Atlantis

di Phantom Lady
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Meeting Mondiale ***
Capitolo 2: *** Errori tecnici e conseguenze ***
Capitolo 3: *** L'asse Roma-Berlino ***



Capitolo 1
*** Il Meeting Mondiale ***


I passi concitati di Alfred si confondevano con il suo frenetico ingurgitare. Qualcuno gli fece notare che, oltre a non essere una cosa carina, era anche una gran perdita di tempo.
Alfred si fermò di improvviso e fece un gran respiro e prese a scrutare con enfasi tutti i presenti. Alcuni si spaventarono, ma per la maggiorparte si resero impassibili o aggrottarono le sopracciglia.Arthur fece stridere la sedia sul pavimento e si alzò per andare, ma l’americano lo bloccò di tutta fretta e lo fece risedere, spingendolo con le mani.
-Allora?- chiese l’inglese, irritato.
-Perfetto, ora che avete tutti la mia attenzione... Sto per mostrarvi qualcosa che sconvolgerà le vostre vite!- esordì America, eccitato.
Inghilterra roteò gli occhi sbuffando, mentre dalla stanza si levò un mormorio sommesso.
Portò all’interno della sala un grandissimo oggetto, coperto da un velo, che tolse con grande energia.
Dapprima tutti guardarono scioccati l’oggetto che era stato rivelato, senza saper dire cosa potesse essere. Gli occhi di tutti si posarono su quell’intruglio di cavi colorati e pulsanti. In quel momento tutti fissavano con stupore quella cosa. Arthur si versò il tè bollente sulla mano, tanto era attratto, ma non ebbe neanche l’idea di gridare e imprecare.
Soddisfatto, Alfred si battè fieramente  una mano sul petto e interruppe il silenzio.
-Che ve ne pare?- domandò, ma nessuno seppe che dire.
L’americano rimase un po’ deluso. Forse non avevano capito, e allora si accinse a spiegare. Saltò i particolari tecnici come la costruzione, dato che lui ne aveva capito poco, e esultò: -E’...- la tensione e la curiosità saliva a mille, tutti lo guardavano con occhi minacciosi, le labbra che tremavano, il viso corrugato in un’espressione di curiosità, i presenti erano febbricitanti. Alfred rimase quasi scioccato da come i suoi compagni pendevano dalle sue labbra, e ne fu compiaciuto -... una macchina del tempo!- esordì, e improvvisamente tutti persero quel barlume di stima che avevano acquistato in lui.
-Io dovrei, tipo, salire su quel coso? Tu sei totalmente fuori- fece Feliks agitando una mano, mentre era a gambe incrociate sulla sedia.
-A me sembra un’idea divertente- osservò Toris, ma quando Polonia si rese conto di essere in netto contrasto con Lituania cercò di rimediare: -Volevo dire, è tipo, totalmente fico! Quando si parte?!-
Alfred guardò tutti e i presenti la trovarono un’idea superba. Lo espressero con i lineamenti eccitati del viso o semplicemente non commentando. America si sentì soddisfatto e sentì un fuoco crescergli nel petto.
Arthur però espose la propria idea senza troppi giri di parole: -Un’altra delle tue cretinate. Il mondo starebbe meglio senza di te. Senti, non ho voglia di perdere tempo con te.-
Si sbattè allo schienale e incorciò le braccia, mentre  impaziente tamburellava le dita e chiuse gli occhi, in un’aria di superiorità.
-E’ proprio a  questo che volevo arrivare...- ribattè America, pieno di sè –A parte l’intervento inutile di quel tipo che non sa cucinare- Arthur riaprì gli occhi per commentare, ma lasciò perdere quando Alfred non gli diede il tempo di dar fiato alla bocca –C’è un’idea di fondo in tutto questo!- battè un pugno sul palmo, cercando di attirare l’attenzione dei presenti, che andava scemando -La mai è stata una geniale idea. Non vi siete mai chiesti che tipo di Nazione sarebbe stata... Atlantide? – osservò America, guardando l’espressione stupita sul volto di tutti.
Francis si immaginò una bellissima donna prosperosa, che copriva il seno con i lunghi capelli dorati e che lo fissava malizioso con i suoi brillanti occhi verdi, seduta su uno scoglio, a cantare con la sua voce dolce e calda che lo attirava verso di lei.
-Sì... ah- diceva sommessamente Francis mentre il suo viso si immergeva in un rossore di guance.
Arthur intuì a cosa potesse pensare e cercò di risvegliarlo dalle sue fantasie perverse. Il francese balbettò qualcosa come “proprio sul più bello” e si alzò gridando: -Quest’idea è degna di...- stava per dire genio, ma guardando Alfred si trattenne –...di una brava persona! Io sono con lui!-
Arthur si battè un palmo sul viso e agitò una mano: -Sì sì, posso valutare la cosa-
Intanto i presenti si erano alzati febbricitanti, meno che Heracles, che se ne stava sdraiato (per quanto si potesse) sulla sedia. Kiku gli diede una botta e lui si alzò di scatto, sorprendendo il giapponese.
L’inglese squadrò tutti e si rassegnò: -Va bene, va bene, sono con voi. –
Alfred, euforico emise un gridolino di soddisfazione e si mise davanti alla macchina del tempo, premendo alcuni pulsanti. La macchina si illuminò di un verde elettrico mentre la luce passava da un tassello all’altro, dipingendosi di colori diversi e disegnando uno spettacolo ipnotico.
-Perfetto!- esordì l’americano.
-E’ sicura?- chiese Roderich per convenzione, indicando l’oggetto con riluttanza.
-Al novantanove-virgola-novantanove-percento!- continuò l’altro, tutto contento.
-Di solito nei film, americani, aggiungerei, è proprio quel...- si permise di obiettare l’austriaco, ma fu interrotto da Alfred che invitava le persone ad entrare.
I presenti si pigiavano all’interno del grande abitacolo, dandosi gomitate e lanciando urli. Quando furuno tuttu dentro e schiacciati come sardine, Alfred abbassò una leva e improvvisamente la porta si chiuse, lasciandoli al buio, senza sapere dove mettevano le mani se non nel caso il diretto interessato urlava “perverso” o cose simili.
Rimasero in piedi per parecchi  secondi, poi si sentì un rumore meccanico e all’interno della macchina del tempo cominciò a susseguirsi un mosaico di colori e immagini. Si sentì anche una musica rock.
-Pensavo che sarebbe stato noioso- cercò di spiegare Alfred.
Dopo un po’, sparì tutto e l’abitacolo si fece improvvisamente scuro. Alcuni si appanicarono ma l’americano, anche lui preoccupato, disse che non c’era nulla da temere.
La macchina ebbe un forte scossone e caddero uno sopra l’altro. Francis fu eccitato nel vedere Arthur sopra di lui che lo respinse con un gridolino di disgusto. Antonio abbracciò Lovino che sbattè al metallo freddo. Per Heracles non fece differenza quando si ritrovò Kiku tra le braccia, anche se l’altro era avvampato. Elizabeta schiacciò il piede a Roderich, che gridò di dolore, sbattendo contro Alfred, che, per effetto domino, cadde su Matthew, che cercava di divincolarsi. Feliciano si reggeva alla camicia di Ludwing e cominciò a piangere come un bambino. Feliks si schiantò contro Toris, che ebbe un’espressione di dolore, mentre lo reprimeva silenziosamente all’interno del suo corpo. Fortunatamente, addosso a Ivan non cadde nessuno.
Improvvisamente tutti non sentirono più nessuno sotto le proprie dita o al proprio corpo. Si sentirono come isolati e, anche se provarono ad allungare le mani non percepirono nulla. Provarono ad aprire gli occhi, ma intorno a loro si defilavano solo linee bianche, che venivano talvolta oscurate da altre nere. Il loro cuore si fermò per un momento e si sentirono smarriti.

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Capitolo 2
*** Errori tecnici e conseguenze ***


 

Atlantis ~


-Parte seconda: errori tecnici e conseguenze-


-Ah, almeno sono caduto su qualcosa di comodo- fece Arthur, sentendo un leggero gridolino.
-Aiutoooo- urlò qualcuno e l’inglese si guardò intorno per capire da dove venisse il grido, ma non ebbe neanche il tempo di alzarsi che si ritrovò Alfred tra le braccia. Lo spostò con uno spasmo di ribrezzo, mentre sotto di lui qualcuno continuava a protestare sommessamente.
-A-ahia- sussurrò una voce calma.
Arthur si alzò di scatto e guardò a terra. A pancia in giù c’era Matthew, che accusava dolori su tutta la schiena a causa della caduta dei compagni. I due lo aiutarono a rialzarsi, mentre lui cercava di trattenere il dolore mordendosi le labbra.
-Ehi, sento qualcosa in meno, come un sollievo...- osservò Arthur, come se questa assenza fosse palpabile sulla pelle -...Ma certo! Manca Francis!- i suoi occhi si illuminarono.
-Dove sono gli altri?- chiese serafico Canada, ma nessuno lo sentì.
-Dove diamine sono finiti quegli altri barbari?!- domandò l’inglese, ma sembrava più un’affermazione.
-Lo avevo chiesto io...- notò Matthew, ma nessuno se ne rese conto e Alfred rispose all’altro:
-Non saprei- disse, massaggiandosi la testa.
-Che cosa significa!?- Arthur lo prese per il colletto della giacca e lo scosse.
-Devo aver fatto un errore nella progettazione...- cercò di scusarsi.
-Che...?!- gridò esterrefatto l’inglese, sul punto di picchiare il dichiaratore di indipendenze.
Matthew cercò di fermarli con la sua solita calma, ma Inghilterra lo liquidò con lo sguardo.
-Penso... di aver inserito male i codici... e quindi... e quindi... ci siamo divisi tutti- Alfred si staccò e si pulì la giacca.
-Occa... e adesso come torniamo indietro?- fece Arthur, questa volta non aggressivo, ma disperato.
Alfred fece una faccia sciocca, che ignorava altamente la risposta.
-Non ci resta che fare ciò per cui siamo venuti qui!- esordì orgoglioso.
-Ma che ti salta in mente? Siamo intrappolati nel...- si guardò intorno -... Medioevo e tu pensi a una scemenza del genere?-
-Ora è una gara a chi trova prima Atlantide!- cercò di motivarlo Alfred.
-Dobbiamo trovare gli altri... potrebbero essere in pericolo- fece osservare Canada.
-Intanto cerchiamo un paesino o qualcosa del genere. Sarà difficile andare avanti qui- insistette Arthur.
In effetti erano in un bosco, dispersi tra le fitte fronde, non si vedevano sentieri nel raggio di chilometri e i tre cominciarono ad allarmarsi. Il sole si nascondeva tra le foglie, per poi fare capolino e accecare i loro occhi. Di tanto in tanto si sentiva qualche squittio e si vedeva un animaletto saltellare agile tra i rami.
Sentirono dei rumori di zoccoli e davanti a loro, a qualche chilometro cominciava ad ergersi un carro, accompagnato da cumuli di polvere.
Alfred si mise in mezzo alla strada e cominciò a saltare, allargando le braccia e cercando di attirare la loro attenzione.
Arthur e Matthew lo trascinarono in un cespuglio e gli fecero segno di stare zitto. Il carro gli passò accanto, smuovendo l’arbusto e gettandogli la polvere  negli occhi. Il carro sussultava a ogni dosso ed era di legno chiaro, come il colore dei cavalli. Non pareva particolarmente costoso e il cocchiere era vestito di stracci. Forse doveva solo portare merci o cose di poco valore.
-Perchè?- chiese lamentoso Alfred.
-Non si sa mai. Magari qui odiano i forestieri- rispose Arthur e da dietro Canada annuì, ma nessuno se ne accorse.
Riuscirono allo scoperto e continuarono la loro strada. Dedussero che probabilmente se avessero seguito le scie lascate dal carro avrebbero raggiunto un paesino o addirittura una città.

Antonio aprì gli occhi quando sentì le dolci onde carezzargli le piante dei piedi. Si destò subito lasciando scivolare su di sè quel tenero sogno e si guardò intorno terrorizzato
-Lovino!- chiamò a gran voce, ma non ebbe risposta.
-Che vuoi, bastardo?- fece una voce dietro a lui. Antonio tirò un sospiro di sollievo.
-Dove sono gli altri?- chiese lo spagnolo.
-E io come faccio a saperlo? E poi non me ne frega niente- risposse acido.
-Dobbiamo cercarli- cercò di farlo ragionare Spagna.
-A me basta tornarmene indietro. Mi chiedo chi me lo ha fatto fare!- sbuffò, incrociando le braccia.
“In realtà è stata una tua idea unirti al Meeting Mondiale di quest’anno...” pensò l’altro.
La vista del luogo era incantevole; il mare solcava leggero e senza insistenza la sabbia, donandole un colorito più scuro. La leggera brezza che spirava da ovest gli accarezzava le membra e lentamente anche l’anima. Lovino interruppe i suoi pensieri sbuffando: -Bè, che vuoi rimanere a marcire qua?-
-No... ma a me basta sapere che ci sei tu... dove siamo è relativo- lo guardò dolcemente.
-Zitto, bastardo!-  fu il suo commento
Lo prese per il polso e arrossirono entrambi. Lovino lo guidò verso un sentiero sterrato e lo percorsero a passo rapido.
Rallentarono il passo quando si trovarono in un bosco, dispersi. Antonio si guardò smarrito intorno e si sentì come in gabbia quando notò che le fitte fronde oscuravano il sole.
-E’ colpa tua!- gridò Lovino contro l’amico.
-Ma che ho fatto?- era una domanda a vuoto, giusto per dire qualcosa.
L’italiano si rifiutò di rispondere e cominciò a camminare seguendo delle regole chiare solo a lui. Intanto Antonio lo seguiva.
Presero a girovagare tra i fitti rami del bosco come anime raminghe alla ricerca di una strada da seguire. Ne trovarono una e un barlume di speranza illuminò i loro occhi. Corsero seguendo il sentiero e a fatica ne raggiunsero la fine, soprattutto perchè, col buio che stava facendo era difficile non perdersi nuovamente. Sfortunatamente arrivarono ad un villaggio abbandonato.
Le case erano diroccate, le macerie erano crollate all’interno delle costruzioni e parecchi suppelletili erano sepolti. Alcune abitazioni erano sprovviste di qualsivoglio oggetto utile al sostentamente. Le ricerche dei due si ultimarono presto per via del buio che calava su di loro.
Entrarono in una casetta e presero una copertina polverosa. La smossero al vento per pulirla e si alzò un grande alone di polvere, che irritò gli occhi dei due e li fece tossire.
Si sdraiarono a terra e si coprirono con il telo che avevano trovato. Si strinsero forte per condividere più calore e riuscire a stare entrambi sotto la coperta senza che uno dei due ne avesse di meno. Chiusero gli occhi, mentre sentivano il respiro dell’altro sulla pelle, le stelle a vegliare il loro sonno.

Roderich era sdraiato a terra e Elizabeta aveva preso il suo corpo tra le mani. Avvicinò lentamente le sue labbra a quelle dell’altro quando lui si destò e addirittura tutto il suo corpo si sentì in imbarazzo.
La ragazza si scusò in fretta: -Pensavo che fossi svenuto-
Lo aiutò ad alzarsi e a togliergli la terra e l’erbetta di dosso quando, da dietro un albero, spuntò Francis.
Roderich sussultò: -Cielo, mi hai spaventato-
“Addio giornata romantica” pensò l’ungherese.
-Lo so, la mia bellezza ti ha stupito- fece lui, muovendo i capelli.
-Ho detto spaventato- si affrettò a replicare serio serio l’austriaco.
Il francese si avvicinò a lui con il viso a poco meno di una spanna, mentre dietro Elizabeta ardeva di gelosia: -Ti ha spaventato il fatto che ci sia qualcuno di meraviglioso come me- ridacchiò Francis.
Roderich gli diede una debole spinta che si adattava al suo nobile sangue e girò la testa da un lato con una smorifa di ribrezzo.
-Cara- fece poi il francese con un inchino all’ungherese, offrendole un fiore che aveva strappato poco prima da terra. Lei lo accettò con un sorriso che celava una minaccia.
-Mon Dieu- disse Francis, con un gesto teatrale –dove siamo?-
-Bosco- rispose Ungheria, guardandolo in cagnesco.
-Proporrei di raggiungere una città o quantomeno un paesino- suggerì Austria.
Il francese lo guardò un po’ e squadrò la situazione.
-E come?- chiese il francese, ironico –Capisco di essere meravigliosamente bello, ma non penso che possa arrivare una città qui-
-Perchè, pensi?- domandò Roderich, convinto della propria domanda e serio, il che fece arrabbiare il francese, che ribattè: -Certo, e anche cose più intelliggenti di te- sbuffò, girandosi.
-“Intelligente” si scrive con una sola “g”- osservò l’austriaco.
-Come... eh...- balbettò Francis, sconcertato.
-Ma d’altra parte non posso parlare di usi corretti della grammatica con te- fece l’altro.
-E con te non si può parlare di niente!- Francis gli puntò un dito contro.
-E’ da ineducati... non ti  hanno insegnato che non si indicano le persone?- commentò Roderich.
Francis perse la calma e cominciò a litigare con  l’austriaco, mentre Ungheria se ne stava in un angolo a fissarli, divertita.
Dopo un po’ anche Roderich perse la calma a causa del suo interlocutore e prese a gridare, fissandolo con sguardo omicida. Francis gli tirò i capelli e Roderich gli diede un calcio. Elizabeta li guardò ancora un po’, ma quando si accorse che la situazione stava degenerando e si alzò, interrompendo il litigio dicendo di aver trovato un sentiero, indicando una stradina che si immergeva tra gli alberi. I due si lasciarono i capelli e smisero di picchiarsi.
-Eccola la tua risposta- fece Roderich, indignato, mentre si sistemava l’abito e si metteva apposto i capelli. Sussurrò a fior di labbra qualcosa come “barbaro”. Francis non ci fece caso e, come se non fosse successo nulla ringraziò la giovane, che dall’inizio gli aveva sempre puntato addosso quello sguardo omicida.

-Dove siamo?- chiese Toris, mettendosi a sedere.
Feliks era sdraiato vicino a lui con le mani dietro alla nuca e disse: -E io che ne so?-
Sentirono dei versi sinistri provenire dall’interno della foresta e si alzarono in piedi, allarmati.
Si guardarono intorno e azzardarono qualche passo, le orecchie tese e un’improvvisa sensibilità ai rumori. Sentirono i versi infittirsi sempre di più e il loro corpo tremava di paura.
Toris fermò il compagno e si guardò intorno. Vide qualcosa di bianco a terra e terrorizzato trattenne un urlo di paura. Feliks si avvicinò ma non riuscì a capire di che si trattasse.
-E’ meglio se, tipo, torniamo indietro- poi di fretta aggiunse –Non che io abbia paura, è solo che, tipo, potresti farti del male. Lo dico per te.- fece tremante.
Sentirono un gemito e si girarono, Feliks era la paura in persona.
Si avvicinarono lentamente mentre Polonia lo tirava indietro. Toris sussurrò lentamente, guardando l’amico: -E’... Ivan-
Russia era a terra, le gambe strette al petto con le braccia e il mento posato sulle ginocchia, con la sciarpa in bocca. Tremava leggermente e continuava a sussurrare parole inquietanti.
Polonia strattonò Lituania e lo costrinse a tornare indietro, ma nel farlo Toris inciampò e cadde su dei rametti secchi, spezzandoli.
Ivan voltò repentinamente la testa e fece per alzarsi.
Gli altri due rimasero pietrificati a terra, mentre lo guardavano tremanti.
-Avete freddo?- chiese con il suo sorriso ingenuo, e per questo più inqiuetante.
-S-stavamo, tipo, andando- balbettò Feliks, cercando di alzarsi, ma Ivan gli prese la mano e lo tirò su con forza. Toris ebbe il tempo di alzarsi da solo.
-Dove volevate andare?- domandò con gelido calore.
I due presero a guardarsi frementi, mentre si sfregavano le mani. Incontrarono per sbaglio lo sguardo di Ivan, che intervenne.
-Ho visto del fumo provenire da lì- fece indicando un punto.
Gli altri due trassero un sospiro di sollievo, forse erano vicini a una città.
-Potrebbe essere un paesino... o forse stanno solo bruciando dei corpi- intervenne Ivan, sorridente. Intorno a lui andava formandosi un’aura oscura, quasi palpabile e solo a stargli vicino sembrava di esserne schiacciati.
-Non perdiamo tempo- disse Toris, facendosi coraggio.
Ivan sembrò sorridere (o forse era solo un ghigno malefico?) e si mise a capo del trio, facendolo serpeggiare tra gli alberi, seguendo un sentiero che si immergeva nella foresta. Quando le chiome si fecero fitte il bosco comnciò ad ombreggiare, fino a che non calò la sera, disegnando dei contorni rossastri all’orizzonte.
Da lontano si vedevano dei guizzi rossi e i tre velocizzarono il passo, sperando di trovare un posto calmo dove poter riposare indisturbati.
Sentirono nell’aria un odore di bruciato e avvicinandosi cominciarono a scorgere delle lunghe lingue infuocate, che danzavano scosse dal vento.

Grecia era seduto a gambe incrociate a fissare Kiku, quando improvvisamente il giapponese aprì gli occhi.
-Ben svegliato- disse Heracles, senza muoversi e fissando la spiaggia. Le onde si posavano lentamente sulla sabbia per poi ritirarsi, come spaventate.
Kiku si affrettò a rimettersi apposto e si alzò in piedi di scatto, portandosi una mano sulla fronte con fare rigido: -Scusi capitano! Non stavo dormendo, stavo facendo una pausa di riflessione!- quando si accorse che non era stato Ludwing a svegliarlo e  ad attenderlo  si sedette imbarazzato e guardò Grecia, calmo, ma che accennava un sorriso.
-E’ così suggestiva questa vista- disse Heracles, dopo qualche secondo di silenzio, mentre le parole uscivano oziose.
Kiku borbottò qualcosa, imbarazzato. Mise le braccia tra le gambe piegate e fissò l’altro ragazzo: -Non possiamo rimanere molto qui, comunque-
Passarono pochi secondi e Grecia rispose: -Perchè?-
-Dovremmo cercare gli altri- osservò Kiku.
-Sì, andiamo- concordò Heracles, ma non si alzò.
Kiku si mise in piedi e guardò l’amico a terra, chiedendogli perchè non si alzasse.
L’altro mise lentamente un piede davanti e con una mossa alla moviola si tirò su. Prese a camminare con calma verso la parte opposta del mare, senza meta. Portava lentamente un piede davanti all’altro, mentre Kiku cercava di andare più piano per mantenere il suo passo. Come i suoi filosofi, Grecia, aveva una mente lenta e complessa, che si soffermava su ogni particolare e aveva quel particolare modo di camminare, calmo e ritmico, quasi servisse a contemplare ogni piccola creatura nel mondo. I suoi occhi si soffermavano sulla forma delle foglie, come a volte il suo corpo, si destava un momento e Kiku doveva fare marcia indietro per non superarlo o perderlo di vista.
Lentamente il giapponese si abituò a quel modo lento e tranquillo e si sentì meglio, scaricò un po’ quella pressione che aveva sempre avuto, si liberò dai suoi pensieri più pesanti e contemplava con spensieratezza e serietà ogni cosa che incontrava, come Heracles.
Pian piano, poi, si resero conto che stava ombreggiando, ma non ci fecero troppo caso. La loro mente si era unita al ritmo della natura e si sentivano in armonia con il resto del mondo, come se condividessero un solo cuore e una sola anima.

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Capitolo 3
*** L'asse Roma-Berlino ***


Atlantis ~

 

-Parte seconda: L'asse Roma-Berlino-


Feliciano si alzò di scatto e cercò allarmato Ludwing, che si rigirava tra le coperte.
-Ho fatto un incubo!- disse l’italiano guardando l’amico in preda al panico.
-Quale?- gli chiese calmo il superiore, guardandolo.
-America ci aveva invitato al meeting mondiale e ci aveva fatto entrare in un sandwich gigante- Ludwing gli battè una mano sulla spalla –e il sandwich ha avuto un guasto. Forse c’era poco keckup. Fatto stà che poi ci siamo tutti separati e io... voglio Lovinoooo- cominciò a piangere tra le braccia del tedesco, che lo consolava.
Una donna si affrettò a venire da loro, allarmata dai singhiozzi di Feliciano. Era una suora vestita di nero il cui abito puliva per terra. Rivolse loro un sorriso preoccupato e immensamente pio. Mosse le labbra appena e Feliciano catturò qualche parola in latino riguardante delle preghiere.
-Vi siete svegliati in tempo per la cena. Dio vi benedica- alla fine di ogni frase diceva sempre “Dio vi benedica” come Cina diceva “aru~”
-Pastaaaa!- urlò Feliciano, mettendosi in piedi e asciugandosi le lacrime in fretta. Aveva un modo così repentino di passare da un’emozione a un’altra...
La donna lo guardò con fare interrogativo e, mentre scortava i due verso la sala dei pasti, recitava qualche preghiera in latino e costringeva i ragazzi a ripetere la litania, correggendo la pronuncia e spiegando il significato.
La sala che raggiunsero era magnificamente grande. Degli immensi rosoni ornavano le guglie, le vetrate colorate dipingevano la luce del sole che filtrava nella chiesa. Sul tetto vi erano dei disegni dorati, così brillanti e vividi che, quando riflettevano la luce del sole, erano abbaglianti. Sui muri correvano degli affreschi che raccontavano la storia di un uomo, dal tratto così realistico, dai colori così meravigliosi che sembrava che la scena stesse danzando davanti ai loro occhi. I due cominciarono a fare dei giri intorno a sè stessi per ammirare la sala in ogni suo particolare, cogliendo nuovi dettagli ad ogni occhiata.
A rovinare quella bellezza  era la tavola, circondata da mendicanti, persone vestite di stracci, menomati. Ludwing provava un po’ di ribrezzo per quella gente, fece soltanto una smorfia, poi cercò un posto dove sedersi.
Il piatto era povero, un mezzo bicchiere di acqua,  una fetta di pane e una di formaggio. Il cibo non aveva un bell’aspetto, ma per fame fu costetto a ingurgitare quegli alimenti duri e senza sapore.
“Inghilterra cucina comunque peggio” si disse Ludwing, come se la cosa potesse confortarlo.
-Ah, ah. Molto divertente- rise di gusto Feliciano. L’amico lo guardò con un’espressione interrogativa.
-Ok, dov’è la pasta?!- sembrava davvero arrabbiato.
La suora di prima si avvicinò e gli rispose che non c’era nessun alimento con quel nome.
L’italiano aprì la bocca in un’espressione di sconcerto e poi balbettò qualcosa.
-Mi tocca mangiare queste schifezze?- fece triste indicando il cibo adagiato sul tavolo rugoso.
-Per l’amor del cielo! Rifiuti questa benedizione di Nostro Signore!?- esordì l’altra, basita, come se davanti avesse l’anticristo e non un semplice umano.
Feliciano diede una botta a Ludwing, che si stava sforzando di mangiare.
-Tanto lo so che non piace neanche a te- sorrise l’italiano –lo fai solo perchè hai fame. A te non interessa la religione- poi spostò lo sguardo sull’amico e sulla suora, che stava diventando paonazza.
-Fuori dalla casa del Signore!- gridò, indicando la porta.
-Oh, donna, non ti arrabbiare!- ribattè Feliciano, ingenuo. –Come fa un uomo a vivere in una casa così grande?-
Ludwing si battè una mano sul viso e lo guardò, sussurrandoglio qualcosa come “Dio” e “religione”
L’italiano sembrò illuminato: -Ma certo! Io prego ogni giorno-
La donna cominciò ad irritarsi sempre di più e ripetè l’ordine.
Feliciano si gettò a terra con le lacrime agli occhi, le mani intrecciate davanti al petto: -La prego buona donna! Non mi faccia del male! Sono ancora vergine, non sarebbe divertente!- usava sempre la stessa scusa, ma chissà se valeva ancora? –La prego, non mi faccia del male, farò tutto quello che vuole- agitava la testa e le lacrime si infrangevano tra i capelli, che ballavano nell’aria.
La suora strinse i pugni e prese i due ragazzi per le orecchie.
-E non fatevi mai più rivedere!- gridò la donna, calciandoli dalla chiesa.
I due si rialzarono, pulendosi l’abito. Ludwing lo guardò sinistramente e prese a camminare per le vie polverose della città. Teneva una distanza di sicurezza da lui e ogni tanto lo guardava. Feliciano continuava a fissarlo con il solito sorriso ilare e ignaro.
Ludwing mise le mani nelle tasche della camicia e cercò di tastarne l’interno. Sentì solo la stoffa intrecciata. Chiuse gli occhi e poi guardò l’amico, che fece la stessa cosa.
-Non abbiamo soldi- fecero all’unisono.
-Pizzicotto a te, fortuna a me!- rispose Feliciano, tirando un pezzo di pelle e carne all’amico.
Ludwing gli diede una botta alla mano e gli invieì contro: -Ma ti sembra il momento!?-
L’italiano si compresse e lo guardò con i suoi grandi occhioni marroni da cane bastonato. Il tedesco strinse il pugno per resistere, ma il viso implorevole dell’amico gli fece pena e gli accarezzò i capelli: -Scusa- gli disse imbarazzato.
Ripresero a camminare tra le vie, spintonati dagli altri e tirati verso i negozi dai commercianti. Quando entrarono nel mercato le loro orecchie cominciarono a scoppiare. Feliciano si avvicinava curioso a tutte le bancarelle, prendeva le cose in mano e chiamava Ludwing, per fargli vedere le cose che stava osservando. L’amico lo tirava via per un braccio ricordandogli che non avevano soldi e che, se li avessero avuti, li avrebbero usati più saggiamente.
-Che noia, sei- faceva il broncio Feliciano e già adocchiava qualche cosa di carina da osservare e toccare.
Uscirono dal mercato tutti interi, la gente gli dava le gomitate e appiattiva al proprio petto le provviste comprate, temendo che qualcuno potesse rubarle.
Feliciano passò fischiettando accanto ad una donna con in mano un cestino, ferma davanti a una bancarella, indecisa su cosa comprare. L’italiano ci infilò la mano e cominciò a palpare cosa ci fosse sotto. Sentì una stoffa leggera e la scostò abilmente con le dita, poi toccò della carne fresca e si leccò le labbra. Ne accarezzò la superficie morbida e compatta. Dopo poco urlò, togliendo la mano dal cestino della donna, che si girò di scatto.
Cominciò a baciarsi il dito, che un animale gli aveva morso. Un bambino cominciò a piangere e la donna spostò la coprtina. Non era carne di vitello, era un bambino!
La donna gridò aiuto e tre uomini corsero in suo soccorso. Si scrocchiarono le dita e strinsero i pugni. Feliciano vide le vene gonfiarsi sul loro collo e i loro occhi bruciare. L’italiano fece un passo indietro, ma altre due persone bloccavano le vie di fuga. Gli uomini si avvicinarono sempre di più e Feliciano si gettò a terra, in lacrime.
Li pregò di non fargli del male e gli dissè che avrebbe fatto tutto quello che avrebbero voluto. Gli uomini non lo ascoltarono e uno di loro gli diede un pugno in faccia e Feliciano cadde a terra, in preda al dolore.
Ludwing vide la folla eccitarsi e accalcarsi intorno a un punto e, non vedendo più l’amico, cercò di farsi spazio, spostando la gente che gli ostruiva il passaggio. Non fu facile, perchè tutti gli urlavano contro, altri lo spingevano indietro o riceveva gomitate dalla gente entusiasta.
Ludwing spinse a terra una donna e un bambino e riuscì a passare.
Feliciano era  inginocchiato, che chiedeva un po’ di clemenza. Perdeva sangue dal naso e piangeva, davvero, questa volta.
Un uomo gli diede un pugno, ma il tedesco lo fermò e rigiò la mano, torcendogli il polso.
-Lasciatelo in pace!- ringhiò lui, poi riprese –E’ solo un lurido amante della pasta!-
Feliciano si sentì sollevato, quando vide l’amico che lo difendeva, si asciugò le lacrime e saltò in piedi, abbracciandolo. Strinse tra le dita la camicia dell’amico e sentì la stoffa fredda, il polpastrello scivolò sotto un bottone e gli accarezzò la pelle.
Ludwing si ribellò imbarazzato: -Ma che combini?!- gli urlò contro, imbarazzato, poi si rivolse agli uomini che attendevano impazienti.
-Be’?- chiese uno di loro.
La donna di prima si mise davanti a Ludwing e lo rimproverò: -Stai difendendo un bugiardo!-
Il tedesco si voltò verso Feliciano, che arrossì, colpevole.
-Che... che cosa hai fatto?- chiese all’amico, ma gli rispose la donna: -Voleva rubare mio figlio!- e prese a piangere, con la testa tra le mani, che posò sulla spalle del suo uomo.
Ludwing gli rivolse uno sguardo di rimprovero ferreo e freddo come suo solito.
-Io... pensavo che fosse... volevo fare come mio fratello!- si giustificò il moro –Avevi fame e volevo prenderti qualcosa da mangiare! Anche quando voglio fare qualcosa di buono finisco per combinare un macello! Sono totalmente inutile!- Feliciano corse via piangendo.
Quelle parole scossero una parte di Ludwing, che si era commossa, e si morse le labbra per essere stato tanto sciocco. Allungò una mano per fermarlo, ma si era già fatto strada tra la gente. Lui lo seguì ma non riuscì a trovarlo. Lo cercò per tutte le strade, tra le più polverose e sudice, chiese in giro, ma nessuno rispose. Controllò ovunque, setacciò ogni centimetro quadrato di terreno, entrò nei negozi, nelle taverne. Ma non lo trovò.
Si asciugò il sudore per la corsa e, proprio quando credeva di non avere più speranze di trovarlo, sentì un singhiozzo provenire da dietro un angolo, seguito da altri copiosi.
Si avvicinò lentamente e vide Feliciano in un angolo, con le gambe portate al petto e le mani che nascondevano il viso, come se Ludwing non sapesse che stava piangendo.
Si sedette vicino a lui e gli posò una mano sulla spalla. Lentamente lo avvicinò al suo petto e gli tolse le mani dal viso, asciugandogli le lacrime con le dita. I suoi occhi erano rossi e stanchi.
-Feliciano, non piangere- gli disse, accarezzandogli i capelli, ma si sentì subito in imbarazzo e smise pian piano.
L’altro balbettò qualcosa e chiuse gli occhi, trattenendo il respiro, cercando di reprimere i singhiozzi a fatica. L’italiano si passò una mano sul viso e cercò di ritornare a respirare regolarmente con poco successo.
-Ludwing, mi dispiace!- disse tirando su col naso. Un rivolo di sangue gli colò fino alla bocca.
-Non ti preoccupare- gli sorrise il tedesco.
Quando i loro occhi si incontrarono Ludwing lesse in quelli dell’amico un sincero pentimento e decise di perdonarlo, oppresso dai sensi di colpa. Non ce ne era un gran motivo, dato che era dalla parte della ragione, ma quello sguardo così pieno lo faceva sentire irrimediabilmente colpevole.
Ludwing gli accarezzò il viso e posò le sue labbra sulla guancia dell’amico, che per un momento smise di tremare. Le sue gote erano calde e sentì un piacevole teporino percorrergli tutto il corpo, fino ad arrivare alle guance, che si imporporarono. Il tedesco strinse la presa intorno all’amico, portandolo a sè. L’italiano chiuse gli occhi, cullato dall’altro, perdendosi nei suoi pensieri.
Ludwing gli spostò i capelli dal viso e gli diede un buffetto affettuoso: -Il mio inutile Italia- sussurrò.


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Nota di Phantom Lady: Pensavate che mi fossi dimenticata di Ludwing e Feliciano, vero? E infatti è così La realtà è che volevo fare una cosa un po’ diversa e avevo in mente una cosa un po’ lunghetta. Siccome sono tutti partiti da un bosco alla ricerca di una città, volevo che non fosse tutto uguale, così ho deciso che Feli e Lud si sarebbero trovati in una città. Inoltre penso di avergli dedicato un capitolo alquanto lungo (considerando i precedenti) e metterlo insieme all’altro sarebbe stato particolarmente noioso per i lettori. Ah, nel caso ve lo stesse chiedendo, no, non mi sono dimenticata di loro e me ne sono ricordata solo rileggendo la storia, no. Avevo già macchinato tutto quanto, sì. In realtà non è vero, ma datemi corda. Spero che vi sia piaciuta.
Grazie a chi mi segue e buona lettura
Phantom Lady

 

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