentre affretto il passo, allontanandomi da casa loro, un pensiero mi urta, mi colpisce come se qualcuno mi avesse appena schiaffeggiata: devo parlare con lui.

Ron sembra turbato.
Il mio timore più grande è che la prenda male.
«Ron?» cerco di richiamare la sua attenzione, ed il suo sguardo si sposta dal vuoto su di me. Sorride.
«Quando l'hai saputo?» domanda, cauto - non capisco se voglia mettere me a mio agio, o tranquillizzarsi lui.
Sento la porta chiudersi; merda, Gin - ma non posso andare a salvarla, tirarla fuori da questo guaio anche questa volta. Non adesso. È stata lei, in fondo, a scavarsi la fossa: che si prenda le sue responsabilità e si comporti da adulta.
«Stamattina ho fatto il test.»
Copre quei pochi passi di distanza che ci separano, e mi stringe, mi stringe forte; non avrei mai pensato, ai tempi di Hogwarts, che la nostra storia potesse durare così tanto, arrivare a questo punto. Non credevo avrei potuto amare Ron per tutta la mia vita, eppure è così. Sento in battito del suo cuore a contatto con il mio, ed il pensiero che presto di battito ce ne sarà un terzo è tutto quello a cui voglio pensare.

Ho bisogno di aria. Sono all'aperto, ma mi sento soffocata dalla gente che mi sorpassa per strada, dalle automobili, perfino da chi porta a spasso il cane e dal cane stesso. Ho bisogno di aria, ho bisogno di schiarirmi i pensieri; ho preso una decisione affrettata.
Sono scappata. Devo parlare con Harry, questo se lo merita. Dopo tutto quello che ha passato, non posso lasciarlo senza neanche una spiegazione.
Ma prima ho bisogno di sapere che ho fatto la scelta giusta; ho bisogno di vedere Draco, di capire se è vero che quello che provavo per lui ai tempi di Hogwarts esiste ancora: nel profondo so che è così, ma potrebbe essere solo una scusa, qualcosa che la mia testa ha trovato per giustificare quello che non provo per Harry.
Appena trovo un parco, provvisto di cespugli, mi nascondo dietro uno di essi, ed è lì che mi smaterializzo - in modo che nessun Babbano possa vedermi.
Ora sono al Ministero. Sono al Ministero, e seguo le indicazioni per il Quinto Livello ( cooperazione magica internazionale ): lui lavora lì. Giro angoli, percorro corridoi, e trovo infine la porta del suo ufficio.
“D. Malfoy”, dice la targhetta col nome. Il silenzio che mi circonda sembra voler amplificare i miei pensieri, sembra volermi prendere in giro.
Busso, e sento la sua voce chiamare «avanti!» Non ha nemmeno una segretaria, si vede che non riceve visite spesso; non ho idea di quale sia, di preciso, il suo ruolo al Ministero - so a malapena l'ufficio, che è sfuggito a Luna una volta, qualche mese fa.
Apro la porta - mi sento le guance calde. Magari non ricorda neanche chi sono, magari non mi riconosce... Ma sarà comunque valsa la pena di arrivare fino a qua, perché adoro perdere il mio sguardo nei suoi occhi grigi. Adoro rivedere quel suo volto pallido, affilato, il suo mento a punta.
Lo sguardo si fa quasi annebbiato, per un istante, poi confuso: «Weasley?»

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Capitolo 3
*** Three ***


Sono solo.
Mi sono svegliato un'oretta fa. È tardi, ma oggi al lavoro ho il turno ridotto. Come mi sono svegliato, sono andato in bagno. Non ho sentito alcun rumore provenire dal resto della casa, e ne ho dedotto che Ginevra non era presente. La cosa mi ha stupito, perché oggi non ha gli allenamenti; ma ho realizzato immediatamente dopo che probabilmente era da Hermione o Luna, perché ultimamente le visita spesso.
Sono andato a fare colazione. La cucina era immacolata, come se mai fosse stata toccata. Lì mi è venuta un po' d'ansia - "perché Ginevra non ha voluto mangiare a casa?", mi sono chiesto. Dopo colazione, sono salito a vestirmi.
Ho trovato l'armadio un po' sgonfio. In particolare, ho notato l'assenza della divisa di Quidditch di Ginevra, e della sua nuova giacca delle Holyhead Harpies. "Perché prenderle, se oggi non ha gli allenamenti?", mi sono chiesto.
Ho risolto i miei dubbi concludendo che le donne sono strane, ed ho portato i vestiti al letto, per appoggiarli lì; sarei andato a lavarmi poco dopo e in bagno non c'è spazio per appoggiarli.
È stato allora, che l'ho notato. Una lettera, sul cuscino di Ginevra.
Un biglietto, più che altro.
Uno striminzito biglietto con un paio di scuse e nessuna spiegazione.
Sono solo.

Dovrebbe essermi di vago conforto il suo avermi riconosciuta, ma non mi è di nessun conforto l'essere chiamata così freddamente, per cognome.
Mi sento le gambe molli come non le sentivo dal giorno dello Smistamento.
Lo guardo. È molto bello. Mi guarda confuso, mi guarda dritto negli occhi con un punto di domanda disegnato in volto.
Sono certa che non provi più quello che provo io.
Si alza, gira intorno alla scrivania, ma non tenta passi in mia direzione.
«Sei tu?» domanda. Non capisco se sia perché non lo sa, o perché vuole sentire la mia risposta. Non riesco a dargliene una, non riesco ad aprire la bocca. Alla faccia del coraggio! Godric evidentemente ha pensato bene di coprire il campo del "combattere in una guerra magica", ma evidentemente non quello del "parlare".
«Cosa ci fai qui?» Si volta leggermente, appoggia sulla scrivania la piuma con cui poco fa stava scrivendo, e che ancora aveva tra le mani - vuole darmi completa attenzione.
«Non riesco più ad impedirmi di provare quello che ho sempre provato per te.» Sgrana gli occhi, fa un passo indietro, va a sbattere contro la scrivania ( sarebbe divertente se la situazione non fosse così tesa - mi sfugge una sorta di risatina isterica ). Sembra stia incassando un colpo, un duro colpo.
E poi, si mette sulla difensiva, scova il suo tono da stronzo: «Weasley, non puoi fare di questi discorsi. Siamo una storia chiusa, da più di quattro anni.»

Alla fine non mi sono lavato.
Però mi sono vestito. Ho preso la Metropolvere, sono venuto al lavoro.
Ora sto aspettando Ron - magari lui sa qualcosa.
Il nostro non è un lavoro da scrivania, ma oggi farò in modo che lo sia il più possibile; e farò anche in modo di non muovermi da qui, neanche per la pausa pranzo: non ho nessunissima intenzione di incontrare Arthur o un qualsiasi membro della sua famiglia al di fuori di Ron.
Poggio la piuma inchiostrata sulla pergamena, ma perdo così tanto tempo a pensare a Ginevra che non mi accorgo della grossa macchia nera che si forma sul foglio; perfetto, dovrò tagliare un pezzo di pergamena che avrebbe dovuto essere ufficiale.
Ricomincio, e Ron mi sorprende quando ormai sono a metà del secondo paragrafo: in ritardo al lavoro, come sempre.
Sollevo lo sguardo su di lui, mentre tutto trafelato si toglie la giacca e la butta sulla sedia. Non mi lancia neanche un'occhiata, prima di urlarmi «Harry, ti devo dire una cosa!»
Lo guardo interrogativamente, non ho le forze di fare domande.
«HERMIONE È INCINTA!» annuncia, entusiasta.
Ed è come se tutte le persone del mondo avessero messo insieme tutte le loro forze per tirarmi un pugno nelle palle.

Siamo una storia chiusa, da più di quattro anni. Quattro anni e tre o quattro mesi. «Sì, ma-» sto per dire che sono stata io a chiuderla, che si può tornare indietro se sono stata io ( non ha senso, ma voglio credere sia così ); sto per dirgli che lui mi ha detto, giurato, che mi avrebbe sempre amata, e scusate se è poco - sto per farlo, ma lui mi interrompe.
«Non c'è nessun "ma", Weasley. Io e te abbiamo chiuso un milione di anni fa. Sono fidanzato. Sto per sposarmi. Sai questo cosa vuol dire?»
Che le ex non hanno più molto tempo per fermare il tempo, riavvolgerlo e tornare nel passato? Che devo sbrigarmi?
Mi sono tuffata in questa cosa, e quando mi tuffo non mi piace restare con la testa fuori dall'acqua; altrimenti che tuffo sarebbe?
«Io sono sposata. Sai cosa voglia dire, per me, essere qui e chiederti una possibilità?»
Abbassa lo sguardo, per un istante; colgo l'occasione per avvicinarmi a lui di un passo. Due passi, tre passi.
«Ho ventidue anni. Ho buttato via anni con un ragazzo a cui voglio un'infinità di bene, ma che non amo. Pensaci. Pensa se è quello che vuoi, quando potresti avere me.»
«Come siete arroganti, voi ex Grifondoro. Come vi sentite sempre i padroni del mondo. Ti sembra davvero tutto così facile?»
«Ti sembra davvero di poter prendere questa decisione senza pensarci?»
Un tempo lo odiavo. Odiavo dover perdere tempo a litigare con lui, odiavo anche solo incrociarlo per i corridoi di Hogwarts.
Ora, discutere con lui mi fa sentire piena come non mi sentivo da troppo tempo. E voglio l'ultima parola, dev'essere mia; per questo, scappo: esco dal suo ufficio, chiudendomi la porta alle spalle.

Ho bisogno di uscire da quest'ufficio.
«Congratulazioni» dico, veloce, ed inizio a vagare per i corridoi, gli ascensori; evito quei posti dove potrei incontrare i Weasley, corro, lontano da Ron, lontano dal mio migliore amico, lontano dall'unico che potrebbe capirmi, perché non è la giornata giusta per forzarlo a capire; corro, fino a quando non raggiungo una zona del Ministero che non conosco molto bene.
Non so neanche che livello sia, ma dalle targhette sulle porte degli uffici finalmente capisco che è la sede del dipartimento affari esteri. Improvvisamente, una cascata di capelli rossi esce da una porta, un po' più avanti. Appoggia la schiena alla porta, e si lascia andare in una risata liberatoria.
È lei, è davanti a me. Quella è la sua risata del relax, dell'«ho vinto a un gioco da tavola!», quella risata che amo tanto. Quello è il suo viso pieno di lentiggini, attualmente un miscuglio di sentimenti che a me, che la conosco bene, sembrano essere turbamento ma anche pace, tranquillità.
Sembra che, da ieri sera, si sia liberata d'un peso.
Quel peso sono io. Muovo un passo verso di lei - cosa ci fa qui? - poi due, poi tre - cosa sta succedendo, perché sorride? - ma lei mi dà ora le spalle - dove sei stata, Ginevra? - e si volta, percorrendo il corridoio fino alla fine.
Mi affretto, vado a leggere la targhetta sulla porta.
D. Malfoy.
«Non posso sposarti. Sono innamorata di un altro,» mi aveva detto.

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