In Nomine Patris

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Foto (Misa) ***
Capitolo 2: *** Shock (Light) ***
Capitolo 3: *** Aborto (Misa) ***
Capitolo 4: *** Erede (Light) ***
Capitolo 5: *** Nuova vita (Misa) ***
Capitolo 6: *** Luce (Light) ***
Capitolo 7: *** Papà (Light) ***
Capitolo 8: *** The Final Countdown (Light) ***
Capitolo 9: *** Addio (Light) ***
Capitolo 10: *** Umanità (Aizawa) ***
Capitolo 11: *** Post Kira (Aizawa) ***
Capitolo 12: *** Sfinimento (Misa) ***
Capitolo 13: *** Oblio (Misa) ***
Capitolo 14: *** Sangue (Aizawa) ***
Capitolo 15: *** Fiori (Ryuzaki) ***
Capitolo 16: *** Onore (Aizawa) ***
Capitolo 17: *** Eroe (Ryuzaki) ***
Capitolo 18: *** Tombe (Aizawa) ***
Capitolo 19: *** No Name (Ryuzaki) ***
Capitolo 20: *** Perdono (Aizawa) ***
Capitolo 21: *** Bianco (Ryuzaki) ***
Capitolo 22: *** Il figlio di Kira (Near) ***
Capitolo 23: *** Dubbio (Aizawa) ***
Capitolo 24: *** Approccio (Near) ***
Capitolo 25: *** Prova (Ryuzaki) ***
Capitolo 26: *** Rifiuto (Aizawa) ***
Capitolo 27: *** Segreti (Ryuzaki) ***
Capitolo 28: *** Tutto... O Quasi (Ryuzaki) ***
Capitolo 29: *** Vittima (Aizawa) ***
Capitolo 30: *** Delirio (Ryuzaki) ***
Capitolo 31: *** Ammissione (Aizawa) ***
Capitolo 32: *** Tocco (Ryuzaki) ***
Capitolo 33: *** Arma (Ryuzaki) ***
Capitolo 34: *** Nel Nome Del Padre ***



Capitolo 1
*** Foto (Misa) ***


                                     IN NOMINE PATRIS


 1.FOTO (MISA)

Tutto è cominciato con quel piccolo pezzetto di carta lucida che in un caldo pomeriggio di fine primavera stringevo al petto gelosamente e orgogliosamente.
Passeggiavo con il viso rivolto verso l’alto, il sole mi scaldava le guancie e gli occhi riflettevano una luce particolarmente radiosa, ancor più splendente di quella emanata dai miei capelli dorati.
Diedi un’altra occhiata al piccolo tesoro che stringevo tra le dita e sospirai, immaginando il meraviglioso futuro che mi sarebbe spettato d’ora in poi.
Mentre mi stavo ancora gustando i progetti carichi di speranza, sentii l’umido fiato di Ryuk che mi avvolgeva il collo come una sciarpa.
Non mi aveva mai infastidito la sua presenza, la trovavo quasi rassicurante, certe volte.
Passavo la maggior parte della giornata da sola, e potevo concedermi del tempo insieme a Light solo durante la sera, ma ultimamente rincasava sempre molto stanco e così andava subito a dormire.
Ma, presto, le cose sarebbero cambiate.
Lo shinigami buttò un’occhiata sul quadratino cartaceo, e non fu difficile per lui immaginare di che cosa si trattasse.
-Come pensi di dirglielo a Light?
Sembrava quasi intimidito, ed io sorrisi davanti alla sua preoccupazione.
-Non c’è bisogno di inscenare recite, glielo dirò e basta. Senza farmi troppi problemi.
-Credi che… la prenderà bene?
Mi voltai ed alzai lo sguardo per vederlo in faccia.
-Sono certa che sarà felicissimo. So che non sembra il tipo adatto a questo genere di cose ma, infondo, è pur sempre il mio ragazzo, no?
-Sarà, comunque…
Lo shinigami esibì i denti appuntiti in quello che sarebbe dovuto essere un sorriso.
-… non vedo l’ora di vedere la sua reazione.
Ricambiai lo sguardo e ripresi a camminare, sempre con il sole che illuminava la mia via, ed il vento che mi trasportava, facendomi sentire con il cuore ad un palmo da terra.

 

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Capitolo 2
*** Shock (Light) ***


 

2. SHOCK (LIGHT)

 
Quel giorno, tanto per cambiare, mi scoppiava la testa.
Era stata una giornata pesante, come sempre, ed io sentivo il fiato di Near sempre più vicino al mio collo.
Era un periodo in cui stavo rischiando molto, e la velocità con cui gli eventi si susseguivano, non mi dava il modo di ragionare con la dovuta calma.
Tuttavia, ero tornato a casa prima del solito e fui sollevato quando, entrando in casa, trovai ad aspettarmi Misa vestita con una sobria gonna primaverile, invece dei suoi soliti abiti provocatori che mi lasciavano intendere che si sarebbe aspettata qualcosa da me che non avevo né la forza né la voglia di darle.
-Bentornato, caro.
Mi saltò al collo e dietro di lei notai Ryuk fluttuante, intento a mangiarsi una mela, e tra un morso e l’altro si lasciava scappare qualche sghignazzamento che penetrava nella mia testa, già dolorante, come una lama rovente.
Mentre ero ancora intento a massaggiarmi le tempie, Misa mi fece scivolare tra le dita quello che a prima vista sembrava un banalissimo pezzo di carta, e mi ci volle qualche secondo per realizzare di che cosa si trattasse.
D’un tratto non sentii più dolore.
Non sentii più nulla.
Spalancai gli occhi increduli davanti a quel vortice di macchie bianche e nere a me quasi del tutto indecifrabili.
La mano che stringeva il foglio cominciò a sudarmi, e potevo chiaramente contare le violente pulsazioni che provocava il sangue mentre scorreva copioso attraverso le vene del mio collo.
Solo dopo qualche secondo riuscii a balbettare una qualche reazione con voce pastosa e tremolante.
-Che… che cos’è questo?
Come se non conoscessi già la risposta.
-Ma come, cos’è?
Lei indicò orgogliosamente un puntino bianco già segnalato con un piccolo puntatore del computer.
- È tuo figlio, Light.
Mi girai appoggiando la testa sul muro senza togliere lo sguardo da quella macchiolina che avrebbe sconvolto la mia esistenza.
Era da tempo che non provavo un’agitazione simile.
Solitamente la causa dei miei attacchi d’ira era sempre stato L, e non avrei mai immaginato che una come Misa sarebbe stata capace di risvegliare in me tutta questa furia.
Lei non vedeva la sua gravidanza come un’ulteriore difficoltà nella nostra vita, ed era proprio questa sua ingenuità a mandarmi su di giri.
-Il dottore ha detto che…
-Come cazzo è successo?!? Me lo spieghi, Misa?
Persino Ryuk smise di sgranocchiare la mela, impressionato dalla mia urlata, che echeggiò per tutta la stanza.
-Cristo… non fai altro che mettermi nella merda, Misa!
La sentii arretrare e subito dopo si buttò di peso sul divano, con i pugni serrati sulle ginocchia.
-Pensavo che… saresti stato felice.
La sua voce iniziava a tremare, era chiaro che fosse prossima al pianto.
Mi voltai di scatto tentando di fulminare il suo sguardo che aveva prontamente nascosto tra i capelli dorati.
-Non ti avevo detto di prendere le dovute…precauzioni?
Non rispose.
Affondò il viso tra le mani ed iniziò a singhiozzare.
-Voglio che tu abortisca.
 

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Capitolo 3
*** Aborto (Misa) ***


3. ABORTO (MISA)

 
Quelle parole mi fecero sanguinare il cuore.
Le sentii come una mazzata sullo stomaco.
Ma la cosa che più m’inquietò fu il suo tono di voce.
Freddo e distaccato.
Mi fece più paura questa frase di ghiaccio rispetto l’intera sfuriata precedente.
Sollevai gli occhi gonfi di lacrime e, anche se avevo lo sguardo appannato, riuscii chiaramente a vedere la sua figura china sul tavolo, ancora intenta ad osservare quella foto che gli aveva stravolto l’esistenza.
-P…perché?
-Ho già abbastanza grane per la testa ed un bambino in giro per casa è l’ultima cosa di cui ho bisogno.
-Ma che problemi potrebbe causare? Mi occuperei io di lui, tu non dovresti…
-Non si tratta solo di questo, Misa!
Aveva rincominciato ad alzare la voce.
-Che cosa succederebbe se per disgrazia vedesse uno di noi due       mentre scrive sul quaderno, eh? O, ancor peggio, se lo toccasse e quindi diventasse in grado di vedere Ryuk? I bambini hanno la lingua lunga, basterebbe una parola di troppo e saremo fottuti.
 Si mise il risultato dell’ecografia in tasca e si diresse a passo pesante verso il bagno, senza nemmeno degnarmi di un’occhiata.
-Non te lo ripeterò più… abortisci. Prendi il prima possibile un appuntamento con il medico. Se tardi troppo, c’è il rischio che non te lo lascino fare.
 Detto questo, si chiuse la porta alle spalle e mi lasciò da sola.
Tentai in tutti i modi di trattenere il pianto, ma in un attimo le lacrime ripresero a scorrere copiosamente, rigandomi il viso paonazzo che era l’immagine della disperazione.
Affondai la faccia in un cuscino aspettando che la mia tristezza si consumasse da sola, e non m’importava di quanto tempo ci avrebbe messo, perché ormai sentivo che la mia vita aveva perso ogni significato.
Avvolsi il mio ventre in un debole abbraccio, chiedendo perdono a quella povera creatura che avevo egoisticamente deciso di portare al mondo e che, ora, avrei dovuto uccidere.

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Capitolo 4
*** Erede (Light) ***


 

 4. EREDE (LIGHT)

 
Entrai nel bagno, e la prima cosa che notai fu il mio viso sconvolto, quasi irriconoscibile, che si rifletteva sullo specchio sistemato sopra al lavandino.
Assestai violentemente un pugno sul muro facendo vibrare la parete.
-Merda!
Mi massaggiai le nocche doloranti, per poi farci scorrere sopra l’acqua corrente del rubinetto.
Dietro di me si materializzò Ryuk, che nel frattempo aveva finito di trangugiarsi il frutto rosso.
Mi sciacquai il viso, massaggiandomi le palpebre, e poi rimasi chino sul lavandino con l’acqua che non smetteva di scorrere.
-Per me, ne fai una tragedia.
Non risposi. Che cosa ne poteva sapere uno shinigami?
-In fondo, lo sai meglio di me che non vivrai per sempre, e chi sarebbe meglio del sangue del tuo sangue per portare avanti i tuoi progetti?
 Non credei alle mie orecchie.
Questa, sembrava una difesa bella e buona a favore di Misa.
Ma poi realizzai che a Ryuk non importava della felicità di Misa, ma solo del suo personale divertimento.
E questa sarebbe potuta rivelarsi l’occasione ideale per portare un po’ di brio tra le marionette del suo teatrino.
Eppure… a sentirla in questa maniera, non sembrava un’idea così malvagia.
-Stai considerando l’eventualità… di un erede vero e proprio, Ryuk?
Mi asciugai la faccia ed estrassi nuovamente dalla tasca quella che era l’unica immagine di colui che, un giorno, avrei chiamato “figlio”.
Più la osservavo, e più mi rendevo conto di non avere nessuna garanzia per il futuro.
Di certo, non mi sarei mai sognato di lasciare il mondo completamente nelle mani di Misa.
In quel caso, L era stato molto più previdente di me, ed ora che Near e Mello erano stati sguinzagliati, Kira stava subendo più grane con loro che con L vero e proprio.
Sospirai, e rinfilai il foglio leggermente stropicciato nella tasca, cercando di non avere ripensamenti a riguardo.
-In fondo… spero di riuscire a risolvere la questione con Near in meno di un anno, e una volta che avrò tolto di mezzo lui e i suoi cani, le acque si calmeranno, dandomi più tempo per occuparmi anche di questo. E se qualcosa dovesse andare storto…
 Ryuk mi squadrò, perplesso.
-Non dirmi… che saresti capace di uccidere tuo figlio…
Sorrisi, infilando l’ecografia nella tasca dei pantaloni.
E lui ricambiò.
-Sei diabolico.
 
Misa era voltata di fianco sul divano.
Aveva smesso di piangere, ed ora si limitava a singhiozzare di tanto in tanto.
Era davvero distrutta, ma non mi sentii minimamente in colpa per il suo stato d’animo.
Se ci trovavamo in quella situazione… se IO mi trovavo in quella situazione, la colpa era esclusivamente sua.
-Misa… lo desideri tanto, questo bambino?
Si voltò di scatto, fissandomi con gli occhi lucidi ed imploranti, sperando in un mio gesto pietoso.
-Si…
Si strofinò il naso.
-…con tutto il cuore.
Saltò giù dal divano e, prima che me ne potessi accorgere, mi ritrovai il collo cinto dalle sue braccia mentre le sue labbra umide sfioravano le mie.
Affondò il viso sul mio petto e rimanemmo in quella posizione per parecchi secondi.
-Grazie.
La voce era soffocata, ma chiaramente più rilassata.
Non ci avrebbe messo molto, Misa, a tornare quella di prima.
-Sono certa che sarai un padre eccezionale.
Mi baciò nuovamente.
Sarebbe stata una scena anche parecchio… romantica, certo, se non fosse stato per le risate in sottofondo di Ryuk.
 

 

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Capitolo 5
*** Nuova vita (Misa) ***


 

5. NUOVA VITA (MISA)

 
Quando Light mi disse di rinunciare al quaderno ero al settimo cielo.
La gravidanza era iniziata da poco, e mi preoccupava lo stress a cui sarei dovuta essere sottoposta, sapendo che Light si trovava costantemente in pericolo, ed io insieme a lui.
Ora avrei condotto una vita normale… come avevo sempre desiderato.
Non sarei più stata la fidanzata di Kira, ma la fidanzata di Light.
Tuttavia, quello fu lo stesso periodo in lui iniziò ad entrare in contatto con Kiyomi Takada.
Sapevo che era solo per questioni strategiche, essendo lei da poco diventata la portavoce di Kira, eppure non potevo fare a meno di sentirmi bruciare dalla gelosia.
Mi sentivo fiduciosa nei riguardi di Light.
Seguii le sue istruzioni alla lettera e mi preparai per entrare nella nuova vita che lui aveva progettato per me e per il bambino.
Anche lui era cambiato.
Ora era molto meno teso.
L’era di Dio sarebbe presto iniziata, ed io non sarei potuta essere più felice di dare al mondo un figlio che sarebbe vissuto in quell’epoca di luce.

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Capitolo 6
*** Luce (Light) ***


 

6. LUCE (LIGHT)

 
28 gennaio 2010
 
Tutto era pronto.
Avrei messo la parola fine a quella storia.
Ora non dovevo fare altro che aspettare un altro giorno e anche Near, insieme a tutti quelli che sapevano dell’esistenza del quaderno, sarebbero diventati concime per vermi.
Ed ero sicuro che, avvenuto ciò, nessuno avrebbe più osato ostacolare la mia giustizia.
Il mio mondo, popolato solo da angeli, si faceva sempre più reale.

 

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Capitolo 7
*** Papà (Light) ***


 Ok, lo so che Misa durante l'ultimo periodo della storia era stata presa "sotto la sorveglianza" di Near, ma così la mia storia non sarebbe potuta andare avanti, per cui, perdonatemi questa piccola modifica. E poi, penso che nemmeno Near avrebbe mai avuto il coraggio di rapire una donna incinta del nono mese..........no, aspettate...............forse si. 



7. PAPÀ (LIGHT)

 
28 gennaio 2010
 
La notte del 27 gennaio non riuscivo a dormire.
Ed ero certo che nessuno lo avrebbe fatto.
Poche ore.
Mancavano solo poche ore e tutto sarebbe finito.
Il mio sguardo era fisso davanti alla finestra, e dietro le luci di una Tokyo sonnambula si poteva intravedere la buia periferia, dove si ergeva anche lo Yellow Box.
Non potei trattenere un sorriso davanti alla prospettiva di quel che sarebbe capitato l’indomani.
No, anzi, il giorno stesso, visto che la mezzanotte era passata da un pezzo.
Giocherellavo con una penna seduto in poltrona, assorto nei miei pensieri, quando sentii aprirsi la porta della camera da letto.
Percepii Misa che si trascinava per il corridoio, fino a che non si fermò a pochi passi dalle mie spalle.
Mi girai a guardarla.
I capelli erano disordinatamente sciolti sulle sue spalle, gli occhi ancora assonnati mancavano di lucentezza anche a causa dell’assenza di trucco, perennemente presente sul suo volto.
Indossava una camicia da notte di velo morbido, che aderiva perfettamente alla sua pancia da nono mese.
Pareva quasi una seconda pelle, tanto che le si poteva intravedere persino l’ombelico.
-Che c’è, Misa?
-Light, non mi sento molto bene.
Non fece neanche in tempo a finire la frase, che sotto di lei si formò una larga pozza di liquido amniotico.
Iniziò a tremare di dolore per le contrazioni che non tardavano a farsi sentire, e a quel punto non potei fare altro che buttarle la mia giacca sulle spalle e caricarla in macchina, diretti all’ospedale.
-Merda… tra tutti i giorni proprio oggi!
Estrassi il cellulare dalla tasca e iniziai a pigiare nervosamente i numeri della testiera, sbagliando parecchie volte la combinazione.
-Cosa fai, Light?
-Chiamo Aizawa. Devo quantomeno informarlo della situazione. Male che vada, mi verranno a prendere in ospedale e poi andremo al luogo dell’incontro.
-Ma sono le tre di notte.
-Questo non è un problema.
Bastarono pochi squilli e nel mio orecchio si fece spazio la voce del poliziotto.
Come sospettavo, non stava dormendo.
-Sono Aizawa.
-Aizawa, sono Light. Sto portando Misa all’ospedale, non so quanto ci vorrà. Se non finisco in tempo, venitemi a prendere mezz’ora prima dell’appuntamento, in qualunque caso.
 Un’auto mi tagliò la strada. Figlio di un cane.
-All’ospedale? Non starà mica per…
-Conto su di te.
-Light, aspet…
 
Arrivammo all’ospedale alle 3 e17.
Misa entrò subito in sala, ed io non potei fare altro che aspettare.
C’erano altri uomini nella sala d’attesa.
Uno non faceva altro che andare su e giù per il corridoio, un altro faceva a pezzettini sempre più minuscoli un depliant preso dal tavolino, e un altro ancore non scollava l’orecchio dal telefono, intento ad avvisare parenti, amici e quant’altro.
Erano tutti uomini di mezza età, ed io, poco più che ventenne, mi sentivo quasi a disagio.
Ma non ero in ansia per Misa.
Anche se le fosse successo qualcosa, non mi avrebbe cambiato niente.
Sarebbe stato solo un fardello in meno.
Che io non l’avessi mai amata era un dato di fatto, ed ora il fatto che non avesse neanche più il potere degli occhi, faceva di lei una pedina inutile nelle mie mani.
Mi stropicciai gli occhi infastiditi dalla luce abbagliante delle lampade ospedaliere.
“E ora questo…lo sapevo che avrei dovuto ucciderla quando ne avevo l’occasione.”
-Ehi, Light! Quanto ci vorrà?
Ah, già… tutto quel meraviglioso quadretto era incorniciato dall’ingombrante presenza di Ryuk.
-Chi può dirlo…
-Non mi sembri per niente agitato.
-Ora ho ben altro per la testa, non credi?
-Eddai! Questo rende il tutto ancora più divertente.
-La cosa mi è del tutto indifferente.
Lo shinigami alzò lo sguardo al soffitto.
-Già… me la sarei aspettata una risposta simile da te. Certo che, però, è una noia aspettare qui fuori. Potessi almeno mangiarmi una mela.
 Accennai un sorriso e rimasi con le spalle al muro, senza muovere un muscolo per tre intere ore, dopodiché un’infermiera fece capolinea da dietro la porta con in mano una cartella clinica.
-Signor Yagami?
Sollevai di scatto la testa che era rimasta china a peso morto per tutto quel tempo.
-Sono io.
Mi sorrise.
-Prego, può entrare.
Quando feci per varcare la soglia del corridoio mi bloccai.
Sentivo un rivoltante peso sullo stomaco e le gambe parevano quasi incollate alle mattonelle bianche.
Davanti a me si apriva lo scenario di un continuo via vai di infermiere con in mano lenzuola, biberon e affini.
-Che hai, Light?
Ryuk non tardò a farmi capire che aveva intuito la mia esitazione.
“Ma…ma che mi prende?”
Mi guardai le mani, incredulo.
Tremavano.
“Maledizione. Non posso rammollirmi proprio adesso. È solo un moccioso. Non ho nulla di cui preoccuparmi. Non è altro che un fastidioso insetto che si è spiaccicato sul parabrezza della mia vita…”
Ripresi il totale controllo del mio corpo.
“…come sua madre.”
L’infermiera si fermò davanti alla stanza numero 42.
-Eccoci arrivati.
La porta si aprì.
Misa giaceva nel letto con una flebo in vena e una maschera per l’ossigeno, che le avvolgeva il naso e la bocca.
Gli occhi erano chiusi.
-Non si preoccupi. Ha perso molto sangue, ma ora si sta stabilizzando. È quasi totalmente fuori pericolo.
 La donna estrasse dalla teca di vetro posizionata accanto al suo letto un fagotto bianco che pose delicatamente tra le mie braccia.
-Congratulazioni. È un maschietto.
Fu un attimo.
Non so spiegare correttamente ciò che provai in quel momento.
Ma era qualcosa di nuovo.
Di mai sperimentato.
Un misto di meraviglia, stupore ed incredulità.
Nel corso di quegli anni avevo strappato la vita a così tante persone, che mi era impossibile credere al fatto che fossi ancora capace di crearne una.
Nove mesi.
Una vita, per generarsi, ha bisogno di nove mesi.
E a me, per distruggerla, bastavano quaranta secondi.
-Eh eh! Guarda un po’, Light! Ti somiglia!
Anche Ryuk era incredulo davanti a quel piccolo esemplare di essere umano, che, effettivamente, pareva la mia miniatura.
Ero ancora completamente paralizzato, quando sentii la mano di Misa sfiorarmi debolmente il braccio.
Si era svegliata, e sembrava anche aver riacquistato un po’ di colorito in volto, ma gli occhi e i capelli erano completamente spenti.
-Dobbiamo… trovargli un nome.
Un nome.
In nove mesi, la questione non era mai stata stranamente sollevata.
Pensavo che Misa ne avesse già scelto uno per conto suo o che, più banalmente, avrebbe voluto chiamarlo come me.
Non avrei mai immaginato che avessi dovuto dire la mia.
Di primo impulso, immaginai che tutti si sarebbero aspettati che il bambino sarebbe stato chiamato Soichiro, come il nonno, ma non sentivo il bisogno di conservare la memoria di mio padre attraverso mio figlio.
Il piccolo, tra le mie braccia, iniziò ad agitare le mani, dimostrando una notevole vitalità, fino a che la punta del suo pollice gli finì tra le labbra.
E lì rimase.
A quella visione, per poco non svenni.
 
Perché proprio lui?
Perché mi ritornava in mente proprio in un momento del genere?
Bastò quel piccolo gesto, per risvegliare i fantasmi del passato.
Non provai rancore.
Non provai pentimento.
Lui doveva morire.
Non avevo nulla da rimpiangere.
Non avevo mai pensato di aver fatto la cosa sbagliata.
Cristo… gli avevo anche riso in faccia!
Tuttavia, sentivo il bisogno di fare quella cosa.
Mentirei, se dicessi che, nel profondo, non mi fosse rimasto nulla e che non avessi provato nulla.
Dovevo farlo.
Per me.
Per lui.
-Chiamiamolo Ryuzaki.
Misa sorrise, ed io le consegnai Ryuzaki tra le braccia.
I commenti di Ryuk non tardarono a farsi sentire.
-Ryuzaki?!? Sei perverso, Light!
Eppure lo diceva in maniera divertita.
 
Non penso di aver mai provato amore per nessuno.
Il mio cuore appartiene alla giustizia.
Tuttavia, quella fu l’unica occasione in cui pensai di aver percepito un sentimento simile.
Mi sentivo in dovere di proteggerlo, quel bambino.
Quel bambino che ora portava il nome dell’unica persona al mondo che mi aveva chiamato “amico”, e che io avevo condannato.
Ma, per essere Kira, per essere Dio, bisogna saper rinunciare a certe cose.
Guardai l’orologio, avevo ancora tempo, e il quartier generale doveva essere vuoto a quell’ora.
-Misa, io esco un attimo.
Non è nel mio stile preparare piani di riserva.
Ho sempre avuto molta fiducia nelle mie capacità.
Eppure…
 
Un’ora dopo tornai all’ospedale e non feci altro che fissare Ryuzaki da dietro il vetro insieme a mia madre che non faceva che elogiare tutte le sue somiglianze con me e con mio padre.
-Speriamo che almeno gli occhi li abbia ereditati da Misa, altrimenti non le rimane più niente, povera cara! Ah, ah! Non resta che aspettare che li apra, giusto, Light?
 In quel momento, lo squillo del mio cellulare rispose per me.
- È il numero di Aizawa. Devo andare.
-Aspetta, non saluti Misa?
-No. conoscendola… farebbe di tutto per trattenermi.
Posai la mano sul vetro e diedi un’ultima e profonda occhiata a… mio figlio.
-Ci vediamo dopo.
Cominciai a percorrere il lungo corridoio che mi separava dall’uscita.
-Sai, Ryuk, è proprio per le persone che mantengono l’innocenza di un bambino che io sto costruendo il mio mondo.
-Innocenza? Tu, fra tutti, mi sembri proprio quello che ne è più carente.
-Forse. Ma, se vuoi essere Dio, l’innocenza è l’ultima cosa di cui hai bisogno.
 L’auto mi stava aspettando proprio davanti all’entrata principale.
Quando entrai, notai subito che il quaderno era stato affidato ad Aizawa.
C’era da aspettarselo.
-Signori.
-Light.
La tensione tra i tre uomini era palpabile, sapevano che la loro vita era estremamente in pericolo…
Mi scappò un sorriso sotto ai baffi.
…e facevano bene, ad avere paura.
A causa dell’incompetenza di Near ora… sarebbero morti tutti.
-Non ci dici niente, Light?
Ovviamente, Matsuda era l’eccezione.
Non aveva fatto altro che fissarmi dal momento in cui ero salito in macchina.
Intanto, il pesante odore di ospedale che mi portavo dietro si era esteso in tutta l’autovettura.
-Cosa dovrei dirvi, Matsuda?
Il suo viso si illuminò.
-È maschio o femmina?
-Ma ti sembrano cose da chiedere, in un momento del genere?
Il mio tono di voce era irritato, e lui ci rimase parecchio male.
Un po’ mi dispiacque.
Dopotutto, avevo appena confessato a Ryuk che il mio mondo sarebbe stato abitato solo dalle persone che conservavano la bontà d’animo di un bambino e, in effetti, Matsuda poteva essere una di quelle.
Lui stesso non aveva negato di approvare l’operato di Kira, in fondo al suo animo.
Ma era un poliziotto e, per quanto lo ritenessi idiota ed infantile, costituiva pur sempre una minaccia.
-Comunque, è maschio.
-Ah, lo sapevo! Ide, mi devi 5000 yen!
-Matsuda!
Per il resto del viaggio nessuno disse una parola di più.
Diedi un’ultima occhiata al cielo, prima di entrare nell’edificio, mentre mi preparavo a vivere l’alba di una nuova era.

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Capitolo 8
*** The Final Countdown (Light) ***


 

THE FINAL COUNTDOWN (LIGHT)

 
-Trentacinque…
 
Non scorderò mai quelle parole.
 
-… trentasei…
 
Quelle sillabe che rimbombavano tra le pareti di cemento.
 
-…trentasette…
 
Il conto alla rovescia più lungo della mia vita.
 
-…trentotto…
 
Quella voce stava aprendo le porte del mio regno.
 
-…trentanove…
 
E poi…
 
-…quaranta!
 
…il mio mondo crollò.

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Capitolo 9
*** Addio (Light) ***


 Bene...capitolo assolutamente futile per il proseguimento della storia ma ho provato a fare un piccolo esperimento per vedere come sarebbe venuta la mia prima esperienza da semi-yaoista...mi scuso nuovamente per la futilità del chappy...e ovviamente mi scuso anticipatamente se si rivelerà un vero schifo..........buona lettura :)........si spera XD

9. ADDIO (LIGHT)

 
Ed ora, eccoti.
Qui.
Davanti a me.
Vuoi dirmi addio?
Noi non potremo più vederci… lo sai?
Quasi mi vergogno a farmi vedere da te, in questo stato.
L’odore del mio sangue si fa sempre più pesante e doloroso da respirare.
Perché devo morire?
Non voglio morire… non POSSO morire!
Forse è così che ti sei sentito, quella volta.
Vedo il tuo volto avvicinarsi sempre di più al mio, percepisco il tuo calore, ora.
Che cosa vuoi fare?
Ridere anche tu?
No… so che non lo faresti.
Sento il cuore esplodere all’interno del mio petto.
Forse è il dolore dell’attacco cardiaco, o forse è solo l’effetto delle tue labbra sulle mie.
Non so se tutto ciò che vedo e sento ora sia reale.
Tutto quello che so è che non voglio separarmi da te.
Non voglio sottrarmi dal tuo bacio.
Non voglio allontanarmi dal tepore del tuo corpo.
Ma devo andare.
E anche tu, devi andare.
Mi hai offerto questo assaggio di paradiso, e ora, a me, spetta il nulla.
La tua ombra sparisce lentamente davanti alle mie palpebre, che si serrano per sempre.
Dietro di te, intravedo ancora il sole, quella stella che avrebbe dovuto illuminare il mio mondo di luce.
È lì per me.
E anche lui mi osserva mentre lascio questo mondo.
Ci osserva entrambi.
Due fantasmi che si salutano, e forse ora è lui a ridere di noi.
Ma non m’importa.
Non vedrò mai più la luce da me tanto desiderata, e soprattutto non vedrò mai più te, che continui a starmi accanto in questi ultimi secondi.
Le nostre labbra si staccano e tu ti allontani, lasciandomi nel buio.
Torna indietro, ti prego!
Non abbandonarmi!
Rimettimi pure quelle tue manette del cazzo, ma non lasciarmi qui!
Ma tu vai.
Una lacrima riga il viso di entrambi, ed è l’ultima cosa che vedo di te.
Il bianco ora ti avvolge, sottraendoti dalle mie braccia.
Addio, mio angelo.
 

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Capitolo 10
*** Umanità (Aizawa) ***


 Questo è uno dei capitoli di "transizione"...come noterete subito non c'è molta azione come negli altri, tuttavia sono capitoli inidspensabili quindi mi scuso anticipatamente se vi annoierò troppo in questi pochi capitoli intermedi...siate clementi XD...ma non temete...l'action ritornerà presto...vi auguro ancora una buona lettura :)

10. UMANITA’ (AIZAWA) 

Non mi sentivo particolarmente sotto shock.
Ora che tutto era davvero finito, non potevo fare altro che sentirmi sollevato, ma ero certo che la mia vita non sarebbe più stata la stessa, dopo quell’esperienza.
Nell’auto l’atmosfera era tombale.
L’unica cosa che rompeva il silenzio era il pesante respiro di Matsuda, seduto accanto a me.
Il suo sguardo era vuoto, intento a fissare le sue stesse mani, che non avevano smesso un attimo di tremare dopo ciò che era successo.
Forse, il suo, era stato un gesto un po’ troppo impulsivo, ma una cosa era certa.
Grazie a lui, una vita era stata salvata.
Se quella persona avesse meritato, o meno, il coraggio che gli era costato con quell’azione, non spetta a me stabilirlo.
-Tutto ok?
Alzò gli occhi spenti, per poi tornare quasi immediatamente nella stessa posizione.
-S… si.
Mi faceva un po’ pena.
Lui era l’unico che nutriva ancora una cieca fiducia in Light.
Ormai, L ci aveva messo la pulce nell’orecchio e più il tempo passava, più io, Ide e Mogi ci rendevamo conto di quella realtà che sembrava quasi un perverso gioco del destino.
L’ingenuità di Matsuda aveva funto da paraocchi, e la verità lo aveva colpito come una mazzata alle spalle.
-Come glielo diciamo a Misa?
Se per noi i problemi erano finiti, per lei erano appena iniziati.
-So bene che non è necessario che sappia che Light era Kira, anzi, nessuno dovrà venirlo a sapere, specialmente la madre e la sorella, ma non potremo nascondere per sempre la sua morte.
 L’unico a rispondere fu Ide che, contemporaneamente, si trovava al volante dell’auto.
- È un bel guaio. E, ora che ha appena partorito, le condizioni non sono delle migliori. Dico bene, Aizawa? Dopotutto, tu tra noi sei l’esperto in materia, essendo l’unico con figli.
 Sospirai. Ide aveva brutalmente ragione.
-Si, le depressioni post partum sono molto frequenti e, conoscendo Misa, so che sarebbe capace di gesti estremi, dopo essere venuta a conoscenza della sua morte. Dobbiamo salvaguardarla, sia per il suo bene, che per quello del bambino.
 Ide e Mogi annuirono, saremmo dovuti starle vicino, sarebbe stato disumano abbandonarla in un momento del genere.
 
Quando entrammo nella sua stanza, la trovammo di spalle, con lo sguardo rivolto all’orizzonte, fuori dalla finestra.
Dal camice sbucava un tubicino collegato ad una flebo quasi del tutto consumata.
La madre di Light era seduta vicino al letto e, non appena ci vide entrare, scattò in piedi come una molla, in attesa di buone notizie.
Ora veniva il difficile.
Feci accompagnare fuori la signora Yagami da Ide e Mogi, mentre io e Matsuda ci saremo occupati di Misa.
Lei, intanto, continuava a cercare il fidanzato con lo sguardo, che vedevo mutare gradualmente in una smorfia di terrore.
-Dov’è Light?
Riuscivo a malapena a guardarla negli occhi.
-Misa…
Le parole non uscivano.
Non esistevano parole adatte in quella situazione ma, per mia fortuna, se si può chiamarla così, lei aveva già capito tutto.
La vidi sbiancare di colpo.
Si girò, immagino tentando di mettersi seduta sul letto, ma le gambe non riuscirono a sostenere la prepotenza di quella realtà. Così si ritrovò per terra, avvolta dalle mie braccia che tentavano di farla rinvenire.
Riaprì gli occhi quasi immediatamente, e mi resi conto che, senza la loro solita luce, rendevano irriconoscibile il viso della ragazza, totalmente ribaltato rispetto a come lo avevo sempre visto.
Eravamo affezionati a Misa, tutti noi. Ed eravamo anche consapevoli che, senza Light affianco, lei non sarebbe mai più stata la stessa.
La presi in braccio, e la feci distendere dolcemente sul letto, stando attento a non strapparle la flebo.
-Hai bisogno di un aiuto, Misa. Un aiuto che noi non siamo in grado di darti. Dovrai essere seguita da uno psichiatra. È per il tuo bene, cerca di capirlo.
 L’ho sempre trovata una frase inutile e scontata, ma, sul momento, non mi venne in mente nient’altro di buono.
Matsuda finalmente si mosse dal suo stato vegetativo e si posizionò davanti alla teca del bimbo.
Non ci avevo quasi fatto caso, a lui, quando ero entrato.
Immagino che fosse intento a leggere il contenuto della schedina azzurra incollata sul lato frontale, quando la sua espressione apatica si evolse in un ghigno di rabbia, mista ad indignazione, che fece paura anche al sottoscritto.
Mi diede le spalle, a denti stretti, con il viso gonfio di ira, e uscì dalla stanza sbattendo la porta dietro di se.
Ovviamente, io ancora non potevo conoscere il motivo della sua rabbia precoce.
 
Quando vidi per la prima volta il bambino, la prima cosa che notai fu il folto ciuffo castano che sbucava dalle coperte bianche.
Il panno di cotone lo avvolgeva fin sotto il mento, tuttavia non mi fu difficile riscontare l’impressionante somiglianza con il padre.
Ora, il suo fantasma ci avrebbe perseguitato per tutta la vita.
Quel bambino era lì per una ragione.
Lui, non doveva farci dimenticare Light.
La sua presenza era necessaria affinché noi ci potassimo dietro quell’amaro ricordo per il resto della nostra esistenza.
Non ci era permesso rimuovere tutto, e non sarebbe stato giusto nei confronti di Light stesso.
L’occhio mi cadde sui caratteri cubitali scritti in nero su sfondo celeste.
Alla loro vista, feci un passo indietro, passandomi una mano tra i capelli.
“Ryuzaki Yagami”
Un bambino così piccolo, che portava un nome così pesante.
Non persi un secondo di più in quella stanza che pullulava di dolore e rassegnazione.
Mi precipitai da Matsuda, fermo in corridoio con la fronte appoggiata al muro e gli occhi che minacciavano di schizzare fuori dalle orbite.
-Matsuda…
-Aizawa…
La voce gli tremava.
Manifestava lo stesso stato d’animo che aveva fatto esplodere da dentro di se qualche ora prima, alla periferia di Tokyo.
-…tu…hai visto…che nome gli ha dato, quel bastardo?
Non risposi subito.
Dovevo tentare di riprendere il controllo delle mie emozioni…almeno io.
-Matsuda, sai io…non penso che lo abbia fatto con cattiveria.
Sollevò lo sguardo, fulminandomi, incredulo davanti a quella mia affermazione.
-Ma si, io…non so che cosa passasse per la testa in quel periodo a Light, ma sono sicuro che il legame che si era instaurato tra lui ed L,  non fosse così fasullo.
 Gli posai una mano sulla spalla.
-Magari…a modo loro…si sono davvero voluti bene.
Ero il primo a non credere alle mie stesse parole, tuttavia quelle poche frasi sembrarono funzionare con Matsuda, perché non ci volle molto, che lui tornò a rasserenarsi, pur sempre mantenendo l’evidente stato di sconvolgimento.
Nel frattempo, Ide fece capolinea da dietro l’angolo, a viso basso.
-Dov’è Mogi?
-L’ho lasciato con la signora. Immagino che Misa non sarà la sola ad aver bisogno di uno psichiatra.
- È il minimo, direi.
Ide spostò lo sguardo sulla porta della stanza numero 42.
-Piuttosto…se Light è Kira, allora vuol dire che Misa…
Io e il mio collega ci lanciammo un’occhiata d’intesa.
-Si, ho capito.
-Cosa? Volete che la faccia franca?
Matsuda ci guardò indignato.
-Matsuda…l’hai vista anche tu, vero? Sicuramente avrà rinunciato alla proprietà del quaderno, ed ora non ne conserva più alcun ricordo. La vita le ha già giocato abbastanza tiri mancini, ora non possiamo riuscirne con questa storia.
 Abbassai silenziosamente la maniglia e la vidi buttata tra le lenzuola, abbandonata a se stessa come una vecchia bambola gettata tra i rifiuti.
-Ormai…non può più fare del male. L’unica persona a cui può nuocere, ora, è se stessa.
 Ide si massaggiò le palpebre.
-Cristo…Light fa quasi più danni da morto che da vivo.
Io e Matsuda non riuscimmo a trattenere un accenno di risata, che pareva quasi un sussurro.
-Ci aveva proprio presi per il culo, eh?
Mi lasciai cadere a peso morto su una delle poltroncine posizionate in fila, lungo il corridoio.
-Credete che Near si farà più sentire?
-Bhè, in fondo, è in debito. Matsuda gli ha salvato la pellaccia.
Questa volta ridemmo di gusto.
-Ora non mi va di pensare a lui. Ma, è chiaro che, non potrà interrompere così bruscamente i suoi rapporti con noi.
 Io e Ide annuimmo.
Le cose non sarebbero più state le stesse.
Ognuno di noi era, in qualche maniera, cambiato.
Il nostro legame si era rafforzato, in quanto unici custodi di un segreto che non sarebbe mai stato rivelato al mondo intero.
 

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Capitolo 11
*** Post Kira (Aizawa) ***


 

 11. POST KIRA (AIZAWA)

 
28 gennaio 2011

Trascorso un anno, dall’archiviazione definitiva del caso Kira, il lavoro in polizia si era decisamente fatto più monotono.
Il mondo aveva attraversato un profondo periodo di crisi, ma c’era ancora chi sperava in una nuova ascesa del salvatore.
Il livello della criminalità era risalito, e questo mi faceva capire che, in fondo, le persone non cambiano.
Kira aveva creato solo l’illusione del cambiamento.
Il suo era un dominio costruito sulle fondamenta del terrore.
Non spettava di certo alla sua mente malata il compito di portare la giustizia sul pianeta.
Near aveva ragione.
Non era altro che un assassino psicopatico.
Ora, i rapporti con Near erano rimasti piuttosto pacifici.
Richiedeva la nostra collaborazione, certe volte, ma nulla di più.
Adesso era lui a nascondersi dietro la lettera L e, solitamente, preferiva lavorare da solo.
E a noi stava bene così.
Non ci sentivamo mai completamente a nostro agio in sua presenza, ancor meno che con il primo L.
 
Guardai l’orologio da polso mentre camminavo per le vie della città, in balia del vento tagliente, in quel pomeriggio di fine gennaio.
Le tre e quarantacinque.
“Acc…sono in ritardo.”
Affrettai il passo, riparandomi il viso con il colletto del cappotto.
Facevo fatica a tenere gli occhi aperti mentre ero colpito al viso da quelli che parevano migliaia di spilli danzanti in quel vortice burrascoso, che ululava penetrandomi nelle orecchie.
Dopo qualche isolato, finalmente arrivai a destinazione.
Mi sistemai il soprabito, cercando di ricomporre il mio aspetto piuttosto scompigliato e bussai alla porta, tirando un sospiro di sollievo per essere scampato alla tempesta.
Dopo una manciata di secondi, l’uscio si aprì, facendo spazio alla figura di Misa.
Era passato più di un mese dall’ultima volta che l’avevo vista, e non potei fare a meno di rattristirmi, davanti alla sua immagine così trascurata, che un tempo era stata protagonista delle fantasie più perverse degli uomini di metà Giappone.
Mi accolse con un sorriso sincero.
-Finalmente! Non ci speravamo più!
-Scusa il ritardo, Misa. Spero di non essermi perso niente.
-Tranquillo.
Mi invitò ad entrare, e così riuscii, a mio malincuore, a vedere meglio il fisico sciupato.
Non c’era differenza tra il volume dei glutei e quello delle cosce, il seno era pressoché inesistente, ma la cosa più tristemente pietosa era il suo viso.
Spento, opaco.
E tutta la sua vitalità se n’era andata insieme alla luce che le illuminava lo sguardo.
Il biondo sole della sua chioma aveva fatto spazio ad un giallo crema, tendente al color della cenere.
-Solito ritardatario, eh, Aizawa!
La voce squillante di Matsuda mi fece cadere dalle nuvole e lo vidi subito, mentre sedeva tra Ide e Mogi davanti ad un piccolo tavolino da salotto su cui erano appoggiate ordinatamente delle tazze da tè ancora vuote.
Poi, l’occhio mi cadde sull’altro divanetto, occupato da Sayu e Sachiko Yagami.
La ragazza si alzò, accogliendomi con un radioso sorriso.
Faceva piacere sapere che, almeno lei, aveva riacquistato un briciolo della sua spensieratezza, che tutti davano ormai per morta e sepolta.
-Quanto tempo, signor Aizawa!
-Sayu! Ci sei anche tu! Non mi aspettavo la tua presenza: pensavo che, di questi giorni, tu fossi impegnata col trasloco.
-Ho lavorato come una matta per settimane. Una giornata libera per il compleanno del mio nipotino potevo concedermela.
-Si, hai proprio ragione.
Mi sedetti accanto a lei, rivolgendo lo sguardo alla madre.
-Come sta, signora?
Mi rivolse un debole sorriso, abbassando, quasi subito dopo, lo sguardo verso le ginocchia.
-Si sopravvive. Ma devo farmi forza. Sono sicura che Soichiro si arrabbierebbe molto nel vedermi così abbattuta.
 Nel sentire il nome del vicedirettore, tutti noi avemmo un attimo di esitazione, e l’atmosfera rischiava di diventare fin troppo pesante.
L’ultima cosa di cui avevano bisogno quelle povere donne, erano altre revocazioni dei fantasmi del passato.
Fui subito pronto a cambiare discorso.
-Ma, dov’è il festeggiato?
Misa, che si trovava ancora in piedi, di ritorno dalla cucina con una grossa teiera fumante, buttò l’occhio nella sala affianco.
-Era qui, fino ad un attimo fa…
Posò il grosso contenitore di ceramica e sospirò.
-Da quando ha imparato a camminare non fa che crearmi ansie. Non si sa mai dove possa sgattaiolare, cosa possa toccare o, ancor peggio, mangiare!
 Sorrise, alzando gli occhi al cielo.
-Quella peste…mi dà quasi più preoccupazioni di suo padre.
La stanza diventò di ghiaccio.
Ma, a scioglierlo, ci pensò proprio il piccolo, che fece la sua entrata trionfale salutandoci con un sonoro strillo.
-Ryuzaki! Vieni ad abbracciarmi!
Si precipitò su di me emettendo gioiosi squittii e tentando di balbettare un saluto.
-…io. Z…z…zio! Ai…awa!
Sua madre lo corresse.
-Ryuzaki, lo sai che non devi chiamare gli zii per cognome.
-Non ti preoccupare, Misa! In fondo, non posso dargli torto. Tra di noi usiamo sempre il cognome per rivolgerci l’uno all’altro, e lui non può fare altro che imitarci.
 Tenendolo in braccio, ebbi modo di studiarlo più profondamente.
Ogni volta che i miei occhi incrociavano il suo volto, sentivo il cuore balzarmi fuori dal petto.
Quel viso così innocente, quei capelli castani lunghi fin sotto l’orecchio, e gli occhi.
Due enormi gemme color nocciola, che rubavano la scena a qualsiasi altra parte del suo corpo.
Anche se, fisicamente, Ryuzaki era il copia e incolla di Light, l’energia da lui emanata era totalmente differente.
Il suo animo infantile esibiva molto di più il genoma ereditato da Misa, o meglio, quel che era stato di lei.
E speravo con tutto il cuore che quel bambino sarebbe rimasto per sempre come sua madre.
Di certo, non avevo il benché minimo desiderio di rivedere sul suo bel visino le grottesche espressioni di Light, di cui ci aveva dato spettacolo un anno prima.
Lo stesso discorso valeva per il suo cinismo, per quegli occhi così impenetrabili, e freddi, che ci avevano presi in giro per tutti quegli anni.
 
Tutto sommato, quel pomeriggio trascorse piacevolmente.
Era rasserenante vedere Ryuzaki giocare e correre.
Certamente, era di grande compagnia a sua madre, che aveva un bisogno disperato di supporto e consolazione.
Rimanemmo soli, io e Misa.
Dovevo parlarle.
Ero appoggiato alla parete della cucina, mentre lei era intenta a lavare le stoviglie, dandomi le spalle.
-Misa, ora ho bisogno di una risposta sincera. Tu, come stai?
Chiuse il rubinetto e restò a capo chino sul lavabo.
-Non ce la faccio più.
Cominciò a singhiozzare.
I capelli le coprivano per metà il viso, che aveva iniziato a tremare e ad arrossarsi.
Anche la voce, tremava.
Mi si stringeva il cuore, nel vederla soffrire in quella maniera.
Non era raro vedere delle lacrime sgorgare dagli occhi di Misa, ma, il più delle volte si era trattato solo di semplici capricci, a cui ormai eravamo abituati.
Ma, questo non era il lamento di una bambina capricciosa.
Ero il primo ad essere consapevole dell’infernale agonia di Misa, che la stava rodendo e consumando come un lento ma doloroso morso di tarlo.
Era stata anche fin troppo forte, per resistere così a lungo in quelle condizioni in cui si trovava la sua psiche.
-Ogni volta che lo guardo…non posso fare a meno di vedere lui. È una maledizione. E anche oggi…non so se ricordare questo come un giorno di gioia per la sua nascita, o di dolore per la morte di Light.
 Mi avvicinai, offrendole la mia spalla su cui piangere.
-Tutti siamo consapevoli del tuo dolore, Misa. Ma più lui crescerà, più queste tue emozioni nei suoi riguardi si accentueranno. Pensa solo al suo bene.
 La fissai negli occhi.
-Non puoi permetterti di buttarti giù così. Mi capisci? Non si tratta solo della tua vita, ma anche di quella di Ryuzaki.
 Lei si girò, a guardare il piccolo, addormentato sul tappeto, avvolto in una coperta di lana, con la punta del pollice tra le labbra.
-Non so se ne sarò in grado.
La abbracciai nuovamente, cingendole il capo.
Riuscivo chiaramente a percepire le sue costole, avvolte da un sottile velo di pelle sotto le mie dita.
Anche le spalle, le scapole, la colonna vertebrale…
Misa, era uno scheletro ambulante.
Provavo quasi un senso di timore, nel stringerla così.
Sembrava che il suo corpo potesse andare in frantumi da un momento all’altro, sgretolandosi come sabbia al vento, scivolando via dalle mie mani.
-Ma si, che lo sarai. Sei sempre stata una ragazza molto determinata. Devi solo convincere te stessa.
 Si asciugò le lacrime, che avevano bagnato anche la spalla della mia felpa.
Lo sguardo era fisso sul pavimento, ma la sua fronte continuava a rimanere appoggiata al mio petto, mentre con una mano stringeva un lembo della maglia.
Non tremava più.
Giusto qualche breve spasmo di tanto in tanto.
Ma, avrei preferito che avesse continuato a piangere, per far si che rigettasse tutta quell’agonia che la stava distruggendo da un anno a quella parte.
Ma lei smise.
Non aveva nemmeno più la forza per quello, ormai.
-Ora vado, Misa. Qualcuno di noi verrà a controllarti ogni giorno.
Non mi andava di lasciarla da sola.
Non le faceva bene, rimanere rintanata in casa tutto il giorno, senza nessun tipo di contatto con qualcuno.
Le uniche volte in cui metteva piede fuori dall’uscio, era per recarsi alle settimanali visite psichiatriche che, in fin dei conti, si stavano rivelando del tutto inutili, almeno con lei.
Lei non aveva bisogno di nessuno psichiatra.
Lei, aveva bisogno solo di Light.
Era questa, la cruda realtà…  
Sollevai Ryuzaki dal tappeto e lo rimboccai, sopra al divanetto.
Fece qualche smorfia, ma poi riprese subito il suo sonno.
Dormiva con la bocca semiaperta e le braccia alzate sopra la testa, con i pugnetti semichiusi.
Ebbi un flashback.
Mi voltai di getto con occhi sgranati, affrettendomi ad uscire da quella casa, con ancora il cuore in gola, per quel macabro deja-vu su suo padre.
…e pensare, che lui era lì, accanto a lei.
Più vivo che mai.

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Capitolo 12
*** Sfinimento (Misa) ***


 

12. SFINIMENTO (MISA)

 
Mi sentivo stanca.
Distrutta.
Frantumata.
A pezzi.
In tanti, tanti piccoli pezzi che sembravano rimanere fragilmente attaccati tra di loro solo per un miracolo.
Era incredibile che fosse passato già un anno dalla sua morte, eppure, il suo fantasma continuava a perseguitarmi attraverso Ryuzaki.
Nei momenti peggiori, me ne vergogno, sono arrivata persino ad odiare quel povero bambino.
Quel bambino, che era l’unica cosa che mi teneva ancora incollata alla mia inutile e rassegnata esistenza.
Gli accarezzai la testolina, appoggiata sul cuscino del divano.
-Non è colpa tua, piccolo.
Mi sdraiai di fianco a lui, stringendolo tra le braccia, affondando il mio viso sul suo morbido petto.
Profumava.
Un delicato e dolce profumo che mi faceva dimenticare, per quei pochi attimi, solo il semplice fatto di essere viva.
Quando eravamo insieme, io non esistevo.
E neanche Ryuzaki, esisteva.
Esistevamo solo noi due.
Io, l’ho davvero amato, mio figlio.
E non solo per il semplice fatto che il suo aspetto mi riportasse alla memoria la figura di Light.
Anzi, forse quello era l’unico motivo che mi spingeva, nei momenti peggiori, a volermi allontanare da lui e dalla sua presenza.
Io l’ho amato, perché lui ha amato me.
Forse può sembrare un motivo troppo semplice, addirittura banale.
Ma è quello vero.
Vero, come il suo amore, che lui continuava imperterrito a sprecare, trasmettendolo a questa povera creatura dimenticata da Dio.
Un suo sorriso, anche il più piccolo dei gesti, era come una piccola scarica elettrica, che bastava a tenermi in vita molto di più , rispetto alle continue, riciclate, seppur sincere, parole che mi sorbivo ogni giorno da qualsiasi altro essere umano.
Appoggiai l’orecchio sul suo piccolo corpicino.
Sentivo il suo cuore.
Batteva.
Batteva forte.
Lui voleva vivere, non come il mio.
Anche se, dentro al mio torace rimbombava debolmente il suono del muscolo cardiaco, per me, quello non era altro che l’eco di una voce ormai morta e non resuscitabile.
 
Mi addormentai, credo.
Non molto.
Una o due ore.
E, quando mi svegliai, Ryuzaki era intento a giocherellare con una ciocca dei miei capelli.
Dalla finestra, i fiochi raggi solari andavano a riflettersi sulla sua folta chioma castana, che gli copriva, in parte, i riflessi color nocciola, che mi scrutavano attentamente, come se avessero vegliato su di me durante tutto il mio sonno.
-Ben svegliato, amore.
Balbettò un saluto, ed esibì il suo smagliante sorriso a quattro denti.
Mi massaggiai la testa, mettendomi a sedere, tentando di risvegliarmi completamente dal mio sonno.
-Lo zio ha ragione, sai? Non dobbiamo abbatterci così.
Mi infilai in un nanosecondo scarpe e cappotto, feci indossare una berretta di lana a Ryuzaki e poi lo presi in braccio, dirigendomi a passo deciso verso la porta.
 
Il vento, fuori, si era decisamente placato, e un timido solo veniva ogni tanto nascosto da qualche nuvola.
Nel tempo in cui rimaneva scoperto, scaldava debolmente l’aria fredda e pesante che stringeva il mio fragile fisico in una morsa di ferro.
Dopo mezz’ora di cammino, raggiunsi le porte del vecchio cimitero, che si espandeva sulle curve di una piccola collina.
Rimasi immobile, davanti al vecchio cancello arrugginito, mentre Ryuzaki puntava il dito, eccitato, verso la cima dell’altopiano.
-Pa…pa!
Gli presi la mano e gli risposi dolcemente.
-Si, amore…papà.
Ci incamminammo lentamente verso il silenzio di quel luogo sacro.
Un silenzio interrotto solo dallo scricchiolio della ghiaia che gemeva sotto le nostre scarpe.
I fiori sulla sua tomba erano appassiti, e mi venne spontaneo immedesimarmi in loro.
Svuotai il vaso, e solo in quel momento realizzai che non avevo portato neanche un piccolo rametto per sostituire il vecchio bouquet.
-Perdonami…
Ripulii anche la tomba di suo padre, che si trovava a pochi passi dalla sua sinistra.
Mi inginocchiai davanti alla lapide di Light, a capo chino, e con la mano sfiorai i caratteri incisi sulla fredda pietra.
Le lacrime sgorgarono nuovamente, gocciolando sulla nuda terra.
Non penso che i bambini così piccoli siano in grado di capire il significato della sofferenza, ma Ryuzaki doveva essersi accorto del mio dolore, in qualche maniera, perché subito mi ritrovai le sue braccia intorno alla mia vita.
Gli schioccai un bacio sulle guancie paffute e mi alzai, ripulendomi le ginocchia impolverate.
Il sole rosso stava lentamente scomparendo dietro le montagne all’orizzonte.
La sua luce opaca non dava dolore agli occhi, ed io rimasi ad osservare la maestosa palla infuocata, chiedendomi se Light avesse avuto modo di godersi il suo calore così intensamente, prima di esalare l’ultimo respiro.
Un anno prima, all’ospedale, la scena era identica.
“Chissà se lo stavi fissando anche tu, insieme a me.”
Lasciai il cimitero, promettendo a me stessa di tornarci il prima possibile.

Certo, ci sarei tornata di sicuro.

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Capitolo 13
*** Oblio (Misa) ***


 

13. OBLIO (MISA)

 
14 febbraio 2011
 

Mi sento bene.

Davvero.

Era tanto che aspettavo di sentirmi così felice.

Non vedo l’ora di rivederti.

Resto in attesa.

Aspetto la luce.

La tua luce.

Ma non arriva.

E non arriverà mai, per me.

Vengo risucchiata in un vortice nero e appiccicoso.

È questo il mio destino.

È questa la mia fine.

I ricordi riaffiorano.

Tutto torna a galla.

Ora non provo più niente.

Se non un senso di... rassegnazione.

Questa è l’ultima regola.

Il prezzo da pagare.

Ma…

Dio…

l’eternità...

sembra così lunga…

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Capitolo 14
*** Sangue (Aizawa) ***


 

14. SANGUE (AIZAWA)

 
-Che starano, non è da lei.
Bussai nuovamente sul legno della porta, in attesa di una risposta.
Di solito a quell’ora non usciva mai di casa.
Il giorno prima era stato compito di Mogi venire a darle un’occhiata.
Gli era sembrata felice, molto più serena.
E questo era un sollievo.
Forse la strada per uscire dalla depressione si stava accorciando.
-Misa! Sei in casa?
Nessuna risposta.
“Starà dormendo…”
Girai i tacchi, ma non avevo neanche completato tre passi, quando il silenzio del viale fu squarciato da un urlo proveniente dall’edificio che si ergeva alle mie spalle.
Mi voltai di scatto, con lo sguardo rivolto alla finestra del secondo piano.
-Ryuzaki!
L’urlo si era mutato in un assordante ed isterico pianto infantile.
Sfondai facilmente la porta e mi bastarono poche falcate per raggiungere il piano superiore attraverso le scale.
Seguii i violenti singhiozzi del bambino, e mi ritrovai spettatore di un orrido spettacolo, che marchiò a fuoco i miei ricordi e che mi avrebbe tormentato nei sogni ancora per molti anni.
Rimasi pietrificato, ad osservare il cadavere di Misa, senza essere capace di muovere un muscolo per almeno quaranta secondi.
Ed io so, quanto possono essere lunghi quaranta secondi.
Era sdraiata di fianco sul letto, ed indossava una semplice sottoveste bianca di seta, decorata con qualche pizzo.
La bocca era semiaperta, come le palpebre, che lasciavano intravedere ancora l’iride, che mi sembrava brillasse come non mai, in un modo macabramente ironico.
Anche i capelli avevano riacquistato la loro originale tonalità, splendenti più dell’oro, ad eccezione di alcune ciocche, diventate color rame, a causa del sangue proveniente dal suo petto, che aveva tinto le lenzuola di un’intensa tonalità scarlatta.
In mezzo al suo seno si era fatto strada un coltello da cucina, che ora continuava silenziosamente a gocciolare.
Estrassi Ryuzaki, avvolto tra le lenzuola insanguinate.
Il viso era paonazzo, rigato da pesanti lacrimoni, che continuavano a sfociare dagli occhi lucidi, che mi guardavano come se mi stessero implorando.
Le guancie del bimbo erano appiccicose e fredde, a causa della soluzione salina mescolata al sangue proveniente dal corpo di Misa.
In un primo momento, pensai che anche Ryuzaki si fosse tagliato, tentando inutilmente di risvegliare la madre.
Ma, per fortuna non fu così.
Ora aveva smesso anche di piangere.
Probabilmente, vedere la mia figura lo aveva rassicurato.
Adesso, io sarei stato in grado di risvegliare la mamma, che continuava a dormire, avvolta da quello strano e maleodorante liquido rosso.
Anche le sue mani, erano imbrattate di sangue.
Quelle mani che aveva teso verso di me non appena avevo messo piede nella stanza.
Lo presi in braccio, sollevandolo dal letto, e lui si aggrappò al mio collo, rimanendo rigido, rischiando quasi di soffocarmi con la sua stretta.
Lo lasciai scivolare delicatamente in un angolo della camera, il più lontano possibile da quell’orrenda visione.
Il suo labbro inferiore tremava, ed il profondo sguardo non smetteva neanche un secondo di supplicarmi.
“Svegliala, zio! Sveglia la mia mamma!”
Questo, era ciò che mi stava chiedendo.
Solo un piccolo e semplice desiderio, che io non potevo, e non avrei mai potuto, esaudire.
Dopo aver verificato ulteriormente che non avesse anche lui ferite addosso, mi gettai su Misa.
Non estrassi il coltello.
Essendo un poliziotto, sapevo come mi sarei dovuto comportare.
Non avrei nemmeno dovuto toccarla.
Ah…fanculo le regole!
-Misa! Misa!
Il mio maglione giallo assunse una bella tinta color ciliegia, a contatto con il sangue ancora fresco.
Mi strinsi il suo capo sul mio petto, sperando che rinvenisse, quella che ormai non era altro che un ammasso di carne fredda e dura.
-Misaaa!
 
L’ambulanza arrivò cinque minuti dopo la mia chiamata, ma ormai era troppo tardi.
Portarono via anche Ryuzaki, per degli accertamenti.
Ed io rimasi sulla porta di casa, con i vestiti insanguinati e con i miei tre colleghi, ancor più sotto shock di me.
Matsuda singhiozzava.
-Che ne sarà, ora, di Ryuzaki?
Mogi si era informato poco prima.
-Verrà affidato a sua nonna, che è la parente più prossima. Adesso è anche lei in ospedale, insieme al piccolo.
 Matsuda si strofinò gli occhi con la manica della giacca.
-Credete che ce la farà, a crescerlo da sola?
-Ci siamo anche noi, Matsuda.
Rivolsi lo sguardo al cielo.
-Noi non abbandoneremo mai quel bambino. È una promessa. La sua vita è nelle nostre mani. Ma voglio che sia chiaro che…
 Si voltarono a guardarmi.
-…che noi non lo vedremo mai come il figlio di Light, come il figlio di Kira. Ma solo come il nipote del vicedirettore, e soprattutto…come quello che è realmente: un bambino innocente rimasto orfano. Ci state?
 Tutti annuirono senza esitazione.
Prendere Ryuzaki sotto la nostra ala poteva dimostrarsi una mossa rischiosa.
Ma nessuno meglio di noi sarebbe stato in grado di proteggerlo dalle sue radici.
O, almeno… così pensavamo.
 

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Capitolo 15
*** Fiori (Ryuzaki) ***


 

15. FIORI (RYUZAKI)

 
Mio padre morì il 28 gennaio 2010.
Era un poliziotto.
Mia madre il 14 febbraio 2011.
Lei era un’ex attrice e modella.
Entrambi erano seppelliti nel cimitero a due passi da casa.
Questo era tutto ciò che sapevo dei miei genitori all’età di cinque anni.
Anzi, questo era tutto quello che volevano farmi sapere.
 
14 febbraio 2015
 
Il 14 febbraio di ogni mese mi recavo al cimitero con i miei zii, per portare i fiori ai miei genitori e a mio nonno.
Non mi ci portavano mai il 28 gennaio, quando ricorreva l’anniversario della morte di mio padre, perché quello era, ed è tuttora, il giorno della mia nascita, e mia nonna voleva ricordarlo solo come un giorno di festa.
Lei non mi accompagnava quasi mai sulla collinetta.
E, quelle poche volte che era venuta, non aveva fatto altro che piangere.
Così, ero stato io, ad un certo punto, a consigliarle di rimanere a casa.
Non mi piaceva vederla soffrire.
Quel giorno, mi venne a prendere lo zio Aizawa.
Strana abitudine, la mia, di chiamare i miei zii per cognome.
Ma, a quel tempo, non ero nemmeno a conoscenza dei loro nomi di battesimo.
A loro non dava fastidio e, per me, era un modo originale per dimostrare affetto alle persone che mi erano state affianco fin dalla nascita.
Non appena varcai l’uscio, lo vidi mentre mi sorrideva, con le mani nella tasca del cappotto impermeabile.
Quando i nostri sguardi si incrociavano, percepivo sempre un lampo di esitazione, nei suoi occhi.
Ma, a questo particolare non davo la benché minima importanza.
L’affetto, che sentivo perennemente provenire dai loro animi, riusciva a coprire e a cancellare qualsiasi altro sentimento che avrebbero potuto provare nei miei confronti.
-Sei pronto, Ryuzaki?
-Certo, zio!
Mi precipitai fuori dalla porta con un grosso mazzo di fiori bianchi tra le dita.
-Caro, non dimentichi qualcosa?
Mi voltai in direzione di mia nonna, ferma sull’uscio di casa, che mi sorrideva con le braccia conserte.
-Ah, già! Scusa!
La raggiunsi con un balzo e le stampai un bacio sulla guancia.
-A dopo!

Quel pomeriggio, in cielo splendeva un sole insolitamente caldo, ed io iniziavo a sudare sotto la maglia di lana che mia nonna si era assicurata che indossassi.
-Ci sei solo tu, oggi?
-No. Ide…ehm, lo zio Ide ci aspetta direttamente sul posto.
Dopo pochi minuti, giungemmo alle porte del cimitero, e da lontano potevo già scorgere le tombe dei miei parenti, illuminate dai caldi raggi solari.
Davanti alla lapide di mio nonno, distinguevo nitidamente una sagoma scura, che ci dava le spalle, ed io accelerai il passo, andandole incontro, sventolando in aria la mano.
-Zio Ide!
L’uomo si voltò, e ricambiò il saluto con un sorriso.
-Ryuzaki!
Dopo pochi secondi, mi ritrovai avvolto dalle sue braccia, ancora annaspante per la breve corsa, affrontata con addosso ingombranti e costringenti abiti invernali.
I suoi occhi si posarono sul candido bouquet floreale, gelosamente custodito dalle mie piccole, seppur ancora paffute, manine infantili.
-Hai portato molti fiori, quest’anno.
-Si. L’anno scorso, dividendoli per tre, erano risultati quasi insufficienti, così non ho voluto correre rischi.
 Cominciai subito a distribuire i fiori, partendo da mio nonno, per poi passare a mio padre e, infine, a mia madre, che era sepolta qualche lapide più indietro.
Saltellavo, nel percorso tra una tomba e l’altra.
Aspettavo sempre con ansia il 14 febbraio.
Non la vedevo come la data della fatidica morte di mia madre, ma solo come “il giorno in cui si andava a trovare mamma, papà e il nonno”.
Ripensandoci, mi viene quasi da sorridere.
Un po’ invidio quel lato ingenuo ed infantile di me stesso.
Però, non è con l’innocenza, che si va avanti nella vita.
Ma, questo lo scoprii solo in seguito.
-Ciao, mamma! Hai visto? Ti ho portato i tuoi preferiti, quelli bianchi.
Li sistemai accuratamente sul vaso di vetro, che copriva in parte l’incisone “Misa Amane”.
Io avevo pochi ricordi di lei.
Ero troppo piccolo quando morì.
Nessuno aveva mai accennato al suo suicidio, non mi avevano rivelato la causa della sua morte, e lo stesso valeva per mio padre.
Ma io, in fondo al mio cuore, conservavo ancora l’orrore di quel giorno, e i ricordi delle mie dita insanguinate tra i suoi capelli.
Rosso.
Rosso.
Rosso.
E ancora rosso.
E l’odore del sangue, che mi toglieva il respiro.
Realizzai da solo l’ipotesi del suicidio.
Non immaginavo il perché del suo gesto, e non osavo chiederlo a nessuno.
Di mio padre sapevo ancora meno.
Un poliziotto.
Ecco, tutto quel che conoscevo sul suo conto.
Con mia nonna, non volevo mai sollevare l’argomento.
L’avrei fatta solo soffrire ulteriormente.
Credo di aver ricevuto un dono, alla mia nascita.
Io sapevo, e so tuttora, percepire in maniera straordinariamente precisa ciò che la gente accanto a me sta provando.
I loro stati d’animo, in poche parole.
Può sembrare strano, che un bimbo di cinque anni sia in grado di immedesimarsi nelle altre persone e che, soprattutto, possa comprendere le emozioni da loro emanate.
A volte quasi mi spaventava, questo dono, o maledizione.
Dipende dai punti di vista.
Comunque, non mi piaceva che le persone soffrissero.
Io volevo che tutto il mondo fosse felice.
Potrà suonare come un desiderio infantile, irraggiungibile.
Un’utopia.
E, magari, anche lo è.
Ma ero stanco di vedere i visi delle persone a me care sempre bagnati dalle lacrime.
Perché…?
Perché la gente soffre?
È a causa del male che ristagna nel mondo?
Ed è la stirpe umana a generarlo, questo male?
Ma, allora, se sul pianeta esistono questi uomini che piantano il seme della malvagità, ce ne saranno altri che provvedono ad estirparlo.
Questo era, per me, la vera missione dell’agente di polizia.
E questo era mio padre.
Un’ombra sfuocata in lontananza.
Un puzzle di cui avevo composto solo i primi miseri pezzi con le tasselle ricevute da quei pochi parenti che mi ritrovavo.
Oppure, semplicemente una lapide.
Un freddo blocco di pietra con un nome scavato sulla sua dura superficie.
Le sue foto, mi vennero mostrate solo qualche anno dopo, dai miei zii.
All’inizio, l’unica maniera in cui sapevo identificarlo, era in quel sepolcro.
A volte, venivo persino deriso per questo, dai miei compagni d’asilo.
Una volta, ci era stato assegnato un compito.
Un compito semplice, di quelli che fanno eseguire ai bambini durante i primi anni della loro carriera scolastica.
Disegna la tua famiglia.
Sul mio foglio, avevo scarabocchiato il mio ritratto, con gli arti rappresentati da una semplice linea dalla direzione irregolare, un rettangolo al posto del busto, e qualche dita di troppo sulle mani.
Mia madre, al contrario, era risultata molto più bella e proporzionata, dipinta dall’inchiostro di pennarello.
Il suo sorriso, però, lo avevo tracciato in maniera molto più contenuta, rispetto al mio, che si estendeva per tutta la faccia, arrivando quasi a toccare le orecchie.
Sullo sfondo, il verde del cimitero.
E il grigio delle lapidi.
Ed una scritta, inchiostrata sul sepolcro più grande, in cima alla collina.
Papà.
Gli altri bambini si presero gioco di me per almeno una settimana, e i ripetuti richiami da parte delle maestre non servirono a molto.
Anzi, quasi a niente.
Le loro risate strisciavano come vipere nelle mie orecchie e le parole di scherno mi tagliavano l’animo come una lama rovente.
A volte… gli esseri umani sanno davvero, come essere crudeli.
Anche se si tratta di individui estremamente giovani.
Ma io non reagivo.
Me ne stavo lì, in un angolino, a capo chino, consolato da quei pochi amici che ero riuscito a conquistarmi.
Però non piansi.
Questo mai.
Non potevo permettermi, di dargliela vinta.
Io ero più forte di loro, e sapevo rialzarmi, andando avanti a testa alta.
Forse, è stata proprio la mia condizione di orfano, che mi ha permesso di farmi le ossa per riuscire a sopravvivere in questo mondo di merda.
 
Se l’argomento “papà” con mia nonna non veniva sfiorato per volontà  mia, con i miei zii il discorso era l’esatto opposto.
Loro non provavano tristezza o sofferenza al suono del nome di mio padre.
Loro avevano paura.
Ogni singolo poro della loro pelle straboccava ansia ed agitazione.
Ma, qualsiasi individuo sarebbe stato in grado di leggere e decifrare il terrore che si rifletteva nei loro occhi.
Non ne comprendevo la causa.
Centrava con il suo lavoro?
Centrava con qualcosa che aveva fatto?
Centrava con la sua morte?
Forse.
Ma, per il momento sapevo accontentarmi delle informazioni che erano già in mio possesso.
Tuttavia, col passare del tempo, non mi feci più bastare le risposte confuse, balbettate allo scopo di acquietare un bimbo di cinque anni.

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Capitolo 16
*** Onore (Aizawa) ***


 

16. ONORE (AIZAWA)

 
-Sta crescendo.
-Si, è vero.
Da lontano, io e il mio collega lo osservavamo mentre era intento a parlare alla lapide di sua madre.
Faceva piacere vederlo.
Questo significava che aveva accettato serenamente la sua condizione di orfano.
Ryuzaki sorrideva.
Era strano…ma, nonostante il suo aspetto, non riconoscevo in lui l’immagine di Light Yagami.
Il solo fatto che sorridesse lo rendeva diverso da suo padre.
E, per tutti noi, era un sollievo vederlo crescere sotto un’altra luce.
Ci raggiunse, ed io gli porsi la mano, che strinse, porgendo l’altra a Ide.
Io e lui rimanemmo ancora a contemplare il sepolcro del vicedirettore, ripensando all’amara e ironica sorte che l’aveva trafitto.
Era così dannatamente crudele il fatto che suo figlio fosse stato Kira.
Sentii gli occhi gonfiarsi.
Non provo imbarazzo nel dire che feci fatica a trattenermi.
-Zietti, com’era mio nonno?
Ide si gonfiò il petto.
-Le parole non bastano a descrivere la sua persona. Era l’uomo più buono e forte che io abbia mai conosciuto. La giustizia fatta a persona.
 Sospirò.
-Magari a questo mondo ci fossero più persone come lui.
Ryuzaki guardava dinnanzi a se, in direzione della tomba.
-Mi sarebbe piaciuto conoscerlo.
Si alzò il vento.
-Voi, credete che gli avrebbe fatto piacere conoscermi?
Gli sorridemmo entrambi.
-Ma certo. Sono sicuro che sarebbe stato orgoglioso di te.
-Davvero?
Ci fissava con uno sguardo che era una via di mezzo tra il gioioso e l’imbarazzato.
 Ide gli accarezzò la testa.
-Sicuro. Ti stai occupando tu, di tua nonna. Non avrebbe potuto affidarla a mani migliori. Sei l’ometto di casa.
 Ryuzaki arrossì.
-La nonna non mi parla mai di lui. Ma io vorrei così tanto conoscere la sua storia. Lei diventa triste, quando pensa al nonno. Secondo voi è una cosa brutta, essere così curiosi?
 Rimanemmo sorpresi da tutta questa sua sensibilità nei confronti di Sachiko.
Non ce l’aspettavamo, da un bambino così giovane.
-No, Ryuzaki. Ma, vedi, a volte le persone fanno fatica a superare il passato e a ricominciare. Non devi preoccuparti, non è colpa tua se la nonna a volte può sembrare un po’ triste.
 Non sembrava molto convinto da quella mia affermazione.
Arricciò il naso, mantenendo lo sguardo basso.
-Comunque, io preferisco non parlare più con lei di queste cose.
 Sollevò gli occhi, che incrociarono i miei, provocandomi la solita esitazione.
Quella sensazione non scivolerà mai via dalla mia pelle…
-Ma, se chiedo a voi, non diventate tristi. Vero, zio?
 Raddolcii lo sguardo.
-Ma cosa dici? Lo sai che con noi puoi parlare di qualsiasi cosa. Siamo qui per questo.
 A quel punto, il piccolo fece una domanda che nessuno di noi due si aspettava, almeno in quel momento.
Era come se l’avesse faticosamente trattenuta dentro di se per tutto quel tempo.
Comprensibile.
Non c’è nulla da rimproverare.
Lui aveva il diritto di sapere.
-Com’è morto?
Ci fissammo a lungo, io e Ide.
Ryuzaki era un bambino molto intelligente, e sono sicuro che anche il mio collega pensava, come me, che sarebbe stato stupido e inutile raccontargli una balla.
-Tuo nonno…ha dato la sua vita per proteggere un oggetto molto prezioso. Sai, è stato davvero molto coraggioso. Devi essere fiero di lui. Ha fatto onore alla polizia.
-Onore?
Ci guardava con gli occhi stracolmi di meraviglia.
-Anche mio padre, è morto con onore?

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Capitolo 17
*** Eroe (Ryuzaki) ***


 

17. EROE (RYUZAKI)

 
Per un bambino, specialmente se maschio, la figura paterna è fonte di esempio, e costituisce una grande guida spirituale per il cammino della vita del figlio.
Non ho mai avuto di fianco a me mio padre, e così, nel corso della mia infanzia, io mi divertivo ad immaginare quale grande persona lui fosse stato.
Lo vedevo intento a rischiare la propria vita per salvare i più deboli, ad essere decorato con medaglie al valore, per il coraggio dimostrato.
Anche la sua morte, mi sono sempre aspettato che si fosse compiuta altrettanto coraggiosamente, e mi comparivano in testa schiere e schiere di persone in lutto per lui, consapevoli di aver perso un grande paladino della giustizia.
E che tutti, o almeno le persone di buon cure, sperassero in un suo miracoloso ritorno.
E, Cristo…quanto avevo ragione.
 

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Capitolo 18
*** Tombe (Aizawa) ***


 

18. TOMBE (AIZAWA)

 
Fummo entrambi presi dal panico.
Non era stato difficile spiegargli la verità sul vicedirettore.
Quel bambino faceva bene ad essere orgoglioso del nonno.
Guai, se non lo fosse stato.
Ma, non potevamo di certo svelargli la dura e triste realtà su suo padre.
Non mi aspettavo che sarebbe rimasto all’oscuro di tutto per il resto della sua vita, ma, di certo, nessuno di noi era pronto a servirgli in tavola quella difficile crudeltà.
Ryuzaki era un bravo bambino, e Light non si sarebbe mai meritato un figlio così.
-Ryuzaki, vedi… riguardo a tuo padre…
-Sono certo che fosse un grand’ uomo.
Doveva aver intuito che qualcosa ci turbava, così trasse da solo le sue conclusioni, che rispecchiavano in pieno il suo animo ingenuo ed invidiabilmente ignorante della verità.
-Io, da grande, voglio diventare come lui. Voglio diventare un grande poliziotto per venire a lavorare con voi, zietti. Desidero rappresentare la giustizia più di ogni altra cosa, così da poter fare di questo un mondo migliore, come sono sicuro avrebbero fatto il nonno e il papà.
 Un brivido gelido mi percorse la spina dorsale.
 
“Adesso è Kira a rappresentare la giustizia.”
 
Non ne sono sicuro, ma, per un istante, vidi una luce attraversare il suo sguardo.
Quella fu la prima volta in cui ebbi la netta sensazione di ritrovarmi nuovamente di fronte alla presenza di Light Yagami.
 
“Solo io sono in grado di costruire un nuovo mondo…soltanto io.”
 
No, Ryuzaki non era Light.
Noi gli avremmo impedito di diventare come lui.
I sentimenti del bambino era puri e sinceri, come possono essere quelli pronunciati dalla bocca di un infante.
Light, invece, era stato pervaso da sentimenti che rispecchiavano in pieno tutta la sua arroganza e megalomania.
Padre e figlio non avevano niente a che fare tra di loro.
Ne ero certo.
Mi schiarii la voce, tentando di mostrare meno disagio possibile.
-Non è un po’ presto, per pensare a queste cose? In fondo, sei ancora piccolo e hai un sacco di tempo per pensare al futuro.
 Gli strofinai i capelli castani, perfettamente pettinati sulla sua testolina.
-Intanto, pensa a crescere, e a diventare alto.
Il suo viso, ancora paffutello, si gonfiò, diventando paonazzo di rabbia.
-Non sono piccolo! Io, il prossimo anno, andrò già in prima elementare! E ho già imparato a leggere!
-No! non ci credo!
Strizzai l’occhio a Ide. Era divertente punzecchiarlo un po’.
-Te lo dimostro! Guarda!
Si liberò dalle nostre strette di mano, e corse verso una delle lapidi più vicine.
Puntò il dito dinnanzi a sé e scandì a gran voce le sillabe, con aria da vero esperto.
-Shi…ni…chi Yama…guchi! Shinichi Yamaguchi!
Ci avvicinammo, a verificare la correttezza della sua lettura.
-Fiuuu…bravo! 
Sorrise orgogliosamente, davanti al mio sincero complimento.
-Ora ne provo altri!
Sgattaiolava come un’anguilla tra un sepolcro e l’altro, dandoci dimostrazione della sua precoce bravura nel saper decifrare così correttamente e velocemente i difficili caratteri kanji.
-Yo…ko Nami…mura! Yoko Namimura!  
Il gioco proseguì ancora per molto.
-No…bu Ku…rama! Nobu Kurama!
Fino a che…
-Ehi! Guardate! Questo signore ha un cognome che somiglia al mio!
Ci avvicinammo a passo svelto verso il punto indicato dal piccolo.
Era piuttosto difficile stargli dietro.
Saltava come un grillo, entusiasta di poter cimentarsi in quel nuovo gioco, seppur un po’ macabro. 
Quando Ide prese visione del nome che aveva tanto meravigliato Ryuzaki, mi fissò inorridito.
- È…è un po’ difficile per te leggere questo qui, Ryuzaki.
-Ma, no! È facilissimo! Sta a sentire: Te…ru Mi…kami! Teru Mikami! Te l’avevo detto che è un po’ uguale al mio!
 Gli sorrisi, sospirando.
-Hai ragione.
Si concentrò intensamente sui numeri incisi sotto al nome.
-1982 e 2010. Zio, quant’è la differenza?
Non avevo bisogno di calcolare la sua età.
Conoscevo fin troppo bene Teru Mikami. 
-Aveva ventotto anni.
Ryuzaki spalancò gli occhi, incredulo.
-Così giovane? Caspita! Non è che fosse un poliziotto anche lui?
-N…no.
-Era un criminale.
Questa volta fui io, ad osservare incredulo il mio collega.
-Ide!
Ryuzaki rimase deluso da quella scoperta.
Probabilmente, la sua mente tendeva ad identificare in tutti gli uomini morti giovani la figura di suo padre.
 E quindi, naturalmente, li vedeva tutti come degli pseudo eroi di guerra.
-Lo avete arrestato voi, zietti?
-Si.
-Che cosa aveva fatto di brutto?
Mi tornarono in mente i suoi occhi sanguinei, che ci strappavano l’identità da dietro la porta dello Yellow Box.
E la sua voce, aspra e pungente, che ripeteva un’unica singola parola.
Bastava solo la sua diabolica presenza, per farti fermare il cuore.
-Aveva ucciso…delle persone.
E, per poco, non finivamo ammazzati anche noi.
Il bimbo si rattristì, e proseguì la sua strada su un vialetto che si addentrava in un corridoio di raggrinziti alberi spogli.
Io e Ide rimanemmo soli, per qualche minuto.
Il vento aveva ripreso ad ululare, facendo tremare tutta la vegetazione circostante.
-Perché glielo hai detto?
-Non sarebbe servito a nulla nasconderglielo, giusto?
Strappò delle pratoline sopravvissute alla morsa dell’inverno, che sembravano scaldarsi a vicenda in un angolo d’erba lì vicino.
Le ripose sulla nuda pietra, che non disponeva di un apposito vaso per fiori.
-In fondo…qualche fiorellino se lo merita anche questo bastardo. Non è altro che una delle tante vittime di…ah, porca miseria!
-Che ti prende?
Mi indicò la stradina appena percorsa da Ryuzaki.
-Di male in peggio. Aizawa…tu sai cosa c’è laggiù, vero?
Voltai lo sguardo, mettendo a fuoco un vialetto sterrato, circondato da striminziti alberi spogli.
…Si, lo sapevo.
Mi sentii in colpa.
E facevo bene.
-Credi che lo noterà?
-Do a questa ipotesi il novanta percento di probabilità.
Scoppiammo entrambi a ridere.
Come avevamo potuto dimenticarci di lui, in tutto quel tempo?
E poi…con Ryuzaki sempre tra di noi!
-Direi, che dovremmo come minimo andare a salutarlo.
-E a scusarci.
Sospirai sconsolato.
-Già…mi sento un verme.

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Capitolo 19
*** No Name (Ryuzaki) ***


 

19. NO NAME (RYUZAKI)

 
Ricordo l’istante in cui vidi per la prima volta la tomba come se fosse ieri.
Non si trovava in qualche posizione particolare, non aveva strane decorazioni che la mettevano in risalto.
Era un semplice mucchio di terra davanti ad una croce in pietra.
Nulla di più.
E fu proprio quel nulla, che stuzzicò la mia curiosità.
Capii subito di trovarmi davanti a qualcosa più grande di me.
La fissavo con aria confusa e sbalordita.
La scultura non era particolarmente consumata, quindi, ne dedussi che la persona sepolta al suo interno doveva essere morta più o meno recentemente.
Mi avvicinai leggermente, tendendo il collo, pur mantenendo una certa distanza, in forma di rispetto, per evitare di calpestarla troppo.
-Perché non c’è il nome?
Lo zio Aizawa, arrivato dietro di me qualche attimo prima, rispose subito, come se si fosse preparato il copione prima di raggiungermi.
-A volte capita, Ryuzaki, che delle persone senza parenti o conoscenti vengano dall’estero e muoiano accidentalmente. Se nessuno viene a cercarli, è nostro dovere civile dargli comunque una degna sepoltura. Ma, queste cose capitano in casi estremamente rari.
 Mi posò una mano sulla spalla, stringendomela.
La sentivo tremare leggermente, insieme alla sua voce.
Ma mi sorrideva.
-Sai, probabilmente, ha voluto tenere nascosto il suo nome di proposito.
 Non capii subito.
Perché nascondere la propria identità?
Io mi sentivo straordinariamente orgoglioso del mio nome, perché, in parte, era quello ereditato da mio padre.
Tenere segreto qualcosa che, per me, costituiva oggetto di vanto, bhè…era qualcosa di cui non ne comprendevo il motivo.
-Era un criminale anche questo?
-No. Sono più propenso a dire che fosse un benefattore o quant’altro.
-Benefattore?
Non compresi il motivo di questa sua affermazione, né come fosse stato in grado di catalogare così, su due piedi, un individuo di cui non conosceva né il nome né il volto.
Ma, in quel momento, non era importante.
Se lo diceva lo zio, doveva trattarsi di sicuro della realtà.
-Si, coloro che agiscono per il bene della società. Sai, di solito, i veri eroi sono quelli che agiscono nell’ombra.
-Eroi?
Mi piaceva quella parola, mi scaldava l’animo.
-Doveva trattarsi di una persona coraggiosa.
Sentii lo scricchiolio dei pugni di mio zio che si serravano.
-Si, Ryuzaki. Molto coraggiosa.
Ero affascinato nei riguardi di quell’individuo, che pareva così ingiustamente trascurato.
Quasi…abbandonato.
Se anche lui poteva dimostrarsi un ex rappresentante della giustizia, allora era probabile che avesse avuto l’occasione di incontrare mio padre.
Magari, avevano addirittura unito le forze, per il bene del pianeta e per la pace tra le persone.
Mi brillò l’animo, davanti a questa splendida prospettiva, così non ci pensai due volte e corsi indietro, a rimuovere un fiore donato poco prima al mio genitore.
Presi il più grande, e ripercorsi in fretta e furia il vialetto sterrato circondato dagli alberi rinsecchiti.
Glielo posai delicatamente sulla soffice terra, che lo accoglieva all’interno del suo ventre.
-Per oggi posso offrirti solo questo. Ma ti prometto che la prossima volta te ne porterò di più.
 Mi rivolsi a mio zio, fiero del mio gesto così adulto, nonostante la mia età così giovane.
-Gli eroi non vanno dimenticati, giusto zietto?
I suoi occhi si arrossarono e lui li rivolse prontamente verso il cielo azzurro.
-Si, hai ragione.
Le sue lacrime scintillavano come diamanti, sotto la luce del sole all’orizzonte.
Perché piangeva?
Non pensavo di aver fatto qualcosa di sbagliato, ma mi sentii quasi in colpa, per averlo inconsciamente rattristito.
Feci per consolarlo, ma lo zio Ide mi prese per mano e mi invitò ad incamminarci verso la via del ritorno.
-Ma, aspetta! E lo zio Aizawa?
Mi rispose sottovoce, forse per non farsi sentire da lui.
Mi spaventai, un po’, per il loro insolito comportamento.
Non avevo mai visto piangere un adulto, per quel che io potessi ricordare.
-Non ti preoccupare…
Ci girammo a guardarlo.
-…ci raggiunge subito.
 

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Capitolo 20
*** Perdono (Aizawa) ***


 

20. PERDONO (AIZAWA)

 
-Mi sento un cane a presentarmi così davanti a te, ora come ora.
Mi strofinai gli occhi con il palmo della mano.
-Ma l’abbiamo preso. Ce l’abbiamo fatta, Ryuzaki. Ora quel bastardo sta marcendo sotto terra.
 Mi inginocchiai a capo chino, sfiorando con le dita tremolanti la piccola croce di pietra.
-Perdonaci, Ryuzaki.
Le lacrime ripresero a scorrere, e mi si formò un pesante nodo in gola, che mi strozzò la voce.

-Perdonaci…

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Capitolo 21
*** Bianco (Ryuzaki) ***


 

21. BIANCO (RYUZAKI)

 
2023
 
Gli anni delle elementari passarono in fretta.
Mi piaceva molto andare a scuola, anche se, a volte, mi annoiavo.
Tutto, per me, era estremamente semplice e , in certe occasioni, andavo avanti da solo con il programma per cercare qualcosa di più stimolante con cui mettermi alla prova.
Mia nonna era fiera di me.
Diceva che, standomi vicina, era come se mio padre non se ne fosse mai andato.
Ed ero certo anch’io che lui sarebbe stato altrettanto fiero.
Alle medie, la situazione era rimasta pressoché invariata.
I professori avevano grandi progetti per me, ma a me tutto ciò che interessava era finire la scuola il più in fretta possibile, per poter entrare nella polizia.
Essendo nipote adottivo di ben quattro agenti, qualcuno avrebbe potuto sentire puzza di raccomandazione ma, fra tutti, io ero quello che ne avesse meno bisogno.
 
-Ma no, non è questo! Io ci sto attento, in classe! Ma, diamine! Di quella roba non ho capito proprio un tubo!
 Guardai divertito, e un po’ dispiaciuto, il mio compagno in piena crisi di autostima.
La matematica non era di certo il suo forte.
Camminavamo lungo il viale, travolti da una pioggia di petali di ciliegio.
La primavera, quell’anno, era arrivata in anticipo, ed era piacevole, una volta usciti da scuola, incamminarsi verso casa immersi in quel paradiso rosa.
-Se vuoi, Shimura, posso darti una mano io domani.
Il mio compagno mi si piazzò davanti, afferrandomi le mani con le lacrime agli occhi.
-Oh, grazie, Yagami! Sono sicuro che un genio come te saprà farmi entrare in testa quel macello molto meglio di quell’incapace che siede dietro la cattedra!
 Entrambi, ora, ci ritrovavamo avvolti da un soffice ed innocuo velo di petali.
Dietro di noi si era materializzato un piccolo gruppo di studentesse in divisa marinaresca, anche loro reduci dalle lezioni mattutine.
Ci passarono di fianco quasi correndo, travolgendoci con i loro squillanti chiacchiericci, perennemente presenti sulle loro bocche.
Le vedemmo dissolversi in lontananza, insieme ai loro farfugliamenti.
Ma due di loro si fermarono.
Le conoscevo di vista, perché frequentavano la classe proprio di fianco alla nostra, e mi capitava spesso di incrociarle nei corridoi.
Erano sempre insieme.
Una di loro portava un taglio a caschetto, con i capelli castani a cui erano legati due nastrini rossi, all’altezza delle tempie.
Ero certo che si chiamasse Mayumi.
Era molto popolare nella scuola, tutti i maschi stravedevano per lei, anche se i loro sforzi per farsi notare, a quanto pare, si erano sempre dimostrati vani.
Non l’avevo mai vista insieme ad un ragazzo, e non mi era mai sembrata interessata ad intraprendere un rapporto con qualcuno di loro.
L’altra ragazza era un po’ meno appariscente alla vista.
Molto minuta, con i capelli lunghi fin sotto alla schiena, che emanavano riflessi color ebano.
Ogni tanto, quando si alzava il vento, alcune ciocche le coprivano parte del viso.
Lei mi sembrava si chiamasse Nami.
Era decisamente più timida, rispetto a Mayumi, e si piazzò davanti ai miei occhi, con lo sguardo seminascosto dalla chioma corvina, sforzando un sorriso, spinta dall’amica che, dietro di lei, sghignazzava qualche  parola di incoraggiamento.
-E…ehm…R-Ryuzaki…
La fissai, tentando di apparire il più gentile possibile, per cercare di non farla sentire a disagio.
Lei mi fece scivolare tra le mani un foglietto sudaticcio e mezzo stropicciato.
-…questo…questo è…è il mio numero…
Si voltò di scatto, coprendosi il viso con le mani.
Mayumi iniziò a ridere, tentando di trattenere la sua fuga, afferrandola per le spalle, ma Nami ormai era già partita in quarta verso la fine della stradina.
La ragazza, poi, si girò verso di me, ancora con un grosso sorriso stampato sulle labbra.
-Chiamala, mi raccomando.
Le sorrisi imbarazzato.
Non era la prima ragazza che mi esibiva una sceneggiata simile.
-Ah…già! Se per caso non dovesse funzionare…
Mi passò anche lei un biglietto, ma questo era piegato accuratamente, con un piccolo cuoricino rosso incollato sulla superficie.
Mayumi mi strizzò l’occhio.
-…hai il piano B.
Detto questo, si mise a correre in direzione di Nami.
Mi infilai entrambi i fogli dentro la tasca dei pantaloni, sicuro che non avrei mai fatto uso del loro contenuto.
Non ero interessato, alle ragazze.
Di solito, il tempo libero preferivo trascorrerlo sui libri.
Mi sentivo ancora troppo giovane, per qualcosa di serio.
Rivolsi nuovamente lo sguardo a Shimura, che aveva osservato la scena in maniera totalmente indifferente.
Un qualsiasi altro ragazzo sarebbe diventato verde d’invidia.
 -Ti aiuterei anche oggi, ma vedi…
Diedi un’occhiata all’orologio.
-…ho un appuntamento.
Shimura mollò la presa e si asciugò gli occhi.
-Tranquillo. Un giorno in più non fa la differenza.
-Già…allora ti saluto! A domani!
Corsi via, rischiando di scivolare più volte sul tappeto di fiori appena caduti.
Gli alberi ai bordi del vialetto erano abbastanza giovani, per cui non molto alti, e riuscii facilmente a strappare quattro rametti di boccioli non ancora del tutto fioriti dagli esili fusti.
Ora che ero cresciuto, mi sentivo più indipendente e responsabile, così avevo iniziato a recarmi al cimitero almeno una volta a settimana, da solo, per non sentirmi di peso nei confronti dei miei zii che, fino a qualche tempo prima, si erano rivelati i miei accompagnatori ufficiali.
 
Appoggiai i fuscelli sulle lapidi, rese tiepide dalla carezza del caldo sole primaverile.
-Scusatemi se è un po’ poco…ma oggi non ho trovato nulla di meglio.
 Strappai qualche fastidiosa edera dalla tomba di mia madre, che si trovava in una zona più ombrosa e, quindi, decisamente più umida.
-Sono molto belli però, vero? Quest’anno abbiamo avuto una fioritura meravigliosa.
 Rimasi ancora qualche secondo a contemplare il sepolcro, con i raggi del sole che mi solleticavano il naso.
-È un buon auspicio, giusto, mamma?
Ovviamente, non pretendevo di ricevere una qualche risposta dalla lapide, ma mi rasserenava il fatto di poterci parlare come se avessi di fronte la mia adorata mamma in carne ed ossa.
Imboccai la stradina sterrata che conduceva alla tomba senza nome.
Mi ero affezionato a quel sepolcro.
E, puntualmente, mi assicuravo che anche lui ricevesse la sua quantità settimanale di fiori.
In tutti quegli anni, non avevo mai visto nessuno fargli visita.
Mai un mazzolino, che non fosse il mio.
Mai un lume acceso.
Mai nessuno che si occupasse di mantenere pulita la croce di pietra.
Mai un misero saluto da parte di qualcuno.
Mi sentivo importante per lui.
Ero il suo custode.
Ed è per questo che, quel giorno, quando lo vidi per la prima volta, il primo sentimento che provai fu…gelosia.
Mi dava le spalle, fermo come una statua, con le mani in tasca, di fronte alla sua tomba.
A prima vista, rimasi quasi spaventato dal suo aspetto, così mi bloccai a qualche metro di distanza, per studiare quell’eccentrico personaggio immobile davanti ai miei occhi.
A bruciapelo, pensai che si trattasse di un fantasma.
Non era molto alto, a occhio e croce doveva aver avuto una ventina d’anni.
Era vestito interamente di bianco, con abiti che saranno stati di almeno due taglie più grandi del dovuto.
Ed i suoi capelli, color platino, lunghi fino alle spalle, mossi, con qualche ricciolo qua e là.
A pensarci bene, ora, più che un fantasma, pareva quasi uno di quegli angioletti che svolazzano nudi sugli affreschi delle cattedrali cristiane.
Mi avvicinai a lui, seppur ancora un po’ intimidito dalla sua immagine così insolita.
-È un suo parente?
Si voltò distrattamente verso di me.
Aveva dei grandi occhi color grigio metallizzato che quasi abbagliavano, mentre riflettevano la luce del sole.
Quando i nostri sguardi si incrociarono, lui fece un balzo indietro, rischiando di cadere di schiena.
Pensai di averlo spaventato con la mia apparizione improvvisa.
A volte capita, quando si è sovrappensiero.
Solo successivamente, capii che il motivo del lampo di terrore comparso nella sua espressione alla mia vista, era di tutt’altra natura.
Dovetti attendere per una manciata di secondi, prima di una sua risposta, e, durante quel lasso di tempo, rimanemmo immobili, a fissarci.
-N…no.
La mia presenza doveva costituire una notevole fonte di disagio per lui, perché ripose immediatamente lo sguardo sotto di se, rivolgendolo all’anonimo sepolcro.
-Diciamo…un conoscente.
Passata la prima scintilla di gelosia, mi sentii sollevato.
Davvero.
Era bello sapere che la persona su cui avevo fantasticato per tutto quel tempo non fosse del tutto sola al mondo.
Questa poteva rivelarsi un’ottima occasione per concretizzare le mie fantasie, ma non me la sentivo di porgergli domande, che potevano rivelarsi invadenti, riguardo la persona sepolta in quel luogo.
Avrei rischiato di sembrargli impertinente ed infantile.
Non sentivo, tutto sommato, il bisogno di associargli un’identità. 
Come mi aveva spiegato anni prima mio zio, probabilmente la sua scelta di anonimato non era casuale, ed io volevo rispettare la sua volontà.
Non nascondo, ovviamente, il fatto di essere stato soggetto, comunque, ad una naturale curiosità.
Ma, visto la mia giovane età, sarebbe risultato strano il contrario.
-Sul serio?
Rivolsi anch’io lo sguardo dinnanzi a me.
- È bello sapere che abbia avuto almeno qualche amico.
-Non fraintendere…
Lo guardai confuso, mentre si chinava, spostando delicatamente una manciata di terra soffice, creando una piccola fossa, come quelle che ti insegnano a fare all’asilo a lezioni di giardinaggio, quando devi piantare un bulbo.
Fece scivolare dentro alla rientranza quella che, a prima vista, sembrava proprio una zolletta di zucchero, ma il mio cervello scartò quasi immediatamente l’eventualità di questa ipotesi, giudicandola stupidamente inverosimile.
Risistemò accuratamente il terreno, dopodiché si rialzò, strofinandosi i candidi pantaloni, rimasti leggermente impolverati.
Fece cadere, poi, il suo sguardo sul ramo di ciliegio, che stringevo ancora tra le dita.
-Allora sei tu, quello che gli porta sempre i fiori.
Rimasi stupito.
Da questa sua affermazione, potevo capire che non era la prima volta che quell’individuo gli faceva visita.
Posai il fuscello gravido di boccioli che, in mancanza di linfa, si stavano già iniziando ad appassire.
-Non l’ho mai vista, qui al cimitero.
-Si…di solito mi reco qui in tutt’altro orario…
Prese una ciocca platinata tra le dita ed iniziò ad arricciarla.
-…ma oggi, ho fatto un’eccezione. Non pensavo che avrei trovato qualcun altro qui.
 Il suo sguardo non si spostava di un millimetro.
Sembrava quasi, che avesse paura a guardarmi negli occhi.
-Spero solo che non sia stato un peso, per te, venire a trovarlo per così tanto tempo. In fondo, è una bella responsabilità…
 Sorrisi, scuotendo la testa.
-Vede…io vengo qui ogni settimana per rendere omaggio ai miei genitori e a mio nonno. Non mi fa alcuna differenza portare qualche fiore in più, anzi…
 Arrossii debolmente.
-…ormai, penso di essermi affezionato pure io a questa persona.
Mi strofinai la testa, sorridendo imbarazzato.
-Ora lo troverà stupido, vero? Prendere così a cuore qualcuno di cui non si conosce nemmeno il nome.
 Si sfilò i capelli dalle dita, e questi rimbalzarono, andando a formare un piccolo boccolo.
-Affatto. A proposito…mi dispiace per i tuoi genitori. Sai, anche io so cosa significa crescere orfano.
-Grazie. Ma non è stato poi così difficile, per me. Vivo con mia nonna, che è una donna molto attenta e premurosa. E poi, posso sempre contare anche sui miei zii.
 Sollevai il capo, in direzione del cielo che si stava annuvolando poco a poco.
-Anche se non ho legami di sangue con loro, li ho sempre considerati i miei parenti più prossimi. Erano colleghi di mio padre e conoscevano molto bene anche la mia mamma. Si sono presi l’impegno di allevarmi e mi sono sempre stati affettuosamente vicino.
 Feci una pausa.
-Ed io voglio un mondo di bene a tutti loro.
L’individuo sospirò.
Sembrava quasi sconsolato.
Ed io, temetti di aver detto qualcosa che avesse potuto in qualche modo ferirlo, essendomi forse spinto un po’ oltre con i miei racconti personali.
-Sei fortunato…
Mi disse.
-…quando rimasi senza genitori, fui subito sistemato in un orfanotrofio. Certo, lì ebbi modo di affezionarmi in particolare ad una persona, ma mi è sempre mancato quell’amore che penso solo un genitore sia in grado di donare.
 Rabbrividii.
Non avevo mai pensato all’eventualità di un orfanotrofio.
Mi sentii incredibilmente fortunato ad aver accanto a me persone che mi volevano bene, e che so non avrebbero mai permesso che mi sbattessero in una di quelle pseudo prigioni infantili.
-E adesso, dov’è quella persona?
-È morta.
Mi morsi la lingua.
Avrei voluto sprofondare nel terreno, dalla vergogna.
Stupido.
-Purtroppo, però, anche se è venuto a mancare qui, in Giappone, il suo corpo è stato riportato a casa, in Inghilterra, insieme a quello di un altro compagno. E mi è impossibile andare a salutare entrambi. Il mio lavoro non mi dà molte libertà.
 Non gli feci domande sul suo lavoro.
Non volevo impicciarmi ulteriormente.
Avevo già fatto abbastanza danni, per il momento.
Si creò un silenzio imbarazzante, ma quell’aria tesa venne subito spezzata dallo squillo del suo cellulare.
Si sfilò dai pantaloni un grosso telefono, ricoperto di cavi, collegati a pulsanti che lui si preoccupò di premere in un ordine ben preciso prima di rispondere.
-Si?...Mmh…di nuovo? Ho capito…sono subito lì…
Si rimise il marchingegno in tasca e si rivolse a me, sempre senza guardarmi negli occhi.
-Scusa. Ti devo lasciare.
Rivolse un’ultima, profonda occhiata al sepolcro.
-Vienilo a trovare pure quando vuoi. Sono sicuro, che gli fa piacere.
Detto questo, si voltò dandomi le spalle.
-S…si. Grazie.
Nel vederlo andar via, mi svegliai come da un sonno profondo.
Parlare con quel ragazzo mi aveva messo un po’ a disagio.
Emanava un’aura stranissima, non mi era mai capitato di provare una sensazione del genere, stando con qualcuno.
Tuttavia, anche a me aveva fatto piacere parlare con lui.
In questo modo, sentivo di essermi avvicinato un po’ di più all’identità dell’uomo misterioso.
Posizionai le mani davanti alla bocca, facendo loro prendere la forma di un megafono.
Magari, così sarebbe stato in grado di ricontattarmi.
-A proposito! Il mio nome è Ryuzaki Yagami!

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Capitolo 22
*** Il figlio di Kira (Near) ***


 22. IL FIGLIO DI KIRA 
 

-Il mio nome è Ryuzaki Yagami!
Non lo avevo degnato di uno sguardo per tutto il tempo in cui eravamo stati l’uno accanto all’altro.
Non riuscivo a guardarlo negli occhi.
Ma quelle parole mi martellavano dentro la testa e le sentivo pulsare, pulsare e pulsare.
Sembrava quasi che mi stessero fracassando il cranio.
Yagami…Yagami…Yagami…
Quella cantilena mi stava riducendo a poltiglie il cervello.
Mi girai di scatto, segnando un profondo solco nel terreno a causa della brusca frenata.
Trovai il coraggio di guardarlo in faccia.
La prima volta che lo avevo visto, pensai ad un’allucinazione.
Light Yagami.
Quel ragazzo era vergognosamente sputato a lui.
Solo i capelli differivano, questi lunghi fino alle spalle, con qualche ciocca ribelle.
Ma gli occhi…
Pur non emanando la stessa aura diabolica, parevano due gemme fabbricate dallo stesso intagliatore.
Non avevo mai valutato l’ipotesi che Kira avesse potuto avere dei figli.
Ma ora ne ero certo.
Non poteva essere altrimenti.
Colui che mi trovavo di fronte, colui che aveva intrattenuto con me una pacifica conversazione, colui che ogni settimana portava i fiori sulla tomba di L, era il figlio di Light Yagami.
Light Yagami.
Kira.
Sollevai  leggermente un angolo della bocca, senza variare nessun  altro tratto facciale.
Non sapevo nemmeno io a cosa pensare, in quegli istanti di pietra.
Non credo, di aver provato paura. Era quasi un senso di eccitazione. Piuttosto innaturale, ma certamente non si era trattato di un incontro stabilito solo dal caso.
Non ho mai creduto in un volere divino.
Come non l’ho mai fatto in nient’altro che non fosse la mia ragione.
Tuttavia, ebbi come l’impressione che, qualcuno, avesse deciso di farmi riprendere mano ai dadi, per ricominciare il gioco.
Ero sicuro al novantanove percento, che quel ragazzo non fosse a conoscenza del passato del proprio padre, ed anche se lo fosse stato, ciò non cambiava le carte in tavola.
I quaderni rimasti sulla Terra li avevo bruciati io stesso e, senza di loro, la sfida non sarebbe nemmeno esistita.
No, la lotta non si stava riaprendo. Colui che mi sorrideva davanti agli occhi non era Kira e non avrebbe mai potuto avere i suoi poteri, eppure…
Ghignai, nascondendo le labbra sotto l’ombra dei capelli agitati dal vento.
…sarebbe stato alquanto interessante, esaminare il frutto della sua mente, anche senza uno scopo preciso.
Avrei voluto essere a conoscenza del suo passato,sapere con chi aveva vissuto e che tipo di educazione aveva ricevuto, prima di tutto.
Ma, tentare un approccio così diretto non sembrava la scelta migliore da applicare.
L’ideale sarebbe stato parlarne con chi lo conosceva già da anni, e che lo aveva visto crescere sotto i suoi occhi.
Aveva detto di avere degli zii, bèh… in tal caso, non potevano essere altri che…
  

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Capitolo 23
*** Dubbio (Aizawa) ***


 

23. DUBBIO (AIZAWA)

 
Sullo schermo comparve la lettera nera a carattere old english.
Ormai era un’abitudine e la cosa non ci turbava più come un tempo.
-Near?
-Che rompiscatole! Non si fa sentire per mesi e poi richiama solo quando ne ha bisogno.
-Fa silenzio, Matsuda! Abbi un minimo di rispetto.
Accettai la chiamata, e la voce sintetica invase la piccola stanza occupata da noi quattro.
Stavamo indagando riguardo una banda di narcotrafficanti.
Roba da poco, considerando quel che avevamo affrontato una decina di anni prima.
-Sono Aizawa.
-Salve, signori del quartier generale. Spero di non aver chiamato in un brutto momento.
 Matsuda fece una smorfia di disgusto e Ide gli diede una gomitata sulla spalla.
-Parla pure.
-Forse vi stupirà quello che sto per chiedervi, ma non farò giri di parole. Per caso, non è che voi stiate avendo contatti con un ragazzo che risponde al nome di Ryuzaki Yagami?
 Silenzio.
La stanza diventò di ghiaccio.
Penso che, ognuno di noi, in quell’istante, abbia smesso di respirare.
Io e i miei colleghi ci guardammo, confusi ed increduli.
-M…ma tu…come…?
-L’ho incontrato oggi. Nel cimitero. Davanti alla tomba di L.
Ora capivo.
Eppure, l’agitazione tardava a svanire.
-Si, è vero. Immagino, però, che tu sia riuscito a trarre le giuste conclusioni da solo. Ryuzaki è il figlio di Light Yagami, nato lo stesso giorno della sua morte.
-Perché non ne avete fatto parola con me?
Non mi sembrava spazientito, o irritato.
Ma direi quasi deluso.
-Non trovammo fondamentale fartelo sapere. Il caso ormai era stato chiuso. Kira è morto, e Ryuzaki non ha niente a che fare con lui.
-Questo non lo metto in discussione. Il ragazzo, inoltre, ha affermato di essere orfano anche di madre. Light Yagami era il ragazzo fisso di Misa Amane, il secondo Kira, ma ovviamente intratteneva intimi rapporti anche con Kiyomi Takada, la sua portavoce. Sono morte entrambe, chi prima, chi dopo. Ma, a giudicare da quello che lei mi ha detto, Ryuzaki deve essere per forza il figlio di Amane.
-Si, infatti Takada è morta due giorni prima della sua nascita, il 26 gennaio. Come tu ben sai.
 Per un istante, mi ricomparvero davanti agli occhi le fiamme, che divoravano avidamente i resti della vecchia chiesa abbandonata.
Feci subito riaffondare negli abissi della mente i ricordi di quegli ultimi giorni, che volevo ignorare il più possibile.
Tuttavia, non desideravo cancellarli. Anche perché, non mi sarebbe stato possibile. 
Dopo qualche secondo di silenzio, riprendemmo la conversazione.
-Che cosa sa, il ragazzo, riguardo a suo padre?
Abbassai il capo.
-Solo che era un poliziotto e che morì durante il corso di un’indagine. Non abbiamo mai accennato al caso Kira. Stai tranquillo, non sa niente. E non gli abbiamo detto nulla neanche riguardo a L.
-Lo avevo immaginato. Lo dimostra il fatto che non sappia chi sia sepolto nella tomba anonima.
 Mi massaggiai le tempie, sconsolato.
“Ma dove vuole arrivare?”
-Senti, se ti da in qualche modo fastidio il fatto che il figlio di Kira si rechi sulla tomba di L, allora posso…
-No. Non gli dica niente. Se gli ordinasse in questo momento di non avvicinarsi più al sepolcro, proprio dopo che lui ha parlato con me, lo insospettiremmo. Senza contare il fatto che, comunque, non mi dispiace il fatto che vada a rendergli omaggio. Lo ha detto lei stesso che Ryuzaki non ha nulla a che vedere con Light Yagami.
 Io e i miei colleghi ci guardammo perplessi.
Se non era questo il problema, allora perché ci aveva chiamati con così tanta fretta?
-Ma, signori, quel che più mi preme sapere è se il ragazzo abbia manifestato comportamenti riconducibili analogamente a quelli del padre.
 Comportamenti riconducibili a quelli di Light?
Bhè, effettivamente, quella volta…
 
“Desidero rappresentare la giustizia più di ogni altra cosa, così da poter fare di questo un mondo migliore!”
 
Mah…al diavolo Near!
Conoscevamo Ryuzaki da più di tredici anni e sapevamo che non poteva costituire una minaccia per nessuno, tantomeno per lui.
E poi, se quel bastardo ci stava assillando con tutte queste domande, non era di certo perché si stesse preoccupando per Ryuzaki, ma solo per il semplice fatto che temeva di non riuscire più a sentire il suo battito cardiaco da un momento all’altro.
-No, fidati. Nessun comportamento anomalo.
-Lo immaginavo. Tuttavia, con il vostro permesso, desidererei parlare più spesso con lui. Non sa chi io sia, né tantomeno il mio nome. E, se è del tutto innocuo come avete sostenuto poco fa, non dovrebbero esserci problemi a riguardo? Giusto?
 Rimasi di sasso.
-P…perché vuoi parlare ancora con lui?
Non rispose subito.
-La verità, a volte, può ferire seriamente un ragazzo così giovane…
Ero furente.
Digrignai i denti, cercando il più possibile di trattenermi.
“Che diavolo hai in mente di fare, razza di…?”
Sentii Matsuda precipitarsi da dietro le mie spalle sullo schermo luminoso, strappandomi il microfono dalle mani.
-Ascoltami bene, Near! Non provare a fare cazzate con Ryuzaki, altrimenti giuro che…
-Si calmi, signor Matsuda. Chiunque, con un briciolo di buon senso non rivelerebbe la verità a quel ragazzo, per il momento. Ma non glielo si potrà nascondere per sempre, o sbaglio? Ryuzaki, a prima vista, mi sembra tutt’altro che stupido e non gli ci vorrà molto, associando le informazioni che sa già e quelle che gli avete rivelato voi senza cattive intenzioni, per trarre da solo le sue amare conclusioni. Quando dovrà accadere, perché dovrà accadere, venirlo a saper da voi sarà di certo il male minore.
 Effettivamente, il suo ragionamento non era del tutto sbagliato…
Ogni volta che, nelle nostre conversazioni, saltava fuori la parola “Kira”, riuscivamo sempre a svincolare il discorso. E, quando alla televisione, o nei giornali, si parlava a tal proposito, sua nonna lo aveva sempre tenuto lontano, o cambiando canale, o ritagliando e gettando via gli articoli.
Ma non sarebbe stato così facile, ora che stava crescendo, tenerlo sotto quella spessa campana di vetro.
-Che cosa proponi di fare?
-Intanto, potrei verificare le sue conoscenze sul caso. E, poi, sapere anche che cosa ne pensa. Sarò franco, non mi va di bruciare totalmente l’ipotesi che dentro al ragazzo si possa celare occultamente la stessa mentalità di Light Yagami. E, anche se i quaderni non esistono più, non vorrei che il mondo un giorno si ritrovasse di nuovo in balia dell’erede di Kira.
 Erede di Kira?
Se si fosse trovato lì, di fronte a me, nessuno mi avrebbe potuto trattenere dall’ammazzarlo.
-In fondo, per quel che ci risulta, anche Light Yagami era sempre stato il ritratto dell’innocenza…
 Deglutii.
Non aveva tutto questo torto marcio…
-Cos’è? Ora ti improvvisi psicologo criminale?
-L’esperienza non mi manca. Dico bene, signor Aizawa? E lo stesso dovrebbe valere anche per voi. Ma non mi fraintenda, non la sto accusando di disattenzione.
 Era difficile riuscire a distinguere il suo tono, a causa del sintetizzatore vocale, ma sembrava decisamente cambiato, rispetto a prima.
Adesso si, che era irritato.
-Allora, mi date il permesso di parlare con il ragazzo?
Tutti ci guardammo con aria contrariata.
Amavamo Ryuzaki, e il pensiero che Near, schietto e freddo come si era rivelato, potesse fargli del male, ci faceva a dir poco vomitare.
-Non vi fidate ancora?
-Se devo essere sincero, Near, no.
-E va bene, facciamo così. Potrete chiedergli quello che volete riguardo le nostre conversazioni e se vi sembrerà che abbia capito più del dovuto, allora vi giuro che mi presenterò a Ryuzaki come la causa della morte di entrambi i genitori, e, a quel punto, spetterà solo a lui decidere cosa fare con me. Ci state? Non mi sembra un’idea così malvagia.
 Si sarebbe presentato a lui in quel modo, eh?
Non mi aspettavo che avrebbe mantenuto la promessa.
Lui giocava sporco.
Come L.
-Io ci sto.
Sbarrammo gli occhi, increduli nei riguardi delle nostre orecchie.
-Mogi!
Il poliziotto si avvicinò lentamente, piegandosi in direzione del microfono.
-E va bene, Near. Te lo lasceremo fare. Ma se per caso succedesse l’irreparabile e Ryuzaki decidesse di risparmiarti senza gonfiarti di botte, allora sappi che non esiteremo noi a farlo.
 Un applauso sarebbe stato d’obbligo.
Ma dovevamo cercare di mantenere la situazione più seria possibile.
-Ci sto. Grazie per la disponibilità, agenti.
La lettera scomparve, e la stanza rimase muta per parecchi secondi.
Dopodiché, scoppiammo tutti in una violenta risata.
-Grande, Mogi! Gliele hai cantate per bene, eh?
-Si, ma non c’era bisogno che Mogi specificasse il particolare del pestaggio, tanto lo avremmo fatto comunque senza preavviso.
-Ben detto. Nessuno deve toccare il nostro bambino.
Ci ricomponemmo, dopo quel breve attimo d’estasi, non ancora del tutto tranquilli riguardo Ryuzaki.
Riprendemmo gradualmente il nostro lavoro, ma ormai le nostre teste erano da tutt’altra parte.
-Speriamo in bene…
 

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Capitolo 24
*** Approccio (Near) ***


 24. APPROCCIO (NEAR)      
 
Spensi il microfono e sospirai, passandomi una mano tra i capelli.
“Che razza di testoni.”
Ma ce l’avevo fatta.
Era quello l’importante.
Presi tra le dita una ciocca platinata ed iniziai ad arricciarla.
Provavo quasi un senso d’invidia per quel ragazzino.
Dovevano amarlo davvero molto, per arrivare a minacciarmi in quella maniera.
Forse mi stavo sbagliando. Probabilmente, solo la semplice ipotesi di avere nuovamente a che fare con Kira, aveva riacceso in me una sorta di scintilla. Era stato parecchio gratificante, essere riuscito a completare quel puzzle.
Abbassai il capo, stringendomi le ginocchia al petto.
In fondo, non avrei fatto nulla di male, avvicinando quel ragazzo.
Una chiacchierata.
Una semplice chiacchierata, nulla di più.
Non avevo mai avuto sinceramente intenzione di dire a Ryuzaki tutto quel che sapevo sul conto di Light Yagami.
Non sarebbe spettato a me farlo.
Non era compito mio.
Volevo considerare il mio gesto più come una forma d’aiuto per Aizawa e gli altri.
Mi sfilai i capelli dalle dita.
Certo, era probabile il fatto che, essendo sempre vissuto a contatto loro, non avesse ereditato nulla dalla parte del padre.
Anzi, effettivamente questa era l’ipotesi più probabile. Gli davo almeno il novantasette percento di probabilità di successo.
Ma, sarebbe stato comunque interessante parlarci un’altra volta, solo per… studiarlo un po’.
Tamburellai le dita sulle ginocchia rannicchiate.
Non sapevo se avere più paura di Ryuzaki stesso, o della furia dei quattro poliziotti, che si sarebbe potuta abbattere su di me, anche solo a causa di una sillaba di troppo da parte mia.
 
Una settimana dopo, ero di nuovo lì, davanti alla tomba spoglia.
Ryuzaki mi aveva preceduto e, quando i nostri sguardi vennero a contatto, provai quasi più esitazione dell’altra volta.
Probabilmente perché ora avevo l’assoluta certezza sull’identità di chi mi trovavo di fronte.
Mi sorrise, ma io, non riuscii a ricambiare il gesto. A dirla tutta, non ci provai nemmeno.
-Sapevo che ti avrei trovato qui.
-È un piacere rincontrarla, signore.
Mi misi di fianco a lui, alla sua sinistra.
Appoggiato alla croce, giaceva un piccolo mazzo di fiori gialli e arancioni.
Non emanavano una fragranza forte.
Era quasi impercettibile.
Ma erano davvero stupendi, nella loro semplicità.
-Lo stesso vale anche per me, Ryuzaki Yagami.
Mi sfilai dalla tasca la zolletta di zucchero, che mi preoccupai subito di riporre sotto al terriccio.
Lo facevo ogni volta.
E non mi sentivo in pace, fino al momento in cui quel cubetto di saccarosio non entrava in contatto con il terreno che accoglieva L all’interno del suo ventre.
-Devo chiederle scusa.
Mi rialzai, guardandolo confuso.
-Come mai?
-Beh, ecco…
Chinò il capo.
Aveva l’aria di essere molto a disagio, ed io non ne capii subito il motivo.
-…l’ultima volta, quando lei se n’è andato, mi è sembrato parecchio scosso. Così, ho temuto di averla turbata, in qualche maniera, anche per il fatto di averle chiesto del suo amico deceduto. Se l’ho fatta star male…
 Si portò la punta del pollice tra i denti.
-…allora, desidero che lei riceva le mie più sentite e sincere scuse.
Rimasi colpito da quella dichiarazione.
Io non ci avevo quasi fatto caso, a quel particolare.
Sembrava realmente dispiaciuto.
-Non hai nulla di cui scusarti. Non hai detto niente di male, credimi. Se posso esserti sembrato a disagio, era solo per il semplice fatto che sono rimasto stupito nel vedere qualcun altro qui. E, comunque, io non ho mai parlato di un amico.
 I suoi lineamenti si distesero, all’udire di quelle parole di rassicurazione. Eppure, mi parve quasi di percepire una nota di delusione, nei suoi occhi. Come se si fosse davvero aspettato che tra me e Mello ci fosse stata dell’amicizia reciproca.
Socchiusi le palpebre, mettendo bene a fuoco la semplice scultura di pietra dinnanzi a me.
L non aveva mai avuto amici.
E, per questo, anche N non aveva mai preteso di poter, un giorno, godere di questo diritto. Senza contare il fatto che, non ne avevo mai sentita la necessità.
Ruotai il capo, costantemente chino verso il terreno, sulla figura di Ryuzaki, intento a riporre tutti i suoi pensieri sul sepolcro anonimo.
I fiochi raggi solari, emanati dal tiepido sole primaverile, gli illuminavano il viso, riflettendo forti bagliori castani, tendenti al biondo.
-Piuttosto, Ryuzaki, vorrei fartela io, una domanda.
Si voltò, con un’espressione che avrei definito quasi intimorita.
-Tu, ti sei mai chiesto, chi ci sia sepolto qui sotto?
Una folata di vento mi spostò i capelli, che coprirono il mio sguardo apatico.
Ryuzaki non distolse subito gli occhi da me.
Era incredulo.
Forse, ero stato troppo diretto. Ma, non avrebbe avuto senso temporeggiare ulteriormente.
-Si, ehm… effettivamente…
Spostò lo sguardo davanti a se.
-…mi sento sciocco nel rivelarle una cosa del genere. Ma, fin da quando ero piccolo, ho sempre pensato di trovarmi di fronte ad una sorta di paladino della giustizia. Vede, io, quando scoprii per la prima volta questo sepolcro, stavo attraversando un periodo in cui tendevo ad associare quasi ogni cosa alla figura di mio padre. Non avendolo mai conosciuto, quello era il mio modo di crearmi un’immagine completa di lui.
-Tuo padre?
Bingo.
-Si. Sa, lui era un poliziotto, e diede la sua vita per salvaguardare la giustizia. È il mio eroe.
 I suoi occhi si intristirono, mentre io mi sentivo sempre più vicino al traguardo.
Sollevai un angolo della bocca. Leggermente, senza aver modo di farglielo notare.
Certo, non avevo ancora abbastanza elementi per comprendere a fondo la mente di quel ragazzo. Però, non riuscivo a scuotermi di dosso l’appiccicosa sensazione di essere nuovamente a diretto contatto con Light Yagami.
-Sono molto fiero di lui. Il giorno in cui sono nato, ha preferito fare il suo dovere, come sempre, invece di rimanere in ospedale con me e mia madre. La giustizia, per lui, veniva prima di tutto. Anche se, a volte, mi chiedo come saremmo felici adesso, tutti insieme, e divento triste. Se papà non fosse morto, allora neanche la mamma si sarebbe suicidata.
 Ebbi un attimo di esitazione. Inarcai lievemente e sopracciglia, assumendo un’espressione interrogativa nei suoi confronti.
Come faceva a saperlo?
La notizia si era divulgata, è vero, ma Aizawa non sarebbe mai stato così stupido da rivelargli qualcosa di così shockante.
-Suicidata?
Annuì.
-Io mi ricordo. Non l’ho mai detto a nessuno, in particolare ai miei zii, per non farli preoccupare. Ma certe cose non si dimenticano facilmente. Ero davvero piccolo, ma…
 Deglutì, riprendendo fiato.
-…ma quel poco che riesco a ricordare, è rimasto ben vivido. Ho tentato in tutti i modi di svegliarla, ma era già troppo tardi.
Si portò una mano dietro la nuca, guardandomi con aria pensierosa.
-Mi perdoni. Forse, non dovrei parlare di queste cose. Dopotutto, noi ci conosciamo appena.
Dalle sue labbra fuoriuscì un’innocente risatina.
Non doveva aver conservato un profondo trauma, da quell’esperienza. Come aveva detto lui stesso poco prima, era fin troppo giovane.
Ma, mi incuriosiva sapere che tipo di rapporti avesse con l’argomento “morte”. Se si fosse dimostrato inorridito, a tal pensiero, allora avrei quasi potuto escludere il fatto che stesse seguendo la via del padre.
-Continua pure. Non mi stai annoiando.
Ryuzaki annuì debolmente, riprendendo a fissare l’orizzonte davanti ai suoi occhi.
-Ogni tanto, faccio ancora degli incubi a riguardo. Lo sogno spesso, il sangue. Però nella realtà non mi crea troppo fastidio. Non so perché mia madre abbia compiuto un gesto simile. Tutto quello che mi hanno saputo dire, è che lei stava soffrendo davvero molto, per la morte di mio padre. Probabilmente, se fossi stato più grande avrei saputo consolarla.
Sospirò, rasserenando gli occhi.
-Doveva amarlo proprio tanto…per essere disposta a seguirlo pur rinunciando alla sua stessa vita.   
 Lo disse con grande naturalezza. Direi, quasi insolita. 
Doveva essere davvero forte, la sua mente, per rimanere immune ad un trauma del genere. Ma, parte di quel carattere così determinato, era stato sicuramente ereditato anche da Amane.  
Svincolai l’argomento, riportando la conversazione sulla via principale.
-Quindi, tu provi rancore nei confronti di tuo padre? In fondo, se lui avesse deciso di rimanere insieme a tua madre, il giorno della tua nascita, ora sarebbero entrambi vivi. E tu, avresti entrambi i genitori accanto.
Scosse il capo, inarcando lo sguardo.
-No, mai! Non mi sono mai permesso una cosa simile! Mi odierei, se lo facessi. Meglio due vite sacrificate, che altre persone innocenti in balia di qualche pazzo criminale a piede libero. Mio padre ha dato la vita per il mondo, ed il gesto di mia madre, beh… è stata una sua scelta. Nessuno ne ha colpa. Se io fossi stato in lui, avrei fatto lo stesso.
 Sghignazzai sotto i baffi.
Lo sapevo…
-Allora, sono questi i tuoi ideali di giustizia?
-Si, anche io, come lui, voglio porre la giustizia sul primo gradino della scala dei miei valori. Sono pienamente convinto che mio padre sia stato nel giusto, quel giorno. Pensare solo a cos’è bene per l’umanità. Questo, è l’ideale che m’imporrò di seguire nel corso della mia vita.
 Infilai una mano nella tasca, con l’altra ripresi ad arricciarmi i capelli. Non era il caso di saltare a conclusioni affrettate, dopo una dichiarazione del genere. Dopotutto, non mi dimenticai il fatto che Ryuzaki aveva sempre vissuto a stretto contatto con dei poliziotti. Era normale, che la pensasse così.
Eppure… quella sensazione…
-Per il bene dell’umanità, dici? Ma cosa ti fa credere di saper correttamente riconoscere quel che è bene da quel che è male? Come faresti a distinguere, in mezzo alla gente, colui che la società chiama “criminale”? È uno pseudonimo abbastanza dispersivo.
 Non rispose.
Forse si sentiva offeso.
Meglio così…
-Seguendo il tuo ragionamento e la tua mentalità… anche tu diventeresti un assassino come un altro, a quel punto.
 Sollevò lo sguardo, quasi sconvolto.
-Ma io non ho mai detto che per far questo mi metterei ad uccidere i criminali. Che bisogno ci sarebbe di arrivare a tanto?
 Maledizione.
Mi morsi le labbra.
Mi stavo lasciando prendere troppo dalla foga del discorso.
Ma, non era da me…
Quella fu la prima volta in cui provai difficoltà nel tenere a freno la lingua.
Però, ripensandoci, il mio errore mi permise di arrivare subito al punto.
-Ryuzaki, tu…
Alzai gli occhi verso il cielo, sempre tenendoli nascosti dietro alla matassa di capelli.
-…hai mai sentito parlare…
Le sillabe scivolarono rapidamente, fuori dalle mie labbra.
Pronunciai quelle parole di getto, senza pensarci troppo.
-…del caso Kira?

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Capitolo 25
*** Prova (Ryuzaki) ***


 

25. PROVA (RYUZAKI)

 
 
Che nervi.
Non mi ero mai sentito così infastidito in vita mia.
Ma come si permetteva, questo tizio, di saltare così, fuori dal nulla, e venire a giudicarmi spudoratamente, quando sapeva a malapena chi fossi?
No… tutto questo non mi convinceva.
Non poteva essere un caso che io e lui ci fossimo incontrati.
E poi, perché interessarsi a me, in quella maniera?
Restai per qualche secondo a riflettere, in silenzio, senza distogliere lo sguardo dalla distesa di terra umida e soffice.
Forse…avevo fatto centro.
Ed in qualche maniera…i conti potevano anche tornare.
-Caso Kira?
Lui annuì.
Non notai la minima alterazione in lui, o direttamente nella sua voce.
Anche il suo sguardo, seminascosto dalla folta chioma albina, era rimasto comunque inquietantemente apatico.
-Ne ho sentito parlare. Ma non sono molto esperto a riguardo, anzi, direi quasi totalmente ignorante. Ma, lei ne sa sicuramente più di me, sull’argomento, dico bene…
 Feci una pausa, e sorrisi sotto i baffi.
Era come se mi sentissi in dovere di fargli capire chiaramente che non stava avendo a che fare con un idiota.
-…signor poliziotto?
Scorsi una scintilla argentea provenire da dietro le sue ciocche platinate.
Sospirai, come per gonfiarmi il petto.
-Perché lei è un poliziotto, non è forse così? E anche la persona sepolta qua sotto, lo era. E non escluderei l’ipotesi che entrambi abbiate conosciuto mio padre. E non menta… lo avrà già capito, che non sono il tipo che ci casca facilmente.
 Continuò a fissarmi. Tentai di cogliere una qualsiasi razione, da parte sua. Ma non arrivò. Facevo quasi fatica a percepire il suo respiro. La mia ipotesi del fantasma tornava silenziosamente a galla.
-Non lo farò. Ma come hai capito, che io sono un poliziotto?
-La prima volta che ci siamo incontrati, lei ha risposto al cellulare, e questo era munito di uno di quei marchingegni per deviare le intercettazioni. Solo i criminali e gli agenti di polizia usano quei modelli, e dubito fortemente che lei sia un fuorilegge. E poi, il fatto che sia così interessato al lavoro di mio padre, beh… parla da se.
 Sollevò leggermente il capo da terra.
-Sei sveglio. Ma non posso rivelarti altro. È vero… io conoscevo tuo padre. Tuttavia, non ti svelerò il perché. Ti ho già detto troppo.
 Per la prima volta, mi guardò direttamente negli occhi.
Il suo sguardo era pesantemente insostenibile.
Non mi ero mai accorto di quanto fossero vuoti i suoi occhi.
Non sembrava proprio umano.
-Se vuoi scoprire qualcos’altro, dovrai arrivarci da solo. Hai tutti i requisiti fondamentali per farcela.
 Ma…perché?
Che cosa avrei dovuto scoprire?
Mi sentivo quasi preso in giro.
-Ma, cos’è, per lei, un gioco? Si sta divertendo con me? Se c’è qualcosa di importante che devo sapere, allora…
-No, Ryuzaki…
Alzò leggermente il tono di voce.
Allora, anche lui era umano.
Si voltò di scatto, rimanendo immobile, con lo sguardo fisso sui suoi piedi.
-Io… il mio gioco l’ho già vinto.
Detto questo, si incamminò, addentrandosi nella lunga navata di alberi, con le chiome rigogliose che frusciavano sotto l’effetto della brezza serale.
-Ricorda ciò che ti ho detto, figlio di Light Yagami.
C’era una punta di disprezzo nel modo in cui aveva pronunciato il suo nome.
Strinsi i denti, fino a sentire il cigolio dello smalto.
Di una cosa ero certo.
Quel tizio, non mi andava a genio.

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Capitolo 26
*** Rifiuto (Aizawa) ***


 

26.  RIFIUTO (AIZAWA)

 
-Signor Aizawa.
-Near.
-Mi chiama per sapere del ragazzo?
-Ovviamente.
“E c’era bisogno di fare una domanda così scontata? Bah… chi lo capisce…”
Ero stato tutto il giorno in pena per Ryuzaki.
Avevo paura di quell’incontro e avevo addirittura pensato di trovare una scusa perché non si recasse al cimitero.
Era ovvio che Near lo avrebbe avvicinato lì.
Ma poi, pensai che sarebbe stato inutile.
A Near di certo non mancavano i mezzi per contattare una qualunque persona, sarebbe bastato farlo pedinare da uno dei suoi cani.
Ed anche io, ora, temevo il suo giudizio.
Quelle parole, pronunciate dall’altro capo della cornetta, avrebbero potuto stravolgere per sempre il mio modo di guardare Ryuzaki.
Near, come L, sapeva essere fin troppo convincente e, il più delle volte, il loro semplice intuito si era rivelato decisivo.
Ma, comunque, stavamo parlando di un ragazzino di tredici anni, non di un criminale.
Tantomeno di Kira…
E feci promettere a me stesso di non farmi condizionare in alcun modo dalla sua razionalità antisentimentalista.
-Allora?
-È di sicuro molto intelligente e sveglio. Non mi stupirei se avesse le stesse capacità deduttive del padre.
 Ebbi un flashback.
 
“Voglio sperimentare le sue capacità deduttive.”
 
Si… per loro si trattava sempre di uno stramaledetto gioco di cervelli…
-Comunque, ha capito praticamente tutto da solo.
Fui preso dal panico.
Quelle parole mi colpirono come una mazzata allo stomaco.
-Che… che cosa… vuoi dire con…
-Non si preoccupi. Ha capito solamente che io sono un poliziotto…
Bhè…non era proprio così…
-…che anche colui che giace nella tomba senza nome lo era e, inoltre, che entrambi abbiamo avuto contatti con Light Yagami.
 Deglutii.
-Che tipo di contatti?
-Non gli ho specificato nulla. Ma sono sicuro che ci arriverà da solo, e che capirà anche parecchie altre cose. Penso che da ora in avanti farò più attenzione. Sono stato un po’ imprudente a farmi vedere in giro. Non escluderei nemmeno l’ipotesi che, prima o poi, capisca che io sono l’attuale L. Perché, vede, gli ho consigliato di indagare sul caso Kira.
 Maledetto…
Voleva proprio sbattergli la verità in faccia.
-Tanto, dai media non potrà mai avere le informazioni sulla sua vera identità, né tanto meno sul quaderno.
-Si, riguardo a questo, siamo stati molto attenti a non far circolare neanche un sussurro, fuori dal quartier generale.
-Bene. Allora direi che il resto lo affido a voi. Ma tenetelo d’occhio. Io tornerò a non farmi più vedere in giro.
 Fece una pausa.
-Ma, non escludo il fatto che, un giorno, potremmo anche risentirci, quando lui diventerà poliziotto.
 Già…avevano sicuramente parlato anche di questo.
-Senti, Near, ti dispiace se chiedo conferma a Ryuzaki di ciò che mi hai appena detto? Non è che non ti creda, ma queste cose preferirei sentirle venire dalla sua bocca.
-Faccia come crede. Dopotutto, era nell’accordo. Tuttavia, mi permetta, prima, di farle una domanda.
Sospirai sconsolato. Non mi ero mai sentito pienamente a mio agio, nel parlare con lui. Avrei preferito terminare quella conversazione il prima possibile.
Ci fu una lunga pausa.
Rimase in silenzio per parecchi secondi, ed io feci persino fatica a percepire il suo respiro.
-Signor Aizawa, lei ha mai parlato, seriamente, con il ragazzo?
-Seriamente?
Non capivo.
Certo, che c’avevo parlato, con Ryuzaki.
Lui mi confidava tutto, ed avevamo parlato svariate volte anche di Light.
Dove stava il problema?
-Lei è disposto a giurare, qui, in questo momento, di non aver mai riscontrato somiglianze caratteriali o mentali, tra i due?
 Ancora?
Adesso che si era impuntato sarebbe stato difficile fargli cambiare prospettiva.
-Mi sembrava, che avessimo già affrontato la questione. Non ho notato nulla di rilevante.
-Non ha notato nulla, o non ha voluto notare nulla?
Mi morsi il labbro.
Ma perché quel bastardo sapeva sempre dove colpirti?
Pareva quasi una sfida a battaglia navale.
-Ma, che mi dici di te, Near? Chi mi conferma che anche tu non abbia visto solo quel che hai voluto vedere?
-Allora, lo vede, che qualcosa c’è. Io non le ho mai detto di essermi ritrovato di fronte a queste analogie. Le ho solo chiesto il suo parere e lei, sapendo che queste esistono, ha subito dato per scontato che io le abbia già svelate da solo. Non vorrei sembrarle scortese, ma, a questo punto, direi che ha la coda di paglia, signor Aizawa.
 Bastardo.
Usare questi stupidi giochetti con me…
Era ancora più infantile di L.
Ma non avevo la minima intenzione di darmi per vinto.
Dovevo essere in grado di capovolgere le sue tesi.
-Ti sbagli, Near…
Alzai il tono vocale.
-…e te lo dimostrerò.
Gli sbattei il telefono in faccia e lo scaraventai sul tavolo.
Andai in bagno a risciacquarmi la faccia.
Mi era venuto mal di testa.
Iniziai a massaggiarmi le tempie.
Con tutti i pensieri che si erano ammassati, la mia mente girava più di un frullatore, ma ora ero troppo stanco per pensarci su.
Lanciai distrattamente uno sguardo all’orologio.
Era già tardi.
Ci avrei pensato l’indomani.  

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Capitolo 27
*** Segreti (Ryuzaki) ***


 

27. SEGRETI (RYUZAKI)

 
“Hai mai sentito parlare del caso Kira?”
 
Kira.
Ormai, pensavo di aver capito pressoché ogni cosa.
Lui, l’uomo senza nome, papà, il nonno, gli zii, e chissà quanta altra gente… tutti questi avevano preso parte alle indagini.
Era questo il collegamento.
Sorrisi debolmente, sotto la luce lunare, di ritorno verso casa.
Almeno, ora, l’assassino di mio padre aveva un nome.
Ma, c’era ancora qualcosa che non quadrava.
Quell’individuo mi aveva offerto questa verità praticamente su un piatto d’argento, eppure, allo stesso tempo, mi aveva fatto intuire che c’era ancora qualcosa di occulto in questa faccenda.
Qualcosa che io avrei dovuto intuire.
Una verità… dietro alla verità.
 
Infilai le chiavi nella serratura di casa e, non appena entrai, vidi mia nonna seduta sul divano, intenta a mangiarsi le unghie nevroticamente.
Quando mi vide, saltò in piedi come una molla.
-Eccoti, finalmente! Mi hai fatto stare in pensiero.
-Scusami, nonna. Hai ragione.
Mi sfilai le scarpe, tentando di trovare una scusa plausibile per il mio ritardo.
Non potevo di certo svelarle con chi avevo avuto a che fare, per la sicurezza di entrambe le parti.
-Il fatto è che… sono andato a casa di un amico, per aiutarlo con gli studi. Di questo periodo a scuola ci caricano di verifiche.
 Il suo sguardo si addolcì.
Era bello vederla tornare serena.
-Ora salgo in camera, a studiare. Ti prego di non venire, altrimenti rischio di distrarmi.
-Ma come, non mangi?
-Tranquilla. Non ho fame ora. Magari mi porto un pacchetto di patatine di sopra. Le mangerò più tardi.
 Mi sorrise.
-Come vuoi tu, tesoro.
Aprii la credenza ed estrassi dal fondo un sacchetto giallo con caratteri cubitali incisi sulla plastica luccicante.  
Ero solo io a mangiarle, in casa.
Mia nonna le aveva sempre detestate.
 
Chiusi la porta della mia stanza a chiave e gettai la borsa portadocumenti in un angolo, vicino al mio letto.
Mi sedetti alla scrivania, con la testa tra le mani, intento a cercare una spiegazione plausibile ai fatti che si erano susseguiti negli ultimi giorni.
Caso Kira, eh?
Non ci pensai due volte, ed accesi il monitor del computer.
-Vediamo cosa succede adesso.
Bastò scrivere la parola “Kira” sul motore di ricerca, per ritrovarmi di fronte ad un mondo che mi era sempre stato nascosto volontariamente.
Mi passai una mano tra i capelli.
Sapevo che quello schermo illuminato sarebbe potuto diventare il varco che mi avrebbe permesso di ricostruire il mio passato.
Ma c’erano almeno un milione di diverse pagine internet da analizzare, non avrei mai potuto farcela a collegare tutto velocemente.
La soluzione migliore, era partire dal principio, così aprii gli indirizzi in ordine cronologico, sperando, in questa maniera, di fare un po’ più di luce sul mio oscuro cammino.
 
“Più di duecento criminali sono deceduti, in maniera quasi simultanea, per arresto cardiaco. La polizia indaga.”
 
“Altre vittime del misterioso serial killer dei criminali. Ne sono stati trovati cinquanta senza vita in una prigione americana. La causa di morte sembra essere sempre l’arresto cardiaco.”
 
“I criminali di tutto il mondo continuano a morire. La polizia afferma di non avere alcun indizio su quello che sembra essere un assassino a tutti gli effetti.”
 
“Le morti per mano di Kira aumentano. Dopo un solo mese dal suo avvento, la criminalità è diminuita del dieci percento.”
 
Dieci percento.
Una percentuale piuttosto alta, considerando il lasso di tempo utilizzato.
Ma, mi riusciva difficile pensare che si trattasse, come lo definivano i media, di un assassino vero e proprio.
Chi mai sarebbe stato in grado di provocare arresti cardiaci, in maniera quasi simultanea, a centinaia di persone, in qualunque parte del mondo?
Ma, tra tutti, ci fu un articolo, in particolare, che mi colpì.
 
“Morte in diretta del criminale Lind L. Tailor. L’asso nella manica della polizia fa luce sul caso. Per compiere gli omicidi, Kira ha bisogno di conoscere il volto ed il nome della vittima. Afferma, in oltre, che è giapponese, e si trova nel Kanto. Guerra aperta tra L e Kira.”
 
L?
Quel detective che, di tanto in tanto, si occupava delle indagini più impegnative?
Non ne sapevo molto a riguardo, ma se L aveva fin da subito dichiarato di voler catturare Kira, allora doveva essere per forza quel tizio del cimitero.
Lui, giudicandolo anche solo fisicamente, di certo non si poteva definire proprio il classico poliziotto, ed una persona così eccentrica che si trovava all’interno di un’organizzazione poliziesca, non poteva essere altri che L.
Dopotutto, Kira ormai era uscito di scena, questo significava che L aveva trionfato, e che tutt’ora era vivo e vegeto.
 
Dopo all’incirca un’ora di ricerche, compresi che mi si era aperto un universo completamente alternativo.
Kira non era visto come un assassino.
Ma come un salvatore, come la giustizia,... come Dio.
Ma, nonostante questo, L e la polizia non la pensavano così, perché nell’arco di quasi sette anni, non avevano mai smesso di dargli la caccia.
Anche io, a quel punto, mi ritrovai davanti ad un bivio.
Chi era la vera giustizia?
Chi diminuisce la criminalità del settanta percento, seppur commettendo dei veri e propri omicidi, o chi tenta di fermarlo, perché si tratta pur sempre di un assassino come un altro?
Di primo impulso, mi venne spontaneo schierarmi dalla parte della polizia, da me sempre considerata fonte di massima giustizia.
Però… è vero anche che… il settanta percento era una cifra notevole.
Mi massaggia gli occhi, stanchi e doloranti a causa della luce artificiale del monitor.
Se mio padre, però, aveva deciso di combattere fino alla morte di fianco ad L, un motivo valido ci sarà stato.
Kira aveva fondato il suo regime compiendo degli omicidi.
Forse… non era quella la vera giustizia.
Ma, qualcosa non mi convinceva neanche nei riguardi di L.
Scorrevo e scorrevo le pagine delle notizie, e rilessi fino alla nausea quelle che mi sembravano più rilevanti.
C’era qualcosa di diverso, in lui.
Era come se, da un certo periodo, il suo modo di agire fosse cambiato.
E, guarda caso, pochi anni dopo, rispetto a questo strano ed improvviso cambiamento, si era venuto a formare un organo americano denominato “SPK”.
Ero quasi sicuro, a questo punto, che ci fossero stati due L, nel corso del caso.
Il primo, quello che aveva aperto ufficialmente le indagini, doveva essere morto.
Ed era ovvio, che fosse stato Kira ad ucciderlo.
Mi abbandonai completamente sullo schienale della sedia, fissando il soffitto.
Un volto ed un nome.
Se le cose stavano così, allora colui che giaceva nella tomba anonima, doveva essere per forza il primo L.
 
“…diciamo un mio conoscente.”
 
E, se l’individuo che gli andava a fare visita era l’attuale L, come avevo sospettato, allora tutto tornava.
La sua morte non era mai stata divulgata, ma non ci trovavo nulla di strano in tutto questo.
Il mondo non doveva saperlo, sarebbe scoppiato il panico.
Sorrisi, pensando divertito a come i miei sogni e le mie fantasie si fossero rivelati reali.
Era bello sapere che mio padre avesse lavorato sotto le direttive del detective più celebre del mondo.
Tuttavia, non mi sentivo ancora del tutto dalla parte di L.
Qualcosa mi impediva di vedere in lui la completa giustizia.
-Sarà perché sono ancora giovane e ribelle.
Mi chinai di nuovo sul monitor, tentando di approfondire la ricerca.
-In fondo, se papà ha deciso di schierarsi dalla sua parte, un motivo valido ci sarà stato…
 Sospirai.
-Devo fidarmi della sua scelta.
 
Mi addormentai, quella notte, con la testa appoggiata sulla tastiera.
Sognai tutte quelle informazioni che si erano ammassate prepotentemente nel mio cervello.
C’erano troppe cose che non quadravano.
A cominciare da Kira stesso.
La sua identità, come era immaginabile, era stata abilmente nascosta.
Lo stesso valeva per la sua morte e, ancora più importante, per “l’arma del delitto”.
Se ne fosse mai esistita una.
Ma, anche se ci fosse stato uno strumento così diabolicamente perverso, non mi aspettavo che la mia giovane mente fosse in grado di concepirne l’aspetto.
Kira… secondo Kira… Kira della Yotsuba...no.
Alla fin fine… quello vero era uno solo.
Di questo ne ero sicuro al mille per mille.
 
Mi risvegliai con la luce della luna che filtrava dalla finestra spalancata.
Il monitor era ancora acceso, così guardai l’ora segnata nell’angolo destro dello schermo.
Le tre e cinquantatre di notte.
Ma, ormai che ero sveglio, il sonno mi era del tutto passato.
Mi massaggiai la schiena dolorante e feci scroccare le dita raggrinzite.
Continuai a navigare in rete, tanto per passare il tempo.
“Soichiro Yagami”.
Non trovai un gran che su di lui. Solo qualche articolo che confermava ciò che mi era già stato detto dai miei zii.
Aggrottai le sopracciglia.
-Proviamo con questo…
“Light Yagami”.
Qui non badai molto agli ultimi articoli, che non mi davano alcuna risposta concreta e soddisfacente riguardo al suo lavoro nella polizia.
Ciò che più mi incuriosivano, erano gli articoli che erano stati scritti prima e durante il 2003, l’anno della sua ammissione all’università.
Sapevo che mio padre fosse uno studente eccezionale, ma non mi sarei mai aspettato che raggiungesse i limiti della genialità, come enfatizzavano le pagine di internet.
“Primo agli esami d’ammissione… campione juniores di tennis… in cima alla classifica di tutto il Giappone…”
Aprii la homepage dell’università di Tokyo a cui era iscritto, e mi misi a scorrere le immagini dei vari almanacchi, sperando di riconoscerlo in qualche fotografia.
-Eccolo!
Era stata scattata il giorno della cerimonia d’iniziazione, e lui era sul palco.
Arrossii, nel vederlo così giovane, bello e pieno di speranze per il futuro che, purtroppo, si sarebbe rivelato ancora di breve durata.
Faceva una certa impressione, vederlo da dietro uno schermo.
Era lì, davanti a me.
Eppure… completamente irraggiungibile.
Ma c’era qualcos’altro, oltre a mio padre, che incuriosiva la mia attenzione, in quello scatto.
Un altro individuo.
Accanto a lui, ad accompagnarlo sul palco, esibiva il suo discorso anche un certo Ryuga Hideki, primo anche questo nella classifica universitaria.
A vederli insieme, parevano il giorno e la notte.
Il secondo era pallido, il viso scarno, gli occhi vuoti e pesanti, contornati da profonde occhiaie.
I capelli erano una macchia di inchiostro anarchica che schizzava dalla sua testa, e l’abbigliamento, così poco curato, da farlo sembrare un profugo squattrinato.
Eppure… quello sguardo, mi ricordava…
Scossi la testa, scartando subito questa ipotesi dai miei pensieri.
-No… impossibile.
Non feci neanche in tempo a concludere il ragionamento, che subito mi ritrovai con il naso schiacciato nuovamente dai tasti in rilievo della tastiera.
Dormii in quella posizione per tutto il resto della nottata, con la calda e rassicurante immagine di mo padre, che vegliava su di me, da dietro al monitor.

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Capitolo 28
*** Tutto... O Quasi (Ryuzaki) ***


 

28. TUTTO… O QUASI (RYUZAKI)

 
Quando riaprii gli occhi, il sole mi solleticava il naso e mi invadeva la vista, rendendomi quasi del tutto cieco, per una manciata di secondi.
Starano, però… non ricordavo di aver spento il monitor.
Alzai il capo, e qualcosa scivolò giù dalle mie spalle, cadendo sullo schienale della sedia.
Sembrava proprio la giacca di…
-Come diavolo fai a leggere certi libri?
Mi voltai di scatto, ancora un po’ intontito, e sorrisi al proprietario dell’indumento , semisdraiato sul letto, dietro di me.
-Non è difficile. Mi diverto.
Lo zio Aizawa riprese a sfogliare il tomo, in copertina rigida, su cui erano incisi dei caratteri dorati che esponevano “L’universo in un guscio di noce”.
-Hawking è in gamba. Spiega bene.
Mi alzai, facendo fare un po’ di stretching a schiena e braccia, completamente indolenzite per la scomoda posizione in cui mi trovavo fino a qualche secondo prima.
Porsi la giacca a mio zio, che nel frattempo aveva riposto il volume sulla scrivania.
-Attento a non sprecare troppi neuroni.
Sghignazzai, divertito.
Mi lasciai cadere sul materasso, di fianco a lui.
Avevo bisogno di parlargli.
Il solo fatto che mio  zio si fosse presentato da me, senza preavviso, costituiva un elemento chiave per la mia intuizione.
Doveva aver già saputo del mio incontro con l’attuale L, avvenuto al cimitero, magari perfino da L stesso.
Forse, se avessi giocato bene le mie carte, avrei potuto trarre qualche informazione in più dall’imminente conversazione.
-Zio, devo dirti una cosa. Non te ne ho mai fatto parola prima per non farti preoccupare, ma in questi giorni, al cimitero, ho incontrato una…
-So già tutto, Ryuzaki.
Sorrisi, compiaciuto della mia perspicacia.
-Ti ha detto tutto?
-Si…
Mi guardò negli occhi.
-…ma ora voglio sentirmelo dire da te.
Incrociai le gambe sopra al letto, appoggiando la schiena contro la parete.
-Lui non mi ha dichiarato molto. Ma, facendo delle ricerche, sono giunto alla conclusione che lui è L e che, inoltre, ha avuto modo di conoscere mio padre, nel corso delle indagini sul caso Kira.
 Al suono di quella parola, mio zio si alterò, ma quasi in maniera impercettibile.
-Ho capito che è proprio quello il collegamento tra tutti voi. Il serial killer dei criminali comunemente denominato Kira. E c’è un’altra cosa…
 Puntai l’indice verso il basso.
-…colui che è sepolto nella tomba senza nome…è il primo L.
Spalancò gli occhi, e il suo respiro si fermò.
Probabilmente non pensava che io fossi arrivato ad una simile conclusione che, però, in base alla sua reazione, si dimostrava esatta.
Si inumidì le labbra.
-A questo punto… è inutile nasconderlo…
Si alzò dal letto, posizionandosi vicino alla finestra, con lo sguardo puntato verso il panorama cittadino.
-E va bene, Ryuzaki. Ti dirò tutto.
Scollai la schiena dalla parete, ansioso di avvinarmi alla verità, oggetto della mia più bramosa cupidigia.
Finalmente.

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Capitolo 29
*** Vittima (Aizawa) ***


 

29. VITTIMA (AIZAWA)

 
Mi sentivo un verme.
Un viscido, lurido verme che si rantola nella melma.
Gli avevo promesso la verità.
Ma il mio cuore gli impediva di rivelarla.
Forse non era solo Ryuzaki la causa della mia esitazione, perché quella era una realtà che, in primo luogo, faceva paura a me stesso.
Il sol pensiero che al mondo potesse esistere un individuo del genere, mi faceva gelare il sangue nelle vene.
Non raccontavo bugie per proteggere Ryuzaki.
Io mentivo, per proteggere in primo luogo me.
-Per un paio di anni abbiamo indagato sotto le direttive di L. Ma, quando lui è stato ucciso da Kira, non sapevamo nulla sulla sua identità, così gli abbiamo celebrato noi il funerale. Non ti ho mentito, quella volta al cimitero. Era stato davvero una persona coraggiosa.
-E dopo… è stato quel tizio a prendere il suo posto, vero?
-No. Qui ti sbagli.
Rimase scosso.
Questo non se lo aspettava di certo.
-Vedi, quello che ti sei trovato di fronte, in realtà, è il terzo L. Quando il caso fu chiuso, lui si trovava a capo di un’altra organizzazione, fondata negli Stati Uniti.
-L’SPK!
Bravo ragazzo.
-Noi lo chiamavamo Near. Ufficialmente, fu proprio lui a catturare Kira. Il secondo L era morto, sempre ucciso da quest’ultimo.
 La conclusione ufficiale del caso era avvenuta il 28 gennaio, ma al mondo non venne mai dichiarata la chiusura ufficiale del caso. Tantomeno il fatto che questa era avvenuta il 28 gennaio.
Altrimenti il collegamento “morte di Kira” con “morte di Light Yagami” sarebbe stato scontato per tutti.
Ryuzaki mi guardava, con occhi scintillanti, che brillavano alla luce dei raggi solari.
-Ma… allora… questo significa che…
-Si…
Si portò le mani alla bocca.
-…tuo padre è stato il secondo L.
Rimanemmo in silenzio per parecchi minuti.
Stranamente… non fu difficile, per me, rivelargli quel particolare.
Quando si riprese dalla lunga apnea, Ryuzaki parlava con voce parecchio scossa.
E pensare, che si trattava solo di una mezza verità…
-Allora è per questo che è stato ucciso.
Annuii.
Lui si chiarì la voce, riacquisendo la dovuta calma.
-L’attuale L, comunque, quel… Near. Mi è sembrato parecchio imprudente a farsi vedere in giro così. Non mi convince il suo comportamento.
-Fidati che, ora che è stato visto, ci penserà due volte, prima di rimettere piede fuori alla luce del sole. Se ti è sembrato un po’ troppo confidente, era solo perché ci teneva a parlare con te.
-C… con me?
Iniziò a morsicarsi la punta del pollice.
-Effettivamente…mi è sembrato come se avesse voluto dirmi qualcosa, ma non direttamente. Sono convinto che mi abbia lasciato un messaggio… che va oltre il semplice fatto che lui sia L, e che mio padre sia stato ucciso da Kira.
 Le mani iniziarono a sudare, e sentii il colletto della camicia aderire sempre di più alla mia pelle.
Lo allentai, schiarendomi la voce…
-Comunque…
Per fortuna, fu lui a coprire per primo quel silenzio imbarazzante.
-…il primo L, doveva nutrire una grande fiducia, in mio padre, per lasciare il caso nelle sue mani.
 Mi morsi le labbra, fino a farle sanguinare.
Il sapore ferroso del liquido rosso mi invase la bocca.
-Si… è vero.
-Come lo chiamavate?
Lo guardai sorpreso.
Non capii subito.
-Tu hai detto che l’attuale L viene chiamato da voi Near. È ovvio che, dovevate rivolgervi a lui in una qualche maniera diversa, nel corso delle indagini, perché sarebbe stato imprudente sbraitare il nome di L ai quattro venti. Secondo me, doveva disporre anche il primo di un qualche…
 Gestualizzò due virgolette in aria con le dita.
-…nome in codice.
Alzai gli occhi al soffitto, sospirando.
In fondo… gli avrebbe fatto piacere scoprirlo…
-Si. Noi, lo chiamavamo…
Inspirai profondamente.
-…Ryuzaki.
Lo vidi sbiancare.
Le sue pupille si erano ridotte alle dimensioni di una capocchia di spillo.
Rimase così, a bocca aperta, guardandomi con un’espressione identica a quella che Light aveva dipinta in volto, nel momento in cui si accorse che i nostri cuori non avevano smesso di battere.
Si gettò di schiena sul materasso, con gli occhi fissi sul soffitto.
“Si, Ryuzaki. Tu porti il nome del primo L.”
Non pensavo che si sarebbe sconvolto tanto.
-Zio…tu…mi puoi rivelare…l’identità di Kira?
Chiusi gli occhi, deglutendo.
-No. ormai è morto. E non ha più importanza.
-Si che ce l’ha! Io devo saperlo, zio!
Mi avviai lentamente verso la porta.
La conversazione stava prendendo una brutta piega.
Ryuzaki balzò giù dal materasso, piazzando misi davanti, con gli occhi lucidi e supplicanti.
-Non vorrai lasciarmi così, ora? Dopo che mi avete detto tutte queste cose… ho il diritto di conoscere l’assassino di mio padre!
 Le lacrime iniziarono a rigargli le guancie.
Mi si stringeva il cuore nel vederlo soffrire così.
Ma ora si era riferito a Kira come ad un assassino.
In fondo, non si era rivelata una mossa così malvagia, svelargli tutte quelle cose su Kira.
Ora, almeno, provava odio nei suoi confronti.
-C’è qualcosa… che mi state nascondendo.
Gli posai le mani sulle spalle, penetrando nel suo sguardo, attraverso le due scintille color nocciola che si ritrovava per occhi.
-Ryuzaki. Dimmi la verità. Che cosa ne pensi, di Kira?
Abbassò il capo, nascondendosi il volto con i fini capelli castani.
-Ho letto molte cose su di lui, e non credo nella sua totale malvagità. Molte persone lo veneravano, nella speranza di un mondo di pace. Non si può nascondere il fatto che il mondo fosse diventato un luogo più tranquillo e pacifico. Le cifre sono lì, nero su bianco. È vero, il suo era un regime fondato sul terrore. Ma, non posso fare a meno di domandarmi se, effettivamente, quello non sia l’unico modo di cambiare la mentalità di questo mondo marcio. Kira ha ucciso mio padre, perché gli dava la caccia, ma tutt’ora mi chiedo quale sia stato il motivo che lo abbia spinto a braccarlo. Non riesco a trovare una ragione, per schierarmi contro Kira.
 Riprese a singhiozzare, nascondendosi la faccia stravolta, con le esili mani tremolanti.
-Ora penserai… che sono una persona… malvagia?
Arretrai.
Mi sentii mancare il terreno sotto ai piedi.
Come poteva essere?
Questa era una confessione bella e buona.
Mi passai, sconvolto, una mano tra i capelli.
Near aveva ragione…ed ora, io, avevo paura.
Terrore.
Ryuzaki si era sbarazzato della maschera che io gli avevo costruito e che lo avevo costretto ad indossare per tutto quel tempo.
Il mio respiro accelerò.
Non gli dissi una parola di più.
Avrei voluto rimanere lì, a consolarlo, a stargli vicino in quel momento di crisi.
Ma dovevo contattare Near.
Il più presto possibile.
Ryuzaki era in pericolo.
Prima o poi, si sarebbe ritrovato vittima della sua stessa mente.
Come suo padre.
 

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Capitolo 30
*** Delirio (Ryuzaki) ***


30. DELIRIO (RYUZAKI)

 
Lo vidi darmi le spalle, e varcare la soglia della mia camera, non dicendo un’altra singola parola.
Se n’era andato.
Mi aveva lasciato lì, da solo, in balia della mia testa vacillante e che sentivo prossima all’implosione.
Tredici anni.
Tutti i segreti che mi erano stati tenuti nascosti per tredici anni, ora cercavano di farsi spazio nella mia mente, prendendosi a scazzottate tra di loro.
Mi presi il capo tra le mani, e strinsi forte i denti, cercando di sopprimere il dolore.
Avevo scoperto fin troppe cose in una volta sola.
Near mi aveva avvicinato con la consapevolezza che io fossi il figlio di Light Yagami.
Almeno, durante il nostro secondo incontro.
La prima volta che ci incontrammo, probabilmente fu davvero casuale.
Ma, perché interessarsi così a me?
E, ancora più importante, perché mi aveva consigliato di investigare sul caso Kira da solo?
Sarebbe bastato che mi avesse spiegato i semplici fatti, eppure mi aveva spinto alla ricerca individuale.
Ora che ci penso, anche lo zio, poco prima, mi aveva chiesto il mio personale parere a riguardo.
 
“Ryuzaki. Dimmi la verità. Che cosa ne pensi, di Kira?”
 
E, dargli un’opinione puramente soggettiva sarebbe stato possibile solo senza l’influenza di qualcuno, come appunto un poliziotto che, ovviamente, si sarebbe ritrovato schierato dalla parte opposta del serial killer dei criminali.
Volevano mettermi alla prova?
Se fosse stato così… allora io avevo già perso a causa della mia spudorata confessione risalente a poco prima.
Ma, c’è anche da dire che, quella volta, al cimitero…
 
“Seguendo il tuo ragionamento e la tua mentalità… anche tu diventeresti un assassino come un altro.”
 
“…lui aveva già dato per scontato che io avessi ragionato…”
Deglutii.
“…come Kira.”
Ma che stava succedendo?
Mi guardai le mani, che avevano ripreso a tremare.
“Sembra quasi che…”
Mi lasciai cadere sul pavimento.
Le gambe avevano ceduto.
“…loro pensino che io sia la sua reincarnazione.”
Piansi.
Un pianto silenzioso, ma lungo.
Ero totalmente distrutto.
All’inizio, pensavo che fosse solo Near ad avermi preso in picca.
Ma, ora che anche lo zio mi aveva abbandonato, ora che sicuramente si era schierato dalla sua parte, mi sentivo solo al mondo.
Che cosa avevo fatto di male?
In fondo… non ero l’unico a pensare quelle cose sul conto di Kira.
Tutti quanti, secondo il loro ragionamento, sarebbero potuti essere visti come possibili casi di reincarnazione della sua personalità.
Non che io avessi mai creduto a queste cose… ma ora mi sentivo in pericolo.
Mi vedevo già rinchiuso dietro le sbarre di un qualche sudicio manicomio o in un una cella di un ospedale di riabilitazione mentale.
E i miei zii, che mi guardavano da dietro gli spessi vetri di sicurezza, mentre mi ripetevano con aria compassionevole:
“È per il tuo bene, Ryuzaki. Cerca di capire.”
E Near, che rideva, soddisfatto di avermi incastrato ed affidato alla sua giustizia marcia.
-Io non sono Kira, io non sono Kira, io non sono Kira…
Ripetevo con voce strozzata quella singola frase, fino a che non mi venne la nausea.
Sentivo lo stomaco in subbuglio, e feci davvero fatica a trattenere la bile all’interno della mia pancia.
Mi asciugai le lacrime con il palmo della mano e mi sollevai dal caldo pavimento in legno, seppur ancora con le gambe deboli e tremolanti.
Era tutto un complotto.
Non potevo farmi fregare così.
-Quei bastardi non mi avranno mai.
Mi precipitai al piano di sotto, scendendo le scale solo con tre veloci falcate.
Non presi neanche il cappotto.
Volevo solo andarmene.
Mia nonna, però mi sentì nel momento in cui io aprii la porta.
-Ryuzaki, aspetta, ma dove vai?
-Esco un attimo.
-Ma fuori diluvia! Portati almeno l’ombrello. Ti bagnerai!
-Non m’importa.
Non m’importava più di niente, ormai.
Mi lasciai la casa alle spalle, non del tutto sicuro che ci avrei fatto ritorno.
 
Pioveva.
Iniziai a correre senza meta sotto il diluvio, con l’acqua fredda che mi colpiva la faccia, diventata gelida ed arrossata.
I vestiti erano appiccicosi a contatto con la pelle, ed aderivano fastidiosamente al mio corpo, rendendo i miei movimenti più pesanti e faticosi, anche a causa della quantità d’acqua che era stata assorbita dal tessuto.
La gola bruciava, il fiato iniziava a venir meno.
Mi appoggiai ad un muro, esausto e smarrito.
-E ora, cosa faccio?
Non avevo un posto dove tornare, o dove andare.
Il mondo mi era nemico.
Poi… il mio sguardo si illuminò.
Io sapevo cosa fare.
Sapevo dove potermi nascondere.
Perché là, avrei sempre trovato qualcuno che mi avrebbe aspettato a braccia aperte.
Chiamai a raduno tutte le mie ultime forze, ed iniziai la mia folle corsa verso il cimitero.
È sempre un po’ inquietante, entrare in quel luogo sacro con il maltempo ma, in quel momento, quello mi era sembrato il posto più caldo ed ospitale che avessi mai potuto desiderare.
 
Mi gettai ai piedi della lapide di mia madre, con la testa appoggiata al suolo.
Con le mani, accarezzavo l’incisione del suo nome.
Volevo risentire la sua voce.
Volevo risentire la morbidezza della sua pelle.
Volevo risentire la sicurezza del suo abbraccio, mentre mi stringeva con quelle sue esili mani, con cui si era tolta la vita.
Avrei voluto ricordare il suo dolce profumo, che era stato cancellato e sostituito con quello nauseabondo del sangue.
Io… rivolevo la mia mamma.
-Ti prego…
Era la prima volta che piangevo davanti ad una tomba.
-…torna da me. Vieni a proteggermi.
Ma lei non arrivava.
“È morta, Ryuzaki. Lei sta marcendo due metri sotto terra. Non ci sarà mai più, per te.”
Mi rialzai, sconsolato, con la pioggia che continuava ad investirmi.
Anche il cielo… piangeva per me.
Mi trascinai lungo il solito vialetto che, ormai, attraversavo da anni.
Ma, questa volta era diverso.
 
-È tutta una balla.
Mi fermai, a pugni serrati, fissando con occhi di fuoco il sepolcro senza nome.
-Vi state divertendo, non è così? Ma chi mi dice che non sia tutta una presa in giro per farmi impazzire, eh? Avete organizzato questo bel giochetto per spassarvela un po’ con un povero idiota come me? Caso Kira… L… la polizia… io che dovrei avere il tuo stesso nome, caro L… Si, davvero una bella commedia! Un’organizzazione impeccabile, complimenti! Ci sono cascato! Hai sentito? Ci sono cascato, ma ora piantatela di prendermi in giro, bastardi!
 I polmoni stavano esplodendo all’interno del mio petto.
Caddi in ginocchio annaspando, tentando di riprendere fiato.
-Io non sono Kira!
Urlai con tutto il fiato che avevo conservato, squarciando il silenzio interrotto solo dallo scroscio dell’acquazzone.
-A questo punto… chi mi dice che qui sotto ci sia realmente qualcuno?
Affondai le mani nel terreno fangoso ad iniziai a scavare.
Temetti di aver perso la testa.
La terra mi entrava nelle unghie, ma io, a denti stretti, continuavo a farmi spazio tra humus, sabbia, pietrisco e vermi viscidi.
Poi, sentii qualcosa di appiccicoso tra le dita.
Sollevai la mano, portandomela vicino al naso.
Insieme alla terra, c’era un’altra sostanza rimasta incollata alla mia epidermide.
Bianca, cristallina, sembrava quasi…
Sfiorai il dito con la punta della lingua.
…zucchero.
Allora, non mi ero sbagliato.
Quella volta, Near aveva proprio sotterrato una zolletta di zucchero.
Sghignazzai tra me e me.
“Allora, qui non sono l’unico ad avere problemi mentali…”
Strinsi i denti e ripresi il mio lavoro.
-Non me ne andrò di qui fino a che non ti avrò trovato.
Poi la terra finì.
E le mie unghie si ritrovarono a stridere sul legno della cassa mortuaria, lasciandoci sopra i solchi della mia furia.
D’un tratto, mi sentii una vera merda.
Avrei voluto essere sotterrato in quel momento, lì, sul posto.
-Io ho… profanato una tomba. Ho profanato la tomba… di un innocente.
 Mi misi le mani tra i capelli.
-Si. Io qui sono proprio l’unico ad avere problemi mentali.
Mi lasciai andare, immerso dal pantano. Persi totalmente la forza e la voglia di continuare a vivere.
Mi strofinai via la terra da una guancia e mi rialzai solo dopo parecchi minuti. La pioggia non smetteva ma neanche quella riusciva a portare via lo sporco dai vestiti e dai capelli.
-Fanno bene a volermi rinchiudere in manicomio.
Presi una manciata di terra.
Dovevo rimettere tutto a posto.
Dovevo farmi perdonare per quel gesto sconsiderato.
Non avrei lasciato neanche un granello fuori posto.
 
Ma poi…
 
-E quello cos’è?
Scorsi, sopra al legno d’ebano, un angolino di plastica trasparente.
Tirai la linguetta, estraendo dalla fossa una busta in nylon sudicia di fango, ma che era riuscita a preservare indenne il suo contenuto.
-Ma… che diavolo…?
 
E lo vidi.
 
Giaceva sotto terra ad aspettarmi da anni, ed ora era lì, tra le mie dita.
Non sapevo ancora perché si fosse trovato in quel luogo.
Non conoscevo il motivo della sua esistenza.
Ma, non posso fare altro che ringraziare il mio cervello, per il delirio a cui era stato soggetto in quel momento.
Perché, altrimenti, non sarei mai arrivato a te.
-Ma… questo è un…
Si, Ryuzaki.
Lo è.
Prendilo, è tuo.
 
-…un quaderno.


NOTE DELL'AUTRICE:    Ehm... suppongo che... a questo punto... siano d'obbligo delle spiegazioni. Non so quale possa essere ora la vostra reazione, ma non vi preoccupate! Verrà tutto spiegato nei prossimi capitoli! Non vi porto via altro tempo prezioso… ora via libera con le imprecazioni!! XD  
  

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Capitolo 31
*** Ammissione (Aizawa) ***


31. AMMISSIONE (AIZAWA)

 
La luce nei suoi occhi.
Quella scintilla che gli brillava nell’iride.
Io l’avevo già vista, in passato.
Solo che… non avevo voluto credere alla sua luccicanza.
Ora si, che aveva il suo sguardo.
Se prima la somiglianza era solo fisica, quella mattina, io, avevo sostenuto un vero faccia a faccia… con Light.
 
Appoggia l’orecchio al telefono, in attesa di una risposta, che non tardò a farsi sentire.
Mi ferì l’orgoglio, rivolgermi di nuovo a lui, ma non trovavo soluzione migliore, al momento.
-È un piacere risentirla, signor Aizawa.
-Near… ho bisogno di parlarti.
Sono pronto a scommettere tutto ciò che ho, che quel sudicio bastardo stesse esibendo uno dei suoi inquietanti sorrisetti, dall’altro capo dell’apparecchio.
-Perché?
Sospirai.
-Avevi ragione, Near.
Un’altra volta.
-Riguardo a Ryuzaki… bhè, hai vinto.
-Ah, si? Allora se n’è accorto, finalmente.
Lo diceva con il tono di uno che pensava: “Guarda un po’ chi è tornato strisciando.”
Avrei voluto riempirlo di sberle.
Davvero non era in grado di mettersi nei miei panni, per un momento?
Ma questo era un suo comportamento tipico.
Near era, prima di tutto, uno sporco egoista, che pensava solo alla sua salvezza.
Non gliene fregava nulla degli altri.
-Che cosa facciamo?
-Si rilassi. La faccenda… non è poi così grave. Il ragazzo non può fare del male a nessuno. Anche Kira, senza il quaderno, era più innocuo di un agnello. E poi, è ancora estremamente giovane… non ha nulla tra le mani.
-Si, ma mi chiedo se non esista una maniera per far si che non perda ulteriormente la testa.
-Non esageri. So che ora lei trema all’idea di dover riaffrontare di nuovo Kira…
 Che spudorato.
Lui non era da meno.
Questa sua ipocrisia mi stava iniziando a dare su i nervi.
-…ma non dimentichi che Ryuzaki è sempre vissuto a contatto con voi poliziotti. Penso che, basterà parlargli con la dovuta calma, per convincerlo a cambiare sponda.
-E, che cosa dovrei dirgli?
-Bhè, se non sbaglio… qui non sono io lo psicologo criminale.
Bastardo.
Questa te la faccio pagare.
Facile, sfottere così da dietro un telefono.
-Gliela giri un po’. Usi tutte quelle belle parole che sono state riciclate più volte dal mondo intero. Una mente giovane è più facile da modellare.
 Ma, che cosa sperava di risolvere, così?
Conoscevo la determinazione di Ryuzaki, e non era facile da scalfire.
E poi, quel suo sguardo…no.
Una fiamma del genere sarebbe stata ardua da estinguere.
-Non sarà facile…
-Lo so. Ma una mentalità come la sua è l’ultima cosa di cui il mondo ha bisogno. È vero, di certo non è l’unico a sostenere questo tipo di idee, ma è anche vero che, pensieri del genere, potranno i futuro provocare più danni del previsto. Anche senza usare strumenti di morte, potrebbe essere in grado di spingere nazioni intere a rivoluzioni basate su principi del tutto sbagliati, o a chissà cos’altro.
 Mi scappò una risata.
Si sentiva davvero impotente.
Ne stava facendo una tragedia greca…
Rivoluzioni?
No… le persone al mondo sono cocciute, difficili da cambiare.
A dimostrarlo, bastava il fatto che tutto era tornato alla normalità, dopo a scomparsa di Kira.
-Sa una cosa, signor Aizawa? Non sono mai stato più felice di non avergli rivelato la verità su suo padre. Se, in un  momento così fragile e delicato, lui venisse a sapere di essere il figlio di Kira…
 Mi morsi il labbro.
Quello si che sarebbe stato un bel guaio.
Mi aveva da poco confessato che non capiva la scelta Light di essersi schierato dalla parte di L.
E forse, era solo questa falsa informazione, che lo teneva faticosamente dalla parte del bene.
Ryuzaki pendeva totalmente dalle labbra del padre.
Adesso si, che era realmente importante non rivelargli che Light fosse Kira.
-Near, credo comunque che Ryuzaki rimarrà buono per un po’. Dopotutto, pensa ancora che l’assassino di Light sia Kira. E dubito fortemente che, per il momento, si schieri dalla parte di chi gli ha portato via la figura paterna. Come hai detto tu, la sua mentalità non è ancora del tutto indipendente.
-Su questo sono d’accordo. Allora conto sul suo contributo per parlargli, signor Aizawa.
 Mi massaggiai le tempie.
-Si, ma se permetti, per oggi vorrei chiuderla qui. Sono distrutto. È stata dura, vederlo così a pezzi, mi capisci?
 La realtà era, in parte, un’altra.
Avevo paura.
Paura di ritrovarmi di fronte, nuovamente, a quello sguardo.
-Ho capito. Non c’è fretta. Si prenda tutto il tempo di cui ha bisogno per pensare al da farsi. Io, invece, penso che me ne starò nascosto per un po’.
 Dovevo immaginarlo.
Riagganciai.
Mi ero un po’ calmato, rispetto a prima.
Ma si… in fondo… sarebbe andato tutto per il meglio… me lo sentivo.
Ryuzaki si era sempre fidato di me e gli altri.
Lo avremo riportato sulla buona strada.
Non sarebbe mai venuto a conoscenza della verità su Light.
Adesso, sarebbe solo bastato aspettare che sbollisse la rabbia e tutto sarebbe tornato alla normalità.
Anche quello sguardo sarebbe svanito.
Perché lui ora era solo un ragazzino molto, molto confuso e spaventato.
Non sarebbe mai stato in grado di far del male ad anima viva e, presto, anche la sua opinione su Kira sarebbe cambiata.
Ora comunque, potevo ancora considerarlo al sicuro.
Non aveva modo di venire a conoscenza di quelle realtà più grandi di lui, che avevamo dovuto combattere, e che avevamo vinto.
Le stesse realtà che , tuttavia, non avrebbero mai cessato di esistere. 

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Capitolo 32
*** Tocco (Ryuzaki) ***


32. TOCCO (RYUZAKI)

 
Il diluvio era cessato.
Le goccioline di pioggia risplendevano come diamanti, cuciti in tutto il paesaggio circostante.
In qualche maniera, mi era stata d’aiuto, quell’intemperie.
L’acqua aveva fatto scivolare via dalla mia mente tutta la rabbia e la confusione.
Mi vergognai di me stesso, per aver pensato male dei miei cari.
Loro mi volevano bene, e non avrebbero mai permesso che mi succedesse qualcosa di brutto.
La luce del sole era accecante, e mi pugnalava gli occhi riflettendosi sulle pozzanghere appena formatesi.
Ero ricoperto di fango e acqua fino ai denti, e per la mia via tatuavo sulla strada dense impronte pantanose.
Stavo tornando a casa.
Ero stato un completo idiota a scappare via così, facendo preoccupare mia nonna, ma ora avrei sistemato tutto…
Alzai lo sguardo al sole.
…anche con mio zio.
Mentre camminavo, stringevo gelosamente al petto lo strano quaderno nero che avevo rinvenuto sottoterra.
Non lo avevo tolto dalla plastica, per non rischiare di sporcarlo, lurido com’ero.
Un po’ mi pentii di averlo estratto dalla tomba, ma la curiosità, in quel caso, era riuscita a prevalere sul mio impeccabile buon senso.
Me lo rigirai un paio di volte tra le mani.
A vederlo… sembrava un quaderno come un altro.
Perché mai qualcuno avrebbe dovuto seppellirlo con la cassa di un morto?
Se fosse appartenuto ad L, allora perché non metterglielo direttamente nella bara, insieme a lui?
“Bah… ci penserò più tardi.”
Mi nascosi la preziosa reliquia sotto la maglia.
Per il momento, era meglio tenerlo nascosto, per non dover essere costretto a dare scomode spiegazioni alla nonna.
Arrivato davanti alla porta mi frugai tra le tasche.
“Acc… ho dimenticato le chiavi. Va bhè… poco male…”
Bussai e, mentre aspettavo che l’uscio si aprisse, tentai di formulare una scusa valida per lo stato pietoso in cui mi sarei presentato.
La serratura scattò, e mia nonna si materializzò davanti a me, con una scopa in mano.
Non appena mi vide, si portò le mani alla bocca, facendo cadere l’oggetto che sbatté sul pavimento.
-C… ciao, nonna.
Abbassai gli occhi, come un cane bastonato.
-Ryuzaki, ma… come…?
-Sono caduto. Mi dispiace. Pioveva molto e sono scivolato in una fossa. Avrei dovuto prendere l’ombrello come mi avevi consigliato tu.
 Lo zerbino era diventato completamente fradicio, a causa della melma che continuava a gocciolare dai miei vestiti e dai miei capelli.
-Sono mortificato.
Non stavo mentendo.
Mi sentii davvero male, al solo pensiero di averla fatta preoccupare.
Lei varcò la soglia, e mi avvolse tra le sue braccia, stringendomi forte al petto.
-Nonna, che fai? Così ti sporchi anche tu.
Prese ad accarezzarmi la testa, passando le dita tra i miei capelli, totalmente incrostati di terriccio.
-Scusami. Non lo farò mai più.
-No, non ti preoccupare per questo. So che non l’hai fatto apposta.
Lasciò la presa e puntò le scale con l’indice.
-Coraggio. Ora và a farti una doccia.
Le sorrisi, da dietro la mia maschera di fango.
-Agli ordini.
Mi tolsi le scarpe e, cercando di sporcare il meno possibile in giro, mi precipitai nel bagno della mia camera.
Gettai i vestiti sporchi in un angolo e mi fiondai sotto l’acqua bollente, che mi rigenerò completamente.
Il quaderno lo avevo lasciato sulla scrivania, ancora accuratamente impacchettato.
Mentre mi insaponavo, ebbi modo di riflettere con la dovuta calma su che cosa avrei dovuto farne dell’oggetto in questione.
Mentre ragionavo, mi balenarono in testa le idee più assurde ed inquietanti che avessi mai potuto formulare.
In fondo, i sepolcri erano luoghi sacri, ed io ne avevo appena profanato uno.
Magari, quel quaderno poteva essere una sorta di talismano che proteggeva la tomba da anni, ed io glielo avevo sottratto.
Forse, su di me si sarebbe scagliata una maledizione o quant’altro.
Avevo letto parecchi libri, ambientati nell’antico Egitto, che narravano di antichi sortilegi che avevano condannato i ricercatori di tesori.
Il più delle volte si trattava semplicemente di funghi e batteri che avevano contagiato coloro che erano entrati in contatto con le tombe, e poi ucciso.
Non erano maledizioni vere e proprie, ma ci andavano molto vicino.
E, se fosse stato così anche nel mio caso?
Allora io mi ritrovavo già con un piede nella fossa.
La cosa migliore era rimettere il quaderno al suo posto, perché qui non si trattava solo di me.
Magari, in quel momento, l’anima di L si stava tormentando nell’aldilà a causa della sentita mancanza del suo oggetto prezioso, e la colpa sarebbe stata soltanto mia.
A questo pensiero un brivido mi corse lungo la spina dorsale.
Uscii dalla doccia, ancora confuso sul da farsi.
Mentre mi rivestivo, con abiti puliti e profumati di detersivo fresco, non staccavo neanche per un secondo gli occhi dall’oggetto cartaceo.
“Perché nascondere qualcosa di così insolito sotto terra?”
Un quaderno, sarebbe potuto servire a tutto fuorché come talismano protettore.
Appoggiai una mano sull’involucro di nylon.
“Magari… una sbirciatina… non farà male a nessuno…”
Feci per aprire la busta, ma mi bloccai.
Se portava realmente un malocchio con se, allora avrei ancora potuto essere in salvo, per il momento.
Ma, se non avessi dato almeno un’occhiata al suo contenuto, sarei potuto impazzire e mi sarei ritrovato, in vecchiaia, a struggermi la mente, che continuava assialmente a chiedersi che diavolo ci fosse stato scritto tra le sue pagine.
Sospirai.
No… ormai la frittata era fatta, sarei andato fino in fondo a questa faccenda.
Estrassi con un forte scatto il quaderno, gemendo come se mi avessero appena colpito al cuore.
Ora, non si tornava più indietro.
La copertina era liscia al tatto, ma anche leggermente consumata.
Quando lo toccai, per la prima volta, percepii una leggera scossa.
Forse era solo la mia suggestione, ma intuii subito la sacralità che si portava dietro quell’oggetto.
Mi sentivo quasi intimorito, alla sua presenza.
Compresi subito, di avere a che fare con qualcosa di più grande di me.
Infilai le dita tra le pagine, ed iniziai a sfogliarlo.
  

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Capitolo 33
*** Arma (Ryuzaki) ***


BUON 28 GENNAIO A TUTTI  ^^

32. ARMA (RYUZAKI)

 
Nomi.
 
Pagine e pagine infittite da una valanga di nomi.
Sfogliando il quaderno mi accorsi che, però, non era completo.
Le pagine rimaste bianche erano, tutto sommato, molte.
Direi quasi più della metà.
Ma i nomi erano stati scritti in maniera molto ravvicinata tra di loro.
Ad occhio e croce, saranno stati qualche migliaia.
Ma, ce n’erano due, in particolare, che avevano attirato la mia attenzione, e che spiccavano in mezzo a quei fogli quasi completamente neri d’inchiostro.
Erano stati scritti in carattere occidentale, con una calligrafia piuttosto tremolante, e le lettere erano alte un paio di righe.
Non ero ancora pratico, nella lettura di quell’alfabeto, ma riuscii a leggerli solo dopo pochi secondi di riflessione.
“Quillish Wammy”.
“L Lawliet”.
Probabilmente erano inglesi.
Erano stati scritti su una delle prime pagine e solo dopo di quelli si apriva la lunga e fitta lista di identità.
Poi, c’era un’ interruzione improvvisa.
D’un tratto, l’elenco finiva, e dopo di lui, niente.
Leggevo e rileggevo i segni d’inchiostro tra le righe, e notai qualcosa di strano, scorrendoli.
Era come se io li avessi già sentiti, da qualche parte, ma non tutti.
Non riuscivo proprio ad associare quell’elenco a nulla di mia conoscenza, così presi un’identità a caso e la digitai velocemente sul motore di ricerca del computer.
E lo trovai.
Era un criminale, deceduto per arresto cardiaco.
Si… era una vittima di Kira.
Ne provai altri, altri ed altri ancora.
E la cantilena recitata dai titoli delle pagine internet era sempre la stessa.
Ecco, dove li avevo già letti.
Probabilmente, mi erano passati sott’occhio quel giorno i cui feci le mie prime ricerche su Kira.
Mi massaggiai le tempie, cercando di trovare una spiegazione logica a tutto ciò.
Che motivo ci sarebbe stato, di annotare i nomi delle vittime su un quaderno?
Mi morsi la punta del pollice, dondolandomi avanti e indietro sulla poltrona girevole.
Poi mi diedi una sberla sulla fronte.
Ma certo!
Era ovvio!
Sicuramente quelli erano gli appunti usati da L per studiare l’indagine.
Forse era quello il motivo del perché si trovasse sottoterra, sepolto insieme e a lui.
Probabilmente, si era trattato di un gesto affettuoso da parte degli altri poliziotti, in modo che, anche dopo la morte, L avrebbe continuato a vegliare su ciò che aveva messo insieme con tanta fatica…
Deglutii, iniziando a sentirmi decisamente preoccupato per la mia sorte.
…ed ora… io glielo avevo portato via.
Il lavoro di tutta una vita strappatogli dalle viscere della terra da uno stramaledetto ragazzino impertinente e profanatore.
Chiusi il quaderno, deciso a riporlo nella plastica che lo aveva protetto e custodito per anni.
Ma, poi mi fermai.
Un’ultima cosa…
Avrei verificato un’ultima cosa e poi avrei rimesso tutto al suo posto.
“Lo giuro!”
Puntai il mouse e battei velocemente sui tasti in rilievo che riportarono fedelmente la scritta sullo schermo: “Quillish Wammy”.
-Strano…
Non era un criminale.
Anzi… a prima vista, pareva proprio un benefattore.
Trovai diversi articoli che ne annunciavano tristemente la morte, esaltando ed elogiando le sue meritevoli gesta, che facevano di lui uno degli uomini più amati della Gran Bretagna.
“Geniale inventore… ricche donazioni offerte a favore della ricerca e dello sviluppo…orfanotrofi fondati in tutto il mondo…”
Un grand’uomo, per come lo descrivevano i giornali.
Ma, allora, perché il suo nome si trovava insieme a quelli di tutti i peggiori criminali che siano mai apparsi sulla faccia della terra?
-Riproviamo.
“L Lawliet”
Contorsi lo sguardo, stupito per quel che mi comparve davanti.
Nulla.
Vuoto totale.
Secondo il web, questo individuo non esisteva.
Mi abbandonai completamente sullo schienale della poltrona, che si reclinò leggermente all’indietro.
-In fondo… neanche internet è onnipotente…
Chiusi gli occhi, rivolgendoli verso il soffitto, direttamente sulla luce emanata dal lampadario.
Dopo tutto, non era affar mio.
Ora, avrei tentato di riposare qualche minuto, per riprendermi dall’esperienza appena vissuta sulla mia pelle, e poi, come promesso, sarei tornato al cimitero a riseppellire il quaderno e, insieme a lui, tutti i segreti che si portava appresso.
Non aveva senso farsi altre domande, la storia… sarebbe finita lì.
D’un tratto, però, la luce che filtrava, attraverso la sottile pelle delle mie palpebre, scomparve, lasciando spazio ad una totale oscurità.
Subito, il mio volto fu invaso da un’aria umida e rancida, che penetrava nelle narici, fino ad arrivare a soffocarmi, stagnando sulle pareti della gola.
Ancor prima che potessi aprire gli occhi, la stanza fu invasa dalla più acida risata che le mie orecchie avessero avuto modo di udire fino ad allora.
-Ah ah ah! Guarda un po’…
 
La prima cosa che vidi di lui, furono i suoi occhi.
Gialli, come se stessero marcendo, con l’iride tinta di un profondo rosso sangue.
Davanti a me, galleggiava una figura dall’aspetto vagamente umanoide, dai lineamenti grotteschi, avvolti da brandelli di stracci che, suppongo, avrebbero dovuto fungere da vestiti.
Sembrava come se una delle tante creature dell’oscurità create dagli adulti per ricattare gli ingenui animi dei bambini, si fosse materializzata davanti a me.
Eppure… nel suo tono di voce… non riuscii a rintracciare la consueta malvagità che avrebbe dovuto possedere, per un perfetto abbinamento con la sua figura.
-… sei cresciuto!
Urlai.
Un singolo, forte e secco urlo che echeggiò tra le quattro mura della camera.
La sedia si ribaltò all’indietro e io mi ritrovai subito con il sedere per terra e la nuca dolorante per aver sbattuto contro il pavimento.
Ero ancora intento a massaggiarmi il capo, quando la creatura sbuffò divertita.
-Va sempre a finire così… forse dovrei inscenare delle entrate un po’ meno improvvise.
 Lo osservavo dal basso verso l’alto, nella sua imponente statura, che avrà sicuramente superato i due metri di altezza.
Il corpo era scheletrico, e mi fu difficile credere che ci fosse della carne intorno alle sue ossa.
Lo sguardo mi cadde nuovamente sul quaderno, ancora aperto sulla scrivania.
Era venuto per quello, ne ero sicuro.
Ed ora, avrebbe trascinato la mia anima all’inferno.
Puntai l’indice tremolante verso la superficie del tavolo.
-S… sei… sei venuto…p…per quello?
Si girò e lanciò un’occhiata distratta sulle pagine aperte.
Sospirò, quasi sconsolato.
-Suppongo… che dovremo rincominciare tutto da capo.
Rimasi a bocca aperta.
Letteralmente.
-N…non…vuoi la mia anima?
Si grattò la testa.
Il suo atteggiamento mi appariva decisamente troppo tranquillo.
Tuttavia, non riuscivo a mostrarmi più rilassato, davanti al suo insolito comportamento.
-Ma, allora siete proprio fissati, voi umani. Comunque…
Mi tese la mano scheletrica, dalle cui dita fuoriuscivano lunghi ed affilati artigli.
-…ciao. Io sono Ryuk. Suppongo che tu abbia parecchie cose da chiedermi.
 Mi rialzai, ma senza il suo aiuto.
Tentai di guardarlo negli occhi, non mi ero ancora completamente abituato alla sua impressionante immagine.
-Che cosa sei, tu? Uno spirito?
-Bhè…qualcosa di simile. Hai mai sentito parlare degli shinigami?
Shinigami?
Gli dei della morte?
-Vagamente. Ma scommetto che la tua presenza qui ha a che fare con quel quaderno.
-Proprio così. Ma tu avrai già compreso da solo, la sua utilità.
Lo guardai con aria interrogativa.
Ma lui si rese conto della mia esitazione solo qualche istante dopo.
-Ah, già…dimenticavo. Quel quaderno non ha le regole scritte sulla prima pagina.
 Regole?
Utilità?
“Ma che diavolo sta succedendo?”
-Tanto per curiosità, dov’è che l’hai trovato?
Ma come?
Il quaderno era suo, e non sapeva nemmeno dove si fosse trovato fino a poco tempo prima?
-Era sepolto. Nella tomba di una persona. Una tomba senza nome. Pensavo che tu… ne fossi già a conoscenza.
 Il suo sguardo si illuminò.
Per quanto potesse risultare luminoso.
-Allora è lì che l’ha nascosto, eh? Ah, ah!
Si portò la punta dell’indice sulle labbra.
-Immagino, che l’abbia sostituito il giorno del loro ultimo incontro. Certo che, però, nasconderglielo lì… è davvero diabolico da parte sua.
 Mi sentivo quasi ignorato.
I suoi farfugliamenti senza senso stavano iniziando ad innervosirmi.
-Ma, insomma! Che cosa vuoi da me?!?
Afferrò il quaderno ed osservò l’ultima facciata.
-Mmm…vedo che non hai scritto ancora niente.
-Che… che cosa avrei dovuto scriverci?
Lo chiuse, e me lo consegnò tra le mani.
-Ryuzaki, tu lo sai a che cosa serve, questo quaderno?
Com’è che sapeva il mio nome?
-Ho immaginato… che si trattassero di semplici appunti, presi dal detective che è sepolto nella tomba dove l’ho trovato. I nomi scritti lì sopra, sono tutti risalenti alle vittime di un certo serial killer che tutti chiamano Kira.
 Lo shinigami esplose in un’agghiacciante risata isterica.
Metteva i brividi.
-Ah ah ah! Molto divertente! A parte gli scherzi, questo è un Death Note e, come dice la parola stessa…
 Mi si avvicinò, standomi con il viso ad un centimetro di distanza dal mio.
Potevo vedere la mia immagine nitidamente riflessa nelle sue pupille.
-… con questo quaderno, ci si ammazza la gente.
 
Uccidere.
La persona che aveva scritto quei nomi era un…assassino?
Ma, allora non poteva essere appartenuto ad L.
Un’arma del genere sembrava decisamente più propria di…
-Sarebbe stato molto più comodo farti avere le regole anche a te messe per iscritto.
 Anche a me?
-…ma te le riassumo. Se tu scrivi il nome di una persona di cui conosci il volto su queste pagine, quella, dopo quaranta secondi, morirà per arresto cardiaco. Ci sei, fino a qui?
 Annuii.
Anche se mi rifiutavo di credere ad una cosa tanto assurda.
-Poi, ci sono anche un sacco di altre clausole. Ma, di queste, avremo modo di parlare in un altro momento, quando se ne presenterà l’occasione.
 Fissai un’altra volta il Death Note.
Se le cose stavano così… allora molte cose a me incomprensibili, sarebbero state possibili.  
Se quel quaderno possedeva il potere micidiale di cui mi aveva appena parlato Ryuk, allora il caso Kira assumeva un senso più compiuto.
Il puzzle si stava riempiendo.
-Dimmi una cosa, Ryuk.
Si allontanò dalla mia faccia.
Finalmente.
-Questo quaderno…è appartenuto a Kira, vero?
Lo shinigami mi sorrise.
-Esatto. Ma quello è solo uno dei quaderni che sono passati nelle mani di Kira. È cominciato tutto quando io decisi di lasciar cadere un Death Note, per vedere cosa sarebbe successo se fosse finito nelle mani di un essere umano. Poi, sono accaduti una serie di avvenimenti che hanno complicato la faccenda, ma è così, che ha avuto inizio quella che voi chiamate “Era di Kira”.
 Allora, Kira aveva sepolto il quaderno prima di morire, con la speranza che qualcuno lo ritrovasse.
Ma…che cosa si aspettava?
Che qualcuno avrebbe ripreso e portato a compimento la sua opera?
-Ryuk, devo dedurre dal tuo atteggiamento, che non rivuoi indietro questo quaderno.
 Scosse la testa.
-No, veramente anche quella è una regola. Ormai, il Death Note è tuo. Ma, se vuoi, puoi sempre restituirmelo di tua spontanea volontà. Ma sappi, che dovrò cancellarti la memoria.
 Cancellarmela?
Meno male, che glielo chiesi.
Perché avevo paura di quello strumento di morte, e la conservazione di quella preziosa informazione sul caso Kira fu, in quel momento, l’unico motivo che mi spinse a non rinunciare alla proprietà.
Un momento… lo shinigami affermava di aver lasciato il quaderno nelle mani di Kira stesso, questo voleva dire che…
-Ryuk, tu sei in grado di…rivelarmi l’identità di Kira?
Piegò la testa di lato, incredulo.
-Ma, come? Non te l’hanno detto?
Rimasi immobile, pietrificato.
Avevo persino iniziato a sudare.
Ryuk si fece d’un tratto stranamente serio.
Ma, ormai, avevo più paura di quel che sarebbe potuto uscire dalla sua bocca, che della sua presenza vera e propria.
-Kira è…
 
Dai, Cristo Santo!
Dillo!
Tira fuori l’assassino di mio padre!
 
Il mio respiro si fermò.
Riuscivo a percepire ogni singolo passaggio del sangue attraverso le vene del mio collo.
 
Dimmelo!
Dimmelo, ti prego!
 
Il tempo si era fermato.
Il resto del mondo era diventato di pietra.
 
Dillo…
 
-…Light Yagami.
 
 
No.
 
Bugiardo.
 
Non è vero.
 
Non può essere vero.
 
Arretrai, ritrovandomi con le spalle al muro.
Mi presi la testa tra le mani.
 
È un incubo.
 
Solo uno schifoso ed ingiusto incubo.
 
-Non è stato il solo ad usare il quaderno, nel corso degli anni. Ma è lui la mente organizzatrice di tutto. Si può dire che io sia stato il suo, ehm…compagno di giochi?
 Se non altro, la mia ipotesi di un unico pianificatore dei fatti si era rivelata esatta.
Tuttavia…facevo ancora fatica ad accettare la realtà.
-Non raccontarmi balle! È impossibile, mio padre era un poliziotto! Ha dato la caccia a Kira per tutta la sua vita. È stato persino ucciso da Kira stesso!
-No, Ryuzaki.
Mi aprì davanti agli occhi un altro Death Note, che teneva legato al suo fianco.
Quando lessi il contenuto delle sue pagine, mi sentii mancare.
Percepii il pavimento cedere sotto il mio peso.
Il mio passato, così ben costruito ed abilmente recitato da tutti quelli che mi circondavano, si sciolse come cera calda, alla vista di quelle parole.
 
“Light Yagami”.
 
-Ho ucciso io tuo padre. Era arrivato al capolinea. E, inoltre, questo fa sempre parte delle regole del gioco.
 Caddi in ginocchio, con lo sguardo spento e perso nel vuoto.
Era lì.
Il carnefice di mio padre era lì, davanti a me.
Ed io, non potevo fargli niente.
Non provai odio, per quello shinigami.
Giuro.
Perché la mia mente stava affrontando un’altra cruda realtà.
Mio padre… era Kira.
Ma, così…tutto tornava.
Ecco, perché Near e lo zio mi stavano col fiato sul collo.
Volevano vedere quanto io avessi ereditato dalla sua mente malata.
 
Mio padre era un assassino.
 
-Che intendi fare?
Alzai lo sguardo verso Ryuk, che aveva preso a volteggiare per aria.
-Mi sembri un po’ sconvolto…
E ci credo.
Ma come ragionava, questo qui?
Però, forse avrei potuto ricevere più informazioni su mio padre da quel dio della morte che da qualunque altra persona.
Dovevo calmarmi, e riprendere il controllo.
Era la mia occasione d’oro.
In fondo, non era quello che avevo sempre desiderato?
Per quanto fosse difficile da accettare, quella era la verità che avevo braccato durante tutto il corso della mia esistenza.
E avrei dovuto farmela piacere.
-Ryuk, com’era… mio padre?
Lo shinigami sghignazzò.
-Eh eh. È un’impresa ardua, descriverlo così su due piedi. Ma, in poche parole, lo giudicherei… uno spasso.
 Certo che, questo individuo, aveva uno stano modo di vedere le cose.
-Tu cosa sai, di lui?
-Non molto. Solo che ha lavorato al caso Kira fino alla sua morte. E che ha anche preso il posto di L, per un certo periodo.
-E…di Kira?
Sospirai.
-Ognuno ha un’opinione diversa sul suo conto. C’è chi lo giudica un serial killer psicopatico, chi invece lo vede come il Dio che ha mosso la sua volontà per aiutare il mondo ad uscire dalle tenebre. Ma io, ora, non so più in cosa credere.
 Ripresi a sfogliare le pagine del quaderno.
Non doveva essere stato facile, farsi carico di tutte quelle morti.
Mio padre doveva avere una mente d’acciaio, per non essersi fatto sopraffare dalla pazzia.
Era lui, il primo a mettersi in rischio, e lo aveva fatto solo per il bene delle persone.
Che le sue intenzioni…fossero state davvero così pure e genuine?
Mi ricadde lo sguardo sui nomi scritti all’inizio.
In particolare, sul secondo.
“Perché, allora, c’era chi gli dava la caccia?”
Non era forse quest’ultimo, il malvagio, in questa situazione?
Se Kira… se papà aveva riportato uno spiraglio di luce in questo mondo marcio, allora perché opporsi a lui?
“L Lawliet”.
Ormai, non avevo più dubbi.
Quello…era il nome di L.
Mio padre, era riuscito a sconfiggere il più grande detective del mondo.
Colui che si spacciava per la vera giustizia.
-Ryuk…
Il dio della morte rimise i piedi per terra.
-…usciamo un attimo. C’è una cosa che devo fare.
Afferrai la maniglia della porta, ma mi bloccai.
Se mia nonna, o qualcun altro l’avesse visto…non volevo nemmeno pensarci.
Lui intuì la mia preoccupazione.
Si vedeva, che c’era già passato davanti a problemi del genere.
-Tranquillo. Solo chi ha toccato il quaderno è in grado di vedermi.
Gli sorrisi.
Per la prima volta.
Anche se, c’era qualcosa di diverso nel mio sguardo.
Lo percepivo a pelle.
Infilai il quaderno nuovamente sotto la maglia e mi avviai verso l’uscita, con Ryuk che mi seguiva, fluttuante dietro alle mie spalle.
Sospirai.
Avrei dovuto farci l’abitudine.
 
Nel cimitero si era alzato il vento.
Era buffo, notare come il clima in quel luogo fosse sempre leggermente peggiore, rispetto a quello che si vive in città.
-Che ci facciamo qui?
Mi ritrovai per la seconda volta in una giornata davanti alla tomba di L.
Ma ora, iniziavo a guardarla con occhi totalmente differenti.
Colui che giaceva sotto quel mucchio di terra non era la giustizia.
Era solo un perdente, che aveva sfidato Kira solo per il suo personale orgoglio e divertimento.
Mio padre era la giustizia.
Estrassi il quaderno, aprendolo sulla pagina su cui era inciso il suo nome a caratteri cubitali.
Lo voltai, esibendo il suo contenuto alla croce di pietra che si ergeva dinnanzi a me.  
-Hai visto?
Mi inginocchiai, sempre con il Death Note aperto in direzione del sepolcro, ed avvicinai la bocca al terriccio.
-Ha vinto lui.
Ma, anche se le cose stavano così, continuavo a sentirmi impotente.
Avevo il possesso del quaderno della morte.
Ma ero in balia dell’indecisione.
Che cosa avrei dovuto fare, adesso?
Lasciare le cose come stavano?
Oppure, riprendere io a giustiziare i criminali?
Ma ero davvero in grado… di uccidere delle persone?
Anche se era per una buona causa, io rimanevo pur sempre un ragazzino di tredici anni.
Feci per rialzarmi, ma, nel sollevarmi, dal fondo del quaderno cadde qualcosa.
Mi chinai per esaminare l’oggetto in questione.
Una lettera.
Com’è che non me n’ero accorto prima?
-Una lettera?
-Si…a quanto pare. Ma…
La voltai.
Sul retro c’era una scritta.
-…qui c’è il mio nome.
Non ci pensai due volte.
Scartai la busta su cui era inchiostrata la scritta “Ryuzaki” ed estrassi il foglio, che conteneva le ultime parole di mio padre.
Ed erano rivolte a me.
Sentii sul collo l’alito di Ryuk.
-Che c’è scritto?
 
Quelle non erano le parole di un assassino.
 
Quelle non erano le parole di un pazzo psicopatico che aveva trascinato il mondo nell’oblio.
 
Quelle…erano semplicemente…le parole di un padre.
 

“Ryuzaki,
se stai leggendo questa lettera, allora questo vuol dire che io mi
trovo già all’altro mondo. Probabilmente avrai già scoperto
l’identità di ciò che stringi tra le mani, anzi, forse Ryuk ora è già lì
con te. Come avrai sicuramente capito, io sono Kira. E questo
quaderno era la mia arma di giustizia. Ti sarai accorto, negli anni
che hai già vissuto sulla Terra, che, quello dove ti trovi, è un
mondo marcio, popolato dalla corruzione, dalla criminalità e,
soprattutto, da gente malvagia. Io ho provato a cambiarlo,
questo mondo, Ryuzaki. Tutto ciò che volevo, era un luogo di
luce, popolato solo da persone per bene e di buon cuore.
Tuttavia, c’è ancora chi non la pensa così. E queste persone
devono essere fermate, Ryuzaki. Sono loro, le persone malvagie.
Si personificano nella giustizia, cercando di ostacolare chi pensa
solo al bene del mondo. Suppongo, che tu sappia già, a chi
appartiene la tomba dove ho nascosto il quaderno. Non devi
fidarti delle persone come lui. La loro mentalità è sbagliata, ma
io ti offro l’opportunità di aprire gli occhi sulla realtà di questo
mondo corrotto e di provare a cambiarlo, dopo di me. Non
posso sapere se tua madre sia ancora viva ma, conoscendola,
è molto più probabile che si sia tolta la vita per seguirmi, anche
se questo significava lasciarti da solo. Anche lei, mi è stata
affianco nel corso della venuta del mio regno. Era in possesso di
un quaderno, proprio come me, e si è presentata all’umanità
come secondo Kira. Ma, anche se tutt’oggi fosse viva, non
sarebbe in grado di continuare la mia opera. Puoi farlo solo tu,
Ryuzaki. Ma non sentirti obbligato. Questa è un’enorme
responsabilità che io, in qualità di padre, ti sto affidando. Sta
solo a te, decidere se riportare il mondo verso una nuova
speranza. Se accetterai, sono sicuro che Ryuk ti spiegherà ogni
cosa. Quel quaderno, che tieni tra le mani, ti apre le porte verso
un mondo di luce. Sappi, però, che la polizia è a conoscenza
della sua esistenza. Dovrai muoverti ancora più cautamente di
me. Se risulterà necessario, non esitare ad uccidere anche chi ti
sembra amico, perché ricordati, Ryuzaki, che chi si ribella a Kira,
è nemico dell’umanità. Comunque, secondo i miei calcoli, ora
nessuno di quelli che sono venuti a contatto con il quaderno,
dovrebbero più essere in grado di vedere Ryuk. Ora, non posso
fare altro che augurarti buona fortuna. Spetta a te, decidere
cosa farne del Death Note. Il destino del mondo è letteralmente
nelle tue mani. Ma sappi che io ti sono vicino, Ryuzaki.”
 
 
Ripiegai accuratamente il foglio.
Il mio viso era coperto dai capelli che, ogni tanto, venivano mossi leggermente dal vento.
Inspirai… ed espirai.
-E va bene.
Ryuk mi guardò, con espressione interrogativa.
-Va bene, papà.
Alzai lo sguardo verso il cielo.
-Costruirò io il tuo mondo. Sarò io il nuovo Kira. Sarò io, a personificare la giustizia. Sarò io, a portare le luce in queste tenebre.
 
Ero rinato.
Ryuzaki Yagami era  morto.
Adesso io…ero solo…Kira.
Un ghigno si fece spazio sul mio volto.
-Ma, per far questo, dovremo prima sbarazzarci dei parassiti che intralciano la mia strada.
 Mi voltai di scatto verso Ryuk, guardandolo dritto negli occhi.
Adesso non ne avevo più paura.
-Ryuk, hai detto che si possono fare diverse cose, con questo quaderno, giusto?
-Certamente. La morte può essere manipolata, entro certi limiti.
Mi fermai a riflettere.
-Per prima cosa dovrò uccidere Near e i suoi subordinati. E, ovviamente, anche i membri della polizia giapponese che hanno preso parte alle indagini.
 Lo shinigami rimase scosso, da quella dichiarazione, e mi squadrò con aria incredula.
-I membri della polizia giapponese? Ma…non sono le presone che ti hanno cresciuto?
-Dimentichi cosa c’è in ballo, Ryuk? È vero, non posso dimenticarmi l’affetto dei miei zii, ma loro sono nel male, e il male deve essere spazzato via. Non sarebbe giusto fare delle eccezioni, solo perché hanno dei contatti intimi con me. Mi capisci?
 Una risata fu la sua risposta.
-Poi, dovrò pensare anche a come farmi rivelare il nome di Near e dei suoi sottoposti. Per i volti non c’è problema. Near l’ho visto in faccia, e gli altri potrò vederli di sicuro grazie agli archivi dell’FBI. Non sarà difficile intrufolarcisi. Ma, non posso essere completamente sicuro che i nomi a loro associati, siano veri.
 Mi massaggiai le palpebre.
“Pensa, pensa. Deve esserci un modo.”
-Ryuk, tu…non puoi rivelarmeli, i loro nomi, vero?
Scosse la testa.
-No, mi dispiace. È contro le regole.
-Come pensavo.
Però, Ryuk non doveva essere stato il solo ad averli visti in faccia.
Di sicuro, anche gli zii avevano visto i loro volti e, chissà… magari avevano anche avuto occasione di prender visione delle loro identità. In tal caso, sarebbe bastato manipolare ad arte uno di loro, per entrare in possesso di queste informazioni.
-Ci sono.
-Eh? Hai già trovato una soluzione?
Girai i tacchi e mi misi in marcia, verso l’uscita del cimitero.
-Avrai l’onore di assistere a qualcosa di dimensioni epiche, mio caro Ryuk.
 Lo shinigami alzò gli occhi al cielo.
-Mi sa di qualcosa di già sentito. Comunque… potrebbe rivelarsi ancor più divertente. A proposito, Ryuzaki, tornando verso casa, possiamo fermarci a comprare delle mele? Tuo padre me le procurava sempre…
 Sorrisi, da dietro i capelli che mi nascondevano il viso.
-Ma certo, Ryuk.
-Evviva!
Ma proprio un individuo del genere, avrei dovuto sorbirmi per tutta la vita?
Bah…comunque, se era resistito mio padre, in sua compagnia, io ce l’avrei fatta di sicuro. 

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Capitolo 34
*** Nel Nome Del Padre ***


                                               34. NEL NOME DEL PADRE (RYUZAKI)
 

La penna mi cadde dalle dita, succubi di una mano sudata e tremolante.
Annaspai convulsivamente, cercando di riossigenare il cervello, totalmente paralizzato.
Le gocce di sudore di sudore scorrevano sulle mie guancie, cadendo sulle pagine del quaderno, aperto sul tavolo davanti a me.
-Ce l’hai fatta?
Tentai di sorridere a Ryuk, che mi osservava divertito, fluttuando sopra di me.
-È un po’…più difficile…di quel che pensassi.
Mi asciugai la fronte imperlata di sudore con la manica della maglia.
Presi due profonde boccate d’aria e rilessi ciò che avevo appena scritto sul Death Note.
Avevo ancora la vista leggermente appannata, così mi stropiccia gli occhi, ma questi, venendo a contatto con la soluzione salmastra, si irritarono ancora di più.
-Quanto ci vorrà?
-Te l’ho già detto. Quaranta secondi.
Non riuscivo a distogliere lo sguardo dai segni neri, appena tracciati da me sul quaderno.
“Kanzo Mogi”
“Hideki Ide”
“Tota Matsuda”
-Quindi…in teoria…dovrebbero essere già…
-Sicuramente sì.
Mi appoggia sullo schienale della sedia, riprendendo a respirare regolarmente.
-Se avrai ogni volta questa reazione, non sarà un’impresa facile.
Stupido dio della morte.
Cosa pretendeva?
Che si sarebbe rivelata una passeggiata, per me, ammazzare gli zii che mi avevano allevato e cresciuto fin dal giorno della mia nascita?
È ovvio che, dopo questo passo, sarebbe stato tutto molto più semplice.
Dovevo farmi forza.
Non potevo permettermi di farmi sopraffare dalla debolezza.
Il mondo, era più importante dei miei sentimenti personali.
Mi morsi la punta del pollice.
-E che mi dici di questo, Ryuk? Sei sicuro che funzionerà?
Indicai con l’indice l’ultimo appunto, scritto sul fondo della pagina.
 
“Shuichi Aizawa. Scrive dentro ad una busta i nomi relativi ai membri dell’organizzazione da lui conosciuta come SPK, e li imbuca nella residenza degli Yagami. Muore di arresto cardiaco una volta tornato nella sua casa.”
 
Ryuk gettò un’occhiata distratta su quella che rappresentava la condanna a morte di mio zio.
-Non dovrebbero esserci problemi. Ora, non devi far altro che aspettare che ti imbuchi la lettera.
-Già…
Giunsi le mani davanti al mio viso.
-…ed allora, anche Near diventerà concime per vermi. Così mi sarò sbarazzato di tutti quelli avrebbero tentato di mettermi i bastoni tra le ruote. Dopo di che… potrò riprendere a giustiziare i criminali in tutta tranquillità.
 Chiusi il quaderno, accarezzandone la copertina.
-Le danze sono appena iniziate, mio caro Ryuk.
Lo shinigami sghignazzò, con la bocca ripiena di poltiglia della mela, che stava stringendo gelosamente tra le dita.
Mi alzai dalla scrivania, dirigendomi verso la finestra da cui filtravano dei deboli raggi di sole, coperto da nuvole cariche di pioggia.
Mi dispiaceva.
Sarei uno sporco ipocrita, se affermassi il contrario.
Davanti a me ripassavano tutti i bei momenti della mia infanzia, vissuta accanto agli zii, sempre presenti vicino a me con il loro infinito amore.
La pellicola della mia vita scorreva, ma ora avrei dovuto sbarazzarmi di lei.
Dovevo distruggere quei legami che rischiavano di farmi distrarre dal compiersi della mia missione.
Sospirai, appoggiando la fronte al vetro, e subito si formò la condensa davanti al mio naso.
“Sono necessari, dei sacrifici, per le cause importanti. Devo prepararmi al peggio. Questa non sarà sicuramente l’unica situazione problematica che mi capiterà davanti.”
Ma ero soddisfatto di me stesso.
Sapevo di aver agito nella maniera giusta , stracciando i miei sentimenti di affetto nei loro confronti.
Mio padre sarebbe stato fiero di me.  

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Adesso non si torna più indietro.
Ce l’ho fatta.
Li ho uccisi.
Sai, hai fatto bene a sospettare di me, Near.
Avvicino il volto al quaderno, rivolgendo un sorriso demoniaco al tratto d’inchiostro che compone la scritta “Nate River”.
-Ho vinto io.
Sei stato una vera delusione.
Farti vedere in faccia da me è stato l’errore più grande della tua vita.
In fondo, credo che mi sarei divertito, nell’affrontarti a viso coperto.
-Pazienza.
Chiudo il quaderno, riponendolo nel cassetto della scrivania.
Ryuk mi sorride, indicando con il dito ossuto l’improvvisato nascondiglio.
-Sai, non penso che sia molto sicuro, lasciarlo lì.
Incrocio le braccia davanti a me, abbassando il capo.
-Hai ragione. Ma questo non è un problema. Ho già in mente un sistema perché nessuno sia in grado di trovarlo.
 Lo shinigami piega la testa di lato, senza smettere di fissare la porticina scorrevole.
-Ah, si?
-Si. Ma mi serviranno parecchie cose. Dei cavi, un ripiano in legno, e…ah, già! Anche della benzina.
 Ryuk mi esibisce uno dei suoi smaglianti ed aguzzi sorrisi.
Sembra proprio che lo stia divertendo, questa prospettiva.
-Ah ah. Lo sapevo… sei proprio figlio di tuo padre.
Non capisco il motivo di questa sua considerazione.
Ma, comunque, fa piacere sentirselo dire, soprattutto da lui.
 
Fuori di casa, alzo lo sguardo verso il sole.
Non mi è mai sembrato bello come adesso, e presto, avrà l’onore di illuminare il mio mondo, popolato solo da angeli.
-Lo sai, Ryuk. Questa è l’alba di una nuova era. Adesso non c’è più nessuno a mettermi i bastoni tra le ruote. Near, insieme a tutto quelli che sapevano dell’esistenza del Death Note, sono morti. E fidati che, il mondo intero, gioirà nel constatare la nuova venuta di Kira. Sono certo, che ci sono molte persone che lo stanno aspettando con ansia da anni. E stai sicuro, che anche quelli ancora convinti della malvagità delle sue opere, presto si ricrederanno. Non ci vorrà molto, per poter mostrare a tutti il mio mondo di luce.
 Il dio della morte mi risponde con fare dubbioso, tra un morso di mela e l’altro.
-Sei sicuro, che non farai la stessa fine di tuo padre? In fondo, tutto quello che aveva costruito è andato a  rotoli.
 Mi blocco in mezzo alla strada e mi giro di scatto, guardando lo shinigami nelle palle degli occhi.
Lo fulmino con lo sguardo.
Non ha ancora ben capito, con chi ha a che fare.
-Ryuk, quello che ti aveva offerto mio padre era solo un antipasto. Il vero regno di Kira inizia adesso.
 Lascio che i raggi del sole mi accarezzino le guancie.
-Sono io…
Volgo lo sguardo all’orizzonte, ansioso di respirare l’aria di una nuova era.
-…il Dio di un nuovo mondo. 

"In Nomine Patris"


 

^_FINE_^

 

Direi che, giunti alla fine del viaggio, qualche parolina di congedo sia d'obbligo^^ E quale modo migliore se non iniziare con i dovuti ringraziamenti??
Dunque... ringrazio di cuore tutte le fedeli lettrici che hanno recensito fino alla fine ,o anche solo in parte, e tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite o da ricordare. Grazie davvero! Senza di voi non sarei mai riuscita ad arrivare alla fine! Ringrazio per i bellissimi complimenti e per gli utilissimi consigli che ho ricevuto! Quando ho iniziato a pubblicare mi ero detta che sarei stata felicissima anche se solo una persona sarebbe riuscita ad arrivare fino alla fine... obbiettivo raggiunto!!
La storia era nata nella mia mente come una sciocchezza (e probabilmente lo è ^^") e perciò ringrazio inifinitamente tutti coloro che mi hanno fatto credere il contrario!
Non vi voglio annoiare troppo con il mio bla bla bla per cui...

 

"In nomine patris, et filiis, et spiritus santis.
La messa è finita.
Andate in pace."

 

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