Dreamland

di Bloodred Ridin Hood
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Un Piccolo Dettaglio Trascurato ***
Capitolo 3: *** Raconti dal fosso ***
Capitolo 4: *** Sotto la pioggia ***
Capitolo 5: *** Ripetizioni ***
Capitolo 6: *** La scommessa ***
Capitolo 7: *** Fiducia ***
Capitolo 8: *** Gli uomini buoni non dicono mai la verità... ***
Capitolo 9: *** Seoul ***
Capitolo 10: *** The Blood Talon ***
Capitolo 11: *** L'agente di Hong Kong ***
Capitolo 12: *** I Love Rock 'n Roll ***
Capitolo 13: *** Semplice e speciale ***
Capitolo 14: *** L'ultima notte I ***
Capitolo 15: *** L'ultima notte II ***
Capitolo 16: *** Vecchie questioni che non si dimenticano ***
Capitolo 17: *** Segreti dal passato ***
Capitolo 18: *** Riflessioni ***
Capitolo 19: *** Orgoglio, rancore, passione ***
Capitolo 20: *** Dreamland I ***
Capitolo 21: *** Dreamland II ***
Capitolo 22: *** Il terzo guerriero ***
Capitolo 23: *** Homecoming ***
Capitolo 24: *** Scomode conversazioni ***
Capitolo 25: *** Bittersweet ***
Capitolo 26: *** Ira ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

- Siamo arrivati…

Mi girai verso la mia suddetta “nuova guardia del corpo” e annuii sforzandomi di sorridere. La mia mente era vuota, guardavo fuori dal finestrino senza riuscire a pensare a niente.

Aprii lo sportello ed uscii fuori dall’auto. Il vento mi scompigliò i capelli, rabbrividii per il freddo e mi strinsi nel giubbotto. Guardai quell’enorme casa davanti a me, quella casa che da lì a poco mi sarei abituata a chiamare “la mia casa”. Continuai a squadrare l’edificio con espressione alquanto assente.

Preferivo non pensare a niente, perché tanto erano solo pensieri tristi, quelli che mi affollavano la mente in quel periodo.
Per stare meglio… o almeno, per illudermi di stare meglio… Facevo finta che le cose successe in quegli ultimi giorni non fossero mai accadute.

Ero stanca, stanca di continuare a pensarci. Da quel giorno avrei iniziato una nuova vita, lontana dai ricordi, dalle vecchie cose.
Una pagina si era chiusa e una nuova se ne era appena aperta.
Ero pronta per la mia nuova vita, qui… a Tokyo.

Nel giro di pochi giorni la mia “vecchia” vita era stata stravolta completamente.
Meno di una settimana prima infatti, avevo perso la mia famiglia. Prima i miei genitori erano morti in circostanze incerte in un incidente stradale… poi anche mio nonno, nonché mio maestro di arti marziali, era sparito misteriosamente senza lasciare alcuna traccia.
La cosa peggiore che mi fosse potuta succedere…

Ero rimasta sola… completamente sola… È stato come se il mondo mi fosse improvvisamente crollato addosso.
I primi tempi mi sforzavo di tenere tutto dentro, non ho pianto una lacrima appena dopo l’accaduto. Ma più andavo avanti, più diventava difficile riuscire a trattenersi dal piangere…

Non mi avevano ancora trovato un nuovo tutore, e io avevo già lasciato tutto alle spalle.
La scuola, le arti marziali, i vecchi amici…
Non mi importava più niente…
Erano tutte cose fin troppo legate ai ricordi…

Poi… c’è stato quell’incontro.
Un incontro che ha dato, ancora, una svolta alla mia vita.
Mi è stata offerta una nuova speranza, un’occasione per continuare. Avrei iniziato una nuova vita, da capo. In una nuova città, assieme ad altre persone, in una nuova casa… Lontana… dal mio passato.

Era successo tutto per caso. Heiachi Mishima, assieme al suo “esercito personale”, era venuto nel mio paese per delle indagini.
Erano interessati alla sparizione di mio nonno, Wang Jinrei. Nessuno però seppe spiegarmi il motivo. L’unica cosa che mi dissero, fu che Heiachi Mishima e mio nonno avevano avuto a che fare tanto tempo fa.
Lo incontrai una sera, stava per fare buio. C’era piuttosto freddo, ma non mi importava, ero rimasta fuori, in un campetto vicino alla mia casa.

Ero seduta sotto una quercia e scrutavo le risaie verso l’orizzonte. I campi si stavano lentamente dorando e gli specchi d’acqua brillavano, sotto il sole che tramontava.
Era una bella immagine, dava una sensazione di calma… mi capitava spesso di rimanermene lì a guardarlo sino a tarda sera.

Sentii dei passi dietro di me, ma non me ne curai. Mi accorsi che la persona si era fermata a poca distanza da me.
Vedevo la sua ombra proiettata davanti ai miei piedi, ma continuavo a tenere lo sguardo basso.
Mi bastò vedere l’ombra per riconoscere la sua sagoma imponente.
Tutti in paese avevano parlato tanto del suo arrivo, è un uomo molto ricco e potente. Forse “il più” ricco e potente… 

Rimase per qualche secondo in silenzio, poi… iniziò a parlarmi.
Mi parlò di Wang, e della loro amicizia. Mi spiegò che la sua organizzazione si stava occupando delle indagini per la sua scomparsa.

Dopo… mi fece una proposta.
Per un attimo rimasi spiazzata…
Non avevo ancora detto una parola e non l’avevo ancora guardato in faccia.
Mi girai lentamente verso di lui e lo scrutai negli occhi.

Quegli occhi severi, sicuri, davano all’uomo un aria di rispettabilità, di potenza…
La sua espressione però mi ispirava fiducia…
Heiachi Mishima mi aveva proposto di andare a continuare a studiare arti marziali in Giappone. Sapeva che mi ero allenata tanto con Wang, aveva fiducia nelle mie capacità.

Lui sarebbe diventato il mio nuovo tutore ed avrei avuto una vita completamente diversa…
Era quello che ci voleva… una nuova vita…
Decisi che andare in Giappone era la cosa giusta da fare, ma sapevo che, anche se piena di brutti ricordi, non mi sarei dimenticata della mia terra.

Partii due settimane più tardi, alla stazione mi voltai un’ultima volta verso la strada.
“Tornerò” pensai.
“Un giorno tornerò…”

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Capitolo 2
*** Un Piccolo Dettaglio Trascurato ***


Quella mattina mi svegliai con la luce del sole che mi batteva sul viso.

Aprii gli occhi e mi guardai intorno. Ci misi un bel po’ prima di capire dove ero, prima di ricordarmi della mia nuova stanza. Della mia nuova casa.

Mi girai verso il comodino per vedere l’orario. Le sei e mezza.

Maledizione a me che il giorno prima non avevo chiuso le persiane!

Scalciai via le coperte per riuscire ad alzarmi.

Mi piaceva tantissimo la mia nuova stanza. Era spaziosa e moderna, con dei grandi finestroni che si affacciavano sulle pareti.

In quel momento però non volevo molto bene a quei finestroni. Perchè proprio grazie a loro mi ero svegliata così presto…

Camminai fino alle finestre e cercai di capire come potevo aprirle per poter chiudere le persiane all’esterno.

Cavolo! Questo non me lo avevano spiegato!!

Non c'erano maniglie normali, ma degli strani aggeggi laterali che non riuscivo ad utilizzare.

Mi mordicchiai il labbro inferiore, poi fra me e me feci un mezzo sorriso.

“Avranno pensato che era una cosa talmente ovvia, che non hanno perso tempo a spiegarmelo…”

Ok, però in quel momento, ancora tutta intontita dal sonno, sarà per quello o sarà per altro, non riuscivo proprio a trovare il modo per aprire la finestra.

- Uffa…

Sbuffai e mi lasciai cadere sulla poltroncina di pelle vicina alla finestra.

Era inutile, non mi andava di continuare a provare a vuoto. E comunque, ormai mi ero alzata ed ero completamente sveglia, quindi in ogni caso forse avrei avuto anche problemi a riaddormentarmi.

“Pazienza” pensai “Vorrà dire che scenderò adesso e che mi farò spiegare da qualcuno come aprire le finestre”.

Entrai in bagno. Avevo un bagno tutto mio, mitico!!

Decisi di farmi una doccia prima di scendere. Così forse mi avrebbe aiutato ad essere un pochino più sveglia, alle sei e mezza del mattino.

“Da pazzi” pensai “In piedi a quest’ora in periodo di vacanze”.

Sarei rimasta in vacanza ancora per poco, la scuola sarebbe iniziata due giorni più tardi.

Non vedevo l’ora!! Volevo conoscere nuove persone, fare nuove amicizie, conoscere un nuovo ambiente.

Non avevo ancora conosciuto nessuno, a parte tutti quelli che lavoravano in casa.

A dire la verità non avevo nemmeno ancora visto Heiachi Mishima.

Era impegnato in un viaggio d’affari, sarebbe tornato a breve. La casa comunque, era tutt’altro che vuota.

C’era gente dappertutto, nei corridoi, nelle stanze a fare le pulizie, nel giardino, in cucina… in ogni luogo della casa, insomma.

Certo che rispetto al luogo dove ero abituata a vivere, questo era tutto un altro mondo! Però mi piaceva…

Mi finii di asciugare i capelli davanti allo specchio. Dopo una bella doccia rivitalizzante, mi sentivo molto più sveglia.

Decisi di lasciarmi i capelli sciolti. Un tempo facevo sempre i codini, un tempo però…

Mi infilai una felpa azzurra sopra un paio di jeans bianchi, qualche colpo di spazzola, prima di uscire dalla mia stanza.

Nel corridoio c’erano già due domestiche che passavano l’aspirapolvere sulla moquette.

“Questo posto è peggio di un albergo!” pensai fra me e me.

Scesi al piano di sotto e trovai la governante che mi aveva accolto la sera prima, la signora Kishi, intenta nello spolverare un grande pianoforte che si trovava in soggiorno.

- Buongiorno!- mi salutò cordialmente vedendomi

- Buongiorno…- risposi

- Dormito bene?

- Ehm sì… solo che… ecco, ho alcuni problemi con le finestre.- sorrisi della mia ingenuità

La signora Kishi rispose al sorriso e annuì.

- Non preoccuparti. Più tardi vediamo di cosa si tratta. Vuoi iniziare a mangiare qualcosa?

In effetti avevo un buco nello stomaco. La sera prima, quando ero arrivata, ero talmente stanca che mi ero coricata subito senza cenare.

- Volentieri…- risposi genuinamente, ignorando i miei brontolii allo stomaco.

Notai con piacere che i giapponesi hanno delle buone abilità culinarie.

I camerieri rimasero a guardarmi un po’ stupiti, mentre mangiavo con gusto e in modo abbastanza veloce, ma in quel momento non mi importava se stavo mostrando forse poca educazione in rapporto al posto dove mi trovavo.

Avevo una fame tremenda e l’unica cosa che mi premeva era… farla passare!!

Mentre mangiavo, ad un certo punto sentii il rumore di una porta che si apriva dietro di me.

La signora Kishi uscii dalla cucina per vedere chi era entrato.

- Ah, ciao… bentornato!

- Grazie…- le rispose una voce maschile.

Mi girai verso chi aveva parlato. Alle mie spalle, era appena entrato dalla porta dell’andito… un ragazzo.

Avrà avuto circa diciotto anni, indossava un paio di jeans e sopra una felpa nera col cappuccio abbassato. Era alto e atletico. Aveva capelli neri e lisci, tenuti sparati all’indietro con alcuni ciuffi che ricadevano sulla fronte. Una pettinatura piuttosto… insolita…

Aveva un bel viso, e uno sguardo profondo che… fissava me!

In quel momento mi ricordai che avevo un pezzo di cibo che mi spuntava dalla bocca e che mi stava gocciolando sulla felpa.

Mi sentii avvampare. Ecco che la mia faccia doveva essere appena diventata più rossa dei gamberi che avevo nel piatto.

- Urgh!

Presi il tovagliolo e cercai di pulirmi sia il mento che la felpa.

Non mi sorprende se in quel momento mi sentivo tutti gli occhi presenti nella stanza puntati su di me.

E io mi sentivo sempre più in imbarazzo.

Chi era quel ragazzo? Cosa ci faceva a casa di Heiachi Mishima?

Per quale oscuro motivo mi continuava a guardare così… sconvolto?

Che vergogna! Avrà pensato che fossi una selvaggia!

La signora Kishi ruppe quell’imbarazzante atmosfera.

- Sei tornato presto…

Finalmente il ragazzo distolse lo sguardo di chi ha appena visto un fantasma da me. Si girò dalla signora Kishi.

- Sì, il treno è arrivato qua alle sei. Ehm…- iniziò a dire chissà cosa, facendo un cenno con la testa, quasi invisibile, verso di me.

- Oh…- la signora Kishi si accorse solo in quel momento che né io, né il ragazzo stavamo capendo molto della situazione.

Meglio tardi che mai, la governante sorrise ed iniziò a spiegare… a lui, però.

- Abiterà qui…- iniziò

Notai lo sguardo del ragazzo, mi guardò ancora con aria sempre più incredula.

- Il signor Mishima ha deciso di prenderla in custodia, permettendole di studiare qui in Giappone.

Un paio di lunghi secondi di imbarazzante silenzio. Lui che continuava a scrutarmi come se non riuscisse a credere alle parole della donna.

- Viene dalla Cina

Abbozzai un mezzo sorriso, la sua espressione invece rimase immutata.

- Si chiama Ling Xiaoyu.

Di nuovo silenzio.

- Ah…

Fu l’unica cosa che riuscì a dire un bel po’ di tempo dopo. Un misero “ah”.

Ma insomma!! Tutti sembravano essersi dimenticati della mia ignoranza!!

“Chi cavolo è questo qua?”

Mi scocciava chiederlo a voce alta davanti a lui, però…

Subito dopo invece, riprese a parlare lui.

- Bene…- iniziò, mi guardò per un ultimo momento, poi distolse lo sguardo e lo spostò in direzione della signora Kishi- vado a portare i miei bagagli in camera mia, torno più tardi.

- Come vuoi…- la signora annuì.

Il ragazzo fece dietrofront e uscì dalla porta dalla quale era entrato.

Una volta che fui sicura del fatto che si fosse allontanato abbastanza, azzardai la domanda:

- Ehm… e lui abita qui?

La signora Kishi, che in quel momento stava sparecchiando assieme agli altri due camerieri, mi sorrise.

- Il signor Mishima non ti ha detto nulla?

Cercai di fare memoria lo stesso, ma ero praticamente sicura al cento per cento di…

- Ehm… decisamente… no!

- Strano.- la signora aggrottò le sopracciglia, poi alzò le spalle- Comunque sì che abita qui. È il figlio di Kazuya, il povero figlio defunto del signor Mishima.

“Povero figlio defunto?” Non avevo mai saputo assolutamente nulla di questo. Notai lo sguardo un po’ rattristato della signora Kishi mentre ne parlava.

Chissà da quanto tempo aveva avuto a che fare con questa famiglia.

Probabilmente erano discorsi infelici, che avrei fatto meglio a non approfondire ulteriormente.

Tanto per il momento ero riuscita a sapere quello che volevo.

Quel ragazzo viveva qui. Ed era il nipote di Heiachi Mishima, il mio nuovo tutore.

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Capitolo 3
*** Raconti dal fosso ***


Punto di vista di Jin

 

Punto di vista di Jin

Cosa ci faceva quella ragazzina in casa nostra?

Perché nessuno mi aveva detto niente?

Da quanto tempo era arrivata?

E soprattutto… per quale motivo il vecchio aveva deciso di prendersela in casa?

Non di certo perché era diventato un benefattore tutto d’un tratto.
Ci doveva essere per forza qualcosa sotto.

Qualche profitto…

Entrai in camera mia trascinando la valigia dietro di me. Gettai lo zaino che tenevo con l’altra mano sopra la poltrona. Non avevo voglia di disfare i bagagli in quel momento.

Ero troppo occupato con quella marea di domande che mi affollavano i pensieri.

Ero appena rientrato da un torneo regionale di arti marziali. Ero stato via per circa una settimana.

“Sto via per una settimana e mi ritrovo una ragazza che gira per casa…”

Mi sdraiai sul letto a pancia in su e rimasi a pensare.

Chi era? Perché l’aveva portata qui? Dalla Cina?!

Quel vecchio, egoista e scorbutico di natura, per quale motivo aveva deciso di fare un favore a qualcuno?

Era una faccenda così strana…

La cosa mi turbava.

Volevo avere risposte. Volevo vederci chiaro. Volevo capire quello che si era messo in testa.

E… sapere chi era Ling Xiaoyu.

Probabilmente avrei fatto meglio a chiederlo subito a lei, sarei potuto andare a cercarla e avrei potuto chiederglielo direttamente. D'altronde, era proprio lei l’interessata.

Non mi andava però di parlarci.

Non sono bravo nel partire con il piede giusto con la gente, probabilmente mi sarei trovato male.

Decisi che avrei aspettato sino al ritorno di Heiachi.

Sarebbe tornato quella sera. Gli avrei chiesto le dovute spiegazioni.

Evitai di farmi vedere in giro per casa sino all’orario dell’allenamento.

Mi preparai e mi diressi verso la palestra.

La palestra si trovava al pian terreno, sul retro.

In genere mi allenavo sotto l’addestramento di mio nonno, ma quando lui non c’era mi allenavo da solo.

Entrai in palestra ed accesi la luce.

Velocemente tutte le lampade al neon appese al soffitto illuminarono la sala.

Era una stanza rettangolare, per un lato era comunicante alla casa, dall’altra parte invece la parete era composta solo di vetrate che davano sul giardino.

Andai al centro della stanza ed iniziai a fare degli esercizi di riscaldamento.

Mentre mi riscaldavo, ad un certo punto ebbi l’impressione di scorgere qualcosa che si muoveva fuori.

Di scatto mi fermai e mi girai per guardare oltre le vetrate.

Era quasi buio e la visibilità era quella che era. Però fuori sembrava comunque tutto a posto.

Non sembrava esserci niente… o nessuno.

“Strano” pensai. Probabilmente era stata solo una mia impressione…

Ripresi l’allenamento.

Dopo essermi riscaldato, passai ad esercitarmi sulle tecniche.

Avevo appena iniziato a provare delle mosse, quando di nuovo con la coda dell’occhio intravidi qualcosa di chiaro muoversi nell’oscurità.

Mi girai di nuovo di scatto e mi avvicinai alla vetrata.

Questa volta ne ero sicuro, si era mosso qualcosa là fuori. Qualcosa di bianco.

Aprii la porta che dava direttamente sul giardino ed uscii all’esterno.

Lo sbalzo di temperatura mi fece rabbrividire.

Dentro l’aria era climatizzata, e fuori iniziava ad esserci piuttosto freddo.

Feci qualche passo, a piedi nudi sull’erba. Davanti a me c’erano delle aiuole.

Ero sicuro di aver visto qualcosa lì dietro.

Davanti a me… il buio totale. Passai oltre un cespuglio per andare oltre l’aiuola quando…

- Ouch!

Scivolai in avanti e finii dentro ad una specie di fosso.

- Aaah!

Non ero stato io a gridare!

Sbam

Caddi sulle ginocchia tenendo le mani in avanti per attutire la caduta.

Un dolore acuto mi salì velocemente dalle ginocchia sino al bacino.

Mi lasciai cadere all’indietro appoggiando la schiena su una parete dello scavo.

Uno scavo. Un fosso in mezzo al giardino. Ma che diamine ci faceva un fosso in mezzo al giardino??

Guardai verso l’alto. Era troppo profondo. Non sarei mai riuscito ad arrampicarmi sino al bordo da solo.

Quella era proprio una di quelle che si definiscono “giornate strane”.

Era iniziata con una ragazzina spuntata da chissà dove che gironzola per casa e…

- Ehm…

Mi alzai di scatto per la sorpresa. Non ero solo nel buco.

- Chi…??

Iniziai a parlare, ma i miei occhi si stavano abituando a quell’oscurità ed iniziavo ad intravedere una sagoma seduta davanti a me.

Avevo già capito chi era prima di mettere a fuoco il viso.

- Che ci fai qui?- chiesi con voce acuta

Davvero, non mi sarei mai aspettato di finire in un buco camminando per il giardino, ma tanto meno di trovarlo già occupato!!

- Forse sono qui perché sono caduta prima di te, no?- rispose

Aveva un tono di voce irritato.

- Che cosa è questo fosso?- chiesi

- Beh, tu abiti qui da prima di me… dovresti essere tu a spiegarmelo!- ribattè acida

- Senti non è mica colpa mia se siamo finiti qua dentro… anche se abito qui da prima di te! E non c’è bisogno di usare quel tono!!

In genere sono una persona molto calma, ma non sopporto quando la gente alza il tono di voce senza motivo!

Xiaoyu sbuffò rumorosamente.

Tentai di arrampicarmi per provare in qualche modo ad uscire.

Sapevo che era piuttosto difficile riuscirci, ma sempre meglio di starsene con le mani in mano.

Tentai una volta, ma si staccò la zolla di terra dove mi ero aggrappato con la mano.

Tentai una seconda volta, ma scivolai buttandomi solo più terra addosso.

Decisi di non continuare, anche perché ero scalzo e mi stavo facendo male ai piedi.

- Te ne sei accorto che era inutile…

Lo disse con un tono di superiorità che non mi fu per niente gradito.

- Almeno ci ho provato. E tu potresti provare ad essere un tantino meno insopportabile!

- Non sono insopportabile, sono realista. Non riusciremo mai ad uscire da soli. E non ci troveranno prima di domani mattina…

In quel momento mi accorsi che aveva la voce di chi sta per scoppiare in lacrime.

- Hey, ma che ti prende?

Lei non mi rispose. Ma ero più che sicuro che stesse per iniziare a piangere.

Prima mi schernisce e poi piange? La volli stuzzicare per ripicca.

- Tsk, alla tua età non dovresti piangere per così poco…

Tornando indietro non avrei fatto quel commento. Di certo non mi aspettavo quella reazione.

A dire il vero, mi aspettavo che si arrabbiasse e che mi rispondesse di nuovo acida, invece…

Iniziò a piangere a più non posso tutto in una volta!!

- Insomma calmati!!

Non sapevo che fare, Xiaoyu piangeva di brutto, e io ero riuscito solo a farla piangere di più!!

Mi avvicinai e… rimasi davanti a lei a guardarla come uno scemo.

Non sapevo proprio cosa inventarmi, perché si era messa a piangere in quel modo?

Insomma, ok… eravamo in un buco spuntato da chissà dove in mezzo al giardino, era buio, c’era freddo, non potevamo uscire, ma non c’era mica bisogno di piangere!

…o forse sì??

- Senti, mi vuoi spiegare perché stai facendo così?- le chiesi con il tono più gentile possibile

Non volevo rischiare di peggiorare la situazione.

- Stavo scherzando prima, non inten

- No! Hai ragione invece…- mi interruppe- Io… io… ero da tanto che non piangevo… tu non puoi capire… sono nervosa…

- Ehm… va bene… però…- non sapevo come consolarla, mi lasciai andare- Vedi di piantarla, insomma!! Non è il caso di piangere!!

Niente, lei continuò senza riuscire a smettere.

Sospirai e mi sedetti anche io rassegnato. Non c’era molto spazio, eravamo praticamente uno affianco all’altro.

C’era un freddo cane. Mi slegai la felpa legata in vita, rimproverandomi per non averlo fatto prima, e me la infilai.

In quel momento, pensai a lei e la guardai per vedere se era coperta abbastanza. C’era davvero freddo…

Sì, aveva una felpa bianca indosso.

Un momento… una felpa bianca?? Era lei che avevo visto prima?

Quella cosa chiara che avevo visto muoversi fuori dalla palestra?

Glielo avrei chiesto, se non fosse per quel piccolo particolare che continuava a piangere ininterrottamente.

Poco dopo comunque, sembrò calmarsi.

Aveva esaurito le lacrime?

La guardai. Lei continuava a tenere il viso basso, con le braccia che tenevano le ginocchia.

- Adesso penserai che sono una stupida…

Non risposi. Continuai a guardarla, lei invece evitava il mio sguardo.

- Nemmeno mi rispondi… certo… devo aver fatto proprio la figura dell’idiota.

- No…- non sapevo che rispondere.

L’unica cosa che sapevo è che non volevo si offendesse. E che magari riprendesse a piangere.

- E invece sì…

- Non dire così. Non ti conosco. Non posso giudicare…- risposi, anche se in effetti un po’ stranuccia mi era sembrata fin dall’inizio…

Teneva la testa sempre bassa, con gli occhi lucidi.

- Bugiardo.

Ah, ma non mollava mai? Voleva essere triste per forza?

- Senti basta. Ti ho detto come la penso, e punto. Non ho voglia di continuare. Non so perché ti sei messa a piangere, e probabilmente non riuscirò mai a capirlo, visto che non me lo dici. Quindi lascia perdere

- Non lo so nemmeno io…

Rispose con un soffio di voce.

- Non sono riuscita a trattenermi. È che… questo è un periodo difficile per me.

Si fermò di nuovo. Aveva la voce tremolante.

Io ero sempre più confuso. Non solo l’intera situazione mi confondeva… adesso ci si metteva anche lei! Cosa poteva esserle successo? Perché reagiva così?

- Capisco…- non sapevo che altro aggiungere.

Quella situazione mi aveva davvero messo in croce.

Prima finisco in un fosso spuntato fuori misteriosamente, poi scopro che il fosso è già occupato da una ragazzina, anche lei spuntata fuori misteriosamente, poi questa attacca a piangere senza motivo apparente…

Oddio, non sapevo proprio cosa pensare…

- Ultimamente… mi succede spesso… ma…- si bloccò qualche secondo- …non mi era mai successo davanti ad un’altra persona. Di avere un attacco di pianto così…

Quella frase in qualche modo mi aprì gli occhi. In qualche modo mi fece capire il suo stato d’animo.

A volte succede che trattieni frustrazioni, preoccupazioni per molto tempo, queste si accumulano e… le butti via tutte in una volta anche per un motivo molto stupido.

Io… riuscivo a capirlo…

- Senti, non hai bisogno di giustificarti.

Finalmente alzò gli occhi verso di me.

Anche se era buio, la luce proveniente dalla casa le illuminava lievemente il viso.

Sembrava così triste… in quel momento sentii come una stretta al cuore. Mi faceva pena…

- Anche io ho passato momenti difficili…- cercai di confortarla- So cosa si prova…

Lei annuì senza dire niente e spostò lo sguardo altrove.

Non so quanto tempo passammo in quell’imbarazzante silenzio. Mezz’ora? Un’ora? Un’ora e mezza?

Finché lei non ruppe di nuovo l’atmosfera…

- Tu sei… Jin, vero?

- Uh? Sì… mi chiamo così.

- JinKazama

Annuii. Ero quasi sicuro che non avesse affatto bisogno di conferme, evidentemente stava cercando solo di fare conversazione. Decisi di approfittarne per chiarire alcune cose che volevo sapere.

Tanto per iniziare…

- Ehm… posso chiederti cosa stavi facendo prima di finire qua dentro?

Lei cambiò espressione, aveva una faccia visibilmente imbarazzata.

- Ehm… giravo… per il giardino…

Non ero troppo convinto che quella fosse la verità, ma non insistetti. Io ero sicuro di averla vista.

Era lei, non avevo dubbi. L’avevo vista, ben due volte

Ma non si era comportata come se stesse facendo una semplice passeggiata in giardino. Si stava nascondendo… Perchè? Per chissà quale strano ed oscuro motivo, non voleva dirlo…

- Ok…- decisi di non continuare.

Passai invece ad un altro argomento.

- Come mai Heiachi ti ha offerto di venire a vivere qua?

Lei mi guardò per qualche secondo inarcando le sopracciglia e studiando il mio sguardo.

- Ti da tanto fastidio? Io non sapevo che ci fossi anche tu…

- Non l’ho detto perché mi da fastidio!- precisai sospirando.

Ma quanto era permalosa!!

- …è che mi sembra strano…- continuai

- Cosa ti sembra strano? Tuo nonno è un bravo uomo! Mi ha accolto in casa sua, offrendomi la possibilità di continuare lo studio delle arti marziali! Cosa ci trovi di strano?

Io non risposi subito. Mi stavo trattenendo a forza dal non ridere quando sentii “tuo nonno è un bravo uomo”.

Ingenua, ancora non lo conosceva affatto.

Mio nonno non era affatto un bravo uomo che si faceva condizionare dai sentimenti.

Di certo c’erano altri motivi sotto, che nemmeno lei sapeva. Di certo non altruismo…

- Se lo dici tu…- aggiunsi alla fine.

- Dovremo allenarci insieme…- riprese poco dopo

- Cosa?!- risposi sorpreso

- Sì, me lo ha detto prima la governante. L’ha saputo da tuo nonno.

Risi debolmente.

- Non credo proprio sia vero…

Lei mi guardò accigliata.

- Perché??

- Per il semplice motivo che i miei allenamenti non sono quelli che ti immagini.- spiegai con semplicità- Non so come tu sia abituata a questo genere di cose, ma puoi stare certa che non è nulla che tu riusciresti a sostenere.

Lei continuò a guardarmi con aria quasi offesa per quello che avevo appena detto.

Quando non era d’accordo con qualcosa che dicevo, mi scrutava con un’espressione imbronciata…

Un espressione imbronciata ma… che in qualche modo mi ispirava simpatia.

- Mi stai sottovalutando?!- stava iniziando ad irritarsi

- Fidati, è come dico io…

Lei si alzò in piedi di scatto e mi guardò dall’alto verso il basso.

- Senti, tu non mi conosci e non mi hai mai vista all’opera. Come puoi dire che non ne sono all’altezza?

- Lo so e basta…- risposi- Non sono allenamenti tanto per fare… è una cosa seria!

- Nemmeno io la prendo alla leggera, cosa credi?! E comunque… pensala come vuoi, tanto ho ragione io!

- Ah, ti ricrederai…- ribattei con un mezzo sorriso

Lei per tutta risposta sbuffò e si risedette affianco a me a braccia conserte.

La osservai… era… come dire? Buffa…

Era permalosa e si incavolava facilmente, ma nonostante tutto… c’era sempre qualcosa di allegro in lei.

Aveva tutto un suo modo di essere… particolare.

C’era sempre una nota di vitalità in lei, anche se era triste o arrabbiata.

- Che ora sarà?- mi chiese ad un certo punto

- Non lo so… mi stavo allenando e non avevo con me l’orologio.

- Io l’ho rotto cadendo…- aggiunse borbottando

- Deve essere tardi comunque.

C’eravamo già da un bel po’ dentro quel fosso.

- E’ possibile che non se ne accorgano?!- esclamò Xiaoyu imbronciata

Mi faceva sorridere vederla fare quelle smorfie quando si arrabbiava.

- Come hai detto tu prima… mi sa che non ci troveranno prima di domani mattina.

- Beh, certo… a chi verrebbe in mente di andare a cercarci in un fosso? Questo fosso maledetto!!- pestò i piedi dicendolo- Ma perché scavate buchi nel giardino?

- Guarda, sinceramente non rientra nelle mie abitudini…

Xiaoyu rise della mia risposta.

Era la prima volta che la sentivo ridere, se pure debolmente.

Sembrava così… spontanea.

Nessuno ci trovò, e passammo la sotto tutta la notte.

Ogni tanto riprendevamo a parlare, finché entrambi non ci addormentammo.

La mattina, lei si svegliò per prima.

- Jin, svegliati!!

Aprii a fatica gli occhi.

All’inizio non capivo perché sentivo un fastidioso dolore alla schiena, poi però, dopo aver visto il “buco” ed essermi ricordato della scorsa nottata, mi accorsi della scomoda posizione in cui ero messo.

- Ci ha trovati il giardiniere! Gli ho chiesto aiuto ed è andato a prendere una scala…

Poco dopo infatti, tornarono il giardiniere, Heiachi, altre due persone e… una scala in alluminio.

Salì prima Xiaoyu, dopo io.

Heiachi ci scrutò arrabbiato per qualche secondo, poi si decise finalmente a parlare.

- Che cavolo ci facevate la sotto?! Vi abbiamo cercato per tutta la notte! Stavamo per chiamare la polizia e invece… vi ritroviamo dentro al fosso per il serbatoio!

- Il serbatoio?!- chiesi sorpreso- Io non sapevo nulla sull’esistenza di questo buco!!

- Sì, devo inserire un serbatoio per l’acqua della piscina. Ma cosa ci sei andato a fare?!!- sbraitò

- Sono caduto, vecchio genio! Non è la mia massima ambizione infilarmi dentro ai buchi che tu fai scavare in incognito nel bel mezzo del giardino!!

- Non usare questo tono con me!! Non azzardarti!!- poi si girò a guardare Xiaoyu- E lei perché era con te? Magari, casualmente siete caduti insieme?

Finì la frase con un chiaro tono sarcastico.

- No…- iniziai

- Io sono caduta prima di lui.- aggiunse lei in fretta

Heiachi aggrottò le sopracciglia, per niente convinto.

- Cioè, anche ammettendo che una persona, per ragioni sconosciute, si metta a camminare al buio in mezzo al giardino di notte… e che distrattamente finisca in un buco che non aveva visto… seriamente, quante possibilità ci sono che nella stessa notte un’altra persona distratta, camminando in mezzo al giardino al buio, per ragioni sconosciute, finisca nello stesso fosso già occupato dalla prima??

Io e Xiaoyu ci scambiammo un’occhiata veloce.

- Fareste meglio ad organizzare una scusa più credibile la prossima volta.- ringhiò Heiachi guardando me- E’ colpa tua, tanto… lo so!

- Non è vero! Lo so, sembra una cosa assurda a dirlo così, ma… è andata veramente in questo modo!!

- E’ vero…- intervenne anche Xiaoyu

Heiachi continuò a guardarci severo e poco convinto.

- Va bene, non mi interessa adesso… andate a lavarvi che siete luridi!! Poi scendete nel mio studio che devo parlarvi. Tutti e due!!

In effetti, da quello che potevo vedere eravamo davvero sporchi.

Avevamo terra e foglie secche dappertutto, nei capelli, nei vestiti, in faccia…

Assieme ad Heiachi e alle altre due persone che aveva chiamato per aiutarci a risalire dal fosso, ci dirigemmo verso casa.

Quella è stata sicuramente una delle giornate più insolite di tutta la mia vita…

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Capitolo 4
*** Sotto la pioggia ***


Punto di vista di Xiaoyu

Punto di vista di Xiaoyu



A volte la vita sa essere davvero strana…

Sicuramente non potrò mai dimenticare il modo in cui ci siamo conosciuti.

Uscii dallo studio di Heiachi con ancora le immagini di quel fosso davanti agli occhi.

Non potei fare a meno di sorridere ripensandoci…

Sentii Jin uscire e chiudere la porta alle mie spalle.

Mi girai verso di lui e lo guardai con espressione di orgoglio. Avevo ragione io!

Aveva fatto una faccia quando Heiachi aveva confermato quello che laggiù nel fosso gli era sembrato tanto incredibile!! Ci saremo davvero dovuti allenare assieme.

A dire la verità io non avevo proprio alcun dubbio. Ed era per quello che l’avevo seguito di nascosto fino alla palestra.

Non volevo che mi vedesse. Io avevo solo intenzione di guardarlo mentre si allenava, mi ero nascosta in mezzo a quei cespugli ed ero rimasta ad osservare.

Avrei fatto meglio a controllare però, prima di tornare indietro. Improvvisamente avevo sentito il vuoto sotto i miei piedi e…mi ero ritrovata dentro quello scavo.

Mai mi sarei aspettata di vedermelo piombare affianco, però. Probabilmente si era accorto di qualcosa… doveva avermi vista, altrimenti perché sarebbe uscito? Scalzo per giunta…

- Sta iniziando a fare buio…- disse lui avvicinatosi al vetro della finestra

Tra una cosa e l’altra, infatti, si era fatto gia tardi e il cielo iniziava ad imbrunirsi.

- Ti consiglio di non gironzolare in giardino…- aggiunse con tono sarcastico

- Hai poco da fare lo spiritoso, dato che sei caduto anche tu nello stesso fosso…- ribattei ironicamente

- Infatti, ed è per questo che credo che me ne rimarrò in casa stasera.- sorrise a testa bassa

Detto questo iniziò lentamente a salire i gradini delle scale tenendo le mani in tasca.

Io feci qualche passo verso la finestra invece, e rimasi guardai il panorama di quella grande metropoli. Quelle luci soffuse che si disperdevano nell’oscurità della notte, che lentamente avvolgeva la città.

Abbassai lo sguardo, per la prima volta da quando ero arrivata a Tokyo, in quel momento mi venne da sorridere, ma non un sorriso come gli altri. Questa volta era vero…

La mattina seguente, fu il mio primo giorno di scuola.

Mi alzai a fatica, avevo risentito della nottataccia del giorno prima. Mi preparai e vestii in tempo record, scesi al piano di sotto senza nemmeno quasi vedere le scale ed aprii la porta per uscire.

Trovai fuori dall’ingresso Jin assieme ad un’altra ragazza più o meno della mia età.

- Ce ne hai messo di tempo…- brontolò lui

Detto questo si girò ed iniziò ad incamminarsi verso il cancello.

Notai che la ragazza mi stava sorridendo.

Aveva capelli castani ramati lisci e corti alle spalle, occhi nocciola e il viso tempestato di lentiggini, e… indossava la mia stessa divisa.

- Piacere, io sono Miharu! Mia madre mi ha parlato di te.. frequenteremo la stessa classe.- sorrise ancora

- Oh, ciao. Piacere mio… ma…

- Sono la figlia della vostra governante.- precisò subito lei

- Ah, ok. Ora è tutto chiaro.

Miharu si presentò e mi parlo della scuola durante il tragitto.

Jin, invece, camminava in silenzio davanti a noi.

A dire il vero non mi sarei aspettata di dover andare “a piedi” a scuola vivendo in una casa come quella. Immaginavo di trovare una di quelle limousine dei ricchi che mi aspettava fuori dal cancello, invece… a quanto pare la questione era stata presa con una maggiore semplicità!

Arrivammo a scuola dopo un quarto d’ora di cammino, mentre io mi chiedevo come mai Jin fosse così silenzioso.

Si girò solamente per salutarci mentre cambiava strada e saliva ai piani superiori per arrivare probabilmente alla sua classe.

Quando fummo sole, mi girai verso Miharu.

- È sempre così loquace la mattina?

Miharu sorrise.

- Fosse solo la mattina! Io abito a dieci chilometri di distanza da qui, quindi per venire a scuola, tutti le mattine arrivo con mia madre alle sei da voi, e poi vado a scuola con lui. Siamo anni che facciamo la strada insieme, ma non ha mai parlato più di tanto… qualche volta dice qualcosina, o si limita a rispondere alle domande che gli fai, ma non è molto loquace come ragazzo… Sembra proprio che gli dia fastidio avere gente intorno.

- Ah…- non aggiunsi altro, rimasi pensierosa.

Le lezioni andarono abbastanza bene, feci conoscenza con la classe e conobbi delle persone simpatiche. Tutti furono un po’ sorpresi nel sapere dove abitavo, ma nonostante questo, andò tutto liscio.

Come inizio a scuola non era stato niente male e la classe mi dava l’impressione che mi sarei trovata molto bene con loro.

Alla fine delle lezioni mi diressi verso l’uscita dell’edificio e guardai fuori. Il cielo stava iniziando ad oscurarsi.

Mi voltai verso Miharu che camminava al mio fianco.

- Io prendo la metro…- mi disse- la stazione è a due miglia da qui…

Guardò anche lei verso il cielo…

- Ti conviene sbrigarti…- aggiunse- sembra che stia per piovere…

- Sì… inizio ad andare infatti… a domani, ciao…- salutai sorridendo e iniziai a camminare.

Miharu ricambiò il mio saluto, poi attraversò la strada e si diresse verso la direzione opposta alla mia.

Esitai un secondo prima di riprendere il cammino.

Un po’ mi rompeva il fatto di dover tornare a casa da sola…

Dove era finito Jin? Non doveva tornare a casa lui?

Lo cercai con lo sguardo verso l’uscita. Ormai la maggior parte degli studenti se ne era già andata, anche in vista del temporale che sembrava stesse per scoppiare.

Ma perché lo sto aspettando?” mi chiesi all’improvviso.

Questo pensiero mi fece sentire stupida…

“Probabilmente sarà già a casa a quest’ora…”
Perché avevo pensato che fosse ancora a scuola? Cosa mi aspettavo che facesse? Che mi aspettasse per tornare a casa insieme?

Mi vergognai… cosa mi stavo aspettando?
Miharu era stata molto chiara a riguardo. Non era un tipo molto socievole, e probabilmente preferiva stare per conto suo piuttosto che aspettare una ragazzina conosciuta il giorno prima.

Mi rimproverai della mia stupidità. Mi ero aspettata troppo presto la sua amicizia?

Xiaoyu, quando la smetterai di sognare ad occhi aperti?”

Mi sentivo così… scema…

Alcune gocce iniziarono a cadere davanti ai miei piedi, accellerai il passo, sempre tenedo lo sguardo sul marciapiede. Le macchine sfrecciavano sulla strada, centinaia di persone mi camminavano intorno, ma io mi sentivo come fuori da tutto quello.

Ero… delusa del mio stesso comportamento.

Ma non capivo, perché me la stavo prendendo così tanto?

La pioggia si era fatta più fitta, ma ci volle lo schizzo di una macchina che passava a tutta velocità su una pozzanghera, per farmene accorgere.

Alzai lo sguardo e mi guardai intorno.

Non mi ero accorta di aver camminato senza fare attenzione a dove ero andata a finire. Una strada che non conoscevo, o che forse di mattina non avevo notato.

Come potevo orientarmi? Possibile che me ne dovevo accorgere solo in quel momento di dove ero andata a finire?

Mi fermai e cercai qualche punto di riferimento, avevo tutti i capelli bagnati e anche la divisa stava iniziando a diventare fradicia.

Era inutile, non riuscivo proprio a capire dove potessi andare…

“Non c’è male, mi sono persa nella metropoli più grande del mondo.

Cosa potevo fare? Non avevo nemmeno un numero di telefono che potesse servirmi a mettermi in contatto con qualcuno. Cosa avrei fatto? Potevo chiedere ai passanti…

In fondo, chi non avrebbe conosciuto come arrivare alla Mishima Zaibatsu?

O altrimenti…

Sentii una mano sulla spalla che mi fece voltare all’improvviso. Mi spaventai e istintivamente, mollai uno schiaffo in faccia alla persona che mi aveva tenuta…

- Oops!

Era…. Jin?!

All’inizio lo sguardo che aveva era assolutamente indecifrabile, poi lentamente si girò verso di me guardandomi arrabbiato.

- A che cosa devo tale gentilezza?

Rimasi spiazzata. Non doveva già essere a casa? Secondo la mia versione dei fatti sì…

- Ah… ehm…- sorrisi cercando di rasserenare la situazione

Continuava a tenere il solito sguardo impassibile. Sbuffai…

- E va bene… scusami, non sapevo fossi tu. È che questa è una grande città e… bisogna essere sempre pronti a sapersi difendere!

Terminai abbozzando un mezzo sorriso, sempre aspettandomi di venire contraccambiata.

Continuò invece a guardarmi in silenzio con quello sguardo vendicativo.

In quel momento mi accorsi di come quel ragazzo avesse la capacità di trasmettere tanti pensieri cattivi solo usando gli occhi…

- E dai! Ti ho chiesto scusa! Smettila di guardarmi così…

- Non è per lo schiaffo…- rispose infastidito.

- E perché allora?

- Cosa ci fai qui a prendere acqua?

Con quella domanda placò il tono e lo sguardo.

- Mi sono persa…- risposi automaticamente abbassando gli occhi.

Ricordandomi il modo in cui mi ero persa.

- Questo lo vedo

Ecco!! Era tornato a quel tono antipatico…

- Ma dico… dove ce l’hai la testa?!- mi chiese alzando la voce- Certo che ti sei persa!! Non conosci la strada!! Se togliamo il tempo che hai passato nel fosso, sei qui da meno di un giorno!!

- Non parlarmi così!!- ribattei

Anche se… aveva ragione…

- Come dovrei parlarti?! Te l’ha detto ieri Heiachi l’orario degli allenamenti… Potresti degnarti di cercare di essere a casa ad un orario decente?

Cosa? Come poteva parlarmi in quel modo?

- Ma se ti ho detto che mi sono persa!! Cosa centra l’orario decente! Non sono rimasta in giro a perdere tempo a rincorrere farfalle, mi pare… Non capisci proprio niente!- urlai di rabbia dicendo le ultime parole

Per un po’ rimase spiazzato, guardandomi arrabbiato.

Lo guardai… era completamente bagnato… era tutto spettinato e alcuni ciuffi gli si erano appiccicati alla fronte.

- Ti stavo aspettando…- aggiunse pacato

Rimasi immobile guardando altrove.

- Ma non ti ho vista da nessuna parte, pensavo che Miharu ti avesse accompagnato…

- No…- mormorai- …doveva tornare in metropolitana…

- Ecco un’altra molto sveglia! Come potevi tornare da sola, cavolo!

- Pensavo te ne fossi già andato…- risposi

Mi guardò un po’ perplesso…

- Perché?- chiese dopo

- Non so…- sicuramente non avrei mai risposto “perché pensavo fossi troppo egoista”…

Mi scrutò per un po’…

Rabbrividii, ma non per il suo sguardo. Ero tutta bagnata, iniziavo ad avere freddo davvero.

Jin sembrò leggermi nel pensiero.

- Andiamo. Siamo fradici, non serve continuare a parlarne…

Iniziammo a camminare a passo svelto, fianco a fianco, senza parlare.

- Grazie…- sussurrai poco dopo

- Di cosa mi stai ringraziando, scusa?- chiese brusco

“Possibile che debba essere sempre così acido questo qui?” pensai.

- Del fatto che sia venuto a cercarmi…

- Ah…- gli scappò un risolino- Certo, altrimenti chi glielo avrebbe raccontato al vecchio che fine avevi fatto?

- Non sei per niente spiritoso…- ribattei

Lo guardai, mi guardava con un sorriso beffardo.

- Cosa c’è??- chiesi accigliata

- Nulla, mi diverto a farti arrabbiare…

- Scemo…- risposi calma e sorridendo debolmente

- Cerca di ricordarti la strada, nel caso un giorno io non debba esserci…

- Posso… quindi faremo la strada assieme?- chiesi sorpresa

Lui mi guardò come se avessi appena fatto la domanda più stupida del mondo.

- Scusa un secondo…- iniziò- Abitiamo nella stessa casa, frequentiamo la stessa scuola… dovremo per forza fare la stessa strada, no?

- Uh? Sì… ma…

Mi guardava allibito.

- Il fatto è che…- presi coraggio- non mi è sembrato che ti piaccia tanto il fatto di avere molta gente intorno…

Mi aspettavo qualche reazione particolare, invece mi guardò ed annuì tranquillamente.

- È vero… di solito non mi piace la compagnia degli altri ragazzi…- spiegò serio- ma non per altro, devi capire che viviamo in un mondo pieno di gente opportunista. Io sono il nipote di uno degli uomini più potenti del pianeta. La maggior parte delle persone che cercano di avvicinarsi a me, lo fanno per interesse.- aggiunse freddamente

Aveva un’espressione molto seria e rigida.

- Perché dovrei stare ai loro giochetti? Perché dovrei illudermi di avere l’amicizia di persone del genere? A questo punto preferisco tenermi lontano da certa gente…

Poi mi guardò.

- Per te è la situazione è diversa… Non avrei nessun problema a fare la strada con te…

Mi fece piacere sentirmelo dire, però ero rimasta un po’ colpita dal suo pessimismo.

- Ma non tutti saranno così…- commentai- Voglio dire, non puoi fare di tutta l’erba un fascio!

Si voltò a guardarmi.

- Cedimi, se lo sto dicendo è perché ne sono sicuro… Ho imparato molto bene a conoscere la gente. Il problema è tutti sono troppo egoisti e avidi per ricordarsi dei veri valori…- fece una pausa ed alzò lo sguardo davanti a se- E il più grande esempio vive in quella casa…

Mi voltai anche io. In quel momento un lampo squarciò il cielo. Eravamo davanti al cancello di casa…

La casa di Heiachi Mishima.





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Capitolo 5
*** Ripetizioni ***


Nei giorni seguenti, capii quello che per Heiachi voleva dire seguire gli allenamenti

Nei giorni seguenti, capii quello che per Heiachi voleva dire seguire gli allenamenti. Ci allenavamo tutti i giorni, per due ore e mezza ininterrotte di intenso lavoro.

Il primo periodo riuscivo a malapena a non cedere, arrivavo alla fine degli allenamenti completamente sfinita.

In Cina non avevo mai fatto nulla di così intenso.

Jin… era fortissimo. A parte il fatto che era fenomenale nel suo stile di combattimento, era talmente abituato a faticare così tanto che aveva sviluppato una resistenza fisica non indifferente.

All’inizio mi stavo scoraggiando dire la verità, arrivavo ad essere così stanca che dopo l’allenamento non riuscivo quasi a camminare.

Non so dove trovavo la forza per salire le scale e rifugiarmi nel mio letto.

Jin mi osservava, continuava a ripetere a suo nonno che non ero abbastanza forte per quella preparazione…

Forse aveva ragione, ma più lui lo ripeteva, più io sentivo che dovevo farcela. Era una sfida contro me stessa. Dovevo riuscire a dimostrargli di essere forte.

E così tenni duro e riuscii a reagire, tant’è che dopo alcune settimane di duro lavoro ero già riuscita ad abituarmi. Heiachi lo notò e si congratulò con me. Personalmente, ero molto soddisfatta, e finalmente avevo capito cosa volesse dire arrivare a certi livelli.

A scuola le cose andavano abbastanza bene, se non fosse stato per le mie insufficienze in matematica. Ho sempre avuto un rifiuto per quella materia…

Legai molto con Miharu, cosicché in breve tempo divenne la mia migliore amica. Lo stesso vale per Jin…

Ultimamente passavamo molto tempo insieme, andando a scuola, a casa, in palestra e… anche quando si mise in testa di volermi far recuperare per forza la matematica.

Non aveva ancora capito che ero un caso senza speranze…

Di solito però lui non parlava molto di se.

La maggior parte del tempo, ero io che gli parlavo, gli avevo raccontato praticamente ogni cosa della mia infanzia. Della sua storia invece, non sapevo quasi niente.

A parte il fatto che non era mai andato troppo d’accordo con suo nonno, tant’è che si rivolgeva a lui chiamandolo per nome…

Non parlava mai del suo passato, e le rare volte che lo faceva, non era molto sereno nel raccontarlo…

Per quel motivo anche io avevo cercato di evitare quell’argomento.

Era passato un mese dal mio arrivo.

Una sera, durante il nostro allenamento quotidiano, la signora Kishi entrò in palestra abbastanza agitata avvertendo Heiachi che lo volevano al telefono.

Il che mi parve sin da subito strano, dato che nessuno mai lo interrompeva in quei momenti.

Tuttavia Heiachi uscì dalla stanza, lasciandoci soli.

Approfittai del momento di sosta e mi buttai sul pavimento, allungai le gambe e cercai di riprendere fiato. Mi sentivo le guance in fiamme, e la fronte completamente bagnata. Potevo sentire i battiti del mio cuore che pulsavano sulle tempie. Ero sudatissima e avevo i capelli tutti in disordine e appiccicati sulla fronte.

Anche Jin approfittò del momento di pausa e si sedette, appoggiò la schiena al muro della parete di fronte a me. Lo guardai, non sembrava per niente sconvolto come lo ero io. Aveva il respiro abbastanza regolare, non era per niente rosso e non aveva un capello fuori posto. Per giunta non era nemmeno sudato la metà di quanto lo ero io.

“Ma come fa?” continuavo a chiedermi osservandolo stupita “per me questo non è umano!!

Heiachi tornò cinque minuti più tardi, troppo presto, per me…

Mi rialzai a malincuore, pronta per riprendere l’allenamento, ma con mia grande sorpresa, Heiachi mi guardò e fece cenno di rimanere pure seduta.

Era molto serio e forse anche… nervoso.

- Per oggi va bene così…- disse

- Cosa?- chiesi sbalordita.

Mancava ancora mezz’ora alla fine dell’allenamento e non era mai successo che venisse interrotto in anticipo. Per Heiachi gli allenamenti erano sacri! Sarebbe potuto crollare il mondo prima di doverne interrompere uno. Doveva essere successo qualcosa di veramente grave…

Prese un asciugamano e se lo passò sulla fronte.

- Sono stato avvertito di una cosa, ho da fare adesso.- spiegò- Devo partire subito… starò via per una settimana circa…

Jin lo scrutava con sguardo attento.

- Durante la mia assenza, voglio che continuiate ad allenarvi e che facciate come se io fossi in casa, chiaro? Non voglio vele da scuola o salti di allenamento, intesi?- spostò lo sguardo severamente su Jin

Lui non disse nulla e continuò a guardarlo con fermezza.

- Dobbiamo parlare io e te…- aggiunse Heiachi con tono più fermo rivolgendosi al nipote

Jin annuì in silenzio alzandosi in piedi, tutto d’un tratto era impallidito e aveva un’espressione assente.

Cosa stava succedendo? Perché Heiachi aveva deciso di partire così all’improvviso? E perché anche Jin sembrava così strano?

Heiachi fece qualche passo verso l’uscita ed aprì la porta, in quel momento si girò verso di me.

- Puoi andare, Xiaoyu

Ed uscì dalla stanza.

Mi voltai verso Jin che si stava infilando una felpa.

- Cosa sta succedendo?

- Non lo so…- rispose Jin vago.

Non credevo però che non sapesse proprio niente. La sua voce era insolitamente preoccupata, e la sua faccia non mentiva.

- Vai a riposarti ora…- aggiunse- Dopo cena facciamo matematica.

Feci una smorfia nel sentire la parola “matematica”. Comunque annuii…

- Va bene…- risposi

- Ci vediamo a cena…- forzò un sorriso prima di uscire dalla stanza.

Ok, non mi avrebbe mai lasciata in pace finché non avrei recuperato quelle insufficienze.
Certo che era facile per lui, che prendeva sempre il massimo in tutte le materie…

In ogni caso, il fatto della matematica poteva essere la giusta occasione per parlarci e riuscire a sapere qualcosa riguardo alla partenza improvvisa di Heiachi.

Quel pensiero non mi dava pace. Perché erano tutti così preoccupati? Era successo qualcosa di grave?

“Per forza è successo qualcosa di grave…” mi convinsi.

Jin sembrava avere capito, ma allora perché non mi aveva voluto dire nulla e aveva cercato di sviare con la storia dei compiti?

Ripensai alla sua reazione dopo che Heiachi era rientrato in palestra. Sembrava… sconvolto.

Pensando a tutti questi interrogativi, mi accoccolai dentro la vasca e mi rilassai con un bel bagno caldo. Non c’è nulla di meglio dopo un allenamento come quello…

Scesi quasi un’ora più tardi e andai a cenare.

Heiachi sarebbe partito subito dopo cena.

Speravo spiegasse qualcosa riguardo alla sua partenza, invece non disse una parola per tutto la cena.

Spostai lo sguardo su Jin, seduto davanti a me. Anche lui era strano e silenzioso…

Beh, più del solito, s’intende…

Non aveva quasi toccato cibo, e sembrava assorto in chissà quali pensieri.

Era un’atmosfera abbastanza tesa e imbarazzante. Ad un certo punto Heiachi posò di colpo le mani sul tavolo e ruppe quel fastidioso silenzio. Si alzò in piedi e ci guardò, prima uno poi l’altra.

- L’elicottero arriverà tra dieci minuti.- ridusse gli occhi a due sottili fessure- Mi raccomando…

Detto questo, si diresse fuori dalla sala da pranzo chiudendosi la porta alle spalle.

Mi voltai verso Jin. Ormai era chiaro che tutti e due avevamo finito con la cena.

- Pronta per i corsi di recupero?

E così poco dopo ci trovavamo nello studio. Era molto simile ad una biblioteca, c’erano diversi scaffali stracolmi di libri che arrivavano sino al soffitto, era pieno di oggetti strani, tra cui un enorme mappamondo di qualche secolo fa e… un orso imbalsamato.

Jin appoggiò i libri sul tavolo al centro della stanza e si sedette affianco a me.

Era la prima volta che entravo in quella stanza, di solito mi faceva “ripetizioni” in soggiorno o in sala da pranzo, ed ero rimasta colpita da quell’orso. Era enorme…

Jin aprì il libro e cercò il capitolo.

- Allora, ci sei sulle disequazioni o hai bisogno di riprenderle?

Alzò lo sguardo verso di me e notò che stavo ancora osservando l’orso.

- Oh, lascia perdere… te l’ho detto che è matto! Una persona sana di mente non terrebbe mai un simile obbrobrio in casa…

- Quegli occhi… sembra vivo!- commentai inorridita

- Sì, va bene… allora, mi rispondi?

- Oh, sì… quelle le ho capite.- risposi continuando a guardare l’orso

- Ok…- riprese a sfogliare il libro- Quindi ti mancano da recuperare i sistemi… o no?

Silenzio…

- Xiao?!!

- Cosa?- mi girai, lasciando perdere l’orso, sorridendo e facendo finta di niente

Mi guardò severamente.

- Insomma, vedi di non distrarti! Non abbiamo nemmeno iniziato!

- Ah! parli come un professore…

- E tu ti comporti come una bambina…- ribattè lui

- Meglio bambina che professore…- aggiunsi ghignante

Mi aspettavo già la solita ramanzina sull’importanza dello studio…

- Guarda che io lo faccio per te, se continui a tenerti queste insufficienze poi non passerai gli esami e allora…

Come volevasi dimostrare… sempre per stare in tema di ragionamenti matematici.

- Va bene, scusami…- lo interruppi ridendo- Stavo scherzando. Cercavo di rallegrare la situazione…

Jin fece una smorfia esasperata e scosse debolmente la testa alzando gli occhi.

- Possibile che tu debba sempre sentire il bisogno di rallegrare la situazione?

- Certo… soprattutto se ci sono calcoli di mezzo!- gli feci la linguaccia

Jin sorrise lievemente.

- Me ne sono accorto… dai, però iniziamo altrimenti non finiremo mai.

- Jin, prima di iniziare…- cominciai

- Cosa c’è?

Lo guardai in modo serio, aspettai qualche secondo prima di riprendere a parlare.

- Cosa è successo stasera?

All’inizio mi guardò silenzioso, poi spostò lo sguardo altrove.

- Senti…- iniziò- Non pensarci…

- Come “non pensarci”?- risi sbalordita- Sembra sia crollato il mondo dalle facce che avevate! Perché non posso saperlo?

Jin mi sembrava abbastanza in difficoltà. Giochicchiava nervosamente dondolando una penna tra due dita e continuava ad evitare il mio sguardo.

- C’è stato un incidente…- aggiunse a voce bassa- …delle persone sono morte.

- Un incidente?- chiesi curiosa- Dove?

- In un suo stabilimento.

- Ma, un incidente di che tipo?- lo interrogai aggrottando le sopracciglia

Per un attimo sembrò spiazzato.

- Beh, c’è… stata un’esplosione…- rispose vago

Rimanemmo per un po’ in silenzio, lui continuava a guardare altrove.

- Se fosse così…- iniziai calma- Perché Heiachi non avrebbe potuto dirlo anche davanti a me, invece di prenderti da parte?

Aspettò qualche secondo prima di rispondere.

- Evidentemente c’è qualcosa che mi riguarda, no?

- In questo incidente?- chiesi perplessa- C’è qualcosa che riguarda… te?

- In modo indiretto…- mormorò

Ero confusa… Di cosa stava parlando? Cosa poteva centrare Jin con quella faccenda?

- Ma, scusa…-iniziai

- Basta così!- mi interruppe- Si sta facendo tardi. Comunque, non pensarci. Anzi, ti sarei grato se non ne parlassi con nessuno di questa storia.

- Beh, scusa se è vero che c’è stata quest’esplosione e delle persone sono morte, ne parleranno come minimo al telegiornale!

- No, non ne parleranno invece.- rispose deciso

Lo guardai ammutolita.

- Fidati.- mi guardò sicuro- Nessuno saprà nulla di questo incidente. E non lo dovresti sapere nemmeno tu, quindi non farne mai parola con nessuno, intesi?

Non risposi, feci una smorfia perplessa ripensando a quello che avevo appena sentito.

Dovevo crederci? O era solo una scusa campata per aria per non dirmi la verità?

- Xiao?

- Sì, ok…- dissi, poi lo guardai con aria un po’ diffidente- …sempre che non sia tutto inventato.

- Perché avrei dovuto mentire?- mi chiese con semplicità

- Questo lo dovresti dire tu a me…

- Io mi fido di te.- disse lui a voce bassa- Altrimenti non ti avrei detto niente riguardo questa cosa. Sta a te ora decidere se fidarti o no di me…

- Jin, c’è dell’altro, vero?

Non rispose, sfogliò distrattamente alcune pagine del libro.

- Jin?

-

- Jin! Mi rispondi?

Jin chiuse il libro di scatto e si voltò verso di me.

- Senti, è vero. La situazione è molto più complicata di quello che credi, ma non chiedermi di parlartene, perché… davvero, non lo posso fare. Lascia perdere e fai finta che non ti abbia detto niente stasera…

Ci guardammo in silenzio per qualche secondo. Eravamo entrambi nervosi… fui io a rompere il silenzio.

- Va bene… sempre meglio che sentire menzogne…

- Allora d’accordo? Farai come ti ho detto?

Sorrisi.

- Puoi fidarti di me… me l’hai detto pure tu!

Lui ricambiò lievemente il sorriso annuendo.

Mi avvicinai la sedia al tavolo ed aprii il mio quaderno.

- Tornando in tema di compiti…- iniziai- Aiutami con questi!

Gli avvicinai il quaderno ed indicai uno degli ultimi esercizi

- Questo per esempio, non mi da! E non capisco cosa sbaglio!

Lui strabuzzò gli occhi leggendo il mio procedimento, poi non riuscì a trattenere la risata…

- Hai… bisogno… di esercitarti un bel po’…- commentò

Facemmo esercizi fino a tarda notte, ci fermammo solo quando Jin si accorse che ormai non ero più in grado di tenere gli occhi aperti.

- Mi sto per addormentare… basta…- mi lamentai

- Sì, forse è meglio smettere… cavolo, si è fatto tardi!- aggiunse guardandosi l’orologio al polso

- Oh, ma guarda…- borbottai

Lui mi guardò sghignazzante.

- Che hai da ridere? Mi hai fuso il cervello con tutti quei numeri, e lo trovi divertente?

- Un giorno mi ringrazierai…- rispose beffardo mentre ritirava le cose dal tavolo

Mi alzai dalla sedia e presi anch’io le mie cose. Feci qualche passo verso l’uscita, poi mi fermai per aspettare Jin.

Quando anche lui fu pronto per uscire, feci per girarmi, quando mi ritrovai un braccio peloso davanti alla faccia!

Lanciai un gridolino per la sorpresa.

- Ma sei pazza? Vuoi svegliare tutta la casa?- mi rimproverò Jin scoppiando a ridere

- Scemo, non prendermi in giro!- risi anche io

Ero finita addosso all’orso, ecco il braccio peloso che mi ero trovata davanti agli occhi…

- Certo che questo posto non finirà mai di stupirmi…- dissi poi, calmandomi dalla risata- Addirittura un orso imbalsamato in casa! C’è qualcos’altro che devo aspettarmi?

Jin rise dopo quella mia domanda, in effetti, mi era già successo qualcosa di abbastanza particolare in quella casa…

- Questo…- spiegò- …era l’orso di Heiachi, quando è morto l’ha fatto imbalsamare.

Lo guardai interrogativa, poi scoppiai a ridere di nuovo. Per un attimo ci stavo anche per credere…

Jin spalancò gli occhi.

- Guarda che è vero! Adesso ha il figlio di questo…

- Ma dai, chi si prenderebbe mai un grizzly domestico? Ahahahah

- Heiachi lo farebbe, per affari…- Jin roteò gli occhi all’indietro

Smisi lentamente di ridere, ma continuavo a guardare quell’orso in modo diffidente.

- Ha sponsorizzato un’associazione animalista tempo fa, gli hanno dato in custodia questo orso. Non sto scherzando!!- esclamò vedendomi ridacchiando di nuovo- Adesso ha anche un panda!! Domani ti porto a vederli…

Mi girai e lo guardai dubbiosa.

- Mi porti a vederli? Allo zoo?

Jin sospirò spegnendo l’interruttore della luce.

- Ti farò vedere chi ha ragione… non lo conosci ancora Heiachi… non sai nulla delle sue stranezze…

Uscimmo dallo studio e mi voltai un’ultima volta a guardare quell’orso.

“Ma che assurdità!” pensai ridendo tra me e me “Come può pretendere che ci creda?”







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Capitolo 6
*** La scommessa ***


Punto di vista di Jin

Punto di vista di Jin

 

 

Sapevo che prima o poi sarebbe successo… ancora una volta.

Aprii energicamente la porta della mia camera e rimasi sulla soglia. Guardai il letto, illuminato dalla poca luce che filtrava dalla finestra. Non avevo alcuna voglia di dormire dopo una giornata come quella. Dopo aver sentito una notizia così sconvolgente.

Ancora una volta, quei ricordi erano riemersi, e ancora una volta avevo dovuto far di tutto per nasconderlo.

Dovevo sforzarmi di tenere tutto dentro, non volevo far vedere a nessuno quello che sentivo realmente.

Ero abituato… non ne parlavo mai!

E non volevo parlarne nemmeno con… “lei”.

Xiaoyu… l’ammiravo a volte, anche lei aveva appena passato dei momenti molto difficili, ma li stava superando. Sempre di più… non era più come la prima volta che l’avevo vista. Una ragazzina gracile, pallida e incredibilmente triste.

Stava cambiando, giorno dopo giorno potevo scorgere qualcosa di diverso nel suo sorriso, nel suo modo di fare. Aveva sempre un’aria allegra e travolgente. Quando ero in sua compagnia, non riuscivo a stare serio, in un certo senso mi prestava sempre un po’ del suo spirito.

Non avevo mai avuto nessuno così, un’amicizia così naturale.

Mi fidavo di lei, molto. Però… non riuscivo a trovare la forza di confidarmi.

Lei con me l’aveva fatto.

Mi aveva raccontato molte cose della sua vita, anche i momenti peggiori. Con le lacrime agli occhi, ma almeno aveva avuto la forza e il coraggio di farlo.

Io mai, invece…

Non riuscivo mai a parlare del mio passato in modo spontaneo.

Per quale motivo? Avevo forse paura di non reggere? Avevo paura di mostrare le mie debolezze? Non lo sapevo nemmeno io.

Il caso di quella sera però era diverso, non si trattava di trovare coraggio per parlare.

Non volevo che Xiaoyu si preoccupasse. Non volevo rischiare di farle perdere quella sua vitalità che stava gradualmente recuperando. E certo, se le avessi raccontato davvero per filo e per segno quello che voleva sapere, non sarebbe rimasta così serena molto a lungo.

Non volevo renderla triste inutilmente. E comunque, non mi avrebbe di certo creduto. Era ancora presto...

In effetti aveva il diritto di saperlo, prima o poi gliene avrei parlato. Era una delle ragioni per cui era venuta a vivere da noi.

Per il momento però decisi che era meglio continuare a far finta che tutto fosse sotto controllo.

Avremo affrontato l’argomento al momento giusto, quando avrebbe avuto tutto il tempo per abituarsi.

“Il mondo non è così semplice come sembra, Xiao…”

 

 

Punto di vista di Xiaoyu

 

- Davvero ti sta facendo ripetizioni?- Miharu mi guardò stupefatta mentre riponevo i miei libri nell’armadietto.

- Sì, perché ti sembra tanto strano?

Le avevo raccontato della sera prima, delle ripetizioni e del fatto che Heiachi avesse un orso imbalsamato in casa. Non avevo aperto bocca però sulla sua partenza improvvisa.

Ero decisa a mantenere la parola data…

- Abbastanza…- fece una piccola smorfia- Ma… ti chiede soldi?

- Miharu! Non dire idiozie!- esclamai seccata

- Era solo una domanda innocente!- rispose subito

Scossi la testa esasperata.

- Senti, ho l’impressione che Jin non ti stia molto simpatico…- ammisi

- Ehm… in effetti…- rispose- Cioè, non mi sembra proprio l’immagine della simpatia! Non so se mi spiego…

Emisi un risolino

- Senti, so che forse non è la persona più socievole del mondo, è freddo e a volte fa venire il nervoso… ma non è poi così male…

Chiusi l’armadietto ed aspettai che anche Miharu finisse di sistemare le sue cose.

Infilò la chiave nella serratura e restò ferma così per un po'. Poi, si girò verso di me guardandomi con aria maliziosa.

- Dì la verità… ti piace vero?

- Miharu!!

- E dai! A me puoi dirlo!- rise

Ma che cosa si stava mettendo in testa? Decisi di chiarire subito la situazione.

Ma, davvero davo… quell’impressione??

- Assolutamente no!! Toglitelo dalla testa!! Chi ti sentirà…- mi guardai intorno

- Ma smettila!- rise più forte- Ne parli sempre, lo difendi sempre… non saresti la prima, comunque… tutte stravedono per lui!- storse un po’ le labbra dicendo l’ultima frase

Jin le stava proprio antipatico, facevano la strada insieme da un’eternità eppure non erano mai riusciti a stabilire un rapporto.

Comunque... come si era potuta mettere in testa una cosa del genere?

Ok, era carino… molto carino… incredibilmente carino

Ma questo non voleva dire che mi piacesse o che insomma… ci volessi provare!! Anche perché non mi sembrava affatto che in questo momento fosse come dire… interessato a questo genere di cose. Cioè, sicuramente ne era interessato, ma per il momento sembrava voler pensare a tutt’altro…

O almeno, questa era la mia impressione.

- Senti, te lo dico per l’ultima volta. Non è vero! È mio amico! E basta!

Miharu intanto, mentre mi ascoltava, cambiò espressione di colpo, divenne improvvisamente seria e mi guardò in modo strano. Non capii il suo sguardo e quindi continuai a spiegare.

- Ok, cerco di difenderlo quando ne parli male, ma viviamo sotto lo stesso tetto e comunque, cioè… mi sembra abbastanza naturale perché insomma gli vogl

- Cosa ti sembra abbastanza naturale?

Mi si gelò il sangue nelle vene sentendo quella voce, mi girai di scatto e mi ritrovai davanti a “lui” che mi guardava con uno strano riso ironico stampato sul viso. Improvvisamente sentii molto, molto caldo. Dovevo essere diventata rossissima. Che vergogna!! Da quanto aveva ascoltato?

Ecco il misterioso sguardo di Miharu! Poteva avvertirmi però, invece di mandarmi indecifrabili segnali visivi…

- Niente…- tentai di rispondere in modo calmo, abbuonando il sorriso più innocente che potessi fare

Lui mi guardò un po’ dubbioso, poi passò oltre, verso il suo armadietto.

- Senti, ti stavo cercando per chiederti una cosa…- disse mentre ci superava, tenendo le mani in tasca e lo sguardo serio

- Cioè?- chiesi

Nel mentre, dato che lui era avanti e non poteva vederci, lanciai un’occhiataccia di fuoco a Miharu per esprimere tutta la mia voglia di vendetta. Lei mi rispose con un piccolo sorrisino preoccupato. Non poteva tradire il fatto che era comunque divertita dalla scena.

- Hai molto da fare prima degli allenamenti?

Sentendo questa frase dalla bocca di Jin, Miharu strabuzzò gli occhi guardandomi con aria prima stupita, poi soddisfatta. Io rimasi a bocca aperta studiando la sua reazione. Cosa stava pensando?

Scossi vigorosamente la testa, come per dirle “NO, GUARDA CHE STAI SBAGLIANDO TUTTO!!

Qualsiasi cosa stesse pensando…

Jin si voltò verso di noi e tornammo subito normali, facendo finta di niente.

- No, non ho molto da fare.- risposi curiosa- Per…ché?

Jin mi guardò sghignazzante.

- Devo vincere una scommessa, l’hai dimenticato?

 

*

 

Sì, a dire il vero, l’avevo dimenticato.

O perlomeno, non ci stavo più pensando. Riguardava il fatto del presunto “orso” di Heiachi

Mi disse che mi avrebbe dimostrato di avere ragione. E dal momento che sembrava così deciso, mi convinse a seguirlo dopo l’uscita da scuola.

Avevo praticamente “costretto” anche Miharu a venire con noi. All’inizio aveva borbottato qualcosa, cercando una scusa, ma alla fine ero riuscita a convincerla a venire, anche se controvoglia. Almeno avrebbe constatato con i suoi stessi occhi che non era nessuno “strano appuntamento segreto” o chissà cosa potesse macchinare.

Jin ci aveva condotto in un giardino poco distante da scuola. Era un vecchio parco giochi abbandonato che era stato preso in proprietà da Heiachi e che, a quanto pare, usava anche come “zoo personale”.

Una cosa… abbastanza insolita, comunque. Perché prendersi un intero parco, per tenerci un animale?

Sempre che l’animale ci sia davvero!! Continuavo ad essere molto diffidente a riguardo, non sarebbe stato fuori luogo qualche scherzo o presa in giro…

Il giardino era interamente chiuso da un muro di pietra e, dato che, chiaramente, non avevamo le chiavi del cancello, l’unico modo per entrare era quello di scavalcare il muro.

- Stiamo scherzando?- Miharu mi guardò preoccupata mentre cercavo di arrampicarmi.

Feci un ultimo sforzo, appoggiai il palmo della mano in cima al muro e con un ultimo slancio mi issai sopra con tutte e due le ginocchia. Mi girai facendo attenzione e mi sistemai seduta con le gambe a penzoloni davanti allo sguardo ammutolito di Miharu.

- Io non salgo fino a lassù! Voi non siete normali…

Scoppiai a ridere. Jin intanto aveva iniziato ad arrampicarsi poco dopo di me. Miharu ci guardava come se fossimo stati due poveri pazzi. Inoltre continuava a guardarsi attorno come se avesse paura che qualcuno potesse vederci e… chissà cosa pensava, denunciarci??

- E’ un quartiere di periferia. Non ci viene mai quasi nessuno qui…- disse Jin quasi intercettando i pensieri della mia amica.

- Dai Miharu, ti muovi??- la incitai

Lei guardò ancora una volta verso il muro con espressione diffidente.

- Non è difficile! Ti diamo una mano, se vuoi!- cercai di convincerla

La mia amica rimase qualche secondo a riflettere, facendo scorrere lo sguardo dal marciapiede, fino alla fine del muro dove eravamo noi.

Chiuse gli occhi e con una faccia che faceva ben capire che avrebbe tanto voluto essere altrove in quel momento, iniziò ad arrampicarsi.

- Roba da pazzi…- continuava a ripetere mentre cercava di aggrapparsi

Fu abbastanza difficile aiutarla a salire, di certo non era il massimo dell’agilità, ma nonostante tutto, riuscimmo nell’intento.

Una volta salita però, c’era un’altra difficile tappa da superare, saltare giù dall’altra parte. All’inizio non ne voleva proprio sapere, ma alla fine, quando Jin le fece notare che se non voleva restare lassù a vita sarebbe dovuta, o da una parte o dall’altra, scendere, si convinse e si calò giù facendo attenzione fino a terra.

Appena ebbe messo i piedi su una superficie sicura, mi fulminò con lo sguardo.

Di certo quell’episodio non le avrebbe fatto cambiare idea su Jin.

- Spero che ne sia valsa la pena di arrivare sin qua…- sospirò Miharu con le mani alle ginocchia, riprendendo fiato per l’ansia…- Mi sono graffiata tutte le mani!! E mi sono anche spezzata un'unghia!!

Risi di nuovo. Mi divertiva vederla così “sconvolta”

- Sai Miharu, dovresti fare arti marziali!- le dissi avvicinandomi- Dopo di che niente ti sembrerà così atroce…

Lei per tutta risposta continuò a guardarmi male, poi spostò lo sguardo su Jin che stava aspettando con una spalla appoggiata al muro.

- Allora, posso sapere qual è la tanto famosa “scommessa”?- gli chiese con tono piuttosto acido

- Se ti sei ripresa, possiamo anche continuare ad andare…- rispose con lo stesso tono.

Solo in quel momento mi accorsi che forse il sentimento di Miharu era in qualche modo ricambiato. Iniziai a pensare di aver fatto un errore ad averli fatti venire entrambi.

Miharu lo guardò con un’occhiata gelida, lui distolse lo sguardo in modo superbo.

- Mi sono ripresa.- annunciò irritata- Dopo aver fatto la scimmia, grazie a voi!

Jin continuò ad evitare di guardarla e si strinse nelle spalle, sempre con la stessa espressione di superiorità.

- Ok, allora andiamo…

Prese a camminare e si diresse verso la parte interna del parco. Mi guardavo in giro… sembrava un posto abbastanza lugubre, forse era anche la luce che c’era a dare quell’impressione. Il cielo infatti, si stava rannuvolando e il sole era coperto. L’erba era cresciuta dappertutto, su alcuni giochi mezzo distrutti, un po’ sulle panchine, e si vedevano qua e là bottiglie rotte e cose del genere.

Osservai un dondolo a forma di coniglio mentre ci passavo affianco. Una volta doveva essere stato carino, pulito e pieno di bambini che facevano la fila per salirci. Adesso invece era solo brutto, rotto e con pasticci e scritte oscene dappertutto. Immaginai che la sera non doveva essere proprio un posto tranquillo quello. Probabilmente pullulava di teppisti e di drogati.

- Dove ci stai portando di preciso?- chiesi.

Notai una piccola nota di inquietudine nella mia voce, ma feci finta di niente. Jin continuò a camminare davanti a noi in modo spedito.

- Ci siamo quasi…

Guardai avanti per vedere dove ci stavamo dirigendo, stavamo arrivando all’altro lato della recinzione. C’era una specie di caseggiato comunicante con il muro. Mi accorsi che era proprio lì che Jin stava puntando.

Si fermò a pochi passi dalla piccola struttura.

- Non abbiamo le chiavi per entrare, comunque se ci arrampichiamo riusciamo a veder…- iniziò a proporre

- Cosa? Nooo! Non basta che mi sono dovuta arrampicare prima, ma anche…- Miharu cominciò a lamentarsi

Jin cambiò di nuovo espressione e, notai, fece di tutto per rimanere calmo.

- Guarda che nessuno ti vuole costringere a fare cose che non vuoi. Non c’è bisogno di fare tutto questo caos! Se sei così delicata comunque, potevi anche decidere di startene a casa!

- Guarda infatti che non avevo nessuna intenzione di venire!! Tanto meno se avessi saputo del tuo vizio di arrampicarti dappertutto e di entrare nelle recinzioni private di soppiatto!

- Sono problemi miei, se so arrampicarmi e di certo non costringo nessuno a farlo!

- Piantatela, avete rotto!- esclamai a voce alta

Quella situazione stava iniziando ad infastidirmi. Jin fece una smorfia in modo altezzoso, poi si guardò intorno.

- Comunque… forse non c’è bisogno di arrampicarci, se troviamo qualcosa tipo…- si avvicinò ad un bidone per i rifiuti rovesciato per terra.

Aggrottai le sopracciglia, mentre lo osservavo calciarlo per farlo spostare. Incrociò per un attimo il mio guardo e notò il mio stupore.

- Non mi va di toccarlo con le mani!! Non guardarmi come se fossi pazzo…

- Come se non me ne fossi ancora accorta…- scherzai

Jin ricambiò il sorriso, mentre Miharu continuava ad assistere alla scena imbronciata.

Continuò a spingere coi piedi il bidone fino a farlo arrivare attaccato alla parete del piccolo caseggiato e ci salì sopra. Lo seguii solo dopo aver constatato la stabilità del bidone.

C’era una piccola apertura in alto, era chiusa da delle inferriate. Jin ci arrivava perfettamente, io invece dovetti allungarmi su tutta la pianta dei piedi per poter arrivare a vedere cosa c’era oltre la finestra. Per aiutarmi, mi aggrappai alle sbarre con tutte e due le mani e portai il mento a livello dell’apertura.

- Lo vedi?

- Oh!!- sgranai gli occhi vedendomi davanti… un panda!

Un panda! Un vero panda!! Aveva ragione, allora!!

Lui fece una faccia orgogliosa e soddisfatta.

- E allora??- sapeva che… insomma, mi aveva fatto vedere qualcosa di… davvero curioso!!

Sentendoci, anche Miharu, che era rimasta giù in disparte fino ad allora, si decise ad andare a vedere.

- Cavolo! Cosa ci fa questo panda enorme qua dentro??- Miharu sgranò gli occhi e quasi non perse la presa

Mi voltai verso Jin e lo scrutai con sguardo interrogativo.

- Non mi stai prendendo in giro, vero? È davvero di Heiachi questo panda?

Lui annuì serio, poi scese dal bidone e si pulì le mani per liberarsi della polvere.

- Accidenti…- mormorò Miharu

Guardai ancora una volta verso il panda. Era una scena abbastanza straziante. Non era proprio una bella condizione per un animale come il panda. Di certo era ben nutrito, si vedeva, ma sembrava piuttosto trascurato. Il posto era sporco e puzzava. E poi, non doveva essere proprio l’ideale per un panda vivere in uno stanzino buio, piccolo e puzzolente. Notai che guardava verso di noi… non doveva essere abituato a vedere troppa gente.

- Perché Heiachi lo tiene qua dentro?- chiesi contrariata a Jin scendendo dal bidone

- Perché non è quello che si definirebbe un animale tranquillo da poter tenere in giardino…- parlò come se fosse stato così ovvio

- Ma…- contestai- Insomma, non è… una cosa bella per quel panda!

- Che ci possiamo fare? È in sua custodia e decide lui come tenerlo…

- Perché parli come se fossi d’accordo?- gli rimproverai

- Non ho detto di essere d’accordo, ma non vedo nemmeno perché dovrei preoccuparmi tanto per un panda…

- Ma vedi che sei proprio insensibile quando parli così??

- Non è vero, non sono insensibile. Ma ti posso assicurare che, anche se rinchiuso, questo panda mangia tutti i giorni e forse vive meglio di quelli che invece, in libertà, il cibo non lo trovano. Quindi, gli danno da mangiare... perchè dovrei preoccuparmi??

- Ma secondo te nella vita basta mangiare e respirare per stare bene??

- Ehm… per un panda penso di sì.

Miharu non diceva niente. Continuava ad osservare sconvolta il panda appesa a quella grata.

- Accidenti…- commentò di nuovo

Io intanto pensavo ancora a come si potesse permettere una cosa del genere! Insomma, che senso aveva tenere un panda incarcerato dentro uno sgabuzzino dimenticato, solo per il gusto di averlo? La trovavo una cosa inconcepibile.

- E non è il solo, affianco c’è l’altra cella dove tiene Kuma.- disse Jin

- Kuma?

- Sì, l’orso… io l’ho visto solo una volta da quando sono qui. Da fuori però non si può vedere.

- E il panda come si chiama?- volli sapere

- Boh, non mi pare abbia un nome…- rispose vago

- Cosa?- mi stupii

- Lo chiamano semplicemente “il panda”…- continuò

- Ma vedi, ti sembra giusto che un panda non abbia un nome??

- Xiao, non credo che il panda ci rimanga male se Heiachi non gli da un nome…

Lasciai perdere la conversazione, tanto era inutile insistere. E comunque anche se lo avessi convinto, non poteva fare niente lui. Dovevo parlare con suo nonno. Non potevo permettere che quella situazione andasse avanti senza far nulla.

- Panda.- sussurrai pensierosa

- Inizio a pensare che forse avrei fatto meglio a non fartelo vedere…- ammise Jin esasperato sentendomi

- No, invece hai fatto bene! Il panda un giorno ti ringrazierà…- scherzai, anche se in realtà ero davvero decisa a fare qualcosa

- Ora ci conviene tornare a casa però…- disse Jin- Si sta facendo tardi e sembra che stia per piovere.

- Accidenti…- Miharu era ancora appesa

- Ops, Miharu è rimasta traumatizzata a vita…- commentai

- È stato… sconvolgente…- rispose lei

- Me ne sono accorta, non dici altro da mezz’ora…

Guardai il cielo, in effetti era molto coperto e stava iniziando a fare anche abbastanza freddo. Miharu ci raggiunse, attraversammo il parco tornando indietro e scavalcammo di nuovo il muro. Non fu facile nemmeno questa volta, ma almeno impiegammo meno tempo. Una volta fuori ci incamminammo poi verso casa.

Ero decisa a trovare il modo di aiutare quegli orsi. A tutti i costi!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Fiducia ***


Dicembre non tardò ad arrivare, e le mie giornate risultavano essere giorno dopo giorno sempre più piene e pesanti. Ogni giorno, dopo essere tornata a casa, non avevo quasi il tempo di riposare, che dovevo già affrontare il mio allenamento quotidiano. E già questa era una cosa struggente, Jin sembrava essere persino più pignolo di Heiachi. Dava un’importanza quasi vitale a quelle ore di allenamento. Come se non bastasse poi, dopo gli allenamenti, molte volte ero costretta a rimanere sveglia fino a tardi per studiare.

E così, tra un impegno e l’altro, arrivai alla mattina del quindici dicembre. Il giorno prima del mio compleanno.

Al contrario di ogni persona di questo pianeta, non davo molta importanza al mio compleanno. Non che fosse un giorno come gli altri, ma non era nemmeno particolarmente felice. Forse perché feste e grandi regali non ne avevo mai avuto.

Anche quando abitavo il Cina con i miei genitori, per la maggior parte del tempo loro erano sempre in viaggio per lavoro. Tante volte mi ero ritrovata a trascorrere il giorno del mio compleanno da sola.

Da piccola invidiavo le mie amiche, le loro feste, desideravo, almeno una volta, che il giorno del mio compleanno fosse speciale.

Ma non lo era mai stato. Ed ero riuscita a farne benissimo a meno.

Per questo, quando guardai l’orario dell’orologio appeso alla parete della biblioteca, e notai che l’ultimo mio giorno da quindicenne era già in corso da venti minuti, non ci feci caso più di tanto.

Riabbassai lo sguardo sul libro ed evidenziai di rosa la formula dell’equazione di stato dei gas perfetti. Tirai su con il naso e me lo soffiai con un fazzolettino di carta. Non sapevo se il mal di testa era dovuto al raffreddore o alle leggi dei gas.

Quello che sapevo di certo era che non ero assolutamente portata per le materie scientifiche e che il giorno prima avevo sbagliato ad uscire a maglioncino leggero.

Guardavo quella serie di numeri e di parole senza capirle, come se fossero stati tanti segnetti senza significato disposti uno dopo l’altro a formare delle righe. Ero troppo stanca, non riuscivo affatto a concentrarmi.

- Xiao, stai dormendo?

E come quando sei assorta in silenzio, un rumore o un suono all’improvviso di riporta alla realtà, la voce di Jin mi ricordò che non potevo addormentarmi sui libri.

- Ci sono vicina…- borbottai sfregandomi gli occhi, mentre lottavo per tenerli aperti

Ok, adesso mi aspettavo una tipica risposta del tipo “Pazienza, devi sforzarti e finire” oppure “Lo studio è importante, e anche se pesante e difficile devi sempre… eccetera eccetera…”

Con mia grande sorpresa invece anche lui, che aveva un’espressione stanca, chiuse il suo libro.

- Anche io. Basta così…- disse

Strabuzzai gli occhi.

- Allora sei umano!!

- Come scusa?- mi guardò perplesso

- La stanchezza è in grado di colpire anche te?- chiesi scherzando- No perché, visto che gli allenamenti di due ore consecutive, su di te non hanno nessun effetto, pensavo che l’aggettivo “stanco” ti suonasse assolutamente sconosciuto.

Sollevò un angolo della bocca in un sorriso ironico.

- Fosse così semplice come dici tu!

- Perché scusa?- volli sapere- Cioè, chi te lo fa fare ad allenarti per due ore di seguito ogni giorno, senza un attimo di respiro, ora che non c’è neanche Heiachi ad imporlo?

- Guarda che non sei obbligata a seguirmi…- rispose con un sorriso pungente- puoi anche fermarti prima se non ce la fai…

- Ah, e magari darti la soddisfazione e dimostrare che mi arrendo prima di te?- ridacchiai- Mai!

L’orgoglio prima di tutto!

Jin aggrottò le sopracciglia.

- E allora, cosa ti lamenti?

- No…- risposi accigliata- Io non mi sono lamentata. E non sto dicendo che mi voglio arrendere! Però… a volte mi sembri esagerato… ok, anche a me piacciono le arti marziali, ma così diventa pesante!

Sospirò.

- Xiao, ricordi la prima cosa che ti ho detto il giorno che ne sei uscita fuori con la storia che dovevamo allenarci assieme? I nostri allenamenti… non sono uno scherzo. In nessuna palestra ti chiederebbero una preparazione di questo tipo. Ed Heiachi ha voluto che anche tu li seguissi. Se invece di allenarmi in modo regolare mi concedessi pause solo perché lui è fuori casa, non avrebbe senso.

- A che cosa aspiri Jin?- domandai all’improvviso

Finalmente cambiò espressione, aprì la bocca per rispondere, ma aspettò un po’ prima di parlare.

- Ch..che?- sembrava in difficoltà

- Ho detto, a cosa aspiri? Tu non combatti solo perché ti piace, solo per fare sport, per intenderci. Lo prendi come qualcosa di molto più serio. Perché?

Guardò altrove.

- Mi piace… tutto qui.

Lo guardai a fondo come per mandare il messaggio telepatico “non-prendermi-per-scema”.

Alzai gli occhi al cielo.

- Scusa, l’hai detto pure tu che non sono allenamenti da palestra comune.- spiegai- Come mai allora Heiachi ce li fa fare? Dove vuole farci arrivare?

Jin non rispose, alzò le spalle con fare vago.

Ed ecco il nervoso che mi assale. Perché faceva sempre così? Perché parlare con lui si rivelava sempre così difficile? O meglio, perché era così difficile “farlo parlare”?

- Senti, se a quanto pare è una cosa che mi riguarda, la voglio sapere!

- Non c’è un motivo specifico…- farfugliò

- Ok, capito…- risposi imbronciata

- Non pensarci…- aggiunse con un tono che non sarebbe servito a convincere nemmeno lui stesso

- Ci risiamo.- sbuffai- Dato che sembra che abbia voglia di prendermi in giro, buonanotte.

Presi i miei libri in mano e mi diressi verso la porta. Aspettavo una frase. Qualcosa per farmi fermare, che non arrivò mai, invece. A quel punto misi la mano sulla maniglia della porta, la aprii, ed uscii.

Da quel piccolo squarcio di visuale che diventava via via più piccolo, mentre chiudevo la porta, vidi che Jin mi guardava in silenzio. Sembrava dispiaciuto. Semplicemente dispiaciuto, non arrabbiato, nervoso, ma… triste. Uscita dalla stanza, rimasi per un po’ ferma nel corridoio a pensare.

Perché quando facevo domande sulle decisioni di Heiachi si comportava così? Perché, soprattutto, mentire a me? C’era qualcosa che non dovevo sapere, forse? Qualcosa che in qualche modo mi riguardava?

Di sicuro mi riguardava, visto che c’ero di mezzo anche io con quegli allenamenti. Tra l’altro, iniziavo a dubitare del fatto che Heiachi mi avesse preso semplicemente per aiutarmi. Visto che… erano così speciali e mirati?

In un certo senso questa situazione iniziava a farmi venire l’ansia. Ero un po’ preoccupata in effetti. Cosa poteva esserci di così grave da tenermi nascosto?

E soprattutto, c’era un’altra domanda a farmi paura… una domanda alla quale fino ad allora avevo sempre risposto in modo spontaneo.

Potevo fidarmi di Jin?

Quella notte non riuscivo proprio a prendere sonno, nonostante fossi stata molto stanca. Quel pensiero e tutte quelle paure, mi fecero sentire come se non fossi al sicuro.

Perché io? Perché Heiachi aveva preso me e non qualcun altro?

Cosa c’era di speciale in… me?

Ero troppo nervosa, volevo risposte. Solo risposte.

Era inutile tentare ancora di dormire. Scalciai via le coperte e mi misi seduta sul letto. Mi infilai un paio di calze rosa di lana e mi alzai. A passi silenziosi mi diressi verso la porta di camera mia, ed uscii.

La camera di Jin era qualche stanza più avanti della mia.

Era una notte limpida di luna piena. La luce filtrava dalla finestra all’estremità dell’andito, allungando la mia ombra. Arrivai davanti alla sua porta e accostai l’orecchio per sentire qualche rumore. Silenzio assoluto. Forse si era già addormentato.

Guardai la maniglia. Dovevo entrare?

Avevo bisogno di parlare… era urgente.

Aprii la porta e la richiusi dietro di me dopo essere entrata. Era la prima volta che entravo nella sua stanza. Non sapevo bene nemmeno perché lo stessi facendo, magari in altri momenti non l’avrei fatto, ma sentivo che era importante.

Aspettai che i miei occhi si abituassero all’oscurità, poi lasciai che il mio sguardo percorresse la camera. Non era molto diversa dalla mia, sia come dimensioni, che come arredamento.

Individuai il letto… vuoto!

- Non si usa più bussare?

Sussultai, mi girai di scatto da dove era provenuta la voce e vidi Jin seduto dietro il monitor di un computer, alla mia sinistra. Per via della luce dello schermo, il suo viso appariva di un azzurrognolo pallido.

- Scusa…- sarei voluta sprofondare

Lui distolse lo sguardo da me si mise a fissare il monitor. Digitò qualcosa sulla tastiera, senza alzare più gli occhi.

- Volevi qualcosa?

Il suo tono era stranamente brusco. Che si fosse arrabbiato per prima? Ero io quella che doveva arrabbiarsi!

- Ehm…- pensai a come formulare la domanda in modo efficace- …sì.

- L’avevo intuito- commentò- Altrimenti non vedo perchè saresti mai dovuta entrare di soppiatto nella mia stanza.

- Non sono entrata di soppiatto nella tua stanza!

Bastò il suo sguardo come risposta. Uno sguardo freddo, gelido.

- E va bene, questi sono dettagli.- borbottai

Abbozzai un sorriso sperando in uno di risposta, lui mi guardò per un attimo e tornò a leggere nel monitor come se niente fosse.

- Sei arrabbiato?

Si strinse nelle spalle.

- Veramente sei tu che te ne sei andata via… “arrabbiata”!

Presi il respiro e cercai di mantenere la calma.

- Proprio per questo devo parlarti…

- Ok.- rispose distaccato

Riprese a digitare e a scrivere. Mi sentivo… ignorata.

- Insomma mi ascolti o no?!- sbottai all’improvviso

Alzò lentamente lo sguardo e si mise a fissare serio un punto indefinito nella parete opposta.

- Sentiamo.

- Ecco…- iniziai- Perché io mi trovo qui?

- Perché mio nonno è un brav’uomo che ti ha offerto la possibilità di venire a studiare qui. Non ricordi? Me lo hai detto il primo giorno che ci siamo conosciuti!- rispose in modo inequivocabilmente ironico

- No, Jin. Questa era la mia risposta.- ribattei- Voglio sapere la tua!

Si girò e mi fissò in modo serio.

- Non lo pensi più?

- Non lo so…- ammisi distogliendo lo sguardo- Ci sono molte cose strane…

- Cioè?- chiese curioso

- Segreti! Cose che non mi spiego!- mi fermai- E che nessuno mi spiega.

- Lo so…- aggiunse triste

Mi meravigliai a dire la verità, pensavo negasse come al solito fino all’evidenza, e invece… mi stava dando… ragione? Stentavo a credere alle mie orecchie!

- Ok, allora iniziamo… dove è esattamente Heiachi?

- In Corea.- rispose piano

- Perché è partito e non torna?

- C’è stato un incidente in una sua industria siderurgica, e ha dovuto risolvere dei problemi perché alcune strutture di sicurezza non erano conformi alla legge.

Ascoltai stupita. Era vero? E per questo che me lo avevano tenuto nascosto? Solo perché aveva avuto dei problemi legali?

- Per questo?

Lui annuì.

- E non potevi dirmelo?- chiesi offesa

Sospirò.

- Lo so, hai ragione, scusa… è che per una questione così delicata, avevo dato la mia parola di non parlarne con nessuno.- spiegò- Comunque ora lo sai…

Ero incredula. Quindi avevo frainteso tutto? Era stata ancora una volta la mia immaginazione a costruire tutta la vicenda inesistente? Decisi di crederci… perché avevo deciso di fidarmi di lui.

Spense il computer.

- Senti, sono le due di notte…- disse- Continuiamo domani a discuterne, ok?

- Va… va bene.

 

Feci sogni strani quella notte, sognai di essere completamente sola in casa, e al posto delle persone c’erano delle figure scure come ombre dalle quali mi nascondevo.

Mi svegliai angosciata di colpo. Osservai l’orologio della sveglia digitale, erano quasi le sette. Decisi di iniziare a prepararmi. Mentre mi pettinavo davanti allo specchio, ripensai alla notte precedente. Mi ero pentita di essere andata in camera di Jin. In effetti, lui non mi aveva fatto niente, non aveva senso essere arrabbiata. Ancora una volta avevo frainteso tutto quanto.

Scesi al piano di sotto e andai in sala da pranzo.

- Buongiorno!- salutai la governante che leggeva il giornale seduta in una poltrona.

Alzò gli occhi verso di me e mi guardò stupita.

- Ciao, già in piedi oggi?

Annuii, sedendomi in una delle sedie.

- Di solito arrivi sempre in extremis!- rise- Cosa è successo oggi?

- Ehm… non lo so…- ricambiai il sorriso imbarazzata

- È arrivato un telegramma stamattina.- cambiò discorso- è del signor Mishima. Dice che tornerà a fine mese.

- Ha… risolto tutto?- poco dopo mi pentii di averlo detto.

Io in teoria non avrei dovuto sapere niente!

- Cosa intendi?

- Oh, nulla…

- Comunque, tornerà per pochi giorni e poi vi porterà appresso.

Non capivo? Dove ci avrebbe portato?

- Come? Dove ci vuole portare?

- In viaggio con lui.

Continuavo a pensare perplessa.

- Ah, come mai?

- Questo non lo so…- rispose la donna- C’era scritto solo che una volta finite le indagini sarebbe tornato, e poi ripartito.

- Ah, capisco…- risposi subito

Strano, non mi aspettavo di dover viaggiare. Chissà dove ci avrebbe portati, e perché. Una volta finite le indagini… un momento, indagini? Era stato indagato quindi, per via dell’incidente?

Allora era una questione seria.

- Indagini? Perché?

- Oh, ma non ti hanno detto niente? Pensavo che Jin te ne avesse parlato.

- No, non me ne ha parlato.- mentii

- Non sai perché il signor Mishima è partito?- chiese a bassa voce.

Scossi la testa.

La signora si guardò intorno prima di riniziare a parlare.

- Con precisione non lo sa nessuno…- spiegò- Pare che però ci sia stata un’altra sparizione.

Mi sentii gelare. Una sparizione?

- Un altro maestro di arti marziali è scomparso. E…- si guardò ancora intorno- questo non dirlo a nessuno però…- continuò a bassa voce- pare che il signor Mishima si stia interessando parecchio alla faccenda.

- Per questo è partito?- chiesi a voce bassa

La governante annuì.

- Nessun incidente mortale quindi? Nessun’industria siderurgica?

La donna mi guardò accigliata senza capire.

In quel momento sentii la porta aprirsi. Mi girai, vidi Jin in divisa che entrava in sala. Tremavo per la rabbia. Sentivo che stavo per esplodere. Mi aveva sempre raccontato solo bugie! Come quelle che si raccontano ai bambini per evitare i discorsi seri. Mi alzai di scatto, camminai minacciosamente verso di lui e gli lanciai lo sguardo più feroce che potessi avere.

Lui mi osservò per un momento stupito. Non capiva cosa stessi facendo. Stavo piangendo.

- Xiao…- disse preoccupato

- Pensavo di potermi fidare di te! Spero ti sia divertito ad inventarti quelle storielle!- urlai, uscendo e sbattendo la porta dietro di me.

La spinsi talmente forte che pensai i potesse rompere il vetro. Iniziai a correre verso l’ingresso, quando mi sentii trattenere per un braccio.

Mi girai, vidi Jin che mi aveva afferrato e la governante che guardava la scena preoccupata dalla porta della sala da pranzo.

- Calmati, ti posso spiegare!- si affrettò a dirmi

- Zitto!- urlai in modo stridulo- Non voglio più sentire niente da te! Ti avevo detto che non sopporto le bugie! Ti avevo detto che io mi fidavo di te!

- Scusami, lo so… mi dispiace.

Gli lanciai lo schiaffo più potente che potevo. Lui mi guardò esterrefatto portandosi la mano sulla guancia, mi liberai dalla sua stretta e corsi verso l’ingresso. Una volta arrivata mi girai a guardarlo. Era rimasto immobile in piedi come nell’attimo in cui gli avevo dato lo schiaffo.

- Non provare mai più a prendermi in giro!- sbraitai- Quindi non dire che ti dispiace!!

Uscii di casa sbattendo un’altra volta la porta.

Iniziai a correre a più non posso con le lacrime agli occhi. Io gli avevo dato fiducia, e lui mi aveva presa in giro. Arrivai senza fiato a scuola. Era ancora presto, non c’era quasi nessuno, entrai di corsa e mi diressi subito verso la mia classe. Aspettai in silenzio l’inizio delle lezioni, guardando senza pensare il vuoto davanti a me. Per tutta la giornata rimasi da sola. Il giorno Miharu non era venuta a scuola, quindi non potevo nemmeno parlare e sfogarmi con lei. Evitai di uscire durante l’intervallo, non volevo che Jin mi cercasse, e mi fiondai fuori al suono della campanella che annunciava il termine della giornata. Uscii il più presto possibile dalla scuola per non farmi vedere e mi diressi a passo svelto verso la direzione opposta della strada che facevo di solito.

Non volevo tornare a casa. Volevo che si preoccupasse. Che capisse la gravità della situazione. Camminai per molte miglia senza meta, mi accorsi che stavo girando in torno. Ero stanca e non sapevo dove andare. Il sole stava per tramontare, ma non avevo ancora la minima intenzione di rientrare.

Ad un certo punto mi accorsi di aver già visto la strada in cui ero finita. Ci ero stata qualche settimana prima, mentre andavamo a vedere il panda. Il panda… perché no? Decisi di andare in quel vecchio parco.
Mi arrampicai agilmente sul muro per poi saltare dall’altra parte. Poi iniziai a dirigermi verso il lato opposto del terreno, dove c’era il caseggiato. Una volta arrivata, salii sul bidone e guardai il panda. Sorrisi, nel vederlo. Non so per quanto tempo rimasi così, a pensare e ad osservare quel simpatico animale.

Stava iniziando ad imbrunire quando decisi che forse era il caso di tornare a casa. Avevo fame, stavo morendo di fame! Avevo mangiato solo qualcosina a scuola all’ora di pranzo, senza aver fatto nemmeno colazione di mattina.

I sensi di colpa probabilmente venuti a Jin e il fatto che tutti in casa che gli avrebbero dato la responsabilità per quello che era successo, mi convinsero che era abbastanza.

Proprio mentre scendevo dal bidone, sentii un rumore provenire dalla parte opposta del caseggiato. Rimasi ad ascoltare in silenzio. Volevo capire se me l’ero sognato oppure avevo sentito bene.

Sì, erano delle voci. C’era qualcuno che parlava dall’altra parte. Mi ricordai le parole di Jin, quel parco era chiuso da anni, nessuno veniva più. Mi guardai attorno. Una sola possibilità mi venne in mente: teppisti.

Probabilmente la sera quello doveva essere il loro ritrovo, visto l’aspetto del posto, bottiglie di birra rotte, pasticci vari e rifiuti di ogni tipo dappertutto. Di certo l’ultima cosa di cui avrei avuto voglia, era quella di ritrovarmi in mezzo a qualcuna di quelle bande.

Rabbrividii. Forse per il freddo, o per il semplice fatto che iniziavo a pentirmi di non essere andata via prima. E anche se sapevo difendermi molto meglio di una normale ragazza della mia età, non si può mai sapere a cosa si va incontro.
Ci sono delle situazioni, dove anche una cintura nera di arti marziali, non ti serve a niente. Me lo aveva ripetuto tante volte il mio vecchio maestro.
Ero un po’ spaventata, ma non mi feci prendere dal panico. Sarebbe andato tutto bene se avessi camminato lentamente fino al muro di recinzione, senza farmi accorgere. Iniziai a camminare silenziosamente verso il lato più vicino. Era lontano, e mantenere la calma risultava sempre più difficile.

Sentii che le voci si stavano avvicinando, e con esse anche il rumore dei passi. Ero troppo in vista, come avrebbero svoltato l’angolo del piccolo edificio, mi avrebbero subito notata. Mi guardai intorno alla ricerca di un posto dove nascondermi. C’era un vecchio dondolo a forma di elefante. Non era grandissimo, ma sembrava abbastanza da potermi coprire, considerando anche che c’era abbastanza buio.

Accellerai il passo e sgattaiolai dietro il gioco accucciandomi sulle ginocchia. Avevo paura di sporgermi, e comunque trovai uno spiraglio da cui poter sbirciare tranquillamente la situazione.

Le due persone avevano appena svoltato l’angolo. Stavano parlando animatamente fra di loro, ma erano troppo lontani, non riuscivo a capire una sola parola di quello che dicevano.

Non avevano proprio l’aspetto di… teppisti. Erano strani. Erano vestiti di scuro e sembravano perfettamente identici. Come se avessero avuto una divisa o qualcosa di simile. Arrivarono alla porta del caseggiato e con mia grande sorpresa l’aprirono. Entrarono entrambi all’interno.
Erano quindi uomini incaricati da Heiachi di occuparsi di quei due orsi? Anche se con questo pensiero, non mi sentivo sicura. Non so perché, avevo premura di andarmene in fretta, non mi andava affatto di farmi trovare là dentro.
Aspettai per qualche secondo, mentre iniziavo a progettare la mia fuga imminente. Dovevo iniziare ad andare? Quanto si sarebbero trattenuti? Potevo fidarmi?
mancavano già da qualche minuto. Forse potevo azzardarmi ad uscire allo scoperto.

Mi alzai. Il muro non era lontanissimo. Dovevo raggiungere una piazzola circondata da alcuni alberi e andare un po’ oltre per arrivare all’uscita.
Iniziai a correre, più veloce che potevo, ogni tanto mi guardavo indietro per controllare che non fossero usciti. Niente, continuai a correre.
Mi girai una seconda volta e… quasi non persi l’equilibrio per lo spavento. Erano usciti! Erano usciti e guardavano verso di me.

Mi fermai di scatto. Cosa era meglio fare? Rimanere o… scappare?

Lasciai scegliere all’istinto e presi a correre più forte di prima.

- Alt!- sentii il loro richiamo

Puntai verso gli alberi, avevo più possibilità di riuscire a confonderli.

- Fermati o sparo!

Non ero sicura di aver sentito bene, ma il cuore iniziò a battermi più forte.
Erano armati? Ma chi erano in realtà?
Non avevo alcuna intenzione di fermarmi, con il cuore in gola mi infiltrai fra gli alberi, corsi facendo slalom tra le piante, finché non mi ritrovai in una piazzola piena di giochi.
Osservai il posto e mi venne un’idea. C’erano degli scivoli che in cima avevano delle specie di torrette chiuse. Corsi a più non posso verso una di quelle torrette. Non avevo il tempo di fare le scale normalmente, presi lo slancio e mi issai facendo forza sulle braccia, fino in cima, dove mi accucciai fino ad essere completamente invisibile. Sperai di essere stata abbastanza veloce. Con la fretta, mi ero pure fatta male ad una mano, sentivo che stava iniziando a sanguinare.
Finalmente sentii i passi affrettati dei due uomini che arrivarono. Io cercavo di non fare il minimo rumore, avevo persino paura di respirare. Il battito del cuore era così forte che avevo l’impressione che potessero sentire il rumore delle pulsazioni.
Sentii i passi degli uomini che si avvicinavano. Erano vicini, molto vicini. Stavo tremando dal panico. Sentivo le lacrime scendermi per le guance.

Pregai che non mi avessero vista salire, mi strinsi più forte, cercando di occupare lo spazio minore.
Sentivo che stavano girando per la piazzola, controllavano i giochi.
Mi accorsi che per il nervoso mi stavo mordendo sempre più forte il labbro inferiore, ma era l’unico modo per non battere i denti.
Erano armati… cosa sarebbe successo se mi avessero trovata?

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Gli uomini buoni non dicono mai la verità... ***


Non so per quanto tempo rimasi immobile, nascosta, senza fare il minimo rumore, che anche un respiro avevo paura potesse tradirmi. Forse passò un’ora o forse molte, era ormai notte inoltrata. Vedevo le luci dei grattacieli risplendere, al di là di quel desolato ed abbandonato quartiere di Tokyo.

Era passato obbiettivamente molto tempo. Probabilmente quegli uomini erano già lontani, non avevo più sentito alcun rumore. Però volevo essere prudente, non ero uscita subito allo scoperto, nonostante la cosa che in quel momento desideravo di più di ogni altra, era quella di tornare a casa al sicuro. Avevo le dita completamente gelate, ed ero seriamente vicina al congelamento totale, dato che ero ancora in divisa scolastica.

Finalmente mi decisi ad uscire dal mio nascondiglio e a provare ad andarmene. Sporsi la testa per osservare la situazione intorno. Era troppo buio per vedere qualcosa, ma quindi nessuno avrebbe potuto vedere me! Scivolai giù fino a terra, facendo attenzione ad essere meno rumorosa possibile.

Mi guardai attorno un’ultima volta, prima di fuggire velocemente verso il limite del giardino. Mi mancavano pochi metri, questione di pochi passi.

Poi ci sarebbe stato sol quel muro, quello stupidissimo muro.

Stavo per avvicinare le mani al muro, quando sentii delle dita gelide chiudersi attorno al mio polso. Un’altra mano mi serrò la bocca, permettendomi di emettere solo un piccolo gemito disperato.

Ero persa, mi avevano preso… ed erano armati, cosa mi avrebbero fatto? Mi avrebbero ucciso? Chi erano, soprattutto? Yakuza? (per chi non lo sapesse, la Yakuza è la mafia giapponese…nd.me) Erano forse convinti che avessi visto qualcosa che non dovevo vedere?

Questo pensiero mi faceva venire ancora di più il panico. Mi girai verso la persona che mi aveva afferrato e… rimasi ammutolita.

- Buh!- si illuminò il viso con la torcia, con un sorriso scemo stampato in faccia

- E tu cosa ci fai qui?- bisbigliai incredula, ma allo stesso tempo ancora agitata

- Siamo venuti a prenderti fuggiasca!- rispose- Questa da te non me la sarei aspettata…

La mia amica, Miharu, scosse la testa con aria di sufficienza. Mi guardai ancora una volta attorno.

- Stiamo facendo troppo chiasso! Andiamocene!

- Eh?- strabuzzò gli occhi- Perché, c’è qualcuno?

- Sì, dai Miharu, inizia a scavalcare il muro!- la incitai

- No, no, no… niente di fretta! Sai che io mi piglio il tempo che ci vuole per salire questo muro con calma!- ribattè convinta- E poi…

Mi afferrò di nuovo le braccia. La guardai curiosa.

- C’è anche Jin, ma adesso non scappare!

- Perché dovrei scappare?

- E io che ne so?! È lui che mi ha detto che se lo vedi, c’è il rischio che ti metta a scappare di nuovo!

- Ma che ragionamento idiota. Mollami, non scappo!- commentai

- Io non direi così dopo il tuo comportamento di stamattina.- Jin era uscito da dietro un cespuglio lasciato crescere ormai trascuratamente.

- Senti, faremo i conti più tardi.- risposi fredda- Adesso pensiamo ad andarcene di qui alla svelta, per favore!

Sentii lo sguardo di Jin scrutarmi senza capire a fondo quello che volevo intendere. Io distolsi lo sguardo e iniziai ad arrampicarmi su per il muro.

Arrivai subito in cima e aiutai anche Miharu a salire più velocemente. Dopo pochi minuti eravamo tutti e tre finalmente fuori, e lontani.

Mi fermai un secondo, appoggiai la schiena al muro e sospirai.

- Andiamo a casa. – disse Jin lanciandomi uno sguardo significativo

Come se avesse intenzione di comunicarmi qualcosa. Magari quegli uomini erano una delle tante cose che sapeva e che non diceva? Non era troppo assurda come ipotesi…

Camminavamo tra le strade, dirigendoci verso casa.

- Xiao, comunque non è stata una cosa molto intelligente scappare in questo modo. Posso capire il tuo spirito ribelle, ma tutto ciò mi sembra un pochino esagerato. Cioè, insomma, è notte tarda! Ti stavano cercando tutti, stavamo per chiamare anche la polizia! O forse l’hanno anche già chiamata…

Non facevo molto caso a quello che Miharu continuava a ripetermi a raffica. Sì, d’accordo, era stata una cosa stupida scappare, ma io non volevo mica rimanere fuori così tanto tempo! Non era stata colpa mia! Ma non mi andava di spiegarlo in quel momento.

Sapevo che non avrei saputo niente, nemmeno provando a chiedere a Jin, ma… meno che mai davanti a Mihau.

- Hei, ma perché non sei venuta oggi a scuola?- cambiai discorso all’improvviso

- Eh? Io?

- Sì, tu.

- Emh, non stavo proprio bene, bene, bene…- aveva tutta l’aria di essere una scusa, dato che ora la vedevo in gran forma, ma almeno era servito a farle cambiare discorso.

Ed eccoci davanti a casa. Era pieno di gente fuori, e come mi videro arrivare, rimasero ammutoliti. Mi resi conto che se avevo voluto richiamare l’attenzione su di me, avevo ottenuto in pieno il risultato.

Mi sentii avvolgere dall’imbarazzo, avrei voluto sotterrarmi, tra rimproveri, domande e frasi a raffica.

Che stupida, stupida, stupida, stupida, stupida, stupida, stupida, stupida, stupida, stupida! Tutto perché quella mattina mi ero messa in testa di scappare. Ma a pensarci bene, non ero io ad essere stata stupida. La colpa era tutta di Jin. Era tutta colpa sua e della sua bugiardaggine! Stupido, stupido, stupido, stupido, stupido, stupido!

Si avvicinò della gente, mi fecero alcune domande, ma non avevo voglia di rispondere. Mi limitavo a rispondere a monosillabi. Per il giorno ne avevo avute abbastanza.

- La ragazza è minorenne?- sentii che chiese un agente

- Sì, ha quindici anni.- rispose la governante

Quindici anni. Quella frase risvegliò in me un pensiero. Guardai l’orologio.

- Sedici.- la corressi- Da circa un’ora e venti minuti.

Era il mio compleanno. Quella strana e singolare notte, era l’inizio del mio compleanno.

- Xiao, è il tuo compleanno! Perché non hai detto nulla?- Miharu mi saltò letteralmente addosso ad abbracciarmi, mentre mi ripeteva nelle orecchie “Auguriiii, augurii!!”

Anche qualcun altro, magari un po’ raddolcito dopo le sgridate e le ramanzine, si avvicinò a darmi gli auguri. Cercai con lo sguardo Jin in mezzo alla folla. Non perché mi immaginassi venisse a darmi gli auguri, dopo quello che era successo, ma solo perché volevo vedere se era presente.

Non lo vidi, ma forse solo perché c’era troppa confusione.

Finalmente pochi minuti dopo, mi lasciarono libera di andare in camera mia. Miharu sarebbe rimasta a dormire da noi. Portarono un letto per gli ospiti nella mia stanza, e si sistemò in camera con me.

Rimanemmo un po’ a chiacchierare. Il giorno seguente non saremo andate a scuola, dopo gli avvenimenti di quella notte.

Poco dopo però, lei crollò di sonno. Provai anche io a fare lo stesso, ma dopo che accumuli tanta adrenalina, può risultare davvero difficile prendere sonno.

E poi avevo troppi pensieri in testa. E più cercavo di non pensare a niente, più quelli mi tormentavano. Prima di rendermene conto, ero già in piedi che mi dirigevo verso la porta. A passi felpati, per non svegliare Miharu, che intanto dormiva beatamente, raggiunsi con la mano la maniglia, pronta ad uscire.

Non avevo una meta precisa. Mi andava solo di fare due passi, schiarirmi le idee. Scesi lentamente le scale ed entrai in salone. Mi accomodai sul divano e rimasi a pensare guardando il vuoto davanti a me.

Dovevo fare chiarezza con alcuni punti degli ultimi avvenimenti di quei due giorni.

Prima Heiachi sparisce, tutti mi nascondono il vero motivo, Jin preferisce mentire.
Poi scopro che sta conducendo delle indagini segrete perché un uomo in Corea è scomparso. Un famoso maestro di arti marziali.
Ancora dopo, vedo degli uomini armati in posto deserto, ma di proprietà di Heiachi.

Qualcosa mi sfuggiva. Era tutto così strano.
Di una cosa però ero certa. C’era qualche motivo per cui Jin aveva deciso di tacermi riguardo a quella sparizione. E un’altra domanda mi tormentava. C’era forse qualche collegamento con questa sparizione e quella del mio maestro in Cina? Forse c’erano dei collegamenti anche con la mia presenza in quella casa.

- Prenderai freddo, stando qui.

Non ebbi bisogno di girarmi per capire chi aveva parlato. Sentii i passi di Jin che si avvicinavano e si sedette anche lui sul divano. Evitai di osservarlo, ma notai lo stesso che era ancora vestito come quando era uscito. Ciò voleva dire che non era rimasto in piedi in giro per tutto questo tempo. Notai anche che aveva i capelli stranamente in disordine, non l’avevo mai visto spettinato.

- Senti, lo so che non hai voglia di parlare con me…- disse ad un certo punto- Però, voglio solo sapere una cosa. Perché avevi fretta di andartene da quel parco?

- Così.- risposi subito- Perché pensi ci sia un motivo preciso?

- Perché sono assolutamente sicuro che qualcosa non andava.- rispose semplicemente- L’hai detto pure tu, a Miharu. Hai detto che c’era qualcuno.

Annuii.

- A Miharu. Ma perché dovrei dirlo… a te?- chiesi in tono aspro

- Perché mi dispiace. E avremo già risolto tutto se tu non te ne fossi scappata fino a notte fonda.

- Adesso la colpa sarebbe mia allora?

Alzò le spalle con l’aria di chi ha ovviamente ragione.

- Diciamo che è stato abbastanza infantile quello che hai fatto.

- Fosse stato per me, sarei tornata a casa molto prima. Non volevo scappare, volevo solo schiarirmi le idee.

- Appunto, quindi vedi che ho ragione? Cosa è che ti ha impedito di tornare quando volevi?

Rimasi qualche secondo a pensare. Io volevo dirglielo, ma volevo anche che si rendesse conto di cosa vuol dire “voler sapere” e non “poter sapere”.

- E se ti prendessi in giro su questo punto, come ci rimarresti?- chiesi

Sbuffo innervosito.

- Ti ho chiesto scusa, cosa devo fare?! Pregarti in turco?

- No, ma iniziare a darmi delle dovute spiegazioni sarebbe una buona cosa!- ribattei

Non rispose. Guardò davanti a se con espressione vuota. Non era arrabbiato, ne più infastidito. Sembrava solamente immerso nei suoi pensieri.

- Io te lo dico, ma se poi questo ti porta a rivalutare molte cose, non dire che non ti avevo avvisato.

Lo guardai con aria interrogativa.

- Senti, non è che io mi diverto a raccontare bugie a chi mi capita. L’ho fatto perché…

Silenzio. Cambiò posizione di come era seduto. Sembrava nervoso.

- …perché… c’era un motivo!

- Beh, lo spero…- sorrisi ironicamente- Ma questo l’avevo intuito.

- Allora, cosa vuoi sapere?- tagliò corto

Mi sedetti sul divano a gambe incrociate e mi voltai verso di lui.

- Bene, iniziamo!- poi mi bloccai. Mi era venuta una cosa in mente.- Alt! Aspetta! Chiariamo subito un punto! Se menti anche questa volta, non ti crederò mai più!

Si voltò verso di me con aria quasi incredula, ma poi si lasciò scappare un piccolo riso. Ricambiai.

- Sai, il mio maestro mi ripeteva spesso un proverbio… diceva “gli uomini buoni non dicono mai la verità… essa rimane nella loro gola per non danneggiare il prossimo”, o comunque qualcosa del genere.

Mi fermai per un po’. Di sicuro aveva già capito dove volevo arrivare, vidi che mi sorrise.

- Tante volte ho riflettuto su questa frase. Dicevo “come è possibile giustificare qualcuno che nasconde la verità?”. Beh, oggi ho scoperto come è possibile.- ammisi- So che l’hai fatto a mio favore, ma io mi fidavo di te.

- Lo so, e…

- …e non è stato bello.- lo interruppi- In quel momento ti avrei voluto uccidere!- alzai lo sguardo al soffitto

Rimase ammutolito, forse si stava chiedendo se doveva crederci seriamente o no, ma poi la sua espressione si raddolcì.

- Ti chiedo quindi, per questa volta, di non essere buono.- continuai

Rise dopo questa mia ultima frase.

- Furba però…- commentò- Hai voluto incastrarmi, usando tutto questo ragionamento che… credo funzionerà.- concluse a voce bassa.

- Aha! Ho vinto!- ridacchiai- Adesso iniziamo con le domande! Jin, ricorda che devi essere cattivo, quindi dimmi tutta la verità, nient’altro che la verità. Intesi?

- Afferrato.

- Perfetto. Allora, perché hai tentato di nascondermi il vero motivo per cui Heiachi è partito?- chiesi

Aspettò un po’ prima di rispondere.

- Perché… beh, forse è giusto che tu lo sappia adesso…- cominciò- Xiao, non è un caso che tu ora sia qui in questa casa.

Rabbrividii sentendo quelle parole, che tante volte avevo pensato, e tante volte avevo temuto di sentire.

- Vedi c’è… insomma… è difficile da spiegare… anche perché è difficile da credere, prima di tutto…- era in difficoltà- stanno sparendo molti combattenti in varie parti del mondo, ok?

Avevo uno strano presentimento. Era una mia impressione, o l’aria era diventata improvvisamente più fredda.

- Bene, questi combattenti che stanno sparendo, sono… tutti legati dallo… stesso motivo per cui sono spariti…

- E quale sarebbe il motivo?- chiesi

- Quale sarebbe il motivo…- ripeté fra se e se- Sai che… anche il tuo…

- Sì, ho capito…- tagliai corto- anche il mio maestro è fra questi, vero?

Annuì.

- C’è qualcuno che li sta facendo fuori?- arrivai subito al sodo

- Qualcuno…- mugolò- forse “qualcosa” sarebbe più appropriato.

Aggrottai le sopracciglia. Lui deglutì.

- Cosa… cosa stai dicendo, scusa?

- Non è un uomo. Qualsiasi cosa sia, non è un uomo.- abbassò lo sguardo

- Jin…- balbettai vedendo il suo stato- tutto… tutto ok?

Sembrava sconvolto. Non l’avevo mai visto così.

- Non ne avevo mai parlato prima fin’ora.- disse con fiato mozzato

- Di… cosa?

- Di quello che sto per raccontarti!- esclamò con voce acuta

- Senti, io non pensavo che l’avresti presa in questo modo…- dissi- mi dispiace che tu la prenda così…

- Sai niente dei miei genitori?- chiese all’improvviso

- N-no.- risposi.

Anche se era una mezza-bugia. Sapevo che suo padre, il figlio di Heiachi era morto molto tempo prima.

- Mio padre è sparito prima che io nascessi. Io non l’ho mai visto. Molti pensano sia morto, altri no. Fatto sta che per me è come se non fosse mai esistito.- inspirò a fondo- Mia madre invece, ho vissuto sempre con lei. Fino all’agosto di tre anni fa.

Non capivo dove voleva arrivare, ascoltavo attentamente ogni singola parola del suo discorso. Mi stava finalmente parlando del suo passato. Una cosa che non aveva mai fatto. Che collegamento poteva esserci con me e la mia situazione?

- Adesso ti starai chiedendo “cosa è successo nell’agosto di tre anni fa”? “Perché ora non vivi più con lei”, giusto?

Potevo vedere il suo mento che tremava ad ogni sussurro

Annuii.

- È stata uccisa, Xiao.- mi sentii sprofondare e feci fatica per trattenere le lacrime.

Non per quello che aveva detto, che era una cosa abbastanza intuibile, ma per il dolore e il dispiacere che aveva espresso con il tono della sua voce, e con lo sguardo dei suoi occhi.

Jin, un ragazzo di solito freddo e poco espressivo delle sue emozioni, mi aveva appena rivelato il suo più triste ricordo, che custodiva come il suo più grande segreto.

- Io… non sono riuscito ad evitarlo…- aggiunse dopo- Non ero in casa quella sera, ero rimasto in paese fino a tardi. Noi vivevamo fuori dal paese, avevamo una casa ai piedi del monte, intorno a noi c’era solo la foresta. Solo natura.- mi spiegò- Mia madre lavorava per la forestale. Adorava gli animali… spesso andavamo insieme a fotografarli…

Aveva mostrato un piccolo sorriso mentre ripensava a quei vecchi momenti. Io mi sentivo molto a disagio. Avrei voluto dire qualcosa di carino, ma non trovavo niente di opportuno da poter dire.

- Anche quella sera era a lavoro fino a tardi. Io ero andato in paese per la festa. Ogni anno ad agosto facevano la festa del paese, con fuochi d’artificio e petardi… quella sera… quella sera io con altri miei compagni di scuola, avevamo deciso di… beh…- si bloccò un secondo- …a dire la verità, volevamo rubare alcuni di quei fuochi. Quindi ci eravamo nascosti dietro il furgoncino dove li tenevano ed eravamo rimasti ad aspettare fino a tardi. Mia madre mi aveva detto di non tornare tardi quella sera. Ma non le avevo obbedito. Era da un po’ di tempo che si comportava in modo strano. Spesso era nervosa e irrequieta. Quella mattina le avevo chiesto spiegazioni e lei… beh, lei mi aveva parlato per la prima volta di mio padre e della storia della famiglia Mishima e… del Tekken.

- Il Tekken?

- Sì, il torneo di arti marziali più importante del mondo. Ne hanno fatto due. Ci sono delle faccende strane attorno a questi due tornei. Alla fine del secondo, mio padre è scomparso senza lasciare traccia, e adesso molti dei partecipanti stanno sparendo misteriosamente.

- Vuoi dire che…

- Sì, anche Wang. Così come mia madre e quel coreano.

- Tua madre?- chiesi- Ma quindi tu hai visto poi….

- Non l’ho visto bene…- rispose- Ma sono sicuro di averlo visto. I botti dei fuochi d’artificio avevano coperto il rumore di quello che stava succedendo. Nessuno si era accorto di quello che stava succedendo a casa mia. Mentre io ero lì sotto a guardare degli inutili fuochi artificiali!! Più tardi, mentre tornavo a casa, avevo notato che c’era qualcosa di strano, come quell’insolito odore di bruciato nell’aria. Avevo iniziato a preoccuparmi, e avevo accelerato il passo. Più mi avvicinavo, più mi rendevo conto che le cose erano tutt’altro che normali. Vedevo dei bagliori, come di fiamme in lontananza. Allora ho iniziato a correre, ma ormai correre non sarebbe servito più a niente. Quando sono arrivato ho visto la mia casa distrutta, in preda al fuoco e…

Si era fermato, abbassò ancora una volta lo sguardo e deglutì.

- Mia madre in un lago di sangue.

Fece un’altra pausa, io spostai lo sguardo al pavimento. Mi dispiaceva. Mi dispiaceva da morire il fatto di avergli fatto rivivere quei momenti.

- Da qui in poi ho i ricordi molto confusi, quello che sono sicuro di ricordarmi, è che lei era ancora viva, mi aveva visto, mi aveva urlato di scappare, di mettermi in salvo. Ma io non potevo lasciarla lì, da sola in quello stato. Mi sono avvicinato a lei, ma poi tutto quello che ricordo è che ho sentito una forte fitta allo stomaco e sono stato scaraventato all’indietro… e poi l’ho visto… prima di perdere i sensi… una figura enorme, davanti a me… si stava avvicinando a mia madre. Ho urlato, ho urlato con tutto il fiato che avevo in gola, ed è l’ultima cosa che ricordo, prima del buio completo.

Che cosa orribile. Non avrei mai pensato che il passato di Jin potesse essere stato così tragico.

- La mattina seguente mi sono risvegliato a casa di alcuni amici di famiglia, avevo una brutta ferita alla testa. Nessuno capì mai cosa successe veramente quella notte. La polizia assoldò l’ipotesi di un incidente e archiviò il caso, benché il corpo di mia madre non fu mai ritrovato. Qualche giorno più tardi, ero in partenza per Tokyo. Prima di morire, mia madre mi aveva detto di cercare Heiachi, se mai fosse successo qualcosa. E così, sono venuto ad abitare qui.

- Jin… mi dispiace.- sussurrai

- L’ultima volta che abbiamo parlato, avevamo avuto una discussione. Io… io ero arrabbiato perché non mi aveva mai parlato di mio padre e di tutto il resto. Era anche per quel motivo che non avevo rispettato l’ordine di tornare presto a casa quella sera. Ce l’avevo con lei ancora per quello che era successo la mattina. Per questo mi sento moltissimo in colpa. Se io fossi stato lì… se fossi tornato prima, forse le cose sarebbero andate in modo diverso, magari avrei potuto cercare aiuto… magari avrei potuto salvarla. E invece, il tempo non mi è bastato per chiederle scusa… e per dirle che le volevo bene.

- Non devi sentirti in colpa!- sbottai- Non è stata colpa tua…

- Non posso farci niente.- rispose- Ci penso ogni giorno dell’anno. E tutti giorni rimpiango di non essere tornato prima a casa.

- Ma non..

- Tutto questo per farti capire che c’è qualcuno che sta cercando di fare del male ai partecipanti dei vecchi tornei. E anche Wang è uno di loro.- non mi fece finire la frase- Tu sei qui, perché se fossi rimasta lì, probabilmente saresti stata in pericolo! Ecco il perché di tutti quegli addestramenti fuori dal normale e di tutte le altre cose! Noi siamo i loro eredi…

Ero in pericolo anche io quindi? Per questo aveva sempre cercato di nascondermi la verità.
Non voleva che mi preoccupassi. Ma anche adesso che lo sapevo, non mi sentivo preoccupata.

Forse avevo fin troppe cose da pensare per potermi preoccupare.

- Sono contenta che tu me ne abbia finalmente parlato.

La voce mi uscì in un soffio. Ero ancora sconvolta per quello che mi aveva raccontato. La morte di sua madre.

Non riuscii a trattenermi. Mi avvicinai a lui e gli gettai le braccia al collo piangendo.

- Scusami se ti ho fatto rivivere quei momenti! Mi dispiace tantissimo per quello che è successo…

Non riuscivo ad esprimere la mia mortificazione. Sentii che ricambiò l’abbraccio, senza dire niente.

Mi resi conto che era la prima volta che ci eravamo abbracciati. In quel momento mi resi conto di quanto bene gli volevo. Vivendo assieme, con le piccole cose quotidiane, e anche i vari battibecchi, eravamo diventati un po’ come fratello e sorella. Soprattutto in quel momento, dopo che mi aveva raccontato il suo più triste segreto.

Continuavo a versare lacrime, come se non potessi più fermarmi.

- Non devi dispiacerti…- disse ad un certo punto allontanandosi un po’ per guardarmi in faccia- Parlarne mi ha aiutato più di quanto avessi immaginato.

Mostrò un lieve sorriso. Era buio, ma eravamo molto vicini. Il punto che basta per notare che una persona poco prima aveva pianto, e i suoi occhi lucidi non mentivano.

Quasi non riuscivo a crederci. Jin che piange?

Improvvisamente, quasi senza accorgercene, la distanza fra di noi diminuì, e forse involontariamente, o forse no, le mie labbra finirono sopra le sue. Sentii il cuore esplodermi dentro.

In quel momento, sembrava che non avessi più il controllo di me. Lentamente, avevamo iniziato a dischiudere le labbra, e avevamo lasciato le sorti al gioco. Sembrava tutto così… spontaneo.

Per qualche secondo la mia mente fu lontana dalla realtà e fu come se il tempo si fosse fermato.

Ci separammo poco più tardi.

Ci guardammo intensamente negli occhi. Sentii che stavo arrossendo in modo molto evidente, se non fosse stato per il buio, ma anche lui non scherzava in quanto ad imbarazzo.

“Cosa abbiamo fatto?” pensavo “Due che si vogliono bene come fratelli non fanno così”.

Dal suo sguardo capii che stava pensando probabilmente la stessa cosa. Notai improvvisamente però quanto era bello. Anche così, al buio. Confuso, forse anche di più!

- Era… era un momento di debolezza…- concluse dopo un po’ che ci stava pensando su- …per tutti e due.

- Sì, certo.- annuii

Guardai ancora la sua faccia. Aveva un’espressione buffissima. Non l’avevo mai visto così imbarazzato. Scoppiai a ridere. Anche lui, finalmente sorrise, e poi rise di gusto.

Ridere è un buon modo per togliere l’imbarazzo, quando serve.

Era meglio così. Fare finta di nulla e prenderlo solo come “un momento di debolezza, per entrambi”. In fondo era quello che era stato, o no?

Tornammo a sederci uno affianco all’altro e decidemmo di accendere la TV. Tanto nessuno dei due aveva per il momento, voglia di tornare in camera.

- Xiao…- mi chiamò dopo un po’

- Sì?- chiesi

- La cosa del parco…- iniziò- Alla fine non me l’hai detto… perché volevi scappare?

- Ero andata a vedere il panda.- ammisi- Ma poi sono arrivati dei tizi armati.

- Tizi armati?- chiese stupito

- Pensavo che tu ne sapessi qualcosa…- commentai sorpresa dalla sua reazione

- No, quello è un posto abbandonato…- disse pensieroso- …che io sappia!

- Non so cosa dirti.- continuai- Comunque avevano le chiavi!

- Le chiavi per entrare dove c’è il panda?

- Sì…

- Ed erano armati?

- Avevano mitragliatori!- mi ricordai- Ho avuto una paura tremenda, perché poi hanno iniziato ad inseguirmi…

- Strano, molto strano…

- Non ne sai proprio niente?- chiesi

Fece di no con la testa in modo convinto.

- Anche se ti chiedo di essere cattivo?- scherzai

- No, anche se faccio il cattivo…- rise

Ero sicura però, che mi stesse dicendo la verità. Era rimasto davvero stupito quando glielo avevo chiesto, non stava mentendo.

- Comunque, sarà meglio non tornarci per un po’.- aggiunse

Lo guardai male.

- Non mi passa per l’anticamera del cervello di tornare in quel posto dopo quello che ho passato oggi!

Rise ancora.

- Lo spero per te…

- È venuta a te l’idea di andarmi a cercare lì, vero?- volli sapere

Lui annuì.

- Ho chiamato Miharu perché avevo paura che se avessi visto me, avresti ripreso a correre.

- Parli di me come se fossi una schizofrenica…- borbottai

- Colpa mia se stamattina hai fatto la schizofrenica?

Gli feci la linguaccia, passammo tutto il tempo a ridere e a stuzzicarci l’uno con l’altro, finché non fui troppo stanca.

Stavo per addormentarmi, quando mi chiamò ancora una volta.

- Xiao…

- Che c’è?- chiesi

- Buon compleanno.

E proprio prima di crollare nel sonno pensai che, se il giorno prima avevo desiderato per una volta avere un compleanno “speciale”, quello lo era stato di sicuro.

 

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Capitolo 9
*** Seoul ***


Freddo… La prima parola che ricordo di aver pensato appena posato il piede sulla città di Seoul.
Rabbrividii stringendomi nel mio piumino bianco. Afferrai il trolley e iniziai ad incamminarmi, seguendo Heiachi e Jin, verso il lato della strada dove ci aspettava il taxy.

Eravamo appena usciti dall’aeroporto. Era la prima volta che viaggiavo in un jet privato. Ma se abiti con Heiachi Mishima, prima o poi dovresti abituarti a questo tipo di agi.

Caricammo le valigie nel bagagliaio dell’auto, prima di prendere posto nei sedili posteriori.
Entrai per prima per avere il privilegio di sedermi vicino al finestrino. Infatti per tutto il tragitto, rimasi letteralmente incollata al vetro osservando la città.

Non è poi così diversa da Tokyo come città, o almeno così sembrava a prima vista, entrambe ultramoderne, con palazzoni e insegne luminose dappertutto. Piuttosto, era diversa come città per la conformazione del territorio, dato che a differenza della zona di Tokyo, Seoul si trova in una regione piuttosto ricca di rilievi.

Io adoro viaggiare! Tutte le volte è un’esperienza nuova.
Per quello ero rimasta estasiata quando Heiachi, appena tornato a casa alla fine di Dicembre, ci disse di iniziare a preparare i bagagli per Seoul.
A dire il vero, sapevo già che voleva portarci con lui in viaggio, l’avevo saputo la stessa mattina che ero scappata. Però date alcune circostanze, con tutte le cose a cui avevo dovuto pensare, non ci avevo più fatto caso.

Non ero mai stata in Corea. Ma era uno dei nomi di una certa lista immaginaria che mi ero fatta di tutti i posti che volevo visitare.
Uno dei miei sogni infatti, è quello di girare il mondo. E un giorno ci riuscirò!

E infatti in quel momento, con il naso quasi attaccato al vetro, osservavo ogni movimento di quella città! Sorridevo mentre registravo con la precisione di una cinepresa, ogni singola immagine che mi passava davanti agli occhi!

-         Guarda Jin!- gli tirai una manica del giubbotto senza distogliere lo sguardo dalla strada- Si vede una ruota panoramica in lontananza!!

-         Umh.. sì.

-         E non dire “umh, sì” come se niente fosse!- borbottai

Poi mi girai verso di lui.

-         Sai cosa vuol dire forse?- sorrisi con entusiasmo

Lui con aria indifferente guardò ancora la ruota panoramica, per poi rispondermi.

-         No. Sentiamo...

-         Vuol dire, forse, che siamo vicini al “Lotto World”!!- spiegai raggiante

Lui non disse niente, ma alzò le sopracciglia guardandomi con aria preoccupata.

-         Sei la persona giusta per smontare l’entusiasmo degli altri…- commentai altezzosa rigirandomi verso il finestrino- Che tipo!

-         Oh, mi spiace!- rise sarcastico- Ma non ho la minima idea di cosa sia questo… come si chiama?

-         Lotto World.- risposi subito- Ma scusa, perché è famosa Seoul??

-         Magari perché è la capitale della Corea…

-         No. Risposta errata!- scossi la testa- È famosa perché ospita uno dei più grandi e famosi parchi dei divertimenti di tutto il continente… il Lotto World!!- spiegai soddisfatta

-         Mah, lo conosci solo tu…- scosse la testa con aria convinta- Ahio!

-         Ti ho detto di non smontarmi l’entusiasmo!- gli avevo tirato un pugno per gioco sulla spalla

-         Se ti fa piacere e se avanza tempo, puoi andare a visitarlo.- propose Heiachi dall’altro lato della macchina

-         Davvero??- sgranai gli occhi

-         Certamente…

Ero felicissima! Io adoro e ho sempre adorato i parchi di divertimento.
Per questo motivo, quando andrò a fare quel famoso giro del mondo, visiterò tutti i maggiori parchi dei divertimenti! Chissà, magari un giorno ne avrò pure uno tutto mio… non sarebbe affatto male come futuro!

Erano circa le sei di sera, quando ci fermammo davanti al nostro hotel a cinque stelle, un palazzone enorme e lussuoso.
L’ora del tramonto era ormai inoltrata e, anche se non era proprio buio, iniziavano a vedersi le prime luci e scritte luminose della città.

-         Mi raccomando! Siate puntuali! Alle nove e mezza!! Non devo fare brutte figure…

Heiachi ci raccomandò mentre il tassista prendeva le valigie dal cofano. Si mise a braccia conserte sulla sua giaccona leopardata, scrutandoci con sguardo severo. Annuii, Jin si limitò invece a lanciargli un’occhiataccia. Ma niente di strano, la comunicazione fra di loro consisteva in urli e occhiatacce.
Il motivo per cui Heiachi ci aveva portati con lui in Corea, era che come suoi allievi, avremo dovuto dare una dimostrazione di quello che avevamo imparato, contro alcuni atleti di una prestigiosa scuola di Seoul.
Quella sera era stato fissato una specie di raduno di pezzi grossi. Uno di quei megaricevimenti noiosi che organizzano i ricchi affaristi piene di gente vestita elegante che sorseggia bicchieri di champagne.

Sicuramente non era proprio la mia serata ideale. Avrei preferito di gran lunga andarmene a spasso per Seoul, ma non potevo fare altrimenti.
Avevamo appuntamento con Heiachi in sala alle nove e mezza. Lui nel mentre aveva detto di avere alcune cose da sbrigare, che non ci aveva spiegato. Per quello eravamo scesi all’albergo solo io e Jin.

Entrammo nella hall, un’immensa sala affollatissima di gente che andava da una parte all’altra. Il pavimento era interamente ricoperto da marmo chiaro, le pareti erano spugnate di una tinta color pesco, con vari quadri e dipinti di arte moderna appesi. Tutte caratteristiche che conferivano una particolare "eleganza" alla sala.
Dopo qualche passo all’interno della sala, davanti alle porte automatiche che si chiudevano dietro di noi, rimasi quasi a bocca aperta vedendo quell’albergo. Ci avvicinammo trascinando i bagagli. Notai felicemente che la sala era ben climatizzata, e si poteva sentire un piacevole tepore.

Arrivati alla reception, Jin azzardò a rivolgersi nella sua lingua, e fortunatamente non ci furono problemi. La receptionist ci rispose in giapponese perfetto, consegnandoci le chiavi.
La nostra stanza si trovava niente po’ di meno che al sessantesimo piano. Ovviamente, puntammo immediatamente all’ascensore.
L’ascensore era praticamente un cilindro di vetro, comunicante con l’esterno dell’edificio, che permetteva di vedere, man mano che salivi, la città che apprestava ad illuminarsi per la notte.
Qualcosa di inverosimilmente spettacolare.

Arrivati davanti alle nostre stanze, Jin infilò la chiave nella toppa.

-         Allora, il tempo di sistemare la roba e poi andiamo, d’accordo?

Guardai l’orologio al polso prima di aprire la mia stanza.

-         D’accordo…- risposi- Fra un’oretta sarò pronta!

-         Ok.- Jin aprì la porta della sua stanza e afferrò la valigia.

-         Magari… anche un’oretta e mezzo!

Mi guardò male con aria di rimprovero.

-         Che non diventino due!- raccomandò prima di entrare

Risposi con una linguaccia.

Aprii anche io la mia stanza e notai che non era poi così diversa, per dimensioni e arredamento dalla mia a casa. Trascinai la valigia dentro e mi avvicinai al letto. Un letto a baldacchino orrendamente lussuoso ed elegante. Che gusti!
Mi sedetti ed iniziai a disfare le valigie. Solo in quel momento mi ricordai dell’abito che mi avevano consegnato prima di partire. L’abito che avrei dovuto usare durante quel ricevimento.
Lo tolsi dalla busta e lo osservai inorridita. Non che fosse brutto come vestito, ma era piuttosto… inusuale per le mie abitudini in quanto ad abbigliamento.

Ma siccome quella era una “megafesta di ricconi eleganti che sorseggiano bicchieri di champagne”, non potevo fare altrimenti. Anche se avrei preferito un miliardo di volte andare al Lotto World indossando una felpa e un paio di jeans.

Andai a farmi una doccia, poi attaccai la piastra per i capelli. Li asciugai bene, ciocca per ciocca, come di solito per pigrizia non faccio mai, e poi andai a provarmi il vestito.
Era… ok, abbastanza carino. Azzurro pallido, un po’ scollato sul davanti, che scendeva sagomato. Era lungo poco più delle ginocchia, con uno spacco sul lato destro.
Sembravo… non sembravo io!

Mi passai la piastra sui capelli per averli lisci perfetti! In genere ho comunque i capelli lisci, ma non perfetti come dico io!
Tornai a guardarmi allo specchio per intero indossando anche le scarpe. La prima volta che indossavo dei tacchi così alti!
Osservai la mia immagine riflessa. Decisamente, stentavo a riconoscermi. Sembravo addirittura qualche anno più grande. E quella situazione mi faceva ancora di più sentire a disagio.

Mi accorsi di aver finito decisamente prima di un’ora e mezza, probabilmente Jin stava ancora aspettando che finissi di prepararmi. Presi le chiavi ed uscii dalla mia stanza. Potevamo iniziare ad andare visto che avevo fatto in anticipo!

Il corridoio era deserto, se non fosse per un tipo abbastanza strano che stava davanti all’ascensore. Notai che appena uscita, quello si voltò verso di me. Non ebbi il coraggio di guardarlo in faccia, talmente mi sentivo in imbarazzo!
Probabilmente sembravo una specie di contessa, come ero vestita. Alzai la mano per prepararmi a bussare, ma mi bloccai a metà per l’imbarazzo. Non mi andava proprio di farmi vedere così, tanto meno da Jin. Però non potevo farci niente!! Dovevo andare così... anche se non mi sentivo me stessa.
E poi comunque "Solo per stasera..." pensai "Ma chi se ne frega?!"
Presi coraggio e bussai con energia.

-         Guai a te se fai qualche commento!- anticipai appena ebbe aperto la porta.

Rimase a guardarmi per qualche secondo con aria sorpresa. Mi squadrò dalla testa ai piedi. Aprì la bocca per parlare, ma non uscì niente.

-         Zitto! Non voglio sentire niente e non metterti a ridere!- ordinai severa

-         Che scema! Ahahaha…- rise

-         Ti ho detto di non ridere!!!!

-         Ma non sto ridendo per te!!- ribattè- Cioè, sì… ma per quanto sei tonta!- poi riprese- Non stai male…

Lo guardai con sospetto.

-         Sei solo… diversa dal solito…- continuò

-         Lo so.- aggiunsi piagnucolante- Lo sto odiando questo vestito!

Sorrise divertito. In quel momento guardai come era vestito lui e..

-         Perchè non sei ancora pronto?!- sbraitai appena me ne accorsi

-         Non farti venire una delle tue solite crisi isteriche, per favore!- mi bloccò alzando gli occhi al soffitto

-         Meno male che ero io quella che faceva tardi!!

-         Avevo un’ora e mezza a disposizione e me la sono presa con comodo.- rispose beffardo

Non dissi niente, gli lanciai un’unica e significativa occhiataccia. Quello stesso linguaggio di sguardi non verbale, che lui conosceva bene.
Dopo questo, recepito il messaggio, andò a cambiarsi.
Ci mise mezz’ora, e ripeto, mezz’ora prima di finire di prepararsi! Alla faccia delle ragazze, che passano sempre per essere quelle che fanno tardi!

*

Fu un’impresa non da poco conto riuscire a camminare con quei tacchi. Mi sentivo sui trampoli e avevo il terrore di finire a terra fra risate e commenti in coreano che non avrei capito. Indossavo sopra un cappotto lungo beige e molto pesante.

Per raggiungere il posto dove eravamo attesi per quella serata, avremo dovuto prendere la metropolitana. Una cosa piuttosto semplice, se non fosse che tutte le scritte nella mappa erano in coreano ed era assolutamente impossibile per noi, capirci qualcosa.
La stazione era affollatissima, piena di gente d’ogni tipo, ma la maggior parte sembravano di quegli uomini d’affari sempre di fretta con la ventiquattrore alla mano.

-         Dunque, noi dovremo arrivare al distretto “Dongjak-gu”…- rifletté a voce alta Jin- Ma noi siamo in questo… “Gangnam-gu”.

-         E come accidenti facciamo a capire dove andare, e quale linea prendere se non si capisce niente?- sospirai sedendomi in una panca appena liberata.

L’ho già detto che stavo letteralmente odiando quei tacchi? Mi sa di sì...

-         Lo chiedo a quello dei biglietti.- alzò le spalle tranquillamente Jin- Se gli parlo in inglese, penso che mi capirà…

Ci voltammo verso la biglietteria e osservammo la fila davanti allo sportello. Era un qualcosa di inverosimilmente affollato.

-         Sei davvero coraggioso…- commentai ironica

-         Beh, prima o poi avremo dovuto farli i biglietti, no? Abbiamo abbastanza tempo?

-         Sono le otto.- risposi- Sarebbe meglio non perderne altro. Non sappiamo quanto possa essere lontano.

-         Ok, andiamo?

Gli feci gli occhietti dolci.

-         Ti aspetto qui seduta.- dissi con un grande sorriso lecchino

-         Ma guarda che…- iniziò a denti stretti- La prossima volta la fila la fai tu!- si lamentò guardando la fila con aria preoccupata

-         Io sono giustificata, almeno tu non hai nessuna tortura ai piedi! E poi cosa ti cambia, in ogni caso l’avresti dovuta fare tu la fila. Non sono brava con l’inglese…- calai il tono di voce finendo la frase.

C’era sempre la remota possibilità che gli venisse in mente il fatto di darmi ripetizioni anche di quello.
Si girò sbuffando e si mise ad aspettare dietro l’ultimo della fila.

“Che cosa faccio nel mentre?” pensai.

Mi accorsi di aver piuttosto fame.
Avevamo fatto un pranzo molto veloce prima di partire. Per quello, avevo avuto la grande idea di fermarci in un fast food prima di andare alla metropolitana. Ma dato che eravamo già abbastanza in ritardo, avevamo preso dei panini e delle patatine da mangiare durante il tragitto.

Avevo appoggiato la busta nella panca, accanto a me. La guardai.
Non volevo mangiare di già, avevo solo intenzione di rubare una patatina. Una sola. Il tanto che basta per placare un piccolo languorino.
Aprii la busta di un piccolo spiraglio, e afferrai la scatoletta delle patatine.
La tolsi fuori e la aprii.

Una sola! Dovevo mangiarne una sola. La scelsi fra quelle più belle e la mangiai lentamente, per riuscire a gustarla in tutta la sua essenza di patatina fritta. Nel mentre ero girata a vedere se Jin stava guardando. No, era impegnato a sbuffare e a vedere quanta gente ancora aveva davanti.
"Quasi quasi ne prendo un’altra." Inoltre cosa importava? L’importante era non mangiarle tutte e lasciargliene qualcuna. Riaprii la busta e ripresi la scatolina. Avevo spostato la busta troppo sull’orlo della panca però, e come una persona ci passò vicino, cadde a terra.

Con un gesto fulmineo cercai di acchiapparla al volo, ma senza risultato.
Mi alzai e la raccolsi, sperando di non aver causato troppi danni.

Avendo abbassato lo sguardo a terra, mi accorsi di un ragazzo nella parete di fronte a me che catturò la mia attenzione. Era un tipo decisamente strano! Aveva metà faccia coperta da degli enormi occhiali da sole a goccia, fumava una sigaretta tenendola fra due dita sottili, aveva capelli "arancioni" lunghi che cadevano sulle spalle. Indossava un paio di pantaloni neri strettissimi fino alle caviglie e una giacca in pelle dello stesso colore molto aderente.

La cosa che mi colpì più di tutte furono i suoi capelli, arancioni… ma ora che ci pensavo, non era la prima persona che avevo visto con i capelli di quel colore. Da quando ero arrivata, avevo già notato questo particolare da qualche parte, ma non riuscivo a ricordare.

Notai che guardava proprio verso il punto in cui ero seduta, ma dati gli occhiali da sole, non potevo essere sicura che fissasse proprio me. distolsi lo sguardo, un po’ turbata a dire la verità, e presi un’altra patatina facendo finta di niente. Richiusi la scatoletta e la conservai. Ogni tanto spostavo lo sguardo su di lui, ma quello non accennava a un movimento.

Mentre lo guardavo, mi venne in mente di averlo già visto da qualche parte. Tentai di ricordarmi dove potevo averlo già visto, ma senza risultato. E intanto quello continuava a tenere lo sguardo fisso verso la mia direzione. Era solo una mia impressione?

-         Sono sopravvissuto…

Jin mi aveva appena raggiunta tenendo in mano i due biglietti e osservando le scritte di uno.

-         Secondo me mi ha imbrogliato con i soldi…- borbottò arrabbiato- Si approfittano degli stranieri, che non conoscono…

Io continuavo a guardare verso quel tipo, che appena Jin fu arrivato, si spostò verso l’uscita. Lo seguii con lo sguardo, svoltò in un angolo più avanti e lo persi completamente di vista.

-         Cosa c’è?

Jin aveva notato la mia espressione pensierosa, e si era voltato verso la direzione dove stavo guardando.

-         Ho visto…- iniziai- Niente, lascia perdere.

Sorrisi per lasciare scorrere l’argomento.

-         Allora… andiamo?- chiesi prendendo il biglietto che mi stava porgendo

Lui annuì guardando il tabellone con la mappa della metro.

-         Da questa parte… Hey, non avrai finito le patatine?!!

*

Fortunatamente arrivammo in orario alla sala. L’incontro si rivelò essere esattamente quello che mi ero aspettata. Un incontro tra personaggi importanti tremendamente noioso e disagevole. Io e Jin eravamo obbligati a stare appresso ad Heiachi e a salutare e sorridere ad ogni persona che ci presentava. Qualcosa di orribilmente deprimente.

Ogni tanto, tra un sorriso finto e l’altro, io e Jin ci scambiavamo un’occhiata di intesa, come se non desiderassimo altro che la serata finisse al più presto.

Finalmente, dopo circa due ore di presentazioni, Heiachi si dovette allontanare dalla sala per una telefonata. Approfittai dell’occasione per appropriarmi di una poltroncina dove poter finalmente riposare i piedi che quelle maledettissime scarpe mi stavano massacrando. Da quel giorno, nel caso non si fosse capito, il mio odio per i tacchi crebbe inverosimilmente.

Osservai la sala schermita di gente. Erano tutti uguali, sembravano usciti dallo stesso stampino tutti quanti. Gli uomini tutti vestiti in abito scuro elegante, le donne tutte con lo stesso tipo di vestito, lungo e serio. Certo, non avrei mai pensato che un giorno avrei partecipato ad una serata del genere. Ma a volte si sa, la vita fa degli strani scherzi.

Jin invece, sembrava indifferente come al solito. Quella era un ricevimento noioso, ce lo avevano portato, e trascorreva il tempo come se niente fosse. In quel momento era davanti al tavolo, che si preparava qualcosa da bere.

Anche lui era, per così dire, insolito.
Non l’avevo mai visto vestito elegante, però dovevo ammettere che non stava affatto male, si adattava bene a quello stile.
Non potevo fare a meno di notare quanto fosse carino. E mi ricordai anche... che era la stessa cosa che avevo pensato quella sera, nel giorno del mio compleanno.
Ecco, ci stavo di nuovo pensando!! Mi rimproverai da sola e cercai di allontanare quel pensiero dalla mente.
Ma più uno cerca di non pensare ad una cosa, più la pensa! È inevitabile.
Mi ero promessa di non pensarci più. Nessuno dei due ne aveva mai più parlato. Era tornato tutto esattamente come prima di quel momento.
Come se non fosse mai successo niente.

Ma sapevo che nonostante tutti gli sforzi del mondo, non saremo mai riusciti a dimenticarla.
E come non potevo io, non poteva lui.
Dal momento che… era stato così dannatamente bello. E anche se tentavo di non pensarci, questo non potevo negarlo.

Distolsi lo sguardo da lui e mi girai verso l’altro lato della sala, osservando gli altri invitati. E proprio mentre guardavo loro, notai qualcosa che mi fece quasi impallidire.

Sbattei le palpebre per lo stupore. Come era possibile che…
Allora non mi ero sbagliata! Ero molto confusa però, c’era qualcosa di veramente strano. Decisamente strano! Nonchè alquanto preoccupante...
Avevo bisogno di dirlo a qualcuno.

Mi alzai e mi diressi verso il tavolo del rinfresco, lottando per tenere lontani i pensieri di poco prima. Mi avvicinai a Jin e lo afferrai per un braccio.

-         Devo dirti una cosa, vieni.

Prima mi guardò interrogativo, poi mi seguì fino alla poltroncina dove ero prima. Mi sedetti e rimasi girata verso di lui, guardandolo in faccia.

-         Fai come ti dico, adesso.- spiegai seria- Non fartene accorgere, però!

Lui, perplesso, annuì in silenzio.

-         Bene! Lungo la parete alle mie spalle c’è una finestra.. No! Non guardare adesso!- lo rimproverai- Dicevo, c’è la tenda, ok? All’estremità c’è un tipo strano che guarda verso questa parte. Quello appoggiato al muro, lo vedi? Fai piano, però!

Lui spostò lentamente gli occhi dove gli avevo dato indicazione di guardare e poi tornò su di me.

-         Sì, lo vedo… e allora?- chiese confuso

-         L’ho già visto! Ci sta seguendo. O forse sta seguendo me!- spiegai- Era alla stazione della metropolitana poco fa, che mi fissava.

Il ragazzo era appoggiato al muro, in disparte da tutti. Sembrava essere nervoso. Ogni tanto si guardava attorno o guardava l’orologio, come se stesse aspettando qualcosa, o qualcuno.

-         Sei sicura di quello che dici?- fece Jin con aria poco convinta

-         Sì…- annuii seria- E ora che ci penso…

In quel momento ricordai dove l’avevo già visto quei capelli arancioni! Il tipo strano che avevo visto davanti all’ascensore dell’albergo!!
Era sempre lo stesso, era lui!! Ne ero sicura!!

-         Era anche in hotel!- esclamai portandomi una mano alla bocca

Proprio in quel momento, il ragazzo si girò e iniziò a camminare lentamente verso la nostra direzione.

-         Sta venendo qui!- esclamai con voce strozzata- Cosa facciamo?

-         Niente…- rispose Jin alzando le spalle- Vediamo cosa vuole…

Il ragazzo però non arrivò da noi, bensì svoltò frettoloso dietro una porta secondaria.
Osservai la scena confusa.

-         Sei sicura che ci stia seguendo?- chiese dubbioso

-         Al cento per cento!- risposi- Come ti spieghi che l’abbia già visto in tre posti diversi? Quello mi sta seguendo!- insistetti- Mi fissa sempre! Sono sicura, dietro quegli occhiali da sole...

-         In questo caso…

Jin si alzò in piedi e fece qualche passo verso la direzione della porta dalla quale era uscito.

-         Che vuoi fare?!- chiesi un po’ allarmata

-         Andare a vedere dove è andato…- disse continuando a camminare

-         Aspetta!- lo fermai raggiungendolo- E se… e se è un tipo pericoloso?

-         Beh, penso di essere in grado di difendermi…- ironizzò con sorrisetto idiota

-         Non fare lo scemo! E se è armato?

-         Tu non essere paranoica! Voglio vedere solo dove va, non voglio fare a botte con nessuno…

-         E se è un rapitore? Cioè, insomma io sto a casa di Heiachi Mishima, che è un pezzo grosso, e se hanno in mente di rapirmi?- chiesi un po’ turbata

Jin non rispose ed aprì la porta. Lo seguii. Ci ritrovammo all’esterno, era di sicuro una specie di uscita d’emergenza, c’era una rampa di scale in ferro che scendevano fino ad una specie di terrazzo. Jin iniziò a scendere per qualche scalino.
Rabbrividii, e non sapevo dire se era per il freddo, o per paura. Avevo un brutto presentimento. Non volevo che scendesse.

-         Hey torna qui!- lo chiamai

Non rispose e continuò a scendere.

-         E dai! Torniamo dentro!

Ma parlare alla scala di ferro sarebbe stato più utile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** The Blood Talon ***


Non c’era verso di convincerlo. Ormai lo conoscevo bene, e sapevo che per quanto fosse testardo, non sarebbe tornato indietro molto facilmente.
E questo, lo confermava il fatto che sentivo i suoi passi sulla scala metallica, sempre più lontani.
Sbuffai e mi mordicchiai le labbra nervosamente.

"Che faccio?"

Potevo decidere di seguirlo, o di starmene lì tranquillamente ad aspettare.
E mentre cercavo di prendere una decisione, i suoi passi si facevano sempre più lontani.
Era inutile stare ferma, e finalmente mi decisi.
Feci un solo passo, e rischiai di scivolare, per via di quelle dannatissime scarpe.

-         Uhrg...- per fortuna riuscii ad aggrapparmi al corrimano e ad evitare di cadere.

In quel momento però sentii il nervoso salirmi fino all'orlo del sopportabile. Non ne potevo veramente più!!
Mi sfilai le scarpe e rimasi a piedi nudi sul freddo del metallo. Mi venne anche la tentazione di scaraventarle nel vuoto, in mezzo a tutte quelle luci colorate della città, ma poi pensai che potevano comunque essere buone per la vendita!

Sia la fretta, che il fatto di essere scalza su una scala di ferro ghiacciato, furono due buoni motivi per scendere velocemente!
Raggiunsi in poco tempo Jin, che mi aspettava alla fine delle scale con un sorriso soddisfatto stampato in faccia, come per dire "lo sapevo che mi avresti seguito!"

Risposi con uno sguardo imbronciato, e mi concentrai invece nel studiare la terrazza dove eravamo arrivati.
Era uno spazio molto ampio, che fungeva da tetto per una struttura adiacente al grattacielo.
Al centro, invece di esserci normalmente il pavimento in pietra, c'erano degli spessi vetri, dai quali era possibile vedere la sala sottostante. Era un po' come se fosse un enorme lucernaio.

La terrazza era abbastanza illuminata, proprio grazie alla luce che filtrava da quella vetrata. Il perimetro era delimitato da delle ringhiere di ferro dalla forma particolare, nei quattro lati, inoltre, erano sistemate alcune statue dall'aspetto mitologico, posate su dei blocchi di marmo.

E proprio su uno di questi blocchi marmorei, stava seduto un ragazzo. Quello stesso ragazzo dai capelli dal colore così insolito e dall’atteggiamento misterioso.
Lo notai solo dopo che Jin mi fece un piccolo cenno con la testa, verso la sua direzione.

Rimanemmo immobili davanti a lui, alla distanza di pochi metri. Rimanevamo fermi, ad aspettare una sua prima mossa.
Il ragazzo sorrise compiaciuto, mentre si avvicinava alle labbra una sigaretta.
Inspirò un'ultima volta, prima di gettarla e di spegnerla sotto la punta delle scarpe. Dopo di che si alzò e si avvicinò di pochi passi a noi.

Guardava fisso verso di me.
“Lo dicevo io!!” continuavo a ripetermi fra me e me "Centro io! Sicuramente!"

Camminò fino a quando la distanza fra noi, fu solo di qualche decina di centimetri. Per la prima volta lo vidi bene in volto.
Mi accorsi che era molto più giovane di quello che mi era sembrato. Era decisamente bello come ragazzo, alto e ben formato, dai lineamenti decisi e occhi pieni di vigore. Avrà avuto diciannove anni, o venti al massimo.
"Non può essere quindi il capo di un’organizzazione criminale..."

Sorrise malignamente per un paio di secondi che sembrarono un’eternità.

-         Finalmente ci incontriamo…- esordì poco dopo rivolgendosi in Giapponese

Aveva una voce acuta e squillante, nonché incredibilmente virile.
E manteneva la sua solita espressione sicura di se, guardandomi fisso negli occhi gelido.

-         Sei spaventata? Ti faccio paura?- mi derise il ragazzo ridendo

E se in un primo momento potevo aver avuto paura, quella sua frase, fu come se mi avesse svegliata.
Non sopporto quando la gente ride di me. E soprattutto, io non avevo paura!
O almeno, non più.

-         Non so nemmeno chi tu sia… Perchè dovrei avere paura?- mi congratulai con me stessa per aver mantenuto un tono di voce persuasivo

-         A questo possiamo rimediare, Mishima!

Aggrottai le sopraciglia senza capire. Io... “Mishima”?
Ma cosa aveva capito questo?!

-         Cosa vuoi da lei?- intervenne con voce calmissima Jin

Per la prima volta, l'altro ragazzo sembrò accorgersi di Jin.

-         E a te cosa importa?- chiese seccato

-         Beh, tanto per iniziare, l’hai chiamata Mishima quando con i Mishima non ha proprio niente a che fare. Secondo…

-         Come non ha niente a che fare?- rise l’altro- Mi prendi per idiota, forse?

Jin rimase a pensarci per una manciata di secondi, poi sorrise malignamente.

-         Può darsi…

Questo gesto fece innervosire parecchio il ragazzo dai capelli rossi, ma si limitò a ridere piano, come se ridesse per sua ingenuità.

-         Tu non sai chi sono io, ti guarderesti bene dal darmi dell’idiota…- lo ammonì serio

Jin non cambiava espressione, rimaneva impassibile.

-         E chi saresti dunque?

-         Tutti mi conoscono come Hwoarang, ma anche Blood Talon. Per me non fa differenza.- finì a denti stretti

Decisi che era il momento di rientrare nella conversazione.

-         Comunque, tornando al punto di partenza, cosa vuoi da… me?

Lui mi guardò di nuovo, gelido.

-         Solo un piccolo favore.- ghignò

-         Sarebbe?- continuai

-         Un piccolo accordo. Mi servono i dati che il tuo caro nonnino ha raccolto su Ogre... e se non vuoi che ti succeda niente...- stava iniziando a minacciare

-         Su.. cosa?- lo interruppi- … a mio nonno??

Strabuzzai gli occhi e soffocai una risatina forzata.

-         Credo che tu abbia fatto un po' di confusione.- aggiunsi dopo

-         Scusa non afferro il concetto…- ridusse gli occhi a due sottili fessure poco divertito

-         Non è la nipote di Heiachi Mishima, idiota…- intervenne Jin deridente

-         Tu finisci male stasera.- lo minacciò irritato- Ti ho già detto di non provocarmi!

Detto questo, Hwoarang si rivolse a me con aria severa.

-         Non sei la nipote di Heiachi??- chiese sgarbato

-         No!- risposi esasperata

-         Come sarebbe a dire?!- si infuriò- Ma chi sei??

-         Ehm…- non trovai subito una risposta esauriente. Era troppo lungo da spiegare.

-         Io so per certo che quel bastardo di Mishima si è portato dietro la nipote!- ribatté convinto.

Stava iniziando ad alterarsi. Aveva i nervi a fior di pelle.

-        Heiachi Mishima non ha altri nipoti a parte me. Sono io suo nipote...- lo avvertì Jin

Hwoarang rimase sconcertato per qualche secondo. Probabilmente non sapeva se crederci o no.

-         Cosa avevi intenzione di fare?- Jin alzò lentamente gli angoli della bocca mostrando un sorriso amaro- Ricattarlo in questo modo? Tramite la presunta… nipote?

L'altro non rispose, serrò i pugni e abbassò gli occhi sogghignando. Si stava innervosendo seriamente.
Probabilmente anche perchè non riusciva a digerire il fatto di aver commesso un simile errore.

-         Cosa sai su Ogre?- lo stuzzicò Jin- Perché ti servono quelle informazioni?

Non rispose, abbassò solamente il capo sogghignando malvagio.

-         Non sono affari che ti riguardano…- Si fermò per un po' di tempo.- E comunque, dato l'andamento delle cose... non perderò altro tempo con voi...

E detto questo, fece per girarsi e andarsene.

-         E invece rispondimi!- ribatté scontroso Jin- Cosa sai su Ogre?

-         Ti ho già ripetuto di moderare il tono di voce!- esplose Hwoarang- Sei già stato fin troppo fortunato!

Jin scoppiò a ridere sarcastico.

-         Pensi di farmi paura?- lo sfidò con tono amaro- Avanti, dimmi che diamine centri tu con Ogre e facciamola finita...

Non capivo. Rimanevo ferma in piedi ad assistere alla scena, senza fiatare.
Di cosa stavano parlando? Perché Jin aveva tanta premura di avere informazioni riguardo quell’Ogre? E così pure Hwoarang?
In effetti, una piccola idea ce l’avevo anche. Ma speravo di sbagliarmi.

-         Ti ho detto che non sono affari tuoi!!- sbraitò l’altro rigirandosi di scatto con fare minaccioso

-         Hey, ragazzi… calmi…- tentai di alleggerire la tensione

-         Sono pochi quelli che possono vantarsi di avermi provocato e di averla passata liscia.- avvertì il Blood Talon

Jin sorrise amaramente.

-         Questa frase ha un tono di sfida.- commentò calmo- Ma non mi abbasserò al tuo livello di risse da strada.

-         Abbassarti al mio livello?!- chiese furioso l’altro - Se ti credi tanto superiore, allora dimostralo!!

-         Ho detto che non ho intenzione di combattere con te. Non ne ho motivo.- ribattè Jin con la solita aria distaccata

Era incredibile vedere come avesse la capacità di mantenersi così calmo e tenace anche nelle situazioni più pungenti.
A differenza di Hwoarang, Jin non si faceva prendere per niente dalla rabbia, dal nervoso. Era come se queste cose non lo toccassero minimamente.
E quel suo modo di fare, così deciso e sicuro di se, era certamente uno dei suoi aspetti che lo rendevano così... particolare!

-         Bene…- aggiunse Hwoarang poco dopo- Sai, io non sopporto i tipi come te. Quelli che si reputano superiori solo perchè nati nella crema della società.

Fece qualche passo avanti tenendo lo sguardo fisso davanti a se.

-         E odio soprattutto…- abbassò il tono di voce- ...essere sminuito da queste persone, che della vera vita non ne sanno proprio niente invece!

Si fermò fulminando l’interlocutore con lo sguardo.

-         Ti sfido.- continuò- Te la cavi nel combattimento. Siete qui per degli incontri, non è vero?- domandò facendo un cenno verso di me- A quanto pare, su questo non ho sbagliato.

Finì la frase riferendosi all’equivoco di poco prima.
Jin non aveva risposto. Sapevo che più di ogni altra cosa, odiava essere giudicato per le sue origini. O almeno, per quanto riguardava la famiglia Mishima.

E c'è una cosa che da sempre, ha portato gli esseri umani ad entrare in contrasto con i loro simili.
In modo più o meno grave, le persone odiano quando viene toccato quel qualcosa del loro "essere", che sta a tutti tanto cara; la dignità.
Ed era stata proprio la cara e amata dignità, a far scaturire la scintilla di quell’incontro.
Quel combattimento al quale rimanevo ad assistere in disparte con gli occhi velati, senza poter fare nulla. Completamente impotente.

Un incontro senza giudici, senza round, e senza tempo.

Quello che più comunemente, era chiamato “combattimento di strada”.

I colpi diventavano sempre più decisi, più rapidi, cosicché dopo poco tempo, entrambi si ritrovarono immersi completamente nello spirito della lotta.
E non si trattava di una dimostrazione di maggiore forza o capacità di uno dei due. Combattevano ormai da qualche minuto, ma nessuno sembrava prevalere sull’altro. La sfida, piuttosto, stava diventando un gioco di velocità e prontezza di riflessi.

Hwoarang utilizzava delle tecniche basate prevalentemente sui calci. Calci molto veloci e alti. Si muoveva con un atteggiamento piuttosto offensivo, mentre Jin preferiva stare sulla difensiva. Studiava i movimenti di Hwoarang, tentava di prevedere le sue mosse, per poi contrattaccare.

In entrambi i volti, si poteva notare una nota di stupore. Tutti e due, infatti, erano partiti col sottovalutare l’altro. Pensando di dover affrontare un incontro veloce e praticamente già vinto. Quello però, si stava rivelando lungo e tutt’altro che facile.

Passarono cinque minuti, poi dieci, poi un quarto d'ora.

I due ragazzi si guardavano negli occhi, durante una pausa, uno di fronte all’altro, i lineamenti del volto contratti in un espressione tesa e affaticata. Ansimavano, sfiniti, dopo quasi un quarto d’ora che combattevano.

Erano stanchi morti, ma non si sarebbero mai arresi prima dell’altro. Ma non potevano continuare così, e io non potevo stare a guardare con le mani in mano.

Corsi verso di loro e mi posizionai proprio fra l’uno e l’altro.

-         Levati dalle palle tu!!- strillò Hwoarang ancora in guardia

-         Non potete continuare!- risposi severa

-         Xiao, spostati!- mi ordinò Jin dall’altra parte

Mi voltai verso di lui e lo guardai con aria di rimprovero.

-         Basta. Il combattimento è finito! Siete pari, possibile che non lo vediate?!- domandai alzando lo sguardo esasperata

-         Non è finito proprio un bel niente, invece!!- ribattè Hwoarang

Stavo proprio per rispondere, quando una sirena di un allarme squarciò l’atmosfera in un secondo.
Stupefatti, ci voltammo tutti e tre verso i piani alti del grattacielo, da dove sembrava provenire l’allarme.
Non ci bastò il tempo di dire una parola, che il bagliore e il boato di un’esplosione ai piani alti ci precedette.

Fu un'esplosione talmente forte che mi parve di sentire le vibrazioni propagate fino al pavimento sotto i miei piedi. E non so se fu solo una mia impressione o no.
Restai a guardare impietrita portandomi le mani davanti alla bocca. Cosa stava succedendo? Era il piano della sala del ricevimento?
Anche Jin e Hwoarang erano esterrefatti, e osservavano la scena a bocca aperta.

L’esplosione, lasciò presto spazio alle fiamme.
Non so per quanto tempo rimanemmo così, impalati col naso all’insù ad osservare quello strano e sconvolgente spettacolo, solo poco più tardi, mi venne in mente una cosa.

-         Heiachi!- esclamai rivolgendomi a Jin

Lui annuì solamente, alzando le spalle, ma senza staccare lo sguardo dal bagliore delle fiamme.

-         Direi… di iniziare ad uscire.- disse

-         Ma… è la sala del ricevimento?!- domandai agitata

-         Non si capisce…- Jin strinse le palpebre per riuscire a vedere meglio

-         Io… mi tolgo di mezzo…- Hwoarang deglutì alla mia sinistra

Lo guardai con aria interrogativa, senza capire a fondo la sua reazione.

-         Non è che centri qualcosa?- Jin lo guardò investigativo

-         Scherzi?!- si alterò quasi offeso l’altro- Il massimo che ho fatto esplodere erano i cassonetti dietro casa mia da ragazzino!!

-         Ok..- Jin alzò le spalle sulla difensiva- E allora perché tanta fretta?

-         Perché fra un po’ questo posto pullulerà di agenti di polizia, e la cosa non è che mi vada tanto a genio…- ammise mordicchiandosi il labbro nervosamente

-         Come mai?- azzardai a chiedere

-         Non sono affari tuoi, ragazzina!!- rispose lui acido

Cavoli quanto era scontroso!!
Mi immaginavo una risposta del genere, quindi non ci feci caso più di tanto. Piuttosto continuai a guardare verso l’incendio preoccupata.
Era scioccante pensare che, se forse non fossimo usciti poco prima, saremo stati coinvolti nel…

Non volevo nemmeno pensarci, ero rimasta a dir poco sconvolta.

-         Beh, io vado. Voi non mi avete visto, io non sono mai stato qui, intesi?!- fece il Blood Talon pronto per girare i tacchi e squagliarsela.- E comunque…

Poi si bloccò improvvisamente, come se qualcosa gli fosse tornato in mente.

-         Noi due abbiamo un conto in sospeso…- disse in tono di sfida a Jin

-         Ah, giusto!- fece lui ricordandosi- Devi ancora dirmi cosa hai a che fare con Ogre!

Hwoarnag calciò a terra esasperato.

-         No, idiota! Il combattimento!! Non abbiamo finito!!

Jin fece una smorfia.

-         Ma lasciamo le cose così, cosa te ne frega?! Abbiamo finito in parità, punto. Ho ben altro a cui pensare.

-         Non mi interessa! Ci risfideremo!!- esclamò Hwoarang deciso- Tra l’altro, non mi hai ancora detto il tuo nome…

-         Jin Kazama.- rispose con un sospiro esasperato

-         Bene, Kazama. Ci rivedremo!

Detto questo, si avviò verso la vetrata che separava l’interno del palazzo, con la terrazza.

-         Entriamo anche noi.- proposi

Jin annuì pensieroso, stava ancora pensando a quello che era appena successo.
Ci dirigemmo verso la porta ed entrammo nel corridoio.

Dentro, il caos più totale.
Era pieno di gente che correva, poliziotti e vigili del fuoco che salivano le scale e tentavano di calmare la folla.
Non era prudente prendere l’ascensore in quel momento, quindi optammo per le scale.
Erano affollatissime, piene di gente che correva e schiamazzava spaventata.

-         Sembra che dovrò stare ancora con voi.- disse una voce alle nostre spalle

Mi voltai all'indietro e vidi che Hwoarang ci aveva nuovamente raggiunto, scendendo le scale dietro di noi.

-         Perchè sei tornato?- chiesi

-         È pieno di sbirri qua intorno, e desterò meno sospetti se mi muovo con qualcuno.- spiegò abbastanza tranquillamente, ma non ci mise molto a non smentirsi col suo tono insopportabile - Qualche problema, mocciosa?

-         Ce l’ho un nome! Usalo, porca miseria!!- mi lamentai- Xiaoyu…

-         Che?!- chiese lui sgranando gli occhi

-         Poi ti insegnerò a pronunciarlo…- tagliai corto

-         Ci siamo quasi…- intervenne Jin

Eravamo quasi arrivati al piano terra, dove c’era una folla immensa. Ancora peggio che nelle scale.
Le persone, ormai fuori pericolo, erano state tutte bloccate, per essere perquisite dalla polizia prima di lasciare il palazzo. Evidentemente volevano assicurarsi che i colpevoli dell’esplosione non lasciassero l’edificio.

-         Merda!- commentò la finezza di Hwoarang

-         Ma che problemi hai? Sei ricercato?- chiese Jin con superiorità

-         No!- rispose secco- Ma ho dei piccoli precedenti, ecco... e sicuramente sarebbe strano se trovassero me in un palazzo pieno di gente del genere, no?

Gesticolò verso l'altra gente intorno a noi. E in effetti, non aveva tutti i torti.
Guardò poi con sguardo preoccupato l’uscita, sorvegliata da diversi agenti in divisa.
Non c’era modo di uscire da altre parti. O almeno, così sembrava.

 

 

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Capitolo 11
*** L'agente di Hong Kong ***


Ci sono persone difficili da comprendere, persone che anche se credi di conoscerle in tutto per tutto, conserveranno dentro di sé sempre qualche piccola parte nascosta del loro essere, che custodiscono gelosamente.
Sì, decisamente, ci sono persone veramente difficili da imparare a conoscere.

Ed è meno frequente invece, trovare quell’altro tipo di persone, che riesci a capire dopo una mezz’oretta scarsa con cui hai avuto a che fare.
Uno di questi, era Hwoarang.

E non si tratta di superficialità. Alcuni lo chiamano sesto senso, o semplicemente… intuito!
E non era affatto difficile infatti, capire che quello sguardo seriamente preoccupato, non rientrava nelle sue abitudini.

Era nervoso, nervosissimo per essere precisi!
I suoi occhi seguivano veloci le masse di gente che si dirigevano verso le uscite, verso gli agenti in divisa e venivano controllati.
Il suo viso, le sue labbra, erano contratte in un’espressione irrequieta.
E si capiva, che non era il tipo abituato a queste situazioni.

A guardarlo così, sembrava piuttosto il classico furfantello che riesce a cavarsela in mille situazioni, scivolando sulle più diverse e immaginabili peripezie e abituato da sempre ad uscirne vincitore.

Questa volta non c’era via d’uscita invece, per Hwoarang. O almeno, questo era quello che pensavamo tutti e tre.
Ma come succede nei film, il famoso “furfantello”, spesso riesce a cavarsela non tanto per le sue virtù, la sua astuzia, ma molto spesso solo per una questione che definirei più… imprevedibile!

Alcuni lo chiamano destino, altri sorte, altri ancora fortuna. Ma è proprio nei casi più eclatanti della serie, che il termine più adatto sarebbe non tanto riferito a qualcosa di astratto, ma è legato più ad una questione “fisica” nel senso letterale del termine.
E in effetti, dava proprio l'idea che per tutti i guai che potessero capitargli, c'era sempre qualche colpo di questa "fortuna" a risistemargli le cose.

-         Hey…- lo svegliai dalla sua immobilità

Ma con una mano, Hwoarang fece cenno di non continuare.

-         Jin Kazama e Ling Xiaoyu suppongo…

Una voce dietro di noi, catturò la nostra attenzione.
Ci girammo simultaneamente per vedere chi aveva parlato.

Era un uomo sui quarant’anni, aveva capelli neri, lisci e lunghi, raccolti in una coda di cavallo dietro alle spalle, gli occhi erano coperti da un paio di occhiali da sole scuri.
Aveva un’aria a dire il vero un po’stravagante, ma sembrava comunque una persona affidabile.
Sorrise.

-         Finalmente vi conosco!- aggiunse- Sono un poliziotto.

Guardai apposta l’espressione di Hwoarang, si sforzava di mantenere la calma, con uno scarso risultato.

-         Sono il detective Lei Wulong, della polizia di Hong Kong, ma potete chiamarmi Lei.- concluse con una strizzatina d’occhio- Piacere di conoscervi!!

A prima vista sembrava una persona socievole, ma la cosa strana era che sembrava piuttosto contento di averci incontrato.

-         Ehm, piacere mio…- risposi nascondendo le mie perplessità

-         Sapevo che Heiachi vi avrebbe portato appresso e ho preso subito l’incarico di venire in servizio qua!- spiegò con un sorriso a trentadue denti.

Io e Jin ci guardammo perplessi.

-         Seguitemi, devo parlarvi di alcune cose.- indicò una delle porte principali.

Senza quasi aspettare segni di acconsento, si girò e iniziò a dirigersi verso quella direzione.

Hwoarang sembrò illuminarsi, accompagnato da un poliziotto, sarebbe potuto uscire senza essere controllato.

-         Comunque potete stare tranquilli…- iniziò mentre camminavamo- L’esplosione ha colpito una parte dedita solo all’archiviazione di documenti. Non ci sono vittime.

Mi sentii risollevata, dalla terrazza di prima non era possibile capire quale piano avesse colpito, e per un momento ho seriamente pensato che tutte le persone di quella festa fossero rimaste coinvolte.
Stavamo per raggiungere una grande uscita di sicurezza, quando Lei svoltò verso un’altra porta.

-         Ma tu…- solo in quel momento Lei sembrò accorgersi di Hwoarang- …mmh, non mi pare di conoscerti…

-         Oh…- si bloccò a pensare per un momento- Sono un loro amico!- disse poi con un grande sorriso, mentre appoggiava amichevolmente una mano sulla mia spalla.

Lo guardai per un attimo interrogativa, ma preferii non replicare.

-         Ah, fantastico! Piacere di fare la tua conoscenza… ehm…-

Lei si fermò, aspettando che Hwoarang continuasse.

-         Ehm…

Passarono un paio di secondi a guardarsi confusi.

-         Il tuo nome…??- chiese Lei non ottenendo ancora risposte

-         Il mio nome??- richiese Hwoarang ridacchiando nervosamente

-         È un tipo un po’ strano e molto orgoglioso, non dice mai il suo vero nome…- intervenni beffeggiante- Noi lo chiamiamo Hwo!

Sorrisi, cercando di essere più convincente possibile.
Sentii Jin, al mio fianco, sogghignare con aria di superiorità. Mi sembrò anche di aver sentito la parola “cretino” provenire dalla sua parte.
I miei dubbi furono confermati, quando notai Hwoarang che lo fulminò con lo sguardo. Poi si girò da Lei ed annuì con un sorriso fintissimo, stando al gioco.

-         Ah… Hwo…- pensò Lei- mmh… sì, sì… molto piacere!

-         Piacere…- rispose Hwoarang continuando a recitare la sua parte

Jin intanto, assisteva silenzioso e allo stesso tempo forse diffidente, la nostra conversazione.
Lei aprì la porta ed entrammo dentro una specie di sala relax, piccola ma carina e confortevole. C’erano diversi distributori automatici di bibite e cibi, dei piccoli tavolini rotondi con la superficie di vetro, con intorno delle specie di divani che seguivano la forma dei tavoli.
Come se ci fossero tanti salottini.
Il detective si sedette in uno di questi e continuò a riflettere guardando il vuoto.

-         Ma… Hwo…- improvvisamente aprì gli occhi e lo guardò con sguardo attento- Non è che tu sei Hwoarang??

Hwoarang mi guardò preoccupato e con un po’di aria di rimprovero.
Ok, forse avrei potuto scegliere un nomignolo un pochino più diverso rispetto all’originale.
Ma io come potevo immaginare che lo conoscesse? Possibile che questo tizio avesse combinato tanti casini da essere così conosciuto anche dalla polizia di Hong Kong?!
Sorrisi spiacente alzando un pochino le spalle.

-         Non sarai Hwoarang, l’allievo di Baek?

A questo punto Hwoarang cambiò totalmente espressione, voltandosi serio a guardare il poliziotto.

-         Lei… lei… lo conosceva?

Lei rise amaramente.

-         E già, lo conoscevo bene… eravamo grandi amici… un tempo…- continuò abbassando il tono di voce

Hwoarang lo scrutò attentamente. Si era come risvegliato improvvisamente, e per la prima volta davvero da quando l’avevamo incontrato, quello strano ragazzo dai capelli arancioni, sembrava triste.

-         Sì, sono io.- ammise

Osservai a dir poco stupita questo strano comportamento tutto in una volta. Notai che anche Jin, dalla sua poltroncina, osservava la scena con un po’ di perplessità.

-         E sì… tempi bui questi!!- commentò amareggiato- Proprio per questo devo parlarvi.

Poi il silenzio. L’atmosfera era cambiata, sia Hwoarang che Lei si erano fatti di colpo seri.

-         Vedete ragazzi, io pratico kung-fu a livello professionistico, ed ero uno dei lottatori del secondo torneo del Pugno d’Acciaio, il secondo torneo di Tekken.

Guardò per qualche secondo in direzione di Jin.

-         Conoscevo Jun…- disse piano

Jin dischiuse le labbra per dire qualcosa, ma non uscì una parola.

-         Conoscevo Baek…- si rivolse allo stesso modo a Hwoarang- E… conoscevo molto bene Wang, il mio vecchio maestro…

Questa rivelazione mi colse di sorpresa, non immaginavo che anche lui fosse stato suo allievo.

-         Come voi già sapete, sono tutti e tre vittime di un’entità sconosciuta sulla quale le associazioni segrete di tutto il mondo stanno cercando di ottenere maggiori informazioni.

-         Ogre.- sussurrò Hwoarang a denti stretti.

Lei annui.

-         Quello che voglio dirvi…- partì, ma poi si fermò- Cioè, forse non dovrei per non spaventarvi, ma…- era in difficoltà

Si portò una mano alla fronte e si riavviò due ciuffi dei suoi lunghi capelli corvini.

-         Insomma, Ogre cerca i lottatori più forti della Terra, e voi… beh siete i loro eredi…- squadrò preoccupato la nostra reazione- Cioè, non voglio dire che siete in pericolo anche voi, ma dato che sappiamo così poche cose su questo Ogre, è meglio che rimaniate sempre in guardia, intesi?

Lei ci guardò stupito.

-         Beh?- chiese

Nessuno di noi era rimasto particolarmente “scosso” dalla sua notizia.

-         Lo sapevamo già…- disse Jin come se niente fosse

Lei spalancò gli occhi incredulo.

-         E… siete così tranquilli?- domandò

Io e Jin ci guardammo cercando una risposta.
A dire il vero, per quanto mi riguardava, ero abbastanza tranquilla, insomma vivendo alla Mishima Zaibatsu mi sentivo piuttosto protetta.
Hwoarang non commentava invece, guardava altrove con un’espressione arrabbiata stampata in volto.

-         Ma le poche cosa che si sanno sul suo conto…- domandò a Lei- le tengono alla Mishima Zaibatsu, giusto?

Ed ecco perché aveva pensato di “riccattarmi”. Adesso era tutto molto più chiaro.

-         Ehm… a dire il vero alcuni preziosissimi documenti sono andati perduti nell’incendio di stanotte.- annunciò il poliziotto

-         Cosa?!- Hwoarang scattò in piedi

-         Sì.- annuì Lei- Vedi, la Mishima Zaibatsu stava indagando su diversi casi, sparsi per il mondo, ma qui a Seoul sono stati bloccati dai servizi segreti coreani, perciò la Mishima Zaibatsu non è riuscita ad avere nessuna informazione. Purtroppo però, i dati erano stati archiviati dalla società di questo edificio, in attesa di essere trasferiti alla base investigativa, ma stanotte…

-         Si è perso tutto, quindi?- sbraitò Hwoarang- I dati del caso di Baek sono andati perduti?!

-         Mi spiace.- fu tutto quello che riuscì a dire Lei

In quel momento qualcuno bussò alla porta, interrompendo la nostra conversazione.
Entrò un altro poliziotto che si rivolse a Lei, probabilmente in Coreano, che io non riuscii a capire. Lei annuì e rispose qualcos’altro, prima che l’altro poliziotto richiuse la porta.

-         Ragazzi, mi ha fatto piacere fare la vostra conoscenza, ma ora hanno bisogno di aiuto.- spiegò Lei alzandosi dal divano e prendendo la giacca che aveva appoggiato accanto a sè.- Alcune persone si sono fatte prendere dal panico ed è scoppiato il caos là fuori, potete uscire da questa uscita d’emergenza, scenderete ai parcheggi e poi sarete fuori.

Si sistemò la giacca e si avviò verso la porta.

-         Ricordate quello che vi ho detto, fate attenzione, mi raccomando!- disse serio prima di uscire, poi sorrise.- Spero di rivedervi presto!

Lo salutammo, poi Lei aprì la porta e la richiuse alle sue spalle.
Eravamo solo noi tre adesso, in quella stanza.
Hwoarang sembrava che stesse per esplodere da un momento all’altro. Tamburellava nervosamente le dita sul tavolino di vetro, con uno sguardo a dir poco furibondo.

-         Hem…- iniziai a dire- Che dite, ce ne andiamo?

Jin si alzò accogliendo la mia proposta.
Anche io feci lo stesso, osservando curiosamente Hwoarang che però rimase nella stessa posizione, se non che forse aveva iniziato a tamburellare le dita in modo più veloce.
Jin si avvicinò alla porta e mi aspettò, tutti e due però, rimanemmo a studiare lo strano comportamento di quel ragazzo.
Afferrai la maniglia e aprii la porta. Feci per iniziare ad uscire, quando Hwoarang all’improvviso si alzò.

-         Aspettate!- ordinò

Detto questo ci raggiunse in silenzio, sempre con sguardo più che arrabbiato, disgustato per l'accaduto.

-         Persi…- sussurrò Hwoarang scuotendo la testa.

Jin lo guardò in silenzio per un po’ prima di iniziare a parlare.

-         Non si è perso niente…- affermò fermamente convinto

Hwoarang lo schermì con aria accusatoria.

-         Cosa intendi dire?! Non hai sentito? È esploso tutto nell’esplosione!

Jin lo studiò per un po’. Evidentemente voleva capire se era il caso di potersi fidare o no di quel ragazzo.

-         Insomma, sai qualcos’altro o no? Parla!

Non avendo risposta, Hwoarang si innervosì.

-         Aaaargh! Non ti sopporto quando stai zitto con quella faccia da ebete!

Si voltò arrabbiato spingendo con una mano la porta, facendola spalancare.

-         Non mi interessa niente! Ormai quei documenti sono persi per sempre e basta! Non mi servite più.- stava per andarsene, quando si ricordò- Kazama! Noi dobbiamo finire la sfida! Non accetto un pareggio! Ci rivedremo presto.

-         Cosa saresti disposto a fare per avere quelle informazioni?- lo bloccò Jin all’improvviso.

Hwoarang si fermò e lo guardò sbigottito.

-         Che?!- finse di non aver capito bene- Quel mostro ha distrutto il mio maestro! Secondo te cosa sarei disposto a fare?!

Finì la frase alzando la voce in preda alla collera.

-         Perfetto, credo di aver capito.- Jin sollevò un angolo della bocca amaramente divertito- Vendetta? È questo quello che vuoi, giusto?

Hwoarnag non rispose.

Da spettatrice all’ennesima discussione fra quei due, rimasi sorpresa dalle parole di Jin.
Perché era convinto che quello che aveva detto poco prima Lei non fosse vero?
Quei documenti non esistevano più veramente?
Ma nel caso, per quale oscura ragione lo sapeva Jin, che era sempre rimasto con noi?
Ad ogni modo, mi ritrovai a pensare, era incredibile come Hwoarang fosse stato enormemente fortunato!

 

 

***

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** I Love Rock 'n Roll ***


Nuova pagina 1

Appoggiai le mani sui fianchi, e feci qualche passo all’indietro per avere un’ultima panoramica della stanza.

C’era ancora un piccolo dettaglio da sistemare.

-         Proviamo a spingere quel divano verso il muro!- proposi a Miharu indicando con un dito lo spostamento.

-         D’accordo.- mi rispose ritirandosi i capelli con una fascetta elastica.

Ci avvicinammo al divano letto, e insieme lo spingemmo fino ad allinearlo sotto la piccola ed alta finestrella, l’unica in tutta la stanza.

Tornai indietro e mi voltai ammirando il nostro lavoro ultimato.

Era semplicemente un piccolo e trascurato seminterrato, quello che noi avevamo trasformato in una stanzina “quasi” accogliente.

“Quasi” accogliente perché c’erano comunque dei dettagli piuttosto bruttini.

Le pareti non erano state imbiancate per molto tempo, in certi punti la tinta si era scrostata, in altri traspariva un po’ di muffa. Come se non bastasse, aleggiava un intenso odore di umidità.

Un divano letto, un comò di mogano scuro, una vecchia libreria polverosa carica di libri di narrativa, un congelatore funzionante ed un tavolo bianco di plastica, di quelli da giardino. Questo era il nostro arredamento.

Eravamo riuscite persino a trovare una vecchia televisione a quattordici pollici.

Si vedeva un po’ male, ma era pur sempre meglio di niente.

Non si poteva dire che era una stanza da hotel a cinque stelle, ma dopotutto non era male.

Miharu si avvicinò al congelatore e prese due bottigliette di the alla pesca, che aveva lasciato fuori a stemperare. Me ne porse una.

La stappai e iniziai a sorseggiarlo. Era freddo e rabbrividii.

C’era piuttosto freddo, nonostante avessi un maglione di lana pesante addosso.

-         Sei sicura che a tua madre non darà fastidio?- domandai

Miharu ridacchiò amaramente.

-         E come credi che se ne possa accorgere?- bevve un altro po’ di the- È tutto il giorno a casa vostra!

Sentii una leggera disapprovazione nel suo tono.

-         Quando torna a casa, ceniamo e poi se ne va a riposare.- continuò la mia amica- Della casa mi occupo interamente io. È impossibile che si accorga di qualcosa.

-         Capisco.- risposi

Mi sedetti su una sedia di legno piuttosto malandata, che scricchiolò subito dopo.

In effetti non doveva essere facile per lei, figlia unica, con la madre che lavora tutto il giorno fuori casa, e il padre che vive all’estero da parecchi anni. Dal periodo successivo al divorzio, esattamente.

Come Miharu mi aveva raccontato, era successo quando lei era ancora all’elementari.

Però di certo, era riuscita a non demoralizzarsi, e grazie alla sua forza d’animo era sempre riuscita ad andare avanti.

Solo in alcuni momenti, momenti come quello, mi capitava di avvertire in lei una certa disapprovazione per quello che aveva dovuto accettare.

Infatti, a volte siamo troppo presi dai nostri problemi e preoccupazioni personali, che non ci accorgiamo di quelle che, le persone che ci stanno affianco, tentano di mascherare.

Stavo per dire qualcosa per confortarla, quando mi anticipò lei.

-         Comunque non c’è da lamentarsi!- esordì all’improvviso

La guardai senza capire.

-         Siamo riuscite persino a trovare una televisione! Non male come stanza improvvisata!

Annuii ridendo, bevendo ancora un po’ di the.

-         Allora Xiao, non mi hai ancora detto granchè del vostro viaggio!- riprese la mia amica

Eravamo tornati in Giappone da tre giorni, ed eravamo nel bel mezzo delle vacanze di fine dicembre, il vecchio anno era ormai agli sgoccioli.

-         Che dire?- risi fra me e me- Sicuramente il viaggio più strano della mia vita!

-         Come sono andate le risse?- volle sapere

La guardai torva.

-         Miharu, si chiamano incontri! Non sono risse!

-         Uguale… azzuffate.- sogghignò prima di portarsi nuovamente la bottiglietta alle labbra.

Sapevo che sarebbe stato inutile continuare. Più di una volta aveva mostrato il suo parere riguardo le arti marziali, e i suoi commenti non erano mai positivi.

-         Comunque racconta, come sono andate?

-         Li abbiamo massacrati di brutto!- dissi con voce sadica

Miharu divenne di colpo seria.

-         Scema! Sto scherzando!- portai gli occhi al soffitto ridendo per la sua reazione- Non è morto nessuno!

Mi guardò imbronciata.

-         Sono cose tranquille!- spiegai- Nessuno si fa mai veramente male!

-         Non sarebbe poi così strano!- si giustificò

Poi cambiò espressione, come se si fosse ricordata di colpo qualcosa.

-         A proposito! Parlami di questo “tipo”…- continuò- Come mai deve venire qui?

Capii immediatamente a chi si riferiva. Mi ero già preparata alla possibilità di dover affrontare una domanda del genere.

-         Ah, sì…- sorrisi- Come ti ho già detto è un nostro “collega”! Dobbiamo allenarci insieme…

Spiegai vagamente.

-         È carino?- chiese curiosa

Lo sapevo che prima o poi me l’avrebbe chiesto.

Che le rispondevo?

“Mmh, sì.. se ti piacciono i tipi ribelli con i capelli lunghi e arancioni.”

-         Piuttosto, grazie per la tua disponibilità!- meglio sviare il discorso- L’avremo ospitato noi, ma sai… Heiachi non sarebbe stato d’accordo, sai lui avrebbe chiesto soldi… a meno che non voglia dormire con il Panda!

-         Con il panda?- chiese la mia amica vagamente divertita

-         Non te ne ho parlato?- ridacchiai- Ho chiesto ad Heiachi se potevo occuparmene io, e lui ha acconsentito. Ora i due orsi sono a casa con noi!

Miharu aggrottò le sopracciglia.

-         Ma quindi… gli hai raccontato che sei andata a vederli nel parco?

-         No, avrei finito per dovergli spiegare anche degli uomini che mi hanno inseguita.- dissi- Ho solo detto che era stato Jin a parlarmene.

Mi alzai dalla sedia e mi fregai le mani per riscaldarle. Mi si ghiacciano sempre le dita, d’inverno.

-         Sembrava anche felice di cedermi l’incarico… - aggiunsi pensierosa mentre ricordavo

-         E quindi adesso ti sei presa l’incarico di accudire quelle due bestie puzzolenti?- Miharu storse il naso

-         Perché dici così?! Sono animali carini invece!

-         Sì, ma in genere le persone normali si accontentano di un cane o un gatto…- rispose sarcastica roteando gli occhi

-         Io non ho mai detto di essere normale!- sghignazzai- E comunque, si è fatto tardi! Ora devo andare a casa, se arrivo in ritardo agli allenamenti mi mordono come cani rabbiosi tutti e due!

Miharu non rispose guardandomi con occhi spalancati.

-         Miharu, sto scherzando.- spiegai sospirando

Lei si limitò ad alzare le spalle.

-         Non ho detto niente…

 

***

 

Ci eravamo visti il giorno dopo dell’episodio al palazzo con Hwoarang.

Ci eravamo dati appuntamento davanti al parco dei divertimenti! Io avevo scelto il luogo.
Era “il luogo ideale per parlare di cose importanti senza dare nell’occhio” avevo detto.

Un po’ come si vede nei film. Quando i criminali parlano dei loro piani loschi, lo fanno sempre in posti allegri e tranquilli.

Hwoarang era stato d’accordo. Aveva detto che dopotutto l’idea non era poi così tanto assurda, dato che era un luogo facile da raggiungere.

E così ci eravamo incontrati un’ultima volta.

“Un’esplosione misteriosa nel piano dove sono custoditi dei documenti importanti che alla Mishima Zaibatsu farebbero comodo. Heiachi che sparisce poco prima, i documenti che si ritiene siano andati perduti… troppe coincidenze! Ho visto Heiachi fare cose poco piacevoli anche solo per il suo profitto…”

Erano state queste le parole di Jin, mentre osservava da fuori il palazzo ancora in fumo.

Era praticamente certo che Heiachi centrasse qualcosa, e che in qualche modo, era riuscito ad entrare in contatto con le informazioni che gli servivano.

L’esplosione poteva essere un mezzo per liberarsi delle prove, un diversivo, o qualcos’altro di simile.

Hwoarang voleva vendetta, Jin voleva vendetta. Per affrontare il nemico serve conoscerlo.

Il miglior modo per conoscerlo, era possedere tutte le informazioni possibili.

E per ottenere questo, era necessario collaborare.

E da questo era nata quella sorta di strana alleanza.

Hwoarang ci avrebbe seguiti in Giappone, dove avremo condotto le nostre ricerche.

Le possibilità di successo erano davvero scarse, e quasi sicuramente non saremo mai stati in grado di ottenere delle informazioni così importanti e ben custodite.

Ne eravamo assolutamente consapevoli. Ma quando qualcuno perde una persona a cui tiene, non esiste più un limite tra il possibile e l’improbabile, e le tenta tutte, anche disperatamente, per riuscire ad ottenere quello che più desidera.

E quello che volevamo noi, era giustizia.

 

***

 

-         Come ti avevo assicurato…- iniziai soddisfatta- Ho trovato un alloggio per quando Hwoarang ci raggiungerà!

Sul viso di Jin si dipinse un’espressione dubbiosa.

-         Veramente?

-         Sì!- annuii

-         Dove… da Miharu??- sgranò gli occhi

-         Come l’hai capito?- chiesi stupita

-         Beh…- iniziò- Sei un paio di giorni che passi l’intera mattina a casa sua. Ho ricollegato le cose e…

-         Umh… sì, hai pensato bene, allora.

Era notte, in genere durante questi giorni di vacanza, stavamo svegli fino a tardi guardando la TV o parlando di quello che capitava.

-         Come hai fatto a convincerla?- volle sapere

-         Gliel’ho chiesto.- risposi in modo naturale

-         Allora non sei stata sincera.- dedusse con una piccola smorfia di disaccordo

-         Perché?

-         Perché nessuno con la testa apposto si terrebbe un elemento come quello in casa.

-         È uno scantinato, indipendente dalla casa.- precisai- E comunque Hwoarang è un tipo apposto. Non avrei mai messo in pericolo Miharu!

-         Un tipo apposto?- ironizzò lui- Ma stiamo parlando della stessa persona?

-         Non è pericoloso!- ribattei con decisione

-         È il capo di una banda di teppisti! Te ne sei dimenticata?

-         No…- risposi- Ma uno può essere comunque una buona persona, anche se l’apparenza inganna!

Rimanemmo per qualche secondo in silenzio.

-         Tu lo conosci appena…- continuò Jin- Quando la smetterai di dare fiducia a chiunque capita?

 

***

 

Nei giorni successivi, la temperatura calò vertiginosamente. Credo di non aver mai passato un inverno così freddo. La sera in cui era previsto l’arrivo di Hwoarang a Tokyo, iniziò a nevicare.

Era la prima volta che vedevo tanta neve. Dove vivevo prima capitava molto raramente, e quando pure nevicava, non era mai tanta.

Ero all’aeroporto con Miharu e Jin aspettando il volo di Hwoarang.

Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a nascondere la preoccupazione per l’impatto che Hwoarang avrebbe avuto su Miharu.

Forse non mi ero comportata benissimo nei suoi confronti.

Il discorso con Jin, effettivamente, mi aveva fatto pensare.

Forse avrei dovuto spiegarle meglio quello che sapevo.

Sono davvero troppo fiduciosa con la gente?

“Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio.”

Così dice il proverbio. E quando mai i proverbi si sono rivelati sbagliati?

Però Hwoarang non mi sembrava cattivo, affatto.

Anzi, lo trovavo in un certo senso una persona interessante. Un tipo originale, sicuramente strano e un po’ fuori, ma nonostante tutto… curioso!

-         Che pensi?- Miharu mi riportò alla realtà.

Sollevai il capo e osservai oltre il vetro, le luci di un aereo che in lontananza si apprestava ad atterrare nella pista.

Sorrisi.

-         Non so di che colore comprarmi le scarpe nuove. Il nero si abbina con tutto, ma è un colore triste…

La mia amica mi guardò perplessa.

-         Questi sono i miei dilemmi! Non è da te!

-         Scusa per il plagio.- risposi con sarcasmo

-         Senti!- iniziò- Io… stavo pensando una cosa…

Jin, che era a qualche passo da noi appoggiato al muro con braccia conserte, alzò lo sguardo incuriosito.

-         Insomma… in fondo io sto offrendo una parte della mia casa ad uno sconosciuto… non per essere paranoica, ma…

-         È tutto ok, Miharu.- l’interruppi con aria rassicurante, che non sapevo fino a che punto potesse essere sincera.

-         Anche tu lo conosci, perché non dici niente?- si rivolse poi a Jin

-         Perché è meglio così.- rispose sogghignando a bassa voce

-         In che senso è meglio così?- Miharu sembrava un po’ turbata

-         L’aereo!- esclamai balzando in piedi- Credo che sia arrivato!

-         Come lo sai?- Miharu mi guardò obliqua

Pensai in fretta a qualcosa di intelligente da rispondere, ma qualcuno ci pensò per me.

-         Heylà!

Neanche il tempo di voltarmi, che avevo già capito a chi apparteneva quella voce.

Dall’entrata posteriore rispetto alla nostra posizione, Hwoarang camminava a passo svelto per raggiungerci.

Indossava un paio di jeans grigio scuri, una giacca nera di pelle e nonostante fosse ormai buio da parecchio tempo, portava un paio di occhiali da sole scuri.

In un primo momento, non feci caso alle due persone che lo seguivano, diedi per scontato che fossero dei semplici passanti.

Dopo averli osservati bene però, mi resi conto che quelle altre due persone, non potevano non essere con Hwoarang!

Altri due ragazzi. Uno era altissimo e magrissimo. Aveva un’espressione severa, arrabbiata. Gli occhi sembravano due pezzi di carbone ardente, li teneva puntati su di noi con aria arrogante, mentre si avvicinava a passo deciso. Aveva i capelli neri e lisci, lunghi oltre le spalle ed era vestito interamente di nero.

Metteva una certa inquietudine, era solo la mia impressione?

L’altro invece era decisamente più piccolo e minuto rispetto al primo. Aveva i capelli ossigenati tenuti dritti sulla testa, le orecchie erano interamente occupate da tanti piccoli piercing in acciaio, e anche lui teneva un paio di occhiali da sole sugli occhi.

Tornai ad osservare il primo.

Forse per la statura, o forse per l’aria arrabbiata, non lo so, fatto sta che quel tipo proprio non mi piaceva!

Aveva la tipica faccia da criminale!

Non mi sentivo tranquilla con un tipo del genere affianco, immaginiamoci in casa!

Hwoarang non aveva parlato di portarsi gente appresso!

Iniziai ad agitarmi. Come avrei fatto?

Cosa avrei raccontato adesso a Miharu?

Sentii improvvisamente molto caldo, a discapito della neve che continuava a cadere fuori.

-         Xiaoyu!- strillò Miharu a voce acuta

Mi preparai al peggio.

-         Xiaoyu…- balbettò con occhi spalancati mentre guardava Hwoarang e gli altri due avvicinarsi- Non mi avevi detto che erano una band!!

Notai che Jin la guardò come se fosse impazzita.

E probabilmente anche io.

Mentre mi ero aspettata una faccia di perplessità davanti a quelle persone, sicuramente un bel po’insolite, Miharu li guardava estasiata, contenta.

Fu in quel momento che notai quello che ancora non avevo avuto modo di vedere.

Avevano con loro delle tipiche borse per strumentazioni musicali.

-         Io non… non lo sapevo…- mormorai sempre più incredula

-         Fantastico!- continuò Miharu felice- Suonano rock? Punk a giudicare dall’apparenza! Quello coi capelli rossi è il leader.. lo si vede subito!

-         Ehm…- cercai di frenare la sua fantasia, ma fu inutile

Hwoarang ci raggiunse.

-         E così eccoci a Tokyo!- commentò con un sorrisino

Si sollevò leggermente gli occhiali dagli occhi.

-         Ci rivediamo Kazama.

-         Ci rivediamo…- rispose Jin a denti stretti

Si scambiarono uno sguardo pieno di profonda avversione.

-         Muoio dalla voglia di sistemare quello che non abbiamo finito.- ringhiò Hwoarang

-         Ne sei proprio certo? Orgoglioso come sei, ci rimarresti male.- ghignò Jin

-         Vedrai quando scapperai a piangere dalla mamma, Kazama.- rispose Hwoanrag

Ecco una cosa che non doveva assolutamente dire.

Jin si irrigidì improvvisamente, socchiuse gli occhi, cercando di riacquistare la calma, mentre lanciava verso di Hwoarang tutto il suo odio possibile. Finché non esplose con parole che non mi va di ripetere.

E Hwoarang rispose di conseguenza.

La gente si fermò a guardarli con sdegno. Dovevo fermare la conversazione.

-         Hwoarang questa è Miharu, Miharu questo è Hwoarang!

-         Lo so.- annuì Miharu con un sorriso a trentadue denti

La guardai torva.

Poteva per lo meno cercare di mascherare la sua ammirazione.

-         Ah, ok. Piacere di conoscerti, Hwoarang.

-         Piacere mio.- Hwoarang si strinse nelle spalle non capendo probabilmente il motivo della presentazione.

-         Hem...- intervenni di nuovo rivolgendomi a Hwoarang- Posso chiederti una cosa?- domandai con il tono più cortese possibile

-         No.- rispose secco- Voglio andare al mio alloggio!

Che arroganza.

Sbuffai imbronciata, mentre Miharu continuava a mangiarselo con gli occhi e Jin faceva di tutto per trattenere il nervoso.

Come inizio non c’era davvero male.

-         Vieni a casa mia!- esclamò Miharu

-         Miharu, aspetta!- borbottai a bassa voce scrutando il tizio alto con esitazione

-         Cosa vuoi aspettare?!- fece seccata- Saranno stanchi!

A quel punto, capii che sarebbe stato meglio affrontare la situazione per bene.

-         Hwoarang, perché non ci hai detto che saresti venuto accompagnato?- chiesi- Non per offendere, ovviamente..- mi affrettai ad aggiungere sotto lo sguardo del tizio alto

-         È ovvio. Io non mi muovo mai senza qualcuno del mio gruppo. E poi Ned ci teneva tanto a vedere il Giappone.

Ridacchiò facendo un cenno con la testa verso il tizio alto.

-         Loro non capiscono il giapponese.- aggiunse dopo Hwoarang

“Oh, bene perfetto. Volendo non si può neanche comunicare.” Pensai.

-         Possiamo andare allora?- continuò Hwoarang

-         Bene!- sorrise Miharu emozionata- Poi mi suonate qualcosa? Ma come vi chiamate?

Hwoarang la guardò senza comprendere.

-         Su, è meglio andare, hai ragione!- intervenni- Non posso tornare tardissimo.

Anche se non era affatto vero. Heiachi non era mai con noi, quindi non poteva lamentarsi per gli orari.

Volevo solamente sistemare al più presto quella faccenda.

Hwoarang annuì e con le valigie in mano, iniziò a seguirci assieme agli altri due verso l’uscita dell’aeroporto.

-         Adesso dove li sistemiamo quei due?- afferrai la manica di Miharu spingendola qualche passo più avanti- Non ne sapevo niente!

-         Perché ti preoccupi? Troveremo una soluzione!- mi rispose a mezza voce tranquilla

-         Ma… ma… perché sembro l’unica ad essere preoccupata per questa cosa?!- piagnucolai guardando la strana combriccola.

-         Infatti non vedo perché la cosa debba preoccuparti così tanto.

Detto questo Miharu mi lasciò perdere e se ne andò ad affiancare Hwoarang. Certo, Miahru non sapeva che Hwoarang e la sua banda avevano anche passato guai con la legge! Finché era solo lui da tenere a bada, non c’erano problemi.

Ma il fatto che ci fossero anche quei due, dall’aria sicuramente poco raccomandabile, mi spaventava parecchio.

E se avessero fatto qualche fesseria?

“È il capo di una banda di teppisti! Te ne sei dimenticata?”

“Tu lo conosci appena… Quando la smetterai di dare fiducia a chiunque capita?”

Dannato Jin!

Continuavo a sentirmi la sua voce, che mi rimbombava nella mente.

Però intanto lui non sembrava più preoccupato come prima!

In fondo era vero però, io non li conoscevo più di tanto. Cioè, conoscevo solo Hwoarang e non mi era sembrato “malvagio”, però non sapevo niente della sua cosiddetta “banda”.

Piagnucolai e mi avvicinai a Jin, ma sembrava tutt’altro che preoccupato per il motivo per cui lo ero io.

-         È appena arrivato e già mi viene voglia di rispedirlo indietro.- sussurrò a denti stretti.

Era serissimo e lo scrutava obliquamente con aria assassina.

-         Mi sembra assurdo che abbia accettato di collaborare con un elemento simile!

Mi limitai ad annuire, senza dire niente.

Ormai avevo capito che avrei dovuto tenere le preoccupazioni per me.

Prendemmo la metro fino ad arrivare al nostro distretto. Il treno era letteralmente strapieno di gente, come lo è di solito, e dovemmo rimanere in piedi per tutto il tragitto.

Per tutto il tempo, i due amici di Hwoarang rimasero in silenzio da una parte, con gli occhi puntati su noi come quattro riflettori.

Miharu si attaccò morbosamente a Hwoarang e ripercorsero insieme la storia del rock dagli anni settanta ad oggi.

Io mi limitavo ad aspettare che il tragitto finisse al più presto possibile.

Una volta usciti dalla stazione, faceva talmente freddo che sentii che le mie labbra si stavano screpolando.

Le luci notturne di Tokyo facevano da sfondo ad una scena niente male.

In altri momenti mi sarei fermata ad ammirare la neve, che diventava sempre più fitta, ma in quella situazione avevo ben altro a cui pensare.

Raggiungemmo poco più tardi casa di Miharu. Arrivato davanti al cortiletto, invece che entrare, Jin rimase fermo guardandoci con aria rigida.

-         Bene. A questo punto posso tornarmene a casa.- disse

-         Cosa?!- strillai contrariata

-         Vieni con me?- chiese

-         Non posso!- risposi con fermezza

-         Ok, allora a più tardi.

-         Hey Kazama. Come mai tanta fretta?- si intromise Hwoarang

-         Tu stanne fuori!- sbraitai acida

L’ultima cosa che potevo permettere, era che Hwoarang lo stuzzicasse un’altra volta e che iniziassero l’ennesimo litigio.

-         Eh, ma vedi di stare calmina!- esclamò il rosso- Da quando siamo arrivati non hai fatto altro che strillare! Bambinetta viziata!

Non proprio! Più che altro ero nel bel mezzo di una crisi di nervi.

E il peggio era che nessuno mi era di aiuto!

Mi partì un pugno, che gli finì dritto sulla guancia.

Sono una persona molto impulsiva in certi momenti critici, quando la calma e la ragione vanno a farsi benedire.

Me ne pentì immediatamente, ma le mie scuse non servirono a far risparmiare l’ondata di insulti che uscì precipitosamente dalla bocca di Hwoarang.

Notai dopo qualche minuto, che Jin aveva iniziato ad allontanarsi tranquillo, con le mani nelle tasche.

Urlai per richiamarlo, ma non servì a niente.

Vidi che alcune persone dai bordi della strada ci stavano osservando, e mi sentii invadere dalla vergogna.

Per la seconda volta in una sera, eravamo riusciti a catturare l’attenzione della gente su di noi!

“Perché a me?” mi chiedevo piagnucolando.

Intanto Miharu aveva aperto lo stanzino seminterrato, ed eravamo entrati.

I tre ospiti si guardarono intorno e sembrarono gradire abbastanza l’ambiente. Non che si potessero aspettare molto di più, dal momento che nemmeno stavano pagando.

Per la sistemazione degli altri due, decisero di ricorrere ai futon (quei tipici materassini giapponesi che la mattina arrotolano e conservano per risparmiare spazio).

-         Miharu, mi autoinvito a dormire da te!- annunciai una volta lasciati i tre nella loro stanza

Stavamo salendo le scale per arrivare alla casa vera e propria.

Lei alzò le spalle ridendo.

-         Come vuoi…- rispose- Come mai?

-         Preferisco… farti compagnia stanotte.

Almeno in questo modo avrei avuto la situazione sotto controllo.

-         Ok.- sorrise Miharu aprendo la porta che dava in cucina.- Qualcosa da mangiare?

-         Mi hanno fatto passare la fame.- scossi la testa

-         Ma che hai?- si stupì- Sembra che non ti piacciano! Mentre invece io, non mi sarei mai aspettata che mi avresti portato tipi così fighi in casa, Xiao!

Sorrise, tutta soddisfatta e contenta, mentre io spalancavo gli occhi sempre più incredula e sconvolta.

-         Tu sei più matta di loro!- commentai con un sospiro

 

 

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Capitolo 13
*** Semplice e speciale ***


Nuova pagina 1

In genere non ho problemi ad addormentarmi fuori casa.

Non per niente posso vantarmi di essere riuscita a prendere sonno anche nei posti più insoliti.

Quella notte però, era come se quel cuscino e quel materasso fossero diventati improvvisamente troppo scomodi.

Avevo dormito per un po’, ero crollata a dire la verità, ma una volta che mi ero risvegliata, nonostante fosse molto presto, non ero più riuscita a prendere sonno.

Mi giravo e rigiravo nel letto, senza riuscire a rilassarmi.

In realtà non era il letto ad essere scomodo, ma la situazione, gli ultimi avvenimenti, la mia responsabilità.

“Cavolo!! Non doveva andare in questo modo!”

Era diverso da quello che avevo sempre pensato, totalmente diverso!

Tra l’altro ero arrabbiata, adirata, furiosa con Jin!

Mi aveva praticamente abbandonata al mio destino! Se l’era svignata appena aveva avuto l’occasione, lasciandomi da sola nell’arduo compito di mantenere l’ordine.

Ricapitolando, avevo portato a casa della mia migliore amica non uno, ma tre sconosciuti, tra l’altro anche mezzo delinquenti, tra cui due che non conoscevo per niente!

“Xiao sei una stupida, la solita impulsiva, incosciente, irresponsabile, incorreggibile…”

Mi sembrava di sentire la voce di Jin che mi ripeteva instancabilmente quella lunga lista di aggettivi.

Parole poco carine, ma vere.

“Waaaa! Zitto!!”

Quanto avrei voluto poter tirare un pugno a quel piccolo Jin Kazama dentro la mia coscienza.

Ma forse il mio errore è stato sempre questo: quello di non saper ascoltarla abbastanza quella piccola voce della coscienza.

Jin era la mia coscienza?

Forse spesso sì. Troppo spesso.

E odiavo doverlo ammettere, ma mi dava molto fastidio “essere corretta” da lui. Non per altro, ma non volevo dimostrare di aver bisogno di essere corretta.

Non davanti a lui. Odiavo fare la figura della stupida.

Ma soprattutto odiavo fare la figura della stupida davanti a lui, l’essere quasi perfetto.

Perché era vero. Jin Kazama se non lo era, si avvicinava alla perfezione.

Sempre saggio, impeccabile, intelligente, uno dei migliori studenti della scuola, uno dei più forti lottatori della sua età.

Insomma, in tutti i campi Jin eccelleva sempre.

Forse a volte era un po’ antipatico, un po’ freddo, ma per il resto non gli si potevano trovare molti altri difetti.

E quasi inconsciamente, era presto diventato la mia ispirazione.

E soprattutto ci tenevo sempre a fare bella figura davanti a lui.

Ero orgogliosa quando ottenevo risultati per lo meno decenti in matematica, o quando si notavano i miei miglioramenti nelle arti marziali.

In genere non era il tipo da perdersi complimenti e chiacchiere di questo genere, ma mi bastava uno sguardo per capire quello che normalmente si direbbe in più parole.

La sua opinione era una delle cose alle quali tenevo di più.

Jin era stata in assoluto la prima persona con la quale avessi costruito un certo rapporto, da quando ero arrivata in Giappone.

E per lui, sapevo che era la stessa cosa.

Era strano come legame. Ma forse più che strano direi singolare.

Non era una vera e propria amicizia. Era diverso da tutte le altre amicizie.

Ma non era nemmeno un legame simile a quello che si crea fra un fratello e una sorella.

Il nostro rapporto era qualcosa di diverso.

Difficile da definire.

Contro la mia volontà mi ritrovai a pensare ancora una volta a “quella sera”.

Deglutii. Erano passati circa una decina di giorni da quel giorno, ma erano successe tante di quelle cose che sembrava fosse passata un’eternità.

E tutte le volte che ci ripensavo, sentivo sempre la stessa strana sensazione.

Che mi stava succedendo?

Qual era il rapporto fra me e lui?

Non volevo ammetterlo?

Forse era davvero così. Forse era un ragionamento insensato, ma non mi andava di pensare di poter non essere contraccambiata. Sarebbe stato… appunto “stupido” da parte mia.

E io non volevo esserlo di fronte a lui.

In fondo, avevamo deciso che era stato uno sbaglio.

Un errore, nient’altro.

Mi alzai. Dovevo andare in bagno e poi in cucina a cercare qualcosa da mettere sotto i denti.

A Miharu tanto non avrebbe dato fastidio, se avessi frugato fra le sue scorte di merendine.

Facendo attenzione a non fare rumore, uscii nel corridoio e guardai l’orologio appeso al muro dell’andito.

Ci misi un po’ per capire l’orario, dato che era molto buio, dato che era tutto chiuso.

Erano le sei meno un quarto del mattino. Nonostante tutto, avevo trascorso un bel po’ di tempo in compagnia dei miei giri mentali. Era quasi un orario decente.

Arrivai davanti alla porta del bagno e sfregandomi gli occhi con una mano, aprii la porta.

In un primo momento non mi accorsi di niente, ma quando poi alzai lo sguardo…

-         Aaaah!!- strillai facendo un salto all’indietro.

Andai a colpire la porta, che si chiuse di scatto dietro di me.

-         Oddio!- esclamai in preda al panico, cercando di calmarmi.

Davanti a me c’era l’amico di Hwoarang, quello inquietante, che si lavava i denti davanti allo specchio del lavandino.

A petto nudo, i capelli gli ricadevano ricoprendo la schiena, e indosso aveva solo un paio di boxer scuri.

Non si era nemmeno girato verso di me. Si era limitato ad incenerirmi con lo sguardo attraverso il suo riflesso.

Notai che il mio viso era diventato bianco come un cencio.

-         Scusami, scusami, scusami!- esclamai freneticamente, cercando tremolante di afferrare la maniglia della porta, per poi aprirla e richiuderla di scatto dietro di me.

Appoggiai la schiena al muro del corridoio e cercai di riprendermi, con delle grandi boccate d’aria.

Sentivo il cuore che mi martellava il petto insistentemente.

“Cosa ci faceva nel bagno di casa?!”

-         Oh, Hwoarang me la paghi…- sussurrai a bassa voce rovente di rabbia

“E meno male che sono entrata mentre si lavava i denti!” pensai ringraziando il caso.

Non volevo pensare cosa sarebbe stato, se fossi entrata in “un altro momento”.

Mi rimproverai solo per avere “immaginato”.

Ma insomma, non si usa in Corea chiudere le porte a chiave?

Tornai in camera mia, ancora scossa per lo spavento, e mi cambiai.

Dopodichè mi diressi verso la scala del seminterrato per scendere a parlare con Hwoarang.

Spalancai la porta ed entrai con aria furibonda nella stanzina.

L’altro ragazzo era seduto con le gambe incrociate su una delle sedie di plastica, fumandosi una sigaretta. Hwoarang uscì in quel momento dal bagno passandosi una mano fra i capelli.

Mi vide e mi sorrise beffardo.

-         Fatto un brutto sogno?

Forse aveva notato la mia espressione, non del tutto serena.

-         No, cretino!- risposi con aria minacciosa.- Hwoarang, cosa ci fa il tuo compare mezzo nudo nel bagno di casa?!- sbraitai

Lui per risposta ridacchiò.

-         Un bagno in tre non è sufficiente e per risparmiare tempo abbiamo deciso di dividerci.- rispose alzando le spalle.

-         Non è possibile…- piagnucolai.

Stavo iniziando ad agitarmi.

Le cose stavano andando a rotoli, sempre peggio.

-         Hwoarang, chiariamo le cose una volta per tutte.- mi avvicinai e presi posto a sedere sulla sedia più vicina.

Feci un profondo respiro prima di iniziare a parlare.

-         Allora, te lo spiego molto tranquillamente. In questa casa, la vostra presenza NON - DEVE - ESSERE - NOTATA!

Cercai di essere più esplicita possibile.

-         Non potete uscire di qui, tanto meno gironzolare in mutande nel bagno di casa. La padrona di casa, nonostante stia poco, se non pochissimo in casa, non deve sapere niente!

-         Ma tu questo non me lo avevi detto!- rispose con semplicità, sbadigliando

-         Adesso te lo sto dicendo!- ribattei- Ci sono delle regole da rispettare, se non volete ritrovarvi in mezzo alla strada!

Anche l’altro, nonostante non capisse quello che stavo dicendo, mi scrutò con attenzione.

-         Regola numero uno: non entrare per nessun motivo in casa! E se avete bisogno di qualcosa, fate il giro e suonate il campanello!

Hwoarang sogghignò.

-         Regola numero due: non scocciate Miharu per nessuna ragione! Se le succede qualcosa… vi denuncio!- ringhiai

-         Ma sei fuori?- fece Hwoarang contrariato- Ma per chi mi hai preso?!

-         Ti sto solo avvisando.- lo ammonii- Le precauzioni non sono mai troppe!

-         Tu sei fuori di testa!- rise con sarcasmo

-         Non sono fuori di testa!!- sbraitai- Meglio non dare niente per scontato! E tu smetti di fumare qua dentro!!

Urlai all’altro ragazzo, che per tutta risposta mi guardò confuso.

-         Ma perché, perchè?- mi lamentai scoraggiata, portandomi una mano alla fronte.

-         Hai finito di sclerare? Ti sei calmata?- chiese Hwoarang dopo un po’

Incrociai le braccia sul petto.

-         Ogni tanto mi farò viva per controllare che tutto vada per il verso giusto.- aggiunsi ignorando le sue domande- E poi parleremo di… quella cosa!

-         Ma neanche per idea!- ridacchiò divertito

-         Cosa?!

-         Sono cose serie queste!- disse lui superbo- Non è roba per te!

E un’altra volta desiderai di poterlo fare a pezzetti piccoli piccoli.

-         Aaaargh! Ma quanto sei insopportabile!!

Sogghignò divertito dalla mia reazione.

-         Per ora dovremo indagare.- spiegò- Poi si vedrà!

Lo scrutai imbronciata. Sapevo che sarebbe stato inutile cercare di insistere.

Ne avremo riparlato per forza, tanto.

-         Indagini, eh?- commentai alzandomi e tornando sui miei passi

Arrivai davanti alla porta.

-         Fa’ come vuoi.- sbottai- Basta che spieghi bene ai tuoi amici le regole!- raccomandai

-         Se ne avrò voglia…- si strinse nelle spalle

Era da prendere come risposta affermativa?

Be’ per forza doveva essere una risposta affermativa se non voleva ritrovarsi a dormire su una panchina al parco.

 

Nei due giorni successivi tornai più volte, la mattina presto, il pomeriggio, volevo controllare la situazione, e quando stavo a casa telefonavo spessissimo, per sapere se tutto era sotto controllo.

Nonostante tutto, quei ragazzi si stavano comportando abbastanza bene. Passavano quasi tutta la giornata fuori casa, senza che nessuno sapesse dove andassero effettivamente.

In genere la risposta era sempre la stessa “indagini”, ma non c’era verso di strappare qualche parola di più.

Jin sospettava che quei tre andassero a fare tutt’altro che indagini.

Tra l’altro gli avevo rinfacciato più di una volta il suo totale disinteresse per l’arrivo di Hwoarang e della sua combriccola.

Lui si era scusato, dicendo semplicemente che preferiva evitare di vederlo e di parlarne, perché quel individuo gli dava ai nervi.

Non era andato una volta, da quando erano arrivati, a vedere come andavano le cose.

Magari, pensavo, se fosse stato lui a chiederglielo, Hwoarang avrebbe forse spiegato meglio le sue azioni.

E invece preferiva starsene in disparte, a casa, a oziare, ad allenarsi o a studiare. In pratica, pensando sempre a tutt’altro.

-         Xiao, che programmi hai per stasera?- mi domandò Miharu dall’altro capo del telefono.

-         Mmh…-

Avevo chiamato un’altra volta. Erano circa le dieci del mattino, mi ero alzata da poco.

Ero seduta nel divano, con la televisione accesa che facevo zapping con svogliatezza.

-         Allora?- mi chiese ancora

-         Veramente… non devo fare niente.- risposi

-         Perfetto! Vieni ad una festa, nel locale di mia cugina?

-         Mmh… non lo so…

-         Che entusiasmo!- commentò sarcastica- Dai, già non vorrai rimanere ad ammuffirti in casa anche a Capodanno!

-         Va… va bene.- acconsentii

-         Ok, ti richiamo per metterci d’accordo per l’orario. A dopo!

-         Ok, ciao.

Chiusi la chiamata e rimasi in pensiero.

A dire il vero con tutte le cose a cui avevo dovuto pensare nell’ultimo periodo, non avevo preso minimamente in considerazione l’idea di andare ad una festa di Capodanno.

In questi momenti il problema numero uno è sempre lo stesso: “come mi vesto?!”

Sicuramente avrei scelto delle scarpe comode!

Avvenimenti recenti mi avevano totalmente condizionato.

Pensando a come mi sarei potuta preparare, mi alzai, spensi la TV e mi diressi per uscire dalla stanza.

Uscendo incrociai Jin che stava invece entrando. Mi salutò.

Non ci eravamo ancora incontrati quella mattina. Aveva i capelli bagnati che stavano per conto loro, tutti appiccicati sulla fronte. Doveva essere appena uscito dalla doccia.

Lo scrutai pensierosa.

“Chissà se lui ha qualche progetto per stasera” pensai, mentre lo seguivo con lo sguardo.

Entrò in cucina e vidi che aprì il frigorifero.

“Ma che sciocchezze!” biasimai la mia ingenuità.

“È impossibile. Lui non è proprio il tipo che ci tiene a prendere impegni di questo tipo.”

Si chinò e prese qualcosa dal frigo, poi lo richiuse e notò in quel momento che lo stavo ancora osservando sulla soglia.

Mi guardò stupito, aspettando che parlassi.

-         Jin, oggi è…

-         Il 31 dicembre.- rispose terminando la frase.

Annuii.

-         È per quello che in casa non c’è nessuno a parte noi.

In genere c’era un sacco di gente in giro per la casa, era impossibile non notare il silenzio e la calma che invece si respirava quella mattina.

Annuii ancora.

Lui continuò ad osservarmi perplesso.

-         Cosa…?

Era buffo vederlo con quello sguardo e quei capelli tutti scompigliati. Sorrisi e mi avvicinai di qualche passo. Mi sedetti al tavolo, su una sedia di fronte a lui.

-         In genere cosa ti piace fare a Capodanno?

Rimase titubante, mentre prendeva un pentolino per riscaldarsi del latte.

-         In genere non do molta importanza a questo tipo di feste.- rispose poco dopo con fermezza.

-         Sì, lo sospettavo.- risposi- Allora, che ne dici di…

-         No!- mi anticipò con decisione

-         Non mi hai fatto finire!- protestai

-         Posso immaginare come sarebbe andata a finire la frase.- alzò le spalle- Non ci vengo alla festa del locale della cugina di Miharu.

Come… lo sapeva?

Era diventato anche telepatico adesso?

-         È una lunga storia, lascia perdere… Ci va ogni anno.- tagliò corto leggendo la mia perplessità

-         E perché non ci verresti?- chiesi

-         Non ho intenzione di uscire stasera, per diversi e validi motivi.- sorseggiò dalla tazza fumante- Hai già fatto colazione?

Scossi piano la testa.

-         Se ti accontenti di caffellatte, serviti pure. Non ho voglia di preparare qualcosa di più sofisticato.

-         E dai, vieni!- ignorai la proposta

-         Ho detto di no!

-         Ma cosa…

-         No!

Rimanemmo per qualche istante ad osservarci, seri, senza parlare.

Come avevo potuto pensare che sarebbe venuto? Era assolutamente impossibile, conoscendolo.

Però, non volevo andarmene sapendo che lui sarebbe rimasto a casa da solo.

-         Perché sei sempre così testardo?!- sbuffai

-         Non ho voglia di continuare a ribattere. Ho detto che non voglio venire.

-         E io non voglio che tu rimanga da solo a Capodanno!

Non mi rispose e scostò lo sguardo verso la finestra.

-         Dai, è solo una festa! Non ti sto chiedendo di andare…

-         Ho detto di no.- tagliò corto tranquillamente- Non ho alcun problema a stare da solo a Capodanno. Vivo lo stesso.

-         Ma che tristezza!- esclamai contrariata

-         Non c’è niente di triste. E poi scusa, non vedo niente da festeggiare. Finisce un anno, e ne inizia uno nuovo! Il Capodanno è un’inutile e stupidissima festa, creata solo per far spendere soldi alla gente. Gente che, per non sentirsi “triste”, dici tu, decide di andare a divertirsi, poi beve e…

Era sufficiente.

-         Io proprio non ti capisco!- iniziai alzandomi- E ci ho provato, moltissime volte! Vedi sempre negativo dappertutto, sei incorreggibile! Queste sono solo scuse, delle stupidissime scuse. Scuse con le quali cerchi di convincerti da solo.

Andai verso la porta e poi mi fermai, mi voltai e lo guardai di nuovo.

-         E sai una cosa? Tu credi di essere migliore, guardi le persone dall’alto verso il basso per il modo in cui si comportano. Ma non puoi vivere nella tua gabbia di cristallo pensando che il mondo esterno non sia all’altezza di comprenderti! Sei tu che sei sempre stato incapace di adattarti! E mai lo sarai!

Quelle parole mi uscirono di bocca quasi senza che me ne rendessi conto. Ero infastidita.

Da lui e da quel suo modo stupido di vedere tutte le cose.

Mentre gli parlavo però, notai che non mi stava più guardando con aria superba e sicura, come poco prima. Aveva abbassato gli occhi, distolto lo sguardo e aveva rilassato la sua espressione, avrei detto quasi… che si fosse rattristato?

Impossibile! Stiamo parlando di Jin Kazama. Nessuna parola può scalfirlo.

Rimasi molto sorpresa, da questo suo atteggiamento.

Uscii dalla stanza senza dire altro e mi reclusi in camera per tutta la mattina.

Passai il tempo a vuotare l’intero armadio cercando qualcosa di proponibile per la serata.

Verso l’ora di pranzo, avevo ridotto la scelta a cinque possibilità. Era già un buon risultato.

Non avendo mangiato niente per tutta la mattina, mi convinsi a scendere e ad andare a cercare qualcosa da mangiare.

Jin non sembrava essere nei paraggi. Anzi, talmente grande era la casa, per quanto ne sapevo, poteva anche benissimo essere uscito senza che io me ne accorgessi.

Entrai in cucina e notai che sul tavolo c’era qualcosa. Con mia grande sorpresa, avvicinandomi di qualche passo, constatai che la tavola era stata lasciata apparecchiata per una persona.

Mi guardai intorno. Jin non sembrava proprio essere nei paraggi.

Mi avvicinai alla lavastoviglie e la aprii. Come avevo sospettato, ci trovai le stoviglie di qualcuno che aveva pranzato poco prima.

Mi aveva lasciato il pranzo pronto.

Mi sedetti a tavola ed iniziai a mangiare. Era ottimo.

“Perché si comporta così?”

Mi sentivo in colpa.

Poteva anche evitare di lasciarmi il pranzo.

Dopo che io l’avevo trattato così.

Ma qui stava la differenza fra me e lui.

Chi avesse ragione in questo, non so dirlo. Ma non sempre deve esserci per forza qualcuno che abbia ragione. Sono solo diversi modi di comportarsi, diversi modi di essere, diversi modi di reagire.

Finii di pranzare riposi i piatti nella lavastoviglie e tornai in camera mia.

Di lui neanche l’ombra.

Che cosa aveva intenzione di comunicarmi con questo?

Era troppo misterioso per tentare di capirlo.

Chiusi la porta e mi voltai a guardare i vestiti che avevo lasciato sul letto, in attesa di una decisione.

Mi avvicinai al letto e presi una maglietta bianca e una gonna nera.

“E stamattina il mio più grande dilemma era scegliere il vestito adatto…” pensai.

“Quanto sono cretina!”

Avevo deciso.

Camminai verso la scrivania e guardai il cellulare, con qualche secondo di esitazione, lo presi in mano.

 

Erano circa le nove di sera, quando uscii dalla mia stanza, pronta.

Scesi al piano di sotto e andai di proposito a cercare Jin.

Lo trovai seduto su un davanzale di una delle grandi finestre che davano sul giardino a fare non so cosa. Probabilmente rifletteva con lo sguardo perso nel vuoto.

Mi notò arrivando e senza cambiare espressione di una virgola mi squadrò dalla testa ai piedi.

-         Sei pronta.- commentò smettendo di guardare nella mia direzione- Divertiti.

-         Sicuramente lo farò.- risposi

Gli andai vicino, continuava a guardare altrove, ma non come se fosse arrabbiato, era più che altro indifferente, e forse leggermente infastidito.

-         Hai ragione, il capodanno non è altro che una grandissima trovata economica.

Non reagì minimamente.

-         Ma c’è anche da dire che è un momento per riflettere sull’anno che è appena passato e su quello che sta per iniziare. La gente affida le proprie speranze al futuro e ripensa a ciò che sta finendo. In fondo non è tanto male.- sorrisi

Mi sedetti dall’altra parte del davanzale, affianco a lui.

-         Alla fine quello che conta, è passare una buona serata.- continuai- Non è necessario partecipare a grandi feste, solo per il gusto di andarci.

-         Io… non intendevo questo.- finalmente si degnò di rispondere

-         Lo so.- risposi- Ma per me è così. Anche io non sono abituata a questo genere di cose. Preferisco la semplicità. Per questo ho deciso di stare qua, stasera.

Dapprima mi guardò a bocca aperta per lo stupore senza dire una parola, poco dopo, invece abbassò gli occhi trasformando la sua espressione con un leggero sorriso quasi divertito.

-         Non ti ho mai chiesto di fare una cosa del genere.

-         Lo so, infatti è una mia scelta.

-         Ma allora perché ti sei vestita…- fece un cenno con la testa verso di me- insomma… così…

-         Così?- risi inclinando leggermente la testa, aspettando che continuasse la frase.

-         Beh… da… festa.

-         Chi ha detto che voglio rinunciare a festeggiare il Capodanno?- risi

Gli tirai una mano e lo incitai ad alzarsi.

-         Faremo la nostra festa qui: io e te.- proposi entusiasta- Ci stai?

Non riuscì a mascherare il suo stupore, rimase qualche secondo in silenzio a studiare la mia espressione. Forse voleva capire se fossi seria oppure no.

-         Non ti permetto di rifiutare.- lo avvertii

Ricambiò il sorriso.

-         D’accordo.- acconsentì alzandosi- Sembra proprio che non possa fare a meno di festeggiare questa stupida ed inutile festa.

-         Forse perché alla fine non è poi così stupida e inutile. Tu che ne pensi?

Fece una piccola smorfia piena di sarcasmo.

-         Se lo dici tu…- commentò- Dai, vado a preparare qualcosa allora.

-         Oook!- esultai con un sorriso a trentadue denti- Io nel mentre mi occupo delle altre cose.

Detto questo lo lasciai ed entrai in sala da pranzo, iniziando a pensare a come avrei potuto apparecchiare e preparare il tavolo. Avevo intenzione di fare qualcosa di particolare.

Dopotutto era una “sera speciale”. Semplice, ma pur sempre speciale.

Aprii i cassetti e frugai in cerca di tovaglie belline. Ce ne erano di ogni tipo, per tutte le occasioni.

Ne tolsi fuori qualcuna per decidere.

Non mi convincevano. Il fatto è che in quella casa era tutto, per così dire, principesco. Troppo elegante.

Le riposi nel cassetto e pensai. Pensai a qualche soluzione carina guardandomi intorno.

Provai ad andare in soggiorno, cercando qualche ispirazione. Provai a frugare anche dentro a ai cassetti di quei mobili, ma senza trovare niente di interessante.

Stavo per rassegnarmi ed andare ad apparecchiare il tavolo in modo normale, quando lo sguardo mi cadde sul tavolino basso del soggiorno.

In fondo, anche se era un po’ piccolo come tavolo, non sarebbe stata una cattiva idea apparecchiare lì, ed andarci a mangiare.

Senza pensarci due volte, liberai il tavolino da tutte le orribili decorazioni e soprammobili di Heiachi.

C’erano cose davvero assurde, come statuette di guerrieri ninja in terracotta e persino una testa di Heiachi in miniatura placcata, credo, in oro.

La guardai con ribrezzo, chiedendomi come fosse possibile avere dei gusti talmente orrendi. Per quanto una persona possa essere vanitosa, è veramente una cosa orrida tenersi un modellino della propria testa in oro sul tavolino del soggiorno.

Trasferii tutte queste cianfrusaglie sul tavolo dell’altra stanza ed iniziai ad apparecchiare sull’altro.

Una volta finito, mi alzai e sorrisi vedendo il mio tavolino pronto.

Mancavano solo i due cuscini su cui appoggiare le ginocchia, che sistemai subito dopo.

Dopodichè era perfetto. Ero pienamente soddisfatta.

“Certo che però”, mi ritrovai a pensare mentre guardavo il tavolino “visto così sembra proprio il tavolo apparecchiato per una cenetta romantica”.

Deglutii rimproverandomi all’istante.

Perché stavo di nuovo pensando a questo tipo di cose?

Non era vero! Per niente! Era un tavolo piccolino, apparecchiato per due persone. Non sembrava romantico, per niente!

Era solo la mia fantasia strampalata che mi faceva venire certi pensieri, del tutto infondati.

Anche se… in quella stessa stanza…

I miei pensieri vennero interrotti dal campanello che aveva preso a suonare.

Rimasi spiazzata. Chi poteva mai essere?

Uscii dalla stanza ed andai verso il corridoio.

Era uscito anche Jin.

-         Aspettiamo qualcuno?- mi chiese sospettoso

-         No, non ho invitato nessuno io!- risposi indovinando i suoi pensieri

Mi avvicinai alla porta e l’aprii.

-         Sorpresaaaaa!

Guardai sconcertata chi aveva suonato la porta.

“Non è vero!” mi ripetei cercando di convincermi.

“Oggi è la volta buona che faccio fuori qualcuno”.

Fui tentata di richiudere la porta di botto, solo per evitare di assistere alla reazione di Jin.

Invece cercai di incrociare il suo sguardo solo per fargli capire che io non centravo nulla con loro! Non ero stata io a chiamarli!

-         Abbiamo deciso di cambiare programmi. Spero la cosa non vi rechi disturbo.

Sulla soglia della porta c’erano niente po’ di meno che Miharu, accompagnata da Hwoarang e gli altri due.

Entrarono in casa, come se niente fosse.

Jin rimase quasi pietrificato, osservando in silenzio, con aria truce, i nostri ospiti inattesi.

A questo punto gli si leggeva in faccia che avrebbe preferito di gran lunga andare ad una festa strapiena di gente sconosciuta, piuttosto che dover passare il Capodanno in casa con Hwoarang.

-         E questa sarebbe l’umile dimora del nonnino, Kazama?- beffò quello guardandosi attorno.

-         Non dovevi andare alla festa?- chiesi a denti stretti prendendo Miharu da una parte.

-         Ero alla festa fino a poco fa.- ammise, poi fece un grande sorriso- Ma mi annoiavo, e ho deciso di venire a farvi compagnia!

-         E… loro?- chiesi lanciando messaggi telepatici di totale disaccordo

-         Loro? Beh, ci divertiamo di più se siamo tanti, no?- rise

-         Miharu!- piagnucolai- Ma è possibile che non lo capisca?!

-         Capire… cosa?

-         Non puoi portare Hwoarang a casa di Jin, sapendo che non si sopportano a vicenda!

-         Ma veramente lui era d’accordo.- rispose- Quando gliel’ho proposto ha subito acconsentito. Ha detto che ne avrebbe approfittato per terminare una certa cosa…

Preoccupata mi voltai a vedere la scena.

Hwoarang si era avvicinato a Jin e parlava animatamente. L’altro non lo calcolava, e ogni tanto gli rivolgeva qualche occhiataccia gelida.

-         La serata ci aspetta!- fece Miharu con un enorme sorriso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** L'ultima notte I ***


Dedico questo capitolo a Kiarana,
una persona davvero in gamba e dalla fantasia eccezionale,
...che mi ha fatto tornare
voglia di Tekken!

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
- Cento. -
- Centouno. -
- Che gioco demente… - rispose atono Jin – Furetto. - bofonchiò mentre lo sguardo di tutti si posava sulla persona alla sua sinistra.
Concentrazione al massimo.
Noi quattro, seduti ognuno ad un lato del tavolino quadrato, non potevamo permetterci di distrarci e di sbagliare.
- Fure… furetto?- chiese Miharu incerta.
- Centoquattro!- esclamò Hwoarang senza esitazione togliendo ogni dubbio a Miharu.
E così arrivò finalmente il mio turno.
Sorrisi, anche stavolta non avrei commesso l’errore.
- Centocinque! – esclamai.
Silenzio di tomba. Rotto solo dal rumore dei due amici di Hwoarang che sgranocchiavano noccioline.
Mi accorsi di avere due paia di occhi puntati su di me, serissimi, Jin e Hwoarang. Miharu che, vedendo l’espressione dei due aveva iniziato a fare dei calcoli tra sé e sé aiutandosi con le dita.
Hwoarang ridacchiò, allungò il braccio davanti a sé, prese la bottiglia del liquore e si preparò a riempirmi un po’ il bicchiere.
Avevo sbagliato?
- Hey un attimo! Fermi tutti! - protestai riflettendo - Centocinque…
- È un multiplo di tre, genio del male!- Hwoarang terminò la frase al posto mio.
- Oh… - non fui in grado di aggiungere altro, guardando il bicchierino pronto che mi porgeva Hwoarang.
Il settimo di quella serata, ad indicare il mio ennesimo errore.
Non era il mio forte la matematica, non lo sarebbe mai stato e in quel momento la odiavo più di ogni altra cosa!
- Che gioco cretino… - continuò a lamentarsi Jin– Sembriamo bambini delle elementari. –
- In effetti sarebbe il caso di fermarci qui. – convenne Hwoarang. Poi fece un cenno con la testa verso di me – I bambini delle elementari non è il caso che bevano troppo. -
Mi sentii avvampare per la rabbia, l’imbarazzo e forse anche l’alcool del liquore che mi scendeva nella gola. Avrei voluto rispondere alla battutaccia, ma ero d’accordo sul terminare il gioco subito in quel momento, quindi decisi di non replicare.
Mi accorsi che Jin mi stava fissando.
- Xiao, tutto bene? – mi domandò forse un tantino preoccupato dal mio rossore.
Annuii cercando di essere convincente, allontanando il bicchierino il più possibile da me.
- Lo spero! – disse Hwoarang con una smorfia – Non voglio avere sulla coscienza nessuno per via di questo innocente giochetto. -
- Innocente giochetto? – chiese Miharu sconcertata.
Anche lei non era stata particolarmente entusiasta di tale “innocente giochetto”.
Il gioco, rigorosamente proposto da Hwoarang, consisteva nel dire a turno tutti i numeri in ordine progressivo, saltando dall’elenco il numero 3, i suoi multipli e tutti i numeri che contenevano il 3 come cifra.
Il numero in questione veniva sostituito con la parola “Furetto”, e ad ogni errore era di regola buttare giù un bicchierino come penitenza.
- È un gioco che ho sempre fatto da ragazzino. Ma sfide vere! E di certo non sono mai state interrotte perché una mocciosa stava rischiando il coma etilico. –
- Mocciosa!?- ringhiai.
- Mm sì, sai quelle della tua specie. – rispose distrattamente, poi si voltò da Jin - Ti tiri indietro anche tu, Kazama? –
- È un gioco cretino e per giunta noioso. – disse semplicemente lui.
- Allora potremo continuare a sfidarci con quelli. – propose Hwoarang accendendosi nel mentre un’altra sigaretta e indicando la console per i videogiochi.
Jin fece le spallucce, sbuffò poco entusiasta.
Per tutta la sera Hwoarang non aveva fatto altro che lanciare sfide su sfide a Jin.
- Vada per i videogiochi… -
- Che palle Kazama! Faresti cascare i coglioni pure ad un morto. Pure io preferirei altra compagnia, ma ormai siamo qui e dobbiamo pur trovare qualcosa da fare per far passare il tempo, no?! -
Sì, dai. In fondo come serata non stava andando poi così male. O per lo meno, non così male come me l’ero immaginata.
Avevamo smesso da un pezzo di cenare, e per ingannare il tempo Hwoarang aveva proposto quel passatempo.
Intanto i suoi due amici stavano dietro di lui, seduti da una parte a sorseggiare ogni tanto dai loro bicchieri, sgranocchiare qualcosa e a parlare fra di loro. Non che avessero mostrato molto la loro presenza nel corso della serata.
Io e Miharu li avevamo denominati “gli scimmioni”. Un nome che per loro calzava a pennello, per il loro modo di fare, sempre per conto loro o agli ordini di Hwoarang e per la loro imponenza, soprattutto quello grande.  
Guardai oltre il vetro della finestra.
Le luci di Tokyo in festa per il capodanno coloravano il manto blu scuro della notte.
Ero ancora accaldata, mi sentivo le guance bollenti.
- Andiamo a prendere un po’ d’aria?- chiesi a Miharu
Lei annuì e presto si alzò per seguirmi nell’altra stanza.
Entrai in cucina, dove aprii una grande finestra che dava direttamente sul giardino. L’aria era parecchio fredda all’esterno, ma mi faceva piacere sentire il fresco sulla faccia.
In lontananza si sentivano tutti i rumori della città, quella notte ancora più accentuati del solito.
Miharu mi raggiunse e posò le mani sul davanzale guardando davanti a sé.
- Spero di non averti creato troppo disturbo stanotte.- disse poi ad un certo punto abbassando lo sguardo.
Mi voltai per guardarla senza mascherare il mio stupore.
- Scusami.- continuò.
- Miharu, che stai dicendo?- domandai seriamente confusa e notando lo sguardo un po’ rattristato.
- Hai capito di cosa parlo.- tagliò corto- Te lo si leggeva in faccia. Hai tirato fuori delle scuse subito dopo. -
Continuavo sinceramente a non capire.
- Avrei dovuto chiedertelo, prima di sbucare dal nulla così. Hai perfettamente ragione. –
Sorrise.
- Ma non potevo immaginarlo, mi dispiace.-
- Immaginare che cosa?! – domandai esasperata.
Mi guardò come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
- Che volevi stare da sola con Jin. - disse con una tale naturalezza.
Aprii la bocca per replicare ma non mi venne in mente niente di intelligente da dire. Ero confusa e mi girava un po’ la testa.
- Miharu, cosa stai dicendo?!- riuscii a chiedere con la dovuta calma poco dopo.
La mia amica a quel punto sembrò irritata.
- Sarebbe ridicolo da parte tua volerlo negare adesso… -
- Non parlo di questo. - la interruppi scostando lo sguardo - Non ce l’ho con te. –
Si voltò a fissarmi.
- Sono stata un’egoista. –
Notai solo in quel momento la sua espressione rattristata.
- Ma… - mi morirono le parole in gola.
Era strano da parte sua tutto questo. Che avessi esagerato a prendermela un po’ al loro arrivo?
Stavo per riprendere a parlare, ma mi anticipò.
- Scusami, è che… è stupido, però… non sopportavo l’idea di passare un altro anno da sola.- spiegò tenendo sempre lo sguardo basso.
Rimasi di sasso.
- Ma… come?- azzardai- Non vai alla festa del locale di tua cugina di solito?-
Fece una smorfia.
- Non ci sono mai andata in vita mia.- disse- O meglio, non ho mai trovato nessuno disposto a farmi compagnia. –
Fui io a sentirmi egoista stavolta. Senza sapere bene cosa dire, mi voltai verso il vetro della finestra e guardai in basso.
- Miharu, io… non lo sapevo. Ti avrei chiesto io di venire… - ammisi
- Non preoccuparti!- tentò di sorridere – Sono io a dovermi scusare con te, no? -
- Stupida festa il capodanno. – commentai a bassa voce.
In quel momento, dopo aver finito di pronunciare quell’ultima parola, mi gelai all’istante.
Un fragore di vetri rotti.
Forte. Decisamente forte.
Proveniva dal piano di sopra forse, ma non potevo definirlo con certezza.
- Cos’hanno combinato? – fece Miharu.
- No. - risposi spostando lo sguardo verso il soffitto - Non sono loro. Credo che venisse da su!-
Che fossero entrati dei ladri?
Mi precipitai verso la porta con la mano protesa verso la maniglia, la aprii con veemenza ed uscii andando a scontrarmi contro Hwoarang.
Neanche mi degnò di uno sguardo, guardò oltre per osservare se tutto fosse a posto nella stanza, solo dopo si rivolse a noi.
- Tutto bene qui? -
- Sì.- tagliai corto.
Guardai anche io oltre di lui, notai i due scimmioni seduti alla solita postazione.
- Jin dov’è? -
- È andato a controllare il piano di sopra. - disse Hwoarang - Mi ha chiesto di andarvi a cercare.-
- È andato da solo? - volli sapere un po’ preoccupata.
Hwoarang sorrise beffardo.
-         Non dovrebbe perdersi, è casa sua dopo tutto no? –
Non risposi.
Scansai Hwoarang e uscii dalla stanza, attraversando la sala da pranzo, fino all’altra porta, quella che dà alla scalinata per salire al piano superiore.
Miharu, Hwoarang e i suoi amici mi seguivano, ma non sembravano troppo preoccupati.
- Che ti prende ora? Aspetta! - mi chiamò Hwoarang.
- Xiao, aspetta! - si aggiunse anche Miharu.
Volevo trovare Jin. Avevo una strana sensazione.
Anche se non fosse successo niente di grave, avevo premura di trovare Jin.
Stavo per raggiungere il piano superiore, mi mancava solo l’ultima rampa di scale, quando improvvisamente venimmo avvolti dall’oscurità.
La corrente elettrica era appena saltata.
Mi bloccai sul posto e rabbrividii. Sentivo il cuore che martellava contro il petto.
A quel punto non c’erano dubbi.
C’era veramente qualcosa che non andava. Decisamente.
Sentii che Hwoarang mi venne affianco lentamente, facendo attenzione a salire i gradini al buio.
- Che cosa è successo? - sentii da dietro la voce acuta e spaventata di Miharu.
Uno dei due compagni di Hwoarang gli chiese qualcosa nella sua lingua e lui rispose.
- È mancata la corrente, ma ora ritorna vero? - continuò Miharu, raggiungendoci lentamente.
- Non credo. - disse Hwoarang serio - Guardate fuori.-
Indicò la vetrata affianco alla rampa di scale.
Si vedevano chiaramente le mille luci della città in festa per l’imminente scoccare della mezzanotte. Gli edifici intorno a noi brillavano come non mai.
Deglutii comprendendo la situazione.
- La corrente manca solo da noi. - constatai - Non è un semplice black-out. Qualcuno ha volutamente staccato tutto. -
- Oh, qual… cuno…- La mia amica non riuscì ad aggiungere nient’altro, la voce le morì in gola.
- Esatto. - confermò Hwoarang a denti stretti.- Senti…-
Notai, vedendo la sua ombra, che si era voltato verso di me. Prese respiro e si decise a parlare.
- In realtà, c’è qualcosa che ho scoperto, ma non vi ho ancora detto. - ammise
- Cosa? - domandai a voce alta, sentendo crescere la mia ansia.
- Dopo vi spiegherò tutto, ora non è il momento. Prima dobbiamo trovare Kazama. –
- Avevamo un patto! – mi lamentai furiosa – Se hai scoperto qualcosa dovevi dircelo subito! –
- Beh volevo avere le prove prima di parlare! – spiegò Hwoarang evasivo – È una cosa abbastanza… delicata, poi capirai cosa intendo. -
- Quali prove ti servivano?? – sentivo che da lì a poco avrei iniziato a piangere – Lo capisci o no che siamo in pericolo?! Ne abbiamo parlato, ricordi?-
- Di cosa state parlando? - sbraitò Miharu in preda al panico - Cosa sta succedendo? –
Io e Hwoarang rimanemmo in silenzio, guardandoci l’uno con l’altro senza dire niente.
- Miharu tranquilla! - cercò di consolarla Hwoarang - La situazione è sotto controllo. -
- Miharu… - abbassai il tono di voce, sentendomi un po’ in colpa. - Dopo ti spiegherò tutto. -
Lei deglutì, ancora spaventata e rimase in silenzio.
Hwoarang si voltò di nuovo verso di me. Sembrava per la prima volta un po’ in difficoltà, la situazione gli stava decisamente sfuggendo dalle mani.
- Dove possiamo trovare delle torce? -
- Non… non ne ho idea! - risposi.
- Ma… cazzo! Ci vivi tu in questa casa! – si alterò.
- Scusa se non ne ho mai avuto bisogno! - risposi acidamente
- La tua presenza è utile quanto quella di una spina nel culo.- commentò sprezzante.
Rimasi a bocca aperta sconcertata qualche secondo per realizzare quello che avevo appena sentito.
Incredibilmente, quel ragazzo sotto pressione diventava se possibile, ancora più irritante.
Stavo proprio per urlargli tutte le parolacce e gli insulti possibili che mi venivano in mente, quando intervenne Miharu.
- Ragazzi… - disse a mezza voce.
Ci voltammo contemporaneamente verso di lei. I nostri occhi stavano iniziando ad abituarsi al buio, adesso potevamo distinguere più dettagliatamente le sagome.
Miharu puntava tremolante un dito in direzione del corridoio del primo piano, davanti a noi.
- Si è mosso qualcosa. - sussurrò con voce strozzata.
- Sarà Kazama? – bisbigliò Hwoarang.
Un rapido scambio di occhiate. Strinsi i pugni contro i palmi delle mani. Iniziavo ad essere preoccupata sul serio.
- Cerchiamolo. – dissi.
Non aspettai un loro consenso, facendo attenzione a non fare rumore ripresi a salire le scale, seguita a ruota dagli altri.
- Ragazzi… - Miharu richiamò nuovamente la nostra attenzione, sempre sottovoce - Mi ascoltate un secondo? –
Nessuno dei due rispose. Avevamo ormai finito di salire le scale e ci stavamo guardando intorno per notare eventuali cose fuori posto.
Tutto sembrava tranquillo.
Miharu fece finta di aver ricevuto risposta.
- Mi sembra chiaro che pensiate che ci sia un estraneo in casa, vero? - bisbigliò.
A quanto pareva stava cercando di fare il punto della situazione.
Avevamo iniziato a percorrere il corridoio a passi lenti, facendo attenzione a percepire ogni possibile rumore e movimento.
Ancora una volta, nessuno dei due rispose.
Miharu deglutì.
- E non vorrei sbagliarmi, ma credo che voi non pensiate siano semplici ladri, giusto? Sembra che voi sappiate qualcos’altro… -
Di nuovo nessuna risposta.
Miharu si innervosì. Era sul punto di piangere.
- Insomma! - si alterò - Vi degnate di rispondermi?! -
E come biasimarla?
Ma non potevo di certo dirle “Mmm… guarda, nella peggiore delle mie ipotesi, stiamo per scontrarci con un mostro enorme che va in giro a risucchiare le anime dei lottatori più forti! Oh lo sai? È lo stesso che ha fatto fuori mio nonno, la mamma di Jin e il maestro di Hwoarang…” come se niente fosse.
- Silenzio. - la zittì Hwoarang fermandosi di colpo.
- Hai… visto qualcosa? - domandai
- Forse… - mugugnò strizzando gli occhi per cercare una maggiore visibilità - Credo che abbia girato a destra… Aspettatemi qui. -
- Hwoarang non credo che dovremo…- cercai di richiamarlo - …separarci - finii con un sospiro.
Ormai aveva già chiamato con sé lo scimmione meno grosso e si erano già avventurati verso la fine del corridoio.
Sentii delle unghie che affondarono nel mio braccio sinistro.
- Miharu, non stringere così! Mi fai male! - mi voltai verso di lei e notai il suo viso terrorizzato.
Mi sentii terribilmente in colpa. In effetti l’avevamo trascinata in una grossa faccenda, nonché pericolosa, quando lei non centrava assolutamente niente.
I miei occhi si incontrarono poi con quelli dello scimmione grosso coi capelli lunghi che stava dietro Miharu, almeno Hwoarang non avrebbe avuto la coscienza troppo sporca, avendoci lasciato con un tale energumeno.
Nel corridoio però eravamo troppo in vista. Era meglio andare a rifugiarci da qualche parte.
La stanza di Jin, per esempio, era la più vicina alla nostra posizione.
Feci cenno allo scimmione di seguirmi, poi presi Miharu per il polso.
- Dove vuoi andare?! - chiese - Hwoarang ha detto di aspettare qui!!
- Me ne frego di quello che dice Hwoarang! - ribattei, scocciata per il modo in cui ci aveva liquidato - Siamo troppo in vista qui! -
Aprii la porta della stanza e aspettai qualche secondo prima di entrare. Volevo assicurarmi che fosse tutto apposto. Sembrava che non ci fosse nessuno.
Mi scostai dalla soglia e feci entrare gli altri due, poi richiusi la porta alle mie spalle appoggiandomici con la schiena.
La stanza di Jin era perfettamente in ordine, come sempre, e come al solito aleggiava il suo profumo.
Mi imbarazzai un po’ ritrovandomi a pensare che nonostante tutto, riuscivo a sentirmi più tranquilla nella stanza di Jin. Come se avesse qualche potere particolare.
- Adesso, per la miseria, mi vuoi spiegare cosa succede?! – mi implorò sussurrando.
Emisi un lungo e profondo sospiro.
- D’accordo. Tanto sarebbe inutile continuare a negare. – mi arresi, continuando a parlare a bassissima voce.
Decisi di raccontarle tutto, dal giorno in cui incontrai Heiachi, fino alla nostra “avventura” in Corea, l’incontro con Hwoarang, rivelando il vero motivo per cui Hwoarang era venuto in Giappone.
Le rivelai il segreto che stava dietro noi, eredi dei grandi maestri.
Miharu mi guardava con occhi sgranati, come se non riuscisse a credere ad una sola parola di quelle che avevo detto.
- Ma tutto questo è… è assurdo! – disse – Come puoi pretendere che ti creda? -
- Ti capisco perfettamente. - annuii rassegnata.
Era più che logico che non mi credesse.
- Anche per me non è stato facile accettarlo, ma è la realtà. – ammisi alzando le spalle.
- Questo vuol dire che… - Miharu cominciò, ma le parole le morirono in gola e non riuscì a terminare la frase.
- Siamo in pericolo? Sì, decisamente. - ipotizzai il seguito.
La sua espressione si fece ancora più disperata.
- Se questo è uno scherzo, giuro che io…-
- Non è uno scherzo! - abbassai lo sguardo - Sono molto preoccupata anche io, cosa credi? -
Pensai a Jin e a Hwoarang, che erano finiti chissà dove.            
- Ma tu, Miharu, tu non centri niente! - dissi pervasa dai sensi di colpa - Non è giusto che tu stia qui! Proverò a farti scappare! - proposi.
- Perché solo io?! - si lamentò - Anche tu! -
- Non posso! Non posso lasciarli! Siamo tutti e tre nella stessa condizione, capisci? -
Scosse la testa.
- Non me ne andrò da sola. -
- E invece devi farlo! - ribattei - e chiederai aiuto! -
Gli occhi di Miharu si illuminarono.
- Io ho il cellulare al piano di sotto! -
Sorrisi. Ma certo! Con un cellulare avremo potuto contattare la polizia.
Come avevo potuto non pensarci prima?
- Ehm… come facciamo a scendere? - chiese dopo.
- Dobbiamo per forza riuscire da qui. – constatai – Anche se… -
Posai la mano sulla maniglia, quando sussultai.
Passi, qualcuno si muoveva svelto lungo il corridoio.
Cercai lo sguardo degli altri due, anche loro sembrava avessero sentito.
- Potrebbe essere Jin… o Hwoarang… - ipotizzò Miharu speranzosa.
- Oppure No. - conclusi.
Lo scimmione parlò.
Disse qualcosa, gesticolando, indicando l’armadio-cabina sull‘altra parete.
- Nasconderci? - chiese Miharu.
I passi si facevano sempre più rapidi e vicini. Adesso la persona stava correndo.
Mi voltai verso l’armadio e mi avvicinai facendo agli altri cenno di seguirmi.
Era abbastanza grande per farci stare comodi tutti e tre.
Lo scimmione ci entrò chinando la testa e rimanemmo nell’oscurità con le orecchie tese, pronti ad ascoltare qualsiasi cosa.
I passi rallentarono. Erano vicinissimi, la persona doveva essere in prossimità della porta.
Rimasi qualche immobile per non so quanto tempo fino a che non mi accorsi che stavo ancora una volta trattenendo il respiro. Lo rilasciai silenziosamente, e poi tirai un sospiro di sollievo sentendo i passi che si allontanavano di nuovo.
Non so per quale motivo, ma ero più portata a ritenere questa una fortuna, dal momento che il mio istinto mi diceva che chi c’era fuori dalla porta non era né Jin, né Hwoarang.
Quando i passi si furono di nuovo allontanati abbastanza, aprimmo lentamente le ante dell’armadio senza ancora uscire.
Incontrai lo sguardo di Miharu, era piuttosto sconvolta! E immagino che anche la mia faccia lo fosse abbastanza.
E come biasimarci d’altronde? Entrambe ci aspettavamo di passare una tranquilla cena di capodanno come quelle che fanno tutti.
L’unico che non si scomponeva, era come al solito lo scimmione.
Inespressivo come al solito, sollevò un sopracciglio, notando che lo stavo osservando, poi portò un dito contro di lui e disse qualcosa.
- Ned…-
Si stava presentando? In un momento del genere?
Beh, l’ho sempre pensato che gli amici di Hwoarang fossero davvero dei tipi strani.
- Ned?- ripetei.
Lui annuì.
Decisamente un po’ strano per essere un vero nome, di sicuro era l’abbreviazione di qualcos’altro. Magari un giorno avrei indagato.
Comunque era stato carino a presentarsi. Sorrisi e ripetei il gesto.
- Xiaoyu. -
Lo scimmione sembrò un attimo in difficoltà.
- Xi…-
Certo, c’era da aspettarselo. Non tutti trovano facile pronunciare il mio nome.
- Insomma, non è tempo di fare presentazioni! - si lamentò Miharu riportandoci al presente – Che vogliamo fare allora? -
- Non so… - ammisi – In effetti avrei un po’ di paura a scendere adesso. Chiunque sia passato potrebbe essere rimasto qui intorno. –
Rabbrividii.
Ero così spaventata, e stare dentro l’armadio di Jin mi dava una sensazione di sicurezza così piacevole.
Era stupido, stupido e da codardi restare lì nascosti. Ma non riuscivo davvero a prendere nessuna iniziativa ragionevole.
Miharu annuì semplicemente.
- Xiao… - esordì poco dopo.
- Cosa c’è?-
- Comunque prima, quando stavamo parlando in cucina… non hai negato. – sorrise piano.
Non capii.
- Volevi davvero stare da sola con Jin stanotte. – mi guardò con aria maliziosa.
 
 
 
 
 
Fine prima parte
 
 
 
 

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Capitolo 15
*** L'ultima notte II ***


Nuova pagina 1

- Volevi davvero stare da sola con Jin stanotte. – mi guardò con aria maliziosa.

Inutile negare che per un attimo Miharu riuscì a farmi dimenticare dove eravamo, cosa stava succedendo e la tensione accumulata durante quell’interminabile serata.

Aprii la bocca per rispondere, nemmeno io sapevo cosa avrei tolto fuori, quella domanda aveva letteralmente messo fuori gioco i miei neuroni tutti in una sola volta.

Neanche il tempo per pronunciare una singola sillaba, che la porta si aprì di scatto.

Miharu sobbalzò emettendo un gridolino acuto.

- Jin! – esclamai io con voce particolarmente piena di enfasi.

Sentii improvvisamente caldo e mi accorsi che stavo arrossendo.

Pregai che non avesse sentito il discorso che Miharu aveva maledettamente accennato prima che lui entrasse da quella porta.

Mi rincuorai però notando che sicuramente quello non era delle sue prioritarie preoccupazioni.

Hwoarang fece capolino dietro di lui seguito dallo scimmione numero due.

Jin ci sorpassò, andando a cercare qualcosa nell’armadio ancora con le ante aperte. Aprì un cassetto, forse più di uno, frugò freneticamente all’interno di essi, e poi ne estrasse qualcosa che si mise in tasca.

Non feci in tempo a vedere cosa fosse.

- Jin… - lo chiamai di nuovo – Cosa succede? –

Miharu sembrava ancora spaventata per il suo arrivo improvviso.

Jin ignorò la mia domanda.

- Tutti voi! – richiamò l’attenzione di tutti – Dobbiamo andarcene da questa casa. Non possiamo farcela da soli, sono troppi. –

Sono troppi?

Di cosa parlava?

Il suo volto era tenuto teso dall’evidente preoccupazione.

Vederlo così irrequieto mi agitava, anche perché ero completamente ignara di ciò che stava accadendo.

- Adesso. – concluse non lasciando spazio ad eventuali repliche.

- Spiegaci cosa sta succedendo almeno! – gracchiò Miharu in preda alla agitazione.

Jin non rispose, uscì a passo svelto dalla sua stanza.

Tutti noi lo seguimmo, stando al suo passo.

Percorse il corridoio fino alla scalinata per scendere al pian terreno, ma prima di imboccare la strada dei gradini si bloccò improvvisamente facendoci cenno di fermarci.

La sua fermata improvvisa non mi lasciò abbastanza spazio per frenarmi in tempo e lo urtai.

Mi voltai poi per vedere cosa poteva avergli fatto cambiare idea e mi sentii raggelare.

Al pian terreno c’erano diverse persone, tutte armate e vestite allo stesso modo di nero.

Conoscevo quella divisa, l’avevo già vista tempo fa.

Precisamente il giorno prima del mio compleanno, al parco abbandonato. Quelli che mi avevano inseguito intimandomi di fermarmi o mi avrebbero sparato.

Sgranai gli occhi, vedendoli puntare le canne dei fucili tutte verso di noi.

Rividi davanti ai miei occhi la scena al parco. Erano proprio loro, non c’erano dubbi.

Eravamo spacciati, non avevamo scampo.

Cosa significava tutto questo?

- Merda. – sentii Jin digrignare i denti affianco a me.

Il mio cuore cominciò a battere più in fretta, non mi sentivo più il corpo in preda al terrore.

“È finita.” Pensai.

Proprio mentre mi stavo convincendo ad accettare qualsiasi cosa sarebbe successa dopo, lo scimmione numero uno, Ned, fece una cosa che mai mi sarei aspettata.

Estrasse una pistola e con la destrezza di un bersagliere sparò la catena che teneva l’enorme lampadario di diamanti di orrendo gusto di Heiachi che finì con fragore addosso a parecchi di quegli uomini in nero.

Da quando quello aveva con sé una pistola?

Che razza di gente conosceva Hwoarang?

Lasciai perdere subito questi interrogativi, in quel momento c’era solo da ringraziare che quel tizio avesse una pistola, senza stare a pensare il motivo.

Rimasi imbambolata, forse paralizzata per via della paura, per qualche secondo.

Il tutto successe in così poco tempo che non riuscì subito a capacitarmi della situazione.

L’urlo di Jin che chiamava il mio nome e la sua mano che prese la mia per strattonarmi e convincermi a correre con gli altri mi riportò alla realtà.

Avevamo guadagnato qualche secondo di tempo.

Sentii che quegli uomini, alcuni di quelli rimasti liberi, spararono qualche colpo cercando di colpirci, ma noi eravamo già in marcia lungo il corridoio correndo a più non posso.

Miharu era letteralmente trascinata da Hwoarang, il suo viso era rigato di lacrime, ma completamente inespressivo.

Entrammo di nuovo nella stanza di Jin. Hwoarang incaricò i suoi scagnozzi di fare in modo che la porta rimanesse chiusa. Jin, al centro della stanza, si guardò un attimo attorno facendo scorrere lo sguardo su diversi oggetti.

Poi si fermò sulla scrivania.

- Quello. – lo indicò con un cenno del capo a Hwoarang.

I due unirono le forze, sollevarono il pesante tavolo in legno massiccio e lo lanciarono con forza contro la grande vetrata che dava sul giardino.

Mille frammenti di vetro si sparpagliarono nell’aria assieme ad un fortissimo fracasso di vetri rotti. Mi riparai con le braccia come meglio riuscii.

- Dobbiamo saltare. – fece Jin girandosi nella mia direzione.

In men che non si dica, anche se era una scelta estrema e abbastanza pericolosa, ci ritrovammo a saltare giù dalla finestra.

Non ricordo granché di quel momento, tutto è successo talmente in fretta e il panico mi annebbiava la mente.

Il tempo sembrò quasi andare a rallentatore mentre noi, sotto tutte quelle luci, cadevamo nel vuoto. Quel momento è rimasto nella mia memoria come qualcosa al limite del possibile, quasi irreale, assomiglia quasi di più ad un sogno che ad un ricordo reale.

Forse mi resi conto della pericolosità e del gesto azzardato che stavamo compiendo.

Il terreno morbido in qualche modo attutì non so come la nostra caduta di circa tre metri.

Incredibilmente, non so se parlare di fortuna, di destino, o se qualcuno chissà da dove abbia  voluto darci una mano per uscire da quella assurda situazione, nessuno di noi si fece male.

Fummo di nuovo in grado di continuare allo stremo delle forze la nostra fuga.

Il cancello non era molto lontano dalla nostra posizione.

Pregavo in silenzio che quegli uomini non ci raggiungessero.

Correvamo sull’erba al massimo delle nostre possibilità, un po’ doloranti per via della caduta, ma non era il caso di fermarsi.

Finalmente raggiungemmo l’uscita dal giardino e continuammo a correre disperatamente lungo la strada.

Ancora un po’ e saremo stati al sicuro.

Ero stanca e dolorante. Mi accorsi che le schegge di vetro mi avevano procurato qualche piccolo taglio cutaneo nelle braccia, e non solo a me.

A qualche isolato dalla dimora di Heiachi trovammo una piazza gremita di gente aspettando lo scorrere degli ultimi momenti di quell’anno, di quella notte, di quella assurda notte.

Ci mischiammo in mezzo alla folla, lì saremo stati al sicuro.

In quel momento il mega schermo richiamò l’attenzione di tutti sugli ultimi secondi che restavano alla mezzanotte.

Partì il conto alla rovescia, mentre noi stavamo ancora attraversando la marea di gente che ci circondava.

3

2

1

Scoppiò il finimondo, il cielo si illuminò all’improvviso di luci dei fuochi artificiali, la gente che urlava, festeggiava, si muoveva intorno a noi.

Noi non esultammo, restammo fermi, ancora riprendendo fiato dalla corsa e dallo spavento, ma radiosi, col sorriso sulle labbra pensando allo scampato pericolo.

Notai che qualcuno ci guardava in modo sospetto.

Come biasimarli dopo tutto?

Pieni di taglietti sparsi, sporchi di terra per via dell’atterraggio sul giardino, sfiniti, agitati, ma finalmente salvi… per il momento.

Non potevo smettere di sorridere, mentre sentivo che delle lacrime stavano cominciando a scivolare sulle guancie. Lacrime di gioia? Di sollievo più che altro.

Incrociai lo sguardo di Hwoarang e dei due scimmioni, anche loro sorridevano dello scampato pericolo, così pure Miharu che ancora si stava riprendendo dallo shock.

Solo in quell’istante mi accorsi di avere ancora la mano in quella di Jin. Non ci eravamo lasciati per un solo momento durante tutta la fuga, e ancora la stretta non accennava ad allentarsi.

Di certo non sarei stata io ad interrompere quel contatto.

Sollevai gli occhi verso di lui, ancora gonfi di lacrime.

Lui mi restituì il contatto visivo e mi regalò un sorriso di conforto.

Sentii che mi accarezzava il dorso della mano che ci teneva uniti, con il pollice, come per rassicurarmi.

Poi si chinò per dirmi qualcosa.

- A quanto pare l’arrivo repentino di Miharu non sarebbe stata l’unica distrazione stasera. –

Dovette quasi urlarmi nell’orecchio per farsi sentire in mezzo a tutto quel fracasso.

Quando compresi l’essenza della frase, mi voltai immediatamente a guardarlo con occhi spalancati pieni di stupore.

Lui ridacchiò sogghignando. Poi si riabbassò verso il mio orecchio.

- Sempre che Miharu, prima, non avesse torto. Ma tu non hai risposto… –

Ricordai immediatamente la domanda imbarazzante di Miharu mentre eravamo in camera di Jin poco prima della sua entrata scenica.

Sgranai gli occhi sentendomi arrossire ancora una volta.

- Ci hai sentito? – sbraitai per farmi sentire.

Lui probabilmente non sentì quello che dissi, ma capì ugualmente il significato.

Lui annuì.

- Jin non credo sia il momento più… - nella piazza cominciò a suonare della musica a tutto volume che mi coprì quello che stavo invano cercando di dire - … per queste cose. -

Jin si abbassò di nuovo per sentire meglio quello che stavo dicendo.

- Chi erano quelle persone? – domandai seria allora, anche per sviare argomento.

Jin si risollevò di scatto per guardarmi torvo.

Poi tornò da me per parlare.

- No, non parliamo più di quella gente. Non stanotte, ne abbiamo avuto abbastanza per oggi. –

Rimasi un po’ incerta in un primo momento, poi sorrisi accordando.

Subito dopo riprese a camminare in mezzo alla folla trascinandomi con sé.

Mi voltai verso gli altri, erano a pochi passi da noi, non si erano accorti del nostro allontanamento.

Non sapevo cosa gli stesse passando per la testa in quel momento, dove volesse andare e se era una cosa prudente, comunque lo seguii.

Uscimmo dalla folla e andammo verso una strada meno affollata e più tranquilla.

Jin si sedette su un muretto a lato di un imponente edificio commerciale.

Lo raggiunsi e mi sedetti anche io.

Dopo aver corso tanto era davvero un sollievo sedersi.

- Non so tu, ma stavo impazzendo in mezzo a quel casino lì. –

Risi. Conoscevo bene Jin, non era proprio il suo ambiente ideale quello.

- Cosa faremo adesso? – chiesi dopo tornando seria.

Qualcosa mi diceva che non era il caso di tornare a casa per quella notte.

Jin scosse la testa ancor prima di cominciare a rispondere.

- Non ne ho idea. –

- Aspetteremo il ritorno di Heiachi? –

Jin non rispose. Fissava qualche punto indefinito davanti a sé pensieroso.

Restammo per non so quanto tempo, fermi, seduti su quel muretto a guardare la schiera di gente che ci passava e ripassava davanti agli occhi.

Avevo bisogno di quella tranquillità per un po’, avevo bisogno di fare ordine nella mia mente.

Jin si alzò dopo un po’, un po’ svogliato, con le mani in tasca, facendomi cenno di seguirlo.

- Torniamo dagli altri. – mi disse.

Mi alzai e lo seguii.

Ripercorremmo la strada in direzione della piazza affollata.

Poco prima di raggiungerla, mi fermai e strattonai la mano di Jin.

- Jin –

- Mm? – si voltò.

- Ho avuto tanta paura stanotte. – ammisi abbassando lo sguardo verso un lato.

Ogni tanto mi rivedevo davanti agli occhi l’immagine di tutti i fucili puntati su di noi.

- Io… - sorrisi sempre tenendo il viso basso - … in fondo desideravo solo passare una semplice serata tranquilla e piacevole… -

La gente intorno a noi continuava a schiamazzare e a festeggiare, ma avevo come l’impressione che non fossero nella mia stessa dimensione, come se fossero in un altro mondo, un mondo normale che non conosceva i nostri problemi, come d’altronde così era.

- … con te. – conclusi la fatidica frase vincendo l’imbarazzo.

Silenzio.

Non sentivo più neanche il chiasso della città in festa.

Quando mi resi conto di ciò che avevo ammesso, me ne pentì all’istante.

Quella notte piena di emozioni doveva avermi dato un po’ alla testa pensai.

Jin rispose solo dopo qualche istante.

- Allora è così. – constatò lui.

Stavo per aggiungere qualcosa per stabilizzare la situazione, quando… successe.

Successe di nuovo, per la seconda volta.

Però questa volta era molto diverso da allora.

Questo bacio fu decisamente più maturo, più intenso, più profondo. Più intimo.

Per un attimo, tutti i pensieri che mi affollavano e tormentavano la mente divennero improvvisamente meno gravi.

Fu in quel momento che provai una sensazione che non provavo da tempo. Non mi sentii più sola.

Capii infatti che in quel grosso e assurdo problema non sarei mai stata sola, finchè Jin restava con me.

E non avevo più paura.

Lui mi accarezzava il viso e i capelli. Mi sentivo così protetta. Riusciva a donarmi un certo calore che mai avrei creduto possibile ricevere da lui.

Ero così felice, desideravo che quella sensazione potesse non finire mai.

I rumori del mondo esterno sembravano così lontani.

Ci separammo per un momento, rimanendo fronte contro fronte. Sentivo ancora il suo respiro sulle mie labbra.

- Anche io ho avuto paura stanotte. – mormorò come se mi stesse rivelando un segreto – Ho avuto una paura tremenda di perdere di nuovo l’unica persona a cui tenevo. –

Spalancai gli occhi per lo stupore, ma anche per l’emozione.

Jin mi aveva appena detto indirettamente di tenere a me.

Notai la sua faccia buffa, un po’ imbarazzata.

Jin non era certo tipo da queste dichiarazioni.

Mi venne da ridere, anche lui lo fece.

- Alla fine siamo arrivati a questo punto. – osservai dopo – Ci becchettiamo in continuazione. Ma basta una situazione pericolosa per farci finire sempre per… - non finii la frase, visibilmente imbarazzata.

Forse ero pure arrossita.

- E se non fossimo così stupidi potremo evitare di aspettare che qualcuno punti una pistola contro uno dei due per… - fece Jin lasciando anche lui in sospeso la frase.

Rimasi stupita, ma anche elettrizzata dopo quelle parole.

Quella affermazione assomigliava in qualche modo ad un suggerimento.

- Sarà la paura di morire…- ipotizzai – O la tremenda paura di perdere l’altro. –

Jin annuì.

- Jin, tu hai detto che era solo un momento di debolezza quella volta, un errore. –

- E lo era. – rispose lui – Ammetto che avevo paura di legarmi troppo a te. Ma è stato inutile, ho stretto un rapporto con te che non ho mai avuto con nessun altro. –

Non mi sembrava vero. Sembrava così irreale che Jin mi stesse dicendo quelle cose.

- Penso che sia stata la tua pazzia. Ho sempre creduto che uno come me non potesse mai arrivare ad affezionarsi ad una persona normale, cosa che tu decisamente non sei. -

Eccolo. Come previsto Jin Kazama sa come essere l’antitesi del romanticismo.

Aveva appena guastato quel momento romantico, il mio momento romantico con una delle sue solite scemenze.

- Questa non mi è piaciuta. – commentai imbronciata.

Lui ridacchiò beffardo.

- Ne ero certo. -

Mi sorrise e inevitabilmente mi contagiò l’umore.

Quanto adoravo quel sorriso.

- Non volevo arrivare a questo. – confessò poco dopo – Non volevo trascinarti nella mia tormentata vita. –

- Non inventare scuse Jin Kazama. – lo ammonii - Dopo stanotte, come vedi, abbiamo la certezza che neanche la mia vita è ormai più tranquilla. Non sarà quindi questo a cambiare le cose. – gli sussurrai prima di chiudere gli occhi e ricercare le sue labbra, dove deposi un bacio delicato.

- Pre… presumo di no. – fece lui serio senza riaprire gli occhi.

Poi le nostre labbra si incontrarono di nuovo, giocando fra di loro.

- Jin? – mi allontanai per un momento, dovevo fargli un’ultima domanda.

- Mm? –

- Noi siamo… - non sapevo come chiederglielo - … amici? –

Jin aprì gli occhi e si allontanò di qualche centimetro per guardarmi negli occhi. Sembrava perplesso, ma anche stranamente divertito da quella domanda.

- Qualcosa del genere. – farfugliò dopo come risposta – Ma non esattamente. – sogghignò facendo trasparire una leggera malizia.

Poi fece per riavvicinarsi al mio viso, ma qualcosa lo trattenne.

- Dobbiamo cercare gli altri. – disse come se si fosse improvvisamente ricordato di loro – Dobbiamo decidere cosa fare. –

Accordai annuendo.

Jin cominciò a camminare verso la folla tenendomi per la mano.

In quel momento mi venne in mente una cosa.

- Hwoarang prima a casa mi ha detto di aver scoperto qualcosa che non ci aveva ancora detto. – ricordai.

- Avremo un po’ di spiegazioni da chiedergli allora. – Jin alzò gli occhi con sarcasmo.

Sapevo che lui non si era mai fidato di Hwoarang. Inutile, quei due proprio non andavano d’accordo.

Trovare il resto del gruppo non fu una cosa semplice come avevamo previsto.

Non so quanto tempo ci mettemmo prima di ritrovare la chioma color carota di Hwoarang in mezzo alla gente.

Era notte tarda e i festeggiamenti continuavano senza sosta.

Ero stanca e la musica che mi rimbombava a tutto volume nelle orecchie stava cominciando a darmi fastidio, ma niente poteva compromettere l’umore della serata.

Miharu ad un certo punto mi saltò addosso facendomi sbandare pericolosamente.

- Dove eravate finiti?? – mi urlò in un orecchio tanto da farmi temere seriamente per il mio timpano – Vi abbiamo cercato dappertutto!! Ero così preoccupata!! –

Sentii Hwoarang che ci urlò di seguirlo.

Ci incamminammo al suo seguito verso l’estremità della piazza. Non fu facile neanche in quel momento, soprattutto quando dovemmo oltrepassare un gruppo di discotecari ubriachi scatenati.

Andammo a rifugiarci in un vicolo vuoto, lontani dalla confusione e dal rumore.

Miharu si appoggiò sfinita ad una cabina telefonica.

- Allora… - cominciò Hwoarang – cercherò di essere breve e conciso. –

Si grattò la testa pensieroso.

- Dobbiamo assolutamente lasciare la città.– ci disse preoccupato. - Siamo in un casino di dimensioni abnormi. –

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** Vecchie questioni che non si dimenticano ***


Nuova pagina 1

Il chiasso e il tumulto della notte in festa durarono fino alla mattina seguente.

Raggiungemmo a piedi la stazione di Shibuya. Il quartiere era animato più che mai dai festeggiamenti. Andava a pennello, per lo meno non saremo mai potuti essere individuati.

Passammo tutta la notte seduti fuori dalla stazione ferroviaria, aspettando la mattina per poterci allontanare dalla città.

Non avevamo niente per coprirci, per via della fuga repentina di certo non avremmo potuto pensare a prendere i cappotti.

Purtroppo la notte fu molto fredda. Battevo i denti e mi sentivo congelare. Desideravo solo che finisse al più presto.

Mi fece un po’ impressione in effetti passare la notte in stazione.

Quando non sei abituata alle grandi città, una delle prime cose spiacevoli che noti è il preoccupante numero delle persone disagiate che sono costrette tutti i giorni a dormire in luoghi pubblici, così come spesso capitava nei pressi delle stazioni.

Pensai a come dovessero sentirsi quelle persone, a vivere tutto l’anno così, senza casa, senza alcun luogo dove andare.

Osservavo in silenzio la moltitudine di persone che andava e veniva, passavano indifferenti davanti ai miei occhi.

Ero così preoccupata. Cosa avremo fatto adesso? Dove saremo andati?

Avevo cercato di fare strappare qualche parola a Hwoarang, dato che sembrava capirci qualcosa in tutta questa situazione assurda, ma non avevo ottenuto grossi risultati.

Rispondeva vago, promettendo di spiegare tutto a tempo debito.

Avevo provato ad insistere, ma anche Jin gli aveva dato ragione.

Disse che la nostra prima priorità era allontanarci dalla città, e su questo fatto c’era poco da discutere. Dopo avremo pensato a guardare dall’alto e con calma il problema.

Hwoarang aveva fatto una telefonata. Disse di avere in mente un posto dove andare momentaneamente.

Era vago e misterioso, ma continuava a ripetere che dovevamo fidarci, che non dovevamo avere paura di niente.

Non avendo altre alternative, fummo costretti a riporre in lui tutte le nostre speranze.

Dovevamo lasciare la città, ma non avevamo molto con noi.

Jin prelevò parecchi soldi dalla carta di credito, abbastanza da non dover più usufruire della carta che, disse, poteva sempre essere rintracciata.

E poi eravamo rimasti lì, seduti fuori dalla stazione, al freddo, aspettando la prima alba del nuovo anno.

Affianco a me Jin mi teneva appoggiata a lui cingendomi la vita con un braccio, la mia testa poggiava stanca sulla sua spalla. Questa vicinanza riusciva a rompere una briciola di quella maledetta tensione. Guardavo Miharu, poco distante da me.

Il suo sguardo sembrava così vuoto, il suo viso così stanco, preoccupato, impaurito.

Non l’avevo mai vista così. Ma d’altronde, pensai, nemmeno io avevo mai vissuto niente del genere e, anche io, non dovevo avere proprio un gran bell’aspetto.

Era così sconvolta che non si era neppure accorta di noi.

La vera Miharu avrebbe sicuramente commentato, o mi avrebbe mandato qualche frecciatina. Sorrisi amaramente a quel pensiero.

Mi dispiaceva, mi dispiaceva da morire che fosse coinvolta. Non c’entrava niente lei. Involontariamente l’avevo trascinata in quel maledetto pasticcio.

Mi sentivo un completo disastro.

Mi avrebbe mai potuto perdonare?

Hwoarang e gli altri due stavano poco distanti, intenti a fumarsi l’ennesima sigaretta della serata.

Non ci scambiavamo una parola da ore.

Il tempo intorno a noi sembrava scorrere più lentamente rispetto alla normale notte di capodanno delle altre persone che festeggiavano davanti a noi e i mega schermi luminosi di Shibuya che coloravano la strada con le loro luci.

Aprii gli occhi dopo quelli che mi erano sembrati solo alcuni minuti. Jin mi scosse delicatamente la spalla per svegliarmi.

Il sole non era ancora sorto.

Ci alzammo in piedi e guardai l’orologio della stazione. Erano quasi le sei. I primi treni sarebbero partiti a breve.

Non sapevo se ero stata l’unica ad essermi addormentata, la schiena mi faceva male per via della scomoda posizione e avevo anche un leggero mal di testa per aver dormito così poco e male.

La stazione era ancora quasi deserta.

Ci stavamo dirigendo verso un negozietto di generi di prima necessità, per comprare delle cose che ci sarebbero servite. Prima di entrare però proposi a Miharu di andare a cercare il bagno. Lei acconsentì annuendo in silenzio.

I bagni a quell’ora del mattino erano pulitissimi.

Sopra i lavandini c’era un enorme specchio che occupava mezza parete.

Guardai il mio viso. Ero pallida, avevo gli occhi rossi e stanchi e i capelli totalmente scombinati.

Mi bagnai le mani e mi riavviai i capelli cercando di sistemarli.

Miharu uscì dal bagno e mi si affiancò. Aprì il rubinetto del lavandino affianco a quello che stavo usando io e fece scorrere l’acqua sulle dita.

Cercò il mio sguardo nel riflesso dello specchio.

Era molto seria, sembrava strana.

Stavo per chiederle se tutto fosse apposto, quando lei mi precedette.

- Xiao, io non posso venire con voi. – il suo tono era così serio, sembrava aver annunciato una decisione irremovibile.

Aprii la bocca per lo stupore e la guardai con incertezza.

- No. – mi rispose solo per lo sguardo – Non posso lasciare la città, Xiao. –

- Miharu! – tuonai – Ti rendi conto del pericolo che corri se rimani a Tokyo? –

Miharu abbassò il volto.

- Non ho scelta. – sospirò.

- Cosa vuol dire che non hai scelta? – stavo cominciando ad innervosirmi.

- Vuol dire che non ho scelta! – ribatte forte.

Solo in quel momento mi accorsi che i suoi occhi erano diventati lucidi e gonfi e delle lacrime stavano cominciando a scivolarle per le guance.

- Miharu! – la chiamai piano – Che ti prende? –

La mia amica cominciò a piangere forte e si inginocchiò a terra, coprendosi il volto con le mani.

Mi chinai verso di lei.

In quel momento la porta del bagno si aprì ed entrò una donna sulla cinquantina, ben vestita e ben curata che ci guardò con aria sprezzante.

- Miharu… - la rassicurai – Coraggio. Anche io sono spaventata, ma vedrai che riusciremo a toglierci da questa brutta cosa… -

Lei scosse la testa.

- Tu non capisci. – mi disse tra un singhiozzo e l’altro.

- Cosa non capisco? – domandai esasperata.

- Io non posso vivere senza le mie medicine! – sbraitò.

Rimasi raggelata. Non avevo mai saputo niente a riguardo.

- Co… cosa? – volli accertarmi di non aver capito male.

- A seconda di dove andrete, non posso sapere se sarò in grado di procurarmele. E non voglio che questo sia un peso per voi o che peggio, possiate mettervi in pericolo per questo. – continuò.

- Miharu…- non sapevo che dire. Quella rivelazione mi aveva decisamente colto di sorpresa.

- Tra l’altro ho bisogno di visite mediche periodiche. Non posso andare via così. Proprio non posso. –

- Mi dispiace. – balbettai – Non sapevo niente. Perché non me ne hai mai parlato? –

Lei sollevò le spalle con aria innocente.

- Sono cose noiose. Me le tengo per me. Non voglio sprecare il tempo che passo con la mia migliore amica a parlare di queste cose. –

- Sei una stupida. – la rimproverai.

L’abbracciai. Non sapevo cosa dire e questa notizia mi aveva letteralmente sconvolta.

C’era una domanda che avevo paura di fare.

- È… è una cosa grave? – domandai preoccupata.

- Mmm… noiosa più che grave. - rispose vaga – Diciamo che non è pericoloso finchè ho le mie medicine tutti i giorni. –

Qualcuno una volta disse che non si finisce mai di conoscere una persona.

In quel momento capii che quello che vedevo di Miharu, quella ragazzina esuberante e dalla simpatia travolgente, non era altro che il suo modo di mascherare una realtà più triste che teneva nascosta per lei.

Miharu, la mia migliore amica… per quanto tempo sarei andata avanti senza accorgermi di questo suo problema?

Come potevo essere stata così superficiale da non averlo mai notato?

Questo se possibile, mi faceva sentire ancora più in colpa.

- No, non posso lasciarti qui da sola al pericolo. – affermai decisa.

- Xiao, non posso andare. – ripetè per l’ennesima volta.

- Rimarrò a Tokyo anche io infatti. – proposi – Potresti trovarti in pericolo, io potrei sempre aiutarti a difenderti. –

- Xiao… - ridacchiò tra le lacrime – Sei la solita. –

L’aiutai a rialzarsi.

- Xiao, sei sempre così altruista… - mormorò – Forse per questo ti ho considerato la mia prima vera amica. – confessò – Hai già fatto tanto per me, davvero. Ora devi andare per la tua strada, io per la mia. –

Sentii che le lacrime stavano cominciando a scappare anche dai miei occhi.

- No… - mugolai – Non sopporterei il pensiero di averti lasciato sola al pericolo. È tutta colpa mia, tu non c’entravi niente in questa storia. –

Miharu sorrise.

- Che dici? – rise tra un singhiozzo e l’altro – Sono io che sono piombata all’improvviso mandando all’aria la tua cenetta a lume di candele. –

- Miharu! – la rimproverai scoppiando a ridere anche io.

- Vi ho visto sai? – mi disse con un sorriso furbetto – Come vi coccolavate, e come ti guardava mentre dormivi. –

Sorrisi in silenzio. Sapevo che non le era sfuggito, nonostante i problemi che aveva in testa.

- Non è me che vogliono, non è me che cercano. Io non sarei neanche dovuta essere lì. – la mia amica riprese a parlare dopo una pausa – Non verrà nessuno a cercarmi. Starò al sicuro, vedrai. –

Mi sorrise.

- Dove andrai adesso? –

- Manderò un messaggio a mia madre. Le dirò di non preoccuparsi. Io nel mentre cercherò alloggio da qualche parte qui in città, magari mi troverò un lavoro, e vedrò di tenere gli occhi bene aperti. Tokyo è grande. Non sarà difficile restare nascosta. –

L’abbracciai di nuovo.

- Ci rivedremo. – assicurai.

- Stammi bene Xiaoyu. – disse lei – Torna a trovarmi quando le acque si saranno calmate. –

- Se dovessi metterci anni, non dimenticarti di me. –

- Neanche tu, mi raccomando. –

- È una promessa. – affermai decisa.

Miharu sciolse veloce l’abbraccio e aprì la porta.

Si volto un’ultima volta verso di me e mi rivolse un sorriso.

- In bocca al lupo. – disse in un modo troppo simile ad un addio.

- Anche per te. – risposi poco prima che sparisse dalla mia vista.

Mi rivoltai verso lo specchio guardando il mio riflesso tenendomi ai bordi del lavandino.

Gli occhi erano ancora gonfi di lacrime.

Altre persone erano entrate nel bagno.

- Tutto bene signorina? – una di loro mi parlò, vedendo probabilmente il mio aspetto.

Annuii, bagnandomi la faccia. L’acqua gelida mi risvegliò dai miei tristi pensieri.

Dovevo reagire.

La mia vita mi aveva portato davanti ad una sfida. Dovevo giocarla con il massimo delle mie forze. Non c’era tempo per i rimpianti.

Uscii dal bagno con la faccia ancora bagnata e i capelli sciolti sulle spalle.

Raggiunsi i ragazzi, che trovai fuori dalla biglietteria.

Mi fecero qualche domanda su dove fosse finita Miharu, spiegai loro in maniera evasiva che aveva preferito non continuare con noi per via di alcuni motivi di salute.

Hwoarang mi rimproverò dicendo che non avrei dovuto lasciarla andare. Non lo stetti ad ascoltare.

Avevano comprato dei bocconcini per la colazione, ma non avevo granché fame. Assaggiai qualcosa, ma lo lasciai senza finirlo. Era asciutto e insipido.

Il nostro treno partì alle sei precise.

Avevo voluto prendere posto affianco al finestrino.

Guardavo la città sfrecciare senza pensieri.

Ero da tantissimo tempo che non prendevo un treno, questo mi riportò indietro nel tempo.

La prima e unica volta che avevo preso un treno in Cina, era stato quando avevo poco più di quattro anni. Ero andata qualche giorno da mia nonna, che non viveva nella nostra città e lei era venuta ad accompagnarmi per il viaggio.

Ricordo ancora la sua voce che mi chiama e mi implora di stare buona, mentre io mi agito dal finestrino per salutare i miei genitori sorridenti.

I miei genitori… quanto mi mancavano.

Da quando mi ero trasferita in Giappone erano successe tante di quelle cose che ero riuscita a superare completamente il trauma della loro morte, ma quando mi sentivo triste mi tornavano in mente i loro visi e mi sentivo invadere dalla nostalgia.

Quanto avrei voluto che fossero lì con me. Papà mi avrebbe accarezzato la testa, come faceva quando ero piccola e mi avrebbe tranquillizzato con le sue parole sagge. Mamma invece forse mi avrebbe tirato su con qualcuno dei suoi fantastici biscotti che ogni problema sapevano rendere più leggero.

Quanto mi mancavano.

Mi ricordavo i loro visi come se li avessi visti il giorno prima, tranquilli e sorridenti come sempre.

Presi la mano di Jin, seduto affianco a me e la strinsi forte per sentirmi meno sola.

Lui dormiva, sfinito, in silenzio.

Meglio, non mi avrebbe visto piangere di nuovo.

Mi sentivo così fragile.

Odiavo le lacrime, odiavo sentirmi triste.

Il viaggio durò molte ore. Ogni tanto mi appisolavo, ma poi i rumori degli altri passeggeri mi risvegliavano. Non sapevo di preciso dove ci stavamo dirigendo.

Avevo sentito Jin e Hwoarang che parlavano fra di loro quando ero tornata dal bagno, ma non avevo ascoltato con attenzione quello che avevano detto.

Hwoarang aveva farfugliato qualcosa a proposito di una sua vecchia conoscenza che sarebbe stata entusiasta di aiutarci.

Da quel che avevo capito era quella la nostra destinazione. Non me ne curavo. Mi fidavo di loro, qualsiasi cosa avessero deciso di fare.

Il treno arrivò alla nostra stazione verso le quattro del pomeriggio.

Eravamo arrivati in una cittadina montana immersa in un paesaggio campagnolo.

Era davvero deliziosa da vedere così. Sembrava un posto così tranquillo, così in pace.

- Ci attende una bella camminata ora. – annunciò Hwoarang con un sorrisetto.

Aveva proprio l’aria di uno che aveva dormito per mezza giornata e in quel momento era piuttosto brioso.

Ci fermammo ad un chiosco per mangiare qualcosa.

Non avevo molta fame, ma ordinai giusto qualcosa per non dovermi sentire le storie degli altri.

Quando tutti ci fummo saziati, partimmo per la lunga camminata.

Arrivammo verso la periferia opposta della città in circa un’ora.

Il sole stava cominciando a tramontare, tra non molto si sarebbero accesi anche i lampioni nelle strade.

C’era un monticciolo proprio in periferia con una scalinata in pietra che lo percorreva in tutta la sua altezza.

- Non dovremo arrivare in cima, spero. – brontolò Jin.

Hwoarang lo guardò con sospetto.

- Non ti vorrai forse tirare indietro Kazama. – commentò con aria di sfida.

- No, spero solo che ne valga la pena! – ribattè innervosito.

Gli scalini sembravano interminabili, ma riuscimmo a farli tutti in breve tempo.

Una volta arrivati in cima alla collina, vedemmo davanti a noi uno spiazzo e un vecchio tempio, e una giovane ragazza che ci aspettava con le braccia conserte.

Hwoarang mostrò un sorriso a trentadue denti.

- Mia cara Julia. Da quanto tempo! –

Aprì le braccia simulando un principio di abbraccio a distanza.

Lei sollevò appena il mento guardandolo con rabbia.

- Già, maledetto bastardo! – lo salutò – Mi chiedevo quando sarebbe stato che ti avrei rivisto per poterti finalmente spaccare il culo! –

Hwoarang si voltò verso di noi senza smettere di sorridere.

- In realtà è pazza di me. – ci informò convinto sussurrando.

- Che cazzo stai dicendo, stronzo? – strillò lei che aveva sentito benissimo – Vieni qui se ne hai il coraggio, maledetto! Non ho scordato che hai un grosso debito con me. –

Hwoarang ignorò completamente i suoi insulti.

Io e Jin ci guardammo stupefatti.

- Ah, ma smettila. Lo sanno tutti che in realtà ti sono mancato. – fece Hwoarang con indifferenza – Come vedi ho qui con me dei nostri colleghi, non farci fare brutta figura tesoro. – tornò a mostrare un sorriso forzato quando finì la frase.

Julia storse il naso alla parola tesoro.

- E la loro presenza è l’unico motivo per cui non ti ho ancora trucidato. – spiegò lei seria – Ma chiamami di nuovo tesoro e ti troverai una mia scarpa su per lo sfintere. –

Hwoarang rimase parecchio turbato da quest’ultima minaccia.

- Senti dolcezza, ti ho già fatto le mie dovute scuse, ti ho rimborsato, ti ho detto e ridetto che mi dispiace… che altro dovrei fare per farti contenta? –

Julia ebbe un attacco di rabbia, prese un bastone di legno da terra e glielo scaraventò addosso.

Hwoarang riuscì a schivarlo per un pelo.

Ci guardò con un altro sorriso nervoso come per assicurarci che era tutto apposto, poi torno a guardare la ragazza con uno sguardo di fuoco.

- Non ci sono scuse e rimedi per quello che hai fatto stronzo!! – sbraitò.

- Julia cara, tesoro, hai perfettamente ragione. – le sorrise Hwoarang forzatamente cercando di calmarla, provando a fare qualche passo verso di lei – Sono uno stronzo, ho fatto una grande cazzata per pararmi il culo perché sono un grandissimo fottutissimo bastardo egoista, come mi hai già detto tu tante volte… va bene, tutto vero, ok. –

Poi tornò di nuovo a darci un’occhiata fugace.

- Però, come ben già saprai, adesso non è né il momento, né il luogo più adatto per riaprire le vecchie questioni. – finì di parlare mutando il tono piuttosto seccato.

Julia chiuse gli occhi e respirò piano cercando di ritrovare la calma.

- Ok. – disse poi calma.

La sua voce sembrava completamente diversa ora che parlava tranquillamente. Aveva un tono di voce dolce e delicato.

- Ma non credere che sia finita qui. – ringhiò.

Detto questo gli passò accanto sfiorandolo con la spalla andando verso di noi.

- Ragazzi, da quanto tempo! – salutò dolcemente i due scimmioni abbracciandoli insieme.

Loro risposero all’abbraccio contenti di rivederla.

Dopodiché Julia venne verso di noi salutandoci con un gran sorriso.

- Ciao ragazzi. Io sono Julia. –

Tese la mano prima a me e poi a Jin.

Ci presentammo anche noi ancora confusi dalla scenata di poco prima e al totale cambiamento d’umore della ragazza.

Doveva avere più o meno l’età di Jin e Hwoarang. Era poco più alta di me, aveva dei lunghi capelli castani che teneva legati con due trecce alla base della nuca, occhi marroni e portava gli occhiali da vista. Parlava bene il giapponese, ma con un forte accento americano. Dall’aspetto pensai probabilmente doveva essere occidentale.

- Entrate pure in casa, accomodatevi. Quando lo stronzo mi ha telefonato vi ho preparato delle stanze, se volete riposarvi… il viaggio dev’essere stato lungo. Avete fame? Volete che vi prepari qualcosa? Non sono niente male come cuoca… -

Ci invitò a seguirla mentre si dirigeva verso la costruzione affianco al tempio.

- Sapete, il custode del tempio era un vecchio amico di mia madre, mi consente di stare qui il tempo che voglio. Lui non c’è mai, è sempre in giro per il mondo. Ci penso io a difendere il tempio. Io nel mentre continuo i miei studi e le mie ricerche in questo posto… -

Quanto parlava!

Quando passammo affianco a Hwoarang mi voltai ad osservarlo, lui mi restituì lo sguardo accompagnato da un’alzata di spalle.

- È una pazza isterica. – bisbigliò stando attentissimo a non farsi sentire, poi scosse la testa – Peccato, avrebbe potuto anche funzionare tra di noi. Ma è completamente fuori di testa. –

Mi venne da ridere.

Rimasi un po’ indietro rispetto agli altri per poter parlare meglio con lui.

- Cosa le hai fatto? Perché è così in collera con te? – volli sapere divertita.

- Ah, niente di che. – fece lui – È esaurita, te l’ho detto. Non era una cosa così grave quello che ho fatto. – disse lui convinto – E poi… era uno sbaglio. Io non sapevo che… -

- Vieni Xiaoyu! – mi chiamò Julia facendo capolino dalla porta, ignorando completamente Hwoarang.

- Va tutto bene finchè non la fai arrabbiare. – continuò a spiegarmi lui – Sa pure essere carina e gentile quando vuole, ma fai l’errore di farla incazzare un pochino e lei diventa una bestia assetata di sangue. –

Risi per la faccia imbronciata di Hwoarang.

- Comunque entriamo dentro che abbiamo da parlare tutti quanti. – fece lui tornando serio.

Entrai prima io nel piccolo e accogliente salottino di Julia. Lei era intenta a preparare del tè in cucina.

Quando si accorse che anche Hwoarang stava per mettere piede in casa, per poco non gli tirò in testa la teiera.

- Tu dormi fuori cane!! – gridò – Non osare entrare in casa mia! -

Hwoarang si fermò all’istante e la osservò incredulo con occhi sgranati.

Mi trattenni dallo scoppiare a ridere. Trovavo così divertente che Hwoarang si lasciasse trattare così male da qualcuno.

- Senti… - fece una smorfia sforzandosi di non esplodere - … dolcezza, so quanto mi odi in questo momento. L’hanno capito tutti… - sibilò tra i denti – … comunque non è veramente il caso che io resti fuori, dato che abbiamo delle cose urgenti e importanti di cui parlare. Ti ricordo che non saremo qui altrimenti. –

Julia si mise una mano sul fianco e inclinò la testa da un lato ascoltando attentamente mantenendo lo sguardo truce.

- Tu sai che la cosa riguarda anche te. – aggiunse Hwoarang preoccupato.

- Fa pure. – si arrese Julia roteando gli occhi e tornando a concentrarsi sui fornelli.

Anche Julia era immischiata nella faccenda?

Hwoarang fece una smorfia. Chiuse la porta dietro le sue spalle e andò a sedersi scomposto su una poltrona.

- Quegli scalini sono proprio terribili. – sbuffò sotto lo sguardo mio e di Jin che ancora seguivamo la scena con un po’ di stupore – Quanti allenamenti su e giù con i secchi. – sorrise ricordando – Ti ricordi Julietta quando eravamo ragazzini? –

Lei non rispose, ma sbatté l’anta di un pensile.

- No, non ricordi. – concluse Hwoarang amareggiato.

- Senti, è inutile ok? – fece Julia in tono leggermente più calmo – Hai fatto una stronzata. Non ti ho perdonato allora, non ti ho perdonato in tutto questo tempo, non ti perdonerò di certo oggi. –

Hwoarang muoveva la testa a suon delle sue parole, dato che lei era girata e non poteva vedere.

- Non mi è ancora passata. – continuò – E non so se mi passerà mai. Punto, chiuso il discorso. –

Nessuno di noi altri si azzardava a dire niente, data l’insolita, ma bizzarra situazione.

In effetti Julia sembrava un tantino troppo irascibile, mi chiedevo che cosa avesse mai fatto Hwoarang di così grave.

Poco dopo tornò da noi con un vassoio con una teiera e alcune tazze.

Cinque tazze. Ne diede una a ciascuno, tranne che a Hwoarang ovviamente, e poi si sedette anche lei sorseggiando il suo tè.

- Allora stronzo… - disse poi – Sentiamo che cosa hai da dirci. –

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** Segreti dal passato ***


C’era un tepore piacevole dentro la casetta di Julia. Il fuoco scoppiettava nel camino di fronte al nostro divano. Nelle pareti della stanza c’erano appese le più strane cose, oggetti etnici antichi, ma anche fotografie che ritraevano varie persone.

Hwoarang si schiarì la gola prima di incominciare a parlare, tutti i nostri occhi erano puntati su di lui.

- Tutta questa storia è cominciata parecchio tempo fa. – mi sembrò che per un momento guardò verso la mia parte ed ebbi l’impressione che fosse un po’ in difficoltà – Non è una cosa semplice da spiegare il delicato legame che esiste tra un padre e un figlio. È un qualcosa di molto resistente, ma allo stesso tempo a volte basta davvero poco per sgualcirlo in qualche modo. A volte basta poco per trasformare la ragione in pazzia, l’amore in odio. Davvero poco, per questo a volte non riusciamo neanche a capacitarcene. – sussurrò lasciando spazio ad un leggerissimo amaro sorriso.

Per qualche motivo Julia si mordicchiò il labbro inferiore e chiuse i pugni sulle ginocchia.

- C’era un uomo… – continuò Hwoarang – Quest’uomo amava una donna. Ma non solo come si ama un’amante, era qualcosa di estremamente profondo, lui sentiva di doverle la vita. L’aveva salvato dalla solitudine, in cui aveva vissuto i più cupi anni della sua vita. Amava questa donna smisuratamente e avrebbe fatto di tutto per lei. Fu questo amore smisurato forse a portarlo davanti a quella che sarebbe stata poi la sua rovina, per lo meno dal punto di vista dei suoi vecchi principi. –

Jin ascoltava concentrato serissimo, chiedendosi forse dove Hwoarang volesse arrivare, così come me lo chiedevo io.

- Questa donna visse fino al giorno in cui mise al mondo un figlio, il figlio dell’uomo che l’aveva amata più della sua stessa vita. Morì all’improvviso, senza lasciare il tempo al suo amato di potersi rendere conto della cosa. Non fu capace di superare il trauma, forse mai ci tentò.

Il vuoto che aveva lasciato la scomparsa della moglie non poteva essere colmato, in nessun modo. –

Deglutii cercando di fare meno rumore possibile. Ascoltavamo tutti attentamente, nella casa non volava una mosca.

- L’amore per una persona che non c’era più lasciò spazio ad altri tipi di sentimenti, come l’odio e la vendetta. Non fu mai in grado di accettare suo figlio, lo odiò e lo disprezzò dal primo momento in cui lo vide. Lo fece crescere con severissime punizioni, senza mai donargli l’affetto di cui ogni bambino ha bisogno. Ben presto l’odio si trasformò in pazzia. Dopo l’ennesima lite, il padre tentò di uccidere il figlio. E apparentemente ci riuscì, senza che nessuno lo venne mai a scoprire. Aveva in qualche modo placato il suo dolore, la sua sofferenza che sentiva ogni volta che vedeva il viso di colui che aveva strappato la vita alla sua donna per vivere al posto suo.

A questo punto i suoi sentimenti mutarono ancora una volta. Placato l’odio e la vendetta, trasformò queste emozioni in amore per il potere e per il denaro, la rovina della debole natura dell’essere umano. L’unico suo interesse era diventato quello di arricchirsi, in ogni modo possibile e dedicò ogni momento della sua vita a questo scopo. Ma nemmeno la ricchezza poteva concedergli una tregua dai suoi incubi. –

Mi venne da rabbrividire. La storia cominciava a sembrarmi inquietante.

- Vent’anni dopo l’omicidio del figlio, questo inspiegabilmente gli si ripresentò davanti per reclamare la sua vendetta. L’uomo rimase sbalordito dalla visita di colui che pensò essere morto per tutti quegli anni. Non era morto dunque, ma non era neanche del tutto vivo.

Più precisamente, non era del tutto umano. –

- Ogre? – domandai a voce alta senza pensarci. Me ne pentii subito dopo quando incontrai lo sguardo di Hwoarang.

- No, Ogre non c’entra niente… - rispose acido storcendo il naso. Sembrava nuovamente imbarazzato, in difficoltà. Fissò un punto indefinito del pavimento – Devo continuare? –

- Continua. – disse Jin serissimo.

- I due si scontrarono di nuovo. Il figlio era diventato molto più forte, possedeva una forza sovraumana, qualcosa di mai visto. Non fu difficile per lui sconfiggere il padre, lo uccise allo stesso modo in cui aveva tentato lui stesso vent’anni prima e prese il suo posto negli affari.

Ma anche stavolta le cose non andarono come previsto. L’uomo riuscì a sopravvivere e a sopraffare con l’inganno l’invincibile figlio. Si dice che ne distrusse il corpo, così che non potesse più essere in grado di tornare.

Da quel momento in poi tornò alle sue attività ordinarie nel mondo dell’economia, ma non si limitò solo a quello. Aprì il suo business alla ricerca scientifica, mascherandone i veri piani. –

Hwoarang si fermò per qualche istante, si voltò verso Julia. Lei ascoltava tesissima, ricambiava lo sguardo con occhi taglienti.

Hwoarang si passò una mano fra i capelli prima di riprendere il discorso.

- Il vero obiettivo delle sue ricerche era trovare un metodo per poter raggiungere i livelli di potenza del figlio. Sconfinando nella natura demoniaca se questo fosse stato necessario. –

Rimasi semplicemente agghiacciata.

Sembrava il racconto di uno di quei film horror di serie b che trasmettono di notte nei canali meno famosi.

Julia emise un mugolio appena udibile.

- Fu così che si avvicinò ad alcune leggende centro americane. Queste leggende parlavano di un essere mitologico, supremo lottatore, Ogre per l’appunto. Gli studi del nostro uomo continuarono e in qualche modo riuscirono a liberare dalla sua prigione, dove gli antichi maya lo avevano confinato secoli e secoli fa. Questa persona adesso, ecco… - non terminò la frase.

Julia irrigidì le gambe.

- … possiede Ogre. – concluse lei.

Tutti ci voltammo verso di lei.

Rimasi a bocca aperta. C’era qualcosa che non mi tornava.

- Esatto. – confermò Hwoarang con sguardo vacuo. – È lui che ha fatto in modo che risucchiasse le anime dei lottatori più forti del mondo. È lui che comanda Ogre. È lui che fa finta di cercarlo per non destare sospetti agli occhi degli agenti segreti di tutto il mondo che da anni seguono le sue mosse. –

- Heiachi. – mormorai stupefatta.

Come poteva Heiachi essere il responsabile della morte di mio nonno?

Come poteva essere il responsabile della morte della madre di Jin, del maestro di Hwoarang e chissà quante altre persone?

Guardai Jin. Era pallidissimo, quasi bianco.

Certo aveva sempre odiato in qualche modo suo nonno, ma non credo avesse mai pensato che fosse stato lui ad aver ordinato l’uccisione di sua madre.

Era una rivelazione troppo shockante. Capivo adesso il disagio iniziale di Hwoarang e il motivo per cui non ce ne avesse parlato prima.

- Noi… - riprese poco dopo Hwoarang – Eravamo alcune delle ultime pedine del suo gioco. –

Rabbrividii di nuovo al pensiero.

- L’incursione dell’altra notte sarebbe servita per la messa in scena del nostro omicidio. Noi siamo gli eredi. – spiegò abbassando la voce - Tengono Ogre in una base segreta sotterranea, esattamente sotto un parco abbandonato. –

Sussultai. Quel parco abbandonato. Ricordai la sera prima del mio compleanno.

Se solo avessi saputo cosa c’era nascosto…

- È sorvegliato dalla squadra speciale di Heaichi. Una specie di esercito segreto personale molto più potente di quello di molte delle nazioni più sviluppate del mondo. -

Strinsi la mano contro quella di Jin, lui rispose alla stretta dopo aver sussultato, quasi risvegliandosi dai suoi pensieri.

- L’ultima mossa, sarebbe stata quella di organizzare un nuovo torneo, probabilmente per selezionare la nuova anima, l’ultima anima prima che Heiachi acquisti i poteri di Ogre, come è suo desiderio. –

Tutto questo era semplicemente raccapricciante. Peggio di qualsiasi film dell’orrore o quant’altro avesse mai potuto spaventarmi in passato, perché era reale e ne ero completamente dentro.

Rimanemmo almeno un’ora senza muoverci, né dire una parola.

Avrei voluto chiedere a Hwoarang come era riuscito a capire tutto questo, ma non mi sembrò il momento opportuno.

 

 

La mattina mi svegliai con una strana sensazione di tristezza ancora prima di ricordarmi la notte precedente.

Mi misi a sedere e dovetti guardarmi intorno per riambientarmi. Alla fine avevamo deciso di stendere dei futon nel soggiorno e dormire tutti lì.

Era presto. Vidi il cielo dalle finestre, era ancora molto scuro.

Hwoarang e gli scimmioni dormivano a poca distanza da me. Per fortuna Julia si era un po’ ammorbidita durante la serata e non aveva fatto dormire Hwoarang sul pavimento.

Continuavo a chiedermi cosa le avesse mai fatto per meritare un simile trattamento.

Notai che il futon di Jin era vuoto.

Mi alzai e andai in bagno. Julia mi aveva lasciato dei vestiti che mi sarebbero potuti andare bene sulla lavatrice.

Mi feci una bella doccia rigenerante, ma non fui capace di trattenere le lacrime, almeno in quel momento in cui non potevo essere vista da nessuno. Lasciai che l’acqua mi lavasse ogni traccia del pianto.

Avevo paura, troppa paura.

Mi pettinai e asciugai i capelli lasciandoli sciolti sulle spalle.

Julia mi aveva prestato un paio di jeans scoloriti e una felpa bianca.

Lei era molto più alta di me, dovetti girare l’orlo dei pantaloni più volte per entrarci.

Allo stesso modo, la felpa mi stava piuttosto larga, ma non me ne preoccupai.

Uscii dal bagno e senza far rumore sgattaiolai fuori di casa.

C’era molto freddo.

I primi colori dell’alba tingevano il cielo in un quadretto spettacolare.

Cominciai a passeggiare per il viale che curvava dietro alla casa.

Sotto l’erba si era formata della brina che mi faceva slittare le suole delle scarpe. Dovetti mantenere la massima attenzione per non scivolare.

Poco più avanti fra gli alberi scorsi qualcosa, una figura.

Sorrisi quando la riconobbi, e mi avvicinai accelerando il passo.

Sapevo che l’avrei trovato fuori da qualche parte.

Jin era seduto per terra, con la schiena che poggiava contro il tronco di un albero.

Mi avvicinai a lui chiamandolo per nome, ma lui non rispose.

Quando fui abbastanza vicina da vederlo in faccia ebbi quasi un sussulto.

Sul suo viso c’era una strana espressione. Un’espressione che non gli avevo mai visto addosso.

Gli occhi erano vacui, guardavano un punto indefinito nello spazio e tutti i muscoli facciali erano contratti in una solida espressione di pura rabbia.

Sembrava pallidissimo.

- Jin… - lo chiamai più forte cominciando a preoccuparmi – Che stai facendo? Qui si gela! –

Non rispose di nuovo.

Rimasi immobile, in piedi davanti a lui aspettando una sua qualsiasi reazione.

Sul suo viso c’era davvero qualcosa di diverso, ma non riuscivo a spiegarmi che cosa.

- Jin, mi stai facendo preoccupare… -

Solo allora improvvisamente alzò gli occhi su di me e rilassò un pochino l’espressione.

Mi rilassai anche io.

- Cosa stai facendo? – ripetei.

Lui serissimo tornò a guardare altrove.

- Riflettevo. –

Rimasi dubbiosa.

- C’è qualcosa… che non va? –

- No. – rispose soltanto.

Era evidente che non era vero, ma non si impegnava neanche per mascherarlo un po’.

Mi misi a sedere davanti a lui con le gambe accovacciate.

Sentii la brina gelida e il freddo filtrarmi dentro i pantaloni. Rabbrividii.

- Stai pensando a qualcosa… - era più un’affermazione che una domanda.

Non negò, ma nemmeno lo ammise.

- La mia famiglia… - disse in un sussurro appena udibile – È tutto cominciato con la mia famiglia. -

Rabbrividii di nuovo. Non solo per il freddo, ma per l’espressione che aveva di nuovo preso posto sul suo volto.

Finalmente mi guardò.

- Voi non c’entrate niente. – continuò – Non meritate tutto questo. È iniziato con la mia famiglia, e con la mia famiglia finirà. –

- Jin, per favore… - alzai gli occhi al cielo – Non so dove tu voglia arrivare, ma… -

- No. Non dire nient’altro. – mi interruppe – Sono io, solo io, che dovrò mettere fine a tutto ciò. –

Spalancai la bocca incredula.

- Cosa stai cercando di dire, scusa? –

- Che siete già stati troppo in pericolo, tutti quanti! – spiegò alzando il tono di voce – Non posso sopportare tutto questo. –

Si alzò in piedi e fece qualche passo verso un’altra direzione, fermandosi appoggiando il palmo di una mano su un albero.

Lo seguii con lo sguardo, incapace di credere alle mie orecchie.

- Certo, non stai male nei panni dell’eroe maledetto, ma… porca miseria Jin! Quasi non riesco a crederci! – sbottai – Siamo tutti implicati in questa storia almeno quanto te! –

Lui non si voltò. Mi alzai anche io pulendomi i pantaloni congelati con le mani ormai quasi insensibili.

- Abbiamo cominciato tutto questo insieme, e insieme lo concluderemo. – affermai senza ammettere repliche – E poi non fingere di non sapere che se mai ci dividessimo saremo più in pericolo. –

Non mi rispose, e per qualche minuto nessuno aggiunse nient’altro.

Stavo letteralmente congelando, mi sforzavo di non battere i denti. Lui d’altro canto, non sembrava risentire minimamente del freddo, nonostante avesse solo una felpa leggera addosso.

Finalmente dopo diverso tempo si voltò di nuovo da me con uno sguardo più calmo.

- Sì, probabilmente hai ragione. – ammise non troppo convinto – È solo che… ci sono così tante cose che non conoscevo del mio passato, della mia famiglia… – tornò a guardare nervosamente verso un punto neutro - … comincio a pensare che arriverò a scoprire che c’è qualcosa che ignoro anche di me stesso! -

Risi piano.

- Andiamo Jin! – feci con tono rassicurante – Sai benissimo che non è vero! Certo, scoprire la storia della tua famiglia ti ha un po’ turbato, è del tutto normale, ma tu… - risi di nuovo - … andiamo… cosa mai potrebbe essere? –

Jin sorrise, anche se ancora amareggiato.

- Già… è una cosa ridicola. –

 

 

Julia in effetti non era quello che il novantanove per cento della popolazione mondiale avrebbe definito una brava cuoca.

Hwoarang aveva cercato in ogni modo di mettere al corrente gli altri sulla questione, tramite occhiatine e gesti silenziosi, ma non c’era stato verso di poter cambiare i programmi. Julia era così felice di poter finalmente cucinare qualcosa per degli ospiti!

L’atmosfera a pranzo non era delle migliori. Erano tutti nervosi e vistosamente preoccupati. Solo i tentati dialoghi fra Hwoarang e Julia alleggerivano leggermente la tensione.

Tutto questo, finché lo stesso Hwoarang, dopo l’ultima minaccia di morte da parte di Julia dopo averle chiesto dolcemente di passargli l’acqua a tavola, riprese l’argomento.

- Che cosa intendi fare dunque? –

Tutti ci girammo da Hwoarang senza capire con chi ce l’avesse.

Lui bevve un lungo sorso d’acqua dal bicchiere, poi tornò a (fare finta di) concentrarsi sul suo piatto.

Julia, ancora nervosa, che sedeva opposta a lui, il posto più lontano possibile, posò rumorosamente le bacchette accanto al suo piatto.

Tutti ci voltammo adesso verso di lei.

- Stai forse rivolgendo la parola… - aspettò un po’ prima di terminare la frase - … a me? –

Hwoarang la guardò con un sorriso forzato.

- Certo, lo sai che uso quel tono di voce solo con te. –

- Non fare finta di essere educato, lo sai che mi fai rizzare i capelli quando lo fai. –

- Chiedo scusa. – fece lui umilmente.

- Mi stai provocando?? – Julia scattò rabbiosa in piedi, piegata in avanti con le mani sul tavolo.

Hwoarang sospirò.

- Julia, non ho più idea di come devo chiedertelo! – disse esasperato - Non ho voglia di sentirti strillare di nuovo. Voglio solo sapere cosa hai intenzione di fare! –

Tutti noi seguivamo la scena come una sit-com tragicomica.

Julia tornò a sedersi con grazia alla sua sedia.

- In effetti dopo il tuo racconto di ieri ho finalmente capito il vero motivo per cui sei tornato a cercarmi. – spiegò Julia con una calma e serietà insolita – Non è tanto il fatto che potessi essere in pericolo. –

- Lo è anche quello! – precisò Hwoarang.

- Sì, ma non è l’unico motivo. –

Hwoarang sembrò compiaciuto.

- Sapevo che non sarebbe sfuggito ad una mente acuta come la tua. –

Julia mollò un pugno al tavolo.

- Non… farmi… complimenti. – disse fra i denti stringendo il bicchiere con una forza tale che pensai che sarebbe esploso da un momento all’altro.

Osservai il viso di Julia con un misto di stupore, divertimento e inquietudine.

Hwoarang sorrise soddisfatto, lontano dallo sguardo dell’amica d’infanzia.

- Ma devo ammettere. – fece Julia arrossendo un po’ – Che sei stato bravo. – mormorò pianissimo – Io non ci avevo mai pensato. –

A questo punto Hwoarang sembrava essere seduto un metro sopra di noi.

- Lo so. – si concesse di dire a mezza voce.

- Scusate ma io non ci sto capendo niente. – intervenni confusa.

Hwoarang mi sorrise beffardo.

- È normale. Non mi aspetto che una ragazzina con i codini possa capire queste cose. –

Offesa, mi portai istintivamente una mano ad accarezzare uno dei miei codini.

Da quando mi ero ritirata così i capelli, poco prima di pranzo, Hwoarang non faceva altro che prendermi in giro.

- Insomma che hanno che non va i codini? –

Hwoarang sogghignò divertito, mentre mi rivolgeva uno sguardo piuttosto esterrefatto, come se fosse aberrante che lo stessi persino chiedendo.

- Non hanno niente Xiao. – mi rincuorò Julia dall’altra parte – Sono così carini invece! Non dare retta a quel maiale, che della parola carino non conosce il significato. –

Hwoarang tornò serio immediatamente.

- Comunque… - fu forse la prima volta che Julia guardò Hwoarang senza avere gli occhi assetati di sangue - … c’è una cosa che in effetti dovreste sapere. –

Julia si alzò in piedi e camminò verso la parete opposta a lei. Prese una foto incorniciata appesa al muro e ci passò un pollice sopra per togliere un sottile strato di polvere che si era depositato.

Tornò verso di noi, con un’espressione angelica stampata sul volto.

- Questa… è mia madre. – disse con tono amorevole poco prima di girare la fotografia verso di noi così che tutti potessimo vedere.

La foto ritraeva una giovane donna, ventisei anni, trenta al massimo, con lunghi capelli castani legati in una treccia.

- Lei si occupava di archeologia, passione che poi ha trasmesso anche a me. – continuò ricordando nostalgicamente – Fu lei a notare delle particolari analogie fra le culture di una tribù del centro America e alcune… orientali. –

Si rigirò, tornò sui suoi passi e riappese la fotografia al muro.

- Com’era possibile che delle culture vissute non meno di cinquemila anni fa, che hanno abitato in terre così distanti fra loro, potessero avere avuto un contatto? –

Julia sospirò.

- Era proprio a questo quesito che mia madre aspirava a dare una risposta, quando dagli Stati Uniti venimmo qui in Giappone per la prima volta. –

Tornò a sedersi a tavola.

- Fu proprio il vecchio padrone di questo tempio ad ospitarci. Mia madre lo conobbe parecchio tempo fa, era un vecchio maestro d’arti marziali che viveva tutto solo su questa collina. A parte quando è in giro per il mondo come in questo momento, ovviamente. È un po’ svitato in effetti… - Julia si concesse una risatina che soffocò quasi subito – Comunque… Uno dei reperti di maggiore importanza per la ricerca di mia madre è stato trovato proprio sotto il tempio. Delle antiche inscrizioni su pietra che parlavano di come una creatura mitologica sia stata la causa della quasi totale distruzione per questa tribù. –

Hwoarang incrociò le braccia sul petto con aria soddisfatta.

- Adesso io non voglio annoiarvi con un sermone di storia e archeologia… - riprese Julia – Comunque il punto è che per anni si è pensato che la creatura in questione, di cui si esaltava l’incredibile forza e potenza distruttiva, non fosse altro che… -

Julia tornò a guardare verso di Hwoarang.

- Nient’altro che un deludente noioso… drago! - concluse annuendo piano – I draghi fanno parte della cultura e delle tradizioni orientali da millenni a questa parte. E dopo la scomparsa di mia madre il caso venne chiuso in questo modo… – Julia abbassò il viso – … cinque anni fa. –

- Un momento! – esclamai capendo finalmente il frutto del discorso – State dicendo che invece la creatura in questione era… -

- Poteva essere… - sottolineò Julia con incertezza nella sua voce.

- …Ogre. – Jin, che non aveva aperto bocca per tutto quel tempo concluse la frase per tutti noi.

Julia fece una piccola smorfia e annuì, facendo un cenno con la mano verso di Hwoarang.

Hwoarang orgoglioso si schiarì la voce prima di cominciare a parlare.

- Adesso il punto è, cara Julia… - cominciò – Tra i bei ricordi delle estati passate in questo villaggetto, c’è anche quello in cui tu mi raccontasti di come tua madre aveva scoperto un’iscrizione nel quale si raccontava in che modo la tribù era riuscita a liberarsi della bestia. –

In quel momento pensai di trovarmi dentro una specie di cartone animato. Stavamo parlando di come uccidere un mostro.

Julia sorrise colpevole.

- Non ce l’ho più! –

Hwoarang sgranò gli occhi.

- Cosa vuol dire che non ce l’hai più? –

- Il maestro di mia madre venne qualche anno fa a trovarmi, dopo la sua scomparsa. – raccontò – Era interessato ai documenti di mia madre e ai suoi appunti, e visto che lei si fidava tanto di lui, e lui ha insistito tanto io gli ho dato il diario di mia madre. Per valore affettivo, mi disse. E non credo che comunque sia stato in grado di capire qualcosa. – ammise Julia - Sapete mia madre crittografava ogni suo scritto. Aveva la costante paura che finissero nelle mani sbagliate. Solo io sono in grado di leggerli. – sorrise.

Hwoarang si passò una mano fra i capelli, combattendo con l’irrequietezza.

- Che cosa stavi aspettando a dirmelo? – chiese in un sibilo.

Julia gli avrebbe lanciato il tavolo contro se non fosse stato per lui, che riprese subito a parlare.

- Ok, ok… pazienza. – la calmò – Va bene. Dove si trova ora il maestro di tua madre? –

- Oh, è morto anche lui qualche tempo fa. – spiegò lei mordendosi un labbro.

Nella sala da pranzo si instaurò un silenzio di tomba.

- Ma possiamo comunque trovare ciò che cerchiamo! – riprese poco dopo – Il maestro di mia madre si chiamava Wang Jinrei. –

Sussultai sentendo quel nome.

- Mio nonno! – esclamai a voce alta.

Julia mi mostrò un sorriso a trentadue denti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** Riflessioni ***


Mio nonno?

Cercai di ricordare se avesse fatto dei viaggi negli ultimi anni. Non mi risultava.

Mio nonno aveva il diario della madre di Julia?

Perché l’aveva preso con sé? Che in qualche modo lui avesse già capito la minaccia contro cui andavano contro?

- Xiaoyu… - disse piano Julia – Credi di poterci aiutare a trovare il luogo dove tuo nonno può aver portato il diario? –

Non risposi subito, stavo ancora facendo i conti con il disordine di pensieri che affollava la mia mente in quel momento.

- Non lo so. – ammisi dopo un po’ – Però mio nonno non si spostava spesso. Non ricordavo infatti che fosse partito recentemente. – spiegai riferendomi al viaggio appena raccontato da Julia.

- Questo vuol dire che ci sono buone probabilità di trovare ciò che cerchiamo nella sua vecchia casa… - suggerì Jin inserendosi nel discorso.

Il suo tono era decisamente freddo e tagliente.

Impossibile non notarlo.

- È tutto così… incredibile… - commentai ancora incerta – Io non so se servirebbe davvero a qualcosa… -

- In effetti tutta la situazione, è pressoché… ridicola. – rifletté Hwoarang con una smorfia.

- Noi d’altronde non sappiamo veramente che cosa sia Ogre… - commentò scettica Julia – Potrebbe non essere ciò che ci aspettiamo. Io mi occupo di archeologia, le leggende sono leggende. -

- State mettendo in dubbio?! –

Sapevo che Julia aveva osato troppo con quella affermazione. Ci voltammo tutti verso di Jin.

Ci studiava con un misto di perplessità e indignazione.

- Ogre esiste! Io l’ho visto! – sbottò gelido – Ed era più reale di qualsiasi leggenda esistente in questo mondo! –

Chiuse a pugno la mano e si alzò in piedi.

- Se voi credete che non sia vero siete liberi di fare come credete. Ma io andrò in fondo a questa storia, e se c’è anche una sola possibilità che questa leggenda abbia qualcosa a che fare con Ogre… seguirò questa pista fino alla fine. –

Detto questo si alzò e si diresse verso la porta di ingresso.

- A quanto pare ho meno in comune con voi di quanto abbia pensato fin’ora. –

Dopo questa affermazione piuttosto enigmatica, uscì chiudendosi la porta alle spalle.

Sapevo che per lui era una questione delicata. Aveva visto Ogre uccidere sua madre.

L’aria era intrisa di nervosismo all’interno della piccola cucina. Ci guardammo incerti per un po’ di tempo.

Tutti poi spostarono gli occhi su di me.

- È da stamattina che sembra… strano. – confessai mogia – Non… non so cosa gli stia prendendo, onestamente. -

Solo poco dopo Hwoarang si alzò dal suo posto e se ne andò verso una finestra.

- Per quanto mi dà fastidio ammetterlo, credo che comunque Kazama abbia ragione. –

Borbottò guardando dalla finestra e sfilando il pacchetto di sigarette dalla tasca.

- Abbiamo una sola traccia. Dovremo seguirla piuttosto che stare qui a chiederci se stiamo facendo la cosa corretta. -

Julia inspirò.

- Non so dirvi quanto quel diario potrà essere utile ai nostri fini, ma anche se non dovesse essere così, credo che mi farebbe piacere riavere il diario di mia madre. – disse passandosi una mano fra i capelli – Perciò… io sono d’accordo nell’andare a cercarlo. –

Annuii anche io, senza aggiungere niente.

Ero ancora in pensiero per la reazione di Jin.

Sembrava così frustrato.

- Fuori a fumare! – ringhiò Julia incenerendo Hwoarang con lo sguardo e puntando un dito verso la porta.

Lui fece una smorfia di disappunto.

- Okay, okay. – si arrese poi vedendo l’espressione di Julia, volendo evitare altri litigi ora che sembrava essersi calmata.

- Piuttosto… - fece lei guardando il frigo – Ci sarebbe da fare un po’ di spesa. Con tutte queste persone da sfamare, mi è rimasto davvero poco. –

Non era una richiesta. Era un ordine.

Hwoarang sollevò un angolo della bocca in uno strano sorriso.

- Lei è ancora dove l’ho lasciata vero? –

Julia allungò una mano verso una mensola di legno e prese qualcosa che lanciò a Hwoarang.

- Ti sta aspettando. – disse lei gelida – E devi solo ringraziare che non te l’abbia distrutta! -

Hwoarang afferrò l’oggetto al volo e mostrò il suo migliore sorriso prima di uscire.

In quel momento mi alzai anche io.

- Xiao, va tutto bene? – mi chiese Julia.

I due amici di Hwoarang, che assistevano a tutto sempre in silenzio come se fossimo una specie di sit com, mi puntarono gli occhi addosso.

- Sì… - risposi evasiva – Ma credo quasi quasi che andrò con lui. Ho voglia di prendere una boccata d’aria. – spiegai mentre prendevo il cappotto dall’appendiabiti.

 

L’aria frizzante di gennaio mi fece rabbrividire mentre camminavo sul selciato per raggiungere Hwoarang che finiva di fumarsi la sigaretta appoggiato alla parete laterale della casa.

Mi scrutò interrogativo, ma fui io ad intervenire prima che potesse chiedermi qualcosa.

- Mi andrebbe di venire in città. – tagliai corto.

Mi accorsi che il mio tono era abbastanza spento.

Forse fu per questo che Hwoarang, che aveva già aperto la bocca per ribattere, sembrò cambiare idea e la richiuse subito dopo senza replicare niente.

Si portò di nuovo la sigaretta alle labbra.

Mi voltai a guardare il paese visto dall’alto.

Non doveva avere più di un migliaio di abitanti.

- Speriamo di avere un casco formato puffo. – sospirò Hwoarang poco dopo aprendo una porta sul retro.

- Puffo cosa?! – chiesi convinta di aver capito per forza male.

Mi voltai e lo seguii all’interno della stanza buia nella quale era entrato.

C’era un forte odore di chiuso.

Sentii il click di un interruttore, ma la luce si accese poco più tardi non prima di qualche intermittenza.

Una lampadina sospesa al soffitto colorò debolmente la stanza di un pallido giallore.

Era un piccolo disordinatissimo garage pieno zeppo di cianfrusaglie.

Al centro della stanza c’era una vecchia motocicletta rossa, che aveva tutta l’aria di essere rimasta lì dentro per un bel pezzo.

- Ecco di cosa parlavate… - capii sollevando un sopracciglio.

Mi sembrava impossibile che quella cosa potesse veramente ancora funzionare, ma tenni questo pensiero per me.

Hwoarang aprì una specie di armadio di legno malandato ed estrasse due caschi, uno dei quali lo lanciò verso di me.

Lo afferrai al volo goffamente e rimproverai Hwoarang con un’occhiataccia.

- Hey, potevo farmi male! –

Lui non rispose, si avvicinò alla moto e la accarezzò con una mano.

- E’ stata la mia prima moto. – disse con sguardo sognante – L’ho comprata a quattordici anni con i miei primi soldi guadagnati. –

Provai ad immaginare un Hwoarang quattordicenne, ma davvero non ci riuscii.

Fu in quel momento che per la prima volta vidi in lui qualcosa che non avevo mai notato prima. Per la prima volta non era quel Hwoarang che si faceva chiamare Blood Talon, un ragazzaccio temuto e rispettato da quelli della sua cerchia… per la prima volta vidi un ragazzo che non conoscevo, un ragazzo semplice, come tanti, dal passato del quale non sapevo proprio niente.

- Beh, che hai da fissarmi così, huh? – mi chiese antipatico.

Rimasi per un attimo in cerca di parole.

- Non ti stavo fissando! – ribattei seccata.

Lui andò ad aprire la porta inclinabile del garage, era girato di spalle rispetto alla mia posizione, ma riuscii lo stesso a vedere un sorriso sincero sul suo volto.

Portò la moto all’esterno e si infilò il casco.

Notò che io stavo combattendo col mio.

Sbuffò ridacchiando con aria di superiorità.

- Vieni qua. – fece poi serio facendo qualche passo verso di me.

Mi aiutò a sistemare il casco sulla mia testa. Di nuovo ebbi la sensazione di trovarmi davanti ad una persona che conoscevo davvero poco, notai per la prima volta una certa gentilezza e grazia nei suoi gesti, che mi erano del tutto nuove.

Sistemato il casco, rimasi un po’ indecisa sul fatto del doverlo ringraziare o meno, ma lui si voltò subito e si mise a cavallo della sua moto.

- Avanti muoviti! - mi incitò.

Annuii imbarazzata e mi sistemai dietro di lui.

- Io mi terrei forte se non volessi morire. –

Allungai le braccia e le chiusi sulla sua vita. La moto si mise in moto con un rumoraccio inquientante, ci immettemmo nella stradina bianca che scendeva parallelamente alla scalinata.

Non ero mai stata in moto e devo ammettere che in un primo momento ho provato un certo timore, quando la moto cominciava a prendere velocità.

Non capivo se era normale, o se in effetti lui stesse correndo un po’ più del dovuto.

Mi avvicinai di più alla schiena di Hwoarang e chiusi gli occhi. Li riaprii solamente quando cominciammo a rallentare, in prossimità della strada trafficata.

Dentro al paese, fece diverse manovre brusche e accelerate, tant’è che mi aggrappai il più possibile alla sua schiena sperando che questo tragitto finisse presto.

Dopo un giro di perlustrazione del paese, ci fermammo davanti ad un piccolo supermercato.

- Puoi liberarmi adesso. – sibilò con sarcasmo sfilandosi il casco dalla testa.

Mi accorsi che in effetti lo stavo ancora stringendo con forza, me ne pentii subito dopo.

Ero ancora impressionata dalla sua guida.

- E’ stato un po’ traumatizzante. – balbettai.

Hwoarang storse il naso.

- Si vede che sei una ragazzina… -

Dopo aver fatto la spesa, tornammo nel parcheggio del supermercato, dove prima di rimetterci in marcia per casa Howarang si accese l’ennesima sigaretta della giornata.

Il sole stava già tramontando dietro i monti verdi in lontananza. Le luci degli addobbi delle feste cominciarono a brillare sopra le nostre teste e tutto intorno.

Osservai Hwoarang appoggiato alla rete che delimitava il parcheggio, guardava un punto indefinito della strada immerso in chissà quali pensieri.

Ero da un po’ che avevo quell’idea, pensai che fosse il momento giusto per parlargliene. Volevo capire un po’ di lui e del suo passato.

- Com’è che tu e Julia vi conoscete da tanto? –

Lui non si voltò di nuovo verso di me, continuò a guardare davanti a sé.

- È una lunga storia. –

Mi strinsi nel cappotto, quando una gelida brezzolina smosse l’aria fra noi.

- E perché ce l’ha tanto con te? –

Lui si schiarì la gola.

- Beh… Me la sono cercata, in effetti… roba da grandi comunque, non ti interessa. -

Sbuffai delusa.

- A quanto pare è impossibile farti parlare di te, senza che tu mi derida ogni parola che pronunci. –

Lui per la prima volta si concesse una minuscola risata davvero di gusto.

Non era un atteggiamento derisorio, come tutte le altre volte che l’avevo visto ridere.

- Non sono così interessante come potresti pensare, sul serio non ne vale la pena. – disse riflessivo.

Era strano sentirlo dire da uno come lui.

Sgranai gli occhi e lui notò la mia espressione.

– Wow però… con un po’ di umiltà non sei poi così insopportabile. –

- Lo prendo come un complimento. –

- Dimmi solo una cosa, allora… - proposi.

- Hm? –

- Qual è il tuo vero nome? –

Lui spalancò le palpebre.

- Questa è l’unica cosa che non ti direi mai neanche sotto tortura. –

Lo guardai obliquo.

Lui fece di no con la testa come per scacciare via il pensiero.

- Cominceresti a chiamarmi col mio vero nome. No, non ci penso minimamente. –

Sorrisi beffarda.

- Dai non può essere così brutto. –

- Non è quello il punto. – spiegò lui calmo.

Espirò dalla bocca una leggera nube di fumo bianco.

- Ho lasciato quel nome quando ho lasciato la mia vecchia vita. – riprese serio – Non l’ho mai più detto a nessuno. Per me la persona chiamata in quel modo non esiste più… se non nei documenti. –

Rimasi perplessa.

- Sei veramente strano. – commentai.

- E sei tu a dirlo… - rispose ironico lui.

Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, ma non era uno di quei silenzi scomodi, nei quali nessuno sa mai che cosa dire. Mi sentivo a mio agio, ed ero contenta della compagnia di Hwoarang. Stavo cominciando a considerarlo in modo diverso, lasciando i primi pregiudizi che avevo avuto di lui. Stavo cominciando a conoscerne la vera persona, seppure nei limiti invalicabili che lui continuava a porre.

- Dovresti smettere di fumare. – sussurrai seria.

Lui sorrise appena percettibilmente.

- Tu dovresti smettere di farti gli affari degli altri. –

Assomigliava più ad un consiglio, che ad un rimprovero.

Subito dopo quella risposta, lasciò cadere la sigaretta a terra e la spense con la suola della scarpa contro il marciapiede.

Il viaggio di ritorno fu più consono alle mie esigenze. Non so se Hwoarang lo fece apposta per farmi un favore o meno, ma mi sentii meglio, decisamente più tranquilla.

Ma fu come risalimmo per la collina che mi tornarono in mente tutti i problemi e le preoccupazioni che avevo accumulato nel corso di quegli ultimi giorni.

Lo strano comportamento di Jin, diventato improvvisamente così misterioso e scontroso, la paura per le nostre sorti… Ogre.

Ci fermammo fuori dal garage.

Julia uscì dalla porta di ingresso quando ci sentì arrivare.

Aveva una faccia particolarmente tesa, impossibile non notarla.

- Abbiamo un problema. –

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** Orgoglio, rancore, passione ***


 

Era una calda mattina di fine luglio. A Seoul la linea di trasporti pubblici urbani a mezzogiorno è una delle cose che qualsiasi persona sana di mente in questo mondo vorrebbe evitare.

Ma quel giorno neanche l’aria umida, calda e appiccicosa dell’autobus affollato poteva buttarle giù il morale.

Non riusciva a smettere di sorridere e sprizzare gioia da tutti i pori. Certo, lo avrebbe fatto una volta rientrata nella sua stanza d’albergo, ma solo perché era una regola che vigeva da sempre tra lei e il suo storico ragazzo.

Non erano quella che si definirebbe la classica coppia di piccioncini, zuccherosi e coccolosi.

Loro si prendevano in giro, si burlavano, a volte persino lottavano e… spesso non si sopportavano… ma avevano il loro modo particolarissimo di amarsi come poche persone in questo mondo sono capaci di fare. E di perdonarsi sempre.

Perché la cosa più ironica e se vogliamo un po’ crudele del destino era proprio che i due non potevano fare a meno l’uno dell’altra.

E quindi dopo l’ennesima lite, datata esattamente due mesi e ventitre giorni prima, il suo bastardissimo ragazzo era tornato da lei.

Un’altra vittoria per il suo orgoglio, un sollievo per il suo cuore… o più semplicemente, era strafelice di rivederlo.

L’aveva trovata la sera prima e aveva passato la notte da lei. Lei si sarebbe fermata in città giusto il tanto necessario per mostrare il suo lavoro alla facoltà di Archeologia dell’università di Seoul, poi sarebbe tornata in Giappone, dove risiedeva fissa da qualche anno.

Forse a quel punto lui l’avrebbe seguita, per passare un po’ di tempo con lei… gliene avrebbe parlato quel giorno.

Il giorno dopo avrebbe dovuto presentare la relazione sulla quale lavorava da circa un anno. Era il risultato di uno stage in Egitto che aveva vinto come borsa di studio. Era un ottimo lavoro a detta dei professori che avevano letto la relazione, notevole per una matricola del primo anno… per questo avevano deciso di convocarla alla conferenza che si sarebbe tenuta a Seoul quella settimana.

Julia era felicissima. La sua fatica stava per essere riconosciuta e Hwoarang era tornato da lei.

Non immaginava che dietro quella porta d’albergo avrebbe scoperto una verità che l’avrebbe a dir poco sconvolta per sempre.

 

 

 

- Abbiamo un problema. –

Julia era uscita di fretta, per venirci incontro con i capelli sciolti che le sventolavano sulle spalle, indossava un maglione di lana e un paio di jeans scuri.

Rabbrividì all’aria gelata e sembrò pentirsi di non aver preso con sé un cappotto.

- Anzi, forse è un doppio problema. – rettificò stringendosi le spalle con le braccia infreddolita.

Sembrava piuttosto agitata.

- Che è successo? – chiese Hwoarang mentre la si dirigeva affianco a lei verso la porta di casa, con me al seguito e la busta della spesa in una mano.

Julia entrò in casa e si accomodò nel divano tendendo le mani verso il fuoco.

Diedi una veloce occhiata panoramica alla stanza.

C’erano i due ragazzi, ma di Jin nessuna traccia.

- Il terzo tournament. – spiegò Julia riscaldandosi – Heiachi ha inaugurato stamattina le iscrizioni. L’hanno detto al notiziario. Tra tre mesi esatti comincerà ufficialmente il terzo torneo del re del pugno di ferro. –

- Un modo per richiamarci alla svelta… - osservò Hwoarang alzando un sopracciglio.

- Esatto. – annuì Julia – Perciò anche noi avremo bisogno di accelerare i tempi se vogliamo procedere. –

Notai poi che Julia si voltò verso di me osservandomi con aria preoccupata.

- Avete visto Jin? – volle sapere.

Feci di no con la testa.

- Ecco… noi l’abbiamo cercato dappertutto qui nella collina, ma non sembra esserci da nessuna parte. – spiegò – Ma magari è andato a fare due passi in città… –

Mi mostrai del tutto tranquilla, senza lasciar trasparire la mia preoccupazione.

- Già, può darsi. –

Cercai di sorridere, mentre prendevo posto su una sedia.

Quella sera non mangiai granché.

I due amici di Hwoarang lasciarono la casa. Non ascoltai molto, primo perché il discorso era prevalentemente in coreano, secondo perché la mia mente era decisamente altrove.

Da quel poco che riuscii a capire però, Hwoarang diede loro il compito di tenere d’occhio le mosse di Heiachi da Tokyo mentre noi ci saremo recati in Cina, o qualcosa del genere.

Ciò equivaleva a dire che da quel momento in poi saremo stati solo noi.

Io, hwoarang, Julia e… Jin.

Ma Jin non si fece vivo per tutta la sera.

Era ormai palese per me che non sarebbe tornato. Me lo sentivo, ne ero certa.

Continuavo a vedere davanti ai miei occhi il suo sguardo quella mattina, sapevo che diceva sul serio quando era convinto di dover essere lui a mettere fine a tutta questa storia.

Sapere della sua famiglia qualcosa di così sinistro, qualcosa che persino lui ignorava l’aveva completamente disarmato.

Finsi di essere stanca e di sentirmi poco bene, quando annunciai che mi sarei coricata prima.

Julia vedendomi così giù di corda insistette per farmi dormire nella sua stanza.

Era veramente piacevole la sensazione di dormire di nuovo su un letto… da quando avevamo lasciato Tokyo avevo sempre passato le notti in situazioni poco confortevoli.

Stavo per appisolarmi quando ebbi l’impressione di sentire un rumore strano, che non riuscii a definire.

Aprii gli occhi e nell’oscurità non vidi niente.

Accesi la lampada nel comodino e tornai a guardarmi intorno, con non poca agitazione che saliva in crescendo.

Tutto sembrava apposto.

Le montagne di libri impolverati di Julia sulla sua scrivania erano come li avevo trovati, così pure il suo armadio, il suo scaffale di bambù e la poltrona ad acqua sotto la finestra.

La finestra… in quel momento la notai. Era rimasta leggermente aperta e c’era la serranda alzata. La luce del sole mi avrebbe svegliato. Mi alzai di malavoglia e andai ad abbassarla completamente e la chiusi.

Diedi un’ultima occhiata in giro e poi mi rinfilai sotto le coperte.

Credo di essermi addormentata subito dopo aver messo la testa sul cuscino.

 

 

Si svegliò nella penombra della stanza che aveva ancora le serrande abbassate. Prese il cellulare dal comodino e controllò l’orario.

Erano le undici passate, aveva dormito tantissimo e Julia non l’aveva svegliato quando era uscita la mattina presto.

Si alzò e andò a recuperare i vestiti abbandonati sul pavimento dalla sera prima. Vide sul cuscino un unico lungo capello castano della ragazza, che prese fra le dita e osservò con un mezzo sorriso.

Era incredibile come alla fine riuscisse sempre a perdonarlo, nonostante il disastro di ragazzo che era. Appena aveva avuto notizia che era in città, aveva deciso di non poter sprecare l’occasione per riallacciare i rapporti che due mesi e ventitre giorni prima si erano spezzati per l’ennesima volta.

Andò in bagno e si concesse una doccia rinfrescante. Quel caldo era odioso, e non solo per via delle zanzare.

Uscì dalla doccia legandosi un asciugamano attorno alla vita. Decise di chiedere un servizio in camera, così nel mentre che si sarebbe vestito gli avrebbero portato su la colazione.

Stava letteralmente morendo di fame.

Tornò in stanza e puntò il telefono sul comodino, ma scorse con la coda dell’occhio qualcosa nell’anticamera totalmente fuori luogo.

Si voltò sperando che quella visione non fosse altro che un pessimo scherzo della sua immaginazione.

E invece lei era lì sul serio.

- Heilà, fatto una bella dormita? – quella donna tremenda salutò con un cenno della mano.

Lui rimase impietrito, inerme, voleva svegliarsi da quell’incubo… non poteva averlo seguito fin lì. Julia non doveva sapere, non doveva essere coinvolta.

La donna si sollevò nella sua maestosità. Sotto il caschetto nero i due occhi neri di carbone ardente lo fissavano mentre si avvicinava a lui.

Aveva un vistoso vestitino rosso piuttosto di cattivo gusto.

- Non sei stato bravo. – continuò atteggiandosi da bambina e agitando un dito – No, no. –

Lui deglutì, mentre il suo cervello cercava disperato di formulare un pensiero, un’idea che potesse salvarlo da quella situazione.

- Sai che con lo Zio non si deve scherzare, vero? –

- Co… come mi hai trovato? Come hai fatto ad entrare? – chiese lui – La scadenza comunque era per dopodomani! -

Lei si fermò sul posto e lo guardò visibilmente sorpresa, poi scoppiò a ridere di gusto.

- E dire che ti facevo più sveglio. – fece lei seria col suo vero tono di voce – Quelli come noi possono tutto, ricordatelo. Non sei tu a dettare le regole, ragazzino. –

Lo raggiunse e gli sfiorò i pettorali con la mano, graffiandolo appena con le unghie scarlatte.

- Mm… - commentò quella donna schifosa sorridendo – Sei davvero carino. –

Lui chiuse gli occhi, si portò una mano sulla fronte e se la passò fra i capelli, disperato.

- Allora… - riprese la donna facendo più pressione con le unghie sulla sua pelle – Ce li hai? –

- Perché qui? – chiese lui in panico.

Lei rise.

- Perché abbiamo pensato che avresti fatto più da buono se avessi avuto paura che la tua bella potesse essere coinvolta. – rispose, poi scoppiò di nuovo a ridere – Sei un bravo ragazzo, no? –

Gli prese il mento fra le dita e lo osservò bene in volto.

- Qua fuori ci sono due cattivoni. – tornò ad imitare quella stupida voce infantile – Non vogliamo che accolgano la tua ragazza quando tornerà vero? –

Hwoarang non voleva credere a ciò che stava accadendo.

Si portò entrambe le mani sui capelli grondanti.

- Tutto, tutto quello che volete, ma non toccate lei. –

- Bene! – squittì la donna – Allora hai i soldini che ci devi? –

Hwoarang si voltò e andò a prendere i jeans che aveva appoggiato sul bordo del letto. Dalla tasca posteriore estrasse il portafogli.

- Non sono riuscito a racimolare tutto. – confessò in un sussurro – Contavo di finire questi due giorni. –

- Oh che peccato. – lo derise lei, prima di scoppiare di nuovo a ridere istericamente, poi si bloccò e lo guardò sprezzante – Curioso da parte tua, visto che a tuo padre di certo i soldi non mancano… -

Lui si gelò. Come diavolo sapeva della sua famiglia?

- Questi soldi sono miei. – spiegò freddo.

Non aveva mia chiesto un solo centesimo a suo padre, avrebbe preferito morire di fame sulla strada piuttosto che chiedere la sua carità.

Questa volta però c’era di mezzo anche Julia.

- Ma se solo avessi un altro giorno… potrei andare da lui. –

La donna sembrò rifletterci un po’ su per prendere in considerazione l’idea.

- Quanto ti manca? –

- Non tanto. – fece lui mostrando le banconote – Sono sotto di centomila won. –

Lei aspettò di nuovo pensierosa e contò i soldi di persona.

- Non vale la pena aspettare fino a domani per così poco. – ragionò a voce alta – Tuttavia noi non regaliamo niente a nessuno. -

Poi il suo sguardo venne catturato da qualcosa e si bloccò.

- Quello sembra un modello costoso… - osservò.

Hwoarang si voltò e vide di cosa la donna stava parlando.

Il computer portatile di Julia. Il ragazzo deglutì.

Se avesse potuto sistemare così la faccenda, quella gente non lo avrebbe cercato mai più e in quel momento era la cosa più urgente da fare.

Il computer gliel’avrebbe ricomprato, avrebbe messo finalmente la testa a posto, sarebbe andato a fare un lavoro normale e avrebbe guadagnato i soldi necessari per rimborsarla.

Si voltò di nuovo a guardare la donna che si avvicinò a sfiorare il portatile.

- Credo che lo Zio si accontenterà di questo. – giudicò – Suvvia, non abbiamo mai ucciso nessuno per centomila won. Questo credo che basterà come punizione per non aver rispettato la cifra esatta. –

La donna ridacchiò.

- Entrate! – chiamò a voce alta i due fuori dalla porta.

Entrarono due uomini armati, completamente vestiti di nero e ornati di occhiali da sole.

La donna fece un cenno col capo verso il portatile, mentre con una smorfia di superiorità guardava il giovane ragazzo.

I due uomini presero il portatile e uscirono fuori dalla stanza, mentre la donna infilava le banconote nella sua borsetta di perline bordeaux.

Fece per uscire anche lei, quando si voltò un’ultima volta verso Hwoarang e gli riprese il mento fra le dita stringendolo così forte che lui percepì le unghiacce come lame taglienti.

Lei si avvicinò al suo viso.

- Che rimanga fra noi, ma non è una buona idea che un ragazzino di diciotto anni si schieri dalla parte sbagliata, capisci cosa intendo no? È un mondo sporco questo, e tanto pericoloso… e tu sei così carino, sarebbe un peccato doverti eliminare. – gli sussurrò in un orecchio.

Poi si sentì il rumore di una chiave che viene infilata in una toppa e la cosa successiva che Hwoarang vide fu il viso di Julia che lo guardava da lontano diventare paonazzo.

 

 

La fissava a braccia conserte da circa mezz’ora, mentre lei sfogliava distrattamente un manuale di storia politica fingendo di volersi concentrare.

L’uno seduto di fronte all’altra ai due lati del tavolo.

- Mi irriti. – disse lei ad un certo punto.

Un sorriso accattivante si insinuò sulle labbra dell’altro.

- Sapevo di esserti mancato. – sussurrò lentamente.

Lei sollevò gli occhi su di lui sfidandolo. Anche Julia mostrò per un attimo un sorriso cattivo.

- Davvero? E cosa te lo fa pensare? -

Hwoarang fece schioccare la lingua con un’espressione compiaciuta dipinta in volto.

- Stai cedendo… - osservò – Lentamente, molto lentamente… in cuor tuo sai di avermi già perdonato da tempo. –

La voce del tipo del notiziario alla tv, che avevano lasciato accesa, era l’unica cosa che si insinuava tra i due sguardi magnetici.

- La rabbia non è forte come la mia mancanza, non è così? -

Lei giocò ancora.

- Stai rischiando, Hwoarang. – ridacchiò minacciosa – Piuttosto, sembri tu a non riuscire a fare a meno di me. Io ti avevo espressamente detto che era finita per sempre, di non farti rivedere mai più. –

Lui divenne per un attimo serio e assottigliò di qualche millimetro le palpebre. Gesto quasi impercettibile certo, ma non per lei che lo conosceva bene… meglio di chiunque altro.

L’aveva colpito, ma nelle arti marziali, così come nella vita, lui conosceva la guardia.

- Sapevi benissimo anche tu che non sarebbe durato per sempre… certo stavolta era un po’ più grave rispetto alle altre litigate, ma… andiamo, anche tu hai bisogno di me. – finì sollevando un angolo della bocca in un’espressione maliziosa – Come io ho bisogno di te.

Julia spalancò gli occhi e la bocca non credendo alle sue orecchie, fingendo di essere addirittura divertita.

Hwoarang sembrò soddisfatto.

- Lo sai anche tu. – continuò – È inutile che neghi. -

La ragazza non ce la fece più.

- Hai idea di cosa significava quel lavoro che per colpa tua ho perduto per sempre?! – ululò alzandosi in piedi e battendo le mani sul volume aperto sul tavolo.

Non sembrava più minacciosa e forte come lo era sempre stata fino a quel momento, ora i suoi occhi luccicavano pericolosamente.

- Un anno di lavoro… di tempo perso?! – ribatté quasi urlando – Hwoarang tu non hai idea, non hai idea di cosa ha significato per me… perdere il computer e tutta la fatica che c’era dentro. -

Lui sembrò pentirsi, si alzò in piedi e si avvicinò a lei dispiaciuto, allungando un braccio verso il suo. Venne interrotto prontamente da Julia, che lo colpì violentemente deviandone il movimento.

- Ovvio che non puoi capire! – si rispose da sola Julia – Tu non sai cosa vuol dire lavorare, dare l’anima per qualcosa! -

- Lo capisco invece. – replicò Hwoarang  – E mi dispiace, ma io non potevo saperlo. E poi se ben ricordi non avevo granchè scelta… ho pensato che fosse la cosa migliore da fare in quel momento. –

Julia si era voltata verso il muro, per non dargli la soddisfazione di vederla combattere per tenere le lacrime dentro agli occhi ancora una volta per colpa sua. Non se lo meritava, assolutamente.

- Non dire altro! – lo intimò – Non dire un’altra parola se non vuoi ritrovarti un calcio in mezzo alle gambe. –

Se avesse continuato a parlare, lei probabilmente avrebbe pianto. E di certo non l’avrebbe perdonato molto facilmente, oh no…

Lui indietreggiò di qualche centimetro. Conosceva Julia, quando era arrabbiata era capace di tutto.

- D’accordo. – mugugnò.

Lei si voltò furibonda.

- Hai tradito la mia fiducia. – gli disse velenosamente – Non sarà mai più come prima, mettitelo bene in testa. –

Hwoarang sembrò esasperato.

- Lo capisci che potevo morire? – le domandò lui – Che tu potevi morire?? Ho avuto paura per te. Sarei stato disposto a cercare mio padre pur di salvarti! –

Riprese fiato prima di cominciare.

Julia conosceva perfettamente i rapporti fra Hwoarang e la sua famiglia. Poteva capire che quello per lui sarebbe stato un gesto estremo.

- Ti ho chiesto scusa, te lo ripeterei in tutte le lingue del mondo se lo sapessi fare… ma tu ancora non demordi. Cosa dovrei fare?! Sembra che continui a non capire che non avevo scelta. Sei veramente egoista fino a questo punto? –

Julia spalancò la bocca esterrefatta.

Il ragazzo aveva osato troppo ancora una volta. Se ne accorse e si pentì di aver parlato troppo.

Fu un attimo, un lampo e Hwoarang si ritrovò a barcollare indietro di qualche passo. Passarono alcuni secondi di tranquillità, quando poi cominciò ad avvertire il dolore lacerante alla guancia sinistra.

Adesso osava pure ribaltare la situazione. Passava lei per essere egoista?

Il ragazzo imprecò portandosi una mano sulla parte dolente.

Julia lo guardava soddisfatta ancora con la mano a pugno.

- Potevo rimetterci un dente, insomma! – le disse Hwoarang dopo aver accertato di non sanguinare dalla bocca.

Lei sorrise di gioia.

- Ho desiderato farlo ogni singolo giorno da un anno… -

- … da un anno e quattro mesi per essere precisi, eh? – indovinò Hwoarang ancora dolorante e contrariato.

- Esattamente. – disse Julia ricordando la loro strana abitudine di contare i giorni e i mesi dei periodi in cui non si parlavano – E mi sento molto meglio adesso. – confessò lei decisamente più calma.

Lui la guardò storto.

- Sei la solita squilibrata mentale. –

- È quello che ti meriti, stronzo. – ringhiò lei – Per… non avermi parlato dei tuoi problemi. – finì la frase con un tocco di rimpianto.

Lui spostò immediatamente lo sguardo su di lei.

- Hai permesso che lo scoprissi in quel modo orribile. – continuò con gli occhi che luccicavano di nuovo – Quando ho visto quella donna schifosa che ti toccava io non ho saputo proprio cosa pensare… ma poi ero arrabbiatissima soprattutto perché mi sono sentita completamente tradita ed esclusa dalla tua vita. –

Hwoarang si fece serio.

- Ti avevo appena ritrovato. – spiegò a bassa voce – Come potevo dirti che avevo un debito con un’organizzazione criminale? Cosa avresti pensato di me? Andiamo Julia, non potevo parlartene e basta! –

- Avresti dovuto farlo, invece. – ribattè lei – Ci conosciamo da quando eravamo bambini. Tu sai praticamente tutto di me, eri la persona della quale più mi fidavo. –

Hwoarang sollevò gli occhi al soffitto. La sua guancia cominciava a prendere un colorito violaceo.

- Mi sono sentita come se davanti a me ci fosse un completo estraneo del quale non sapevo più assolutamente niente. – terminò a mezza voce Julia.

Hwoarang si avvicinò e tese le dita di una mano per incontrare quelle di Julia.

- Ma possiamo lasciare tutto questo alle spalle, se solo lo vuoi. – sussurrò.

- Sei… - cominciò lei.

- Un bastardo, lo so. – concluse lui con un sorrisetto – Ma devo dire che tu mi tieni testa con grande maestria. –

Si passò una mano sulla guancia, che cominciava ora a gonfiarsi.

- Siamo cresciuti insieme a pane e a dispetti. – osservò Julia – Mi son dovuta istruire bene, non credi? –

Hwoarang sorrise, poi riprese il discorso tentando di persuaderla.

- Avanti… è passato tanto tempo. – riprese – Adoriamo troppo stuzzicarci per poterci ignorare così a lungo. –

Julia sghignazzò.

- Questo è tutto da vedere. -

Ma poi si mordicchiò le labbra rosee in segno di provocazione.

Erano vicini, e soli… per la prima volta.

Julia avvicinò una mano alla guancia livida del ragazzo e la sfiorò con due dita compiacendosi per la sua vendetta.

- Anche se forse per adesso hai avuto ciò che meritavi. Sai, in fondo mi sei mancato… –confessò a voce appena udibile – Mi è mancata la tua faccia da schiaffi. – Ci tenne poi a precisare prima che le sue parole assumessero un sapore troppo zuccherino. Ma per quanto si sforzasse, non sarebbe mai riuscita ad odiare quel ragazzo.

- Anche tu… - rispose Hwoarang più serio.

- Non riesci a sopportare che io sia come un’estranea per te vero? – lo provocò Julia con tono stimolante.

- No… - ammise lui con un mezzo sorriso, decise di stare al suo gioco, ma in fondo era sincero.

- Quindi non mi nasconderai più una cosa del genere? –

- No… - confermò.

- Anche perché potrei veramente decidere farti fuori. – fece Julia – Anche a costo di dover finire i giorni della mia vita in una cella bianca imbottita di materassi. –

Hwoarang ridacchiò.

- Credo che è un rischio che sono pronto a correre. -

Tra loro c’era qualcosa di speciale, che niente sarebbe riuscito ad infrangere.

Entrambi l’avevano sempre saputo.

- Julia? –

- Mmh? –

- Mi stai… perdonando? –

Cadde un silenzio assoluto.

Coraggioso da parte sua. Veramente coraggioso. Da quel momento in poi non sapeva come avrebbe reagito.

Restarono in silenzio a guardarsi intensamente, incerti su cosa sarebbe successo dopo.

E per chi come loro si conosce da una vita, basta un semplice sguardo per capire certe cose.

Dopo un attimo di esitazione, l’aria era diventata troppo magnetica, troppo intrisa di alchimia per trattenersi.

Era passato così tanto tempo…

Lui poggiò una mano sulla sua schiena e trasse la ragazza a sé, lei allora affondò le mani nei suoi capelli e andò subito ad incontrare le sue labbra.

Si cercavano con foga, come al solito amavano tralasciare i primi gesti intrisi di dolcezza e delicatezza, non ne avevano bisogno. Loro si arrendevano subito alla passione…

Una passione alla quale non avevano mai saputo rinunciare e che adesso sembrava così naturale e dovuta.

Era così che doveva andare, tutto questo aveva un sapore così perfetto.

Julia tirò indietro la testa, mentre Hwoarang le esplorava il collo con la bocca, punzecchiandola piacevolmente con la barba trascurata di pochi giorni.

Lui, che la teneva per i fianchi, la indirizzò verso la parete, con le spalle al muro.

Si fermò per un momento a prendere fiato e la guardò malizioso.

- Hai mandato apposta Xiaoyu in camera tua. –

Lei rise e si finse scandalizzata.

- Per rimanere da sola con te? – lui annuì, al che lei continuò - Hwoarang, non puoi rendermi colpevole dei tuoi pensieri impuri da maiale quale sei. –

Disse mentre esplorava col dito il bordo del colletto della felpa del ragazzo.

Lui stava per ribattere qualcosa, ma lei non gliene diede il tempo, gli riccatturò di nuovo le labbra fra le sue.

- D’accordo, siamo un po’ colpevoli entrambi. – ammise poi lei fermandosi a pochi millimetri dalla sua bocca.

- L’hai detto anche tu. – notò lui – Siamo cresciuti insieme, siamo più simili di quanto vogliamo ammettere. –

- Aspetta però… - sibilò ad un tratto Julia ricordandosi.

- Mmm? -

- Xiaoyu, è nella stanza affianco. – considerò parlando a bassa voce.

Hwoarang roteò gli occhi indifferente, poi continuò a baciarla.

- Faremo piano… e poi… – mormorò piano in un momento di pausa – Capirebbe… in fondo in fondo non è una bambina, anche se non lo diresti. –

- E Jin… potrebbe tornare e… –

Hwoarang sospirò impaziente.

- Se torna, ci metteremo anche questo problema. –

Detto questo, la riprese a sé e si allontanarono dal muro, posizionandosi davanti al tavolo, dove lui le riappoggiò le mani sui fianchi e la sollevò di qualche centimetro per farla appoggiare sul bordo, mentre lei chiudeva le gambe dietro di lui attirandolo a sé.

I loro corpi si chiamavano, non potevano più aspettare.

Nemmeno l’imbarazzo di una possibile irruzione di una terza persona nella stanza sembrava più un problema tanto grave.

Le mani di Julia vagavano per la sua schiena, passando poi per le sue spalle atletiche.

Le mani di Hwoarang si insinuarono sotto il maglione della ragazza accarezzando la pelle della sua schiena.

I battiti del cuore diventavano più veloci, i respiri più profondi, il desiderio più intenso.

 

 

- Non riesco a crederci. – Era almeno la millesima volta che lo ripeteva fra i singhiozzi del suo pianto disperato.

E ogni volta era un pugno nello stomaco per Hwoarang.

Erano seduti entrambi ai piedi del letto.

Lui non era mai stato così mortificato in vita sua e si augurava di mai doverlo essere di nuovo.

- Mi dispiace. – era l’unica cosa che riusciva a dire.

- Il mio lavoro! La mia relazione! – si disperò – Con quale faccia domani dirò che mi è stato tutto rubato?! –

Lui osservò le mani di lei chiudersi a pugno sul materasso. Forse aveva stretto così forte che aveva già strappato le lenzuola con le unghie.

- Come… come hai fatto ad entrare in debito con questa gente? – sbraitò lei ancora incapace di credere a ciò che aveva vissuto.

La sua faccia era una maschera spaventosa di rabbia, delusione e mascara sbavato.

Il ragazzo deglutì.

- Prendendo parte a dei combattimenti clandestini… in strada. –

Lei non riusciva a crederci. Non voleva crederci.

Lo guardò in faccia dimostrandogli lo sguardo più disgustato che potesse riuscire a fare.

- Sei diventato esattamente quello che Baek ha cercato con tanta pazienza di non farti mai diventare. – gli disse acida e sprezzante – Ti sentirai bene adesso che hai buttato i suoi insegnamenti nel cesso?! -

Era un argomento delicato quello. Non permetteva mai a nessuno di parlargli in quel modo.

Doveva ringraziare che si trovava in una situazione in cui aveva un torto tale da non permettergli nemmeno di aprire bocca.

Lo sapeva benissimo in cuor suo. Aveva tradito da tempo la fiducia di colui che era stato come un vero padre per lui. E ora aveva tradito la fiducia anche di Julia.

Non aveva più niente.

- Adesso vado. – disse soltanto prima di alzarsi e incamminarsi verso la porta, umiliato come mai si era sentito in vita sua.

- Hwoarang…-

Lo richiamò Julia. Lui non riuscì a voltarsi e a guardarla negli occhi.

- Ti odio. Non voglio rivederti mai più! Per me non esisti più! Questa volta è per sempre! –

Non rispose.

Uscì da quella porta, da quell’albergo sapendo di averla persa per sempre.

 

 

La mattina seguente mi svegliai più tardi di quanto avevo previsto.

Quando aprii gli occhi vidi che la sveglia elettronica sul comodino di Julia segnava le dieci e mezzo passate.

Mi misi a sedere stiracchiandomi, poi andai a prendere i vestiti puliti che Julia aveva lasciato per me sulla sedia della scrivania la sera prima.

Quando entrai in cucina, il mio cuore sussultò.

Non che mi aspettassi davvero di trovarlo lì, ma non potevo fare a meno di pensarci e di sperarci. E vedere che ancora non era lì, mi rattristò.

Hwoarang era seduto a tavola, sorseggiava una tazzina di caffè e sfogliava un quotidiano.

Indossava una felpa nera e aveva i capelli bagnati ritirati all’indietro, in quel modo gli arrivavano fino alle spalle.

Sollevò un attimo lo sguardo vedendomi entrare.

- Buongiorno. – mi salutò.

Risposi al saluto con poco entusiasmo e andai a sedermi a tavola anche io.

- Non è che vuoi del caffè? – propose cortesemente.

Scossi la testa per dire di no e in un primo momento non prestai molta attenzione alla domanda che mi aveva posto.

Me ne accorsi solo poco dopo.

Lo studiai con stupore.

- Come mai oggi sei… gentile? –

Lui continuava a guardare verso le notizie del giornale, facendo una faccia del tutto indifferente.

Aveva un’espressione decisamente… pacifica e rilassata.

- Così. – fece le spallucce voltando pagina.

- Non hai neppure negato… - osservai – E nemmeno “rimediato” una risposta acida. –

Lui mi guardò obliquo sollevando un sopracciglio.

- Sembri così stranamente di… buon umore. -

- Beh, se proprio ci tieni posso provvedere a cambiarlo per te… -

Ma il suo tono era troppo tranquillo, neanche lontanamente minaccioso.

- Hey, ma che ti è successo alla guancia?? –

Lui sollevò le spalle.

- Ho sbattuto nel rubinetto della doccia. -

Non me la raccontava giusta, sembrava una scusa buttata lì a caso. Rimasi a guardarlo con sguardo interrogativo mentre cercavo una possibile risposta al mio mistero, ma dopo abbandonai la questione.

- Dove è Julia? – chiesi.

- È andata a prendere un po’ di cose prima di partire. – spiegò – Speriamo di andare il prima possibile. –

- Capito. – annuii – E… lui… -

- Non è tornato. -

Abbassai lo sguardo delusa, come se fosse stata una sorpresa!

La porta d’ingresso si aprì e Julia entrò con diverse buste.

- Oh ciao Xiao! – mi salutò serena – Dormito bene? –

Anche lei sembrava di buon umore.

Sorrisi annuendo.

- Sì, era da un po’ che non dormivo così bene. – raccontai – Mi sono addormentata quasi subito e ho dormito come un ghiro. – ridacchiai.

Per un attimo mi parse di notare un fugace scambio di sguardi da parte di Julia e Hwoarang, cosa che non riuscii ad interpretare. Poi entrambi sorrisero con me.

- Anche se… - mi ricordai - … in effetti ad un certo punto ho sentito un rumore strano. –

I due si guardarono di nuovo, questa volta più ambiguamente.

- L’avete sentito anche voi? – provai ad indovinare.

- No, no… - rispose subito Hwoarang scrutando esitante il viso di Julia - … non… mi sembra. –

Julia spostò lo sguardo incerto da Hwoarang a me.

- No, no… ma… che tipo di rumore? –

- Non saprei… - spiegai – Davvero strano però. –

Hwoarang tornò a leggere il giornale, Julia alzò le spalle e si chinò sulle buste frugando qualcosa.

Impossibile non notare la loro tensione.

- Ragazzi mi state nascondendo qualcosa? – chiesi.

Loro si guardarono di nuovo, poi del tutto contrariati scossero la testa.

- Cosa te lo fa pensare? – mi domandò Julia.

- Non so… siete strani. – commentai – Non è che avete scoperto qualcosa su Jin e non volete dirmelo?! –

Non potevo tenermi dentro questo dubbio.

Si scambiarono un’ennesima occhiata, stavolta però a Hwoarang scappò una risatina che non capii.

- No, Xiao. – confessò Julia seria rimproverando Hwoarang con lo sguardo per la sua mancanza di tatto – Mi dispiace tanto, ma non è più tornato, né sappiamo dove può essere andato. –

- Ok… - decisi di fidarmi.

- Mi sembra ovvio a questo punto che non vuole più procedere con noi. – commentò Hwoarang.

- E se gli fosse successo qualcosa? – ipotizzai preoccupata.

- Improbabile. – decretò lui – Se n’è andato da solo, lo sai anche tu. Devi solo accettare il fatto. -

- Xiao, non è che andresti a prendermi l’agendina che ho sulla scrivania? – mi chiese gentilmente Julia, mentre guardava severamente Hwoarang con un’espressione contrariata.

Lui non sembrava capire cosa avesse detto di male.

Immaginai che volesse dirgli due parole senza la mia presenza, così l’accontentai.

Tornai in camera di Julia e presi l’agendina azzurra che c’era sul bordo della scrivania. Stavo per voltarmi, quando scorsi qualcosa con la coda dell’occhio.

Un foglietto, per terra, sotto la finestra.

Mi avvicinai a raccoglierlo e me lo girai fra le dita. C’era qualcosa scritto a mano. Mi venne un tuffo al cuore quando riconobbi la calligrafia.

Era di Jin.

Osservai la finestra.

L’avevo trovata aperta la notte prima. Una finestra del genere se non è ben chiusa non è difficile da aprire dall’esterno… che avesse scoperto che ero lì dentro e che fosse lui il motivo di quel rumore?

Magari mentre cercava di tirare su un po’ la finestra per lasciare cadere il messaggio all’interno della stanza.

Poteva essere un ragionamento sensato?

Lessi e rilessi il contenuto del messaggio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 20
*** Dreamland I ***


Quel posto era esattamente come lo ricordavo. Come se fosse rimasto immutato, congelato nella mia mente per tutto quel tempo, dall’ultimo istante in cui l’avevo guardato.

I monti circondavano la nostra zona a 360 gradi, sovrapponendosi all’orizzonte, come se ci circondassero completamente.

Il cielo era interamente coperto di nuvole. Sembrava di essere dentro una specie di sfera di vetro, come quelle bocce con la neve che vendono come souvenir.

Uscii dall’auto sbattendo forte la portiera per farla chiudere.

Avevamo preso una macchina al noleggio subito dopo essere arrivati in Cina. Hwoarang e Julia avevano guidato a turno fino al mio vecchio paese, fino alla vecchia casa semi-abbandonata di Wang.

L’auto doveva avere almeno trent’anni, era un vecchio modello degli anni settanta, la vernice era scrostata in vari punti, i sedili erano scomodi e c’era un odore strano non proprio gradevole al suo interno, ma almeno ci aveva portato a destinazione. Dio solo sapeva come aveva resistito per tutto quel lungo tragitto senza sfasciarsi in moto.

- Ci siamo… - sibilai con un filo di voce, prendendo lo zaino dal sedile e caricandomelo in spalla.

- Ci siamo. – ripetè Julia affiancandomi mentre osservava la casetta davanti a noi.

Wang non abitava in paese. Per quanto fosse sempre stato un uomo socievole, amava il silenzio, la riflessione e la tranquillità.

La sua abitazione si trovava a circa un chilometro dal centro abitato.

Era una graziosa casetta a stampo tradizionale. Sul lato destro un albero secolare offriva la sua compagnia, a sinistra c’era invece ciò che rimaneva di un vecchio recinto di canne che avevo sempre conosciuto così.

Mi incamminai verso la porta di ingresso, salendo gli scalini di legno che scricchiolavano sotto le mie scarpe da ginnastica. Una volta davanti alla porta mi tolsi lo zaino dalle spalle e lo appoggiai al pavimento, cominciando a far vagare le mani sulle travi sporche di terra e fango incrostato.

La trovai. La trave senza viti.

La presi per le estremità e cominciai a sfilarla verso l’alto.

Eccola, dove l’aveva lasciata l’ultima volta.

La vecchia chiave in ottone.

La presi fra le dita e risistemai la trave nel suo incastro.

La infilai nella toppa e girai tre volte, come avevo già fatto un miliardo di volte.

 

 

 

Tre giri di chiave e spalancò la porta.

- Nonno, nonno… ci sei? –

La voce squillante della ragazzina coi codini risuonò come una sirena in tutta la casa.

Attraversò il corridoio seguendo il cigolio inconfondibile che sentiva in sottofondo, oltre al rumore dei suoi passi svelti sul pavimento.

Arrivò fino alla vecchia veranda sul retro della casa, dove lo trovò, seduto sulla sua sedia a dondolo cigolante, intento a vagare con la mente e lo sguardo lungo i profili dei monti.

- Nonno, sono nei guai! Veramente! – cominciò la nipotina sedendosi sul pavimento accanto a lui, accovacciando le gambe e nascondendo il viso fra le mani.

Il nonno sorrise, continuando a guardare la landa davanti a sé e il sole che andava a nascondersi dietro le montagne color oro.

- Che hai combinato stavolta? –

Xiaoyu fece una smorfia.

- Mamma è andata ai colloqui. –

Wang scoppiò a ridere.

- Adesso si spiega tutto. –

- Se… - Xiaoyu deglutì prima di continuare – Se non recupero matematica hanno detto che potrei ripetere l’anno. –

La sedia di Wang cigolò ancora.

- Sono spacciata. – sospirò Xiaoyu lamentandosi – Io la matematica non la capirò mai. Come posso pensare di poterla recuperare? –

Wang si alzò in piedi con una agilità atipica per la sua età, con lo sguardo perso davanti a sé.

Xiaoyu notò in quel momento lo sguardo assorto del vecchio.

- Nonno mi stai ascoltando?? –

Lui allora sembrò risvegliarsi e si voltò verso di lei mostrandole il suo miglior sorriso.

- Certo, certo… - ridacchiò – Stavo solo pensando… niente, lascia stare. – scacciò via i pensieri con un cenno della mano.

- Nonno ti sto parlando della mia situazione drammatica! – si lagnò la nipotina – Non è il momento giusto di fare i tuoi pensieri filosofici sul significato della vita o altre cose del genere. –

- La filosofia è il più sano nutrimento dell’animo umano. – ribatté Wang con voce solenne.

- Sai che bello! – commentò la ragazzina giocando con un codino – Serve quanto la matematica. A un bel niente! I veri problemi della vita sono altri, e non si risolvono con queste scemenze! –

Il vecchio rise ancora vedendo il volto imbronciato della ragazzina.

- Sai bene anche tu che in fondo la pensi come me, anche se non vuoi ammetterlo. –

Xiaoyu ridacchiò.

- E perché non vorrei ammetterlo secondo te? – lo sfidò giocosa.

- Perché vivere così è molto più facile, mia cara. -

Xiaoyu fece una smorfia buffa.

- A volte dici delle cose davvero strane, nonno. –

 

 

 

Era strano vedere la casa così buia, fredda e vuota.

Camminai lungo il corridoio, ascoltando i miei passi, gli unici rumori che aggiravano la casa assieme ai passi degli altri. Aprii la prima porta, il soggiorno.

Non so nemmeno io perché lo feci, forse perché dentro me speravo di trovarci Wang seduto davanti al vecchio televisore in bianco e nero a litigare col telecomando.

Il televisore era lì, al suo posto, solo un po’ più grigio, per via della polvere che si era accumulata sopra la sua superficie. Il divanetto pure, così come i cuscinetti rossi e il vecchio mobile con quegli innumerevoli rotoli di pergamena e quegli oggetti strani.

Il mobile poteva essere un buon posto dove cercare il diario della madre di Julia. L’avrei tenuto a mente.

Sentii Hwoarang e Julia che mi raggiunsero, sbirciando nella stanza oltre la mia testa.

- Cosa vogliamo fare? – chiesi, stupendomi di sentire il mio tono di voce così incredibilmente triste – Cominciamo subito a cercare o prima mangiamo qualcosa? –

- Non mangiamo da stamattina presto… - ragionò Julia – forse riusciremo meglio nei nostri intenti con qualcosa nello stomaco. –

Guardammo entrambe Hwoarang, che si limitò a sollevare le spalle, con un’espressione tremendamente tesa.

Era insolitamente silenzioso, ma io sapevo perché.

Cominciava a rendersi conto che quella era un’idea assurda, che non avrebbe portato a niente, non avremo trovato niente di utile in quella casa, stavamo solamente perdendo tempo, ma era dura ammetterlo, per questo la scelta del silenzio.

Lo capivo bene, perché quella era la stessa identica sensazione che tormentava anche me e probabilmente Julia.

Si era delineata sempre più decisa metro dopo metro che ci avvicinavamo alla nostra destinazione.

Era un’idea stupida, assurda, patetica… disperata.

Ma era l’unica traccia che avevamo.

La cucina era praticamente vuota. Non c’erano più il frigo e la cucina a gas.

Ci inginocchiammo attorno al basso tavolino di legno e cominciammo a mangiare i sandwiches che avevamo comprato quella mattina in un motel in perfetto silenzio.

Avremo cominciato la ricerca subito dopo.

 

 

 

- Sai una cosa nonno? –

Wang sollevò lo sguardo dalla sua ciotola di riso.

- Inizio a pensare che avevi ragione. Io ero tanto preoccupata per la scuola poco fa, e tutto in confronto mi sembrava meno importante. Ma in effetti non è poi così grave come pensavo. –

Wang sollevò un sopracciglio.

- Hai già cambiato idea? –

Xiaoyu poggiò le bacchette accanto alla sua ciotola.

- No, ho solo pensato che ci sono dei rimedi. –

- Sì, per esempio potresti farti aiutare da qualcuno a recuperare le materie in cui sei indietro. – propose il nonno.

Xiaoyu sembrò pensarci per un momento, poi scosse la testa.

- No, veramente non pensavo a questo. – confessò – Oh certo, se ci fosse… mm… che ne so? Un bel ragazzo, genio della matematica, che si offre di darmi qualche ripetizione gratis… perché no? –

Xiaoyu rise con occhi sognanti.

- Ma dato che viviamo nel mondo reale e ciò sarebbe quasi impossibile… no, pensavo che se mi bocciano, posso sempre ritirarmi da scuola. – spiegò la ragazzina con semplicità.

Il nonno sgranò gli occhi.

- Xiaoyu! – la rimproverò – E che avresti intenzione di fare poi nella tua vita? –

La ragazzina mostrò un sorriso a trentadue denti.

- Io un’idea ce l’avrei. –

Il nonno continuava ad ascoltare guardandola in cagnesco.

- Sentiamo… -

- Mi piacerebbe aprire un parco dei divertimenti… – spiegò, poi gli occhi le si illuminarono sognanti – Magari un giorno diventerebbe il più importante della nazione. -

Il nonno la fulminò con lo sguardo.

- Ti rendi conto da sola che è piuttosto difficile, vero? Come troverai i soldi senza un lavoro, senza un titolo di studio? –

- È il mio sogno! – ribatté lei offesa – Tutti noi dovremo difendere i nostri sogni! Lo dici sempre anche tu! –

Wang rise sollevando gli occhi al soffitto.

- Lo chiamerò Dreamland, in inglese vuol dire terra dei sogni, credo. L’inglese non è male come materia, però è un po’ difficile. – continuò Xiaoyu riprendendo le bacchette e portandosi un po’ di riso alle labbra – Se mi ritiro da scuola vado a vivere in Giappone. Lì è più facile trovare un lavoro anche se non hai un diploma. E poi il Giapponese lo capisco abbastanza. Nel mentre conserverò i soldi e mi inventerò qualcosa per portare avanti il mio sogno. –

Wang bevve un lungo sorso di vino.

- Mi fa molto piacere la tua determinazione, ma ricorda che purtroppo spesso non è abbastanza. – cominciò a spiegare il vecchio allisciandosi la barba – Non dovresti rinunciare ad affrontare quello che ti sembra difficile. Nella vita come nelle arti marziali i migliori risultati si ottengono stringendo i denti e affrontando migliaia di ostacoli. –

Xiaoyu aggrottò le sopracciglia.

- Perché mi dici tutto questo? –

Wang sorrise.

- Non arrenderti a scuola, fai almeno un tentativo. Anche se credi che sia un caso disperato. A volte nella vita ti ritrovi ad aver come unica alternativa quella di seguire un’idea disperata… perché è l’unica possibilità che hai. –

 

 

 

Niente.

Cercavamo qualcosa che nemmeno avevamo chiaro in mente in ogni angolo della casa da più di quattro ore. Il cielo fuori era nero come la pece.

Avevamo guardato praticamente dappertutto. Nel mobile in soggiorno, nella cassapanca in camera da letto, dentro l’armadio, nel vecchio scrittoio, in ogni mensola, in ogni ripiano, in qualsiasi luogo ci era venuto in mente.

La maggior parte delle cose erano state portate via. Molti mobili infatti erano praticamente vuoti. Probabilmente erano state prese da mio zio, l’unico figlio in vita, che si era occupato della casa subito dopo la morte di Wang.

- Niente? – chiesi d’istinto sentendo entrare qualcuno nella stanza degli ospiti in cui mi trovavo.

- Niente. – rispose piatta la voce di Hwoarang – Se vuoi dormire in soggiorno ci sono i sacchi a pelo. – mi comunicò inespressivo prima di sparire di nuovo.

Toccai il pavimento con le ginocchia. Mi feci male, ma non mi interessava.

Gli occhi cominciavano a bruciare e la vista si faceva offuscata dalle lacrime.

Non dovevo piangere. Non serviva a un accidente!

Avevo resistito tutto questo tempo.

Avevo seguito quella pazza idea, l’unica disperata via che avevamo, ma non era servito a niente.

Avevo fatto come mio nonno mi aveva insegnato, tanto tempo prima, quando ancora la mia vita era così semplice.

Per un certo periodo mi ero illusa di essere tornata a quella semplicità, di essere tornata… felice come un tempo. Quando le mie uniche preoccupazioni erano trovare un piano per come copiare al prossimo compito in classe.

E invece no, era stata solo un’illusione. Le persone alle quali mi ero affezionata mi avevano lasciato di nuovo, e adesso ero ancora una volta lì, in quella casa con il cuore a pezzi come subito dopo la morte dei miei genitori e di mio nonno.

Infilai una mano nella tasca dei jeans e tolsi fuori il foglietto stropicciato.

 

 

Ho una cosa importante da fare
da solo
una cosa che devo assolutamente sapere.

Non te ne posso ancora parlare,

spero che capirai…
se andrete a cercare il diario
spero troviate qualcosa di utile,
ci rincontreremo.
Spero potrai perdonarmi.

 

                          Jin

 

 

Strinsi il pugno accartocciando la carta fra le mie dita, fino a nasconderla completamente dalla mia vista.

Non era giusto tutto questo. Non era per niente giusto.

Nonno… cosa devo fare?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

continua

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 21
*** Dreamland II ***


Il vento soffiava forte quella mattina, sollevando spuma marina che andava ad infrangersi contro le pareti del traghetto.

Il cielo era scuro e minaccioso. Sul ponte dell’imbarcazione c’era solo un ragazzo sui vent’anni, che incurante del tempaccio se ne restava immobile con le mani salde alla ringhiera ad osservare l’isola all’orizzonte che diventava sempre più visibile.

Yakushima è un’isola circolare situata a sud del Giappone. I suoi abitanti non raggiungono i 15.000. È un posto ideale per vivere se ti piace la natura e la tranquillità… o semplicemente se hai bisogno di nasconderti per qualche motivo.

Quando il traghetto attraccò al porto cominciò a scendere una pioggerellina fitta e fastidiosa.

Il ragazzo portò la chiusura del cappotto fin sopra le labbra e cominciò a farsi strada nella strada semi deserta che conduceva al centro del paese.

Non era cambiato molto in quegli anni, se non per il fatto che vedesse tutto da una prospettiva più alta. Tutto sembrava essersi rimpicciolito.

La pioggia si fece più forte, il ragazzo accelerò il suo passo ed entrò in un locale all’angolo della strada che portava alla piazza principale.

Trovò piacevole l’odore di caffè e il dolce tepore di quel locale e si sistemò in un tavolino silenzioso, lontano dal brio e i discorsi allegri di prima mattina degli altri clienti che facevano colazione.

Trovò sul tavolino accanto un quotidiano del giorno prima.

Lesse in prima pagina a grossi caratteri l’annuncio del terzo torneo del Pugno d’Acciaio. Allungò la mano e trasferì il giornale sul proprio tavolo, lo spiegò e cominciò a sfogliare le pagine per andare a cercare l’articolo intero.

- Buongiorno, cosa desidera? –

Il ragazzo sollevò lo sguardo e incontro quello di una giovane barista, che lo guardava dall’alto.

- Oh mio Dio! – disse lei sgranando gli occhi – Jin! –

Lui, per tutta risposta, mostrò un timido sorriso.

La ragazza prese posto sulla sedia di fronte a lui.

- Prendo solo un caffè. – disse piano Jin schiarendosi la voce – Possibilmente molto forte. –

La ragazza continuava a guardarlo come se fosse un fantasma.

- Che fine avevi fatto Jin? – volle sapere serissima – Insomma, quel tremendo incidente, tu che sei sparito, mai una notizia… ci avevano detto che eri partito a Tokyo, ma… molti di noi pensavano che fossi morto! Perché sei sparito in questo modo? –

Lui emise un lungo respiro.

- Faccende personali. – rispose sintetico – Ho avuto i miei motivi. -

La ragazza fece per parlare, aprì la bocca, ma poi sembrò ripensarci e la chiuse.

- Capisco la vostra confusione, comunque. – riprese poi Jin – E mi dispiace, sul serio. –

La ragazza si rialzò e annuì guardandolo un po’ confusa e un po’ delusa, forse.

- Faccende personali, certo. Ti porto il caffè. – disse prima di voltare le spalle e tornare dietro il bancone.

Jin la seguì con gli occhi per qualche secondo, prima di rimedicarsi alla lettura del giornale.

La seccatura di vivere in un posto piccolo è che tutti sanno tutto di tutti, e Jin questo l’aveva sempre detestato. Soprattutto quelli del tuo anno, essendo tuoi eterni compagni di classe.

L’articolo non diceva molto, almeno niente che lui non sapesse già. Le iscrizioni erano già aperte, il torneo si sarebbe svolto a partire dal mese di marzo e veniva ricordato a fine articolo che il campione in carica era niente meno che Heaichi Mishima in persona.

- Quand’è che sei tornato, comunque? –

Jin alzò la testa, piegando il giornale e spostandolo al bordo del tavolo.

La barista gli aveva portato il caffè come richiesto.

- Sono appena arrivato, un quarto d’ora fa. – spiegò.

La ragazza lo guardò e notò che con se non aveva alcuna traccia di borse o bagagli.

- E quanto hai intenzione di rimanere? –

- Il giusto necessario. – rispose schietto cominciando a sorseggiare la bevanda calda – Sono qui perché ho bisogno di ritirare una cosa che mi appartiene. –

La ragazza rimase in silenzio. Non riusciva a credere che quello che aveva davanti fosse lo stesso ragazzo felice e sorridente che conosceva fino a qualche anno prima.

Ora notava una freddezza insolita e uno sguardo fin troppo spento nei suoi occhi.

Lei si sforzò di sorridere.

- Jin, qui sarai sempre il benvenuto, se mai un giorno volessi tornare. –

Jin sorrise a sua volta, un sorriso un po’ forzato, certo… ma pur sempre un sorriso.

Lasciò il locale venti minuti più tardi. A quell’ora la banca doveva già essere aperta, ed era quello che gli interessava. Non gli andava di rimanere un minuto di più in quel posto.

Era troppo intriso di vecchi ricordi. Dolorosi.

Entrò nella piccola banca del paese. Fortunatamente non c’era ancora nessuno o quasi.

Si diresse verso uno sportello.

L’impiegato si voltò verso di lui.

- Buongiorno, mi dica. –

Jin estrasse alcuni documenti dalla tasca e li presentò all’uomo al di là del vetro.

- Devo ritirare una cosa. –

L’uomo prese i documenti e cominciò a leggere. Digitò qualcosa nel computer, poi tornò a spostare lo sguardo su di Jin.

- Due minuti. –

Jin restò ad aspettare.

Tra poco avrebbe conosciuto finalmente la verità.

Un pensiero continuava a tormentarlo, da quando Hwoarang ne aveva parlato.

I due si scontrarono di nuovo. Il figlio era diventato molto più forte, possedeva una forza sovraumana, qualcosa di mai visto.

Da quando l’aveva sentita, non era più riuscito a togliersi quella frase dalla mente. Doveva scoprire, doveva sapere.

Qual era quella verità riguardo a suo padre che nessuno gli aveva mai voluto rivelare?

 

 

- Jin, ho bisogno di parlarti. –

Jin era sdraiato sul letto, aveva un libro che gli copriva il volto. Lo sollevò un pochino per osservare la madre.

Non si parlavano dal giorno prima, quando avevano avuto una brutta discussione. L’ennesima di quel periodo, e l’argomento era sempre lo stesso.

Lui non disse niente, fece soltanto un piccolo movimento con la mano per incitarla a cominciare a parlare.

Jun entrò nella stanza e si sedette con grazia nella sedia davanti alla scrivania.

- Ho pensato a quello che mi hai detto ieri. – cominciò.

Jin si mise a sedere, chiudendo il libro e riponendolo a fianco a sé.

- E… come ti ho già detto ieri, io ti capisco. È normale che tu voglia sapere di tuo padre e tutto quanto, ma… – continuò.

Jin sollevò gli occhi al soffitto, per un attimo aveva creduto che avesse finalmente cambiato idea.

- Sì, mamma lo so. Ma a te non piace parlarne. – tagliò corto il ragazzo – L’ho capito, ma non sono un bambino! Voglio sapere con precisione cosa è che è successo, che fine ha fatto e anche… sì, perché no? Il maledettissimo motivo per cui non ti piace doverne parlare. Torniamo sempre allo stesso discorso, se hai solo intenzione di dare l’ennesima giustificazione, sappi che è inutile. – terminò freddamente.

Jun incrociò le braccia sul petto.

- Fammi finire, per favore. – disse infastidita.

Jin sollevò le spalle con sguardo diffidente.

- Ho deciso che è un tuo diritto sapere. – confessò Jun.

Il figlio rimase letteralmente a bocca aperta.

- Ma finché sarai sotto la mia custodia sono io a doverti indirizzare verso ciò che è più giusto per te. – spiegò – Adesso sei troppo piccolo, anche se tu non la pensi allo stesso modo. Hai bisogno ancora di crescere, di maturare, di diventare forte abbastanza per accettare la cosa. –

Jin non riusciva a credere alle sue orecchie. Che mai poteva essere di così “spaventoso”?

Si sentiva arrabbiato, deluso e preso in giro.

- Quindi ho deciso di fare così… - riprese la madre – Per ora continuerai a non sapere niente di più. Quando sarai maggiorenne, se tu vorrai, e sottolineo Jin, solo se ritieni che sia necessario sapere, allora ci sarà una lettera per te custodita in banca. –

Tolse fuori dalla tasca un foglio bianco ripiegato e lo appoggiò sulla scrivania.

- In questo foglio ci sono spiegate le istruzioni. Ho fatto tutto stamattina. –

Al ragazzo la situazione sembrava sempre più incredibile.

- Ricordati Jin, io preferirei che tu non leggessi mai il contenuto di quella lettera e credimi se ti dico che potresti avere una vita molto più felice e tranquilla senza aver bisogno di conoscere tutto. –

Jin si portò le mani davanti alla bocca e se le passò sul viso, cercando di fare chiarezza nella mente.

- Ma perché questa farsa della lettera? – chiese – Non puoi direttamente dirmelo tu quando sarà il momento? –

Jun distolse lo sguardo.

- Questo è un metodo molto più sicuro. – disse solamente.

Poi riprese il foglio e lo agitò qualche istante in aria, prima di riappoggiarlo sulla scrivania.

- Spero che almeno questo riuscirai a non perderlo in mezzo a questo disordine. – ironizzò guardandosi attorno – Niente foglio, niente lettera. Queste sono le regole. – disse prima di uscire dalla stanza.

Certo non potevano sapere che quella sarebbe stata l’ultima loro conversazione.

 

 

Da quel giorno custodiva quel piccolo apparentemente insignificante foglio come se fosse il tesoro più grande che avesse.

Per fortuna aveva avuto il tempo di prelevarlo prima di fuggire da casa di Heiachi e adesso, di lì a poco avrebbe saputo finalmente la verità.

L’uomo della banca si riavvicinò con una busta sigillata in mano.

Diede alcune carte da firmare a Jin e finalmente gli consegnò la tanto bramata busta. Se la mise dentro la tasca del cappotto e lasciò la banca.

Continuava a piovere e lui aveva urgente bisogno di leggere quella lettera in un luogo discreto e lontano dalla gente.

Senza pensarci si ritrovò ad entrare nella piccola chiesa cristiana della città.

Si accomodò in una panca e con le dita che traboccavano di emozione prese la fatidica busta, la aprì e ne estrasse la lettera. Cominciò quindi a leggere.

 

 

***

 

 

Credo che fossero da poco passate le due di notte quando decisi di alzarmi.

Riuscivo ad individuare le sagome di Julia e Hwoarang nei loro sacchi a pelo a pochi metri di distanza, immersi nel buio.

Non li vedevo muoversi da un pezzo, probabilmente erano già addormentati.

Avevamo deciso di mangiare qualcosa nel vecchio soggiorno, seduti attorno ad una lampada da campeggio che fungeva da unica fonte luminosa.

La corrente nella casa era stata scollegata da qualche mese.

Alla fine, dopo l’esigua e tesa cena, ci eravamo sistemati nei sacchi a pelo per passare la notte.

Non avevamo parlato di cosa avremo fatto la mattina seguente, avevamo continuato ad evitare l’argomento.

Io non ero riuscita a dormire, come avevo previsto. La mia mente continuava a correre a perdifiato fra milioni di pensieri, ricordi e preoccupazioni.

Non riuscivo a liberarmene.

Dove poteva aver messo quel maledetto diario?

Che se ne fosse sbarazzato? Pensando che fossero niente più di incomprensibili appunti di archeologia?

O forse era tra le cose che erano state portate via dai vari parenti dopo la sua morte.

Scossi la testa per allontanare quel pensiero.

Wang non l’avrebbe mai permesso.

Ed ero certa che sapeva che quegli appunti erano qualcosa di importante e speciale.

Era normale che non riuscissimo a trovarlo, sicuramente non era stato lasciato in un posto facile da trovare.

Sì, ma forse lui non si aspettava di morire.

Questo pensiero mi fece rabbrividire.

Strinsi le palpebre e cercai di interrompere quei pensieri, mi facevano solo stare peggio e non portavano a niente di buono.

Decisi che fare due passi avrebbe potuto aiutarmi, o comunque sarebbe stato sempre meglio che stare immobile sdraiata su un pavimento a tormentarsi, per come la vedevo in quel momento.

Mi sollevai molto lentamente e riuscii ad uscire dal sacco a pelo senza fare troppo rumore.

All’interno della casa c’era freddo e umidità, fortunatamente avevo con me una felpa che mi impediva di congelarmi.

Dalle finestre filtrava un debolissimo fascio luminoso proveniente dalla luna piena, che mi permetteva di scorgere al minimo le cose attorno a me.

Mi avvicinai in punta di piedi agli zaini, dove avevamo lasciato un paio di torce.

Ne presi una e mi diressi verso la porta, tornando nel corridoio.

La accesi, lasciando che il cerchio di luce toccasse il pavimento.

Sollevai lo sguardo e mi accorsi di essere davanti alla stanza degli ospiti, quella in cui spesso restavo a dormire, quando gli allenamenti finivano troppo tardi.

Sorrisi teneramente ed entrai.

Era rimasto davvero poco, ma c’era una libreria in fondo alla camera. Mi avvicinai e feci scorrere la luce sui libri.

Trovai quello che stavo cercando.

Il mio vecchio album di fotografie.

Lo presi fra le mani e lo soffiai per togliere la sporcizia.

Una nuvola di polvere si sollevò e dovetti davvero fare uno sforzo immane per non tossire.

Mi sedetti a terra e cominciai a sfogliarlo.

Quell’album racchiudeva praticamente istanti sparsi di tutta la mia vita. Dai primissimi mesi, fino alle foto con i compagni di liceo fino a quell’anno.

Rappresentava una pagina della mia esistenza che era finita per sempre.

Mentre osservavo nostalgicamente le immagini, la mia attenzione venne catturata da una foto in particolare.

Era il mio settimo compleanno, sorridevo felice all’obiettivo della macchina fotografica e avevo fra le mie mani il regalo di mio nonno.

Un piccolo carillon argentato.

Quante volte avevo ascoltato quella melodia, quanto mi piaceva!

Poi mi ricordai.

Quel carillon doveva essere in quella stessa stanza, se ricordavo bene.

Alzai la torcia illuminando anche i piani alti dello scaffale della libreria, e lo vidi.

Mi misi in piedi e sollevandomi sulle punte fui in grado di raggiungerlo con le dita e prenderlo.

Passai un dito sul cofanetto riconoscendone i decori e ricordandomi quanto mi piacesse da piccola.

Avevo sempre pensato che assomigliasse ad uno di quegli oggetti delle principesse.

Provai ad aprirlo un secondo, per accertarmi che fosse scarico e che non partisse la musichetta, che avrebbe potuto svegliare gli altri.

Fortunatamente era scarico e rimase silenzioso, così potei aprirlo del tutto.

Come lo aprii però qualcosa cadde a terra producendo un rumore metallico.

Mi feci luce sul pavimento con la torcia per capire cosa fosse caduto e notai una piccola chiave di ottone.

La presi fra le mani e la studiai.

Era una chiave che conoscevo, questo era certo. Cercai di fare memoria e provai a ricordarmi perchè mai fosse dentro al carrilon.

 

 

- Nonno, l’altro giorno mi hai detto che a volte bisogna avere il coraggio di buttarsi anche in una situazione che sembra disperata… seguendo un’idea disperata… ma poi come fai se poi non vedi nessuna via d’uscita davanti a te? – chiese Xiaoyu guardando disperata il foglio del quaderno di matematica sotto il suo naso.

Il nonno, intento a seguire con interesse il documentario sulle balene azzurre, fece trasparire un piccolo sorriso.

- Sapevo che me l’avresti chiesto. –

- Beh, sai… - cominciò Xiaoyu – In questi giorni mi è capitato di pensarci un po’. –

- La vita è come… mm un labirinto. – pensò Wang.

Xiaoyu annuì sbuffando.

- Terribilmente difficile. –

Wang rise.

- Non vederla da quel punto di vista. – le consigliò – La vita è come un labirinto non perché sia difficile come uscire da un labirinto… ma perché spesso arrivi in certe situazioni che ti mettono come un muro davanti. –

Xiaoyu ascoltava interessata.

- Tu che sei appassionata di parchi dei divertimenti… cosa faresti se ti trovassi davanti ad un vicolo cieco in un labirinto? –

La ragazzina si lasciò sfuggire una smorfia.

- Nonno, i labirinti sono giochi antichi e superati! Nonché troppo inquietanti! Nel mio Dreamland non ce ne saranno, questo è certo! – rise – Comunque… se mi trovassi davanti ad un vicolo cieco… credo che tornerei indietro. –

- Esatto. – rispose Wang adesso voltandosi verso la nipote – È molto importante a volte tornare sui propri passi e capire dove abbiamo sbagliato. Cosa abbiamo dimenticato. E riprovare, prendere una strada diversa e vedere cosa sarebbe successo. –

Xiaoyu riabbassò lo sguardo sui compiti.

- Sì, ma non mi è molto utile in questa situazione. – borbottò.

- Forse adesso ti sembreranno cose troppo astratte, ma un giorno capirai. – disse Wang alzandosi e andando a colpire il televisore con una mano. – Questo coso dev’essersi impallato di nuovo. –

Xiaoyu prese il telecomando, lo provò e sospirò.

- No, nonno. È solo che si sono scaricate di nuovo le batterie del telecomando. – spiegò – E comunque, quando è che ti deciderai a prenderti una tv nuova? Sai, le fanno a colori adesso… -

Xiaoyu rise con ironia.

- Perché spendere tanto per una televisione che ti toglie anche il gusto dell’immaginazione? – rispose con una domanda il vecchio, che per spegnere la televisione staccò la presa dalla corrente elettrica.

- Quando hai finito i compiti vieni, voglio mostrarti una cosa. – disse Wang prima di lasciare la stanza.

Xiaoyu fece scivolare la matita appuntita sul foglio, come cadde disegnò un grosso punto nel centro della pagina. Xiaoyu lo completò trasformandolo in un enorme punto interrogativo, poi sconfitta lasciò cadere la fronte sul quaderno.

- Facciamo finta che li ho finiti, oggi ho da fare e non voglio tornare tardi a casa. – disse prima di alzarsi e andare a cercare il nonno – Cosa devi farmi vedere? –

Wang era tornato con un bauletto di legno fra le mani.

- Cosa è? – chiese la nipotina curiosa.

Il vecchio non rispose subito. Lo aprì e tolse fuori una pergamena, che porse a Xiaoyu.

La ragazza la prese fra le mani e la srotolò. Era vuota, non c’era scritto niente.

- Ora voglio farti un esempio di quello di cui parlavo prima. – spiegò il vecchio – Potresti scrivere su quel foglio qualcosa che ti rende felice, un desiderio… –

Xiaoyu lo guardò confusa.

- Avanti. – la incitò il nonno. – O anche qualcosa che ti rappresenta in questo momento, ma che sei pronta a lasciare in un bauletto, come un segnalibro di questo momento. –

Quello era uno dei tanti momenti in cui la ragazzina si ritrovava a pensare che suo nonno fosse un po’ matto.

- Un giorno potresti aver bisogno di riguardare indietro, affacciarti nel passato… - continuò Wang con uno sguardo più serio – Non prometto niente, ma come dicevo prima… potrebbe essere utile tornare sui propri passi. –

Xiaoyu prese la matita e scrisse a caratteri occidentali il suo pensiero ricorrente in quel periodo: Dreamland.

- Ok. Ecco fatto. – disse per accontentare l’ennesima stravaganza di Wang – Adesso? –

Wang sorrise, prese la pergamena e la richiuse dentro il bauletto.

- Anche io ho messo dentro qualcosa. – spiegò Wang – Qualcosa che per ora non mi serve più, ma un giorno potrei cambiare idea. -

Xiaoyu non era riuscita a vedere il contenuto del bauletto.

- Un giorno riaprire questo bauletto e rivedere cosa abbiamo lasciato in questo periodo potrebbe aiutarci nel presente… - poi Wang sorrise – Magari solo per ricordarci quanto siamo diventati più saggi nel mentre. Potrebbe aiutarci a riflettere. –

Xiaoyu continuava ad essere dubbiosa, ma come sempre continuava ad assecondarlo in quelle stranezze.

- D’accordo. – fece distrattamente – E quindi? –

Il vecchio sorrise di nuovo.

- Perché non fai un buco in giardino? Sarebbe un buon riscaldamento, prima di cominciare la lezione di oggi. – propose prima di dirigersi verso la sedia a dondolo della veranda.

 

 

Uscii dalla casa colta da un’agitazione improvvisa.

Certo, come potevo non averci pensato prima?

Fra tutte le stranezze di mio nonno avevo dimenticato proprio quella che poteva salvare la situazione.

Che fosse davvero il diario la cosa che aveva deciso di farmi seppellire in giardino?

Andai nel retro, dove c’era il capanno degli attrezzi da giardino.

Sempre con la mia fedele torcia mi feci luce al suo interno e trovai la pala che cercavo.

Non mi andava di aspettare fino al giorno dopo. Dovevo sapere subito la verità.

Tornai di fronte alla casa. Ricordavo perfettamente dove avevo nascosto il bauletto.

Raggiunsi l’albero più alto, feci dieci passi in direzione opposta alla casa e lo trovai. Il sasso che avevo lasciato in corrispondenza del “tesoro”.

Cominciai a scavare.

 

 

 

 

 

Julia e Hwoarang si svegliarono la mattina presto.

Io ero davanti a loro che aspettavo quel momento da ore con trepidazione.

Gli sorrisi appena mi guardarono e agitai il diario davanti a loro.

- L’ho trovato. – squittii piena di gioia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 22
*** Il terzo guerriero ***


Febbraio arrivò in fretta quell’anno, al contrario delle nostre iniziali previsioni.

Avevamo deciso di non lasciare la casa del nonno. Era un ottimo rifugio e allo stesso tempo un perfetto campo d’allenamento, ed era tutto ciò che ci serviva al momento prima del torneo.

Dopo quasi un mese di permanenza la casa era cambiata, certo era più accogliente, più piena e luminosa, ma continuava ad essere irrimediabilmente fredda.

Non ricordavo fosse mai stata così.

Quell’anno aveva nevicato abbondantemente verso la fine di gennaio. Durante un momento di pausa da un allenamento ero andata a costruire un piccolo pupazzo di neve davanti all’albero secolare affianco alla casa.

Hwoarang aveva sogghignato vedendomi all’opera, definendo la mia idea l’ennesima bambinata, ma non mi interessava.

Io passavo gran parte del mio tempo ad allenarmi, ma a volte mi piaceva passeggiare nelle sconfinate campagne che avevano fatto da sfondo alla mia infanzia e non solo.

Raramente scendevo in città, preferivo evitare. Non volevo rischiare di incontrare qualche vecchia conoscenza, non mi andava di dover spiegare per quale motivo ero di nuovo da quelle parti.

Avevo scoperto la storia tra Julia e Hwoarang per caso, ma non ne ero rimasta fin troppo sorpresa. Era semplicemente successo che un giorno ero tornata a casa prima del previsto. Loro, Julia soprattutto, sembravano piuttosto imbarazzati. Io non lo ero per niente.

Poi Julia aveva cercato di giustificarsi per non avermene parlato prima, ma io avevo tranquillamente risposto che non c’era nessun problema.

- Probabilmente penserai che siamo dei pazzi. – mi aveva detto con imbarazzo.

- No, non più di tanto! – avevo risposto io cercando di sorridere.

- Oh, sì invece! – ribattè Julia – Il giorno che vi siete presentati a casa… l’avrei strangolato a mani nude! – aveva sul viso un’espressione sadica mentre lo diceva.

In quel momento pensai che Hwoarang avesse come la capacità di far fuoriuscire anche dalle persone in apparenza dolci e calme come Julia la loro parte più diabolica.

- È che… beh, siamo sempre stati un po’ particolari. – continuò sempre un po’ imbarazzata, ma da una parte sembrava stare meglio ora che ne poteva parlare – Non siamo mai stati una coppia da bacetti al miele, noi… beh, ci picchiamo. –

Ripensai al livido nella faccia di Hwoarang il giorno che avevamo deciso di partire in Cina.

Mi venne da ridere ma non lo feci, sorrisi e basta.

- Julia, lo capisco. – insistetti – Davvero, non ti preoccupare. Sono contenta per voi. – ero quasi del tutto sincera. Non potevo di certo ammettere che una parte di me, quella che cercavo di reprimere più di ogni altra, in realtà provava un forte sentimento di gelosia.

Da quando Julia si era confidata, il nostro rapporto era cambiato, si era aperta di più nei miei confronti e spesso mi raccontava episodi del suo passato.

A me non andava spesso di parlare, quindi lasciavo che fosse lei a farlo e mi limitavo ad un semplice ascolto.

Era arrivata per la prima volta in Giappone a nove anni. Da quell’anno in poi aveva passato praticamente ogni estate sulla casa nella collina, quando seguiva la madre per le sue ricerche.

Mi disse che durante l’estate in cui compì undici anni vide Hwoarang per la prima volta.

Allora le chiesi se si faceva già chiamare così anche all’epoca e lei mi rispose di no. Ma quando le chiesi quale fosse quindi il suo vero nome, lei mi disse che non poteva rivelarmelo perché avevano fatto una promessa molto tempo prima. Poi aggiunse che comunque Hwoarang gli stava bene perché aveva un suono stupido.

Io non avevo mai pensato che Hwoarang fosse un nome stupido, qualsiasi cosa volesse mai dire. Ma non glielo dissi, quindi mi limitai a sorridere in silenzio.

Julia si allenava poco, passava gran parte del suo tempo a studiare gli appunti del diario.

In genere eravamo io e Hwoarang ad addestrarci ogni giorno fino a tarda sera.

Le prime volte Hwoarang mi prendeva in giro dicendo che ero una semplice combattente da palestra. Diceva che io non sapevo niente della vera lotta, quella da strada, di cui lui ne aveva fatto uno stile di vita.

Inizialmente mi arrabbiavo e rispondevo a tono.

Poi un giorno ci sfidammo e capii di cosa parlava. Io non avevo mai combattuto seriamente contro qualcuno al di fuori degli allenamenti o incontri ufficiali.

Combattere contro di Hwoarang non era niente di tutto ciò. Il suo stile era molto più “sporco”, più da strada… anche meno sportivo.

Mi chiesi se anche al tournament avrei dovuto affrontare situazioni simili, e per la prima volta provai una sorta di inquietudine.

Fu lui a vincere, ma non fu del tutto una sconfitta per me. Mi disse che tutto sommato ero una combattente di “sufficiente livello”, e che riconosceva del potenziale in me… ma poi aggiunse che ero una bambina che si incantava con i pupazzi di neve e che quindi non potevo aspettarmi di sconfiggere un vero uomo di strada come lui.

Sapevo che non mi avrebbe mai fatto complimenti, ma quello poteva essere letto come la sfocata parodia di un complimento, e ciò mi rendeva felice.

Qualche volta ripensavo ai miei vecchi allenamenti con Jin. Mi piaceva pensare che anche lui mi facesse i complimenti per come combattevo, cosa che invece non accadeva mai al di fuori della mia immaginazione.

Però ricordavo come avesse da subito mostrato il suo rispetto per il mio stile, anche quando ci conoscevamo da poco.

Mi mancava, ma la sua lontananza diventava giorno dopo giorno più sostenibile.

A volte però sognavo che Heiachi l’avesse trovato ed ucciso, allora mi svegliavo nel cuore della notte e cominciavo a piangere in silenzio.

Il giorno dopo mi rimproveravo per quanto fossi stata stupida.

Ero davvero una bambina che si incantava con i pupazzi di neve.

Probabilmente non ero adatta al mondo in cui avevo deciso di vivere, il mondo dei guerrieri.

Sapevo che Jin non era morto, ma non sapevo come ci saremo rincontrati.

Probabilmente l’avrei rivisto al torneo, e provavo ad immaginare come sarebbe stato il momento in cui ci saremo rivisti, ma non ero ancora riuscita ad ideare una versione che mi sembrasse abbastanza verosimile.

Un giorno chiesi a Hwoarang cosa avesse intenzione di fare se mai avessimo raggiunto il nostro obiettivo.

Mi rispose che avrebbe pestato Jin per dimostrargli chi era il più forte tra i due.

- Quel maledetto figlio di papà si dà troppe arie per i miei gusti. –

Allora gli chiesi cosa avrebbe fatto dopo e mi disse con un’alzata di spalle che non lo sapeva, che probabilmente sarebbe tornato alla sua solita vita di strada.

Più passava il tempo più mi chiedevo come una diligente studentessa come Julia potesse essersi invaghita di uno come lui.

- Cosa faresti se vincessi i soldi del torneo? – gli chiesi dopo.

Sollevò le spalle.

- Avrei da vivere per un po’ immagino. – rispose semplicemente – Ma conoscendomi probabilmente finirei per sprecarli in qualche modo stupido. –

- Io ho sempre desiderato di costruire un parco dei divertimenti. – confessai senza pensarci.

Sentii che Hwoarang trovò per qualche motivo divertente la mia affermazione, e lo sentii abbozzare la sua solita risata altezzosa, ma poi accorgendosi che ero seria, mentre fissavo i campi al di fuori della casa, si risparmiò dal commentare.

- Sai, poco prima di partire in Giappone, proprio mentre guardavo per l’ultima volta la città, ho promesso a me stessa che prima o poi sarei tornata. - ricordai – Dopo essere riuscita a realizzare i miei sogni. –

Feci una pausa.

- Ma sono molto cambiati i miei sogni da allora. -

Fu subito dopo che confidai un altro pensiero che mi tormentava da qualche tempo.

- Io non ho più un posto dove tornare, quando tutto questo sarà finito… -

Hwoarang non rispose. Nemmeno io l’avrei fatto.

Sapeva che era vero.

La mattina successiva stava ancora nevicando pesantemente e la temperatura all’esterno aveva toccato i tredici gradi sotto lo zero.

Julia ci chiamò in quello che aveva attrezzato essere il suo studio, il soggiorno di mio nonno.

Dopo aver lavorato tutta la notte era pronta a riferirci quanto avesse scoperto sul diario.

- Solo un mucchio di stupide superstizioni. – fu la premessa – Ma d’altronde non poteva essere altrimenti. –

Mi sedetti per terra, su un vecchio cuscino di cotone.

- Le primissime tracce di questa leggenda sono da reperire nell’America centrale, dove si parla di una creatura aliena dal terribile aspetto, che si fortifica assorbendo l’anima dei guerrieri. In seguito, secoli dopo, nasce una leggenda che ha delle similitudini presso una tribù di nativi americani, dove il mostro pare aver assorbito l’anima di uno stregone, rendendolo così ancora più potente. E riguardo a questo incidente sono documentati passo per passo dei particolari piuttosto raccapriccianti che vi risparmio… - disse con una smorfia, mentre sfogliava il diario - A questo punto non si hanno più notizie di Ogre per altri secoli. Riguardo i ritrovamenti in Asia non si ha la certezza che la creatura in questione sia la stessa. Comunque è qui che si troverebbero le testimonianze più interessanti. Secondo un rotolo giapponese le creature in questione erano inizialmente tre, e vagavano per il mondo alla ricerca di dei guerrieri più forti. Questo sinché non si scoprì, sempre in Giappone, come sconfiggere queste entità. Fu un vecchio guerriero samurai a compiere il sacrificio. –

- Sacrificio? – chiesi conferma.

- Sacrificio. – ripeté Julia – Per uccidere il dio della guerra, un guerriero della terra deve sacrificarsi. O meglio, qui si dice che il guerriero che ucciderà il dio della guerra, sarà lo stesso che lo accompagnerà all’inferno. Ogre assorbirà l’anima del guerriero mentre questo muore, in quel modo ne assorbirà anche la morte vera e propria. Si dice che in seguito un tibetano abbia eliminato la seconda entità. Ne resterebbe in circolazione solo la terza, che aspetta il terzo guerriero pronto a morire per liberare il mondo dall’ultimo dio della guerra. –

Un brivido corse lungo la mia schiena.

Nessuno disse niente per qualche lungo minuto, poi Julia si decise a chiudere il diario e lo ripose sul vecchio tavolino di legno.

Hwoarang si sollevò per primo e fece per uscire dalla stanza.

- Non abbiamo scoperto niente di più, niente di meno di quello che potevamo aspettarci. Vecchie superstizioni. – fece serio prima di uscire - Dobbiamo continuare ad allenarci per il torneo che si fa sempre più vicino. Solo allora forse capiremo qualcosa di più dietro questa storia di Ogre. Questo è quanto. –

Sapevo che tutti provavamo a convincerci che Ogre non fosse reale. Era molto più comodo pensare che dietro alle morti dei nostri maestri o dei nostri cari ci fosse un semplice assassino umano.

Ma il racconto di Jin era troppo vero per poter considerare tutto questo una superstizione.

Mi chiesi allora, se la leggenda fosse vera, chi tra di noi sarebbe diventato il terzo guerriero, colui che avrebbe accompagnato Ogre all’inferno.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 23
*** Homecoming ***


Finalmente la primavera era arrivata e gli abitanti di Tokyo ne sembravano entusiasti.
Quei giorni erano stati incredibilmente miti e sereni, e la gente aveva apprezzato il fatto di poter indossare di nuovo vestiti di cotone dalle tinte allegre e colorate.
Osservavo la moltitudine di persone che usciva dalle porte della stazione con un sorriso stampato sulle labbra.
Tokyo mi era mancata da morire. Anche se ci avevo vissuto solo qualche mese, sentivo che era diventata per me una nuova casa. Ormai era l’unica che mi era rimasta.
Il torneo era alle porte. Dopo duri mesi di allenamento avremo finalmente dovuto affrontare la sfida più importante e probabilmente più difficile della nostra vita.
Aspettavamo fuori dalla stazione. Io ero seduta sulla mia valigia e tenevo d’occhio l’orario. Mi accorsi per caso che inconsciamente avevo cominciato a rosicchiarmi le unghie.
Era una cosa che accadeva non troppo di rado nell’ultimo periodo, mi bloccai subito, e cercai di distrarmi.
- Ci vuole ancora molto? – chiesi alzando lo sguardo.
Hwoarang con le spalle appoggiate al muro, tirò una soffiata di fumo dalla bocca.
- Spero di no, marmocchia. – mi rispose – Tra poco dovrebbero essere qui. –
Tornai a guardare davanti a me.
Decine e decine di persone mi passavano davanti. Tutti frettolosi, seri e indaffarati.
Cercavo di scorgere tra di loro quei visi conosciuti che stavamo aspettando di vedere da un momento all’altro.
Era però un’impresa quasi impossibile. Dovevano esserci almeno duemila persone.
Per un attimo mi chiesi se Jin fosse già arrivato in città, e come al solito quella strana sensazione all’altezza dello stomaco si impossessò di me.
Per quanto ne sapevo poteva anche essere in mezzo a quella enorme folla. Magari neanche troppo lontano da me.
Decisi di non volerci pensare, mi voltai verso gli enormi schermi pubblicitari.
Era sera, il sole era tramontato da un pezzo, e le luci impazzite animavano le strade della città.
In uno degli schermi stava venendo pubblicizzato un favoloso fondotinta, e da un’altra parte un miracoloso paio di cuffie per walkman.
Julia era silenziosa da qualche giorno. In quel momento era seduta in disparte, china su un quaderno con degli appunti. Era concentrata e di tanto in tanto sembrava bisbigliare a bassa voce parole che leggeva.
Sapevo a cosa stava cercando.
Per tutta la nostra permanenza in Cina, aveva cercato di estrapolare più informazioni possibili su ogni qualsiasi avvistamento di Ogre. La situazione era critica e paradossale.
Julia era la più nervosa di noi, ma neanche noi ignoravamo il pericolo.
Più di una volta avevamo preso in considerazione l’idea di poter fuggire e metterci in salvo, lasciandoci questa storia alle spalle una volta per tutte.
Ma in un modo o nell’altro tutti e tre sapevamo che non ci sarebbe stato posto sicuro sulla terra. Se avesse voluto, Ogre… qualsiasi cosa esso sia… ci avrebbe trovato, così come era successo per i nostri maestri.
Probabilmente proprio il torneo, visto che potevamo essere uniti, sarebbe stato in un certo senso un passo più sicuro per noi.
Era passata poco più di mezz’ora da quando eravamo scesi dal treno, quando i due scimmioni finalmente fecero la loro comparsa.
Hwoarang li accolse con un tirato sorriso e gli disse qualcosa nella loro lingua.
Mi alzai, mi misi in spalla lo zaino e presi la valigia. Passai accanto a Ned e gli sorrisi, sussurrando poi un timido ciao.
Per quanto ormai mi sembrassero dei bravi ragazzoni, continuavano ad incutermi un po’ di timore, così grossi e silenziosi. Sorrisi anche all’altro scimmione, di cui non avevo ancora captato il nome.
Scambiarono qualche parola con Hwoarang e fu così strano ricordare di nuovo che avevano una voce. Subito dopo cominciarono ad camminare in mezzo alla folla facendoci strada.
Non conoscevo quella zona della città, camminavamo da quella che mi sembrava un’eternità, quando, ormai completamente disorientata, i due scimmioni svoltarono in un vicoletto semi buio.
Era lontano il caos metropolitano di luci e colori. Questo vicolo era deserto, silenzioso e un po’ inquietante.
C’era uno strano odore, come di frutta guasta. Le finestre che davano sulla strada erano tutte sbarrate. C’era un'unica luce in fondo alla via. E sembrava che fosse proprio in quella direzione che ci stavamo dirigendo.
 - Un… dojo? – domandai incredula quando fummo abbastanza vicini.
L’insegna fuori era una delle cose più ridicole che ricordo di aver visto in tutta la mia vita!
Un maxi-ritratto di un omaccione di mezz’età, con tanto di baffoni neri, ritratto in posizione da karateka e con un pollice alzato.
E quella doveva essere una pubblicità? Persino Heiachi non avrebbe potuto fare di meglio per mettere in fuga i clienti!
Julia sembrava incredula quanto me.
- Cosa sarebbe questa storia? – chiese aggrottando le sopracciglia.
Hwoarang si schiarì la voce.
- Come avrete potuto notare ultimamente… - iniziò lui con un tono di quasi indifferenza – siamo praticamente al verde… -
Né io, né Julia osammo dissentire.
Degli ultimi soldi che avevamo messo da parte con vari risparmi personali e lavoretti part time che avevamo svolto in Cina nell’ultimo periodo era rimasto poco e niente, dopo il viaggio per arrivare a Tokyo.
- Ho chiesto a loro di cercarci oltre che un alloggio, un posto di lavoro. – continuò a spiegare Hwoarang – Ed è veramente un caso che questi due in qualche modo… coincidano. -
Julia sospirò.
- Aiuteremo Yasu-san con i suoi affari al dojo. Non sarà difficile per noi. E nel mentre ci permetterà  di abitare nell’appartamento al piano di sopra. Un’ottima sistemazione. -
- Ya… Yasu-san? – ripetei guardando il faccione dell’uomo sull’insegna.
Non feci in tempo ad aggiungere altro, che la porta del dojo si aprì.
Abbassai lo sguardo dall’immagine dell’insegna a quella dello stesso uomo, in carne ed ossa però, che faceva capolino dall’ingresso.
Yasu-san ci osservava con occhi severi e superbi.
- Io sono Yasuhiro Saitou e sarò il vostro capo. – tuonò con il suo vocione – Faccio io le regole, voi obbedite. – precisò, nel caso non fosse stato implicito.
Era vestito in abito tradizionale, dava un po’ l’idea di vivere in un’epoca tutta sua.
Quando parlava, i baffoni vibravano. Non potevo fare a meno di pensare che dal vivo fosse un personaggio ancora più buffo.
- Seguitemi. -
Entrò dentro la palestra. Si diresse verso una porta laterale, la aprì e ci mostrò una rampa di scale. In cima alla rampa c’era una porta. La porta del nostro appartamento.
Tirò fuori una chiave e la porse a Hwoarang.
- Niente chiasso dopo le nove di sera. – disse solamente – Ci vediamo domani mattina alle nove in punto. -
Annuimmo, senza aggiungere altro. Yasu-san voltò le spalle e se ne andò verso un’altra porta nel lato opposto della palestra.
A primo impatto di certo era sembrato un uomo di poche parole, oltre che un po’ burbero.
In meno di un minuto eravamo già dentro alla nostra nuova casa.
L’appartamento era decisamente piccolo e funzionale, con una sola camera, una cucina e un bagno. Non era il massimo, ma poteva andare decisamente peggio.
Non sapevo ancora per quanto tempo gli scimmioni si sarebbero trattenuti con noi. La loro presenza mi dava un certo senso di sicurezza, ci avevano salvato la vita già una volta dopo tutto.
Mi feci subito una doccia. L’acqua era un po’ fredda, di certo non era niente che poteva competere con la vasca idromassaggio di villa Mishima, ma dopo tanti mesi allo sbaraglio non mi importava più.
Poco più tardi mangiammo qualcosa che avevamo comprato prima alla stazione.
La cena fu piacevole. Parlavamo del più e del meno, come un gruppo di amici che si ritrova per passare un po’ di tempo insieme.
Non una parola sul torneo, non una parola su Ogre e tutto il resto.
Persino i due scimmioni tentarono di partecipare al dialogo, spiccicando ogni tanto qualche parola azzardata.
D’altro canto Julia era quella che sembrava meno serena. Per tutto il tempo parlò poco, mangiava in silenzio, immersa nei suoi pensieri.
Dopo cena decisi che era finalmente ora di andare a riposare, dopo quasi un giorno e mezzo di viaggio.
Julia mi seguì in camera, mentre gli altri rimasero in cucina.
La stanza era piccola, fredda e scomoda, e le pareti in comunicazione con la cucina erano estremamente sottili, potevo sentire con chiarezza le voci dei ragazzi che dialogavano.
Ma tutto questo non mi dava fastidio, non mi importava minimamente in quel momento. Ero veramente troppo stanca.
Mi infilai in un futon, lo stesi vicino a quello di Julia e mi ci infilai al suo interno. La sensazione di calore e morbidezza era qualcosa di sublime.
Mi stavo per addormentare, quando Julia disse qualcosa.
- Come fai a sopportare tutto questo? -
In un primo momento non capii.
Cercai di risvegliare i sensi che si erano intorpiditi per via del sonno.
- Di che parli? – borbottai sfregandomi gli occhi.
Lei aspettò.
- Non ti viene mai paura di… poter morire? Non ti dà alla testa il pensiero? -
Sembrava davvero scossa. Mi trovai spiazzata, non sapevo bene cosa rispondere, né tantomeno quello era il momento più giusto per fare un ragionamento sensato.
- Julia, ne abbiamo già parlato… – dissi soltanto con quello che sembrò più che altro un lamento.
Non aggiunse più niente.

Non so dopo quanto tempo l’improvviso cambiamento di tono di quelle voci mi risvegliò.
In un primo momento non capii subito cosa mi aveva disturbato. Fu solo dopo, quando mi misi a sedere e a prestare attenzione, che capii che qualcosa non andava e cominciai ad innervosirmi.
Insomma! Per un motivo o per l’altro sembravano non volermi fare dormire.
Feci attenzione per capire cosa stava accadendo.
Hwoarang sembrava seccato. Estremamente seccato.
Sembrava stessero litigando.
Mi voltai a guardare il futon di Julia. Dormiva profondamente.
Che stava succedendo?
Mi avvicinai a gattoni verso la porta. Non era del tutto chiusa, la spinsi un pochino. Un rettangolo di luce entrò nella stanza.
Hwoarang era ancora seduto a tavola, con i due scimmioni. Le loro espressioni visibilmente irritate non lasciavano alcun dubbio. Stavano discutendo.
Non so perché, ma discutevano. Animatamente.
Normalmente non mi sarei messa in mezzo ad una questione che non mi riguardava, ma le loro facce, i loro toni e i loro gesti non mi piacevano. Sembravano un po’ troppo seri.
Stavo per decidermi ad entrare nella stanza e a cercare di fermare il litigio, quando vidi qualcosa che mi fece raggelare il sangue nelle vene.
Ned estrasse dalla giacca una pistola.
In quel momento mi ricordai di colpo di come avessi già assistito ad una simile scena la notte di capodanno a villa Mishima.
Sobbalzai e mi dovetti mettere una mano davanti alla bocca per bloccare il mugolio di sorpresa che non riuscii ad evitare.
Hwoarang non sembrava spaventato, piuttosto ancora più seccato.
Non disse niente, incrociò le braccia sul petto e guardò in basso.
Ned posò poi la pistola sul tavolo, fissava Hwoarang con un’espressione tesissima.
Disse qualcosa a labbra strette. Sembrava una domanda.
Hwoarang scosse la testa, poi si voltò a guardare prima Ned, poi l’altro uomo. Era furibondo. Sibilò qualcosa in tono minaccioso.
Ned accompagnò allora la pistola con la mano verso Hwoarang, come se gliela stesse porgendo.
Lui, d’altra parte, la guardò sprezzante. Sul suo volto notai uno sguardo indignato, colmo di umiliazione, poi due semplici, fredde parole.
Gli altri due uomini sembrarono coglierle. Con un primo attimo di esitazione, si prepararono a lasciare la stanza.
Ero ammutolita, talmente scossa che non mi spostai neanche quando notai che Ned si voltò  verso la mia direzione. Non feci niente per impedire che mi vedesse.
Per un momento mi fissò negli occhi, fu una specie di addio.
I due uomini presero le loro cose e lasciarono l’appartamento, con la pistola abbandonata sul tavolo.
Quella fu l’ultima volta che li vidi.
La porta si chiuse e il mio cuore ancora non accennava a rallentare.
Hwoarang si accese frettolosamente un’altra sigaretta. Inspirò una lunga boccata di fumo senza staccare gli occhi dalla pistola, ancora furibondo.
Soffiò poi il fumo da un minuscolo angolo aperto della bocca e schiacciò sul posacenere ancora fumante la sigaretta appena accesa, spegnendola.
Si alzò in piedi, prese la pistola in mano e se la infilò nei pantaloni, poi prese una felpa e si diresse verso la porta di ingresso. Si fermò a pochi passi da essa e mi parlò, dandomi le spalle.
- Va a dormire, domani ci aspetta una giornata intensa. – il suo tono suonò molto più dolce di quanto mai potessi aspettarmi.
- Dove… dove stai andando? – domandai con decisione – Che cosa è successo? E cos’è quella? -
Lui si voltò e mi guardò. Rimasi sorpresa dall’espressione sul suo volto. Non era più arrabbiato, per niente, sembrava in colpa, sembrava per qualche motivo… triste.
- Xiaoyu, per favore, per una volta… ti chiedo di… non fare domande. –
E per la prima volta dal nostro primo incontro, ebbi l’impressione che Hwoarang mi avesse parlato considerandomi un’adulta.
Erano le tre di notte, ed ero meno disposta a dormire che mai.
Guardavo il soffitto con occhi sbarrati, immobile, dentro al mio futon. Aspettavo che Hwoarang tornasse. Gli avrei parlato. Dovevo parlargli!
Cosa diavolo era successo? E perché quella pistola? Perché aveva litigato con gli scimmioni? Perché se n’erano andati?
Le domande mi frullavano nella testa senza un ordine preciso. Hwoarang si sarebbe rifiutato di rispondermi, così stavo cercando di organizzare un discorso che l’avrebbe spiazzato.
D’altronde io mi stavo fidando di lui, ma sapevo ben poco sui suoi conti.
Sapevo che odiava parlare di sé, era sempre molto attento a non lasciarsi sfuggire niente sul suo passato, ma dopo tutto io non lo conoscevo. Dovevo pur sapere qualcosa per potermi fidare di lui.
Sì, decisi che gli avrei parlato in questi termini.
Finalmente udii la porta di casa cigolare.
Il mio cuore sobbalzò di nuovo. Era tornato.
Mi misi a sedere ed uscii allo scoperto.
Uscii dalla stanza e lo vidi. Era appena entrato e si stava togliendo la felpa. Si voltò come mi sentì arrivare, mi vide e sospirò.
- Cosa ci fai in piedi? -
- Lo sai perfettamente! – ribattei accigliata – Cosa è succ.. -
- Dove eri? -
Mi voltai e vidi che anche Julia era uscita dalla stanza e si stringeva in una vestaglia. Era confusa, si guardava intorno facendo fatica a tenere gli occhi aperti alla luce.
- Dove… sono i ragazzi? – chiese poi.
Hwoarang non rispose.
Julia analizzò il volto del ragazzo.
- Hwoarang, dove sono i ragazzi? – chiese più forte.
Poi guardò me, la felpa di Hwoarang. Cominciava ad avvertire che ci fosse qualcosa di anomalo nell’aria.
- Cosa diavolo è successo? – continuò.
Lui sollevò lo sguardo lentamente.
- Se ne sono andati. – disse serissimo.
- Cosa… cosa significa? – domandò subito Julia.
Hwoarang guardò me, poi esitò un attimo.
- Ricordi che qualche anno fa avevo avuto… qualche problema con… -
Julia sgranò gli occhi.
- Ancora quella gente? – chiese cercando di mantenere una finta calma – È sempre per uno dei tuoi stupidi combattimenti clandestini? -
Lui fece una pausa.
- Mi avevano chiesto di perdere, e io non l’ho fatto. – spiegò – Da allora mi danno la caccia. -
Julia sembrava sconvolta dalla rabbia. Le tremava la bocca e gli occhi spalancati cominciavano a divenirle lucidi.
- Sanno che parteciperò al torneo. – continuò Hwoarang – Abbiamo litigato su questo, e perché insistevano sul fatto che dovessi rinunciare al torneo. Ma io ho giurato che mai più… -
Julia scosse la testa.
- Tu sei pazzo. – lo interruppe – Avevi giurato che non avevi più niente a che vedere con quella gente. -
Sembrava scossa e incredibilmente delusa.
Si passò una mano tra i capelli, le mani le tremavano.
- Per tutto questo tempo ci siamo fidate di te, mentre tu ci hai esposto a questo pericolo… -
- Oh andiamo! – fece lui alzando le braccia – Non ho avrei mai coinvolto nessuno in una situazione pericolosa, e tu lo sai! -
- Sei senza speranza! – disse sprezzante – Ogni volta mi illudo che tu possa cambiare! Ma è chiaro che questo non accadrà mai. Avrei dovuto capirlo tanto tempo fa! -
- Non è così… - cercò di giustificarsi.
- No! Io e Xiao ce ne andiamo. – annunciò Julia mettendo i palmi delle mani avanti, come per bloccare lì la comunicazione.
Poi mi guardò.
Io ero impietrita.
Non avevo idea di che cosa stessero dicendo.
- Oh fate pure! – ironizzò Hwoarang – Non so quanto fuori possiate essere più al sicuro che qua. -
Julia non rispose, e andò in camera. Cominciò a sistemare le sue cose e a prepararsi.
- E poi… - continuava Hwoarang – Dove andreste? -
- Troveremo una sistemazione! – sbottò lei.
Io non mi mossi. Julia mi chiamò.
Non le risposi.
- Cosa… hai combinato? –chiesi a Hwoarang visibilmente confusa – Chi è che ti dà la caccia? -
Lui sollevò un angolo della bocca in una specie di strano sorriso disperato.
Supposi che non sapeva davvero che dirmi.
- Xiao, andiamocene. – Julia mi chiamava dalla camera.
Mi voltai verso di lei. Stava sistemando le sue cose.
Poi tornai a guardare Hwoarang.
- Io resto qua. – annunciai poco dopo – Non credo che dividerci sia la cosa più intelligente da fare in questo momento. -
Julia si fermò.
- Xiao, quest’uomo è pazzo! – sbraitò puntando un dito verso Hwoarang – Tu non hai idea dei casini nei quali è capace di infilarsi. -
- Io resto qua. – ripetei decisa – Sono stanca di andare avanti e indietro e… - guardai Hwoarang un po’ imbarazzata – Io mi fido se dice che non corriamo alcun pericolo. -
Hwoarang sembrò positivamente sorpreso. Poi annuì piano, come per confermare la mia affermazione.
- Xiao, tu vieni con me. -
Sospirai.
Ne avevo veramente abbastanza. Feci un grande respiro, cercai di calmarmi.
- Per una volta… - cominciai cauta - smettetela di trattarmi come se fossi la vostra bambina! – finii strillando.
Tornai in camera e mi infilai dentro il futon ancora una volta.
Sarei rimasta, ma avrei preteso delle spiegazioni da Hwoarang, questo era certo.
- Xiao… stai facendo un grosso errore. – disse Julia prima di uscire dalla stanza.
Sentii che Hwoarang la seguì fino alla porta.
- Ci sarai al torneo vero? – lo sentii chiedere.
Nessuna risposta. La porta si chiuse.


 
 

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Capitolo 24
*** Scomode conversazioni ***


- Dove è l’altra ragazza? -
Yasu-san aveva appena posto la domanda più ovvia, ma allo stesso tempo più scomoda che potesse.
Hwoarang si schiarì la gola.
- Ha avuto dei problemi improvvisi. – fece sbrigativo – Spero non sia un problema. -
Sembrava tranquillissimo nel dirlo. Non riuscivo a capire se la cosa gli era scivolata addosso come se niente fosse, o se fosse soltanto un bravo attore.
Quella mattina non eravamo riusciti a scambiare molte parole. Mi aveva svegliato lui, con la faccia di uno che si sarebbe tagliato un piede piuttosto che alzarsi, solo un quarto d’ora prima dell’appuntamento con Yasu-san.
Non dovevamo entrambi avere delle belle cere, questo era certo.
Yasu-san camminava avanti e indietro lentamente, guardandoci un po’ diffidente.
- Non lo so… - disse poco convinto – Non lo so… sono in debito in effetti con il vecchio Baek Do San… però… non lo so, non lo so. -
Si fermò davanti a me e mi guardò con i suoi buffi occhietti scrutatori.
- Cosa sai fare tu? -
Sorrisi orgogliosa.
- Il mio stile è un misto di varie arti marziali cinesi, che comprende principal… - cominciai a spiegare.
- È la nipote di Wang Jinrei. – tagliò corto Hwoarang interrompendomi.
L’uomo sembrò colpito, mi guardò di nuovo a fondo.
Poi si lisciò i baffoni pensieroso, riprendendo a camminare.
Le travi di legno del pavimento della palestra scricchiolavano sotto i suoi passi.
- L’allievo prediletto di Baek Do San che va in giro in cerca di alloggio e lavoro assieme alla nipote di Wang Jinrei… - si fermò e ci fulminò con lo sguardo – Cosa c’è dietro? Che diavolo state facendo? -
Hwoarang sostenne lo sguardo.
- È una storia lunga e poco interessante. -
- Non voglio problemi. – arrivò al punto Yasu-san interrompendolo.
Perché questo avvertimento? Sapeva qualcosa?
O semplicemente conosceva Hwoarang?
- Non ci saranno problemi. – promise lui.
Yasu-san strinse gli occhi con fare minaccioso.
- Se ho anche solo un sospetto che ci sia qualcosa di strano, io vi caccio immediatamente. – spiegò – È chiaro?
- È chiaro. –
Io annuii un po’ timidamente.
- Perfetto. – fece lui – Pulite la palestra. Tra un’ora comincia la lezione. –


- E così hai deciso di restare. – esordì Hwoarang ad un certo punto mentre strizzava lo straccio.
Era strano vedere un ragazzaccio come lui alle prese con i lavori di casa.
Avevamo cominciato a pulire la palestra da almeno dieci minuti, e ancora nessuno dei due aveva aperto bocca. Era come se la cosa ci mettesse un po’ in imbarazzo.
Ne ero certa. Persino uno come lui poteva vergognarsi.
L’episodio della notte prima aveva lasciato il suo segno.
- Ho deciso di restare. – feci io togliendomi un ciuffo di capelli dalla fronte.
La palestra era enorme, doverla lucidare per bene in ogni angolo si stava trasformando in un incubo.
Lo osservai. Teneva lo sguardo basso, concentrato in quello che stava facendo.
Sì, forse era un po’ strano… un po’ triste?
Deglutii. Mi dispiaceva tormentarlo, ma era stato lui a riaprire l’argomento, non potevo perdere questa occasione.
- Sono rimasta, ma… -
Non sapevo bene come chiederglielo, dove era finita la determinazione della notte precedente?
- In effetti se potessi sapere qualcosa di più su di te, mi sentirei più tranquilla. – confessai cercando di essere il più delicata possibile.
Studiai un attimo la sua espressione per vedere se fosse il caso di continuare.
- Non ho capito bene cosa è successo ieri… - aggiunsi titubante - e di che parlavate con Julia.-
A questo punto non sapevo veramente che reazione mi avrebbe riservato, invece sorprendentemente non cambiò nemmeno espressione.
- Capisco… - disse semplicemente – Come darti torto? -
Annuii, e ripresi il mio lavoro.
- Quanti anni hai? – chiesi subito dopo.
Eravamo l’uno all’altro capo della palestra, lui si fermò e mi guardò stupito.
- Non ne abbiamo mai parlato, non so neanche queste cose di te. – spiegai – A volte fatico a vederti come un vero essere umano… - aggiunsi imbarazzatissima.
Era vero, Hwoarang per quanto ne sapevo era un ragazzo strano, quasi troppo strano per essere vero… senza nome, senza età, senza passato… non avevo mai conosciuto uno così.
Tempo fa mi avrebbe deriso, ne ero certa, ma quel giorno si limitò a guardarmi stupefatto alzando un sopracciglio.
- Un vero essere uman… ? Tu hai letto troppi manga… – disse scuotendo la testa – …comunque, perché la prima cosa che ti viene da chiedermi è proprio l’età? -
Lo guardai per un attimo imbarazzata, poi ripresi ad lucidare il pavimento.
- Così. Le cose banali sono le più importanti. – risposi.
- … diciannove. -
Rimasi colpita. Gliene avrei dato almeno cinque di più.
- Sei giovane… - espressi la mia perplessità – Com’è che a diciannove anni vivi già allo sbaraglio? -
Lo chiesi senza pensare, me ne pentii subito dopo, quando mi accorsi di quello che avevo detto.
Era una cosa troppo personale. Che diavolo mi era saltato in testa?
Stupida, stupida, stupida.
Ancora una volta Hwoarang mi stupì. Non mi derise, né si arrabbio come avevo pensato.
Mi guardò e sogghignò divertito dalla mia reazione.
- Sei piuttosto invadente… - notò con un pizzico di sarcasmo – Ma arrivati a questo punto… -
Strizzò il panno dentro al secchio e riprese a pulire un’altra zona.
- Non ho una vera casa. Non ho una famiglia. – spiegò vago – In qualche modo devo pur arrangiarmi e… vivo allo sbaraglio. -
- E… i combattimenti clandestini? – domandai timidamente.
- Anche io devo mangiare… - mugugnò – Ma non è la mia unica fonte di sostegno… -
Non sapevo se volevo realmente approfondire l’argomento.
- Anche i tuoi amici fanno queste cose? -
Lui annuì.
- Sì, siamo un gruppo piuttosto consistente. – continuò – Io sono il capo. -
Finì con un minuscolo sorriso orgoglioso.
Mi schiarii la voce.
- Chi sono le persone che ti stanno cercando? -
Esitò prima di rispondere e il suo viso mostrò per la prima volta un lieve turbamento a quel pensiero.
- Un’organizzazione criminale. – rispose poi – Non l’avevi capito? -
Rimasi in silenzio per qualche secondo. Mi schiarii di nuovo la gola.
- Beh … immaginavo qualcosa del genere. -
Lui annuì, studiando la mia espressione. Forse cercava di capire se fossi sincera o meno.
Un’altra pausa.
- Sei sicura di voler ancora restare? -
Alzai le spalle.
- Non possono essere più pericolosi di quello che ci aspetta, no? -
Non rispose, continuò a fare il suo lavoro.
- E poi… non avrei un posto dove andare. – continuai.
Il pavimento della palestra era così lucido che riuscivo a leggere lo sconforto sul mio viso.
Ci buttai altra acqua per cancellarlo momentaneamente dalla mia vista.
- Già… - disse Hwoarang poco dopo – Kazama è stato proprio un vigliacco ad averti lasciato sola. -
Sobbalzai.
- Che… che c’entra Jin? – il mio tono era stato un po’ troppo acuto.
La cosa sembrò divertire il mio interlocutore.
- Andiamo Xiaoyu… - alzò le spalle – Sai benissimo dove voglio arrivare. -
Cercai di stare calma e di concentrarmi per non mostrare il mio turbamento.
- Da quando se n’è andato, tu non sei stata più la stessa… - continuò - E il solo parlare di lui ti fa comportare in modo strano… -
- Non è vero! – sbottai.
- Sì, che è vero! -
- Non lo è! -
- Lo è. -
Si fermò di nuovo e mi guardò.
- La bambina che ho conosciuto tempo fa se ne sta lentamente andando, giorno dopo giorno. – mi disse.
Io rimasi impietrita, lo guardavo cercando di non lasciar trasparire emozioni.
- Dovresti essere contento allora… – gli rinfacciai offesa prima di rimettermi a lavoro.
Lui non si mosse.
- Non mi sembra di aver mai detto che sia una cosa positiva. -
Lo guardai imbronciata.
- Tu sei matto. – borbottai.
- Sarò pure matto, ma ciò non toglie che Kazama sia un vigliacco. – ripetè ancora una volta.
Poi si alzò e si avvicinò ad asciugare una zona vicina alla mia
– E sono certo che in fondo persino tu sei d’accordo. -
Lo fissai.
Perché stava parlando di questo? Cosa gli importava?
- Avanti… - mi disse piano fissandomi negli occhi – Ammettilo… -
Non volevo continuare a sentirlo.
- Non sono affari tuoi! – dissi acida.
Quell’argomento non mi faceva stare bene.
Era vero, Jin si era comportato male. Ed ero furiosa con lui.
Ma perché dovevo parlarne per forza?
- Voglio sentirtelo dire… -
- No! Piantala. -
- Avanti, dopo starai meglio… -
Inspirai a fondo.
- È vero. – ammisi con un sorriso forzato – Non si è comportato bene. -
Hwoarang rimase qualche secondo in silenzio a guardarmi.
Io scrutavo il suo volto cercando di capire cosa gli stesse passando per la testa.
Lui continuava a guardarmi con una specie di espressione ironica sulle labbra.
Mi dava ai nervi. Mi sentivo terribilmente in imbarazzo.
- Contento adesso? – dissi alzando gli occhi al cielo, prima di spostare lo sguardo da un’altra parte.
Ripresi a lavorare cercando di accelerare il ritmo. Non ne potevo più di quella situazione.
Lui ridacchiò.
- Molto bene. Davvero molto bene. -
Mi voltai di nuovo un attimo a guardarlo.
Lui era sempre lì, con quel suo sguardo divertito.
Io allora lo fulminai con il mio.
- Smettila di fare quel sorriso ebete! – strillai.
Lui rise di nuovo.
- Non c’è nient’altro che vuoi chiedermi? -
- Quella pistola! – sbottai irritata.
Hwoarang strabuzzò gli occhi.
- Sei pazza a parlarne qui?! – mi rimproverò a mezza voce.
- Hwoarang, cerca di capire! Mi sono spaventata quando l’ho vista! – continuai abbassando il tono di voce – Non riesco a smettere di pensarci. -
Lui si avvicinò ancora per poter parlare ancora più piano.
- Non ci pensare! – mi disse quasi senza voce – Se le cose vanno come ho pianificato, non ne dovrai vedere più per almeno un bel po’. -
- Ma perché ieri… - cominciai.
Hwoarang sospirò alzando lo sguardo al soffitto.
- Ieri Ned insisteva per lasciarmi la sua… pensando che potessi essere in pericolo. Io gli ho risposto che non mi serviva e che se la poteva mettere… - sorrise lasciando la frase inconclusa.
- Ma perché? – ero sempre più confusa.
- Odio quell’affare, è disonorevole. Il mio corpo è la mia unica arma. – spiegò.
Poi scosse la testa infastidito pensando a chissà cosa.
– Tante volte gli ho salvato il culo cavandomela solo con le mie forze, anche contro uomini armati. È un affronto imperdonabile questo che hanno fatto. -
Io non ero certa di aver capito bene.
- Quindi tu avresti cacciato i tuoi compagni perché… - mi fermai per scegliere bene le parole – Ti hanno ferito nell’orgoglio? -
Lui stavolta non rise, né sorrise.
- È una cosa grave. – tagliò corto – Ma non mi aspetto che una ragazzina possa capire. -
Avevo capito bene dunque.
- Sei pazzo. -
Lui accettò la critica e ridacchiò tra sé e sé.
- Almeno non sono un vigliacco. – disse rivolgendomi un sorriso ironico.

Il torneo era alle porte. Mancavano pochissimi giorni e lo si poteva già percepire.
Avevamo già fatto le preiscrizioni circa un mese prima, entro quel giorno saremmo dovuti andare a confermare la nostra partecipazione. Dopo di che avrebbero organizzato il calendario, e si sarebbe passati subito alla pratica.
Andammo a confermare la nostra iscrizione dopo le lezioni al dojo, compito che si rivelò abbastanza facile.
Usammo quasi tutti i nostri ultimi soldi per le quote d’iscrizione.
Il quartiere generale della Mishima Zaibatsu era piuttosto lontano rispetto alla nostra postazione, così pensammo di fermarci a mangiare qualcosa di veloce in un chiosco per strada.
Ero ancora infastidita dal discorso che avevo preso con Hwoarang quella mattina. Cercavo di evitare il suo sguardo per quanto potevo.
Ogni tanto gli lanciavo un’occhiataccia.
Dopo la nostra conversazione quella mattina, aveva continuato a stuzzicarmi tutto il tempo. Facendo battutine o continui riferimenti a Jin.
Forse era una specie di tornaconto per avermi dovuto dire due quelle due cosette su di lui. Non lo sapevo.
Sapevo solo che era noioso e irritante.
Per quello avevo smesso di parlargli, se non per le cose strettamente necessarie.
Cercavo di mostrarmi indispettita, volevo che recepisse il messaggio.
Eravamo seduti in un locale fast-food economico.
Io mangiavo in silenzio, quando dal nulla lui cominciò a guardarmi di nuovo con un sorriso beffardo.
- Mi correggo. – cominciò – La bambina Xiaoyu si è svegliata tutto in una volta. -
Gli lanciai lo sguardo più cattivo possibile.
- Scusa? – chiesi gelida.
- Hai sentito bene. Aver criticato Kazama ha risvegliato la tua parte più infantile. -
Non risposi, feci finta di non aver sentito.
- L’ho fatto solo per aiutarti. – divenne serio – Non sei una ragazzina che si può lasciar buttare giù da semplici cazzate sentimentali. Tu sei una combattente! -
- Devi smetterla di parlare di cose che non ti riguardano. – lo avvertii.
Lui continuava a non prendermi sul serio.
- Ma è vero quello che dico. – controbatté.
Gli lanciai un’occhiata gelida.
- È così che fai tu vero? -
- Che intendi dire? – mi chiese.
- Non sembri molto abbattuto per aver rotto con Julia. -
Lui sembrò rifletterci.
- Può darsi. -
Roteai gli occhi all’indietro. Era incredibile. Come poteva essere così insensibile? E perchè pretendere che lo fossero pure gli altri? La stessa persona che però si imbestialiva se qualcuno metteva in dubbio le sue doti da combattente.
- Perché mi tormenti così? – chiesi poi spazientita – Perché adesso? -
Lui sorrise.
- Sei tu che hai insistito perché ci conoscessimo meglio… -
Quasi feci cadere le bacchette.
- Ma non mi hai detto praticamente niente! – gli rinfacciai – Hai sempre sviato il discorso sugli affari miei! -
Hwoarang alzò le spalle.
- Ogni cosa ha il suo prezzo. – spiegò – Non potevi pretendere che si sarebbe parlato solo di me. -
Ripresi a mangiare, contrariata, e ogni tanto facevo in modo di guardarlo male.
- Sul serio come fai? – esordii dopo una lunga pausa.
- Come faccio a fare cosa? – alzò gli occhi sui miei.
- Dico… Julia se n’è andata, ma per te non sembra fare alcuna differenza. -
Lui emise un lungo sospiro.
- Non è la prima volta, forse non sarà neanche l’ultima. – cominciò – Ci conosciamo da una vita, il legame che ho con lei non verrà compromesso da questi episodi.  Anche se non ci vedremo per un po’ o se non staremo mai più insieme… in ogni caso so che ci saremo sempre l’uno per l’altra nel momento del vero bisogno. -
Posò le bacchette sul tavolo.
- Ho imparato a prendere la vita così come viene. Niente è per sempre. Oggi sono qui seduto a parlare con te, un anno fa ero a combattere a sangue nei peggiori quartieri di Seoul. – poi si fermò – Non so dove sarò l’anno prossimo, né tanto meno tra due. -
Io ascoltavo senza commentare.
- La vita comincerà a starti stretta proprio quando la prenderai troppo sul serio. – continuava – Così come fanno tutte queste marionette in giacca e cravatta. -
Fece un cenno col capo indicando un gruppo di uomini appena usciti dalla stazione della metropolitana.
- Julia è forte, ed è più in gamba di me. Ho imparato a non dovermi preoccupare per lei. Si sarà già ripresa e sistemata da qualche parte. Quindi perché dovrei dispiacermi troppo? La vita va avanti, questo è quello che conta. -
Io ascoltavo attentamente. Era interessante capire finalmente come funzionava il cervello di Hwoarang.
- Julia aveva paura… - dissi io ricordandomi della notte prima.
Hwoarang annuì.
- Lo so. – fece lui – Ma è forte abbastanza per sopportare anche questo. È lei che è voluta andar via, non sono io che l’ho cacciata. Saprà affrontare anche questo, ne sono certo. -
Lo scrutai in silenzio per un po’.
- Quando è che sei diventato così? -
Lui sogghignò.
- Non si diventa ragazzacci in un giorno… sono cose che si imparano pian piano. -
Risi con sarcasmo.
- Stronzate… - dissi poi – Secondo me sei solo un bravo attore. -
Lui alzò un sopracciglio.
- Adesso conosci pure la parolacce? –
Hwoarang continuò a parlarmi, ma non lo ascoltavo più.
Qualcosa al di là del vetro della finestra del locale aveva catturato la mia attenzione, ed era il motivo per cui avevo smesso di respirare.
Per un momento sentii la testa girare ed ebbi la sensazione che il pavimento sotto i miei piedi non esistesse più.
Hwoarang notò la mia strana reazione, e si voltò a vedere cosa stavo guardando.
- Oh cavolo. Parli del diavolo… -
Questo lo sentii, ma ero già in piedi che camminavo verso l’uscita.
Jin era fuori che ci guardava, mi guardava, seduto a bordo di una moto, appena parcheggiata a bordo strada.
Uscii dal locale, mi avvicinai a lui. Era lì, a pochi passi da me.
Non riuscivo a pensare bene. Non riuscivo nemmeno a muovermi, a dire la verità.
Lo guardai in volto. I suoi occhi profondi puntati sui miei.
Quanto mi erano mancati?
- Dobbiamo parlare. – disse col suo tono basso e quieto – Vieni. -
Fece un cenno con la testa indicando il posto dietro al suo sulla moto.
Rimasi per un attimo imbambolata, concentrandomi sul significato delle sue parole.
Quando il concetto mi fu chiaro, mi voltai in direzione di Hwoarang, all’interno del locale. Lui osservava la scena senza lasciar trasparire una minima espressione.
Sollevò una mano come in segno di saluto.
Tornai a guardare Jin, salii sulla moto e gli cinsi la vita con le braccia.
La accese e partimmo.

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Capitolo 25
*** Bittersweet ***


Non sapevo come dovevo comportarmi.
Buttai giù il mio secondo bicchiere d’acqua, poi posai il bicchiere sul tavolino davanti al divano sul quale ero seduta.
Davanti a me, seduto su una poltrona, Jin mi osservava da quasi venti minuti.
Era un’elegante e accogliente stanza d’albergo, non troppo distante dal quartiere nel quale alloggiavamo io e Hwoarang.
Era lì che mi aveva portato, dove presumibilmente ora alloggiava.
- Sei insolitamente silenziosa… - disse infrangendo quella barriera di silenzio – È il rancore o sei semplicemente diventata più taciturna in questi mesi? -
Rancore. Rabbia.
Dovevo essere arrabbiata. E certamente lo ero.
Affrontai il suo sguardo.
Forse cominciavo a capire cosa volesse farmi tirare fuori Hwoarang, quando insisteva nel farmi per forza esprimere il mio risentimento con Jin.
Ma sapevo anche che Hwoarang era certo che in ogni caso… anche davanti ad un Jin in torto marcio, io mi sarei sciolta come se niente fosse…
Ed era fastidiosissimo. Fastidioso da morire.
Come potevo essere abbastanza forte da mostrare il mio risentimento ora che finalmente lui era davanti a me, come stavo desiderando altro da mesi?
- Ti devo delle scuse. – cominciò Jin prima che io potessi rispondere qualcosa.
Era per lo meno un inizio. Incrociai le dita sulle ginocchia, sperando che non sentisse il mio cuore che martellava, e che non percepisse la guerra che era in corso nella mia mente.
- Ma per me era molto importante fare questa cosa da solo. -
Lo guardai, cercai di schiarirmi la voce.
- Dove sei stato? -
- A Yakushima. – rispose subito – È dove sono nato. Avevo bisogno di vedere e cercare delle cose. -
Prima che potessi rispondere, lui aveva già ripreso.
- Era davvero molto importante. – ripeté ancora una volta.
Annuii. Aveva senso fargli notare che non ero d’accordo?
- Almeno… hai trovato quello che cercavi? – cercai di limitare il tono della mia voce per farlo sembrare più naturale possibile.
Mi stupii di quanto suonasse calmo.
- Sì. – rispose subito – E poi sono tornato qua a Tokyo dopo poco tempo. -
Un orologio da parete ticchettava scandendo i secondi. Se non fosse stato per quello, probabilmente non mi sarei neanche resa conto dello scorrere stesso del tempo.
- Vi ho aspettato. – riprese Jin dopo un po’ – Aspettavo fuori dalla Zaibatsu ogni giorno, per vedere quando sareste andati ad iscrivervi al torneo. -
- È così che ci hai trovato… - ragionai a mezza voce.
Lui fece di sì con la testa.
- E… Heiachi? – mi venne subito da chiedere.
- Heiachi non è più un problema. – tagliò corto lui – Sono andato a parlargli il giorno stesso in cui sono tornato. -
Spalancai gli occhi e la bocca sorpresa.
- Davvero? – chiesi sbigottita.
- Stiamo collaborando. – mi spiegò evasivo.
Se prima ero rimasta stupita, adesso stentavo a credere alle mie orecchie.
- Ma io pensavo… -
- Sì, è lui il responsabile dell’incursione in casa sua la notte di capodanno. – spiegò prima che io potessi fare una qualsiasi domanda – Ma non ci farà del male adesso, per lo meno prima del torneo… -
- Che?! – ero ancora più confusa.
Non credevo alle mie orecchie.
- Capisco la tua perplessità. – cercò di chiarire lui – So che non meriterebbe il mio perdono per ciò che ha fatto… tuttavia, abbiamo parlato… e siamo giunti alla conclusione che sarebbe opportuno collaborare per il momento. -
Stavo per riprendere a parlare, ma lui mi anticipò di nuovo.
- Ogre è una minaccia troppo grande. – aggiunse – Per il momento, è meglio lasciare da parte i rancori familiari. -
- Rancori familiari? – ripetei esterrefatta.
Mi veniva quasi da ridere.
- Spero tu ti renda conto che qui si va ben oltre ad una faccenda di rancori familiari. – continuai – Heiachi voleva usarci. – finii a denti stretti.
-  Non mi aspetto che tu mi comprenda… -
Doveva essere impazzito. Ma sembrava così sicuro del fatto suo che decisi di lasciar morire lì la discussione.
Si alzò e andò davanti ad uno degli enormi vetri di una vetrata che faceva da finestra.
La città illuminata da quell’altezza era veramente un panorama mozzafiato.
Jin guardava fuori, io gli seguivo il profilo con lo sguardo.
C’erano così tante cose che avrei voluto dirgli, frasi che avevo costruito tante volte, immaginandomi un milione di volte possibili dialoghi, ma ora che ce l’avevo davanti, tutti questi pensieri non avevano più senso e qualsiasi cosa mi sembrava fuori luogo.
Lui si voltò verso di me e notò che lo stavo guardando.
- A che pensi? – mi chiese.
Mi strinsi nelle spalle.
- Al fatto che mi sento come se non ci vedessimo da un secolo. -
Lui si appoggiò con le spalle al muro e mise le mani in tasca.
- Raccontami un po’ di questo secolo. -
Annuii. Poteva essere una buona idea per sciogliere un po’ quel ghiaccio.
- Siamo stati in Cina, come forse avrai immaginato… - cominciai – Abbiamo raggiunto il mio vecchio paese, la casa di mio nonno. -
Mi fermai un attimo per fare spazio nei miei ricordi.
- È stato… strano tornare lì dopo tutto questo tempo. – ammisi – Abbiamo cercato il diario della madre di Julia… -
- L’avete trovato? – chiese subito Jin con interesse.
Annuii.
- L’abbiamo trovato, ma… - mi bloccai – Non abbiamo trovato più di tanto al suo interno. -
- Perché? – fece lui – Che diceva? -
Mi schiarii la gola.
Jin mi ascoltava con attenzione. Mi ricordai quanto fosse delicato per lui questo argomento. Lui era convinto di aver visto Ogre, era probabilmente disposto a credere a tutto ciò che gli avrei raccontato.
Cosa avrebbe fatto se gli avessi parlato del sacrificio umano?
Mi risposi da sola. Se avevo veramente capito qualcosa di come era fatto, non potevo escludere che gli sarebbe potuto saltare in testa di fare qualcosa di azzardato.
Dovevo stare estremamente attenta e per il momento questo dettaglio poteva aspettare. Ne avrei parlato prima con Hwoarang, magari.
Scrollai appena le spalle.
- Te l’ho detto, niente di utile. C’erano alcuni appunti riguardo a degli avvistamenti… -
Gli raccontai degli avvistamenti in America centrale e in Asia, senza fare alcun riferimento al rito.
Quando ebbi finito, tornò a sedersi davanti a me. Appoggiò una mano sulla fronte. Inspirò ed espirò profondamente.
- Quindi nessun riferimento ad un possibile modo per sconfiggerlo? Non avete scoperto niente? -
Il suo tono era strano, non mi piaceva.
Sembrava irritato, come se in qualche modo pensasse che queste informazioni gli fossero dovute.
Mi concentrai per apparire più calma possibile, e non lasciare intravedere alcun segnale della mia piccola bugia.
- No. – dissi ferrea – Niente. -
- Merda! – Jin diede una manata sul bracciolo della poltrona.
Cercai di apparire il più naturale possibile.
- Quindi non abbiamo niente? – chiese acidissimo.
- Abbiamo? – il mio tono non era di certo più zuccheroso del suo.
Era troppo, non potevo più far finta di niente.
Avevamo scambiato soltanto qualche parola, ma mi sembrava di aver davanti una persona completamente diversa.
- Jin ma cosa diamine hai in testa?! – sbottai - Sei sparito… – gli ricordai gelida – Pensavi forse che fossimo in missione per conto tuo, mentre tu beatamente pensavi ai fatti tuoi? -
Lui mi lanciò un’occhiataccia.
- …beatamente? I fatti miei?! – ripeté a denti stretti, poi scrollò la testa ridendo amaramente – Non sai di che parli. -
- Certo che non so di che parli… – ripetei con sarcasmo alzando le spalle – Tu non mi dici niente. -
Lui spostò lo sguardo altrove, contrariato.
- Pensavo foste disposti a collaborare. – disse dopo un po’ cambiando argomento – Non ho mai detto di aspettarmi un lavoro per mio conto. -
- Collaborare? – mi venne di nuovo da ridere – Non vuoi dire una parola su ciò che sei andato a fare… ma pretendi di avere il resoconto di ciò che possiamo aver trovato noi. È questa la tua idea di collaborazione? -
Mi alzai in piedi. Ne avevo avuto abbastanza di quella conversazione.
- No, aspetta. – cercò di richiamarmi quando mi vide allungare la mano verso la giacca – D’accordo, scusa.
- Mi dispiace… - cominciai nervosissima - Non ho più intenzione di stare qui a sentirti brontolare su come secondo te non ci siamo rivelati abbastanza utili… -
Non sarei scoppiata a piangere, anche se c’ero sempre più vicina. Ma dovevo vincere a tutti i costi contro i miei sentimenti, non gli avrei dato anche quella soddisfazione.
Ero una combattente dopo tutto.
Lui si avvicinò e mi prese un polso.
Il suo contatto. Era qualcosa di quasi surreale, dopo tanto tempo, riavvertire il calore della sua pelle, anche se erano soltanto i polpastrelli.
Maledizione, sentivo di stare come per impazzire.
- È incredibile che dopo tutto quello che è successo, dopo quello che tu hai fatto, tutto ciò a cui riesci a pensare è che non abbiamo scoperto abbastanza cose… - esplosi adirata.
Mi fermai.
Per forza, Jin si era avvicinato ancora.
- Oh… per favore… – disse esasperato.
Poi mi baciò.
Un brivido lungo la schiena. Sperai con tutta me stessa che non se ne accorgesse. Dannato Hwoarang, aveva ragione. Io ero una fiera combattente, non potevo farmi infiacchire così da uno stupido affare sentimentale.
Ma era più facile a dirsi che a farsi.
- Non è solo quello… tutto ciò a cui riesco a pensare. – sussurrò scostandosi appena dalle mie labbra – Mi… sei mancata… -
Adesso la sua fronte era poggiata sulla mia. Anche solo quel contatto era sufficiente per mettere in repentaglio la mia sanità mentale.
Ero arrabbiatissima, infuriata. Ancora di più, visto che mi faceva sentire così.
Ma, diamine… nessun torto era abbastanza grave per convincermi ad allontanarmi da quegli occhi.
Chiusi i miei, per impedirmi di vederlo. Provai a cercare un nuovo equilibrio mentale, ma niente da fare.
Le sue labbra stavano di nuovo sfiorando le mie.
Le sfioravano, esplorandole, mordicchiandole ogni tanto.
Le schiusi appena, come se incerta di voler davvero partecipare o meno.
Lui in ogni caso accolse l’invito, riprese a giocare cercando più contatto. Sempre più contatto.
Provò a chiamarmi a partecipare al suo gioco, quando la sua lingua accarezzò la mia.
Bramavo ogni suo respiro sulla mia pelle, e le mie labbra bruciavano ad ogni suo passaggio. Mi chiamava, ed era una vera tortura resistere.
- Devi essere completamente impazzito. – sussurrai scostandomi appena di qualche centimetro per poter parlare.
Non volevo dargliela vinta, non doveva dimenticare chi era dalla parte del torto.
Ma ne valeva veramente la pena continuare a combattere?
- Potresti non avere torto su questo… - rispose alla mia affermazione.
Poi si spostò sul mio collo e cominciò ad assaggiare la mia pelle provocandomi un nuovo brivido lungo la schiena. Inclinai la testa leggermente all’indietro, per lasciargli fare il suo gioco. Mi mordicchiai le labbra, ancora bollenti dopo il suo passaggio.
Era una tortura. Una vera tortura. La sfida più difficile che una combattente possa incontrare nella sua strada.
Mi arresi, lo seguii, rispondendo cauta e lentamente ai suoi movimenti.
I miei pensieri volavano come se non mi appartenessero. Avevo deciso di chiudere da parte la razionalità. Non avrei permesso al rancore di rovinarmi questo momento. E per il momento non mi interessavano nemmeno i rimorsi.
I pensieri nella mia testa seguivano un ordine confuso, era come stare in una stanza con poco ossigeno.
E il mio cuore… era come impazzito. Mi sentivo come a metà tra la completa disperazione e una gioia incredibile.
Ci separammo un attimo e ci guardammo negli occhi. Era sempre lui, anche se l’avevo definito pazzo, era sempre il mio Jin… quello che avevo incontrato la prima volta dentro un fosso in un giardino.
Quello con cui avevo avuto paura di morire la notte di capodanno, quello che avrei voluto strangolare quando se n’era andato lasciandomi con un patetico bigliettino.
Era sempre lui, quello che avevo sognato di rivedere tutto questo tempo… e che ora mi aveva ritrovato.
Jin mi scostò uno stupido ciuffo dagli occhi.
Non era facile connettere, non lo era per niente. Era come se non fossi io a dettare legge nel mio corpo in quel momento.
Non era facile nemmeno capire se fosse veramente vero, o se quella realtà fosse tutto frutto della mia immaginazione. Per un attimo ebbi paura che fosse tutto un sogno. Un sogno dal quale non avrei mai voluto svegliarmi. Non potevo credere che stava veramente per succedere…
Squillò il telefono nella stanza.
Rimasi di sasso, non per il telefono che squillava, ma per quello che successe subito dopo.
Jin reagì al telefono che squillava come se si fosse risvegliato da un sogno o come se improvvisamente si fosse ricordato di avere qualcosa da fare.
Mi guardò, un po’ imbarazzato, un po’ dispiaciuto.
- Scusa… - disse – Devo… rispondere. -
Mi limitai ad osservarlo, rifiutandomi di pensare, mentre si allontanava verso il comodino e prendeva la cornetta del telefono.
- Sì… - rispose cercando di tenere il tono di voce basso.
Si passò una mano fra i capelli.
- Adesso? – chiese tra i denti – Ma ho… -
Avevo già capito come sarebbe andata a finire. Magari dall’altro capo del telefono c’era proprio Heiachi.
- D’accordo… dammi un quarto d’ora. -
Fu come una doccia fredda. Non avevo bisogno di sentire altro.
Era di spalle e continuava ad ascoltare la voce dall’altra parte.
Lentamente mi diressi verso l’ingresso della stanza. Le mie scarpe erano affianco alla porta.
Uscii e la chiusi lentamente per fare in modo che non mi sentisse.


 
 
 
 
 

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Capitolo 26
*** Ira ***


Yakushima – 2 mesi prima

Le prime volte non ci aveva fatto caso.
Momenti di ira capitano a tutti.
Film, libri e intere serie tv parlano di persone che si lasciano completamente trasportare da questo tipi di sentimenti.
Per anni non ci aveva fatto caso. Era un fatto normale. Era arrabbiato, tutto qui, arrabbiato con la vita per avergli regalato determinate cose che a tempo debito aveva goduto del sadico piacere di strappargliele dalle mani.
Alla maggior parte delle altre persone non era mai capitato niente di neanche lontanamente paragonabile a ciò che aveva vissuto lui… per questo erano così diverse.
Loro non conoscevano questo peccato. L’ira.

Tuttavia, era soltanto da quando questi episodi erano diventati sempre più frequenti, che aveva cominciato a preoccuparsi.
Quei momenti in cui tutto pareva tingersi di rosso e la lucidità mentale lentamente si slabbrava.
Erano solo dei flash, pensieri e visioni, ma parevano così vividi e reali, così come l’odore di sangue che gli sembrava di percepire.
Stava diventando psicopatico? Era un individuo socialmente pericoloso?
Era solo lo stress ed eccessiva paranoia?
O c’era sotto qualcos’altro ancora?
Quel terribile sospetto… il segreto che da anni avvolgeva la storia della sua famiglia.
Ci doveva essere un motivo per cui a Jun non piaceva parlare di suo padre.
Ci doveva essere qualcosa di grosso sotto.
Qualcosa di terribile forse, viste le reazioni di sua madre. Qualsiasi cosa fosse stato, doveva scoprirla, e quello era il momento giusto.
Non avrebbe trovato niente di plausibile per coprire la sua voglia improvvisa di visitare Yakushima, e spiegarlo sarebbe stato inutile e scomodo.
Nessuno l’avrebbe capito. No, neanche Xiaoyu era pronta per questo.
Doveva assolutamente leggere quella lettera, era troppo troppo importante. Più di qualsiasi altra cosa.


“Ricordati Jin, io preferirei che tu non leggessi mai il contenuto di quella lettera e credimi se ti dico che potresti avere una vita molto più felice e tranquilla senza aver bisogno di conoscere tutto.”
Il suono della voce di sua madre non si era mai confuso nei suoi ricordi. Poteva sentirlo ancora così come se fosse stato un ricordo del giorno prima.
Tuttavia, solo dopo tutti quegli anni capiva a fondo il significato di quelle parole.
Qualsiasi genitore avrebbe voluto tenere il proprio figlio all’oscuro di una simile, tremenda verità.
Rilesse la lettera ancora una volta, e un’altra volta ancora. Non riusciva a capacitarsene a fondo.
Non poteva.
Aveva cominciato a piovere su Yakushima e in cimitero non c’era nessuno, soltanto le alte sagome scure degli alberi e le fredde lapidi di pietra.
Era andato lì a leggere quella lettera, per avere l’illusione di poter essere più vicino a lei. Per avere l’illusione di averla lì accanto a lui.
Jin accarezzò con le dita la tomba bianca di Jun Kazama.
- Mamma… - sussurrò senza quasi nemmeno sentirsi – Sono tornato. –
Era un angolo del cimitero riparato, così non avrebbe rischiato di bagnare e rovinare la lettera.
Si sedette affianco alla tomba, sempre tenendo le punte delle dita sulla gelida lapide e cominciò a leggere l’ultimo messaggio che sua madre gli aveva riservato.


Erano passate due ore da quando aveva lasciato il cimitero.
La casetta di legno all’uscita del villaggio era rimasta tale e quale a come la ricordava.

Imboccò il sentiero di ghiaia scura che attraversava il giardino di sapore tradizionale, fino al laghetto artificiale che si estendeva a pochi metri davanti all’ingresso dell’abitazione.
Ogni singola pietra, ogni pianta, quel profumo, era come se il tempo si fosse fermato per tutto quel tempo.
- Jin… - una voce lo chiamò dalla parte opposta del laghetto.
Una vecchina fece capolino dalle pareti di legno dell’abitazione. Camminava con una grazia esemplare a dispetto della sua età.
- Baa-san. – la salutò lui.
- Sapevo che saresti tornato prima o poi. – continuò lei tenendo lo sguardo in un punto indefinito davanti a sé.
Il volto rugoso della saggia sacerdotessa era un’altra di quelle cose che parevano essere rimaste immutate nel tempo.
Non sembrava invecchiata di un giorno, sembrava anzi, se possibile, ancora più eterea e mistica di quanto ricordava.
Più di una volta Jin si era ritrovato a mettere in dubbio l’umanità di quella cieca sacerdotessa, aveva immaginato tante volte che potesse essere lei stessa uno di quegli spiriti di cui spesso le sentiva raccontare storie.
Non avrebbe di certo immaginato che tra i due, il meno umano fosse proprio lui.
- Ho… ho letto la lettera di Jun. – disse lui quasi in una confessione.
La vecchia si voltò di spalle.
- Vieni dentro, ho preparato il tè… ti stavo aspettando. – disse poco prima di entrare in casa.
Jin la seguì all’interno dell’abitazione.
La vecchia Sachi era una delle persone più rispettate nell’isola, ed era la persona di cui Jun Kazama si fidava di più a questo mondo.
Tante volte Jin era rimasto in compagnia della vecchia quando era piccolo, e aveva imparato col tempo ad ammirare e rispettare la sua infinita saggezza.
Si fermò nella vecchia sala da tè, inginocchiandosi al tavolo difronte alla vecchia che versava il tè nelle due tazze.
- Come sapevi che sarei arrivato Baa-san? – chiese Jin prendendo la sua tazza bollente fra le mani.
La vecchia fece un minuscolo cenno col capo verso la parete opposta.
Jin si voltò e vide un piccolo scaccia spiriti di bamboo vicino alla finestra.
- È da stamattina che non smette di cantare. – disse la vecchina prima di sorseggiare il suo tè – Il suo è un legno speciale, viene dalla stessa terra misteriosa da cui viene anche… -
- …il fantoccio da combattimento magico, sì mi ricordo. – finì Jin con un sorriso.
La vecchia sorrise a sua volta con tenerezza.
- Magico non è la parola più adatta figliolo, ma vedo con piacere che ti ricordi la leggenda del Mokujin. –
- Come tutte le altre. – confermò Jin annuendo.
- La maggior parte sono tutte sciocchezze per spaventare i bambini. – spiegò la vecchia – Ma sappiamo bene che a volte c’è anche qualcosa di vero che la scienza non può spiegare. –
Posò sul tavolo di legno la sua tazza di porcellana fina.
- E quello scaccia spiriti non sbaglia mai. – aggiunse mentre l’espressione si induriva.
Anche Jin posò la sua tazza sul tavolo.
- Tempi oscuri ci attendono. – fece la vecchia abbassando il tono di voce – Jin, perché sei qui? Perché hai letto la lettera? Si è… risvegliato? -
Jin deglutì abbassando il capo.
- Io credo… di sì. Qualcosa sta accadendo. Qualcosa sta cambiando. – confessò, poi sollevò lo sguardo sulla vecchia – Ho… paura Baa-san. -
Le labbra della vecchia Sachi si incresparono.
- Sei soltanto un ragazzo… - disse compassionevole – È normale che sia spaventato, figliolo. Ne hai tutto il diritto. –
- Non c’è via d’uscita vero? – chiese secco Jin.
La vecchia strinse di nuovo le labbra.
- Non te ne puoi liberare, questo è vero. – fece lei – Ma devi essere forte, dovrai imparare ad essere più forte di lui… -
- Io… non… - Jin scosse la testa, e si portò una mano sulla fronte.
Era confuso. Disperato.
- Jin… - lo richiamò la vecchia Sachi – Devi tornare da Heiachi. -
- Heiachi vuole uccidermi. – ribatté lui amarissimo – Non posso fidarmi di lui. -
- Non ho mai detto che devi fidarti di lui. – lo corresse la vecchia Sachi – Anzi, non dovrai mai fidarti di lui. -
- Ma come…? -
- Dovrai cercare Heiachi. – ripeté la vecchia – Lui ti addestrerà per imparare a controllare il gene del diavolo. È l’unico che può aiutarti. -
Jin ascoltava senza capire.
- Perché dovrebbe decidere di aiutarmi? -
- Per un motivo molto semplice. – cominciò la vecchia, sicura del fatto suo – C’è qualcosa di più importante che preoccupa Heiachi in questo momento. -
- Ogre. – rispose Jin senza neanche doverci pensare.
- Nessun essere umano è in grado di poterlo sconfiggere. – affermò la vecchia Sachi – E Heiachi l’ha capito. -
- Solo un altro demone. – indovinò Jin cominciando a capire il punto d’arrivo di tutto il discorso.
- Heiachi ti proporrà un patto. – continuò la vecchia Sachi – Tu dovrai accettarlo. La famiglia Mishima custodisce i segreti del gene del diavolo da generazioni. Solo lui ti potrà aiutare. Dovrai imparare a controllare il demone, il prima possibile… prima che lui prenda il sopravvento su di te, prima che sia troppo tardi. -
Aveva ricominciato a piovere, la pioggia batteva sul tetto producendo un ironico sinistro rumore di sottofondo.
- E io dovrò sconfiggere Ogre con il mio potere… - concluse Jin.
La vecchia emise un lungo sospiro.
- Vorrei ci potesse essere un altro modo per aiutarti, figliolo. -
- Come faccio ad essere sicuro che Heiachi non proverà ad uccidermi prima, come ha già tentato? -
La vecchia sorrise.
- La vecchia Sachi è come lo scaccia spiriti, figliolo. Non sbaglia mai su queste cose. Dovresti saperlo. -
Jin non osò ribadire.
- Conosco la tua famiglia da generazioni, e sono stata in questo modo abbastanza a lungo da aver imparato a prevedere il comportamento degli uomini che lo abitano. Gli uomini commettono sempre le stesse azioni, gli stessi errori. Dopo anni e anni di attente osservazioni, impari a capire che sono molto più prevedibili di quanto si possa immaginare. -
- Baa-san… - la richiamò Jin – Come farò a sconfiggere Ogre? -
La vecchia cercò con le sue fragili piccole mani quelle di Jin e le racchiuse tra le sue.
- Figliolo… - gli sussurrò – Io sono certa che ce la farai. Tu hai qualcosa che gli altri non hanno. Tu hai lo stesso cuore di Jun. È questo il tuo potere più grande. – disse mentre una lacrima le scivolava dagli occhi opachi.


La mattina seguente Yakushima si svegliò con il profumo di terra bagnata.
La vecchia Sachi era già in giardino a meditare in silenzio, come faceva ogni mattina.
Jin le si avvicinò silenziosamente, per non disturbare quella pace mistica.
La vecchia si voltò nella la sua direzione.
- Il sole sta tornando. – sorrise, mentre tra le nuvole si apriva un varco luminoso.
Jin si sedette accanto a lei.
- Partirò oggi stesso. – le comunicò.
La vecchia annuì e cercò la mano di Jin con la sua.
- Non temere, figliolo. Andrà tutto bene. – lo rassicurò ancora una volta.
Prese la mano e gli lasciò un piccolo oggetto di legno sul palmo.
- Voglio che tu prenda questo. – riprese a parlare la vecchia – È un amuleto molto antico, anche questo è fatto di legno speciale. È stato passato di mano in mano per centinaia di anni. Si dice che abbia il potere di proteggere la persona che lo riceve in dono. -
Jin lo osservò, aveva una forma strana. Sembrava quasi una piccola campana, e sulla sua superficie c’erano segnati degli antichi ideogrammi, la maggior parte dei quali non riusciva a capire.
- È giunto il momento che lo prenda tu. – continuò Sachi – Ne hai certamente più bisogno di me. –
- Lo apprezzo tanto. – disse Jin, sapendo che per lei significava tanto.
La vecchia poi prese il suo polso tra le dita ossute e sbarrò gli occhi.
- Quando avrai sconfitto Ogre, dovrai allontanarti immediatamente da Heiachi. Per sempre. –

 

Tokyo – presente

Non riuscivo a crederci. Feci qualche passo indietro, fino a poggiare la schiena contro la parete del corridoio dell’hotel, mentre fissavo la porta della stanza di Jin.
Speravo che se ne accorgesse, che venisse a richiamarmi, speravo di sbagliarmi. Non so nemmeno io che cosa stessi aspettando.
Avevo immaginato tante volte come sarebbe stato quel momento, il momento del nostro rincontro, ma mai e poi mai avrei pensato di sentire quella sensazione.
D’accordo Jin era sempre stato un tipo particolare, ma non avevo mai avvertito una tale freddezza in sua presenza. Perché non poteva essere tutto come prima? Cosa stava accadendo?
Dove era finito il Jin che conoscevo? Quello con cui mi sentivo così a mio agio…
Chi era questo Jin che con fare misterioso collaborava con Heiachi? Per quale motivo poi?
Heiachi era pericoloso, di questo ne eravamo più che certi ormai, allora perché scappare da noi e creare un’alleanza con lui?
Una famiglia mi passò davanti, allegra e spensierata, in contrasto con i miei sentimenti in quel momento, e decisi di seguirli nell’ascensore.
Non aveva più senso stare lì. Dovevo accettare che dovevo andarmene.
L’ascensore arrivò al pian terreno e le porte si aprirono con un suono che ricordava quello di un campanello.
Nella hall c’erano molte persone, molti turisti, ma soprattutto quelli che sembravano uomini d’affari. Sembrava un posto lussuoso e parecchio costoso, chissà se era sempre nonno Heiachi a pagare l’affitto della stanza a suo nipote, visto che ormai erano tornati ad essere così intimi.
Uscii dall’hotel e notai la fila di taxi parcheggiati a bordo del marciapiedi.
Mi toccai le tasche. Non avevo molto, soltanto l’ammontare per poter sopravvivere una settimana o poco più, non potevo permettermi un taxi.
In quel momento mi resi conto di non conoscere minimamente quel quartiere, tornare a casa non sarebbe stato affatto facile, ma ovviamente chiedere un passaggio a Jin era decisamente fuori luogo.
C’era una fermata dell’autobus a pochi metri di distanza, mi avvicinai e mi lasciai cadere sulla panchina di ferro. Non sapevo quale linea avrei dovuto prendere o a che ora, magari avrei chiesto ad un conducente, o comunque sarei potuta riuscire a raggiungere uno dei quartieri principali da cui avrei saputo muovermi meglio.
Aspettai per qualche minuto, nessun autobus passò. Erano passati circa dieci minuti quando, mentre guardavo distrattamente la strada in direzione dell’entrata dell’albergo, notai una figura familiare che era appena uscita dalla porta.
Jin.
Mi irrigidii. Era tornato a cercarmi?
Illusa. Durante la telefonata aveva accordato una specie di appuntamento in un quarto d’ora o qualcosa del genere. Era proprio quella, tra l’altro, la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
La curiosità era estrema. Dove stava andando?
Avrei scommesso che all’altro capo del telefono ci fosse Heiachi, avrei scommesso subito tutti i soldi che avevo in tasca.
E perché mai si dovevano vedere? Così all’improvviso.
Dovevo farmi gli affari miei. Lui mi teneva fuori dalla sua vita, io ne stavo fuori. Era semplicissimo.
Ma stavo letteralmente morendo di curiosità.
Prima di aver realmente deciso, stavo già per fare una delle mosse più azzardate della mia vita. Una scelta che in quel momento non potevo sapere quanto avrebbe contribuito a cambiarmi la vita.
Entrai nel taxi prendendo posto nel sedile posteriore.
L’uomo alzò lo sguardo sullo specchietto retrovisore e mi osservò.
- Dove ti porto, ragazzina? -
Deglutii, ancora mezzo incerta di volerlo veramente fare.
Alzai un dito verso la strada.
- Quella moto. – gli dissi – La segua. -
L’uomo aggrottò le sopracciglia e si voltò a guardarmi a fondo. Per capire se ero seria.
Alzai le spalle, cercando di sembrare più distaccata possibile.
- È il mio ragazzo. – spiegai – Ho il sospetto che si veda con un’altra. Devo assolutamente sapere. – il mio tono di voce era fermissimo, al contrario delle mie mani che tremavano per il nervosismo.
La spiegazione sembrò convincere il tassista, dopo un’altra occhiata attraverso lo specchietto retrovisore mise in moto e partì.

Tokyo – 2 mesi prima

Quando Jin Kazama si presentò al quartiere generale della Mishima Zaibatsu, chiedendo di poter parlare con suo nonno, tutti all’azienda rimasero sbalorditi.
Ormai era di dominio pubblico la notizia della misteriosa scomparsa del nipote del presidente in seguito ad una misteriosa incursione nella loro tenuta a Capodanno.
E chiaramente, nessuno si sarebbe aspettato di vedere il nipote di Heiachi Mishima, disperso ormai da circa un mese, ripresentarsi all’improvviso al suo cospetto.
Tutti furono stupiti, meno che suo nonno stesso, il quale lo ricevette immediatamente.
Jin entrò nel suo ufficio all’ultimo piano dell’edificio aziendale, il vertice della piramide, come spesso lo definiva Heiachi, e sostenne lo sguardo dell’uomo che sentiva di odiare più di ogni altro al mondo.
Heiachi lo osservava dall’altro capo della sua scrivania in mogano scuro, dando le spalle alla parete di vetro.
- Sapevo che saresti tornato da me prima o poi… Jin. – sogghignò poco dopo.
- Va al diavolo. – rispose il nipote acidissimo – Sono qui per un motivo ben preciso. -
- Già… immagino che non sia perché hai bisogno di soldi… - continuò il nonno.
Jin lo fulminò con lo sguardo.
- Bando alle ciance. So benissimo cosa ti ha spinto a ripresentarti. – riprese Heiachi cambiando tono – Ti aspettavo da quando ho saputo della tua visita a Yakushima. -
Jin rimase di stucco.
- Tu… - iniziò Jin sprezzante - … sapevi tutto? -
- Tutto cosa? – chiese Heiachi stando a tono – Della lettera di Jun? Di come ti ha tenuto all’oscuro tutti questi anni della maledizione della famiglia Mishima? O del fatto che ti avrei trovato a Yakushima? -
Jin deglutì.
- Dopo la tua fuga, Yakushima è stato uno dei primi posti che ho chiesto di sorvegliare. Era facile. I cuccioli tornano sempre alla tana prima o poi. – spiegò – Per quanto riguarda il resto, ho fatto un patto con Jun tanto tempo fa, quindi… sì, sapevo tutto. -
- Un patto? -
- Jun era preoccupata che potesse succedere anche a te un giorno o l’altro. – spiegò – Per questo mi ha pregato di prendermi cura di te se le fosse accaduto qualcosa, per poter tenere d’occhio lui. -
Jin fissava un punto a caso nel legno della scrivania, perso nei suoi pensieri.
- Dimmi nipote, non ti è mai saltato per la mente che fosse strano che Jun avesse scelto proprio me come tuo tutore nel caso lei non potesse più prendersi cura di te? – Heiachi ridacchiò – Insomma, non sono proprio il genere di persona che si dice ci sappia fare con i ragazzini. -
Stirò le gambe e si alzò, continuando a tenere lo sguardo puntato su suo nipote.
- Quindi… sì, sapevo tutto… - ripeté – L’unica cosa che non potevo sapere, e che non poteva sapere neanche tua madre, era se mai e quando si sarebbe svegliato anche in te. -
Jin lo guardò con espressione ferrea.
- E come facevi a sapere che era questo il motivo per cui sono tornato a Yakushima? – gli domandò.
Heiachi sorrise malvagiamente.
- Chiamiamolo istinto. – rispose – Non vedo altro motivo per cui altrimenti ti saresti allontanato dalla tua inseparabile amica… -
Sembrava godere ogni attimo del suo sconforto.
- Ho capito subito che c’era qualcosa di anomalo nel tuo comportamento, quando ti ho trovato a Yakushima… solo. – continuò – E il resto è arrivato da sé. -
- Mi fai schifo. – disse Jin sprezzante – Perché hai cercato di ucciderci la notte di capodanno? -
Heiachi scoppiò in una risata fragorosa.
- Non avevo intenzione di uccidervi in realtà. – ammise – Soltanto rapirvi… avevo un piano in mente per cui voi sareste state l’esca perfetta per l’operazione Ogre. Niente di personale, si intende. -
Si fermò per un momento, allisciandosi i baffi.
- Ma quell’operazione è fallita. – spiegò – Non avrebbe potuto funzionare. -
Puntò gli occhi su di Jin e per un attimo lasciò intravedere un sadico sorriso. Subito dopo poi ammorbidì l’espressione e alzò le spalle.
- Mi dispiace per l’episodio di Capodanno. – si scusò come se fosse una cosa da niente – Nessuno si sarebbe fatto male se le cose fossero andate come si era stabilito, ma non potevo permettere che vi rifiutaste di collaborare, per questo i soldati… ma non ci pensiamo più, ok? -
- Non ci pensiamo più?! – Jin era pressochè furioso.
- Ho qualcosa di più interessante da proporti ora. – rispose semplicemente il nonno.
Jin ebbe l’impulso di andarsene, di fuggire da quell’essere che nelle vesti di suo più stretto parente gli provocava soltanto disgusto. Ma nella lettera Jun aveva fatto il suo nome. Doveva ancora sapere come poteva contrastare il gene del diavolo.
- Non ho intenzione di trattare con te. – fece Jin assolutamente disgustato – Sono qui solamente per saperne di più su tu sai cosa. -
- Sì, d’accordo. – cominciò Heiachi – So che ora mi odi e tutto quanto. Volevo usarvi come esche per richiamare Ogre, non mi sono comportato onestamente. Tuttavia non ho abbandonato ovviamente l’operazione Ogre, e nei nuovi programmi entri in gioco tu. – spiegò mostrando un sorriso sghembo – In cambio della tua collaborazione ti aiuterò a prendere controllo dei tuoi… tormenti interiori. –
Rise di gusto compiaciuto della sua battuta inopportuna
- Tu… beh, imparerai a controllarli e li userai per sconfiggere Ogre. –
- Sei uscito fuori di testa del tutto?! – ribattè Jin furibondo.
- Non devi pensare che sia soltanto qualcosa di terribile. – spiegò Heiachi improvvisamente serissimo – È un dono, imbecille di un ragazzino. È una potentissima arma che devi imparare ad usare. -
Jin non rispose. Desiderava solo di non trovarsi realmente lì, di non avere un demone dentro di lui e che fosse tutto soltanto un orribile, tremendo, spaventoso incubo.
– Sai che Ogre è una minaccia, un pericolo per l’umanità.- continuò Heiachi persuasivo – E sai che nessun essere umano è in grado di poterlo battere. Jin, non c’è altro modo di poterlo sconfiggere. Solo tu puoi riuscirci, e per fare ciò devi imparare ad controllare il gene, e devi farlo subito. -
Si fermò ancora un secondo.
- Se collaborerai i tuoi amici saranno al sicuro. – aggiunse.
- Da quando ti interessi al bene dell’umanità? – osservò Jin disgustato.
Heiachi sogghignò.
- Da quando c’è di mezzo anche il mio bene personale e quello delle mie aziende. -
Jin non rispose.
- Faremo una serie di allenamenti mirati. – riprese Heiachi come se avesse già avuto un consenso – Tuo padre era un vero disastro, ma tu potresti avere il potenziale per riuscire ad imparare più velocemente… -
Poi si fermò e sogghignò di nuovo con aria malvagia.
- Permettimi di farti una domanda… - esordì poco dopo.
Gli occhi gli brillavano ora di una bramosa curiosità, affascinata e sdegnata allo stesso tempo.
- Come ci si sente? – chiese quasi con invidia - Come te ne sei accorto? Perché hai sentito il bisogno di andare a leggere quella lettera? -
Jin lo guardò superbo.
- Chiamiamolo istinto. – si alzò e gli voltò le spalle, pronto per lasciare l’ufficio – Ti ho già dedicato fin troppo tempo. Quando cominciamo? – chiese poi in tono freddo.
- Sapevo che saresti stato ragionevole. – fece Heiachi in tono quasi fiero - Ci vediamo qui domani mattina alle nove. E farai bene a presentarti in orario. Spero che ti renda conto che non hai alternativa migliore alla mia proposta. -
- Spero che Ogre ti uccida molto dolorosamente prima che lo faccia io, bastardo. – rispose Jin, prima di lasciare la stanza.
Sentì Heiachi che rideva fragorosamente. Apparentemente quel colloquio l’aveva particolarmente divertito.

Tokyo – presente

Il taxi mi aveva lasciato in una strada sterrata, in una zona piena di edifici malridotti e forse abbandonati che avevano l’aria di essere stati un tempo officine o comunque capannoni industriali.
La moto di Jin si era fermata a qualche isolato da noi. Avevo chiesto al tassista di lasciarmi più indietro per non rischiare di essere vista.
L’uomo mi guardava preoccuato.
- Sei sicura che si debba vedere con un’altra in un posto come questo? -
- Non si preoccupi. – dissi frettolosamente mentre gli offrivo il mio denaro per intero – Grazie mille. -
Aprii lo sportello e feci per uscire.
- Ma aspetta! – mi richiamò il tipo – Io non me la sento di lasciarti da sola in un posto come questo. -
- So badare a me stessa. Grazie di tutto, veramente. – cercai di sembrare convincente.
Detto questo uscii dall’auto e cominciai a correre verso il luogo in cui la moto di Jin si era fermata.
Era un enorme edificio dotato di un cancello elettronico e delle videocamere di sorveglianza.
Ero certa che si fosse introdotto al suo interno, quello di cui non ero assolutamente certa era di come mi sarei introdotta io.
Mi guardai un attimo intorno per capire se fosse possibile scavalcare il recinto evitando le videocamere.
Il recinto era molto alto, almeno tre metri, però a qualche metro di distanza c’era un cassonetto. Se ci fossi salita sopra avrei guadagnato un po’ di altezza. A quel punto avrei potuto saltare e cercare di aggrapparmi all’estremità del muro.
Uno sguardo veloce alla strada, era completamente vuota, nessuno mi avrebbe visto.
Corsi verso il cassonetto, emanava un odore terribile, ma mi sforzai di non farci caso. Ci salii sopra, pregando in tutte le lingue che non cedesse. Una volta che fui certa che mi avrebbe retto, provai ad issarmi in piedi e guardai l’estremità del muro allungando una mano verso l’alto.
Avrei dovuto fare un salto di più di un metro. Per via del mio stile di combattimento sono abituata fare salti di un certo tipo e anche di una certa altezza, ma pur sempre con un minimo di rincorsa o slancio. Saltare da fermi da una superficie poco stabile, è tutto un altro discorso.
O la va o la spacca.
Piegai le ginocchia, cercai di darmi tutto lo slancio possibile con l’aiuto delle braccia e saltai cercando di elevarmi più in alto possibile.
Riuscii a superare il bordo del muro di almeno una spanna, cercai di aggrapparmi con le mani, ci riuscii, sbattendo il corpo contro la parete. A quel punto cercai di portarmi avanti con un braccio, per afferrare l’altra estremità del bordo del recinto. Era piuttosto spesso, ma non fu troppo difficile. Feci leva per riuscire a portarmi su con i gomiti e a quel punto fu un gioco da ragazzi.
Qualche secondo dopo ero in piedi a pulirmi le mani contro i jeans dall’altra parte del recinto.
L’edificio che avevo di fronte era un grosso fabbricato di due piani con dei finestroni scuri. Alcuni vetri erano frantumati e non sembrava nemmeno che fosse stato abbandonato di recente.
Perché un posto del genere aveva un cancello elettronico e videocamere di sorveglianza? Cosa poteva nascondere al suo interno?
Cominciavo a sentirmi irrequieta, avevo una bruttissima sensazione. Quel luogo era inquietantissimo, mi sembrava di essere in un film dell’orrore, ma ormai c’ero dentro. Dovevo scoprire dove era andato Jin.
Entrai da una delle finestre rotte del pian terreno attenta a non fare il minimo rumore.
Mi ritrovai in una specie di corridoio, non aveva per niente l’aspetto di un posto in cui la gente ci passasse spesso. Il pavimento era coperto di pezzi di vetro, di intonaco e rifiuti metallici di vario genere. Facendo attenzione a dove andavo a mettere i piedi cominciai a camminare in una direzione a caso. Il corridoio continuava senza diramazioni per diversi metri. C’erano delle porte di tanto in tanto, ma tutte erano chiuse.
Mi ritrovai ad un certo punto davanti ad una rampa di scale. Da una parte si saliva, dall’altra si scendeva.
E ora dove vado? Mi chiesi. Scendere o salire?
Il cuore mi batteva a mille per l’adrenalina. Avevo l’impressione che ci fosse qualcosa di molto losco in ballo. Cosa sarebbe successo se qualcuno mi avrebbe trovato da quelle parti?
Mentre aspettavo di prendere una decisone, sentii uno strano rumore che mi fece trasalire. Era… una specie di urlo, ma troppo simile ad un ringhio per sembrare un vero e proprio urlo umano.
Mi gelai. In quel momento feci caso ad altri rumori e delle voci. Voci decisamente umane.
E provenivano da sotto.
Deglutii.
Dai solo un’occhiata. Mi dissi. Se le cose si mettono male o sembra essere pericoloso, torni immediatamente indietro.
Scesi le scale facendo più attenzione possibile, i rumori si facevano più forti, più chiari e più terrificanti.
Le scale mi portarono in un altro corridoio. Questo era decisamente più ordinato e più pulito, quindi forse  era più frequentato?
Non c’era nessuno in giro e decisi di esplorare un po’ la zona. Questo corridoio sembrava correre lungo il perimetro di una grande stanza che comunicava con il corridoio attraverso dei passaggi ad arco. Decisi dopo vari giri di perlustrazione di provare ad entrare in una di queste aperture, da dove i rumori sembravano provenire.
Era una specie di anticamera per quella che sembrava una sorta di arena da combattimento.
Io mi trovavo all’apice di un’alta gradinata e in basso, davanti a me, sentivo che c’era del movimento, ma non riuscivo a vedere ancora che cosa fosse.
Sentivo una voce, era chiaramente Heiachi. Urlava delle cose, lanciava come degli ordini, c’erano anche un paio di altri uomini nei lati e tutti guardavano qualcosa verso il centro della sala.
Mi sporsi un po’ di più, con le gambe tremanti, per riuscire ad avere una visuale migliore.
Quello che vidi inizialmente mi lasciò di stucco. Fu solo poco dopo che capii e dovetti portarmi una mano davanti alla bocca per non urlare in preda al panico.
Non so quanto rimasi a vedere quella scena, ma fu abbastanza da farmi decidere che dovevo allontanarmi immediatamente da lì.
Ripercorsi tutta la strada all’indietro fino ad uscire dalla finestra rotta dalla quale ero entrata. Una volta fuori mi appoggiai alla parete, con il cuore in gola e alzai lo sguardo al cielo ancora terrorizzata.
Iniziai a piangere. Non sapevo che fare.
Avrei voluto che Hwoarang fosse lì con me. Avrei voluto che arrivasse e che mi portasse a casa.

 

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