From the Ashes a Fire Shall Be Woken di Nenredhel (/viewuser.php?uid=35475)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Meduseld (Il Palazzo d'Oro) ***
Capitolo 2: *** I Amrûn en Estel (L'Alba della Speranza) ***
Capitolo 3: *** Saer Tûr (Un'Amara Vittoria) ***
Capitolo 1 *** Meduseld (Il Palazzo d'Oro) ***
Nuova pagina 1
Lo so, lo
so... anche stavolta avevo detto che avrei cercato di fare in fretta, e anche
stavolta sono passati dei mesi. Non so più cosa dire per scusarmi, quindi dico
solo che spero che sia valsa la pena di aspettare tanto! Come sempre, ogni tipo
di commento è molto ben accettato e sentitamente sollecitato.
Buona lettura...
Meduseld
(Il
Palazzo d’Oro)
“The world is indeed full of peril and in it there are many dark places.
But still there is much that is fair. And though in all lands, love is now
mingled with grief, it still grows, perhaps, the greater”*
[J.R.R. Tolkien]
*
Il mondo è davvero pieno di pericoli e vi sono molti luoghi oscuri. / Eppure vi
sono ancora molte cose belle. E nonostante in tutte le terre, l’amore sia ora /
mischiato al dolore, esso germoglia, forse, ancora più forte. (traduzione mia)
I raggi obliqui di un sole appena sorto facevano brillare come pietre di rara
bellezza le piccole gocce, che costellavano verdi e rigogliosi steli d’erba
ormai quasi estiva, distesi a perdita d’occhio, come un mare di fili silenziosi
tra le ampie valli insinuate fra i colli, che prendevano ormai il posto delle
montagne nebbiose. Il terreno, morbido sotto gli zoccoli delle fiere
cavalcature, sembrava abbracciare ogni loro rapido passo, attutendone i suoni in
quel mattino primaverile, come se un Vala dal tenero cuore avesse
improvvisamente messo le ali alle bestie ormai stanche.
Le chiare acque dell’Acquaneve scintillavano di vita cristallina, serpeggiando
fra le colline ed inoltrandosi svelte e leggiadre nella più ampia delle valli
che si aprivano di fronte ai loro occhi, correndo a circondare con il loro
allegro sciabordio un colle, la cui sommità pareva risplendere del medesimo oro
del sole mattutino. Gli occhi di Dean si strinsero fino a divenire due fessure
mentre cercava di scrutare di fronte a sé, oltre l’abbaglio dei primi chiari
raggi del giorno, l’imponente delinearsi di quello che appariva come un palazzo
d’oro, circondato di alte mura e abbracciato dalle proprie case come un padre
circondato dalle piccole braccia dei propri figli.
La testa del ramingo quasi ciondolava per la stanchezza del lungo viaggio, che
aveva affrontato insieme ai due amici. Da quando avevano lasciato le sicure sale
di Caras Galadhon non avevano più conosciuto la piacevolezza di un letto comodo,
e neppure la consolazione di un’intera notte di sonno. Mano a mano che si
spingevano a sud, le strade divenivano sempre più pericolose, ed era necessario
vegliare costantemente. E come se questo non fosse stato sufficiente, Dean si
sentiva braccato dalle immagini che aveva scorto nello specchio di Pamela: non
poteva riposare tranquillo per un’intera notte, sapendo quali cupi giorni
attendevano la Terra di Mezzo, e a quale tremulo filo era appesa la speranza. Il
giovane volto, spaccato da una ferita di morte, che aveva visto nello specchio
perseguitava tutti i suoi sogni, e si stagliava nitido e minaccioso contro le
sue palpebre chiuse, ogni volta che fermava il loro viaggio per riposare: per
non cadere da cavallo a causa della stanchezza, per non uccidere la sua stessa
cavalcatura con una corsa troppo sfrenata ed inutile. Sentiva il bisogno
impellente di raggiungere Rohan immediatamente, e porre il proprio corpo fra il
volto di quella ragazza e l’arma che l’avrebbe uccisa, e allo stesso tempo una
voce cupa sul fondo della sua anima gli diceva che tutto sarebbe stato inutile,
che non sarebbe riuscito a salvare nessuno, proprio come non era riuscito a
salvare Castiel dalle fiamme e dall’ombra.
Dean tirò le redini d’improvviso, e il suo cavallo dal manto nero si impennò
leggermente, protestando per il brusco comando e sbuffando sonoramente, quando
Bobby fermò la propria cavalcatura solo a poche leghe di distanza dal palazzo
d’oro, che avevano scorto brillare in lontananza alcuni minuti prima.
“Edoras, dimora dei signori dei cavalli.” Annunciò con la sua voce piena,
indicando con la punta del suo bastone l’altura che si ergeva proprio di fronte
a loro.
“Avevo sentito parlare di Meduseld, il palazzo d’oro dei Rohirrim, ma non
credevo che gli uomini fossero in grado di costruire qualcosa di così bello”
commentò Sam, fermandosi alla sinistra di Dean e puntando uno sguardo ammirato
verso la cittadella.
“Aspetta di posare gli occhi sulla città bianca di Gondor prima di giudicare di
cosa gli uomini sono capaci, Sam” lo ammonì Bobby, burbero ma sorridente “I
Rohirrim sono gente valorosa ed orgogliosa. Tenete le vostre armi nel fodero e
badate alle vostre lingue, quando passeremo oltre le porte del palazzo d’oro, o
sarà la sua regina a rimettervi al vostro posto” aggiunse lo stregone con uno
strano sorriso, prima di tornare a spronare il suo cavallo grigio, gettandosi
giù per il leggero declivio di fronte a loro, pronto a raggiungere la strada che
saliva serpeggiante verso le mura di Edoras.
Dean fece appena in tempo ad intercettare lo sguardo perplesso di Sam, prima che
anche lui riprendesse la cavalcata con un scrollata di spalle. Il ramingo si
fermò ancora solo un secondo, con gli occhi fissi sul palazzo d’oro, che
risplendeva in bagliori accecanti, cercando di non vedere in quelle luci
risplendenti il riflesso del fuoco che avrebbe divorato quelle terre e tutti i
suoi abitanti di lì a poco.
~~~
Le strade di Edoras erano un unico, ininterrotto via vai di persone, cariche di
borse e sacchi, cibo ed abiti appallottolati. I bambini venivano sbatacchiati
qui e là da madri indaffarate che non avevano tempo di dar retta alle loro
proteste, né tanto meno di rincorrerli per chissà quali sentieri, se avessero
decisero di lasciarli andare a giocare da soli; gli uomini confabulavano tra
loro o trattavano a voce alta per il prezzo di chissà quale merce; mentre carri,
cavalli e pony erano allineati davanti alle case, con le bisacce assicurate alle
cinghi, mezze piene, aperte ed in attesa di essere colmate del tutto. Tutta
quella gente si stava preparando ad un viaggio, ad un lungo viaggio che portava
solamente verso la paura. Dean poteva leggere l’apprensione sul viso di ogni
madre e ragazza, negli occhi sfuggenti di ogni uomo o bambino. Erano corsi ad
avvisare i signori dei cavalli del pericolo imminente, ma questa nazione stava
già facendo i bagagli per fuggire.
Davanti ai grandi portoni di Meduseld, quelli che parevano gli unici due uomini
immobili della città attendevano silenziosamente i visitatori nelle loro
armature leggere di cuoio. Solo gli elmi erano di metallo, e ornati da una lunga
chioma di crini chiari che apparivano come la criniera di un destriero. Le lance
dei due soldati scattarono all’unisono quando Bobby si avvicinò alle porte,
poggiandosi più pesantemente del solito al suo bastone.
“Chiedo udienza alla signora del Mark. Sarà felice di vedermi in queste ore
oscure” annunciò con la sua voce roca lo stregone, fissando alternativamente gli
occhi chiari sui due giovani volti delle guardie.
“Non potete accedere al palazzo d’oro armati” replicò il giovane sulla destra,
che aveva il volto di un ragazzo che aveva appena imparato a tenere in mano un
rasoio, e gli occhi, di un marrone chiaro che pareva quasi giallo, puntati sulle
due figure alle spalle dello stregone, i cui volti erano nascosti dall’ombra dei
propri cappucci.
Bobby si voltò immediatamente, facendo loro un gesto brusco accompagnato da un
grugnito eloquente, quindi slegò la spada che teneva egli stesso alla cintura e
tornò poi a poggiarsi pesantemente al proprio bastone, in attesa. Sam tolse dai
foderi due lunghi pugnali elfici, depositandoli nel sacco che la guardia teneva
aperto di fronte a lui, ma esitò quando dovette lasciare anche il proprio arco e
le frecce. Dean abbandonò il proprio pugnale ed il proprio arco, mentre alla
strana occhiata che il soldato lanciò al fodero vuoto della sua spada, posò la
mano su di esso come per nasconderlo, replicando “Ho perduto la mia spada nelle
miniere di Moria”
Quasi vero. Pensò tra sé, mentre sentiva distintamente, nel fagotto che teneva
legato alla schiena, il peso dei frammenti della spada di Colt, che aveva tolto
dal fodero e nascosto in quel sacco per chissà quale motivo. Si era detto che
era per nasconderla ad occhi indiscreti, ma qualcosa, dentro di lui, gli diceva
che era stato piuttosto per nasconderla ai propri occhi. Il solo vedere, ogni
volta, l’impugnatura di quella vecchia spada inutilizzabile, bastava a fargli
stringere le viscere in una morsa dolorosa.
Il giovane, con il sacco delle armi in mano, fissò il bastone cui si poggiava
Bobby con fare eloquente, ma prima che potesse aprire bocca, lo stregone lo
anticipò: “Non vorrai privare un vecchio del suo sostegno per camminare?”
c’era una nota sospesa fra l’infastidito e l’ironico nella voce dell’Istari,
quando pronunciò la parola ‘vecchio’, ma nessuno parve farvi troppo caso.
Le due guardie si scambiarono un’occhiata perplessa ma, alla fine, quello che
sembrava il più vecchio dei due, si strinse nelle spalle e si voltò finalmente
per spingere i battenti della porta del palazzo d’oro.
La grande sala che accolse i tre viandanti era immersa da una penombra,
interrotta solo dalle lame di luce che penetravano sporadiche dalle poche
finestre volte ad oriente, mentre nell’enorme focolare brillava un fuoco che
appariva perpetuo, da quanto le pareti s’erano fatte nere intorno ad esso. Il
grigio freddo della pietra di cui le pareti erano composte era interrotto, qui e
là, da preziosi intagli d’oro, e rune d’ogni tipo ornavano il pavimento sotto i
piedi dei tre amici. Anche le possenti colonne, che sostenevano il basso
soffitto del grande salone, non erano solamente colonne, ma sculture le
impreziosivano, incrostate e rilucenti d’oro, mentre fili dorati tessevano
perfino gli arazzi che in più punti adornavano le pareti.
I tre viaggiatori avanzarono nella grande sala, gli occhi impressionati dallo
sfarzo semplice ma imponente di quel palazzo, eppure ancora le menti fisse nei
loro propositi e l’attenzione puntata soprattutto sul grande trono che si
ergeva, solitario e vacante, sopra tre gradini, sul fondo della sala. Lo
stendardo dei cavalieri di Rohan faceva bella mostra di sé alle spalle del
trono, ma nessun Re sedeva su di esso ad attendere i propri ospiti, e solo Bobby
non ne sembrava sorpreso.
“Ricordavo che l’educazione fosse tenuta in maggior conto nella sale del Palazzo
d’oro, evidentemente non ricordavo poi tanto bene” borbottò la voce burbera
dello stregone ad un sala vuota, come stesse parlando allo stendardo di fronte
ai suoi occhi chiari.
“L’educazione è per gli ospiti graditi, non per chi arriva sempre solo a portare
disgrazia” commentò una voce calma e melliflua, mentre una minuta figura di
donna emergeva dalle ombre alla destra dei tre compagni.
Un lungo abito bianco, stretto sui fianchi da una pesante cintura d’anelli
d’oro, e coperto in parte, sulle spalle, da un leggero manto nero, vestiva la
piccola figura che avanzava con passi tranquilli per andare a posizionarsi tra
il piccolo gruppo ed il trono ancora vuoto.
“Bobby Corvotempesta, dovrebbero chiamare questo stregone. Il malaugurio è un
cattivo ospite!”
annunciò di nuovo, con un sorrisetto trionfante sulle labbra carnose, ed una
scintilla di sfida negli occhi scuri.
“Non sono venuto a parlare con chi tenta da tempo di versare veleno
nell’orecchio di una vecchia amica, quindi togliti dalla mia vista prima che
perda la pazienza, Ruby Vermilingua”
tuonò Bobby, senza cedere d’un passo la propria posizione, ma anzi sostenendo
senza il minimo timore lo sguardo della giovane donna “Vengo in questo luogo con
notizie e con consigli. Sarà quindi il caso che la Signora del Mark non si
faccia attendere oltre” riprese, riportando il proprio sguardo determinato
sull’arazzo che permaneva immobile e silenzioso alle spalle del trono.
“Vieni con una ben strana compagnia, a portare le tue notizie” commentò Ruby,
avvicinandosi di un passo a Sam, che stava alla destra di Bobby, il volto ancora
in buona parte coperto dal cappuccio del proprio grigio mantello elfico “Cosa
fanno un ramingo e un Elfo in giro per le terre del Mark, insieme ad uno
stregone? Io voglio solo il bene della mia Signora, è mio dovere diffidare di
chi giunge a queste porte pretendendo di dare ordini” insinuò con la propria
voce fintamente cordiale, nascondendo una nota di ironia dietro il proprio
sorriso.
Bobby tornò immediatamente a puntare il proprio sguardo di ghiaccio verso la
ragazza, che era ora abbastanza vicina da essere a portata di braccio per i tre
viandanti. Lo stregone sembrò soppesare freddamente la sua minuta figura ancora
per alcuni lunghi istanti, prima di tornare finalmente ad ergersi in tutta la
propria statura, senza più fingere di appoggiarsi al bastone che teneva nella
destra, per levare poi quello stesso braccio, puntando minacciosamente quello
che aveva chiamato il suo sostegno verso Ruby.
“Se vuoi fare il bene della tua Signora fatti da parte, o perlomeno taci! La tua
lingua avvelenata non è fatta per le sue orecchie, né per le nostre, dovresti
averlo capito ormai” sbottò infine lo stregone, e per un attimo parve che avesse
intenzione di colpire la ragazza con il proprio bastone.
Sam stava puntando uno sguardo stupefatto sul volto dello stregone,
completamente sconvolto dal fatto che egli fosse pronto a colpire una ragazza
che appariva indifesa, oltre che intenta a fare al meglio possibile quello che
evidentemente era la sua mansione nel palazzo, ma in quel momento un’altra voce
irruppe nella sala silenziosa, fendendo l’aria carica di tensione con un ordine
perentorio.
“Ferma la tua mano Bobby, vecchio pazzo!”
I due ‘quasi fratelli’ impiegarono alcuni lunghi secondi per capire da dove
provenisse la voce che aveva apparentemente sventato l’aggressione dello
stregone, mentre Bobby sembrava sapere esattamente dove guardare: i suoi occhi
non avevano mai smesso di tenere d’occhio lo stendardo, che appariva ora
scostato di lato dalla mano della donna che era apparsa dietro di esso. Il volto
della Signora era decisamente femminile, così come i suoi lunghi capelli
castani, lasciati sciolti sulle spalle, ma il seno prominente si intuiva
solamente, nascosto sotto la pesante cotta che completava il militaresco
vestiario maschile che avvolgeva il suo corpo maturo. Una maglia verde spuntava
dalla ferrea cotta, coprendole le braccia ed in parte le gambe, che erano
infilate in un paio di pantaloni scuri e pesanti stivali di cuoio marrone. Una
grossa cintura pendeva, un po’ storta, sul lato sinistro, ove era appesantito da
un fodero con la sua lama. Sul petto, faceva bella mostra di sé il cavallo
bianco dei Rohirrim.
“Pensi davvero che colpirei chiunque, perfino questa creatura, nella tua casa e
senza il tuo permesso” replicò Bobby, sorridendo con un misto di compiacimento
ed irritazione che rendeva la sua espressione quantomeno buffa.
Ruby rispose solo con una smorfia veloce al commento dello stregone, ma mentre
si allontanava discretamente, tornando a rintanarsi nelle ombre, i suoi occhi
scuri erano fissi sull’alta figura dell’Elfo che era parso così indignato dal
comportamento dell’Istari.
“Penso che faresti qualunque cosa per attirare la mia attenzione ed indurmi a
fare come vuoi tu” ribatté a tono la strana dama, mentre si portava davanti al
trono sedendo quindi al suo legittimo posto “Su una cosa Ruby aveva ragione,
però, porti con te una strana compagnia questa volta. Non mi presenti i tuoi
amici?” i penetranti occhi nocciola della Signora di Rohan si puntarono
alternativamente su Sam e Dean, per poi tornare, le sopracciglia corrugate,
sullo stregone al centro, un sorriso a metà sulla bocca sottile, in attesa.
Bobby esitò solo un secondo, quindi sospirando si voltò prima da un lato e poi
dall’altro, facendo loro cenno di lasciar cadere i propri cappucci, per rivelare
i loro volti solo in parte celati.
“Mia Signora, ti presento Dean di Nùmenor, erede di Gondor, e Samuel di Gran
Burrone, figlio maggiore di Sire John il Mezzelfo” lo stregone fermò un attimo
le proprie parole, lasciando che i nomi che aveva pronunciato arrivassero e
sedimentassero nella coscienza della dama che li aveva appena uditi, quindi
rivolgendosi ai propri compagni aggiunse “Ragazzi, questa è Ellen di Rohan,
Signora del Mark”
“Mi correggo, non viaggi con strani compagni, ma con nomi importanti” le
sopracciglia della regina si erano inarcate nell’udire i nomi che Bobby aveva
pronunciato, ma se i suoi occhi avevano osservato con curiosità il bel volto e
le puntute orecchie dell’Elfo, si erano poi fermati con insistenza sullo sguardo
verde del giovane ramingo, che pareva imbarazzato nel sostenere
quell’attenzione.
“Mentre tu… per quale motivo ti tieni affianco al trono quella specie di
diabolico pinguino?” domandò Bobby, con la voce roca colma di infastidito
risentimento, facendo saettare i propri occhi chiari verso l’angolo in penombra
dove ancora la ragazza si celava, sorvegliando ogni loro mossa.
La risposta della regina fu però preceduta dal mezzo commento di Dean, che Sam
non riuscì a fermare in tempo. “Pingu…che?” domandò senza pensare a dove si
trovava, o a chi aveva di fronte, dando semplicemente una gomitata nel fianco
dello stregone, suo vecchio amico. Solo quando Sam gli strinse il braccio
abbastanza forte da fargli male, e Bobby il Grigio si voltò per riservargli la
sua migliore occhiata fulminante per poi alzare gli occhi al cielo, come si
farebbe con un bambino particolarmente indisciplinato, Dean si rese conto che
forse avrebbe fatto meglio a tacere.
La regina Ellen osservò tutta la scena con un sorriso divertito sulle labbra,
che sparì, facendo ricomparire un’espressione dura e risoluta, che sembrava non
voler concedere nulla al suo interlocutore, quando Bobby tornò a rivolgere a lei
la sua attenzione.
“Perché ha sempre le migliori informazioni, prima degli altri. E perché dà buoni
consigli al momento giusto, cosa che non si può dire di te, vecchio vagabondo in
grigio” era la seconda volta che la regina lo appellava con tanta disinvoltura,
e sebbene Dean non avesse mai sentito Bobby parlare di lei, aveva ora
l’impressione che non solo si conoscessero da lungo tempo, ma anche che si
conoscessero estremamente bene.
“I consigli non sempre sono buoni come sembrano. Sono qui per…” ricominciò a
parlare lo stregone, ma la regina lo interruppe con un gesto della mano,
levandosi dal trono e scendendo i pochi gradini sotto di esso per avvicinarsi ai
suoi tre ospiti.
“Tu sei venuto per dirmi che un esercito di uomini e orchi marcia in direzione
dei miei confini, ma io ne sono già stata informata” annunciò la regina,
fermandosi direttamente di fronte allo stregone, guardandolo dritto negli occhi,
alla sua stessa altezza.
“Uomini e orchi?” domandò d’istinto lo stregone, corrugando la fronte in
un’espressione più preoccupata che sorpresa.
“Vedo che le tue preziose informazioni non sono poi tanto dettagliate” commentò
la regina con un sospiro, per poi proseguire, spostando il proprio sguardo
nuovamente sul giovane volto del ramingo “Una volta Rohan e Gondor erano amici
ed alleati, ma ora il Sovrintendente manda le sue scintillanti armature contro
di noi. Forse l’erede al trono di Minas Tirith è qui per fermarli?”
Dean si irrigidì sotto lo sguardo duro, seppure non accusatore, della regina, e
la sua mente andò istintivamente all’inutile lama che portava nel fagotto sulle
proprie spalle, e subito di seguito a quel compagno che aveva perso lungo la via
di questo assurdo viaggio. Lui avrebbe saputo consigliargli cosa dire, come
comportarsi, lui avrebbe saputo ridargli la speranza che aveva perduto
nell’abisso di Moria. Ma Moria lo aveva inghiottito, e ora doveva percorrere da
solo questa strada, trovando da solo le parole, la forza, la speranza. Il
ramingo aprì la bocca per replicare, ma la mano di Bobby sul petto lo bloccò.
“Dean è qui per lottare al tuo fianco, per offrire tutto l’aiuto di cui sarà
capace, sperando che poi potrai aiutarlo nella sua guerra per la riconquista di
ciò che suo. Sai bene che Crowley si è seduto su quel trono con l’omicidio e con
l’inganno…” nuovamente, la regina lo interruppe, senza neppure darsi la pena di
alzare la mano per zittirlo.
“Io so solo quello che tu vuoi dirmi, Bobby!” lo attaccò con voce perentoria,
voltandosi per tornare al proprio trono “Per questo sono andata a cercare
altrove consigli ed informazioni. Ho già preso i provvedimenti che sono
necessari: la mia gente sta raccogliendo le proprie cose e le proprie forze, è
pronta a partire e combattere. Le possenti mura del fosso di Helm ci hanno
salvato in passato, lo faranno ancora” illustrò la regina, tornando a posare il
proprio sguardo sui tre compagni, mentre poggiava una mano sul proprio alto
trono, come traendo dal legno stesso la propria autorità.
“Questa è una follia” sentenziò Bobby, borbottando la sua indignazione mentre
tornava a poggiarsi al suo bastone con un sospiro, pronto ad una lunga
battaglia.
~~~
La notte era calata rapidamente, o almeno così era parso a Dean, mentre sedeva
sul muretto di pietra che costeggiava la stretta strada che incideva il lato
della collina, poco più in basso delle possenti mura del palazzo d’oro. A quanto
ne sapeva, Bobby era ancora all’interno, a discutere con Ellen sulla sua
decisione di andare a rintanarsi al fosso di Helm. Personalmente, pensava che lo
stregone avesse ragione: la forza di Rohan era nei suoi cavalieri, chiuderli in
una fortezza poteva essere controproducente, sarebbe stato molto meglio condurli
in campo aperto a cogliere di sorpresa l’esercito che marciava verso di loro. Ma
lui era sempre stato più propenso all’azione che alla strategia e, in fondo, per
quando continuassero a chiamarlo erede al trono di Gondor, lui non era che un
ramingo, e non aveva voglia di essere considerato niente di più, al momento.
A fianco a lui, sulla superficie irregolare delle pietre del muretto, era posato
l’involto in cui erano conservati i frammenti della leggendaria spada di Colt.
Aveva fatto molta strada, e aveva perso un amico… un compagno… il filo dei suoi
pensieri si incagliò sull’immagine del volto sempre pacato e serio dell’Elfo che
era stato per lui prima un mentore, quasi un fratello, poi un amico, e poi
qualcosa di tanto intenso che non riusciva a dargli un nome. Era come uno
scoglio sul quale la sua mente naufragava continuamente, come il punto dolente
che la lingua continua ad andare a torturare nella bocca, come traesse un
qualche sadico piacere nel seguitare a rinnovare quella sofferenza.
Sentì gli occhi iniziare a bruciare della pena che aveva nel cuore, e li chiuse
un secondo per poi spalancarli nell’oscura aria notturna, lasciando che fosse la
sua fresca carezza ad asciugarli e resistendo all’impulso di lanciare lontano da
sé quel piccolo sacchetto di cuoio ripieno d’acciaio, quando la sua mano vi si
posò casualmente sopra. Abbassò lo sguardo quando fu sicuro che nessuna goccia
indesiderata se ne sarebbe staccata, e prese tra le mani l’involto. Aprì il
laccio che lo avvolgeva stretto e scostò il drappo scuro, per rivelare l’acciaio
lucente, che malgrado i lunghi anni e l’oblio, riusciva ancora a rilucere della
sua egregia fattura anche nella luce incerta della luna. Passò prima le dita
sull’elsa, semplice ma elegante, e il suo dito si tinse di una goccia di rosso
quando ne accarezzò il filo: quella lama non avrebbe mai perso la sua
affilatura, eppure era ancora solo un inutile ammasso d’acciaio. Non sapeva che
farsene di quel peso che continuava a portare sulla schiena, così come non
sapeva che farsene del nome e del titolo che Bobby gli aveva scaricato sulle
spalle. Avrebbe voluto tornare a casa, solo che la sua casa era scomparsa tra le
fiamme e l’ombra.
Dean trasalì quando il freddo acciaio si posò alla sua gola, mentre un braccio
sottile ma forte gli circondava il collo e una mano gli si posava alla schiena,
sorvegliando senz’occhi ogni sua mossa.
“Chi sei? E cosa fai qui nell’ombra, a due passi dalla dimora dei signori del
Mark?” domandò una voce alle sue spalle, troppo sottile per essere quella di un
uomo.
“Riposo e guardo le stelle” replicò, insinuando l’ironia nella propria voce,
mentre, scivolando giù dal muretto, si appendeva al braccio che gli teneva
saldamente le spalle, abbastanza forte da allontanarlo dalla propria gola, e
quindi ruotava velocemente su se stesso, tenendo stretto nel pugno il giovane
polso e torcendolo fino ad indurlo a lasciar cadere la lama che aveva minacciato
la sua vita.
Quello che proprio non si aspettava, era che il suo aggressore scavalcasse
agevolmente il muretto, facendo sgusciare una mano più piccola e delicata di
quanto avesse pensato fra le sue dita, per poi attaccarlo con una ginocchiata lì
dove ogni uomo è più debole, e raccogliere la lama che aveva appena lasciato
cadere mentre lui tentava affannosamente di riprendersi dal colpo.
“Non è un buon posto per guardare le stelle questo, straniero.” Lo apostrofò
nuovamente la voce, leggermente affaticata, mentre tornava a puntargli la lama
alla gola, tenendosi però a discreta distanza.
“Qualsiasi Elfo ti risponderebbe pân sad nardh maer an tiri in elenath
(ogni luogo è buono per guardare le stelle)” rispose Dean, rimettendosi in
posizione eretta, mentre constatava che la fitta sorda che sentiva nel petto al
solo usare i suoni della lingua della sua infanzia era molto peggiore di
qualunque colpo potesse infliggergli il suo aggressore. I suoi occhi verdi
cercarono di penetrare l’ombra per vedere il volto di chi lo aveva appena
colpito, ma il cappuccio che portava sul capo nascondeva gran parte del suo
viso, sebbene ancora potesse riconoscere che doveva trattarsi di un ragazzino, a
giudicare dalla linea dolce del mento.
Il ragazzo parve esitare, quando sentì i suoni della lingua degli Elfi, che
molto evidentemente aveva riconosciuto, pur senza comprenderne il significato.
Il pugnale che era ancora puntato al suo petto si abbassò di poco, mentre
l’aggressore sembrava studiarlo con diffidenza.
“Spero che tu non mi abbia appena insultato, straniero” lo canzonò infine la
giovane voce proveniente dalla penombra del cappuccio “Parli la lingua degli
Elfi, ma a meno che la mia vista non sia ingannata da un sortilegio, non sei uno
di loro. Chi sei straniero? e perché stai da solo fuori dalla porta della mia
casa?” domandò ancora, e quando sporse di poco la testa verso di lui, Dean poté
cogliere un lampo dei suoi occhi attenti e prudenti al tempo stesso.
“Sono un ospite del palazzo d’oro, e se quella è la tua casa, mi chiedo, come
puoi non saperlo?” ribatté Dean prontamente, indicando con un gesto noncurante
del capo la massiccia sagoma di Meduseld, mentre ancora stringeva i denti per
non cedere alle ultime ondate di dolore che gli provenivano dall’inguine,
gentile dono del suo interlocutore.
“Perché da giorni sono occupata altrove, ad aiutare la mia gente nei
preparativi” replicò la voce, scontrosa, mentre una piccola mano andava
finalmente a scostare il cappuccio, lasciandolo cadere sulle spalle e rivelando
una lunga chioma di capelli biondi e un viso inequivocabilmente femminile, che
fece sobbalzare Dean quando riconobbe in quei lineamenti armoniosi e giovani, i
medesimi che aveva veduto nello specchio di Pamela, spaccati da un’orrenda e
funerea ferita “Sono Jo, figlia di Ellen di Rohan, adesso vuoi dirmi il tuo nome
straniero… e magari anche cosa facevi qui al buio con una spada rotta in
grembo?” proseguì la ragazza, gettando un’occhiata perplessa ai frammenti della
spada, che ora giacevano tra l’erba bassa, sfuggiti almeno in parte alla loro
protezione di cuoio.
Dean represse l’impulso di chinarsi immediatamente a raccoglierli, per
rimetterli al sicuro nella loro sacca: certo un gesto del genere avrebbe
attirato l’attenzione su di essi, ed era proprio ciò che intendeva evitare.
“Sono Dean…” il giovane ramingo esitò, incerto sul nome da dare, poi gettò una
nuova, fugace occhiata ai pezzi sparsi della spada di Colt e proseguì “Dùnedain
del Nord. Sono arrivato qui insieme a Bobby il Grigio e a Samuel di Gran
Burrone, perché ci sono giunte notizie di guerra imminente” spiegò mantenendosi
sul vago, pensando che avrebbe dovuto pensarci qualcun altro a spiegare anche a
questa ragazza chi egli fosse, se proprio questo doveva accadere “Ma non credevo
che le fanciulle di sangue reale si aggirassero nella notte a custodire le mura
del proprio palazzo” aggiunse quindi, con un mezzo sorriso ad inarcargli le
labbra, mentre osservava finalmente lo strano abbigliamento della ragazza.
Jo indossava un abito azzurro di lana grezza, non certo un tipo di vestiario
adatto ad un principessa, il pesante mantello che portava sulle spalle sembrava
più conoscono ad un cavaliere che ad una fanciulla, mentre ai piedi si intuivano
un paio di vecchi stivali. Alla vita della ragazza si intravedeva una grossa
cintura di cuoio, ove erano infilate alcune scarselle chiuse da modeste fibbie
di metallo, insieme al fodero del pugnale che ancora teneva nella mano, e ad una
spada ancora riposta al suo posto.
“Le donne di Rohan non sono del tipo che fuggono a rintanarsi davanti alla
battaglia. Noi combattiamo al fianco dei nostri uomini, o ci gettiamo di fronte
ai loro corpi morti per proteggere la nostra terra” la ragazza tornò a stringere
con più forza la preziosa elsa della sua corta lama, e la levò nuovamente contro
il ramingo, mentre nei suoi occhi brillava la luce della battaglia “Non temo né
morte né dolore” affermò quindi con fierezza, mentre Dean estraeva veloce la
propria lama, per incontrare quella della dama.
Il giovane ramingo fece roteare il braccio, e le due lame lo seguirono
all’unisono strisciando una contro l’altra accompagnata dal loro stridere
metallico, finché il movimento non le tolse di mezzo, inducendo entrambi ad
abbassarle, al proprio fianco.
“Cosa temi, mia signora?” chiese allora Dean, il sorriso più largo sulle sue
labbra, affascinato suo malgrado da questa fanciulla che pareva poco più di una
bambina ma parlava con la forza che molti uomini non avrebbero mai avuto.
“La gabbia” replicò immediatamente la ragazza, e il suo viso delicatamente ovale
si illuminò di una regale risoluzione mentre rispondeva, la schiena dritta e la
testa alta “Stare dietro le sbarre finché l’abitudine e la vecchiaia le
accettino, e ogni occasione di valore sia diventata un ricordo o un desiderio”
Mentre Jo di Rohan ancora finiva di pronunciare quelle parole, Dean non poté
impedirsi di pensare che questa ragazza gli piaceva. Ammirava la sua forza, e la
determinazione che trapelava dal suo sguardo ogni volta che parlava. Era, certo,
una compagna che avrebbe voluto avere al suo fianco nelle battaglie a cui stava
andando incontro e, solo per un secondo, la sua mente smise di impigliarsi con
dolorosa insistenza su di una macchia di blu che spariva inghiottita dalle
fiamme.
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Capitolo 2 *** I Amrûn en Estel (L'Alba della Speranza) ***
Nuova pagina 1
I Amrûn en Estel
(L’Alba della Speranza)
"Out of doubt, out of dark to the day's rising
I came singing into the sun, sword unsheathing.
To hope's end I rode and to heart's breaking:
Now for wrath, now for ruin and a red nightfall!
"
[J.R.R. Tolkien _ The Lord of the Rings]
Gli occhi di Sam vagarono ancora una volta verso la schiena di Dean, che
cavalcava alcuni metri davanti a lui, affiancato da Jo, apparentemente
intenzionata a tenerlo costantemente d’occhio. Davanti a loro, si snodava,
grossa lenta come un gigantesco serpente, l’interminabile colonna dei profughi
di Edoras. Gran parte degli abitanti del Mark aveva già trovato rifugio nelle
Grotte Scintillanti, oltre le possenti mura che, dall’antica ed imponente torre
del Trombatorrione, andavano fino all’altra parete di quella stretta ma
verdeggiante gola che gli uomini chiamavano Fosso di Helm. Una guarnigione
occupava normalmente le stanze del Trombatorrione, ma ora da tutte le terre di
Rohan giungevano cavalieri e guerrieri: coloro che erano scampati alle armi di
Mordor che già si abbattevano sulle verdi vallate del Mark scortavano la gente
dei propri villaggi al sicuro, pronti a dare manforte alla loro regina. Uno
sparuto gruppo di soldati presidiava, inoltre, le antiche e ormai danneggiate
mura della diga, che chiudeva il fosso più a valle: era una postazione difficile
da difendere, a causa della larga breccia che si apriva in quella vetusta
costruzione, ma era una prima linea di difesa a cui Ellen non voleva rinunciare.
Il Fosso di Helm era da sempre l’ultimo rifugio degli uomini del Mark, e fino ad
allora non li aveva mai traditi: le sue mura perfettamente lisce erano tanto
spesse che quattro uomini potevano tranquillamente camminare affiancati sulla
sua sommità. I cancelli del Trombatorrione erano l’unica via d’accesso, se si
eccettuava il piccolo canale di scolo che permetteva al fiume Fossato di fluire
liberamente a valle.
Il gruppo delle guardie della Regina Ellen, che chiudevano la lunga colonna di
profughi, stava entrando in quel momento nella valle, guidati dalla regina
stessa e da Bobby il grigio, da tempo immersi in una fitta conversazione. Sam
rivolse loro un’occhiata fugace, poi riportò i chiari occhi verdi sulle spalle
curve di Dean. Lo conosceva da sempre, e sebbene non appartenessero neppure alla
stessa razza, era arrivato a considerarlo un vero fratello, eppure era certo di
non aver mai visto le spalle del ramingo così curve sotto il peso del destino.
Dean era un uomo forte e determinato, ma tutto ciò era troppo perfino per lui:
non solo il destino di un popolo, di una nazione gravava su di lui e su di una
lama spezzata che appariva ora tanto leggendaria quanto inutile, ma il futuro
dell’intera Terra di Mezzo, ora che l’oscurità aveva ricominciato ad avanzare.
Cercava da giorni di consolarlo, di fargli coraggio, di ricordargli che se Bobby
lo aveva condotto in questo viaggio non era sicuramente stato invano, ma sebbene
egli avesse annuito e sospirato, scrollando le spalle e vuotando con un la
fiaschetta che riempiva ad ogni locanda disponibile, Sam poteva vedere bene nei
suoi occhi che la speranza stava svanendo da essi, scivolando via in silenzio
come la neve che si posa sui primi germogli di primavera. Eppure non poteva
cedere, non poteva arrendersi: Dean era la speranza degli Uomini, Sam ne era
certo perché aveva fiducia in Bobby e nelle parole dei tempi antichi, ma vedeva
anche che non poteva affrontare tutto questo da solo. Gli mancava Rufus, che per
anni era stata una guida per lui, e ancor più gli mancava Castiel, che era in
grado di far nascere il sorriso sul suo viso con la stessa facilità con cui il
sole spunta dietro le colline al mattino. Le parole non potevano bastare per
cacciare disperazione e solitudine da suo cuore, doveva fare qualcosa di
concreto per aiutarlo, per mostrargli che non era solo, che ancora molti
credevano in lui e combattevano al suo fianco. E ora, grazie ad un consiglio e
ad un’amica inaspettata, pensava di sapere cosa doveva fare.
Sam spostò i propri penetranti occhi di Elfo sulla lunga colonna in cammino, e
finalmente incrociò lo sguardo scuro di Ruby: Bobby l’aveva chiamata Vermilingua
e l’aveva maltrattata nella casa di Ellen, ma lui aveva trovato in quella
ragazza un creatura intelligente, scaltra, ed un’alleata preziosa. La ragazza
fece un rapido cenno del capo in sua direzione e spronò il cavallo, correndo in
avanti e staccandosi dalla colonna per deviare verso nord appena prima
dell’imbocco della gola. Sam portò di nuovo l’attenzione su Dean: avrebbe voluto
parlarne anche con lui, dirgli cosa aveva intenzione di fare, ridargli speranza,
ma non c’era tempo, e non voleva che l’uomo cercasse di fermarlo. L’Elfo si
abbassò a sussurrare poche parole nella sua lingua all’orecchio della fiera
cavalcatura, quindi tirò leggermente le redini, facendone rallentare l’andatura
fino a che il gruppo delle guardie della Regina lo ebbe superato, infine fece
voltare il muso del suo cavallo verso nord e lo spronò con decisione,
allontanandosi senza voltarsi indietro.
~~~
Il fosso di Helm era un brulicare di umanità varia e disperata. I suoi cancelli
spalancati continuavano ad inghiottire contadini, cavalieri, serve e combattenti
che sembravano sempre troppo giovani o troppo vecchi per portare una spada. I
bambini correvano fra le zampe dei cavalli, che si lasciavano docilmente
condurre alle immense stalle approntate vicino all’ingresso delle Grotte
Scintillanti, mentre le madri si avviavano nella medesima direzione, portando
sulle spalle curve immense ceste di viveri e sacchi delle più varie forme e
dimensioni. Tutti, ogni singolo abitante del Mark che fosse riuscito a
raggiungere i cancelli del Trombatorrione, si preparava ad un lungo assedio,
alla battaglia ed alla paura.
Dean scese dalla propria giumenta nera, affidandola con riluttanza al ragazzo
che ne attendeva paziente le redini, quindi attraversò con passo svelto il
cortile, per raggiungere Ellen e Bobby, che già si inerpicavano per le scale che
portavano ai piani superiori della fortezza. Senza che neppure se ne rendesse
conto, la sua mano sfiorò il sacchetto in cui ancora portava i frammenti della
spada di Colt. Si accorse di quello che stava facendo solo quando le sue dita
toccarono inavvertitamente quelle di Jo, ancora al suo fianco. Il ramingo
incrociò il suo sguardo solo per un secondo, poi le parole irate della regina
giunsero al suo orecchio, richiamandolo alla realtà.
“Bobby, vecchio rompiscatole! Non ho uomini neppure per difendere il Fosso e tu
ancora insisti perché io affronti gli eserciti di Mordor in campo aperto?! Non è
un suicidio che sto cercando! Voglio salvare la mia gente!” sbottò la donna,
allontanandolo con un gesto tanto imperioso quanto stizzito della mano.
“Mia signora” richiamò la sua attenzione Dean, salendo i gradini quattro alla
volta per raggiungerla più in fretta “Avete molti uomini in armi qui, il Fosso
reggerà sicuramente, ma quanto a lungo? I cavalli sono la vostra forza…”
“Ragazzo! Smetti di ascoltare le parole di questo vecchio scorbutico e apri gli
occhi” lo redarguì immediatamente la regina “Ci sono molti meno cavalieri in
armi e abili alla battaglia di quanto mi aspettassi. Mordor ha già colpito
duramente, e i miei vassalli hanno dovuto difendere strenuamente le loro terre.
La maggior parte degli uomini adatti e addestrati alla guerra giace morta sul
terreno di casa propria o ferita nelle Grotte. Sono vecchi e bambini, contadini
e allevatori ad impugnare adesso le armi e ad aspettare la guerra sulle Mura
Fossato. E allora dimmi, ragazzo mio, come pensi che questo esercito possa
sconfiggere quelli Mordor?” c’era amarezza nella voce di Ellen, rabbia e
frustrazione, ma anche il fuoco di chi non vuole arrendersi, e vuole combattere
fino alla fine.
“Chiedi aiuto, Ellen!” esclamò Bobby d’un tratto, incrociando le braccia al
petto con fare combattivo e un’espressione sul viso che avrebbe potuto essere
quella di un bambino cui avevano appena detto che non poteva avere il suo gioco
preferito.
“E a chi? Gondor è contro di noi! Chi verrà in nostro aiuto? Gli Elfi forse? Se
non sono già tutti partiti con le loro navi grigie, sono sicura che comunque non
scomoderanno le loro immortali terga per giungere in nostro aiuto!” concluse
Ellen, voltandosi per allontanarsi da piccolo gruppo con passo deciso, lasciando
dietro di sé le facce preoccupate di Dean e Bobby, e quella combattuta di Jo.
“Mia madre ha ragione, come possiamo combattere questa guerra da soli? Ogni uomo
del Mark morirà su queste mura per difendere la propria libertà e i propri cari,
e se fosse necessario, le donne raccoglieranno poi le armi dei loro mariti, ma a
quel punto?” una spada pendeva al fianco di Jo, e la sua mano stringeva tanto la
sua impugnatura che le nocche erano divenute bianche come latte. Nei suoi occhi
chiari ardeva la stessa combattiva determinazione di sua madre, ma la paura non
poteva fare a meno di insinuarsi dietro il coraggio.
“Non siamo soli” replicò immediatamente Bobby, poggiando una mano sull’esile
spalla della ragazza con fare paterno, quindi portò l’altra ad afferrare
saldamente il braccio del ramingo, mentre incrociava i suoi occhi verdi con
determinazione “Dov’è Sam?”
Dean aprì la bocca per rispondere ma la voce gli morì in gola quando si accorse
di non avere la risposta. Non lo vedeva da quella mattina, quando avevano levato
l’ultimo campo per raggiungere finalmente il riparo del Fosso di Helm. Aveva
cavalcato con lui per un lungo tratto, prima di affiancare quella serpe, quella
intrigante giovane consigliera che Ellen ancora non aveva allontanato dalla sua
corte, per chissà quale motivo. Da allora non l’aveva più visto, era stato
troppo immerso nei propri cupi pensieri, o assorbito dalla conversazione che Jo
aveva tentato di intavolare, con l’apparente intento di distrarlo dallo scuro
velo che si posava sulla mente ogniqualvolta si trovava solo a riflettere. E ora
che si soffermava a pensarci, non ricordava di averlo visto attraversare i
cancelli del Fosso. Dean si voltò, portando lo sguardo sull’ampio cortile
antistante alle porte del Trombatorrione, facendo spaziare la propria vista in
lungo e in largo fin dove poteva arrivare, approfittando della propria
postazione elevata, ma non trovò traccia dei chiari abiti verdi dell’Elfo, né
del suo particolare manto grigio.
~~~
Sam sollevò di scatto la testa e i suoi occhi verdi saettarono nell’oscurità,
solo parzialmente disturbati dalla vaga macchia di luce che il fuoco aveva
stampato in essi. L’aria era immobile ma impregnata di umidità, e l’atmosfera ne
era resa greve fino a sembrare insopportabile. Samuel di Imladris conosceva gli
alberi snelli delle proprie terre così come quelli più imponenti ed antichi del
fitto intreccio di Bosco Atro, ma nessun essere arboreo gli era mai parso tanto
inquietante come l’impenetrabile muraglia di legno e rami contorti che era il
bosco di Fangorn. Ad ogni più piccolo rumore i suoi muscoli si tendevano, e non
poteva fare a meno di scrutare il buio della notte con ansia, sicuro che
qualcosa stesse per emergere dall’oscurità. Eppure non era all’intrico di alberi
che incombeva su di loro che i suoi si volgevano continuamente, non era
quell’aria immobile e gravida di pioggia che gli opprimeva il cuore, bensì
l’inestinguibile dubbio di avere preso il sentiero sbagliato, di avere
abbandonato quello che ormai riteneva un fratello a combattere solo quella
battaglia.
Ruby si mosse in un punto indistinto alla sua destra, ma i suoi occhi verdi si
volsero alla sua figura minuta solamente quando la sentì sedere a terra accanto
a lui, e percepì il suo sguardo nero fisso sulla propria nuca.
“Sei inquieto” disse la giovane consigliera di Rohan, e nella sua voce non v’era
traccia di quesito.
“Come potrei non esserlo?” Sam condusse il proprio sguardo alla foresta, un
piccolo inganno giocato senza sapere neppure bene il perché.
“Fangorn è un luogo pericoloso, ma se non ci avventureremo fra i suoi rami non
c’è motivo di temerla…” iniziò la ragazza, ma l’Elfo la interruppe prima che
potesse proseguire.
“I pastori di alberi” sussurrò senza sapere bene che cosa stesse dicendo,
seguendo solamente uno strano istinto che gli sussurrava di non lasciarla
parlare, di non ascoltare più le parole di questa ragazza “Molte delle vecchie
canzoni parlano degli Ent. E’ per questo che temi il bosco?”
“Fangorn è una foresta antica, e si dice che non ami i visitatori. Non so se vi
siano i pastori di alberi, ma so che molte creature si sono smarrite per questo
bosco senza più uscirne” replicò Ruby seccamente, con il chiaro intento di
chiudere subito un discorso inutile “Ma non è questo che ti preoccupa” ancora
una volta, nessuna ombra di domanda sfiorò la sua voce o il suo sguardo deciso.
“L’ho lasciato solo senza neppure salutarlo” confessò infine Sam, riportando i
propri occhi sulle fiamme sempre più flebili del piccolo fuoco da campo “Non
avrei dovuto”
“Lui capisce. O capirà” replicò la ragazza con un sospiro “E se anche non
dovesse capire, non è questo il punto. Era necessario che tu partissi, era ed è
necessario che tu vada a nord. Non potevi continuare a seguirlo in una assurda
marcia suicida verso sud” le parole di Ruby erano abbastanza brusche da sembrare
vere, ma quando gli posò la piccola mano sul braccio, nei suoi occhi c’era
comprensione e anche un velo di tristezza “Tu sai che è così. Gli uomini sono
corrotti, sedotti dal fascino dell’oscurità e del potere. La Terra di Mezzo
cadrà nell’ombra senza l’aiuto degli Elfi, e loro non si riuniranno sotto la
guida di un uomo, un ragazzo, un semplice ramingo… dev’essere un principe degli
Elfi a chiamarli a raccolta a guidarli in quest’ultima guerra. Spetta a te”
Sam si voltò ad incrociare il penetrante sguardo scuro della ragazza, e cercò di
leggere dentro di lei, o forse dentro se stesso, quale fosse la verità, la cosa
giusta da fare.
“Ma Bobby, il Consiglio… la spada di Colt appartiene di diritto a Dean”
balbettò, senza riuscire a davvero a definire, dentro di sé, cosa fosse questa
costante sensazione di pericolo che gli appesantiva il cuore. Era come se
qualcosa avesse offuscato il suo giudizio e nascosto la strada, in modo che
nulla fosse più chiaro, e giusto o sbagliato divenissero semplicemente
l’abbaglio della medesima figura.
“Forse un tempo, quando questo viaggio è iniziato, Dean era forte abbastanza ma…
lo hai visto anche tu. Qualcosa in lui si è rotto, è già un uomo sconfitto,
spezzato come la spada che si porta appresso. Cosa potrà mai fare contro gli
eserciti di Mordor? Cosa potrà fare da solo?” la voce della ragazza era gentile
e carezzevole, e le sue parole parevano quanto d più saggio potesse venire
pronunciato in quei tempi oscuri.
Sam lo aveva visto con i propri occhi, aveva visto Dean spezzarsi il giorno in
cui Castiel era caduto a Moria, e quindi accartocciarsi giorno dopo giorno,
sotto un peso che non riusciva a portare. Come poteva pensare che potesse
salvare la Terra di Mezzo in quelle condizioni? Come poteva pensare che potesse
farlo da solo, con un sacchetto di frammenti d’acciaio vecchi e inutilizzabili?
Dean aveva bisogno di aiuto, aveva bisogno degli Elfi, e se l’uomo non era
abbastanza saggio da vederlo, doveva essere lui a fare ciò che andava fatto. Ma
allora perché si sentiva un fuggiasco, un disertore ed un traditore? L’Elfo si
limitò ad annuire alle parole di Ruby, ma prima che potesse aprire bocca di
nuovo, qualcosa attirò ancora la sua attenzione verso la notte.
Questa volta, anche Ruby aveva rizzato la schiena ed era allerta, il collo
rigido e l’attenzione rivolta a cogliere il benché minimo suono. Era lontano ed
indistinto, solo il suggerimento di un rumore, ma Sam poteva percepirlo sempre
più chiaramente, come una ritmica vibrazione dell’aria: il suono di qualcuno che
cammina, un nutrito gruppo di persone in movimento.
“Spegni il fuoco presto! Dobbiamo nasconderci!” sbottò la ragazza, buttando con
urgenza terra sulle fiamme già basse, per poi finire di spegnerle con i piedi.
“Aspetta…” la fermò Sam, la fronte corrucciata e le orecchie ancora tese a
cogliere rumori che sembravano ora ancora più lievi, eppure in qualche modo più
vicini. Gli sembrava che qualcosa fosse cambiato nel modo di muoversi di questi
viaggiatori notturni, come se si fossero a loro volta accorti della loro
presenza e stessero reagendo in qualche modo. Avevano cambiato direzione, e
sembravano muoversi con più cautela.
Ruby si era già buttata mantello e borsa sulle spalle, e stava afferrando le
redini del proprio cavallo, cercando di convincerlo a muoversi in direzione di
Fangorn “Dobbiamo nasconderci tra gli alberi, è l’unica possibilità” lo esortò
ancora la ragazza, sebbene sembrasse altrettanto riluttante ad addentrarsi nel
bosco quanto a restare all’aperto.
Ma Sam non si muoveva. Era perfettamente immobile, gli occhi fissi nel vuoto, le
orecchie e tutti i propri ben sviluppati sensi di Elfo tesi ad ascoltare la
notte, a capire cosa stesse succedendo. Ruby sembrava estremamente spaventata ma
Sam era calmo, non percepiva l’ansia tipica del pericolo che si avvicina: c’era
qualcosa di familiare nel modo in cui questi viaggiatori si muovevano, e nello
stesse tempo capiva che c’era ancora qualcosa di minaccioso nei loro movimenti.
Sembrava quasi che si fossero moltiplicati, tanto quei flebili, quasi
impercettibili rumori parevano ora essere ovunque, nell’aria. Poi Sam si
irrigidì, finalmente aveva capito cosa stava accadendo: il gruppo di viaggiatori
si era diviso per accerchiarli. A causa del loro fuoco da campo, li avevano
probabilmente avvistati molto prima che loro si accorgessero della presenza del
gruppo, ed erano riusciti ad avvicinarsi abbastanza da coglierli di sorpresa. Ma
come avevano potuto cogliere di sorpresa lui? Non era facile giocare un tiro del
genere ad un Elfo, soprattutto quando era tanto teso ed irrequieto quanto era
stato lui per tutta la sera.
“Ferma Ruby” intimò Sam senza urlare, la voce decisa ma bassa, quasi un sibilo
nella notte, mentre armava il proprio arco, tenendosi pronto a scoccare non
appena fosse riuscito ad individuare un bersaglio. Era inutile cercare di
scappare, o nascondersi nella foresta. Chiunque fossero i nuovi venuti, li
avevano già accerchiati, si erano infilati fra le fronde di Fangorn, coperti
dalla notte e dalla propria abilità, e li stavano aspettando. Avventurarsi tra
gli alberi non sarebbe stato altro che un suicidio. Tutto quello che potevano
sperare di fare era aspettare e cercare di vendere cara la pelle.
~~~
Un pioggerella fine e fastidiosa aveva iniziato a cadere al tramonto del terzo
giorno da quando avevano raggiunto il Fosso di Helm e Bobby era ripartito per
andare a chiamare a raccolta chissà quali alleati. Tre giorni erano trascorsi
dall’ultima volta che aveva parlato con Ellen, prima di iniziare a preparare le
fortificazioni e ad addestrare in qualche modo i ragazzi a cui era stato tolto
di mano il forcone per sostituirlo con una spada. Tre giorni dall’ultima che
aveva visto Sam. Non sapeva dove fosse andato, se si fosse separato
volontariamente dalla colonna o meno, ma anche Ruby era scomparsa durante il
viaggio, e Dean non poteva fare a meno di essere preoccupato. Oltre che
terribilmente in collera.
A giudicare dalle pesanti nubi che avevano ammantato il cielo, prima che si
facesse troppo scuro per vederlo, la pioggia non sarebbe cessata tanto presto, e
questo non poteva che peggiorare le cose. La maggior parte dei soldati che Dean
vedeva disposti sugli spalti delle Mura Fossato aveva difficoltà a portare sulle
spalle la propria cotta di maglia, per non parlare di sollevare la spada: la
pioggia non li avrebbe certo aiutati. Sul bordo delle possenti mura erano
disposti grandi massi, ognuno con un grosso bastone incastrato sotto di esso,
pronto a farlo rotolare giù per la nuda roccia, sopra le teste degli assalitori;
mentre, non molto distante, erano state accumulate intere montagne di pietre più
piccole, pronte per il lancio. Dean sperava solamente che quei contadini non
dovessero mai arrivare a dover estrarre le spade, altrimenti sarebbe stato una
massacro. Dietro la prima fila di ‘soldati’ di fortuna, erano disposte due file
di arcieri. Tutti gli uomini d’armi in grado di reggersi in piedi erano stati
reclutati e posti sulle mura con un arco in mano e secchi pieni di frecce al
fianco. Le donne e i ragazzi avevano lavorato incessantemente per preparare
quante più frecce fosse possibile. Dean passò le dita, leggermente, sulle
soffici piume del pennaggio, quindi le portò a stringersi intorno all’elsa della
propria spada.
Il sacchetto con la spada di Colt era sempre legato al suo fianco: si rendeva
conto di quanto fosse pericoloso portarlo con sé nel mezzo di una battaglia, ma
non poteva farne a meno. Mentre fissava i propri occhi verdi nell’oscurità quasi
impenetrabile della notte sempre più inoltrata, gli pareva di vedere i volti di
coloro che erano partiti con lui, i suoi amici e coloro che erano sempre stati
al suo fianco e che ora non erano più lì con lui. Rufus, Bobby, Castiel e Sam…
erano caduti o se n’erano andati, in fondo non aveva importanza, il punto era
che si trovava solo, ora, ad impugnare la spada contro questi nemici senza volto
e senza pietà, e il fatto di avere al fianco quel mucchio di metallo spezzato ed
inutile in cui giaceva ancora l’ultima flebile speranza della Terra di Mezzo lo
faceva sentire meno solo. Non sapeva perché, ma ogni volta che sfiorava quel
sacchetto gli sembrava che Castiel fosse ancora con lui, come se dando la vita
per recuperare quella spada avesse in qualche modo legato la propria esistenza,
la propria anima, al suo freddo metallo. Era un’idea stupida, se ne rendeva
conto, ma era l’unica cosa a cui poteva aggrapparsi.
D’un tratto, il silenzio teso della notte venne interrotto dal suono chiaro di
un corno in lontananza, seguito immediatamente da altri, e altri ancora, più
cupi, rombanti e lontani, mentre qualche timido fuoco iniziava a brillare, sui
resti della Diga, in fondo alla valle, nonostante la pioggia fine ed insistente.
“E’ cominciata” disse a se stesso, o forse alla notte, ma il ragazzo che era
rimasto immobile accanto a lui fino a quel momento, con l’arco già armato
stretto nel pugno, si voltò ugualmente a guardarlo.
Dean non incontrò il suo sguardo: non voleva conoscere gli occhi di nessuno dei
ragazzi, troppo giovani per essere chiamati uomini, che avrebbe mandato a morire
quella notte. Rimase solo a fissare la valle immersa nell’oscurità, tentando di
penetrare il buio e la distanza con i suoi occhi inadatti, per cercare di capire
quale fossero gli esiti della battaglia che la scarsa guarnigione della Diga
aveva ingaggiato. Non ci volle molto perché i primi soldati in ritirata
arrivassero ai cancelli del Trombatorrione. Dean abbassò lo sguardo ad osservare
gli armati che si precipitavano all’interno prima che i cancelli fossero
richiusi e sbarrati, quindi riportò la propria attenzione sulla vallata e sul
brulicare di figure che vi stava dilagando sopra. Le stime delle sentinelle
sembravano essere state quasi ottimistiche: guardando quella marea nera occupare
la valle e spingersi sempre più temerariamente sotto le mura, sembrava che il
numero dei nemici superasse gli uomini del Mark di almeno dieci a uno. Ma anche
solo pensare a queste cose era controproducente. Il ramingo accarezzò senza
pensarci il solido sacchetto di cuoio in cui teneva i frammenti della spada di
Colt, quindi strinse l’elsa della propria e la sfoderò, osservandola riflettere
l’improvvisa luce del lampo che aveva attraversato il cielo.
Sentì qualcuno sobbalzare al suo fianco quando il tuono seguì finalmente il suo
compagno luminoso, ma lui non lo temeva, gli sembrava, anzi, che lo chiamasse
alla battaglia. Teneva la spada bassa e l’attenzione puntata sul frastagliato
fronte dell’esercito nemico, osservando ed aspettando il momento opportuno.
Erano vicini, sempre più vicini, poteva sentire le loro grida inumane e il
clangore sommesso delle loro armi, poi un lampo illuminò di nuovo la vallata e
finalmente Dean li scorse: un cuore di acciaio chiaro, candido come l’albero che
cresceva nei giorni antichi sulla torre bianca di Echtelion, circondato da un
corpo mostruoso e più nero della notte che li avvolgeva con il suo umido manto.
Perché? Cosa facevano lì quelle armature bianche? Dean sentì il proprio cuore
sprofondare di disperazione e ribollire di rabbia nel vedere quelli che
avrebbero dovuto essere suoi fratelli, il suo popolo, pronti a combattere contro
la propria stessa razza. Fu allora che sollevò la spada.
“Pronti!” gridò nella notte, e altre voci risposero da un punto all’altro delle
Mura Fossato mentre gli uomini si muovevano come una cosa sola, tendendo gli
archi, impugnando le leve e sollevando pietre.
Dean lasciò che tutti fossero pronti e nuovamente immobili, tesi come le corde
dei loro archi e pronti a scattare, attese che il silenzio fosse tornato a
calare sulle mura e nei cuori degli uomini, prima di gridare “Incoccare!”. Il
ramingo sentì le frecce frusciare mentre le dita ne carezzavano l’impennaggio
prima di incastrarle sulla corda degli archi, riuscì a percepirlo nonostante il
rumore assordante delle armi che battevano in un ritmo osceno contro le armature
dei mostri neri, sotto le mura. “Tendere!” gridò Dean, la voce ancora più alta,
ruggendo nella notte così forte da graffiarsi la gola e l’anima con quel grido.
Poteva sentire l’elettricità della battaglia che cresceva e si accumulava fino
ad arrivare al limite, al punto di non ritorno, poteva percepirla sulla pelle,
esattamente come sentiva le gocce che si staccavano dai suoi corti capelli
chiari per corrergli sulla guance, come le lacrime che non poteva permettersi di
versare.
Poi, il grido inumano della nera marea di Mordor riempì la notte, e l’orda si
lanciò contro le possenti Mura Fossato, senza un piano, senza ordine,
semplicemente spinti dall’istintivo, distruttivo istinto del sangue, e Dean
abbassò la sua spada. “Tirare!” il suo grido questa volta si perse nel clangore
assordante della battaglia che già si consumava fra la furia di Mordor e le
vetuste, indifferenti pietre del Fosso di Helm. Salve di frecce scoccarono
all’istante dalle decine e decine di archi tesi sulla lunga muraglia di Helm,
perdendosi all’istante nel nero della notte, mentre sibilavano in direzione dei
propri oscuri obiettivi, e sebbene le grida di guerra continuassero a sovrastare
quelle di morte, Dean pregò silenziosamente gli dei in cui aveva smesso di
confidare che mucchi di corpi neri e contorti giacessero già ai piedi delle
mura. Il ramingo sollevò di nuovo la spada per ripetere l’ordine di lancio, ma
quando vide il ragazzo dai lunghi capelli biondi, al suo fianco, scoccare già la
seconda freccia, rinfoderò la lama per afferrare l’arco che aveva lasciato ai
propri piedi, mentre le prime rocce iniziavano a rotolare giù per le alte mura,
schiacciando impietosamente ogni cosa si trovasse sul loro percorso. Le frecce
nei secchi diminuivano rapidamente, ma Dean sapeva bene che presto sarebbe stato
necessario passare alle spade, e ne ebbe la conferma quando sentì le urla che
provenivano dalla sua sinistra, dove si trovavano i cancelli del Trombatorrione.
Il giovane ramingo abbandonò l’arco con la stessa velocità con cui l’aveva
impugnato e tornò ad estrarre l’acciaio della sua spada mentre i suoi occhi
verdi correvano a verificare la situazione. Una lunga colonna nera si era fatta
strada sotto i cancelli, i grossi scudi scuri alzati sopra le teste per
proteggersi dalle pietre e dalle frecce, e sebbene molti continuassero a cadere,
colpiti, dal sentiero sopraelevato, subito altri oscuri mostri arrivavano a
prenderne il posto, per trasportare il più grosso ariete che Dean avesse mai
visto.
La sua voce attraversò di nuovo la notte, in un richiamo imperioso, dimenticando
i dubbi e le paure, dimenticando ogni incertezza sul suo ruolo di capo e Re, e
sebbene nessuno fosse il potere di comando che nominalmente aveva su quegli
uomini, un gruppo di giovani Rohirrim bene armati fu all’istante al suo fianco,
rispondendo istintivamente alla voce del Re che era in lui.
“I cancelli sono minacciati. Dobbiamo disperdere gli orchi in modo che si possa
erigere una barricata” spiegò velocemente ai giovani cavalieri intorno a lui,
chiedendo con lo sguardo a coloro che conoscevano la fortezza meglio di lui la
via più sicura per attaccare i nemici.
Il ragazzo biondo che era rimasto accanto a lui per tutto quel tempo gli rispose
immediatamente “C’è una porta laterale che conduce a quel sentiero”
Dean non disse nulla, fece semplicemente un cenno di assenso e gli cedette il
passo perché guidasse il piccolo gruppo verso la porta, mentre si attardava ad
indirizzare le frecce degli arcieri più vicini ai cancelli verso coloro che
trasportavano l’ariete. La porta a cui il giovanissimo soldato li aveva condotti
era nascosta nel buio di una insenatura del muro, e gli orchi non videro i
Rohirrim balzare loro addosso fino a che non sentirono il loro selvaggio grido
di battaglia e l’acciaio abbattersi impietoso su di loro. La spada del ramingo
balenava nel mezzo della mischia, abbattendo ogni cosa che gli si parava
davanti, spalla a spalla con i compagni che erano accorsi al suo richiamo. Gli
orchi li superavano di gran lunga per numero, ma la sorpresa dell’attacco e lo
spazio angusto del sentiero aveva dato loro un discreto vantaggio.
Ciononostante, tre dei valorosi combattenti che si erano lanciati sulla nera
orda caddero in pochi minuti insieme ai nemici, e Dean aveva appena affondato la
lama nella gola dell’ennesimo orco quando vide la mazza di uno di quei mostri
colpire l’elmo del giovane biondo, abbastanza violentemente da scalzarlo dalla
sua testa. Un grido si soffocò nella sua gola quando riconobbe finalmente gli
occhi che avevano invano cercato i suoi per tutta la sera, e il braccio che fino
a poco prima aveva difeso il suo fianco. La sua spada si abbatté fulminea sul
nemico prima che la mazza potesse calare di nuovo, e pochi minuti dopo era di
nuovo al sicuro, all’interno delle mura con il sangue di Jo che gli imbrattava
la spalla, scorrendo copioso da una profonda ferita alla testa.
“Cosa diavolo credevi di fare?!” sbottò il giovane ramingo, circondandole il
busto con un braccio per tenerla in piedi e guardandola al tempo stesso con
espressione severa.
“Combattere per il mio popolo” ribatté immediatamente la ragazza, puntando uno
sguardo risoluto in quello del numènoreano, ma sebbene le sue labbra socchiuse
lottassero per aggiungere qualcos’altro, la pelle del suo viso si faceva ogni
secondo più pallida e il suo sguardo sembrava sul punto di mancare.
Dean aprì la bocca per ribattere, ma il clangore della battaglia richiamò
immediatamente la sua attenzione, e gli uomini che si affannavano
disordinatamente ai cancelli avevano bisogno di una guida, di un ordine
immediato, quindi si limitò ad afferrare il braccio insanguinato di uno dei
compagni che erano appena rientrati insieme a lui “Porta la tua principessa alle
Grotte prima che si faccia ammazzare”. Jo gli lanciò un’occhiata di fuoco, ma
Dean non aveva tempo per questo in quel momento, quindi si voltò immediatamente
a gridare ordini agli uomini in preda al panico dietro ai cancelli.
Quando l’uomo tornò sugli spalti, c’era una barricata di legno e pietra a
sostenere i cancelli, eppure poteva già vedere una nuova colonna nera
avvicinarsi con un ariete altrettanto possente, e sapeva che non avrebbero
potuto reggere all’infinito. Se almeno fosse giunta l’alba… odiava quella notte
senza luna e in cuor suo sapeva, o forse sperava, che la luce del giorno avrebbe
potuto scacciare almeno in parte le espressioni disperate che vedeva sui volti
degli uomini che si affannavano a respingere le scale e corde che sembravano a
spuntare da ogni pietra. Vecchi e giovani inadatti alla battaglia giacevano già
sulle scure pietre delle Mura Fossato, ma i nemici che erano riusciti a
valicarle erano ancora pochi, e molti cavalieri valorosi ancora impugnavano le
loro spade, imbrattate di sangue nero fino all’elsa. Dean affondò la propria nel
corpo nero che era appena spuntato dalle pietre di fronte a lui e con un calcio
respinse la scala che lo aveva sostenuto, quindi, ansimante, si fermò un secondo
a guardarsi attorno. Le frecce erano finite, le pietre scarseggiavano, la
pioggia continuava, incessante, a pesare sugli animi di uomini sempre più
stanchi. Non sapeva da quanto tempo stavano combattendo, ma l’alba non poteva
essere così lontana.
Fu allora che il terreno su cui poggiava i piedi fu squassato dall’interno da un
enorme boato. Dean si ritrovò a terra prima di capire cosa fosse accaduto, e
riuscì a malapena a liberarsi dal orco, che si era avventato su di lui, cercando
di affondare la sua immonda spada ricurva nelle sue carni. Togliendosi di dosso
quel peso morto e maleodorante, si rialzò e si guardò freneticamente intorno,
vedendo le espressioni attonite dei suoi uomini, che straniti cercavano di
capire cosa di li avesse improvvisamente colpiti, poi le grida richiamarono il
suo sguardo verso il basso. Al centro delle possenti Mura Fossato, lì dove si
apriva l’unico varco, l’unica debolezza di quella invincibile fortezza, si
apriva ora un enorme squarcio, dal quale il bianco cuore di quell’armata nera si
riversava all’interno del fosso, arrancando nel fango e facendo strage di ogni
cosa vivente che si muovesse lì sotto. Non sapeva quale diavoleria avessero
usato, quale sorta di magia avesse potuto, in un secondo, allargare a quel modo
il piccolo canale di scolo dal quale il fiume Fossato passava per riversarsi a
valle, ma capiva chiaramente che la fortezza era ormai perduta.
I primi raggi del sole mattutino iniziarono a rischiarare il cielo, ma non
portarono alcuna speranza nel cuore greve di morte del ramingo. La luce che non
faceva che mostrare con ancora più impietoso nitore la devastante disfatta degli
uomini del Mark: non c’era scampo, gli uomini valorosi che avevano combattuto
fino allo stremo durante la notte cadevano come mosche davanti all’acciaio
traditore di Gondor, il sangue si riversava a fiotti imbrattando di rosso ogni
cosa, sotto lo sguardo disperato di Dean non c’era altro che sterminio e morte.
Il ramingo strinse l’elsa della sua arma fino a farsi male, mentre dentro di lui
lottavano la voglia di rassegnarsi e lasciarsi cadere, e la bruciante rabbia del
combattente che non voleva arrendersi, che sarebbe morto con la sua lama in
pugno e non voleva credere che i regni degli Uomini della Terra di Mezzo
sarebbero davvero finiti così, travolti da una putrida marea nera e seppelliti
nel fango.
La sua spada si levò di nuovo, alta e scintillante nel chiarore di quella grigia
aurora, e la voce spezzata di Dean richiamò di nuovo gli arcieri, con le poche
munizioni che ancora avevano, indirizzandoli a tirare verso l’interno, verso le
chiare armature che si stavano facendo strada a colpi d’acciaio fra i feriti e
gli indifesi, tingendo di rosso le acque del Fossato. La punta della sua lama
affondò, di nuovo, nel corpo dell’ennesimo orco, ma ormai sembravano sbucare
dovunque, poi qualcosa afferrò il braccio del giovane uomo, e mancò poco che
calasse ciecamente la sua lama su quel ragazzo, quasi un bambino, che tenendo
una mano sulla spalla squarciata, quasi potessi richiudere la ferita solo
premendo con le dita, lo guardava implorante.
“Cosa dobbiamo fare?” biascicò, la bocca tanto impastata e la voce talmente
tremante del medesimo terrore che si leggeva sul suo volto coperto di sangue e
sporcizia, che Dean capì a malapena le sue parole “Cosa dobbiamo fare?” ripeté
con più urgenza, mentre la mano che ancora stringeva il braccio del ramingo
tentava di scuoterlo e aggrapparsi a lui al tempo stesso.
Fuggite. Questo avrebbe voluto dirgli. Scappa, corri e non ti fermare finché
avrai fiato, sguscia via fra quei corpi neri e forse riuscirai a vedere il
tramonto di questo giorno. Era così giovane, troppo giovane per portare una
spada, troppo giovane perfino per riempire l’elmo ammaccato che gli avevano
messo in testa, sicuramente troppo giovane per morire su quelle mura, ma era
davvero giusto dirgli di scappare, alimentare il suo panico con la disperazione
che lui sentiva nel cuore? Fissò quegli occhi chiari, come spesso erano chiari
gli occhi dei discendenti di Eorl (?), che lo fissavano al limite della pazzia,
sprofondati nella paura, nel panico cieco e che pure proprio in lui cercavano
ancora un appiglio, un barlume di speranza, un modo come un altro per non
abbandonarsi alla follia e al terrore.
“Corri alle Grotte ragazzo, e raccogli tutti gli uomini che puoi. Proteggete le
Grotte, proteggete le donne e i bambini” lo esortò, afferrandolo a sua volta per
tirarlo in piedi e quindi trattenendolo quando vide che stava già cercando di
barcollare via “Hai combattuto coraggiosamente ragazzo, ma questa battaglia non
è ancora finita, non è ancora persa”
Dean sperò con tutto il cuore che la sua voce fosse stata più certa delle parole
che stava pronunciando di quanto non lo fossero il suo cuore, o la sua mente, ma
nel fondo degli occhi azzurri di quel ragazzino, gli parve quasi di veder
rinascere la forza. La battaglia continuava ad infuriare intorno a lui, i corpi
si accumulavano con una velocità agghiacciante. Quello che aveva detto al
ragazzo era giusto, almeno in parte: era necessario radunare gli uomini e
portarli all’imboccatura delle Grotte, perché donne e bambini avrebbero avuto
bisogno di tempo per fuggire tramite i cunicoli nella montagna. Dean brandì la
spada con forza e gonfiò il petto per ricominciare a gridare gli ordini di
quegli uomini avevano bisogno, ma il suo sguardo fu di nuovo attirato altrove.
Un discreto gruppo di orchi si stava avvicinando alle porte divelte del
Trombatorrione, e il giovane uomo ricordò infine che le Grotte non erano l’unico
punto da proteggere: la fortezza ospitava ancora la regina Ellen, e gli uomini
del Mark avevano bisogno di lei tanto quanto avevano bisogno della luce del
giorno.
Quindi, con tutta la velocità che le sue gambe distrutte dalla stanchezza gli
permettevano, corse verso il Trombatorrione, nel tentativo dissennato e
disperato di raggiungere la Regina, nelle stanze più alte della fortezza. Nella
sua corsa, intanto, richiamava ogni uomo a sé, gridando il pericolo ad ogni
occhio che ancora non lo avesse veduto, urlando di raggiungere le Grotte o la
fortezza, perché quelli sarebbero stati gli ultimi avamposti di una difesa
disperata. Non degnò di uno sguardo l’ampia distesa della vallata ancora
brulicante di vita, i suoi occhi non colsero le nuove, chiare armature che
scintillavano ai primi raggi rosa di un sole finalmente libero che stavano
invadendo il cielo, non videro gli strani, imponenti alleati che si assiepavano
in fondo alla valle, sotto la guida di un grigio cavaliere.
Dean raggiunse la fortezza, maciullando senza neppure pensare ogni singolo
mostro che gli si parava innanzi, solo quando, di fronte alle porte del
Trombatorrione, una chiara armatura gli sbarrò la strada, improvvisamente il suo
braccio si fermò, e non poté impedire ai suoi occhi di fissarsi nel limpido
azzurro dello sguardo terrorizzato del ragazzo di fronte a sé. Avrebbe voluto
fare un milione di domande, gridare un milione di insulti e poi ricominciare da
capo, ma si limitò a calare la spada con rabbia. Ammaccò la candida armatura
senza romperla, ma abbatté ugualmente il giovane soldato intontito dalla paura.
Il giovane ramingo lo scavalcò d’un balzo e si gettò all’interno della fortezza,
aiutando i numerosi cavalieri già presenti ad abbattere gli ultimi nemici e
chiudere le porte, prima di concludere la sua corsa di fronte alla regina Ellen.
La donna indossava la sua armatura, mentre la sua semplice corona giaceva
dimenticata sul tavolo che dominava la grande sala. La sua mano destra stringeva
la corta ma possente spada reale, mentre sul braccio sinistro era fissato un
tondo scudo di legno e metallo, colorato d’oro come lo erano le pareti del
palazzo di Edoras. Alle spalle della regina, più di dieci cavalli scalpitavano,
nervosi, e completamente bardati per la battaglia. Dean spostò lo sguardo dalle
regine alle cavalcature, quindi, ansimante e quasi distrutto dalla battaglia,
senza badare ai suoi abiti a brandelli, al volto coperto di sporcizia e di
sangue mischiato di amici e nemici, ai capelli appiccicati al capo dal sudore e
dal rosso che continuava a sgorgare dalla ferita che gli apriva la fronte senza
che lui se ne fosse neppure reso conto, rimase in piedi, di fronte a Ellen, uno
sguardo risoluto fino alla disperazione puntato su di lei.
“I miei uomini hanno parlato di te come di un eroe, una furia mandata dai Valar
a proteggerci” esordì la regina, allungando la mano che fino ad un secondo prima
teneva la spada, per posarla sulla sua spalla “Cavalca con me per l’ultima
volta, cavalca verso una morte gloriosa e forse cavalcheremo insieme nelle aule
di Mandos”
“No” rispose Dean, la voce profonda rotta dalla stanchezza ma non
dall’incertezza, e la sua risposta dipinse la sorpresa sul volto della regina
“Cavalca per combattere, cavalca per il tuo popolo, cavalca per vivere e io sarò
al tuo fianco fino alla morte, ma non uscirò con te per offrire la mia carne a
quel branco di animali, non cavalcherò per immolarmi sull’altare di un ideale
eroico che vive solo nelle canzoni” aggiunse rapidamente, le dita strette per la
furia attorno all’elsa imbrattata della sua spada “Cavalca per vincere, Ellen di
Rohan. Fai risuonare il corno del Trombatorrione ancora una volta, fai tremare i
tuoi nemici e cavalca per vivere!” concluse, la voce roca per la rabbia mentre
andava ad afferrare le redini di una sempre più irrequieta giumenta.
Ellen lo seguì con lo sguardo, senza proferire una parola, semplicemente
avvicinò lo stallone grigio che era il suo cavallo, e sorrise al giovane ramingo
mentre montava in sella e sfoderava la spada, insieme ai suoi cavalieri più
fedeli. “Sarai un grande Re, Dean di Numenor” disse la regina senza più voltarsi
a guardarlo, prima di spronare la cavalcatura, non appena le porte della sala
furono nuovamente aperte di fronte a lei.
Nella luce chiara di un’alba appena cominciata, la sua armatura accecò i nemici,
e l’elsa della sua spada risplendette d’oro nel sole invincibile del mattino,
che scacciava le nubi come lei ricacciava il nero dei suoi nemici e il bianco
gelido dell’acciaio traditore di Gondor, mentre il cupo suono del corno di Helm
faceva risuonare la vallata scuotendola fin dalle fondamenta. Come una furia
d’acciaio e membra possenti i cavalieri di Rohan si abbatterono sui loro nemici,
seguendo la loro regina e il giovane uomo che cavalcava al suo fianco mulinando
ancora una volta la propria lama nell’aria finalmente tersa del mattino. La
spada di Dean brillava di furore e speranza tra i caduti e coloro che anche
allora combattevano, con rinnovata forza e una nuova speranza, nell’udire
finalmente le grida di dolore degli orchi e quelle di giubilo di chi ancora
sugli spalti lottava fino allo stremo, e vedeva sopraggiungere, insieme al nuovo
giorno, lo spettro luminoso di una vittoria in cui non avevano creduto.
Lo so, lo so... ogni volta ci metto di più! Sembra che lo
faccio apposta vero? Ma la colpa è della mia vita, che mi rapisce, e questa
volta anche del fatto che scrivere della battaglia del Fosso di Helm è stato un
parto trigemellare, per questo alla fine mi sono più o meno attenuta a quello
che ha scritto il nostro amato Tolkien! Spero di non avere combinato troppi
casini... mi rimetto al vostro giudizio e ricordo a tutti i miei pochi ma
affezionatissimi ed amatissimi lettori che i commenti, le recensioni, le
critiche non sono solo bene accette, ma vivamente richieste!
Al prossimo capitolo!
La vostra Autrice (ritardataria)
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Capitolo 3 *** Saer Tûr (Un'Amara Vittoria) ***
Nuova pagina 1
!AVVISO! Il capitolo purtroppo non è betato e per alcune parti nemmeno riletto,
il punto è che volevo postarlo prima di Natale per fare un regalo alle mie
quattro fedelissime lettrici (e non sto citando Manzoni qui, no....)! Quindi, se
trovate errori di battitura, grammatica, parole mancanti o altri Orrori,
sentitevi pure libere di segnalarmeli e insultarmi, e poi perdonarmi ovviamente!
Perdonatemi anche se ormai posto una volta ogni sei mesi, smetto anche di
promettere più velocità... i motivi sono sempre gli stessi e purtroppo non
cambieranno presto!
Detto questo, vi lascio alla lettura e aspetto i vostri commenti!
la Scrittrice
Saer Tûr
(Un Amara Vittoria)
“I do not love the bright sword for it's sharpness,
nor the arrow for it's swiftness, nor the warrior for his glory.
I love only that which they defend”
[The Lord of the Rings _ J.R.R. Tolkien]
La terra sotto i piedi stanchi di Dean era rossa e nera del sangue dei nemici di
Rohan. I corpi sfatti e maleodoranti degli orchi erano ammassati uno sull’altro,
fatti a brani dalla vetusta e verdeggiante furia distruttrice che dalle montagne
si era abbattuta su di loro, stringendoli in una morsa insieme ai Rohirrim, che
caricavano dalle mura violate del fosso. Ma non erano quei cadaveri grigi e
devastati a pesare sul cuore del Dùnadan, bensì i volti troppo giovani di
ragazzi strappati alle loro case e alle loro famiglie, per combattere la guerra
di un usurpatore che non aveva esitato a mandarli a morire per mano dei propri
stessi fratelli. Mentre la mano di Dean stringeva con forza l’elsa dorata della
spada, che ora penzolava inerte alla fine del suo braccio, il ramingo sentiva la
rabbia ribollirgli nelle vene, avvelenandogli l’anima con un cieco desiderio di
omicidio e vendetta. Troppa morte, troppo sangue, troppo dolore era già stato
sparso nel nome di un ideale oscuro e di pochi pezzi di acciaio ormai inutile.
Davanti ai suoi occhi si estendeva l’ampia valle del Fosso di Helm, un
interminabile distesa di morti e feriti, di soldati troppo stanchi per gioire
della vittoria e donne troppo spaventate per credere che questa fosse davvero la
fine delle loro sofferenza. Tutti davano una mano, e tutti gli occhi scrutavano
quella vallata che pareva interminabile alla ricerca di un viso amico, di uno
sguardo amato, sperando contro ogni speranza di vedere ancora il respiro
gonfiargli il petto e la vita scorrergli nelle vene. Anche i suoi stanchi occhi
verdi cercavano, e allo stesso tempo rifuggivano, quella vista orribile, così
come il suo cuore desiderava ed aborriva l’idea di sapere, di vedere finalmente
i volti che andava cercando.
Aveva spedito Jo da sua madre nel fitto della battaglia, ma nessuno l’aveva più
vista da allora. Sam era scomparso ancora prima che raggiungessero il fosso di
Helm. Bobby era partito e solo i Valar sapevano dove diavolo era andato. Uno
qualsiasi di quei volti amici sarebbe bastato a sollevargli il cuore o a
sprofondarlo definitivamente nell’abisso. Era il volto, quasi di bambina, di Jo
che cercavano ossessivamente i suoi occhi, perché non poteva sopportare l’idea
di avere mandato anche lei verso la morte, non sarebbe riuscito a reggere il
peso anche della sua vita spezzata, non insieme a quelle di tutte le armature
scintillanti che giacevano ai suoi piedi nel fango.
Fu in quel momento, mentre il suo sguardo passava senza guardare sopra
l’ennesimo volto di ragazzo, senza neppure sapere se si trattasse di un Rohirrim
o di un Gondoriano, che qualcuno gli afferrò la mano che ancora stringeva la
spada. Dean si voltò di scatto, i muscoli tesi dai nervi ancora scossi dalla
battaglia, solo per trovarsi davanti ad una donna curva sotto il peso degli anni
e del dolore, che portava una caraffa ed uno straccio già rosso di sangue. La
donna sembrava stanca almeno quanto lui, ma quando lo aveva visto gli aveva
afferrato la mano e l’aveva baciata piano, e ora i suoi occhi resi opachi dagli
anni lo fissavano in volto con un sorriso commosso, nascosto sotto tutto il
dolore, e un ringraziamento silenzioso che non riusciva a sciogliersi dal nodo
che aveva in gola. Una lacrima si staccò dalle rade ciglia candide della vecchia
donna, iniziando a scorrere il percorso accidentato del suo viso segnato dal
tempo, e le sue labbra secche si posarono di nuovo sulla sua mano, come a voler
sostituire le parole che non riusciva a pronunciare. In quel preciso momento,
Dean aprì le dita e lasciò che la spada scivolasse in terra, quindi voltò il
palmo della mano e la strinse intorno a quella della vecchia, rivolgendole un
sorriso triste ma grato.
“La gente di Rohan ti ama, Dean. Li hai salvati” disse una voce femminile alle
sue spalle, e il ragazzo si trovò nuovamente a ruotare veloce su se stesso, per
trovarsi di fronte il volto sporco ma vitale di Jo. Un braccio le pendeva inerte
lungo il corpo, ma a parte questo non sembrava ferita.
Dean scosse la testa di rimando alle sue parole “Si sono salvati da soli. Li ha
salvati la loro Regina. E li ha salvati… quello. Qualunque cosa sia” replicò il
giovane ramingo, voltando il capo per fissare il fitto boschetto che era
comparso all’improvviso, scivolando giù dalle pendici delle montagne, e aveva
praticamente ingoiato qualsiasi nemico avesse avuto l’ardire di infilarsi tra le
sue fronde, per sfuggire alla pioggia di frecce che aveva iniziato a cadere
dalle pendici scoscese della valle.
Jo gli lanciò un’occhiata di rimprovero, ma infine la curiosità vinse su
qualunque altra cosa “Già, quello. Sono amici tuoi?” gli domandò, inarcando un
sopracciglio nell’osservare il boschetto che ora sembrava starsene quieto, come
fosse sempre stato esattamente in quel punto.
“Non ne ho idea” rispose sinceramente Dean “Ma ho intenzione di scoprirlo”
aggiunse riprendendo la propria lenta avanzata attraverso il Fosso, non senza
aver prima lanciato un invito silenzioso alla ragazza, che prese semplicemente a
camminare ad un passo di distanza da lui.
Il bosco aveva invaso a tal punto la vallata, che ben presto Dean riuscì a
distinguere le fronde e le foglie dei diversi alberi che, come una strana
accozzaglia, sembravano essersi dati convegno lì, e ora iniziava a domandarsi
come avrebbe fatto a scoprire cos’era successo: si sarebbe sentito estremamente
stupido a parlare con un albero. Proprio quando cominciava a pensare che avrebbe
dovuto disquisire con qualche scoiattolo o qualche altra diavoleria del genere,
un robusto cavaliere coperto di grigio emerse dalla boscaglia togliendosi dalla
testa l’alto cappello a punta e smontando pesantemente di sella.
“Bobby!” esclamò Dean, felice e sorpreso al tempo stesso di vederlo lì. Dean
aveva una gran voglia di corrergli incontro, ma un po’ temeva i commenti che lo
stregone avrebbe fatto se gli avesse gettato le braccia al collo come una
bambino all’uscita dall’asilo, un po’ non aveva voglia di fare quella figura
infantile davanti a Jo; in ogni modo prese a camminare più veloce, ansioso di
sentire come diavolo aveva fatto a convincere un’intera foresta ad aiutarli in
una guerra.
Quando finalmente si ritrovò ritto di fronte allo stregone, però, non poté fare
a meno di stringerlo almeno in un virile abbraccio, per poi tornare
immediatamente a fissare i propri occhi verdi sulla foresta alle spalle di
Bobby, con un sopracciglio inarcato in una domanda silenziosa. Lo stregone
sbuffò e grugnì con il suo tipico atteggiamento burbero, quando finalmente si fu
sciolto dall’abbraccio del ragazzo, e si voltò solo una secondo a gettare
un’occhiata alla schiera degli alberi dietro di lui, quindi si strinse nelle
spalle bofonchiando:
“Eleanor… una vecchia amica mi doveva un favore” quindi tornò a concentrare
tutta la propria attenzione sui due ragazzi di fronte a lui “Non guardatemi con
quelle facce! I pastori di alberi sanno essere implacabili quando le loro
foreste sono minacciate, io ho solo detto le parole giuste alla persona giusta”
Bobby parlava come se smuovere un’intera foresta per portarla su un campo di
battaglia fosse la cosa più normale del mondo, e a Dean venne voglia di ridere.
Improvvisamente, nel momento in cui la voce borbottante dello stregone era
tornata a risuonargli nelle orecchie, il peso che aveva portato sul cuore per
tutta la notte si era sollevato, come se qualcun altro lo stesse ora portando
con lui. Nell’oscurità della notte, quando tutto era sembrato perduto ed ogni
morte era sembrata ricadere su di lui, si era sentito disperatamente solo,
niente più che una pedina manovrata da forze troppo grandi per poter perfino
pensare di contrastarle. Ora, nel sole del mattino, con i suoi amici al suo
fianco, la vittoria non sembrava più solo un miraggio crudele all’orizzonte. Se
solo…
“Dov’è Sam” la voce dello stregone interruppe il filo dei suoi pensieri,
riportandolo brutalmente alla realtà.
Dean scosse la testa guardandosi intorno “Mi chiedevo la stessa cosa… non lo
vedo da prima che varcassimo le mura del Fosso” replicò il ragazzo, la fronte
corrucciata e lo sguardo nuovamente cupo. Sapeva che Sam sapeva perfettamente
badare a se stesso, ma non poteva fare a meno di chiedersi cosa gli fosse
accaduto, cosa lo avesse allontanato dalla colonna di fuggiaschi che stavano
conducendo all’ultimo difesa.
In quel momento, la presa salda della mano di Jo sul suo braccio richiamò la sua
attenzione verso est, da dove, aggirando la fitta muraglia di alberi che ora
riempiva la conca, si stavano avvicinando numerosi cavalieri vestiti di chiaro,
con lunghi archi fissati alla sella, e soffici mantelli scuri sulle spalle.
Dean aveva saputo per istinto che gli arcieri che qualche ora prima avevano
iniziato a decimare l’esercito nemico dall’alto delle pendici del Fosso potevano
essere solamente Elfi. Nessun altro avrebbe potuto colpire con tanta precisione
da tanto lontano, e soprattutto, nessun altro aveva archi tanto potenti e frecce
di quel tipo. Il Dùnedan ne aveva viste a decine, conficcate nei corpi inerti
dei suoi nemici, ma era comunque perplesso dal fatto che un contingente di
arcieri Elfi fosse arrivato al Fosso di Helm a dare manforte ai Rohirrim. Era
impossibile che Bobby fosse riuscito a giungere fino a Lorièn, nel suo viaggio
alla ricerca di aiuto, e allora come avevano fatto questi Elfi a conoscere il
loro bisogno e a giungere in loro soccorso? Tutto ciò era un mistero, ma non lo
sarebbe stato ancora per molto: Dean poteva già distinguere molti degli Elfi che
si avvicinavano con passo veloce, guidati da un cavaliere coperto da una
scintillante armatura e da un altro avvolto da un lungo mantello grigio. Gli
sembrava perfino di riconoscere il cavaliere in grigio, ma non voleva cedere
alla speranza prima di aver constatato con i suoi occhi.
Sam spronò la sua cavalcatura non appena riuscì a distinguere il volto sporco e
stanco del suo fratello adottivo, e cavalcò veloce verso di lui finché non fu
che a pochi passi di distanza, quindi smontò rapidamente di sella e sorrise al
ramingo che gli era improvvisamente corso incontro. Dean lo strinse tanto da
fargli male, quindi si separò da lui e colpì in pieno viso con un destro
poderoso che gli rivoltò la faccia e gli dipinse in volto un’espressione di
sgomento.
“Cosa ti salta in mente, Dean? Per i Valar!” esclamò massaggiandosi la mascella.
“E a te cosa è venuto in mente?” ringhiò di rimando il ragazzo “Il fatto di
essere arrivato a salvarci il culo con i tuoi amichetti non cambia il fatto che
mi hai piantato in asso senza nemmeno dirmi che te ne stavi andando,
dannazione!” per un attimo sembrò sul punto di tirargli un altro cazzotto, ma in
quel momento sopraggiunse l’altro cavaliere, che era rimasto indietro a guidare
il proprio contingente, e riconoscendo il suo volto all’istante, alzò gli occhi
al cielo come a chiedere: perché?
“Non dovresti trattare così un principe degli Elfi, Dean di Nùmenòr, soprattutto
dal momento che ha appena salvato la pelle a te e a tutti quelli che stavi
maldestramente cercando di proteggere” lo raggiunse il tono sarcastico della
voce di Balthazar.
“Come ben sai l’etichetta non è mai stata il mio forte, Balthy” lo apostrofò
Dean, sottolineando il nomignolo con la voce, per poi voltarsi di nuovo verso il
Mezzelfo “Per i Valar, e lui dove l’hai trovato, Sammy?”
“Veramente, è lui che ha trovato me” replicò Sam, portando i propri occhi verdi
ad incrociare quelli simili sebbene molto più giovani del fratello, e Dean
avrebbe potuto giurare che ci fosse imbarazzo nella sua voce.
~~~
Mentre già si infilava tra i contorti ma enormi tronchi scuri degli alberi di
Fangorn, Ruby fu costretta a voltarsi, quando si rese conto che Sam non aveva
intenzione di seguirla ma si ostinava a starsene lì all’aperto, arco alla mano,
pronto a morire da stupido eroe. Solo che lei non poteva permetterglielo, non
poteva permettergli di morire da eroe, o peggio ancora, di accorgersi che quelli
che si stavano avvicinando, con tutta probabilità, non erano affatto nemici,
perché a lei serviva vivo, ma soprattutto succube della sua volontà. Una volta
che lo avesse convinto a proseguire il loro viaggio verso nord, non sarebbe
stato troppo difficile persuaderlo a deviare verso est, fino a portarlo
finalmente sotto l’ombra di Mordor.
L’Elfo che già era nelle loro mani non sembrava volere cedere, il suo cuore e il
suo spirito si erano rivelati molto più forti e fedeli a quel ridicolo umano di
quanto avessero previsto, ma loro non potevano permettersi di fallire, non ora
che la vittoria era così vicina, e lei era certa che il sangue misto di Sam lo
avrebbe reso molto più facilmente corruttibile.
Finora aveva avuto ragione, e non avrebbe lasciato che questo stupido
contrattempo le mettesse i bastoni fra le ruote.
Abbandonò la sua sacca nascosta dietro il tronco di un albero, e legò le
cavalcature ad un ramo lì vicino, quindi tornò velocemente al fianco di Sam.
“Sam, ascoltami” gli sibilò, afferrandogli un braccio per cercare di
costringerlo ad abbassare l’arco che teneva pronto tra le mani “la Terra di
Mezzo ha bisogno di te, non puoi permetterti di morire qui, cercando inutilmente
di contrastare più nemici di quanti tu possa abbatterne da solo. A volte bisogna
avere il coraggio di ritirarsi, per fare la cosa giusta” cercava di mantenere il
tono della propria voce calmo e ragionevole, ma l’ansia continuava a trasparire
dalle sue parole. Sapeva che era solo questione di pochi secondi perché il
gruppo che si stava avvicinando spuntasse da dietro gli alberi, e allora sarebbe
stato troppo tardi. Sam avrebbe riconosciuto immediatamente che non si trattava
di nemici, e a quel punto l’unica speranza di Ruby sarebbe stata di metterlo
fuori gioco e trascinarlo via, ma si trattava di una mossa disperata, che non
avrebbe mai avuto successo. No, doveva convincerlo a seguirla immediatamente.
“Come puoi sapere che non ci staneranno immediatamente, uccidendoci come conigli
nelle loro tane? Il bivacco è fresco, chiunque capirebbe che ci siamo rifugiati
nella foresta” protestò Sam, ma nello stesso tempo abbassò l’arco, voltandosi
per guardare in viso Ruby.
La ragazza nascose un sorriso vedendo fino a che punto il mezzelfo aveva già
riposto in lei e nei suoi consigli la propria fiducia.
“Ma non chiunque affronterebbe la foresta di Fangorn per trovarci, soprattutto
considerando che non potranno sapere quanto sia fondamentale il viaggiatore che
ha lasciato quel bivacco” spiegò lei, mettendo tutte le sue notevoli doti di
ammaliatrice nelle proprie parole “Ci basterà inoltrarci un poco nel folto della
foresta, per trovarci al riparo. Quando saremo sicuri che ne saranno andati,
usciremo dagli alberi e riprenderemo il viaggio verso nord” nonostante ce la
stesse mettendo tutta, Ruby poteva vedere l’indecisione negli occhi del suo
cocciuto interlocutore. Reprimendo un moto di stizza, si avvicinò di più a lui,
fissando intensamente lo sguardo nel suo “Lo devi al tuo popolo, Sam. E lo devi
anche a Dean. Senza di te non ce la farà, nessuno ce la farà” il melodrammatico
era sempre stato il suo cavallo di battaglia, e anche in quel caso si rivelò
vincente: Sam abbassò del tutto l’arco, raccolse la propria borsa e la seguì
velocemente tra gli alberi, giusto un secondo prima che i cavalieri facessero
capolino oltre l’ombra della foresta.
“Andiamo!” lo esortò la ragazza, slegando le redini dei cavalli, pronta a
dirigersi nel folto. Non ce l’aveva ancora fatta, finché non avesse messo la
strada fuori dalla portata dei suoi occhi, il suo piano poteva ancora fallire.
“Aspetta” sussurrò Sam, nascosto dietro un grosso tronco di albero, mentre
poggiava a terra una punta dell’arco, per scaricarlo.
“Sam!” lo richiamò lei con urgenza, mentre perfino i suoi occhi iniziavano a
scorgere nell’oscurità le sagome dei cavalieri che rallentavano la loro avanzata
per andare a controllare quel bivacco ancora fumante.
Il mezzelfo arrotolò la corda dell’arco intorno al legno disteso e si staccò dal
tronco, pronto a seguirla, ma ancora una volta si irrigidì, fermandosi.
“Questi sono rumori di zoccoli” bisbigliò alla notte, parlando più a se stesso
che alla sua compagna di viaggio “Forse non è necessario nasconderci” disse a
voce un poco più alta, rivolgendosi alla ragazza, che stava scuotendo
freneticamente la testa, “Gli orchi non cavalcano” aggiunse, come per avvalorare
la propria affermazione.
“Queste terre sono piene di uomini al servizio di Lilith, non possiamo
rischiare!” lo redarguì Ruby, tornando nuovamente sui propri passi, per condurlo
di peso, se necessario, tra gli alberi.
Questa volta fu Sam a scuotere la testa, mentre i suoi occhi fissi nel vuoto le
dicevano che era ancora in ascolto, più attentamente. Presto avrebbe capito, lei
stessa era sorpresa che ancora non li avesse riconosciuti. Proprio mentre stava
per raggiungerlo, tornando ad afferrargli il braccio per ottenere la sua
attenzione, il mezzelfo si voltò, deciso ad osservare i nuovi arrivati, sebbene
ancora perfettamente celato dalle ombre di Fangorn.
Ruby si bloccò, improvvisamente indecisa sul da farsi. Era improbabile che
sarebbe riuscita a distrarre Sam a questo punto, e a distoglierlo dal suo
proposito di controllare di persona chi fossero i viaggiatori che li avevano
sorpresi nel loro accampamento, ma allora restava una sola cosa da fare. Sebbene
qui la sua magia fosse debole, era possibile che funzionasse, almeno abbastanza
a lungo da condurlo lontano da loro, poi avrebbe pensato alla mossa successiva.
Silenziosa come un’ombra, Ruby coprì l’ultimo metro che la divideva da lui, e
nello stesso momento sfilò da una profonda piega del suo abito un lungo pugnale
nero dalla lama ondulata. Per un secondo, si limitò a fissare il centro
dell’ampia schiena del mezzelfo, poi levò la lama, pronta a sferrare il colpo.
Non riuscì mai a seppellire il suo oscuro pugnale nella carne di Sam, perché
nell’istante in cui la sua lama avrebbe dovuto squarciare il telo grigio del suo
mantello, un colpo come una frustata la raggiunse al braccio, inducendola a
lasciare cadere la lama, e subito di seguito alla nuca, stordendola abbastanza
da farle emettere un suono inarticolato ma perfettamente udibile. Sam si voltò
di scatto, pronto a combattere, ma vide solo il volto sofferente della ragazza.
Un secondo più tardi, le scintillanti punte di quattro frecce elfiche erano
puntate contro di lui.
Il messaggero prescelto non ci mise molto a ritornare da loro insieme al loro
condottiero, nientemeno che Balthazar di Bosco Atro non più di quanto ci misero
i suoi compagni ad immobilizzare e legare Ruby, malgrado le sentite proteste di
Sam.
“Samuel en Imladris. Elen sila lumen omentielvo (Samuel di Imladris. Una
stella brilla sull’ora del nostro incontro)” salutò Balthazar con un rapido
cenno del capo, spostando quindi la propria attenzione su Ruby “Chi è la tua
compagna?”
“Suilannen, Balthazar en Taur-nu-Fuin (Benvenuto, Balthazar di Bosco
Atro)” rispose cortesemente Samuel, senza dimenticare l’etichetta che il rango
gli imponeva “Ruby di Rohan è la mia compagna, mi è stata di aiuto e consiglio…”
iniziò a spiegare Sam con vigore, ma Balthazar lo interruppe prima che potesse
finire.
“Dov’è Dean? Non dovresti essere con lui, a consigliarlo e sostenerlo?” quella
domanda suonò alle orecchie del mezzelfo più come un’accusa “Invece di aggirarti
con questa creatura che ha appena cercato di pugnalarti nel buio?” aggiunse
Balthazar con un’espressione molto vicina al disprezzo sul volto, mentre
abbassava lo sguardo sul pugnale ancora abbandonato tra l’erba.
“Cosa…?” ribatté Sam, sentendo il desiderio di protestare la propria innocenza e
quella di Ruby, ma senza in realtà trovare le parole. Era stato davvero convinto
della strada che aveva scelto? Oppure era stato il veleno colato nelle sue
orecchie dalla malalingua di quella ragazza a persuaderlo? Prima che potesse
anche solo iniziare a trovare le risposte a quei dubbi, Balthazar sollevò il
pugnale da terra, tenendolo per l’impugnatura con solo due dita, come fosse
bollente, o terribilmente pericoloso.
“Un pugnale Morgul” sentenziò la voce dell’Elfo con spregio “Dovresti scegliere
meglio i tuoi compagni e consiglieri, Samuel. Un giorno potresti non essere
abbastanza fortunato da trovare qualcuno che ti salvi dalla tua stoltezza”
aggiunse Balthazar, avvolgendo il pugnale in un spesso vello di lana, prima di
consegnarlo nelle mani di uno degli elfi che erano con lui “Cavalca con noi,
Samuel, torna al posto che hai giurato di occupare, al fianco di tuo fratello
Dean, e spera che non sia troppo tardi” concluse l’elfo, lanciando un’occhiata
che era più una sentenza di morte alla ragazza, prima di voltarsi per tornare
dai propri compagni.
~~~
Il leggero suono metallico dell’acciaio che si adagiava sulla roccia indugiò
solo un attimo nella tranquilla quiete della notte, per poi cedere nuovamente il
passo al lontano sciabordio del fiume Fossato, che continuava la sua incessante
marcia, ignorando le acque arrossate dal sangue. Dean osservò i resti contorti
dell’albero bianco, inciso sul pezzo di armatura che aveva appena abbandonato
sulla massiccia merlatura delle Mura Fossato. Restò a fissarlo per alcuni lunghi
secondi, senza realmente vederlo, poi poggiò accanto ad esso un altro tipo di
acciaio, tanto antico da essere divenuto leggenda, e lasciò che i suoi occhi
verdi vagassero tra le ombre della vallata. Troppi corpi giacevano ancora
insepolti tra le rocce ed il sangue, ma oltre tutta quella desolata morte si
stendevano le montagne e un mondo che continuava la propria vita malgrado
l’ombra che si allungava per soffocarlo.
Non c’era più luce nell’antico acciaio degli Elfi che Colt aveva brandito contro
quella stessa oscurità innumerevoli ere prima, così come non c’era più luce
nello sguardo color dei prati che avrebbe dovuto impugnarlo stavolta per salvare
ancora i popoli liberi dalla distruzione. Dean sospirò e poggiò le mani sulla
roccia, tentando di non sentirsi di nuovo così disperatamente solo di fronte ad
un’impresa più grande di lui. Cercando di non pensare che perfino quello che
considerava suo fratello, colui sulla cui fiducia aveva pensato di poter sempre
contare, lo aveva abbandonato così facilmente e lo aveva abbandonato perché non
lo aveva creduto capace di fare ciò che gli era stato chiesto. Continuando a
sapere, in fondo al cuore, che sarebbe sempre stato solo, perché non ci sarebbe
più stata la giusta mano a calare sulla sua spalla per rincuorarlo, i giusti
occhi colore del cielo a fissarlo nel profondo per farlo ancora una volta
sentire forte, invincibile.
Nel momento stesso in qui quel pensiero sfiorò la mente dell’uomo, e una lacrima
iniziò a formarsi sulle sue ciglia chiare, una mano si posò veramente sulla sua
spalla, facendo fare al suo cuore un tuffo nel vuoto. Sperò solamente che la
delusione non fosse stata troppo palese sul suo volto, e che perlomeno la
pietosa ombra della notte fosse riuscita a nasconderla, quando si voltò per
trovarsi davanti il giovane viso sorridente di Jo.
“Cosa fai qui fuori da solo? Dovresti essere dentro con gli altri, a
festeggiare” lo ammonì la ragazza, tendendogli un boccale ricolmo di birra; Dean
lo prese senza commentare, e sforzò un sorriso cortese sul proprio viso, prima
di prendere un sorso “O almeno dovresti essere con Bobby, Sam e quel principe
degli Elfi a confabulare in un angolo della sala”
“Ho confabulato a sufficienza per questa sera” replicò semplicemente il ramingo,
voltandosi per poggiare il boccale alla roccia della merlatura e tornare a
nascondere i frammenti d’acciaio sparsi su di essa nel loro sacchetto di cuoio.
“E’ quello che penso…?” domandò la ragazza, senza osare concludere la frase.
“E’ solo un mucchio di metallo inutile” puntualizzò Dean, facendolo sparire
velocemente alla vista.
“E’ per questo che gli Elfi sono venuti? Per riforgiare la spada di Colt?”
chiese ancora Jo, senza riuscire a celare l’eccitazione nella sua voce.
“No, sono venuti a seguire un condottiero che non c’è!” rispose allora,
bruscamente, il ramingo, scostandosi dal muro come fosse deciso ad andare da
qualche parte ma fermandosi dopo pochi passi, esitando, rendendosi conto che non
aveva nessun luogo dove andare, nessun posto dove nascondersi, nessun abbraccio
in cui riposare.
“Dean…” lo richiamò la ragazza con una dolce tristezza nella voce “Tu
sottovaluti il tuo valore” proseguì con più vigore, tornando a mostrare la
ragazza indomita che aveva affrontato la battaglia senza battere ciglio “Non hai
visto cosa sei riuscito a fare qui? Hai ridato speranza agli uomini!” esclamò
infine, afferrando l’uomo per un braccio, strattonandolo finché non l’ebbe
convinto a tornare a fronteggiarla.
“Già… ma non ne ho per me!”1
ribatté Dean, scostando il braccio dalla sua presa con un gesto repentino, per
pentirsi un secondo dopo di quello che aveva appena fatto. Questa ragazza stava
cercando di aiutarlo, di essergli amica, forse perfino di volergli bene, e lui
non faceva che respingerla malamente “Balthazar, il principe degli Elfi, ha
portato notizie, oltre ai suoi arcieri. Nel Reame Boscoso vivono ancora Elfi
abbastanza antichi da ricordare la forgiatura della spada, e la magia di cui era
impregnata. Ora che i frammenti sono tutti riuniti, ed essa è tornata nelle mani
del suo legittimo proprietario, avrebbe già dovuto tornare integra” spiegò
allora, la voce piatta e priva di intonazione “La magia legata alla lama
dovrebbe reagire al contatto con la pelle del suo legittimo proprietario”
ripeté, come lo stesse spiegando a se stesso “Questo cosa ti suggerisce?”
aggiunse con l’ironia nella voce e un sorriso amaro sulle labbra.
Jo esitò un istante, abbastanza per far sprofondare il cuore del ramingo un poco
più a fondo, poi strinse i pugni e replicò ostinatamente “Che la magia deve
essersi consumata! Insomma, possibile che gli Elfi non sappiano riforgiarla? O
forgiarne una nuova?” aggiunse, sbuffando come se fosse pronta a prendere a
pugni un Elfo per convincerlo a fare il suo dovere.
Dean non poté fare a meno di ridere, e ringraziare qualunque Vala gli avesse
mandato questa ragazza “I Mastri fabbri che forgiarono quella spada sono andati
all’ovest da lungo tempo ormai” spiegò infine, con un sorriso che ancora gli
indugiava sul volto, ma una rabbia rassegnata nella voce.
“Sai cosa ti dico? Non mi importa che spada impugnerai, tu hai guidato la mia
gente senza alcuna spada magica, e hai vinto! Abbiamo vinto! Non puoi arrenderti
adesso Dean!” sbottò Jo, facendo un gesto come di disprezzo verso l’involto di
cuoio che ancora conteneva i frammenti della lama di Colt, e per un attimo Dean
pensò che avesse in mente di pestare per bene lui, stavolta, se non avesse fatto
come diceva.
“Finalmente delle parole con un po’ di senno, in questa compagnia sgangherata”
borbottò una voce alle spalle del ramingo, mentre uno stanco Bobby si avvicinava
poggiandosi al proprio lungo bastone contorto “Doveva arrivare una fanciulla a
ridare un po’ di forza a questo ramingo? Pensavo che le Terre Selvagge avrebbero
temprato meglio il tuo spirito” continuò, staccando il bastone da terra per dare
un amichevole colpo in testa a Dean.
L’uomo si voltò a fissare gli occhi chiari dello stregone, con un misto di
rabbia e stupore sul viso, ma quando incrociò il suo sguardo sorridente e
paterno, tutta la voglia di ribattere svanì in un colpo. Bobby era probabilmente
l’unico, in tutta quella sgangherata compagnia, che conosceva e capiva la mole
del peso che stava portando sul cuore. Eppure Jo aveva ragione, non poteva
arrendersi, perché il destino, in qualche modo, aveva scelto lui e lui non
poteva fuggire e condannare la Terra di Mezzo, checché ne pensassero tutti i
principi Elfici di questa terra.
“Allora, cosa ha deciso il vostro piccolo consiglio clandestino?” domandò quindi
Dean, con un smorfia poco contenta sul volto, massaggiandosi la nuca, dove un
piccolo bernoccolo stava già crescendo.
Bobby scosse la testa in un gesto dubbioso “L’esercito di Bosco Atro è in
marcia, sta venendo al sud per combattere ancora al fianco degli uomini, ma il
nemico è molto forte, forse troppo” iniziò a spiegare lo stregone, poi i suoi
occhi caddero sul pezzo di armatura che giaceva ancora, dimenticato, sul muro
“Abbiamo appena avuto la prova che Minas Tirith è saldamente nelle mani del
Nemico. Egli ha sicuramente ancora innumerevoli truppe fresche, oltre i cancelli
di Mordor, e altri ragazzi di Gondor sono pronti per morire, ad un cenno del
loro sovrintendente. Gli Elfi sono una grande potenza, e combatteranno fino
all’ultimo di loro, ma non possiamo contare che su un pugno di soldati già
stanchi, qui nel reame di Rohan” continuò Bobby, gettando un’occhiata
terribilmente seria a Jo “Balthazar insiste per andare comunque ad assediare i
cancelli di Mordor ma il solo pensiero mi inquieta. Non abbiamo le forze per
contrastare il nemico… e neppure le armi!” concluse battendo il bastone a terra
in un gesto di rabbia mal repressa, gettando uno sguardo per traverso al
sacchetto di cuoio legato alla cintura del ramingo.
“Ma ci dev’essere un modo!” ribatté Jo, esprimendo il medesimo pensiero del
ramingo, un momento prima che potesse aprir bocca.
Bobby non disse nulla, ma per un lungo secondo si limitò a fissare il volto
frustrato di Dean “Forse…” iniziò a bofonchiare, e malgrado il ramingo fremesse
dal desiderio di incalzarlo, rimase zitto, lasciandolo riflettere “Un modo ci
sarebbe”
Un secondo più tardi, Jo e Dean si ritrovarono a trottare alle spalle di uno
stregone dalle forze improvvisamente rinnovate che camminava a grandi falcate
per il cammino di ronda, evidentemente intenzionato a tornare nella grande sala
dove la maggior parte della gente ancora rideva e beveva in onore della
vittoria.
“Bobby! Smettila di correre e dimmi che cosa hai in mente” intimò Dean ad un
certo punto, prima che lo stregone potesse effettivamente raggiungere la porta
che dava sul salone “Se sono io che devo fare questa cosa, sarà bene che la
smetti di architettare cose alle mie spalle”
Bobby sbuffò bofonchiando qualche parole poco carina in una lingua a lungo
dimenticata, quindi si voltò a fronteggiare i due ragazzi “Non potremo mai
assediare i cancelli di Mordor e sfidare il nemico finchè non saremo sicuri di
avere le spalle copert ma Minas Tirith è una fortezza inespugnabile” spiegò
velocemente lo stregone, brusco ma efficace “È costruita nella montagna e ha
sette cinta murarie a proteggere la cittadella. Eppure, c’è qualcuno… non tutti
a Gondor sono asserviti al potere del Sovrintendente. C’è un gruppo, una fitta
rete di persone che lavorano dall’interno e dall’esterno per rovesciare il suo
potere e riprendersi Minas Tirith, per riconsegnarla nelle giuste mani. Dobbiamo
contattare questo gruppo di ribelli e convincerlo ad unirsi a noi: se qualcuno
ci aprisse i sette cancelli di Minas Tirith, la città potrebbe essere nostra”
detto ciò, si appoggiò al proprio bastone e rimase in attesa, tenendo gli occhi
azzurri fissi dritti dritti in quelli del ramingo.
Dean soppesò le parole dello stregone e improvvisamente, in un angolo della sua
coscienza un barlume di speranza si accese. Non avevano i mezzi per espugnare
una fortezza, ma se quella fortezza avesse avuto le porte aperte per loro, la
forza di un esercito di Elfi avrebbe facilmente preso possesso di una città. Si
poteva fare, ed era anche l’unica via percorribile.
Nel momento in cui stava per esprimere il proprio verdetto, Jo gli rubò
nuovamente la parola. “Rohan sarà con te, Dean. Parlerò con mia madre, sono
sicura che manderà i suoi cavalieri migliori ad aiutarti. Ed io sarò al tuo
fianco” annunciò la ragazza, poggiando una mano sull’elsa del pugnale che
portava legato al fianco.
Dean non si era nemmeno reso conto, fino ad allora, che Jo era ancora vestita
come un uomo, con pantaloni stivali e un logora giubba di pelle allacciata sopra
ad una maglia di lino grezzo. Era normale per lui vederla a quel modo: un
soldato, un combattente. Ma mentre la guardava finalmente bene in viso si rese
conto di quanto erano gentili e belli i suoi lineamenti, di quanto giovani
fossero i suoi occhi, di come fossero lunghi e biondi e morbidi i suoi capelli.
Combatteva come un uomo ma era una fanciulla, e una principessa.
“No” replicò alle parole della ragazza, fissandola dritto negli occhi, e questa
fu sul suo viso che si dipinsero stupore e delusione “Il tuo posto è qui, Jo,
con tua madre, a guidare e proteggere il tuo popolo”
“Il mio posto è dove c’è bisogno di me, e sui campi di fronte a Minas Tirith si
decideranno le sorti della Terra di Mezzo, non riesco a pensare a un luogo dove
potrebbe esserci maggior bisogno di me. Inoltre, tu hai bisogno di ogni uomo
disponibile” ribatté Jo, pragmatica, guardandolo come se lo stesse sfidando a
contraddirla.
“Esatto, di ogni uomo. Tu non sei un uomo Jo, il tuo posto non è a morire sul
campo di battaglia! Cosa farebbe tua madre se ti accadesse qualcosa?” Dean vide
che la ragazza stava per controbattere di nuovo, dando libero sfogo all’ira che
stava chiaramente affiorando nei suoi occhi, ma la fermò prima che potesse
iniziare “No, Jo! Non ti permetterò di andare ancora a sfidare la morte come
un’incosciente. Il tuo popolo ha bisogno di te e io… non potrei sopportare anche
la tua morte sulle mie spalle” concluse, cedendo infine a quello che più di
tutto il resto gli gravava sul cuore.
Il ramingo vide l’ira svanire, rapida com’era venuta, dal viso della ragazza,
che solleva la mano per poggiarla sulla sua guancia sporca e irta di barba
ispida “Anche tu hai bisogno di me, e la mia morte non sarebbe certo una tua
colpa. È una mia scelta Dean, e io scelgo di restare al tuo fianco” disse
dolcemente, ma con una fermezza che non ammetteva repliche, e Dean si ritrovò a
chiedersi cosa ci fosse in lui che attirava a sé una devozione che andava oltre
alla morte, e che ogni volta gli devastava l’anima.
Eppure Dean sapeva che nulla di quello che avrebbe detto sarebbe servito a
dissuaderla, quindi si voltò a fronteggiare Bobby, e strinse a pugno la mano
sull’elsa della propria spada.
“Si va a sud, dunque. Non vedo l’ora di calciare il culo2
di Crowley via da quel trono e di staccargli la testa dal collo” annunciò Dean,
con la voce roca d’irata combattività, assaporando il momento in cui avrebbe
vendicato la porte dei suoi genitori.
“Molto bene… era ora che conoscessi tuo fratello. Il tuo vero fratello” concluse
Bobby soddisfatto, prendendo la porta e scomparendo all’interno prima che Dean
potesse chiedere alcunché. [5587]
1Sì,
l’ho rubata ad Aragorn! Quanto mi piace rubargli le battute! XD
2Piccolo
strappo al tono sempre molto politically correct dell fic (omaggio al fatto che
è una fic Tolkieniana) ma qui si tratta di Dean e… non sono riuscita a
trattenermi!
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