Lo spagnolo e la sua ombra di OttoNoveTre (/viewuser.php?uid=76304)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capelli neri ***
Capitolo 2: *** La vasca ***
Capitolo 3: *** Pesce da lenza uh-ah-ah! ***
Capitolo 5: *** Hasta luego Santiago ***
Capitolo 6: *** Italia-Spagna ***
Capitolo 7: *** La terza volta (I parte) ***
Capitolo 8: *** La terza volta (II parte) ***
Capitolo 9: *** Nessuno si aspetta l'inquisizione spagnola ***
Capitolo 1 *** Capelli neri ***
Capelli neri
A Vannagio,
perché trovi sempre il suo fluff quotidiano
Aro seguì col dito la curva della coscia formosa,
tratteggiata in carboncino con un’unica flessuosa linea. Sul
foglio accanto, una donna dallo sguardo malizioso si sistemava la
chioma sui seni. La stessa donna, con un vestito vaporoso e
coi capelli raccolti sotto una veletta, stava davanti alla sua
scrivania.
- Ve l’ho detto, mio signore, un uomo di rare
capacità.
- Davvero, Adelaide. Grande dono per la tua bella Vienna. Certo, non
che rimanere affascinati dal tuo corpo… - fece una pausa,
fulminato da un’ispirazione – Mi domando se riesca
a cogliere anche fiori più modesti. Come diceva la graziosa
Emily? “Le ombre sono importanti quanto la luce”.
Corin aveva una certa esperienza di vampiri. Propri di queste
affascinanti creature erano l’erotismo decadente, il morso
fatale eppure sensualissimo, la bellezza del predatore.
Il fatto che a Palazzo dei Priori ci fosse poco di tutto ciò
l’aveva sconcertata.
Caius non versava il sangue nei teschi dei suoi nemici, le finestre non
erano adombrate da tende nere e ragnatele, l’organo
c’era ma il signor Marcus non ci suonava cupe melodie
tutto il giorno. C’era pure la bacheca degli
annunci! E non erano nemmeno scritti in minacciosi caratteri gotici.
Insomma, Corin era preparata a una svolta decisamente più
gotica nella sua vita, con la sua trasformazione.
- Tesoruccio, basta chiederlo. Cosa desideri? Tende rosso cupo?
Acqueforti di Goya? Statue di gargolle che fissano chi entra dalla
porta? Vuoi dormire in una bara di cipresso?
Le proposte di Aro le parvero uscite dal catalogo Casa Gotica del Nuovo Milennio
e cancellarono tutti i rimasugli di magia che ancora sopravvivevano.
Non si sarebbe mai aspettata che il decandentismo sarebbe piombato su
di lei all’improvviso, qualche anno dopo il suo arrivo a Volterra.
- Cosa ti turba, bimba?
- Oh insomma! Dovevate proprio usare questa occasione per decidervi a
fare i sensuali decadenti?
Santiago posò il giornale e fissò Corin con
discreto sconcerto. Lei gli prese di bocca la sigaretta e la spense nel
posacenere sul tavolino.
- Non potevate dormire in bare di cipresso rivestite di velluto? O
entrare in una stanza con una risata sguaiata e terribile?
- Bimba, tu eres loca.
Ma, si quieres,
basta che chiedi ad Aro.
Corin non lo ascoltò nemmeno. Andava avanti e indietro per
la stanza, i capelli le si agitavano inquieti sulla schiena. Se ne
portò una ciocca davanti e la pettinò con le dita.
- Non voglio fare brutta figura, – sbottò come se
ricominciasse un discorso interrotto – sono qui da
così poco tempo…
Santiago tirò fuori la scatola dei fiammiferi e si
portò alla bocca una seconda sigaretta. La ciocca di capelli
neri gliela prese e la buttò fuori dalla finestra prima che
riuscisse ad accenderla. Santiago sbuffò.
- Bimba, continui a non spiegarti.
La ragazza si fermò e si sedette su un’altra
poltroncina della sala comune. Si tormentava la ciocca e pareva
trovare molto interessanti i disegni del tappeto persiano.
Santiago accennò a tirare fuori dal pacchetto la terza
sigaretta: i capelli le rimasero buoni sulla schiena, a parte la ciocca
tormentata dalle dita.
Si accese la sigaretta e ancora nessuna mossa.
- Adelaide mi ha chiesto di andare con lei a Vienna e di posare per un
pittore, perché lo vuole Aro. Però… -
Corin sollevò lo sguardo e lo riabbassò subito
sul tappeto - …devo, devo posare in condizioni
particolari…
La guardò senza parlare. Lei riprese a voce bassissima.
- Devo… Aro desidera che posi secondo i costumi di questo
pittore, senza… senza vestiti…-
Corin rialzò lo sguardo e lo fissò.
- Sarebbe molto grave rifiutare?
Santiago tacque, tirò una boccata dalla sigaretta e si fece
serio.
- Un ordine di Aro è sacro. Ed è stato anche
molto comprensivo, perché non ti ha ancora parlato
dell’altra consuetudine tipica della Guardia. Per ora sei
stata perdonata perché sei nuova, ma non so quanto
durerà.
Corin diventò se possibile ancora più pallida e
riprese a tormentarsi i capelli. Aveva una faccia impaurita.
- Di che parli? Cielo, qui mi sembra sempre di fare la cosa sbagliata!
Santiago prese un’altra boccata dalla sigaretta, con
movimenti lenti e studiati, finché la tensione non fu
palpabile nell’aria.
- Il vincolo di sangue con colui che ti ha creato è sacro,
tra vampiri, – la guardò – e impone
obblighi altrettanto sacri.
Corin si sporse in avanti, gli occhi spalancati. Santiago spense il
mozzicone.
- Devi concederti a lui ogni qual volta egli lo desideri.
Lo schiaffo lo fece quasi cadere dalla poltroncina.
- Sei-un-gigantesco-IDIOTA!
- Dice che puoi girare come più ti pare, non vuole forzarti,
- Adelaide tradusse in fretta dal tedesco la frase del pittore. Corin
annuì, sbirciando da sotto i capelli lo studio. Vide il
vestito leggero di Adelaide scivolare in terra e le gambe lunghe della
vampira che si allontanavano. Alzò lo sguardo fino a
intravedere una donna con i capelli corti e ricci, seduta sul divano.
Nello studio c’erano anche altre due ragazze, coperte solo da
vestagliette. Corin si strinse nel suo vestito, desiderando di essere
più invisibile del solito. Almeno quel pittore strano pareva
assorto nella contemplazione di Adelaide, di cui stava riproducendo, in
tratti marcati e sensuali, le ciglia lunghe e le palpebre pitturate di
ombretto. Era davvero bellissima.
Distolse lo sguardo dal lavoro e riprese a guardarsi attorno. Pur con le
sue bizzarrie, l'ambiente con i quadri era suggestivo: la villa con
l’atelier era poco fuori città, circondata da un
giardino bellissimo. Corin lasciò il pittore con Adelaide e
la riccia e andò a guardare i fiori dalle vetrate. Si
passò i capelli sopra la spalla e prese a pettinarli con le
dita.
Adelaide si chinò, ancora nuda, sul tavolo della stanza.
Prese gli ultimi disegni di Gustav e rimirò la sua figura
impressa sui fogli bianchi. Gustav si stava alzando dal letto in quel
momento.
- Sono davvero così bella?
- Lo chiedi solo perché non sei mai sazia di sentirtelo
dire, tanto sei sicura della mia risposta.
- Ma certamente, mio caro.
Adelaide vide con la coda dell’occhio che Gustav aveva preso
in mano un foglio e la stava ritraendo così, china sul
tavolo.
- Sono solo questi i disegni di oggi?
- Sì.
C’era lei in quattro disegni, poi uno di Emilie e
l’ultimo con le due ragazze abbracciate.
- E la mia amica?
- La tua amica?
- Seguimi.
Lo prese per mano e lo accompagnò di sotto. Corin stava
leggendo un libro, seduta composta vicino alla finestra. Lo studio era
ormai vuoto e quieto, il sole verso il tramonto. Gustav la
rimirò da lontano, fermo sull’ultimo gradino della
scala. Poi prese un foglio e cominciò a schizzare una lunga
e serpentina massa di capelli neri. Aggiunse l’aria assorta
del viso e uno sbuffo del vestitino bianco.
Dopo l’ultimo tocco di carboncino, si avvicinò a
Corin e le porse il disegno. La ragazza sussultò quando
l’ombra di Gustav coprì il libro, ma un attimo
dopo guardò con ancora più stupore il suo
ritratto.
- Sono così bella? – mormorò. Gustav
rise.
- Impara a dirlo con questa faccina, Adelaide, e te lo
ripeterò tutta la notte.
- Chiede se puoi coprirti solo con i tuoi bei capelli, oggi.
Erano tornate anche il giorno successivo. Lo studio era più
affollato, una specie di arcadia piena di ninfe scapigliate e ridenti.
Ma la domanda di Adelaide la spiazzò.
- Se potessi, io rimarrei così…
Il pittore disse ancora qualcosa in tedesco, poi tirò fuori
un foglio da un raccoglitore e glielo porse. C’erano
disegnati un uomo e una donna incinta. L’uomo le cingeva le
spalle con affetto, lei guardava il suo pancione come se al mondo non
esistesse altro. Adelaide tradusse di nuovo.
- Dice che è tuo, se lo desideri.
Corin guardò ancora il disegno, poi il pittore. Lui
lasciò la presa sul foglio e fece un’espressione
supplichevole e furba allo stesso tempo. Lentamente, con i
capelli che le cadevano in faccia, abbassò la spallina del
vestito.
- Però, guarda la nuova che culetto d’oro!
Santiago non stava facendo molto caso ai disegni che Adelaide aveva
sparso sulla scrivania, regali di quel pittore viennese. Ma dopo
l’esclamazione di Felix, scoccò
un’occhiata al tavolo. C’era Adelaide in varie
pose, morbida e sensualissima, assieme al suo mare di onde rosse. Felix
invece aveva un mano un disegno che ritraeva una modella diversa:
puntava il naso verso l’alto, guardando qualcosa di
bello a giudicare dagli occhi sereni e stupiti. Teneva i capelli,
lunghi e neri, tirati sopra una spalla, la mano sinistra affondata
dentro. Il corpo magro era preso di tre quarti, una posizione che
metteva in bel risalto un – come diceva Felix –
“culetto d’oro”.
Santiago aspetto che Felix si concentrasse di nuovo sui disegni con
Adelaide. Allora prese la morena e se la rimirò.
Si rigirò nel letto e appoggiò la testa contro il
braccio. Corin si era alzata poco prima e stava in piedi davanti alla
finestra, ancora nuda, con i capelli tirati da una parte e uno
sguardo sereno rivolto verso la luce.
Santiago scivolò fuori dal letto senza far rumore e la
raggiunse alle spalle. Le baciò il collo dove i capelli lo
avevano lasciato libero. Con la mano le percorse il fianco fino alla
curva del sedere.
- Il señor
Klimt ci sapeva fare, ma dal vivo è molto meglio.
Corin gli prese l’altra mano e la appoggiò sulla
sua pancia.
- Cosa intendi?
Santiago si sciolse dall’abbraccio e andò verso un
cassettone. Il foglio era ingiallito, ma la figuretta a carboncino
aveva la stessa freschezza di cent’anni prima.
Corin guardò la se stessa del disegno.
- Quando lo hai preso?
- Appena siete tornate da Vienna, nel 1906.
- Lo conservi da così tanto tempo?
- Avevi gli occhi belli, - Santiago le mise una mano tra i capelli e si
avvicinò con la bocca al suo orecchio - ma anche il culo.
Gli arrivò uno scappellotto in testa.
- Cretino.
Corin tornò a guardare il disegno.
- Sono davvero così bella?
- Molto di più, bimba.
La tana di Otto
Data la produzione immane di storie che mi vengono su questi due, ho
deciso di inaugurare con questa storiella una raccoltina a parte,
così faccio ordine e non tedio chi non si interessa alla
coppia.
Io e la signorina Dragana ci siamo recate a vedere la mostra di Klimt a
Milano. Affascinate dai bozzetti esposti, ecco che la storia
è venuta fuori.
Il titolo significa, in tedesco, "capelli neri": Klimt ha fatto molte
figure di donne con capelli neri lunghissimi e sinuosi. Ovviamente la
modella è stata Corin. Heidi (che nella storia ho scelto di
chiamare Adelaide, fa più inizio secolo) si è
prestata per le rosse. Emilie (la donna nell'atelier con i capelli
ricci) era la compagna di Klimt. Per le modelle nude, ebbene, pareva
che il signor pittore avesse queste usanze, tanto da lasciare 14 figli
in giro per Vienna. Bravo lui.
Emily Jane Brontë è la Emily citata da Aro. La
frase viene dal suo romanzo Jane Eyre.
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Capitolo 2 *** La vasca ***
La vasca
Shhhhhhhhhhh
Scende l’acqua
scroscia l’acqua
calda fredda
calda…giusta
Corin guardò triste il golfino strappato. Le piaceva, era
morbido e immaginava tenesse pure un bel calduccio d’inverno.
Non che le servisse sul serio, però era un bel golfino.
E pensare che Renata l’aveva pure avvertita.
– Non ci si può più far niente, vedi
che qui manca proprio un pezzo? Faccio prima a trovarti la lana uguale
e rifartelo, Corin. Dai, non fare quel musetto, come se fossi
l’orfanella Bettie a cui l’invidiosa Daphne ha
stracciato il vestitino della festa. Invece, datti una sistemata ai
capelli, – Chelsea le tolse da una ciocca un
rametto di pino. – Che cosa hai combinato? Sembra che vi
siate azzuffati con un lupo mannaro!
Corin trovò una pigna e un altro rametto incastrato fra i
capelli e li gettò nel cestino del laboratorio.
– Beh, ti ricordi i neonati che dovevano essere due? Erano
cinque e non mangiavano da tempo. A uno ho stritolato le braccia e
ancora tentava di mordermi il collo, era in frenesia totale. Abbiamo
fatto una rotolata in un boschetto prima che riuscissi a staccargli la
testa.
Corin guardò ancora lo strappo, sospirando. Si
sfilò il maglione, lo appallattolò e lo
gettò nello stesso cestino della pigna.
– Ho bisogno di uno shampoo.
– Dai, dolce Bettie, domani aspettati una sorpresa.
Corin arrivò in camera e si tolse i vestiti alla rinfusa. Si
salvavano giusto mutande e reggiseno, il resto era come minimo
lacerato. Calciò tutto in un mucchio ai piedi del letto e
andò verso il bagno. Frugò ancora un
po’ fra i capelli e ne tirò fuori altre sterpaglie
varie, così prese una spazzola e diede qualche colpo ai
malefici nodi. Con la spazzola incastrata nei capelli,
arrivò alla vasca e diede un giro alla manopola.
Il nulla, nemmeno una goccia.
Provò a chiudere e riaprire, ma niente di nuovo. Si mise
addosso con stizza l’accappatoio e arrivò al
telefono interno.
– Sì, signorina Corin?
– Gianna, perché non va l’acqua?
– Non mi risulta nulla del genere… Ma mi segno
subito di chiamare l’idraulico, non si preoccupi.
– Andrò in uno dei bagni degli ospiti.
Gianna, dall’altra parte della cornetta, esitò
quel secondo di troppo che le tolse l’illusione di poter
risolvere il problema in fretta.
– È appena arrivata la delegazione giapponese,
temo che le camere degli ospiti siano ormai occupate.
– Che devo fare, andare in piscina? – Sussulto
dall’altra parte. Ricompose la voce: –
Vabbè, scusa, non ce l’ho con te
Gianna… Manda l’idraulico appena può.
Corin riagganciò la cornetta. Scocciata, afferrò
una tuta dall’armadio, tolse l’accappatoio,
raccattò tutto l’occorrente per fare il bagno
altrove e si chiuse la porta della stanza alle spalle. Terme, almeno
quelle sarebbero state libere…
A metà corridoio, nel togliere l’ennesimo ago di
pino, notò che aveva ancora la spazzola incastrata nei
capelli. La tirò via con uno strattone e la aggiunse al
mucchio che teneva tra le braccia.
Scesa di un piano, colse il soave rumore di uno scroscio
d’acqua provenire da una stanza molto nota. Proprio per puro
caso, Santiago era affacciato sulla soglia a fumare.
– Bimba, te l’ho mai detto quanto mi piaci in
tutona?
– A te va l’acqua?
Santiago spense la sigaretta stritolandola nella mano, con
l’altro braccio appoggiato alla parete.
– Per ora sì.
– Cosa vuol dire “per ora”?
– Gianna mi ha appena detto che ci sono problemi col boiler,
ha anche chiuso le terme perché manca acqua calda. Credo ce
ne sia abbastanza solo per una vasca.
– Ah…
Quindi niente terme. Quanto ci avrebbe messo in macchina per arrivare
alla piscina comunale? Sussultò quando si accorse che
Santiago la sovrastava, frugando fra i suoi capelli in cerca di altri
rametti. Oh, aveva una canottiera nera.
– Certo, sarebbe un sacrificio ma credo di poterti cedere un
po’ della mia acqua calda. Tanto ormai sei di casa, no?
– Non vorrei…
– Es un
placer para mi.
Corin entrò nella stanza: il rumore dell’acqua
aumentò di intensità, accompagnato
da…un profumo di rose? Santiago, chiusa la porta, parve
dimenticarsi completamente di lei: si era sdraiato sul letto con un
libro in mano. Corin vide con la coda dell’occhio che era uno dei
suoi, “Crepuscolo rosso sangue”.
Ridacchiò e si diresse verso la porta del bagno, da cui
filtrava una luce calda e tenue: attorno alla vasca c’erano
almeno una decina di candele profumate alle rose. La vasca, poi, non
era quella a cui era abituata, ma una dove sarebbero entrati
tranquillamente Santiago e Felix contemporaneamente. Ok, paragone
orribile.
Comunque era spaziosa.
– Non ricordavo che avessi l’abitudine di fare il
bagno in modo così raffinato, Tiago.
– Sai, se per caso si presentasse qualche bella ragazza che
non risponde “ah” o “non
vorrei” a un calientissimo
hombre che ti fa entrare in camera sua dicendo che
c’è “acqua calda sufficiente per una
sola vasca”. – Non aveva nemmeno alzato la testa
dal libro – Poi chiudi la porta che il rumore dello scroscio
mi distrae. Il tenebroso Laurence sta per svelare all’orfana
Marie il suo terribile segreto.
Corin rimase immobile, ancora col fagotto della sua roba tra le
braccia. Poi, imbambolata, chiuse la porta.
Bene.
Aveva un’enorme vasca di acqua calda,
tranquillità, candele. Guardò l’acqua
scrosciare, la porta chiusa e le fiammelle che tremolavano. Si
lisciò una ciocca con le dita e tolse l’ennesimo
rametto.
Bene un corno, idiota.
Cinco, cuatro, tres,
dos…
– Ehm…
La sua bimba imbranata era davanti al letto, con i capelli arruffati e
una spazzola in mano.
– Mi…mi daresti una mano a pettinarli?
Santiago mascherò un sorriso dietro alla copertina del
libro. Accavallò le gambe e girò sulla pagina
successiva.
– Non lo so, la storia è molto coinvolgente. Diablo! Avresti mai
detto che Laurence era un vampiro?
Alzò gli occhi per sbirciare giusto oltre il bordo delle
pagine. Corin aveva la bocca semiaperta e la spazzola stretta nelle
mani, le dita che giochicchiavano con i dentini.
Le avrebbe tolto quella tuta in tre secondi. Tolto la tuta e afferrato
tutti quei capelli neri arruffati.
Ten un poco de
paciencia, Tiago.
– Allora…allora non ti disturbo.
Corin arretrò verso la porta del bagno. Santiago si
passò con finta noncuranza una mano sulla cintola e poi
sotto la canottiera. L’effetto fu una ritirata precipitosa di
Corin dentro il bagno e la porta sbattuta.
Un poquito
más de paciencia…
Continuò a tenere d’occhio la situazione da sopra
il libro, mentre leggeva distrattamente di Marie portata da Laurence a
velocità soprannaturale tra i comignoli di Londra.
Un cigolio lo mise in allerta: la porta si era riaperta per uno
spiraglio, ma non riusciva a vedere Corin dietro. Lo spiraglio si
allargò piano piano, finché nella luce
non inquadrò la schiena di Corin, coperta di capelli.
Solo di capelli.
La spira d'ombra che aveva aperto la porta si ritrasse nel resto della massa
nera. Corin, seduta sul bordo della vasca, spostò i capelli
dalla schiena, facendoli scivolare sopra una spalla. Si
voltò appena, in modo che la luce della candela le
illuminasse una guancia e il profilo del naso.
– Credevo che volessi sapere come andava avanti il libro.
– Mi sono ricordato che ho un credito da esigere. –
Le sfiorò il seno con le dita. – Certo, se vuoi
raccontarmi tu come va avanti la storia, che sei così
brava…
La risposta fu la canottiera nera mandata a far compagnia alla tuta sul
tappeto, seguita a ruota dai pantaloni.
L’acqua strabordò fino a lambire la base delle
candele. Santiago ne prese un po’ nella mano a coppa e la
lasciò cadere sulla schiena di Corin. Lei si stese contro il
suo petto, con i capelli neri che si allargavano nell’acqua
attorno a loro.
– Non ci posso credere.
– Cosa?
– Sono qui che faccio cose, come dice Laurence?, sconvenienti, e
ancora non è arrivato nessuno schiaffo.
Corin rise, sfiorando la sua coscia con le dita. Appoggiò la
testa sulla spalla di Santiago, che ne approfittò per
versarle altra acqua in faccia. Lei chiuse gli occhi e rise di nuovo,
in un modo talmente bello che andava baciata. Quando le loro labbra si
staccarono, Corin lo stava fissando dal profondo degli occhi neri,
pensierosa.
– Non credo di averti mai detto quanto sei bello. –
la sua mano indugiò sul ginocchio. – Lo penso
tutte le volte ma non riesco a dirlo, – tornò ad
appoggiare la testa nell’incavo del collo, – forse
perché mi imbambolo a pensarlo e ancora non ci credo.
L’acqua scrosciava in mezzo al vapore e alla schiuma.
Santiago le passò un dito sulla curva appena accennata del
seno, sulla pancia e poi giù, tra le cosce.
– Davvero? E cosa ho di tanto bello?
Gli strusciò il naso sul collo.
– Mi piace avere un posto comodo dove appoggiare la testa.
– Solo quello? – La sollevò leggermente,
facendole divaricare le gambe. Il gemito di Corin gli arrivò
soffocato tra i capelli. Indugiò ancora un attimo con la
mano sull’inguine, poi le strinse il seno e la
tirò ancora di più contro di sé.
Quando la superficie dell’acqua tornò quieta, le
candele si erano spente quasi tutte. Santiago le cacciò in
terra con un colpo di braccio e appoggiò la testa contro la
sponda della vasca.
Corin si girò e gli montò sopra a cavalcioni. I
capelli erano bagnati e ancora più spettinati di prima; cadevano sulla fronte e sul naso, e in mezzo alle ciocche nere le
brillavano gli occhi. Gli sfiorava con le dita le linee dei muscoli,
della mascella, delle labbra.
“Forse
perché mi imbambolo a pensarlo e ancora non ci
credo.”
– Non è ora che ti pettini? Guarda che ti vengono
le rughette sui polpastrelli, se stai troppo in acqua.
Per tutta risposta Corin gli mandò uno schizzo in faccia. Le
prese i polsi e lei provò a divincolarsi, ma lo sforzo
servì solo a smuovere l’acqua… e altro.
Non fu difficile bloccarle le braccia sulla schiena e vedere quello sguardo nei
suoi occhi.
– Eccola servita, principessa. Vado a prenderle il phon.
Corin si passò le dita tra i capelli e gioì nel
sentirli finalmente lisci e senza oggetti estranei. Nella vasca,
l’acqua rimasta stava finendo di gorgogliare nello scarico,
mentre i rimasugli di schiuma scoppiettavano sul fondo. Santiago le
aveva prestato una maglietta (che si era tirata già
più di una volta sul naso per immergersi nel profumo),
l’aveva fatta accomodare sul letto e aveva cominciato con
pazienza a districare la massa informe. A ogni colpo di spazzola sulla
nuca si sarebbe messa a fare le fusa, quindi non riuscì a
trattenere un lamento quando Santiago interruppe il lavoro con il suo
annuncio. Lui se ne accorse e mise su il suo solito sorriso.
– Insomma, bimba, non posso stare qui tutto il giorno, ho il
tenebroso Laurence che mi aspetta!
Corin lo spinse sul materasso e gli tirò indietro i ricci
con le mani, stampandogli un bacio sulla bocca.
– Laurence muore per salvare Marie ma in realtà
non è morto perché la forza dell’amore
lo fa ritornare umano e possono sposarsi e vivere felici e contenti
fine. Ops, spoiler.
Santiago rise come un matto e la ribaltò sul letto sotto di
lui.
Solo un’oretta (e un’altra pettinata) dopo, il
primo getto di aria calda le gonfiò la maglietta.
fffffffffffffffffffffffffon
La tana di Otto
Capita che una fanwriter si fissi su un certo argomento, e capita pure
che altre fanwriter, invece che curare l'ossessione, comincino a dare
corda alla pazza. Così un espediente che doveva rimanere
confinato alla primissima storia su Corin e Santiago (e solo
perché lei era stata buttata in un pozzo pieno di cadaveri)
è diventato un tormentone. Capita poi che la fanwriter ci
provi a glissare elegantemente alla fine di un'altra rossa, sperando di
cavarsela. E invece si ritrova con una serie di falchi scrutatori sopra
le spalle e una vasca da far riempire.
Contente, falchi scrutatori?
La canzone citata all'inizio e alla fine della storia è "Lo Shampoo"
di Giorgio Gaber.
Come al solito, grazie davvero a chi ha letto! Prometto che adesso
ritorno a scrivere cose serie e meno monotematiche (seh...)
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Capitolo 3 *** Pesce da lenza uh-ah-ah! ***
Pesce da lenza
uh-ah-ah!
- Signorina
Corin!
Corin si
fermò di fronte alla scrivania di Gianna. Santiago, qualche
passo davanti a lei, si voltò e si mise fermo ad aspettarla.
Gianna le
porse un pacco avvolto in una carta pregiata. Il nastro che lo
chiudeva, di un verde cupo, era fissato con un sigillo di ceralacca.
-
È per me?
-
Sì, dall'Inghilterra.
Corin
sorrise e le si illuminarono gli occhi.
- Da parte
del professor Alistair! Saranno libri? Cielo, e se avesse trovato il
ciclo del cavaliere fantasma? Santiago, forse c'è il
cavaliere fantasma!
Santiago le
sorrise di rimando, ma più per mascherare la smorfia che gli
era comparsa in faccia nel sentire il nome di quella specie di bacalao inglese.
- Aspetta,
cerco un tavolo dove appoggiarmi, andiamo in salone.
Corin corse
verso la sala dei troni con il pacco stretto al petto.
-
Però è strano, sembra leggero
per contenere libri.
Il pacco
atterrò sul tavolo del salone. Demetri era lì che
leggeva Quattroruote. Dall'altro lato, Chelsea sferruzzava una
sciarpina, con Afton che le reggeva la matassa e Renata che sfogliava
l'album dei cartamodelli.
-
Novità, Corin?
- Un pacco
dal professore.
- Che bello!
Altri libri?
- Boh,
dicevo prima a Tiago che pesa poco. Forse sono un'edizione con
copertina morbida...
Corin tolse
il sigillo e svelò una scatola di cartoncino.
Aprì il coperchio. Santiago, da sopra la sua spalla, vide
una lettera piegata in due e qualcosa coperto da un foglio di carta
velina. Corin lesse in fretta la lettera e sgranò gli occhi.
- Oh...
- Che
succede, bimba?
Lo stupore
lasciò il posto di nuovo all'entusiasmo. Decisamente troppo
entusiasmo.
- Mi ha
invitato nella sua magione per un weekend di lettura davanti al
caminetto, senza scocciatori che ci disturbino.
Santiago si
sforzò ma mantenne un'espressione cordiale. Nonostante
ciò, la sua voce uscì accompagnata da un tono fin
troppo mellifluo.
- Che
pensiero gentile...
-
Però non capisco il secondo pezzo. Mi dice di
indossare il vestito che mi ha allegato alla lettera, sarà
questo?
Corin
strappò via la carta velina e, sotto, comparve una deliziosa
divisa da scolaretta inglese. Demetri aveva ancora Quattroruote aperto
davanti al naso, ma gli occhi saettavano sul vestito e su Corin, che si
stava provando la giacchetta della divisa.
- Secondo te
che vorrà dire, Tiago?
- Vuol dire
che a quello stronzo inglese voy
a romper el culo!
Corin lo
fissò intristita.
- Ma
Santiago, non essere così scortese. Il
professore è sempre così gentile con me… -
Brughiera inglese, pioggia: una
figuretta fradicia entra in un grosso salone col camino acceso. Davanti
al fuoco, seduto su una poltrona di velluto, un uomo biondo legge un
grosso tomo rosso passione. La figuretta intimidita, una ragazza dai
lunghi capelli neri, rimane in piedi dietro la poltrona.
- P-professore.
- Scolara, sei in ritardo.
- S-si è messo a
piovere, e venendo qui a piedi mi sono bagnata tutta…
L’uomo biondo posa il
libro sulle ginocchia e si gira. La ragazza si stringe nella giacchetta
di una divisa scolastica, con la gonna a piegoline che le aderisce alle
cosce e la camicia attraverso cui si intravede un casto reggiseno di
pizzo bianco.
- Scolara, ti prenderai un
malanno se rimani così tutta la sera.
- M-ma, professore?
- Avvicinati al fuoco e togliti
quella divisa, non ti servirà per
“leggere” – l’uomo lo dice con
un tono di voce più basso.
La ragazza si avvicina e,
impaurita, inizia a sfilarsi la giacchetta. L’uomo biondo
sorride lascivo.
- Sei stata molto cattiva ad
arrivare in ritardo, scolara…
Santiago le
strappò il biglietto di mano.
- Gliela do io la gentilezza, al professore!
Corin aveva
nascosto il viso sotto i capelli. Dei singhiozzi cominciarono a
scuoterle le spalle.
- Santiago,
che scene di gelosia latina, non me lo sarei mai aspettato da te!
– Chelsea aveva posato il lavoro e lo squadrava con disprezzo.
- Pero vamos! Mancava
solo che scrivesse…
Dispiegò
il biglietto.
Su cui
campeggiava un grosso, grossissimo pesce.
Scoppiarono
a ridere tutti.
- Sempre
detto che sei crudele, bimba.
- Mi sento
un po’ in colpa per il professore, adesso.
- Chi non sa
non soffre.
Santiago la
abbracciò e le diede un bacio sul collo. Lei lo
fermò con la mano.
- Aspetta,
devo rispedire indietro la divisa! – indicò la
scatola sul cassettone.
- Io avrei
un’idea migliore, colegiala…
La tana di Otto
Pesce d'aprile!
Chiacchierando stamattina l'idea è sbucata così,
spontanea. Da qui la flash per celebrare la giornata.
Il titolo è una citazione da "Alla ricerca di Nemo".
E su come mai Tiago sia geloso e Corin chiami Alistair "professore", il
tutto è spiegato qui
Buon primo aprile a tutti :D
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Capitolo 5 *** Hasta luego Santiago ***
- Spiegami ancora esattamente il senso di quello che sto
facendo.
Corin spruzzò sulla schiena di Santiago un getto
di auto-abbronzante e cominciò a spalmarlo con le dita: la
pelle del vampiro assunse una sfumatura color ambra.
- È una questione di travestimento, bimba. Ay, qué belleza…
sì, passa ancora un attimo sulla scapola…
- Ti chiederei se c’entra con quei vestiti atroci
che ti ha portato prima Chelsea, o con le tue trame assieme a Felix, ma
ho paura della risposta. Comunque, sei sicuro che queste cose
funzionino anche sui vampiri? Alza le braccia.
Santiago obbedì, e Corin spruzzò altre
due volte la crema sui suoi fianchi.
- Dovrebbe, almeno per una serata.
- Sei peggio di quegli italoamericani tamarri di MTV. Ti
chiamerò Jionny! – Corin ridacchiò e
mise il tappo alla bomboletta. – Bene, finito.
- Come “finito”?
- Dai, al resto ci arrivi da solo, ho già le mani
arancioni, - mostrò i palmi a Santiago e se li
strofinò sulle cosce. Il vampiro si girò e tese
un braccio per non farla scendere dal letto.
- Querida,
non sarò mai latino come in questo momento.
- Non toccarmi che mi macchi! – Corin tese la
bomboletta di fronte a sé per farsi da
scudo. – Avvicinati e giuro che spruzzo.
- Davvero?
Lo spray gli arrivò in faccia e sul petto, prima
che Santiago riuscisse ad alzarle le mani, e la bomboletta, sopra la
testa. La gettò sul letto e le salì sopra,
strofinando le guance contro le sue.
- Scemo, scemo, scemo, piantala!
- Signor… signor Drudi?
Gianni posò il bicchiere di Montenegro sul
tavolino del bar. Dietro di lui stavano due bestioni, uno biondo e
l’altro moro, tutti e due abbronzatissimi ed eleganti come si
conviene alla riviera. E l’avevano riconosciuto.
- Sì, esattamente.
Il biondo si gettò ai suoi piedi con aria
adorante.
- Maestro! Quanto desideravo conoscerla! La prego, firmi
qua, - e si sollevò la maglia rivelando una tartaruga da
culturista decorata con una serie notevole di tatuaggi. Gianni prese il
pennarello che il biondo gli stava porgendo e trovò un posto
per la sua firma in mezzo a tutta quella roba.
- A chi devo dedicarlo?
- A Felix.
- Perfetto.
Finì con uno svolazzo e restituì il
pennarello a Felix. Quello aveva il sorriso da squalo più
contento del mondo.
- E… se posso chiedere…
- Ma certo!
- Per il concerto di stasera la fa “Prendi la
pecora”, vero?
- Ti voglio in prima fila a fare il ballo di gruppo.
- Fantastico!
Nel frattempo l’altro aveva finito una sigaretta e
la stava schiacciando sotto la punta dello stivale pitonato.
- E te, hai una canzone che vorresti sentire stasera?
- No, non in particolare.
Doveva essere sudamericano. Così si spiegava
l’abbronzatura, messa in risalto dalla camicia bianca aperta
sul petto, e l’accento marcato. Il sudamericano si accese
un’altra sigaretta e si rivolse al biondo.
- Vado a tenerci i posti sotto il palco. Hasta luego Drudi.
- Beh, Felix, lasciami finire questo per schiarire la voce e
vi raggiungo subito. Peccato, avrei voluto dedicare qualcosa anche a
lui.
Si girò di nuovo verso il biondo, che sorrideva
come se gli fosse venuta in mente la cosa più geniale del
mondo.
- Santiago è solo timido, ma in realtà
sogna da sempre una canzone sulla sua storia fatta da lei, maestro, ma
adesso che l’ha vista gli è mancato il coraggio di
chiedere…
- Davvero?
- Deve sapere che è un marinaio…
Quando Gianni finì il concerto, quella sera,
tornò al tavolino del bar e si mise a scribacchiare
furiosamente su un volantino di reclame di una serata al Papeete. Si
avvicinò una delle cameriere e portò via il
bicchiere vuoto.
- Tra poco si chiude.
- Sì, sì va bene. –
Rilesse tutto e sorrise, soddisfatto.
- Ahora
basta, che succede?
Santiago si sedette di fronte a Chelsea e Corin, le ennesime
ad aver chiuso di scatto il computer portatile al suo arrivo nella
stanza. Come in tutte le scenate succulente in sala comune, gli altri
presenti tesero le orecchie.
- Niente, cosa deve succedere?
- Succede che da una settimana mi state nascondendo qualcosa
e mi piacerebbe sapere cosa.
- Tiago, da quando sei diventato complottista?
- Complottista mis bolas!
- Che mai ti dovremmo nascondere?
- Ay ay ay
che follia… - Corin pronunciò la
frase e tutte e due le ragazze scoppiarono in una risata incontenibile.
- Corin, bimba, non sono mai stato molto paziente.
- Corin, per me devi parlare. – Demetri si sporse
dal divano.
- Eh, metti mai che ti neghi le sue grazie da spogliare
nelle notti più serene…
- Ma no, lui l’amore lo sa dare senza lacci
né catene.
- Io non disprezzerei nemmeno i grandi mondi da
saggiare…
- O le vertigini di tango.
Ok, quell’affare puzzava tantissimo di Felix, che
infatti era comparso sulla porta della stanza con uno stereo.
- Fel, que
diablo…
- Zitto. Ascolta il maestro.
Mise un cd masterizzato nel lettore e partì la
musica, con tutti girati a godersi la sua faccia, mentre cominciava
l’intro con flauto di pan e chitarra. Quando finì
il cd nessuno osava mettersi a ridere per primo.
- Esta
musica de fuego brucia lacrime di drago!
Aro era comparso sulla porta e batteva le mani, deliziato.
La tana di Otto
Salve, salve. Oggi ho voluto mettervi a conoscenza di un cantautore
italiano fin troppo sconosciuto e bistrattato, in realtà ai
livelli del genio ermetico tedesco Gunter o della superba Ilona
Staller, impegnata non solo in politica.
Stiamo parlando ovviamente di Gianni Drudi, compositore di immortali
capolavori quali Prendi la
pecora, Tiramisù
la banana col bacio e, appunto Hasta
luego Santiago. L'idea della storia è partita
esattamente da questa canzone, di cui vi incollo il testo sotto. Alcune
delle ultime battute sono prese proprio pari-pari dal capolavoro. Tiago
dice che FElix può prenderlo per il culo quanto vuole, ma
intanto lui la canzone dedicata di Drudi non ce l'ha.
Felix, il vero grande fan del cantautore, ha convinto Tiago
ad accompagnarlo al concerto di Cesenatico. Sul perché si
siano conciati così presto detto: la mia ottima consulente
di stile Dragana teneva molto che non facessero brutta figura,
così mi ha suggerito la mise più adatta.
Perché al birro romagnolo Jersey Shore gli fa un baffo!
Grazie come sempre a chi passa per questi lidi!
Sulle note d'un charango che ti sanno lusingare
se ci penso quasi piango ma chi può dimenticare
le sue grazie da spogliare nelle notti più serene
fra caligini già chiare di salsedini cilene.
RIT
Hasta luego Santiago (ay ay ay che magia!)
quanto più che mi ci svago (questa vita vola via)
hasta luego santiago (ay ay ay che follia!)
quando sai che non le pago la sua languida bugia
sulle gioie di un fandango si lasciava corteggiare
tra vertigini di tango nei voleri d'oltremare
grandi mondi puoi saggiare già che sciogli le gomene
se l'amore lo sai dare senza lacci né catene.
Hasta luego Santiago (ay ay ay che magia!)
quanto più che mi ci svago (questa vita vola via)
hasta luego Santiago (ay ay ay che follia!)
quando sai che non le pago la sua languida bugia
Hasta luego Santiago, hasta luego Santiago
tanto lei non è più mia
ay ay ay ay ay ay
ay ay ay ay ay ay
ay ay ay ay ay ay
sulle note di un charango che ti sanno lusingare
se ci penso quasi piango ma chi può dimenticare
le sue grazie da spogliare nelle notti più serene
fra caligini già chiare di salsedini cilene.
Hasta luego Santiago (ay ay ay che magia!)
quanto più che mi ci svago (questa vita vola via)
hasta luego Santiago (ay ay ay che follia!)
quando sai che non le pago la sua languida bugia
esta música de fuego brucia lacrime di drago
hasta luego Santiago
ay ay ay ay ay ay
ay ay ay ay ay ay
ay ay ay ay ay ay
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Capitolo 6 *** Italia-Spagna ***
Pre-partita
La mattina stessa, Corin si era presentata nella sala comune con una
polo giallo accecante e un paio di pantalocini rossi. L'effetto della
stoffa ondeggiante fu più o meno lo stesso del
drappo sventolato durante le corride.
- Bimba, sei una provocazione ambulante così.
Santiago le si avvicinò e le mise le mani sui fianchi. Corin,
però, fermò la presa e lo guardò, col
suo sorriso metà malizioso e metà intimidito, che
superò pure pantaloncini, toreri e corride.
- No.
- No?
- Questo è un premio di festeggiamento, sempre se ci
sarà qualcosa da festeggiare...
- Fantasmino, preparati a essere il premio di consolazione. - Felix
passò alle loro spalle con un bandierone tricolore.
- Ma se non sei nemmeno italiano!
- Sono su suolo italiano da molti più anni di Balotelli. E
ora, scusate...
Lo fecero passare, e scorsero in fondo al corridoio Caius che stava
sintonizzando il maxischermo, con gettata sulle spalle una maglia
azzurra.
- Devo ammetterlo, Tiago, mi sentirei più sicura a tifare
con te se fossimo in Alaska da Carmen ed Eleazar.
Fine primo tempo
Santiago era stato fin troppo buono. Aveva perfino elogiato
qualche occasione dell'Italia, e poi se n'era stato in disparte, a subire
senza reazioni di sorta le occhiatacce di Felix. Al secondo gol Corin
lo aveva sentito distintamente soffocare un grido di esultanza. Quando
l'arbitro fischiò la fine primo tempo, però, si
chinò verso di lei.
- Mi sa che è ora di tagliare la corda...
- Cosa?
- Tu fidati.
Se la prese in braccio e corse a perdifiato fino al garage, dove
presero una macchinona rossa e uscirono, guidando come pazzi per le vie
della città deserta e poi per la strada delle colline.
Arrivarono alla pieve da dove Heidi faceva entrare le comitive. Allora
Santiago le accarezzò i capelli, poi il collo e poi la
spalla sotto la maglietta. Ma lei lo fermò di nuovo.
- Vamonos,
bimba! Es obvio que
ganamos!
- Potrebbe esserci una rimonta.
Santiago sbuffò e si mise a giocherellare con la spallina
del reggiseno di Corin, mentre lei sincronizzava l'autoradio.
"Allora, primo tempo di sofferenza per l'Italia..."
Ultimi minuti
- Aspetta...
- Cosa?
Santiago sporse l'orecchio, come a captare un suono distantissimo.
- Senti? Arrivano bestemmioni fin qui!
Corin rise e abbassò di qualche tacca il volume
dell'autoradio, dove il commentatore abbacchiatissimo tentava di dire
qualcosa sul 3 a 0 appena rifilato alla squadra italiana.
- Ahora,
possiamo dire che abbiamo vinto?
- Mh, fammi pensare ancora un po'
- Brava, tu pensa con calma...- Santiago le sollevò la
maglietta giusto lo spazio per seguire con due dita l'orlo dei
pantaloncini. Corin gli fermò la mano, ma prima che lui
potesse protestare lo baciò, e cominciò ad
armeggiare attorno alla sua cintura.
- E all'88' è GOL, gol di Juan Mata! Quattro a zero per
la Spagna!
- Que sì,
joder!
Scritta con enorme sofferenza in presa diretta, condita con scambio di
messaggini e risatine nervose e occhiatacce per le risatine nervose che
non facevano che aumentare le suddette. Insomma, le abbiamo prese
sonoramente ma ci siamo divertiti.
Io e Felix avremmo spento in fronte a Tiago una sigaretta, ma ci
limitiamo a dire "vedrete tra due anni!"
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Capitolo 7 *** La terza volta (I parte) ***
La terza volta
Prima parte
A Fila, tantissimi auguri di
buon compleanno!
Corin aveva subito solamente due cotte nella sua breve vita
umana: la prima a otto anni, per il Professore, che aveva un sacco di
libri e un castello. Era sicurissima che si sarebbe presentato di nuovo
al parco, con un cavallo bianco per lui e una puledra per lei, e
avrebbero cavalcato assieme verso un orizzonte pieno di avventure.
La seconda era stata per Steven, il fratello maggiore di Theresa, la
ragazza della stanza di fronte alla sua in collegio. Steven aveva avuto
la sciagurata idea di farla accomodare in poltrona e aggiungere qualche
parola su come fosse una signorina molto graziosa. Corin aveva allora
adottato la tecnica di Guance
di porpora, riccioli d’oro, in cui la timida
Sabrina conquistava il bel Simon (Steven, Simon, due nomi e due esse.
Coincidenze? Certo che no) con la forza della sua pazienza. In
concreto, insomma, non aveva fatto nulla.
Quando Theresa le aveva detto, tre mesi dopo, che Steven si era
fidanzato con una tale Suzanne (Sabrina e Suzanne, avrebbe dovuto
immaginarlo) aveva pianto come una fontana, gettato dalla finestra Guance di porpora e
maledetto Steven per essere stato così ambiguo con lei ed
averle spezzato il cuore. Finite le lacrime, aveva preso consapevolezza
di essere diventata donna: giurò al mondo che non sarebbe
più cascata in balia di tali sciocchi sentimentalismi.
L’aveva anche scritto nel suo diario, “Le lacrime
hanno lavato via la fanciulla ingenua”.
Vent’anni dopo, l’unica cosa scritta sul suo diario
era “Missione con Santiago”, semplice e laconico.
- Mi stai esaminando, signorina Wates?
- Eh?
Corin spostò lo sguardo dal diario a Santiago, seduto
davanti a lei.
- Mi stai scrutando da un sacco, mentre fai finta di leggere. Mi trovi
bello? - Santiago si accese una sigaretta e si appoggiò allo
schienale della sedia. Si era fatto la coda, quella sera. In
realtà continuava a farsela e disfarsela, tra una sigaretta
e l’altra. Corin avrebbe scommesso la sua
immortalità che lei quando si aggiustava i capelli non
faceva lo stesso effetto, e la popolazione femminile del locale
concordava.
- Non proprio.
- Ah, “non proprio”.
- Scusa, forse sono stata scortese. Avrei dovuto dire che i gusti
variano.
Lui si mise a ridere. Aveva un modo tutto suo di farlo: si passava una
mano sulla fronte e fra i riccioli, chinava la testa
all’indietro e rideva di pancia, con gusto. Mi trovi bello?
Fosse anche stato, la situazione era molto semplice: lui era bello, lei
no. Tutto laconico e semplice, come l’appunto sul suo diario.
Corin abbassò gli occhi di nuovo.
- Dovresti ridere di più, Corin. Ridi mai?
- Come?
- Lascia stare, fammi dare un’occhiata al locale, si avvicina
l’ora in cui dovrebbe arrivare l’amico che stiamo
aspettando.
Essere sotto l’esame di qualcuno la agitava. Non si era mai
sentita sotto esame. Le poche volte che lo era stata, non le importava
molto dell’opinione che qualcuno poteva farsi di lei, tanto
se la sarebbe dimenticata qualche ora dopo. Nemmeno lei giudicava molto
gli altri. Aveva tante idee, osservava in pace per ore quello che
succedeva, ma avrebbe risposto soltanto se interpellata direttamente,
non di sua spontanea volontà. Ridi mai? Quando
sono contenta, che domande. Però tra tutte le osservazioni,
quella. Quindi al mondo esterno appariva come una che rideva poco.
Chissà se qualcun altro lo aveva pensato e mai detto.
Chissà se lo avevano mai pensato suo padre, la sua matrigna
o nonna Gloria.
Santiago lo pensava, e per la prima volta anche per lei divenne un
cruccio.
- Ok, è arrivato. No, fai finta che non ti abbia detto
nulla, continua a guardare il diario come se niente fosse.
Corin obbedì.
- Concentrati sul suo odore: ha un maglione di lana, deve lavorare
vicino al porto perché è intriso di salsedine. Ha
le scarpe piene di catrame e sta ordinando ora una birra.
Corin si concentrò chiudendo gli occhi: il locale era
piccolo, rumoroso e affollato, ma pian piano riconobbe e distinse dal
resto gli odori della loro preda. Sbirciò per un secondo
sopra il diario, nella direzione in cui guardava Santiago, e lo
riconobbe subito.
- Pelato, con la barba rossiccia?
- Esatto, bimba.
- Ti sei dimenticato di dire che puzza di tabacco. –
approfittò del momento di distrazione di Santiago per
rubargli la sigaretta e spegnerla nel posacenere. – Non
capirò mai questo tuo stupido vizio da umano. Quindi?
Santiago le scoccò un’occhiataccia e
tirò fuori di nuovo pacchetto e accendino.
- Guarda con discrezione il tavolo all’angolo. Ci sono tre
uomini e una ragazza molto ubriaca.
Non serviva guardarli, la ragazza era molto più che ubriaca
e da un’ora si sentivano le sue risate sguaiatissime
rimbombare in tutto il bar. I tipi con lei assecondavano la cagnara, ma
le loro espressioni e l’odore di ansia erano inconfondibili.
- Sono i contatti del nostro amico. Secondo i loro piani, tra dieci
minuti gli lasceranno la ragazza. Secondo i nostri… - si
accese una sigaretta e tirò la prima boccata. Poi, invece
che continuare, la mise in mano a Corin. - … lasceremo il
nostro altro amichetto senza cena.
- E questa?
- Quando si sarà consumata fino alle tue belle manine,
bimba, esci di qui e insegui l’uomo al bancone. Per gli altri
tre, lascia fare al maestro. – mise su il suo sorriso
criminale e si alzò dal tavolo. Corin rimase con la
sigaretta sospesa tra pollice e indice, senza sapere bene nemmeno come
reggerla. In pochi secondi Santiago era al tavolo dei quattro. La
ragazza fece sapere al mondo che la cosa non le dispiaceva affatto, ma
i tre erano ancora più agitati di prima. Di sicuro Santiago
avrebbe agito come il prode bandito gentiluomo Jordan quando, con la
sua parlantina e una droga versata nel rum del capitano Richards, si
era fatto svelare l’esistenza del passaggio segreto nella
fortezza inglese a Maracaibo.
- Hola,
stronzi.
Oh cielo.
- E tu chi cazzo saresti?
- Ma niente, passavo di qui e mi hanno detto che facevano un concorso
di facce di merda. Hermosa,
ovviamente non parlo di te.
La ragazza rise ancora, mentre tentava di bere l’ennesimo
bicchiere (le finì più a terra che in bocca), ma
sul resto del locale era calato il silenzio. Il biondo dei tre si
alzò in piedi e diede una pacca sulla spalla a Santiago, il
gesto meno amichevole e spontaneo che Corin avesse mai visto.
- Senti, è ora che ti levi dai piedi.
- Ehi, calma, non serve agitarsi così, me ne vado. Me la
saluti tu tua madre, che ieri sera non ho fatto in tempo?
Il biondo scattò in avanti, facendo cadere la sedia. Estrasse
dai pantaloni una pistola e la puntò contro la fronte di
Santiago.
- Adesso basta stronzate.
Anche la ragazza aveva smesso di ridere. cominciò a
mormorare – Mio dio, miodio, mio dio…
Corin guardò come reagiva l’uomo al bancone: se
possibile, era ancora più pallido e teso dei tre al tavolo.
L’unico non agitato in tutto il locale era Santiago. Anzi, si
stava divertendo come un matto.
- Amigo,
attento! Potresti fare del male a qualcuno. – Prese la canna
della pistola e la abbassò fino al cuore.
- Ti scarico il caricatore in petto, stronzo.
- Dai, provaci, è molto divertente quando qualcuno ci prova.
Sparami.
- Tom, sparagli, te lo sta chiedendo lui. - Aveva parlato uno degli
altri due, un tizio coi baffi.
-Ecco, ascolta il tuo amico, Tom! Dai, - Santiago strinse la canna con
le mani – hasta
que sientes el click. – e deformò la
canna con la stretta delle dita.
Tom-il-biondo-con-la-pistola sbiancò, la mano che reggeva
l’arma tremava. Santiago rise come prima, con la testa
chinata indietro. Poi mollò il primo pugno.
Mentre il bar si trasformava in una massa informe di corpi ammassati e
vetri rotti (ecco, quello era esattamente come nei suoi libri), Corin
si limitò a spostarsi leggermente a destra quando le
passò vicino un boccale di birra, che si frantumò
sulla parete alle sue spalle.
- Ahi! – sentì come una puntura alle dita: la
brace della sigaretta si era consumata fino ai polpastrelli.
Guardò verso il bancone in cerca dell’uomo, ma non
riuscì a vedere nemmeno il bancone. Allora si
concentrò sull’odore che Santiago le aveva
descritto prima.
Lana, salsedine,
catrame, birra, tabacco…
Scivolò nell’ombra sotto il tavolo, si fuse con
essa e passò per le intercapedini tra le assi di legno,
lungo la parete fino a una finestrella, poi nel vicolo dietro al locale.
Lana, salsedine,
catrame, birra, tabacco…
Qualche isolato più avanti, agli odori si aggiunse un
respiro affannato. Voltato un angolo di mattoni rossi, lo
trovò appoggiato a un muro che si teneva il petto. Corin
rimase acquattata dietro un tombino, in attesa. L’uomo si
strinse di più nel giaccone e si guardò attorno.
Pochi minuti dopo, dei passi risuonarono sull’asfalto. Passi
pesanti, da mortale. L’uomo si staccò da muro e
cominciò a lisciarsi la pelata con nervosismo.
- Luke, mi avvicinavo con calma e non ho potuto fare a meno di notare
che sei da solo. Come devo interpretare questa cosa? – era un
uomo di mezza età, con i capelli brillantinati. Sarebbe
stato vestito con una certa eleganza, se il completo non avesse
mostrato di non vedere una lavanderia da mesi.
- Senti, è successo un casino stasera. - Luke
lana-salsedine-catrame-birra-tabacco tentò di accendersi una
sigaretta, ma gli tremavano così forte le mani che la
fiammella non riusciva ad accendere la punta. –
Quegli idioti mi avevano portato una ragazza, come mi avevi chiesto, ma
poi è arrivato una specie di gigante ispanico. Doveva essere
ubriaco fradicio, perché ha tentato di scatenare una rissa
in tutti i modi e, beh, ci è riuscito benissimo…
G-grazie. – l’uomo elegante si era avvicinato con
un fiammifero e gli aveva acceso la sigaretta. Peccato che la vicinanza
avesse annullato del tutto l’effetto calmante del tabacco.
Luke guardava ovunque pur di non incrociare lo sguardo del suo
interlocutore. – Senti, ehi, non è grave. Conosco
un posto qui vicino che è pieno di puttane e di lavoratori
della miniera. La polizia non muoverà nemmeno un agente se
trovano qualche morto, figurati! L’altro giorno hanno
ripescato un bambino con la faccia mangiata dai topi. Te ne porto una
in poche ore, il tempo di prendere un taxi fin là.
Bene, ora.
Corin riprese consistenza e allungò le ombre dei tombini in
modo che sfiorassero le gambe dei due. Brillantina ebbe un sussulto, ma
fu Luke che per primo la notò: fece cadere la sigaretta e
riuscì solo a mormorare – Oh cazzo…
L’altro non si scompose.
- Non l’avevo vista, signorina.
- Lo so.
Le ombre risalirono velocemente lungo la gamba di Luke, si
attorcigliarono attorno al suo collo e hasta luego, come
avrebbe detto Santiago.
Ora, brillantina la degnò di qualche attenzione in
più. Corin gli immobilizzò le gambe coi tentacoli.
- Chi sei?
- Oh, merda. Tu sei… sei come lui, vero?
- Questo è molto interessante. Chi è
“lui”?
- Ehi, piano, signorina. Qui quella a essere in territorio straniero
sei tu, non io. Anzi, forse sono stato sgarbato. Benvenuta ad Anchorage.
- Sei agli ordini di Craig Duggan?
- Duggan? Sei indietro con le informazioni, tesoro, Duggan ha lasciato
gli affari e si è preso una vacanza.
- Non ci è stato detto nulla su un cambio di posizione di
Duggan, e queste cose devono essere comunicate subito ai miei signori.
- “Signori”? Hai un modo curioso di parlare,
tesoro. Non sei di queste parti vero? Il tuo accento così a
modo non è molto coloniale.
- Se tu lavori per Duggan, Duggan lavorava per conto di qualcun altro,
che mi ha mandato qui. Allora, dov’è finito?
- Aspetta, credi davvero che “mandare in vacanza”
significhi che è andato a pescare i salmoni sui Grandi
Laghi? Il nostro mondo non è molto sicuro, a volte gli
incidenti capitano.
- E qualcuno ne ha approfittato?
L’uomo non le rispose. In lontananza, le campane di una
chiesa suonarono la mezzanotte. Lui tirò fuori dalla tasca
interna della giacca un orologio e controllò il
quadrante. – Mezzanotte, la vostra ora preferita. –
sorrise, come se fosse un segnale che aspettava, e si rimise
l’orologio in tasca. - Dì pure ai tuoi
“signori” che c’è un nuovo
capo in città, e che non si farà fottere come un
coglione come è successo a Duggan. Hai salutato il tuo amico
ispanico, prima? Digli che a volte il basso profilo è la via
migliore. Avrebbe dovuto imparare da te, peccato.
- Che cosa intendi?
- Come dicevo, gli incidenti capitano.
Prima che Corin potesse fermarlo, sguainò un coltello e si
recise i polsi. L’odore del sangue le fece girare la testa,
l’istinto la spingeva verso la pozza rossa che si stava
formando ai piedi dell’uomo. Ma Santiago…
Ingoiò il groppo di veleno.
Il collo dell’uomo si spezzò con uno schiocco
sotto il suo tentacolo nero.
Corin corse di nuovo fino al bar. Nella sala dove erano seduti
un’ora prima, pareva fosse passato un tornado.
L’unico essere vivente all’interno era il
proprietario, che stava accumulando in un angolo i resti della rissa.
Lo strattonò per la camicia.
- Il tipo che ha cominciato la rissa! Quello alto coi capelli lunghi,
è ancora qui?
- Quello stronzo? Se fosse ancora qui vedresti le sue cervella sparse a
terra e me molto più felice. Hai idea di quanti soldi mi
deve?
Corin frugò nelle tasche del cappotto e mise in mano al
tizio un rotolo di banconote.
- Tenga il resto.
Si concentrò. Non erano solo gli umani ad avere una scia di
odore da seguire. Sangue,
salsedine, Volterra, tabacco…
Corse di nuovo in strada, corse fino all’insegna scrostata di
una bettola e pregò di non essersi confusa, mentre saliva le
scale e ignorava il saluto della vecchietta alla reception. La stanza
era già invasa dal fumo. Corin smise di respirare e corse
fino al letto. Santiago (nonostante la situazione, sospirò
di sollievo) era incosciente.
- Ehi, svegliati!
Il fuoco stava consumando le tende, alcune fiammelle avevano attecchito
sulla moquette e si dirigevano veloci verso le lenzuola.
- Santiago, cielo!
Lo afferrò per un braccio per tirarlo via dal letto.
Così facendo scostò anche il lenzuolo, che
nascondeva il cadavere della ragazza del bar. Nuda.
Il calcio che tirò nelle costole di Santiago poteva come non
poteva essere collegato alla scoperta. Finalmente il corpo ebbe un
sussulto, ma ancora non era riuscita a fargli aprire gli occhi.
Corin afferrò la bacinella dell’acqua e gli
rovesciò tutto in testa, bacinella compresa.
- Que diablo…
Corin lo afferrò di nuovo per le braccia.
- Va tutto a fuoco, dobbiamo uscire di qui!
- Ho la testa che mi scoppia.
- Appoggiati a me, ce ne dobbiamo andare.
Corin si mise il braccio di Santiago sulle spalle e si buttò
contro la finestra. Una caduta dopo erano in strada, circondati da
frammenti di vetro. Dalla finestra aperta, quattro piani più
sopra, usciva una colonna di fumo nero.
Il vicolo era silenzioso. I sensi di Corin non percepirono nessuno,
vampiro o umano, nelle loro vicinanze. Chiunque avesse organizzato lo
scherzo non era rimasto a godersi la scena.
Santiago tentò di alzarsi, ma ricadde subito a terra
tenendosi la testa.
- Che cosa mi è successo?
- Dormivi.
- Bimba, non scherzare.
- Te lo giuro! Ascoltami, ho trovato un tipo che sapeva qualcosa di
Duggan, non era un vampiro. La scena al bar, la fuga del contatto,
credo avessero pensato a tutto, voglio dire, che avessero saputo che li
avremmo cercati e quindi hanno mandato avanti una pedina più
piccola, volevano dividerci per ucciderci meglio. Ecco, e per fortuna
non ha funzionato anche se per un attimo ho avuto paura e… Cielo è una cosa
importante ma non si può lavorare seriamente così!
– Corin si voltò verso il muro e si
coprì gli occhi con le mani e i capelli. La ragazza sul
letto non era l’unica persona nuda. Anche Santiago se ne rese
conto, perché Corin sentì una risata alle sue
spalle.
- Forse non è il modo migliore per andare in giro ad
Anchorage in ottobre. Certo, qualcuno potrebbe sempre riscaldarmi col
suo corpo.
- Siamo vampiri, non abbiamo corpi caldi. - E questa come diavolo le
era venuta in mente? Santiago rise di nuovo, ma fu interrotto a
metà da un ascesso di tosse. Corin si voltò,
tenendo gli occhi semichiusi. Se vedeva solo sagome indistinte, forse
ce la poteva fare.
- Dobbiamo trovare un posto per passare la notte. E dei vestiti,
assolutamente dei vestiti. Adesso magari entro e chiedo se hanno
qualcosa, va bene?
- Claro,
in reception saranno felicissimi di aiutarti, quando gli abbiamo appena
mandato a fuoco l’albergo.
L’incendio era divampato, inglobando tutto il piano. Una
folla di curiosi si era assiepata davanti all’edificio e
guardava le fiamme.
- Aspetta qui.
Corin si infilò al primo piano dell’albergo e
tornò fuori col cadavere di un uomo. Lo lanciò
più o meno dove si trovava Santiago, poi si voltò
di nuovo dall’altra parte.
- Diranno che è morto nell’incendio. Mi pareva che
avesse più o meno la tua corporatura.
- Tu eres increible,
bimba. Un uomo ucciso a sangue freddo va bene, ma un uomo
nudo… - Santiago si interruppe di nuovo, scosso da altri
colpi di tosse.
- Sbrigati, non stai bene e potrebbe arrivare qualcuno.
Corin sentì i fruscii dei vestiti sfilati e rinfilati, poi
Santiago che diceva: – Adesso non c’è
più nulla che possa turbare il tuo pudore, bimba.
Si voltò e aprì gli occhi: Santiago era messo
peggio di quanto dava a vedere, aveva le occhiaie lividissime, sotto la
pelle del collo si intravedeva la giugulare bluastra, e nemmeno quello
era troppo normale. Era appoggiato contro il muro del vicolo e
respirava a fatica.
- La ragazza, devono averle avvelenato il sangue, forse con qualche
droga. Ce la fai a camminare?
- Dammi un minuto. – Santiago proseguì verso
l’uscita del vicolo sempre appoggiato al muro. Corin lo
raggiunse e si passò il braccio non attaccato al muro sopra
le spalle.
- Appoggiati, adesso andiamo a prendere un taxi fino in albergo. -
Lui rise di nuovo.
- Bene, ora quello molto imbarazzato sono io.
***
- Puoi anche smettere di reggermi, adesso. Vai pure nella tua stanza.
- Va bene. Buona notte.
- Cosa? Mi lasci da solo?
- Mi hai detto tu di andare.
- Beh, ma non prima di un congedo, di un ringraziamento. Una stretta di
mano, querida?
Corin strinse meccanicamente la mano di Santiago, ferma a
mezz’aria. Sentì d’improvviso una fitta
di dolore e si lasciò sfuggire un gemito. Santiago sciolse
la stretta e le guardò le mani: i palmi erano coperti di
ustioni, che si stavano cicatrizzando poco a poco. Lei si
liberò dalla presa, strinse le mani e pugno e le nascose
contro il petto.
- La coperta non si è spenta subito, non me n’ero
nemmeno accorta.
Loro due lì, fermi sulla soglia della stanza, e un silenzio
assordante.
- Allora io… io vado.
Santiago la fermò con una stretta dolce sulla spalla.
- Mi hai salvato la vita, sono in debito con te.
Sangue, salsedine,
Volterra, tabacco…
- Nessun debito. Sono contenta di essere arrivata in tempo.
- Che succede, tremi?
- Ho freddo.
- Hai freddo… E allora vai a cambiarti, torna a letto bimba.
La tana di Otto
Tra i miei numerosi difetti, c'è quello di
essere una persona impaziente. Dato che questa storia doveva arrivare
come regalo di compleanno di Fila
(augurrrrrrriiiiiiiiiiiii!) ho voluto spezzare a metà il
racconto e pubblicarne almeno metà nella data giusta. Quindi
eccoci qui.
La storia è ambientata negli anni '20 del 1900, quindi
quando Corin era ancora una novellina nella guardia.
Anchorage è la città più popolosa
dell'Alaska, dove ho immaginato vivesse un contatto dei Volturi
chiamato Duggan.
Ci sono varie citazioni sparse per la storia, le pià corpose
e palesi sono pezzi di dialoghi del film Jane Eyre di Zeffirelli. Che
cosa c'entra? C'entra che Jane Eyre è stata una delle prime
ispirazioni per Corin (insomma, un personaggio che dice "le ombre sono
importanti tanto quanto la luce"!), quindi ho voluto sparpagliare per
la storia dei pezzi che nel film mi piacciono un sacco. In particolare,
il pezzo "Ridi mai?" eccetera e tutto il dialogo che chiude il capitolo.
Le altre citazioni sono altrettanto letterarie (...) e vanno ai miei
sempre presenti ispiratori Gianni Drudi e Jesus, dal film "Il grande
Lebowski", più il nerd più tamarro del mondo che
ha fornito l'amichevole approccio di Santiago.
A presto con la seconda parte, e come sempre grazie a chi
passerà di qui <3
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Capitolo 8 *** La terza volta (II parte) ***
La terza volta
Seconda Parte
Sarebbe stata una notte da occhi spalancati e niente sonno anche in
condizioni mortali. Una di quelle notti in cui si finiva cinque libri e
crollava per sfinimento solo quando ne aveva avuto abbastanza di fughe,
passioni, vampiri, maghi, ladri e briganti misteriosi.
Essere in quelle condizioni quando di base hai un nuovo metabolismo che
non ti fa dormire mai era peggio delle torture che il malvagio Doktor
Teufel infliggeva alla coraggiosa Katrina, in Diabolik Passion.
Vuoi vedere che adesso… Sarà mica che
forse… Oppure…
Aveva fissato il soffitto senza davvero vedere il soffitto, tanto che
solamente la mattina dopo si era accorta che era ricoperto di carta da
parati a fiorellini azzurri. Si era anche messa una inutile camicia da
notte bianca. Aveva giocato ad allungare le ombre dei mobili, era
passata dal letto al tappeto, dal tappeto alla sedia, dalla sedia al
davanzale della finestra, dal davanzale di nuovo al letto.
Verso le otto di mattina, sentì bussare alla porta.
- Ti ho portato la colazione, bimba!
Cielo, no, calma,
respiro profondissimo. Devi ricordarti del tuo giuramento, Corin:
intenzioni serie sono considerati il chiedere ufficialmente la tua
mano, il rapirti e portarti sull’isola di Tortuga per fare di
te la regina dei pirati accanto a lui che è il re. Oppure,
ultima opportunità, il salvarti la vita in modo molto
romantico e stringere il tuo corpo morente tra le braccia prima che la
Forza del Vero Amore conceda a entrambi un’altra
possibilità per vivere felici. Una colazione è un
gesto galante, ma ininfluente.
Questo non le impedì di metterci dieci minuti ad aprire la
porta, durante i quali si sistemò meglio i capelli e
sgrovigliò le lenzuola del letto, che sembravano aver subito
l’attacco di un grizzly.
- Sangue fresco dritto dall’ospedale, dove sono andato a
trovare i nostri amici. – Santiago stava molto meglio di
qualche ora prima, e aveva di nuovo la sua espressione smargiassa.
Teneva in mano un sacchetto di carta da panettiere. – Posso
entrare?
Corin annuì meccanicamente e gli indicò il letto.
- Gracias querida.
Santiago si sedette vicino alla sponda, lei si mise
sull’angolo opposto, vicino alla spalliera, in modo da
toccare meno materasso possibile.
- Tieni, oggi dobbiamo lasciare la città. –
Santiago tirò fuori una sacca di sangue e gliela porse.
– Non ti farà scherzi, l’ho assaggiato
io e sto bene. Allora, ieri sera ci siamo fratti fregare come due
pivellini. Dopo che al bar era successo il casino, la ragazza era, beh,
molto grata di averla tolta dalle grinfie di quei delinquenti, e voleva
assolutamente sdebitarsi.
Secco, rapido ed efficace. All’improvviso quanti centimetri
ci fossero tra lei e Santiago, quel che le diceva e tutto il resto
persero ogni sottinteso e tornarono solo gesti e parole,
perché nel letto la sera prima c’era anche una
tizia nuda. Corin si mise più comoda sul materasso e
cominciò a bere dalla sacca di sangue.
- Sapeva chi erano? Sapeva di dover morire?
- No, credo che avesse capito che le facevano incontrare un pezzo
grosso della malavita, qualcuno che se ben compiaciuto poteva coprirla
di regali e lussi. E qui già abbiamo confermato quello che
ci ha detto Demetri prima che partissimo da Volterra: la scia psichica
di Craig Duggan è sparita all’improvviso e ormai
possiamo considerarlo morto. Resta da capire chi l’ha ucciso.
– fece una pausa per accendersi una sigaretta. Non
finì nemmeno la prima boccata che Corin gliela prese e la
spense nella bacinella d’acqua. Gliel’avrebbe
rovesciata in testa volentieri, come la notte prima, ma si
accontentò del fzzz
che fece la brace spegnendosi.
- La persona che Luke, il pelato del bar, ha incontrato ieri era un
altro umano. Però si è lasciato sfuggire che io
ero come “lui”.
- Non sei riuscita a sapere di più?
- Averi voluto, ma all’improvviso si è tagliato le
vene da solo.
- Questo l’ho visto anche io.
- Cosa?
- Stanotte sono riuscito a vomitare in parte il sangue avvelenato, o
qualsiasi cosa fosse. Avevo bisogno di nutrirmi, così ho
preso due piccioni con una fava e sono andato all’ospedale,
dove ho trovato a fissarmi, dalla porta dell’obitorio, il
nostro amico e il suo compagno, quello che si è
così gentilmente dissanguato davanti a te.
Corin, che aveva anche considerato l’idea di urlargli in
faccia quanto era stato stupido a cascare nella trappola più
vecchia del mondo, si sentì una cretina che aveva sprecato
ore mentre lui si dava da fare. Si dava da fare in senso costruttivo e positivo, non in
quell’altro senso.
- L’unica cosa che ha detto prima di tagliarsi i polsi, -
tentò di rimediare, - era che potevamo dire ai nostri
“signori” che c’è un nuovo
capo in città.
- E direi che la cosa più intelligente che possiamo fare
è seguire il suo consiglio, giusto bimba? Prenderemo stasera
un aereo per Juneau e là aspetteremo Demetri e Felix. Ho
chiamato Demetri, stamattina, stanno arrivando. Gli ordini di Aro sono
di ricongiungerci a Juneau, fuori dal territorio
dell’usurpatore, e di tornare a colpo sicuro con il potere di
Demetri. Potrebbe aver creato dei neonati e sembra abbastanza dentro il
giro di malavita della città. Voglio che abbassi la guardia.
E voglio, dopo che ha abbassato la guardia, irrompere nel suo rifugio e
rompergli il culo. Allora, hai da leggere per il viaggio?
***
Aveva A letto con la
spia che mi odiava, perché prima di partire
aveva pensato che non c’era nulla di meglio di un
po’ di mistero e suspance per entrare
nell’atmosfera della missione. Sfogliò
distrattamente le prime pagine del terzo capitolo. Si sentiva
esattamente come quando, da piccola, pucciava i biscotti al cioccolato
nel miele, credendo che mettere assieme due cose buone ne creasse una
terza buonissima, quando nella realtà era solo stomachevole.
Mancava ancora qualche ora, e lei non aveva altra occupazione che
fissare il vuoto. Era quasi tentata di chiedere alla hostess un
bicchiere di caffè, tanto per fare qualcosa.
Santiago era assorto a guardare fuori dal finestrino, gli altri
passeggeri sonnecchiavano.
Passò l’ora del tramonto, le nuvolette sotto di
loro divennero rosa, poi blu e infine di un grigio cupo, ma sopra il
cielo brillava.
- Guarda, siamo talmente in alto che si vedono benissimo le stelle.
- Stavo guardando proprio loro, infatti. – Santiago non era
più solamente assorto: gli era comparsa una ruga in centro
alla fronte, e si lisciava il pizzetto, inquieto.
- C’è qualcosa che non va?
- Non stiamo andando verso Juneau. Querida!
- Sì, signore? - Una hostess si avvicinò.
- Questo volo dovrebbe essere diretto a Juneau.
- Atterreremo all’aeroporto di Juneau tra due ore, infatti.
- E allora potrai spiegarmi perché stiamo andando verso nord.
- Si starà sbagliando, signore. Perché non cerca
di prendere sonno? Oppure le posso portare una rivista.
- No, voglio parlare col comandante.
- Credo che non sia…
Prima che la donna potesse fare qualsiasi cosa, Santiago si era alzato
ed era già in fondo al corridoio.
Nello stesso momento, un boato squassò l’aereo.
Corin sbatté contro il sedile di fronte, poi fu investita da
un’ondata di fumo e calore. Si riparò gli occhi
con un braccio e si rialzò, solo per essere investita da una
forte corrente d’aria: davanti a lei, al posto della cabina
di pilotaggio, uno squarcio fumante faceva intravedere il cielo
stellato.
Si schiantarono al suolo dopo pochi secondi.
***
Il sole era già sorto e tramontato quattro volte, ma non era
cambiato nulla: neve, neve e ancora neve. Non avevano incrociato
nemmeno il capanno di un cacciatore. Anzi, non avevano incrociato
nemmeno un animale. Era sempre più difficile deglutire il
veleno a vuoto, bruciava lo stomaco.
Dopo il secondo giorno, Santiago si era fermato e aveva avvicinato il
viso al suo.
- Come sono i miei occhi, bimba?
- Neri.
- Fantastico.
Non avevano più parlato dell’argomento.
Era difficile mettere un passo davanti all’altro. Non era una
fatica umana, non aveva fiatone né sentiva il freddo nelle
ossa. Era una specie di guasto meccanico, sentiva le giunture che si
bloccavano come se mancasse l’olio, era sempre più
difficile ordinare a ginocchio di piegarsi, portare avanti la gamba,
stendersi di nuovo. Per non pensare alla sete si era messa a pensare
solamente al ginocchio, alla fatica che faceva a muoverlo. Un passo,
quello successivo. Al resto ci avrebbe pensato dopo. Piegare, portare
avanti, stendere.
- Scommetto che hai già letto un libro su una situazione del
genere. Non so, qualcosa come “Cuori di ghiaccio sotto
l’aurora boreale”.
- L’unica cosa che mi viene in mente in questo momento
è Il cuore
russo non è sempre gelido. Parla di una
ragazza, Katja, che vive in Siberia assieme alla nonna malata, ma una
volta trova in un cassetto un medaglione misterioso, che la spinge a
partire verso San Pietroburgo…
- Tu eres increible!
– Santiago rise.
- Ho sempre avuto molto tempo per leggere. Ma lo sai anche tu, nonna
Gloria, la storia di mio padre.
- Avevi un libro anche il giorno in cui sei arrivata a Palazzo dei
Priori. L’ha ritrovato Chelsea poco prima che buttassimo i
cadaveri nella fornace. Mi ricordo che è andata avanti tutta
la sera a leggerne dei pezzi, era estasiata dal modo in cui parlava dei
vampiri. Avrei dovuto pensarci prima, non poteva essere che tuo quel
libro de mierda.
- Ehi, guarda che potrei offendermi!
- Hai ragione, avrei dovuto dire che i gusti variano. –
Santiago ghignò di nuovo, e anche Corin non
riuscì a trattenere una risata. Parlando, muovere quelle
maledette ginocchia era molto più facile.
– Dios mio,
avrei così bisogno di una sigaretta, adesso.
- Già, e questo vizio da dove viene fuori?
- Lunga, lunghissima storia.
- Non mi pare che ci manchi il tempo.
- Beh, - Santiago scrollò le spalle e sorrise in modo
diverso da prima, come se stesse ricordando qualcosa di molto molto
lontano, - hai davanti a te un grande esploratore e nostromo del
passato. Ho percorso per primo rotte misteriose, sfidando oceani
sconosciuti, altro che i marinai d’acqua dolce dei tuoi libri.
- Bum! Adesso mi dirai che hai scoperto l’America.
Santiago stavolta non risposte, però la prese per mano e le
indicò una costellazione.
- Finché ho in cielo il carro minore e la stella polare,
posso arrivare in qualsiasi parte del mondo. Quindi non ti preoccupare,
bimba.
- Non sono preoccupata.
Era bello vederlo guardare le stelle, quasi come sentirlo parlare. Le
scrutava in un modo familiare, come un giocatore di scacchi che,
entrato in una stanza, vede una partita cominciata e capisce subito chi
sta vincendo. Era bello quando aveva quel sorriso da delinquente che
regalava a qualsiasi donna incrociasse, ma era ancora più
bello così.
Era così concentrata sui suoi occhi che non si accorse
subito dell’odore. Santiago, invece, scattò subito in allerta.
- Ti prego bimba, dimmi che lo senti anche tu.
- Cosa? – ma poi lo sentì anche lei, ed era uno
degli odori migliori che avesse mai sentito. Pelo, neve, selvatico,
vita, sangue.
Piombarono sull’alce solitario in pochi secondi. Avere le
mani affondate nel pelo, sentire l’animale che si contorceva
cercando di scappare… Corin era talmente euforica che le
tremavano le mani, mentre teneva le corna ferme a terra. Sorrise
trionfante.
Santiago spezzò il collo dell’animale e glielo
porse, non senza una certa galanteria.
- Prima le signore.
Corin non se lo fece ripetere e affondò i denti nella carne.
Man mano che beveva, le scomparvero le occhiaie e i taglietti sulle
labbra si rimarginavano. Dopo qualche minuto, Corin staccò
la bocca, imbrattata di rosso. Con uno dei suoi gesti da signorina
perbene, si pulì subito con il dorso della mano.
- Visto, bimba, che vuoi di più? La luce delle stelle,
intimità, una cenetta romantica…
Corin sorrise. Strofinò la mano sporca di sangue nella neve
e si allontanò dalla carcassa.
- Non avrei mai pensato di trovare buono il sangue animale.
L’ultima volta che avevo provato a berlo avevo la sensazione
di ingoiare fango. – si passò la mano ripulita tra
i capelli.
- Attenta, hai ancora delle tracce di sangue.
- Davvero? Mi pareva che si fosse pulita.
- Guarda, hai lasciato dei segni sul collo.
- Dove, qui? – Corin alzò il mento e se lo
strofinò di nuovo con la manica. – Però rimane un saporaccio
in bocca, è come se avessi la lingua allappata…
- Corin, qualcosa non va. Guarda il braccio.
- Ti ho detto che l’ho pulito, insomma! – Corin
alzò la mano davanti agli occhi: la pelle alabastro era
percorsa di vene scure. : era uno sporco strano, seguiva lo
stesso percorso delle vene e tracciava tante righe nere. Le vene scure si diramavano a vista d'occhio, si estesero alla spalla e scesero sotto ai vestiti, poi
cominciarono anche la scalata della guancia. Corin spalancò gli occhi.
- Santiago…
Un attimo dopo cominciò a vomitare.
Sentì che Santiago la scuoteva dicendole qualcosa, ma dopo
il terzo conato cominciarono a bruciarle tutte le vene del corpo. Aveva
sentito solo un’altra volta nella sua vita un dolore simile,
durante la trasformazione in vampira. Come quel giorno sul fondo della
fornace, non sapeva assolutamente che cosa la aspettava e il terrore le
fece più male del veleno che pareva aver preso fuoco.
Santiago continuava a scuoterla, le diceva qualcosa ma la voce arrivava
da lontano.
Poi qualcosa la strappò da Santiago. Sentì che
atterrava, affondava nella neve. Il veleno nelle sue vene bruciava
talmente tanto che la neve avrebbe dovuto sciogliersi. Scavò
per riguadagnare la superficie, riemerse. Una mano le
afferrò il collo.
- Questo succederà a chiunque oserà entrare di
nuovo nel mio territorio. – la mano strinse e la
lanciò distante. Al secondo impatto vomitò di
nuovo sulla neve. Le voci le arrivavano lontanissime, sovrastate da un
fischio che le trapanava la testa dall’interno, non
importava, il bruciore era meno. Era meno dopo il vomito.
Espellere il veleno.
Corin mosse le dita per rendersi conto di essere ancora tutta intera,
avvicinò il polso alla bocca, estrasse le zanne,
affondò e strappò. Con l’altro, di
nuovo. Un liquido denso e nero cominciò a scorrerle dai polsi e a macchiare la neve.
Il veleno espulso le stava corrodendo le labbra e le dita, ma il
bruciore era diminuito. Si trascinò in avanti, percepiva le
due figure che combattevano più con l’istinto che
con gli occhi. Diventò ombra per non sentire tutto quel
peso, le gambe non la reggevano più.
Arrivò, vide i due corpi avvinghiati. Qual era la sua preda?
Quella con l’odore estraneo.
Sangue, vampiro, neve,
nemico.
Si liberò in migliaia di spire nere e lo avvolse
completamente, tirandolo via da Santiago, che rotolò nella
neve e si rimise in guardia.
- Ce l’ho, è mio.
Strinse le spire attorno al collo del vampiro, dove cominciarono a
comparire delle crepe. Corin strinse ancora più forte. I
suoi occhi divennero totalmente neri, i capelli ebbero un fremito e la
ciocca attorno al collo divenne un insieme di materia e ombra. Il
vampiro emise un singulto strozzato, prima che il tentacolo gli
tranciasse la testa.
Corin riprese una forma umana: cadde vicino al corpo decapitato, scossa
da tremiti.
- Togli… prendi la testa. Non deve riattaccarsi.
Santiago obbedì e prese la testa per i capelli.
- Bene… bene.
I tagli sui polsi pulsavano, e continuava a uscirne veleno nero, che le
aveva ricoperto le mani. Si accarezzava la solita ciocca, tornata
normale. Parlò a Santiago con una voce che non riconobbe nemmeno,
come se fossero seduti tranquilli a Palazzo dei Priori:
- Sono riuscita a espellere buona parte del sangue avvelenato, bastava
farlo colare via. – Guardò il corpo del loro avversario che si
contorceva. – Bastava quello, è stato semplice.
– Cadde in ginocchio nella neve.
Santiago si accasciò accanto a lei.
- Che succede quando perdiamo tutto il fluido corporeo? –
Corin si guardava le mani come se appartenessero a un estraneo.
- Non dirlo nemmeno, bimba.
- Morirò sul serio? Invece che nella fornace di Volterra,
tra le nevi dell’Alaska. – rise non tanto
perché l’idea fosse brillante, ma
perché aveva un senso, e le cose con un senso nei libri
accadevano sempre. - Certo che quella volta non sei stato per niente
gentile.
- Riuscirai mai a perdonarmi, bimba? Ero rimasto troppo folgorato dalla
tua bellezza.
- Stupido…
Santiago si era inginocchiato accanto a lei. Con delicatezza le prese
la testa e la appoggiò sulle sue ginocchia.
- Dammi le mani.
Corin lasciò che stringesse i palmi nei suoi, ma sentiva
come se, nella stretta, la sua carne si fosse trasfromata in gomma,
anzi, in pece. Non riusciva più a controllare il suo potere,
ecco cosa succedeva senza sangue in corpo.
- Vai via, se perdo il controllo non so cosa potrebbe succedere.
- Nulla, non succederà nulla. È qualcosa che quel
capullo ha
fatto all'alce, ma abbiamo vinto noi, adesso devi solo concentrarti e
rimanere qui con me. Anzi, raccontami ancora di qualche libro che hai
letto. Ci saranno di sicuro un capitano coraggioso, una nave pirata e poi?
Di sicuro un’intrepida eroina di cui il
capitano si innamorerà follemente.
- No.
- “No” cosa? Niente amore per i sette mari?
La voce di Santiago le arrivava distorta, come se si fosse ficcato in
bocca uno straccio di ovatta. Strinse più forte le sue mani,
ma si ritrovò con i pugni chiusi e impalpabili, fatti solo
di ombra. Però Santiago le aveva fatto una domanda.
- No, c’è l’eroina, ma il capitano,
lui… lui non si accorge, non subito.
- Proprio un cabròn,
insomma. Questi marinai, mai fidarsi di loro. Bimba, però tu
ti devi concentrare, devi rimanere qui con me. Non puoi lasciarmi senza
finale. Mi presterai il libro quando torneremo a
casa, che ne dici?
- No, aveva ragione il capitano, era lei che… - anche la sua
voce adesso suonava lontanissima. Corin non sentiva più
né il vento gelido che soffiava né lei che
blaterava cose senza senso. All’improvviso, chiarissimo,
sentì un liquido che scorreva, al ritmo placido e continuo
di un torrente che non ha più un cuore a guidarlo. Lo
scorrere veniva da accanto al suo orecchio, dove
c’era… c’era da bere.
- Bimba, Corin, diablo,
resta qui!
Qualcosa l’aveva abbracciata, il liquido scorreva
attaccato al suo orecchio adesso. Bastava che girasse la testa, avrebbe
affondato i canini fino ad arrivare alle vene. Doveva bere.
Circondò la cosa che la copriva e la bloccava con i capelli.
Bastava che soffocasse, poi affondare i canini…
L’altro
odore le arrivò talmente forte al naso da farle male alle
narici. Caldo, ferroso, cibo, sangue. Si divincolò e un
istante dopo affondava i canini dentro una carne calda ed esistevano
solo i canini, e la carne, e finalmente la sete che si placava.
Solo quando si gettò sulla neve, esausta e quasi nauseata
dalla velocità con cui aveva bevuto dal cadavere che le
stava accanto sulla neve, si accorse che accanto a lei c’era
Demetri.
- Ora non ti muovere, aspetta che il fluido nuovo entri in circolo.
Aiuta fare respiri profondi; non sei morta da molto, dovresti
ricordarti come si fa.
- E Sant…
Evocato, Santiago si sedette accanto a lei, pulendosi la bocca dal
sangue fresco.
- Mi hai fatto morire di paura, bimba. Ho temuto per un momento che mi ammazzassi sul serio.
Corin tentò di balbettare una risposta, ma sentì
che se apriva la bocca avrebbe vomitato di nuovo.
- Vi aspettavamo a Juneau quattro giorni fa. Le primedonne si fanno
desiderare, ma non così tanto. – Demetri
recuperò la testa e il corpo del vampiro, che fremevano per
ricongiungersi. Legò strettamente il corpo e lo
gettò su un enorme cingolato a forma di slitta. Prese poi la
testa, le spalancò la bocca e premette un canino
perché ne uscisse un po’ di veleno. Mise la testa
in un sacco e la gettò sulla slitta assieme al corpo.
– Fadi Aziz, il nostro amico si chiama così.
Abbiamo fatto qualche ricerca mentre vi aspettavamo: aveva preso in
mano la malavita di Anchorage e Juneau, semplicemente sostituendosi a
Duggan. Un tipo astuto, aveva cercato informazioni sul vampirismo per
quanto essere qui isolato glielo permettesse. Credo che avesse intuito
che c'erano altri come lui, a sentire quello che si dice deve aver
anche incontrato e ucciso qualche nomade. Lo ritengo possibile,
perché di sicuro sapeva del suo potere... - Dalla slitta, Demetri
prese una bottiglia piena di sangue, ci
versò le poche gocce di veleno e ne bevve un sorso. Lo
sputò quasi subito. Aveva un'espressione soddisfatta -
Sì, è in grado di avvelenare il sangue, e in qualche modo il veleno non influenza l'organismo vivente, ma il vampiro che se ne nutre. Abbiamo fatto delle ricerche in città:
da umano Fadi era poco più che un galoppino della mafia. Duggan
deve aver avuto la brillante idea di berlo, una sera. È
molto probabile che anche da umano il suo sangue fosse letale per un
vampiro, e ne ha fatto le spese Duggan. Corin, – si
girò verso di lei con un mezzo sorriso, - hai avuto un
ottimo tempismo nel capire che dovevi espellere il più
possibile il sangue contaminato dal corpo.
Corin scosse la mano in un gesto di “Mavalà,
è stata la cosa più semplice del mondo, sono o
non sono un membro della guardia dei Volturi?”
- In ogni caso, deciderà Aro cosa farne. Per fortuna, un
potere del genere rende il suo veleno sterile, non ha disseminato
l’Alaska di neonati. Andiamo? Felix ormai sarà
geloso, passi troppo tempo con me e non con lui. – Demetri
porse una mano a Santiago e lo aiutò ad alzarsi. Lui, invece
che salire subito sulla slitta, si chinò sopra di lei.
- Permetti, bimba? Devo ricambiare un favore da un po’ di
giorni, ormai. – Santiago aveva già recuperato le
forze: le pupille erano tornate di un rosso brillante. La
sollevò tra le braccia e la caricò sulla slitta
cingolata.
Sì, così stava decisamente bene.
***
“Passione e segreti nella brughiera”? No,
inadattissimo. E anche “Sussurri del gelso” e
“Brezza sensualmente calda fra i salici” erano da
scartare a priori. Eppure era sicura di avere il titolo adatto, se solo
si fosse ricordata dove…
- Aha, eccolo. – non l’aveva nemmeno tolto dalle
valigie.
C’era l’America, c’erano le navi e solo
un pizzico di romanticismo di sottofondo.
Strinse il libro tra le braccia e fluttuò verso la porta.
Mentre abbassava la maniglia, colse il suo riflesso nello specchio sulla parete : si fermò a
controllare che il vestito fosse in ordine, ispezionò con cura la faccia,
provò a mettersi i capelli dietro le orecchie, decise
che stavano meglio davanti. Si scrutò il profilo e
arricciò il naso, maledicendo
l’ereditarietà e il prozio Herbert.
Però i capelli lo mimetizzavano. Provò anche un
sorriso, e in fondo al cuore (quasi non ci credeva) pensò
davvero di non essere così terribile.
Il libro? Sempre al suo posto. Si chiuse la porta alle spalle.
Volò in un istante davanti alla sua stanza e
bussò.
- Guarda qui, “La bussola del galeone”, se non ti
piace questo non so proprio cosa possa…
- Hai portato lo champagne? – Non era la voce di Santiago. La
porta era stata aperta da una donna mora con le labbra rosse, i capelli
sciolti in onde armoniose e un perfetto e piccolo nasino alla francese.
Era in vestaglia.
- Chi è, querida?
– Sulla soglia si affacciò anche Santiago,
sigaretta in bocca e nella sua migliore faccia da schiaffi.
- Speravo il nostro champagne, ma a quanto pare mi sbagliavo.
– la donna gli appoggiò una mano sul petto, artigliando la camicia. Non aveva nemmeno l'aria di chi difendesse una sua proprietà, sbuffava impaziente e arricciava il naso nella misura in cui si può essere infastiditi da un insetto. Corin
decise che la punta dei suoi piedi era molto più
interessante.
- Ehi bimba, tutto bene?
Non chiamarmi
così. - Volevo solo dirti che forse esco, ma non ti preoccupare, credo
che…
- Mio dio adoro questa canzone! – la donna corse nella stanza
e alzò il volume della radio. – Vieni, ti insegno
come si balla.
Santiago annuì con un sorriso, poi si girò di nuovo verso Corin e le lanciò quello che doveva essere uno
sguardo complice. Lei lo guardò un'ultima volta, quasi di nascosto, tra le righe nere dei capelli. Dio com’era bello…
- Beh allora vado, mi spiace averti disturbato per una sciocchezza.
– le ultime parole le ascoltò solo la moquette del
pavimento. Corin tornò nella sua stanza, gettò il
libro sul letto e lasciò che le gambe le cedessero.
Appoggiata alla sponda, si coprì di nero tutta la faccia.
La tana di Otto
Prima di qualsiasi altra cosa, voglio fare una comunicazione ufficiale
alla signora Meyer: signora Meyer, i suoi vampiri sono troppo sgravi,
è praticamente impossibile fare scene d'azione che li
coinvolgano o inventarsi situazioni in cui sono SUL SERIO in
difficoltà, a meno di non tirare fuori un escamotage
più o meno idiota come quello del potere del sangue
avvelenato. Sg.ra Meyer, la odio. Con affetto, Otto che si ostina a
voler scrivere cose d'azione e non far semplicemente copulare o
piccioncinare i suoi personaggi.
Ma dicevamo.
A proposito del potere che avvelena il sangue, esso è, come
un sacco di altri poteri che ho usato, preso dal gdr Vampiri: The
Masquerade, in particolare dal clan degli Assamiti.
So che alla fine il ruolo di Demetri è arrivare e fare lo
spiegone, ma non sono riuscita a tirare fuori una soluzione
più elegante di questa (sono una pigrona), spero che non dia
molto fastidio.
Voli aerei e trasfusioni di sangue, per quanto rustici, esistevano
già negli anni '20 e mi sono permessa di usarli, dato che
rimanevano abbastanza ai margini della storia.
Scrivere il finale ha
fatto più male a me che a Corin, ma
era l'unica soluzione possibile, dato che i due combinano circa 90 anni
dopo gli eventi.
Come al solito, davvero grazie mille a tutti quelli che si ricordano
ancora di una raccolta di ff su due personaggi sconosciuti della
sezione Twilight (ignominia!) o che si ritrovano a passare di qui per
caso (sì, anche voi là in fondo che cercavate su google "brunette tentacle porn", vi ho visto!).
E ancora auguri, Fila! Una marea di kuori, gattini,
abbracci&baci e mille di questi giorni.
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Capitolo 9 *** Nessuno si aspetta l'inquisizione spagnola ***
A Vannagio,
perché fluff
al compleanno, fluff tutto l'anno!
Quella volta delle sigarette
Forse tutto era cominciato quella volta delle sigarette. Non si scherza
con le sigarette, per questo Santiago si era arrischiato a disturbare
Demetri anche se si stava occupando del giardino giapponese.
- Senti, è mai successo a uno di noi che, arrivati a una
certa età, si cominciasse ad avere problemi di memoria?
Demetri non si voltò a guardare Santiago: teneva in mano un
paio di pinzette e stava togliendo uno per uno i germogli al pino.
Dalla parte opposta, con la stessa
precisione chirurgica, lo stava aiutando Ruriko.
- Chiunque, dopo molti secoli, conserva solo memorie selettive. Ancora
meno ricordiamo con chiarezza la vita mortale. Se è una cosa
importante, vai da Aro e fatti leggere la mente.
- No, niente di così definitivo. Ho un problema di memoria a
breve termine: non mi ricordo più dove lascio le cose.
La risposta di Demetri fu preceduta da qualche minuto di silenzio, in
cui il vampiro scovò un germoglio nascosto, lo prese tra
pollice e indice, lo accarezzò per spostare tutti gli aghi
nella stessa direzione e lo tagliò con la punta delle
pinzette. Santiago si tastò le tasche in cerca di un pacchetto
di sigarette.
- Io rintraccio persone, non oggetti. – disse infine la voce
di Demetri da dentro il pino.
- Lo so, non farmi incazzare che sono già abbastanza
nervoso. – Santiago cacciò in tasca le mani, ma
senza risultato. Tastò la giacca, guardò in
un’altra tasca interna e, trovando vuota anche quella,
tirò un pugno al tronco più vicino. Una marea di
foglioline rosse volò sull’erba. Demetri
alzò per la prima volta la testa, negli occhi non proprio
una furia omicida, ma di sicuro l’espressione che la
precedeva.
- Possiamo escludere che il mio acero sia il responsabile dei tuoi
vuoti di memoria, per favore? Se sei nervoso, fuma.
- E’ esattamente questo il problema! – Santiago
stava per dare un secondo colpo all’abero. Si
fermò un istante prima, stringendo i pugni e lasciandoli
ricadere lungo i fianchi. - Da un mese mi spariscono le sigarette. Esco
la mattina, ne compro due pacchetti, li appoggio sul tavolo in sala,
almeno, sono sicuro di appoggiarli sul tavolo in sala o di metterli in
tasca o da qualsiasi altra parte. E invece, tempo dieci minuti, non li
ritrovo più.
- Sarà uno scherzo.
- Tu dici che c’è qualche coglione che da un mese
mi ruba le sigarette? Porque?
Nessun altro fuma qui dentro. E poi succede anche quando non
c’è nessuno in giro.
Ruriko aveva interrotto la potatura per guardare le ultime foglie di
acero che svolazzavano in aria. Si concentrò un attimo prima
di parlare: - Secondo me stai guardando nella direzione sbagliata. Devi
fare un… un gyakuten
della tua vista, Santiago. – mimò con le mani una
capriola.
- Un ribaltamento di prospettiva. – suggerì il
pino.
- Grazie, Demetri. Devi avere un ribaltamento di prospettiva, secondo
me: non è qualcuno che si è scoperto un fumatore,
ma qualcuno a cui il fumo dà fastidio.
Ruriko non aveva detto nulla di eccezionale, ma la sua frase era
arrivata al momento giusto, come il colpetto al guscio che aveva fatto
stare in piedi l’uovo di Colombo (a Santiago piaceva molto il
detto, anche se non ricordava che Cristobal avesse mai fatto una cosa
così intelligente). Il cervello la collegò ad
altri indizi sparsi: una frase di Chelsea, due settimane prima, che
notava come la nuova arrivata mettesse subito a lavare i vestiti, se
era andata in un posto dove la gente fumava; lui che si accendeva una sigaretta nella sala comune, che
sembrava vuota, se non fosse stato
per una poltrona girata verso il muro che pareva tossire; una missione,
lui che si fermava a prendere le sigarette e un mantello grigio che lo
guardava e scuoteva la testa con disapprovazione…
- Perché?
- Cosa?
- E che ne so! Tua madre da piccola ti spegneva sulle braccia i
mozziconi delle sue sigarette mentre tradiva tuo padre con uno dei suoi
tanti amanti? Lo faceva ridendo sguaiatamente, circondata di broccato
rosso e candele profumate di lussuria?
Corin, se possibile, si era fatta ancora più piccola di
fronte alla furia da fumatore in astinenza che l’aveva
colpita. Santiago si ritrasse un attimo, accese una sigaretta (teneva il pacchetto in mano da quando era uscito dal negozio, che provasse a prenderlo) e abbassò il tono di
voce: - Allora, c’è qualche oscura ombra nel tuo
passato che ti ha fatto odiare le sigarette con tutto il tuo cuore e
con tutta la tua anima?
- Cielo no! Anche se una volta ho letto un libro simile, dove
c’era la ribelle Rebecca che poi la madre…
Santiago le soffiò il fumo in faccia. Corin alzò
la testa e sgranò gli occhi, troppo allibita anche per
tossire. Santiago rise e inspirò un’altra boccata,
senza staccare per un attimo lo sguardo da lei.
- Allora, come mai questa bimba dispettosa mi ruba le sigarette? Non
sarà che – si avvicinò volutamente
troppo, Corin fu costretta ad alzare il viso per guardarlo, - volevi
attirare la mia attenzione? Bien,
adesso è tutta tua. – sul
“tua” buttò a terra la sigaretta, prese
il pacchetto, lo scosse con studiata lentezza e se ne
accese un'altra. In un battito di ciglia, il viso di Corin scomparve
dietro la cortina di capelli. Per un attimo fu certo che sarebbe
scappata o scomparsa nelle ombre del portico. Invece…
- Perché mi dà fastidio l’odore, e tu
fumi sempre! Sei in sala e fumi, in giardino fumi, ti nutri e dopo
accendi l’ennesima sigaretta. È un odore che
odiavo da umana, adesso con il naso da vampira mi sembra di essere
dentro una ciminiera, non lo sopporto, sembra che mi vadano a fuoco gli
occhi. Ed è così da te sapere che mi credevi
irresistibilmente attratta dalla tua persona al punto di mettere in
scena una commedia da bambini per attirare la tua attenzione,
perché nessuna donna può resistere a Santiago,
giusto? Oh, che dimostrazione di dominanza virile! Immagino che tu
creda mi strappi i capelli o aneli a finire una tua sigaretta,
perché sarebbe un po’ come rubarti un bacio, cosa
che…
- Ah, quindi è così?
- Eh?
Santiago inspirò un’altra boccata e si
appoggiò al muro, intrappolando Corin sotto l’arco
del suo braccio.
- Con me non servono troppe commedie, bimba, basta chiedere. Vuoi
finire questa sigaretta… - i suoi capelli sfioravano la nuca
di Corin, - o preferisci direttamente il bacio?
Una frusta vischiosa gli colpì la mano, il mozzicone
disegnò una parabola nell’aria. Non fece in tempo
a vederlo cadere a terra che gli era arrivato un manrovescio: il
tentacolo nero si ritrasse di nuovo tra i capelli di Corin, mentre la
sua padrona correva via a una velocità folle anche per un
vampiro.
Quella volta della pioggia
Quella volta è stata una cosa piccola, ma talmente piccola
che è diventata un po’ il simbolo delle altre cose
piccole che non si ricorda più molto bene, per via della
memoria selettiva di Demetri e quelle cose lì.
Quella
volta, Santiago se la ricordava per la pioggia (del resto lo dice anche
il
titolo). La delegazione era capitanata da Caius, robe grosse, e si
trovava da qualche ora dentro un edificio abbandonato. La lampadina del corridoio si accendeva a scatti, frizzava in
piccole scariche, si spegneva per qualche secondo e ricominciava il
ciclo. Le trattative erano al terzo piano,
c’erano dieci di
loro fuori dalla porta, più altri dieci sulle scale. Corin
faceva il
palo fuori, con un diluvio che la strada era diventata un fiume.
- Che ci fai qui?
- Di sopra era tutto fin troppo tranquillo, ma la tensione mi ha fatto
venir voglia di una sigaretta.
- Ovvio, quindi vieni a scocciare me.
Santiago
sfregò per quattro volte l’acciarino, prima di
riuscire a produrre una
fiamma. L’acqua picchiava sulle grondaie sopra di loro e
faceva un
fracasso d’inferno. Corin si tirò su il bavero,
per quanto riusciva, e
tornò a fissare la strada, con i capelli trasformati in
tante
condutture per la pioggia.
- Non si usano gli ombrelli, in Inghilterra?
Corin
emise il suo tipico sospiro rassegnato, quello precedente qualche
aneddoto che, detto da chiunque altro, sarebbe sembrato il
più triste
dell’universo; detto da lei diventava buffo.
- Prima non pioveva, ha
cominciato a riunione iniziata. Nessuno si è ricordato di
portarmi un
ombrello e io ho ordine di non muovermi assolutamente. Quindi eccomi
qua, come la triste Sophie gettata in strada dal crudele mister Crouch,
con il cesto dei panini dolci inzuppato, e si chiede come
farà a
ripagare gli ingredienti alla sua severa padrona, che… ehi!
L’impermeabile
che si era tolto la copriva del tutto, anzi, avanzavano dieci
centimetri che si stavano già inzuppando d’acqua
sul marciapiede.
- Aspetta qui, vado a cercare qualcosa di meglio.
- Oh non serve, non che ormai mi preoccupi di sentire freddo.
- Insisto, bimba.
Era tornato con l’ombrello promesso, ma non aveva
richiesto indietro l’impermeabile. Da parte sua, Corin non
aveva insistito per ridarglielo.
- Sei un gentiluomo, Santiago. Grazie. – gli aveva detto con
un sorriso.
Doveva
aver pensato qualcosa di una banalità sconcertante, tipo che
le
ridevano anche gli occhi e che erano neri come i capelli, e che una
donna per essere bella deve avere occhi e capelli neri.
- Diablo,
come piove.
- Non mi dire, non me n’ero accorta.
Quella volta di Erzulie
Quella volta poteva essere stata colpa di un incantesimo voodoo,
perché quando si ha a che fare con le streghe non ci si
può mai fidare fino in fondo.
Zelime gli era andata incontro sul bagnasciuga, con il suo solito
sguardo profondo.
- Santiago! Se mwen
menm se konsa, se konsa kontan m 'te voye ou. Non ci sono
più schiavi che arrivano sulle navi, ma
c’è tanto da fare.
- Anche io sono contento di vederti, mia strega creola. Ti porto i
saluti del Maestro Avvoltoio e del suo violino.
Zelime si fece un segno della croce, scoccandogli un’occhiata
di rimprovero materno che gli era mancata.
L’immortalità non aveva scalfito la fiducia di
Zelime nei loa, né aveva cancellato la diffidenza che
provava nei confronti di Aro.
- Che cosa vuole il mio mèt
da Zelime? Qui va tutto bene, siamo in pace da molto tempo.
- Non sono qui per nulla che riguardi i Volturi, mi andava di girare un
po’ il mondo.
- Non parlare come se tutto avvenisse per caso, sciocco. Io sapevo che
saresti arrivato, me lo aveva detto Agwe. Sei molto caro ad Agwe,
è lui che ha raccolto il tuo sangue quando sei stato
ricacciato indietro.
- Adoro quando parli così. Sai, c’è una ragazza che non hai mai incontrato,
nella guardia: penderebbe dalle tue labbra. Se le presentassi una vera
strega voodoo, credo potrebbe avere un mancamento. E'
una signorina inglese, molto di buona famiglia, ma ha questa passione
strana per le storie… quelle dove ci deve essere almeno
qualche morto, una che rimane incinta per sbaglio, patti con gli
spiriti, pirati… Sono sicuro che uno dei suoi libri
preferiti ha dentro anche il voodoo, ma non chiedermi il nome
perché potrebbe essere un titolo qualsiasi con dentro parole
come "isola, stregata, pirati, maledizione". Anche se credo che
rimarrebbe delusa dalla nostra aia. Per farle piacere, potresti fare
finta di abitare in una capanna in mezzo alla palude con i tuoi
spiriti? E avere degli zombie come servitori? O vestire con antichi e
misteriosi monili e teste di morto essiccate?
- A volte parli in un modo che non comprendo.
- E questo è molto strano, detto da una donna che sta
tracciando veve
nella sabbia.
Zelime non raccolse la provocazione e continuò a disegnare
con un rametto che aveva trovato.
- La devi portare con te.
- Le piacerebbe molto. Vedi, lei ha un potere particolare, si confonde
con le ombre. Quando lo fa, è come se si dipanasse in tanti
piccoli fili. Non gliel’ho mai detto perché si
arrabbierebbe moltissimo, lei odia le sigarette, ma è come
se i suoi capelli svanissero in tante spire di fumo, come queste.
– Santiago si rigirò la sigaretta tra le dita,
mentre dalla brace si levava un filo impalpabile, trasportato via dal
vento della spiaggia. – Sì, lei odierebbe il
paragone. E ha sempre un paragone per tutto! Una scena della sua vita?
L’ha già letta in uno dei suoi libri. E i
paragoni, diablo, non sono mai azzeccati, sono sempre delle cose
assurde e tristissime, tutto il contrario di lei.
- E come si chiama ou
renmen?
- Chi?
- Di chi abbiamo parlato per ora, di uno spirito?
- Ah, no, Corin non è la "mia innamorata", come dici tu. Non so nemmeno
perché ho cominciato a parlarti di lei. Hai fatto qualche
strano gioco con i tuoi disegni?
- I loa guidano la mia mano, se stasera hanno voglia di scherzare,
questo non lo so. Ma vieni, qui. – Zelime lo tirò
verso di sé e gli tracciò con le dita una croce
un fronte, una sulla bocca e una sul cuore. - Se c’era, ho
scacciato il maleficio.
- Ottimo lavoro, strega mia. Che dici, voglio rivedere le piantagioni e
la casa padronale. Aro vorrà sapere se i suoi sottoposti
fanno un buon lavoro! – Santiago si alzò e si
incamminò verso il sentiero.
Zelime smise di giocare con il rametto: davanti a lei, disegnato nella
sabbia umida, stava il veve di Erzulie. La prima onda
consumò la punta del cuore, la seconda lo sommerse del
tutto, la terza aveva già cancellato ogni traccia. Zelime
sospirò, riservando ai suoi dei lo stesso sguardo da madre
paziente che aveva con tutti.
- Ve li siete scelti, panse
ou.
Pensateci voi.
Quella volta del porno
E poi c’era stata quella volta del porno. Ovviamente,
essendoci di mezzo del porno, non poteva che esserci di mezzo anche
Felix.
Santiago non si ricordava nemmeno da cosa era nata la discussione. Era
possibile che stessero guardando qualche film giapponese che Alec aveva
portato indietro dopo la missione a Tokyo. No, non era Kurosawa. E
nemmeno Ozu. Insomma, capullos,
bisogna mettere i sottotitoli per bambini speciali? Era un qualche tipo
di pornazzo disturbante dal nome ridicolo, dove i peni si devono
censurare ma non se sono tentacoli di un mostro alieno e assatanato, e
le ragazze arrossiscono e piangono sempre.
- Non vi ricorda qualcuno, quella lì?
Alec aveva scosso la testa (sì, a volte capitava che
guardassero i nuovi acquisti assieme, specie prima
dell’avvento dei computer portatili. No, questo non minava la
loro eterosessualità, e se qualcuno provava a farlo notare a
Felix, lui ribadiva il concetto con le sue mani foderate di dolore.
Altrui), Demetri continuò a potare un bonsai che si era
portato dietro. Santiago si era irrigidito.
Felix incalzò.
- Dai, quell’espressione da finta innocentina, quel modo che
ha di toccarsi i capelli. Giuro che l’ho già vista
da qualche parte…
Santiago sapeva che non era un bluff e che, dato di chi si stava
parlando, Felix stava davvero riflettendo molto intensamente su chi
potesse essere la tipa dai lunghi capelli neri a cui un maiale gigante
stava strappando il reggiseno con le zanne. Ogni parola, nonostante
questa consapevolezza, gli procurava un fastidio fisico.
- Guarda come fa la ritrosa, mentre si vede lontano un miglio che se lo
sogna dalla vita un cazzone gigante. Ah, ecco! – il maialone
aveva completato l’opera, e la ragazza aspettava il suo
destino tette al vento. Piccole tette al vento.
No lo digas, no digas
ese nombre.
- Corin! Ovvio che non mi fosse venuto in mente prima. –
concluse Felix soddisfatto.
Alec ridacchiò.
- E l’avresti capito dal seno?
- Certo! Aro non ne fa molta pubblicità perché
è un’arma pericolosa, ma anche io ho un super
potere come voialtri gemellini psicopatici: riconosco con
un’occhiata la misura di seno di una donna. Che ci posso
fare, già da umano manifestavo i sintomi del mio potere.
Sia Alec che Demetri risero e continuarono a guardare l’anime
col leggero distacco con cui si studia una cosa esotica. Santiago
avrebbe voluto imitarli, ma era troppo impegnato a stringere i pugni e
fingere un’aria disinvolta.
La vera domanda era perché? Quella di Felix era
oggettivamente una battuta fantastica e ci sarebbe stato un sacco da
ridere, ma era nervoso e non capire bene perché fosse
nervoso lo rendeva solo più nervoso. O forse era nervoso
perché capiva benissimo come mai era nervoso,
perché se la tipa dell’anime fosse stata simile a
Heidi, lui avrebbe riso assieme agli altri.
Ma la stracazzo di tipa dell’anime assomigliava davvero a
Corin.
Tutti quei pensieri in realtà gli si erano chiariti
più tardi, troppo sofisticati per i cinque secondi che nel
tempo reale erano passati dal successivo: - Scommetto che anche lei
farebbe quella faccia da stupro, con la bocca a “o”
pronta per infilarci… - al cazzotto che aveva spedito Felix
contro il muro. Non gli lasciò il tempo di alzarsi: gli
afferrò la maglietta e lo inchiodò alla parete.
Quando incrociò lo sguardo stupito di Felix, si rese conto
di non sapere cosa dire. Il pugno di risposta arrivò
inclemente e ancora più inaspettato. Santiago si
massaggiò la guancia e mise a fuoco Felix che lo scrutava,
in allerta.
- Scusate? Qui qualcuno sta cercando di seguire una trama, se non vi
dispiace. – come un ago appuntito, la voce di Alec
sgonfiò la tensione. Entrambi rimisero a posto le sedie
cadute e ricominciarono a guardare l’anime, dove gli
Ultraporci tenevano fede al loro nome.
- Scusa, non lo sapevo. – gli sussurrò Felix
nell’orecchio.
Santiago annuì, distratto da una matassa di pensieri in cui
ancora non aveva trovato il nodo giusto da sbrogliare.
- Certo che… Voglio dire, non me lo aspettavo.
- Nemmeno io, Fel.
Quella volta della saggezza
orientale
Quella volta Santiago non se la ricorda, perché era corso
via di gran carriera, lasciando Demetri e Ruriko alle prese con il
pino. Potarono, lui con pazienza certosina, lei con pazienza zen,
ancora alcuni rami, prima che Ruriko rompesse di nuovo il silenzio.
- Sai cosa altro diciamo noi in Giappone, in un caso come questo? Kuki o yomu.
- “Leggere l’aria”?
- Credo che voi diciate “leggere tra le righe”.
– Ruriko fece una smorfia, per i suoi standard praticamente
un sorriso. - È adeguato, no? Dato che si tratta di lei.
- Secondo te quando se ne accorgerà?
- È come con il pino, si tratta solo di avere pazienza.
La tana di Otto
Questa storia, e tutto il fluff che contiene, è
interamente dedicata a Vannagio
per il suo compleanno.
A volte su facebook capita che ci si chieda quali sono le coppie
preferite, e io ho sempre degli imbarazzanti ingarbugliamenti di
stomaco quando Gio cita Corin e Santiago. Dato che la storia precedente
si era conclusa benissimo,
questa è la storia par condicio per ristabilire il giusto
livello di kuori nel mondo.
Noticine:
- Zelime è comparsa per la prima volta qui.
- i loa sono le divinità voodoo, Agwe è quella
delle acque e del mare, Erzulie invece protegge l'amore.
- l'hentai con i maiali esiste davvero. Ovviamente io non l'ho visto,
me l'ha detto mio cuggino.
- Ruriko compare, credo, per la prima volta. Dato che a volte devo
infilare a forza il Giappone nelle mie storie, non poteva mancare la
Voltura giapponese. Approfitto anche per dire qui nelle note una cosa
che non ha trovato spazio nella storia: pazienza in giapponese si
pronuncia nintai,
scritto con i due caratteri di nascosto (è anche il nin di
ninja, per intenderci) e quello di perseveranza.
Grazie di cuore a chi continua imperterrito a seguire la raccolta!
Leggo tutte le vostre recensioni e vi assicuro che mi do anche a
balletti poco dignitosi. Mi dispiace non aver ancora risposto a tutti,
ma è un periodo decisamente intenso. Come direbbe Ruriko,
abbiate un po' di pazienza.
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