Memorie di Lavanda

di LauriElphaba
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I. L'Olimpo di mio padre ***
Capitolo 3: *** II. Crescere, crescere, crescere... ***
Capitolo 4: *** III. 25 Gennaio ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Memorie di lavanda

 

 

 

 

 

 

Questa storia, o qualunque cosa sia,

è dedicata a tutti coloro che amano

i personaggi minori,

ma soprattutto

a Fera,

ad Elena

e a tutte le Muse,

che mi hanno fatto tornare

la voglia di scrivere.

Grazie.

 

 

 

 

Prologo

 

 

 

 

 

E' una tradizione. Sapevi che avresti dovuto farlo fin dal giorno in cui sei diventata Preside.

Forza.

 

Olympe Maxime sedeva alla sua scrivania, fissando la pergamena bianca davanti ai suoi occhi come se potesse morderla da un momento all'altro.

Il sole stava calando, e illuminava il suo ampio ufficio con una luce di nostalgia ironicamente adatta al momento.

Olympe accavallò nervosamente le gambe sotto la scrivania di mogano e accarezzò la superficie di legno levigato sovrappensiero, senza sapersi decidere a prendere la piuma d'oca azzurro chiaro dal calamaio.

Con l'approssimarsi della vecchiaia, ogni Preside di Beauxbatons era vincolato a questo patto: scrivere le proprie memorie, cosicché il sapere magico delle migliori menti di Francia non andasse perduto, e la loro illustre biografia non venisse dimenticata.

Ma Olympe non sentiva di avere avuto un'“illustre biografia”. Aveva avuto una vita, con le sue gioie e i suoi dolori, e molto spesso, una vita segnata da quella sua strana natura.

Metà umana, metà Gigante.

Non si vergognava più ad ammetterlo dal '95 (una lunga storia), ma metterlo nero su bianco per i suoi studenti e per quelli che sarebbero venuti ancora dopo, era tutta un'altra cosa.

Tornò ad indugiare sui suoi ricordi, dai più antichi ai più recenti, come faceva ormai da qualche giorno nel tentativo di trovarne qualcuno abbastanza “illustre” da giustificare l'egocentrismo di scrivere le proprie memorie.

Non trovò niente di illustre, ma riflettendoci... forse, qualcosa che sarebbe davvero servito agli altri.

Qualcosa che sarebbe potuto servire forse, un giorno – si augurò di non peccare di arroganza – ad una bambina nata troppo grande.

O ad un Magonò, o un Lupo Mannaro, qualora avessero pensato di non essere abbastanza per l'Accademia di Magia di Beauxbatons. O per il mondo.

Prese in mano la piuma d'oca mentre un sorriso di sollievo si distendeva sul suo viso ampio, e i suoi occhi si accendevano di quella luce che tutti i suoi studenti avrebbero sempre ricordato come la voglia di insegnare in azione.

 

Mi chiamo Olympe Maxime.

Sono nata nel 1934, sono diventata Preside dell'Accademia di Magia di Beauxbatons nel 1984.

Mio padre era Fabrice Maxime. Di mia madre so ben poco. Quel che è certo è che si chiamava Alexane, ed era una Gigantessa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note d'Autore:

 

Salve a tutti! Se siete arrivati alle note d'autore, innanzitutto complimenti per il coraggio!XD

Mi sento in dovere di spiegare almeno come è nata questa storia, visto che probabilmente sono l'unica abbastanza pazza da pensare di scrivere una long su Madame Maxime. Ma non potevo non farlo! L'ispirazione mi è venuta iscrivendomi ad un contest sui personaggi minori. Appena ho visto Maxime nella lista dei nomi tra cui scegliere, ho avuto l'illuminazione: perchè nessuno scrive di lei?? Più ci riflettevo, più mi sembrava un personaggio interessante. Alla fine ho partorito con dolore una raccoltina di drabble (che potete trovare nella mia pagina), ma non ero ancora soddisfatta. Mi sembrava di avere tantissimo ancora da scrivere su Olympe, da cui l'idea di cominciare questa long. Speriamo solo che l'ispirazione duri!XD

Vorrei ringraziare Rowena che per prima ha letto “Ossa Grandi” e l'ha commentata incoraggiandomi a scrivere ancora di Maxime, e a SakiJune che l'ha recensita *-*

Seguirà subito il primo capitolo :) Tenterò di aggiornare regolarmente, ma devo avvisarvi che questa è la mia prima long e che abitualmente sono soggetta a crisi di ispirazione e di autostima, quindi...vabbè, non mettiamo le mani avanti, io ci provo!XD

Come al solito, un bacio a chi a letto, due a chi recensirà ;D

Alla prossima!

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** I. L'Olimpo di mio padre ***


Volevo ringraziare Ferao e Iurin per aver letto e recensito il prologo per prime, e tutti coloro che lo hanno letto o gli hanno dato almeno una scorsa :D

Se non altro, mi avete incoraggiato a pubblicare anche il secondo capitolo...grazie! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I. L'Olimpo di mio padre

 

 

 

 

Non so di preciso dove sono nata, mio padre è sempre stato il più vago possibile su quella parte della sua vita. Ma da tante mezze frasi, allusioni, e riassunti sommari che ho raccolto con avidità sin da piccola, penso di essere riuscita a capire più o meno come andarono le cose.

Nel '32, Fabrice era un insegnante di Cura delle Creature Magiche fresco di assunzione, e nell'estate dell'anno successivo aveva deciso di intraprendere un viaggio di qualche mese sulle Alpi, per studiare i Giganti. Ce n'era una piccola colonia proprio nel Sud della Francia e il viaggio da Beauxbatons, dove insegnava, non era troppo lungo. Mi ha raccontato di averli trovati senza troppe difficoltà, proprio nel cuore delle montagne.

Non erano enormi come se li era aspettati. Erano grandi, e violenti, questo sì, ma... innanzitutto, erano pochi. Una decina scarsa, mi sembra di ricordare. E poi, erano stranamente piccoli, tanto che il Gurg raggiungeva a stento i tre metri e mezzo contro i sei minimi per un gigante normale. Inoltre, avevano fattezze più marcatamente umane rispetto a quelli dell'Est-Europa. Probabilmente era stato l'allontanamento dalle comunità principali dei loro simili avvenuto secoli prima, e l'assenza di pericoli veri e propri, a farli sviluppare in quel senso. Alcuni di loro parlavano addirittura un po' di francese.

Nonostante ciò, i maschi avevano scacciato subito mio padre con la violenza propria della loro razza.

Ma lui non si era arreso. Aveva aspettato, poco lontano dalle loro grotte. In fondo, era andato solo per osservarli.

Ma accadde qualcosa che non aveva osato sperare. Una mattina, lei andò alla sua tenda.

Si chiamava Alexane, ed era la figlia più piccola del Gurg.

Mio padre è sempre stato un uomo molto imponente, ma la Gigantessa era comunque più alta di lui di almeno mezzo metro. Per un attimo, ebbe paura che fosse stata mandata dal padre per costringerlo ad andarsene del tutto: ci sarebbe riuscita benissimo.

Ma Alexane non era come gli altri. Alexane era curiosa.

Si avvicinò a mio padre, che era appena uscito dalla sua tenda scarmigliato, assonnato e decisamente spaventato, e con un espressione seria appoggiò una delle sue manone contro il petto di lui.

"T'es si beau", disse semplicemente.

 

Così cominciò.

Per una settimana, Alexane fu la sua guida sulle Alpi. Di nascosto dal Gurg, mostrò a Fabrice i nascondigli dei Giganti, nel miglior francese che riuscì a mettere insieme gli spiegò la loro cultura, il modo in cui vivevano, l'amore per le montagne e per quella roccia che, così simile ai suoi abitanti, sfidava il gelo e sembrava alzarsi fino in cielo.

Come tutti i suoi simili, Alexane non era bella, o affascinante. Ma i suoi piccoli occhi azzurri, piantati in quel faccione sgraziato, esprimevano più di quanto Fabrice avesse mai pensato possibile per una creatura come lei. E inspiegabilmente, era attratto da quegli occhi quanto dalla potenza della sua figura, e da quella dolcezza così fuori luogo. Da quella spontaneità ingenua che lo aveva colpito il primo giorno, quando si era avvicinata a lui solo per dirgli che "era così bello".

In capo ad una settimana, entrambi avevano conosciuto l'amore.

Ma la natura dei giganti è ben nota, e quando Fabrice ebbe raccolto tutte le informazioni di cui aveva bisogno, Alexane gli chiese fermamente di andarsene.

Gli era grata per tutto ciò che avevano condiviso, spiegò nel suo francese incerto, ma quello non era il posto per lui, nè la vita adatta a lei.

Mio padre raccolse le sue cose, salutò Alexane con un'ultima notte d'amore, e il mattino dopo semplicemente se ne andò, con la consapevolezza di aver imparato, sui Giganti, molto più di quanto avesse sperato alla sua partenza.

 

Nella primavera del '34, Fabrice aprì la porta per ritirare il latte come tutte le mattine, e trovò sua figlia ad attenderlo sullo zerbino, in un grande cesto di vimini.

Era primavera, come dicevo, e nel Sud della Francia i campi di lavanda erano un'orgia di colori e profumi.

Probabilmente è per questo che la prima cosa che ricordo, in assoluto, è l'odore di lavanda.

Ma sto divagando.

Mio padre era lì sull'uscio, in pigiama. Mi ha confessato, una volta, che nel vedere un bebè così grosso, ebbe un lungo momento di esitazione.

Mille incertezze si riversarono su di lui: era troppo giovane per una responsabilità così grande. Cosa sarei diventata? Come mi avrebbe cresciuta? E soprattutto, quanto sarei cresciuta?

Ma gli bastò guardarmi negli occhi per un istante.

Ricordò Alexane, il coraggio della sua curiosità. Ricordò il mondo meraviglioso che aveva scoperto grazie a lei, dove creature possenti si muovevano agili tra le cime aspre e congelate delle Alpi come esseri millenari, con la sicurezza e la maestosità degli dei sull'Olimpo.

Prese il cestino tra le braccia e mi guardò a lungo negli occhi, come se volesse ricordare l'essenza di quello che ero.

Poi mi accarezzò leggermente tra i pochi capelli.

"Benvenuta a casa, Olympe", sussurrò con un sorriso.

 

 

 

 

 

 

 

NdA:

Su questo capitolo non ho molto da dire, è semplicemente l'inizio di tutto ^-^

Ho cercato di rendere la storia tra Fabrice e Alexane il più credibile possibile – chi non ha avuto orrore pensando ai rapporti tra il padre e la madre di Hagrid alzi la mano – e spero di esserci riuscita, ma ogni critica o consiglio è d'aiuto, come sempre :D

In generale, mi interessa sapere se la storia fila o è troppo assurda/banale/inutile, quindi...sbizzarritevi a recensire, mi farete un gran piacere e avrete in cambio il solito bacio sul naso!u.u/

Baci

Lau

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Capitolo 3
*** II. Crescere, crescere, crescere... ***


 

Secondo capitolo sfornato!! Giuro, stavolta avevo paura che non vedesse la luce: ansia da prestazione. XD Per questo devo ringraziare ancora una volta chi mi ha incoraggiato recensendo il capitolo precedente: Fera, Charme, Enide, Iurin e Shnusschen! Un ringraziamente speciale con abbraccio spupazzoloso va a Fera che mi ha betato gli orrori di grammatica/ortografia che nel mezzo della mia trance da mancanza di sonno avevo sparso un pò ovunque. XD Donna, ti amo! <3
Non c'è molto altro da dire, quindi...buona lettura e come al solito, bacini a chi legge, bacioni a chi commenta!:-*







Crescere, crescere, crescere...









 

Dire che ho avuto un'infanzia difficile e tormentata probabilmente aumenterebbe il tasso d'attenzione dei lettori di questa storia. Riflessione che, tra l'altro, dovrebbe farvi sentire in colpa. A quanto pare in un buon libro il personaggio principale deve superare chissà quali difficoltà prima di vivere felice e contento... si direbbe quasi che leggere di chi è stato più sfortunato di noi ci consoli, il che la dice lunga su come siamo fatti.

 

Ecco, sto divagando di nuovo.

 

Comunque, la mia infanzia non è stata niente di particolare.

Anzi, guardandomi indietro, la definirei una bellissima infanzia. Un po' solitaria forse, ma niente di più.

Siccome mio padre insegnava a Beauxbatons, vivevamo poco lontano dalla scuola. Non ho mai capito questa cosa, di altri istituti come Hogwarts: perché privare i propri professori di una vita sociale? Probabilmente non li mette di buonumore, no?

Mio padre era spesso di buonumore, e ne aveva tutte le ragioni.

Il suo lavoro lo rendeva felice, la sua libertà lo rendeva felice e, inaspettatamente, io lo rendevo felice.

La casa in cui vivevamo era piccola ma luminosa, nascosta al resto del mondo Babbano quanto lo era Beauxbatons, in un microscopico villaggio perso nei capi di lavanda e girasole della Provenza.

Ricordo le lunghissime passeggiate in quei campi con mio padre, le corse a perdifiato con Clairie.

 

Clairie era la mia unica amica.

Lei e i suoi genitori vivevano poco distante da noi, sua madre insegnava Difesa contro le Arti Oscure. Eravamo cresciute insieme.

Clairie aveva un anno più di me ed era molto carina. Anche da bambina, invidiavo i suoi capelli lunghi e sottili, e i suoi occhi azzurro chiaro. I miei capelli erano sempre stati troppo spessi e crespi per lasciarli liberi di crescere, e quanto ai miei occhi... beh, suppongo che non fossero né belli né brutti, erano normalissimi occhi castani.

Bisogna dire che sin da piccola sapevo che sarei stata diversa da tutte le mie coetanee. Mio padre era stato molto chiaro, aveva cercato di spiegarmi e di farmi accettare la mia situazione da quando avevo cominciato a parlare. E d'altronde, avrei dovuto essere cieca o molto stupida per non capire che in me c'era qualcosa di diverso dagli altri: come dicevo, Clairie era più grande di me di un anno, ma io ero più alta di lei di 30 centimetri.

Fabrice mi aveva anche raccomandato di non raccontare a chiunque la verità sulla mia natura: i pregiudizi sui Giganti erano forti allora come adesso, e temeva che qualcuno potesse farmi del male semplicemente per quello che ero.

Io non capivo come fosse possibile una cosa del genere, ma mi fidavo del mio papà.

In ogni caso, a Clairie e ai suoi genitori non sembrava importare della mia statura, e non ci impedirono mai di passare del tempo insieme.

Ricordo che ci divertivamo moltissimo a correre fino ai cancelli del Palazzo di Beauxbatons e a rimanere lì fuori per ore, a cercare di osservare quello che succedeva dentro. Entrambe trovavamo la scuola bellissima, e oggettivamente... non perché sono la Preside, ma Beauxbatons è meravigliosa!

Il Palazzo non è enorme, non quanto i castelli che ospitano altre scuole, ma è elegante, con quelle colonne altissime di un bianco immacolato, che danno all'ingresso un'aria imponente e antica. La nostra parte preferita, però, erano i giardini: grandi siepi formavano una specie di basso labirinto pavimentato, di tanto in tanto, da sentieri di marmo bianco. Dove le stradine si incrociavano, panchine riccamente scolpite e cespugli potati a forma di Creature Magiche abbellivano il tutto.

Clairie amava fantasticare su quando saremmo state noi a passeggiare per quei sentieri incantati, e su chi ci avrebbe accompagnato in quelle passeggiate.

Non conoscendo la mia vera natura, la mia amica non sospettava quanto quei discorsi mi preoccupassero e intristissero allo stesso tempo.

Il suo avvenire era certo, sapeva di essere una strega dalla nascita, ma io?

Quello che sapevo per certo era che ero figlia di un Mago e di una Gigantessa, e che delle mie due nature, l'unica che finora si era chiaramente manifestata era quella da Gigante.

Cosa avrei fatto se avessi scoperto di non avere nessun tipo di potere, solo quella statura ridicola e un bel pregiudizio cucitomi addosso sin dalla nascita?

Non ci pensavo spesso, ero pur sempre una bambina, ma a volte la paura di non poter andare in quella scuola meravigliosa era talmente forte da farmi piangere.

Fabrice non approvava che andassi a curiosare, diceva che avrei avuto tutto il tempo di vedere la scuola quando fossi stata più grande.

Non sapevo se credergli, e non sapevo se e quanto ci credesse lui stesso, ma quel posto esercitava su di me un'attrazione irresistibile, come tutte le cose, suppongo, che ci piacciono e che non possiamo avere. Avevo il terrore che un giorno sarei tornata come sempre, e l'edificio sarebbe scomparso, lasciando al proprio posto un brutto cartello con scritto:

Ci siamo spostati, tanto non avresti potuto comunque venire mai da noi, Olympe”.

Una volta arrivai addirittura a sognarlo. Mio padre mi ritrovò in lacrime nel mio letto e volle sapere cosa mi avesse turbato tanto. Glielo spiegai terrorizzata, ma lui si limitò ad abbracciarmi più forte che mai e farsi una mezza risata, assicurandomi che se Beauxbatons avesse mai deciso di darsela a gambe, mi avrebbe avvisato per tempo.

 

Un giorno, avevo dieci anni, decisi di andare alle mura senza Clairie. Attraversai di corsa il campo di lavanda che separava casa mia dalla scuola, come se stessi correndo verso una sorpresa. Era così tutte le volte, come se non l'avessi mai vista prima: stagliata in tutto il suo candore contro il viola e il giallo dei campi intorno, mi toglieva il fiato.

Raggiunsi la parte Ovest delle mura, dove io e Clairie avevamo scoperto una grande quercia cresciuta a ridosso di una breccia nelle mura, e mi arrampicai sull'albero. Da lì, attraverso la spaccatura, si poteva vedere gran parte dei giardini e persino una piccola porzione dell'ingresso. Inoltre, cosa di non poco conto, l'albero era abbastanza robusto e antico da reggermi senza problemi fra i suoi rami. Mi sentivo al sicuro là sopra... a volte, quando il vento soffiava forte rischiando di farmi perdere l'equilibrio, addirittura leggera.

Mi accovacciai su uno dei rami più alti, pronta a perdermi nelle mie fantasticherie. Era Luglio, e solitamente la scuola era semivuota, se non per qualche Professore di passaggio per una capatina in biblioteca e per il Preside, che rimaneva a disposizione durante tutte le vacanze. Tuttavia, quel giorno c'era un discreto via vai, e anche mio padre era dovuto andare a lavoro – altrimenti non sarei stata su quella quercia.

Mi ci volle un secondo a realizzare che probabilmente erano tutti intenti a spedire le lettere d'ammissione per i nuovi alunni. Che in quel momento, forse, decine di ragazzini fortunati in tutta la Francia stavano festeggiando con le proprie famiglie quello a cui sapevano di essere destinati fin dalla nascita. Trattenni a stento l'eccitazione: quando sarebbe arrivata a me... se fosse arrivata a me... io e Fabrice sì che avremmo fatto festa!

Fantasticavo sul modo migliore di celebrare l'evento – mancava solo poco più di un anno, perché non ci avevo pensato prima? - quando un grido mi riportò alla realtà:

“Olympeeeeeeeee!”

Presa alla sprovvista, persi l'equilibrio e scivolai giù dall'albero con un tonfo non esattamente elegante. Quando feci per rimettermi in piedi, vidi Clairie che ridacchiando mi offriva una mano per aiutarmi.

“Mi hai fatto prendere un infarto! Dimmi che hai un buon motivo...”, l'apostrofai, scansando la sua mano mentre mi rialzavo con una prontezza che speravo apparisse molto dignitosa.

“Olympe... - esitò con un mezzo sorriso, e nei pochi secondi che lasciò scorrere mi accorsi che le brillavano gli occhi, e che sembrava più allegra che mai - ...Olympe, è arrivata! La lettera! Guarda!”

Prima che potessi realizzare di cosa stesse parlando, mi mise tra le mani una busta color avorio. Con quel simbolo azzurro e oro che tanto ci piaceva stampato sopra.

“Vado a Beauxbatons, Olympe!”

 

Non ricordo cosa le risposi. Probabilmente l'abbracciai, e risi di gioia con lei. Ricordo che passammo tutto il pomeriggio a parlare di come sarebbe stata la sua vita nella scuola, a immaginare le avventure che avrebbe vissuto.

E ricordo che, ad ogni parola, il mio sorriso si accorciava di un'insignificante frazione di millimetro. Qualcosa di amaro mi pungeva la gola. E quando alla fine, dopo essere tornata al villaggio con lei, averla riaccompagnata a casa sua a braccetto ed essere rientrata in casa mi ritrovai sola in camera mia, mi concessi il lusso egoistico di scoppiare a piangere.

Ero felice per lei. Davvero, eravamo buone amiche, e le volevo bene con tutta la forza di cui sono capaci i bambini quando trovano qualcuno con cui divertirsi.

Ma mi stava lasciando.

Stava andando da sola nel luogo che avevamo sognato insieme tanto a lungo.

Lei poteva andarci.

Lei aveva fatto esplodere il pendolo di casa sua a sei anni, in un capriccio colossale, dopo che la madre le aveva proibito di uscire perché pioveva.

Io ero una bambina di dieci anni alta già un metro e settanta, che non aveva mai neanche spostato una foglia secca con la magia.

Dove speravo di andare?

Cosa speravo di festeggiare, a Luglio dell'anno successivo?

Per la prima volta nella mia vita, mi sentii davvero stupida.

Per non aver capito, nonostante mio padre me lo avesse spiegato con tanta cura e con tutto l'affetto possibile, che io ero diversa.

E che era ridicolo illudersi di andare in una scuola per Maghi.

I Maghi facevano magie.

Io, in tutta la mia vita, ero stata capace solo di crescere. E crescere. E crescere.

E non sarebbe mai stato abbastanza.

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Capitolo 4
*** III. 25 Gennaio ***


Allora...prima di cominciare, un paio di note d'autore.
Punto uno: questo capitolo sul serio avevo dubbi se pubblicarlo o meno. Mi faceva schifo. Tuttora, ho millemila dubbi sulla storia in generale e su questa parte in particolare. A convincermi a continuare, con poche parole magiche e tanta dolcezza, è stata Shnusschen, meglio nota (a me) come la mia omonima.. Grazie, perchè quando l'ho riletto dopo che abbiamo parlato, mi ha fatto meno schifo del solito. Grazie <3
Punto due, note relative al capitolo:
- Gli Augurey sono uccelli magici simili ad avvoltoi. Non ne so molto, ma mi servivano un paio di creature magiche random da inserire in una frase. XD
- Il Granio è una specie di cavallo alato, sempre appartenente al Potterverse e trovato nell'Harry Potter Wiki. Se ho sbagliato il plurale, prendetevela con la wiki che non lo specificava. XD
- La bestia è (nella mia testa) la Bestia del Gévaudan, una delle pochissime creature magiche che ho trovato vagamente credibili e attestate (vabbè...) in Francia.
- Non volevo innamorarmi di Fabrice ma è successo.
- La data di nascita di Olympe è ignota al mondo. Ho scelto il 25 Gennaio perchè il compleanno di una persona molto importante per me, una persona che non legge Harry Potter e non vedrà mai questa storia, ma in 22 anni che ci conosciamo mi ha insegnato più e più volte che l'apparenza fisica è l'ultima cosa di cui preoccuparsi, e che si può avere fascino, stile e insomma essere delle gran fighe anche con qualche kilo di troppo. Ergo, questo capitolo è dedicato a lei, anche se non lo leggerà mai <3
- “mia grande”, l'ho fregato a Pennac. Chi ama la serie dei Malaussene capirà <3 Mi sembrava ironicamente perfetto, come vezzeggiativo XD
- Maxime sa che Leila vuol dire notte in arabo perchè in Francia ci sono un sacco di arabi, quindi ha imparato un paio di parole a casaccio. E soprattutto, perchè Leila è il mio nome di donna preferito e sarà il nome di mia figlia, quando ce l'avrò!ò.ò/
- In quanto insegnate di Creature Magiche e soprattutto in quanto figo, Fabrice si può tenere Exelle e tante altre creature intorno casa. Perchè sì. Tanto tutta la parte di territorio intorno alla scuola è off limits per i babbani.

Mi sembra di aver detto tutto, quindi buona lettura e... recensioni sarebbero graditissime, soprattutto per aiutarmi a uscire da questa matassa di dubbi sull'andare avanti o meno!T_T/








 

 

 

 

 

 

 

25 Gennaio

                                                              

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A Settembre, Clairie partì per Beauxbatons.

Mi scriveva ogni pochi giorni, ma l'invidia per la vita di cui mi raccontava a volte mi impediva di risponderle. Nonostante ciò, le lettere continuavano ad arrivare, almeno una volta a settimana. Ancora una volta, capii con un pizzico di vergogna che mi voleva bene davvero.

Inoltre, spesso Fabrice mi riportava i suoi saluti, o storielle di come andava a Cura delle Creature Magiche. A quanto pare, la mia amica non aveva un gran talento per quella materia, visto che nel giro di tre o quattro lezioni era riuscita a far morire di stenti un Vermicolo, far infuriare uno stormo di Augurey e rompersi una costola facendosi sgroppare da un Granio.

Per il resto però, tutto sembrava andare per il meglio: mi raccontava dei nuovi amici che aveva conosciuto, dei suoi Professori preferiti e di quelli più odiosi, e di come la scuola fosse ancora più strepitosa, da dentro.

E per quanto fossi sinceramente felice per lei, non riuscivo a nascondere il pizzico di amarezza che ognuna di quelle lettere mi lasciava. Dicembre stava passando in fretta, mancavano ancora solo sei mesi a Luglio e la cosa più magica che avessi fatto in tutto questo tempo era montare uno dei Cavalli Alati che mio padre teneva per le lezioni nel recinto dietro casa nostra. Il che, in effetti, non richiedeva questo gran talento da strega, al massimo una gran pazienza da parte degli animali.

 

Dovetti aspettare il 25 Gennaio, il giorno del mio compleanno, per quello che sarebbe stato il regalo più bello della mia vita.

Era una mattina piuttosto fredda ma soleggiata, e ricordo che Fabrice mi svegliò bussando alla porta di pino chiaro della mia cameretta.

“Olympe, sei sveglia mia grande?”

Papà non veniva mai a darmi il buongiorno, perché di solito era già al lavoro quando io mi alzavo. Quell'anno però il mio compleanno coincideva con uno dei suoi giorni liberi e nonostante il sonno e la voglia di rimanere ancora a letto ero contenta che lui fosse con me. Gli lanciai un grugnito non meglio identificabile che voleva essere un invito ad entrare.

Con un enorme vassoio di colazione in mano e un sorriso soddisfatto sul viso abbronzato, fece la sua apparizione in camera e si accomodò a sedere sul piumino, accanto a me.

“Tanti auguri!” , aggiunse schioccandomi un bacio sulla fronte.

Scoppiai a ridere apertamente vedendo che quell'uomo robusto e imponente che era mio padre per l'occasione aveva indossato un fantastico grembiule a quadretti bianchi e rossi, con tanto di virilissime frange ai bordi e fragola stampata nel mezzo.

“Sei bellissimo così, papà!”

“Proprio figlia di tua madre... - ridacchiò lui - e adesso diamoci dentro con questa roba, è dalle cinque che sono in piedi a cucinare!”

E in effetti aveva dato fondo a tutte le sue capacità: sul vassoio c'erano uova, pancetta, salsicce, una pila di crêpes, latte, succo d'arancia e dulcis in fundo una piccola, bellissima torta al cioccolato con il mio nome glassato sopra.

Mentre mangiavamo come se non avessimo mai visto cibo in vita nostra, disse qualcosa che lì per lì non seppi interpretare:

“Quest'anno è importante, eh? Undici anni... tanti cambiamenti!”

Vidi una scintilla brillare nei suoi occhi mentre concludeva la frase e si avvicinava per abbracciarmi.

Risposi all'abbraccio cercando di non irrigidirmi, ma dentro di me qualcosa dell'allegria di pochi secondi prima si era spento. Cosa voleva dire? Non poteva davvero essere certo che avrei cominciato la scuola, quell'anno... almeno, non che avrei cominciato Beauxbatons... magari voleva solo alludere al fatto che sarebbe stato orgoglioso di me anche se fossi dovuta andare in una qualche scuola babbana? Bel momento per farmelo notare... io tremavo al solo pensiero!

Cercai di comportarmi normalmente per il resto della colazione, scherzai e risi con lui ma la mia mente era altrove.

 

Finito di mangiare, mi chiese di vestirmi bene e raggiungerlo in giardino appena fossi stata pronta.

Ad attendermi fuori, insieme a lui, c'era la creatura più bella che avessi mai visto. Era un cavallo alato, ma non era grigio e basso come i Grani che papà teneva nelle stalle dietro casa, che pure mi piacevano tanto: il suo manto era completamente bianco, così come le sue enormi ali, spiegate come se volesse impressionarmi ancora di più. Era altissimo.

Dimenticai in un attimo tutte le preoccupazioni di pochi minuti prima.

“Papààààààààà!”, urlai prima di correre ad abbracciarlo: era il regalo più bello del mondo.

“Un destriero per la mia principessa”, rispose lui con un sorriso, passandomi le briglie in mano.

“E oggi si rimane a terra. - aggiunse con un cipiglio severo. L'ultima volta che avevo provato a volare, ovviamente dimenticandomi casualmente di chiedere il permesso, era dovuto venire a tirarmi giù da una quercia. - Aspettami qui, io vado a prendere uno degli altri dalle stalle e poi ci faremo una gran bella passeggiata, ti va?”

Non c'era neanche bisogno di chiederlo. Sempre reggendo le briglie, mi avvicinai al muso del cavallo per accarezzarlo. Lo guardai negli occhioni neri mentre si lasciava sfiorare come se ci conoscessimo da sempre. Ed ero già innamorata persa.

Per quando Fabrice fu tornato portandosi dietro Exelle, una delle cavalle che avevamo tenuto per più tempo, io ero già montata in groppa al mio nuovo amico e lo accarezzavo sul collo.

Mio padre venne a controllare che la sella fosse ben fissata e poi montò a sua volta in groppa ad Exelle.

“Dove si va?” gli chiesi incuriosita.

“Oh beh, pensavo che ormai sei abbastanza grande per una visitina ai boschi dietro la scuola... sempre se te la senti, ovviamente!”

Spalancai gli occhi. Mio padre, il lavoro che faceva, mi avevano trasmesso una vera passione per la natura e per le creature magiche. Il bosco dietro Beauxbatons pullulava di quegli esseri, ed era per questo che non ci ero mai stata: sapendo della mia curiosità e di quanto potesse essere pericoloso, papà me lo aveva proibito da subito.

E finalmente ci sarei andata!

“Prontissima!”, risposi semplicemente e feci per spronare il mio cavallo quando mi venne in mente una cosa:

“Papà... ha già un nome?”, chiesi.

“Il mercante che me l'ha venduta la chiamava Leila...”

“Leila... come la notte!”, risposi soddisfatta. Mi erano sempre piaciuti i nomi arabi, avevano un tocco di magia esotica e misteriosa indescrivibile.

Partimmo alla volta del bosco senza altre interruzioni. Ero stata spesso a cavallo con mio padre, e ci piaceva rimanere in silenzio durante il percorso. Ascoltare il fruscio leggero delle piume mentre le ali dei nostri compagni si spostavano ad ogni passo, assecondare con rispetto i movimenti della creatura che acconsentiva a portarci. Era un contatto meraviglioso, solo chi ama cavalcare può capirlo.

Oltrepassammo i campi di lavanda per giungere alla scuola, e mentre cavalcavamo intorno alle mura non riuscì a fare a meno di buttare un occhio dall'altra parte... magari avrei visto Clairie!

L'ultima volta che l'avevo incontrata era stato durante le vacanze di Natale, ma tra i compiti di cui l'avevano sommersa e altri impegni, non eravamo riuscite a stare insieme molto a lungo.

Quel poco del cortile che riuscii a scorgere però era deserto, probabilmente tutti erano a lezione.

Quando infine, un po' delusa, distolsi lo sguardo, avevamo raggiunto il limitare del bosco.

 

Per un attimo esitai. Per quanto fosse ancora pieno pomeriggio e la giornata fosse molto luminosa, a pochi metri da dove ci trovavamo, nel fitto, la luce che riusciva ad oltrepassare le fronde degli alberi cresciuti quasi l'uno sull'altro era pochissima.

Mi ritrovai a pensare che doveva essere ancora molto freddo, sotto quell'ombra fatta di tronchi, foglie e silenzio. Un brivido mi percorse la schiena. Chissà cosa poteva esserci, là dentro.

“Tutto bene, mia grande?”

Ero talmente presa a fissare nel folto che la voce di Fabrice mi fece sussultare. Ma mi bastò ricordarmi che era al mio fianco, sorridente sotto il sole, perché quella strana paura sparisse in un soffio. Con lui, ero al sicuro da qualsiasi cosa.

“Benissimo! Andiamo?” mi affrettati a rispondere per non far trapelare quella momentanea inquietudine.

“Andiamo. Ma prima di entrare... Olympe. So che questo bosco ti incuriosisce tanto e che sono anni che tenti di sgattaiolare qui nonostante abbia messo in chiaro che è pericoloso – si accigliò per un istante – quindi prometti che non ti farai prendere dall'entusiasmo e rimarrai sempre vicino a me. E farai qualsiasi cosa ti dico di fare, d'accordo signorina?” chiese fissandomi negli occhi. Una cosa che non sono mai riuscita a dominare, è la mia reazione a quello sguardo. Quegli occhi verdi preoccupati e determinati mi hanno sempre fatto sentire piccola piccola e allo stesso tempo tanto importante... sempre, anche quando ormai ero una donna.

“Va bene”, risposi cercando di non abbassare lo sguardo.

Dovette decidere che avevo passato l'esame, perché tornò a sorridere e cominciò ad addentrarsi con Exelle fra gli alberi e i cespugli, facendomi cenno di seguirlo e di stare in silenzio.

Lo seguii senza esitazioni e dopo pochi minuti di marcia al passo i campi di lavanda erano spariti dalla nostra vista, nascosti dagli alberi enormi del bosco.

 

Era più antico e più buio di quanto avessi mai immaginato, gli unici rumori erano il fruscio delle piume di Exelle e Leila e il battito attutito dei loro zoccoli sull'erba. Continuavo a guardarmi intorno senza osar fiatare, inquieta, mentre la luce del sole si allontanava sempre di più e il bosco ci avvolgeva.

Fabrice aspettò che lo raggiungessi e per un po' proseguimmo fianco a fianco. Se non ci fosse stato lui a darmi sicurezza, penso che me la sarei data a gambe molto prima.

“Tutto bene, mia grande?”, chiese ancora una volta.

Mi resi conto che avevo la gola secca, e mi limitai ad annuire con un mezzo sorriso. Solo allora mi resi conto di quanto avevo paura: tutto quello che avevo intorno mi era sconosciuto. Sotto ogni radice, all'ombra di ogni fronda, per quanto ne sapessi... poteva esserci qualsiasi cosa. Poteva spuntare fuori qualsiasi mostro, da un momento all'altro. Ma non l'avrei mai ammesso a mio padre, questo, non dopo tutte le volte che gli avevo chiesto di portarmi in quel posto.

D'improvviso, Leila s'immobilizzò. Alzai gli occhi, che avevo tenuto ostentatamente bassi per non guardarmi intorno e farmi trasportare dall'inquietudine, e notai che anche Exelle si era fermata.

Ancora una volta, l'indice sulle labbra, Fabrice mi fece cenno di fare silenzio. La sua espressione non era esattamente allarmata, ma doveva esserci un motivo se le cavalle si erano fermate. Qualcosa che non andava?

Exelle scalpitava.

E poi le vedemmo: un gruppo di Fate, forse una dozzina, di tutti i colori, ci passò davanti svolazzando ed emettendo un tintinnio continuo, come se ad ogni loro movimento suonassero dei campanellini.

Ero più che sorpresa, ero incantata: non avevo mai visto delle Fate in vita mia, se non nei libri di papà. Ed erano bellissime, ognuna aveva la pelle di un colore diverso in sfumature delicatissime e le ali sembravano di carta velina, fragili e aggraziate, ognuna con disegni diversi a decorarle.

Svolazzarono intorno alla mia testa per qualche secondo mentre io, completamente rapita, riuscivo solo ad ammirarle in silenzio col timore di rompere quell'incantesimo incredibile.

Quando si allontanarono nella direzione di Fabrice notai che lui osservava non le Fate ma la mia faccia incantata e sorrideva tranquillo e soddisfatto.

Tutta la paura che avevo avuto... per quegli esseri meravigliosi? Mi lasciai scappare una mezza risata, finalmente rasserenata. Come doveva essere bello il lavoro di papà, sempre in mezzo a creature del genere, un continuo entrare e uscire da quel bosco incantato...

Ma c'era qualcosa di sbagliato.

Le Fate si erano immobilizzate a mezz'aria, poco lontano dal muso di Exelle. Il tintinnare si era interrotto improvvisamente, eravamo di nuovo nel silenzio più completo. Mi sembrò di vedere, per quanto piccole fossero, che guardassero tutte nella stessa direzione, verso il folto del bosco alla nostra sinistra... e improvvisamente... erano sparite, in un soffio di luce colorata.

E stavolta mio padre era preoccupato, glielo leggevo nell'espressione attenta, nella fronte aggrottata.

Mi guardai intorno, cercando di capire cosa potesse aver spaventato le creaturine e prima lieve e lontano, poi sempre più deciso, lo sentii.

Un ringhiare basso, rabbioso. Accompagnato, pochi secondi dopo, dal rumore inconfondibile di grosse zampe sulle foglie bagnate che ricoprivano il terreno.

E infine, fra due radici che sporgevano alte dalla terra, a pochi metri da dove mi trovavo, li vidi.

Due occhi rossi, che brillavano al buio. Brillavano di fame. E di furia.

“Scappa via, Olympe!” gridò mio padre, dando una pacca fortissima sul fianco di Leila.

Lei partì al galoppo nella direzione opposta e l'ultima cosa che vidi fu Fabrice che estraeva la bacchetta e quella cosa, simile a un lupo ma molto, molto più grossa – almeno due volte mio padre - che gli si scagliava addosso.

Mentre Leila galoppava terrorizzata, tirai le redini più forte che potessi: sapevo quello che mi aveva detto papà prima di entrare nel bosco e sapevo che non sarei stata che un impiccio, senza magia e senza sapermi difendere, sapevo anche che lui aveva a che fare con le Creature Magiche ogni giorno della sua vita, che se non riusciva a cavarsela da solo, ben poco avrei potuto fare io. Ma non m'importava. Era il mio papà. Era l'unica cosa che contasse.

“Oh, forza...” sibilai tra i denti: la mia cavalcatura decisamente non voleva lasciarsi convincere a tornare sui suoi passi. Alla fine tirai con tutte le mie energie, con le lacrime agli occhi per la paura e lo sforzo e con mio estremo sollievo Leila impennò e si girò su se stessa. Approfittai del momento in cui aveva deciso di collaborare per spronarla forte e finalmente galoppavamo a ritroso, verso il punto dove avevo lasciato Fabrice.

Non avevo mai avuto tanta paura in vita mia, ma allo stesso tempo non avevo il coraggio di tirarmi indietro e lasciare che succedesse quello che poteva succedere. Quando finalmente riuscimmo a raggiungerlo, non ero più neanche spaventata: ero completamente terrorizzata.

Vidi mio padre scagliare un incantesimo contro quella bestia enorme, che lo schivò con un'agilità che doveva essere magica e poi la vidi gettarsi su di lui con tutto il suo peso, su due zampe.

Vidi gli artigli brillare poco prima di infilarsi nella veste di papà, sul petto.

Lo vidi perdere la bacchetta, e cadere a terra coperto di sangue.

Vidi i suoi occhi sbarrati, mentre rialzava il capo a fatica e realizzava di essere indifeso.

E fu troppo.

 

 

Urlai.

Non ricordo cosa, ma urlai con tutte le mie forze e a lungo, mi sembrò durare per ore. Urlai sperando che se le avessi urlato addosso, la realtà sarebbe cambiata, chiusi gli occhi per metterci tutte le mie forze mentre la gola mi faceva male per lo sforzo, sperando che quando li avessi riaperti mio padre sarebbe stato in groppa a Exelle, sorridente e senza sangue addosso.

Tutto quel sangue.

Me lo vedevo davanti anche ad occhi chiusi, impregnava la terra, le foglie e soprattutto le vesti di Fabrice, il mio papà, il mio papà così forte, indifeso, in pericolo, con tutto quel sangue... mi terrorizzava, mi dava la nausea. Urlai e urlai, finché l'urlo non si trasformò in un rantolo per la fatica. E capii che avrei dovuto riaprire gli occhi, prima o poi. E fare i conti con quello che era successo mentre mi rifiutavo di guardare. Con la bestia pronta ad attaccarmi, sicuramente, e con mio padre steso a terra, coperto di sangue. Papà...

 

Aprii gli occhi lentamente, come se quel semplice movimento potesse far esplodere qualcosa.

Pronta al peggio quanto una bambina di undici anni può esserlo.

E quello che vidi... non era quello che mi aspettavo. Fabrice era in ginocchio davanti a me. Mi teneva per le spalle, fortissimo, e non me ne ero neanche accorta, tanto tremavo. Era ancora coperto di sangue e tra lo squarcio nella veste potevo vedere una grossa ferita sul petto. Ma era accanto a me. Mi osservava preoccupato come non lo avevo mai visto, con una paura sconosciuta negli occhi. Guardai oltre le sue spalle: la bestia era stesa a terra, morta, a pochi passi da dove ci trovavamo.

E scoppiai a piangere a singhiozzi fortissimi, gettandomi al collo di mio papà, il mio eroe, che avevo avuto tanta paura di perdere. Sentii qualcosa rilassarsi in lui, mentre mi stringeva a sé accarezzandomi i capelli.

“Non piangere Olympe... non piangere, mia grande... pensa a quello che hai fatto...”

Cosa avevo fatto? Cosa... non ero una bambina stupida, ma sicuramente ero sconvolta. I singhiozzi mi scuotevano tutto il corpo, non me la sentivo di ragionare.

Mi ci volle un po' per capire dove stava andando a parare.

“Cosa hai fatto, Olympe? - continuò ad accarezzarmi – su, rispondi al papà... vedrai che ti farà smettere di piangere...”

La bestia a terra. Mio padre sano e salvo. Un urlo che era durato per più di un minuto, di certo, molto più del normale...

Alzai gli occhi su di lui, e vidi che inspiegabilmente mi sorrideva. Stava aspettando che capissi.

E per capire, capii. Capii con una violenza tale, che i singhiozzi mi si arrestarono in gola, strozzati da una risata di gioia che mi fece quasi male, tanto era improvvisa e inaspettata.

“Ho fatto... papà, ho fatto una magia!”

Mi accarezzò con due dita le guance, per asciugare le lacrime.

“Esatto, mia grande... era ora!”, disse a voce bassa, continuando a sorridere. E nei suoi occhi che sapevano parlarmi tanto bene, lessi che non aveva mai dubitato. Che lui era certo che fossi una strega da quando mi aveva visto in quel cestino di vimini. Ne era certo mentre io passavo ore a piangere la mia sorte di ibrido, chiusa in camera mia. Lo sapeva quella mattina, quando aveva accennato alla grande tappa degli undici anni.

Lo sapeva da sempre.

Lo abbracciai più forte che mai, ridendo a voce altissima, incurante di spezzare il silenzio del bosco.

Non c'era niente che potesse spaventarmi, adesso.

 

Ero una strega.

Ero una strega.

ERO UNA STREGA!

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