Quello che non c’è

di SuperTeleGattone
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Look for the girl with the sun in her eyes ***
Capitolo 2: *** La cura ***
Capitolo 3: *** Can’t Help Falling in Love ***



Capitolo 1
*** Look for the girl with the sun in her eyes ***


– Angolo dell’autrice –

__Ehm, buondì, gente! Come vi va? Bene/mica tanto/chemmifregammé? Ragione vostra, sì; sono d’uno schifo nelle introduzioni, scusate (perché nel resto, invece, sai che roba). Allora, altro giro, altra corsa (e altra menata); anzitutto, però, una doverosa premessa verso l’ignaro utente!
__Dunque, carissimo lettore/lettrice/dolce, sfortunato avventore: devo purtroppo avvisarti che l’aggeggio qua sotto è, in bella sostanza, un mega pippone, cioè, uno one-shot; one-shot a carattere introspettivo/malinconico. Per carità, parla un po’ di tutto e tutti, all’incirca… Sì, magari le allusioni a un certo qualcuno potranno avere una lieve, lievissima, lievissimissima predominanza; fatto sta sia, infelicemente per la balorda qui presente, un flusso di coscienza. E quello fa, il flusso di coscienza: numeracci brutti bruttissimi di pagine più pubblico ludibrio.
__Purtroppo, credo questa scomposizione possa causar disturbi: per una questione d’atmosfere, in senso lato e stretto (atmosfere figurate e standard, atm proprio, ma no, non quella milanese), essendo la maglia parecchio incasina-, ehm, concatenata, concatenata; come un domino, più o meno. Per tutto ciò risulterà sicuramente un po’ rotta; nondimeno, ho cercato di ridurre questo attrito, inserendo a inizio capitolo delle congiunzioni col precedente. Temo, però, non sia cambiato un accidente, uhm… Va be’, poche balle, mi sono dilungata anche troppo.
__Per i pochi (pochi? Nulli!) che vorranno leggere davvero: vi rimando alla fine del capitolo per riconoscimenti, citazioni e altre pinzillacchere varie. Sempre se volete (o vorrete. O vorreste. O vogliate. O vogliaste. Vogliaste? Vorre-, ehm). Grazie comunque per essere passati (inchino). Direi che me ne posso pure andare: ciao, ciao, eh! (Vola via.)

Grazie mille e buona lettura.












Quell o   _ c h e
n o n _ c è
Look for the girl with the sun in her eyes





__Arriva l’alba, o forse no
__A volte, ciò che sembra alba non è

__Perciò io maledico il modo in cui sono fatto
__Il mio modo di morire sano e salvo, dove m’attacco
__Il mio modo vigliacco di restare, sperando che ci sia
__Quello che non c’è

__“Quello che non c’è”, Afterhours










__Dicono sia meglio aver amato e poi perduto, che non aver mai amato.
__Già, dicono. Lo dicono e non avvertono. Scaltri, non avvertono: non c’è faro rosso o sirena, ché sì, sarà meglio, meglio in entrambi i corsi. Sì, presto e bene in cima e, sì, presto e bene sul fondo. Sì, presto e bene, il meglio, solo il meglio a chi ha amato.
__Ogni meglio a chi ama… e basta.
__Una medaglia avvitata in petto agli invalidi di guerra: partiti e poi caduti; partiti consci di poter cadere; partiti solo per cadere. Sono in tanti, là, naufraghi alla corrente: da me a te e da te a me, andata e ritorno e, talvolta, no, grazie, solo andata, andata e niente ritorno. Viaggi, armi e bagagli, leghe e leghe appresso stelle comete, deposte tutte a porte poi cintate. E loro, là, là come merce cacciata. Povera sventurata, non pare gradita. Resa al mittente, desolati. Respinta.
__Il meglio, sì, solo il meglio all’amore non corrisposto.
__Meglio entro il quale: io ti amo, e tu…

[E tu…]__

Tu?

__Sì. No. Cosa?! Conoscendoci meglio… Non prenderla male, ma… Wow, sono lusingato, un sacco, però… Eh? Cos-? Ah, be’, grazie.
__O forse, soltanto, non lo sai. Non lo sa, lui o lei… Ma se anche sapesse? Meglio l’ignoranza, a volte.

[Che codarda.]__

__Vero.

[Fai la commedia?]__

__Mai stata abile in quello.

[Esponiti e potrai lamentarti; in caso contrario-]__

__Sì, sì, lo so, lo so. Però, a volte… Spesso, tanto spesso, l’ignoranza è tutto. Tutto ciò che hai. E quanto ti rimane. Altrimenti, presto e bene, vi è un solo scolo: il fondo.
__Così, forse il meglio è non sapere.
__Non sapere di e non sapere che frena e innalza nel vuoto, né di qua né di là. Non puoi cadere né volare; puoi unicamente stare. Stare. Via. Non crederti in salvo, però, oh no: non sopra o sotto, ma tutto, tutto intorno rotea un globo di se, di lasciate poi perdute, di potenze trascurate e, quindi, adirate. Lì, c’è il mondo che poteva, doveva e voleva essere; e non morde né sfiora, tranquillo, ma bada, perché arde e fuma. È l’occhio del ciclone. È l’occhio di un ciclone e guarda sempre te.
__L’insidia, nel gioco, è la mischia di specchi e voci che oblia ogni retta: larghezza, lunghezza e profondità, x, y e z, no, no, via, via, non hai voluto una direzione, così non ne vedrai nessuna! Sono tutte uguali e sono tutte diverse poiché nessuna vale, nessuna pesa, nessuna è.
__Hai il mondo attorno, un mondo che è nullo.
__Un po’ come un uovo, il pulcino e il guscio di un uovo. Un utero.

[Proprio una mocciosa, tu.]__

__Già… Forse proprio per questo preferisco non sapere: così è più comodo e semplice, conveniente; così mi è più facile. Vivere.
__No, scusate. Volevo; dovevo; dovrei dire sopravvivere. Questo è: inspirare, espirare, battito cardiaco, flusso sanguigno, funzioni cerebrali elementari. Questo è, e nient’altro. Sopravvivere, quindi: andare e andare, rotolare su di una rampa sterminata, traversa per definizione, che è non sapere. Il mio non sapere e non voler sapere, il mio non essere. Non esserci.
__Non sono da molto io. Non sono, beh, praticamente da sempre… Strano, perché a volte non essere racconta più di quanto faccia essere. L’esclusione più dell’ammissione. Se togli, avrai, paradossalmente… Strano, vero?
__Non sono molto, e non lo sono da molto.
__Non sono una bella ragazza: alla sola superficie, no, non sono bella. Non sono una bella persona: nella tempra e sotto la superficie, no, non sono bella. Non sono bella in generale, io.
__Non sono sveglia, brillante, energica o risoluta. Forte, in un qualunque senso.
__Poi, non sono una figlia degna o desiderabile, quella che ci si augura. Temo di potermi solo dire figlia, senza esserlo.
__Non che non la ami, la mia famiglia… Non riesco a meritarmi il suo affetto. Di là dal vincolo genetico, che può essere muto, invalso, ipocrita, ma c’è, è; io non riesco a pesare il necessario. Non misuro il giusto, il richiesto, dunque ho solo quanto mi spetta. Né più né meno. Neanche il nobile sangue ha potuto sanare tanto difetto; e allora non c’è merito, solo vergogna.
__Non merito di essere loro figlia. Li amo ma… non sono loro figlia.
__Non sono neppure una buona sorella, sapete? Non sono una sorella ammirevole, esemplare o anche, semplicemente, maggiore. Sì, sono nata prima, ma questo non fa né basta a rendermi maggiore o migliore di altri. Di Hanabi; di Neji; di chiunque, in fondo.
__Notoriamente, poi, non sono una buona kunoichi e nemmeno una buon’allieva. Non sono intelligente, astuta, dotata o combattiva. Non sono Sakura-san; non sono Ino-san e non sono Tenten-san; non sono Kiba-kun e non sono Shino-kun; non sono Shikamaru-kun e non sono Choji-kun; non sono Rock Lee-kun e non sono Sai-kun; non sono Sasuke-kun e…

[Non.]__

__No, io, no.

[Sono.]__

__Di certo, no.

[Te.]__

__Non sono lui.
__Non sono davvero un mucchio di cose, io. Ed è curioso come questo mucchio di cose, conti stime tutte positive. Mai ch’io mi sia riconosciuta positiva, del resto: l’allegra Hinata? No. No, per carità.
__In effetti, non sono tante cose. Forse perché, in definitiva, non sono.

Io non sono.

__Non sono e basta. Sì, ci sono, se prima, no, non ci sono. Togli, e mi avrai.
__Strano, vero? Strano sì, davvero. Assurdo, e pure un po’ patetico… Ma, sapete, mi va bene così. O meglio, me lo faccio andar bene.

[Sì, fai proprio la commedia tu.]__

__Non so esattamente quando: quand’è che uno smette i panni vecchi? Quando smetti di sperarci e di attenderlo, quel preciso poi? Quando? Io non lo so.
__Quando ho gettato remi e àncora per star qui, qui dove mi va bene? In verità, non lo so più, non lo so davvero più…
__Forse dopo l’ennesimo, miserevole schianto sul tatami; forse dopo aver masticato polvere e sangue, ancora; forse dopo essere scappata da loro, da tutti, dal mondo là fuori, per la millesima volta. Forse. Tuttavia non so dirlo, mi dispiace.
__Ma il nodo è che, nel bene e nel male, ora ci credo; lo sento.
__Quindi, sì, davvero: va bene così.
__Non sapere, nel bene e nel male, è una decisione; verso l’alto o verso il basso, comunque una decisione. Vigliacca, sì, opportunista, sì, ma è una direzione. Risponde a una volontà, ed è la mia volontà. Mi appartiene e mi rende [orgogliosa?] consapevole; [felice?] serena. Serena, malinconica quasi, di una malinconia struggente, splendida: sottile quanto il filo della carta, e terribile quanto l’oceano.
__È acqua che annega: ti circonda, le dita lunghe alla gola, la carne ormai molle, e sei di nuovo in culla. Senti poco, quasi niente; quasi non lo ricordi più, il dolore. Ma non è vinto, quello, no; solo interdetto. È che manca la spia, con la chiglia a inghiottire il mare. A quello è chiamato l’anestetico: a distrarre e inibire la fuga, a farti star buono, su, da bravo, buono, mentre muori.
__Sarà dolce, un amante ideale, e sarà lento. Farà piano, piano, e non farà male, davvero; ma se anche fosse, non ti preoccupare, non sentirai niente, più niente… Saprà esser dolce e saprà esser discreto; invisibile, mentre ti uccide.
__Squarciar il ventre e, fiero, offrire a tutti la propria anima, comanda spina e polso: la tempra di morire cadendo in avanti. Così recitano le pergamene ninja, e così io onoro una scelta, la onoro e la seguo: non perché giusta o sbagliata, bagnata di coraggio o di codardia, ma perché mia. Alta o infame, lei è mia. E così io la difendo.
__Questo è: si cade in avanti.

[Dico le cose.]__

__Si muore di fronte.

[Così come stanno.]__

__Non si fugge indietro.

[E non cambio idea.]__

__Acqua che annega, frena e innalza; nel vuoto non puoi cadere né volare, puoi unicamente stare. Stare. Una dolce catalessi, questa, che mi è cara.
__È simile alla marea: fatta di onde e abissi, di flutti vivi. Certi giorni, se pensierosa, non avrà stracci da dedicarti, scivolandoti appena sui piedi. Certi altri, invece, gorgoglierà al tuo stomaco con voce di tempesta. E certi giorni ancora, a fauci larghe e giulive, ti prenderà, ti prenderà in sol boccone… Sarà allora, il meglio.
__Come acqua che annega, e come marea che culla.
__È simile… a lui.
__Un poco lo ricorda, quello che provo per lui. Lui e quello che provo per lui. Potrebbero dirsi consanguinei, credo. È difficile separali, distinguerli e chiamare ciascuno col suo giusto nome; è difficile, con loro che si assomigliano tanto e un ponte, nel mezzo, a mancare; è difficile, con io che non ci sono.
__Così accade: quello che vedo e quello che provo si allineano. Fuori e dentro non hanno più coordinate e, smarriti, si mescolano, si sovrappongono. E succede: quello che vedo [Naruto] e quello che sento [Naruto-kun] diventano un uno soltanto. Sono la stessa cosa. Sono il ciclone tutto attorno.
__Quando lo guardo, non vedo mai me e lui, n-noi, accostati o separati. No. Quando lo guardo, vedo solo lui, solo lui, e non vedo altro. Altro, di là dal sole e dal cielo. Questo e nient’altro.
__Un vecchio e logoro cliché, dico bene? Però, credetemi, non che non m’interessi altro: davvero, davvero io non vedo altro. Non lo vedo e non riesco a vederlo. Non ci riesco, anche a dispetto dei miei occhi bianchi.
__Quanto vedo e quanto sento collimano [onde e abissi], affollano [flutti vivi] e inondano [le dita lunghe alla gola], sovrastano [con voce di tempesta] e annientano [a fauci larghe e giulive]. Così è. Ed è bellissimo.
__So che è solo patetica masturbazione… ma va bene, mi basta.
__Eppure non mi basta per davvero, ma deve, deve bastare. Capitemi [comprendimi], per favore: io non posso [non voglio] pretendere altro da lui [da te]. Quello che c’è; quello che non c’è; quello che non è; va bene. Così com’è, va bene; sta bene; sto bene.
__Così, con per me che è tutto.

[Con tutto quello che vorrei.]__

__Con per lui che è niente.

[Con tutto quello che non ho.]__

Così [con niente] va bene.

__Davvero, va bene.

[La volpe che non arriva all’uva, no?]__

__Forse sì. Forse. Però, dannazione, perché ancora una volpe?
__Ancora una volpe, quando io, quell’altra, non l’ho mai vista.
__Sono tonta, e ben poco sveglia, e chissà cos’altro, ma giuro: io non l’ho mai vista. La bestia a nove code, il demone del Fuoco, la Volpe: mai, mai visto, no, niente di tutto ciò… E non mi capacito di come si possa; come abbiano fatto, in passato, ad avvistare tanto… in un bambino. Era un bambino, solo un bambino e… Io davvero non lo so.
__Non capisco e non vedo, ma fa male. Fa male pensare a quel un bambino.
__Mi dico che non è possibile, che è assurdo e ingiusto, perché no, non è vero, non è così, non è mai stato così! Eppure… è quello che vedono. Ed io continuo a chiedermi come, come possano.
__Se solo riuscisse loro di vedere quanto vedo io; di vederlo come lo vedo io. Se solo potessi cavarmi gli occhi e cacciarli nella testa degli altri, per permetter loro di vedere, e vedere per davvero, quanto c’è, quanto è. Quanto, per me.
__Se avessi forza per far almeno questo, giuro, giuro, mi basterebbe. Ma nemmeno questo sembra essere alla mia portata, nemmeno questo… Non posso fare nulla, mai, mai nulla… E, maledizione, vorrei riuscire! Vorrei [lo sa il cielo, se vorrei] riuscire in questo! Solo, solo questo! Lo vorrei, sì, con tutta me stessa; però… mi trema il cuore. Vorrebbe salire, andar oltre le labbra, via, fuori; ma s’impiglia in gola e cade; cade nello stomaco; cade come i sassi in acqua; cade e va giù.
__Ed io rimango lì.

[Ferma.]__

__A guardare.

[Vorrei andare.]__

__E basta.

[E non mi basta.]__

__Ferma a guardarti… Si può dire non abbia fatto altro in vita mia. Non c’è da stupirsi io arrossisca ancora tanto… Però giuro, giuro: lo farei, ancora e ancora, tutta la vita.
__Che cosa patetica, eh? E nemmeno molto originale, anzi. La deviazione più comune e infantile, a ben guardare, la meno interessante.
__Eppure, davvero, io lo farei ancora. Ancora e ancora. Tutta la vita ancora.
__Anche se tu non mi vedi, non mi guardi e, forse, nemmeno sai.
__Anche se tu vai avanti, cresci; cambi, pur rimanendo te stesso.
__Scherzi e ridi.
__Ti arrabbi.
__Ma, grazie al cielo, poi ridi.
__E ridi ancora.
__Parli, e tanto, forse troppo, ma va bene; troppo, a volte, va bene.
__Ti confronti, ti metti in discussione e, spesso, no, non ti piaci.
__Ti odi, così come sei non ti vuoi, ma comunque vai avanti.
__Combatti, ti sforzi; potendo, ti distruggeresti.
__Allora cadi, sanguini, piangi, urli, urli, urli.
__Molleresti, sì, molleresti davvero.
__Eppure ti rialzi, a fatica, ma ancora.
__In piedi, tutte le volte.
__Non ti arrendi.
__E, sì, sei bellissimo.
__Non parlo solo e puramente del tuo aspetto: degli occhi spietatamente azzurri; del sorriso terribile e radioso; del biondo, sulla testa, irto e ruvido come grano; dell’angolo mandibolare squadrato, eppure ancora nostalgicamente infantile.
__Parlo di te in senso più un po’ più ampio. Più ampio e più esatto. Dell’espressività: di un calderone in viso che non par vero, che fa spavento, che sbalestra; perché non pensavi potesse starci tanto, così tanto, sulla pelle. La vita stessa, lì, tutta sulla pelle.
__Parlo dei modi: i gesti, le braccia, il collo che si torce; è una fisicità irruenta ma mai violenta. Di quando, annoiato, insacchi le mani nell’arancio inseparabile della tuta. Di quando sei corrucciato e dai noia al mento. Di quando, in imbarazzo, sfreghi a volte il naso, a volte il capo. Di quando sei offeso, sì, sei proprio offeso adesso, e metti il broncio, il broncio dei dodici anni all’Accademia. Di quando fai sul serio, aggrotti le sopracciglia e ghigni; ghigni in faccia al nemico, in faccia alle ossa rotte, in faccia al mondo: ché se esser intelligenti significa imboccar la via più facile e dar le spalle al resto, allora ti sta bene restare scemo a vita. E di quando strizzi gli occhi, come per troppa luce, e sorridi; sorridi anche per poco, anche di niente; ché a volte serve anche solo sorridere, così, al niente.
__Perché sei come un tornado [il ciclone tutto attorno]: il primo sole d’aprile, che scalda gentile la schiena anche a spalle voltate; l’arsura estiva che trascina a terra; le lenzuola pulite in autunno, un po’ ruvide ma benefiche; il lampeggiare attorcigliato del fulmine o lo strumento lontano di un temporale.
__Sei come vento [sei vento]: ovunque, sì, ma per tutti; circondi, ma non abbracci; giri intorno, sei addosso, ma non resti, non resti mai.
__E sei, sei… Suonerà banale, eccome, ma sei come il ramen. Ne hai i colori, e non sarebbe strano potessi vantarne anche i profumi. Già il tuo nome ne è parte. Significa, rimanda a qualcosa, qualcosa di reale: un nome concreto, da poter impugnare o trattenere, da sentire. Volendo, lo potresti mangiare, il tuo nome…
__È una fortuna da invidiare, sai? Un nome di carne e di ossa, un nome che esista… Deve essere bello. Dev’esser qualcosa di molto, molto bello.

[Essere te deve essere bello.]__

__Ed è al presente il modo che hai di essere; si fa lungo la via: tu sta qui e ci sta ora, e ogni volta è diversa, proporzionata al momento, al reale.
__Essere, esserci, per davvero, non è facile. Affatto.
__Per questo, tanta contingenza, sempre, è… è meraviglia.
__E nonostante questo, no, anzi: contestualmente a questo, sei anche la persona più idealista che avrò mai il privilegio d’incontrare.
__Idealista, sognatore, illuso, solo un povero svitato…
__Potrebbero chiamarti in molti modi, a denuncia dei tuoi sogni. Quei sogni che sono tanto belli e tanto lontani, tanto luminosi; destri a recuperare i cocci di ogni frana, per offrirteli presto in mano: ecco, tieni, adesso puoi continuare.
__Eppure, anche dopo tanti lividi e luci rotte a terra, dentro, qualcosa ha stretto i denti per tenersi assieme. Testardo, lui insiste ancora a brillare.
__Hai guardato l’abisso; lo hai guardato bene e a lungo, in quella sua faccia scura e terribile; e lo hai lasciato guardarti bene e a lungo, dentro e in fondo agli occhi. Nemico o amico, così comprendi chi ti sta di fronte: guardandolo negli occhi e porgendogli i tuoi, pugno contro pugno. Così si affrontano i mostri, e così si convive col buio.

Così [tu] si conserva [sei] luce.

__Così si va avanti. Così si va. Si va, sempre.
__Perché sei determinato, irragionevolmente e ferocemente determinato. Ostinato, cocciuto e leale. Alludo alla fedeltà che non si intacca né vacilla; alla dedizione sincera, di viscere e cuore, non a bandiere, no, ma a persone, nomi di carne e di ossa.
__È di loro che parlo: di Sakura e di Sasuke.
__Della squadra sette, la tua squadra.
__Della famiglia e della casa.
__Di legami.
__Sono beni tremendi, scavati; radici sotto il cuore: possono sostenere e possono confinare; possono offrire forza e possono offrire dolore; possono tanto [presto e bene, sì] in entrambi i corsi [in cima come in fondo].
__E tra i due litiganti, il terzo è il campo di battaglia, la corda strozzata dai due tiri: quanto è presente e quanto è passato; ciò che sai dover fare e ciò che davvero vorresti fare; quello che dicono faccia bene e quello che sai farà solo altro male.
__Dimmi, allora: ti è più facile l’amore o la rabbia? Dov’è che sei? Dal rosso o dal nero? Ma sei giallo tu. Giorno e sole, tra il buio della notte e la dolcezza dell’alba; così chiaro da esser più simile al giallo, per lucentezza.

[Sebbene tu, forse, gli preferisca l’arancio.]__

__Credo di vederlo, sai?
__Vedo come li ami; perché, sì, li ami entrambi. Con la furia di chi non vuole più perdere niente, mai, mai più niente! Te li legheresti alla cintola, pur di sentirli sicuri, addosso. Li ami senza ritirata e senza vergogna, benché la paura ci sia, ci sia ancora. C’è, eppure non basta a contrastarti, perché senza chiedere vai. Non c’è risposta e non c’è domanda: io lo farò, lo farò comunque, che voi facciate lo stesso mio o meno!
__Non sembri voler nulla in ritorno; nemmeno pari aspettartelo, un qualche ritorno… E mi trovo a pensare tu sia una di quelle persone, più uniche che rare, cui evidentemente basta amare. Anzi, anche più: vuole e deve amare.

Ama. Punto.

__Perché non può far altro. Perché, anche potendo, non farebbe altro. Perché quello che fa è quello che vuole; e lui fa solo quello che vuole, chiaro? Perché altro, sapete, lui non vuole proprio fare.
__Però, qualcosa mi galleggia in stomaco e non se ne vuole andare…
__Perché d’amore te ne hanno sempre mostrato e, perdonami, concesso poco, proprio poco, sin da piccolo. Concesso, alla stregua di elemosina.
__E se non l’amore, quantomeno l’affetto; quel poco che di cuore si spende, perché davvero non costa niente: oh, il figlio di Shikaku-san! Eccolo qua, il piccolo Akimichi, sputato suo padre! Ino-chan, ma guardati: una fortuna per i tuoi genitori! Prendi pure, Sakura-chan, e porta i miei saluti alla mamma! Questo è stato per tanti di noi. Hinata… Hyūga? La primogenita di Hiashi-sama?! Chi più, chi meno. E tu devi essere il fratello più piccolo di Itachi-kun! Molti di noi, comunque, qualcosa hanno sempre avuto. No, non lo guardare. Molti. Fa’ finta di niente e non lo guardare. Non tutti. Non lo devi guardare.
__Anche quello, quel poco, te lo sei dovuto guadagnare.
__Guadagnare, ho detto, ma non ha un buon sapore. Guadagnarsi un sentimento, farne merce di scambio, baratto, moneta: tu fai qualcosa per me e io, in cambio, cosa? Ti do qualcosa? Ti pago?
__È una prospettiva, questa, che può nauseare.
__D’altronde, però, è inevitabile: il giudizio altrui e con esso, quindi, la sensazione che si ha di noi sono materialmente innescati dal nostro agire, dall’essere in questo mondo, e in questo mondo con altri, appunto. È più che logico supporre una nostra azione stacchi, negli altri, una sensazione.
__A ogni azione corrisponde una reazione di forza uguale e di direzione contraria.
__È fisica. È realtà. È.
__Eppure, una meccanica tanto asciutta mi lascia, non so, interdetta.
__Ho sempre preferito pensare che sentimenti ed emozioni sgorghino spontanei, senza forze estranee o spinte applicate, ma con la franchezza un poco grezza di uno starnuto. Per quanto, in fin dei conti, il contorno sia ininfluente all’identità del risultato.
__Tuttavia, di là dalla cosa, dalla sostanza, a interessarmi è il come, la forma. La differenza può sembrar minima; la distanza, a me, pare immensa.
__Ed io sono sicura, nella freschezza delle tue emozioni, la fisica o il dare e avere non c’entrino un bel niente. Perché, per me, è solo poesia.
__È disarmante vederti corrucciare, riflettere o rimuginare.
__Innervosire e poi sbuffare; bloccare.
__Non capire, spesso, ma nel giusto; è quanto di più umano non capire.
__Non capire, per poi realizzare.
__Comprendere e assimilare, migliorare: crescere.
__E, infine, ridere, ridere.
__Chissà se tu lo sai…
__Forse neanche lontanamente lo immagini, cosa, come e quanta luce, la tua risata possa regalare. Senza pianificazione e, potrei azzardare, senza nemmeno consapevole intenzione, oltre il semplice istinto di dare, dare senza chiedere: tieni, eh, e ci vediamo!
__C’è tanto nella tua risata; c’è quanto si può provare per la vita; la gratitudine d’essere vivo e d’essere qui, di esserci, sì, nonostante tutto. Una riconoscenza così bella e grande è rara: se ne abusa, il più delle volte, benché sia mai, mai scontata.
__Dire: ehi, sono qua e ne sono felice, è una forza e un dono; è fibra non comune a tutti. È amore.
__E se coinvolgo proprio l’amore, te ne prego, permettimi di spiegare.
__Tralascia che io, con te, non stia realmente parlando; tralascia l’assurdità e la vigliaccheria di un simile da me a te zoppo di un vero te; tralascia tutto questo, se puoi… Perché è importante. Non vanterà senso, ma per me è importante. È importante chiarire che, quando dico amore, e lo dico a te, coinvolgo qualcosa che rovescia dai bordi entro cui questo segno si costruisce.
__Quindi, per favore, non storcere subito il naso, perché con amore non intendo alludere alla sfumatura più romantica e sciupata; quella più correntemente ovvia. Mi riferisco, invece, a qualcosa più in viscere, uterino; qualcosa di caotico e brutale nella sostanza più autentica; infantile per dialettica immediata, e ostile nel galoppare e, no, non farsi addomesticare.
__Credo abbia questo carattere il tuo amore.
__Quello che ti percorre e anima; che sfama i polmoni e gonfia le vene; che risale la spina dorsale e batte sulla pelle; che s’irradia in elettricità. È simile a radioattività [è contagio]; si trasmette e allarga [infezione e cura] come sangue da un’arteria [insieme].
__Così credo sia. E così credo vada
__Riconoscente e grato, va, va…

Da Iruka-sensei.

__Con lui in Accademia o da Ichiraku. Con lui a crederci per davvero, in te.
__Va allegro, nocche in sacca e ghigno alle labbra, lui va, torna in camerata; tra compagni d’armi e, forse, non può negarlo, amici.

Sai-kun e Konohamaru-kun.
Shikamaru-kun e Choji-kun.
Kiba-kun e Shino-kun.
Neji-niisan e Rock Lee-kun.

__La spalla coperta in territorio nemico; il branco cui sa di appartenere.
__Ho detto territorio nemico, sì. Eppure, questo non basta a fare di tutta l’erba un fascio, né della sabbia un deserto intero. Così si affrontano i nemici: pugno contro pugno e occhi contro occhi; così comprendi chi ti sta di fronte.
__È andato in un paese straniero, dunque, e ha compreso come straniero non significhi necessariamente nemico. È stato lui stesso straniero in un paese lontano, e ha scoperto come quello straniero fosse, sotto, più simile a lui di chiunque altro. È andato, sì, ed è tornato forte di un alleato, un amico.

Gaara-sama.

__Anche lui orfano, anche lui maledetto, anche lui Kage. Anche lui. Non lo sospettava tanto identico nella partenza [avresti potuto esserci tu], e nemmeno tanto distante nel calvario [là dove stava lui]. Gaara del Deserto: quel bivio che poteva [potevi] essere.
__E va, va ancora. Va verso colei che, forse, può considerare… una madre? Forse una madre, forse un capo; forse l’affetto e la stima insieme.

Madamigella Tsunade.

__L’affetto e la stima verso un ruggire cui si presta orecchio: l’Hokage. Un sogno; il sogno; quel sogno tanto bello e tanto luminoso, ma che con lei e la sua voce grossa, no, non sembra poi tanto lontano. Qui, l’orizzonte è a portata di mano.
__E se è approdato a lei, beh, lo deve prima a lui. A lui, alto e robusto, un gigante buono cui va dietro a suon di sbuffo; eppure va correndo, a passo di marcia, per stargli appresso, piede e piede nelle impronte sul terreno. Il più anziano davanti, e il più giovane dietro. Così camminano allievo e maestro. Così va…

Dal sommo Jiraiya.

__Prima il maestro, a segnare la via, e dopo l’allievo, a guardare bene i passi. A guardare e capire, a crescere; protetto da chi, al mondo, ci sta da tanto.
__Così è, davanti [a difesa del Re].
__E dietro, l’allievo segue e ha fede, ne ha e ne dà. Seguirà le impronte, il più giovane, e le raccoglierà tutte. È solo un prestito, ragazzo, non credere. Sino ad avere tutto. Lo affido a te perché io devo andare. In lascito. Trattalo bene, mi raccomando.
__Ha segnato la via e ha lasciato un erede: ha cresciuto un uomo.
__Così è un maestro, e così è… un padre.
__Un padre, sì, un padre.
__Anche se tu, ironicamente, lo definiresti più vicino a tuo nonno, forse, per anzianità. Ma è così che funziona in famiglia: si dà aria alla bocca e alla mani senza riflettere, talvolta senza reale intenzione e solo per dare aria e dare pugni. Eppure va bene, va comunque bene. Perché la famiglia lo concede. Puoi trattarla male, ma lei ci sarà, ci sarà sempre. Questo è, anche più in là del nobile sangue.
__Da maestro ad allievo e da padre a figlio: quanto lega e segna è sempre e ovunque famiglia. Quella che ti sei costruito e quella che ti ha voluto; la radice, sotto, che hai sempre desiderato.
__Così va: segue le orme e le raccoglie, eredita, e ancora va, va avanti.
__Va da chi, a un trio di dodicenni passò fagotti preziosi: non tecniche e sigilli, ma esperienze, pezzi di vita a lui cari, perché possiate arrivare dove non ho potuto io. Diede loro in regalo una parte di sé; in regalo per la promozione; in regalo come aveva già visto fare. Il valore di una parola: compagni.

Kakashi-sensei.

__La colonna vertebrale della squadra sette: gamba che sostiene e voce che corregge; ombra gentile dietro la tela, che protegge. La guida sicura, tra sentieri irti e cattivi, che vorresti un giorno incarnare. L’esempio che, sì, vuoi essere.
__E da lui, poi, a loro.
__Va a loro, ai prati in verde della primavera, alle foglie rosse, cadute in terra. Va, viaggia come sole, dall’alba alla notte. Va là, dove c’è luce. Va…

Da Sakura-san.

__L’aurora.
__Va da lei col battito tranquillo e svelto di chi conosce la strada. Ancora un po’ brusco, sì, e ancora un po’ goffo, sì; è un adolescente dopotutto. Ma ci andrà ancora e sempre. Andrà sempre dove sa di potersi coricare; da chi sa di potersi fidare.
__A casa, tornerà sempre.
__E lei, alla destra del cuore, è un lido sicuro cui pensare; il tronco segnato nel bosco, perché adesso, sì, hai capito dove andare. È il nodo col presente: perché c’è, c’è sempre stata e, sì, ne è sicuro, ci sarà sempre.
__Come la terra sotto il piede: è lì. Per te. Sempre.
__Alla luce, però, segue fedele il buio.
__Così, dall’alba lui va alla notte. Va, torna e poi va ancora. Da tanto tempo ormai.
__È un viaggio accidentato, il suo, e mai facile. Sin dal principio.
__Partì come franca ammirazione, il wow! di un bambino al coetaneo tanto bravo in tutto. Eppure, con quello lì a esser sempre musone e a trattar male tutti quei doni con cui era nato, divenne presto invidia: invidia, perché lui aveva tante cose belle e non le curava. Dall’invidia alla rivalità, poi, il balzo fu breve; breve e scomodo, perché lo aveva davanti tutto il giorno, quel bambino tanto bravo in tutto eppure sempre musone.
__Ha un che di ironico, perché spesso non vi è credito più autentico di quello fra rivali. Così è risalito a stima, alla fiducia di schiena contro schiena per affrontare il mondo intero: gli aveva offerto il proprio pugno, prima chiuso poi aperto; la borsa al Fuoco tutto, loro tre! Eppure…
__Un amico, dicono, va visto come il miglior nemico: gli si è vicino quando lo si contrasta. E il contrasto, sì, c’è stato. E ha strappato. Ha strappato la schiena dell’uno da quella dell’altro; ha strappato l’averlo davanti tutto il giorno, quel bambino tanto bravo in tutto eppure sempre musone; ha strappato; ha strappato; ha strappato.
__È partito e si è strappato. Lui come l’altro.
__Quel viaggio, accidentato e mai facile, si è chiuso male. Male giacché, per uno dei due, chiuso non lo è affatto. Con quel pugno aperto, avrebbe dovuto andare diversamente, avrebbe dovuto andare e andare ancora: borsa al Fuoco tutto e schiena contro schiena, gara a chi sale più in alto, a chi corre più veloce, a chi la fa più lontano! Con quel pugno… Quel pugno… lo chiamava rivale. Lo chiamava fratello.
__Lo chiamava; lo chiama; lo chiami amico.

Sasuke-kun.

__La parallela tanto brava eppure musona, che avrebbe dovuto correre insieme, alla pari tua; non piegarsi in tangente e andare via.
__Siete forze uguali e contrarie voi due, e forse, proprio perché così opposte, anche tanto affannose da armonizzare. Eppure, tre anni fa fu lui la spinta al moto; credo, quindi, debba trovarsi ancora in lui la coda della parabola. Lì sta la meta del viaggio. La meta o, forse, la metà: del viaggio e di te stesso; di alba, giorno e notte; di rosso [rosa], giallo [arancio] e nero [blu].
__E se lei risiede a destra, lui dimora a sinistra; è buca dietro il cuore e dentro il polmone. Come uno spettro, è quando non lo vedi che infesta il buio oltre la testa. Come uno spettro, è stato, se n’è andato, eppure ancora è. Come uno spettro, lui ancora c’è.
__Va e va lontano, vero? Ma andrebbe in un luogo anche più lontano, potendo. Un luogo passato che, in verità, è un tempo. Non vi è accesso, poiché nel tempo si avanza soltanto; così rimane dietro e là non ha varco. Eppure sa, lo sente nel sangue e nel baratro dello stomaco: là, una volta, c’è stato davvero. Per questo forse fa anche più male: perché gli urla dentro; perché gli è dentro, vivo dentro, ma no, non lo può incontrare.
__Resta dunque il vuoto lasciato dall’orma; la fame di un tempo in cui, lì, c’erano per davvero. C’erano…

Un padre e una madre.

__Lui va lontano e con gran rumore, ma quando pensa a quello… si ferma. E non fiata. Non ha voce per parlare, né mani da afferrare; non ha avuto tempo, lui, per ricordare.
__E mi chiedo come si possa andare e non smarrirsi, se non si sa da dove si parte: quanta, dimmi, quanta fibra serve per nuotare, ancora e ancora, in alto mare? Quanta, per camminare sapendo che indietro non puoi tornare? Che il solo luogo cui vorresti arrivare è anche il solo che, no, mi spiace, non potrai mai toccare? Quanta, quanta fibra consuma tutto questo?
__Può darsi il sangue non covi nobiltà, tuttavia è fluido sveglio, e ammonisce: non spunti dal nulla tu, tu come chiunque, e da qualche parte dovrai pur discendere; ché un tempo, da due risultò poi uno!
__Spesso lo si dà per scontato, ovvio, questo tempo: tutti lo hanno. Non a tutti, però, è concesso tanto a lungo da salvarne un poco. Dovrebbe essere uno stato di natura, la dotazione minima sulla linea di partenza: senza non si può iniziare.
__Tuttavia, nemmeno la santità di un luogo simile pare inviolabile…
__E non ti è stata risparmiata.
__Era tua, già da principio tua, eppure… l’hanno sradicata: dalle mani e da sotto il cuore, ogni ramo è andato via, via, in un luogo impossibile che in verità è un tempo lontano. Perciò me lo chiedo: come? Come si può non annegare nel ventre di un naufragio? Me lo chiedo, perché rifiuto di credere il solo non potere ricordare capace di ammansire il mostro di una voragine sotto il cuore.
__Non li hai conosciuti, sì… e no.
__No, perché erano i tuoi genitori.
__Erano, e questo non può, non può non far male.
__Va lontano, ma quando pensa a quel luogo, lui si ferma. Giusto un momento. Uno. E al due riprende, va, perché da due fu poi uno, e quell’uno ora deve andare.
__Forse così riesci a camminare senza annegare; così, ancora, riesci ad amare. Ad amare e a farti amare, in risposta, benché prima non vi sia domanda. Ma succede. È fisica: a ogni azione, per legge, risponde una reazione. Sta alla bontà, invece, assicurare a ogni starnuto il proprio salute!
__Perciò credo sia questo il lascito più grande di tutti; la radice sotto il cuore che, no, non potrà condurti a quel luogo impossibile che in verità è un tempo lontano; ma starà lì, dentro e sotto, a ricordarti che c’è stato davvero quel tempo e quel luogo, e a ricordarlo per te. C’è stato ed era tuo. E lo sarà sempre.
__Sarà lì e ti terrà in piedi, mani sotto le ascelle per non lasciarti cadere. Sarà lì, a farti andare, andare avanti, verso un luogo e un tempo dove esser tu radice sotto il cuore. Vai e non avere paura: io sarò qui, dietro di te, sempre, ma tu vai, vai. Io sarò qui. Sempre.
__Il viaggio però è davvero lungo, e occorre un giaciglio ove riposare, una casa cui tornare. Una casa nascosta in un bosco, come nelle fiabe. Una casa che è un albero. Una foglia.

Konoha.

__Una dimora di legno ed erba; una dimora celata nel pelo verde di un continente di fuoco; una dimora di guerrieri e maghi; una dimora, casa degli eroi, come nelle fiabe.
__Così credo sia. E così credo vada. Così lui, così te.
__Così vai, lotti, cadi, ma comunque provi.
__E inciampi, e cadi, e rotoli indietro.
__Ma ti rialzi, e riprovi, e rotoli, e daccapo, ancora.
__Daccapo e poi ancora, ancora.
__Ancora, ancora e ancora.
__Per quante volte necessarie, per ogni no, non ci siamo, si riprova e si continua; avanti fino al coprifronte; fino alla Tecnica superiore della moltiplicazione del corpo; fino al sogno. Per camminare a testa alta e stare là, con loro. Per esserlo davvero: accettato.
__Non più al muro, fuori dall’aula o nel banco scartato, ma nel cerchio, dentro. Sentirselo addosso e nelle orecchie: ehi, che fai ancora lì? Coraggio, su, vieni!
__La strada verso l’Accademia, e quella di ritorno a casa con la sosta alla bottega di Teuchi-san o al pontile; la pausa pranzo sul retro; gli allenamenti fino al tramonto: possono sembrare poca cosa e, chissà, forse lo sono davvero… Eppure, dal bordo del selciato o al fianco di Ko-san, hanno sempre brillato tanto. E qui, se non altrove, penso di capirti tanto e bene.
__Stare tra la mischia e i sigilli improvvisati, sentire urlare il proprio nome in mezzo a tanti, tanti altri… Uno può desiderare questo, anche solo questo.
__Uno può non volere altro.
__Trovare un posto, un posto tuo, là in mezzo; come tanti, come tutti, uno fra molti. Può essere poco per altri; può essere tanto per pochi.
__La scala da genin a chūnin, da chūnin a jōnin, sino a lui, l’Hokage, credo sia giusto quello che è: una scala. Un trabiccolo con altezze e difficoltà alla misura nostra, per arrivare là in alto, dove anche saltando, noi soli non potremmo. È il mezzo quello, il come; ma il cosa sta là in alto, dove, così come siamo ora, non arriviamo.
__È lassù, in mezzo a tanti, tanti nomi, il bollo per far urlare il tuo, di nome: ohi, Naruto-kun, di qua! Sentirsi chiamato in mezzo, voluto, come un bambino fra tanti.
__Un bambino e niente più, oltre quello.

[Fa’ finta di niente e non lo guardare.]__

__Appena un bambino, non quello.

[È lo spirito della Volpe.]__

__Quello con cui hai perso tutto.

[Non lo devi guardare.]__

__Per cui hai perso tutto.

Tutto quanto.









Ed ecco arriva l’alba, so che è qui per me__
Meraviglioso come, a volte, ciò che sembra non è__
Fottendosi da sé, fottendomi da me__
Per quello che non c’è__
 
“Quello che non c’è”, Afterhours__
 
 
 

Look for the girl with the sun in her eyes and she’s gone  
 
 
 
 
 
 
 
 
 


– Angolo dell’autrice –

__Bentornati, figlioli. Com’è andata? Tutto bene? Miseria, sembro mia madre… Bleah! Dicevo: tanto per cominciare, grazie infinite. Grazie davvero se avete letto; ma grazie pure se non avete letto, e siete qui per caso, bug informatico o nuova frontiera della tortura; in ogni caso: grazie.
__Passo lesta lesta ai credits, se non vi spiace. Allora, il titolo, anzi, i titoli: dunque, quello principale, che dà poi il nome anche a tutta la faccenda, è un rimando all’omonima canzone degli Afterhours (e che il buon Agnelli mi perdoni); lo stesso dicasi per gli estratti infilati a inizio e fine capitolo. Il sottotitolo, o titolo del capitolo che dir si voglia, è invece un omaggio (ruffiano, ruffiano e maleodorante) a “Lucy in the Sky with Diamonds” dei Beatles. Richiamo distintamente palese, oh sì, ma gli opportuni onori restano comunque doverosi.
__Ora: né l’una né l’altra sono state ascoltate/sfruttate nella scrittura, per cui costituiscono solo delle… immagini, dei leitmotiv. Più che altro, volevano e vogliono esser emblematiche della voce narrante: di come vedo e credo sia il personaggio (di Hinata). Soprattutto, m’interessava rendere lei in funzione di Lui (Lui, con la elle maiuscola. Lui, quello delle “Superchicche”). Non è propriamente lusinghiero, ma temo mi sia fisicamente impossibile maneggiare Hinata senza sconfinare pure in quell’altro.
__Tutta questa geremiade, tra l'altro, nasce prima dei più recenti capitoli del manga (cough, cough – cinquecentocinquantanove – cough, cough); perciò, se la vedete un po’ abbacchiata, è per aderenza a quanto accaduto sino alla quarta, grande caz-, guerra! Guerra ninja, sì! In altre parole: sedici anni nell’anonimato e da stalker; dichiarazione; lui non la fila; nemmeno la guarda; è sempre di spalle; sta olueis dietro a Sas’ke (solo in senso figurato: Naruto è notoriamente uke); e piuttosto che rimanere a casetta sua, se ne va su un’isola a catalogare l’orientamento sessuale della fauna locale.
__Credo d’essermi appena screditata in via definitiva (alé!), e d’aver pure dimenticato qualcosa, ma fa lo stesso. Spero. Niente, scusatemi infinitamente per la logorrea, il tedio, la ripetitività e la cialtroneria.

Grazie, e al prossimo capitolo.

__P.S. Sempre se volete, chiaro (scuro? Rosso? Mosso? Bollicine a noi!).

__Disclaimer: personaggi, fatti e luoghi citati appartengono a Masashi Kishimoto, cui vanno tutti i diritti circa il loro uso. Non c’è scopo di lucro.


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Capitolo 2
*** La cura ***


– Angolo dell’autrice –

__Ohi, già coi barboncini? Bah, ignoratemi, passate oltre e ignoratemi… Ehm, bentornati o benvenuti, signori. Secondo capitolo e seconda tornata di paturnie. A questo giro, si parlerà quasi esclusivamente della Voooops! Ehi, ehi, non dovevo spoilerare? Oppure sì? (O magari non frega un fantastico cappero a nessuno, che dici?) Scusate davvero le eventuali gaffe; son parecchio stordita. Bene, adesso me ne vado, me ne vado, niente paura.
__Unica premessa/suggerimento/cortesia verso quella povera derelitta dell’autrice: il titolo del capitolo è un omaggio all’omonimo brano di Franco Battiato, ossia “La cura”, appunto; una delle più alte e immense canzoni (d’amore? Di fede? Di morte? Di astrofisica? Di Sanità? Boh?) mai scritte da anima mortale. Ora, casomai figuri nel vostro campionario multimediale o in qualsiasi altra forma sensibile, ecco, così, io la butto lì… magari ascoltatela, mentre leggete. Giusto per darmi un po’ di gioia, e anche perché Battiato fa sempre bene all’anima. Senza contare, poi, magari qualcuno sarà pure in grado di spiegarmi che acciderba ci faceva il sommo, nei campi del Tennessee. Mah, misteri delle correnti gravitazionali…

Grazie mille comunque e buona lettura.

__P.S. Per le note (che son tre e pure troppe, per ’sta bischerata), più le sacrosante risposte ai gentilissimi commenti, vi rimando come sempre allo zoccolo del capitolo. E come sempre, merci una mandria (io con delle recensioni? Per davvero? Sto fanghérlando, sappiatelo).











Quello     o c h e
no n   o c è
La cura



 
 
__Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie
__Dai turbamenti che, da oggi, incontrerai per la tua via
__Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo
__Dai fallimenti che, per tua natura, normalmente attirerai
 
__Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore
__Dalle ossessioni delle tue manie
__Supererò le correnti gravitazionali
__Lo spazio e la luce, per non farti invecchiare
__E guarirai da tutte le malattie
 
__Perché sei un essere speciale
__Ed io avrò cura di te
 

__“La cura”, Franco Battiato
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
__Forse sembrerà patetico; patetico, imbarazzante e discretamente inquietante; forse lo sembrerò io, patetica, imbarazzante e discretamente inquietante; forse lo sono e basta. Forse; di certo. Però, anche solo osservarti, da lontano, da vigliacca, comunque mi basta.

[O sono io a farmelo bastare, chissà.]__

__Rimango qui, ferma, a guardare, e davvero: va bene. Abitudine, indole o disgraziata pigrizia, qualunque cosa sia, anche così va bene. Forse, perché può dirsi non abbia fatto altro in tutta la vita; forse, perché posso dire di non volere altro, davvero altro della vita; forse ho solo paura. Forse; di certo.
__Eppure così com’è, anche così com’è [patetico, imbarazzante e discretamente inquietante], va bene. Davvero, va bene. Sto bene.
__Anche se tu non mi vedi, non mi guardi e, forse, nemmeno sai.
__Anche se tu vai avanti, corri, cadi, ma comunque provi.
__E inciampi, e cadi, e rotoli indietro.
__Ma ti rialzi, e riprovi, e rotoli, e daccapo, ancora.
__Daccapo e poi ancora, ancora.
__Ancora, ancora e ancora.
__Per quante volte necessarie, per ogni no, non ci siamo, si riprova e si continua; avanti fino al coprifronte; fino alla Tecnica superiore della moltiplicazione del corpo; fino al sogno. Per camminare a testa alta e stare là, con loro. Per esserlo davvero: accettato.
__Stare tra la mischia e i sigilli improvvisati, sentire urlare il proprio nome in mezzo a tanti, tanti altri… Uno può desiderare questo, anche solo questo.
__Uno può non volere altro.
__Trovare un posto, un posto tuo, là in mezzo; come tanti, come tutti, uno fra molti.
__Un bambino e niente più, oltre quello.

[Fa’ finta di niente e non lo guardare.]__

__Appena un bambino, non quello.

[È lo spirito della Volpe.]__

__Quello con cui hai perso tutto.

[Non lo devi guardare.]__

__Per cui hai perso tutto.

Tutto quanto.

__E io non lo so. Non so davvero cosa accada oltre quella linea.
__Amore? Si può dire, laggiù? Lo si può dire, senza che questo faccia male?
__Non lo so. Non lo so davvero, se si riesca a formare sulla lingua; se soltanto si possa anche pensare, in silenzio; se da qualche parte una via affinché sorga ci sia, con la mano presso lo stomaco e la voglia di scappare.
__Io non lo so davvero.
__E nemmeno ho la presunzione di esserne in grado; di potervi arrivare là.
__Là, ove sta il Nove Code.
__Nove code, sì, tanto grandi da sconvolger le montagne. Nove code, sì, ben nove, invisibili a me e ai miei occhi. Proprio ai miei occhi… Il mio Byakugan pare avere più di un punto cieco.
__E ti domando scusa; scusa; scusa.
__Perché non lo vedo e, non vedendo, non capisco né posso capire. Non riesco in molto, e in altrettanto non riuscirei né potrei comunque; in questo, però, so che mai è la sentenza. Mai. Né per intero né in una striscia.
__Com’è laggiù? Come si cammina? Come si respira? Come si vive? Cosa può significare esserlo davvero, legati a qualcos’altro?
__Io non lo so. Così ti domando scusa; scusa; scusa.
__Perché, forse, solo non voglio sapere. Perché, forse, guardare laggiù e capire… farebbe male. Vedere [vederti] ancora tu, nonostante tutto [nonostante quello], e insieme [dentro], un altro. Ancora tu, eppure cavo [cavo, capisci?], con dentro un altro. Farebbe male. Troppo.
__C’è una linea, laggiù, ed è ben lieta di istruire, se si è curiosi di apprendere come si viva oltre la sua lama: vieni, vieni pure, vieni a scoprire quanto può far male. Ed io, forse, ho solo paura. Farà male, sai? Paura, e anch’io la voglia di scappare, con la mano presso lo stomaco. Davvero male. E sono una codarda, una meschina codarda che non sa e così può continuare a chiederselo: come si viva; come si respiri; come si cammini dall’altra parte; come sia esserlo davvero, legati. Oltre me sarà male. Così lo immagino soltanto. Solo male. Come sia esserlo.

Una Forza Portante.

__Forza portante, già.
__Eppure… perché? Sarò anche ingiusta, sì, ingiusta e di parte, cattiva con tutto il resto del mondo; però, però, merda… perché? Perché proprio tu?
__Forza Portante. Che titolo altisonante. Parrebbe quasi un onore indossarne le vesti: consacrarsi alla patria; caricarsi del suo peso; morirne, prono, sotto. Un onore, sì, esser sigillo e confinato insieme. A tali vertici di sacrificio sono votati i ninja.
__Forza Portante. Forza laddove quanto estratto è sforzo, e portante laddove si è calice, schiavo curvo a reggere la potenza di un cielo di fuoco sulle spalle. Da passivo ad attivo per incensare catene e ferro intorno ai polsi: sarai fiero e orgoglioso di ardere per altri! Muori per noi, e per noi sarai eroe!
__Forza Portante. Forze, nove in tutto. Nove forze a portare nove croci. Nove corpi su nove altari. Così si consumano i sacrifici: il grano più giovane e tenero del villaggio, vestito di fiori e corde, gettato nella gola del mostro.
__La linea, laggiù, è confine e lama per entrambi: Jinchūriki1 e Bijū2. Colossi di chakra entro l’argilla di ragazzi, affinché la nazione possa salirne in cima, a groppa di titani allacciati in terra tramite la carne di un’unica persona.
__Questo per una ragione, un fine superiore, è la parola di chi manda altri sull’ara: il bene del villaggio, la pace del paese, l’equilibrio fra i cinque grandi assi. Sulla bilancia i pesi sono chiari e crudeli: la maggioranza misura più del singolo, e per una giusta causa, una vita soltanto è un prezzo che si può versare. Perché necessità. Una vita, anche una soltanto. E sarai felice, sì, felice di bruciare nella gloria delle fiamme.
__Forze Portanti, sulla carta.

[Vasi, in concreto.]__

Ostie, alla fine.

__E poi, via alla recita: uomo morto che cammina; presto o tardi impazzirà, impazzirà, ve lo dico io; impazziscono tutti, i Jinchūriki, tutti; è la natura del mostro ed è la sorte del custode; accadrà anche a lui, presto o tardi, anche a lui.
__Si scaraventa loro addosso un lastrone con la pretesa sia retto in silenzio, composti e quieti: così devono i ninja [si resiste in silenzio]; tanto ci si aspetta [su, da bravo, sta’ buono], e tanto è sovrumano [buono, mentre muori].
__Non è possibile chiederlo, e non è possibile non avvistarlo. No, non si può. Muori in silenzio? Come si può non capire, come?

[Da che pulpito, però!]__

__Perdonami. Perché è vero.
__Come se io, poi, ti capissi. O potessi.
__Sono davvero una stupida, sciocca arrogante…
__Forse, sono ancora troppo superficiale; forse, uno vede solo quanto vuole, virtù oculare o meno. Per questo, io mi fermo qui e non vado oltre, quando si tratta di te; quando si tratta di quello.
__Perché è facile assumerti forte, resistente a tutto senza contraccolpo, immune a tanto, sotto la luce che irradi. Come nelle fiabe: l’eroe splendente e invincibile, contro cui nulla può il drago. E la fiaccola, che è intensa e calda, abbaglia: credimi, dice, affidami tutto e credimi, perché ce la posso fare. E forse ce la farà anche. Tuttavia la fatica, il dolore, non li può estinguere. Eppure quella fiaccola non si straccia: evidentemente può reggere, può reggere ancora.
__Resiste lei e resisti tu: così devono, i ninja. Dà quindi un riverbero quasi giusto, l’issarti una pira accesa sulle schiena: perché tu sei forte e tu solo puoi riuscire.
__Chi può ha un onere nell’impero shinobi: deve. E tu, tu che hai fibra e braccia, sei tenuto a portare; ti è richiesto come saldo al mondo; ti pregheranno con grida alte e forti, un’onda levata a supplicare una pozza: salvaci, salvaci, muori per noi e salvaci! Tu, che sei più e più di noi tutti, devi fare, devi darti, devi: tale è la grandezza di un eletto. Nella gloria, sì, nella gloria delle fiamme.
__Giusto. Davvero giusto.
__A ben guardare, forse, il mostro non è quello che, carcerato, ti ringhia dentro; forse, il mostro, quello vero, non ha code o artigli ma arti, quattro, e dita, venti. L’orco nero che divora i bambini, non cercarlo sotto i ponti o nelle fosse, ma fuori, quaggiù, dopo la porta: il Villaggio della Foglia.
__Una casa che è un albero [albero con radici di zagaglia]; una dimora celata nel pelo verde di un continente di fuoco [zagaglie dentro la terra del Primo Hokage]; una dimora di guerrieri e maghi [terra di patrioti e assassini]; una dimora, casa degli eroi [assassini in nome della patria]; come nelle fiabe [come i mostri].
__La Volontà del Fuoco regna ed etèrna, ma chiama un tributo: qualcuno da ardere.
__Un orco che divora i bambini, come nelle fiabe.
__Bada, però, ché verrà, sì, verrà per bollirti e mangiarti quando tu sarai ancora, ancora vivo. La morte è incidentale; il pasto, quello no, quello è e quello sarà. Tu sia cosciente o annebbiato, il cranio fracassato o le viscere ancora in corpo, quanto preme è consumare: la tua testa per il suo stomaco. Così è e non c’è scelta. Detta lui le regole e disciplina lui le posizioni: come dico io è, e come dico io si fa, come un bambino. Un tiranno tra i tiranni, come nelle fiabe. Il più prepotente dei prepotenti, come un dio.
__In questo modo l’orco, l’uomo nero, o forse solo l’uomo, l’uomo soltanto gioca, sì.

A fare Dio.

__Come un bambino. Come un tiranno. Come un mostro.
__Così è la Volontà del Fuoco, e così fa: brucia. In olocausto.
__Come un mostro. Come un Moloch. Come un dio.
__Questa, la voce per cui vivere, lottare e dunque, poi, morire.
__Eccoli, eccoli tutti, come in un gioco e come nelle fiabe: il villaggio, l’eroe e l’orco.
__Ma, forse, sono ancora troppo superficiale; forse, vedo solo quanto voglio vedere e, oltre, non so andare. Con quale diritto, poi, potrei giudicare? Credo forse di vederle, le origini, i fili di questo arazzo? Ti pensi tanto capace, portatrice del Byakugan? Chi sei tu, dunque, per parlare, per fiatare, per stare qui? Dimmi: di fronte alle Forze Portanti, ai Cercoteri, ai mostri e agli dèi, tu chi è che sei?
__Nessuno. Di fronte alla Foglia e al Fuoco, a una voragine nera e viva, io non sono nessuno. E non so niente. Non sono e non posso parlare, anche appena parlare, se manchevole di pertinenza.
__Dovrei parlare e poter parlare di quanto conosco, però… come posso, se non credo di conoscere nulla? Nulla invero e nulla appieno. Cosa posso dire del mondo e delle briglie del potere; della giusta causa e della mia, di causa; dei limiti all’arbitrio e della linea tra bene e male? Cosa posso, cosa so dire io?
__Nulla. Io non so nulla. E così tanto nulla, che quel poco pesato come noto si estingue, e non lascia niente.
__Dovrei parlare solo di quanto conosco, sicché non parlo. Non parlo, non posso, non so, non, non, non… Se l’azione davvero ha piede nella parola, questo star ferma, qui, non può certo stupire.
__Dovrei parlare solo di quanto so, perciò non replico. Eppure…
__Sarò anche nessuno; saprò anche nulla, e così tanto nulla, che quel poco pesato come noto si estingue e non lascia niente; sarò anche superficiale, e stupida, e sciocca, e arrogante, però, però… dannazione, non m’importa! Non m’importa e m’importa; perché non capisco e non posso capire, non voglio; non c’è senso o parità in questo mondo, se tu, se quello… se la linea… se non v’è uscita.
__E così, scusa; scusa; scusa.
__Perché non ti capisco, né ti posso capire. E non so bene se questo sia un mio freno o di costituzione. Però, giuro, giuro, te lo giuro: mi dispiace. Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace… Perché vorrei capire, capirti: come cammini? Come respiri? Come vivi? Come stai, laggiù?
__Lo vorrei davvero. Lo sa il cielo, se vorrei. Vorrei riuscire almeno in questo. Non sono in grado né in coraggio di sorreggerti, sì, ma quantomeno spostarmi e vedere com’è il cielo dal tuo angolo, questo, giusto questo, vorrei poterlo fare.
__Vorrei poter capire.
__Non ho idea cosa determini sentire un’altro in fondo a se stessi. E nemmeno m’illudo di potercela avere: rivendicare come familiare qualcosa che non ho mai neanche intercettato, sarebbe… crudele, ecco cosa. E inutile. La beffa al di là del danno.
__So cosa provi, so come ti senti, so quanto faccia male.
__No. Non so cosa provi o cosa puoi provare. Per te stesso. E per quello. Se rabbia, frustrazione, paura o dolore… Non lo so davvero; posso immaginarlo appena.
__Forse li avverti anche tutti, questi viandanti: uno e l’altro, prima uno, poi l’altro e, a volte, uno di fianco all’altro. Non è sempre facile [è difficile] distinguere la sete dal caldo [si assomigliano tanto]; quello che c’è fuori [quello che vedo], da quello che c’è dentro [quello che sento]; io, da mio [si sovrappongono].
__In mezzo, però, resti comunque tu, volente o nolente.
__Temo nessuno abbia mai domandato il permesso, giungendo presto col comando in mano. È stato forzato. Forzati. Entrambi. Con lui, il Kyūbi, imprigionato in te e tu, anche tu, imprigionato a lui. Lui in e tu a. Si è costretti in un luogo, e si è legati a qualcuno, scontenti da ambo i lati.
__C’è una linea, sì, che è confine e lama, una corda a cappio doppio: strattona il lembo di sinistra, e si accorcerà quello di destra; tira qui, e il nodo si stringerà là; assedia uno, e impiccherai anche l’altro. Sulla fune la treccia è speculare, e nel male alla carne, più di tutto, riemergere puntuale: la parità.
__Due sono le sostanze e due, le volontà a loro proprie. Distinguerle non dovrebbe esser difficile, poiché distinte, nella materia, lo sono già: una è vento e l’altra è fuoco, e ciascuna dovrebbe averne uno suo, di dentro. Eppure, sovente, non si riesce e c’è solo fatica. Fa male essere legati per davvero, strangolati.
__In due, per andare, o si procede di pari passo, o si tira ognuno per il proprio lato; o si collabora [io con te] e ci si solleva, o ci si oppone [io contro te] e ci si ostacola. O ci si aiuta, o ci si annienta. Come una corda. A cappio doppio.
__E… maledizione! Perché non lo so! Non lo so davvero, cosa questo voglia significare. Posso anche pensare, fantasticare, sviscerare l’incubo in una litania infinita di accuse e suppliche, ma non posso… non riesco… a capire.
__Com’è il cielo, oltre quella linea?
__Non lo conosco. Non ti conosco io, di là da quella. Tu, lì, come stai?
__C’è una linea, laggiù, e la vedo bene; non vedo quanto abita oltre quella. Una linea che è confine e lama, per voi; una linea che è sentenza e limite, più di così non potrai andare, per me.
__Non ti so capire e, per questo, non ti so nemmeno aiutare… Ma tu, tu come stai? Come cammini, come respiri, come vivi, lì? Condannato o incidentato? Abbandonato o anche giusto accompagnato?
__Solo, del resto, temo tu non lo sia mai stato. Volente o nolente.
__Servono due capi a una fune e due a un laccio: si è in due in un legame. In due, in e a, insieme. E lui, se non già parte di te, lo è sempre stato: con te. Volente o nolente.
__Amico, nemico; aiuto, veleno; dono, maledizione; io davvero non so come lo chiami o possa chiamarlo. Eppure, a dispetto del nome, con lui hai fatto tanta strada. Come un commilitone: tu coprimi le spalle, e io coprirò le tue! Si va insieme, come cavallo e cavaliere: insieme, in marcia, in marcia!
__A ben pensarci, prima del maestro Iruka e del maestro Kakashi, prima di Sasuke-kun e Sakura-san, prima di Gaara-sama e di tutti i Jinchūriki, prima del sommo Jiraiya e di madamigella Tsunade, prima dei ragazzi del villaggio e dell’eroe di Konoha, prima e prima ancora, io credo… ci fosse lui.

Lui con te.

__Con, in, a.
__Non per tua scelta, immagino, e nemmeno per una sua, credo. Forse, muso a muso, nemmeno vi siete piaciuti. Vi siete, però, trovati, capitati; inciampati l’uno nell’altra, letteralmente. Sulle prime, credo non avessi molto in simpatia nemmeno Sasuke-kun; del resto, in brigata, non ci si sceglie i compagni di branda. Compagni, sì, a stare insieme per forza, e a forza, chissà non si finisca per dire: beh, poteva andar peggio, tutto sommato, non è poi così male, ah, che soggetto, ma grazie, grazie al cielo, grazie davvero di averti al fianco.
__Durante il gioco, capita di rovesciare le carte in tavola. Una mano dopo l’altra, e tutte, tutte, una ad una, via: cambiano tutte. Se ne vanno, ma tranquillo, poi tornano. Come nei sigilli: è la successione a determinare il cambio in meglio o in peggio, il verso. Presto e bene, in cima o sul fondo. Una sequenza, il dove nel quando, e tanto può cambiare; il dove giusto nel quando giusto, e tutto, tutto può cambiare.
__E chissà… chissà, che anche questo non possa. Cambiare.
__Nel viaggio, beh, il tempo non manca. Quello che manca, o meglio, che aspetta, è l’occasione: il giusto dove lungo la strada. Lui è già là, al suo posto, sul sentiero e oltre il ponte: lo stregone che attende il viandante. Serve solo il tempo di arrivare.
__Incontrerà tanti ostacoli, l’eroe partito dal villaggio. Ci sarà il cavaliere caduto, figlio di un cavaliere anche lui caduto, caduto per la casa prima che per il re; il cavaliere che crede nel fato, scolpito, e non nel destino, in moto. Ci sarà l’emissario di un monarca duro e spietato, mandato per passar a fil di spada i suoi nemici; l’emissario dal volto bianco e dal mantello nero, con un fratello anche lui passato sul suo filo. Ci sarà il mostro mangia-uomini, nascosto nella foresta; un animale ferito e solo, che solo, però, non è sempre stato; un cucciolo che piange. Ci saranno le traversie e ci saranno le maldicenze, voci sulla follia dell’impresa e su quella del ragazzo, un buffone che volle credersi eroe. Ci sarà la campagna: la famiglia da tutelare, un caro fratello, smarrito, da ritrovare; un amico e un antica maledizione, sopra tutto il suo casato, da arrestare. Ci saranno fatiche e prove, tele di rovi, dolore e a un certo segno, sì, anche disperazione.
__Nel punto giusto, però, là sul sentiero e oltre il ponte, ci sarà lui: lo stregone. L’occasione per voltare.
__Perciò, chissà che un giorno, tu non lo possa incontrare. Il mago. Lo spirito magico, araldo di un grande potere. Uno spirito terribile, dalle sembianze di una gigantesca Volpe a nove code.

Kyūbi no Yōko.

__Genio di fuoco senza fumo. Genio di fuoco, prigioniero di una lampada. Genio di fuoco, dispensatore di desideri, pronto a fare del garzone un sultano. Come nelle fiabe.
__Mi auguro possa, sì, come Androclone e il leone: non domarlo o piegarlo, ma quietarlo. Trarne la spina. E lui, grato, ti offrirà il suo dorso, come il cavallo al cavaliere. Addomesticarlo, forse. Come la volpe e il piccolo principe.3
__Che strano… Perché, se ci pensi un attimo, anche lui era biondo e anche lui era solo… E così lei. Entrambi.
__Per questo, io me lo auguro. Ve lo auguro. Che, prima o poi [nemico o amico], tu possa addomesticarlo ed esserne addomesticato [così comprendi]. Offrire comprensione [guardalo negli occhi], il cuore sul palmo [porgigli i tuoi], e riceverne in risposta [non scappare]. A una mano aperta [pugno contro pugno].
__Il bimbo e il leone. Come nelle fiabe.
__Sto cominciando a esserne un po’ invidiosa, sai? Della Volpe, intendo. Ma devo proprio essere una scema per… per pensare una cosa simile. Già, proprio una scema… Dico io: la Volpe a Nove Code! Non Sakura-san [Sakura-chan!], la ragazza con cui sei cresciuto e che ti ha visto crescere [ehi, Sakura-chan!], la donna della vita [Sakura-chaaan!]; non Sasuke-san, lontano e costante [Sa’ske!], ricorrente [oh, Sas’ke!], la spinta al moto [Ohi, teme!]; no, no, nessuno, nessuno dei due, macché! Giusto io, scema come sono, potevo uscirmene invidiosa della Volpe a Nove Code.
__Cielo, devo veramente esser matta; devono avermi fatta tutta alla rovescia, per giungere a certe assurdità…
__Eppure, tu forse riderai, o ti indignerai, o ti arrabbierai perfino; però, non posso fare a meno di provare invidia nei suoi riguardi. Sì, anche nei riguardi di un demone.
__Vedi, se mi fermo e penso a lui, a lui che, tutto questo tempo, tutto questo mondo, lo ha vissuto e visto dentro e attraverso te, con te… Ecco, se mi fermo e ci penso, mi viene naturale. È più forte di me. E non posso che sorridere e invidiarlo. Davvero.
__Non lo conosco e non so cosa si provi, perciò non dovrebbe avere senso. Eppure, lo invidio: consumare tanto tempo con te, è una cosa che gli invidio. Sì, lo invidio a un demone. A un compagno. Davvero.
__Tu guarda che testa… E che scema. Già, proprio una scema… Ancora, sempre troppo superficiale; vedo quanto credo vi sia, dove non riesco a capire; mi fermo qui e non vado oltre, quando si tratta di te.
__Così mi sento: una scema e una stupida, debole, e impotente, e amareggiata, e arrabbiata… e rassegnata. Come di fronte a mio padre. Come di fronte a Neji-niisan. Come da bambina.
__Mentre tu, invece, no. Non ti rassegni. Puoi essere amareggiato e arrabbiato, sentirti da schifo, ma no: non lo accetti. Non lo hai mai accettato e, credo, mai lo accetterai. Un fuoco che è pira e fiaccola intensa e calda. Un fuoco che è volontà carnivora. Un fuoco chiamato necessità.
__Sarai fiero e orgoglioso di ardere per altri, la gloria delle fiamme, l’eletto con il peso dell’umanità intera sulle spalle! Pirotecnico, molto e davvero, tuttavia… no, io non lo credo. Buono, sì, senza dubbio, ma la tua mano, il tuo pugno, ce li dovremo sudare. Andare sull’ara? Volentieri: a randellar il sacerdote e tutto il tempio; a dir la tua in muso al Moloch! Di certo, non per cuocer come agnello! O forse sì, anche cuocere, sì, bruciare, eccome, ma di un fuoco che arda di sé e sé solo; di un fuoco, né pira né fiaccola, che sia tuo, tuo e solo tuo. Di una volontà, ardente o splendente poco importa, ma tua. Prima di ogni cosa, tua.
__La tempra di morire cadendo in avanti. Così recitano le pergamene ninja. E così si onora una scelta, non giusta o sbagliata, bagnata di coraggio o di codardia, ma perché tua. È necessità. La tua.
__Alcuni la invocano a testa bassa, poiché contro quanto è, ed è da sempre eterno e immobile, nulla può nessuno: fato lo consacrano. Altri invece non si chinano, ma tengono ben levato il capo, davanti. Del resto chi ha molta strada da fare, e fare davvero, dall’argilla e dalla terra come un artigiano, non può trattenersi ai soli propri piedi: destino lo battezzano. Ed è adesso, adesso che si fa, adesso!
__Sostare, e da sempre, credo ti vesta stretto, stretto e male, con fastidio. Meglio andare, dove, dove, chissà dove, poco importa dove, ma per prima cosa andare, andare, andare! Andare, con la franchezza un poco grezza di uno starnuto.
__La strada, la via che si segue, la si sceglie, non la si trova. Si crea, un passo davanti all’altro. La volontà, non la casualità, qualifica… E anche dopo tanti lividi e luci rotte a terra, dentro, qualcosa stringe i denti per tenersi assieme. Testardo, insiste ancora a brillare. Così si va, vai avanti.

[Si cade in avanti.]__

__Vai e non cambi via.

[Non si fugge indietro.]__

__Non ti arrendi.

Non ti sei [mai] arreso.










Supererò le correnti gravitazionali__
 Lo spazio e la luce per non farti invecchiare__
Ti salverò da ogni malinconia__
 
Perché sei un essere speciale__
Ed io avrò cura di te__
Io sì, che avrò cura di te__
 
“La cura”, Franco Battiato__
 

 

La cura
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 


– Angolo dell’autrice –

__Urgh, emo. Così emo. Eeemooo (I must be emo!). Hinata-hime, perdonami se puoi… Ehm, bene: siamo a due terzi dell’ambaradan, per cui, ’sta roba piaccia o faccia altamente ributtare, è comunque in dirittura d’arrivo. Ora, però, i tributi!
__Il titolo del capitolo va all’omonima canzone di Battiato, della quale ho spudoratamente riportato i bei testi. Al netto del mio subdolo invito all’ascolto, la suddetta è stata anche più biecamente sfruttata come (passatemi il termine, per carità) manifesto (vota arancio) di quanto, credo, voglia essere (bevi arancio) o poter essere (mangia arancio) Hinata per lo scemo giallo (arancia arancio). Almeno, dal mio punto di vista (ma abito in campagna io, per cui non è che ci sia tutto ’sto gran panorama). Onestamente, in quanto organismo puerile e quasi monocellulare, temo di avervi propinato l’interpretazione più, più… boh. Romantica? Trita? Da “Baci Perugina”? Scegliete voi. Altro, altro, altro? Uhm (si scaccola), ah! Così, giusto a fine puramente informativo…

– SPOILER – WARNING – SPOILER – DON’T FEED PHIL – SPOILER –

__Giuro, quando ho scritto questo sgorbio, tutta la faccenda del magico duo Naruto&Volpe (lui a parlarle come un amicone, a dirle che prima o poi farà qualcosa per tutto l’odio e la carognaggine che suddetta si porta appresso, e loro due a darsi, perdinci, il pugnetto! Come neanche Jack Black in “School of Rock”!) ancora non era successa. O almeno, io la ignoravo proprio. (Tiriamocela un po’ meno, vuoi?) Ohè, una ci prova, dai. Pensare, poi, che non ci becco mai. Solo mi ha fatto specie ’sta cosa, quasi tenerezza: insomma, l’avete visto? Kurama è… coccolone! It’s so fluffy! Sembra morbido da morireee! E i fan malati di “Cattivissimo me” posson capirmi bene (si becca una teriosfera).

– FINE SPOILER –

__Allora, siamo agli sgoccioli, gente: al prossimo giro si chiude la baracca, per cui alé! Gioiamo tutti! Ah, e non temete: il clima non sarà ancora così sul depresso andante; poi migliora, giuro. Almeno nell’umore, se non nello stile. Di nuovo: grazie infinitissimamente per aver letto, seguito o anche solo smadonnato. Davvero, non credo basti mai ripeterlo: grazie per la gentilezza.

Grazie grazissime.

__Disclaimer: personaggi, fatti e luoghi citati appartengono a Masashi Kishimoto, cui vanno tutti i diritti circa il loro uso. Non c’è scopo di lucro.

– Note –

__1 Jinchūriki: termine originale con cui si indicano le Forze Portanti. Alla lettera, credo possa tradursi come “forza del sacrificio umano” o giù di lì.
__2 Bijū: come sopra. È l’espressione originale con cui, genericamente, chiamano i vari demoni/bestie con le code/cuccioli cerca famiglia (réclame: “Adotta anche tu un Cercoterio e portalo sempre con te!”).
__3 Come la volpe e il piccolo principe: riferimento a “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry. Dunque… Questo accenno, insieme a una carovana di altri (Androclone e il leone, i tòpoi e tutto il disegno delle fiabe occidentali), è un bello e grosso anacronismo culturale; difatti, credo nessuno possa rientrare nel mondo super-ninjoso e pseudo-nipponico di babbo Masashi. Nondimeno, mi sono arrogata la licenza poetica di farceli comunque stare. Condonatemi la scivolata: non sono proprio riuscita a eliminarli, malgrado tutto.

– Le epistole dell’autrice –

__Perdonate l’ignüranza abissale: non sono un luminare in campo di galateo virtuale, perciò non so se, rispondendo in questa sede, sto adottando la norma comportamentale deputata al contesto. In sostanza: non so se sto facendo una cazzabubbola. Invero: non so esattamente cosa sto facendo… Comunque sia, spero di non sbagliare, offendere o irritare nessuno. (È un po’ tardi, sai?) Hm. Ah. Shimatta! (~ ̄▽ ̄)~ Be’, vi prego solo di chiudere un occhio, in caso di scortesia o scorrettezza. Magari chiudeteli tutti e due, così, giusto per sicurezza. E chiudete pure le narici, se ci riuscite (non si sa mai, dopo il 3-D, s’inventino pure l’odorama). Ma ora (inizia a sbavare), veniamo a noi…
 
__A _sweetygirl_: ciao, ragazza (ohi, posso darti del tu?), piacere mio! Innanzitutto, grazie mille per la lettura e la pazienza. Miseria, era ’na mazzata, eh? Pensa, poi: questa non era neanche la bestia più cicciona, sigh! Scusami tanto.
__Oh mamma, non so cosa dire, ed è… grandioso! Cioè, non fraintendermi: sono imbarazzata e, credimi, è una cosa assolutamente positiva, perché quello che hai scritto mi ha tanto lusingato. Sul serio, grazie davvero per il tuo commento, mi ha dato un piacere che solo la domenica mattina o i carboidrati post-estate sanno darmi (annuisce verso il portatile; il portatile si impalla). Soprattutto, mi ha fatto stra-piacere la sensibilità con cui hai saputo cogliere la, ehm, coralità della faccenda: ossia che non c’è solo Naruto (fai sul serio? Dopo venti pagine?), ma un’infinità di, di… roba, ecco. Perdona la mia dislessia ma, davvero, la bravura con cui hai maneggiato questa bestiaccia qua mi ha colpito proprio (in testa, oh, sarebbe tanto meglio). Complimenti a te, a te!
__Qualcuno che investe un poco di tempo e tanto fegato nel leggere qualcosa; che gli dà ospitalità, una chance… ohi, fa un piacere enorme, enorme davvero. Per cui sono io a dover e voler ringraziare te, davvero davvero (abbraccia il portatile; il portatile si auto-distrugge). Sarebbe fantastico riuscire a spiegarmi meglio, e ringraziarti in maniera comprensibile, ma son davvero un’impedita in queste cose (a esprimermi, a far passare due concetti, a iniziare una frase senza finir per rane), scusa. A ogni modo, sappilo: mi hai fatto un sacco felice! Come i carboidrati!
__Grazie infinite di tutto; al di là dei complimenti, che sono e restano sempre corroboranti per lo spirito, chiaro. Grazie, grazie e grazie, davvero!

__A SunliteGirl: ehi, ciao! Tanto piacere, ragazza. Per prima cosa, grazie infinitissimevolmente per la cortesia e il tempo sput-, ehm, speso dietro a questo parto trigemellare. Sul serio, non è proprio robetta da cinque minuti, perciò grazie infinite.
__In secondo luogo, grazie mille per l’apprezzamento e i commenti positivi. Cavoli, mi hanno (hai) fatto stra-felice! No, sul serio, è meraviglioso che (ti) sia arrivata così bene, perché l’hai proprio presa in pieno, bravissima (o ti ha preso lei, non so chi fosse al volante, e comunque sono sobria, agente, lo giuro!). Parliamoci chiaro: non è affatto facile, non solo leggere e sorbirsi tutta una sequela infinita di paranoie e piagnistei vari, ma addirittura riuscire a entrarci tanto bene (senza perdere i sensi, sopratutto).
__Per quello, credo occorra un’attenzione e un impegno, da parte di chi legge, pari a quello di chi scrive. Nel senso (occhio, adesso sforno la vaccata del giorno): penso che per arrivare a qualcuno sia necessario muoversi da entrambi i lati… no? (Et voilà: detto, fatto.)
__A ogni modo, grazie davvero; e sono abbastanza sicura che, dopo tante scempiaggini, avrai velocemente cambiato opinione in merito alla bontà filosofica della cosa (viene morsa dal manuale di Estetica). Intanto, incrocio gli alluci e prego questo capitolo possa esserti piaciuto altrettanto. Come avrai ben notato, però, niente orangitudine manco qua, mi spiace. E mi spiace anche di più, perché… Be’, diciamo che, fermandomi agli eventi ante-guerra, ho azzoppato proprio gli unici momenti in cui c’è, succede qualcosa (grugniti e risate) e qualcosa di concreto (altre risate). Udite, udite: si parlano! Gridiamo al miracolo, fratelle e sorelli! La cosa, tuttavia, è stata composta prima di questi lieti eventi (delirium ridens), perciò mi son dovuta piegare al clima di terrore regnante incontrastato dal quattrocentovattelappesca in poi. Mi spiace un sacco venir meno alle tue speranze, scusami; non temere, però: toccato il fondo del barile, si riprende quota, perciò non ci sarà sempre da potarsi le vene o invocare una trasfusione di Nutella. Ma un barattolo tientelo comunque vicino, non si sa mai.
__Grazie ancora infinite per la lettura, la pazienza e la cortesia nel recensire; sei stata super-gentile, sul serio serio. Grazie, grazie davvero, ragazza.
 
__A Gisella: Tanto, tanto piacere, Gisella. Gisella, oh Gisella! Ma che nick da favola hai? Come la Giselle del balletto! (Sprigiona bollicine.)
__Bene, per cominciare: oh mamma saura, grazie! È una gioia sapere ti abbia colpito tanto, e in bene, per fortuna. Grazie, grazie davvero, sei una quaterna a poker, te! Ora puoi colpirmi tu, se credi. Vai tranquilla, ho la testa grossa e il baricentro di un birillo: andrò giù in men che non si dica!
__Scusa, io faccio tanto la scema (sono tanto scema), ma i ringraziamenti no, loro non ne han colpa, poverini: quelli son sinceri. Mi hai fatto straaa-felice, in sostanza. E grazie di cuore, perché riuscire a restituire Hinata (al di là del favore implicito che questo personaggio e la coppia a esso associata riscuotono), o comunque, riuscire a rendere un personaggio non tuo (attenzione: autocompiacimento in decollo), credo sia la recensione e/o l’apprezzamento più lusinghiero di tutti (three, two, one: injection!). Almeno per me, eh. Per cui grazie mille e di cuore, soprattutto per il tempo (sapete, non ho la minima idea di quanto ci si metta a leggere. Faccio schifo, lo so. E puzzo. Scusate).
__Spero solo di non deluderti o annoiarti (barra assassinarti) con il seguito. Facciamo gli scongiuri, va’. A parte questo, grazie ancora, Gisella. Una gioia: sei stata ed è stato una gioia. Grazie grazie.

__Chiedo venia, solo un’ultimissima cosa (pioggia di “ma-va’-a-quel-Bel-Paese!”): ecco, volevo ringraziarvi globalmente, perché sono pienamente convinta che, ove la cosa sia o possa esser piaciuta (credendoci, sì), parte di responsabilità sia pure vostra, mi spiace. Penso, infatti, che per (passatemi il termine e una patatina, grazie) arrivare, raggiungere, beccare qualcuno occorra una spinta da entrambi i lati. Insomma, si tratta d’incontrarsi a metà strada, suppongo (famo â romana, aò). Perciò, grazie a voi per aver letto (e non vi ho appena intortato su come una cicisbea con quest’uscita lecchina. No, proprio no).
__Mi scuso già adesso, qualora possa non aver risposto ad altri, eventuali (seh!) commenti seguiti la pubblicazione di questo capitolo; e prometto che, se mai qualche nuova anima pia avrà la forza di leggere o recensire queste malate righe, mi adopererò nel successivo (o in altre vie, tipo messaggi, versamenti, assegni scoperti, ospitate televisive, ecc.) per rispondere a tanta cortesia. Come credo sia doveroso e giusto, del resto. E perché ogni scusa è buona per andare fuori-corso.

Grazie mille (come ai carboidrati).


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Capitolo 3
*** Can’t Help Falling in Love ***


– Angolo dell’autrice –

__Salve a tutti. Allora… ehm… intanto, grazie mille della visita e poi, ecco… Non saprei davvero cos’altro aggiungere; a parte che, se giunti fin qui, non potete che avere la mia stima e riconoscenza più sconfinate, per quanto interessate.
__Ah, una cosa, però: allegria, ciurma! Gioite, perché la mestizia è finita, giurin giurello. Insomma, accidenti, almeno sul finale di partita ci voleva un po’ d’ottimismo; quindi preparate l’insulina, poiché siamo a rischio diabete, mi sa. Diabete enneacca, poi, altro che mellito: abbandonate la nave, gente! (Se salti tu, salto anch’io, Jack! – Okay, prima le signore, allora.) Bene, a questo punto credo non sia più il caso d’indulgere in ulteriori moine o cerimonie, quindi, niente.
__Come di consueto, vi rinvio alla fine del capitolo per riconoscimenti, ringraziamenti, deliri d’onnipotenza, diarrea verbale e demenza interattiva. (Siamo proprio simpatici oggi, eh?) Grazie per esser passati, ancora o per la prima volta, e ecco la conclusione. Spero quest’affare sia valso il vostro disturbo e tempo.

Grazie mille e buona lettura.

Capitolo in revisione: ci scusiamo per il disagio.



 
 
 
 
 
 
 
 
 

Quell o   o c h e
n o n o c è
Can’t Help Falling in Love

 
 

__Wise men say only fools rush in
__But I can’t help falling in love with you
 
__[Gli uomini saggi dicono che solo gli stupidi si gettano nelle cose
__Ma non posso fare a meno d’innamorarmi di te]
 
__“Cant’t Help Falling in Love”, Elvis Presley
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
__Tu guarda che testa… E che scema. Già, proprio una scema…
__Così mi sento: una scema e una stupida, debole, e impotente, e amareggiata, e arrabbiata… e rassegnata. Come di fronte a mio padre. Come di fronte a Neji-niisan. Come da bambina.
__Mentre tu, invece, no. Non ti rassegni. Puoi essere amareggiato e arrabbiato, sentirti da schifo, ma no: non lo accetti. E mai lo accetterai. Un fuoco che è pira e fiaccola intensa e calda. Un fuoco che è volontà carnivora. Un fuoco chiamato necessità.
__Sarai fiero e orgoglioso di ardere per altri, la gloria delle fiamme, l’eletto con il peso dell’umanità intera sulle spalle! Pirotecnico, molto e davvero, tuttavia… no, io non lo credo. Buono, sì, senza dubbio, ma la tua mano, il tuo pugno, ce lo dovremo sudare. Andare sull’ara? Volentieri! A randellar il sacerdote e tutto il tempio; a dir la tua in muso al Moloch! Di certo, non per cuocer come agnello! O forse sì, anche cuocere, sì, bruciare, eccome, ma di un fuoco che arda di sé e sé solo; di un fuoco, né pira né fiaccola, che sia tuo, tuo e solo tuo. Di una volontà, ardente o splendente, poco importa, ma tua. Prima di ogni cosa, tua.
__La tempra di morire cadendo in avanti. Così recitano le pergamene ninja. E così si onora una scelta, non giusta o sbagliata, bagnata di coraggio o di codardia, ma perché tua. È necessità. La tua.
__Alcuni la invocano a testa bassa, poiché, contro quanto è, ed è da sempre eterno e immobile, nulla può nessuno: fato lo consacrano. Altri, invece, non si chinano, ma tengono ben levato il capo, davanti. Del resto chi ha molta strada da fare, e fare davvero, dall’argilla e dalla terra come un artigiano, non può trattenersi ai soli propri piedi: destino lo battezzano. Ed è adesso, adesso che si fa, adesso!
__Sostare, e da sempre, credo ti vesta stretto, stretto e male, con fastidio. Meglio andare, dove, dove, chissà dove, poco importa dove, ma per prima cosa andare, andare, andare! Andare, con la franchezza un poco grezza di uno starnuto.
__La strada, la via che si segue, la si sceglie, non la si trova. Si crea, un passo davanti all’altro… E anche dopo tanti lividi e luci rotte a terra, dentro, qualcosa stringe i denti per tenersi assieme. Testardo, insiste ancora a brillare. Così si va, vai avanti.

[Si cade in avanti.]__

__Vai e non cambi via.

[Non si fugge indietro.]__

__Non ti arrendi.

Non ti sei [mai] arreso.

__Mai. Dal battesimo a genin fino a… fino a…fino alla fine?
__Non so se sperarlo o temerlo.
__Ancora adesso, mi sembra assurdo: da dove ti viene tanta forza e resistenza, da dove, tanta energia? Non è solo il tuo chakra, il tuo straordinario chakra, capace di tollerare persino la vigoria ferina della Volpe; è altro nella brace sotto; è la facoltà di affrontare e reagire, superare, pur con le ferite e la fatica, la delusione e il fallimento, le bassezze e le barbarie; pur con tanto e tutto assieme, ti spinge e permette di andare, andare oltre, sempre oltre. Come ci riesci? E come, senza esaurirti? Trenta copie di se stessi sono tanti arti, tante estremità tue, tanta pelle esposta, consegnata alle lame; centuplicato, sì, ma è la frazione a permettere il numero, e così diviso, quanto peso puoi portare?
__Più cadi all’indietro, più t’intestardisci a rialzarti. Un poco, certo, ti lamenti pure, e grazie al cielo, ma non rinfacci, qui sta il salto: fa male e lo senti, eppure non lasci, stringi i denti e continui. È la tua strada, e non la lasci. Avanti, sempre, come fosse la cosa più ovvia e candidamente giusta del mondo. Come se fosse naturale. Come se fosse comune a tutti.
__Ed è sbalorditivo. E incomprensibile.
__Non so immaginare a quale fonte miracolosa tu ti possa abbeverare, per nutrire tanta vita, per sorridere all’offesa, giunga con un pugno o in punta di lingua, senza chinare la testa. Ancora, io non lo so. So solo che, se mi fossi trovata io laggiù, oltre la linea, l’andare avanti, sicuramente… non sarebbe stato naturale. Anche appena andare, per cadere, non sarebbe stato né naturale né ovvio. Non sarebbe stato, ecco tutto. Caduta da ferma, questo.
__Ma io, be’, io non sono certo te.
__È una differenza, l’ennesima, una gola lunga e larga, enorme, che mi disorienta: non posso saltarla e non posso aggirarla. Mi ferma e, oltre, io non so andare. Quindi resto io, io di fronte a te. Di fronte, come il dito contro il sole.
__Io di fronte a te… no. Non c’è misura. Io, coi miei piccoli fallimenti; la primogenita; la legittima erede; la figlia inetta e incapace, non ha la tempra del capoclan, Hiashi-sama; nata al tempo e nel ramo sbagliato; quella che, se solo fosse stata forte, capace, diversa, con tutta la nobiltà connaturata al suo sangue, sarebbe potuta divenire il giglio più alto del giardino; io di fronte a te… no. Non posso stare. Non voglio stare.
__Io di fronte a te. È ostico. E semplice.

Sparisco.

__Non c’è proporzione, capisci? Non è mera questione d’inferiorità o superiorità, è un salto. Un salto lungo e largo. Enorme. Uno spazio, da me a te, che io non so colmare.
__C’è una differenza, un altro tra quanto mio e quanto tuo, che li separa in peso e profondità. E come li rapporti, come, se sono tanto distinti? Se, invero, sono distanti?
__Da lontano, paiono quasi attigui, ma c’è tutto un cielo in mezzo: non si incontreranno mai. Opposti e, forse sì, forse complementari. Come il pieno e il cavo. Ma, per quanto affini, saranno sempre lontani, eternamente lontani.
__Strano, vero? Strano sì, davvero. Assurdo, e pure un po’ patetico. Buffo, quasi.
__Di fronte, dicevo; tu davanti e io dietro, più facilmente. Ma anche così va bene: guardarti le spalle, vedere dove e come metti in terra i piedi, seguirne la rotta, pur restando indietro, va bene. Mi rende felice. Anche solo questo.
__E se comunque non capisco, né mai riuscirò capire, farmi travolgere senza trascinare, allora posso solo restare. Restare e ammirare. Annichilire, dietro chi, anche con i sessantaquattro punti di fuga chiusi, seguita a rialzarsi. Non sottovalutarmi! Sostare qui, a bocca aperta. Io non fuggirò! Come al torneo di selezione dei chūnin. Anche se dovessi restare genin per sempre! Come a dodici anni. Ti ho sempre attaccato pronto a finire in pezzi! Come da bambina. Non ho paura!
__Sei bianco, sei nero, sei questo, sei quello, te lo senti ripetere da tanto, da sempre; però tu non ti senti né bianco, né nero, né questo, né quello. Tu ti senti tu. È così: tu sei solo tu, e va bene, questo va bene… Ripeterselo, crederlo non è poco. Per niente.
__Ci sei tu e, poi, ci sono loro. Tu e loro. Non è facile farli coesistere, separati ma nel mucchio; resistere tu, solo tu, tra loro. Far diventare il tu nel mucchio un noi. Non è facile. Per niente.
__A esaminarlo dall’esterno, fuori dal mucchio, è quasi ridicolo: capita che per esser considerati uguali, come gli altri, si debba inevitabilmente superarli, staccarli. Capita; ti è capitato; tanto hai fatto e hai dovuto fare per agguantare, là in alto, il bollo con su il tuo nome. La cifra in grado di farti restare. Accettare.
__Dentro il cerchio.
__Se sei nel gruppo è perché sei uguale a chi sta nel gruppo: stai dentro il cerchio. Se diverso, tu lo sia per davvero o solo frainteso, non importa: stai fuori e non puoi entrare. L’esser uguale, l’esser diverso dal diverso, l’esser come noi, lo devi dimostrare. Come se diverso fosse male.
__Capita di partire più indietro, di trovarsi piazzati in basso; così, occorre più strada per recuperare terreno e raggiungere il gruppo: dovrai dare e fare di più, per esser dove sono loro. Non hai molta scelta, purtroppo, se è là che vuoi stare: dovrai camminare, correre e sfacchinare, più di quanto camminino, corrano o sfacchinino loro; dovrai rimboccarti le macchine ed educare gambe forti per risultare diverso e per essere uguale. Per arrivare.
__Dimostrarti diverso, per essere valutato uguale. Bizzarro, no? Si potrebbe trovarvi di che ridere, con forza sufficiente alle burle… Grazie al cielo, però, là in mezzo, sarà possibile riposare, si potrà respirare: hai fatto tanta strada, vero? Lo immagino bene! Ma dai, su, su, siedi, ora sei qui. Riposa e respira, Naruto-kun. Ora sei qui.
__Si potrebbe trovarvi di che ridere… se l’eco fallito non ronzasse per la testa; se la parola mostro non legasse tra loro le caviglie; se ieri non continuasse a sottrarre sempre la metà di oggi; se fosse davvero fattibile perdonare per dimenticare, anche solo accantonare…
__Come nelle fiabe: c’era una volta un ragazzo, il garzone di un villaggio, un sognatore. Lo chiamarono scemo, gonzo, mostro, vattene via, non sei come noi, qui non puoi stare, e lo scacciarono come appestato. Lui, per contro, se ne andò, se ne andò davvero, solo per tornare e farsi ancora vedere.
__Da vicino, non si vede mai troppo bene: scorgi giusto quanto hai sotto il naso, non quanto sta ai lati. Serve spazio, distanza per inquadrare tutto; per notare come un ragazzo sia, prima di tutto, solo quello: un ragazzo. Un ragazzo che è tornato fattosi uomo. Un uomo fattosi, poi… eroe? Chissà…
__Non ne sono tanto sicura.
Cioè, ti prego, n-non f-fraintendermi. Ecco, v-vedi…
Vedi [Naruto-kun], per quanto gli altri [tutti], il villaggio intero ti chiami [ora] “eroe”, tu, ai miei occhi, non sei diverso.
Nel senso: se sei un eroe [se veramente sei un eroe], allora lo sei sempre stato [per me].
E questo, già a dodici anni, quando [chiassoso e terribilmente caotico] turbinavi declamando, a gran voce e con genuina determinazione, che saresti divenuto il prossimo Hokage.
Per questo [per me] tu non sei diventato un eroe…

[Perché forse, in qualche modo, lo sei sempre già stato.]

E ogni volta in maniera differente e commisurata alla situazione, alla difficoltà…

[Perché è nella relazione che sta la distanza, la levatura, e non già nell’assolutezza, nell’astrazione.]

Perché, per me, eri già un eroe fin dai primi anni d’Accademia.
Quando, benché bocciato per ben tre volte all’esame di diploma, tu non ti sei [comunque] mai arreso, pur di stringere fra le mani quel coprifronte blu.
 
Perché, per me, eri già un eroe ad appena dodici anni.
Quando, durante l’esame per la selezione dei chūnin, pur di fronte ad avversari invasati e [quasi certamente] letali, non hai comunque [mai] smesso di lottare, in vista di ottenere quanto agognato.
 
Perché, per me, eri già un eroe anche a soli dodici anni.
Quando, durante il mio scontro con Neji, pur nella quasi completa evidenza della mia inferiorità, tu hai avuto il coraggio e la schiettezza…

[La dolcezza, forse…]

D’incitare e credere in quella gracile e maldestra ragazzina…

[In me…]

E in quell’unica possibilità su un milione che lei…

[Che io…]

Potesse…

[Potessi…]

Farcela.

Perché, per me, eri già un eroe anche [soltanto] a poco più di dodici anni.
Quando, dopo la fuga di Sasuke-san, tu non hai mai smesso di sperare e credere [in te stesso, come in lui].
E non ti sei arreso, né lo hai abbandonato: lo hai, invece, inseguito.
Testardo, determinato, fedele, lo hai rincorso e continui a rincorrerlo [anche a distanza di ormai ben tre anni].
In barba alle delusioni [costanti, purtroppo].
Ai fallimenti [inevitabili], amari [brucianti come fuoco sulla carne viva].
Al dolore [martoriante], implacabile [acuto come sale su una ferita aperta].
All'odio che ti viene [ogni volta] sputato in faccia con velenoso e gratuito disprezzo; acido, aspro, nero [come la bile gonfia e infetta].
In barba a tutto, tu…

[Tu…]

Non hai [mai] ceduto.

Non lo hai lasciato [non puoi e non vuoi lasciarlo], in un intreccio flottante: scarlatto [come le fragole] e affilato [quanto un rasoio].
Lungo una corda, tesa a doppio filo, che vi stritola e separa; che strozza e allontana [che dissangua proprio perché lega].
Sperando…

[Pregando…]

Possa un giorno riunirvi…

[E non già impiccarvi.]

Perché, per me, eri un eroe già a sedici anni.
Quando, dinanzi alla distruzione del tuo villaggio [dinanzi all’apocalisse ammantata di nero e ghignante di rosso] tu, fino a ieri appena cucciolo, ti sei battuto come un leone.
Tu, poco più che adolescente, hai combattuto come un uomo; difendendo con il sangue la [tua] Foglia.

[La tua casa.]

Arrivando a voler pagare con la vita… quella di noi tutti.
Di chi ti aveva amato e di chi ti aveva disprezzato [indifferentemente], tanto era il bisogno, l’urgenza [la voglia] di dare.
E dare tutto, tutto te stesso, se necessario: la carne [il sangue], le lacrime [la vita], tutto, pur di proteggere [pur di non perdere] anche quello.
Tutto quello che ti restava della tua infanzia, del tuo passato, del tuo affetto.
Pur di non veder scivolar via dalle tue mani anche quell’ultima [a n c h e q u e l l a] parte di te, senza riuscire ad afferrarla [e salvarla].
Ma tu non eri [sei] certo destinato alla morte salvifica di un villaggio che [purtroppo] non ti ha mai ben capito o accettato [e ciecamente].
Per cui tu non potevi; non dovevi…

[N o n d o v e v i.]

Per nessuna ragione…

[P e r n e s s u n a r a g i o n e.]

Per niente al mondo…

[P e r n i e n t e a l m o n d o.]

Mai e poi mai…

[M a i e p o i m a i.]

Mo-…

M o r i r e.

No.

[Mai.]

M a i.

Perché tu dovevi…

[Tu devi…]

V i v e r e.

E sarò anche poco obiettiva…
Egoista, forse, e pur certamente irrazionale…
Vergognosamente e deliberatamente menefreghista, ma…
Piuttosto che vederti mo-morire…

[Saperti morto…]

Piuttosto che doverti perdere…

[Perderti…]

Piu-piuttosto…

[Piuttosto…]

Avrei dato tutto il villaggio.

L’intera Konoha.
Dal più piccolo pezzo di legno, fino alla sommità del palazzo dell’Hokage.
Dalla più insignificante zolla di terra, sino all’ultimo briciolo dei sacri volti in pietra, scavati a numi del villaggio.
Tutto.

[Tutto quanto.]

Avrei [d a r e i] dato tutto [t u t t o].

E, se non le vite, almeno l’inutile carcassa di un corpo ormai morente.
Perché avrei dato ogni cosa: la Foglia, il Paese del Fuoco, le Cinque Grandi Terre, la pace del mondo intero, se necessario [le fiamme dell’inferno e l’immensità del cielo]…
Qualunque cosa…

[Qualunque…]

Per n o n perderti.

[Purché t u viva.]

Qualunque…

[Davvero.]

Tuttavia…
Posso parlare e fantasticare all’infinito sull’immensità di quanto avrei desiderato [con tutta me stessa] poterti dare; ma [tanto] restano sempre e comunque inutili astrazioni.
Perché nulla di tutto ciò è in mio potere [purtroppo].
Perciò, ho tentato di dare a te qualcosa di mio: di dare io [per una volta] qualcosa a te.

[A te, che invece mi hai dato tutto.]

E così…
Ho sperato [ho pregato] di riuscire a dare [a fare] qualcosa a [per] te, almeno per una volta [la prima, probabilmente], e qualcosa di concreto, di reale, di vero.
Per questo mi sono gettata tra le fauci di Cerbero: perché era la sola cosa che potessi [volessi] fare.
Stupida [certo].
Sconsiderata [obiettivamente].
Folle [assolutamente].
Completamente e lucidamente suicida [già] ma…

Mia.

Per una volta, totalmente mia.
Per questo sono franata in quell’abisso di polvere: perché era l’unica cosa che potessi e volessi fare [per me stessa e per te].
Perché: se non potevo dare le Cinque Grandi Nazioni, né l’antico Paese del Fuoco, né il forte Villaggio della Foglia; almeno la vita…

[Almeno la mia vita…]

Potevo…

[Volevo…]

Darla…

A te.

Malgrado sapessi non sarebbe stata nemmeno lontanamente sufficiente a eguagliare [a “pagare”] la tua.
Ma… non m’importava.
Egoisticamente, non mi importava.
Perché finalmente avrei potuto fare qualcosa [per te].
Perché finalmente avrei potuto contraccambiarti; restituirti qualcosa [seppur in minima parte], sebbene per la prima [e ultima] volta [forse].
Ma non mi importava.

Perché eri tu…

[Perché…]

Perché sei tu…

[Sei…]

L’importante.

[Importante.]

Perciò, a ben guardare, sono stata proprio una patetica egoista anche quella volta.

[Egoista e codarda sino all’ultimo, già.]

E sai, Naruto-ku-…

[N-no.]

Sai… sai, Naruto?
Tu sei straordinario.
E questo, ben prima di salvare la Foglia dalla devastazione dell’Akatsuki [o di fronteggiare la serpe e le sue spire].
Prima ancora di dimostrare tutto il tuo valore dinanzi alla meraviglia del villaggio intero.
Prima di diventare l’eroe di Konoha [e di rivelarti tale agli occhi di tutti].
Prima di tutto.
Perché, per me [straordinario], lo sei sempre stato.
E questo, fondamentalmente perché [ai miei occhi] non hai poteri; doti trascendentali o particolarmente sovrumane [beh, Volpe a Nove Code esclusa, s’intende].
O almeno: se effettivamente molte [tante] delle tue qualità sono comunque fuori dal comune, lo stesso non può certo dirsi dei tuoi limiti, delle tue debolezze [e dei tuoi sentimenti].
Tutti [sempre, completamente e pienamente] umani.
Perché, probabilmente, queste tue stesse doti; questa tua sorprendente forza [nel senso più ampio e alto del termine] è comunque commisurata al peso, al carico [e al dolore] che ti porti dentro.
E allora, in quest’ottica, in questa proporzione, tu non sei poi così diverso…

[Se non nella gravità del tuo fato; se non nella straordinarietà della tua reazione.]

Perché, comunque, tu sei già come tutti noi [tu sei uno di noi].
Nella sostanza, nella materia primigenia, sebbene parimenti diverso [distante] e [meravigliosamente] incredibile nella scelta.
Ma nei tuoi sforzi [e nei tuoi limiti], nei tuoi pregi [ e nei tuoi difetti], tu sei proprio come tutti noi.
Solo differente nelle proporzioni [e talmente differente da apparire quasi altro]; ed è proprio per questo che sei tanto più straordinario, ai miei occhi.
Perché non è nella casualità accidentale che risiede [a mio avviso] la meraviglia…

[Ad esempio: io ho due gambe. Ci sono nata.
Le ho sempre avute, fortunatamente, certo, ma comunque non ho fatto nulla per ottenerle.
Non me le sono sudate; molto semplicemente le ho sempre avute. E basta.
E in questo, io non ho mai visto nulla di meraviglioso.]

Non nella naturale predisposizione…

[Ad esempio: io ho due occhi; due occhi bianchi. Io ho il Byakugan.
L’ho sempre avuto perché, banalmente, ci sono nata e non fatto davvero nulla per meritarlo.
Perché ereditario, genetico, naturale. E basta.
E in questo, io non ho mai visto davvero nulla di meraviglioso.]

E [forse] sarò anche irriconoscente ma, a parer mio, la meraviglia [la vera meraviglia], il valore, la cifra…
Risiede nell’ottenere, nel sudarsi; nell’afferrare qualcosa.
A dispetto dei propri limiti [a dispetto di tutti i limiti], a dispetto delle proprie capacità [e a dispetto delle proprie tare].
Perché la vera differenza sta nell’intenzione [piuttosto che nell'inclinazione].
Nella volontà [rispetto alla casualità].
Nella fede [rispetto alla constatazione].
Nella fatica, nella lotta d’inseguire [di perseguire] un obiettivo…

Un sogno.

[Nella fiducia in se stessi, senza arrendersi mai.]

Per questo ti ammiro e ti ho sempre ammirato; e da quando avevo solo dodici anni, probabilmente.

[Se non addirittura prima.]

Perché, nonostante tutto, tu non hai mai smesso di credere.
E credere in te stesso come negli altri.
Ed è qui che si vede l’amore e la forza [insieme], la natura e la scelta [insieme].

Perché ti hanno marchiato e tu non hai chinato il capo.
Perché ti hanno deriso e tu non ti sei fatto giullare.
Perché ti hanno ridotto in catene e tu non ti sei fatto schiavo.
Perché ti hanno ingiuriato e tu non ti sei prostrato.
Perché ti hanno ferito e tu non ti sei spezzato.
Perché ti hanno tradito e tu non ti sei vendicato.
Perché ti hanno odiato e tu non hai smesso di amare.

Perché tu sei la vita.

[Perché tu sei vita.]

Perché sei un vortice.
Perché sei la forza centripeta e centrifuga.
Perché ami [pur se non ricambiato].
Perché ami senza neanche pensarci [o chiedere] di essere contraccambiato.
Perché ami [a prescindere].
Perché ami [in relazione].
Perché ami: ami e basta.
E perché tu, schiacciato nel fango…

Sei più luminoso di chiunque altro.

Perché sei incandescente [abbagliante].
Meraviglioso [bellissimo].
Lontano [lontanolontano].
E [fatalmente] irraggiungibile.

Come il sole.

[Anche più del sole.]

Ma forse era destino, già: forse era inevitabile.

[Mpf, mi sembra quasi di parlare come Neji nii-san.]

Ma [del resto] ero già condannata fin dall'inizio [dalla partenza], perché io…

Non sono altro che un posto soleggiato.1

Per cui non posso neanche lamentarmi troppo.
In fondo è quasi armonico, lirico, e ironico.
Già, sempre [spietatamente] ironico…

[Sempre questa maledettissima ironia.]

Perché se tu sei sole, allora…

[Allora…]

Io sono [solo] acqua.

Trasparente.
Invisibile.
Incolore.
Inodore.
Inconsistente.
Fredda.
Debole.
Amorfa.
Malleabile.
Vigliaccamente arrendevole.
E sola.

[Sempre sola.]

Perché il sole scalda con la sua luce, mentre l’acqua riceve, assorbe; assimila [tutto].
Perché il sole crea la vita con i suoi raggi, mentre l’acqua li raccoglie appena per incanalarli in altra vita. Una vita che, però, non le appartiene [mai] veramente, perché fluisce via: le scorre addosso e fugge lontano [inafferrabile], senza poterla trattenere; portando con sé una parte di lei. Di lei che può solo osservare e vegliare.

[Senza potersi muovere.]

Perché il sole dà tutto [tutto quanto], consumando solo se stesso.
Mentre l’acqua non può che [silenziosamente] instradare quella luce in “altro”: disperdendosi, frantumandosi; obliandosi nell’infinità che ha contribuito a diffondere.

[Assottigliandosi nel manto che la occulta e lega.]

Perché l’acqua non può che restituire [se non in minima parte] quanto di tanto generoso il sole le ha sempre [gratuitamente] regalato.
Oscurandosi dietro tanta vita senza, però, poter mai dare [materialmente] qualcosa al sole.
Perché l’acqua dipende completamente dal sole.

[E, senza, sarebbe solo uno specchio algido e sterile.]

Gelata e inutile [morta].
Mentre il sole nemmeno sa [di lei].
E non per arroganza o cecità, ma [ingenuamente] perché [concretamente] non la vede.
Non la vede e non può [non riesce a] vederla.
Perché l’acqua si nasconde: sotto la vegetazione, sotto la costruzione, sotto la moltitudine della vita.
Si disperde in quell’infinità: riflettendola, replicandola, per proteggersi da quello stesso respiro che ha provveduto a spandere, ma di cui non può; non sente [non vuole] partecipare.
Perché ha [ho] paura.
Perché ha troppa paura che anche tentando; anche provando, nessuno la [mi] noterebbe [vedrebbe]: poiché trasparente [come vetro].
Perché quasi pura astrazione, se non la si avvicina; se non la si tocca, se non la si assimila [distruggendola].
Per questo l’acqua si nasconde, restituendo sempre l’immagine di qualcun altro, di qualcos’altro.

[Sepolta sotto quel diaframma di specchio.]

Per questo il sole [tu] nemmeno la [mi] vede [vedi].
Perché l’acqua è sempre sotto [dietro] di lui.
Eclissata all’ombra del suo stesso riflesso, oltre quel tremolante e impacciato rimando; senza che lui possa sapere [o anche solo vedere].
Perché l’acqua è immobile, ferma e muta nella sua afasia.
Per cui non può [proprio non può] farsi vedere: perché trasparente e riflettente insieme; perché quanto ne risulterebbe sarebbe [solo] il rimbombo rovesciato della luce stessa del sole.
Di quel sole che [lei] può solo guardare; seguire [vegliare] da lontano [n silenzio].
Perché se si mostrasse; se si esponesse, il sole non vedrebbe altro che il riverbero lucente di qualcos’altro di diverso [da lei].
Sempre qualcos’altro…

[Sempre dell’altro…]

Sempre altro…

[Altroaltroaltro…]

E mai…

[Maimaimai…]

Lei.

[Me.]

Per questo l’acqua non si fa vedere: perché non può e non vuole; per paura e pudore.

[Debole e timida.]

Senza nemmeno dare l’occasione; tentare [rischiare] e accordare al sole la fiducia di provare, nella speranza di poter riuscire.

[Seppur anche nell’ipotesi di fallire e sparire, ancora.]

Perciò l’acqua resta ferma: immobile e innocente [senza mai vivere realmente].
Invisibile al sole.
A quel sole che può solo guardare e sognare.
E [chissà] forse nel sogno, pur non riuscendo a mostrarsi, spera comunque di poterlo [anche solo] sfiorare.
Consapevole di condannarsi inevitabilmente a evaporare: a trasmutare in ossigeno e svanire…

[Sparire…]

Nella combustione, nel fuoco [nella luce] del sole…

[In…]

Attraverso il sole.

[Te.]

Perché il sole è sempre difronte all’acqua, pur non vedendola [pur nemmeno sapendola].
Perché l’acqua guarda il sole, non potendo [non sapendo] fare altro.
Perché l’acqua sogna il sole, non potendolo toccare.
E perché l’acqua ama… il sole.

[Il sole e quanto esso scalda.]

Ed io vorrei [poter] essere come quell’acqua.
Fresca [schietta].
Sgombra [onesta].
Semplice [naturale].
E grata [infinitamente grata].

[Anche qualora significasse condannarsi alla solitudine.]

Eppure…
Mi va bene così.
Per davvero: va bene così.
Perché mi basta guardarti.
Anche solo guardarti [seguirti].
Sfiorarti, anche se solo con questi miei sbiaditi [vuoti] occhi bianchi.
Rubarti, in un certo senso: perché tu [forse] nemmeno lo sai [e probabilmente neanche lo hai mai ben capito].
Respirarti [sognarti].
E amar-…

[Amarti.]

Anche in quest’assurdo modo.
Anche solo da lontano.
Perché è tutto quello che voglio.
Perché è quello che ho sempre voluto.
Perché non voglio altro.
Mi basta questo [solamente questo].
Questa patetica imitazione d’amore mi basta; mi è vitale [come ossigeno].
Questo pietoso voyeurismo mascherato da amore mi è caro, profondamente caro, terribilmente caro, dannatamente caro [più del mio stesso sangue].
Questa dolcissima ossessione travestita da amore mi è necessaria, visceralmente necessaria [come la luce del sole].
Mi è…

È [semplicemente].

È sentita, reale, vera [viva].
È quanto mi serve.
E non già perché non abbia altro, ma [banalmente] perché non voglio altro [da te].
Perché non posso voler altro; perché non merito altro…

[Già è troppo quanto vergognosamente riesco a sottrarti; figuriamoci.]

E non perché tu non possa o voglia concedermelo, anche se
Oddio, beh [in effetti], forse…
Cioè, è possibile, anzi, probabile [molto probabile], ma senza cattiveria comunque; senza l’intenzione di ferire o illudere [e men che mai umiliare].
Assolutamente [ne sono certa].
Il fatto è che, semplicemente, io [da te] non voglio altro [davvero].
Non pretendo altro.
Né che tu mi veda o mi scorga [anche solo per caso].
Né che tu mi parli [anche solo per gentilezza, così, senza pensarci].
Né che tu mi sfiori [anche solo per distrazione].
O che tu… risponda.

[No.]

Davvero, Naruto-kun…
Non è necessario.
Niente di tutto ciò; nulla del genere.
Perché non era certo quella [questa] la mia intenzione.
Insomma, non volevo certo costringerti o obbligarti con, c-con… quella.

[Proprio con quella, poi…]

Male-… dizione.
Ma tu guarda se io, se proprio [proprio] io, che non parlo mai…
Che me ne sto sempre [sempre] zitta…
Che balbetto costantemente e stupidamente e sempre [sempresempresempre] di fronte a, a-a…

[Cavoli.]

Certo che ho un fiuto eccezionale, un occhio clinico, un talento naturale per scegliere [per beccare] le situazioni giuste. Proprio un tempismo perfetto.

[Mannaggia a-a… me.]

Eppure [davvero], non era nelle mie intenzioni imbarazzarti o metterti a disagio [in difficoltà] o addirittura infastidirti [forse] con, con…

[Ah, miseria ladra…]

C-con q-qu-, quella di-di-…
Con quella dichiarazione, insomma.
Cioè, n-non pensavo…

[Non pensavo a niente, probabilmente…]

Comunque non volevo; non era mia intenzione costringerti ad alcunché.
Non l’ho detto aspettando poi una risposta, dato che, in fondo, ecco, non c’era…
Sì, insomma, quella non era certo una domanda; ne consegue non poteva [non doveva] esserci nemmeno una risposta.
Quello che voglio dire…
Ecco, io vorrei solo dirti [farti sapere] una cosa e una cosa soltanto.
Perché vorrei chiarire che quanto ho fatto [stupidamente, certo], non l’ho comunque fatto per legarti, m-ma…
L’ho fatto solo per me stessa [unicamente per me stessa].
Perché l’ho voluto [io] e non per costringerti a contraccambiare, assolutamente.
Non per strapparti una, una ri-risp-…
Insomma, non pretendevo; non mi aspettavo nulla, davvero: né una risposta, né una reazione.
E non perché ti consideri insensibile o menefreghista ma soltanto, ecco…
In quel momento non volevo che tu…
Non volevo che tu…

[Ecco… maledizione.]

Io non volevo [n o n v o l e v o] perderti.

Ecco… la ragione.
Ma quello che ho detto, l’ho detto…
Sì, ecco, insomma: l’ho fatto senza pensare.
Cioè, non che non lo pensassi davvero, chiariamoci: assolutamente no, a-anzi…

Ma solo l’ho detto senza rifletterci, senza premeditazione; senza presupporre…
Se-senza aspettarmi niente.
Non m’illudevo certo tu potessi; sì, insomma: c-che t-tu [mi] ri-… ricambiassi, ecco.

In sostanza…
Quello che ho detto [quello che ho fatto] non era per vincolarti.
Non era certo un debito che volevo importi; non volevo [non potevo] davvero pensare di trasformare; di poter ottenere qualcosa [e così, poi] in un modo tanto costruito, tanto macchinoso [tanto interessato].
E [sopratutto] non potevo certo sperare di ottenere “quel” preciso qualcosa [beh] così.
Perché quello non è comunque qualcosa da potersi estrarre o forzare [indurre].
Semplicemente non volevo che…

Quello che sto cercando di dirti [in maniera ridicola e orrendamente confusa, mi rendo conto], è che non è tanto del risultato che mi premesse…
Certo, l’urgenza di salvarti; di proteggerti [e non perderti] era devastante però…
Insomma, è la “cosa”, la “ragione” ad essere importante.
Perché io non ho fatto quanto ho fatto per una conseguenza o un ritorno, per un “dopo”.
Ma per una causa, un motivo: una ragione.
Una ragione che mi permette di vivere [prosciugandomi il fiato].
E la ragione…

[La sola ragione…]

Quella ragione…

[La mia ragione…]

Sei…

[Sei…]

Sei tu la ragione.

Ecco, soltanto questo.
Volevo dirti solamente questo.
Vorrei riuscire a dirti; vorrei [voglio] dirti semplicemente questo [nient’altro].
Per cui non c’è debito fra noi.
Non c’è debito [per me] e non voglio debito [con te] e nemmeno gratitudine o riconoscenza [o pietà].
Perché, comunque, ho fatto quanto ho fatto, solo perché lo volevo [egoisticamente].
Perché era quello che volevo.
Soltanto questo.
Niente di più.
Ecco tutto.
Per cui non devi sentirti in dovere di darmi una risposta.
Né devi sentirti frustrato o altro, perché non sei ancora in grado di darmela [quella risposta].
E non devi assolutamente sentirti in imbarazzo o dispiaciuto, perché “quella” precisa risposta proprio non me la puoi dare.

[O, almeno, non senza ferirmi.]

Davvero, Naruto-kun…
Non devi sentirti in obbligo di alcunché [verso di me], perché non voglio niente [di più] da te.
Dal momento che mi hai già dato tutto.
Perché, forse inconsapevolmente o accidentalmente [forse solo ingenuamente], tu mi hai già dato tutto quello di cui avevo bisogno.
Più di quanto potessi desiderare o immaginare; più di quanto potessi anche solo sognare.

Perché tu mi hai dato una ragione.

Una ragione per rialzarmi [sollevarmi].
Andare avanti [non cedere].
Combattere [credere].
E vivere.

E questo, al di là delle mie debolezze [delle mie paure].
Dei miei errori [delle mie colpe].
Delle me sconfitte [del mio dolore].
Al di là di tutto.
 
Perché tu mi hai dato una ragione per non arrendermi [fin dai primi anni d’Accademia].
Per combattere [all’inizio dell’esame per la selezione dei chūnin].
Per rialzarmi [durante lo scontro con Neji].
Per andare avanti [in ogni occasione].
Per credere in me stessa [per la prima volta].
Per crescere [per davvero].
Per migliorare [veramente].
Per cambiare [finalmente].
Per vivere [semplicemente].
 
Perché tu [Naruto Uzumaki] mi hai fatto venir voglia di vivere.

[Perché tu, Naruto-kun, mi hai “obbligato” a vivere.]

Perché tu, Naruto, mi hai dato una ragione per vivere.

Solo questo.

[Semplicemente questo.]

E per questo io ti devo tutto.

[Tutto.]

Tutto quanto.

Per questo mi basta.
Quello che ho mi basta [perché io ho già tutto].
Per questo va bene…

[Va bene.]

Anche se non mi guardi [anche se non mi vedi].
Perché comunque io ti vedo; perché comunque io posso [continuare a] vederti.

Per questo va bene…

[Va bene.]

Anche se non mi rispondi; anche se non mi ricambi [anche se non puoi ricambiarmi].

[Va bene comunque.]

Perché [comunque] i miei sentimenti non cambiano.
Perché [comunque] non potrebbero cambiare.
Perché [comunque] non potrebbero mai cambiare.

Per questo va bene…

[Vabenevabenevabene.]

Anche se mi consideri [mi senti] solo… un’amica.
Perché, comunque, è più di quanto potessi [mai] desiderare.
Perché, comunque, è molto più di quanto avrei [mai] sperato di ottenere.
 
Per questo va bene…

[Va bene.]

Anche se…

[Anche se.]

Non mi ami.

Va bene [perché comunque io ti amo].

[Non vuoi.]

Perché io ti amo [comunque].

[Non puoi.]

Perché io ti amerei [comunque].

[Amarmi.]

Perché io ti amerò… comunque.

Per questo va bene…

[Va bene.]

Anche se io [per te] sono solo “qualcuno”.

[E non già quel preciso “qualcosa”.]

Perché, comunque, grazie a te io sono.

[Perché, finalmente, io sono.]

Sono.

Esisto.

V i v o.

Perché, dopo tanto “non essere”, io sono.

Io sono [s o n o] finalmente.

Per questo va bene [davvero: mi va bene] anche non sapere “cosa” sono per te.
Perché, a prescindere dalla risposta, tu…

[Tu…]

Per me…

[Per me…]

Sei.

Perché a prescindere da quello, quanto o cosa, io sia [per te]; tu…

[Naruto…]

Tu…

[Per me…]

Sei [t u t t o] tutto.

Tutto quanto.

[E anche di più.]

Per questo, sapere, non sapere, dare, avere, ricevere, non hanno poi molta importanza.

[Non hanno davvero importanza.]

Perché sei tu l’importanza.

Perché io ti amo, al di là della risposta [positiva, negativa, confusa, espressa, taciuta].

[Al di là della reciprocità: rifiutata, implorata, bramata, rimessa.]

Al di là di me stessa.

Perché è quello che sento.

[Perché è tutto quello che sento.]

Perché è tutto.

[Tutto quello che sono.]

Perché [tutto] quello che sento è [tutto] quello che sono.
 
Ed è meraviglioso.
 

 



Perché:
 
 
«Io dico le cose così come stanno e non cambio idea. È questo il mio credo ninja!»
 
 




E perché:
 
 
«Perché io ti amo.»
  
 
E finalmente riesco a dirlo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

Take my hand__
Take my whole life too__
For I can't help falling in love with you__
 
[Prendi la mia mano__
Prendi anche tutta la mia vita__
Perché non posso fare a meno di innamorarmi di te
]__
 
“Can’t Help Falling in Love”, Elvis Presley__
 
 
 
 

Can’t help falling in love with you
 


Quello
che
non
c’è



 
 
 
 
 
 
 
 
 


– Angolo dell’autrice –

__Olé! (Rumore di trombette.) È finita, finita finita, sia lode al Signore! (Celebration!) Innanzitutto, congratulazioni a chiunque sia giunto fin qui, casualmente, spontaneamente o altro. No, son seria: complimenti davvero, chiunque tu/voi sia/siate; non è impresa da poco spararsi settanta pagine di sole chiacchiere, senza uno straccio di azione, nulla e dico nulla, Atreyu!
__Accantono le baggianate e imbraccio i giusti riconoscimenti. Dunque, questa volta ho scomodato nientepopodimeno che Elvis. La chiusa dell’aggeggio, infatti, piglia il titolo del brano che ne chiudeva i concerti (quella là è l’originale, mentre questa qua è una cover, sì, ma è proprio bellina. E poi, loro son matti).
__Ora vi lascio andare, promesso, solo una cosa, prima: ci terrei davvero molto a ringraziarvi per bene. So di risultare tediosa, ripetitiva e palesemente lecchina con tutte queste cerimonie, ma credo sia importante. Un grazie doveroso e dovuto al sito, per l’occasione; all’amministrazione, per la possibilità e la cortesia; e agli utenti, per l’attenzione (occasionale o protratta che sia), la temperanza (tanta), la gentilezza (troppa) e lo sforzo leggendario (over millantamila). Sul serio, caro lettore o lettrice, che stai dall’altra parte dello schermo e mi stai maledendo in pechinese (il cane, non la lingua): io non ti conosco, però ti ringrazio tanto ma tanto, anche per la sola attenzione, perché è tutto fuorché scontata. Veramente, grazie. E grazie, grazie, grazie.
__Bene, penso d’essermi screditata lungamente e in perfetta autonomia, pertanto via! Mi silenzio. Solo, ancora grazie (prego, scusi, tornerò: al matinèe del giovedì, eh).

Grazie.

__Disclaimer: personaggi, fatti e luoghi citati appartengono a Masashi Kishimoto, cui vanno tutti i diritti circa il loro uso. Non c’è scopo di lucro.

– Note –

__1 Non sono altro che un posto soleggiato: credo che per tutto il popolo NaruHina questo dettaglio sia ormai arcinoto; comunque, per correttezza generale e pignoleria un po’ gigiona, lo preciso senza problemi. Il nome Hinata, in giapponese, mi pare giochi parecchio sul modo d’intendere i kanji del suo cognome: Hyūga, infatti, può leggersi tanto come “portatore dell’eleganza”, quanto come “attraverso il sole”. Da qui, la declinazione nel “posto soleggiato” di cui sopra. Ah, Kishy, Kishy… ne sai una più di Itachi!


– Il salotto dell’autrice –

__Eh, sto seriamente iniziando a gongolare, leggasi sbavare, quaggiù. (No, no, tu stai seriamente iniziando a delirare: hai logorato per qualcosa come l’equivalente della distanza tra Alfa Centauri e la Terra e, comunque, hai ancora il coraggio di scrivere? Di’ un po’: sei scema?) Eh, sì, temo di sì. Tu però sei tsundere, sai? (Baka!) Grazie. In ordine cronologico, signori:
 
__A reds92: ciao, uomo! Oh santissimi numi, porca… miseria! E non solo: caspiterina, pofferbacco e accipigna! Ma, m-ma… grazie!
 __No, davvero, grazie mille e mille ancora. Insomma, insomma – urgh, ecco la labirintite verbale! Abbi pazienza, è che mi trovo parecchio in imbarazzo – cosa grandemente positiva, eh: positivissima, te l’assicuro –, per cui temo di non disporre della lucidità cognitiva, adeguata a rispondere a quella tua, super-stra-fichissima recensione… Ehm, dicevo… Ah sì! Ecco, sappi solo che, alla lettura del tuo commento, la testa mi si è aperta in due, con volo di colombe e pioggia di confetti associati (e credo sia apparso pure Eduard Khill, verso la fine). Insomma: ciumbia, un completo shock mentale!
__Okay, okay, vedo un attimo di ricompormi, ehm… Ecco, seriamente: l’hai colta in pieno, al cento per cento e con una sensibilità mirabolante, poi. Miseria, bravissimo e braverrimo davvero. È fantasticoso (e mozzafiatante), no, davvero: è proprio bello veder qualcuno – un estraneo, fondamentalmente – spendere un po’ di tempo tanto, più una manciata di neuroni, per leggere qualcosa di tuo (cioè, mio, be’, un po’ di tutti, adesso). Tra parentesi: tu davvero l’hai letta in una botta sola? Ambo i capitoli, dico? Oh porca paletta, hai rischiato l’aneurisma cerebrale, sai? Cioè, io non posso che esserne lusingata, chiaro; ma tu sei un fenomeno. Pensa: la rilettura di appena metà a me, personalmente, ha preso un bel giorno pieno; ed io, io l’ho scritta, ’sta roba qui. Per cui, cavoli, tanto di cappello. Sul serio, eh. Quindi… ehm… quindi? Ah, ci sono, ci sono! Ecco, veder letto, sorbito e, perché no, se si è particolarmente dotati (non è questo il mio caso) o fortunati (questo sì che è il mio caso), apprezzato qualcosa di tuo; e veder il tutto fatto in maniera poi tanto spontanea, è veramente… bello. Ma bello-bello. Davvero-davvero bello (notare la mia stupefacente proprietà di linguaggio, sì). Cavoli, il solo fatto ti sia sbattuto per commentare così bene (“appunti?” Oé, non farlo mai più. A malapena li prendo a lezione, io – disse la scema che scriveva le recensioni in Word) è parecchio gratificante; in più, a te fa tanto, tanto onore. E sarebbe stato parimenti anche qualora mi avessi ricoperto d’insulti, figurarsi con quello tsunami di complimenti, quindi.
__Inoltre, se mi dici pure che Hinata, da tutto questo trip mentale, n’è uscita più o meno indenne e, in qualche modo, quasi reale… be’, questo credo sia il commento, il complimento, la soddisfazione, la recensione e la roba più bella di tutte, ecco (danger, danger: ego in esplosione, abbandonare il sito!). E tranquillo, perché le recensioni lunghe sono la cosa più lusinghiera e bella che ci sia, a mio avviso: ehi, hai presente con chi stai parlando? Io mi sono allargata per qualcosa come settanta pagine solo per uno one-shot, quindi benvenuto nel club, eh! (Allunga il cinque allo schermo; lo schermo le fa il dito.)
__Ora, ti ringrazio per aver così apprezzato la resa del personaggio, davvero: mi genufletto ai tuoi piedi, sgranellandomi la colonna vertebrale; però ti assicuro che non ho meriti nell’aver reso Hinata Hinata – ammesso e non concesso questo sia poi avvenuto. Io, boh, credo di essermi giusto limitata a darle voce (che, povera, non se la fila nessuno, eh, dobe?), ad approfondirla, a tirarla fuori, ma tutto quello che n’è uscito c’era già; sparso un po’ ovunque e occultato da papà Kishy, chiaro, ma è tutta roba già presente. Ciò non toglie, comunque, tu sia stato gentilissimissimo con me e il mio arnese, sul serio. Sei stato, sei stato… carinissimo: grazie, eh! Per cui sono io a dover ringraziare te, di certo non il contrario (e vorrei anche vedere).
__Grazie infinite per aver (aver o averlo? Averla? Ma è maschio o femmina, dottore?) letto, capito e… apprezzato? Grazie davvero, davvero e davvero: parimenti anche la mia gratitudine tende a più, meno infinito; per quanto io me ne intenda di limiti (e credimi, non me ne intendo. Chiedi al mio prof. di matematica: scoppierà in lacrime). Ancora muchas, muchas ma muchas gracias.
__Grazie tantissimevolmente, red, e grazie davvero per davvero.


__A _sweetygirl_: bentornata, ragazza mia! Donna, quale stronzaggine e stronzaggine? Io ti adoro, dico sul serio. L’incipit è stato fenomenale: “Hinata ha la positività di un suicida che si è appena tagliato le vene!”. Mi sono partite le coronarie dal ridere, perché la cosa è assolutamente, completamente e senz’ombra di dubbio vera; e vera poiché folle. Quindi non credo affatto sia una critica, anzi, proprio tutto il contrario: per me è uno dei complimenti migliori possibili (se la suona e se la canta). Era un parto originale e malato della mia immaginazione, quello lì, e il fatto allucinante sia riuscito ad essere comunque credibile, nonostante la palese deficienza, è ’na robba stellare: supercalifragilistichespiralidosa, per intenderci!
__Senza contare che… Perdona l’ardire, forse ho frainteso tutta la situazione, ma mi par d’intuire che lo sfigatissimo personaggio della Hyūga non ti sia esattamente, come dire… affine? Simpatico? Magari non è precisamente tra i tuoi preferiti, giusto? Per cui, pensare che qualcuno cui, già in partenza, non gradisca la voce narrante dello sproloquio mentale, se lo sia comunque letto, riuscendo pure ad apprezzarlo; be’, mi pare la conquista più soddisfacente e il complimento più gongoloso (sì, gongoloso, ti prego, non chiedere).
__Ora, non dico di essere riuscita a fartela piacere, ci mancherebbe, anche perché è più che giusto non amare tutto e tutti; tuttavia, proprio il fatto tu l’abbia letta nonostante la tua idiosincrasia è una cosa superbella. Superbella, per me, e supergrande, per te. Davvero complimenti per la mastodontica apertura mentale verso personaggi non proprio piacenti o piaciuti: non è cosa da tutti, sai? Per cui bravissima ancora.
__E non preoccuparti: il tuo commento non mi è proprio parso da quadro clinico o altro; per quanto io, coi miei squilibri mentali, non sia poi molto attendibile (disse, a cavallo di un comodino). E sono completamente d’accordo con te: Hinata, qui, si è rivelata più incasinata, complessata, fobica e ingarbugliata che mai. E il bello è che mi ha divertito un sacco (mi diverto proprio con poco, io).
__Come sempre, poi, ti ringrazio tantissimo per i complimenti alla forma, l’apprezzamento verso il contenuto, e la tua straordinaria costanza nella lettura. Non è affatto scontata, per me, perciò grazie di cuore. Sei stata gentilissima, sul serio. Per tutto questo, grazie tanto, tanto, tanto.
 
__A SunliteGirl: ma ciao, amica/fan di “Cattivissimo me” (Agnes, Agnes è una capa!).
__Benone, sappi che immaginarti mentre leggevi di straforo quest’abominio blasfemo e senza dio, proprio durane l’ora di religione, mi ha fatto sguarare dalle risate (e adesso sono sicura di finire dritta dritta all’inferno, sì). Che meraviglia, è quasi catartico esser fonte di disturbo (per la didattica, intendo; ma anche per il genere umano, suvvia), e tu sei carinissima, davvero, grazie mille.
__Inoltre c‘hai ragionissima a dire che, qua, Hinata è molto ma molto negativa (pure troppo, penso): non era assolutamente in programma, perciò non saprei proprio dirti fino a che punto possa essere IC. Credo e temo, pochino.
__Comunque sia, mi fa piacerissimo ti siano parsi, non dico giusti o obiettivi, ma perlomeno credibili o comprensibili i vari commenti verso il villaggio e la situazione in generale: il sistema, fondamentalmente (ullallà, mamma saura, neanche fosse la lotta sindacale). E brava pure per aver notato come, in fin dei conti, Hinata non abbia mai effettivamente visto Naruto in modalità esorcista – capitolo 437 permettendo. In più mi hai fatto un regalone bellissimo, assicurandomi come l’invidia verso la Volpe sia parsa tutto sommato credibile: temevo fosse un’uscita davvero troppo zuccherosa e saccarinica, io (disse, sciacquandosi la bocca col Nesquik).
__E a proposito d’invidie e gelosie… io voto NaruHina alle elezioni! Sono perdutamente, patologicamente, fluffosamente, demenzialmente e orangiosamente NaruHina. Tutta la vita e dall’inizio, contro ogni premessa e avversità o exploit fetente di quella peripatetica banderuola di Kishy. Sono allo stadio terminale: del tipo che, se mi tagli, non esce sangue ma aranciata (o Gin-Lemon, dipende dall’ora). Ma son pure strana, eh: nel senso che comprendo perfettamente la fascinazione per NaruSaku e SasuNaru; le accoppiate benedette da sua santità il dio Canon, in sostanza (galeotti furon deviantART e la Rankai). Ho difficoltà a leggerli, pur riconoscendoli in concreto. Ciò nonostante, potendo scegliere e auspicare, scelgo e auspico NaruHina; ritenendola, comunque, l’eventualità meno plausibile e comprovabile del manga (quando c’è la coerenza. La mia, bah). Non so se mai si verificherà (pensa a Kishy, al capitolo 437, poi al 558; calcola un intervallo di circa 120 capitoli; fissa il vuoto; piange), eppure mi piace anche così: nella fantasia e alla mercé del fanghérleggio. Insomma, ce lo voglio vedere, immagino.
__Va’, meglio lasciar stare il mio malcostume cartaceo e tornare a noi (dà una pacca al portatile; il portatile si spegne).
__Pensavo il mio partito fosse, ehm, imbarazzantemente chiaro data, be’, tutta la sviolinata su Naruto… A ogni modo qua il pugnetto, cumpà!
__Ora: se dai vari commenti su Sakura-chan è parso fossi d'altra bandiera, è perché, obiettivamente, credo sia appunto quanto possa/potrebbe pensare il personaggio Hinata. Senza invidie o gelosie, comunque; perché Sakura, poverina, non ci può far niente se Rondello le andava dietro – andava o va, chi lo capisce è bravo. Aveva già i suoi casini amorosi con un altro psicolabile, lei. E Rondello, be’, non è neanche colpa sua… Non è colpa di nessuno. In ’ste cose, variabili come colpe, non colpe, meriti, metà, mele, frutta, amaro, caffè e poi il conto, grazie, c’entran poco quanto niente, ahinoi. Si tratta banalmente di casualità, d’imprevisti, di sfiga: capita (e tanto finisce sempre che hai tutti gli stabili da riparare o devi sgambettare fino a Parco della Vittoria, tzè).
__Ohi, pairing-wars a parte, ti ringrazio ancora per tutti i commenti positivi sullo stile – tra l’altro: ne sei proprio sicura? Sinceramente, a me pare un po’ troppo pasticciato, ampolloso. Tutti quei puntini di sospensione, allineamenti a destra e a manca, parentesi quadre varie, corsivi, grassetti, abuso di accatiemmelle, droghe pesanti, paradisi artificiali, litri e litri di saccarina, paraffina, margarina (e a proposito: dove sono finiti i miei cookies, eh? Me volere cookie! COOOKIE!). Pure e sopratutto per questo, grazie mille; dato lo sbattimento nel leggere ’sta deliranza. Davvero grazie e grazie davvero.

__Ehm, due ultime righe, ragazzi. (Già, perché non hai parlato abbastanza, vero?) Dai, ho fatto trentamila, tanto vale fare trentamila e uno. Poi, giuro, mi faccio curare.
__Semplicemente, non posso che ringraziarvi tutti, in modo uguale e distinto: grazie a chi ha letto, a chi gli ha dato una veloce scorsa, a chi ha commentato e a chi non se l’è sentita (non c’aveva tempo, voglia, parole o quant’altro, poco importa – Oreki-san insegna, oh sì). E grazie, un grazie speciale e sincerissimo, a chi ha inserito questo cumulo di vaccate tra i preferiti, seguiti, da ricordare (o nella kill list). Sul serio, son cose bellissime queste, gente. Pertanto, téncs tu:

_sweetygirl_
SunliteGirl
Gisella
reds92

Grazie mille a tutti per l’ascolto.
(Io e il mio portatile c’inchiniamo.)


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