All your faithless loyalties

di TheComet13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Love at first sight ***
Capitolo 2: *** Half way to anywhere ***
Capitolo 3: *** Born to die ***
Capitolo 4: *** All just a dream in the end ***



Capitolo 1
*** Love at first sight ***


NOTA DELL'AUTRICE: Questa storia prende spunto da diversi telefilm (Nikita e Warehouse 13 in primis), ma è a tutti gli effetti una storia originale. Mi sono semplicemente limitata a cogliere alcuni elementi presenti nei telefilm sopra citati, modificarli e fonderli insieme per creare una storia nuova (per esempio, l'organizzazione di cui si parla in questa storia può assomigliare alla "Division" di Nikita per quanto riguarda il concetto di base, ma ha ovviamente caratteristiche differenti; e le due protagoniste possono fisicamente ricordare Myka e Helena di Warehouse 13, ma non sono loro. Semplicemente ho un debole per le due attrici che interpretano quei personaggi, Joanne Kelly e Jaime Murray, e mi piace creare storie basandomi su di loro).
Ho scelto "romantico" come categoria principale perchè questa è soprattutto una storia d'amore, ma è anche una storia d'azione e a tratti drammatica. Se non vi piacciono le storie d'azione non leggete. Stessa cosa vale se non vi piacciono storie d'amore e sesso tra due donne.
Con questa storia ho partecipato al concorso "Love (Never) Fail", dove mi sono classificata terza.
E' una storia divisa in quattro parti e farò il possibile per postare gli aggiornamenti ogni due o tre giorni.
Un'ultima cosa: per quanto l'italiano sia la mia lingua nativa, non è la lingua che parlo e scrivo tutti i giorni (nè è la lingua in cui il mio Word corregge gli errori, quindi se trovate cose strane, date la colpa all'autocorrect). Per questo motivo, alcune espressioni potrebbero suonarvi un pò strane, ma altro non sono che la traduzione più o meno letterale di altre espressioni inglesi.
Detto questo, buona lettura e non dimenticatevi di lasciarmi una recensione, fosse anche solo un "mi piace" o "mi fa schifo", così posso farmi un'idea di come viene recepita questa storia.



Parte 1 – Love at first sight
 
Was tired of running out of luck
Thinking ‘bout giving up
Didn’t know what to do
Then there was you
And everything went from wrong to right
And the stars came out to fill up the sky
It was love at first sight
Cause baby when I heard you
For the first time I knew
We were meant to be as one
 
Maya non aveva mai creduto nell’amore a prima vista. Le era sempre sembrata una nozione assurda…l’amore richiede tempo, due persone devono conoscersi, viversi, per innamorarsi. Concepiva l’attrazione al primo sguardo, quello si. A chi non era mai capitato in fondo di sentirsi irrimediabilmente attratto da una persona sconosciuta? Ma amore no. Si ricordava ancora le interminabili discussioni con le sue compagne ai tempi della scuola. Qualcuna aveva persino affermato che l’amore era solo una questione di chimica, di particelle impazzite, di ormoni, o qualcosa di simile…in realtà Maya non aveva neanche prestato molta attenzione a quei vaneggiamenti perchè li considerava completamente assurdi. No, per lei l’amore era qualcosa da costruire nel tempo. Non che fosse mai stata veramente inamorata. Qualche cotta, e una volta c’era stato anche qualcosa di più, ma mai vero e proprio amore. Mai quel sentimento che sconvolgeva completamente i sensi, che annebbiava la mente, che faceva perdere totalmente la ragione. Ed essendo Maya una persona molto pratica e con i piedi per terra, una di quelle donne che si affidavano totalmente alla ragione, le era sempre andato bene così. Inoltre, in una vita come la sua non c’era spazio per l’amore. Non più. A volte rimpiangeva di non aver sperimentato quel sentimento quando ne aveva avuta la possibilità. Era convinta che non sarebbe mai più potuto succedere.

Era del tutto naturale, quindi, che ora si sentisse turbata e sconvolta.

A dirla tutta, tecnicamente quello non si poteva considerare amore al primo sguardo. Maya aveva osservato la persona che era finita a rubarle il cuore per un totale di diciassette giorni. Certo, c’era stata attrazione a prima vista (sempre che il guardare una fotografia presa dal video di una telecamera di sorveglianza si potesse classificare come “prima vista”). C’era stata curiosità e uno smuoversi di qualcosa nel suo stomaco che non aveva saputo definire. Erano stati gli occhi, aveva concluso Maya, gli occhi di quella donna, puntati dritti alla telecamera, come se avesse saputo di essere stata osservata. Qualcosa in quegli occhi aveva provocato una specie di terremoto nelle interiora di Maya. Ma non aveva avuto tempo di analizzare quella sensazione, perchè dopo aver ricevuto la foto era stata subito spedita in una cittadina sperduta del Sud Dakota, insieme a un ordine ben preciso: “fà che sembri un incidente!”

Era la prima volta che le veniva dato un ordine del genere. Solitamente, LORO (Maya non sapeva come chiamarli, nessuno le aveva mai spiegato chi ci fosse nei piani alti dell’organizzazione e lei non aveva mai chiesto perchè sin da quando era arrivata aveva capito che le domande non erano ben apprezzate) non si erano mai preoccupati troppo di coprire le tracce. Non che gliene importasse molto delle motivazioni dietro a quella richiesta. Gli ordini erano ordini e andavano eseguiti. Fine della storia. L’unico problema nell’esecuzione, era che Maya non avrebbe potuto usare il 90% delle armi che era solita usare. Un proiettile in fronte difficilmente sarebbe potuto passare per incidente, e lo stesso valeva per coltelli e affini. “Potrei sempre fingere una rapina andata a male” aveva pensato Maya, ma dopo aver dato uno sguardo all’appartamento del suo bersaglio, si era resa conto che anche quell’opzione era da scartare. Nell’appartamento, o meglio, nella stanza della donna, non c’era praticamente niente. Un tavolo con due sedie, un materasso a una piazza e mezzo appoggiato direttamente sul pavimento, una lampada, un armadio con dentro qualche capo d’abbigliamento visibilmente non costoso, un paio di libri, un piccolo frigorifero e un computer portatile collegato a un modem, computer che la donna portava sempre con lei. Nient’altro. Nessuno avrebbe mai pensato di andare a rubare in quella stanza…sarebbe stato come sparare sulla Croce Rossa.

Maya era completamente a corto di idee. Mai, nei tre anni che aveva lavorato per l’organizzazione, le era capitato di dover inventarsi un piano per uccidere qualcuno. Solitamente attirava la vittima in qualche posto secluso, un colpo di pistola con silenziatore e tanti saluti, missione compiuta. Ma non quella volta. Quindi si mise ad osservare la donna 24 ore su 24. L’organizzazione le aveva messo a disposizione un appartamentino dal quale aveva una visuale perfetta della stanza della donna, e un binocolo modificato in chissà quale modo per permetterle di cogliere ogni minimo dettaglio. Con quello riusciva a vedere perfettamente l’espressione della donna mentre dormiva; un’espressione turbata, inquieta, come se non fosse in grado di rilassarsi neanche nel sonno. Maya la capiva perfettamente. Anche lei dormiva spesso sonni agitate. Erano passati anni dall’ultima volta che aveva dormito serena. E spesso, quando era in missione, non si disturbava neanche a chiudere gli occhi. Viveva di caffè e osservava il suo bersaglio in ogni spostamento. Non aveva tempo di dormire. Avrebbe potuto riposarsi durante il volo di ritorno, e poi, sperava, avrebbe avuto un paio di giorni per recuperare le ore di sonno perdute prima di essere mandata di nuovo in missione.

Era sempre grazie al binocolo che era riuscita a scoprire il nome della donna. Solitamente, quando assegnavano le missioni, non davano mai il nome del bersaglio. Solo una fotografia e una posizione geografica, insieme ai mezzi per raggiungere il luogo. Biglietti aerei, chiavi della macchina, qualche soldo. Maya aveva sempre pensato che fosse un modo per tenerli distaccati dall’obiettivo della missione. Un bersaglio senza nome, senza una storia, non poteva suscitare alcun tipo di sentimento. Ma mentre osservava la donna china sul computer (era la sua unica attività quando era in casa, stare al computer e dormire), Maya aveva colto stralci di un’e-mail da cui aveva rilevato che il nome della donna era Kathryn.

Tutto di quella missione era diverso dal solito. L’ordine di farlo sembrare un’incidente, l’aver potuto dare un nome a quell volto, e la sempre più insistente sensazione che stava facendosi spazio nel corpo e nella mente di Maya, che quella donna, che Kathryn non meritasse quello che stave per succederle.

In tre anni, Maya non aveva mai provato dispiacere per le sue vittime. Non le considerava neanche vittime. Erano bersagli. Erano tutte persone che avevano fatto qualcosa di terribile, che costituivano un pericolo, e che andavano eliminate. Questo era quello che LORO le avevano insegnato, e Maya non aveva mai questionato. Non che le fosse data una scelta, in realtà. Ma in ogni caso, non aveva mai provato rimorso per le sue azioni. Arrivava sul luogo stabilito, localizzava il bersaglio, portava a termine il lavoro, tornava alla base (non a casa, perchè Maya non aveva una casa. Non più, e sicuramente la base non era casa sua). Nessuna domanda, nessuna deviazione, nessun intoppo, nessun sentimento.

Ma quella volta, sin da quando aveva visto la fotografia di Kathryn, Maya non era riuscita a scrollarsi di dosso l’idea che forse quel bersaglio non era da eliminare. E più la osservava, più quell’idea si radicava in Maya, insieme a quello strano sentimento a cui non era riuscita ancora a dare un nome.

Tornando sul discorso dell’attrazione a prima vista…Kathryn era bellissima. Doveva avere circa trentacinque anni, capelli e occhi scuri, pelle diafana, fisico snello e asciutto. Vestiva sempre con jeans più o meno logori, infilati in un paio di stivali neri da militare, e camicie sbottonate un pò più del dovuto. Al collo portava una catenina con un anello d’argento, che era sicuramente l’unico ornamento che possedeva. Non la toglieva neanche per dormire. Dormiva con solamente una canottiera e le mutande, e spesso durante la notte scacciava via il lenzuolo, lasciando le gambe completamente esposte. Maya si sentiva una pervertita a osservare il corpo quasi completamente scoperto di Kathryn, ancora di più considerando il fatto che aveva iniziato ad avere pensieri non propriamente casti nei confronti di quel corpo.

Col passare dei giorni, Maya iniziò a realizzare che non era solo attrazione quella che stava sperimentando. C’era qualcosa di più profondo, di più spirituale…era come una forza invisibile che la spingeva in direzione di Kathryn e Maya non poteva combatterla. Aveva iniziato ad avvicinarsi sempre di più durante i suoi pedinamenti, dimenticandosi completamente di ogni regola del pedinamento, oltre che quelle del buon senso. La prima volta che aveva sentito Kathryn parlare, era stato come se centinaia di farfalle avessero spiccato il volo nel suo stomaco. La voce di Kathryn era bassa, con uno spiccato accento inglese che dava musicalità a ogni frase, era una voce dolce e rassicurante. Maya era sempre più convinta che quella donna non poteva assolutamente essere come gli altri mostri che aveva eliminato in passato. Non era assolutamente possibile che Kathryn fosse un pericolo per il mondo.

Una volta giunta a quella conclusione, Maya si era ritrovata a buttare ogni precauzione al vento. E fu così che, in quel soleggiato pomeriggio estivo, si era ritrovata seduta in uno dei tavolini all’aperto dell’unico bar della cittadina, a sorseggiare caffè tenendo d’occhio Kathryn, che stava seduta poco distante da lei, come sempre immersa nel suo computer.

Maya non sapeva quantificare il tempo che era rimasta seduta a quell tavolo fissando la donna, che sembrava non percepire il peso di quello sguardo su di lei. Meglio così, pensò Maya. Stava rischiando tutto a stare così vicina a Kathryn ed era meglio che la donna fosse completamente ignara della sua presenza.

“Hai intenzione di rimanere a fissarmi ancora per molto o prima o poi ti deciderai a sederti qui con me e offrirmi un caffè?”

Il cuore di Maya fece un sussulto. Era indubbiamente la voce di Kathryn che aveva parlato. Maya si guardò intorno per cercare altre persone, sperando che la frase di Kathryn fosse stata diretta a qualcun altro. Ma gli occhi scuri di Kathryn erano su di lei. Non sembravano scocciati, ma divertiti. La donna sfoggiava un sorriso che Maya non aveva mai visto prima e che, manco a dirlo, scatenava dentro di lei una tempesta di emozioni.

Senza dire una parola, Maya si alzò dal suo tavolo e si andò a sedere di fronte a Kathryn, facendo cenno alla cameriera di portare altro caffè.

“Kathryn” si presentò, tendendo la mano.

Maya le strinse la mano e rispose con il suo nome. “Mi dispiace, non volevo infastidirti…non pensavo neanche che ti fossi accorta che ti stavo guardando.”

“Nessun fastidio” sorrise Kathryn. “Ti ho invitata al mio tavolo perchè dopo due ore che mi stavi fissando, ormai stavo iniziando a perdere le speranze che facessi la prima mossa.”

Maya sorrise, lievemente imbarazzata, e abbassò il volto per nascondere il rossore che si era formato. Era un’assassina addestrata che lavorava per un’associazione segreta, non aveva problemi a sparare in fronte a una persona a sangue freddo, ma per quanto riguardava le interazioni umane faceva veramente schifo.

“Non c’è bisogno di vergognarsi.” disse Kathryn dolcemente. “Le tue attenzioni mi hanno lusingata. Temo però di aver aspettato troppo a lungo per fare la prima mossa, ho un paio di faccende di cui devo occuparmi prima che faccia buio. Posso ardire di invitarti a cena questa sera?”

Parlava con termini quasi antiquati, e questo non faceva che aumentare il suo fascino agli occhi di Maya, che le diede l’unica risposta che le sembrava possibile in quel momento. “Si.”

Si accordarono per incontrarsi alle sette davanti a quel bar, poi Kathryn chiuse il portatile e se ne andò. Maya sapeva che avrebbe dovuto continuare a pedinarla, ma si era resa conto che nel suo (povero) guardaroba non c’era niente di adatto a una cena (“o un appuntamento?” si chiese), così decise di lasciare perdere Kathryn per un paio d’ore ed entrò in un negozio di abbigliamento, in cerca di un vestito.

Si fece una doccia e si truccò leggermente (quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva indossato del trucco?), si vestì e aspettò che Kathryn lasciasse la stanza prima di uscire a sua volta e dirigersi verso il luogo d’incontro.

Mentre camminava diretta al bar, il suo telefonò suonò per segnalare l’arrivo di un messaggio. Un messaggio che aveva temuto sarebbe potuto arrivare, ma che ingenuamente aveva sperato di non ricevere.

“Portare a termine la missione stanotte e fare rapporto entro mattina”

Maya sentì lo stomaco contorcersi. Come avrebbe fatto a portare a termine la missione? Non poteva, non ora, non dopo aver visto il sorriso dolce che Kathryn le aveva rivolto. Ne era certa, Kathryn non meritava tutto quello. Non aveva mai visto nessuno dei suoi bersagli sorridere così dolcemente. Maya non si era mai affidata alle sue sensazioni per prendere decisioni, ma quella volta…quella volta era sicura che il suo istinto non stava sbagliando. Aveva avuto dubbi sin dall’inizio e giorno dopo giorno, osservando Kathryn nella sua solitudine, quei dubbi si erano consolidati. Non poteva portare a termine la missione, ma non poteva neanche rifiutarsi. Prima di tutto, se non avesse compiuto il suo dovere, molto probabilmente LORO l’avrebbero cancellata, e poi avrebbero mandato qualcun altro a finire il lavoro, qualcuno che non si sarebbe fatto scrupoli, che non avrebbe visto niente in quegli occhi scuri che avevano così tanto stregato Maya. I giorni di Kathryn erano contati in ogni caso. Cosa doveva fare? Non importava da quante prospettive diverse guardava la situazione, l’esito era sempre e comunque negativo.

Senza rendersene conto, era arrivata al luogo dell’appuntamento, dove Kathryn la stave aspettando. Uno sguardo alla donna di fronte a lei, e Maya sentì il respire venirle a meno. Kathryn indossava un vestito nero molto semplice, che le arrivava a metà coscia, con una profonda scollatura in cui spariva l’anello attaccato alla catenina, e un collarino nero che si legava al vestito sul retro. Ai piedi portava dei sandal neri ornati da brillantini, col tacco alto a spillo. I lunghi capelli neri erano raccolti sulla nuca, con solo i ciuffi davanti lasciati sciolti a ricaderle sul viso. Maya pensò che non aveva mai visto niente di più bello in vita sua.

“Il gatto ti ha mangiato la lingua, mia cara?” chiese Kathryn con tono giocoso.

Maya arrossì. “Scusami è che…sei splendida, Kathryn, davvero.”

“Ti ringrazio.” rispose la donna. “Devo ammettere che anche tu ti sei ripulita bene.”

Maya sorrise riconoscente. Il vestito verde che aveva comprato si abbinava al colore dei suoi occhi. Non aveva mai portato tacchi alti in vita sua, non ne aveva mai avuto bisogno considerate la lunghezza esorbitante delle sue gambe, quindi aveva optato per un paio di sandali argentati con un leggero tacchettino. I riccioli castano chiaro erano tenuti indietro con un fermaglio anch’esso d’argento, fissato sulla tempia sinistra, e per il resto li aveva lasciati sciolti sulle spalle. Era riuscita anche a ottenere un risultato accettabile con il trucco, un ombretto dello stesso colore del vestito, un pò di matita, mascara e lucidalabbra.

“Vogliamo andare?” chiese Kathryn. Maya annuì, fece scivolare la mano attorno al braccio che Kathryn le stava offrendo e si incamminarono verso il ristorante.

Era l’unico ristorante un minimo elegante. Oltre a quello, la città offriva alla sua popolazione di 482 anime una tavola calda e una taverna. Le luci all’interno del ristorante erano leggermente suffuse e ogni tavolo era ornato da una candela accesa. Il cameriere condusse le due donne al loro tavolo, situato nell’angolo più lontano dall’uscita. Portò il vino, prese le ordinazioni, e lasciò le due donne alla loro serata.

Parlarono di tutto e di niente. Riuscirono a toccare una moltitudine di argomenti, ma senza entrare troppo nel personale. Cercavano di conoscersi a vicenda ma senza rivelare troppi dettagli della loro vita. Non parlarono del lavoro che facevano, non parlarono della famiglia, non parlarono della loro provenienza. Scoprirono, invece, di avere in comune l’amore per la letteratura classica, per il mare, per le giornate di pioggia e per il buon vino. Più la serata andava avanti, più condividevano piccoli particolari della loro personalità, della loro vita, ma sempre senza sbilanciarsi. Era come se entrambe nascondessero un segreto che non volevano rivelare, ma volevano disperatamente farsi conoscere dall’altra.

In trentun’anni di vita, Maya non si era mai sentita così tanto a suo agio con un altro essere umano. Persino i rari momenti di silenzio che c’erano stati tra di loro non erano stati imabrazzanti, ma rassicuranti. “Perchè?” si chiese Maya. “Perchè ho dovuto incontrare questa donna proprio in questo modo? Perchè non ho potuto incontrarla quattro anni fa? Saremmo state così bene insieme…”

Il tempo scorreva e le parole del messaggio che aveva ricevuto risuonavano incessanti nella mente di Maya. “Portare a termine la missione stanotte e fare rapporto entro mattina.” A quelle parole si alternavano quelle pronunciate da Kathryn, con una cadenza così melodiosa che faceva venire a Maya voglia di piangere.

Finita la cena, Maya si offrì di accompagnare Kathryn a casa. Passeggiarono per le vie quasi deserte della cittadina, in silenzio, scambiandosi sguardi che valevano più di mille parole. Arrivate davanti al portone di Kathryn, nessuna delle due voleva dare la buonanotte per prima. Rimasero in silenzio, guardandosi negli occhi, finchè la mano di Kathryn accarezzò dolcemente la guancia di Maya, e le loro labbra si incontrarono in un lieve bacio.

Quando si separarono, Kathryn sorrise, continuando ad accarezzare il viso di Maya.

“Io…” balbettò Maya. “Kathryn…sono stata mandata qui per ucciderti.”

Kathryn ritirò la mano, fece un passo indietro e incrociò le braccia attorno al corpo, come se stesse cercando di proteggersi. I suoi occhi non lasciarono un secondo quelli di Maya. Dopo qualche attimo di silenzio, Kathryn sospirò. “Fallo.”

Maya non riusciva a credere alle sue orecchie. Si era aspettata che Kathryn scappasse, o la supplicasse di risparmiarla, ma non quello. “Come?”

“Fallo.” ripetè Kathryn. Si guardò intorno per assicurarsi che fossero sole, poi tirò fuori dalla borsetta una pistola, la mise in mano a Maya e se la puntò in fronte. “Premi il grilletto. Uccidimi e poi scappa con la mia borsa, così può sembrare una rapina andata male. Fallo Maya. Lo so che non hai altra scelta, non te ne faccio una colpa. Spara.”

Il dito di Maya tremò contro il grilletto, mentre le lacrime iniziavano a formarsi. Gli occhi di Kathryn la guardavano con un’espressione che Maya non sapeva decifrare. Non c’era paura…c’era rassegnazione, comprensione, perdono…e qualcos altro, qualcosa che Maya riconobbe pericolosamente vicino all’amore. Com’era possibile? Si erano appena conosciute, eppure Kathryn la guardava come se per tutta la vita non avesse fatto altro che amarla, come se le loro anime fossero da sempre intrecciate. Maya finalmente capì il significato di amore a prima vista, che per tanti anni le era sfuggito: era quello che succedeva quando due anime gemelle finalmente si trovavano. Maya aveva letto Platone, ed era sempre stata affascinata dal mito della creazione. L’idea che nel mondo ci fosse un’altra persona che la completasse, l’altra metà di se stessa, era così meravigliosamente romantica che persino una persona razionale come Maya non poteva fare a meno di sperare che fosse vera. Kathryn era quella metà. La sua altra metà. Era come se Maya fosse stata incompleta per tutta la vita e finalmente, quando le sue labbra si erano fuse con quelle di Kathryn, era diventata un intero. Non poteva uccidere Kathryn. Se l’avesse fatto, insieme avrebbe ucciso anche lei.

“Non posso.” singhiozzò Maya. “Non posso farlo Kathryn…lo so che ti conosco solo da un giorno, ma l’idea di premere il grilletto mi uccide. Non posso farti del male! Non posso…”

Kathryn prese la pistola, la ripose nella borsa e poi accolse Maya tra le sue braccia, accarezzandole i capelli nel tentative di calmare i singhiozzi. “Shh, va tutto bene Maya, troveremo una soluzione. Stai tranquilla.”

Quando finalmente le lacrime smisero di scorrere, Maya si lasciò condurre da Kathryn nel suo appartamento. Visto da vicino, era ancora più spoglio e deprimente di quanto le era sembrato prima. Maya si chiese cosa stesse passando nella mente dell’altra donna. Da quanto aveva capito osservandola, Kathryn viveva la sua vita in completa solitudine. I pochi contatti umani che aveva avuto in quei diciassette giorni si erano limitati a parole di cortesia verso la cameriera del bar, la commessa del minimarket, il ragazzo che consegnava il cibo d’asporto. Persino le e-mail che avevano ricevuto non erano altro che messaggi formali, probabilmente d’affari. Sembrava che non avesse nessuno nella sua vita, nessun legame, nessun affetto. E ora, l’unica persona con cui aveva stabilito una connessione, le aveva detto che era stata incaricata di ucciderla. Maya non riusciva a immaginare come Kathryn si potesse sentire. Sembrava di una calma impressionante. Anche quando aveva esortato Maya a spararle, non aveva perso il sangue freddo per un solo istante. Maya, al suo posto, probabilmente avrebbe dato fuori di matto. E in effetti, era stata proprio lei a scoppiare in lacrime, a farsi consolare, mentre a rigor di logica sarebbe dovuta essere Kathryn quella spaventata, quella bisognosa di rassicurazione.

“Come fai ad essere così calma?” chiese Maya.

Kathryn le sorrise e alzò le spalle. “Aspettavo questo giorno da tanto, troppo tempo. Mi stupisce anzi, che ci sia volute così tanto a trovarmi e a mandare qualcuno per eliminarmi. Ero preparata a questo. Quello a cui non ero assolutamente preparata sei tu.”

Maya la guardò con aria interrogative e Kathryn sospirò. “Maya, ho passato gli ultimi sei anni della mia vita a nascondermi. Mi sono spostata da un angolo all’altro degli Stati Uniti, senza fermarmi in un posto abbastanza a lungo da far si che la gente potesse imparare il mio nome. Non possiedo niente se non quello che vedi in questa stanza, che non è molto. Per sei anni, le uniche conversazioni che ho avuto sono ruotate attorno a cosa voglio da mangiare o quanto devo pagare per questa o quella cosa. Non ho mai degnato le persone intorno a me di un secondo sguardo, se non per considerare se fossero potenziali nemici. E poi, diciassette giorni fa, sei arrivata tu. Non fare quella faccia stupita, mi sono accorta che mi seguivi. Più volte. E ho preso in considerazione l’idea di scappare, ma il modo in cui mi guardavi non era quello di un’assassina mandata per uccidermi. Mi guardavi inizialmente con curiosità, e poi con dolcezza, desiderio, passione. Mi sono convinta che non potevi essere una di LORO, perchè altrimenti avresti già portato a termine la missione. E così ho abbassato le mie difese e ho concesso a me stessa la speranza che forse, in questa vita senza una dimora fissa e senza certezze, dove devo guardarmi le spalle a ogni passo che compio, potevo trovare qualcosa di più. Qualcosa di te e del tuo sguardo è riuscito a scaldarmi il cuore dopo anni, e ha fatto rinascere in me il desiderio e la possibilità di amare e lasciarmi amare.”

Il discorso di Kathryn fece riaffiorare le lacrime negli occhi di Maya. C’era così tanta dolcezza e insieme così tanto dolore in quelle parole…non riusciva minimamente a immaginare cosa quella donna avesse potuto fare di tanto terribile da meritarsi un’esistenza del genere. “Come fai a sapere dell’organizzazione? Dal modo in cui hai detto LORO ho capito che sai con chi hai a che fare. Dovrebbe essere un segreto…come fai a conoscerli? E perchè ti vogliono morta? Cos’hai fatto che ti ha portata ad essere considerata un pericolo per il mondo?” chiese.

“Ogni cosa a suo tempo, tesoro.” rispose Kathryn, raccogliendo con le dita la lacrima solitaria che stava rigando il volto di Maya. “Per prima cosa dobbiamo andarcene da qui. Se ti hanno mandata, vuol dire che sanno dove sono. E sanno dove sei tu. Siamo entrambe in pericolo ora. Immagino ti abbiano dotata di una macchina, o altrimenti non mi spiego come tu sia arrivata dalla base a questo posto dimenticato da Dio. Corri a prendere tutte le tue cose e ci rivediamo qui tra mezz’ora.”

Maya scosse la testa. “No. Non ti lascio sola, nemmeno per mezz’ora. Dovrei fare rapporto domani mattina, ma non si può mai sapere. Potrebbero aver mandato qualcuno a controllare che portassi a termine la missione, e magari stanno solo aspettando che io me ne vada per ucciderti. Prendi la tua roba e poi passiamo velocemente a prendere la mia. Il più in fretta possibile.”
Kathryn annuì e iniziò a radunare i suoi (pochi) averi. Una valigia era abbastanza per trasportare tutti i suoi vestiti e libri. Poi prese un borsone e si chino sul pavimento, spostando la lampada e rivelando una botola che, una volta aperta, si scoprì piena di armi. Un mitra, due fucili e quattro o cinque pistole, con relative caricatori, oltre che una quantità consistente di denaro.

Kathryn rise all’espressione stupita di Maya. “Che c’è? Te l’ho detto che ero preparata. Pensavi davvero che sarei riuscita a scappare per sei anni con solo la pistola che ho in borsa e senza una conspicua somma di denaro?”

Riempita anche la borsa con le armi e il denaro, lasciarono la stanza e si diressero all’appartamento di Maya, che nel giro di dieci minuti raccolse tutte le sue cose (non fece fatica, aveva portato giusto qualche cambio di vestiti, un paio di libri da leggere nei momenti di stallo, una pistola e un fucile da cecchino, in caso l’opzione incidente non si fosse rivelata possibile).
Improvvisamente Maya si rese conto che non aveva la più pallida idea della destinazione che Kathryn aveva in mente. “Uh, Kathryn…forse la domanda potrà sembrare idiota ma…dove diavolo stiamo andando?”

“New York.” rispose Kathryn. “Giusto stamattina sono riuscita a chiudere un accordo con un mio contatto. Tra quattro giorni una nave cargo salperà verso l’Inghilterra e mi riporterà a casa. Sono stanca di scappare, Maya. L’ho fatto troppo a lungo e sto iniziando a sentire il peso di tutti questi anni in fuga. Ho bisogno di riposarmi. I miei genitori mi hanno lasciato una casa in Cornovaglia, e sono finalmente riuscita a mettermi in contatto con persone che possono proteggermi dall’organizzazione. Questo, ovviamente, se sei disposta a venire con me.”

Maya si avvicinò e prese le mani di Kathryn tra le sue. “Come potrei lasciarti andare da sola? Non ho un posto dove andare, non ho una casa a cui tornare, e l’organizzazione non mi perdonerà per averti lasciata vivere. Ma anche se lo facesse, non mi interessa. Da tempo non so più qual è il mio posto nel mondo, ho vissuto gli ultimi tre anni come una macchina per uccidere. Ma ora…ora so che il mio posto è con te…dovunque tu voglia andare, io verrò con te.”

Si scambiarono un bacio, più appassionato di quello che si erano date neanche un’ora prima di fronte al portone e che ormai sembrava lontano anni luce.

“D’accordo allora.” disse Kathryn quando le loro labbra si staccarono e ripresero fiato. “Andiamo.”

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Capitolo 2
*** Half way to anywhere ***


NOTE DELL'AUTRICE: Fortunatamente per voi (sempre che qualcuno stia leggendo questa storia), non ho molto da dire su questo capitolo. Solo dei chiarimenti su alcune cose che magari qualcuno di voi può non capire. Interstate è una delle reti autostradali qui negli Stati Uniti. MI-6 (o SIS)  è il corrispettivo britannico della CIA americana. Il sito del 411 che Kathryn nomina è come il sito delle pagine bianche/gialle italiano. Un diner (penso che quasi tutti lo sappiano, ma è meglio essere sicuri) è una specie di tavola calda, che fa di tutto, dalla colazione, panini, hamburger, piatti, ecc.
Ho cambiato il rating di questa storia da rosso a arancione perchè ho deciso di non scendere nei dettagli nella scena di sesso (cosa assolutamente nuova per me, quindi chiedo scusa se il tutto sembrerà un po' sbrigativo. Sono abituata a descrivere ogni dettaglio delle scene di sesso, ma sinceramente pensavo che non si addicesse a questa storia).
Tutto qui. Buona lettura e VI PREGO, lasciatemi qualche recensione. Non sono abituata a brancolare nel buio quando posto storie a capitoli, ho bisogno di sapere se chi le legge le trova interessanti, se ci sono parti che non sono chiare o che non sono piaciute ecc. Quindi mi fareste MOLTO felice lasciandomi qualche parola nelle recensioni...senza contare che mi aiutereste a migliorarmi.


Parte 2 – Half way to anywhere
 
I have dreamt of a place for you and I
No one knows who we are there
All I want is to give my life only to you
I’ve dreamt so long, I cannot dream anymore
Let’s run away, I’ll take you there
We’re leaving here tonight
There’s no need to tell anyone, they’d only hold us down
So by tbe mornings light we’ll be half way to anywhere
Where love is more than just your name
 
“Allora” ragionò pratica Maya non appena mise in moto la macchina. “Abbiamo un vantaggio, e cioè che fino a domani mattina non verranno a cercarci. Il problema è che hanno installato alla mia macchina un localizzatore GPS, quindi sapranno dove trovarci. La mia idea è che, non appena si fa mattina, cerchiamo di recuperare un’altra macchina e abbandoniamo questa. Certo, la localizzeranno, ma spero che nel tempo che si rendono conto che non ho fatto rapporto e che li ho traditi, noi saremo già in viaggio. Ho lasciato il mio telefono nell’appartamento, e così anche l’altro localizzatore è sistemato. Per ora possiamo mantenerci sulle strade principali, ma da domani mattina credo sia meglio iniziare a deviare il più possibile dalla rotta più ovvia. Ci metteremo più tempo per raggiungere New York, ma almeno saremo meno prevedibili e più al sicuro.”

“Io credo, invece, che sia meglio prendere l’Interstate. Più le strade sono trafficate, e meno possibilità LORO hanno di identificarci.” replicò Kathryn che intanto stava studiando una cartina.

“Forse hai ragione.” sospirò Maya. “Senza contare che sono LORO che mi hanno addestrata, conoscono il mio modo di ragionare in queste situazione e probabilmente si aspettano di trovarci sulle strade secondarie.”

Era una notte piena di stelle, eccezionalmente fresca per essere estate. Si fermarono solo una volta durante tutta la notte, per darsi il cambio alla guida. Maya era esausta, tutta la stanchezza accumulata da quando aveva iniziato la missione si stava finalmente facendo sentire, e non appena il suo corpo toccò il sedile del passeggero, si addormentò.

Era ormai mattina quando arrivarono nei pressi di Clear Lake, Iowa. Era una cittadina di modeste dimensioni, abbastanza grande per far si che Maya e Kathryn riuscissero a trovare una macchina da comprare senza dare troppo nell’occhio.

Prima di entrare nella città, si fermarono a una stazione di servizio per cambiarsi velocemente d’abito (entrambe indossavano ancora i vestiti eleganti della sera prima e fare il proprio ingresso in un diner, alle otto del mattino, tirate a lucido come se fossero a una serata di gala, non era il modo migliore per passare inosservate).

Mentre Maya era in bagno a cambiarsi, Kathryn iniziò a smanettare con il circuito elettrico della macchina.

“Che stai facendo?” chiese Maya sdubbiata.

“Sto cercando di disattivare il localizzatore GPS. Mentre dormivi, non ho fatto altro che pensare a un modo per riuscirci, e penso di averlo trovato. Dammi solo qualche minuto.” spiegò Kathryn brevemente.

“Vuoi dire che possiamo continuare a usare questa macchina allora?”

“No.” rispose la donna. “Anche senza il localizzatore, LORO conoscono questa macchina e hanno la targa. È più prudente trovarne un’altra. Ma se riesco a disattivare il GPS, non riusciranno a ritrovare questa e non potranno essere sicuri che l’abbiamo abbandonata. Potrebbero pensare che abbiamo semplicemente manomesso il localizzatore e continueranno a cercare questa macchina, che noi porteremo a demolire. In questo modo, non la troveranno mai.”

Maya era colpita dall’ingegno dell’altra donna. Con un velo di tristezza, si rese conto che l’intelligenza di Kathryn aveva giocato solo una minima parte nel farla diventare così pratica…il vero motivo per cui era riuscita a farsi venire in mente un’idea così brillante era il fatto che aveva passato anni a nascondersi e scappare da LORO. Maya sperava con tutta se stessa che in pochi giorni quella fuga potesse finalmente giungere al termine, e Kathryn potesse vivere la vita tranquilla che meritava. Maya era fermamente intenzionata a far diventare questa possibilità una realtà, non importava a quale costo. Avrebbe sacrificato la sua stessa vita per permettere a Kathryn di raggiungere l’Inghilterra.

Le due donne fecero velocemente colazione in un diner, e Kathryn approfittò della connessione internet wireless del posto per ricercare un concessionario di auto usate. Sarebbe stato molto più semplice chiedere informazioni a uno dei camerieri del diner, ma Kathryn non voleva lasciare nessuna traccia della loro intenzione di cambiare macchina.

“Non hai paura che LORO riescano a entrare nella cronologia del tuo computer in qualche modo? I tecnici dell’organizzazione ne sanno una in più del diavolo.” chiese Maya.

“Impossibile.” rispose Kathryn. “Innanzittutto, questo computer ha così tanti firewalls, passwords, e sistemi di sicurezza da fare invidia al Pentagono. E anche se riuscissero a entrare, non troverebbero nulla. Ogni volta cancello ogni traccia di qualunque operazione abbia effettuato da qui. Si ritroverebbero davanti un computer completamente vuoto e nemmeno i loro tecnici potrebbero recuperare quelle informazioni.”

“Wow!” Maya era veramente colpita. “Come fai a sapere tutte queste cose?”

“Ero una dei tecnici dell’organizzazione.” disse Kathryn.

“Che cosa?” urlò Maya sconvolta. Tutto si sarebbe aspettata, ma non questo.

“Una cosa alla volta, cara. Prima troviamo un mezzo di trasporto, poi ci liberiamo del tuo SUV e ti prometto che una volta in viaggio ti racconterò tutto. Non sto cercando di nasconderti niente, Maya, ma ora non è il momento giusto. Dobbiamo continuare a muoverci, a quest’ora LORO si staranno chiedendo perchè non hai ancora fatto rapporto. Non ci metteranno molto a cercare di localizzare il tuo telefono e la tua macchina e, rendendosi conto che il segnale del SUV è sparito, manderanno qualcuno a cercarti.”

Maya annuì, ancora sotto shock per la rivelazione di Kathryn. Mai e poi mai avrebbe pensato che Kathryn avesse lavorato per l’organizzazione in passato. Una parte di lei temeva che, una volta ascoltata la storia di Kathryn, avrebbe potuto riconsiderare la sua decisione di scappare insieme.Non sapeva quali altri segreti Kathryn le stesse nascondendo. E se l’organizzazione avesse avuto delle ragioni valide per volere quella donna morta? Ma no, doveva fidarsi di Kathryn. Non sapeva come, ma era certa che Kathryn non meritasse la fine che l’organizzazione aveva in mente per lei. Maya doveva solo aspettare qualche ora per sapere finalmente la verità.

Trovarono una vecchia station wagon in vendita per un paio di migliaia di dollari, che Kathryn pagò in contanti, guadagnandosi uno sguardo sospettoso da parte del venditore.

“Non mi fido delle banche” spiegò Kathryn, e questo sembrò convincere l’uomo.

Con Kathryn al volante del suo nuovo acquisto e Maya che conduceva il SUV, arrivarono dall’autodemolitore, che non riusciva a capire il motivo per cui quelle due forestiere volessero demolire un SUV praticamente nuovo e in perfette condizioni e tenersi una macchina che dimostrava almeno dieci anni, se non di più. Ma Kathryn sapeva essere convincente, così in breve tempo il SUV di Maya fu demolito e le due donne ripresero il viaggio.

Nonostante tenesse lo sguardo puntato sulla strada di fronte a sè, Kathryn riusciva a percepire gli occhi di Maya che la scrutavano, in attesa che iniziasse a parlare.

“Non c’è bisogno di fissarmi in quel modo, tesoro, ti ho promesso che ti avrei raccontato tutto e io mantengo le mie promesse.” sospirò. “Ma prima ho bisogno che anche tu mi faccia una promessa. Quando avrò finito con la mia storia, sarà il tuo turno di raccontarmi come sei finita all’organizzazione. D’accordo? Niente segreti, se vogliamo che questa cosa tra di noi, qualunque cosa sia, funzioni.”

Maya annuì, e Kathryn iniziò a raccontare. “Come sicuramente avrai capito dal mio accento, sono nata in Inghilterra. I miei genitori erano entrambi agenti della MI-6, sono cresciuta vedendoli partire per le missioni a turno, o a volte anche insieme, e nell’ansia di non vederli tornare. Non ho mai avuto molti amici, perchè la mia vita era fondamentalmente un unico grande segreto e mi sentivo così distaccata da tutti gli altri. Quando avevo sedici anni, i miei genitori sono stati entrambi incaricati di trasferirsi negli Stati Uniti e fare da relazione tra la MI-6 e la CIA. Era una mansione decisamente meno rischiosa di quella che avevano in Inghilterra e quindi accettarono.  Io intanto avevo sviluppato un amore per la tecnologia, quindi iniziai a studiare e nel giro di un paio d’anni fui accettata all’interno della CIA. È lì che ho acquisito tutte le mie capacità tecniche.
Intanto, non si sa come, tra studio, missioni e consulenze tecniche, ero riuscita anche a innamorarmi. Emma era tutto quello che avessi mai desiderato, o che neanche sapevo di desiderare. Sapeva del mio lavoro alla CIA e dei miei genitori e ha sempre mantenuto il segreto. In quel periodo ero felice come non credevo si potesse essere. Ci sposammo…non legalmente, ovvio, non era ancora consentito, ma a noi non interessava. Non dimenticherò mai quel giorno…la cerimonia fu splendida; più guardavo Emma e più mi rendevo conto che non importava quanto le altre persone ci continuavano a ripetere che eravamo ancora troppo giovani per quel tipo di impegno nei confronti l’una dell’altra…io sapevo che avrei voluto passare tutta la mia vita con lei. Ovviamente le cose iniziarono a precipitare…i miei genitori furono uccisi, non durante una missione ma semplicemente tornando a casa da un viaggio, e in quel momento capii che c’era qualcosa che non andava, che qualcuno li aveva voluti morti e probabilmente volevano morta anche me. Sapevo che avrei dovuto allontanarmi da Emma, che se io ero in pericolo, lo era anche lei, forse anche più di me perchè non sapeva difendersi. Ma non ci riuscii…provai tantissime volte ad andarmene, ma ogni volta tornavo. Non potevo stare lontana da lei. Speravo solo che, se proprio qualcosa doveva succedere, sarebbe successa solo a me, senza coinvolgere lei. Purtroppo non fu così. Diedero fuoco alla mia casa, pensando che io fossi all’interno. Ero uscita dalla porta sul retro per andare a far la spesa e probabilmente chiunque stava osservando la casa non se n’era accorto, ma…Emma…Emma era dentro. Mi dissero che non era rimasto praticamente più niente di lei. Impazzii dal dolore e chiesi alla CIA di aiutarmi a vendicare mia moglie e i miei genitori. Non sapevo chi fosse il responsabile della loro morte, ma sapevo che l’avrei trovato e l’avrebbe pagata cara. Ma la CIA non era interessata alla vendetta e mi negò le risorse per ricercare i colpevoli. Fu in quel momento che l’organizzazione mi trovò. Mi dissero che mi avrebbero aiutato a fare giustizia, che mi avrebbero dato ogni risorsa per trovare quei figli di puttana che mi avevano distrutto l’esistenza, che mi avrebbero protetta, e che in cambio avrei solo dovuto prestare i miei servizi alla loro organizzazione. Accettai. Ero così sconvolta dal dolore di aver perso tutto che non mi fermai a pensare alle implicazioni, non mi feci domande…non avevo più niente, quindi non avevo niente da perdere. Quindi iniziai a lavorare come tecnico, e in seguito, iniziarono a mandarmi in missione. Dicevano che era un modo per prepararmi al momento in cui avrei finalmente trovato chi aveva ucciso i miei genitori ed Emma. Quando finalmente riuscii a rintracciare i colpevoli, volevo subito correre a vendicarmi, ma LORO cercarono di convincermi ad aspettare. Io ero sempre più impaziente e  così, non mi chiedere come, riuscirono a trovare il modo per tenermi buona: mi dissero che avevano scoperto che Emma era viva, che in qualche modo era riuscita a scappare dalla casa in fiamme, solo per essere catturata da quelli che erano stati mandati per uccidermi, e che se fossi andata a vendicarmi in quel momento li avrei proabilmente massacrati senza riuscire a sapere dove tenessero nascosta Emma. Mi sono lasciata convincere, forse perchè ai tempi ogni volta che c’era di mezzo Emma, io perdevo la ragione. Ovviamente, non era vero che Emma era ancora viva. Ci ho messo poco a scoprirlo e quando l’ho fatto, ho capito che l’organizzazione aveva usato il mio dolore per i suoi scopi. Così scappai. Nessuno era mai riuscito a scappare dall’organizzazione, ma io non ero come tutti gli altri lì dentro. Metti insieme il mio addestramento CIA, le conoscenze tecniche che non avevo mai condiviso con nessuno di LORO e una buona dose di disperazione e puoi facilmente intuire come fossi diventata inarrestabile. Scappai, rintracciai gli assassini di Emma e dei miei genitori e finalmente ebbi la mia vendetta. E da lì in poi, la mia vita è stata tutta una fuga dall’organizzazione. Mi vogliono morta perchè so troppo. Grazie a dio, dopo anni sono riuscita a riprendere i contatti con la MI-6. I miei genitori sono stati agenti fedeli per anni e quindi ora si sono offerti di proteggermi, una volta arrivata in Inghilterra. Ora sai tutto. Non sono una santa, Maya. Ho ucciso quegli uomini nel modo più doloroso che potessi inventarmi…ma dal mio punto di vista se lo sono meritati. E per quanto riguarda l’organizzazione…ho pensato più volte di utilizzare i loro segreti per distruggerli, ma se devo essere sincera, non mi interessa più la vendetta. Voglio solo una vita tranquilla, senza dover scappare, senza dovermi guardare alle spalle ogni passo che compio. Non sogno altro che il mio cottage in Cornovaglia e la persona con cui condividerlo…e spero che tu voglia essere quella persona, Maya. Ci conosciamo da così poco, eppure sento nei tuoi confronti un legame che non avevo mai sentito con nessun altro, nemmeno Emma.”

Maya rimase in silenzio, a processare le parole di Kathryn. Dopo aver ascoltato la sua storia, sentì dentro di sè sentimenti contrastanti. Riusciva a capire lo scopo dell’organizzazione…punire e eliminare le persone che erano un pericolo per altri…quegli uomini che avevano portato via a Kathryn la sua famiglia avevano meritato di morire…ma dall’altra parte, Maya sentì dentro di sè un odio crescere. Odio verso l’organizzazione, che aveva ingannato Kathryn per poterla usare e che ora le stave dando la caccia solo per paura che rivelasse al mondo i suoi segreti, quando Kathryn non aveva la minima intenzione di farlo. Maya non aveva mai avuto molta fede nell’organizzazione, ma almeno le aveva dato la sua lealtà. Ora, era certa che non meritassero neanche quella. Di una cosa era assolutamente sicura: avrebbe aiutato Kathryn ad ottenere quella vita che sognava…e l’avrebbe condivisa con lei.

“Stai cambiando idea, vero?” chiese Kathryn preoccupata dal silenzio che era calato tra di loro. “Dopo aver scoperto che cosa ho fatto a quegli uomini, stai considerando l’idea di non aiutarmi…forse pensi che io sia un mostro, ma Maya, mi avevano portato via tutto quello che avevo, e sapevo che non avrei mai avuto giustizia seguendo altre vie. Era l’unica cosa che potevo fare ai tempi…”

“Non penso che tu sia un mostro” la interruppe Maya. “Lo so che secondo i canoni comuni non bisognerebbe ripagare la violenza con la violenza, ma il mondo non è mai così del tutto bianco o nero. Mi hai chiesto di raccontarti come sono finita a lavorare per l’organizzazione…ho ucciso un uomo. Un uomo che mi aveva violentata. Come è successo a te, anche a me è stato portato via qualcosa…non la mia famiglia, ma una parte di me. E io mi sono vendicata. L’organizzazione mi ha prelevata prima che la polizia mi trovasse e mi ha portata alla base. Mi ha dato una scelta: la prigione o lavorare per loro e io ho scelto di lavorare per loro. E fino a diciotto giorni fa, non mi ero mai fermata a pensare se quello che stavo facendo era sbagliato. Poi ti ho vista, ti ho seguita, ho osservato la tua vita e ho capito che non meritavi quello che stava per succederti. In quel momento ho iniziato a dubitare di LORO. Sapevo che non eri un bersaglio come gli altri. Sapevo che non eri pericolosa. Kathryn, quel legame che senti nei miei confronti…lo sento anche io, e ti prometto che ti farò arrivare in Inghilterra sana e salva…e ti resterò accanto per quanto tempo vorrai.”

“E se ti volessi per sempre?” chiese Kathryn.

“Allora rimarrò per sempre!” rispose Maya sorridendo e stringendo la mano della donna.

Ora che si erano chiarite e avevano confessato tutta la verità, il viaggio proseguì con un’atmosfera più leggera. Chiacchierarono del più e del meno e iniziarono a condividere tutti i dettagli del loro passato che si erano tenute nascoste la sera prima a cena. Kathryn raccontò della sua infanzia in Inghilterra e degli anni nella CIA, Maya ricambiò condividendo la sua esperienza del college (molto meno eccitante di quella di Kathryn, ma la donna sembrava estremamente interessata alla descrizione di tutte le feste, le partite di football, le lezioni) e raccontandole della sua famiglia e della sua infanzia.

Quando si fermarono a pranzare, Kathryn comunicò a Maya che avrebbero dovuto fare una deviazione e fermarsi a Detroit. Le spiegò che aveva un contatto che avrebbe potuto procurare loro dei documenti falsi per il viaggio (non che Kathryn ne avesse bisogno, aveva più identità di quante riuscisse a ricordarne, ma l’unico documento in possesso di Maya era quello che l’organizzazione le aveva procurato e non era prudente utilizzarlo).

“Come mai fino a Detroit?” chiese Maya. “Non potevi trovare qualcuno a New York?”

“Questo tipo di contatti non si trovano sul sito del 411, Maya!” rise Kathryn. “Non è stato facile trovare qualcuno disposto a collaborare. Inoltre, se andassimo dirette a New York arriveremmo lì in largo anticipo rispetto alla partenza della nave, ed è più prudente se non rimaniamo nella stessa città troppo a lungo.”

Prima di rimettersi in macchina, Kathryn si fermò in un supermercato a comprare provviste, così che non si sarebbero dovute fermare per cena, un paio di coperte e cuscini, tre o quattro giornali e del nastro adesivo.

“A che ci servono?” chiese Maya.

“Dormiremo in macchina stanotte. Non hai ancora il documento falso e non voglio rischiare. I giornali e il nastro adesivo servono per coprire i vetri.”

Era tardi quando arrivarono nei pressi di Detroit. Kathryn pensò che fosse meglio trovare un posto per fermarsi a dormire prima di entrare in città. Trovarono un parcheggio per camionisti, dove si erano fermate già un paio di macchine e dei camion e decisero che avrebbero dato meno nell’occhio se ci fossero state altre macchine, quindi si fermarono lì.

Ricoprirono i vetri con le pagine di giornale e Kathryn tirò giù i sedili posteriori in modo che diventassero un tutt’uno con il lungo bagagliaio, poi stese le coperte e i cuscini.

Si sdraiarono sotto le coperte, vicine ma senza toccarsi, il silenzio era calato tra di loro. Nessuna delle due riusciva a prendere sonno e rimasero nell’oscurità della macchina con gli occhi spalancati, entrambe immerse nei loro pensieri.

“Oh per la miseria!” disse improvvisamente Kathryn a un certo punto, prendendo la mano di Maya. “Vieni qui!”

Maya ridacchiò e si rannicchiò tra le braccia di Kathryn, che la baciò teneramente.

“Eri seria quando hai detto che mi terresti con te per sempre?” chiese Maya sussurrando quando le loro labbra si staccarono.

“Non sono mai stata più seria in vita mia.” rispose Kathryn baciandola ancora, e questa volta il bacio era più passionale, più profondo.

La mano di Kathryn stava per andarsi a infilare sotto la maglia di Maya, quando si fermò improvvisamente, ricordandosi del racconto di Maya e dello stupro.

“Perchè ti sei fermata?” chiese Maya con la voce rotta. “Non…non vuoi?”

Kathryn si tirò su sulle braccia e cercò gli occhi della sua compagna nell’oscurità. “Maya, non c’è niente che io voglia di più che fare l’amore con te stanotte. Ma non voglio metterti pressione. Dopo quello che hai passato, è normale se tu non ti senta di farlo…”

Maya attirò Kathryn nuovamente a sè e la baciò. “Kathryn, non devi preoccuparti. È passato molto tempo da quello che è successo…e mi fido di te. Mi fido completamente. Voglio darti tutto quello che ho. Mi dispiace solo se ti sembrerò impacciata e inesperta…sono più di quattro anni che non…”

“Oh per quello non devi preoccuparti!” rise Kathryn. “L’ultima persona con cui ho fatto l’amore è stata Emma. La vita della fuggitiva non lascia molto spazio per il sesso o il romanticismo. Sono passati nove anni dall’ultima volta…è come se fossi tornata vergine!”

A sentire nominare Emma, Maya si sentì assalire dai dubbi. “Kathryn, sei sicura di volerlo? Perchè è vero che voglio darti tutto, ma…non vorrei che tu stessi ancora pensando a Emma…non mentre fai l’amore con me.”

Kathryn le accarezzò la guancia. “Ho amato Emma, e una parte di me la amerà sempre. Mi è stata strappata via in modo brutale e ho passato anni a disperarmi per quella perdita. Ma lei fa parte del mio passato. Non possiamo smettere di vivere la nostra vita perchè abbiamo perso qualcuno a noi caro. Il mio presente, e il mio futuro, sei tu Maya, e non potrei mai pensare a lei mentre sono con te. Sono qui con te perchè voglio esserci. Voglio te, Maya, e nessun altro.”

Quelle parole furono sufficienti per rassicurare Maya.

Continuando a baciarsi, si tolsero lentamente i vestiti e iniziarono a esplorare l’una il corpo dell’altra. In quell’istante, non c’era più niente che contasse, se non loro due e i loro corpi che si muovevano all’unisono. La fuga, l’organizzazione, il loro passato, la paura di essere prese prima di arrivare alla nave…era tutto scomparso.

“Sai” disse Maya quando finalmente ripresero fiato e si rivestirono. “Ho sempre pensato che quella dell’amore a prima vista fosse una cazzata…ma sin dalla prima volta che ho posato lo sguardo su di te, ho sentito qualcosa crescere dentro di me. Quando mi hai baciata l’altra sera…è stato come se finalmente tutti i pezzi di me fossero andati al loro posto…e allora ho capito, ho capito che innamorarsi a prima vista può succedere una volta nella vita, quando incontri la tua anima gemella, l’altra metà di te. Forse per te sarà troppo presto, e magari non ricambi questo mio sentimento…non mi aspetto che tu me lo dica, ma io non posso tenermelo dentro. Ti amo, Kathryn.”

Kathryn la strinse forte a sè. “Ti amo anche io, Maya.”

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Capitolo 3
*** Born to die ***


NOTA DELL'AUTRICE: A fine capitolo, perchè non voglio spoilerare! u_u


Parte 3 – Born to die
 
Don’t make me sad, don’t make me cry
Sometimes love is not enough
And the road gets tough, I don’t know why
The road is long, we carry on
Try to have fun in the meantime
Come and take a walk on the wild side
Choose your last words
This is the last time
Cause you and I
We were born to die
 
Quando arrivarono a Detroit, la pioggia aveva appena iniziato a cadere. La desolata periferia della città aveva un aspetto ancora più squallido sotto quelle nuvole grigie e quelle gocce che cadevano pesanti.

Kathryn fermò la macchina davanti a un capannone dall’aria abbandonata. “Eccoci qui. Prendiamo i documenti e andiamocene alla svelta. Meno tempo restiamo qui e meglio è.”

Maya annuì e scese dalla macchina. All’ingresso del capannone, due uomini le percuisirono, ritirarono le loro pistole e le condussero al cospetto di un uomo dallo spiccato accento russo.

“Kathryn!” salutò l’uomo. “Quanti anni sono passati! Pensavo fossi morta.”

“Piacere di rivederti, Georgiy.” Kathryn strinse la mano dell’uomo. “Rimarrei a raccontarti di tutte le volte che sono riuscita a scampare alla morte, ma sono un po’ di fretta. Sono pronti i nostril documenti?”

Georgiy rise. “Sempre impaziente, donna. Non sei cambiata affatto. Non mi presenti alla tua incantevole compagna di viaggio?”

Maya fece per presentarsi, ma Kathryn la fermò. “Meno dettagli conosci su di noi, e meglio sarà per te, Georgiy. I documenti?”

L’uomo alzò le spalle. “Sono pronti per la stampa, con i dati che mi hai spedito. Mancano solo le vostre fotografie, quindi, se volete accomodarvi…”

Kathryn annuì, e si accomodò sullo sgabello che Georgiy le indicò, seguita poi da Maya. In meno di un’ora, i due passaporti erano pronti.

“Mayra Watson, cittadina britannica?” chiese Maya aprendo il suo nuovo documento.

“Sarà molto più semplice entrare in Inghilterra se siamo entrambe in possesso di un passaporto britannico. Abbiamo molti giorni di viaggio per lavorare sul tuo accento.” rispose Kathryn, o Caitlyn Harris, come risultava dal suo nuovo passaporto.

Le due donne pagarono Georgiy (profumatamente), e fecero per andarsene. “Oh, Georgiy” si voltò Kathryn prima di lasciare il capannone. “Cerca di continuare a credere che io sia morta. È meglio per tutti.”

“Ricevuto.” rispose l’uomo. “Addio, Kathryn.”

Le due donne si rimisero in macchina, Maya alla guida, direzione New York.

“Bene, e adesso sentiamo come te la cavi a imitare il mio accento, Mayra.” rise Kathryn, mentre si lasciavano Detroit alle spalle.

Dopo due ore di viaggio, Maya si trovò a ringraziare che il viaggio verso l’Inghilterra sarebbe durato parecchi giorni, perchè il suo accento inglese al momento era veramente penoso e mai sarebbe passata per cittadina britannica.

La strada verso New York era lunga, ci sarebbe voluto tutto il giorno per arrivare e Kathryn aveva accennato che avrebbe preferito fermarsi a dormire in qualche motel fuori città. Ora che avevano i documenti, potevano senza problemi prendersi una stanza per la notte.

Si fermarono per pranzo. Kathryn disse di aver bisogno di una connessione internet. Mentre mangiavano, Kathryn era intenta a scrivere qualcosa, o scrivere a qualcuno. Maya decise di non chiedere…il rapporto di Kathryn con il web era davvero troppo complicato per lei.

Pioveva ancora quando ripresero il viaggio verso la Grande Mela.

“Cosa pensi di fare quando arriveremo in Inghilterra? Vuoi andare a lavorare per la MI-6?” chiese Maya.

Kathryn scosse la testa. “Non ci penso neanche. Te l’ho detto, sono stanca di tutte queste cose. Sono stanca di segreti, fughe, armi e missioni. Voglio una vita normale. Troverò un lavoro, magari come tecnico informatico…un lavoro normale. E tu?”

“Si, anche io pensavo a qualcosa del genere. Non tecnico informatico, ovviamente, visto quanto poco ne so di computer. Ma comunque qualcosa di semplice. Magari finirò gli studi, visto che non sono mai riuscita a laurearmi.”

Kathryn rimase in silenzio per un po’ e poi si girò a fissare Maya con aria seria. “Devo confessarti una cosa.” iniziò incerta. Non sapeva come Maya avrebbe preso quello che stava per dirle. “Quando ero al computer prima…ho contattato la MI-6 e un notaio.” Maya la guardò senza capire. Un notaio? Perchè diavolo Kathryn aveva bisogno di un notaio? “Maya, in caso mi succedesse qualcosa prima di arrivare in Inghilterra…o anche dopo…voglio che tu abbia la casa. E voglio che la MI-6 ti protegga come dovrebbe proteggere me. Promettimi che qualunque cosa succeda, andrai lo stesso in Inghilterra, e sarai al sicuro. Puoi anche vendere la casa e vivere altrove, non importa, ma promettimi che non resterai negli Stati Uniti. È troppo rischioso. E promettimi…promettimi che mi lascerai indietro in caso succedesse qualcosa. Non fare l’eroe, Maya, non cercare di salvarmi se la situazione è disperata. Preferisco sapere che almeno tu sei al sicuro.”

“Stai scherzando, vero?” chiese Maya sconvolta. “Pensi davvero che potrei scappare in Inghilterra, a casa tua, lasciandoti indietro? Kathryn, no! Farei di tutto per salvarti, anche se la situazione potrebbe sembrare disperata. Non potrei mai lasciarti indietro!”

“Maya…” sospirò Kathryn. “Ti prego…”

“No!” esclamò decisa la ragazza. “Non è una discussione che voglio avere. Andremo in Inghilterra insieme. O non andremo proprio. Fine della storia.”

Il silenzio calò in macchina. La musica che usciva dalle casse non era che un flebile sottofondo, coperto dalle pesanti gocce di pioggia che continuavano a cadere. Maya era concentrata sulla strada, e Kathryn guardava fuori dal finestrino, immersa nei suoi pensieri. Maya sapeva che la discussione non sarebbe finita lì, e che Kathryn stava solo cercando delle argomentazioni valide per convincerla.

Era deprimente. La lunga autostrada, la pioggia, il silenzio in macchina, e il pensiero che una delle due avrebbe potuto non farcela a raggiungere la nave. O entrambe. Erano state estremamente fortunate a non essere ancora state trovate, lo sapevano bene. Ma l’organizzazione poteva rintracciarle da un momento all’altro e allora come sarebbe finita? Sarebbero riuscite a mettersi in salvo? Erano solo in due, e nonostante gli anni di addestramento e esperienza, non avrebbero avuto molte possibilità se l’organizzazione avesse mandato un’intera squadra di agenti. E se il peggio fosse veramente successo…Kathryn credeva davvero che Maya l’avrebbe lasciata e si sarebbe messa in salvo da sola? E lei? Cosa avrebbe fatto Kathryn se fosse stata Maya quella colpita? L’avrebbe lasciata indietro? Maya lanciò uno sguardo alla donna sedura al suo fianco. No ovviamente, non l’avrebbe mai fatto. Kathryn avrebbe fatto di tutto per salvarla o per proteggerla. E allora perchè lei non poteva fare lo stesso?

“Posso farti una domanda?” chiese. Kathryn annuì senza distogliere lo sguardo dalla strada. “Per caso…io assomiglio a Emma? O c’è qualcosa di me che te la ricorda? È per questo che stai cercando di proteggere me…perchè non sei riuscita a proteggere lei?”

Kathryn si voltò. “Accosta.” disse con tono piatto, la voce che non tradiva nessuna emozione. Maya fece come le era stato detto, pentendosi immediatamente di aver posto quella domanda a Kathryn. Avrebbe dovuto stare zitta e non riportare a galla il passato.

Quando la macchina si fermò, Kathryn prese le mani di Maya nelle sue. “Maya, tu ed Emma…siete due persone diverse. Completamente diverse. Fisicamente e caratterialmente. Non devi mai pensare che possa metterti a confronto con lei. Tu sei molto più forte di lei, e so che sei capace di difenderti da sola. Ma si, ho paura che tu possa rimanere uccisa a causa mia, come è successo a lei. È così strano? È colpa mia se sei in questo casino ora. E non voglio che ti succeda niente, ma soprattutto non voglio che tu rischi la tua vita per proteggere me.”

“Kathryn, non lo vedi che lo sto già facendo? Dal momento in cui mi sono rifiutata di ucciderti e ho deciso di scappare con te, ho messo a rischio la mia vita per la tua. E va bene così, non sono pentita di questo e non me ne pentirò in futuro. Non c’è bisogno che tu mi protegga. Non succederà a me quello che è successo a Emma. Ma capisci che non posso prometterti di mettermi in salvo sapendo che tu sei in pericolo…magari ferita…non posso farlo, come so che tu non lo faresti se fosse il contrario. Quindi ora cerchiamo di arrivare a New York prima che ci rintraccino e di salire su quella maledetta nave, così potremo lasciarci tutto questo alle spalle.”

Kathryn sospirò. Maya era testarda. Era inutile cercare di combattere quella battaglia con lei…soprattutto quando avevano una battaglia molto più grande e difficile in corso. “D’accordo. Andiamo.”

Erano a poco più di un centinaio di miglia da New York quando uscirono dall’Interstate per cenare. Si fermarono in una piccola stazione di servizio, con benzinaio e fast food. “Quando saremo in Inghilterra, ti porter a cena in un ristorante decente. Sono stufa di questi diners e fast food. Mi sembra di non aver mangiato altro per giorni.” sbuffò Katheryn.

“Questo perchè non abbiamo mangiato altro per due giorni.” rise Maya. “A me non importa, il cibo alla base era sicuramente peggio di questi hamburgers, ma sarà piacevole mangiare qualcosa di non unto. Dio solo sa cosa mangeremo su quella nave…l’idea di una cena in un ristorante è una prospettiva allettante.”

“Per un attimo avevo dimenticato che abbiamo davanti una lunga traversata.” mugugnò l’inglese. “Vorrei poter chiudere gli occhi stanotte e riaprirli quando saremo al sicuro a Southampton.”

Finito di cenare, Maya si fermò all’interno del minimarket della stazione di servizio per pagare la benzina e comprare un paio di bottiglie d’acqua per la notte, mentre Kathryn faceva il pieno. Quando i due SUV neri arrivarono, Kathryn capì subito che erano nei guai. Aveva lavorato nell’organizzazione per troppo tempo, e per altrettanto tempo era scappata da LORO, per non riconoscere il tipo di macchina. “Merda!” imprecò. Si voltò di scatto verso il minimarket, da cui Maya stave uscendo. “Maya, sali in macchina, veloce!” urlò.

Maya vide le due macchine e anche lei capì, e iniziò a correre.

Accadde tutto molto velocemente. Gli uomini uscirono dagli SUV e iniziarono a sparare in direzione di Maya, che correva verso la macchina, cercando di schivare i proiettili. Kathryn staccò la pompa dalla macchina, lasciandola cadere per terra, e anche lei aprì il fuoco contro gli agenti dell’organizzazione, indietreggiando verso il sedile del passeggero. Maya si lanciò nel posto del guidatore e avviò il motore, aspettando che Kathryn salisse in macchina.

“Vai!” le urlò Kathryn, sporgendosi dalla portiera ancora mezza aperta. Quando furono abbastanza lontane, Kathryn sparò un proiettile verso i serbatoi di benzina, e il liquido che lei stessa aveva lasciato cadere a terra, causando un’esplosione. Questo avrebbe dato loro il tempo necessario per allontanarsi. Non era sicura che gli agenti dell’organizzazione fossero rimasti colpiti dall’esplosione, ma ci sperava.

“Merda!” imprecò di nuovo. “Come diavolo hanno fatto a trovarci?”

“Kathryn…” sussurrò Maya.

Kathryn si girò verso la sua compagna, e inorridì alla vista del sangue che fuoriusciva dal braccio di Maya. Il proiettile l’aveva colpita nel braccio destro, e lì si era conficcato. Il sangue usciva a fiotti. Cercò di non farsi prendere dal panico alla vista della sua compagna ferita, e di ragionare. Maya non avrebbe potuto continuare a guidare per molto, e sicuramente avrebbe avuto bisogno di essere medicata. E avrebbero dovuto abbandonare quella macchina, perchè ormai LORO l’avrebbero riconosciuta. L’idea le venne alla vista di un motel, con alcune macchine parcheggiate fuori.

“Fermati lì.” ordinò a Maya. Quando si fermarono, le passò una delle maglie che tenevano sul sedile posteriore. “Ho bisogno che tu comprima la ferita per evitare il rischio di dissanguarti. Puoi farlo?” Maya annuì. Il dolore era così forte da impedirle di formare una frase di senso compiuto. Avrebbe solo voluto urlare.

Kathryn scese dalla macchina e si diresse verso una delle vetture parcheggiate. Entro poco tempo, era riuscita ad entrare e a farla partire. “Coraggio, salta su!” urlò a Maya, che si trascinò verso la macchina.

Kathryn uscì dal parcheggio. “In questo modo vedranno la macchina e penseranno che ci siamo fermate al motel. Questo dovrebbe far perdere a loro un po’ di tempo, e farcene guadagnare a noi.” Poi tirò fuori il suo iPhone. “Cercami un motel nelle vicinanze.” scandì lentamente al Siri.

La ricerca procurò quattro risultati, tutti nel giro di una decina di miglia. Kathryn sorpassò i primi due, e si fermò al terzo. Prima di scendere dalla macchina, strinse la maglia intorno al braccio ferito di Maya e l’aiutò a infilarsi la giacca, per evitare di destare sospetti se qualcuno l’avesse vista. Cercò nella sua borsa uno dei tanti documenti falsi, quello con il nome più diverso dal suo, e finalmente si avviò alla reception, lasciando Maya nascosta. In questo modo, se LORO fossero arrivati a quel motel e avessero fatto domande, nessuno avrebbe potuto dire di aver visto due donne insieme prendere una stanza. Prima di entrare, costrinse la sua lunga chioma scura sotto una parrucca bionda che teneva in valigia. Più di una volta era dovuta ricorrere a questi mezzi per scappare dall’organizzazione. La foto nel documento ritraeva una donna con i capelli corti e biondi. Se LORO avessero domandato di una donna corrispondente alla descrizione di Kathryn, il ragazzo alla reception non avrebbe sicuramente pensato a lei.

Una volta in camera, Kathryn tirò fuori dalla sua valigia un kit di pronto soccorso e si dedicò alla ferita di Maya. Fortunatamente, il proiettile non era andato troppo in profondità, e Kathryn riuscì a rimuoverlo facilmente. Medicò la ferita e la chiuse con dei punti. “Ho paura che ti rimarrà una bella cicatrice. Non sono mai stata portata per il ricamo.” si scusò, ma Maya scosse la testa. “Hai fatto molto di più di quanto sarai stata in grado di fare io.”

Kathryn le sorrise, poi le passò un paio di pillole. “Per alleviare il dolore. Ora dormi. Hai perso un bel po’ di sangue, e hai bisogno di riposarti. Io rimarrò a fare la guardia.”

Probabilmente LORO ci avrebbero messo ore per trovarle. Kathryn si era allontanata dalla rotta più ovvia, e non aveva scelto il primo motel sulla sua strada. Senza contare che nessuno sarebbe potuto risalire a lei dal nome sul documento che aveva fornito. Con un po’ di fortuna, Maya avrebbe potuto riposare quasi fino all’alba prima di dover ripartire.

Le previsioni di Kathryn si rivelarono azzeccate. Erano le sei del mattino, quando la donna andò a svegliare Maya, che dopo aver dormito stava decisamente meglio. Kathryn cambiò la medicazione alla ferita, fece prendere a Maya un altro antidolorifico, e poi si rimisero in viaggio. Avevano cinque ore per arrivare al porto di New York, incontrarsi con il contatto di Kathryn e salire sulla nave, che sarebbe salpata alle undici in punto. Di tempo ce n’era a sufficienza, erano solo un centinaio di miglia in fondo…quello che Kathryn temeva è che quelle ore in più che avevano a disposizione potessero dare all’organizzazione l’opportunità di trovarle. Le avevano ritracciate una volta, potevano farlo ancora. Senza contare che ormai la loro meta era abbastanza ovvia. Certo, probabilmente LORO non sarebbero arrivati a pensare che Kathryn avesse scelto una nave come via di fuga. Sicuramente avrebbero mandato a controllare tutti gli aeroporti di New York, e magari anche quello di Newark, e tutti gli aeroporti del raggio di cento miglia. Ma era anche vero che potevano aver mandato agenti in postazione quella notte, e aver incaricato altri di cercarle per la strada. Era rischioso. Kathryn aveva davvero sperato di riuscire ad arrivare a New York senza complicazioni. Come diavolo avevano fatto a trovarle? Avevano disattivato il localizzatore a Clear Lake due giorni prima, quindi era da lì che avevano iniziato a cercarle. C’erano almeno una decina di aeroporti in zona, più o meno grandi, da cui sarebbero potute partire. E anche se non avessero cercato negli aeroporti, la via di fuga più ovvia sarebbe stata verso il Canada. Ma no, Kathryn e Maya avevano scelto la rotta meno ovvia, deviando verso Detroit e poi procedendo per New York. Che Georgyi le avesse tradite? Anche se fosse, non sapeva dov’erano dirette. Avrebbe solo potuto dire che erano state lì a Detroit per dei documenti falsi, che tra l’altro non avevano ancora usato, quindi anche l’ipotesi che le avessero rintracciate cercando i nomi sui passaporti era da escludere. Più ci pensava, più Kathryn non riusciva a spiegarsi come avessero fatto a trovarle. Ripercorse con la mente ogni singolo dettaglio di quei due giorni per trovare una spiegazione plausibile. E finalmente capì. Le telecamere alla stazione di servizio. Probabilmente avevano colto dei fotogrammi delle loro immagini e l’organizzazione aveva mandato gli agenti più vicini a eliminarle. Kathryn sospirò. E pensare che era stata proprio lei a insegnare ai tecnici dell’organizzazione come sintonizzarsi su tutte le telecamere di sorveglianza degli Stati Uniti e ricercare i volti. Ma ora non c’era tempo di soffermarsi sugli errori passati. Doveva arrivare a New York e salire con Maya su quella dannata nave, fosse stata l’ultima cosa che avrebbe fatto in vita sua.

Tutta la pioggia del giorno prima era scomparsa, lasciando posto a un cielo senza nuvole. C’era traffico all’ingresso della città, cosa di cui Kathryn ringraziò. Se loro erano bloccate nel traffico, lo sarebbero stati anche gli agenti dell’organizzazione, e inoltre in questo modo avrebbero perso un po’ di tempo e non sarebbero arrivate al porto con troppo anticipo. Era troppo pericoloso rimanere nello stesso luogo a lungo, fosse stata anche la nave che le avrebbe condotte in Inghilterra.

Maya stava molto meglio, il dolore della ferita era sopportabile, e anche il suo umore era migliorato. Le due donne cercarono di fare conversazione per coprire l’evidente apprensione. Kathryn chiese a Maya se era in grado di proseguire a piedi da un certo punto in poi, e Maya annuì. Così, decisero di lasciare la macchina da qualche parte vicino a Tribeca. Kathryn tirò fuori dalla borsa due parrucche e grossi occhiali da sole, in modo da non essere riconosciute dalle telecamere, e proseguirono in metropolitana verso il porto di Brooklyn. Raggrupparono tutti i loro averi in un borsone, per lo più armi, soldi e lo stretto necessario a livello di indumenti. Avrebbero potuto ricomprare tutto in Inghilterra.

Il tragitto in metropolitana fu lungo, e entrambe le donne erano nervose. Sarebbe stato difficile spiegare il quantitativo decisamente anormale di armi e contanti che trasportavano, se fossero state sottoposte a dei controlli. Ma fortunatamente, riuscirono a raggiungere il porto senza intoppi. Kathryn si mise al telefono ed entro pochi minuti un uomo che si presentò come Patrick venne ad accoglierle.

“La nave salperà tra circa un’ora. Potete darmi il vostro bagaglio e lo farò recapitare nel vostro alloggio. Vi farei salire subito a bordo, ma stiamo finendo gli ultimi controlli e il capitano non vuole passeggeri. Prendetevi un caffè e qualcosa da mangiare, potrebbe essere l’ultimo pasto decente da qui fino in Inghilterra, perchè purtroppo il cibo a bordo è pessimo. Ci ritroviamo qui tra una mezz’ora, d’accordo?”

Le due donne annuirono, non propriamente felici di dover aspettare prima di imbarcarsi. Sarebbero state molto più al sicuro a bordo della nave che in giro per il porto. Ma purtroppo, non dipendeva da loro. Era già tanto che fossero riuscite a trovare qualcuno disposto ad accoglierle su una nave merci, non potevano chiedere di più. Così si diressero a mangiare qualcosa, come Patrick aveva suggerito.

“Sei nervosa?” chiese Maya a Kathryn.

Kathryn avrebbe voluto mentire per rassicurare la sua compagna, ma il suo volto tradiva tutto quello che stava provando. Sì, era nervosa, molto più di quanto lo era stata nei giorni precedenti. Erano così vicine alla liberazione…Kathryn aveva aspettato anni per quel momento, e ora non poteva fare a meno di agitarsi. Possibile che fosse stato così facile? (Certo, lasciando fuori l’incontro della sera precedente e la ferita al braccio di Maya.)

 Mezz’ora era passata, e Patrick le stava aspettando dove si erano incontrati prima. “Pronte a salire a bordo?” chiese.

Fosse stata un’altra persona, Kathryn non avrebbe prestato attenzione a ciò che la circondava, e si sarebbe concentrata solo sull’imminente imbarco. Ma Kathryn era Kathryn, e tutti quegli anni di esperienza nella CIA, nell’organizzazione, e poi come fuggitiva, le avevano insegnato di non abbassare mai la guardia. Scrutava ogni volto intorno a sè con la coda nell’occhio, e fu così che li vide. Cinque agenti dell’organizzazione, che avanzavano a passo sicuro verso di loro.

“Sai sparare?” disse rivolta a Patrick, che annuì confuso. “Bene!” Kathryn gli mise in mano una pistola, e sguainò la sua. “Spara!” Gli ordinò indicando gli agenti.

Nel giro di qualche secondo, il porto si trasformò in una zona di panico totale. Gli spari e le grida spaventate della gente coprivano persino i fischi delle navi.

Kathryn, Maya e Patrick corsero verso il molo, schivando proiettili e girandosi per sparare a loro volta. In quella corsa frenetica, non si fermarono neanche una volta a verificare che non ci fossero state casualità. Non erano degli assassini, ma in quel momento c’era in gioco la loro salvezza. Non avevano tempo di farsi problemi per i civili presenti nel porto (che per fortuna erano quasi tutti scomparsi dopo il primo sparo). Tre agenti caddero, feriti o morti, mentre Kathryn, Maya e Patrick raggiunsero la nave. Patrick salì a bordo per primo, urlando al capitano di anticipare la partenza, mentre le due donne rispondevano al fuoco nemico e si portavano verso la passerella d’imbarco. Maya stava per salire a bordo, quando sentì un proiettile avvicinarsi a lei. Stava per essere colpita. Si voltò di scatto, e vide Kathryn lanciarsi nella sua direzione, e fermare il proiettile con il suo corpo. La donna cadde a terra, colpita al petto.

“No!” urlò Maya, sparando verso i due agenti rimasti, e uccidendone uno.

Il sangue di Kathryn iniziò a ricoprire il suolo del molo. “Vai! Sali sulla nave! Lasciami qui!” Kathryn disse a fatica.

“No! Non ti lascio qui!” rispose Maya, cercando di sollevare il corpo di Kathryn da terra, per trascinarla verso la passerella.

“Maya…” sussurrò la donna ferita. Stava perdendo troppo sangue, e persino respirare era diventato difficile.

“No!”

L’ultimo agente si avvicinò alle due donne. “È finita, Maya.” disse freddo, puntando la pistola contro la fronte della donna. “Avete perso.”

Premette il grilletto. Il proiettile si conficcò nel cranio di Maya, che cadde priva di vita sopra a Kathryn, che nello stesso momento esalò il suo ultimo respiro.

L’agente ripose la pistola nella fodera, e si allontanò soddisfatto. Missione compiuta.



NOTA DELL'AUTRICE: Ok, non odiatemi! Questa storia non è ancora finita, c'è ancora un brevissimo epilogo che posterò entro un paio di giorni.
Non ho molto altro da dire, se non che non sono mai stata al porto di Brooklyn quindi non so com'è fatto...non so neanche se è da lì che partono le navi merci per l'Inghilterra, ma facciamo finta di si.
Questa è la prima volta che scrivo una storia d'azione, quindi chiedo scusa se le scene delle sparatorie sono state un po' troppo sbrigative
Per il resto non c'è altro da dire, se non al solito di lasciarmi qualche recensione (si, ok, potete insultarmi). That's it.

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Capitolo 4
*** All just a dream in the end ***


Epilogo – All just a dream in the end
 
So many fears were swimming around and around in my mind
Who would have dreamed the secrets we would find?
I’ve found a world where love and dreams and darkness collide
Maybe this time we can leave our broken world behind
We’ll be together again
All just a dream in the end

 

Maya si svegliò di soprassalto, con il cuore che le batteva all'impazzata, il fiatone e ricoperta di sudore. Istintivamente, si toccò la fronte, dove il proiettile l'aveva colpita, ma la trovò liscia e intatta. Al suo fianco, Kathryn dormiva beatamente.

Era stato solo un sogno. L'ennesimo sogno riguardante quel giorno a New York. Sempre lo stesso, notte dopo notte. Erano passati due anni, eppure Maya ancora riviveva la sparatoria al porto. Aveva visto un proiettile colpire il petto di Kathryn e la donna si era accasciata a terra in una pozza di sangue. Lo sparo che aveva bucato il cranio di Maya, grazie a dio, era stato soltanto frutto dei suoi incubi.

Maya e Kathryn non erano morte al porto di New York. Erano riuscite a scappare e Maya era riuscita a stento a trascinare una semi-cosciente e sanguinante Kathryn sulla nave merci, dopo aver piantato un proiettile dritto al petto dell’ultimo agente rimasto. Il dottore di bordo aveva dovuto fare miracoli per salvare Kathryn. Aveva perso moltissimo sangue, il proiettile era quasi arrivato al cuore, e eseguire un’operazione nella cabina di una nave, senza gli strumenti adatti, senza poter effettuare una trasfusione di sangue, era stato difficile. Maya ancora rabbrividiva al ricordo della sua amata che lottava contro la morte, e di come lei stessa aveva dovuto assistere il dottore in quella operazione improvvisata. Una volta estratto il proiettile, fermata l’emoragia e riparati i danni che il proiettile aveva fatto, la ferita di Kathryn si era infettata, probabilmente anche a causa delle discutibili condizioni igieniche del loro mezzo di trasporto. Ma grazie a dio, una volta che la nave aveva attraccato a Southampton, Kathryn era sbarcata reggendosi sulle sue gambe. Dolorante e ancora debole, ma viva.

Nonostante le proteste, Kathryn si era lasciata accompagnare all'ospedale locale per un controllo. Dopo due settimane, erano partite per la Cornovaglia e finalmente erano arrivate al cottage che i genitori di Kathryn le avevano lasciato, poco lontano da Tintagel.

In quei successivi due anni, avevano vissuto la vita che avevano sempre voluto. Niente armi, niente fughe, niente organizzazione. Maya sapeva che la MI-6 le teneva costantemente sotto controllo per proteggerle, ma con discrezione, e senza interferire con la quotidianità delle due donne. Kathryn era consulente informatica per una ditta, e Maya era diventata una personal trainer. Dopo il primo anno in quel piccolo angolo di paradiso, avevano smesso di girare con una pistola nella borsa, e nessuna delle due aveva più toccato un’arma. Erano persino riuscite a farsi qualche amico, anche se non avevano mai raccontato a nessuno la loro storia. E l’accento inglese di Maya ormai sfiorava la perfezione. Ogni tanto, la cicatrice sul braccio di Maya dava ancora fastidio, soprattutto durante i giorni di pioggia, e lo stesso valeva per quella al petto di Kathryn, ma quella era l'unica ripercussione degli eventi di New York. Quella, e gli incubi che infestavano i sonni delle due donne. Ci sarebbero voluti molto più di due anni per farli scomparire. E un giorno forse sarebbero riuscite a smettere di guardarsi le spalle ogni volta che camminavano in un luogo isolato o deserto.

Maya sentì Kathryn muoversi al suo fianco. "Un altro incubo?" chiese Kathryn, la voce impastata dal sonno.

Maya sospirò. "Sempre lo stesso. A volte mi chiedo se forse questa vita che stiamo vivendo non sia tutta un sogno ultraterreno, una specie di aldilà, e siamo veramente morte in quel porto.”

Kathryn prese la mano della sua compagna e la guidò verso il suo petto, ricoprendo la grossa cicatrice. “Maya, ascolta. Lo senti? È il mio cuore che batte. Sono viva, Maya, per miracolo, certo, ma sono viva, e lo sei anche tu. Stiamo bene, è tutto passato. Siamo al sicuro ora. Lo so che ci vorrà molto più tempo per riuscire a lasciarci tutto alle spalle, ma ce la faremo. Insieme.”

Maya strinse la mano di Kathryn nella sua, senza spostarla dal punto del petto della donna dove poteva sentire i battiti del suo cuore. Era rassicurante, ed era la prova che era viva.

“Insieme eh? Allora eri davvero seria quando mi hai detto che mi avresti tenuta per sempre.” Maya provocò Kathryn, alleggerendo l’umore che aleggiava nella loro camera da letto.

“Assolutamente.” rispose Kathryn, chinandosi a baciare la sua compagna. “Ora torna a dormire, amore. Abbiamo tutta la vita insieme.”

Maya si accoccolò tra le braccia di Kathryn. “Abbiamo per sempre.” sussurrò prima di chiudere gli occhi.

“Per sempre.” ripetè Kathryn, lasciandosi andare al sonno.

Quella notte, strette nelle braccia l’una dell’altra, Maya e Kathryn non fecero altri incubi. 



NOTA DELL'AUTRICE: Ok lo so, questo epilogo è schifosamente smielato. Originariamente, la storia doveva concludersi senza questo epilogo, con Maya e Kathryn morte sul molo. Ma poi a mano a mano che scrivevo, mi sono affezionata a queste due e non ho avuto cuore di farle morire così. Inoltre, essendo che con questa fic partecipo al concorso "Love (Never) Fails", ho pensato che un lieto fine sarebbe stato più appropriato. È vero che probabilmente Maya e Kathryn non si sarebbero dovute innamorare l'una dell'altra, e le circostanze in cui si sono conosciute erano a loro sfavore, ma sono riuscite insieme a superare le difficoltà e il lieto fine dà una sorta di speranza. Se veramente avranno quel "per sempre" non si sa. Magari un giorno l'organizzazione le troverà e le farà fuori. O magari col passare degli anni capiranno che quel legame che c'è tra di loro non è veramente amore ed è nato solo grazie alle circostanze particolari in cui si sono incontrate, e quindi si lasceranno. O magari invece vivranno per sempre felici e contente...chi può saperlo? Ma non ce l'ho fatta a farle morire prima di raggiungere l'Inghilterra, sarebbe stato troppo crudele.
Ad ogni modo, questa storia è conclusa. Vorrei sapere cosa ne pensate. Grazie mille per averla letta e incrociate le dita per me per il contest.

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