I Wanna Be Rocked In The Cradle Of My Dreams / 'till I Go To Sleep

di AngelSword
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Entry #1: Lunedì, 17/x/20xx ***
Capitolo 2: *** Entry #2: Martedì, xx/x/20xx ***
Capitolo 3: *** Entry #3: Mercoledì, xx/x/20xx ***
Capitolo 4: *** Entry #4: Giovedì, 20/x/20xx - Ultima Ora ***
Capitolo 5: *** Entry #5: Venerdì, xx/x/20xx ***
Capitolo 6: *** Entry #6: Sabato, xx/x/20xx ***
Capitolo 7: *** Entry #7: Lunedì xx/x/20xx ***
Capitolo 8: *** Entry #8: Martedì, xx/x/20xx ***
Capitolo 9: *** Entry #9: Giovedì, 20/x/20xx - Appena Dopo L'Ultima Ora ***



Capitolo 1
*** Entry #1: Lunedì, 17/x/20xx ***




 

Lunedì, 17/x/20xx ~ Mare Mosso




Vaffanculo!














 

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Capitolo 2
*** Entry #2: Martedì, xx/x/20xx ***


Martedì, xx/x/20xx ~ Mare Calmo



“Oooi~! Sanji-kuuun~?!”

Il biondo si girò di scatto, attratto dalla voce femminile. Piroettando, raggiunse la compagna di classe, salutandola poi con un cortese inchino. “Mi dica pure, oh mia divina sirena.”

La ragazza ridacchiò, leggermente imbarazzata dalla galanteria del vicino di banco. Si sporse verso di lui, poggiando i gomiti sul proprio banchetto. “Senti, mi faresti un favore?” chiese in tono carezzevole, mettendo in bella mostra il seno prosperoso. Aveva diciassette anni, ovvio che sapesse già sfruttare il suo fascino femminile. Alla risposta affermativa del biondo, continuò, fingendo dispiacere “Siamo rimaste senza soldi e vorremmo qualcosa da bere.” Accennò con un lieve cenno del capo alle altre tre ragazze dietro di lei, intente ad analizzare una rivista di moda. “Potresti per favore offrirci qualcosa?”

“Ma ovviamente, mia dolce Nami!” esclamò Sanji, alzando finalmente il capo, tenuto basso in una riverenza per tutta la durata del discorso. Non fece nemmeno in tempo a chiederle se avesse delle preferenze che lei, cambiando completamente atteggiamento, si tirò indietro sulla sedia, elencando velocemente una breve lista di bevande per poi congedarlo con un freddo saluto.

 

La osservò, interdetto, per qualche secondo mentre lei tornava a chiacchierare con le sue amiche, chiudendo poi la bocca - aperta poco prima per porle una domanda. Pressò le labbra in una linea sottile prima di girare i tacchi e marciare a grandi passi fuori dalla classe. 
 


*~*~* 

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Capitolo 3
*** Entry #3: Mercoledì, xx/x/20xx ***


Mercoledì, xx/x/20xx ~ Mare Poco Mosso


Non guardò nessuno negli occhi, non ricambiò alcun saluto. Pensò solo a mettere un piede davanti all’altro, facendo finta di star seguendo una linea immaginaria dipinta a terra. Non che avesse davvero dovuto rispondere a qualche saluto. L’espressione austera, unita al suo passo svelto, era un’ottima scusa per rinunciare a rivolgergli anche un semplice cenno della mano.

Ma, in fondo, non gli importava più di tanto. In tutta sincerità non gli era mai importato. Non gliene era mai fregata una mezza cicca di quella scuola, di quei ragazzini o della sua carriera. Se n’era reso conto tre anni prima, quando aveva cominciato la sua vita da liceale. I primi giorni aveva pensato che sarebbe stato divertente -  una “nuova avventura”, come scherzosamente l’aveva chiamata il preside nel suo discorso di apertura. Beh, non era mai stato così stupido. Infatti i primi bulli del quarto anno non avevano tardato a farsi vivi all’entrata del bagno, gli insegnanti si erano affrettati a sgridarlo per ogni singola cosa facesse. Aveva sperato che almeno le ragazze - almeno loro, dannazione - sarebbero state, beh... diverse dalla “massa”, ma anche qui aveva preso una sdentata. Tutte civette, dalla prima all’ultima, interessate solo al loro aspetto e a sparlare. Ma ormai gli era stato affibbiato l’appellativo di “Don Giovanni” e non poteva venire meno a quel nome che si era - involontariamente - creato. Era quindi costretto a fare il gentile con quelle serpi travestite.

 

Dio, ma chi gliel’aveva fatto fare?
 


*~*~*
 

 

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Capitolo 4
*** Entry #4: Giovedì, 20/x/20xx - Ultima Ora ***


Giovedì, 20/x/20xx :  Ultima ora ~ Mare Poco Mosso


“Ma dov’è il professore?”

“Boh. Ma che ti frega?”

“La lezione è cominciata da già dieci minuti...”

“E vabbè, considerala una prolungazione del pranzo.”

Usopp annuì incerto. Mentre il suo nuovo compagno di banco - un ragazzo moro, trasferitosi da poco in città - cominciava a chiacchierare di cibo e sport, i suoi occhi caddero sul banco vuoto a poca distanza da loro. Corrugò la fronte. “Oi, Rufy.” L’altro smise di blaterale per guardarlo con un sorrisetto. “Ma Sanji?”

Il compagno si voltò a guardare il banco del biondino. Lo scrutò a lungo, un’espressione indecifrabile dipinta sul volto. “Magari è andato a mangia--“
“Bene ragazzi, vi voglio zitti e seduti,” ordinò una profonda voce maschile interrompendo il brusio.

 Come chiamati da uno squillo di tromba, tutti gli alunni alzarono il capo incuriositi, l’uno imitando le azioni dell’altro come una massa di pecore.

“Beh, siete sordi?” Il professore - un uomo alto e robusto dai curiosi capelli verdi - si chiuse la porta alle spalle. Mentre gli studenti si andavano a sedere in silenzio, l’uomo si diresse alla cattedra, sbattendo piano il dorso del registro contro il collo. I ragazzi lo seguirono con gli occhi, obbedienti, pronti ad essere comandati. Dopo essersi sistemato gli occhiali rettangolari sul naso, annunciò “Bene, facciamo l’appello. Ditemi i nomi di chi non vedete.”

“Ma, sensei,” azzardò Usopp, “quello non è ‘fare l’appello’.”

“Sta zitto, nasolungo,” replicò stizzito l’insegnante. Fece scorrere gli occhi sulla classe, notando un singolo posto vuoto. “Che fine ha fatto quel ricciolino--“

Non fece in tempo a finire la frase che la porta scorrevole si aprì di nuovo con un sibilo, lasciando entrare un ragazzo biondo con delle simpatiche sopracciglia a ricciolo. “Le ho già detto di non chiamarmi ‘ricciolino’,” disse chiudendosi la porta alle spalle. “Scusi il ritardo.” Si avviò verso il suo banco, le mani in tasca e le spalle curve.

Il professore scrutò con occhio cinico le medicazioni che gli ricoprivano parte del volto. “Che hai fatto alla faccia?”

“Avevo solo voglia di cadere rovinosamente giù per le scale,” rispose con naturalezza, quando era ovvio che avesse fatto a botte con qualcuno.

“Vabbè, vatti a sede--“

“FERMO LÌ, TU!” urlò una seconda voce dal corridoio. Il ragazzo la ignorò, spingendo così il suo proprietario ad affacciarsi dalla porta. “Sottospecie di gangster, vieni subito qui! Non ho finito di farti la ramanzina!”

“Posso aiutarla, signor preside?” chiese freddamente il professore, avvicinandosi. L’altro - un tipo basso e abbastanza gracilino, dai capelli di un rosa pallido, lunghi fino alle spalle - sobbalzò per la sorpresa.

Tentò comunque di riacquistare un minimo di contegno in quanto preside dell’istituto. “Z-Zoro!” lo chiamò, cercando di non apparire spaventato. “Sarà almeno la centesima volta che quel Sanji si mette nei guai! Non è possibile che...”

E mentre il preside sfogava la sua rabbia in urla, il diretto interessato raggiunse tranquillamente il suo banco, salutò la sua vicina con un allegro “Ciao, Vivi-chan,” per poi sedersi ed attendere che la lezione iniziasse.

Senza veramente starlo ad ascoltare, Zoro continuò a ripetere le solite frasi da insegnante - “Sì, Preside Spandam, vedrò di fare qualcosa a riguardo,” ed affini - intanto che lo spingeva fuori dall’aula. Quando finalmente riuscì a sbattergli in tutta fretta la porta in faccia - Dio, non ne poteva più di quel rompiscatole di preside! - tornò a dirigere la sua attenzione alla classe. Specialmente a quel biondino. “Tu, Kuroashi,” lo chiamò in tono grave. “Vieni nel mio ufficio a fine lezione.”

Sanji si limitò ad annuire con disinteresse mentre tirava fuori i suoi libri. Sentiva gli occhi dei suoi compagni su di lui, sentiva il silenzio che lo circondava. Un silenzio che aveva sempre odiato. Un silenzio colpevole ad accusatorio allo stesso tempo. Persino respirare sembrava essere diventata un’azione troppo rumorosa.

“Uhm, sensei?” azzardò infine Usopp, alzando una mano. Zoro lo guardò, in attesa. “È arrivato in ritardo perché si è perso di nuovo nella scuola?”

“Sta zitto, nasolungo,” replicò freddamente il professore mentre recuperava il registro. Ricomponendosi, annunciò di nuovo “Bene, facciamo l’appello. Ditemi i nomi di chi vedete.”

“Ma sensei, nemmeno quello è ‘fare l’appello’...”

“Ti ho detto di stare zitto, nasone.”

Sanji si puntellò su un gomito, poggiando il mento sul palmo, dirigendo il suo sguardo verso ciò che c’era aldilà del vetro. Non la città, non le strade, non il cielo. Ma il mare.

In fondo si trattava solo di sopportare un’altra ora di lezione, no?
 

 

*~*~* 

 Piccola Nota dell'Autrice:
Non so chi se n'è accorto, ma per questo capitoletto ho preso ispirazione dalla Dou "No. Number" di ROM-13 =)
Critiche e commenti ben accetti ♥

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Capitolo 5
*** Entry #5: Venerdì, xx/x/20xx ***


Venerdì, xx/x/20xx ~ Mare Poco Mosso


Ora dovrebbero essere pronti...

Diede un’occhiata ai fagioli lasciati a bollire nella pentola. Prese un cucchiaio e ne assaggiò uno, freddandolo per bene col soffio prima di metterlo in bocca.

“Oi, Sanji! Sono pronti quei fagioli?!”

Oddio che rompicoglioni... “Sì, solo un momento, vecchiaccio,” rispose lui scolando i legumi.

“Vecchiaccio a chi, mezza tacca?!” esclamò l’altro correndo in cucina. “Abbi un po’ di rispetto per chi ti ha cresciuto, ragazzino!” lo rimproverò un uomo alto e robusto dai lunghi baffi biondi.

“Sì, sì, Zeff...” rispose distrattamente Sanji mentre sistemava il cibo su un piatto. O perlomeno, quella fu la sua occupazione finché non venne preso per il bavero della divisa da cuoco e fatto voltare a forza.

“Ascoltami, Sanji,” cominciò Zeff, serio più che mai. “Ho fatto i salti mortali per tirarti su dopo la morte dei tuoi genitori.”

Il biondo abbassò gli occhi, il volto oscurato dai capelli.

“Ho ricevuto un’altra segnalazione dalla scuola.” Allentò il pugno, lasciando solo una maglietta stropicciata come segno della sua rabbia. “Vedi di mettere la testa a posto, una buona volta, e cerca di farti le basi per il tuo futuro.” Dicendo questo si voltò, dirigendosi verso l’uscita con il piatto in mano, lasciando il ragazzo ai suoi pensieri e alla mercé del silenzio degli altri.

Eccolo di nuovo. Quel dannato silenzio. Quella cappa di piombo che sembrava opprimerlo ogni istante della giornata. Sapeva benissimo che i cuochi e i camerieri lo stavano guardando, spauriti. Sbuffò, divertito, trattenendo a stento una risata, mentre si rimetteva al lavoro, presto imitato da tutti gli altri inservienti. C’era abituato, in fondo.

Lo sapeva che il vecchio gli aveva dato il meglio. Non c’era bisogno che glielo ricordasse un’altra volta, per di più di fronte agli altri.

Cominciò a tagliare un sedano. Tac, Tac, Tac, il coltello che sbatte sul legno del tagliere.

Ma non era colpa sua se odiava quel posto. Non che avesse qualcosa contro gli insegnanti o altro. É solo che... sentiva di non essere nel posto giusto.

Tac, Tac, Tac. Strusciò la lama del coltello sul tagliere per scansare da un lato il sedano spezzettato. Prese una carota e cominciò a tagliare anche quella, meccanicamente.

Beh, almeno la cucina gli dava una certa soddisfazione. Non sapeva nemmeno lui come, ma gli veniva naturale. Persino le ricette più difficili, davanti a lui, diventavano semplici manicaretti. Ma non era lì - in quella piccola cucina del ristorante di Zeff, ancorata a terra - che voleva dare sfogo alla sua creatività e bravura.

Tac, Tac, Tac. Il suo sguardo era perso altrove, non vedeva le verdure che le sue mani, automaticamente, prendevano e tagliavano.

I suoi genitori erano marinai. Avevano lavorato tutta la vita su una nave da crociera. Lei come cantante, lui come capo chef. Loro sì che erano stati liberi. Sempre in giro per mare, ogni giorno una nuova città in cui sbarcavano. Non come lui, lì sulla terraferma.

Tac, Tac, Tac.

Spesso si chiedeva come mai la gente non capiva questo concetto base. Lui, a camminare sulla terra, non ci voleva stare. Aveva pure diciott’anni, dannazione, era in piena facoltà di scegliersi da solo il suo futuro! Invece no, doveva ancora esserci il vecchio, un professore - o una ragazza - a dirgli cosa fare.

Tac, Tac, Tac.

Ah, ma prima o poi sarebbe salito tutto a galla. Proprio come quei fagioli, per rimanere in ambito culinario. La sua era una cottura lenta - assorbiva il calore dell’acqua, sopportava - per poi salire in superficie non appena pronto - si sarebbe fatto sentire a suon di calci e pugni, avrebbe protestato.

Tac, Tac, Tac.

Forse era proprio quella cappa di silenzio che lo teneva incatenato lì, a terra.

Tac, Tac--

“Cazzo...” sibilò portandosi il dito alla bocca. Ci mancava solo che si tagliasse.

 

Wow, semplicemente fantastico. 


*~*~* 
 

 

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Capitolo 6
*** Entry #6: Sabato, xx/x/20xx ***


Sabato, xx/x/20xx ~ Mare Calmo


“Sanji!”

“Eh.”

“Ti va di venire alla partita?”

“Naaah, per oggi passo, grazie.”

“Non sai che ti perdi! Ma perché stai andando di sopra?”

“Ho dimenticato una cosa in classe di fisica.”

“Ah, allora ci si vede!”

“Sì...”

Salì in fretta le scale, tirando dritto giù per il corridoio, sorpassando il laboratorio di chimica e l’aula di fisica. Un’altra piccola rampa di scale, una porta, e finalmente era fuori, sul tetto. Sopra a tutti, davanti al mare. Nell’unico angolo in cui sopportava di rimanere sulla terraferma.

Come sempre, si sistemò sul parapetto di sicurezza, le gambe sospese nel vuoto, il mento e le braccia adagiati sulla ringhiera.

E stette immobile, in silenzio.

Solo lui, il mare, e gli strepiti dei gabbiani.

  
*~*~* 

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Capitolo 7
*** Entry #7: Lunedì xx/x/20xx ***


Lunedì, xx/x/20xx ~ Mare Molto Mosso


Poggiò la pila di fogli sulla scrivania con un sospiro stanco. Si tolse gli occhiali rettangolari passandosi una mano sugli occhi, abbandonando le buone maniere da professore per sbracarsi sulla sedia.

Dio se non era stanco. In fondo, correggere un centinaio di temi non era un compito facile.

Diede una veloce occhiata all’orologio appeso al muro, a malapena visibile nella penombra in cui la stanza era stata immersa dal tramonto. Le sei e mezza. Sospirò di nuovo, recuperando gli occhiali. Era ora del suo appuntamento.

 

Si lasciò scappare una piccola risata mentre si chiudeva alle spalle la porta dell’Aula Professori. Chissà se quel marmocchio aveva davvero avuto le palle per realizzare il suo sogno. 
 


*** 


Ammise di esserci rimasto un po’ male quando, aprendo la porta che portava al tetto, vide la giacca nera del suo alunno sventolare sferzata dal vento.

Come ogni altra volta che lo aveva trovato sul tetto, si era seduto sulla ringhiera di sicurezza, a fissare l’oceano con quello sguardo malinconico che non aveva mai lasciato vedere a nessuno dei suoi compagni.

“Non puoi attraversare il mare semplicemente stando fermo e fissando le onde,” si sentì in dovere di ripetergli un’altra volta.

L’altro si voltò, scoccandogli un’occhiata rabbiosa. “E tu che cosa vuoi, marimo?”

Il professore si passò una mano tra i corti capelli verdi, sospirando rassegnato. “Sono il tuo insegnante, Kuroashi, mostra un minimo di rispetto e chiamami nel modo appropriato,” lo riprese avvicinandosi.

Il biondo tese le labbra in un sorriso sprezzante. “Oh, mi dispiace molto, Zoro-sensei,” disse in tono falsamente carezzevole.

“Che diamine ci fai qui?” gli chiese l’uomo, ignorando l’odiosa attitudine di quel damerino.

Sanji sbuffò stizzito tornando a guardare il mare. Rimase in silenzio, lasciando che i suoi occhi corressero liberi sulla linea dell’orizzonte, sulle onde dorate e la loro spuma argentea. Zoro non trovò opportuno rompere quella quiete, si limitò ad affondare le mani in tasca, in attesa.

“Io...” azzardò infine il liceale senza staccare gli occhi dai gabbiani che eseguivano il loro solito giro di ricognizione sul mare. “Non lo so, ok?” concluse infine senza preoccuparsi di nascondere la rabbia e l’indecisione che gli ribollivano dentro.

“Non lo sai,” ripetè scettico Zoro, alzando un sopracciglio.

“No,” ribatté atono l'altro.

“Allora sei davvero un eterno indeciso.” Si voltò e cominciò ad avviarsi di nuovo verso le scale quando fu strattonato bruscamente indietro per la felpa.

“Che cosa ne sai tu?!” urlò Sanji tirandolo indietro, dando sfogo a tutta la frustrazione che aveva accumulato. “Tu non sei mai stato rinchiuso in una scuola, tu non sei mai stato costretto ad essere una persona che non sei, tu non sei mai stato costretto a ripagare il debito di una vita...” Il tono della sua voce si affievolì man mano che si rendeva conto della veridicità delle parole del suo insegnante, del fatto che fosse veramente indeciso sul da farsi. Lasciò andare la felpa di Zoro, dirigendo i suoi occhi spalancati di nuovo verso l’oceano. “Io...” disse di nuovo, improvvisamente calmo. “Io voglio trovare l’All Blue,” ammise scioccato in un soffio, quasi come se lui stesso non avesse mai saputo quale fosse stato il suo sogno fino a quel momento. “E lo so che può suonare una cazzata, parlare di questa leggenda nel ventunesimo secolo, ma--“

“Non m’interessa cosa può e non può sembrare,” lo interruppe rudemente Zoro. “So solo che quello stramaledetto oceano è la culla dei tuoi desideri, non ho bisogno d’altro.” Si risistemò la felpa, mettendo nuovamente le mani in tasca. “Non sto parlando da insegnante o da amico, qua,” lo avvertì. “Ti sto parlando da uomo a uomo.”

Sanji ascoltava, rifletteva, senza guardare Zoro in faccia nemmeno una volta.

“Mi hai detto che sei abbastanza adulto da decidere da solo per il tuo destino. Perfetto, ma dimostralo!” Per qualche assurdo motivo si stava arrabbiando anche lui. Ed era tutta colpa di quel maledetto ricciolino, dannazione. Cercò comunque di non lasciarsi prendere troppo dalle emozioni del momento e di rimanere serio. “Questa è una di quelle volte in cui bisogna tirare fuori gli attributi e dare una svolta decisiva alla propria vita. Capisco che vuoi ripagare qualcuno per averti tirato su, ma sei uno stupido se pensi di poter avere tutto allo stesso tempo. Se vuoi ringraziare questo tizio allora resta a terra e di’ per sempre addio al tuo sogno di solcare i mari.”

Il biondo recuperò lentamente un biglietto dalla tasca dei pantaloni. Se lo rigirò tra le mani, vedendolo senza guardarlo. Sabato aveva visto un annuncio sul giornale, cercavano cuochi per una crociera, proprio come gli avevano detto. Lui non ci aveva pensato due volte e si era catapultato all’ufficio assunzioni. Ovviamente l’avevano preso subito, specie dopo una dimostrazione pratica delle sue abilità. Aveva già la valigia pronta, le varie lettere di saluto scritte. La nave partiva martedì. Credeva di essere sicuro di voler partire, di voler abbandonare quella vita che tanto odiava per cominciarne una nuova. Invece si era ritrovato di nuovo sul tetto della scuola prima che potesse rendersene conto, a riflettere quanto fosse realmente difficile andare avanti. Si era ritrovato a pensare quanto fosse distante quell’orizzonte sconfinato d’oro e cremisi su cui il sole si posava.

“Ma se davvero vuoi realizzare il tuo sogno,” continuò imperterrito Zoro, “allora muovi il culo e sali su quella fottutissima nave.” Dannazione, alla fine c’era riuscito quel ricciolino con il suo odioso silenzio a farlo diventare volgare, eh? “Seguire la strada che abbiamo scelto non è mai facile, tirassegno. Ovunque andrai troverai sempre situazioni come questa, situazioni in cui bisogna scegliere. Non aspettarti che la gente ti tiri addosso i tuoi sogni, o che te li mettano sotto al naso su un piatto d’argento. Non sempre troverai qualcuno che ti dica sempre cosa fare. Quindi fa la tua scelta, una volta per tutte. Dimostra di essere un vero uomo, non un ragazzino deficiente e rammollito che non è nemmeno capace di decidere per se ste--“ Si bloccò, sorpreso, quando Sanji improvvisamente si voltò e, a passo svelto, lo superò tenendo la testa bassa.

“Oi, marimo,” lo chiamò poi. Zoro si girò, arrabbiato d’essere stato chiamato con quel nomignolo di nuovo. Il biondo gli sorrise di nuovo, beffardo. “Ma che cosa credevi?” gli chiese aprendo la porta alle scale. “Ero qui solo per dire addio a quei tuoi schifosissimi capelli verdi, mica per altro.” E prima che il professore potesse replicare, sparì di corsa, sbattendo la porta dietro di sé.

Zoro la fissò per qualche istante sbattere sugli stipiti e si riaprirsi per via dell’impatto troppo potente, ascoltando il suono che le scarpe del suo alunno producevano battendo velocemente sui gradini. Poi abbassò la testa, portandosi una mano sugl’occhi. Dopo qualche sussulto, non riuscì più a trattenersi ed alzò il volto al cielo, scoppiando a ridere.

Brutto ricciolo bastardo che non sei altro. 

 

*~*~* 

 

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Capitolo 8
*** Entry #8: Martedì, xx/x/20xx ***


Martedì, xx/x/20xx ~ Mare Calmo


“Ehi, poi chi ha vinto la partita?”

“Ma Vivi, noi ovviamente! Con Chopper in porta e Rufy in attacco non potevamo fare altro che vincere!”

“Wow!”

“Certo, abbiamo vinto, ma l’assenza del nostro cannoniere s’è sentita parecchio...”

“Di chi, Usopp?”

“Beh, di Sanji, no? Quel tipo sembra che ci voli, su quelle gambe. Tira certe cannonate che, woah, bucano persino la rete della porta.”

“Cristo che potenza...”

“A proposito, dov’è? Stamattina ancora non s’è fatto vedere...”

“Boh, magari sta male. Ieri l’hai visto, no? Era pallido, con la testa per aria...”

“Forse hai ragione, Helmeppo... Ma pure il professore, dove diamine è finito?! La lezione è cominciata da un pezzo.”

“Ancora con questa storia!? Consideralo come un pausa ex--“

“Ragazzi, forza, vi voglio tutti seduti e zitti.”

“Zoro-sensei, si è per caso perso di nuovo nell’edificio scolastico?”

“Sta zitto, nasolungo. Ora, l’appello... Monkey D. Rufy?”

“Uhm?”

“Bene, ci sei, e smettila di mangiare in classe, altrimenti ti appendo fuori dalla finestra. Tony Tony Chopper?”

“Presente.”

“Bene. Nefertari Vi--“

“Sensei, ha per caso imparato come si fa l’appello?”

“Ti ho detto di tenere il becco chiuso, nasolungo.”

“Comunque sono presente, professore.”

“Kuroashi Sanji?”

“... Non è qui, sensei.”

“Sensei, perché sta sorridendo?”

“Per la terza volta, sta zitto, nasone.” 
 


*~*~* 

 

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Capitolo 9
*** Entry #9: Giovedì, 20/x/20xx - Appena Dopo L'Ultima Ora ***


Giovedì, 20/x/20xx :  appena dopo l’Ultima Ora ~ Tempesta


Tirò indietro la sedia, strusciandola contro il pavimento con un secco stridio. “Vediamo di finirla in fretta,” sospirò Sanji sedendosi scompostamente sulla sopracitata. Fissò annoiato il professore, in attesa della solita vecchia ramanzina - “Dovresti essere più preoccupato riguardo la tua situazione scolastica, non ti stai impegnando al massimo, so che potresti fare di più, se continui così verrai sbattuto fuori,” quella solita roba lì, insomma.

“Non mi fare quella faccia, Sanji, a me non la dai a bere,” replicò spicciamente Zoro, il volto congelato in quella sua perenne impassibilità.

Wow, lo aveva chiamato per nome, incredibile. “Quale faccia? Questa è la mia solita faccia, sensei, non so a cosa si sta riferendo,” disse il biondo fingendo meraviglia, tanto per irritare ancora di più il suo insegnante. Peggio di così non poteva andare, in ogni caso. Sperava di farlo arrivare ai limiti dell’esasperazione cosicché lo avrebbe cacciato fuori dall’Aula Professori. Al più presto possibile. Con tanto d’intimazione a non farsi più vedere. Quello che sarebbe stato un sogno che s’avvera.

“Sanji, smettila di fare il cretino.”

La freddezza della sua voce gli fece subito alzare la guardia. Abbandonò l’atteggiamento odiosamente amichevole per scoccare al verde un’occhiata inviperita. “Che diamine vuoi, marimo?”

“Oi.” Lo fissò, gelido come non mai, mentre pressava la punta di un indice sul tavolo al ritmo della sua voce. “Sono più grande di te e sono il tuo insegnante, vedi di prestarmi un po più di rispetto.”

Il liceale non replicò, optando di mantenere il... come si chiamava? Silenzio degli Innocenti? Boh, forse è  quello. Comunque non aveva intenzione di parlare, specie se con quell’alga marina del suo professore. Magari ho anche diritto ad un avvocato...heh...

Ignorando la sua non disponibilità, Zoro andò avanti, poggiandosi sul tavolino con entrambi i gomiti. “In nome del Cielo... Che diavolo ti è preso? Manca poco ai voti di fine semestre, non dovresti andare a causare problemi che potrebbero farti abbassare la media proprio ora.”

Sbuffò divertito, abbandonando un braccio dietro lo schienale della sedia. “Hah, ma io ho solo fatto a botte con chi mi aveva sfidato. Non li ho mai provocati.”
“Comunque, di solito cercavi di essere più discreto per non essere scoperto,” continuò imperterrito l’altro.

Mise su un’espressione provocante, prendendolo in giro. “Oh, mi conosci.”

“Ovvio che ti conosco, idiota,” sospirò alzandosi. Allungò una mano attraverso il tavolo per farla scivolare sotto la giacca di Sanji, sorprendendo il liceale. Tirò fuori un pacchetto di sigarette. “Ed anche queste,” disse battendoci un dito sopra. “Almeno nascondi l’odore. Non ti posso aiutare se qualcun altro oltre me lo viene a sapere.” Fece una pausa per scoccargli una lunga occhiata indagatrice. “Perché lo stai facendo?”

“... Facendo cosa?” Tentò nuovamente l’approccio da finto tonto.

“Risparmiami il teatrino da innocente. Stai facendo tutto questo di proposito,” replicò stizzito Zoro mentre giocherellava con il pacchetto di sigarette. “Stai sbandierando ai quattro venti con ostentazione che fumi e fai a cazzotti. Sai esattamente quello che stai facendo. Ti sto chiedendo cosa speri d’ottenere con tutto questo.” La sua non era una domanda: era un ordine.

Il biondo grugnì, annoiato dalla solita solfa. Cercò di tornare al silenzio, ma lo sguardo di quel marimo spregevole gli stava letteralmente trapanando il cranio. Dopo qualche istante di muta sopportazione, anche l’ultimo argine alla sua rabbia crollò, lasciando che il fiume delle sue emozioni lo inondasse. “Che cosa voglio?” ripeté, incredulo di fronte a quella domanda per lui così ovvia. Sbatté una mano sul tavolo abbandonando le buone maniere da gentiluomo per passare alla strafottenza adolescenziale. “Prima di dirti cosa voglio, ti dirò cosa non voglio. Non voglio che le ragazze mi sbattano a destra e sinistra per fare i loro comodi. Non voglio che i ragazzi dell’ultimo anno mi provochino. Non voglio fare il leccaculo ad ogni professore che incontro solo per prendere bei voti. Non voglio che qualcuno mi chieda cosa sia giusto e cosa sia sbagliato per poi darmi contro il momento stesso in cui finisco di parlare. Non voglio--“ E continuò ad elencare, elencare ed elencare tutto ciò che trovava di marcio nella sua vita - quindi più o meno tutto - mentre Zoro ascoltava in silenzio, stoico, seguendolo con gli occhi ogni qualvolta si alzasse e passeggiasse per la stanza.

Infine si fermò di fronte a lui, sorreggendosi sulla mano che aveva poggiato a pochi centimetri dal suo gomito. “Non voglio che qualcuno mi sgridi. E soprattutto, non voglio rimanere su questa fottutissima terra ferma.” Ecco, l’aveva detto. L’aveva finalmente detto. Dio quanto aveva aspettato questo momento! Ma... perché dirlo proprio a quel professore? In fondo, per lui non era nessuno di speciale. Solo uno dei tanti tizi che si mettevano dietro ad una cattedra ben disposti a farsi mandare mille e più paralisi dai loro studenti. Eppure... per la prima volta era stato libero di parlare senza che lo interrompessero ogni due minuti.

Il verde sospirò, riflettendo su quanto gli era stato appena rivelato. Giunse le mani di fronte a sé, poggiandoci sopra la fronte. “Sanji, ascoltami.” Il suo tono era insolitamente pacato, la sua postura rilassata. “Io ti conosco da quando eri bambino, lo so quando qualcosa ti turba.” Ed era vero. Lo conosceva bene, quel ragazzo. Era stato il suo vicino di casa - nonché tutore alle medie - fin da quando frequentava il liceo. I suoi genitori erano spesso assenti, chi si prendeva cura di lui era lo zio. Lo aveva praticamente visto crescere, quel biondino scapestrato. Poi aveva dovuto lasciare la città per andare al college, tornando quattro anni dopo. Quando l’aveva rivisto, aveva subito capito che qualcosa in lui era cambiato. “Esattamente, qual è il tuo sogno?” gli chiese con solennità.

Lì per lì Sanji non seppe come rispondere. Si sentiva colpevole, come quando faceva scena muta ad un’interrogazione. Ciononostante, non aveva nulla di cui sentirsi in colpa. Mica poteva prepararsi per una cosa del genere. Heh-heh. Stavolta non era nel torto, nossignore--

Oddio, ma a che cosa diamine sto pensando?Dio, patetico. Per caso era nervoso? Cristo, quel marimo era riuscito a metterlo in difficoltà?! Gli veniva da ridere, sul serio.

Ma non fu tanto questo a farlo esitare, quanto la consapevolezza che non aveva una risposta. D’altro canto, nessuno prima d’ora glielo aveva mai chiesto.

“L’All Blue,” rispose infine fissando il tavolo. “Il mare di tutti i mari.” Nemmeno si era accorto di star parlando, le sue labbra agivano da sole, mosse dall’emozione del momento. “Sì, la leggenda del cavolo a cui più nessuno crede,” aggiunse poi in tono annoiato, ripetendo le parole che spesso gli venivano dette in mezzo a tante risate ogni qualvolta si azzardasse a parlare del suo sogno.

Trasse un lungo respiro, allontanandosi dal tavolo per strusciare fiaccamente i piedi fino l’ampia finestra che dava sul cortile - ora deserto - della scuola. Il cemento stava cominciando a colorarsi di rossastro, ferito dai raggi del sole calante. Le ombre si stavano facendo più lunghe e spesse, pronte ad ingoiare il cancello, il patio, tutto, nella loro oscurità. Solo l’Aula Professori pareva essere un’eccezione, largamente illuminata, con le sue luci al neon accese. Un’eccezione, come lui.

“Io voglio viaggiare, come i miei,” disse poi, più a se stesso che a Zoro. “Voglio vedere ogni giorno un posto nuovo, voglio trovare l’All Blue.” Prese fiato per aggiungere altro, ma si fermò, rilasciando infine l’aria in un lungo sospiro. “L’unica cosa che voglio sentire sono l’infrangersi delle onde sulla scogliera, l’unica cosa che voglio vedere è il mare che si allunga fino a toccare l’orizzonte,” mormorò, quasi con rassegnazione.

Diede in una piccola risata a denti stretti. “Ma tanto lo so che non accadrà mai.” Si voltò con uno sciolto ed ampio movimento, tornando a fissare Zoro con un misto di strafottenza ed amarezza. “Quindi vediamo di finirla in fre--“

“Ma allora sei davvero deficiente come giustamente credevo.”

“Che cos...?” disse in un soffio, stupefatto. Ah, questa era una cosa che proprio non se l’aspettava da un professore. Nel senso, non che non ci fosse abituato - anzi, tra casa e scuola, poteva scriverci un libro con tutti i modi in cui l’avevano insultato - ma... è strano quando esce dalla bocca del tuo tutore. Mentre nella sua mente frullavano queste idee, si riprese in fretta, corrugando la fronte e scoprendo i denti in una smorfia rabbiosa. “Cosa vuoi insinuare, sottospecie di alga spiaggiata?!”

L’altro non accennò a cambiare la sua attitudine calma e rilassata. “Niente, è come ho detto. Chiaro e tondo.” Parlava come se stesse spiegando un concetto elementare ad uno stupido bambino di due anni.

A quello non seppe davvero più trattenersi. Scattò in avanti, afferrando Zoro per il collo della maglietta. Rinunciò, però, all’idea di tirarlo su nel momento esatto in cui lo toccò: era pesante, oltre che ad essere molto più alto e robusto di lui. “Non accetto critiche dai tipi come te,” sibilò, guardandolo con piaggio.

Zoro continuò a fissarlo, gelido. Cosa che fece infuriare Sanji ancora di più.

“Che ne sai tu: niente!” continuò con rabbia crescente. “Che ne sai tu che cosa significa perdere i genitori? Che ne sai che cosa significa avere un sogno irrealizzabile?! Che ne sai cosa significa sentirsi in gabbia?! NIENTE! Tu di certo non ti preoccupi se parte una nave al porto, no, per te è una cosa normale. Anzi, perché dovrebbe fregartene in primo luogo?!” Ridacchiò nervosamente, un ovvio sfogo di adrenalina. “Io, però, ogni volta che ne vedo una prendere il largo, mi sento sprofondare tre metri sottoterra. Perché è partita, ed io non ci sono salito sopra. E non guardarmi con quell’aria da “è una cazzata assurda”, perché non lo è. Non ti permetto di ridere in faccia al mio sogno, marimo bastardo.”

“Stupido ricciolino ritardato,” replicò il verde, afferrando la mano del liceale stretta attorno alla sua maglia. “Non sto ridendo in faccia al tuo sogno...” Lentamente la strinse, fozandolo a mollare la presa. “Ma alla tua cretinaggine,” concluse alzandosi per squadrarlo grevemente. Non gli lasciò andare il polso, voleva tenerlo fermo dov’era. Doveva starlo a sentire e basta. “In questo momento mi sembri un marmocchio che piange, piange e piange, finché non gli danno il suo giocattolo. Un lattante che non ha nemmeno un briciolo di determinazione per decidere il proprio futuro.”

Sbuffò, tendendo le labbra in un sorriso sprezzante. “Non trattarmi come uno sprovveduto,” lo intimò. “Sappi che io sono abbastanza cresciuto da prendere la mia vita tra le ma--“

“Io so solo che non puoi attraversare il mare semplicemente stando fermo e fissando le onde, ragazzino,” lo rimbeccò Zoro, liberando nel suo tono di voce qualche scheggia della sua irritazione. “Cresciuto? Ma dove? Magari solo in altezza,” proseguì con un lieve accenno di spregio. “Se tu fossi realmente cresciuto allora ti comporteresti da vero uomo, impegnandoti al massimo per raggiungere quel sogno. Invece no, tu stai qui, a piangerti addosso, a giocare una partita che secondo te è già persa. Ad aspettare che qualcuno bussi alla porta di casa tua e ti dica ‘ Salve, ecco a lei il suo sogno ’.” Stavolta fu lui ad afferrare l’altro per il bavero dell’uniforme. “Sai che c’è? Non funziona così,” gli disse in un sussurro a denti serrati, vicinissimo al volto del biondo, i suoi occhi scuri fissi in quelli azzurri di Sanji. Lo lasciò andare con una lieve spinta, voltandosi poi per tornare alla sua sedia, senza però mai interrompere il contatto visivo.

Sanji era scosso, in ogni senso della parola. Si sentiva rintronato sia a livello fisico che mentale. Era come se qualcuno avesse appena smagnetizzato la bussola del suo cervello; in un primo momento non seppe chi era, dov’era, cosa stesse facendo, i pensieri si formulavano da soli per poi polverizzarsi al minimo accenno di presa di coscienza. Ma, repentina come i cavalloni in mare aperto, una zaffata di nuova ira lo pervase - insomma, lui le solite vecchie prediche non le aveva mai accettate, e mai le accetterà, perché sapeva anche meglio dei suoi compagni che la vita non era solo rose e fiori - ristabilendo il suo precario equilibrio. Effimera però, si sciolse non appena incontrò nuovamente gli occhi del professore. Lo avevano... tranquillizzato, forse? Perché non erano furiosi, non erano sprezzanti. Erano semplicemente attenti. E magari giusto un tocco rassegnati.

Incredibile, quell’uomo era incredibile. In tutti gli anni che lo aveva conosciuto non era mai riuscito, nemmeno una volta, a capire cosa gli passasse per quella schifosa testa verde. Magari il marimo era lunatico. Sì, doveva essere quello. O, peggio ancora, schizofrenico. Hm, sì, per forza. Soltanto “imprevedibile” non bastava a descriverlo.

Si limitò quindi ad assottigliare lo sguardo, nascondendo efficacemente il tumulto dentro di sé.

Zoro infine sospirò, strofinandosi piano la nuca. Distolse lo sguardo dal liceale per farlo scorrere sulla mobilia della stanza, dicendo “Senti, sono il tuo docente...”

Oddio, no. Proprio ora che stava cominciando a considerarlo un insegnante decente, diverso da tutti gli altri, partiva con la ramanzina. Poteva persino prevedere cosa gli avrebbe detto. Tanto era sempre uguale. “Tu sei un alunno che potrebbe prendere dei voti altissimi, lo sai.”

“Tu sei un alunno che potrebbe avere dei voti altissimi, lo sai.”

“Sempre con molto impegno da parte tua, è ovvio.”

“Sempre con molto impegno da parte tua, ovvio.”

“Vorrei davvero aiutarti, ma non posso fare tutto da solo.”

“Vorrei aiutarti, ma non posso inventarmi i voti.”

“Quindi il mio consiglio è: mettiti sotto a studiare.”

“Quindi il mio consiglio è: sali su una nave e parti.”

“Altrimenti sarò costretto a chiama--“ Che cosa...?! Spostò lo sguardo dalla libreria che stava fissando senza interesse per farli saettare di nuovo sul professore, stupefatto. I suoi occhi si spalancarono, le labbra si dischiusero e la mascella si rilassò, come la sua postura in generale. Ma non riuscì a biascicare nemmeno mezza parola.

L’altro trasse un lungo respiro. “E sì, lo che sono il tuo insegnante, che non dovrei stare a dirti queste cose, che dovrei preoccuparmi solo, soltanto ed unicamente alla tua educazione, ma...” Corrugò la fronte in un’espressione che diceva ‘beh, è ovvio!’. “Sei quel tipo di persona che ha bisogno di saltare sulla prima cosa che galleggia che trova e prendere il largo. Basta.”

Si riprese a malapena dallo shock iniziale. Chinò il capo, oscurato dai capelli biondi, per poi scuoterlo, accompagnato da una roca risatina. “Nah, non potrà mai accadere,” ripeté alzando il volto al cielo, gli occhi coperti da una mano, le labbra tese in un sorriso al contempo beffardo e rassegnato. “Ho un debito da saldare, in fondo...” Ogni qualvolta considerasse seriamente l’idea di partire si ripeteva quelle parole come un mantra e tutto passava. Passava, come un malore. Wow, grandiosa immagine di ‘sogno’ che hai, pensò amaramente.

“No Sanji.”

Il tono serio, la voce profonda, uniti al fatto che l’aveva effettivamente chiamato per nome, lo spinsero ad abbassare la mano per guardarlo. Stupito, una volta di più.

“Ho un amico che lavora nell’organizzazione di crociere,” attaccò poi, buttandola sul casuale, sedendosi.

Sanji pressò le labbra tra loro, riducendole ad una sottile linea rosea. Raggiunse la porta a grandi falcate, cercando di non ascoltarlo. Perché non poteva. Sapeva che ci avrebbe davvero pensato, facendolo magari anche stare peggio di come stava.

“Mi ha detto che probabilmente metteranno un annuncio sul giornale per cercare personale,” continuò imperterrito.

Poggiò una mano sul freddo pomello di metallo, ma rimase immobile. Improvvisamente era diventato pazzescamente pesante, rendendo l’atto di girarlo praticamente impossibile.

“Se tieni al tuo sogno, se sei pronto a rischiare tutto, se sei un vero uomo...” Tese le labbra in un lieve sorriso. “Sali su quella dannata nave.”

Mentre pronunciava quelle cinque parole udì il click della serratura che si apriva, il rumore di suole allontanarsi a passo svelto, la porta che si chiudeva di nuovo.
Da solo nella stanza, il suo sorriso si allargò in un ghigno di sfida. “Cazzo se non ci salirai,” ridacchiò. “Anche perché ti ci manderei sopra ad ogni costo, dovessi pure ammazzarti, ricciolino.”
 

~ END ~

 

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