he loves me for who I am

di itsjonastime
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter one. ***
Capitolo 2: *** Chapter three ***
Capitolo 3: *** Chapter two. ***
Capitolo 4: *** Chapter four ***
Capitolo 5: *** Chapter five. ***
Capitolo 6: *** Chapter six. ***
Capitolo 7: *** Chapter seven. ***
Capitolo 8: *** Chapter eight. ***
Capitolo 9: *** Chapter nine. ***



Capitolo 1
*** Chapter one. ***


Ronnie.
Ero seduta davanti alla mia scrivania, con il computer acceso. Stavo navigando su facebook, quando il mio Blackberry, vibrò. Un messaggio da Samantha, la mia migliore amica: Noi, siamo tutte al bar sulla spiaggia, che fai vieni?
Per tutte intendeva le altre mie amiche: Sam, Haley e July.
Ron, come mi chiamano i miei amici, è il mio soprannome. Non mi piace molto, perché da l'idea di un nome da maschio. Che cappero di nome è Ron, o Ronnie? Certamente era l'abbreviazione di Veronica.
Si, vi raggiungo subito, risposi al messaggio di Sam.
Infilai le scarpe, cercai di convincere mio padre a tenere Lizzie, anche se erano le undici di sera, ed entrai in macchina.
La strada era quasi deserta, tranne qualche lampione qua e là. Era tutto tranquillo, ma ad un certo punto una macchina sbucò da dietro l'angolo. Frenai bruscamente, ma l'auto andò a sbattere contro di me. Chiusi gli occhi per la paura, temevo che si fosse fatto male qualcuno. Ma non era colpa mia.
Il ragazzo che guidava l'altra auto uscì dalla macchina. Io feci lo stesso, e gli andai in contro.
«Va tutto bene?» mi chiese.
«Si, credo... di si» mi fermai. «No, la mia auto!» dissi vedendo che il paraurti della macchina era completamente sfasciato.
«Mi dispiace, non ti avevo visto».
«Non ti preoccupare, andrà lo stesso. Comunque anche la tua si è un po' rotta».
«Cosa?» disse girandosi.
«Si può sapere chi cavolo ti ha dato la patente?» ripresi.
Il ragazzo rimase un po' sbalordito.
«Io so guidare, è solo che non ti ho visto».
«Avevo i fanali accesi, per tua informazione. Che ti devo dire? Mettiti gli occhiali».
«Mi dispiace, cosa ti devo dire».
«Ci vediamo».
«Ciao, eh!».
La serata non era iniziata tanto bene. Adesso l'unico mio problema era l'auto che si era completamente sfasciata, ma almeno andava.
Arrivai al locale.

Joe.
Anche per me la serata non era iniziata tanto bene, ma non ci volevo pensare più. Domani avrei portato la macchina ad aggiustare e tutto sarebbe tornato come prima.
Sentii squillare il telefono.
«Joe, ma dove sei finito?» mi chiese mio fratello.
«Ho avuto un piccolo contrattempo, sto arrivando... voi dove siete?».
«Al bar sulla spiaggia, muoviti che ci sono tante ragazze».
«Sei sempre il solito. Chi c'è lì con te?».
«Demi, Chad e Max».
«Ok, arrivo».
Arrivai, e scesi dalla macchina ed entrai dentro.
«Ciao» dissi, appena entrato.
Detti una stretta di mano amichevole e un abbraccio ai ragazzi e baciai sulla guancia Demi.
«Che cosa è successo?» mi chiese Nick.
Mi sedetti e ordinai una bibita. «Non me ne parlare».
«Perché?» chiese Demi.
«Ho fatto un piccolo incidente con una ragazza. Si è anche rotto il paraurti della macchina, la devo portare a aggiustare».
«Di chi è la colpa?» chiese Chad.
«Mia...» sussurrai.
«Di chi?» chiese di nuovo Demi.
«Mia!».
Scoppiarono a ridere.
«Sei sempre il solito, Joe!» mi disse Demi, scompigliandomi i capelli.

 

Ronnie.
«Eccomi!» dissi alle mie amiche, entrando nel locale.

«Finalmente!» disse Sam.
«Scusate, ho avuto un piccolo incidente con un cretino» continuai.
«Che tipo di cretino?» chiese Bella.
«Mi ha rotto tutto il paraurti della macchina, solo perché non mi ha visto».
Ordinai da bere e poi mi misi a sedere.
Passammo il tempo a chiacchierare, e scherzare. Fino ad arrivare a scommettere. Persi io, come sempre.
«Uffa! Non vale, però!» si lamentò July.
«Perché?» chiesero le altre.
«Perché io volevo baciare un ragazzo stasera. Invece tocca a Ron».
Scoppiammo tutti a ridere.
«Adesso basta solo trovare un ragazzo carino» disse Haley.
«Che ne dici di quello là?» chiese Bella.
«Mi sembra davvero carino» rispose July.
«Ronnie, devi andare da quello là. Quello di spalle».
«Quello moro o quello biondo».
«Quello moro».
Mi alziai – contro voglia – e mi avviai al tavolino.
«Hei, ciao...» iniziai, «Ho fatto una scom...»
Non finii la frase perché il ragazzo si girò e lo riconobbi, e forse anche lui.
Scoppiai a ridere.
Le mie amiche si avvicinarono a me.
«Perché ridi?» mi chiese Sam.
«Questo, è quello che mi ha sfasciato la macchina» dissi ridendo.
«Questo? Io ho un nome, per tua informazione. Ed è Joe» intervenne Joe.
«Ragazze andiamocene, non lo bacerò mai» feci cadere il discorso.
Joe spalancò gli occhi, e mi raggiunse.
«Quale bacio?» mi chiese.
«Quello che ti dovevo dare perché ho perso una scommessa».
Mi fermò prendendomi per i fianchi girandomi verso di lui. «Vabbè, però potremmo sempre far finta che non sia successo nulla e baciarci lo stesso».
Mi avvicinai sempre di più, chiudendo gli occhi. Vidi che anche lui fece lo stesso. «Scordatelo!» dissi salutandolo con la mano.

Benvenuti (??)
Ho scritto abbastanza,
spero vi piaccia.
@jonastoxic

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Capitolo 2
*** Chapter three ***


J o e .
Ero seduto sul divano, con il cellulare in mano. Me lo passavo da una mano all'altra. Volevo chiamarla, ma forse era troppo presto, la conoscevo da solo da tre giorni. Mi sembrava un po' presto.
Mi sembrava diversa. Quella sensazione che non riuscivo, però, a descrivere.
Mah, proprio non lo sapevo. Poi, però, mi decisi e composi il numero.
Sentii un po' di rumore, poi una voce. «S-si... pronto!» esclamò una voce che però non mi sembrava la sua.
«Pronto?!» chiesi.
«Chi parla?».
Mi schiarii la voce. «Sono Joe, ti ricordi di me?».
Mi aspettavo un Certo che mi ricordo, mi ha sfasciato la macchina, invece no.
«Joe chi?» chiese la ragazza.
«Come Joe chi?» era un po' perplesso.
«Non conosco nessun Joe, se proprio vuoi saperlo».
«Non sei Ronnie?».
«Ronnie? No, no» scoppiò a ridere. «Io sono Samantha, l'amica di Ron».
«Come è possibile? Ronnie stessa mi ha dato questo numero».
«Di sicuro ti ha dato il mio, perché... beh, non lo so perché!».
«Mi dispiace di averti fatto perdere tempo».
«Non ti preoccupare... non lo vuoi il vero numero di Ronnie?».
Mi grattò la testa, Certo che lo voglio!
«Ok» risposi.
Mi dettò il numerò e riattaccai salutandola.
Non ci potevo credere. Non ero arrabbiato, anzi mi era divertito. Ma adesso non ero più tanto sicuro di volerla chiamare.
Ma mi fece coraggio, e composi, lo stesso, numero.
Attesi qualche minuto, ma suonava a vuoto. Così riattaccai, deluso.
Riprovai altre tre volte, ma niente. Così smisi.

 

Sisi, lo so: è molto
corto, ma sono molto stanca.
Quindi accontentatevi (?)
Ahahahahahahah!
Grazie lo stesso.

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Capitolo 3
*** Chapter two. ***


R o n n i e .
Le ragazze uscirono dal locale.
«E quello sarebbe il cretino?» chiese Sam.
«Già...» risposi.
Le altre se ne andarono e rimasi con Sam.
«Fai vedere come ti ha ridotto la macchina?» mi domandò.
La portai davanti l'auto.
«Ecco!» dissi. «Ti sembra possibile?».
«Ti costerà parecchio».
«Lo so, ma tanto pagherà quello lì. Come ha detto che si chiama?».
«Joe, credo» rise Sam.
Poi tornammo a casa.

Il giorno seguente.
La mattina dormii fino a tardi, poi di pomeriggio, prima di andare a lavorare, portai l'auto dal carrozziere.
«Mmmmh...» fece il carrozziere.
«Che vuol dire Mmmmmh?» chiesi.
«E' stato un bel colpo».
«Non me lo dica» sussurrai, alzando gli occhi al cielo.
«Torno subito» disse allontanandosi.
Gli sorrisi e mi appoggiò al bancone mettendomi a giocherellare con la penna.
Vidi un uomo arrivarmi da dietro e sedersi davanti a me, che continuava a parlare, anche s eperò guardava oltre me, e non capivo; così mi giarai.
Lo vidi per la terza volta.
«Ma guarda te il destino!» esclamò Joe.
«E che bel destino!» risi sotto i baffi.
«Che ci fai qui?».
«Ah, non lo so. Forse ho portato ad aggiustare la macchina che tu stesso hai rotto?!».
«Anche tu vieni qui?».
«Veramente è la prima volta che vengo da un carrozziere. Avrei voluto non venirci mai, ma sai com'è...».
«Comunque, mi dispiace per la macchina. Mi perdoni?».
«Si... a patto che paghi tu i danni!».
«Ma che...?».
«Sei tu che hai fatto il guaio, ricordi?».
«Hai ragione».
«Bravo ragazzo» disse facendogli una carezza sulla guancia.

«Ecco a te!» disse il signore di prima, dandomi dei fogli.
«Grazie, e arrivederci!» esclamai.
Mi allontanai, ma sentii Joe corrermi dietro.
«Ancora tu!?» chiesi.
«Posso avere il tuo numero di telefono?» mi chiese tutto d'un colpo.
Mi piacevano quelli che non ci giravano molto intorno, ma così era troppo.
E poi non volevo dargli il numero di telefono, così gli detti quello di Sam.
«Certo» gli dissi sorridendogli.
Gli detti il numero sbagliato e lo salutai.

 

Ecccccccomi qua.
Secondo capitolo, e
una recensione.
Be' non è male.
Comunque spero
vi piaccia anche questo.
@jonastoxic

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Capitolo 4
*** Chapter four ***


 

R o n n i e .
«Sai ho conosciuto un ragazzo...» dissi a Sam.
«Che ti piace?» indovinò lei.
Si mise a ridere.
Tornai seria. «Non lo so...».
«Ricordati quello che ti ha fatto Dylan» riprese lei, avrei tanto voluto che quella frase non l'avesse detta.
«Come posso dimenticarlo. Ma lui è diverso è così simpatico... non lo so. Certo lo conosco da poco, ma boh!».
«Come si chiama?».
«Joe».
Sam si mise a ridere. «Quel Joe?».
«Si, proprio lui» dissi facendo un mezzo sorrisetto.
Non lo conosco, quindi non posso giudicare».
«Anche io lo conosco poco, ma lo trovo così dolce».
«Puoi sempre provarci, no?».
«Non lo so, non mi fido più di nessuno in questo mondo».
«... e fu così che Romeo e Giulietta si innamorarono...».
La spinsi sul letto. «Ma smettila! E' solo che vorrei conoscerlo meglio».
«Fa come vuoi... ah! Ti ho detto della telefonata?».
Risi imbarazzata. «No, perché?».
«Ieri ero a casa di Zac e mi è suonato il cellulare, quando ho risposto una voce ha chiesto di te, ma io gli ho detto che io mi chiamavo Sam...».
Era Joe?!» domandai sbalordita.
«Si, non so come abbia avuto il mio numero, ma poi gli ho dato il tuo, contenta?».
Non sapevo se dovevo essere contenta o no, forse lo ero. Adesso capivo di chi erano quelle telefonate a cui non avevo risposte, forse erano sue.


«Non c'è nessuno?!» urlò una voce alle mie spalle, la riconobbi.
Ero dietro il bancone dando le spalle a questo qui, così mi girai. «Non importa essere così scont...».
«Ah, guarda te!» esclamò Joe.
«Lo dici ogni volta che ci incontriamo» mi appoggiai al bancone. «Prendi qualcosa?».
Alzò la testa per vedere il menù attaccato al muro, dietro di me. «Un bicchiere d'acqua».
«Tutto qua?! Cinque minuti a pensare, per poi prendere un semplice bicchiere d'acqua?».
«Beh, si. E' forse illegale?».
«No, certo che no. Te lo porto subito».
Mi avviai dall'altra parte del locale, dove c'erano le caraffe d'acqua e i bicchieri: ne presi uno e lo riempi con un po' di ghiaccio. Poi tornai da lui.
«Ecco a te!» dissi porgendogli il bicchiere, un po' appannato.
Alzò il bicchiere in segno di brindisi, per ringraziarmi, e io ricambiai con un sorriso.
Fece per andarsene, ma lo fermai. «Ah,» gli dissi, si girò. «Questo è il mio numero, tieni» dissi dandogli un foglietto tutto stropicciato con scritto sopra il mio numero di telefono.
Sorrise imbarazzato. «Non so se te lo ha detto la tua amica, ma l'altro giorno ho provato a chiamarti, ma...»
«Tranquillo, so tutto e... mi dispiace. So anche che hai il mio numero, ma volevo dartelo di persona».
Mi ringraziò e poi se ne andò.



Quaaaarto capitolo!
Sono passati un po'
di giorni, ma finalmente
ho postato il capitolo.
SPERO VI PIACCIA,
UNA RECENSIONE NON
MORDE.

Byeeeeeeeeeeeeee!

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Capitolo 5
*** Chapter five. ***


R o n n i e .
«Sono incinta» dissi a Dylan, con le lacrime agli occhi.
«Cosa?!» chiese incredulo. «E' impossibile, ti stai sbagliando».
Avrei voluto tanto sbagliarmi, ma tanto era così, non potevo farci nulla. Lui non ci credeva, ma era solo colpa sua. Mi aveva fatto ubriacare e poi... non voglio neanche ricordarlo, è troppo brutto.
«Se non ci credi, ti faccio vedere il test» gli dissi, con le mani tremanti.
Tirai fuori il foglio dell'ospedale, con scritto bello grande incinta.
«Fai vedere!» disse strappandomi di mano il foglio.
Lo guardò per almeno dieci minuti, con gli occhi puntati sul quel maledetto foglio bianco. Poi riprese a parlare. «E tu ci credi anche?» mi disse come se nulla fosse.
«Tu non capisci allora!» dissi alzando il tono di voce. «Questo non è un gioco, io sono davvero incinta! Devi credermi, e tu sei il padre!».
«No, io non lo so, perché non me ne frega un cazzo di questo figlio, capito?!».
Sapevo che sarebbe andata così, sapevo che si sarebbe arrabbiato. Ma non voleva accettare la realtà. Lui era il padre e non mi doveva abbandonare.
«Non è possibile» disse mettendosi le mani sulla testa. «E' impossibile, te lo dico io. Ho bisogno di stare solo, scusami» disse uscendo di casa.
Aspettai una sua chiamata per giorni, anzi settimane. Poi alla fine lo chiamai io, ma non rispose. Qualcuno, non mi ricordi chi, mi disse che era partito, per Parigi e che non sarebbe più tornato.
Grazie Dylan, grazie davvero.


Mi svegliai con il fiatone: era solo un sogno. No, non lo era, perché quelle cose erano davvero successe, tre anni fa. Ma adesso non ci volevo pensare.
Uscii dal letto e mi buttai sotto la doccia.
Non pensavo, avevo la mente vuota, libera. Lo sognavo ormai quasi ogni notte. Ma non mi mancava, no non mi mancava. Stavo meglio senza di lui. Se ne era fregato, giusto? Allora non dovevo starci male. Dovevo dimenticarlo, e l'avevo fatto, c'ero riuscita.
Uscii dalla doccia, e mi avvoltolai un asciugamano intorno al corpo. Uscii dal bagno e andai in camera, guardai la sveglia: 7:30.
Mi asciugai velocemente e mi vestii. Andai in camera di Lizzie e la svegliai dolcemente.
Da tre anni era l'unica ragione per cui non mi ero abbattuta: era mia figlia e dovevo accettarlo. Poi con il tempo ci fai l'abitudine, e sono fiera di essere una madre, sua madre. E' la bambina più dolce, più bella, più divertente del mondo. Non tornerei indietro, mai.
«Briciola» la chiamavo così.
Si girò verso il muro, così le tolsi la coperta.
«Mamma!» esclamò.
«Allora sei sveglia» iniziai a farle il solletico, mentre lei rideva. «Forza muoviti! Dobbiamo andare».
L'aiutai ad alzarsi e misi i suoi vestiti sul letto, poi l'aiutai.
«Andiamo!» dissi, scendendo le scale, dietro di lei.
Arrivammo in cucina e apparecchiai: latte, biscotti, e per me un po' di caffè.
Finimmo di mangiare e uscimmo di casa. Portai Lizzie all'asilo e io andai a scuola.
Era la stessa storia da ormai tre anni. Ci svegliavamo, facevamo colazione e poi la portavo a scuola, dove andavo anch'io. La nascita di una figlia non mi aveva impedito di studiare. Ho intenzione di studiare fino alla fine e di andarmene da qui, dove nessuno mi vuole, a parte Sam, la mia migliore amica. Con mia madre non ci parlo più, o almeno ci scambio qualche parola. Invece con mio padre i rapporti sono buoni, ogni tanto fa da baby-sitter per Lizzie.
Lizzie stava all'asilo fino alle sei del pomeriggio, mentre io uscivo da scuola all'una: mangiavo, facevo i compiti e poi andavo a lavoro.



Sì, lo ammetto: non
sono brava a scrivere
capitoli lunghi, ma conta
la qualità (?) ahahahahah!
Spero vi piaccia, e
COMMENTATE, MI
FAREBBE PIACERE.

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Capitolo 6
*** Chapter six. ***


R o n n i e .
«Ci pensi tu, là!?» mi disse mio fratello, Justin.
Annuii sorridendo.
Vidi entrare Joe nel locale, e lo salutai con la mano.
Così mi avvicinai a lui. «Ciao» gli sorrisi.
«Hey» sorrise anche lui.
«Sempre qui, tu eh!».
«Veramente non sono venuto qui né per mangiare né per bere».
Mi sedetti, e anche lui fece lo stesso. «E allora perché?».
«Vedi questo?» disse mostrandomi il bigliettino che gli avevo dato con il mio numero sopra.
«Si...».
«Non credo mi serva più» se lo passava tra le dita.
«E perché?».
«Perché chiedere di uscire ad una ragazza si può fare anche a voce».
Per essere sincera non mi fece né caldo né freddo, insomma mi stava chiedendo di uscire, okay, ma non lo conoscevo ancora, quindi non mi potevo dare dell'innamorata, perché non lo ero. E poi mi ero giurata che non mi sarei più innamorata, l'amore vero, quello che non finisce mai non esiste, lo sanno tutti.
«Mi stai chiedendo di uscire?» chiesi, sorridendo.
«Che ti sembra?» sorrise anche lui.
«Accetto volentieri».
«Facciamo sabato?».
«Per me va bene».
«Dove abiti?».
«Qui sopra» indicai il piano di sopra con il dito. «Vedi quelle?» indicai le scale.
Annuì sorridendo.
«Quelle scale portano a casa mia» continuai.
«Comodo».
«Direi che non mi posso lamentare».
Si alzò in piedi. «Allora vengo alle otto sabato sera, okay?».
«Perfetto, allora a sabato».
Lo salutai mentre lui se ne andava.
Un momento! Sabato è praticamente domani l'altro.
Dovevo assolutamente trovare un vestito adatto.
Mi serviva Sam, assolutamente.

 

«Questo?» mi chiese Sam, mostrandomi un vestito forse un po' troppo scollato.
«Se indosso quello mi prendo una broncopolmonite».
Scoppiammo a ridere.
Eravamo in uno dei tanti negozi di L.A. e Sam era venuta con me per darmi un consiglio su cosa indossare sabato.
Girai un po' per il negozio e raccolsi qua e là qualche visto che poteva andare bene. Me li provai, e li feci vedere a Sam.
«A me piace quello blu con la cintura e le scarpe marroncine» disse Sam.
«Dici?» chiesi.
Annui sorridendo.
«Allora prendo questo!».
Mi rivestii e andai alla cassa, per pagare il vestito.


«Dove starà Lizzie?» pensai ad alta voce.
Stirai ancora una volta il vestito con le mani: mi trovavo davanti allo specchio di camera mia. Poi mi girai verso Sam, che era seduta sul letto.
«Non saprei» sorrisi.
«Justin?».
Alzai le spalle. «Meglio di no, ha badato a lei tante volte».
Alzai gli occhi verso di lei, sbattendoli come due ali di farfalla.
«Io?» domandò Sam.
Incrociai le mani e mi inginocchiai. «Ti prego, ti prego, ti prego...».
«Per me va bene».
«Davvero?» sorrisi.
Sorrise anche lei, come risposta.
Nel frattempo entrò Lizzie, correndo come una pazza.
«Tesoro!» esclamai.
«Mamma sabato posso andare da Megan?!».
Io e Sam ci guardammo. «No...» disse Sam. «Sabato io e te staremo insieme, perché mamma esce» la prese in braccio.
«Davvero?» Lizzie girò la testa verso di me.
Mi sedetti accanto a lei. «Si, ma torno presto, tranquilla».
Piegò la testa, sorridendo. «Va bene».
Le scompigliai il suo bellissimo caschetto biondo, mentre lei sorrideva.



DOPO TAAAANTO TEMPO.
Non è venuto male, anche
se i primi capitoli, lo ammetto,
non sono molto belli, perché
li ho scritti molto tempo fa,
ma spero che continuate a
leggerla.
GRAZIE, E RECENSITE.

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Capitolo 7
*** Chapter seven. ***


R o n n i e .
Mi guardai un' ultima volta allo specchio, mi sfiorai le labbra per togliere la sbavatura del lucidalabbra e presi la borsa che avevo appoggiato sul divano. Controllai di avere le chiavi, dato che Lizzie sarebbe state a casa di Sam.
Sentii suonare il campanello: era, sicuramente, lui. Aprii la porta e lo trovai con la testa bassa concentrato sul telefono che teneva in mano.
Poi alzò la testa e sorrise leggermente nel vedermi. «Ciao» mi salutò.
«Hey, disturbo?» dissi indicando il cellulare.
«Cosa? No, no, tranquilla. Andiamo?».
Chiusi la porta e scesi gli scalini, per poi iniziare a camminare verso il ristorante.

«Dove andiamo?» chiesi, aggiustandomi ancora una volta il trucco con il dito.
«A mangiare».
Risi a quelle parole. «Si, grazie. Ma dove?».
«Non è molto lontano, si chiama...» Scoppiò a ridere. «!No, aspetta! Non me lo ricordo!».
Scoppiai a ridere. «Però sai dov'è?».
«Certo che domande!» mise le mani in tasca.
Camminammo ancora per un po' ancora per un po'. «La smetti» disse guardandomi.
«Di fare cosa?» domandai.
«Smettila di aggiustarti il trucco, sei bella anche senza».
Mi fermai di colpo, impuntando i piedi per terra, lo guardai e sorrisi, abbassando lo sguardo.
Così mi fermai. «Forse hai ragione».
Continuammo a camminare ancora per un po'.
«Menomale che era vicino» sorrisi.
«Eccoci, siamo arrivati».
Aprì la porta come un gentleman. «Signorina».
Entrai dentro, e lui dietro di me.
Mangiammo benissimo. Io ordinai una pizza italiana, mentre lui prese delle lasagne.
«Credo...» disse buttando giù un boccone. «sia un ristorante italiano».
«Tu dici?» risi.
«Che ne dici?».
«Adoro il cibo internazionale, soprattutto quello italiano».
Continuammo a mangiare.
«Perché il tuo cognome è Rodriguez?» mi domandò.
«Come fai a sapere il mio cognome?» mi fermai un attimo.
«Mistero».
«Sono nata in Argentina».
«Davvero?!».
Annuii sorridendo.
«Adoro il Sud-America. Ci sono stato mille volte».
«Sul serio?!».
«Strano che non ci siamo mai incontrati».
Poi alzò la mano per chiamare il cameriere.
«Già. Ma sai, Buenos Aires è enorme» feci cadere il discorso.
Sorrise e chiese il conto al cameriere. Dopo aver pagato ci alzammo e uscimmo dal locale.
«Vuoi qualcosa da bere?» mi chiese ad un tratto.
Eravamo sulla spiaggia che era stata abbellita con delle bancherelle. C'era un falò, e più verso l'interno c'erano dei locali dove facevano musica, e dove si beveva.
«Certo, dove andiamo?» chiesi, guardandomi intorno.
Joe con il dito indice indicò verso sinistra. «Quello là va bene?».
Sorrisi annuendo.
Entrammo nel locale, la musica ci assalì subito, non si capiva niente di quello che dicevamo, così ce ne andammo immediatamente.
Quando fummo fuori scoppiammo.
«Bello, bello davvero!» esclamai, ridendo.
«Non pensavo fosse così».
«Come te lo immaginavi, allora?!».
«Non lo so, ma non così».
Guardai l'orologio: si era fatto tardi, dovevo passare a prendere Lizzie, da Sam. Ma come potevo dirlo a Joe?
Mi inventai una scusa, e mi feci portare a casa di Sam.
Slacciai la cintura, e aprii lo sportello.
«Ma tu non abitavi sopra al locale?» mi chiese, prima che scendessi.
Cavolo, e adesso?
«Sam, la mia migliore amica, mi ha invitato a dormire da lei, e lei abita qui, per cui...».
«Ah, okay. Era solo per sapere».
«Non ti preoccupare» sorrisi.
Lo salutai e scesi di macchina. Aspettai che se ne andasse, poi suonai il citofono. Sam mi aprì il portone. Salii al piano di sopra, ringraziai Sam che volle sapere tutto della serata, ma le dissi che era troppo tardi, dovevo portare Lizzie a casa.
«Grazie» dissi velocemente.
Lizzie dormiva, così la presi dolcemente e me la misi intorno al collo. Ma in meno di dieci minuti si svegliò. Così scese e andammo a casa.

 

OOOOOOKAY, prometto che
i prossimi capitoli saranno
moooolto meglio, datemi solo tempo.
FATEMI SAPERE COSA NE PENSATE.

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Capitolo 8
*** Chapter eight. ***


R o n n i e .
Dopo una settimana.
Sam ed io andammo a portare Lizzie a scuola, anche se era sabato. Noi non avevamo scuola, così decidemmo di andare da mcdonald's per l'ora di pranzo.
Entrammo e ci mettemmo in fila. Mi arrivò un messaggio: Joe.
«Chi è?» disse Sam riferendosi al cellulare.
Ero concentrata sul cellulare. «Cosa?!».
«Mi ascolti o no?» chiese guardandomi fissa negli occhi.
«Stavo mandando un messaggio».
Si sedette ad un tavolino, uno dei pochi liberi. «Joe?».
Mi sedetti davanti a lei. «Pfff...».
«Joe» disse alzando le sopracciglia.
«Okay, era Joe».
«Lo sapevo».
Mangiammo un pezzo di pizza, un mega panino con dentro insalata, carne e pomodori e una coca-cola.
Uscimmo da mcdonald's. Io andai a prendere Lizzie all'asilo, mentre Sam andò a casa.


Vidi Lizzie corrermi addosso, uscendo dalla sua classe.
«Andiamo a fare merenda?» chiesi, dopo essermi staccata dal grosso abbraccio che mi avevo dato.
Lizzie piegò la testa. «Si, ma da Justin».
Quando diceva così intendeva il locale dove lavoravo, con Justin.
«Okay, mettiti questo» dissi porgendole la sua felpa.
Entrai nel locale. Lizzie corse subito da Justin, che stava servendo ad un tavolino. Io invece andai dietro al bancone a preparare la merenda: pane e cioccolata.
«Si può?» disse la sua voce, bussando sul bancone.
Mi girai, sorridendo. Avevo già capito chi era. «Certo. Anche oggi vuoi un bicchiere d'acqua?».
«No, oggi no» rise.
Risi anche io. «Allora perché sei qui?».
«Volevo sapere se hai impegni domani».
Eravamo appena usciti, ma non rinunciai. «Domani, dici?».
Arrivò Lizzie, correndo. «Mamma!».
«Ehm... cosa c'è Lizzie?» dissi senza togliere lo sguardo da Joe.
Joe si sforzò di sorridere a Lizzie, che, preso un bicchiere d'acqua, se ne andò.
Joe rimase con lo sguardo su di lei, che si allontanava. «Tua figlia?» domandò un po' sconcertato.
«Si... ascolta forse dovevo dirtelo prima..».
«No, non...» ingoiò. «non c'è nessun problema».
Gli squillo il cellulare, quindi rispose.
«Forse è meglio che vada» disse, rimettendo il telefono in tasca.
Si alzò dalla sedia dove era seduto, ma lo fermai. «Joe ascolta mi dispiace non avertelo detto...».
«Fa lo stesso, tranquilla...» ci fu un po' di silenzio, poi riprese a parlare. «ciao».
«Okay...».
Mi sedetti al suo posto, mentre lo vedevo andare via.



BUONASERA.
Okay, la storia si sta facendo
interessante, credo. Continuate
a leggere, okay? Okay.
ANCORA UN PO' E I CAPITOLI
SARANNO ANCORA PIU'
INTERESSANTI.
bye, bye.

 

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Capitolo 9
*** Chapter nine. ***


R o n n i e .
Chiusi la porta di casa, mi appoggiai ad essa , e scivolai fino a terra.
«Lizzie dorme» disse Dafne, la moglie di mio fratello, scendendo le scale.
Accennai un sorrisetto. «Grazie».
Mi alzai per buttarmi sul divano. Dafne fece lo stesso.
«C'è qualcosa che non va?» chiese sedendosi meglio.
Guardavo il vuoto. «No, tranquilla».
«Quindi posso andare?» fece per alzarsi.
La fermai prendendola per un braccio. «Aspetta... aspetta».
Si risedette accanto a me. «Che succede Ron?».
«E' una storia un po' lunga».
«Ho tutto il tempo».
«Si, così poi mio fratello mi ammazza se non torni a casa».
Si girò verso di me, appoggiandosi con la spalla sinistra allo schienale del divano. «Dai...».
«Ho conosciuto un ragazzo qualche settimana fa...».
«E questo è il problema?» disse agitando le braccia nel vuoto.
«No, certo che no. L'ho conosciuto e ci sono uscita, e devo dire che mi piace molto, anzi..».
«Ma?» si avvicinò ancora di più.
«Ma solo oggi ha scoperto di Lizzie» buttai la testa all'indietro. «Sempre la stessa storia».
«Andiamo!» disse accarezzandomi i capelli. «Forse non è quello giusto».
«Dafne se vado avanti così nessuno sarà mai quello giusto!».
«Ascolta, adesso devo proprio andare, se no Justin chi lo sente. Però ci sentiamo domani».
Ci alzammo entrambe, l'accompagnai alla porta e la salutai sorridendo. «Buonanotte».

«Forza dormigliona!» qualcuno urlò nel mio orecchio, ma ero troppo assonnata per capire chi era.
Avevo la testa sotto il cuscino, e la coperta fino alle orecchie. Solo quando questo mi tolse la coperta, oltre ad avere un brivido, riuscii a capire chi era che mi stavadando fastidio.
«Justin che ci fai qui?» chiesi, stirandomi. Poi guardai la sveglia. «Ma sono le otto e un quarto... e dieci, undici, dodici secondi! Sei impazzito, per caso?!».
«No, non sono impazzito, anzi sono molto felice oggi».
Oggi, proprio oggi. Oggi dovevo sarei dovuta uscire con Joe, me lo aveva chiesto ieri. Ma dopo la faccenda di Lizzie se ne era andato e chiaramente non saremmo
usciti.

Sentivo una forte presa al braccio: era Justin che mi stava tirando, per farmi uscire dal letto.
«Mi lasci stare!» gli urlai contro.
«Mamma, mamma!» Lizzie entrò correndo in camera.
Ecco, adesso eravamo tutti!
«Mi lasciate in pace!» alzai la voce.
Sentii mio fratello bisbigliare qualcosa. «La mamma oggi è nervosa, Lizzie».
Avevo sentito benissimo. «Non sono nervosa, ma lasciatemi in pace».
Così Justin prese mia figlia in braccio e andarono a fare colazione al piano di sotto.
Io, invece, mi alzai e mi vestii velocemente.
Sentii aprire la porta. «Si può?» domandò.
«Dafne vieni, entra» risposi.
«No, volevo solo dirti che è pronta la colazione».
Entro definitivamente in camera, e si sedette sul letto insieme a me.
«Perché siete venuti stamattina?» chiesi, mentre mi legavo i capelli in una coda alta.
«Perché ne avevamo voglia. Tu, come stai?» chiese indicandomi con il mento.
«Non ci voglio più pensare, davvero. Se non mi vuole più vedere sono cavoli suoi».
«Ronnie, ma non ti ha detto che non ti vuole più vedere, lo vuoi capire?».
«Non mi interessa. Oggi dovevamo uscire insieme. Ha chiamato per confermare? Ha mandato un messaggio? No! Quindi vuol dire che non mi vuole più
vedere
».
Dafne si alzò andando ad aprire la porta. «Pensala come vuoi, noi facciamo colazione, vieni?».
Accennai un sorrisetto sforzato e chiusi la porta. Finii di prepararmi, ma prima di uscire sentii il telefono vibrare. Lo presi, era sul comodino.
Non sai quanto mi dispiace per ieri, posso vederti?
Manca poco mi prendeva un colpo al cuore. Il messaggio era di Joe, e mi stava chiedendo di incontrarci.
Scesi alla velocità della luce le scale e mi catapultai davanti a Dafne che era in cucina, e per sbaglio le pestai anche un piede. «Scusami» dissi spostandomi i capelli.
«
Devo parlarti».
Lei sorrise, annuendo.
Mi guardai intorno per essere sicura che Justin e Lizzie fossero di là. Poi presi il cellulare e le feci leggere il messaggio.
«Porca paletta!» esclamò, dopo aver finito di leggere.
«Lo so» dissi sorridendo.
«Posso?».
«Che cosa?».
«Dirti che te lo avevo detto?».
«Si, puoi» abbassai lo sguardo.
«Te lo avevo detto. Insomma non si può essere così cattivi da lasciare una ragazza come te sola...».
«Beh, gli altri ragazzi lo hanno fatto».
I toast saltarono fuori dal tostapane e Dafne li prese al volo. «Forse lui non è come gli altri».
«Secondo te ci devo andare?» le passai i bicchieri.
«Secondo me sì, quindi rispondi al suo messaggio e vatti a preparare».
«Grazie» l'abbracciai forte, poi presi un toast e ne mangiai un pezzo per poi lasciarlo lì. Salutai velocemente Justin e Lizzie e me ne andai in camera mia, a chiamare Joe.



Eccomi qua con il nono capitolo.
Ve lo avevo detto che sarebbero stati
più intensi, almeno credo (??).
Adesso tocca a voi, FATEMI SAPERE.

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