Anorexia

di Paisean
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Anorexia





 

Bianco.
I muri, il pavimento, il soffitto, le porte, anche quegli stupidi divanetti erano dannatamente bianchi.
Tutto urlava “Ospedale”, perfino i giornali di gossip sembravano pazienti in preda al dolore.
Almeno ci fosse una reale motivo al fatto che mi trovassi in quel posto da me sempre odiato.
“Perché menti a te stessa? Sai benissimo perchè ci troviamo qui” sussurrò la Voce
“Per colpa delle tue grosse chiappe, della pancia gonfia e delle tue gambe grosse”
Dovevo ammettere che per l'ennesima volta la Voce avesse ragione. Come sempre.
Mi sedetti su una poltroncina libera mentre mia mamma andava in segreteria a chiedere se il dottore
fosse libero per la mia visita.
“Invece di startene qua seduta dovresti fare cento giri di corsa attorno all'ospedale per smaltire
l'insalata che hai mangiato a pranzo”
mi disse la Voce.
Non posso che ignorarla, almeno finchè non uscirò da questo ospedale.
Mia madre ritornò e mi chiese per l'ennesima volta come stavo e se avevo fame.
Avrei voluto urlare che non stavo affatto bene per colpa del mio peso esagerato,dei miei enormi fianchi
e che darmi da mangiare sarebbe stato come rotolarmi nella carne prima di andare
in una gabbia di leoni affamati. Invece mi limitai a dire che era tutto apposto.
La porta affianco a me si spalancò ed uscì un'infermiera.
«Entri il prossimo» disse guardando un attimo la cartella con gli appuntamenti. «Swan»
Appena finito di parlare mia madre si alzò, e io con lei.
«Siamo noi» disse con voce stanca, mentre entravamo nella stanza.
Come c'era da aspettarsi era banalmente bianca. Appena entrai il dottore si
alzò dalla sua scrivania con una cartella clinica in mano, probabilmente la mia.
«Isabella Swan» lesse mettendosi gli occhiali sul naso.
«Eccomi qua!» dissi con falso entusiasmo.
«E' una normale visita di controllo, quindi faremo test base: pressione,
peso altezza e robe varie» disse attento a pesare le parole nel modo giusto.
Alla parola peso mi immobilizzai più di prima. Quella parola per me significava tortura, imbarazzo quando
probabilmente il dottore avrebbe riso di quel numero esagerato.
Nella mia mente continuavo a sentire le risate e le prese in giro delle persone mentre gli passavo a fianco,
vedevo i bambini indicarmi per strada come se fossi una anormale, ma in fondo lo sono.
«Inizia a spogliarsi e si distenda sul lettino» disse il dottore mentre prendeva gli attrezzi necessari.
Le risate aumentavano, forse cercavano di farmi esplodere la testa.
Chiusi gli occhi cercando la calma dentro di me, invece trovai ricordi dolorosi e ferite non ancora guarite.
 
«Isabella palla di lardo! Isabella cicciona! Isabella ingrassa ma non scoppia! Ahaha»
i bambini cantavano attorno a lei, e quelli che erano
amici o amiche erano la a fare il coro e a ridere come iene.
Sentiva gli occhi colmarsi di lacrime e le guance bagnarsi.
«Smettetela!» urlò lei cercando di fermarli.
Ma loro continuavano a ridere indicandola come se fosse un mostro.
 
«Ehi Bella ci sei?» chiese mia mamma sventolandomi una mano sulla faccia.
«Si»
«Dai, ti ha chiesto tre volte se ti puoi spogliarti e non hai mai risposto!» disse un po' seccata.
 «Devo proprio? Non mi sembra una procedura obbligatoria» dissi cercando qualche scusa.
“La vedo già tua madre vergognarsi di avere una figlia obesa, e poi immagina la faccia del dottore
mentre vede le tue grosse chiappe!“
sussurrò la Voce.
«Dai Bella non fare troppe storie!» intervenne mia mamma. 
Riluttante iniziai a sfilarmi la felpa e i pantaloni, rimanendo semplicemente in mutande, canottiera e reggiseno.
Cercai subito di non guardare la reazione dei presenti, ma per una frazione di
secondo notai lo sguardo del dottore allarmarsi.
«Ehm.. Sdraiati sul lettino» disse il medico togliendosi dal collo il fonendoscopio.
Feci come mi disse e iniziò a tastarmi il petto con quell'attrezzo. Appena finito tirò fuori il
Sfigmomanometro e mi calcolò la pressione.
Successivamente calcolò l'altezza e il peso. Fece tutto questo senza dire niente, senza fiatare.
A volte controllava due volte i dati, come per esserne sicuro. Ma sicuro di cosa? Del mio grasso?
«Hai un ciclo regolare, Isabella?» chiese lui.
«Ehmm..Da qualche mese il ciclo è assente» gli dissi rossa in faccia.
«Quanti mesi esattamente?»
«Circa dieci, mese in più mese in meno» risposi un po' evasiva. La verità la sapevo fin troppo bene.
Erano specificatamente 14 mesi, ma non volevo esagerare la cosa più del dovuto.
Insomma non avevo mai avuto il ciclo regolare, ho sempre saltato mesi, ed era più una
rarità se mi venivano e non il contrario.
Quando ebbe finito mi chiese di rivestirmi e di sedermi davanti alla sua scrivania.
«Aspetti, prima di andare volevo farle altre domande, Isabella» mi disse il dottore
con una calma quasi finta. «Ti gira mai la testa?»
«Qualche volta, ma credo sia normale»
«Soffri mai di dolori fisici, come ai muscoli addominali o altri? Sensazioni di freddo improvvise?
Tutto è importante per inquadrare il quadro della situazione»
«Sì, ho qualche dolore addominale dopo aver fatto esercizio fisico.
E ovviamente ho sensazioni di freddo abitando in un paese dove piove sempre» risposi con finta ironia.
«Fai tante volte esercizio? Come palestra, corsa o nuoto» mi chiese ancora.
“Tu nuoto? Questo medico deve avere tanto senso dell'umorismo! Insomma immaginati in costume,
sarebbe una scena comica!”
sussurrò la Voce.
«Si faccio cyclette quasi ogni giorno» risposi cercando di stare calma.
«Quante ore circa?»
«Mezz'ora, un oretta. Non so» dissi cercando di mentire il meglio possibile.
Facevo un'ora e mezza di cyclette ogni giorno dopo pranzo, per bruciare le calorie.
Dopo altre domande mi chiese di uscire per poter parlare in privato con mia madre.
La porta rimase socchiusa abbastanza da riuscire a sentire i loro discorsi.
«Vede signora, sua figlia come avrà di certo notato è molto più magra delle altre adolescenti.
Ma se fosse semplice magrezza non starei qui a parlarle e molto probabilmente
neanche lei oggi sarebbe qui. E sono qui per rispondere ai suoi dubbi» disse il medico cercando le giuste parole.
Riuscivo solo a sentire quello che dicevano senza poter vedere le loro reazioni.
«Sua figlia ha un ritmo cardiaco molto lento, pressione bassa, da quasi un anno il periodo mestruale è assente,
ha affermato lei stessa di sentire dolori  addominali, di sicuro dovuti all'eccessivo dimagrimento.
E questi signora sono un po' dei molti sintomi dell'anoressia»
Dopo non sentii più niente del loro discorso, troppo presa a scappare dal quel luogo.
"Questo non è un ospedale, ma un manicomio! E i dottori come quello sono quelli fuori di testa! Insomma
hanno molta fantasia per crederti anoressica!"
Rideva la Voce.
Le sue risate erano fastidiose, che ti prenetano nella pella e tu non puoi fare niente per evitarlo.
Quindi corro veloce cercando di scappare da quella voce malvagia.
Di certo erano tutti pazzi. Per essere anoressici bisogna essere magri e io di certo non lo ero. 
Forse se avessi corso più veloce avrei raggiunto un mondo dove non c'era un corpo a bloccare la tua anima. 
Dove tutti erano trasparenti come l'acqua.
In un luogo dove l'importanza non era la bellezza, ma la sostanza.
Un posto dove potevo essere leggera come una piuma così da poter volar via al soffio del vento.
Chiusi gli occhi sperando che tutto diventasse reale e non solo una mia immaginazione, ma quando 
gli riaprii vidi mia madre che correva verso di me come una disperata per raggiungermi.
Forse un giorno sarei riuscita a diventare perfetta. Ma mentre aspettavo quel giorno mi
facevo trascinare a forza da mia madre.
Quel tragitto in auto fu il più lungo della mia vita, ma non per la distanza dall'ospedale a casa mia
ma per il silenzio di tomba che regnava padrona.
Arrivati a casa notai che l'automobile di Charlie non era ancora parcheggiata sul vialetto, e ancora
senza dire parola entrammo in casa. Corsi subito in camera mia e mi tolsi i miei vestiti per rimanere
in tuta e chiusi la porta chiave per impedire a chiunque di entrare. Feci tutto senza mai guardarmi allo specchio.
Per un estraneo sarebbe stato impossibile non guardarsi allo specchio dato che occupava mezza
parete principale, ma con la mia forza dell'abitudine di schivarlo era diventato un giochetto da
ragazzi.
Mi sedetti sulla cyclette e corsi tanto, corsi fino allo stremo, fino a quando non riuscivo più a sentire
le gambe. Solo dopo ero soddisfatta.
Come un automa scesi e mi posai con delicatezza sulla bilancia che fino a prima era sotto il letto.
Incrociai le dita sperando che il risultato avuto all'ospedale fosse diverso almeno di qualche grammo.
35 kilogrammi.
Lentamente avrei raggiunto la perfezione e quella piuma che per me era diventata un riferimento.

Ciao a tutti!
So di aver trattato un argomento molto delicato, ma spero che nessuno pensi che abbia parlato
di una malattia come se fosse un gioco, uno scherzo. Perchè vi assicuro che non era il mio
obbiettivo. 
Non so se rimarrà una one-shot, o con il tempo decida di continuarla, ma sarò molto felice di
sentire i vostri giudizi.
Con affetto.
Monica

 


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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Anorexia


A volte vorrei prendere la mia anima e piantarci dentro un seme di girasole. Così per dimostrare che nel mio corpo c’è vita, c’è amore e pazienza. E invece mi ritrovo dentro a un corpo vuoto, privo di ogni sentimento se non vergogna.
Vergogna di essere come sono, grassa.
Comunque cercavo di sorridere a quelle poche persone che cercano di dimostrare affetto nei miei confronti, ma mi chiedo veramente se quei sorrisi non siano altro che gesti sbiaditi nel vento.
Distesa nel mio letto, fisso i caratteri fluorescenti della sveglia nel buio. Aspetto come ogni singolo giorno che, arrivata l’ora fatidica, iniziasse a suonare all’impazzata. Attendo anche che questa giornata appena iniziata finisca, ma so che ci vorranno ore interminabili e dolorose.
Nell’attesa che sembra infinita mi fissavo le braccia, un po’ illuminate dalla sveglia.
“Dovrebbero essere arti superiori quelli? A me sembrano dei prosciutti collegati al tuo corpo flaccido”ride maligna la Voce.
Non ascoltarla, non ascoltarla anche se ha tremendamente ragione.
Un millesimo prima che la sveglia inizia a suonare, la spengo e inizio a vestirmi.
Apro velocemente l’armadio e guardo la marea di vestiti che regnavano padroni in quel mobile. In esso ci sono abiti tutti larghi e deformi, di colori tenui e non troppo vivaci.
Tiro fuori i miei vecchi pantaloni da tuta grigi, con il cavallo basso e li indosso velocemente e dopo infilo una felpa bianca tutta larga.
Non mi guardo allo specchio per paura di vedere tutta la mia enormità, e vado diritta nel bagno di camera mia. Mi lavo i denti, sapendo già che non toccherò cibo a colazione, e mi spazzolo i capelli lunghi.
Uno specchio minuscolo all’altezza della mia faccia, mi permette di vedere il mio viso gonfio e pallido per una frazione di secondo. Non mi trucco mai, magari per certe occasioni “speciali” mi metto un po’ di mascara, ma niente di più.
Non so come, forse facendo un passo troppo velocemente o perdendo un attimo l’equilibrio, cado e mi ritrovo in ginocchio di fronte il water.
E senza muovermi lo fisso. Quanto sarebbe più facile ingozzarmi di cibo e poi semplicemente infilarmi due dita in gola, e invece provo disgusto e paura al ricordo di quell’unica volta che ho provato.
Ricordo il tremore iniziale per dovermi mettere la mano in gola, ma poi con fatica ho compiuto quel gesto e tutto ciò che avevo mangiato prima mi risalì e quasi non centrai il gabinetto. Dopo quella volta non ci riprovai più.
Abbandono subito quei ricordi e mi rialzo impassibile e ritorno in camera.
Senza fretta, prendo i libri e li depongo nello zaino, che chiudo e metto in spalla appena finito di prepararlo. Scendo le scale, cercando di non disturbare mia madre che ancora dormiva nella sua stanza. Guardo con la coda dell’occhio fuori dalla finestra, e noto che l’auto della polizia di mio padre non era parcheggiata fuori, segno che lui fosse già andato a lavorare.
Tiro fuori una tazza e ci verso dentro un millilitro di latte, e ci infilo dentro tre quattro pezzetti di cereali. Con un dito sporco ancora di latte i bordi della tazza, e ci infilo dentro un cucchiaio di metallo, che ho leccato qualche secondo prima. Ecco che ho finito il rituale che faccio ogni mattina, per far credere ai miei genitori che alla mattina mangio. Sono furba, e so mentire. O forse non sono ne una brava attrice né una brava bugiarda, probabilmente Charlie e Renèe facevano finta di credere ad ogni cosa che dicevo o facevo, solo per sentirsi meno colpevoli. Fatto sta che io mento a loro e loro ci vogliono credere, quindi nessuno sta male.
 Mi alzo dal tavolo e ripongo la tazza sporca nel lavabo, mi infilo il giubbotto nero e mi metto lo zaino in spalla. Apro la porta d’entrata e corro diretta sul mio vecchio pick-up rosso arrugginito, per evitare che la pioggia mi bagni troppo.
“Cosa? Hai paura che l’acqua piovana ti faccia sembrare più balena di quanto tu non sia ora?”dice la Voce.
Basta! Per favore ti chiedo solo una giornata di pace chiedo alla Voce, anche se sono sicura che mai mi abbandonerà.
Infilo le chiavi e parto con l’auto in direzione della scuola, e quando riconosco quelle mura di mattoni arancioni, rallento e arrivo al parcheggio.
E’ del tutto vuoto, tranne quattro, cinque auto che appartengono al personale della segreteria. Parcheggio subito prima dell’edificio ed esco dalla mia fredda macchina ed entro nel liceo.
Come ogni singola giornata appena entrata mi dirigo nel bagno delle ragazze e mi chiudo in un gabinetto.
Da quando ho quindici anni arrivo per prima a scuola e mi nascono nei bagni in attesa che la giornata inizi. Le segretarie non mi dicono niente, anzi ormai sono abituate al mio entrare e nascondermi.
Ricordo i miei primi giorni di liceo qua a Forks e non posso fare altro che stringere i pungi al ritornar dei ricordi dolorosi.
Le prese in giro per i chili di troppo, per i jeans a zampa di elefante, per maglie sempre sgualcite e fuori moda. Entravo a scuola sempre con le lacrime agli occhi, causate dalla gente “superiore” e “perfetta”.
Tiro fuori il mio piccolo diario, contenente piccoli pensieri di una vita di silenzio e tortura. In esso scrivo tutto quello che mi capita nella mente e lo trasformo in qualcosa di più “bello”. Tiro fuori la mia solita penna e inizio a scrivere mille parole e mille pensieri.
 
“Passi tutta la vita a guardare dritto di fronte a te,
e scopri che per andare aventi bisogna guardare sempre indietro.
Ti metti a camminare all’indietro voltando le spalle al futuro,
 ma non riesci più a camminare.
Allora inizi a correre di lato, sperando con tutta te stessa
 di potercela fare questa volta. Ma niente.
A quel punto ti fermi e ti stendi per terra,
guardando il sole che era sempre stato lì ad osservarti.
Oh sole! Oh cielo! Cosa devo fare?Urli disperata al vento.
E all’improvviso tutto si mosse e tutto iniziò ad andare avanti.
E finalmente capisci. Non serve marciare in avanti, camminare all’indietro o di lato per andare di fronte a te, verso il futuro. A volte bisogna solo fermarsi a guardare il sole.”
 
Appena finisco di scrivere ripongo la penna e fisso la copertina del diario.
Totalmente verde speranza, con la scritta fatta da me con un pennarello nero, “Diario di una persona banale”.
Oltre che a custodire i miei pensieri, le ultime 10 pagine erano riservate alla tabella con registrati i miei chili, di ogni settimana, da tre anni a ‘sta parte.
All’improvviso sento la campanella suonare, e come se mi svegliasse da un coma profondo, mi alzo di colpo ed esco dal bagno per andare nell’aula di chimica avanzata, dove si sarebbe svolta la prima lezione.
Entro e vedo il professore Wills, un uomo sulla sessantina dai pochi capelli bianchi e le rughe insistenti sul volto, già seduto davanti alla cattedra mentre attende l’arrivo degli allievi. Con un impacciato buongiorno lo saluto, e mi accomodo sul mio solito posto. Affianco a me nessuno si sedeva, e a me va benissimo.
“Grassa e sola! Accoppiata perfetta per una sfigata come te”ride cattiva la Voce.
Dopo un paio di minuti, in cui il professore lesse il giornale e io cercai di ripassare la lezione precedente, arrivano gli altri ragazzi che come un branco di pecore si siedono sui rituali posti.
Mr. Wills inizia la lezione parlando di Velocità e di ordini di reazioni, iniziando quella solfa che sarebbe scorsa lentamente.
Quando il mio cervello stava per iniziare a fumare, la lezione viene interrotta dal bussare della porta.
«Avanti!»  dice seccato il professore.
La porta si spalanca ed entra Edward Cullen. E’ un ragazzo della mia età, altezza media, capelli rossicci e occhi di un normale verde, normale direte.
Ma no! Dentro di lui c’è una bestia che si ciba del dolore delle persone,  che gioisce della sofferenza altrui, ma a parte questo è nella norma.
«Scusi Prof. Wills, sono arrivato in ritardo perché non sapevo dello spostamento di lezione» dice lui grattandosi il collo e consegnando un foglio al docente.
«Ah, mi avevano detto che avrei avuto un nuovo alunno. Bene si accomodi vicino a lei» dice indicandomi.
In un attimo vedo il suo sguardo da felice, trasformarsi in scocciato posandosi su di me.
«Ma prof, c’è anche Ben che ha un posto libero, posso benissimo mettermi vicino a lui» dice Edward lamentandosi a Mr. Wills.
«Non è questione se anche Tizio ha un posto libero, qua è perché decido io! Quindi si accomodi vicino alla signorina Swan senza fare troppe lamentele già la prima lezione!»
Scocciato si siede vicino a me e prende il libro di chimica e inizia seguire la lezione, senza mai guardarmi né parlarmi. Meglio così.
L’ora passa più lenta del solito e quando finalmente suona, il signorino si alza ed esce come un razzo dall’aula.
Ricordo quando io ed Edward eravamo amici dell’asilo, anche se i ricordi sono sbiaditi e rovinati, purtroppo ci sono ancora.
Eravamo amici, non inseparabili, non migliori, non perfetti. Eravamo semplici amici e come tali giocavamo ogni tanto sull’altalena, con le auto giocattolo ed a nascondino.
Non posso dire di aver sofferto quando non ci siamo più parlati, infondo avevo amici migliori.
Alice entra subito nella mia mente spezzandomi il cuore. Lei sì che era la mia migliore amica e lo siamo state fino alla quinta elementare, finché lei e la sua famiglia si sono dovuti trasferire a New York per lavoro.
I primi tempi ci sentivamo sempre, rubando i telefonini alle nostre mamme, poi abbiamo scoperto internet e i vantaggi delle mail. Piano piano abbiamo tagliato i rapporti. Di rado mi capita di trovare una sua lettera sulla posta elettronica e di rado gliene scrivo io una. L’ultima volta sarà sta due mesi fa, e mi ha raccontato delle sue nuove amiche e del suo fidanzato, e anche del fatto che si è già iscritta ad un corso per stiliste e altre robe varie.
“Anche lei ti ha abbandonato, insomma chi vuole un elefante come amico” mi prende in giro la Voce. Basta, smettila! Le urlo addosso mentalmente.
Diciamo che la rottura di rapporto fra me ed Edward non mi ha toccato tanto. Quello che più mi ha ferito è stato il suo comportamento dopo. Se c’era un gruppo di oche a prendermi in giro, lui era la con loro che rideva. Se loro mi spintonavano a terra, lui era colui che fingeva di darmi una mano per poi rigettarmi a terra come spazzatura.
Ricordo ancora le loro voci, le lor prese in giro. Ricordo tutto e fa un male tremendo.
 
«Oh! Eccoti Swan, ti cercavamo!» disse maligna Jessica, una cheerleader del secondo anno, tutta bionda e abbronzata «Cosa hai fatto ai capelli? Li hai tagliati? Stai davvero bene, così corto fa risaltare il tuo viso da maiale! Ahaha»
 
Da allora porto i capelli lunghi fino al gancio del reggiseno.
 
«Ehi Swan! Belli quei jeans rossi, me li presti? Sai sto cercando un costume da pagliaccio grasso per Carnevale! Ahaha» disse Tyler, un ragazzo del terzo anno, ridendo con gli altri.
 
Da allora porto solo abiti di colori spenti e senza forma.
 
«Ehi Isabella» disse Edward, ragazzo del primo anno, pronunciando il mio nome come un insulto «Per diventare grossa così, hai fatto una dieta speciale o ti è finito addosso un camion di dolciumi? Sai con quella pancia, stavo per confonderti con un bidone dell’immondizia, ringrazia quel cappello, perché se no ti avrei buttato addosso la cartaccia del mio pranzo!»
 
Da allora non mangio più.

Ciao!** 
Ho deciso di continuare questa storia infine. Forse lo stile di scrittura e il carattere di Bella sono cambiati perchè è passato del tempo.
Beh spero che vi piaccia anche questo capitolo e spero che mi diciate cosa ne pensate!
Un bacione, Monica

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