THIS SHOULDN'T HAPPEN AGAIN

di Diomache
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The sound of your heart when you're running ***
Capitolo 2: *** Truth alwais hurts ***
Capitolo 3: *** Lui. Lei. L'altro. ***
Capitolo 4: *** Twilight ***
Capitolo 5: *** Falling ***
Capitolo 6: *** If you die everibody loves you ***
Capitolo 7: *** A Dangerous way (part I) ***
Capitolo 8: *** A Dangerous way (part II) ***
Capitolo 9: *** How is possible? ***
Capitolo 10: *** Destiny's taste ***
Capitolo 11: *** Cameron:III, House: 0 ***
Capitolo 12: *** Chase, I can't ***
Capitolo 13: *** No need for anything but music ***
Capitolo 14: *** What love can do that dares love attempt ***
Capitolo 15: *** Like lovers do ***



Capitolo 1
*** The sound of your heart when you're running ***


Ciao a tutti

Ciao a tutti!!

Come vedete eccomi tornata con una nuova fic! Mi spiace, ma non è quella che avevo in programma, Chicago. Quella è ancora in progress..

“This shoulden’t happen again” è la frase cha Chase pronuncia a Cameron nell’episodio Hunting, riferendosi al loro rencente incontro.. letteralmente “questo non dovrebbe accadere di nuovo.”

Pur essendo io una Cottoncandy fino al midollo, ho deciso di scrivere una storia che spazia un po’ dalla coppia HouseCam, trattando questo strano triangolo: House-Cameron-Chase… dopo aver visto Hunting, mi sono domandata cosa sarebbe accaduto, cosa avrebbero provato Cameron, Chase ed House adesso.

E la mia fic è proprio questo. È l’evolversi di questa stranissima situazione, in cui i sentimenti si confondono, si sovrappongono, vengono a galla.

Non saprei dire qual è il paring della mia fic.. forse lo scoprirete solo alla fine..

Spero che mi lascerete un commentino, giusto per sapere che ne pensate e come potrei migliorarmi!

Un bacio a tutti e buona lettura,

Diomache.

This shouldn't happen again

“this shouldn't happen again”

“Do you think I want it to?”

Chapter one: The sound of your heart when you’re running

Musica.

Quella voce bellissima e forte nelle orecchie e nient’altro.

Musica in ogni fibra del suo corpo, musica nella mente, nelle braccia, nelle gambe.

Niente, non sentiva nient’altro. Ed era una sensazione bellissima, stupenda. Sentirsi piena di qualcosa che sia bellezza e grinta, aprire gli occhi e vedere il paesaggio che scorreva velocemente intorno a lei e guardarlo con occhi diversi.

Sentire il profumo dell’estate sulla sua pelle, il vento tra i capelli, il sole sulla faccia.

Sentirsi finalmente senza paure, libera, leggera come se stesse per iniziare a volare da un momento all’altro.

Avere la bellissima sensazione di non avere nulla in testa, come se fosse piena di spazio.

Oppure sentire il suono del suo cuore. Mentre stava correndo.

Sentire le gambe completamente indipendenti dal resto del corpo, correre sull’asfalto scuro e illuminato appena da quel sole sull’orlo del tramonto.

C’era niente di più bello?

Senza preoccupazioni, senza se stessa. Senza la sua razionalità, senza Allison Cameron.

Senza il suo amore stupido per un uomo e il desiderio, altrettanto stupido, per un altro.

Senza niente e nessuno.

Corse.

Corse tanto, più di quanto il suo fisico allenato era abitato a fare.

Si fermò molto più tardi di quanto aveva programmato e solamente quando sentì che le gambe non l’avrebbero più portata. Quando la musica, la rabbia per i suoi sentimenti incompresi, per la possibilità di essere malata, più di quanto non lo fosse già, la rabbia per la sua stupidità, fin quando anche l’odio che provava verso il mondo e se stessa non era bastato a farla correre ancora.

Allison si fermò, il respiro che non voleva saperne di ritornare nei polmoni, le gambe che a stento la reggevano ancora in piedi, appoggiò le mani alle ginocchia, e chiuse gli occhi.

Esausta.

Esausta e felice. Ecco come si sarebbe definita.

Si raddrizzò, si asciugò la fronte con il palmo della mano e assaporò la bellissima sensazione di piacere e stanchezza insieme che solo lo sport sapeva donarle. Sapeva farla sentire leggera e spensierata, senza problemi.

Una ragazza tranquilla, con il suo lavoro.

Senza la possibilità di essere malata di HIV.

Senza l’amore per un uomo bastardo, stronzo, misogino e figlio di puttana.

Senza il desiderio e l’errore di essere andata a letto con un suo collega. Con un suo bel collega.

Semplicemente stanca. E basta.

Allison mosse dei passi incerti verso la sua auto, poco distante da dove si trovava ora.

Per fortuna, non sarebbe stata in grado di camminare ancora.

La sua abitazione le sembrava stranamente accogliente quella sera.

Aveva ancora i capelli bagnati per la doccia che aveva fatto poco prima e si trovava seduta sul divano ad ascoltare quella deliziosa musica classica che si diffondeva nell’ambiente in maniera quasi “naturale”.

Come se quella serenità avesse fatto sempre parte di casa sua, come se quell’appartamento fosse sempre stato un rifugio tranquillo, la sua tana.

Certo, adesso era tutto a posto. Tutto perfetto. Ma un paio di giorno di fa era tutto a soqquadro.

I suoi occhi si posarono istintivamente sul divano dove si era consumato il suo errore con Chase.

Non aveva immaginato che sarebbe potuto accadere. È vero, lo desiderava. Ma non aveva mai immaginato di poter essere attratta da qualcuno che non fosse il suo House.

Se qualcuno le avesse detto che cosa sarebbe accaduto, avrebbe riso di gusto.

La sua mente la riportò ad appena tre giorni prima.

Quel giorno sembrava un giorno come tutti gli altri.

Avevano un caso nuovo, un certo Kelvin, un tipo con l’HIV che tormentava House e che alla fine, a quanto pare, era riuscito ad ottenere una visita da lui. Anche se questa visita non era stata così.. amichevole..

Ma tutto era nella norma. House che picchia i pazienti? Beh, poteva considerarsi un fatto … molto sopra le righe ma, allo stesso tempo, molto molto alla House.

Non le era dispiaciuto troppo occuparsi di Kelvin, all’inizio.

Tutto sommato era affascinante star ad ascoltare i suoi sproloqui, le sue strane teorie e le avances che rivolgeva Chase erano davvero divertenti.

Soprattutto era spassassimo vedere il volto del suo collega ombrarsi di disagio e di irritazione e vederlo uscire frettolosamente dalla stanza del paziente. Ma oltre queste piccole sfumature, occuparsi di un malato era il suo lavoro e lei lo aveva eseguito con tranquillità, senza nemmeno farsi passare per l’anticamera del cervello quello che sarebbe potuto accaderle.

Finché non si ritrovò nella sua stanza, per un banalissimo test.

Dopo i primi minuti Kelvin iniziò a tossire e lei giustamente iniziò ad interessarsi della sua tosse. Quando lui le disse che sembrava sangue quello che aveva sulla mano si era voltata immediatamente, come avrebbe fatto ogni medico. Perché tossire sangue non è proprio normale.

No, forse non è corretto. Ogni medico non si sarebbe comportato come lei. Lei era stata troppo istintiva, troppo preoccupata per la salute del suo paziente da trascurare la propria. Troppo presa dai sintomi del paziente che aveva dimenticato la sua incolumità. O forse, se vogliamo, troppo ingenua.

E qui, la fatalità. Lei che si gira, si avvicina, preoccupata e Kelvin che è scosso da un nuovo e più violento attacco di tosse e il suo sangue infetto che le sprizza in faccia, negli occhi. Nella bocca.

E Allison, terrorizzata, immobile. Non aveva pensato a nulla, per circa un manciata di secondi. Aveva solamente sentito il suo sangue sulla sua pelle. E aveva sentito la consapevolezza che quello non era sangue qualunque.

Era sangue malato.

Malato di HIV.

Era rimasta immobile, ferma, incapace anche solo di respirare per alcuni secondi.

Poi però aveva realizzato subito ed era immediatamente corsa in bagno per sciacquarsi, detergersi il viso.

Tremava mentre lasciava che l’acqua le corresse sul viso, tremava mentre era corsa dal dottore specializzato in infezioni e si era fatta consigliare una terapia.

Tremava mentre lo ascoltava, tremava come una bambina incosciente che aveva commesso uno stupido errore, un errore che poteva pregiudicarle una vita intera.

Il dottore era stato rassicurante. Fin troppo forse ma lei sapeva benissimo che le probabilità di contagio erano basse. Ma c’erano.

Traballava mentre, uscita da quella camera, si dirigeva nel suo ufficio.

Sei settimane prima di fare il test. Un’eternità.

Era entrata nel loro ufficio e si era imposta di non farsi vedere così giù, così preoccupata. Così aveva mentito egregiamente quando Chase le aveva consigliato di prendersi un pomeriggio libero. Gli aveva risposto un “no, sto bene” cercando di apparire tranquilla.

Certo, era davvero una stupida se pensava di fregare House. Lui, con il suo sguardo contorto, indagatore e terribilmente arguto, l’aveva sgamata con meno di un soffio di Eolo. Le aveva letto subito l’ansia negli occhi e l’aveva ridicolizzata per il suo patetico tentativo di nasconderla.

Ma non c’ aveva badato tanto. Infondo conosceva bene Gregory House, sapeva che non le avrebbe mai detto una parola di conforto.

E pensava di poterne fare a meno.

Ma si era resa subito conto del contrario. L’aveva capito accorgendosi che lui era stato l’unico a non preoccuparsi affatto per la sua salute, l’unico che non le aveva chiesto nemmeno come stava. Non pretendeva che l’abbracciasse e le facesse sentire tutto il suo calore. Oddio, lei per lui lo avrebbe fatto. Ma non pretendeva di riceverlo.

Si aspettava un’occhiata, uno sguardo. Una mano sulla spalla nel migliore dei casi.

E invece niente.

Un niente elevato all’ennesima potenza.

Indifferenza, un’assenza assoluta di tatto e di comprensione.

Ma infondo, che doveva aspettarsi da lui?

Si era ritrovata sola con il suo dolore e il suo dubbio martellante, il suo chiodo fisso. Aveva risposto un secco no all’invito di Chase ad uscire con lui, all’inizio. Non le andava di uscire con Robert, lei voleva solo una parola. Ma da Gregory House.

Poi aveva visto quelle pillole, nel marsupio di Kelvin. Le aveva portate in laboratorio ma non tutte.

Aveva bisogno di sfogarsi, di urlare, di arrabbiarsi, proprio come le aveva detto l’uomo che forse l’aveva contagiata. Era andata a casa, furibonda con il mondo e con se stessa, con Kelvin e, sopra ad ogni cosa, con House.

Poi non ricordava molto.

Ricordava bene solo di aver chiamato Chase per dirgli che accettava ed usciva con lui. Ricordava di essere andata in cucina, di aver preso le piccole che teneva nella borsa e di averne prese due. Sapeva i rischi che correva, sapeva tutto.

Sapeva che si stava facendo male, ma non le importava affatto. Voleva andare fuori di testa, per un po’, potersi arrabbiare, non dover per forza seguire la sua logica, la sua mente, la sua razionalità. Voleva semplicemente staccare la spina.

I suoi ricordi erano un po’ sfocati ma ripescando nella sua memoria rivedeva benissimo il momento in cui Chase era entrato dalla porta del suo appartamento.

C’era la musica, altissima, rimbombante, c’era quella sensazione di assoluta beatitudine, c’era la droga.

E c’era Chase, davanti a lei.

Senza pensare, senza frenarsi si era buttata fra le braccia dell’unica persona che si era interessata a lei. Il motivo del suo interesse non le importava, l’importante era che lui era lì. Adesso.

Chase aveva opposto resistenza.

Ma una piccola resistenza.

Si vedeva benissimo che quella situazione eccitava anche lui, si vedeva lontano un miglio che quella era l’occasione che aspettava. Si vedeva che la desiderava e quando lei lo baciò di nuovo e gli sussurrò, con quella voce provocante “andiamo Chase, non fare il bravo ragazzo con me” l’aveva abbracciata e baciata con la sua stessa passione.

Non sapeva spiegare perché proprio lui. Perché proprio Robert Chase.

Forse l’unica risposta vera è che oltre quella porta c’era lui e se ci fosse stato un altro magari il risultato non sarebbe cambiato.

No, non è vero.

Se ci fosse stato Foreman non sarebbe accaduto.

E se fosse stato House?

Quel pensiero la fece sorridere. Magari ci fosse stato House.

O forse no. No, era meglio che fosse andata così. House non centrava nulla con quello che aveva provato per Chase e forse era meglio che le cose si fossero svolte esattamente in questo modo.

Sapeva che prima o poi tra lei e Chase sarebbe dovuto accadere.

Anche se litigavano spesso e non disdegnavano certo di scoccarsi sfrecciatine velenose, sentiva benissimo l’attrazione fisica, la tensione che c’era tra di loro. Quell’empatia provocata da un semplicissimo interesse fisico.

Se oltre quella porta ci fosse stato House.. e se.. fosse accaduto la stessa cosa… con Greg…

Ah, non voleva nemmeno pensarci.

Non era quello che voleva con House. Lei voleva conoscerlo, capirlo. Lei ne apprezzava l’intelligenza, il sarcasmo, il fascino e persino il suo lato bastardo. Era anche attratta fisicamente da lui, non poteva negarlo, ma il suo interesse per lui spaziava.

Si era sempre definita molto precisa in materia di sentimenti. Sapeva benissimo cosa provava per House. E cosa non avrebbe mai provato per Chase.

Allora perché si sentiva così confusa?

Si trovava ancora lì, sul divano, vestita nel suo accappatoio rosa, i capelli bagnati quando suonarono alla porta.

Fece una smorfia. Justine, la sua migliore amica, le aveva detto che uno di questi giorni sarebbe passata, ma non credeva che l’avrebbe fatto così presto.

Si alzò un po’ pesantemente dal divano, faticando un po’ a causa della stanchezza fisica e si diresse ad aprire.

La persona di fronte a lei era bionda, ma non era decisamente Justine.

Cameron chiuse un attimo gli occhi.

Ecco, questo non sarebbe dovuto accadere. Non ancora.

To be continued…

Mi raccomando commentate!!!

Baci,

Diomache.

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Capitolo 2
*** Truth alwais hurts ***


Chapter two:

Ecco postato il secondo capitolo.. ringrazio tantissimo per le loro stupende recensioni: EyeofRa, Artemisia89, Apple, Varekai ed Irene.

Grazie mille!!!

Spero che recensirete anche questo capitolo.. così mi dite che ne pensate…

Un bacione!

Diomache.

 

 

Ps: l’avete visto ieri sera House e Stacy??? Io mi sono quasi dannata l’anima! Prima che si baciassero avevo gridato contro Stacy: prova ad avvicinarti e ti tiro il telecomando!

Non pensavo potesse farlo davvero.. O_O

Prima Cameron con Chase, adesso House con Stacy.. ci vogliono far morire!

 

 

 

This shouldn't happen again

 

 

 

 

“this shouldn't happen again”

 “Do you think I want it to?”

 

 

 

 

 

Chapter two:  Truth always hurts

 

 

 

 

Gli occhi azzurri del ragazzo si focalizzarono sulla figura snella di lei, appena apparsa sulla soglia, come un’apparizione. Gli occhi un po’ sgranati perché non si aspettava di vederlo, i capelli ancora  un po’ bagnati dalla doccia che probabilmente aveva fatto da poco dato che aveva ancora indosso l’accappatoio.

Le labbra un po’ dischiuse dallo stupore, la pelle ancora leggermente umida e il suo profumo, delicato ma perfettamente percettibile, come sempre, come se lei fosse continuamente mossa dal vento che trasportava la sua buonissima essenza di dolce, di fresco.

Chase non seppe cosa dire lì per lì.

Un unico e spaventoso pensiero gli si era affacciato alla mente: era bellissima.

E facendo questa considerazione, Robert Chase si rese perfettamente conto di quanto fosse stato stupido ad andare da lei. Non avrebbe dovuto, lo sapeva.

Non avrebbe dovuto fare un sacco di cose, ma, in linea di massima, non avrebbe proprio dovuto essere lì stasera.

Non ne sapeva nemmeno il perché.  Dopo una serata passata in giro con degli amici, invece di tornarsene a casa come si era promesso di fare, aveva imboccato quella via, svoltato l’angolo e aveva proceduto verso la strada che, sapeva, l’avrebbe condotto da lei.

In realtà il suo pensiero lo aveva tormentato praticamente tutta la serata.

Non scordava come l’aveva vista andare via dall’ufficio, i suoi occhi lucidi, il suo sguardo apparentemente forte ma ferito.

Forse era questo: si sentiva terribilmente in colpa. 

Robert Chase sospirò, mentre la sua mente lo riportava velocemente agli avvenimenti di questa dannatissima giornata.

 

 

 

L’inizio, in realtà, era stato promettente. Sembrava che dovesse essere una mattinata ipertranquilla: non c’erano pazienti e loro tre ammazzavano il tempo aspettando la pausa pranzo che sarebbe arrivata tra appena un’ora.

House naturalmente non era ancora arrivato al lavoro, Foreman stava leggendo un noiosissimo schedario, Cameron stava tutta concentrata al computer del suo capo intenta a rispondere alle sua e-mail, mentre lui stava semplicemente facendo le parole crociate.

Di tanto in tanto, lo ammetteva, i suoi occhi si alzavano dal giornale e si concentravano su di lei. Dopo quel frettoloso scambio di battute in cui avevano concordato che tra loro non doveva accadere più niente anche se, indubbiamente, era stato.. piacevole.. non aveva più osato affrontare l’argomento.

-quattro lettere.- aveva iniziato improvvisamente Chase, scorrendo con la penna la locazione di quella domanda sul cruciverba ed interrompendo così il silenzio creatosi.- la sigla abbreviata per…-

-Chase vuoi piantarla con queste parole crociate???- aveva sbottato Cameron a quell’ennesima domanda. – sono due ore che ci assilli con il cruciverba, l’abbiamo praticamente fatto io e Foreman!-

Il dottor Foreman rise silenziosamente, incontrando lo sguardo severo dell’australiano. Il nero, disse, quasi a discolparsi, con un sorriso divertito.- però ha ragione..-

-ti da così fastidio?- chiese Robert, un po’ acido, rivolto alla ragazza.

-non vedi che mi sto concentrando?- ribatté lei senza staccare gli occhi dal computer.

-stai solo rispondendo alle mail di House!- sbottò Chase disgustato.

Cameron rimase interdetta qualche secondo. –questa è una mail importante.-

-hai ragione, scusami..- finse di scusarsi l’australiano, con un accento palesemente sarcastico. Fece una piccola pausa.- dì un po’ era buono lo yogurt che hai mangiato questa mattina?-

Foreman scoppiò a ridere senza però alzare gli occhi dallo schedario, Allison, in tutta risposta, sbuffò contrariata.

-ah, e pensare che dicono che fare sesso migliori i rapporti tra le persone!-

Naturalmente quella bella battutina sarcastica non apparteneva a nessuno dei presenti.

Gli occhi di tutti si erano alzarono dai rispettivi impegni e si fissarono istintivamente sulla sagoma di House che era appena entrato, spingendo la porta di vetro. Gli occhi azzurri di Greg passarono a rassegna la sua squadra di collaboratori, focalizzandosi alla fine su Chase e quindi su Cameron, con insistenza.

L’immunologa sospirò, roteò gli occhi e distolse lo sguardo che si andò a concentrare di nuovo sul computer.- possiamo finirla con questa storia per favore?-

-ehm ..- House finse di pensarci. –no. È troppo divertente. E poi non ho altro da fare.-

Cameron a questo punto si era alzata di scatto dalla sedia, facendo rumore.- ecco, io sì invece.- aveva detto lanciando uno sguardo di sfida ad House e uno indecifrabile a Chase per poi lasciare l’ufficio con passo cadenzato, con un’aria un pò combattiva, intrigata, come se quell’interessamento di House la infastidisse solamente in apparenza.

Anzi, sembrava ci godesse nel vedere che infondo, infondo, Gregory House sembrava davvero interessato a questa storia.   

E sicuramente non perché Chase aveva fatto sesso con qualcuno.

Ma perché Cameron aveva fatto sesso con qualcuno.

La sortita di Allison era stata compensata con l’arrivo della Cuddy che aveva portato loro una cartellina contenente informazioni riguardanti un nuovo paziente di cui dovevano occuparsi.  Chase tirò un sospiro di sollievo, sperando che, almeno in linea di massima, quell’argomento, per quel giorno, potesse considerarsi concluso.

Tze, magari.

O almeno fu così fino al pomeriggio. 

Erano circa le cinque e lui e Foreman si ritrovarono a fare una risonanza magnetica al paziente in questione, un certo Max. 

Tra di loro era calato uno strano silenzio.

Quel classico silenzio che prelude l’inizio di un discorso imbarazzante.

 -sai, io ancora non riesco a crederci.- ecco, come volevasi dimostrare. 

Robert alzò i suoi occhi dallo schermo e li puntò sul collega, fingendo di non aver capito il vero risvolto dell’affermazione di Eric.  –non hai mai visto un paziente con.. ?-

Foreman sbuffò.- non stavo parlando di quello…- disse roteando gli occhi.- ma di te e Cameron.-

Chase storse appena il capo. –non ti facevo così pettegolo..-

Eric fece un mezzo sorriso mentre si alzava e andava a prendere un’altra cartella posata appena più in là.. –pura curiosità.- continuò l’uomo sedendosi di nuovo.- ma  è vero che era strafatta?- domandò con una palese nota incredula nella voce.

Foreman sentì Chase sospirare e lo vide alzare le sopracciglia. Anche se non aveva detto una parola, era stato più che chiaro. Lo fissò, sbalordito.- non ci posso credere.-

-era completamente andata.- rispose il biondo, con un tono un po’ distratto.- bene, signor Max.- disse rivolgendosi al paziente.- adesso chiamiamo l’infermiera e lo facciamo uscire di lì.- concluse l’australiano alzandosi e avviandosi verso l’uscita con i risultati in mano. Foreman sorrise e lo imitò velocemente. Lo affiancò mentre percorrevano i corridoi.

Chase alzò gli occhi al cielo. Quella dannata conversazione non sembrava proprio voler finire a quanto pare e il fatto che stessero per entrare nell’ascensore non l’avrebbe aiutato di certo.

Infatti non appena dentro il neurologo non mancò di proseguire la conversazione.

-fammi capire.- continuò Eric, un po’ disgustato.- lei era strafatta e tu ci sei andato a letto?-

Chase distolse lo sguardo e non disse niente, mentre l’ascensore si apriva lentamente.

I due medici uscirono velocemente immettendosi nel piano di diagnostica. Chase entrò rapidamente nell’ufficio e rispose con un tono po’ sbrigativo- non è stata una cosa proprio volontaria, lei mi.. -

-non mi dire che ti ha costretto, per favore.- sbottò Eric, entrando dietro di lui.

-certo, l’ha violentato!- esclamò House girandosi verso di loro.

Chase chiuse gli occhi per un istante. Merda. Non aveva visto che era lì.

Greg sembrò leggergli nel pensiero perché sghignazzò per qualche istante, poi ripartì all’attacco:

 –dì, un po’, hai pensato di denunciarla? Se vuoi ti accompagno io alla polizia.-

Chase fece un chiaro gesto d’irritazione.- lei era completamente fuori di se e..-

-tu hai pensato bene di approfittarne.- concluse House con uno sguardo convinto. I suoi occhi azzurri si posarono quindi su di Foreman.- e tu non fare quella faccia nauseata, che altro poteva fare, povero ragazzo!-

-insomma, dacci un taglio!!- scattò il biondo gettando i risultati delle analisi sul tavolo.- ho fatto esattamente quello che voleva anche lei.-

House annuì, fingendosi convinto.- sì, ma non devi prendertela con me, è Foreman quello che non ci crede.-

-ci siamo divertiti, va bene? Siamo entrambi adulti e non mi sembra che ci sia niente di male. -

-no, certo.- continuò House, serio questa volta.- che importa se lei stava così male che era arrivata a drogarsi.-

Robert scosse la testa, stanco di tutta quella situazione. –non devo giustificare tutto quello che faccio, questa è la mia vita privata!-

-certo non è facile resistere a certi impulsi.- continuò House, come se Chase non avesse parlato affatto.- e poi Cameron infondo infondo ha un suo fascino..-

-non è facile ma non impossibile, a quanto pare.- intervenne Foreman con uno sguardo eloquente diretto verso House.

In quel mentre Cameron in persona fece irruzione nell’ufficio, portando con se i risultati del test che era andata ad effettuare. –ho i risultati.- disse quando, varcata la soglia, si ritrovò tutti gli occhi puntati addosso.

-ah eccola la nostra femme fatale ..- la apostrofò House con uno sguardo ammiccante.- stavamo giusto parlando di te.-

Gli occhi verdi di Cameron si posarono sullo sguardo imbarazzato ed evidentemente a disagio dell’intensivista –immagino.- disse quindi, con un tono scocciato.- non pensavo che ti interessasse tanto la vita sessuale di Chase, House. C’è forse qualcosa che non ci hai detto?- concluse con uno sguardo chiaramente alludente, inarcando un sopracciglio e sorridendo maliziosamente.

House rimase a bocca aperta qualche istante, la fissò decisamente intrigato quindi si rivolse al biondo, sempre più divertito da tutta quella situazione. –accidenti, mi ha smascherato!!-  esclamò con il suo solito tono sarcastico.

Foreman scoppiò a ridere, Chase gli lanciò un’occhiata scocciata. –insomma Cam ci vuoi dire che risultati hai ottenuto?-

-wow..- House lo fermò per l’ennesima volta.- Cam… qui stiamo diventando intimi sul serio!-

-dì, non sarai geloso?- suggerì Allison con un sorriso divertito e curioso allo stesso.

-sì, è così.- rispose Greg.- ma non di te, lo sai che ho un debole per Chase.-

-scusate se vi  interrompo .- la voce di Eric si levò sopra le altre.- ma qui c’è un paziente che sta giusto morendo.-

-anch’io sto morendo.- protestò House.- questa storia mi fa friggere di curiosità.-

-allora lo ammetti!- esclamò Allison, incredula.- sei geloso!-

-mm.. – finse di pensare l’uomo.- che cosa c’è nella parola curioso che ti ricorda quella geloso?-

-Foreman ha ragione.- Chase decise di troncare definitivamente quel discorso.- dobbiamo occuparci del paziente.-

House sghignazzò istintivamente.- patetico tentativo di evasione. E comunque quel Mik..-

-Max.- lo corresse Cameron con una punta di acidità.

House le lanciò un’occhiata annoiata e scocciata insieme.- come si chiama... sta morendo. Ha la sindrome di Tourette. – concluse avviandosi verso l’uscita del suo ufficio.

I tre lo guardarono sbigottiti. Il genio di House li lasciava sempre senza fiato, ogni volta, nonostante ormai ci fossero abituati, lavorandoci gomito a gomito tutti i giorni.

Ma se c’era una cosa a cui Chase non si sarebbe mai potuto abituare era sicuramente lo sguardo che aveva Cameron quando osservava House. Aveva gli occhi che le brillavano, il sorriso aperto e un po’ sconcertato e quell’aria sognante che proprio non sopportava.

Non riusciva a concepire l’idea che una donna come lei fosse completamente fuori per.. quel bastardo, misogino di House. Incredibile come va la vita.

Fatto sta che, dopo che House se n’era andato, lei aveva iniziato a palesare il suo stupore per l’ennesima prova dell’intuito formidabile del loro capo e Chase, dopo le prime parole, non aveva retto e se n’era andato velocemente con una scusa, fregandosene degli sguardi basiti dei suoi colleghi.

E finalmente quell’impossibile giornata era conclusa. O almeno sembrava conclusa. Pensava di aver concluso almeno per oggi. Già, ma si sbagliava di grosso.

Era appena all’uscita dell’ospedale quando aveva visto che qualcuno lo stava aspettando, proprio accanto alla hall. Un uomo alto. E con un bastone.

Robert alzò gli occhi al cielo. Non poteva essere vero.

-hai già finito il tuo turno?- domandò House, fingendo di cadere dalle nuvole.- ma … che coincidenza! Anch’io!-

Chase gli lanciò uno sguardo di sottecchi. –si può sapere che diavolo vuoi?-

-troppo aggressivo.- decretò Greg come se stesse elencando i sintomi di un paziente.

-io non sono aggressivo!-

-e bugiardo..- continuò l’uomo, guardandolo con il suo sguardo penetrante.- e terribilmente affetto da sensi di colpa, vero?-

Chase distolse lo sguardo.- io non mi sento in colpa. Non ne ho motivo.-

-sì che ce l’hai.- insistette House facendo qualche passo verso di lui.- Cameron non era in se, questa è la sua scusa. Ma tu di scuse non ne hai.-

Gli occhi azzurri di Robert tornarono su quelli di House. –mi sembra di averti già detto come sono andate le cose.-

House fece un ghigno un po’ perplesso.- lei può averti fatto qualche avances ma questo non ti giustifica.  Se io dovessi cedere a tutte le avances che mi fa la Cuddy tutti i giorni..-

-questa mi è nuova.-

-comunque non mi stai rispondendo. Perché sei andato con Cameron?-

Chase lo fissò un istante.- non sono affari tuoi.- e dicendo ciò si mosse per uscire dalla struttura, ma House lo fermò allungando il bastone in modo che non lo lasciasse passare.

-sì invece.- ribatté House.- se tra di voi c’è qualcosa che supera il normale livello di cordialità ed ipocrisia imposto fra colleghi questo potrebbe pregiudicare il vostro lavoro. Quindi mi riguarda.-

Chase si sentì infuriare dalla rabbia. Ma come diavolo faceva quell’uomo a trovare sempre il modo di impicciarsi in continuazione di tutto e di tutti e far credere allo stesso tempo che non lo stesse facendo??? O peggio, che lo stesse facendo per ragioni mediche?

-senti ma che diavolo vuoi sapere?-urlò lasciando la sua voce si alzasse anche un po’ troppo.- non ti rendi conto di quanto la tua curiosità sia diventata morbosa? Vuoi sapere i dettagli??-

House abbassò lo sguardo, poi disse a voce bassa.- Ti sei approfittato di lei.-

-la sai una cosa House?- continuò l’australiano.- tu non sei arrabbiato perché io mi sono approfittato di lei. Ma perché c’ero IO con lei!-

-allora lo ammetti.- insistette l’uomo.

Chase abbassò velocemente il bastone da se.- e anche se fosse a te che importerebbe?-

Greg sospirò, sicuro di se.- niente in realtà. Puoi spupazzarti Cameron notte e giorno non sono problemi miei, lei non mi interessa minimamente lo sai. Mi divertiva sentirtelo dire.-

-va al diavolo.- sussurrò Chase girandosi velocemente.

Ma nessuno dei due, a questo punto, aveva potuto dire nient’altro.

Sia House che Chase si erano trovati davanti Cameron e Foreman. Gli occhi di tutti i presenti si concentrarono su Cameron che, come Foreman, aveva sentito quanto bastava per capire.

House rimase impassibile come sempre, come se non gli importasse niente. Chase aprì leggermente la bocca, come a dire qualcosa ma non disse proprio nulla, confermandosi il vigliacco di sempre.

Cameron restò in silenzio. I suoi occhi erano leggermente diventati lucidi ma per appena un secondo. Poi il suo autocontrollo aveva avuto il sopravvento anche questa volta.

Si era girata verso Eric.-  ti aspetto nell’ufficio..- e se n’era andata, ben consapevole di avere tutti gli occhi addosso e adesso con la certezza inconfutabile che Chase si era solamente approfittato di lei e, ancora peggio, che ad House non gliene importava proprio niente.

-complimenti.- aveva iniziato Foreman, tanto per metterci il carico da undici.- a tutti e due.-

 

 

 

-che cosa ci fai qui?- la voce sottile di Cameron lo ridestò dai ricordi.

-solo parlarti.-

La ragazza lo fissò qualche istante, perplessa.- non mi sembra una buona idea.-

-mi tratterrò pochissimo.- continuò Chase, insistente e sinceramente dispiaciuto per l’accaduto.

Cameron sospirò. Non voleva parlargli, non voleva vedere nessuno. Voleva restare ancora un po’ sola a sentire la musica, a scordarsi dei suoi problemi a fingere di non aver sentito quello che era uscito dalla bocca di Chase. E soprattutto di House.

Che per Chase era stata un divertimento lo sapeva ma sentirselo dire così era davvero straziante.

Sapeva anche che House non si curava minimamente di lei. Però tutto il suo interessamento per la notte d’amore che aveva avuto con Chase l’aveva fatta.. sperare. L’aveva fatta sognare, ecco questo è il termine giusto. È sempre doloroso quando ci si sveglia e si torna alla realtà.

E le sue parole di Greg erano state un brusco risveglio.

Però non poteva scappare per sempre. Non poteva correre sempre, non poteva starsene sempre a sentire la musica. Doveva affrontare anche quel problema.

Avrebbe preferito parlare con House più che con Chase, per ovvi motivi.

Ma come al solito House non si sarebbe presentato, non le avrebbe nemmeno riservato un trattamento più gentile il giorno dopo. Niente, come se trattarla in quel modo, ferirla in quel modo, facesse parte del gioco, fosse routine.

E, ancora una volta, c’era Chase oltre la sua porta. C’era lui a scusarsi, a parlare.

Non il suo adorato House.

Sospirò. –ok.- disse infine.- entra.-

Robert Chase varcò la soglia del suo appartamento, lasciando che il suo cuore accelerasse un po’ inspiegabilmente il ritmo, forse al ricordo dell’ultima volta che aveva fatto lo stesso gesto. 

Cameron chiuse lentamente la sua porta, pensando a Greg e immaginandolo a casa, a suonare il pianoforte o a vedere la tv.

Inconscia della moto arancione che si fermava lentamente, nel parcheggio sotto casa sua.

 

 

 

 

 

 

To be continued…

 

 

 

 

Diomache.

 

 

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Capitolo 3
*** Lui. Lei. L'altro. ***


Ciao a tutti, ecco postato il terzo capitolo… scusate il ritardo ma questo era uno chap un po’ impegnativo (il prox, poi, lo s

Ciao a tutti, ecco postato il terzo capitolo… scusate il ritardo ma questo era uno chap un po’ impegnativo (il prox, poi, lo sarà ancora di più…) e volevo cercare di fare al meglio.. voi mi raccomando non dimenticatevi di lasciarmi le vostre impressioni, ne ho bisogno!!

Ringrazio moltissimo per le loro stupende recensioni: Apple , irene!!, Gr4zI4_90, Varekai , Kirby  e  EyeOfRa                    GRAZIE MILLE!!!!!

Spero vivamente che questo capitolo vi piaccia io ce l’ho messa tutta…

Buona lettura,

Diomache.

 

 

This shouldn't happen again

 

 

 

“this shouldn't happen again”

 “Do you think I want it to?”

 

 

 

Chapter three: Lui. Lei. L’altro. 

 

 

 

House si tolse velocemente il casco, sganciò il bastone dal fianco della moto e scese rapidamente dal mezzo, traballando un po’. I suoi occhi azzurri si concentrarono sulla finestra dell’appartamento della giovane dottoressa Cameron. Sospirò.

La luce era accesa ma le tende erano tirate, non era in nessun modo possibile vedere l’interno.

Peccato, gli sarebbe piaciuto spiarla qualche istante, invadere un po’ l’intimo della sua abitazione e vederla seduta sul divano e ad osservare la tv o.. i suoi pensieri s’interruppero bruscamente quando un’ombra attraversò  la  sua finestra.

Non sembrava l’ombra esile e snella di Cameron.

House aggrottò la fronte. No, si era sbagliato. Sicuramente era lei. La luce può deformare le figure.

Greg sospirò di nuovo, mentre se ne stava ancora appoggiato alla moto, con le braccia conserte. Sperava di trovare la luce spenta in realtà. Questo avrebbe risolto molte, moltissime cose. Non sarebbe dovuto salire perché lei non era a casa. Semplicemente se ne sarebbe ritornato indietro, con la coscienza apposto.

Greg aggrottò la fronte. Lui con una coscienza? Assurdo.

Finalmente si decise per salire ed andare da lei, quindi si mosse verso la porta del condominio.  Non era molto sicuro che dovesse salire sul serio. Che le avrebbe detto?

Non aveva un motivo preciso per vederla, in realtà. Infondo lui le aveva detto solo la verità: lei non le interessava, punto. Ma era davvero la verità? Se lo chiedeva mentre passava accanto ad una bellissima e costosissima auto nera, parcheggiata anch’essa davanti all’entrata.

Non ci fece minimamente caso. Eppure avrebbe dovuto riconoscerla. Era l’auto di Chase.

È vero, è vero. Quando aveva saputo cos’era accaduto tra lei e Chase aveva provato una sensazione.. strana.. come di fastidio, di disagio. E, aveva ragione quel bastardello, aveva dimostrato di avere una curiosità morbosa verso quello che era accaduto tra i suoi due collaboratori.

Ma non riusciva a delineare un quadro completo di quello che sentiva, era complicato, maledettamente complicato capire cosa provava veramente. Forse aveva avuto solo l’impulso di proteggere Cameron. Già ma proteggerla da che? Da Chase? Dio, che assurdità.

E poi era stata lei a buttarsi tra le braccia di lui. Anche se era ovvio che quel perfettino inglese aveva colto la palla al balzo.

Si ritrovò un attimo davanti lo sguardo di Cameron quando li aveva sentiti parlare così di lei. Era stato cattivo, se ne rendeva conto. Ma non sapeva che era presente. Forse era un bene, tutto questo avrebbe sgretolato le sue illusioni.

Già, ma allora perché diavolo stava andando da lei se la Cameron lo lasciava indifferente?? Tornò a chiederselo quando l’ascensore si aprì e lui vi entrò con la sua andatura claudicante.

Un altro, forse atroce, dubbio lo assillava.

E adesso, tra Cameron e Chase? Sicuramente non sarebbe accaduto più niente.

No, un attimo. Come faceva ad avere questa certezza?

Dannazione. Si era dimenticato di chiederlo a Chase.

Cameron abitava all’ultimo piano ma presto l’ascensore si sarebbe fermato. E ancora non sapeva che diavolo le avrebbe detto.

Mah. Concluse poi. Avrebbe improvvisato.

 

 

Chase si era guardato un po’ intorno non appena era entrato, notando con piacere quanto quell’appartamento fosse cambiato dall’ultima volta che l’aveva visto. Ordinato, profumato, inondato dalla musica. Altro che il soqquadro che aveva avuto l’occasione di vedere l’ultima volta.

-bene.- sussurrò Cameron non appena l’uscio si fu richiuso. –che vuoi dirmi?-

notò che gli occhi del ragazzo si erano fissati un po’ insistentemente sul bordo del suo accappatoio. Sbuffò infastidita, dicendo.- sarà meglio che vada a cambiarmi.-

Chase sbuffò mentalmente. Infondo non gli dispiaceva che restasse vestita in quel modo. No, no, no, no. Decisamente era meglio che si cambiasse.. ma che diavolo andava pensando?

La giovane si era immessa nell’area notte della casa ma la sua voce lo raggiunse comunque.

-ti offro qualcosa?-

La solita dolce, gentile Cameron. –no.- rispose Chase, urlando quasi.

Lei tornò appena un istante dopo con addosso la sua camicia da notte, i capelli sicuramente più asciutti di prima. Leggermente spettinati, come se li avesse mossi con l’asciugamano. Probabilmente aveva fatto così.

Si mise davanti a lui, con le braccia incrociate, gli occhi puntati su di lui. –allora??- disse con  un tono polemico, arrabbiato.

E aveva il diritto di esserlo.

Chase sospirò, distolse lo sguardo.- mi dispiace-

Cameron annuì un attimo.- anche a me. -disse quindi tirando un piccolo sospiro.

Robert la guardò un attimo, intimamente dispiaciuto. Mosse qualche passo, attraversando la stanza e passando, quindi, davanti alla finestra prima di raggiungerla.

-io.. non volevo.-

Cameron aggrottò la fronte.- non volevi cosa?-

-dire quello che ho detto.-

-ma era la verità no?-

-ci sono modi e modi di dirla.- continuò Chase, praticamente ad un passo da lei.- e io sono stato un cafone.-

Cameron sorrise un istante.- dai, è acqua passata.-

Chase la fissò intensamente con i suoi occhi azzurri.- Cameron io…-

La ragazza tornò a guardarlo, questa volta con uno sguardo più intrigato. Che stava cercando di dirle?

La sua visita gli aveva fatto piacere, molto piacere. Infondo lui si era dimostrato di nuovo  l’unico che si fosse interessato a lei, di nuovo. Le sue scuse le erano sembrate sincere, gentili.

Ma adesso? che cercava di dirle? Sperò vivamente che non fosse qualcosa di importante.

Era già tutto abbastanza complicato così.

-io non..- continuò l’australiano, in evidente imbarazzo.- io non volevo approfittarmi di te, mi dispiace.- concluse il ragazzo, tornando a fissarla nei suoi bellissimi, profondissimi occhi verdi.

Vide il suo viso sorridere, un sorriso bello come un raggio di sole.- senti, chiudiamo per sempre quest’argomento. Sono stata io a…-

-sì ma tu non eri in te!- esclamò improvvisamente il ragazzo.- io invece ero lucido. Avrei dovuto fermare tutto prima che accadesse.- sospirò, e si passò un attimo la mano tra i capelli.- la verità è che non so perché l’ho fatto. E mi dispiace. Ma House non ha ragione.. io non volevo approfittarmi della situazione..-

-House?- ripeté la giovane, aggrottando la fronte.- che cosa c’entra House adesso?-

Chase si diede mentalmente dell’idiota. –lui..-

-lui cosa?-

-lui mi ha gentilmente fatto riflettere su questo.- concluse il biondo con un accento di sarcasmo nella voce.

Lei sorrise, non seppe neppure il motivo di quel sorriso. Semplicemente l’idea di Greg che tormentava Chase la faceva sorridere. No, basta Cameron.  Stai ancora sperando,ti stai ancora illudendo. Poi, come un fulmine a ciel sereno, si ricordò delle parole di House.

A lui non interessava, la sua era solo purissima, semplicissima curiosità. L’aveva sentito chiaramente no? Si era divertito a far ammettere a Chase che forse si era un po’ approfittato di lei. Si era divertito.

Bastardo, stronzo.

Come sempre.

Tornò alla realtà, seppur con parecchia difficoltà. Lei e Chase erano ancora vicini, troppo vicini forse. E questo non andava affatto bene.

Si sentiva strana, arrabbiata. Divisa tra il ricordo di House e delle sue parole e il presente, dominato da Chase. Calma, un problema alla volta. La cosa più urgente era chiudere la situazione con Chase, poi avrebbe infuriato mentalmente con House per il resto della serata.

Si schiarì quindi la voce e fece un piccolo passo indietro. Era decisamente meglio allontanarsi.. si sentiva così confusa che avrebbe rischiato di commettere qualche altra sciocchezza.

Chase capì il suo messaggio.- bene.- annuì poi Robert, ma prima che potesse dire qualcos’altro i due ragazzi sentirono l’improvviso fischio dell’acqua bollente che esce dalla pentola che sta sul gas.- ah, merda.- sbuffò Cameron correndo velocemente in cucina. Si era completamente dimenticata di aver messo l’acqua per la tisana sul fuoco.

Chase si ritrovò solo nel soggiorno ed iniziò a tamburellare le dita sul tavolo. Attese qualche altro istante, poi chiese, non sentendo più segni di vita.- ehi, tutto bene?-

-quasi!- esclamò lei.- ho sporcato tutto!-

-serve una mano?-

dalla cucina giunse un ‘no’ un po’ seccato.. 

L’improvviso suono del campanello interruppe quella curiosa scenetta. Chase rimase interdetto qualche istante, evidentemente Cameron non aveva sentito. Decise di ignorare il campanello . Se Allison non l’aveva sentito tanto meglio.

Si stupì del suo comportamento.. non era mai stato così…

Il campanello suonò di nuovo. E questa volta Cameron lo sentì. Disse, dalla cucina. –Chase hanno suonato??-

Robert fece un sospiro d’irritazione.- si!- disse quindi.- vado ad aprire?-

-sì, deve essere Justine!- continuò Cameron finendo di pulire il gas.-è una mia amica, falla entrare!-

Robert sorrise mentre si dirigeva ad aprire l’uscio.

Lo fece con estrema naturalezza.

La stessa con la quale gli stava per venire un infarto.

No, non poteva esserci House oltre quella porta. Era un incubo.

E anche House pensò lo stesso. I due stettero a guardarsi qualche istante, come se si stessero studiando a vicenda. Greg sentì una sensazione strana, come all’altezza dello stomaco..

Non avrebbe mai creduto di vedere Chase lì da lei. E improvvisamente si sentì stupido, tanto stupido.

Stava accadendo esattamente quello che si era immaginato. Cameron si era presa una cotta per lui all’inizio ma poi era rinsavita optando per il partito più bello, più giovane. Più da lei.  Chase, appunto.

Greg abbassò un po’ lo sguardo, alla ricerca forse, di qualcosa da dire.

-curioso.- disse quindi.- e io che pensavo di essere a casa di Cameron!!-

Chase non fu capace di dire nulla, tanto più che in quell’istante si sentì i passi affrettati di Allison e la sua voce allegra.- Justine! Sei tu?-

-sì, sono Justine!- rispose House con una voce alterata e totalmente effeminata.

Cameron era arrivata in quell’istante sulla soglia del soggiorno. Il suo cuore sembrò fermarsi, e per poco la tisana non le scivolò dalle dita.

-House…?- sussurrò, incredula, completamente sorpresa di vederlo.

-sì. Più tardi arriva anche Foreman, mi ha detto che gli mancavamo e voleva passare la serata con il team al completo!- rispose lui con una voce totalmente sarcastica, pungente, tagliente. Chissà, forse anche ferita.

Cameron osservò il nuovo arrivato, senza in realtà essere capace di dire molto, fece solo un piccolo sorriso. Per un attimo si scordò di Chase.

House era lì.

Aveva passato tutta la serata a maledirlo per come l’aveva trattata ed ora lui era lì, davanti a lei. Era passato a casa sua.. per scusarsi? Non l’avrebbe saputo mai, forse. Però sicuramente aveva pensato a lei. Ed ora era lì, da lei.

I suoi occhi e quelli di Greg rimasero incollati gli uni agli altri ancora qualche istante poi fu proprio quest’ultimo ad interrompere il contatto visivo e i quel silenzio carico di tensione che si era formato tra quello strano, stranissimo trio.

-Chase.- iniziò House con uno sguardo un po’ divertito.- che sorpresa, che ci fai qui?-

L’intensivista sembrò piombare in un piccolo disagio e Cameron, non senza saperne in realtà il motivo, rispose per lui.- era passato per scusarsi.-

House assunse un’espressione divertita. – eh, bella scusa!-

Chase sbuffò.- non è affatto una scusa! Io l’ho trattata male e..-

-hai pensato bene che ora sarebbe stata ferita, sconvolta così ti sei detto: ehi, anche l’ultima volta era sconvolta e ci sono finito a letto! Chissà che non capiti di nuovo!- esclamò con un’aria entusiasta. Gli fece l’occhiolino.- l’ho sempre detto che hai un intuito fuori dal normale.-

-so che ti sconvolgerà ma non siamo tutti approfittatori come te!- scattò Chase, con veemenza.

-io approfittatore? Sbaglio o eri tu quello che ha ammesso poco fa di essere stato un tantino opportunista verso di lei? Non ti offendere forse non eri tu ma ti assomigliava parecchio.-

-senti.- questa volta fu Cameron a controbattere.- tutto questo è assurdo, lui voleva solo..-

-da quanto hai bisogno di una donna per difenderti?- House la ignorò palesemente e si rivolse di nuovo all’australiano che replicò, ignorando anche lui Cameron.

-io non bisogno di nessuno semplicemente perché non devo difendermi da un bel niente!- urlò, quasi, Chase. –e se questo discorso è volto semplicemente al fatto che vuoi mandarmi via..-

-ma no, resta!- finse di protestare Greg.- possiamo fare qualcosa a tre!-

-volete smetterla con queste allusioni..- iniziò Allison ma House le parlò praticamente sopra, come se non ci fosse nemmeno stato il suo intervento.

-su, dottor Chase.- replicò appoggiandosi completamente al suo bastone.- non vuoi ammettere nemmeno d’averci fatto un pensierino? Tu che vai a scusarti, lei distrutta dalla nostra cattiveria..-

-invece di girare tanto con questo discorso perché non ce lo dici tu che diavolo ci fai qui?- ribatté l’intensivista, con le braccia appoggiate ai fianchi e uno sguardo intrigato, ben consapevole di aver colpito nel segno.

-mi spiace deluderti. Oggi Cameron ha chiamato me per le sue pazzie notturne.-

-adesso basta!- la voce di Allison riuscì finalmente a farsi strada tra le altri dei due dottori. Chase e Greg si voltarono istintivamente verso di lei, guardandola come se fosse capitata lì per sbaglio, come se si fossero scordati della sua presenza.

Cameron strinse forte le labbra, poi le mani intorno alla sua tisana.- no, non smettete, continuate pure a fare i deficienti e quando avete finito fate un fischio, d’accordo? Ma tranquilli, eh, senza fretta!-

Disse girando loro le spalle , poi entrò velocemente in camera sua, sbattendo violentemente la porta.

Calò un silenzio un po’ strano tra di due. Chase si girò istintivamente verso House che, invece, restò con gli occhi fissi sull’uscio che si era appena richiuso, per qualche istante.

Robert roteò gli occhi e alzò le mani.- messaggio ricevuto, me ne vado!-

L’australiano lo scavalcò, giunse alla porta d’ingresso e l’aprì per uscire, tutto con il più completo silenzio del suo capo. Ma prima di poter andare via si voltò verso di lui e disse un - a domani.- un po’ scocciato  sparendo  velocemente tra i corridoi color crema.

House lo guardò andar via con un sorriso un po’ vincitore, poi spinse forte l’uscio con il bastone, facendolo chiudere con uno ‘slam’ che rimbombò per tutto il palazzo. E nella testa di Chase che lo sentì in pieno, perché non era ancora arrivato a prendere l’ascensore.

Si sentì investito di nuovo da una rabbia incredibile. Avrebbe voluto tornare indietro, avrebbe.. ah, basta. Decise di darsi una calmata. Non c’era motivo per cui avrebbe dovuto comportarsi così. Decise di andare a casa, e farsi una bella dormita.

Augurandosi di non avere troppi incubi.

 

 

House restò qualche attimo attonito, davanti alla porta chiusa della camera di Cameron.

Forse sarebbe dovuto andare via. Era la soluzione più giusta, infondo non sarebbe nemmeno dovuto capitarci in quella maledetta casa. Eppure non riusciva ad andarsene.

Non riusciva a capire molte cose, troppe cose di Cameron e questo non lo poteva sopportare. Sentiva come se lei gli sfuggisse di mano di continuo, come se, ad ogni indizio trovato, ad ogni problema risolto ne corrispondessero altrettanti incompiuti che, insieme, rappresentavano quel gigantesco puzzle della sua mente.

Senza pensare, senza riflettere, si diresse verso la camera da letto della ragazza.

E, lentamente, l’aprì.

 

 

 

 

 

 

 

 

To be continued…

 

 

Diomache.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Twilight ***


Ciao a tutti, eccovi la quarta parte della mia storia

Ciao a tutti, eccovi la quarta parte della mia storia..

Capitolo soffertissimo questo, mi raccomando non mancate di lasciarmi un vostro commento!

Per questo ringrazio moltissimo chi ha commentato il capitolo precedente: Apple, irene!!, Gr4zI4_90 e Varekai

GRAZIE MILLISSIME, VI ADORO!

 

Buona lettura,

Diomache.

 

 

 

This shouldn't happen again

 

 

 

“this shouldn't happen again”

 “Do you think I want it to?”

 

 

 

Chapter four :  Twilight

 

 

 

 

 

Lei era di spalle, girata verso la finestra, in silenzio. La finestra era spalancata e Cameron vi era leggermente affacciata. Aveva appoggiato la tisana sul davanzale e ora le sue braccia facevano perno su quest’ultimo, in modo da tenerla leggermente fuori. Dalla apertura entrava un vento dolce e sottile che muoveva lentamente i capelli della ragazza e preannunciava l’arrivo imminente della bella stagione e del suo clima temperato.

Fuori il cielo era buio o quasi. Se non fosse stato per la luna, grande e piena quel giorno, sarebbe stato quasi completamente scuro. Le stelle erano quasi invisibili a causa delle luci della città e dello splendore sconvolgente della luna stessa.

Cameron sospirò sentendo la porta aprirsi, dietro di lei.

Sapeva benissimo chi era entrato. Chase non sarebbe stato capace di farlo o comunque avrebbe detto qualcosa, avrebbe bussato, avrebbe fatto tutto ciò che tutti fanno. Invece il suo ospite aveva spinto piano la porta e l’aveva varcata quasi di soppiatto, quasi di nascosto. 

-perché sei ancora qui?- quelle parole uscirono spontanee, tranquille, dalle sue labbra.

Nessuna risposta.  La giovane inclinò un po’ la testa di lato, ma non accennò a voltarsi.

Adorava osservare il cielo notturno, adorava la luna. E adorava lui, House. Con tutta se stessa.

-se vuoi me ne vado.- 

la giovane si girò, lentamente.

Erano soli adesso. Rimasero qualche secondo in silenzio, a fissarsi soltanto, lei con un sorriso strano, gli occhi un po’ stanchi, e i capelli ormai quasi asciutti e un po’ gonfi perché li aveva appena lavati.

Lui silenzioso, riflessivo. Vedere lì Chase era stato un colpo duro per lui. Non l’avrebbe ammesso mai ma era così.

-no.- disse quindi Cameron con una voce appena percettibile.- no, puoi restare.-

House fece un sorriso di sufficienza. Sapeva che non l’avrebbe mai mandato via.

Seguirono attimi di silenzio, interrotti solamente dal frusciare del vento tra le tende e dai loro respiri, quasi percettibili in quell’ambiente silenzioso. Fu Greg questa volta ad interromperlo, dicendo.

-non volevo.- Cameron aggrottò la fronte, così House proseguì, anche se scocciato.- non volevo interrompervi. Tu e Chase intendo.-

-non c’era niente da interrompere.-

-Chase sembrava molto scocciato.-

-non vuol dire che stessimo facendo qualcosa da poter interrompere.- continuò la ragazza, con un tono un po’ seccato. Non le andava che gira e rigira andassero sempre a finire su quel dannatissimo argomento.

-immagino che ora mi chiederai perché sono passato, giusto?- domandò Greg sbuffando e appoggiando tutto il suo peso sul bastone.

Cameron alzò le spalle.- no.- rispose quindi, con estrema naturalezza.

Lui sembrò stupito. –sul serio?-

-tu mi risponderesti?-

-no.-

La giovane roteò gli occhi.- era retorica.-

-comunque non ti avrei risposto.- proseguì l’uomo lasciando che i suoi occhi viaggiassero lentamente attraverso la camera da letto di Cameron. Era molto.. da lei. Le tende rosa pesca, un letto grande, matrimoniale, i pavimenti di marmo bianco, l’arredamento abbastanza moderno ma comunque.. romantico. Troppo romantico.

I suoi occhi si posarono su quel letto, ormai coperto solamente con un piumino primaverile che presto la giovane avrebbe tolto. Non seppe bene il motivo ma in quell’istante immaginò lei e Chase, che rotolavano in quel letto. Li vide abbracciati, appassionati.

E di nuovo, quel buco allo stomaco.

Così impara a mangiare quello schifosissimo pollo alla mensa. 

I suoi occhi si alzarono e si posarono su di lei, guardandola veramente forse per la prima volta in tutta la serata. Sembrava così stanca. Bellissima e altrettanto stanca.

-posso offrirti qualcosa?- disse improvvisamente lei, interrompendo la sua contemplazione.

Greg diede un’occhiata all’orologio.- sì.- disse quindi.- il televisore, se per te va bene.-

Cameron sgranò gli occhi.- scusa?-

-sta per iniziare il secondo episodio di General Hospital, se non ci muoviamo ce lo perdiamo..-

La ragazza rimase interdetta qualche secondo, poi balbettò un –certo.- fece strada in salotto dove poco più tardi la raggiunse anche House. Senza sapere in realtà perché stesse facendo tutto questo, spense la musica classica e accese il televisore, consegnando il telecomando al suo fantomatico ospite.. indesiderato? Bugia.. ospite desideratissimo..

House grugnì di piacere sedendosi sul divano e attivando il canale. L’episodio era già iniziato e lui si sistemò a braccia incrociate. Cameron lo osservò per qualche secondo poi si sedette accanto a lui. Si sentiva.. bene.

Anzi, più che bene.

Non le sembrava vero di condividere con Greg qualcosa che lui abitualmente faceva solo con Wilson oppure, avere il privilegio, seppur piccolo, di passare almeno un’oretta in sua compagnia evitando di parlare, di chiarire, di litigare.

Certo, prima o poi avrebbero dovuto fare anche questo.

Ma per il momento era terribilmente piacevole poter sentire quella strana sensazione di familiarità.

Erano vicini, forse anche troppo, quasi spalla a spalla. Si girò un istante a guardarlo. I suoi occhi blu erano fissi sul programma, l’espressione piacevolmente concentrata.

Sorrise di nuovo. Davvero una bellissima sensazione. Restò a fissarlo ancora qualche istante, anche troppo, visto che dopo qualche attimo Greg si voltò verso di lei con un’espressione scocciata.- la tv è dall’altra parte-

Cameron annuì, sorridendo, divertita. Si concentrò finalmente sul telefilm, ignara che anche lui, di tanto in tanto, lasciava la sua amatissima soap per concentrarsi su di lei. L’atmosfera del salotto di Cameron era quasi in penombra ormai e il suo volto era illuminato solamente dalla luce artificiale che proveniva dall’apparecchio televisivo.

Si chiese cosa diavolo ci faceva lì. Avrebbe dovuto starsene a casa sua già da un pezzo. Eppure non se ne voleva andare. Quello strano impulso che l’aveva spinto ad andare da lei, quello strano impulso che l’aveva fatto rimanere, e adesso, quella strana sensazione di piacere.

Di calore. Si sentì improvvisamente nervoso, strano e se lei non avesse interrotto quello stranissimo silenzio probabilmente si sarebbe alzato dal disagio e se ne sarebbe andato via.

-secondo me è sclerosi a placche.- disse Cameron incrociando le braccia e guardandolo con un’aria di sfida.

House riportò i suoi occhi sulla tv.- è assurdo. Non può essere.-

-per questo conto che sia questa la diagnosi giusta. Nelle soap accadono sempre cose assurde.-

-io dico meningite. se ho ragione cosa vinco?- concluse con un sorriso che, nonostante non avesse voluto, suonò terribilmente malizioso.

Cameron alzò le sopracciglia poi disse, divertita.- un bicchiere di gin?-

House sbruffò.- vada per il gin.-

La soap finì mezz’ora più tardi.

Era sclerosi a placche.

-non vale.- borbottò House alzandosi dal divano, facendo perno con il bastone per rialzarsi.

-non ti lamentare, il gin te lo offro lo stesso..- disse lei, più conciliante, avviandosi a prendere il liquore. Ne fece un bicchiere e glielo porse, con un gesto tipicamente da lei, come quando la mattina gli porgeva la sua solita tazza di caffè.

-tu non lo bevi?-

-stai cercando di ubriacarmi?- domandò lei, maliziosa.

-sarebbe più facile farti prendere una pillola, vero?- rilanciò, con un filino di sarcasmo pungente.

L’espressione di Allison cambiò. –mm.. credi di poterti smettere prima o poi di torturarmi con questa storia?-

-era retorica, vero?-

Cameron sorrise, divertita, mentre lo osservava buttare giù il suo liquore.

House strabuzzò leggermente gli occhi, sospirò per la forza del liquore poi disse, con energia.- ah, è passato il tuo untore oggi, dopo che avevi finito il turno..-

-il mio…- la ragazza realizzò.- ah, Kalvin.-

-esatto, Kelvin. Voleva farti l’imboccalupo per l’HIV.-

-non è detto che io sia..-

-comunque voleva farti gli auguri. Di non essere contagiata intendo.-

Cameron annuì, abbassando lo sguardo.

House sospirò, scocciato dal dover dire per forza qualcosa che non avrebbe voluto.- .. e ti voleva ringraziare per quello che hai fatto.. per avergli aperto gli occhi ha detto.-

Vide la ragazza sorridere di quelle parole.- è stato gentile.-

Ecco, lo sapeva. Ecco cosa lo faceva terribilmente innervosire, la sua bontà, la sua gentilezza lo urtava profondamente. Lo irritava …in maniera incredibile. Rischiava di essere contagiata e era felice se l’uomo che forse l’aveva trasmesso il virus letale.. la ringraziava perché lei gli aveva detto un paio di paroline gentili??

-ma.. ma.. come fai ad essere sempre così?- le disse quindi, innervosito.- ti riesce naturale oppure ti sei imparata un copione ben preciso?? No, voglio saperlo.-

Cameron lo guardò, incredula.- scusa?-

-insomma arrabbiati, no? Te lo devo ricordare che forse hai l’HIV?-

La donna abbassò lo sguardo.- cosa ne sai tu di quello che provo io..-

-io vedo una donna che si sfianca fisicamente piuttosto che urlare, gridare dalla rabbia!-

Cameron ci rimase di sasso. I suoi occhi si concentrarono su quelli di House, incuriosita.

-tu come..-

-facile.- la interruppe.- sei terribilmente stanca, ma si vede benissimo che la tua è una stanchezza fisica. Nonostante la stanchezza hai i lineamenti rilassati e l’espressione beata causata dalla sensazione di piacere prodotta dagli ormoni..-

-risparmiami la lezione di medicina.- disse lei, acidamente.- lo so anch’io cosa succede all’organismo quando si fa sport.-

-quello che non sai è che nelle tue condizioni potrebbe essere pericoloso fare tanto sport.-

La ragazza chiuse gli occhi, sospirò. Che enigma che era House. Due giorni fa se n’era fregato del suo stato di salute e adesso la rimproverava perché aveva fatto una corsa per sfogarsi?

–e a te che importa?-

House la osservò, sorpreso da quel tono così brusco.- mm… ennesimo sfogo in arrivo..- disse con il suo solito tono di sufficienza, distogliendo lo sguardo.

-smettila.- lo zittì lei.- due giorni fa non ti interessava minimamente come stavo e adesso..-

-era cortesia.- la interruppe Greg, con un sorriso un po’ altezzoso.- pura cortesia. In realtà non me ne frega poi molto.-

Cameron annuì, incassando l’ennesimo colpo.- certo.- sussurrò ma con un tono così basso che House neppure lo sentì. – e da quando tu ti preoccupi di essere cortese?- questa volta però House sentì benissimo le sue parole.

Touchè. Per l’ennesima volta.

Lei aveva il potere di metterlo sempre e comunque con le spalle al muro, il potere di obbligarlo a guardare dentro di se e a capire cosa diavolo provava e perché provava quella diavolo di cosa. Dannazione a lei e alle sue domande. Erano sempre quelle a cui lui non avrebbe mai voluto rispondere. Eppure un giorno avrebbe dovuto affrontarle, lo sapeva.

Un giorno, che però non sarebbe stato questo.

-se me l’hai chiesto, ti interessava.- obbiettò quindi con un tono deciso, avvicinandosi a lui.- tu non fai domande a vuoto.-

Greg annuì.- questo è vero. Ma non è altrettanto vero che tu debba sempre fraintendere quello che dico.-

Allison lo fissò intensamente.- prego?-

-tu vedi l’amore in tutto.- la attaccò lui con un tono polemico.- vedi affetto, gentilezza in tutti quelli che ti circondano. Vedi o meglio ti sforzi di vedere tutto questo. In realtà sai benissimo che non è così. C’è l’ipocrisia, c’è la falsità, c’è il disinteresse, Cameron.-

Lei deglutì lentamente.- credi che io sia così ingenua?-

-credo che tu sia abbastanza grande da capire che è ora di smetterla con le illusioni.- la sua voce era dura, freddissima.

Cameron sentì qualcosa di piccolo, dentro di se, andare in frantumi.

Calò un piccolo silenzio, interrotto poi da House in persona.- e comunque era vero.-

La giovane si domandò se aveva il coraggio di chiedergli che cosa fosse vero. Non sapeva dove ma lo trovò, ben conscia che la risposta l’avrebbe fatta soffrire di nuovo. –che cosa?-

-quello che hai sentito, mentre parlavo con Chase.-

la ragazza annuì. –bene.- disse poi, passandosi una mano tra i capelli.- e ti sei scomodato fin casa mia per ricordarmelo?-

-ah ah mi avevi detto che non mi avresti chiesto il motivo della mia visita…-

-adesso lo voglio.- sussurrò lei, faticando ad avere il controllo di se.

House aggrottò la fronte.- vuoi cosa?-

-che tu te ne vada.- riprese lei, con una voce quanto mai decisa.

House annuì pesantemente con il capo. La guardò un istante, ben conscio d’averla ferita. Si avviò pesantemente verso l’uscio di casa sua. Aprì la porta ma prima di varcarla si voltò verso di lei. Sembrava così piccola e fragile che avrebbe voluto abbracciarla.

Ah, meglio andarsene prima di fare qualche cazzata mondiale. –a domani.- disse uscendo.

-buonanotte, House.- sussurrò Cameron, chiudendo l’uscio di casa sua, senza attendere la risposta.

-‘notte. Cameron.- concluse House, scomparendo tra i corridoi ocra dell’appartamento.

Cameron restò di nuovo sola.

Chiuse gli occhi e si appoggiò con la schiena alla porta di ciliegio.

E, lentamente, si lasciò scivolare a terra.

 

 

 

To be continued…

 

 

Diomache.

 

 

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Capitolo 5
*** Falling ***


Ciao a tutti

Ciao a tutti!!

Eccomi qua con nuovo capitolo.. spero che vi piaccia, le linee dei rispettivi sentimenti iniziano a tracciarsi..

Un bacio a tutti i lettori e a tutte le cottoncandy, compagne di gioie e dolori!

Ringrazio tutti i lettori, in particolare chi ha recensito, quindi: Varekai , Apple, Elbereth, Angelgiusi, hikary, Liserc, Jaly Chan e EyeofRa

GRAZIE MILLE VI ADOROOOO!!!!

 

Un bacio,

Diomache.

 

 

 

This shouldn't happen again

 

 

 

“this shouldn't happen again”

 “Do you think I want it to?”

 

 

 

Chapter four :  Falling

 

 

Le porte dell’ascensore si aprirono lentamente lasciando uscire la ragazza.

I suoi occhi verdi si posarono sull’orologio. Perfettamente in orario.

Sorrise, quindi si diresse velocemente verso l’ufficio di House. Naturalmente era vuoto, troppo in orario per tutti e tre i suoi collaboratori.

Appoggiò la borsa, si tolse il leggerissimo soprabito che indossava quella mattina e indossò il camice.

Foreman sarebbe arrivato massimo tra due minuti. Chase.. no, per Chase cinque minuti abbondanti. House? Sorrise, divertita. House poteva arrivare anche tra un paio d’ore.

A volte si chiedeva come faceva quell’uomo a vivere così, senza regole, senza nemmeno logica a volte. No, questo non era corretto, lui una logica l’aveva anche se molto personale.

Lei non ci sarebbe riuscita. A vivere senza la logica, senza una regola. Senza sapere sempre quello che doveva fare, senza un’etica rigida come la sua. Lei non ce l’avrebbe mai fatta.

Lei doveva razionalizzare, piegare tutto alla sua logica altrimenti sarebbe impazzita.

E quando era in crisi era a questo che ricorreva, sempre. Come quella mattina per esempio: aveva avuto il bisogno di dover fare tutto con cura, tutto con precisione. Perché era in crisi.

Si ricordò improvvisamente di dover prendere le pillole che il dottore le aveva prescritto per scongiurare l’HIV. Le prese dalla borsetta e le inghiottì velocemente, una dietro l’altra.

 

 

 

L’auto di Chase viaggiava tranquilla sull’asfalto, ad un’andatura moderata ma comunque abbastanza sostenuta. Era leggermente in ritardo e dopo tutto lo screzio che aveva avuto con House la sera precedente l’ultima cosa che voleva era quella di mettersi a litigare di nuovo.

Storse leggermente il capo e accese l’autoradio. Ci giochicchiò per qualche minuto senza trovare nessuna canzone interessante, quindi lo spense velocemente. Aprì quindi il finestrino lasciando entrare un po’ di quella deliziosa brezza mattutina in cui già si poteva sentire l’odore dell’estate.

Presto sarebbe arrivato al PPTH. Lo attendeva una giornata pensante, ne era sicuro. Ah, gli veniva il mal di testa solo al pensiero delle sala d’attesa straripanti, delle infermiere affaccendate, dei dottori nervosi, magari di un nuovo complicatissimo caso.

Sbuffò.

Tutto come sempre.

Monotonia? No, non poteva dire d’annoiarsi. Però non poteva nemmeno dire che la sua vita non fosse ricoperta da una sottile ma ben percettibile patina di monotonia.

Faticava ad ammetterlo, ma da quando aveva iniziato a lavorare lì con House era iniziato un nuovo capitolo della sua vita, capitolo che, infondo, non era mai stato niente di troppo interessante. Anzi.

Il lavoro, i problemi. Gli amici. Qualche avventura lampo di una notte.

Niente di più.

Niente che gli facesse un attimo mancare un battito, niente che lo facesse sospirare, che lo facesse deglutire a fatica. Niente. Certo, le piccole avventure, le piccole parentesi erano un buon passatempo ma anche queste alla fine si rivelavano uno dei suoi tanti passatempi e niente di più. 

Almeno finché non era arrivata quell’avventura.

Non era stata come le altre, di questo ne era certo.  Certo, il giorno dopo l’aveva catalogata come una semplicissima, divertentissima avventura però, doveva ammetterlo, non era stata come le altre.

Forse perché, a differenza delle altre ragazze che gli era capitato di portarsi a letto, lei non era una sconosciuta o una semisconosciuta con cui aveva scambiato appena un paio di parole.

Lei, un dottore. Lei, una collega. Lei, Cameron.

Lei, tutti i giorni al suo fianco.

E guardarla e non pensare a quello che era accaduto, Dio, era difficile.

Parlarle e non staccare gli occhi dalle sue labbra.

Starle vicino e non lasciarsi inebriare dal suo profumo.

Sfiorarla, per sbaglio, e non lasciarsi trasportare dal ricordo della sua pelle.

Molto difficile.

Difficile, come vederla sorridere e non pensare che per una sera, una soltanto, quei sorrisi erano stati suoi, lei era stata sua. Sua.

Sua?

Strana, stranissima parola.

Eppure di Cameron poteva dire tantissime cose ma, in linea definitiva, non poteva dire che fosse sua.

Lui aveva avuto le sue labbra, il suo corpo, i suoi sorrisi, aveva sentito il suo profumo, aveva accarezzato la sua pelle, l’aveva vista sospirare, aveva avuto i suoi abbracci.

Eppure non l’aveva avuta davvero.

Cameron..

House..

Tra lei e il suo capo non c’era mai stato niente.  Solo uno stupissimo appuntamento finito male a quanto pare. Mai un bacio, mai un sorriso più complice, niente di niente.

Lui invece con Cameron c’aveva fatto l’amore.

Eppure, paradossalmente, House poteva dirla ‘sua’ più di quanto potesse lui.

Chase imboccò la curva e si ritrovò davanti all’enorme sagoma del PPTH. Era arrivato.

Parcheggiò e nell’istante in cui spense il motore rifletté sul fatto che lui, poi, alla fine, non sapeva proprio niente di Cameron e House. L’unica cosa veramente certa era che Cameron era completamente, chiaramente innamorata di House. Una smorfia disgustata si impresse sul suo viso solo al pensiero.

E l’altra cosa certa era che House non se la filava nemmeno di striscio.

Aggrottò la fronte.. e allora perché era passato da lei l’altra sera?

E quando lui se n’era andato? Che poteva essere successo tra loro due?

Robert uscì velocemente dalla sua auto e si diresse a passo svelto verso l’entrata del Princenton, incrociando sull’entrata un paio di infermieri che conosceva. Lì salutò un po’ freddamente, entrò e si diresse velocemente verso l’ascensore.

Premette il tasto due e sospirò. Poteva essere successo di tutto.

Ma qualsiasi cosa fosse accaduta, si disse, l’avrebbe scoperto presto.

Molto presto.

 

 

-carissimi paperotti..- aveva iniziato House con un tono un po’ fiabesco.- oggi voglio raccontarvi una storia..- si era appoggiato alla loro lavagnetta e aveva preso  un pennarello, voltandosi un attimo ad osservare la platea, ammutolita e, in un certo senso, incuriosita.

-è la storia di…- prese la cartella clinica e osservò il nome del paziente.- di un certo Robbie… -

-Robbie? Robbie Lambert?- esclamò Foreman, stupito.- quel pazzoide tossicodipendente con la Corea di Hugginton?-

House fece un smorfia.- bravo, mi hai rovinato la storia.-

-come mai è qui?- chiese Cameron, inforcando gli occhiali. Questa  mattina, come aveva previsto,  Chase era arrivato esattamente cinque minuti più tardi mentre House esattamente, precisamente un’ora più tardi di lei. Quella che si dice la precisione..

-vertigini, crisi epilettiche, nausea, tosse.- rispose House come se stesse elencando la lista della spesa.- ti bastano come motivazione?-

Iniziarono a discutere riguardo questo nuovo caso, Chase era convintissimo che fosse un problema legato alla formazione di un cancro al cervello, Foreman ipotizzava qualcos’altro, Cameron semplicemente non si esprimeva esattamente come House che giocherellava con la sua pallina rossa, fregandosene altamente della disputa che era nata tra i due collaboratori.

-stop!- disse improvvisamente il loro capo, facendo tacere quel continuo brusio e le frecciatine da entrambe le parti. Quelle stranissime frecciatine.

Oggi Chase era parecchio nervoso, constatò, e Foreman non era certo tipo da acconsentire o da lasciar correre.

-fine primo round.- continuò House, prendendoli in giro.- tra i due litiganti il terzo gode. Cameron?-

La ragazza lo guardò, stupita. –sì?-

-una tua opinione, please. Chi ha ragione, Foreman o Chase?-

-ehm io..-

-o su dai, non è difficile.- disse facendo roteare il bastone.- ah, a meno che tu non sia un tantino coinvolta, allora potresti non essere obbiettiva. Certo, con Chase sei più intima ma..-

-non credo che si tratti di cancro al cervello.- esclamò la ragazza, con un sospiro un po’ scocciato.

House sorrise.- ladies and gentleman the winner is…-

-ma non penso nemmeno che abbia ragione Foreman.- lo interruppe la ragazza.

House sbuffò.- e ti pareva, pur di non schierarti..-

-la verità è che non possiamo dire niente con certezza almeno finché non effettuiamo degli esami.-

-la verità è che come sempre vuoi essere gentile con tutti! Guarda che Chase non si butta dalla finestra se non gli dai ragione!- si interruppe bruscamente, fissando l’australiano.- o si?-

-io vado a fare gli esami.- esclamò Cameron alzandosi leggiadramente dalla sedia. Gli occhi dei presenti si fissarono su di lei, sorpresi. -beh?- riprese la ragazza, mani ai fianchi.- che c’è di strano?-

-ti ho per caso detto di andare a fare gli esami?- ipotizzò Greg guardandola con uno sguardo interessato e divertito insieme. –no, mi sembra di no. Questa si chiama insubordinazione!-

Cameron rise, gli lanciò uno sguardo malizioso poi uscì aggraziatamente dall’ufficio, sotto gli sguardi basiti di Chase e Foreman. Dove aveva tirato fuori Allison tutta questa grinta?

Chase deglutì a fatica. Forse era davvero successo qualcosa tra lei e House.

Greg rimase ad osservare qualche istante la porta trasparente dell’ufficio dalla quale lei era uscita pochi istanti fa. Sorrise, divertito, poi i suoi occhi blu si posarono sui suoi collaboratori che erano rimasti fermi, immobili, incerti sul dafarsi. Poi si riscosse dicendo, con un tono un po’ polemico.- beh? Fate sciopero oggi? Fuori dai piedi, scansafatiche!-

I due uomini si alzarono, sbuffando un po’, poi si diressero anche loro, a ruota, sulle orme di Cameron.

 

 

House si guardò un attimo intorno, con circospezione, scrutando attentamente il corridoio.

No, niente Cuddy in vista.

Uscì lentamente dall’ufficio, camminando a testa bassa, anche abbastanza velocemente per quanto gli era possibile. Attraversò il corridoio, la mensa non era tanto distante, e fin’ora era andato tutto benissimo.

Finché non sentì, improvvisamente un –House!- decisamente poso amichevole.

Fece un paio di conti logistici: la mensa era vicina ma non così tanto e Cuddy, già veloce di suo, poteva essere a dir poco felina, soprattutto quand’era così arrabbiata. Non aveva nascondigli prima della mensa. Era spacciato.

Poi, l’illuminazione: il bagno delle donne, lì sulla destra, ad un passo. Sorrise a dir poco diabolicamente e vi si infilò velocemente, augurandosi che Cuddy non lo avesse visto proprio mentre vi entrava furtivamente.

Una volta dentro, tese l’orecchio. Un sorriso di purissimo divertimento si dipinse sul suo viso quando sentì il rumore deciso dei tacchi della donna che attraversavano il corridoio, passando oltre il bagno delle donne dove lui era nascosto.

Ah, salvo.

Sentì Lisa fare un altro paio di urli, prendendosela con un povero malcapitato che, probabilmente, non c’entrava niente con tutto questo. Beh, per una donna come lei lasciarsi scappare sotto il naso uno zoppo era veramente troppo.

Stava ancora a crogiolarsi in quei pensieri quando sentì che non era solo nel bagno come pensava di essere. Sentì qualcuno tossire forte, poi il rumore dello sciacquone. Avrebbe dovuto andarsene prima che quella che probabilmente era un’infermiera lo vedesse e iniziasse a gridare. Mise la mano sulla maniglia però si bloccò, sentendo improvvisamente la misteriosa donna imprecare. 

Riconobbe quella voce.

Sentì la donna tossire, rimettere questa volta e poi lei che tirava l’acqua.

No, decise House, non sarebbe proprio uscito.

Sentì i tacchi della donna e poco dopo la vide uscire dalla porta del bagno.

Come immaginava.

Cameron.

Lei non l’aveva ancora visto, si diresse al lavandino e si deterse la bocca una paio di volte, poi prese uno sciroppo e una caramella. Solo quando ebbe finito di lavarsi le mani e il viso e si stava dirigendo verso la porta, vide House, appoggiato all’angolo. 

-House?- urlò, quasi.

-sshh- la rimproverò lui.- vuoi farmi scoprire?-

Cameron lo guardò, basita.- che ci fai nel bagno delle donne?-

-quando scappa scappa.- rispose lui, evasivo come sempre.

Cameron socchiuse un istante gli occhi.- va bene. Io vado.- fece per uscire ma House si sistemò meglio davanti alla porta, con il chiarissimo intento di non lasciarla passare.

–beh?- esclamò lei, incuriosita.- vuoi tenermi chiusa qua dentro?-

-ce l’ho io una domanda per te..- disse lui, fissando un attimo il pavimento poi ritornando a fissare lei.- sei anche tu una vittima illustre del cibo della mensa o ti stai dando alla bulimia?- la ragazza gli lanciò uno sguardo d’astio, lui riprese.- molte ragazze lo considerano un hobby mettersi le dita in gola quando hanno due minuti di tempo.-

-io non sono bulimica.- disse, freddamente.- sono..- esitò, qualche istante.- sono gli effetti collaterali delle medicine che sto prendendo. Stanchezza, disturbi nel sonno e nausea.-

House annuì, lentamente. Poi si avvicinò improvvisamente a lei, prendendole il viso con la destra. Cameron sobbalzò, quasi. –ehi, calma!- la prese in giro lui.- voglio solo controllare..- disse, ad un paio di centimetri dalle sue labbra.

-controllare che cosa?- bisbigliò la donna.

Il pollice di House le tirò leggermente la pelle sotto l’occhio. Sussurrò, con un tono professionale.- hai le pupille dilatate…-

Cameron si svincolò dalla sua presa con un gesto quasi scattoso.- per favore.- disse, stanca.- non fingere che t’importi qualcosa.- lo scavalcò velocemente e uscì dall’ambiente.

House restò solo, nel bagno delle donne.- mi importa invece.- ma naturalmente Cameron non poteva sentirlo.

 

 

 

Robert Chase usciva dal laboratorio in quell’istante.

Camminava velocemente nel corridoio, quando si era fermato di colpo vedendo Cameron uscire dal bagno delle donne.

La stava giusto cercando, la ragazza doveva aiutarli ad effettuare nuovi test in laboratorio.

Stava per chiamarla ma la voce gli morì in bocca vedendo House uscire dal bagno subito dietro di lei…..

 

 

 

 

 

To be continued…

 

 

Diomache.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** If you die everibody loves you ***


Ciao a tutti

Ciao a tutti.. eccomi qua… questo è stato un capitolo molto ma molto impegnativo.. mi raccomando non fatemi mancare le vostre impressioni! Saluto con affetto chi ha commentato il precedente capitolo: irene!!, Varerai, Giu_chan, Apple, hikary, EyeofRA e Dana.

GRAZIE!

Diomache.

 

 

This shouldn't happen again

 

 

 

“this shouldn't happen again”

 “Do you think I want it to?”

 

 

 

Chapter six:  If you die, everybody loves you

 

 

 

 

-ok, Allison, può rivestirsi.-

Cameron si infilò velocemente la sottile camicetta rosa, iniziando ad allacciarne i bottoncini mentre il dottore si allontanava velocemente da lei e si andava a sedere di nuovo dietro la scrivania del suo ufficio.

Era lo stesso che la seguiva con la terapia, quella che avrebbe dovuto farle scongiurare il pericolo di avere l’HIV. Naturalmente se il contagio era avvenuto quelle pillole non avrebbero sortito alcun effetto. Era solo un trattamento post esposizione.

-sarò schietto con lei, dottoressa Cameron.- iniziò l’uomo non appena lei si era rivestita del tutto e posizionata sulla sedia di fronte alla sua scrivania.- non mi convince affatto il modo in cui il suo organismo sta reagendo alle mie cure.-

-ma la nausea e gli altri effetti collaterali erano previsti…- lo interruppe la ragazza con uno sguardo attento.- che cosa c’è che non va?-

-appunto, nausea. Lei mi parla di un sintomo molto più pronunciato, no?-

Cameron sospirò. Era vero purtroppo.- sì.. è così..- sussurrò iniziando a giocare nervosamente con il bordo della camicetta. –ci sono complicazioni?-

L’anziano dottore fece una smorfia.- potrebbero esserci, sì.-

-connesse all’HIV?- domandò la giovane, pur conoscendo già la risposta a quella domanda.

Infondo era un dottore anche lei.

-no.- rispose l’uomo, sospirando e fissandola intensamente negli occhi.- no, la presenza o meno dell’HIV non è in questione. Potrebbe esserci qualcosa di anomalo non collegato all’HIV…..-

Allison chiuse gli occhi e sospirò. Sapeva dove poteva portare quel ragionamento.

-ma non si preoccupi.- il dottore si affrettò a precisare, notando il suo evidente stato emotivo.- faremo le opportune analisi..-

-preferirei non in questo ospedale.- disse la ragazza con una voce appena percettibile. Non voleva che qualcuno si accorgesse del suo malessere, non voleva semplicemente che gli altri si accorgessero che qualcosa non andava.

Voleva che tutti la credessero la solita, voleva che tutto fosse come sempre.

Perché non le scordava le parole di House.

Se muori, tutti ti amano.

Lei non stava morendo ma comunque non voleva la compassione di nessuno.

Nessuno.

-questo vedremo.- le rispose l’uomo, un po’ dubbioso.- comunque se ne riparlerà tra un paio di settimane. Quando avremo scongiurato la presenza dell’HIV vedremo se è tutto ok.-

La ragazza annuì, cercando di apparire forte.- va bene.-

-nel frattempo.- continuò il dottore.- mi avverta se questi effetti collaterali si fanno ancora più forti. –

-potrebbero peggiorare?- domandò la ragazza, un po’ in apprensione. Non tanto per se stessa, piuttosto perché nasconderli agli altri a quel punto, sarebbe stato difficile. Il dottore negò con il capo.- non so dirglielo. In teoria lei non avrebbe nemmeno dovuto avercene di questi problemi.. quindi non posso sapere con certezza se peggiorerà. Ci auguriamo di no, comunque mi avverta se dovesse accadere. E stia tranquilla.- concluse con un sorriso.

-dovrei davvero?- chiese la ragazza con un filo di voce.

L’uomo annuì energicamente.- sicuro. La probabilità di avere qualche complicazione è bassissima.-

Cameron pensò che tutta la sua vita, in quel momento, era concentrata su probabilità bassissime.

Probabilità bassissima di essere malata.

Probabilità bassissima d’avere l’HIV.

Probabilità bassissima di essere riamata da House.

Mai una situazione definita, a quanto pare.

Mai bianco o nero.

Solo grigio.

E a lei il grigio non piaceva.

Decisamente. 

 

 

 

-negativo.- sbuffò Foreman leggendo I risultati dell’ultimo test che aveva effettuato.

Cameron si tolse gli occhiali e li appoggiò al tavolo, sospirando. Dio, era veramente stanca. Erano quasi le otto: un pomeriggio intero passato interamente lì dentro a fare esami.

La parte noiosa del suo lavoro.

Fortunatamente mentre facevano quei dannatissimi test a quell’altrettanto dannatissimo Robbie, avevano scambiato quattro chiacchiere tra di loro, senza interrompere la concentrazione ma, contemporaneamente, cercando di non impazzire dal mal di testa che quel genere di lavoro procurava loro.

Le aveva fatto bene, però, tutto sommato, avere qualcosa da fare, stare concentrata, non pensare.

Lei e Foreman avevano chiacchierato di parecchie cose, invece Chase era restato tutto il pomeriggio in un completo silenzio. Si era limitato a mugugnare ogni tanto, ad accennare una risposta col capo, niente di più.

I suoi occhi verdi si concentrarono sul suo collega, circa dall’altra parte del laboratorio, rispetto a dove si trovava lei. Strano.. parecchio strano.

La voce di Foreman interruppe i suoi pensieri.- Cam, i tuoi risultati?-

-ah.. eccoli..- disse porgendoli al nero che disse, avanzando verso l’uscita.- vado a portarli ad House. Chissà che si degni di interessarsi un po’ a questo caso!-

Cameron sorrise, poi ritornò  a concentrarsi su quel prossimo ma, per fortuna, ultimo test.

Rimise gli occhiali ma i suoi occhi si concentrarono di nuovo su Robert.

-ehm.. Chase?- azzardò, un po’ titubante. Si vedeva benissimo che il ragazzo aveva un problema, magari avrebbe potuto parlargliene, magari lei avrebbe potuto essergli d’aiuto.

Ben lontana dalla verità: ovvero che era proprio lei il problema.

-devi aspettare un paio di minuti.- le rispose freddamente il ragazzo.- questi affari non viaggiano al tempo della luce.-

Cameron rimase interdetta per qualche secondo.- si ma io non parlavo degli esami.-

Robert si girò un istante verso di lei, distogliendo lo sguardo dal macchinario. – e allora che c’è?-

Allison rimase un po’ turbata dal suo tono duro ed estremamente freddo, come se ce l’avesse con lei.- non hai detto una parola per tutto il pomeriggio.-

-e allora?- ribatté, seccato, lanciandole uno sguardo tagliente.

Allison raccolse le sue cartelline.- mi chiedevo.. se c’era qualcosa che non andava..-

-no, tutto benissimo.- rispose, con un tono sarcastico ed estremamente acido.- e a te come butta, dottoressa Cameron?-

La ragazza aggrottò la fronte.- si può sapere che cos’hai?- domandò, un po’ stanca di quell’atteggiamento.

-che c’è non mi rispondi?-

Cameron si alzò di scatto dalla sedia. Fortunatamente arrivò anche l’ultima risposta al test che aspettava, la prese e la mise con le altre.- io vado. –disse, un po’ fredda.- ma… se…- sussurrò, poi.- se hai bisogno di parlare.. puoi contare su di me, lo sai.-

-certo! La grandissima filantropa amica e gentile con tutti!- la prese in giro Robert in un tono che la lasciò a dir poco allibita. Moltissime volte capitava che tra di loro si lanciassero frecciatine taglienti, prese in giro e robe varie. Anzi, Chase era quasi un habitué in queste cose, amava sottolineare sempre il suo aspetto puntiglioso, filantropo e i suoi numerosi punti deboli come l’empatia che provava per House.

Ma adesso era diverso.

Il tono del suo collega era proprio cattivo.

Scosse la testa e senza proferire parola uscì velocemente dal laboratorio.

Chase la osservò uscire, ancora più arrabbiato di prima. Non poteva passarla liscia in questo modo. Si alzò di scatto pure lui, ignorando il test lasciato a metà e si diresse al suo seguito, rincorrendola quasi, nei corridoi. – che c’è, scappi?- le gridò dietro, quasi, quando l’ebbe raggiunta.

-Chase, abbassa la voce.- lo rimproverò la ragazza con voce tagliente e bassa mentre i due ormai camminavano spalla a spalla lungo il corridoio che li avrebbe portati nell’ufficio di House.

-si può sapere che diavolo ti prende?- gli domandò la ragazza, sempre più incredula dell’atteggiamento di Robert.

-ah, ma come ho fatto a non squadrarti dall’inizio.. – proseguì con il suo ragionamento, Chase.- ora ho capito chi sei veramente, dolce Cameron.-

i due arrivarono all’ufficio e vi entrarono con un passo piuttosto cadenzato.

Fortunatamente era vuoto non c’erano né House né Foreman. –che.. che vuoi dire?- domandò la ragazza che iniziava a pentirsi di avergli anche solo rivolto la parola.

-tu.- disse indicandola.- tu, sempre con quell’aria da saputella e al contempo sempre gentile, sempre buona, tu sei solo una persona doppia e calcolatrice! Adesso che sei arrivata dove volevi sei felice, no?-

Cameron fece un lungo sospiro.- non so di che cosa tu stia parlando.-

Robert scoppiò in una risata nervosa.- vediamo se hai il coraggio di negarlo.. eppure dovresti vantarti della tua conquista, dopotutto è da quando hai messo piede in quest’ospedale che non aspetti altro!-

-ma.. altro che?- domandò la giovane che davvero iniziava a perdere i fili del discorso.

-tu e House.- disse, freddamente.- ci sei riuscita, finalmente, a portartelo a letto.-

Cameron rimase ghiacciata, di sasso.- non so di che parli, Chase.-

-andiamo, si vede lontano un miglio! Non avete nemmeno più il pudore di aspettare la fine della giornata, vi trovate a formicolare pure in bagno!- urlò, così forte che alcune infermiere, passando davanti all’ufficio rallentarono il passo, come a vedere che diavolo stesse accadendo.

-ti ho detto di abbassare la voce!- esclamò Allison, allibita.- e poi non ti permetto di…-

-si, presto potrai permetterti tutto quello che vuoi, Cameron. Come la donna di House, potrai fare carriera.. anche se mi domando perché proprio House…- Chase finse di essere riflessivo.- infondo avresti potuto puntare Vogler.. in quel caso si che avresti affrettato i tempi, con House sarà un po’ più lungo il periodo di attesa….-

in quell’istante entrò Foreman, agitato.- ma che diavolo succede qui?- domandò appena la porta alle sue spalle fu richiusa.- si sentono le urla fin dall’altra parte del piano!-

Foreman si girò verso Cameron che, ammutolita, non sapeva proprio cosa dire.

Eric notò il suo stato di confusione, i suoi occhi lucidi, le sue guance leggermente arrossate e capì immediatamente che la causa di tutto quel trambusto fosse da ricercare in Chase. Si voltò verso di lui.- allora?-

-ma no, niente, Foreman..- sussurrò  Cameron prima che Chase potesse rispondere. –è una sciocchezza..-

-figurati.- intervenne Robert, pieno d’astio.- stavamo ricapitolando la scalata al potere di Cameron..-

-Cameron va a scalare?- la voce ironica e divertita di House interruppe bruscamente quella conversazione. Era appena entrato e nessuno aveva osato dire nient’altro.  L’uomo si voltò verso la giovane.- non pensavo ti piacessero gli sport estremi..-

-che cos’è questa storia?- domandò Eric, ignorando palesemente l’arrivo del loro capo.

Chase incrociò le braccia.- ah, niente di interessante.. solo stai attento, la Cuddy ha molta fiducia nei tuoi confronti , prima o poi Cameron potrebbe ritenere opportuno portarsi a letto anche te.-

Questo era veramente troppo. Aveva provato con tutte le sue forze a cercare di non dar peso alle sue accuse, di non prendersela, di non lasciarsi coinvolgere.. di giustificarlo, addirittura, davanti a Foreman.

Ma adesso era veramente troppo.

-basta!- urlò, faticando a controllare che la propria voce non tremasse come una corda di violino.

Ma non ci riuscì. Gli occhi le si riempirono di lacrime e dovette stringere forte i polsi, mentre le guance le si arrossavano dalla rabbia e al contempo dall’umiliazione di doversi far vedere in quello stato dai suoi colleghi. –come ti permetti??- continuò.- tu non puoi giudicarmi, tu non sai niente di me! Nessuno mi conosce veramente qui, nessuno!!!!!!-

Poi, di fronte allo sguardo attonito di Foreman e House avanzò  ed uscì velocemente dall’ufficio.

Chase sospirò e si passò una mano sulla fronte.

-ma sei fuori di testa?- lo rimproverò Eric, ancora incredulo che tutto fosse realmente accaduto.

-fuori di testa dalla gelosia, forse?- ipotizzò House con un sorriso intrigato.

Chase grugnì di protesta poi anche lui uscì velocemente dalla stanza.

 

 

 

-è vero quello che si mormora in giro?- chiese Wilson con uno sguardo tra il divertito e il curioso. –che Chase ha fatto una scenata a Cameron?-

House grugnì ed iniziò a giocherellare con il bastone, cambiando lentamente posizione e aggiustandosi meglio sulla poltrona di pelle dell’ufficio del suo amico. –Chase è un idiota.- disse ermeticamente, puntando lo sguardo sul televisore, dove tra breve avrebbe dovuto iniziare la sua soap preferita.

-lo prenderò come un sì.- concluse James, andando ad alzare il volume del televisore portatile che House aveva portato nell’ufficio dell’oncologo. –e per quale motivo avrebbe iniziato a trattarla male, accusandola di essere andata a letto con te?-

House prese il telecomando ed alzò il volume della televisione. Allo sguardo incuriosito dell’amico rispose, evasivo.- se non sentiamo l’inizio chi ci capisce più niente…-

Wilson sbuffò, incrociando le braccia. –siete andati a letto?-

House scoppiò quasi a ridere, poi alzò di nuovo il volume, più di prima.

James soffiò e cercò di afferrare il telecomando che, velocemente, passò di nuovo nelle mani di House, rubandoglielo proprio sotto il naso. –ah, ah, i riflessi non sono mai stati il tuo forte…-

-vuoi abbassare il volume?-

-vuoi stare zitto?-

-tra poco entrerà la Cuddy furibonda! Si sente General Hospital fino in pediatria!!-

-abbasserei volentieri la televisione, ma c’è un rumore di sottofondo che proprio non vuole saperne di smettere e che non mi fa seguire il telefilm.- si interruppe un attimo, fingendo di stare ad ascoltare. James rimase in silenzio. –ah, ora è finito.- sorrise House, mettendo mano al telecomando e abbassando il volume fino a farlo tornare ad un livello accettabile.

L’oncologo lanciò uno sguardo di sottecchi all’amico e finse di interessarsi alla tv.

A volte Greg lo preoccupava. Era davvero così indifferente a tutto quello che succedeva intorno lui? Era davvero indifferente a Cameron? Il fatto che Chase l’aveva aggredita ipotizzando una loro relazione non lasciava di stucco anche lui? Possibile che non gliene importava niente?

No, era evidente che non era così. Eppure voleva che gli altri lo credessero, sempre e comunque.

La pubblicità arrivo presto e Wilson prese la palla al balzo, si alzò e andò ad abbassare il volume - ora possiamo parlare?-

-aaah.. ma se ci tieni tanto perché non lo vai a chiedere direttamente a Cameron? Io che ne so!-

-ti ho chiesto se siete andati a letto insieme, questo forse dovresti saperlo pure tu.-

House distolse lo sguardo. Non sapeva perché ma una parte di se avrebbe tanto voluto che fosse successo. Forse era solo astinenza o forse…  no, meglio archiviare questi pensieri. Cameron era bella, bellissima. Ecco cos’è che lo portava a pensare che sarebbe stato bello poterci essere andato insieme. Niente di più.

Lo avrebbe pensato di qualsiasi altra bella donna.

 -no.- disse quindi, sospirando , alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso l’uscita. –beh, non sei contento? Hai la tua risposta, adesso dormirai meglio?-

Wilson fece un evidente gesto d’irritazione.- Chase però crede di sì..-

-quante volte devo dirtelo che è un idiota?- esclamò Greg mettendo mano alla maniglia. -e comunque, non credere, mi sono chiesto anch’io perché abbia fatto tutta quella scenata..- sospirò, con uno sguardo intrigato.- sono proprio curioso di vedere dove vuole arrivare…-

-forse dove non hai il coraggio di arrivare tu.-

House rimase un po’ toccato da quelle parole. Ma ovviamente non lo diede a vedere.

-adoro quando fai lo psicologo, sei così sexy!- esclamò prima di uscire dall’ufficio, chiudendosi la porta alle spalle.

Jimmy restò solo, con uno sguardo misto tra il divertito e il rassegnato.

 

 

Il terrazzo era davvero un luogo rilassante.

Deserto, silenzioso. Perfetto. Adesso capiva perché House si rifugiava spesso lì. Allison si appoggiò al bordo del grande terrazzo del tetto e puntò lo sguardo all’orizzonte, in un punto imprecisato.

Che mal di testa.. si passò una mano sulla fronte, poi tra i capelli, scompigliandoseli un po’.

Il vento le passò tra i capelli, mettendoglieli in disordine.

Era triste, ferita.

Stanca.

Terribilmente stanca.

Le parole di Chase le risuonavano in testa come una canzone ascoltata troppe volte, come una sentenza di morte e si mischiavano a quelle che House le aveva rivolto la sera passata intrecciandosi a loro volta con il discorso del medico. Sospirò.. perché le stava accadendo tutto questo? Il suo sguardo si concentrò istintivamente sul cielo, limpidi e silenzioso.

Nessuna risposta. Ovviamente, si disse.

La sua vita stava lentamente andando a rotoli.

Quella lavorativa, quella affettiva, e anche la sua salute a quanto pare iniziava a zoppicare..

Perché niente sembrava andare come avrebbe dovuto? Si coprì il viso con le mani.

Era talmente concentrata nei suoi problemi che non si accorse nemmeno che qualcuno era uscito sul terrazzo e che la stava osservando, silenziosamente. Percepì la sua presenza solo quando l’intruso ebbe il coraggio di parlare, quindi solo parecchi minuti dopo.

-questo posto inizia a diventare affollato…-

Cameron si voltò, incredula che si trattasse realmente di chi pensava. E invece sì. House, davanti a lei.

Il solito House, serio, apparentemente indifferente, con quel ghigno cinico e sadico dipinto in viso.

Sorrise. – già.- disse semplicemente.- ma si sta bene qui..-

-lo so.- continuò l’uomo, un po’ scocciato.- si stava bene. Adesso  è peggio di una corsia d’ospedale.-

Questo le strappò un sorriso. Non seppe dire se Greg l’aveva fatta ridere appositamente. Ma non le importava saperlo in quel momento, l’importante era che lui fosse lì, adesso.

Si appoggiò al parapetto del terrazzo e restò ad osservarlo per qualche istante esattamente come fece lui, appoggiato al suo bastone.

Fu di nuovo House ad interrompere il silenzio.

-simpatico Chase, oggi..- iniziò con un tono piuttosto vago.

Allison distolse lo sguardo.- non ne voglio parlare.-

Greg sbuffò e si avvicinò a lei,con i suoi passi claudicanti ed iniziò a guardare il parcheggio sottostante, molti metri più in giù.

-ah, eccolo.- disse indicando con lo sguardo la piccola figura bionda di una ragazzo che si avviava verso la sua auto. Si voltò di nuovo verso Cameron.- è inutile che mi guardi così, non posso darti niente da tirargli.. e toglitelo dalla testa, il bastone non si tocca.-

Allison non voleva ma rise di nuovo. Risse di gusto, forse anche troppo, in realtà.

House la fissò intensamente mentre lei rideva di quella battuta, in realtà, nemmeno troppo simpatica.

Ma si sforzava di ridere, di apparire, di sembrare rilassata. Si vedeva. – se non hai voglia di ridere non devi farlo per forza.-

Cameron si calmò un po’- ma.. io ..- faticava a parlare.- io..-

-piangi, Cameron.- House si morse la lingua. Stava per dire Allison. – piangi.- il suo tono era rassicurante, protettivo quasi.

La ragazza continuò a ridere ma questa volta le sue risa  somigliavano più a dei singhiozzi. Ben presto gli occhi le si riempirono di lacrime che lentamente iniziarono a scivolarle sulle guance bagnandole la pelle.

Era come se non avesse più il controllo di se, non riusciva a frenarsi, non poteva più impedirsi di piangere.

Greg la osservò piangere, con le mani a proteggersi il viso. Era scossa e non solo per quello che le aveva detto Chase anche se ovviamente, le parole del suo collega l’avevano turbata parecchio.

Lei. Così forte eppure anche profondamente, totalmente, fragile. Sentì qualcosa, dentro di se, all’altezza dello stomaco, come un peso, un magone.

E questa volta non aveva mangiato alla mensa.

Senza pensare, senza riflettere, si avvicinò un po’ a lei. Avrebbe voluto abbracciarla.

Dio, quanto lo desiderava.

Ma non poteva.

Lentamente, le appoggiò una mano sulla spalla. Sperando quasi che non se ne accorgesse.

E invece Cameron smise improvvisamente di singhiozzare e fissò stupita, incredula, l’uomo che le si era fatto improvvisamente così vicino. Non riusciva quasi a crederci. Era poco ma era un piccolo segno del suo.. affetto…?

No, forse le faceva solo pena. Fatto sta che quando improvvisamente le lacrime tornarono a premere sulle palpebre e poi di nuovo a scorrere lungo le sue guance si appoggiò a lui, posando il viso sulla sua spalla, evitando bene di abbracciarlo ma restando semplicemente così. Appoggiata al suo torace, a contatto con il suo cuore.

E con la sua mano ancora appoggiata alla sua spalla.

House sentì qualcosa di imprecisato, di nuovo. La tentazione di abbracciarla stava diventando quasi insopportabile.

-forse è meglio che vada…- sussurrò poi.

Allison si calmò e, seppure a malincuore, si staccò da lui. –scusami.-

Lui annuì e se ne andò velocemente, senza dire altro.

 

 

To be continued…

 

Diomache.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** A Dangerous way (part I) ***


Ciao a tutti

Ciao a tutti!!! Ecco postato il settimo capitolo della storia.. spero che vi piaccia e comunque vada, spero che mi farete sapere cosa ne pensate lasciandomi una recensione…

Ringrazio di cuore le persone che hanno commentato il precedente capitolo cioè: Apple , Liserc , irene!!, Giu_chan e  Dana !!! GRAZIE MILLE!!!!

Grazie a tutti!!!

Un bacio,

Diomache.

 

 

This shouldn't happen again

 

 

 

“this shouldn't happen again”

 “Do you think I want it to?”

 

 

 

Chapter seven: A Dangerous way (part I)

 

 

 

 

 

 

 

Un idiota.

Ecco che cos’era.

Un idiota.

Come aveva potuto dirle certe cose? La rivedeva ancora, con gli occhi spalancati, la bocca socchiusa, l’espressione allibita. L’aveva ferita, indubbiamente.

Non sapeva nemmeno perché le aveva detto certe cattiverie.

Solamente all’idea che lei e House stessero insieme gli era venuta una rabbia così grande che a stento si era controllato. Le aveva detto cose insensate e che non pensava minimamente. Cameron non sarebbe mai stata capace di raggirare una persona, a volte non era nemmeno capace di mentire a un paziente, poteva portarsi a letto qualcuno per interesse?

Aveva esagerato, aveva scaricato tutta la sua rabbia su di lei.

Già, ma rabbia per che cosa alla fine? Infondo lui che diritto aveva di mettere il naso nella sua vita privata? Erano stati a letto insieme.

Punto.

Questo non implicava assolutamente che lui doveva sentirsi.. tradito, infastidito, arrabbiato…all’eventualità che lei e House avessero avuto un’esperienza simile.

Assolutamente no. Ma allora perché provava questi sentimenti?

Perché si era sentito quello stupido magone allo stomaco quando li aveva visti uscire dal bagno, perché la stava aspettando sotto casa adesso?

Si, d’accordo, voleva chiarirsi con lei, ma avrebbe potuto aspettare anche domani.

E invece no. Voleva parlarle, voleva poter stare un po’ con lei, anche si trattasse di qualche secondo, senza House che girovagava per i corridoi e, purtroppo, per i pensieri della giovane.

Lei dolce, bellissima, persa dietro ad un uomo chiuso, misantropo, odioso.

Non riusciva a capacitarsene.

I suoi occhi azzurri si soffermarono un istante sul quadrante del suo rolex d’oro. Le nove.

Sarebbe dovuta arrivare a momenti. Sospirò e si appoggiò allo sportello della sua costosissima auto nera, incrociando le braccia. Deglutì. Non sapeva cosa le avrebbe detto.

Magari lei non voleva nemmeno parlargli. Anzi, sicuramente.

E se lei gli avesse chiesto il motivo dei suoi insulti? Che avrebbe fatto a questo punto?

Era impensabile evitare di risponderle, come era altrettanto assurdo spiegarle che.. teneva a lei più di quanto credesse.

Come poteva spiegarle che dopo che erano stati insieme lui era cambiato??

Che era cambiato il suo modo di guardarla, che si era accorto di volerla ancora, di voler  per se le sue labbra, di poterle ancora accarezzare i capelli?

Di volere lei, Allison Cameron. Più di qualsiasi cosa.

Che la voleva svegliarsi accanto a lei la mattina, che voleva portarla al cinema, al teatro, a ballare, che voleva sapere tutto di lei?

Sospirò per l’ennesima volta.

No, non poteva dirgli queste cose. Avrebbe peggiorato la situazione, avrebbe rotto il minimo equilibro che poteva ristabilire scusandosi. Sicuramente non poteva parlarle, ma non poteva nemmeno mentire a se stesso. Ormai ne era certo.

Aveva avuto questa certezza dalla mattina successiva di quella notte strana ed ossessiva.

Quando si era svegliato accanto a lei e l’aveva vista dormire, quando, i giorni successivi, si era svegliato solo nel suo letto e si era sentito desolato. Vuoto.

Quando aveva capito che la compagnia di un’altra ragazza non l’avrebbe mai sostituita, né placato quel vuoto che sentiva dentro.

Allora l’aveva capito, purtroppo.

L’amava.

 

 

Cameron parcheggiò l’auto sotto casa, con qualche difficoltà. Il motore di quel dannato catorcio ultimamente faceva i capricci e s’ingolfava spesso. Prese la borse e scese velocemente, senza accorgersi minimamente del ragazzo che l’aspettava, pazientemente, sotto casa.

Se ne accorse troppo tardi, quando tornare indietro era impossibile e fingere di non averlo visto equivaleva a recitare la parte dell’immatura adolescente. Eppure se Chase non l’avesse vista avrebbe fatto volentieri la parte della ragazzina, pur di non parlare con lui.

Ma Robert l’aveva vista ormai.

La fissava con i suoi occhi color del mare, un po’ in trepidazione.

Sospirò e camminò celermente verso il portone del condominio, cercando quasi di ignorarlo, nella vana speranza che lui non fosse lì per lei. Ma Chase, come previsto, le sbarrò la strada, dicendo. -Cameron, ti prego. Voglio parlarti.-

La giovane lo guardò freddamente.- non hai finito? Vuoi forse insinuare che mi sono portata a letto Wilson per chissà quale altro scopo?-

Il ragazzo sospirò, ed abbassò lo sguardo.- mi dispiace.- disse semplicemente, cercando di evitare i suoi occhi severi. Allison negò leggermente con il capo.- no, non credo.- sussurrò.- nessuno mi aveva mai offeso tanto in tutta la mia vita.-

Robert si avvicinò di qualche passo, facendosi molto vicino. – non so cosa mi è preso, davvero.- la fissava intensamente negli occhi e per un istante Allison perse la sua sicurezza, sentendosi inevitabilmente un po’ a disagio. Distolse lo sguardo.

Gli occhi di Chase le trasmettevano qualcosa di imprecisato, ma qualcosa di molto intenso, sicuramente. Aveva uno sguardo profondo.. stranamente profondo. Ed era vicino.

-dimmi almeno perché?- continuò la ragazza.- dimmi che ti ho fatto per meritarmi una scenata del genere? Se involontariamente ho..-

-no.- l’interruppe Chase anche con un tono piuttosto scocciato.- no, tu non centri niente, perché devi sempre pensare che sia colpa tua?- domandò, anche un po’ infastidito.

-perché non mi so dare una spiegazione razionale a quello che hai fatto!- esclamò la ragazza alzando anche un po’ la voce.- perché non capisco come un.. collega.. che stimavo tanto abbia potuto dirmi cose che nemmeno il mio peggior nemico…- concluse con uno sguardo abbastanza triste. Inevitabilmente triste.

Sentirsi certe accuse è sempre doloroso. Ma da una persona che mai nella vita avresti pensato capace.. lo è ancora di più.

-non è colpa tua, Cameron.- sussurrò Chase, così vicino a lei che Allison poteva quasi specchiarsi nel blu dei suoi occhi.- la causa di tutto sono io. Non riesco ad essere completamente lucido quando ti sto vicino.-

La ragazza non poté evitare di sgranare gli occhi. Coosa??? Che, che diavolo le aveva detto Chase? no, questa conversazione non doveva continuare. Non doveva assolutamente continuare.

–devo andare.- sussurrò Cam cercando di aggirarlo e accedere all’appartamento.

Chase la lasciò passare, senza dire una parola. Ma prima che Allison si allontanasse troppo la prese per un braccio e l’attirò a se.

Unì le sue labbra con le sue, prendendole il viso con la destra, delicatamente come una carezza. Si distanziò subito dopo, fissandola intensamente negli occhi. Lesse lo stupore e l’incredulità nelle sue iridi chiare ma non se ne curò troppo.

Era quello che voleva, voleva baciarla, a qualsiasi costo. Anche se si era trattato di un piccolo contatto, anche se lei non aveva dimostrato partecipazione, anche se ora appariva così stupita, lui si sentiva bene. Doveva farlo.

–a domani, Allison.- le sorrise prima di dirigersi velocemente verso la sua auto nera, lasciando la ragazza sola, con il suo stupore.

 

 

House era di un umore pessimo quella mattina, ancora peggiore di tutti gli altri giorni.

Il suo antidolorifico, il suo amato vicodin, si era fatto attendere più del previsto, e –al diavolo, che pensassero quello che diavolo volevano Wilson e la Cuddy.- aveva fatto una scenata enorme al farmacista, perché glielo facesse avere il più presto possibile.

A quel punto era arrivato quasi subito ma ormai la giornata era compromessa, una giornata che si prospettava peggiore del solito. Stava quasi per entrare nell’ascensore quando un vecchietto che a stento si reggeva in piedi lo fermò con aria supplicante.

-…la prego la prego mi aiuti…-

Gli occhi freddi di House si concentrarono su di lui quasi con ironia.

-no, ha sbagliato, la madonnina è da quella parte, può chiedere un miracolo laggiù.-

L’uomo rimase interdetto qualche secondo poi riprese.

-ma non è lei il dott House?-

-quell’antipatico? Ma per carità!!!-

-beh, sa dove è? Mia moglie sta male e io non so cosa farle!!! Ha quasi 94 anni e questa mattina non ha fatto altro che rimettere, poi è svenuta!-

House lo guardò, quasi stupito. - quanti anni ha detto che ha?-

-94!!!- rispose l’uomo, con fervore giovanile. -allora?? Che cosa dovrei fare??-

-chiami un prete!- rispose House spingendo il numero due e lasciando che le porte dell’ascensore si chiudessero velocemente, lasciando  fuori il povero vecchietto che sussurrò un -ma..- appena percettibile che House non sentì nemmeno.

-House!- Foreman passava di lì in quegli istanti giusto in tempo per godersi la scena dal vivo.

Sbuffò, pensando che probabilmente quell’arcigno del suo capo lo aveva visto sin dall’inizio e aveva voluto appiopparglielo di proposito. Il vecchietto si girò subito verso di lui.

-è lei il dottor House?-

Eric sospirò per l’ennesima volta.- venga pure con me..-

 

 

Gregory sorrise, mentre varcava le porte del suo ufficio, stranamente vuoto quella mattina.

Meglio, non gli andava di sentire la voce fastidiosa di Chase o di vedere gli occhioni verdi di Cameron. I  bellissimi occhioni verdi di Cameron.

Negò con il capo, mentre constatava che la ragazza non era ancora arrivata. Strano, per una maniaca della precisione mezz’ora di ritardo poteva significare parecchio.

Si preparò una bella tazza di caffè, cosa che avrebbe dovuto fare Cameron, ed iniziò a sorseggiarla lentamente mentre la sua mente fantasticava sui motivi che potevano aver indotto la ragazza a ritardare e quindi, a costringerlo a prepararsi il caffè da solo. Ipotizzò il traffico, la sveglia che non aveva suonato, ma sembrava essere tutto troppo banale.

Troppo banale per una persona complessa come Cameron.

La sua mente viaggiò al giorno prima, ai suoi singhiozzi, sul terrazzo.  Ai suoi occhi preoccupati e, poi, velocemente, al suo malessere che l’aveva portata a rimettere nel bagno delle donne.

Cos’è che gli aveva detto? Ah si. Effetti collaterali delle medicine.

Interessante.

Uno sguardo intrigato si dipinse sul volto del genio della diagnostica del New Jersey. Gli aveva detto la verità oppure ancora una volta il suo postulato ‘everybody lies’ si era confermato nella sua più grande autenticità? Qualsiasi cosa, ne voleva sapere di più. Posò la tazza sul tavolo, fregandosene di quello che avrebbero pensato i paperotti –quando sarebbero arrivati.- non trovandolo.

Attraversò il corridoio e chiamò di nuovo l’ascensore, con una certa impazienza. Si chiese da dove venisse tutta quella curiosità. Ma non ebbe il tempo di rispondersi perché le porte dell’ascensore si aprirono lentamente e comparve Wilson che, con un sorriso un po’ sorpreso, salutò il suo amico. -ehi, ciao..-

-fermo lì.- Lo ammonì Greg alzando il bastone e puntandolo sul petto dell’amico. -devi andare al quarto, vero?-

-no. Devo uscir..-

-ah, mi piace quando siamo telepatici. Anch’io devo andare lì.- House entrò nell’ascensore sotto lo sguardo incuriosito di Jimmy e con il bastone pigiò il 4 dell’ascensore.

Seguirono attimi di silenzio, attimi in cui l’oncologo studiò lentamente quel pazzo di Gregory House. Poi, esclamò, incuriosito.

-allora?-domandò Wilson, mani ai fianchi.

-allora cosa?-

-allora perché mi tieni segregato qui dentro? -

-devi andare a malattie infettive, no?-

-House.- esclamò  infine James, con uno sguardo rassegnato.

Greg distolse un attimo lo sguardo. –secondo te chi è che tiene in cura Cameron?-

Wilson aggrottò la fronte.- vuoi dire per il trattamento post esposizione?-

-già.- rispose l’altro iniziando a picchiettare il bastone per terra come fosse un cronometro.

Wilson sorrise sfoderando un’espressione un po’ maliziosa. –e perché lo vuoi sapere?-

-qui le domande le faccio io.- lo interruppe Greg con un tono burbero da commissariato.- potrebbe essere il giovane e aitante Gorge White oppure il vecchio e serioso Harmelt?-

Wilson negò con il capo.- e che vuoi che ne sappia io!-

-mi affido al tuo intuito.- rispose Greg con un sorriso intrigato. – sei così sensitivo…-

-ma a che ti serve saperlo? Tanto non ti dirà niente, è coperto dal segreto professionale, te ne sei scordato?- il silenzio dell’amico fu molto eloquente.- aspetta aspetta.. non mi dire che vuoi fare come con Stacy? Vuoi frugare tra le sue cartelle cliniche?-

-cosa? Il vecchio e serioso Harmelt?- esclamò retoricamente il diagnosta.- buona idea.-

Le porte dell’ascensore si aprirono in quell’istante e House ne approfittò per tagliare velocemente la corda. Wilson lo seguì a ruota.

-House, non puoi farlo! È illegale e poi non ti porterà a niente!- lo prese per un braccio, costringendolo a fermarsi. Greg si voltò con un’aria palesemente scocciata.

L’oncologo riprese, pazientemente. – vai da lei, e chiedigli come sta.-

-non posso. Non è ancora arrivata.- l’espressione infastidita dell’amico lo costrinse a lasciar stare con il sarcasmo.- non se ne parla.-

Wilson sembrava sempre più allibito.- ma perché eviti il contatto umano con le persone come se fosse la peste?-

House sfoderò uno sguardo molto attento. –le persone mentono. Le cartelle cliniche un po’ meno- disse infine voltandosi velocemente e dirigendosi verso l’ufficio di Harmelt.

Wilson lo osservò per qualche istante, poi sospirò e negando con il capo se ne tornò, rassegnato, al suo lavoro.

Mentre attraversava i corridoi le parole di Wilson gli rimbombavano nelle orecchie. Certo, avvenne potuto andare da Cameron e parlargli. Non era certo che lei gli avrebbe mentito, magari si sarebbe sfogata con lui. Ma non poteva farlo.

Andare da lei  significava ammettere di essere preoccupato per la sua salute, significava dover giustificare per l’ennesima volta la sua curiosità. E non voleva. Non poteva.

Forse perché non aveva nemmeno lui un motivo valido per giustificare quello che stava facendo e appigliarsi alla sua proverbiale curiosità, ormai, non bastava nemmeno a lui come motivazione.

Forse perché aveva paura.

Aveva paura di come avrebbe reagito Cameron di fronte al suo interessamento, di quello che avrebbe potuto pensare. Di come avrebbe potuto illudersi. Sempre contando che lei provasse ancora qualcosa per lui.

La voleva.. proteggere…? Forse.

O forse, semplicemente, era solo un maledetto bastardo incuriosito dal suo essere complicata, dai suoi segreti.

Scosse lentamente la testa dandosi dello stupido. Non aveva tempo adesso di farsi quelle  domande insensate.

Doveva trovare un modo per intrufolarsi nell’ufficio di Harmelt e sfilargli sotto al naso la cartella clinica di Cameron.

Si fermò improvvisamente in mezzo al corridoio, con un sorriso vittorioso dipinto in volto.

Eureka…

 

 

To be continued…

 

 

Diomache.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** A Dangerous way (part II) ***


Ecco on-line l’ottavo capitolo… ringrazio sinceramente Giu_chan , Apple , irene

Ecco on-line l’ottavo capitolo… ringrazio sinceramente Giu_chan , Apple ,  irene!! , Dana ed hikary che seguono la mia storia e mi danno la spinta giusta per andare avanti..  naturalmente un bacio anche a tutti coloro che leggono senza recensire.. con la speranza che invece inizino a farlo molto presto!!!!

Un bacio!!!

Diomache.

 

 

This shouldn't happen again

 

 

 

“this shouldn't happen again”

 “Do you think I want it to?”

 

 

 

Chapter eight: A Dangerous way (part II)

 

 

 

 

L’infermiera usciva in quell’istante dall’ufficio del dottor Harmelt, richiudendo velocemente la porta e annunciando che sarebbe ripassata tra una decina di minuti.

Accidenti.

Greg aggrottò la fronte.

La donna si appoggiò alla piccola hall del quarto piano e iniziò a conversare animatamente con la caposala.

House fermò un’infermiera che passava di lì, con un’espressione poco promettente dipinta in volto. –si?- domandò questa, incuriosita.

-scusi mi sa dire come si chiama quell’infermiera lì?- allo sguardo un po’ ammonitore dell’interlocutrice andò avanti, dicendo.- siete a centinaia non pretenderà che mi ricordi i nomi di tutte!-

la donna sospirò. Sapeva benissimo che il dottor House non sapeva nemmeno il nome dei suoi pazienti. – Camille..-

-Camille.- ripeté House, attento.- bene.-

La donna scosse il capo, rinunciando anche solo a chiedersi perché gli servisse quell’informazione.

House si avvicinò alla sua piccola ed ignara preda.- ehm, Camille?- esclamò, con fare noncurante. La donna lasciò perdere la caposala e si concentrò sul dottore.

-si?- domandò, un po’ stupita di vedere il dottor Gregory House girovagare per il quarto piano.

-devo chiederle un favore, sarebbe così gentile da recapitare un messaggio al dottor Harmelt?-

domandò candidamente. L’infermiera rimase un attimo interdetta poi annuì, un po’ esitante.    -va bene.. che devo dire?-

-le dica che il dottor Wilson ha un bisogno urgente del suo consulto. E se si può trovare tra circa… mm.. due minuti, nel suo ufficio, tutto chiaro?-

Camille annuì energicamente.- come vuole dottore.-

-bene. La ringrazio.- sorrise un po’ diabolicamente poi la sorpassò e vi avviò placidamente per il corridoio ben coscio di essere sotto lo sguardo un po’ insospettito della donna. Svoltò l’angolo e fu fuori dalla sua portata visiva.

Camille terminò il suo discorso con la caposala poi si recò nuovamente nell’ufficio del dottore. Ignara che un paio di iridi azzurre come il cielo la osservavano con attento interesse.

Un sorrisetto soddisfatto si dipinse sul volto di House non appena, da dietro la colonna, vide uscire il vecchio ed inconsapevole Harmlet dal suo ufficio, camminando a passo svelto.

Per un attimo, un piccolissimo attimo il suo pensiero corse a Wilson.

Sorrise, sadicamente. Già lo immaginava, aggrottare la fronte, iniziare a balbettare che lui non aveva chiesto nessun genere di consulto, che si scusava che non sapeva come fosse potuto accadere un equivoco del genere.. oppure avrebbe inventato un consulto last minute da applicare ad un paziente immaginario?

No, non era molto da Wilson. Qui il vero esperto di bugie era lui, Jimmy era solo un apprendista, se la cavava abbastanza con quelle extraconiugali ma quando si trattava di improvvisazione era decisamente scadente.

Camille ritornò a qualche altra misteriosa occupazione e House con l’aria di un bimbo che si è sperduto nel bosco, ripercorse il corridoio con un sorriso angelico e sognante.

Giunse fino alla porta del famigerato ufficio e con una naturalezza quasi spaventosa, l’aprì.  Stava per entrare quando la gracchiante voce di quella.. come si chiama, di quella Camille, lo interruppe ad un passo dal traguardo. –ma dottore…?- esclamò la donna.

Greg roteò gli occhi e si girò con un sorriso ironico.- ah Camille, com’è efficiente!-

La donna sorrise, sinceramente convinta di aver ricevuto un complimento.- ma.. che fa?-

-è difficile da dire.- rispose House, pensieroso.- di solito quando qualcuno apre una porta dovrebbe poi varcarla ma..-

-e perché deve entrare nell’ufficio del dottor Harmelt? Lui non c’è, se l’è dimenticato che è andato dal dottor Wilson?-

Greg sorrise. E se Camille non fosse stata tanto stupida, si sarebbe accorta di quanto perfido era quel sorriso.- sa, non mi sento molto bene. Vorrei che mi visitasse.-

L’improvvisazione. Quella era arte. Altro che le cavolate, per quanto articolate,  che James rifilava alla moglie, quella era roba da neonati, in confronto.

-lei vuole farsi…. Visitare…. ?-

-anche i dottori stanno male. O crede che dopo 11 anni di medicina siano diventati immuni?-

Camille esibì uno sguardo un po’ incerto e House proseguì.- quindi, se non le dispiace, lo aspetto in ufficio, prima che si presenti qualche paziente.- non diede tempo all’infermiera di replicare, si chiuse letteralmente la porta alle spalle, lasciandola fuori.

Aveva perso sin troppo tempo. E Harmelt, furioso e scocciato per quel finto consulto, non sarebbe arrivato troppo tardi.

I suoi occhi attenti si focalizzarono sull’ambiente un po’ angusto di quell’ufficio serio e vecchio quanto il dottore che vi lavorava.

Al lavoro.

 

 

 

Foreman era appena arrivato dall’ambulatorio mentre Chase era arrivato a lavoro da pochi minuti. Robbie, il loro paziente, era abbastanza stabile e per il momento non dovevano occuparsi di lui, così entrambi aspettavano che House si degnasse di raggiungerli per cercare di approfondire la malattia di Robbie approfittando del suo momento di stasi.

-secondo te potrebbe piacerle l’opera?- la voce di Chase interruppe il silenzio creatosi tra i due dottori.

Foreman si girò verso di lui con uno sguardo chiaramente sprezzante. –mi sembra di avertelo già detto.-

Chase aggrottò la fronte.- no, non ne abbiamo mai parlato..-

-e invece si.- ribatté il nero con un fare un po’ scocciato.- mesi fa ti ho detto che era una pessima idea.-

Chase sbuffò per l’ennesima volta.- sono cambiate molte cose da allora.-

-non credo. È ancora una tua collega.- ribadì l’uomo mentre continuava a tenere lo sguardo concentrato su  quella cartella clinica.

-oppure sarebbe meglio il cinema?- continuò l’australiano, come se non avesse sentito nulla di quanto detto poco prima. Gli occhi severi del collaboratore si posarono finalmente su di lui.

-senti, è fatica sprecata.- disse ermeticamente, con il fare chiaro di chi vuole chiudere la questione una volta per tutte.

Robert fece un’espressione contrariata.- solo perché è una collega?-

-perché è chiaramente, palesemente, innamorata di House.- spiegò Foreman, con un’aria di sufficienza.- quindi incaponirti su di lei porterà solo a rovinare quella specie di rapporto professionale che dovrebbe esserci, chiaro? Sono anche usciti insieme e..-

Robert lo interruppe immediatamente.- ma è andata malissimo.-

-sono pur sempre usciti.-

-e io c’ho pur sempre fatto sesso.-

-che cos’è, una gara a punti?- sbottò il nero. 

In quell’istante piombò nell’ufficio Cameron, tutta trafelata, con il soprabito in mano e il fiatone di chi ha fatto le scale di corsa perché l’ascensore sarebbe stato troppo lento.

Si vedeva chiaramente che si era vestita un po’ di fretta: nonostante fosse impeccabile come sempre  aveva i capelli completamente sciolti, un po’ spettinati, come se si fosse dimenticata di pettinarli con cura, e leggermente più mossi di come li aveva sempre. 

Gli occhi di entrambi si puntarono sulla nuova arrivata.

-ah, buongiorno!- scherzò Eric con un sorriso un po’ di circostanza.

-quella stupida macchina, la odio!- esclamò Cameron appoggiando la borsa sul tavolo ad un passo da Chase che, naturalmente, non le aveva ancora tolto gli occhi di dosso e la fissava intensamente.

-ti si è fermata l’auto?- chiese Foreman, incuriosito. 

-peggio, mi è andata praticamente a passo d’uomo.- spiegò la ragazza evitando di incontrare lo sguardo di Chase. L’avrebbe messa troppo in imbarazzo, lo sapeva.- e il mio meccanico è in ferie. Dovrò andare avanti così per almeno un altro paio di giorni.-

-mm, buona fortuna.- ad interloquire era sempre Foreman.

Chase si limitava a fissarla, contemplandola quasi. Foreman si accorse dell’apparente stato di ‘estasi’ dell’australiano e per fargli dare una bella risvegliata lo scosse con una piccola ma intensa gomitata. 

-e House?- chiese la giovane aggrottando la fronte.

-praticamente scomparso da una ventina di minuti.- questa volta fu Chase a rispondere.

Allison annuì, pensosamente, evitando di guardarlo. Non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine dell’altra sera e il suo stupidissimo bacio. -io vado da Robbie.- sentenziò infine Allison prima di uscire velocemente dall’ufficio.

Foreman si voltò verso l’australiano con uno sguardo piuttosto soddisfatto.- visto?-

Chase rise, quasi con scherno.- solo perché ha chiesto di lui non vuol dire che è ancora disposta a morire per il suo amore.-

Eric esibì uno sguardo eloquente. E Chase riprese: -lui l’ha respinta tante volte, come fai a dire che lei non se lo sia tolto dalla testa?-

Foreman negò con il capo, sospirando.- House non ti permetterà di avvicinarti troppo a lei. Attento a quello che fai. -

Chase non rispose niente.

Ma lui la voleva, ne era certo.

E non si sarebbe fermato.

Per una volta, House non gli faceva così paura.

 

 

Era tardo pomeriggio.

Le giornate si erano allungate e nonostante fossero le sei inoltrate, il cielo, fuori dal grande ospedale, era ancora chiaro, sfumato di un rosa confetto, molto romantico, pensò Allison mentre si trovava sola, nel grande ufficio di House, a riordinare alcune, noiose, noiosissime pratiche burocratiche. La giornata, nonostante tutto, era scivolata via abbastanza velocemente.

Era riuscita ad evitare Chase in maniera quasi mirabile. Aveva fatto coppia fissa con Foreman tutto il santo giorno e, grazie a Dio, Robert era stato spedito da House a casa di quel pazzo di Robbie e era stato via per un bel po’. Meno male.

Non avrebbe saputo cosa fare, cosa dire. Neanche guardarlo negli occhi.

Era stato difficile riprendere un rapporto.. ‘normale’..  quando era accaduto quello che era accaduto, e adesso era ancora più difficile perché ora, a differenza di prima non avevano scusanti. Chase non aveva scusanti. L’aveva baciata. Volutamente.

Questo la mandava in confusione, la faceva stare male sotto un certo punto di vista. Non le piaceva quando le cose si facevano così confuse, così sfumate, così tra le righe, troppi non-detti, troppi silenzi, troppi equivoci.

Forse aveva sbagliato. Avrebbe dovuto andare da lui ed affrontarlo ma, ancora una volta, la paura prevalse sulla sua voglia di precisione. Forse aveva semplicemente paura di quello che Robert avrebbe potuto dirle.

Sospirò. Il suo pensiero corse ad House.

House si era comportato in modo piuttosto strano oggi.

Perché, era mai stato normale? Si domandò, sorridendo tra se. Però, ripensandoci, era più strano del solito. Era stato via un bel po’ e poi, dopo una breve, brevissima, entrata in ufficio dove spiegava che doveva scappare sia dalla Cuddy sia da Wilson per motivi non ben precisati, era scomparso di nuovo.

Si erano dati appuntamento al bagno dei disabili del terzo piano, tutti e quattro, per discutere di Robbie, poi li aveva liquidati assegnando loro il lavoro che avrebbero dovuto svolgere e via, scomparso di nuovo. Forse si nascondere davvero.

-è così che si lavora?- la sua voce ironica, sarcastica e pungente la raggiunse in quell’istante. Greg era entrato, sorprendendola con la mente tra le nuvole e facendola anche sobbalzare leggermente. House corrugò la fronte.- ehi, sei di nuovo seduta sulla mia scrivania!-

Cameron sorrise, divertita. Ah eccolo. –e Wilson? Non ti da più la caccia?-

-l’ho depistato.- sorrise l’uomo, diabolicamente quasi.- e tu stai cercando di depistare me. Allora perché sei seduta sulla mia scrivania?-

-perché sto facendo il tuo lavoro?- ipotizzò la ragazza, rimettendosi china a scrivere su quelle pratiche. – e perché la poltrona è più comoda delle sedie.- spiegò quindi sorridendo leggermente.

House grugnì, soddisfatto di quelle risposte e si diresse lentamente verso di lei, con uno sguardo diventato improvvisamente serio. –non credevo di trovarti qui.-

-mi hai assegnato tu questa roba da fare.- protestò lei, senza alzare lo sguardo.

‘già’. Pensò Greg maledicendo la sua sbadataggine. Avrebbe dovuto mandarla da qualche parte, così lui avrebbe potuto cercare con calma nella sua borsetta. Beh, comunque, ormai il danno era fatto. tanto valeva affrontare subito la cosa.

-Foreman mi ha detto che oggi hai avuto una specie di mancamento..-

Allison s’interruppe bruscamente. Alzò lentamente lo sguardo, fino ad arrivare ad incontrare quello serio e concentrato del suo capo. Perché gli faceva quella domanda? Ah, Foreman non si smentiva mai. Era sempre una gran boccaccia.

Sbuffò.- è stato un giramento di testa, non un mancamento.-

-ti si è oscurata la vista?- incalzò House.

Cam alzò le spalle.- per pochissimo. Sono gli effetti..-

-bla bla bla.- l’interruppe lui.- smetti di prendere quelle medicine.-

Allison spalancò la bocca dalla sorpresa.- cosa?-

-hai capito.- House si avvicinò all’attaccapanni, prese la sua borsetta, l’aprì e ne estrasse i due flaconcini di pasticche.- queste le prendo io. A te non servono.-

Cameron era rimasta basita, ad osservare il suo capo. Ma adesso era troppo. Scattò in piedi e si diresse verso di lui, furiosa.- ma che diavolo stai facendo?- urlò.

-questa roba.- continuò House.- ti sta rovinando. Non ti porteranno a non avere l’HIV, non servono a niente lo sai benissimo. Se hai l’HIV non cambieranno nulla, invece rischiano di provocarti gravi scompensi. Gli effetti collaterali non fanno svenire ogni volta che uno si alza velocemente o vomitare se mette qualcosa sotto i denti. Quell’Harmelt è un incapace, ti sta intossicando.-

Allison restò ammutolita e ascoltò con il medesimo silenzio quello che seguì.

-smetti di prenderle. O potresti ritrovarti a rimettere due o tre volte a giorno, più del tuo appuntamento abituale con la tazza del wc, con conseguenze che immagini-

-ma..- fu l’unica cosa che riuscì a dire.- è un trattamento che devo fare per…-

  inutile.- l’interruppe, con un accento scocciato.- continua a prenderle anche per un altro giorno e non dovrai pensare solo all’HIV.-

 Cameron chiuse gli occhi.- ma… aspetta.- si riscosse.- tu come fai a sapere queste cose? Che rimetto una volta al giorno che ho dei mancamenti che..-

-la tua cartella clinica.- disse, semplicemente. Voleva evitare tutti i preliminari che aveva avuto con Stacy. Meglio andare dritti al sodo. Allison spalancò gli occhi, incredula.- tu hai letto la mia cartella clinica?-

-se ti può consolare ho letto anche quella della psicologa di Stacy, ma non fare la gelosa, la tua era più interessante.-

-smettila!- sbottò, arrabbiata.- tu non dovevi permetterti di..-

-ah, che noia, l’ho già vista questa scena! Ma perché la gente è così ripetitiva.. -

-forse perché alla gente non va che qualcuno si intrufoli così meschinamente nella sua vita privata, perché…-

-ma tu e Stacy avete lo stesso sceneggiatore? Siete identiche, potreste diventare amiche!-

Cameron strinse i pugni. Si sentiva violata, scoperta.

Quella era la sua vita privata lui non aveva il diritto di ficcanasare in quel modo!!

Non voleva fare parte della sua vita? D’accordo! Ne stesse fuori però!

-questi sono affari miei.- sussurrò con voce irata.- e tu devi starne fuori.-

L’uomo la guardò, con ironia –è inutile che fai la scontrosa, tanto lo so che ti fa piacere…-

-della tua curiosità infantile non me ne faccio niente!- gli urlò sopra la ragazza.

Greg sospirò un istante. Poi allungò la mano verso di lei, restituendole le medicine.- tieni. Riprendile se vuoi. E ucciditi con le tue mani.-

Allison restò qualche istante ad osservare le sue pillole. In uno scatto d’orgoglio le prese velocemente, infilandole nella borsetta.

- quello che faccio non ti riguarda, House. La mia vita non ti riguarda.- si interruppe un istante.- non più.- concluse poi, con un filo di voce.

Bussarono improvvisamente alla porta. I due si voltarono e videro Stacy che si affacciava dall’entrata con un sorriso … soddisfatto..?sul volto. –posso?- disse la donna, con una voce piuttosto allegra. I due non risposero subito così disse.- ma se vi ho interrotti ripasso più tardi, non c’è problema….-

-no.- l’interruppe la ragazza.- vi lascio soli.-

-veramente…- la voce di Stacy la bloccò.- veramente volevo parlare con te.-

Allison l’osservò, stupita, mentre House colse la palla al balzo per andarsene velocemente. Prima di uscire le lanciò uno sguardo strano, sguardo che non passò affatto inosservato all’avvocato che commentò, con un sorriso tirato.- litigato?- e allo sguardo stupito di Allison rispose.- conosco quello sguardo. Devi averti fatto qualcosa di cui si è pentito.-

-no.- sospirò Cameron.- no, non credo che si sia pentito. In realtà non credo neppure che abbia capito d’avermi ferita.- s’interruppe un istante.- ma… volevi dirmi?-

Stacy sorrise a quelle parole, incrociò le braccia ed iniziò.

-volevo parlarti di Chase.- Cam sbiancò. -perché quella faccia? Tasto dolente?-

Cameron negò ma Stacy proseguì, con un fare piuttosto altezzoso.- a Cuddy sono giunte voci non troppo rassicuranti sul suo conto e sul suo rapporto con gli altri colleghi.-

-alludi a…-

-ovvio.- l’interruppe la donna.- si dice in giro che ti abbia fatto una scenata riferendosi ad una tua possibile relazione con House e accusandoti di opportunismo… confermi?- Allison stava per replicare ma la donna l’incalzò di nuovo.- no, non coprirlo. È inutile, sia per te che per lui.-

-che.. che cosa vuole fare Cuddy a proposito?-  domandò la giovane, lentamente.

Stacy alzò le spalle.- niente per ora. Ma voleva farti sapere che se questo ricapiterà di nuovo dovrai informarla, senza nasconderlo in questo modo. Non vuole teste calde nel suo ospedale.- la giovane annuì.- vorrei che però domani passassi nel mio ufficio e.. ah, no, rettifico, domani sarò a Baltimora con House, non ci sarò.-

Cameron aggrottò la fronte. A Baltimora? Con House??

Stacy la vide così spaesata e con un sorriso intrigato e intimamente soddisfatto domandò.         -Cameron? Va tutto bene? Ci possiamo vedere dopodomani.-

-certo.- balbettò la ragazza. Le due si congedarono qualche istante dopo.

L’avvocato se ne andò lasciandola sola e in balia dei suoi pensieri.

Fino ad un istante fa aveva odiato House con tutta se stessa e adesso che sapeva che avrebbe passato tutta la giornata di domani con Stacy.. no sapeva come sentirsi. L’unica cosa che sentiva veramente dentro di sé era la rabbia.

Arrabbiata per quello che gli aveva fatto lui, arrabbiata perché, ancora una volta, aveva avuto la conferma di non essere niente per lui se non un pupazzo di pezza interessante, arrabbiata perché si era ricordata di avere una rivale, una pericolosa rivale per il cuore di House.

E che non le venissero a dire che non doveva temerla perché era una storia vecchia di cinque anni fa! Al diavolo il fatto che era sposata con Mark e via dicendo, al diavolo tutto, lo sguardo di quella donna la diceva lunga., altroché!

Come le era sembrata soddisfatta quando aveva disdetto il loro appuntamento per palesarle che sarebbe stata tutto il giorno con House!

Non poteva dire semplicemente che non ci sarebbe stata al PPTH?

No, aveva dovuto ribadire che sarebbe andata a Baltimora.

E con House!

Con rabbia, si avvicinò alla scrivania e prese le sue cartelle, decisa ad andare a casa e continuare lì il suo lavoro. Stava giusto uscendo quando incrociò sulla porta dell’ufficio Chase.

La ragazza non poté fare a meno di maledire la sua sfortuna, ancora una volta.

-vai via?- le domandò retoricamente il ragazzo, poi, non ottenendo risposta, chiese con un sorriso un po’ incerto.- senti ….. hai impegni per questa sera? Ti va di..-

-no.- lo interruppe bruscamente lei, sorpassandolo e andandosene velocemente.

Robert incurvò le sopracciglia mentre l’osservava camminare per il corridoio.

Foreman si avvicinò in quel momento, seguì lo sguardo del collega ed incontrò la leggiadra figura di Cameron che entrava nell’ascensore.

Sorrise e gli diede una piccola pacca sulla spalla.

Chase sbuffò.- è il secondo ‘no’ che mi rifila.- disse, scocciato.

-non c’è due senza tre.- concluse il nero, ridendo, prima di entrare velocemente nell’ufficio.

Chase rimase ancora qualche istante ad osservare il corridoio da dove lei era sparita, poi, imprecando, seguì il collega.

 

 

To be continued…

 

Diomache.

 

 

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Capitolo 9
*** How is possible? ***


Ciao a tutti

Ciao a tutti!!

Eccomi qua, oggi è vacanza, ho aggiornato di mattina, con tutta tranquillità questo chapter 9.. avete visto gli episodi di ieri sera??? Ma avete visto che razza di stronzo Foreman??

Secondo me Cameron ha fin troppo autocontrollo, in primis io  gli avrei sputato su un occhio, poi un bel calcio dove dico io non glielo levava nessuno oppure un bel ceffone così se la leva quell’espressione strafottente dalla faccia! Che stronzo!!! Grrrrr

Per non parlare di Chase, la solita ‘bandierola vigliacca’. (si dice dalle mie parti)

 

Va beh va, scusate il mio sfogo ma ci voleva proprio…

Innanzitutto vorrei ringraziare di tutto cuore le persone che hanno recensito questo capitolo, quindi grazie a : Gulyuly, Dana, Giu_chan, irene!!, Nathaniel e Hikary !!!

Grazie del vostro appoggio e dei vostri complimenti, siete fantastici!!! Naturalmente invito tutti a lasciarmi un commentino, critiche e.. perché no.. anche suggerimenti tutto è ben accetto!

Un bacio!!

Diomache.

 

 

This shouldn't happen again

 

 

 

“this shouldn't happen again”

 “Do you think I want it to?”

 

 

 

Chapter nine:  How is possible?

 

 

 

Due giorni dopo…

 

 

La ragazza picchiettava ritmicamente le dita sul tavolo, lo sguardo concentrato, arrabbiato, fisso sul quella specie di pollo ammuffito, quella sottospecie di roba commestibile che qualcuno lì dentro aveva ancora l’ardire di chiamare carne.

Ne infilzò un pezzo con la forchetta, imprimendogli una violenza un po’ sproporzionata rispetto a quella che doveva aspettarsi un innocuo (beh, forse tanto innocuo no..) pezzettino di pollo.

Se lo portò alle labbra, ma non riuscì a mangiarlo. Oltre al fatto che la ripugnava in maniera assurda e oltre al fatto che non stava affatto bene di stomaco per problemi suoi, si disse che non sarebbe riuscita a mandare giù nemmeno una torta al cioccolato dopo un mese di digiuno, tanto sentiva lo stomaco chiuso, sigillato.

Posò la forchetta sul piatto e concentrò il suo sguardo sul vero problema della sua giornata.

Ovviamente lo distolse dal pollo e lo centralizzò sulla donna che, poco distante da lei, parlava animatamente con un uomo sulla carrozzina. Eccola la vipera.

Si diede immediatamente della stupida. Lei non conosceva Stacy non aveva il diritto di giudicarla in quel modo, insomma ma che le stava succedendo? La gelosia per House le toglieva completamente il senno della ragione?

Se Greg l’aveva amata e per tanto tempo sicuramente Stacy era una donna speciale, magnifica, forse più perfetta e magnifica di quanto lo sarebbe mai stata lei. Forse era questo il suo problema con Stacy: lei era una rivale molto più forte di lei. Lei era la donna perfetta, forte, determinata, e poi era stata la donna di House. Qualcosa che lei non avrebbe mai potuto dire di sé e questa forse sarà la sua più grande sconfitta: non riuscire a farsi amare dall’unico uomo di cui le importi veramente qualcosa.

E Stacy, invece?

La rabbia l’invase di nuovo.

Erano passati due giorni dall’ultima volta in cui le aveva parlato. Stacy aveva parlato di un solo giorno a Baltimora, invece quanto si erano trattenuti??? Due giorni. Doveva essere andata e ritorno, e già sarebbe stato duro da mandar giù in questo modo, e invece adesso veniva a sapere che House e Stacy avevano passato la notte insieme, in un albergo.

E anche se avrebbero giurato il contrario, era pronta a scommettere che l’avevano passata nella stessa camera. Certo, House era rimasto sempre in contatto con loro telefonicamente, ma una telefonata è una telefonata, come avevano trascorso il resto della nottata?

Era successo qualcosa ne era sicura. Se lo sentiva nelle ossa, se lo aveva sentito sin da quando Stacy glielo aveva candidamente annunciato.

Questi due giorni per lei erano stati un incubo.

E non solo perché il paziente che aveva affidato loro la Cuddy era un caso particolarmente complesso ed erano riusciti a risolverlo solo con il tempestivo intervento telefonico di Greg ma per il pensiero costante di loro due, soli, insieme.

E anche se ogni tanto la sua mente si liberava dallo spauracchio acido di Stacy, ci pensavano Chase e Foreman a farle tornare la memoria, grazie alle loro battutine, alle loro allusioni.

Ci si divertivano quei due ad ipotizzare che cosa stessero facendo o come avessero trascorso la notte.

Lei, invece, ci stava male. Chiuse un secondo gli occhi ed inspirò lentamente.

Quando li riaprì Stacy stava di nuovo parlando con suo marito, Max, prendendogli le mani nelle proprie. Aggrottò la fronte.

Ma se era accaduto qualcosa con House come poteva recitare così con il marito?

Come poteva sorridergli in quel modo? Come poteva baciarlo, lanciargli sguardi rassicuranti, con il pensiero dell’altro nella mente??

Questo la disgustava, davvero. Lei non ci sarebbe mai riuscita. Negli ultimi mesi di suo marito, quando aveva capito del sentimento che stava iniziando a provare per Joe, non riusciva nemmeno a guardarlo faccia. Si sentiva sporca, sbagliata, in colpa. E poi per cosa? Non aveva fatto niente.

E Stacy ed House?

Questa mattina aveva visto House. Era stato normale, acido, strafottente e strano come sempre eppure lei c’aveva visto qualcosa di diverso. Qualcosa di piccolo ma di estremamente anomalo che l’aveva a dir poco turbata, mandandola in confusione.

Aveva paura. Aveva paura che davvero fosse successo qualcosa di irreparabile.

Cercò di convincersi che se qualcosa era realmente accaduto tra di loro, era destino che accadesse, lei non poteva farci assolutamente niente. Chissà magari era meglio così, meglio una soluzione definitiva che questo lungo periodo di stasi e di incertezza, magari lei finalmente avrebbe continuato con la sua vita e piano piano si sarebbe liberata dell’amore per lui.

Ma era difficile autoconvincersi. Altroché.

Sospirò, alzandosi velocemente. Non poteva vivere con quel dubbio.

Doveva scoprire cos’era successo e la testardaggine non le mancava di certo.

Il suo sguardo s’illuminò improvvisamente e con uno scatto s’avviò verso l’uscita della mensa.

 

 

 

House aveva battuto ogni record quel giorno. Si era presentato non per l’ora di pranzo come faceva abitualmente, ma addirittura dopo pranzo! La Cuddy era diventata una furia, l’aveva praticamente aspettato all’ingresso come un padre aspetta il figlio che torna all’alba, con la clava in mano. Ecco, più o meno così.

Non aveva nemmeno avuto il tempo di inventare una balla decente che l’aveva spedito a farsi le sue ore di ambulatorio e quando aveva cercato d’inventare che Robbie aveva bisogno di lui, aveva urlato ancora di più. Ma non voleva che si occupasse dei pazienti?

Bah, le donne.

Greg, sbuffando, varcò pesantemente la porta della sala uno, sospirando non appena i suoi occhi azzurri incontrarono la figura di una ragazza appena ventenne e apparentemente in buonissima salute, seduta sopra il lettino, con un sorriso a 36 denti.

House la guardò un istante, come in trance. Poi si voltò e fece per andarsene, ma la giovane lo richiamò immediatamente non dandogli nemmeno la possibilità di scappare.

-scusi.. lei è un dottore… ?-

House sospirò, si fermò sulla soglia e si voltò lentamente con una chiara espressione di disappunto nello sguardo. – lei sì che è intuitiva. In un ospedale non è facile trovarne molti..-

-è che non ha il camice-

-sul serio?- domandò, incredulo.- non me ne ero accorto.-

-oh che buffo, se l’ha dimenticato!!!-

La ragazza scoppiò a ridere come una gallinella, senza cogliere minimamente la sfumatura palesemente sarcastica nella voce di Greg. House si passò una mano sugli occhi.

La gente è sempre più deficiente.

-allora?- la interruppe con un borbottio seccato.

La ragazza si calmò a fatica, poi esordì con uno sguardo un po’ preoccupato.

-dottore non mi sento bene.-

House annuì.- mio Dio, dovrebbe andare all’ospedale!- la ragazza lo guardò un po’ dispiaciuta e lui riprese, palesemente scocciato.- e cosa sente di preciso..-

-è come se avessi un peso nello stomaco…-

House si sedette, con fare estremamente annoiato. –mm ..interessante..- mugugnò, sarcastico.- nient’altro??-

La ragazza osservò con cura quello strano dottore e riprese - e.. insomma non riesco a respirare..  ho il fiato mozzato..-  continuò mettendosi una mano sul petto e chiudendo gli occhi.

Greg la osservò con uno sguardo palesemente annoiato e distratto.

-mm.- mugugnò in risposta.- dica, è innamorata per caso?- domandò appoggiando entrambe le mani sul bastone.

-oh, è così evidente??- esclamò la ragazza con occhi sognanti e un sorriso così dolce che avrebbe schifato persino una bambina di quattro anni. Il sorriso di House si spense immediatamente e lasciò il posto ad un’espressione di appena sufficienza.

-allora??- chiese la ragazza trepidante.- che cos’ho?-

House sospirò, si alzò velocemente e si diresse verso la porta. 

-ma..- tentò di opporsi lei.- ma.. dottore.. è grave??-

House si voltò verso di lei esibendo uno sguardo addolorato.

-più di quanto credessi, sono desolato. Le mando la specialista, non si preoccupi, la dottoressa Cameron sarà qui immediatamente.-

Uscì velocemente, pensando che non avrebbe retto un altro paio di minuti in compagnia di quella cretina esaltata per di più innamorata. Incrociò proprio in quell’istante l’immunologa che camminava velocemente con uno sguardo serio e determinato.

-Cameron!-

la chiamò, notando che lei non si era nemmeno accorta della sua presenza. Allison si voltò di scatto, come se la sua voce l’avesse quasi spaventata.- si..?- domandò.

-ho un regalino per te.- disse con un sorriso falsamente gentile, avvicinandosi alla ragazza che aggrottò la fronte e lo guardò con un’aria decisamente scettica.

-tieni.- disse Greg mimando i gesti di un fidanzato innamorato quando consegna un anello alla sua ragazza. Già, solo che lui le stava consegnando la cartella di un paziente.

-wow.- esclamò, sarcastica, la giovane.- ma non dovevi!- disse strappandogli quasi la cartellina dalle mani.

-oh non ringraziarmi, sono fatto così.- continuò l’uomo, ironico.

-non scomodarti la prossima volta.- Allison gli sorrise sarcasticamente poi girò le spalle  e si avviò verso la stessa meta di poco prima.

Greg restò qualche istante lì, in mezzo al corridoio, concedendosi il piacere di osservarla, prima che svoltasse l’angolo e fosse fuori dalla sua portata visiva.

Cameron. 

Chissà dove andava con quel piglio così determinato. Vederla così risoluta era un vero piacere, paragonabile a quello che provava quando Allison era arrabbiata o innervosita.

Era incantevole vedere come aggrottava la fronte, come i suoi occhi assumessero quella sfumatura così intensa, come stringesse la bocca e le guance che si coloravano di un rosa più intenso rispetto agli altri giorni. Ripensò all’ultimo colloquio che aveva avuto con lei.

Erano passati solamente due giorni eppure erano accadute così tante cose che nemmeno in un mese.

La sua mente corse subito a Stacy. A quello che era successo e a quello che sarebbe successo in avanti. Che diavolo aveva fatto? Era davvero giusto riprendere il filo con la sua vecchia compagna?

Fino a poco tempo prima non ci avrebbe ripensato una volta di più. Riavere Stacy non era stato mai qualcosa di opinabile, era sempre stato qualcosa che voleva e basta. Ma adesso?

L’altra sera, a Baltimora. L’ipotesi che stesse sbagliando tutto non l’aveva sfiorato nemmeno un istante. Eccetto quando aveva sentito la sua voce, al telefono. La bocca di Stacy era ad un passo dalla sua ma la voce di Cameron lo aveva fatto.. straniare.. da quello che stava accadendo. Dopo averla sentita, aveva guardato la donna che era con lui con un occhio.. diverso? Si, probabilmente sì. E in quell’istante gli era sfiorato il dubbio che stesse sbagliando tutto.

Rivoleva sul serio Stacy o il suo era stato solamente il capriccio di riaverla, l’orgoglio perverso di riprendersela, di farla innamorare di nuovo di lui e basta?

Mah. Forse l’avrebbe scoperto solo andando avanti con questa sorta di rapporto.

Eppure il pensiero che solamente la voce di Cameron aveva avuto il potere di destabilizzarlo lo inquietava… ma che cosa rappresentava veramente per lui quell’enigma di ragazza?

Non lo sapeva.

Sospirò.

Non ebbe il tempo di rispondere a quelle domande. Foreman lo riportò alla realtà, dicendo.

-ah, sei arrivato finalmente. Notte brava?- domandò il nero con un sorriso malizioso.

-oh Foreman, che direbbe il tuo Dio? Sempre a fare pensieri impuri!- sbottò il diagnosta mentre si dirigeva con lui verso l’ascensore.

 

 

 

 

Wilson aprì la porta del suo ufficio, con estrema noncuranza. Entrò e sul suo viso si dipinse un’espressione di puro stupore non appena notò la persona che lo aspettava, pazientemente, seduta davanti alla sua scrivania.

Allison alzò lo sguardo.- ciao.- disse, sfoderando un sorriso che a James non piacque per niente.

-uh, ciao.- rispose, un po’ vago.- come mai qui?-

Cameron si alzò lentamente dalla sedia e si diresse verso di lui.- devo parlarti.-

Wilson sospirò, grattandosi il mento. Sperò che si trattasse di un consulto. Ma qualcosa, infondo agli occhi azzurri di Cameron, gli diceva che non lo era affatto.

-dimmi pure.- disse quindi, cercando di apparire disinvolto.

-si tratta di House.- disse piano, la ragazza, con un’espressione seria.

Wilson annuì. Ecco, lo sapeva.- andiamo, che ha fatto questa volta?- cercò di sdrammatizzare, come se non sapesse già quello che era venuta a fare la ragazza da lui.

-speravo che me lo dicessi  tu.- continuò la giovane guardandolo intensamente con un i suoi occhi ammaliatori.

James esibì un’espressione un po’ a disagio.- Allison, sono cose personali non so se..-

-anche il fatto che sono andata a letto con Chase era una cosa personale. Eppure lo sa tutto l’ospedale.-

-non vuol dire che io debba andare in giro a dire quello che fa House con..-

-per favore.- lo interruppe lei, sussurrando quasi. Con una dolcezza che arrivò dritta al cuore del tenero dottor Wilson. L’uomo sospirò, sbuffando quasi. Che situazione.

-io ho bisogno di saperlo.- continuò Cameron, leggermente in imbarazzo.

Quanto le costava fare tutto questo. Era un passare sopra al suo orgoglio, ma non le importava. Doveva sapere, qualsiasi cosa si trattasse, era meglio conoscere la verità.

–lo so che ti metto in una brutta situazione…-

L’oncologo annuì, osservandola lentamente. La dolce Cameron. A volte avrebbe messo la testa di quel testone di House nel water e scaricato finché non si fosse dato una svegliata con lei. Che scemo. L’intero staff maschile del PPTH darebbe un braccio per poter avere le grazie della dottoressa Cameron e lui, l’unico uomo che può dire di poterla avere sul serio… ah, il mondo va proprio a rotoli.

Comunque, per quanto scemo, era pur sempre il suo migliore amico.- senti, Cameron…-

-fingerò di non saperlo.- continuò lei.- non una parola uscirà dalle mie labbra, nessuno saprà niente e… posso fare tutto quello che vuoi, qualsiasi cosa, turni in ambulatorio, ore in più, intercessioni presso la Cuddy, analisi, consulti, dimmi tu.-

James sorrise e lei con lui.

Fissò il pavimento mentre diceva.- un bacio, che io sappia.- i suoi occhi castani spiarono la reazione di lei, poi continuò.- ma mi sembra che la situazione sia destinata ad evolversi. Credo che vogliano iniziare una relazione.-

Cameron pensò che se qualcuno le avesse dato un pugno allo stomaco non avrebbe fatto altrettanto male. Annuì lentamente, balbettando un –grazie.- accompagnato da un sorriso un po’ incerto, poi si diresse velocemente verso la porta, scavalcando l’oncologo.

James l’osservò andar via mestamente dal suo ufficio. Avrebbe voluto richiamarla, ma non lo fece. Non era il caso di metterla in imbarazzo più di quanto non lo fosse già.

Sospirò.

 

 

 

Chase entrò velocemente nell’ufficio di House per prendere le cartelle che il diagnosta stesso gli aveva chiesto. I suoi occhi notarono che Cameron non era nemmeno lì. Ma dov’era finita?

Prese velocemente le cartelline e si diresse verso l’uscita cercando di sbrigarsi il più possibile per non sentire le solite lamentele del suo capo, tuttavia, giunto alla porta, si fermò di colpo.

Il suo sguardo focalizzò il soprabito della sua collega, appeso sull’appendiabiti, accanto a quello suo e di Foreman.

Nonostante il ‘no’ dell’altro giorno riecheggiasse ancora nella sua mente, si disse per l’ennesima volta che non poteva arrendersi. Si avviò verso il proprio giaccone e prese dalla tasca la piccola bustina rossa che aveva preparato a casa, poi l’infilò lentamente nella tasca del soprabito di Cameron.

Sorridendo, uscì velocemente dall’ufficio.

 

 

 

Gli occhi verdi della ragazza osservarono qualche istante la sua immagine riflessa sullo specchio del bagno delle donne. Ecco, come si era ridotta.

Negò con il capo, poi si sciacquò di nuovo la bocca.

Aveva rimesso, di nuovo.

Dopo quella notizia era come se la sua nausea si fosse triplicata e non aveva potuto far altro che rifugiarsi lì e dar sfogo a tutto il suo malessere, fisico e, purtroppo, morale.

I suoi occhi si riempirono un istante di lacrime ma lei le ricacciò indietro, fermamente.

Non voleva piangere. Non voleva assolutamente piangere.

Non era più una ragazzina che piange alla notizia che il ragazzo che le piaceva tanto in realtà non ha occhi che per un'altra, che diamine!

Ma che cosa c’era in lei che non andava? Forse aveva ragione House, forse aveva ragione Foreman, forse avevano ragione tutti.

Il guaio stava in lei, nella sua mente. Lei troppo idealista, lei un’illusa e basta.

Illusa.

Illusa che Chase non si fosse approfittato di lei quella notte. E invece se ne era quasi vantato, davanti ad House.

Illusa nel rapporto che poteva esserci tra colleghi, ma soprattutto tra quelli che lei, nonostante tutto, definiva suoi ‘amici’. Cosa che Foreman tante volte le aveva negato. Non c’era amicizia, solo un sottile strato d’ipocrisia. La normale ipocrisia che deve esserci tra colleghi.

Illusa che House potesse provare qualcosa per lei. E anche quest’ultima, fragile illusione, era ben presto crollata.

Lei, troppo sognatrice, troppo stupida. E si trovava sempre a soffrire, sempre. Per un verso o per un altro.

Una lacrima le scivolò lungo il viso.

Ma com’era possibile?

Le parole di Wilson le riecheggiavano nelle orecchie, come un ronzio.

Un bacio.. una relazione..       

Era finita. House e Stacy stavano insieme. Questa volta per lei non c’era davvero più speranza.

Anche il suo sogno impossibile tra lei e House, come volevasi dimostrare, era miseramente crollato, insieme a tutti gli altri.

 

 

 

 

 

 

To be continued…

 

Diomache.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Destiny's taste ***


This shouldn't happen again

Ciao a tutti!!! Ecco on- line il capitolo dieci.. è un capitolo molto sofferto e decisivo per lo sviluppo della storia.. spero che commenterete numerosi e che non mi farete mancare il vostro appoggio.. ci conto!

Ringrazio con tutto il cuore chi ha commentato il capitolo precedente, quindi un bacio a : irene!!, Giu_chan, Gulyuly, Martina, Varekai, Takig, Giulietta, Nathaniel, Dana, Liserc ed Apple !! GRAZIE, VI ADORO!!!!!

Spero che vi piaccia,

un bacio,

Diomache.

 

 

This shouldn't happen again

 

 

 

“this shouldn't happen again”

 “Do you think I want it to?”  

 

 

 

Chapter ten:   Destiny’s taste.

 

 

 

 

<> Schopenhauer

 

 

 

 

-ammutoliti?- esclamò House osservando con un sorriso divertito il suo gruppo di medici.

Scrutò con uno sguardo analitico i suoi collaboratori partendo dal più austero, Foreman, testa inclinata di lato, sguardo perplesso e combattivo, quindi  Chase che più che altro sembrava un bambino che si era perso in un supermercato e poi Cameron.. Cameron semplicemente era imperscrutabile. Non poteva dire se fosse d’accordo con lui o se da un momento all’altro sarebbe scoppiata inveendogli contro.

-è rischioso.- iniziò Foreman osservando la lavagnetta con i sintomi di Robbie.- ma forse è l’unica possibilità.-  ammise il neurologo con un piccolo sbuffo.

-ma se Robbie viene a conoscenza dei rischi, difficilmente ci acconsentirà di salvarlo.-

-è un cretino, ma capirà che è l’unico modo per curarlo tenendo conto di quanto sia già compromesso.- ribatté Eric.

-io non credo.- continuò Chase.- ha paura anche degli aghi, ho dovuto faticare un bel po’ per mettergli una flebo, figuriamoci se..-

-mentre voi vi divertite a capire chi è il più intuitivo, il paziente muore!!!- la voce di House interruppe il loro confronto. Si mosse lentamente per la stanza, dicendo, con un accento palesemente sarcastico:

-Test a risposta multipla: che facciamo? A: continuiamo a parlare ed ordiamo tè e pasticcini. B: andiamo da Robbie, gli diciamo tutto con il rischio che non si faccia curare. C: lo curiamo senza dirgli niente e gli salviamo la vita??- concluse con uno sguardo abbastanza divertito.

Foreman e Chase si scambiarono uno sguardo d’assenso poi il nero disse, sospirando leggermente.- penso che non abbiamo altra scelta.-

I due osservarono un istante Cameron che si ostinava a rimanere fuori da quella discussione. Non era soprappensiero o un pò distratta, semplicemente, era silenziosa, seria. Il suo sguardo era concentrato sul suo capo e ogni tanto si spostava leggermente sulla lavagnetta dove era impressa la lista dei sintomi del loro paziente. Attenta, ma silenziosa. Stranamente silenziosa.

I tre paperotti si voltarono, incuriositi.

House finse di stare ad ascoltare qualcosa nell’aria. –non vi sembra che manchi qualcosa?-

-un nuovo sintomo???- ipotizzò Chase.

il diagnosta scosse il capo concentrando lo sguardo sull’immunologa. – avanti, Cameron, non puoi zomparmi la parte in cui tu ti ribelli perché quello che stiamo facendo non è eticamente corretto!!!-

gli occhi di tutti si concentrarono su Allison, per qualche istante, ma questa si limitò ad dire, scrollando le spalle.- non ho niente da dire.-

-andiamo.- l’incoraggiò l’uomo.- il mio è un regime autocratico ma mi diverte sentire le vostre stupide obiezioni.-

-non ho nessuna obiezione.- continuò la dottoressa con una certa risoluzione nella voce.

House l’osservò, intrigato. –niente remore morali?-

-vogliamo perdere altro tempo?- domandò sarcasticamente Foreman, interrompendo quel curioso scambio di battute tra i due. House gli fece cenno di andare, così lui e Chase uscirono velocemente dall’ufficio ma prima che potesse varcare la soglia anche Cameron, il diagnosta tornò a fermarla.- Cameron.- la ragazza si bloccò.- tu resti qui.-

Allison si voltò, incuriosita.- e perché?-

-in due possono benissimo cavarsela, non hanno bisogno di un terzo.- la giovane sembrò di accontentarsi di quella sommaria giustificazione. Colse la palla al balzo per iniziare a preparare la sua roba,dato che era decisamente tardi e tra poco sarebbe dovuta andare a casa.

Greg l’osservò silenziosamente ragionando sul suo strano, stranissimo comportamento. Non era da lei comportarsi così. Avrebbe dovuto scagliarsi con la fermezza di cui tante volte l’aveva vista capace e dire che non era quella la cosa giusta da fare, che il paziente avrebbe dovuto essere informato e bla bla bla.. tutte quelle chiacchiere che odiava tanto ma che erano tipicamente da lei, la donna dai ferrei principi morali.

Eppure ora non aveva detto niente. era stata in silenzio, aveva lasciato fare, senza nemmeno mostrare un minimo segno di opposizione. Quando lui sapeva benissimo che non era d’accordo. Ma perché?

-non è da te.- disse quindi, con un sorriso intrigato. Lei, ancora una volta, l’enigma.

-non mi conosci così bene per dire cosa è o non è da me.- rispose freddamente la giovane sorseggiando il suo caffè. Voce fredda, dura. Come se volesse aggredire per difendersi.

-naa, andiamo.- sbuffò il diagnosta.- non sei tu la moralista del gruppo?-

Cameron l’osservò, attentamente. Poi abbassò lo sguardo e disse semplicemente.- mi sembrava la cosa giusta da fare. Ed ora scusami, ma devo andare a..- si mosse verso l’uscita ma House, inaspettatamente, la fermò prendendola per un braccio. La dottoressa si voltò verso di lui, stupita, incredula, puntando i suoi occhi verdi sul suo capo.

-no, non è vero.- proseguì Greg, con voce grave - per te non è la cosa giusta. Tu non sei così. Tu sei la ragazza che non ha mai copiato ad un compito in classe, che ha scelto di seguire la via più difficile, che non accetta l’ipotesi di essere assunta solo per bellezza, che ha dei principi rigidi, in cui crede. Perché questo cambiamento?-

Cameron negò con il capo.- io non sono cambiata. Io non cambierò mai né lascerò che i vostri stupidi atteggiamenti mi possano cambiare. Questa sera non mi andava di oppormi, tutto qui. -

L’uomo aggrottò la fronte.- e vuoi farci fare tutto quello che vogliamo, anche se va contro ciò in cui credi?- domandò, incredulo.

-solo stasera.-

-non è da te comunque.-

-può darsi. Ma non ha importanza.-

-si che ne ha.- l’incalzò l’uomo senza lasciare la presa intorno al suo braccio.

Cameron l’osservò intensamente, senza non riuscire a pensare al fatto che l’aveva perso, per sempre, lui stava con Stacy ora,per lei non c’era posto, non ce n’era mai stato forse. Che gli importava se lei era stanca di lottare per i suoi ideali, che importava se si sentiva particolarmente male questa sera? Ah, dimenticava sempre che lei era il suo puzzle.

E ogni volta che si faceva più complicato, lui andava fuori di testa, perché doveva riuscire a risolverlo di nuovo. Questa convinzione la fece a dir poco infuriare.- ma si può sapere che te importa?- si svincolò con forza dalla sua presa e prima che Greg potesse ribattere qualcosa, qualsiasi cosa, urlò.

-devi smetterla, hai capito! Io sono una persona! Non un puzzle che non riesci a risolvere! Devi piantarla di frugare nella mia vita!- continuò, irata. – così non fai altro che ferirmi, ma perché non lo capisci?-

House abbassò un po’ lo sguardo.- era una semplice domanda. Semplice..-

-curiosità.- continuò la donna, acida.- tu sei sempre e solo curioso, no? Come quando hai frugato nella mia borsa per prendere le pillole, come quando hai letto la mia cartella clinica e adesso che non fai altro che indagare sui miei comportamenti! Ma che cosa vuoi veramente da me? Tu magari ti diverti, ma io ci sto male!-

Il diagnosta non rispose nulla, si allontanò di qualche passo, voltandole le spalle.

La ragazza continuò.- stai con Stacy, adesso, no?- riprese lei con gli occhi lucidi di rabbia e la voce che gli tremava leggermente per il rancore. –sfogala su di lei la tua curiosità e lascia in pace me!-

-ah, è questo allora.- disse, poi, voltandosi verso di lei.- è una scenata di gelosia, un po’ articolata forse, ma pur sempre gelosia. Dovevi insistere di più sulla parte della mia curiosità, quello poteva essere un asso nella manica, invece di andare a parare su Stacy, così ti sei smascherata!-

Cameron negò con il capo.- sbagli. Io non sono gelosa.-

-già. E io non sono un dottore. Oggi è la giornata delle rivelazioni!- esclamò strabuzzando gli occhi.

Allison si passò una mano tra i capelli.- ho sempre voluto..- iniziò, tentennando .- che tu fossi felice….  E non perché tu sei uno zoppo ed io sono una martire.. semplicemente perché quando tieni ad una persona vorresti il suo bene..-

House la osservava, intensamente.

Allison tirò su con il naso.- ma non ho mai avuto la presunzione di pensare che solo io potessi renderti felice. Certo, l’ho sperato. Se tu sei felice con Stacy e se.. la ami..- sorrise, debolmente.- io non posso essere gelosa. Vorrei solo che non ti intromettessi nella mia vita, House. Che ne stessi fuori, a questo punto.- fece per andarsene velocemente ma House la bloccò di nuovo.

La sua voce suonò bassa, seria. Dolce infondo. Ma molto infondo.

-non andare.- si avvicinò a lei, un po’ di più,osservandola lentamente.

Lo amava ancora,adesso lo sapeva. Si era capito tra le righe delle sue parole ma si poteva comprendere benissimo solo guardandola negli occhi. Cosa aveva fatto lui per meritare il suo amore? Meritava seriamente l’affetto, la stima, la comprensione di Allison Cameron? Infondo lui l’aveva sempre e solo trattata male, l’aveva respinta, umiliata, derisa. E lei, silenziosamente, l’aveva amato.

Non poté negare di sentire qualcosa anche lui, a questo punto. Non poteva spiegarsi quel suo stato d’animo così irrequieto, nervoso, agitato, adesso che era accanto a lei. Infondo doveva pur motivare la sua curiosità per lei.. se investigare su Chase e Foreman era un vero e proprio divertimento, farlo su Cameron era diverso.

Lei era un po’ un’ossessione per lui, la donna che non sarebbe mai arrivato a svelare del tutto. Non ne capiva la musica, la chimica, i pensieri. Eppure era attratto da lei, dal suo fascino, dal suo essere così complicata. Si sentiva strano con lei, diverso, si sentiva anche  un po’ scoperto, come se lei e i suoi dannati occhi verdi potessero leggergli dentro, ecco, si sentiva quasi nudo, un libro aperto.

Forse Wilson aveva ragione. Lei era l’unica che potesse davvero arrivare a lui.

Certo, Stacy lo conosceva meglio. Ma non lo capiva, come lo capiva Allison Cameron.

Stette per dire qualcosa. Non sapeva cosa di preciso, avrebbe voluto dirle tante cose, molte delle quali magari non avrebbero avuto troppo senso, ma qualsiasi cosa fu bloccata dall’improvviso arrivo dell’avvocato che si affacciò alla porta dell’ufficio. –Greg ti…- la voce gli si spezzò in gola mentre i suoi occhi neri osservavano, un po’ incuriositi, quella curiosa scena.

House era vicino, molto vicino, troppo forse che potesse ipotizzare una discussione di lavoro, anche perché difficilmente una discussione di lavoro avrebbe causato gli occhi lucidi ad Allison.

L’immunologa interruppe velocemente quel silenzio carico di tensione. –sarà meglio che vada..- sussurrò prendendo velocemente la sua roba, indossando il soprabito ed uscendo velocemente dall’ufficio.

Greg fece per richiamarla ma non disse niente. Si limitò ad osservarla andare via, rammaricandosi di quella brusca interruzione. Non sapeva cosa le avrebbe detto ma qualsiasi cosa, non avrebbe mai voluto che lei se ne fosse andata così.

Non voleva che si lasciassero così.

Era come un.. presentimento.

Eppure l’avrebbe rivista il giorno successivo, perché si sentiva così inquieto?

-ma che è successo?- investigò Stacy entrando e chiudendo la porta. –Cameron sembrava turbata. Avete litigato di nuovo?-

House le voltò le spalle, avvicinandosi alla lavagnetta e cancellando i sintomi di Robbie. Avrebbe voluto scriverci i propri e cercare di risolvere il suo, di caso. Magari avrebbe fatto chiaro nella sua vita una volta per tutte.

Stacy si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla, accarezzandogliela lentamente. –che programmi hai per la serata? Mark ha una cena con degli amici.. pensavo che potevamo approfittarne.. potremo andare a casa tua, ho preso la cena dal cinese, so che ti piace tanto.-

House non rispondeva niente, il suo sguardo restava perso sulla lavagnetta bianca.

-ehi ma mi ascolti?-la voce un po’ irritata e divertita di Stacy interruppe i suoi pensieri.- quella ragazzina ti ha sconvolto, a quanto pare, non hai praticamente detto una parola!-

Cameron.

-ma è successo qualcosa di grave?-

Non riusciva a pensare ad altro ed uscire con Stacy non avrebbe cambiato le cose.

-HOUSE!- gridò la donna, irritata.

Il diagnosta spostò la sua concentrazione su di lei.- Stacy.- disse, piano.- ti devo parlare.-

 

 

 

Era quasi deserto il parcheggio, nonostante fossero  le otto e mezza di sera e il rumore dei tacchi della ragazza era l’unico udibile a parte il rombo raro di qualche auto che partiva. La giovane si avvicinò alla sua auto, sospirando. Appoggiò la valigetta a terra per cercare le chiavi nella borsetta. Quel piccolo movimento le provocò un leggero sfasamento: la vista le si appannò un istante e i contorni della sua borsetta di pelle nera sembrarono duplicarsi.

Cameron chiuse immediatamente gli occhi e quando li riaprì la sua vista era ritornata normale.

Si tranquillizzò e riprese la ricerca, frugando nelle tasche del suo soprabito.

Ma non trovò le chiavi.

Aggrottò la fronte, estraendo una curiosa bustina rossa dalla tasca.

E questa?

Gli occhi verdi della ragazza osservarono l’oggetto. Non era sua, come diavolo c’era finita lì?

Poi notò la scritta sul retro della busta. ‘per Cameron’. Era piccolo ma ben evidente e scritto con una calligrafia che le suonò quasi familiare. 

L’aprì. Conteneva un cioccolatino di una marca famosa, una marca europea, la ‘lindt’, era rotondo e dalla carta blu su cui era scritto un ‘dark’ dorato. Notò che c’era anche un bigliettino, dello stesso cartoncino rosso della busta. 

 

Per tutte le volte che ti ho fatto venire  l’amaro in bocca. Robert Chase.

 

Sorrise. Mangiò il cioccolatino e mise la busta nella borsa, con un’espressione compiaciuta dipinta in volto. Era stato un pensiero gentile, davvero carino. Ripensò a quel bacio che le aveva dato, qualche sera fa, sotto casa sua, e alle sue parole.

-ti è piaciuto?- la voce dell’australiano interruppe i suoi pensieri.

Allison si voltò verso di lui, che l’aspettava silenziosamente appoggiato alla sua grande auto nera. Gli sorrise, sinceramente.- sì.- disse quindi.- cioccolato fondente. Il mio preferito. Come lo sapevi?-

Chase sorrise. –segreto professionale.-

-ah.- esclamò lei, divertita.- certo. E dimmi, il tuo segreto professionale ti ha anche detto il momento esatto in cui sarei uscita dall’ospedale per potermi aspettare qui?-

-mm, no. Per quello è bastato vedere l’orario dei tuoi turni.- confessò il ragazzo avvicinandosi a lei. –pensavo.- iniziò.- di passare a mangiare qualcosa in un ristorante che hanno aperto da poco, è un locale molto carino.. ti va di accompagnarmi?-

Cameron sorrise. Che carino, Chase. certo, a volte era un odioso stronzetto, voltafaccia e banderuola. Ma infondo sapeva sempre come avvicinarla, come farla sorridere.

-vedi di elaborare una scusa più articolata questa volta.- continuò ridendo il ragazzo.- perché non mi accontenterò di un semplicissimo ‘no’. Ti ci vorrà ben altro cara mia per scaricarmi.-

la battuta strappò l’ennesimo sorriso alla ragazza. –Chase..-

-dai, Allison- la pregò l’australiano. 

L’immunologa si passò una mano tra i capelli.- non è un bel periodo per me.- disse con un tono di voce un po’ basso.- non sto troppo bene e mi sento parecchio confusa.. non mi sembra una buona idea.-

-si tratta solo ed esclusivamente.- riprese il ragazzo.- di una cenetta tra amici.- calcò la pronuncia su quest’ultima parola, cercando di risultare il più tranquillizzante possibile.

-lo so.- continuò lei.- ma non sto bene, davvero. Ho dei giramenti di testa e..-

-se non ti andava di venire potevi dirlo subito, e senza tanti giramenti di parole.- la bloccò, freddo, il ragazzo.

-mi dispiace Chase. sarà un’altra volta. Te l’ho detto, sto male.-

-va’ in mutua allora. Quando si tratta di lavorare, ovvero di stare con House, la tua salute sembra rifiorire improvvisamente però.- il tono del ragazzo era diventato improvvisamente aspro, duro e cattivo.

Cameron sospirò, tra se. –tu non sai niente.- ribatté, altrettanto acida. Stava per spiegarli la sua situazione ma l’australiano non gliene diede il tempo. –invece lo so molto bene. Tu sei innamorata di House, no? è evidente che anche se sei moribonda,il solo pensiero di lavorare fianco a fianco con lui ti ridia la vita! Inizio a pensare addirittura che ti appaghi anche prendere i suoi insulti, sai?-

Cameron stette per ribattere qualcosa ma la vita divenne improvvisamente, di nuovo, opaca. Chase, davanti a lei, perse i suoi contorni distinti, divenne più sbiadito e anche la sua voce sembrò più lontana. Furono pochi istanti. Poi tornò tutto nella norma.

Ma naturalmente, Robert non se ne accorse minimamente, accecato dalla gelosia e dall’idea che lei lo avesse rifiutato, di nuovo, scaricandolo con una misera scusa come quella.

-va’ al diavolo.- sussurrò alla fine Allison, arrabbiata, confusa, malata, mentre prendeva la sua roba ed entrava velocemente nella sua auto, sotto lo sguardo un po’ allibito e scocciato del collega.

La donna mise i moto, e partì rapidamente, immettendosi sulla strada principale.

Sospirò, mentre si accorse di avere un forte mal di testa. Era parecchio stanca, questo era evidente e poi la sorte le aveva vomitato addosso tutto in pochissime ore: il bacio di Chase, House e Stacy, Chase che le chiede di uscire e poi di nuovo House che cerca di parlarle, che si fa più vicino, che si interessa a lei.

Tutto troppo velocemente, e lei troppo confusa per capirci qualcosa.

E poi naturalmente non stava bene. Nonostante avesse fatto ciecamente come le aveva consigliato House, cioè aveva smesso con quelle pillole, la sua salute non faceva altro che peggiorare, i sintomi si facevano più accentuati. Certo, errano bazzecole rispetto a tutto quello che era abituata a vedere tutti i santissimi giorni.

Ma c’erano ed uniti alla stanchezza di quest’ultimo periodo formavano un mix micidiale che la rendeva ancora più nervosa. E poi naturalmente c’era House a destabilizzarla completamente.

Si sentiva così ferita, così delusa, così.. triste che si sarebbe messa ad urlare da un momento all’altro.

Voleva solo andare a casa ora. Andare a casa e chiamare la sua migliore amica, Justine, per sfogarsi un po’ con lei, ne aveva bisogno.

Ma il destino è imprevedibile. La sorte è imprevedibile. È irrazionale, è quel quid che sconvolge l’esistenza, tutti i buoni propositi dell’uomo, della vita, tutti i sogni, ogni cosa.

Capita quando meno te l’spetti.

Un attimo, un secondo soltanto e la vita diventa diversa, la tua intera esistenza cambia senza che tu abbia fatto niente e ti lascia con la consapevolezza che, un solo secondo dopo, invece, non sarebbe successo proprio niente.

Gli occhi verdi di Cameron fissavano la strada. Ma, improvvisamente, proprio come le era accaduto molte volte all’interno della giornata, iniziarono a non focalizzare più bene.

La ragazza si sentì mancare il fiato dalla paura, cercò di reagire, di fermarsi, ma non ne ebbe il tempo. 

Riuscì a sterzare velocemente di lato, poi più nulla.

Solo, lo schianto.

 

 

 

To be continued…

Diomache.

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Cameron:III, House: 0 ***


This shouldn't happen again

Ciao a tutti!!!

Eccomi qua, ho cercato di fare il prima possibile, questo capitolo è stato irto di ostacoli e sofferto…. ma prima di passare all’ undicesimo devo ringraziarvi di cuore perché non pensavo di ricevere tante recensioni, siete stati gentilissimi, vi adoro!! Spero di non deludervi e che questo capitolo vi piaccia, io ce l’ho messa tutta, voi mi raccomando fatemi sapere che ne pensate! Spero che commenterete numerosi, intanto ringrazio di cuore chi l’ha fatto sul capitolo precedente, quindi un abbraccio immenso a: irene!!, Apple, Toru85, Gulyuly, Giu_chan, Sybilla, Varekai, Dana, Martina, Briseis, Giulia93, Liserc  e Rue Meridian.. GRAZIE!!!!!

Un bacio, Diomache.

 

 

This shouldn't happen again

 

 

 

“this shouldn't happen again”

 “Do you think I want it to?”  

 

 

 

Chapter eleven:  Cameron: III , House: 0

 

 

 

 

 

-Wilson!- tuonò la voce di House, spaventando l’amico che, di spalle, stava cercando di aprire la macchina. L’oncologo, di soprassalto, lasciò cadere le chiavi e si girò di scatto, provocando le risa del diagnosta, poco distante da lui.

Jimmy alzò gli occhi al cielo, raccogliendo le sue cose.- idiota.-

House si avvicinò, appoggiandosi al suo bastone.- vediamo, sono circa le 9 e 31, hai finito il turno da un minuto e già sei nel parcheggio… perché tanta fretta di andare a casa? Mm, vediamo no, decisamente, non puoi essere solo stanco per una dura mattinata di lavoro.- iniziò con un tono ironico appoggiandosi all’auto dell’amico.- fammi indovinare.- continuò, incrociando le braccia.- ieri sera dopo il turno sei andato a farti un giretto diciamo.. extraconiugale.. e siccome tua moglie sembra avere intuito qualcosa, questa sera vuoi essere impeccabile, spaccando il minuto, sbaglio?-

L’oncologo sospirò. Dannazione.

House capì d’aver fatto centro e uno sguardo soddisfatto si dipinse sul suo volto divertito.

-e poi, scommetto che..-

-tocca a me, adesso, indovinare.- Wilson esibì uno sguardo interessato, mentre si apprestava a rilanciare.- chissà perché poco fa ho visto Stacy furibonda che usciva dall’ospedale e che urlava alla Cuddy che avrebbe consegnato le sue dimissioni domani stesso??- domandò, con un accento palesemente retorico. –alt, non dirmelo. Centri qualcosa tu, per caso?-

Greg sospirò, alzando il capo e fissando il suo sguardo sulle stelle. –si e no.-

-ah, chissà perché credo più ‘si’ che ‘no’- sbuffò Jimmy.- ma si può sapere cosa vuoi veramente? fai carte false per riconquistarla e poi quando ci riesci butti tutto via di nuovo!-

Greg si voltò verso di lui e forse per la prima volta in tutta la serata Wilson lesse nel suo sguardo un accenno di serietà, di profondità.  –mi sbagliavo. Non volevo lei.-

L’oncologo annuì, pesantemente.- d’accordo. E dovevi andarci a letto per capirlo?-

-non ci sono andato a letto.-

-ma l’hai baciata.-

-mi ha baciato lei.- rilanciò Greg con un piccolo sorrisetto allegro. Jimmy sbuffò, divertito ed esasperato insieme, stava per dire qualcos’altro ma le sirene impazzite dell’autoambulanza interruppero i  loro discorsi. I due, istintivamente, si girarono verso la direzione del mezzo che entrava velocemente  nel parcheggio dell’ospedale e si fermava accanto all’entrata, poco distante da loro.

Quella era una scena abituale per entrambi, vedere ambulanze con morti e feriti era all’ordine del giorno, certo, non come poteva esserlo per un dottore del pronto soccorso, ma ci siamo quasi.

Silenziosamente osservarono gli infermieri scendere e i ragazzi del pronto soccorso balzare giù velocemente dal mezzo, incitandosi a vicenda a fare il più in fretta possibile.

House indicò il mezzo con il capo.- se c’è stato un incidente arriverai a casa con mezz’ora di ritardo!- esclamò con un sorriso divertito.

Jimmy storse il naso.- come sei catastrofico. Potrebbe essere anche una vecchietta che ha avuto un infarto.-

-ti piacerebbe, eh?- continuò il diagnosta.- ti pare che ci sarebbe tanto movimento per un banale arresto cardiaco? Naa, minimo minimo un frontale. E questo significa che la tua adorata mogliettina ti farà una scenata anche questa sera..-

-House..- sussurrò Wilson, con gli occhi impietriti, fissi sull’ambulanza.

L’uomo non lo sentì e continuò con il suo discorso.- esattamente come la scenata che ti ha fatto ieri. Ma almeno ieri sera avevi fatto sesso. Invece oggi..-

-House!- lo richiamò di nuovo, l’oncologo, con un accento più drammatico di prima. 

Greg, con uno sguardo un po’ scocciato, si girò anche lui in quella direzione e seguì lo sguardo dell’amico.

Dall’ambulanza era stata calata la barella con il corpo del paziente.

Sgranò gli occhi, cercando di focalizzare bene, sperando che fosse solo una stupida allucinazione della sua mente.

Il suo cuore si bloccò, il respiro gli si mozzò in gola mentre i suoi occhi focalizzavano la figura di una giovane, apparentemente incosciente.  

Non poteva essere vero quello che vedeva.

Wilson gli prese istintivamente un braccio, come cercando appoggio su di lui.

Era Cameron.

Non appena realizzò la cosa, si sentì paralizzato, immobile.

Cameron? No, non era possibile. L’aveva vista non più di un’ora fa, nel suo ufficio. Avevano litigato, è vero, anche se lui aveva sentito qualcosa, qualcosa di strano, ma di forte che l’aveva portato a desiderare di sentirla più vicina.. ma poi era arrivata Stacy e l’aveva lasciata andare via.

E adesso era lì, a pochi passi da lui, distesa su un lettino.

La rigidità lasciò il posto alla frenesia di capire cosa e come era successo, si mosse, piantando lì l’amico, fregandosene se Wilson gli chiedeva di non andare perché sarebbe stato solo d’intralcio ai soccorsi, entrò nell’ospedale al seguito dei soccorritori e, senza pensare a quello che faceva e perché lo faceva, fermò l’avanzata del lettino su cui era disposta Cameron, interrompendolo con il bastone. –ma che diavolo fa?- fu il commento aspro dell’infermiere.

-che cosa le è successo?- fu la risposta secca di House, mentre i suoi occhi azzurri studiavano il profilo della ragazza, rigato dal sangue.

-donna, incidente stradale,identità sconosciuta..-

-è la dottoressa Cameron.- tagliò corto House. – poi?- domandò, freddo come non lo era mai stato.

Nervoso, come non lo era mai stato.

-ha perso sangue…-

-è troppo pallida.- sussurrò House cercando di essere il più possibile professionale e distaccato. Le girò il capo e le mise due dita sotto il collo, per sentirle il battito del cuore. 

Pelle pallida. Fredda.

Battito debole e veloce.

-bisogna fare presto. – disse quindi, con uno sguardo, suo malgrado, preoccupato.- sta per andare in shock, bisogna fermare l’emorragia. Deve essere operata.-

I suoi potentissimi occhi blu si puntarono sul resto dei medici.- subito!- esclamò quindi, imperioso.

Uno di loro annuì, nervoso e balbettò, freneticamente- va-vado a dare l’emergenza alla sala ambulatoria.-

House annuì, gravemente. Si girò e fece per andarsene quando sentì qualcosa che l’aveva improvvisamente bloccato.

Si voltò, un po’ incredulo di vedere la mano di Allison che stringeva il suo polso. Aveva preso coscienza. Suo malgrado, si lasciò uscire un respiro irregolare quando incontrò i suoi occhi ancora più lucidi e lucenti del solito.

-House…?- sussurrò la giovane esibendo un evidente malessere.

Le parole morirono in bocca al diagnosta. Non riuscì a dire nulla, restò a fissarla, quasi ipnotizzato dal suo sguardo perso, confuso, spaventato. Sembrava così indifesa, lì, su quel lettino sporco del suo sangue, così spaesata, così terrorizzata che avrebbe voluto tanto poterla rassicurare ma non riuscì a dire niente. Come al solito, fu di nuovo Allison a parlare, seppur a fatica, mentre non smetteva di stringere il polso dell’uomo e anzi, aumentando l’intensità della sua stretta.

–ho.. ho ucciso qualcuno?- domandò, con la voce rotta.- ti prego dimmelo..-

Greg sospirò. Fece per parlare ma gli infermieri presero il lettino di Cameron spiegando che la sala operatoria era pronta e la ragazza andava operata con urgenza perché l’emorragia interna era grave e non c’era un minuto da perdere.

-House, ho paura..- si lasciò sfuggire la ragazza mentre lasciava la presa intorno al suo polso,  prima che potessero portarla lontana dall’uomo.

Il diagnosta la guardò andare via con un magone alla gola, lo sguardo fisso sul suo lettino che svoltava l’angolo e spariva dalla sua vista. –tieni duro, Cameron- sussurrò poi, con un filo di voce.- tieni duro.-

 

 

 

-quando è successo?- domandò trafelato Chase, alla Cuddy, mettendo le mani in tasca, poi passandosele tra i capelli, nervoso, agitato.

-poco meno di un’ora fa.- disse la donna con uno sguardo preoccupato.

-e come è accaduto?- chiese Foreman, seduto, con un bicchiere di tè in mano, lo sguardo nitido e freddo come sempre anche se  segretamente preoccupato per la salute della psedo-collega-amica. Lisa sospirò, alzando le spalle, desolata.- e chi lo sa. L’unica cosa certa è che ha sbandato e si è fracassata contro un albero.-

Wilson si grattò il mento, pensieroso.- un malessere improvviso?-

-sicuramente.- intervenne la Cuddy, seria.- altrimenti non si spiegherebbe. L’asfalto non era bagnato, non..-

-ma se Cameron stava male non si sarebbe mai messa alla guida.- obbiettò l’oncologo.

-certo che l’avrebbe fatto.- contestò Foreman, appoggiando i gomiti alle ginocchia.- infondo come sarebbe andata a casa? Volando?- quella domanda retorica rimase sospesa nell’aria un po’ rarefatta dello studio di House dove si erano ritrovati tutti quanti, non appena la Cuddy aveva diffuso la notizia.

-come vi era sembrata oggi?- domandò Jimmy, pensieroso.- se stava male non può averlo tenuto nascosto..-

Foreman sbuffò, quasi ridendo.- tu non conosci Cameron.-

-perché tu la conosci?- domandò, freddo e tagliente, Chase. Quel tono aspro colpì tutti che si voltarono verso di lui, sorpresi. L’intensivista continuò, ancora più agitato –la verità è che non la conosciamo nessuno e mentre stiamo qui a pensare al perché si sia schiantata contro un albero, lei sta sotto i ferri.-

-Chase siamo tutti preoccupati.- intervenne la Cuddy conciliante.- solo stiamo cercando di capire…-

-chi è stato l’ultimo a vederla?- domandò di seguito Wilson, appoggiato alla scrivania, con le braccia incrociate, turbato, anche lui, da tutto quello che stava accadendo.

Chase sospirò poi disse, velocemente.-io.- balbettò, leggermente.

I presenti si voltarono verso di lui. –e.. come ti è sembrata? Strana, diversa dal solito..-

L’australiano fece un chiaro gesto d’insofferenza.- ma che ne so.. l’ho vista in parcheggio, di sfuggita.. ci siamo salutati e lei è andata a casa tutto qui.- parlava velocemente ma sforzandosi di apparire tranquillo e sereno. – ed ora scusate ma ho bisogno di una boccata d’aria.-  ed uscì velocemente dall’ufficio, sotto lo sguardo incuriosito di tutti gli altri.

I presenti si passarono un’occhiata preoccupata, poi Foreman sbuffò, domandando.- e House? Si è degnato di venire o sta a casa a vedere General Hospital?-

-è qui in ospedale.- rispose Jimmy, grave, incontrando lo sguardo di Lisa.

-ah si? E dov’è?- continuò Eric, aggrottando la fronte.

Wilson sospirò, lentamente.

 

 

L’operazione procedeva lentamente ma procedeva bene. Solo un attimo c’era stato un piccola agitazione, quando le avevano asportato la milza, completamente spappolata ed inutilizzabile, il cuore di Cameron aveva avuto una piccola incertezza, aveva sfiorato la brachicardia, ma una semplice fiala di  epinefrina era stata sufficiente a rimettere le cose a posto.

House era lì, a monitorare l’operazione dall’alto, a controllare, ad osservare.

In realtà, non sapeva bene nemmeno lui perché si trovava lì. Cameron era compromessa ma l’intervento non era complicato, era uno di quelli che lui definiva <  routine>> di quelli che anche un imbecille del terzo anno di medicina avrebbe potuto portare a termine con successo. 

Eppure non ce l’aveva fatta  a restare nel suo ufficio. Non ce l’aveva fatta a lasciarla.

La rivedeva davanti a se, con gli occhi appannati dal dolore, la voce rotta, spaventata. Era così fragile e aveva solo bisogno di essere rassicurata.

E lui non era stato capace di dire assolutamente niente. Sarebbero bastate poche parole, per lei sarebbe stato importante. E invece niente. Ma perché??

La verità è che aveva avuto paura.

L’improvvisa possibilità che lei non potesse farcela, l’idea che lei, Cameron, potesse non esserci  domani, accanto a lui, a risolvere un nuovo caso, a contestarlo, ad arrabbiarsi quando non si comportava correttamente, o semplicemente a porgergli la sua abituale tazza di caffè, sì, tutto questo l’aveva spaventato a morte.

Era abituato ad averla, più o meno, tutti i giorni. Lei era la costante delle sue giornate, qualsiasi cosa avesse fatto, qualsiasi sproposito avesse mai detto, sapeva che lei lo avrebbe perdonato, sì, magari si sarebbe infuriata, ma poi lo avrebbe accettato, pazientemente.

Lei era l’unica che poteva veramente capirlo, che poteva raggiungerlo ogni volta che lui era distante da tutti, lontano, nel suo mondo di arroganza e solitudine, irraggiungibile per molti ma non per lei che con una frase, con uno sguardo, o con un semplice sorriso riusciva ad arrivargli. Aveva sempre pensato che fosse Foreman l’unico in grado di tenergli testa.

Sì, forse era vero.

Ma se Eric poteva tenergli testa, Cameron era l’unica che potesse farlo vacillare.

Sbuffò, allontanandosi leggermente dal vetro e fissando per un istante il bastone a cui si appoggiava.

Ah, una dannata crocerossina, una stupida martire, ecco che cos’era Cameron.

Un’idiota sognatrice ed altruista, un’eroina talmente sciocca che chiedeva se aveva ferito qualcun altro mentre stava per entrare in sala operatoria, la stessa sciocca che era entrata nell’appartamento di quel poliziotto per salvare Foreman pur col rischio di rimanere contagiata, la stessa identica Cameron che si rifiutava di accettare l’idea che lui volesse rimanere così, infelice e solo.

L’ingenua e dolce Cameron che si era infiltrata nella sua vita piano, lentamente, con i sorrisi, con i suoi modi troppo gentili, con le sue idee troppo moraliste per un cinico come lui, bella, troppo bella per rimanere inosservata.

Ricordò quando l’aveva vista vestita con quel bellissimo abito rosso, la serata del party al PPTH. Non aveva potuto non lasciarsi sfuggire un’esclamazione.

L’improvviso arrivo di Wilson lo destò dai suoi pensieri. Ah, maledizione. Non avrebbe voluto essere visto lì.

–anche tu venuto a goderti lo spettacolo?- domandò, ironicamente, puntando i suoi occhi su di lui.

-come sta andando?- domandò l’oncologo,ignorando la sua domanda e gettando uno sguardo nella sala sotto di loro.

House alzò le spalle.- ah, procedono. Comunque sei arrivato tardi, ti sei perso tutto il primo tempo: la milza l’hanno già asportata.-

Wilson sgranò gli occhi.- le hanno tolto la milza?-

-completamente spappolata.- continuò, senza staccare gli occhi dal corpo di Cameron.- allora, i pop corn li hai portati? Perché ti avverto che il secondo tempo si sta rivelando più noioso del solito.…-

-House, smettila.- lo interruppe l’uomo.- non devi gettare sarcasmo su tutto. Anche tu sei preoccupato, lo so.-

-certo che sono preoccupato!- esclamò, ironico.- se ha coinvolto qualcuno nell’incidente diventerà ancora più traumatizzata.. già me l’immagino,ti rendi conto? Mi renderà la vita un inferno!!-

Wilson scosse il capo.- ha sbandato.- disse, piano.- ha sterzato di lato, non ha coinvolto nessuno nell’incidente, non è stato un tamponamento o un frontale.-

House lo fissò, interessato.- vuoi dire che si è sentita male ed ha sbandato per non..-

-è possibile, sì.- annuì, gravemente.

House sbuffò, scocciato.- crocerossina fino in fondo. Pur di non nuocere ad altri si è buttata contro un albero.-

L’oncologo si avvicinò a lui, puntando le mani sui fianchi.- è.. ammirevole.- disse, semplicemente.

House grugnì, chiaramente in disaccordo.- è un’ingenua e un’illusa. Scommetto che i soccorsi sono arrivati in ritardo rispetto a quando Cameron ha avuto l’incedente, vero?- Wilson annuì, confuso. House sbuffò.- e  lo sai perché? Perché la maggior parte delle persone che passavano di lì non ha neppure preso in considerazione l’opzione di fermarsi e di vedere cos’era successo! Perché la gente è menefreghista, è cinica ed ipocrita. E se ne sbattono dell’altruismo di Cameron.- 

Jimmy annuì, lentamente. Poi, sorridendo, appoggiò la mano sulla spalla di Greg.

 

 

L’intervento era finito da qualche ora.

Cameron riposava, beatamente. Aveva il volto sereno, ora, disteso, tranquillo. E bello, dolce come sempre. Gli occhi azzurri del ragazzo non si staccavano da lei da diversi minuti, da quando gli avevano detto che poteva vederla ora. Era entrato piano, quasi di soppiatto, con lo sguardo basso.

Chase sospirò, e mosse la mano a sfiorare quella della ragazza, ancora un po’ fredda.

Le sfiorò leggermente la pelle e sul suo viso serio s’illuminò per un istante un sorriso.

Allison era stubata e avrebbe potuto svegliarsi da un momento all’altro.

Sospirò per l’ennesima volta e si alzò dalla sedia su cui era rimasto seduto per diversi minuti, così, semplicemente, a fissarla. Era un maledettissimo stupido. 

Quello che era accaduto era anche colpa sua, lo sapeva. Se lui non fosse stato così accecato dalla gelosia, così maledettamente cretino a quest’ora non sarebbe accaduto proprio niente.

Aveva pensato che lei lo stesse rifiutando per l’ennesima volta e non aveva creduto minimamente che potesse stare male davvero. Si passò una mano tra i capelli e fece per andare ma poi si bloccò sulla porta. Si voltò a guardare Cameron.

Deglutì, lentamente. –perdonami, Cam.-  ed uscì velocemente dalla sua stanza.

 

 

House faceva rimbalzare la sua pallina contro il muro, riprendendola puntualmente in mano. La televisione accesa trasmetteva il suo film preferito ma lui non gli badava affatto. Pensieroso, serio e riflessivo.  Si trovava lì, nel suo ufficio, ma la sua mente era altrove, molto più in là, in una camera del reparto di chirurgia.

Continuava a pensare a lei, la sua piccola ossessione.

Avrebbe voluto andare da lei.. gli piaceva l’idea di osservarla dormire. Infatti finché dormiva, finché Cameron non poteva sapere che lui era lì andava bene, ma che avrebbe fatto se lei malauguratamente avesse aperto gli occhi?  Ah, allora sarebbe stato complicato.

Sbuffò, scocciato.

Ma che provava veramente per lei? Non lo sapeva, o meglio, credeva di saperlo e il solo realizzare quel pensiero lo terrorizzava, preferiva scartare l’ipotesi, aggirarla, evitare lei e quello stupido sentimento, quello stupido pensiero che sembrava non lasciarlo mai.

Sapeva che gli altri colleghi erano andati a fare una visita a Cameron.

Lui non ci sarebbe andato, no, ormai aveva deciso.

-mi dispiace, io non mi muovo di qui.- disse ad alta voce, quasi rivolgendosi a Cameron in persona.

E come se lei potesse rispondergli e quello fosse un messaggio cifrato, il suo cercapersone iniziò a squillare improvvisamente.

House roteò gli occhi e lo prese in mano.

Lo stava chiamando Chase. Dalla stanza di Cameron.

Deglutì, lentamente. A quanto pare i suoi programmi erano cambiati.

Cameron, in un modo o nell’altro, lo stava conducendo di nuovo verso di sé.

Se l’immaginò un istante, lì, davanti a lui, con le braccia incrociate e un sorrisetto vittorioso, scrivere sulla sua lavagna: Cameron II, House 0.

Roteò gli occhi e si alzò, velocemente.

Arrivò nei pressi della stanza della ragazza qualche minuto più tardi.

Il cuore gli saltò in gola, non appena realizzò che era un’emergenza vera, non appena Wilson gli venne incontro, trafelato, dicendo .- House, Cameron è in arresto cardiaco.-

Il diagnosta entrò velocemente nella stanza della ragazza animata dal trillo impazzito della macchinario che annunciava che il suo cuore si era fermato, dai gridolini impauriti di un’infermiera che, sull’angolo osservava la scena, e dalle grida di Chase che tentava disperatamente di attivare il cuore della collega tramite il defibrillatore.

–libera!- gridò Chase imprimendo la scarica sul suo torace tramite i due elettrodi. Gli occhi del ragazzo si puntarono sul monitor.

Niente. –prova di nuovo!- gridò House, appena sopraggiunto.

Il ragazzo procedette di nuovo, nervoso e agitato.- libera!- il corpo di Allison sussultò di nuovo ma il suo cuore rimase immobile.  Il panico iniziò ad impossessarsi dell’ intensivista che mormorò, balbettando leggermente.- niente, non ce la fa.-

-dai a me.- House gli prese gli elettrodi di mano. Fissò il monitor poi Cameron e procedette alla terza scarica. –avanti, Allison, andiamo..- sussurrò, con un timbro di voce appena percettibile. –puoi farcela, so che puoi farlo…-

La ragazza sobbalzò, di nuovo.

La macchina smise di urlare. Il cuore di Allison aveva ripreso a funzionare.

Chase tirò un sospiro di sollievo. House fissò la ragazza, intensamente. -bentornata, Cameron.- disse piano, con la voce rotta dall’emozione.

Lui e Chase si scambiarono uno sguardo piuttosto strano poi l’intesivista uscì dalla stanza, scosso , confuso e tremendamente stanco.

House rimase lì, accanto a lei. Di nuovo. Di nuovo aveva rischiato di perderla, e di nuovo si era sentito morire, terrorizzato dalla sola idea di non averla più.

-House.- la voce di Jimmy lo richiamò improvvisamente dalla sua apatia.- bisogna cercare un’infermiera che la vegli. Le ore dopo un intervento sono le più delicate, se passa tranquillamente le prossime 12 ore è fuori pericolo ma…-

-me ne occupo io.- rispose Greg, grave. –la trovo io un’infermiera.-

L’oncologo annuì, pensosamente, poi uscì anche lui dalla stanza dell’immunologa.

House sospirò, guardando l’orologio. Le undici. Sbadigliò lentamente, poi prese una sedia e si sedette pazientemente lì, accanto a Cameron.

Non avrebbe chiamato nessuna infermiera.

Era ovvio che non si sarebbe mosso di lì, per tutta la notte.

Ah, e pensare che c’era pure General Hospital in televisione.. dannata di una crocerossina!

Pochi minuti fa si era detto che non sarebbe andato da lei nemmeno  se l’avessero trascinato o preso di peso e adesso si ritrovava addirittura a vegliarla e per tutta la notte!

Spense la luce e si accomodò meglio, cercando di fargli riuscire comoda quella banalissima sedia di plastica. Sospirò, cercando di non perdere la pazienza e di non ammettere a se stesso che Cameron, nonostante tutto, l’aveva spuntata di nuovo.

Roteò gli occhi.

Già l’immaginava, a scrivere il suo ennesimo punto.

Cameron III, House.. di nuovo: 0.

 

 

 

To be continued..

 

Diomache.

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Chase, I can't ***


Ciao a tutti!! Prima di dire qualcos’altro, vorrei ringraziarvi per le vostre bellissime recensioni, non so spiegare quanto mi siete d’aiuto e quanto i vostri commenti mi facciano piacere.. davvero non so cosa dire, sono contenta che la storia vi piaccia, spero che continuerete a farmi sapere cosa ne pensate, ho bisogno di voi!!

Grazie di cuore a : Toru85, Briseis, Gulyuly, Eri_chan, Hikary, Giu_chan, RueMeridian, Irene!!, Apple, Dana, Nathaniel, Liserc, Venus e Jen !!!

Spero che il capitolo vi piaccia ragazzi,  un bacio!

Ps: mi scuso per il ritardo ma i ritmi della scuola mi hanno costretto a studiare senza interruzione e in questi giorni se ho scritto una o due righe al giorno è da considerarsi un miracolo!

Diomache. 

 

 

This shouldn't happen again

 

 

 

“this shouldn't happen again”

 “Do you think I want it to?”  

 

 

 

Chapter twelve: Chase, I can’t

 

 

 

 

Un sospiro un pò più forte, un leggero movimento del capo e degli occhi, nient’altro. Poi la ragazza si scosse leggermente, iniziando ad aprire gli occhi, portandosi una mano tra i capelli. Si stropicciò gli occhi, poi lentamente li aprì, iniziando a visualizzare qualcosa di quella camera al buio. Cameron aggrottò la fronte, cercò di rizzarsi sui gomiti ma con pochissimo risultato. Era ancora troppo debole e scivolò di nuovo lunga, emettendo un piccolo lamento che si amplificò nel silenzio della stanza.

-ferma.-

una voce, calda e un po’ scocciata, l’ammonì improvvisamente. Cameron sobbalzò, impaurita.

-e calma.- continuò l’uomo, accanto a lei, seduto su una sedia, con il mento appoggiato allo schienale di quest’ultima. –hai avuto un arresto meno di sei ore fa. Non mi va di fare il bis, ok?-

Cameron si calmò leggermente. Quella voce lei la conosceva. E la conosceva molto bene.

-House..?- domandò, incredula, cercando di scrutare i lineamenti dell’uomo che intravedeva a mala pena.

-no. Sono Dio.- rispose l’uomo, con un ghigno divertito dipinto in faccia.- il Dio a cui tu, donna miscredente, non hai creduto! Ed ora incorrerai nella mia punizione divina!- esclamò l’uomo, gonfiando la voce.

-scemo.- rispose Cameron che, nonostante non avesse voluto, sorrise, leggermente.

Ma come diavolo faceva House a ironizzare su tutto??

-che ore sono?- chiese la ragazza, passandosi una mano tra i capelli, ignorando l’acuto mal di testa che subito aveva iniziato a sentire.

-ah non lo so. So solo che stavo dormendo da appena cinque minuti.- rispose l’uomo, acido, con una leggera smorfia del viso che Allison vide a mala pena. Non dovevano essere più tardi delle cinque, cinque e mezzo dato che una leggera, leggerissima luce mattutina iniziava a filtrare dalle serrandine tirate giù di fretta e illuminava parzialmente la stanza ancora in gran parte immersa nel buio.

Allison sospirò, leggermente. –che cosa mi è successo?- domandò, con un filo di voce.- oltre all’incidente.-

-hai avuto un’emorragia interna, sei stata operata e ti hanno asportato la milza.- rispose l’uomo, freddo e professionale.- e hai avuto un arresto cardiaco. Può bastare?-

Allison girò lo sguardo, incontrando quello dell’uomo. –mi hanno asportato la milza?-

-già. Non ti senti più leggera?- scherzò Greg con un sorriso divertito. Un timido accenno di sorriso si dipinse anche sul viso di Cameron ma scemò velocemente, e un’espressione seria e preoccupata prese il suo posto.

-no.- disse improvvisamente House, abbassando un po’ lo sguardo.

Cameron aggrottò la fronte.- no, cosa?-

-no, non hai ucciso nessuno.- parlò piano, lentamente.

La ragazza dischiuse le labbra ma non disse niente. Allora non se l’era sognato, non era stato lo stupido prodotto della sua immagine, un’allucinazione dovuta al suo stato confusionale. House c’era stato, accanto a lei. Era stato vicino al suo lettino, poco prima di entrare nella sala operatoria. Ed era lì ora, di notte, accanto al suo letto d’ospedale, senza un motivo apparente, esattamente come ore prima. Ma.. perché? I suoi occhi verdi lo fissarono intensamente e lessero un leggero imbarazzo nell’uomo.

Forse non avrebbe dovuto chiederlo, tanto non avrebbe risolto comunque niente, lo sapeva.

-perché sei qui?- domandò, un po’ titubante, ma comunque decisa.

-è un ospedale.- vago, come sempre.- io ci lavoro qui. Non è poi così strano vedere un dottore zoppo aggirarsi e dare ordini. Ci farai l’abitudine.-

Allison accolse la sfida.- è un po’ strano trovarlo in ospedale prima di mezzogiorno, però.-

House rilanciò, in quello che ormai era il loro consueto gioco a rimbalzi, la sua sfida personale con Allison Cameron, che, pur abile non ce l’avrebbe fatta a fargli cavare il vero motivo della sua presenza lì accanto a lei, eh no. Mai.

-mi nascondo.- disse quindi.- la Cuddy mi ha affidato il turno di notte e ho pensato di passarlo qui, invece di lavorare…-

Allison inarcò le sopracciglia – ti nascondi, eh?- ripeté, divertita.- non è che per caso mi stavi vegliando perché ho avuto un arresto cardiaco e perché..-

-non è che per caso stai diventando un po’ troppo presuntuosa?- rovesciò la domanda, il diagnosta, com’era solito e abile, fare. –su, zitta e dormi. Il protocollo stabilisce che devi stare dodici ore tranquilla-

Cameron inarcò le sopracciglia.- se mi sono svegliata vuol dire che sto bene..-

-non necessariamente che devi rompere, però. – concluse House.- dormi.-

Cameron annuì, silenziosamente, sorridendo. Lo sapeva che non ne avrebbe cavato un ragno dal buco, lo sapeva. Sbadigliò e chiuse gli occhi, pervasa di nuovo da un senso profondo di stanchezza  mentre sentiva House alzarsi e dirigersi velocemente verso la porta.

Aprì di nuovo gli occhi, per osservarlo mentre lui lasciava la sua camera.- aspetta.- disse, piano, facendolo fermare sulla soglia. House si voltò, lentamente.

-grazie.- disse quindi la ragazza con una voce sottilissima. House abbassò lo sguardo, non disse niente, semplicemente varcò la soglia della sua stanza, lasciandola sola per la prima volta da parecchie ore.

 

 

 

Quando Cameron si risvegliò era giorno inoltrato, probabilmente poco prima delle undici del mattino. Sbadigliò e constatò, un po’ tristemente, di essere sola in quella stanza. Che pretendeva, di trovarsi di nuovo House vicino? Sorrise, mettendosi a sedere.

Notò che quella non era la stessa camera di qualche ora fa. L’avevano spostata. Beh questo era un buon segno, probabilmente stava migliorando. Effettivamente, nonostante si sentisse molto stanca e stordita, stava bene. O almeno, non stava così male come la sera precedente.

-allora, come va stamattina?- Wilson si affacciò allegramente allo stipite della porta, sorridendo all’indirizzo della ragazza che,del tutto impreparata al suo arrivo, lo osservò con evidente sorpresa.

-disturbo?- domandò l’uomo vedendo il suo sguardo un po’ spaesato.

-no, ma che disturbo..- sussurrò la ragazza sorridendogli incantevolmente. Wilson entrò, constatando che, nonostante tutto, nonostante l’incidente e il suo stato di salute un po’ precario, Allison non aveva perso una virgola della sua abituale bellezza. –allora… come stai?-

-bene.- disse quindi Cameron.- bene,grazie.-

-sono contento.- l’uomo apparve in un leggero imbarazzo, i suoi occhi si spostarono sul pavimento, poi di nuovo su di lei.- devo farti qualche domanda se non ti dispiace..-

Cameron annuì.- riguarda l’incidente suppongo.- sospirò.- sospettate che, dati i precedenti, mi sia drogata di nuovo?- James non rispose nulla ma Allison continuò, un po’ ferita.- certo perché se è così la Cuddy potrebbe ritenere poco opportuna la mia presenza nel suo ospedale.. beh, fatemi gli esami tossicologici, non temete che possa mentire?-

-ti prego, Allison.- l’interruppe Wilson, conciliante.

Cameron socchiuse gli occhi, sospirando.- scusami.- fece un sorriso, leggero ma bellissimo e i suoi occhi verdi sembrarono vacillare, per qualche istante.- puoi chiedermi tutto quello che vuoi.-

 

 

 

Cameron migliorava. Gli esami facevano ben pensare e ormai non c’era più dubbio che fosse fuori pericolo. Era salva e tanto era bastato a Gregory House come motivazione per non farsi più vedere da lei nemmeno da lontano.

Era stato già abbastanza imbarazzante dover ammettere, seppur tra le righe, di essere stato accanto a lei tutta la notte, non gli passava nemmeno per la mente di tornare da lei e affrontare di nuovo le sue domande, e i suoi occhi curiosi.. no, no, per carità. Tanto più che ora avevano un nuovo caso e poteva benissimo additare la scusa di dover lavorare.

Anche se, per la verità, lui l’aveva già risolto questo caso. Solamente si divertiva a vedere Chase e Foreman che litigavano tra di loro per giungerne a capo. Ignari di tutto, infatti, i due dottori stavano ora, sotto i suoi occhi, disputandosi una loro possibile diagnosi, e lui si godeva lo spettacolo con un sorrisetto soddisfatto che entrambi, accecati ognuno dal proprio orgoglio, non avevano neppure notato.

Cameron forse l’avrebbe fatto, disse tra se. Infondo lei notava tutto. Era di una sensibilità quasi impressionante. E stancante, decisamente.

Vide Wilson passare distrattamente davanti alla porta del suo ufficio. Eccolo, il suo informatore. Sapeva che era passato da Cameron, questa mattina presto. Sorrise.

Non aveva bisogno di andare da lei, avrebbe saputo tutto quello che voleva sapere dal suo ignaro investigatore privato. Senza dire una parola si spostò dalla sua posizione privilegiata, accanto alla lavagnetta, e si diresse verso l’uscita del proprio ufficio, intento a raggiungere Jimmy alla mensa. Si accorse solo distrattamente che quel brusio di sottofondo, che aveva accompagnato tutta la mattinata, si era arrestato.

-ma dove diavolo vai?- fu la secca domanda di Foreman.  Sia lui che Chase lo guardavano a metà tra la curiosità e il fastidio.

House indicò la lavagnetta dove, i due notarono, c’era una scritta in più rispetto a prima.

-iniziate la cura. Io vado a mangiare.. ah, è stato divertente, preparatemi un altro paio di numeri per domani!- disse prima di uscire con un sorriso soddisfatto dipinto sul viso.

-dannazione.- imprecò Chase alzandosi e andando ad eseguire gli ordini del suo capo, innervosito dall’ennesima umiliazione. Foreman negò con il capo, poi, seppur contrariato, seguì a ruota l’intensivista.

La mensa era piena del consueto brusio e dei consueti, consuetissimi cibi schifosi. Quel giorno House aveva programmato di non mangiarci affatto, ma la curiosità di scoprire cosa sapeva Wilson riguardo l’incidente di Cameron valeva bene una bistecca bruciacchiata.

Infondo sapeva benissimo che la Cuddy aveva mandato l’oncologo in avanscoperta per acquietare i mormorii che giravano sulla dolce immunologa e che ipotizzavano di tutto e di più, riguardo alle circostanze, seppur non così misteriose, del suo incidente.

Lo trovò che mangiava con Melissa, la cardiologa assunta da poco dalla Cuddy. Roteò gli occhi e si avvicinò ai due che subito smisero di chiacchierare. La donna, nemmeno così bella in realtà, lo guardò ammutolita.- lei è dottor House, giusto?-

Greg guardò l’amico, ignorando il suo sguardo di disappunto.- è lei la cardiologa nuova, vero? Ah, me l’avevi detto che era una racchia.-

La donna sbarrò gli occhi e fissò Jimmy che non ebbe nemmeno il tempo di ribattere qualcosa perché il diagnosta continuò, divertito.- quello che non capisco è perché vuoi portarti a letto anche lei… hai un reparto a tua disposizione ed hai scelto la più brutta??? E Karol, e Maggie, e..-

-va al diavolo!- sbottò la donna all’indirizzo dell’oncologo, alzandosi velocemente ed uscendo dalla mensa a dir poco furiosa. Gli occhi azzurri di House la osservarono andare via, immaginando che non ci sarebbero stati altri appuntamenti tra lei e Jimmy. Beh, infondo non sarebbe stata una gran perdita. Era brutta davvero. 

-si può sapere cosa diavolo ti è saltato in mente?- domandò Jimmy, ragionevolmente arrabbiato, mentre osservava l’amico sedersi dove era stata fino a poco fa la donna.

-dovresti ringraziarmi. Non era il tuo tipo.- disse portandosi alla bocca un pezzo di bistecca.

Jimmy roteò gli occhi.- se volevi parlarmi potevi benissimo venire nel mio ufficio o ..-

-si, in effetti si. Ma non mi sarei divertito.- concluse l’uomo, spiazzando completamente l’ascoltatore.

-ah beh, allora, felice di averti fatto sorridere, adesso puoi dirmi che cosa c’è? E anche abbastanza velocemente, devo andare a scusarmi con lei!-

House scosse la testa.- naa, ormai è andata. Se ti avvicini ti mollerà uno schiaffo e andrà a raccontare a tutti che sei un donnaiolo.-

-perché credi che non lo farà comunque?-

Greg fu d’accordo. In effetti c’era andato giù un po’ pesante. Non disse niente e riprese  mangiare, sotto lo sguardo rassegnato dell’oncologo.- va bene.- sbuffò alla fine quest’ultimo.- allora, dimmi.. qual è il problema.-

-dovresti dirmelo tu.- investigò Greg con i suoi potenti occhi azzurri.

James aggrottò la fronte, esasperato.- ma di che diavolo parli?-

-di problemi. E se si parla di problemi si parla di donne. E se si parla di problemi di donne, tu che sei il loro maggior confidente dovresti sapere tutto-

-vuoi sapere.. i problemi di.. Melissa?-

House alzò gli occhi al cielo.- che vuoi che mi importi della cardiologa, parlo di Cameron. Che ti ha raccontato dell’incidente?-

L’espressione confusa di poco prima lasciò lo spazio ad una molto più soddisfatta, sul viso di Wilson.- quindi è per lei che sei qui?-

-andiamo lo so benissimo che la Cuddy ti ha mandato a chiederle dell’incidente!- sbuffò House.- voglio solo sapere che ti ha raccontato!- vedendo che l’amico esitava.- non l’avrà mica fatto in confessione!?-

James sospirò- immagino che sia inutile chiederti di andarlo a scoprire da solo..- lo sguardo di House fu eloquente.- mi ha detto.. di essersi sentita male.-

-interessante.- commentò l’uomo.- che genere di malore?-

Wilson fece un’espressione strana.- ha detto che la vista si è annebbiata.-

-era la prima volta che le capitava?-

-no.- continuò l’uomo.- ha detto che si è sentita male tutto il giorno. Gliel’ho detto anch’io che avrebbe dovuto riguardarsi di più ma ormai...-

-sono quelle dannate pillole- borbottò il diagnosta.- deve aver continuato a prenderle, stupida martire..- disse piano.

-di che pillole parli?-

-lei non ti ha accennato di qualche tipo di pillole che le aveva assegnato Harmlet?-

Wilson negò.

-sicuro? Nemmeno sottinteso o ..-

-no. mi ha solo detto di non stare bene da un po’ di tempo. E di essere in cura da Harmelt.-

Greg grugnì.- quell’incapace l’ha quasi uccisa.-

L’oncologo aggrottò la fronte.- che vuoi dire? Sono le sue pillole a provocarle i malori?- House asserì. Poi non disse più nient’altro e non ascoltò più nient’altro. Wilson, nel sottofondo, continuava a chiedergli se secondo lui c’era un nesso tra le pillole e l’ incidente o, peggio ancora, se le pillole non c’entravano niente e tutto questo era riconducile ad una remota ipotesi di HIV. Ma House non ascoltava.

Sapeva bene che erano le pillole a causarle quell’intossicazione che le aveva causato i recenti malori e quindi l’incidente. Sapeva anche che Cameron non aveva contratto l’HIV, era troppo remota una possibilità simile, le probabilità era appena sopra lo zero. Erano tutte cose che sapeva già da tempo, da un paio di giorni per la precisione, quando aveva scavato nel suo privato e nella sua cartella clinica, per scoprire cosa la facesse sentire così male e la portasse a rimettere nel bagno. Glielo aveva detto di non prendere quelle stupide pillole.

E lei non si era fidata di lui.

Questo pensiero lo faceva sentire strano.. e ferito. Infondo, perché Cameron avrebbe dovuto agire diversamente? Lui non l’aveva rispettata, l’aveva ingannata e si era intromesso nella sua vita con la stessa delicatezza di un elefante, sparando giudizi e sentenze.

Certo, tutto questo era vero, verissimo. Ma rimaneva sempre il fatto che Allison non si era fidata di lui, preferendo seguire gli ordini di quel vecchio ammuffito di Harmelt, preferendo credere all’incapacità di quell’uomo, incapacità che l’aveva portata a sfiorare la morte.

Si sentì invadere da una rabbia cieca. Rabbia per Harmelt, perché con la sua stoltezza gliel’aveva quasi portata via, e rabbia per Cameron che non si era fidata di lui, del suo genio.

-House!- esclamò infine Wilson, inorridito.- ma.. mi stai ascoltando?-

-sì- mentì, con uno sbuffo. Ma dallo sguardo si evinceva palesemente il contrario.

Jimmy stava per inveirgli contro ma si fermò, quasi colpito dal suo sguardo assente.- Greg..- disse, conciliante.- non puoi andare avanti così.. lo sai, vero?-

E non alludeva alla possibile malattia di Cameron o a quant’altro.

Alludeva ai sentimenti che il diagnosta provava per Cameron.

House non rispose nulla. Ma una vocina piccola, dentro di sé, sembrò dire, piano:

“ lo so, Jimmy, lo so.”

 

 

 

Cameron stava leggendo un libro. Era un libro abbastanza grande, foderato di una copertina rigida, probabilmente un romanzo, anche se non avrebbe saputo dire di che libro si trattasse giacché, dalla sua posizione, non riusciva a leggerne il titolo.

Chase fece l’ultimo sorso del suo tè, mentre i suoi occhi non si staccavano un solo istante dalla sua figura che, sebbene fosse ancora sotto sorveglianza e fosse ancora attaccata ad una flebo, poteva finalmente dirsi fuori pericolo.

Merito di House. Lui l’aveva salvata dall’arresto cardiaco, lui le aveva cercato un’infermiera per poterla vegliare o , come tutti erano più propensi a credere, l’aveva vegliata lui stesso tutta la notte. Infondo lui e Foreman l’avevano trovato a dormire nel suo ufficio, questo poteva essere un indizio non trascurabile.

Sorrise, lentamente. Non aveva mai pensato che House potesse vegliare qualcuno.

Non aveva mai pensato che potesse vegliare Cameron. Insomma, era ridicolo. House che si preoccupava per qualcuno?

Gli ripiombarono in testa le sue parole, quando gli aveva preso gli elettrodi dalle mani e si era messo su Cameron, cercando di riabilitarla. Aveva detto ‘Allison, puoi farcela..’ o qualcosa di molto simile, non ricordava. Ma se le parole non era molto indicative, il tono di voce lo era. Eccome. Era quello di uomo terrorizzato. Terrorizzato dall’idea di perdere Cameron?

Sembrava di sì. Spaventato e determinato a salvarla. La determinazione di un.. dottore?

No, non bastava questa come giustificazione. Era la determinazione di un dottore e di un uomo innamorato.

Quest’ultima opportunità lo fece sbellicare dalle risate. House innamorato di.. ma figuriamoci.

Sospirò, leggermente. Cameron aveva acceso la televisione ora, e chiuso il libro.

Ne vedeva il profilo tranquillo e un po’ triste. Chissà se le avevano comunicato che a salvarla era stato House. Probabilmente no.

-forse dovresti andare da lei.- la voce di Foreman lo fece quasi sobbalzare.

-cos.. no.- disse velocemente Chase, preso in contropiede.- io.. volevo giusto..-

Il neurologo sorrise, un po’ intenerito.- ma se sono minuti che stai qui ad osservarla.- lo contraddisse, un po’ ironicamente.- perché non entri?-

L’australiano roteò gli occhi.- e per quale motivo?-

Eric alzò le spalle.- potresti chiederle come sta.-

-sono passato questa mattina.- replicò il biondo, con una smorfia.

-e allora portale questo.- disse consegnandogli una busta chiusa. Poi, prevenendo la domanda del collega continuò.- sono i risultati del test per l’HIV.- Chase annuì, prendendo la busta. –forse dovresti anche parlarle.-

Chase sospirò e il suo sguardo tornò a fissare l’immunologa.- e che dovrei dirle?- disse dopo un po’, con un accento nervoso e un po’ demoralizzato. Si voltò verso Eric. - Cameron, sai che mi sono innamorato di te? Ah, ma non preoccuparti, passerà presto, tu continua a pensare ad House.-  concluse, velenoso.

Foreman alzò le spalle.- dovresti provare comunque.-

Robert abbassò lo sguardo. –questo destabilizzerà tutto.-

-è già tutto destabilizzato.- gli ricordò il nero prima di lanciargli uno sguardo attento e andarsene via velocemente, con passo cadenzato.

 

 

Non trovò il coraggio di andare subito da lei.

Si dette del vigliacco migliaia di volte, eppure la sua autodeterminazione non bastava a fargli varcare la soglia della sua camera, ogni volta che, per sbaglio o per una strana coincidenza del destino, si trovava a passare di lì.

Erano quasi le sette e trenta di sera, il suo turno sarebbe finito tra breve ma aveva ancora con i sé i risultati del test di Cameron. Non era giusto farla aspettare ancora, doveva consegnarle la busta, anche se questo voleva dire entrare nella sua camera e.. parlarle. Non sarebbe stato facile, lo sapeva.

Sospirando, spinse la porta di vetro della sua camera notando però che il letto della ragazza era vuoto, solo dopo averne varcato la soglia. Aggrottò la fronte, poi finalmente la trovò, in piedi e di spalle, affacciata alla finestra della camera a godersi la magnificenza dello spettacolo del tramonto estivo. Chase sorrise, istintivamente, e diede un piccolo colpo di tosse per palesare la sua presenza.

Cameron si girò quasi di scatto, sorpresa e un po’ spaventata. -uh.. non ti ho sentito entrare..- disse con un sorriso un po’ incerto, mentre i suoi occhi tornavano quasi immediatamente sulla bellezza di quel tramonto al contempo così romantico e così triste.

-non dovresti stare già in piedi.- l’ammonì dolcemente Chase.- sei appena uscita da un’operazione...-

Allison si voltò, appoggiando la schiena alla finestra. Incrociò le braccia e parve pensosa.- già.- disse, con un sorriso strano.

-ho questa per te.- disse finalmente Robert, porgendole la busta che aveva tenuto con sé praticamente tutta la giornata.

Cameron aggrottò la fronte.- sono..- Chase annuì, silenziosamente. Le mani di Allison tremavano quasi mentre prendevano la busta e la notizia che vi era all’interno.

Deglutì e l’aprì, velocemente. Ne estrasse il foglio che era contenuto all’interno. I suoi occhi scorsero velocemente le righe, fino ad arrivare alla notizia che le interessava..

Il suo volto divenne improvvisamente sereno, rilassato e la donna si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Negativi.. erano negativi…

Non era malata. Finalmente parte di quell’inferno stava scomparendo.

Chase non poté fare a meno di sorridere anche lui. –sapevo che sarebbe andato tutto bene.-

-beato te che avevi questa certezza.- sorrise lei.

–Cameron..- disse poi l’uomo, dopo un piccolo silenzio, fissandola intensamente negli occhi.- posso farti una domanda?-

L’immunologa aggrottò la forte, poi alzò le spalle.- come vuoi, dimmi.- sussurrò, pur con l’intima paura di sapere dove quella domanda andasse a parare.

Robert si avvicinò a lei che era ancora appoggiata alla finestra, con l’aria che le muoveva lentamente i capelli, e la luce del tramonto che le accarezzava delicatamente le spalle.

-tu.- iniziò, balbettando leggermente.- avresti accettato il mio invito a cena se non fossi stata male?- scorse uno strano tremolio, infondo ai suoi occhi. –Allison...- sospirò, per l’ennesima volta, passandosi una mano tra i capelli.- ho bisogno di saperlo.-

Le analisi quasi scivolarono dalle dita dell’immunologa.

Dannazione. Si aspettava una domanda del genere. Deglutì, un po’ a fatica, poi iniziò, dicendo.-io..-

-Cameron.- l’interruppe lui.- sinceramente.- precisò il ragazzo.

infondo aveva bisogno di chiarezza anche lui, non poteva restare così, in sospeso con il dubbio e con la speranza che forse, se le cose fossero andate diversamente, lei sarebbe uscita con lui.

–io..- Cameron cerò di parlare ma le parole non le uscivano dalla bocca, avrebbe tanto voluto dire qualcosa di più costruttivo ma sentiva un nodo, qualcosa che la bloccava completamente. E sentiva che sarebbe scoppiata a piangere da un momento all’altro.

Perché lei sapeva come ci si sentiva in quei momenti.

Come ci si sente ad essere rifiutati.

Il silenzio era diventato fastidioso, quasi insostenibile e Chase, dandosi mille volte dell’idiota, decise di interromperlo, dicendo. -senti, dimentica quello che ti ho detto.- intervenne l’intensivista, piuttosto in imbarazzo.- io.. non so neanche perché l’ho fatto.. forse è meglio che ti lasci sola..-

-Chase.- Nonostante tutto Allison trovò la forza di richiamarlo, attese che lui si fosse voltato per continuare.- Cioè Robert.. io credo che sia meglio se ci interrompiamo. Stiamo sbagliando e ne soffriremo tutti e due se non ci fermiamo in tempo.-

Robert annuì, pesantemente.- è un no, quindi.-

-non posso, Chase.- si affrettò a correggerlo la ragazza, cercando, per quanto possibile, di non ferirlo più dell’inevitabile.

Vide una scintilla di rabbia, di frustrazione, brillare negli occhi del collega.- non puoi?- replicò, quasi non riuscendo a seguirla. Gli occhi azzurri del ragazzo la fissavano quasi incredulo. Infondo non poteva crederci sul serio. Non poteva pensare davvero che Allison lo stesse rifiutando in quel modo. Non poteva pensare che una donna come lei preferisse House a lui.

L’immunologa abbassò lo sguardo.- sono molto confusa e...-

-smettila, non mentire.- l’interruppe, ferito.- è per House.- le sue parole suonarono quasi come un’accusa. Cameron sostenne il suo sguardo ma non trovò la forza di dire nulla.

-io.. io non ci posso credere…- sbottò il ragazzo.- ti ostini a provare qualcosa per un uomo che non ti tiene in nessuna considerazione! Perché vuoi farti questo? Tu meriti di meglio.-

Allison alzò le spalle, con gli occhi diventati improvvisamente lucidi.- non scegliamo noi chi amare.-

Robert la fissò per alcuni secondi poi negò con il capo e se ne andò velocemente dalla sua stanza. Quella scena le ricordò Charles e il modo con cui lui se ne era andato dalla sua vita. Aveva perso un’altra occasione.. forse con Robert non sarebbe stata poi così male, forse doveva conoscerlo meglio. No. Lei non era una di quelle ragazze che praticano la morale ‘chiodo scaccia chiodo’.

Forse aveva davvero perso un altro treno della sua vita, che si era fermato, pazientemente, cercando di persuaderla e poi, all’ennesimo rifiuto, era sfrecciato, verso altre stazioni.

E lei era rimasta di nuovo sola.

-ma io lo amo.- sussurrò, quasi per giustificarsi, per dare una spiegazione a se stessa e alla sua solitudine.  Per spiegare a quella  parte di lei, alla Cameron razionale, che non poteva andare avanti, che non poteva uscire con Chase né con nessun altro. Perché l’altra sua metà, la Cameron innamorata di House, era stata più forte, di nuovo.

Si chiese per quanto ancora lo sarebbe stata, mentre si sedeva pesantemente sul letto.

Poi, finalmente, scoppiò a piangere.

 

 

 

 

To be continued…

Diomache.

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Capitolo 13
*** No need for anything but music ***


This shouldn't happen again

Ciao ragazzi, come va? Io già inizio ad avvertire la mancanza di House, voglio la terza serie! Beh, tornando a noi, eccovi il capitolo 13.. annuncio che ormai siamo arrivati in vista della fine.. Che dire, intanto ringrazio di cuore le gentilissime persone che continuano a commentare la mia storia.. grazie per le vostre belle parole, non pensavo sinceramente che ‘This shouldn’t happen again’ potesse riscuotere tanti consensi…  un bacione enorme a: Hikary, Rue Meridian, Toru85, Giu_chan, Ery_chan, Venus, Giulia99, Liserc, Apple e Sybilla, grazie!

Questo è il primo vero capitolo cottoncandy della storia e mi è tanto caro.. fatemi sapere che ne pensate, mi raccomando!

Un bacio,

Diomache.

 

 

 

This shouldn't happen again

 

 

“this shouldn't happen again”

 “Do you think I want it to?”

 

 

 

Chapter thirteen: No need for anything but you

 

 

 

“ scusi, signorina, è libero questo posto?”

Si erano così conosciuti così. Quasi per caso.

Lei che alzava i suoi occhi affascinanti, lui che le rivolgeva un sorriso simpatico. Niente di eccessivamente originale, solo due ragazzi che giorno dopo giorno si erano scoperti simili e innamorati.

E un giorno era accaduto. Lui che l’aveva raggiunta a casa sua e aveva detto, con fatica, con voce, dolce, delicata, quasi un sussurro.“Ti amo, Allison.”

Gli occhi di lei che erano diventati improvvisamente lucidi, il suo viso che subito si era piegato in un bel sorriso. “anch’io ti amo, Brian.” Avevano riso, si erano abbracciati, si erano amati.

Il cielo era azzurro in quel tempo, limpido.

Ma non sereno. Anche se in quel momento non c’erano nubi che oscurassero l’orizzonte, entrambi sapevano che il temporale sarebbe arrivato, presto o tardi, ma sarebbe arrivato. E il temporale era arrivato, violento, assurdo, freddo e doloroso. Era finito il momento della serenità, della vita quotidiana, quella che a molte coppie potrebbe risultare banale e noiosa. Lei ci avrebbe messo la firma perché quella ‘noia’ fosse durata per sempre.

E invece no, il periodo delle tranquille giornate passate a casa, nella loro casa, era finito.

Si era aperto quello delle camere d’ospedale. Erano iniziate le tanti nottate passate accanto lui, i pomeriggi, vicina al suo letto, seduta con un libro di medicina aperto sulle gambe e lo sguardo fisso su suo marito che riposava nei rari momenti in cui la malattia non gli toglieva il fiato dal dolore. Ma anche questo non sarebbe durato per sempre.

Quel giorno non tardò così tanto ad arrivare.

Era una giornata qualunque e lui aveva una ‘buona giornata’, come amava definirle Cameron. Stava seduto sul letto e parlava distrattamente di un recente sogno che aveva fatto.

 “non voglio lasciarti.” Disse improvvisamente la donna, interrompendo suo marito, senza alcuna connessione con quello detto fino a prima.

Lui l’osservò, con i suoi occhi neri, intensamente. Le prese la mano, la strinse, la portò alle labbra e la baciò, dolcemente. “neanche io.- disse quindi.- ma non ti lascerò. Voglio che tu lo sappia sempre. Io sarò sempre con te. ”

Cameron scosse il capo, con gli occhi traboccanti di lacrime. “non sarà abbastanza. Io ti voglio qui, voglio le tue carezze, i tuoi occhi… voglio te, amore mio.. ” la voce le era mancata, soffocata dalle lacrime. “che farò senza di te…”

Brian le prese il voltò tra le mani. “non piangere, Allison, non piangere. Troverai qualcuno che ti amerà e questa volta sarà per sempre. Sei.. stata la persona più importante della mia vita. E sai che ti dico? Preferisco morire domani piuttosto che vivere altri cento anni senza averti conosciuto..”    Allison aveva sorriso, dolcemente, abbracciandolo stretto, cercando di tenerlo a sé, di non lasciarlo fuggire via. 

“una cosa.- le sussurrò poi l’uomo.- non dimenticarmi,ti prego. Non dimenticare.”

Cameron aveva annuito, aveva sorriso. Sorriso come può fare una ragazza ventunenne, una ragazza che non si sarebbe mai immaginata che solo poche ore dopo tutto quello in cui aveva sperato, tutti suoi, seppur momentanei, progetti, tutti i suoi sogni, tutta la sua vita si sarebbe infranta. Brian era morto appena due ore dopo, tra le sue braccia.

Cameron si svegliò di soprassalto, sobbalzando nel suo freddo letto d’ospedale, con la bocca aperta ma senza grida, senza suoni. Sospirò, passandosi una mano tra i capelli, poi sugli occhi. Calma, Allison, calma, si disse cercando di dominare il cuore che le rimbombava nella mente.  Era solo un sogno.

Erano ricordi. Solo ricordi.

I suoi occhi, sebbene l’oscurità della stanza, si focalizzarono sul calendario, nel giorno di oggi. Una lacrima, silenziosa, le scivolò sulle guance.

–no, Brian.- sussurrò, con un sorriso mesto.- non ti dimenticherò mai.-

  

 

 

Le porte metalliche del PPTH si aprirono automaticamente facendo entrare il più dispotico, il più cinico dei suoi dottori, il più geniale ed il più insopportabile. Lui, sarcastico, misogino e terribilmente scettico, ateo e..  terribilmente in ritardo.

I suoi occhi osservarono con circospezione l’ambiente circostante, invaso, come sempre, da pazienti rompiscatole, infermiere incapaci e dottori ancora peggio, cercando di adocchiare la terribile leonessa responsabile di tutta quella savana, la rarissima specie di Cuddy..

Niente, via libera, decretò poi infilandosi velocemente nell’ascensore già pieno di persone che, vedendolo entrare con forza, alzarono istintivamente gli occhi al cielo. –dove si va di bello?-  domandò Greg con un sorriso allegro.

-al terzo.- rispose un infermiere con l’aria piuttosto scocciata.

House sbuffò, contrariato. Dopo qualche secondo le porte metalliche dell’ascensore si aprirono e immisero al terzo piano, curiosamente, lo stesso piano in cui era attualmente ricoverata Cameron. Gli infermieri che erano con lui uscirono velocemente dal mezzo, lasciandolo solo all’interno dell’ambiente chiuso.

Gli occhi freddi del diagnosta osservarono per un istante il tasto ‘due’ dell’ascensore, tasto che lo avrebbe portato al piano ‘diagnostica’, al suo lavoro. Considerò la possibilità di uscire al terzo. Di andare da lei, da Cameron. 

Erano passati tre giorni dall’ultima volta in cui si erano parlati e si rese conto di aver pensato a lei quasi ininterrottamente chiedendo continuamente notizie a chi gli capitava a tiro, a chi vedeva uscire dalla sua camera, con chi, sapeva, lei si confidava.

Le porte dell’ascensore si chiusero di nuovo, ma Greg allungò il bastone per impedire che lo facessero totalmente. Non sapeva bene che stava facendo. Né perché lo stava facendo.

Solo, era quello che VOLEVA fare.

Varcò la soglia dell’ascensore con un passo abbastanza veloce, passo che si fece poi drasticamente più lento ed incerto non appena si ritrovò proprio davanti alla camera della ragazza. Non sapeva dire perché aveva deciso di non proseguire e si era fermato da lei. Forse era solo la voglia di lavorare che in quel periodo scarseggiava più del solito o .. o forse.. forse aveva semplicemente voglia di vederla.

I suoi occhi azzurri si focalizzarono, curiosamente, sulla figura della Cuddy che usciva dalla porta della sua collaboratrice, dicendo. –mi dispiace Allison, non posso.- con un sorriso un po’ dispiaciuto ma abbastanza determinato.

Sentì la ragazza, dall’interno replicare vivamente ma non capì bene le sue parole. l’unica cosa che gli risultò chiara fu il suo tono acceso, niente di più.

Lisa scosse la testa, alzando le spalle.- non posso davvero. Stai bene ma non me la sento di prendermi questa responsabilità. A presto.- concluse la direttrice chiudendo la porta, dopo aver atteso il saluto di Cameron, saluto che risultò un po’ spento e deluso. House si nascose velocemente dietro una colonna per evitare di essere visto dalla donna che, ne era sicuro, l’avrebbe linciato per il suo ennesimo ritardo e per non essere in quel preciso istante nel suo ufficio.

I suoi occhi attenti osservarono la Cuddy sospirare e avviarsi lungo il corridoio.

La donna passò senza accorgersi di nulla e lui, concentrato, rivolse la sua attenzione alla camera dell’immunologa. Che diavolo si stavano dicendo quelle due poco fa?

Si diresse velocemente verso la camera della giovane e spostò la porta con un gesto teatrale e determinato. Cameron si voltò di scatto verso l’entrata, immaginando e sperando che fosse rientrata la Cuddy. Sul suo viso si lesse a chiare lettere la delusione. –ah… sei tu..-

House alzò gli occhi al cielo.- buongiorno anche te.-

Cam gli voltò le spalle, silenziosa. E misteriosa. Come sempre.

Era seduta sul suo letto d’ospedale con le gambe rivolte verso la finestra spalancata da cui filtrava una leggera brezza estiva. Nonostante House fosse di spalle non poté fare a meno di percepire un certo alone di tristezza che, ne era sicuro, era collegato con quella misteriosa visita da parte di Lisa.

Aveva i capelli un po’ scompigliati ma comunque abbastanza ordinati, perfetti e precisi come sempre era lei. Con un mezzo sorriso constatò che Allison Cameron riusciva ad essere perfetta ad elegante anche con addosso un pigiama d’ospedale. Come se quella sua eleganza fosse qualcosa di acquisito, di innato. E di bellissimo, senza dubbio. Vederla di nuovo gli aveva dato una sensazione strana, un piccolo magone allo stomaco unito però ad una bellissima sensazione di piacere.

La sua voce lo distolse dai pensieri. – come mai sei qui?.- domandò la ragazza con voce piuttosto spenta. - pensavo che Cuddy ti avesse licenziato, non ti sei più fatto vivo, nemmeno per sbaglio.-

-Foreman e Wilson sono stati più nella tua stanza che a lavorare. Per non parlare di Chase che deve averci messo la tenda qua dentro.-

Allison scosse la testa. –almeno loro sono passati.-

-se continui me ne vado.-

Cameron si girò per la prima volta e con uno sguardo indignato ed arrabbiato. House brontolò, cercando di giustificare la sua ultima uscita.- se ogni volta che vengo mi fai la paternale non mi incentivi a venire più spesso, non ti pare?-

Cameron ripiombò nel silenzio e i suoi occhi si fissarono, curiosamente, sul calendario che era appeso nella sua stanza. House seguì il suo sguardo puntato sulla giornata di oggi.

Si, doveva essere successo qualcosa con la Cuddy. Foreman gli aveva riferito che ieri Cameron pur avendo la febbre abbastanza alta a causa di una piccola infezione legata all’intervento, era allegra e di buon umore. Tutto il contrario della ragazza triste che aveva ora di fronte.

-che voleva Cuddy?- la buttò là, come una provocazione, più che altro. Magari Cam gli avrebbe detto spontaneamente quello che l’affliggeva.

Allison scese dal letto, con un piccolo saltino, confermandogli l’ipotesi di un leggero dimagrimento da parte della ragazza. La donna si voltò, mostrando un aspetto triste ma determinato.- non sono cose che ti riguardano.- disse, acida.

House sorrise.- aggressiva. Me l’aspettavo.- disse, annuendo.- tipica depressione post..-

-tipica un corno.- lo freddò la giovane.- non credere di poter capire quello che mi passa per la mente con un sillogismo da bambini delle elementari..-

Greg sorrise, intrigato.- questo è più di un sillogismo. È la chiave. Allora, è il tuo compleanno o cosa?- Cameron parve spaesata e sorpresa .- su, non fare l’ingenua. L’ho visto il tuo sguardo fisso verso il 1 luglio, che è oggi.-

Cameron abbassò lo sguardo, in imbarazzo. House sorrise. Centro.

-non.. non è il mio compleanno.- sussurrò, poi.- e ti ho già detto che non ti riguarda.-

-sicuramente mi riguarda perché se ti deprimi non guarisci e se non guarisci rimani una mia paziente.-

-io non sono una tua paziente!- protestò la ragazza.- e poi..-

-giusto, sei la paziente di Harmelt!- si corresse Greg, fingendosi addolorato.-  oh, scusami, non volevo. Infondo fai bene, lui si che è un vero medico! Dopo che ti ha quasi uccisa è giusto che tu gli resti fedele!-

Cameron aggrottò a fronte.- lui non mi ha uccisa. Credeva di agire per il meglio,tutti possiamo sbagliare. E io non sono la paziente di nessuno. Sono guarita e voglio uscire!-

-è per questo che litigavate tu e Cuddy?- domandò l’uomo con lo sguardo tipico di ha capito di centrato a pieno la questione. Allison socchiuse gli occhi, maledicendosi per la sua sbadataggine. –sì.- disse, poi, con uno sguardo strano.- io vorrei uscire ma lei mi ha detto che prima di domani non se ne parla.-

House annuì, poi piegò la testa verso il basso, riflessivo.- e come mai tutta questa fretta? Un giorno in più non è una morte d’uomo. Non per te, almeno, che sei l’ emblema della pazienza, Cameron.-

La giovane si abbracciò le braccia, istintivamente.- è imbarazzante stare qui quando sai di non avere niente..-

-no, non è vero.- la contraddisse Greg avvicinandosi a lei, quasi pericolosamente. Arrivò fino a pochi centimetri da lei. –stai mentendo.- disse con un sorrisetto soddisfatto come uno scienziato  che scopre l’universale verità della sua teoria. L’Everybody lies, si era confermato di nuovo.

Cam distolse lo sguardo.- non voglio parlarne.-

Normalmente House avrebbe insistito di più. Ma qualcosa nel suo tono ferito lo convinse a lasciar stare. Per ora, almeno. Cambiò argomento.- Chase era insopportabile questi giorni. L’ho dovuto bastonare due volte per farmi obbedire.-

-l’hai.. cosa?-

-in maniera figurale.- precisò l’uomo, con un’aria scocciata.- purtroppo.-

Cam sorrise. Greg, in un modo o nell’altro, riusciva sempre a farla ridere.

-e dato che ho avuto modo di constatare che Chase è così insostenibile solo quando va in bianco, suppongo che tu..-

-oh per favore..- sorrise Allison, non potendo trattenere una risata. –sei diventato più pettegolo di una zitella incallita.-

questa volta fu Greg a sorridere.- mi confermi quindi. Sei dunque tu la responsabile dello stato d’impotenza del mio intensivista! Potrei citarti in causa, sai? In questi giorni non mi becca più nemmeno la diagnosi  di un raffreddore!-

Cameron questa voltò scoppiò letteralmente a ridere e questo coincise con l’aprirsi improvviso della porta della sua camera. –oh, ci si diverte vedo.- fu il commento genuino di una voce a loro molto conosciuta. I due dottori si voltarono scoprendo proprio Foreman e.. Chase.. all’ingresso della stanza della giovane.

Chase non poté fare a meno di notare lo sguardo spensierato di Cam in compagnia di House e lo sguardo altrettanto sognante (anche se ben nascosto) di Greg. Allison, la donna che aveva creduto potesse diventare sua. Che stupido. Cameron era chiaramente nata per House.

Il sorriso di Allison scemò leggermente vedendo lo sguardo un po’ scuro del suo collega.

-non immaginavamo di trovarti qui, House.- continuò Eric.- ma da quanto sei arrivato? Pensavamo che ormai non saresti più venuto!-

-e venivate qui da Cameron per ammazzare  un po’ il tempo!- lo rimproverò Greg.- ah, e io che vi pago pure!-

Foreman gli lanciò un’occhiata eloquente.- vieni. Dobbiamo parlare del caso.-

-che caso?- domandò Cameron che aveva finalmente riacquistato il sorriso e dimenticati i suoi problemi. Questa volta fu Robert ad intervenire. –quello di una dottoressa che non si riposava nemmeno quando era lei ad essere la paziente!-

Cameron gli sorrise dolcemente.- grazie, ma sto bene.-

-oh, vorremmo continuare a vedervi lanciare sorrisetti innamorati, ma, ahimè, il dovere ci chiama! Chase! Chiudi la pattuella e in ufficio, marsh!- tuonò Gregory avviandosi verso l’uscita della camera e varcandola velocemente, sotto le risa di Foreman che scuoteva il capo, divertito. Chase lanciò un’ultima occhiata ad Allison poi si avviò anche lui verso l’uscita, seguendo diligentemente gli altri.

Cameron rimase sola.

E il suo sguardo, sebbene non avesse voluto si focalizzò, di nuovo, su quel fatidico, 1 luglio.

 

 

La musica degli Who gli circolava liberamente nelle orecchi e, ormai, nel sangue, contando che stava ascoltando musica da più di mezz’ora. Erano circa le sei di pomeriggio, aveva ancora un paio d’ore abbondanti eppure già non ne poteva più, e si era ritirato nel suo ufficio e rifugiato nel suo mondo ermetico ed inaccessibile, il suo mondo fatto di pensieri, di riflessioni, il suo mondo fatto solo di sé.

Era lì dove si rintanava quando la realtà circostante non lo interessava più di tanto, quando non c’era più ragione perché restasse, oltre che fisicamente, anche mentalmente tra gli altri.

Il nuovo caso era stato complicato ma non così tanto da interessarlo, pericoloso ma non abbastanza da fargli salire un po’ d’adrenalina nelle vene, da farlo sentire vivo, per un istante. Tutto sembrava così banale, scontato. Sospirò, mentre si accomodava meglio alla poltrona del suo ufficio, con fare stanco e apatico. Gli occhi chiusi, il volto rilassato, sereno quasi.

Non seppe dire da quanto tempo lei fosse già lì. Poteva essere arrivata da appena un minuto oppure essere stata ad osservarlo tutto il tempo. Fatto sta che, quando si era girato, quasi involontariamente, verso la porta e aveva aperto gli occhi, aveva incontrato il suo sguardo, bello e fresco come una mattinata di primavera.

Subito aveva aggrottato la fronte e si era tolto le cuffie.- e tu che diavolo ci fai qui?-

Allison abbassò un po’ lo sguardo. Era ancora vestita con quel semplicissimo pigiama d’ospedale ma aveva un’espressione diversa rispetto a prima. Sembrava.. determinata?

-devo chiederti una cosa, House.- disse quindi la giovane, osservandolo intensamente.

Il diagnosta sbuffò, nascondendo il reale interesse per la cosa. –spero che sia importante, perché hai interrotto il mio pezzo preferito-

L’immunologa, sorrise, debolmente.- lo è. Ma prima ho bisogno di sapere se posso fidarmi di te.- e deglutì a fatica, gli occhi leggermente persi nel vuoto, la voce incerta.

Greg la guardò, interessato, poi sbuffò, ironicamente.- tu non ti fidi di me di tua stessa volontà. Altrimenti non avresti continuato a prendere le pillole di Harmelt.-

-House.- lo interruppe lei.- io non ho più preso quelle pillole da quando tu me le hai sconsigliate. Io credo sempre in te.-

Greg finse uno sguardo distratto. In realtà quelle parole per lui erano importanti, vitali quasi. E, lo sapeva, erano vere. Dunque lei si era fidata di lui.

-comunque non parlavo di un parere medico.- disse poi frettolosamente, la ragazza.- ho bisogno di te.- parlava lentamente, quasi a fatica. -ho.. bisogno di un favore.-

Greg annuì, pensieroso.

-avevi visto giusto.- iniziò lei con un sorriso un po’ incerto.- oggi è un giorno particolare, anche se non è il mio compleanno. Oggi sono cinque anni che mio marito è morto.- House la fissò, intensamente. – ho bisogno di te perché devo andare al cimitero a trovarlo.- concluse la giovane, questa volta molto decisa.

Il diagnosta annuì, energico. Adesso sì che tutto tornava.- fantastico. E hai pensato a me per trafiggere le regole dell’ospedale?-

-per te le regole non esistono.-

-per te si però.- la contraddisse.- o esistono solo quando non ti toccano dal vivo?-

Cam esibì un evidente falso sorriso.- .. infondo è importante anche saperle infrangere per una giusta causa, non ti pare? e se non ti va d’accompagnarmi, non ti arrampicare sugli specchi, che qualcuno lo trovo comunque.- concluse acida.

-oh sì. Chase ti ci poterebbe in braccio!- esclamò lui, sarcastico, celando una piccola patina di gelosia.

Allison piegò il capo.- per esempio, sì. Oppure Wilson. Lui sì che ha cuore.-

-naa, non accetterà. Se deve scegliere tra fare un favore ad un’amica e non fare un dispetto alla Cuddy, stai tranquilla che sceglie la Cuddy. Ne è innamorato, ma questo è un segreto non posso dirtelo.  Oopss..-

Cameron rimase interdetta qualche istante.- Foreman..-

House grugnì, divertito.- sì, provaci. E poi raccontami che ti ha risposto.-

Allison annuì, determinata. Non gliel’avrebbe data vinta tanto facilmente. - ci andrò da sola, allora. Credi che ne abbia paura?-

-è retorica?-

-no!- sbottò lei, indignata.- vado, mi cambio ed esco.- fece per alzarsi ma Greg la fermò simultaneamente, afferrandola velocemente per il polso. 

I loro occhi si incontrarono, intensamente.

-perché io?- chiese Gregory, quasi soprappensiero, lasciando lentamente la presa.

Cameron voleva gridargli un ‘possibile che ancora non l’hai capito???’ ma non disse niente del genere. Sarebbe significato litigare di nuovo.- perché so di poter contare su di te.- erano parole vere e sentite, che arrivarono dritte all’animo dell’arcigno diagnosta. –e perché..- continuò la ragazza.- tu ti diverti a fare questo genere di cose. Perché se puoi fare qualcosa che non è consentito non ci penseresti un solo istante.-

-vero.- approvò lui.- ma se la Cuddy ci becca mi prendo una settimana di ore di clinica aggiuntive.-

Cameron esitò, poi disse.- vorrà dire che te le farò io.-

House sorrise, soddisfatto.- fila in camera tua.- disse con voce imperiosa. Cameron rimase di sasso, incredula, per qualche istante.- e mettiti qualcosa di decente. Non penserai mica che ti porti in moto con quella specie di vestaglia addosso?-

Il sorriso di Allison fu piuttosto eloquente. Si alzò di scatto e s’avviò verso l’uscita.

-e possibilmente.- continuò l’uomo.- non farti scoprire.-

 

 

 

Si ritrovarono nel parcheggio, appena una mezz’oretta dopo. – ti ha visto qualcuno?- domandò House osservandola quasi distrattamente, mentre si avvicinava alla sua moto vicino alla quale la donna lo aspettava pazientemente già da alcuni minuti. – no.- rispose, vaga.- ce ne hai messo di tempo, pensavo non saresti più venuto..- lui non rispose niente, si limitò a posizionarsi sulla moto e a passargli il casco.- sbrighiamoci.- disse, quindi.- tra meno di due ore i cimiteri saranno chiusi. A proposito, dove si trova quest’incanto di posto?- domandò.

Cameron rispose, indossando il casco. –dista circa un’oretta da qui.-

-bene.- mormorò sarcastico.- cimitero cattolico?-

Cameron sospirò.- già.- Brian era molto credente. Era morto sereno, sorretto dalla sua inattaccabile fede.

-è meglio sbrigarsi.- ripeté l’uomo, facendole segno di salire. Cam si posizionò dietro di lui, stringendosi forte al suo corpo caldo e  tranquillizzante. La moto partì subito dopo.

Il viaggio fu più breve di quanto entrambi immaginassero. La strada sgombra, asciutta era passata velocemente sotto gli occhi della ragazza che si era appoggiata dolcemente al corpo del guidatore, socchiudendo gli occhi, godendosi quel momento chiaramente unico.. infondo non le sarebbe capitato tanto presto di restare così vicina ad House.

-ehi.- la chiamò improvvisamente quest’ultimo, ma senza risultato.- HEI!- ripeté a voce più alta subito dopo, destandola dalle sue riflessioni. Allison si accorse che la moto era ferma e che lei era ancora stretta a Greg. Arrossì violentemente, si staccò immediatamente da lui e scese dalla moto.

House roteò gli occhi vedendo il suo imbarazzo.- devi imparare a controllarti, bimba mia. Non puoi cadere in choc ogni volta che mi tocchi-

Cameron gli lanciò un’occhiataccia, poi il suo sguardo si rivolse all’entrata del cimitero. –sarà meglio che vada.- fece qualche passo poi, notando che il diagnosta non si muoveva dalla sua moto chiese, anche se un po’ titubante.- … ti va d’accompagnarmi?-

Gli occhi azzurri dell’uomo la fissarono intensamente. Sperava che glielo chiedesse.

Non fece niente, solo si alzò e si mosse verso di lei, con la sua consueta andatura claudicante. 

I due entrarono nel silenzioso luogo sacro e dopo essersi fermati a comprare un piccolo mazzo di fiori bianchi, iniziarono a costeggiare la lunga fila di lapidi che si diramavano come un complicato ed intrecciato labirinto di cui Allison conosceva la chiave. Giunsero a breve davanti alla lapide che la donna cercava, una tomba piccola, semplice, bianca. Erano stati in silenzio fino a quel momento, anche se Greg l’aveva osservata con la coda dell’occhio per tutto il tempo cercando di catturarne le emozioni, lo sguardo, i pensieri.

Si sentiva un privilegiato. Stava condividendo un momento importantissimo e così intimo della vita di Cameron. Lei avrebbe potuto scegliere qualcun altro, infondo aveva ragione, chiunque l’avrebbe accompagnata. Lei piaceva a tutti.

E invece aveva scelto lui. Osservò lentamente la foto del suo defunto marito. Un bel ragazzo, dall’aria simpatica, sotto il quale troneggiava la scritta in oro di “Brian O’Condor.”

I suoi occhi si spostarono su di lei.- è meglio che ti lasci sola ora.- disse, con la voce un po’ roca.

Allison gli sorrise.- grazie.- sussurrò quindi osservandolo allontanarsi leggermente e lasciarla sola con il marito. I suoi occhi verdi si concentrarono sulla foto dell’uomo. Si inginocchiò accanto a lui, sistemò i fiori, poi si baciò le dita e sfiorò la foto di Brian, sorridendo delicatamente.

House si fermò dopo pochi passi, avendo individuato, tra le fila delle lapidi una di quelle che erano state sue pazienti. Aguzzò la vista. –si..- sussurrò fissando la foto della donna.- tu eri.. eri quella della rabbia..- continuò, concentrato. Sorrise, quasi divertito.- beh, com’è piccolo il mondo..-

Cameron arrivò poco dopo, così poco che Greg roteò gli occhi, all’idea che le aveva fatto fare  tutta quella strada per stare effettivamente due minuti vicina al marito. 

-hai trovato compagnia, vedo.- esclamò la ragazza, alludendo alla lapide della donna.

Greg si stupì di non vederla commossa e con i lacrimoni agli occhi, come invece immaginava. Sembrava.. serena? Anzi, era serena. Mah, che enigma. Niente da aggiungere.

-già.- approvò l’uomo.

-sono contenta. Almeno non ti sei sentito solo..-

-abbiamo fatto due chiacchiere.. sai, mi piace rievocare i vecchi tempi.-

Cameron rise piano, mentre attraversavano a ritroso il cimitero. Il silenzio era caduto di nuovo tra di loro, un silenzio stranamente non teso ma tenero e complice, in qualche modo.

-lui com’era?- chiese improvvisamente House, non riuscendo più a trattenere la sua irrefrenabile curiosità.

Cameron sorrise, quasi sognante.- è stato il mio primo amore.- mentre parlava i suoi occhi erano fissi sull’orizzonte che volgeva all’ imbrunire.- era un uomo come tanti altri, una persona semplice, era gentile, simpatico. E io lo amavo.- concluse lentamente.

House la guardò, sorpreso, di nuovo. Si immaginava una descrizione del tipo ‘era un uomo eccezionale, unico, meraviglioso’ tipica delle donne che sono solite tracciare i contorni dei loro uomini passati come uomini inarrivabili e perfetti. Ma di nuovo, Cameron non era come le altre. Arrivarono finalmente all’uscita del cimitero, dove trovarono parcheggiata la fiammeggiante moto arancio di House. 

Cameron osservò intensamente il suo capo, mentre questo prendeva il casco e agganciava il bastone ai lati della moto. Sospirò. Non aveva detto una parola per tutto il tempo, se non poche, pochissime cose. Certo, l’averla accompagnata fin lì e aver fatto tutto questo per lei era un gesto più che bello ma ormai non poteva più accontentarsi delle briciole, non poteva più compiacersi di dedurre dai suoi comportamenti. Non poteva più sostenere il suo bifrontismo, la sua ambiguità. Prese coraggio. Doveva farcela.

-dopo di Brian.- continuò, facendo voltare verso di sé il diagnosta.- la mia vita era distrutta. Non avevo punti di riferimento, non avevo niente. Poi sei arrivato tu e...- disse queste ultime parole stringendo i pugni e fissandolo profondamente negli occhi cercando di trovare appiglio e sicurezza in quegli occhi di ghiaccio. Non ce n’ era ma proseguì lo stesso.- io …-

-Cameron.- l’uomo la fermò, quasi con stizza. Lei distolse lo sguardo e si morse istintivamente il labbro inferiore.- è tardi. Sali.- La ragazza obbedì, silenziosamente.

Il tragitto di ritorno al PPTH sembrò quasi non finire mai. Il rombo della moto risuonava ossessivamente ma non permetteva ad House di non percepire i singhiozzi silenziosi di Cameron, dietro di lui. Piangeva silenziosamente e se non fosse che, di tanto in tanto sentiva il suo corpo fremere, appoggiato alla sua schiena, non se ne sarebbe accorto. Certo, soffriva. Ma soffriva anche lui. Soffriva perché non avrebbe mai voluto ferirla, perché avrebbe voluto dirle tante cose, avrebbe voluto spiegarle come si era sentito quando lei era stata ad un passo dalla morte, la sua disperazione al solo ipotizzare una cosa del genere.

Ma allora perché l’allontanava? Aveva pensato di non poter vivere senza di lei. Poteva allora credere di poter andare avanti mantenendo quella fredda distanza, quel distacco che si era imposto con tanta assurda tenacia? 

La moto si fermò, davanti alla fredda sagoma del PPTH. Ormai era quasi buio e le luci dell’ospedale davano quasi un effetto magico al paesaggio circostante. Cameron scese velocemente dalla moto. Posò il casco a terra e si mosse verso l’ospedale senza dire una parola, senza degnare nemmeno di uno sguardo il suo autista.

-Cameron.-

La voce di House la bloccò quando non aveva fatto neanche un metro di strada.

Non si voltò ma non proseguì neppure.

-vuoi proprio tornare in ospedale?-

 

 

 

 

to be continued…

Diomache.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** What love can do that dares love attempt ***


This shouldn't happen again

Ciao ragazzi!!!! Finalmente ho terminato di scrivere il quattordicesimo capitolo, eccolo on line, spero che vi piaccia! Un ringraziamento dal profondo del cuore a tutti coloro che hanno recensito il 13, un sincero grazie a tutti, sono commossa!!

Grazie mille a: Toru85, Gulyuly, Apple, Artemisia89, Marghe999, Venus, Eri_chan, Giu_chan, Irene!!, Kiana, Kr91g, Ale87, Liserc e  Dana !! Grazie mille del vostro appoggio e di aver recensito, spero che continuerete a farlo!

Un bacio!

Diomache. 

Ps: il titolo è una citazione, chi indovina che autore è? (è facilissimo, in realtà..)

 

 

 

 

This shouldn't happen again

 

 

“this shouldn't happen again”

 “Do you think I want it to?”

 

 

 

Chapter fourteen: What love can do that dares love attempt

 

 

 

 

 

 

Cameron dischiuse leggermente le labbra dallo stupore.

Se non avesse avuto la borsetta sulla spalla probabilmente le sarebbe scivolata dalla mani. Non riusciva a crederci. Ma aveva sentito bene? House che le chiedeva di non andare? Ok, non esplicitamente, ma in una maniera assolutamente non equivocabile?

Rimase voltata e inizialmente in silenzio.

Poi sospirò e disse, probabilmente un istante prima che Greg lasciasse perdere e se ne andasse via. E questa volta, forse, sarebbe stato per sempre.

-no.- tentennò leggermente.- hai altre idee?- domandò, voltandosi lentamente verso di lui.

House distolse un istante lo sguardo, un po’ in imbarazzo. Dannazione, avrebbe preferito che rimanesse di spalle. Parlare con la sua schiena era più semplice di doversi confrontare continuamente con i suoi occhi verdi.

-pensavo.- iniziò, con un’aria piuttosto vaga e abbastanza sicuro di sé.- ormai la frittata l’abbiamo fatta, la Cuddy sarà furiosa. Torni adesso o tra qualche ora non farà differenza.-

Allison lo osservava, attenta.- non sono d’accordo. Ci sono vari livelli di rabbia.- controbatté leggermente. –Cuddy potrebbe solo essere al primo stadio. E se non rientro per altro tempo, potrebbe arrabbiarsi ancora di più.-

-già.- approvò l’uomo.- quanto potrebbe arrabbiarsi di più di così ?-

Cam lo osservò, un po’ spiazzata.- ehm, non lo so..-

-bene. Ci divertiremo a scoprirlo.- prese il casco e glielo lanciò, con un gesto tipicamente da lui come quando avevano dovuto andare a ispezionare la casa della signora che poi scoprirono essere una malata psichica. Allison lo prese per un pelo, perdendo anche leggermente l’equilibrio. –ma..- tentò d’opporsi.- e.. le regole dell’ospedale?-

Non che non volesse andare con lui. Anzi. Ma voleva farsi desiderare. Almeno un pochino..

House sghignazzò, poi alzando gli occhi al cielo fece una voce palesemente effeminata.- infondo è importante anche saperle infrangere per una giusta causa, non ti pare?-

Cameron rise, riconoscendo la frase che gli aveva detto lei, appena un’ora fa. –e quale sarebbe la tua giusta causa?-

-un drive-in.- vide Allison sgranare gli occhi.- non fare quella faccia, come giusta causa è molto più divertente della tua!-

Cameron aprì la bocca dallo stupore.- e… a vedere che cosa?-

-vuoi venire si o no?- la incalzò House.

-e.. la macchina?- domandò la ragazza, ancora un po’ incredula.- non possiamo andare in moto e la mia auto è inagibile, dopo il recente incontro con quell’albero.-

L’uomo sorrise, quasi diabolicamente. Poi tirò fuori un piccolo mazzo di chiavi dalla tasca del giubbotto e le mostrò alla ragazza.- offre Wilson.-

Allison si avvicinò a lui, così felice ed incredula che avrebbe potuto iniziare a salticchiare dall’euforia.-  e.. lui è .. consapevole?-

Greg la guardò, sarcastico ed ironico come sempre.- non ancora. Sarà una sorpresa anche per lui. Ah, ma stai tranquilla sono sicuro che moriva dalla voglia di prestarmi la sua auto.- fece una piccola pausa poi continuò dicendo.- e comunque non preoccuparti, non se la prenderà con te. È già da un po’ che avevo programmato di.. ehm.. provare l’auto di Jimmy.-

Cam annuì. “e ti pareva.” Pensò alludendo al fatto che Greg aveva dovuto palesare che quell’uscita non l’aveva organizzata per loro due ma che la sua presenza era solo un accidente  senza molta importanza. Sorrise, sarcastica.- la stiamo.. rubando quindi. E Wilson come farà a tornare a casa?-

-aaaah.- sbuffò Greg annoiato.- forse non ci siamo capiti. Non ti devi sentire in colpa per Jimmy, per Cuddy e per il mondo intero. Se tu decidi di rintanarti in ospedale non cambierà le cose, io prenderò comunque l’auto di Wilson che, oltretutto, è venuto a lavorare in autobus quest’oggi. Quindi, vieni o no?- e senza lasciare all’immunologa il tempo di formulare una risposta le prese il casco di mano.- ok.- disse quindi.- non vieni.-

Allison glielo riprese con un movimento lesto e veloce che stupì l’uomo.- vengo.- disse, determinata e bellissima, fissandolo negli occhi.

L’uomo annuì e l’osservò mentre si sistemava dietro di lui e lo circondava con le sue braccia giovani.

Sorrise mentre si metteva anche lui il casco e iniziava a dare gas alla moto che, subito dopo, si mosse dal parcheggio del PPTH e sfrecciò veloce per le strade del New Jersey.

Adesso la moto proseguiva, nella notte, silenziosa e veloce come una freccia che mira dritta verso il suo bersaglio, decisa ed enigmatica come il suo guidatore. Allison chiuse gli occhi mentre le sue braccia, intorno al corpo di lui, lo stringevano un po’ di più ma di così poco che probabilmente nemmeno lui se ne sarebbe nemmeno accorto. 

S’impose di non pensare, di non credere, di non ragionare. Decise di prendere le cose come avvenivano, senza trovarci un motivo dietro, senza dover per forza di cose riflettere sulla spiegazione che poteva avere tutto ciò. Niente. staccò il cervello, mandò in vacanza la mente. O almeno, ci avrebbe provato.

Arrivarono a casa di Jimmy poco dopo. Greg parcheggiò la moto e si diresse con aria sicura verso l’auto del suo amico, aprendola con il telecomando. Allison esitò un istante. Poi, però, mandando a quel paese i tentennamenti, decise di seguirlo, ammonendosi di ricordare di scusarsi con Wilson.

House entrò nell’auto, seguito a ruota da Cameron.

-ah, che soddisfazione!-esclamò il diagnosta.- chissà che faccia farà quando si accorgerà che la sua auto è stata ‘violata’. Non me l’ha mai fatta nemmeno guidare, che egoista.-

-oh certo.- approvò sarcasticamente la ragazza.- che stupido, ben gli sta!-

House si girò verso di lei con un sorrisetto allegro.- brava. Vedo che inizi ad imparare. Ah, la piccola Cameron sta crescendo..- concluse con un finto tono nostalgico. Vide la ragazza roteare gli occhi e sorridere, altrettanto divertita.

 –che film andiamo a vedere?-

Greg mise in moto, poi, solo quando l’auto uscì dalla vita e imboccò di nuovo la tangenziale rispose.- lo vedrai.-

Allison annuì, un po’ passiva. Osservò lentamente l’interno della bella auto di Jimmy poi, con un gesto tipico di ogni donna, abbassò lo specchietto e controllò la propria immagine.

-stavo facendo il count down- la prese in giro il guidatore. –sapevo che l’avresti fatto!-

Cameron gli lanciò una frecciata.- sono appena uscita dall’ospedale, posso almeno controllare che non abbia l’aspetto di un morto che cammina o ti devo chiedere il permesso?-

-oh, come siamo permalosi. Se vuoi ti presto il mio rossetto, prendilo è nella borsetta.-

-no grazie.- rispose lei sorridendo.- odio gli herpes.-

Greg rise, silenziosamente. Cam si sistemò un po’ i capelli, trovando però desolante tutto il resto. Si era operata un paio di giorni fa che poteva pretendere? Aveva la pelle ancora più chiara degli altri giorni e il trucco era ridotto ad un piccolo residuo che risaliva alla sera prima quando era passata a trovarla la sua migliore amica e per passare un po’ il tempo, l’aveva un po’ truccata.

Cam sbuffò e chiuse immediatamente il vano con lo specchietto. Non che fosse un tipo di quelli che vogliono sempre apparire perfetti ma le scocciava farsi vedere così da House.

-ho letto su una rivista.- iniziò il diagnosta.- che le donne passano in media 45 minuti davanti allo specchio. Tu ci sei stata appena due minuti. Gli altri 43? Ti sei intimidita perché ci sono io?-

-figurati. È che non ho niente per truccarmi e non mi va affatto di contemplarmi quando sembro essere appena uscita da una settimana di coma.- rispose un po’ acidamente lei.

-a moltissime donne non servono ore di make-up per apparire decenti. Alcune sono belle anche dopo un intervento e un arresto cardiaco.- disse House distrattamente tenendo gli occhi puntati sulla strada. Cameron si voltò verso di lui, sorridendo, piacevolmente sorpresa.

-era un complimento?-

-era una constatazione.- rispose lui, osservandola.- una constatazione di carattere generico. Lavori in un ospedale, dovresti saperlo che centinaia di donne subiscono un intervento e subito dopo hanno un arresto cardiaco, non parlavo di te.  Il sillogismo diceva ‘alcune’ non ‘tutte’ - puntualizzò l’uomo con un sorrisetto divertito.

- certo.- rispose lei, annuendo.- comunque i tuoi sillogismi sono tutti sbagliati.- rispose lei alzando gli occhi al cielo.- Aristotele svenirebbe a sentirti.-

 -peggio per lui.- rispose distrattamente House indicandole con il capo il grande schermo che iniziava a vedersi in lontananza.- siamo arrivati.-

Arrivarono lì pochi istanti dopo e Allison osservò, non senza un sospiro emozionato che c’era già parecchia gente e che tutto aveva un’aria davvero romantica. Posteggiarono l’auto dietro un'altra, poi House si spostò dicendo che da lì si vedeva male, poi si spostò di nuovo perché secondo lui la coppia che avevano davanti si sarebbe messa a fare sesso nemmeno alla prima scena, rovinando a loro la visione del film.

-qui va bene?- esclamò un po’ esasperata Cam, quando Greg sembrò finalmente soddisfatto della postazione che aveva trovato dopo altri numerosi spostamenti.

-mh, niente male. – disse osservando lo schermo ancora bianco. –manca un quarto d’ora.- disse poi .- prendi la cena?-

Cameron sgranò gli occhi.

Ma non doveva essere l’uomo ad offrire la cena in un appuntamento? No, alt, Allison.

Questo non è un appuntamento. O meglio, lo è eccetto la parte sull’ ‘appuntamento’.

Disse, un po’ titubante.- perché io?-

-perché tu sei autosufficiente anche senza bastone.- disse Greg con un sorrisetto ebete.- e perché conosco il tipo che vende i panini. Si chiama Joe, un tipo alto, grassoccio.-

Allison annuì, pensierosa.- e se lo conosci come mai mandi me?-

-so quanto Joe sia.. sensibile.. a tutto ciò che è di sesso opposto al suo e respira.- spiegò.         - vedrai, in cambio di un sorriso ti farà pagare la metà-

Cameron sorrise, sarcasticamente.- bene. Andiamo dal maniaco.- disse aprendo la portiera.

-sì convincente, Cameron.- le consigliò l’uomo, ridendo.

Allison si bloccò, girandosi verso di lui.- ma per chi mi hai preso? Non farò nessun sorriso a nessuno!- House si limitò a guardare in alto. Lei negò con il capo, quindi uscì dall’auto.

-e ricordati di battere le ciglia!- le urlò dietro House.- voglio anche il dolce!-

Cameron roteò gli occhi e si diresse velocemente verso il punto ‘ristoro’ dove c’era già una bella coda di persone. Tornò precisamente un quarto d’ora dopo, con un sacchetto piuttosto pesante.

-bene.- approvò Greg.- ti sei data da fare, vedo.-

Cameron gli lanciò uno sguardo parecchio eloquente.- quel Joe è un maiale.- decretò con un’espressione schifata.

-racconta, racconta, ti ha fatto una proposta indecente? Un bacio per un panino?-

-no.- rispose lei con un sorriso di sfida.- o meglio, c’ha provato finché Hilde, la moglie non si è ricordata di me ed è venuta a salutarmi. Non sapevo che fosse la moglie di quel pervertito, quando è venuta da me per quell’infezione non me l’aveva detto.- Allison si godette il suo momento di vittoria.- questa roba me l’ha quasi regalata e non ho dovuto fare nemmeno un sorriso a quel porco.-

House roteò gli occhi. -poche chiacchiere, che cosa hai preso?- disse volgendo la sua attenzione al contenuto del sacchetto. Allison glielo porse.- purtroppo il menù era limitato a panini e birra. Niente dolce.-

House bofonchiò.- ecco, tu ti sei rifiutata di sorridere a Joe e io non posso mangiare il gelato!-

-vagli a sorridere tu!- propose Allison. E prima che House potesse ribattere aggiunse, ironica. -non sottovalutarti, con un po’ più di rossetto non saresti male.-

-hai finito o dobbiamo continuare per tutto il film?- brontolò House vedendo che lo schermo iniziava ad assumere un colore tendente al blu.

-non mi hai ancora detto che film è.- sussurrò Cameron con un tono ora serio, notando che tutt’intorno si era diffuso un certo silenzio.

House l’osservò intensamente mentre le luci del parcheggio si spegnevano lasciando il posto al buio della notte, un buio che sarebbe stato assoluto se non ci fosse stato il proiettore sul grande schermo. – Hitchcock.- disse quindi Greg con voce bassa e, in un certo senso, sensuale.

Cameron sorrise, lentamente.- adoro Hitchcock.- iniziarono a comparire lentamente i nomi dei protagonisti e il titolo del film. Aggiunse.-  Psyco è uno dei miei film preferiti.-

House aprì il sacchetto prese un panino e una birra per sé, porse l’altro panino e l’altra birra a Cameron quindi spinse uno dei pulsanti e lentamente la capote si abbassò, assicurando ad entrambi una visione completa dello schermo. Cameron sorrise a quella piccola sorpresa.

House la spiò con la coda dell’occhio, godendosi la vista di lei che, piacevolmente meravigliata, alzava i suoi occhi affascinanti verso la volta celeste per poi riportarli velocemente sullo schermo davanti a lei.

Il film trascorse tranquillamente, movimentato solo dal vento caldo di luglio che si alzava di tanto in tanto e sfiorava i capelli di Allison, muovendoli leggermente, come se fossero accarezzati. Greg l’osservava, silenziosamente, compiacendosi della sua aria serena, pacata, rilassata a tratti, altri concentrata, interessata.

La contemplò mangiare lentamente il suo panino, bere la sua birra, così, a piccoli sorsi, come fanno le adolescenti e sobbalzare, impaurita, davanti alle scene più forti.

La fissava discretamente, con la coda dell’occhio per lo più, preferendola di gran lunga ad Hitchcock che, pur essendo uno dei suoi registi preferiti, non riusciva a tenerlo incollato come il suo profilo.

Il film finì due ore dopo e House se ne accorse solo quando vide Allison unirsi all’applauso scoppiato nel grande drive-in. –è stato meraviglioso.- disse la ragazza, entusiasta, voltandosi verso House. Vide il suo sguardo strano e contemplativo e il suo volto si rabbuiò, mentre diceva.- beh, qualcosa non va?-

-no.- rispose lui, pensieroso. –andiamo. È ora di rientrare.-

Cameron annuì, lentamente.

Il dottore abbassò la capote poi mise in moto l’auto che in breve uscì dal grande drive-in, immettendosi di nuovo su strada. Il viaggio di ritorno iniziò in completo silenzio, con House che guidava silenziosamente e Cameron che guardava fuori dal finestrino, la testa appoggiata di lato al sedile dell’auto.

Tuttavia, nonostante stessero in silenzio, non era un silenzio complice e sereno come lo era stato durante il viaggio d’andata. Adesso la tensione si palpava così tanto che si sarebbe potuta tagliare con il coltello. Era accaduto qualcosa in entrambi e entrambi se ne rendevano conto.

La serata era ‘evoluta’ da una simpatica uscita tra due amici che ridono e si prendono giro, era cambiato qualcosa. Era accaduto quando le luci si erano spente, quando si erano guardati negli occhi. Quando House si accorto di non riuscire a staccare gli occhi da lei, era accaduto quando Cameron si era sentita i suoi occhi addosso, per tutto il film. Era scesa la tensione fra di loro, la tipica tensione tra due persone che provano attrazione l’uno per l’altra, quella tensione inesistente tra due amici ma ben percepibile tra di loro.

Gli occhi di Greg si spostarono lentamente dalla strada a lei, per un piccolo istante.

La vide, con lo sguardo perso sul paesaggio che cambiava velocemente.

Fu un attimo, poi anche lui tornò ad occuparsi della guida.

Cameron. 

Che gli stava succedendo? Possibile che non era capace di non pensare a lei?

Possibile che..

Possibile che l’amasse??

No, non poteva amarla.

Lei era troppo diversa da lui. Era più giovane innanzitutto. E poi era il suo opposto. Tanto sognatrice e moralista quando lui cinico e razionale, tanto dolce e gentile quando lui bastardo e figlio di puttana, filantropa quanto lui misogino.

Ok, gli opposti magari si attraggono ma non si amano. E lui non amava Cameron.

Non poteva amarla. Allison era una sua dipendente e una crocerossina, una ragazza che vuole ‘rimediare’, ‘riparare’ i dolori delle persone, lui invece non voleva affatto cambiare. Lui ci conviveva bene con il suo dolore, con la sua infelicità.

Lei aveva aspettative, sogni, progetti. Lui solamente il suo lavoro, la musica e un’amicizia su cui poggiava, forse, la sua intera vita; quella con Wilson.

Eppure.

Eppure perché continuare a pensare a lei?

Perché l’aveva invitata a questo drive-in, per esempio?

Tanti perché. E nessuna risposta.

O meglio, nessuna risposta razionale.

Se non quel battito accelerato, quando incontrava i suoi occhi. Non durava moltissimo eppure era così intenso che lo portava fuori dalla quotidiana apatia in cui si era costretto.

-House.-

La sua voce giunse strana, lontana, sottile. Quasi come un eco.

Greg non si voltò ne disse altro ma lei sapeva che la stava ascoltando.

-grazie.- disse quindi Cameron con un sorriso genuino e un po’ triste.- sono stata molto bene.-

House non rispose niente.

Cam lo osservò per qualche istante, cercando di indovinarne i pensieri. Si chiedeva perché fosse diventato così silenzioso, perché non la guardasse nemmeno. Non poteva certo immaginare il turbamento d’emozioni che si agitavano nell’animo del diagnosta.

Greg sentiva incertezza, confusione. E rabbia. Sì, oltre a quello strano stato di disordine che regnava sovrano nel suo animo ormai da diversi giorni, si era piano piano accompagnata anche rabbia, una rabbia forte, data proprio da quel ‘non sapere’ cosa gli stava accadendo.

E dal ‘non accettare’ la soluzione che gli echeggiava nella mente in risposta a tutti i suoi quesiti, a tutti i suoi dubbi. Avrebbe voluto maledire Cameron, odiarla per tutta la confusione che gli stava gettando addosso. Iniziò ad attaccarla anche se ne sapeva nemmeno il perché.

Forse perché sentiva di amarla e di amarla sul serio come, cinque anni fa, amava Stacy. E ne aveva paura. Preferiva tenerla lontana, preferiva che Allison si arrabbiasse con lui e lo allontanasse. Solo così tutto sarebbe tornato come prima.

-mi ha detto Wilson.- iniziò, un po’ acido.- che ti sei iscritta come donatrice di midollo osseo-

Allison si voltò verso di lui, stupita dal suo tono aggressivo.- sì.-

House negò con il capo.- sei patetica.- sentenziò.- vuoi salvare il mondo intero, non ti basta andare quasi tutti i giorni a trovare i bambini di oncologia adesso vuoi anche farti bucare la schiena non appena te lo chiederà qualcuno!-

Cameron grugnì leggermente prima di dire.- ognuno spende la sua vita come meglio crede.-

-e tu credi di dover rimediare a tutti i mali del mondo con la forza della tua generosità?-

Cameron iniziò a scaldarsi.- credo che questi non siano affari tuoi, principalmente.- fece una piccola pausa.- e poi credo anche che se si è nella condizione di fare del bene a qualcuno non bisognerebbe negare il proprio aiuto agli altri.-

-santa Allison da Plaisboro.- decretò House con finta riverenza. – la verità è che tu hai lo spirito della martire e non cambierai mai.-

-questa l’ho già sentita.- rispose lei.- e non voglio cambiare.-

House annuì, soddisfatto delle sue risposte. Gli piaceva quando Cam gli teneva testa, arrabbiata ed ironica.

Seguì un piccolo silenzio, interrotto solo da lei, pochi istanti dopo.- tu sei bravo solo a sparare giudizi. Non sai come ci si sente a vedere qualcuno a te caro morire di cancro. Quando lo provi vorresti solo che altre persone non soffrissero come ha fatto lui.-

-sei danneggiata, Cameron.- la voce di House suonò profonda, questa volta.- Vai a trovare i bambini malati non perché fai del bene a loro, ma per te stessa. Ti senti meglio, ti fa sentire completa. E sulla stessa lunghezza d’onda si trova questa tua nuova iniziativa e il fatto che hai rifiutato Chase.-

Allison aggrottò la fronte.- che centra Chase?-

-lui ti piace.- decretò Greg.- ma non è abbastanza perché..-

-perché non lo amo, forse.- ipotizzò lei, un po’ ironica.

-l’amore è un’ illusione.- sussurrò, House, cinico.- è solo un’attrazione fisica più forte delle altre.-

-a volte questa attrazione fisica dura tutta la vita, però. Non ti sembra un po’ troppo generalistica come definizione? Ha sessant’anni non si prova attrazione fisica eppure ho incontrato anziani ancora molto innamorati.-

-nel matrimonio subentra l’abitudine e la convenienza.- rispose lui, cinico.- e l’ipocrisia, naturalmente. Anche se odi tuo marito, faresti di tutto purché le vicine di casa non scoprano che tu non lo ami e lui va a letto con un’altra. È patetico e stupido.-

-Già- questa volta il tono di Allie era amaro.- e poi io non amo, io ho bisogno di dare.-

House rimase abbastanza sorpreso. Erano le parole che lui le aveva rivolto mesi fa, al loro primo appuntamento. Quel “ you don’t love, you need” che le aveva rifilato con superficialità e disinteresse, quelle parole che lui le aveva vomitato sopra sparando sentenze al suo solito, evidentemente si erano impresse nella mente di Cameron più di quanto credesse.

Non disse niente all’inizio. La sua rabbia andava scemando, lentamente. –la verità.- disse poi, con un accento strano.- è che nemmeno tu sai quello che vuoi.-

Il viaggio continuò in silenzio, finché non giunsero alla moto di House parcheggiata sotto casa di Jimmy. Greg notò curiosamente che l’oncologo non era a casa. Ecco perché non aveva ancora chiamato ingiuriandogli contro…

Si stavano dirigendo verso la moto di House quando Cameron si fermò, bruscamente quasi.

Quella situazione non poteva andare avanti all’infinito.

Era arrivata ad un bivio. Da una parte c’era la possibilità di non dire nulla, di non fare nulla. Di salire sulla moto di Greg e tornare in ospedale e poi, successivamente, alla vita di tutti i giorni e accettare che il rapporto con House fosse in uno stato perenne di stasi.

Oppure.

Una parte di lei voleva restare in silenzio. Aveva paura di rovinare tutto con Greg facendo qualche sciocchezza, la parte della Cameron razionale urlava che doveva accontentarsi di averlo come capo e esserci uscita quella sera.

Ma la Cameron innamorata urlava voleva di più ed urlava più forte. Era una Cameron stanca e coraggiosa, impavida, quasi. Voleva House e sapeva che un’altra occasione come questa non le sarebbe ricapitata più.

-tieni.- House le porse il casco, con noncuranza.

Allison guardò un istante il casco, poi House.

E prese una decisione. Sorpassò il bivio, scelse la strada.

In un concentrato di tensione e sentimenti, Cameron si avvicinò di più a lui, si appoggiò al suo petto e andando quasi in punta di piedi arrivò a baciare le sue labbra, portando le braccia intorno al collo dell’uomo. Si rese conto di quello che aveva fatto solo quando, distaccandosi da lui, osservò gli  occhi stupiti di Greg. Temette per un attimo d’aver sbagliato tutto.

-io so benissimo quello che voglio.- disse con una voce determinata e con gli occhi lucidi di commozione.- io voglio te.-

House l’osservò, attonito. Era quella la risposta a tutti i suoi interrogativi. Lui voleva Cameron. Ma non per una notte. Amava Cameron. E l’amore che a lungo aveva represso, ingoiato, l’amore che l’aveva fatto vacillare mentre l’osservava nella sala operatoria, l’amore che a volte, la portava ad allontanarla, stava venendo a galla, velocemente.

Aveva vinto.

Allison lo osservava, muta, come congelata dal timore di quello che avrebbe potuto dire, terrificata ancora di più dal pensiero che potesse non dire niente.

House l’osservò per qualche istante. E accadde l’impensabile.  La prese velocemente per la vita e l’attirò a se,unendo di nuovo le sue labbra con le proprie, volendo assaggiare la sua bocca che per quel magico istante aveva solo sfiorato.

Quella bocca che tanto aveva desiderato.

Allison rispose al bacio con passione, passando le mani tra i capelli di House, poi sulla sua nuca, sperando che fosse proprio lui quello che la stringeva, con sentimento.

Si distaccarono solo qualche minuto dopo, un po’ ansimante, lei con le labbra arrossate, lui con l’aria sognante. L’aria sognante di un uomo felice.

-vieni con me.- disse quindi salendo velocemente sulla moto. Cameron non se lo fece dire due volte, montò e circondò  il suo corpo, appoggiando il suo capo alla schiena dell’uomo.

La porta dell’appartamento di Greg si aprì quasi con uno scatto e non appena essa fu richiusa, alle spalle dei due, Greg la guardò, intensamente. L’amava. Dannazione, l’amava davvero.

Le prese la mano e la condusse lentamente nella sua camera da letto invasa da una strana atmosfera prodotta dalla penombra che regnava sovrana in tutta la sua abitazione. Si voltò verso di lei, osservandola intensamente. Non fecero niente per qualche istante, solo guardarsi, contemplarsi quasi.

Poi l’uomo l’attirò di nuovo a sé e le baciò le labbra, il collo, godendo del piacere di poter finalmente accarezzare i suoi capelli setosi. Allison inarcò leggermente il collo all’indietro, ospitando i suoi baci e ricambiando il suo amore, abbracciando veemente l’uomo impossibile, l’uomo che mai aveva pensato di poter avere. House iniziò a disfarsi della maglietta della ragazza che cadde a terra, andando a fare compagnia alla giacca del diagnosta, abilmente sfilata dalle mani della ragazza.

Le mani dell’uomo accarezzarono la sua schiena, la sua pelle liscia come aveva immaginato, abbracciando il suo corpo soffice e scosso  da piccoli brividi di eccitazione e freddo insieme.

Si trascinarono sul letto e fu allora che Greg sentì il bisogno di dire quello che non aveva mai avuto il coraggio di dire, nemmeno a se stesso. Quello che non aveva detto a nessun altro dopo Stacy, cinque anni fa. Si fermò richiamandola.  

-Cameron.- disse quindi, ansimando leggermente dall’emozione e dalla frenesia di quello che avevano fatto e di quello che avrebbero potuto fare. Allison, tra le sue braccia, sbiancò nel vedere la sua espressione seria e tesa. Per un attimo temette che tutto sarebbe finito così.

Si stava fermando? Allison chiuse gli occhi, pregando che non la rifiutasse. Sperò con tutta se stessa che lui non la liquidasse dicendo che non potevano, che era stato un errore e che non l’amava. Questa volta non avrebbe potuto sopportarlo.

-lo sai tenere un segreto?- la voce di House era seria e ironica insieme.

Cameron non seppe che rispondere, attese che House proseguisse.- ti amo.-

Allison spalancò la bocca, incredula all’idea di aver sentito sul serio le parole ‘ti amo’ dalla bocca del più cinico e bastardo degli uomini. Gli buttò le braccia al collo, senza dire niente, ben convinta che qualsiasi cosa sarebbe stata inutile, futile, inopportuna quasi. House gliene fu grato. Per lui già quello era stato un passo importante.

Si baciarono, si amarono, toccarono, insieme, le vette alte del piacere, lei abbracciandogli vorticosamente la schiena, lui stringendole forte la mano, quasi aggrappandosi a lei, Cameron, il suo unico appiglio, la boa e l’immensità, la sua ancora di salvezza e allo stesso tempo l’oceano che avrebbe potuto inghiottirlo.

Poi si accasciò su di lei, mentre ancora entrambi respiravano affannosamente e tornò a guardarla incontrando i suoi occhi lucidi, felici e sognanti,e il suo sguardo, la sua espressione, bella come non l’aveva mai vista. 

Stettero minuti interi, l’unico accanto all’altra ad osservarsi, silenziosamente, nelle notte, sotto le lenzuola leggere del  suo letto, muovendosi soltanto per sfiorarle placidamente le labbra con le dita, accarezzarle i lineamenti come aveva desiderato fare tante volte, giocando con i suoi  capelli un po’ arricciati e perdendosi lentamente nel suo sguardo languido e sensuale, come quello di una angelica sirena.

Adesso lo sapeva: era lei la risposta. 

 

 

 

 

 

To be continued..

 

Diomache

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Like lovers do ***


This shouldn't happen again

Ciao a tutti!

Eccoci giunti all’ultimo capitolo!! Prima dei ringraziamenti devo concedere una piccola spiegazione a Rue Meridian perché ha ragione, dal mio scritto non si capiva bene. La risposta è nelle parole di Greg, qualche capitolo fa. Le pillole hanno causato una sorta di intossicazione (su questo mi sono documentata ma prendetelo per le pinze, di medicina non ne so nulla.. per ora…) che –secondo le mie fonti.- è abbastanza duratura e pericolosa pur interrompendone l’assunzione. Quindi Cameron pur avendo smesso di prendere le pillole assegnatagli dal medico, ha continuato a sentirne gli effetti ampliati dallo stress in cui si trovava. Spero di essere stata esauriente, mi scuso perché effettivamente dai capitoli non era esplicito, non l’ho specificato bene!

Per Dana : brava! La citazione era esattamente tratta da Shakespeare!!

Adesso passo alla parte che mi sta più a cuore, ovvero ringraziare innanzitutto i miei due maestri che- anche se non lo sanno.- mi stanno insegnando moltissimo grazie alle loro bellissime storie, quindi un bacio particolare ad Apple e Nathaniel, siete grandi! Naturalmente vorrei estendere i miei complimenti a tutti gli ottimi scrittori di ff su dottor House perché sia Cottoncandy che non, sono tutti dei bellissimi scritti!!!

Poi ringrazio tutti coloro che hanno speso alcuni minuti del loro tempo per dirmi che ne pensavano di questa storia e li ringrazio per le loro bellissime parole, vi adoro! In particolare ringrazio :Venus, Gulyuly, Meggie, irene!!, Ale87, Toru85, Martina, Apple, Artemisia89, Dana, Preziosoele, Eri-chan, Giu_chan, Hikary, Briseis e Rue Meridian… sono davvero commossa dalle vostre parole.. non so che dire se non un sincero GRAZIE!

Un ultimo, e poi la pianto, abbraccio a tutte le persone che sono rimaste deluse da TSHA (è l’ acronimo del titolo..) perché magari fan delle Cam/Chase. premetto che quando ho cominciato questa fic non sapevo che paring darle, poi però il mio cuore cottoncandy ha prevalso..

Ok, non preoccupatevi, questo sproloquio è finito, vi lascio alla conclusione della storia.

Dimentico qualcosa?

Ah, si.. recensitee!

Un bacio, alla prossima!

Diomache.

 

 

This shouldn't happen again

 

 

“this shouldn't happen again”

 “Do you think I want it to?”  

 

 

 

Chapter fifteen: Like lovers do.

 

 

 

La casa della donna era illuminata dalla prorompente luce del sole mattutino che inondava con i suoi raggi benefici l’ambiente circostante, donando un’atmosfera surreale e incredibilmente romantica.

Non era tardi, anzi, erano appena le sette eppure lei era già sveglia, abituata ad andare a correre tutte le mattine. I suoi occhi azzurri come il mare si era spalancati, aiutati anche dall’insistente luce solare che spingeva sulle sue palpebre. Lisa si alzò con i gomiti, facendo un impercettibile sospiro misto di piacere, contezza. Felicità?

I suoi occhi caddero sull’uomo, placidamente addormentato, accanto a lei.

Sorrise.

Lo aveva immaginato, sperato, sognato tante volte eppure non credeva davvero che sarebbe accaduto. Forse perché si era abituata ad inquadrare sempre tutto, a tenere ogni cosa sotto il suo rigido, ferreo controllo e nella sua visione della vita non erano certo ammessi imprevisti, contraddizioni. Sentimenti. Aveva bandito l’amore tempo fa e non pensava di poterlo riscoprire, con lui, James.

Timidamente, mosse la mano per accarezzargli i capelli, un po’ scomposti.

Un gesto piccolo, ma dolcissimo.

Con la mente ripercorse gli avvenimenti della serata precedente, incredula che un semplice imprevisto potesse cambiare letteralmente la sua vita.

Lui era rimasto a lavorare fino a tardi, era stanco e più dolce del solito, lei usciva dall’ufficio, arrabbiata per la fuga di Cameron, stanca, troppo stanca anche lei. Il suo invito a mangiare qualcosa l’aveva stupita, ma non più di tanto. Era stata a cena con parecchi dei suoi colleghi.

Ma con Wilson sarebbe stato diverso. Innanzitutto lui la faceva ridere.  Si era divertita, aveva riso quando avevano constatato che, giunti con l’auto di lei fin sotto casa sua, Wilson non aveva trovato la macchina nuova parcheggiata dove l’aveva lasciata la sera precedente. Naturalmente in tutto questo c’era lo zampino di House, lo sapevano entrambi. La serata avrebbe potuto concludersi lì, James senza l’auto non poteva portarla da nessuna parte.

Fu lì che Lisa sentì di dover fare qualcosa lei, a quel punto.

Invitò James a casa sua, invece che andare a ristorante come aveva proposto lui.

Era stata la serata più bella da tantissimo tempo. Da troppo, decisamente, troppo tempo.

Lo squillo improvviso del telefono interruppe i suoi pensieri. Si mosse immediatamente a rispondere nel vano tentativo di impedire che quest’ultimo rovinasse il sonno del suo amante, accanto a lei.

-pronto?- rispose, mentre sentiva, intanto, James svegliarsi lentamente.

-dottoressa Cuddy, mi scusi se la disturbo.- era uno dei suoi collaboratori.- volevo avvisarla, come mi aveva chiesto, che la dottoressa Cameron è rientrata.-

Cuddy annuì, attentamente. Per un attimo aveva anche dimenticato che Allison era deliberatamente ‘scappata’ dall’ospedale dove avrebbe dovuto trattenersi almeno un altro giorno intero. Quando l’aveva scoperto, dalla rabbia aveva chiesto a chiunque di avvertirla, a qualsiasi ora del giorno e della notte, se la fuggiasca fosse ritornata.

-ah, va bene.- rispose, distrattamente.- grazie, ci vediamo dopo.- chiuse la chiamata, voltandosi istintivamente verso Wilson che l’osservava, ritto su un gomito.

-buongiorno.- disse l’oncologo, sorridendo.- qualche emergenza?-

-Cameron.- rispose Lisa, sorridendo.- è tornata.-

Jimmy annuì, attirando a sé la donna di cui sempre era stato innamorato.- bene. Niente emergenze, allora.-

Cuddy sorrise, complice.- no, niente emergenze.-

Wilson la baciò, appassionatamente. E Cuddy ricambiò, con la stessa intensità, seguendo quel meraviglioso sentimento da lei bistrattato per tanto tempo e che finalmente, aveva avuto il coraggio di emergere. Si buttò di nuovo con lui tra le coperte.

Per una volta il jogging e l’ospedale potevano aspettare.

 

 

 

 

Cameron si era presa una bella strigliata. Ma non tanto terribile quando aveva immaginato tutto il personale ospedaliero. La Cuddy aveva urlato, fatto la voce grossa, sì, ma tutto era finito lì, conclusosi  con l’assegnazione di due settimane di ambulatorio extra sia per Cameron che per House. La ragazza aveva dovuto confessare chi l’aveva aiutata a scappare dal PPTH.

Ma era comunque poco. Tutti avevano assistito a scene ben più terribili e per avvenimenti anche di minore importanza; la clemenza della Cuddy era sospetta ma giustificata da quella stranissima luce, infondo ai suoi occhi blu. Molti si chiedevano che cosa fosse.

Solo un medico non aveva bisogno di domandarselo. 

Anzi, forse due.

Uno, il diretto interessato, l’altro, il più intuitivo e ficcanaso del Princenton Plaisboro Hospital.

Proprio lui stava camminando, ora, lungo il corridoio che l’avrebbe portato presso il suo ufficio, in compagnia della stessa Cameron che da oggi avrebbe ripreso a lavorare normalmente.

-ah, mi sento sollevato.- sospirò ad un certo punto.

-pensavo che le ore extra di ambulatorio ti facessero un effetto di repulsione. Come mai tutta questa contentezza?- domandò la giovane, al suo fianco.

Greg sorrise diabolicamente.- qui qualcuno si è dimenticato della sua promessa. Io non ho nessuna settimana in più da fare, cara Allison.-

Cameron si voltò verso di lui, quasi sorpresa. Era forse la prima volta che la chiama per nome. Era una sensazione bellissima e le dava un senso di calore unico.

Finalmente il tempo di House e Cameron era finito. Era iniziato quello di Greg ed Allison.

-mi dispiace.- replicò con un sorriso divertito, lei.- ma…-

-ah ah, non ci provare. -l’ammonì lui, allegro.- sei una donna d’onore, tu, che fai non mantieni le promesse? Mi avevi assicurato che se la Cuddy mi avesse dato una settimana di..-

-appunto.- questa volta fu Cameron ad interromperlo, con un sorriso malizioso.- sbaglio o sei stato proprio tu a parlare di una settimana? Io ho accettato di sostituirti per una settimana, non per due. Caro Greg.- concluse, ridendo quasi.

House si fermò, in mezzo al corridoio e Cameron con lui, qualche passo più in là.- ehi, questo è scorretto!-

-lo so.- rispose lei, divertita -  ho avuto un buon maestro. Se vuoi ti do il suo numero, è un certo House, un pazzo maniacale che gira in quest’ospedale.-

-ricordami di bastonarlo se lo vedo. Ti preferivo prima, docile e remissiva.- sbottò, alzando gli occhi al cielo.- e adesso via, fila a fare l’anamnesi del nuovo caso. E non metterci un’eternità, ti voglio nel mio ufficio tra dieci minuti!- tuonò, fingendosi arrabbiato.

Cameron annuì delicatamente e s’avviò verso la camera del paziente con il camice addosso e la cartellina in mano, sorridente ed allegra come forse non lo era mai stata.

House proseguì per il corridoio quando vide, improvvisamente, James Wilson sulla destra, parlare con un’infermiere in maniera molto concisa. Sorrise, diabolicamente, e si avvicinò all’uomo che, di spalle, non poteva vederlo. Passò, camminando distrattamente, al suo fianco e con un gesto furtivo e prettamente da House, lasciò cadere le chiavi dell’auto di Jimmy proprio nella tasca del camice di quest’ultimo.

Proseguì, quindi, con un sorriso di soddisfazione e vittoria insieme.

-ehm House..- Wilson lo chiamò un po’ distrattamente, vedendolo passare davanti a lui. Congedò l’infermiere e lo raggiunse con passo svelto.- non credi di dovermi delle spiegazioni?-

Continuarono a camminare, e Greg assunse un’aria da bambino innocente.- chi? Io? E per cosa?-

-non fare il finto tonto!- lo rimproverò l’amico.- ieri sera la mia auto non era nel suo parcheggio, come me lo spieghi?-

-e tu, ieri sera, non eri a casa tua. Come me lo spieghi?- rilanciò l’altro.

-e non evadere!- sbottò l’oncologo.- dove hai portato la mia auto?-

-io non centro nulla con tua automobile nuova!- mentì spudoratamente il diagnosta.

-avanti House tanto lo so che è opera tua! Non trovo nemmeno le chiavi,è inutile che continui a mentire, voglio sapere dove hai messo la mia auto!-

-ooh, ma sei noioso!- sbottò di nuovo.- ti sei fissato con questa storia! Scommetto che se vai a casa tua trovi la macchina parcheggiata davanti al portone e le tue chiavi sono nella tasca del camice!-

Wilson infilò istintivamente la mano nella tasca destra del camice e trovò con immensa sorpresa la chiave dell’auto. Rimase interdetto qualche secondo e House ne approfittò.- visto? Bene, archiviamo questa stupida faccenda e passiamo a qualcosa di più interessante. Allora, dimmi, come mai non eri a casa tua, ieri sera?-

Jimmy esitò un istante.- io..-

-avanti, so che è una donna. E dato il tuo stato di euforia e quell’espressione ebete che hai stampata in faccia, deve essere anche una cosa importante.- continuò a ragionare.- ergo, non è un’infermiera. E non è una dottoressa, o almeno non una qualunque.-

-House, piantala, ti stanno ascoltando tutti!-

-visto?- esclamò Greg, divertito.- questa ne è la prova. Non vuoi che ne parli in giro perché tutti la conoscono se ne dico il nome.-

-vuoi parlare più piano si o no?- esclamò, l’altro, imbarazzato, mentre ormai erano prossimi all’ascensore.

-ok. Visto che oggi sei particolarmente timido ti rendo il compito più facile. Scommetto che inizia per ‘C’.- Greg chiamò l’ascensore.- e non dirmi che è Cameron perché non è vero.-

Wilson sbuffò, spazientito, annoiato ed estremamente impacciato.

-no, aspetta- disse House fingendo di essere giunto alla soluzione solo ora. Entrambi entrarono nell’ascensore che si richiuse subito dopo il loro ingresso.- inizia con la ‘C’ e finisce per uddy?-

Wilson roteò gli occhi, distogliendo lo sguardo e deglutendo, lentamente. “maledizione!”, pensò, grattandosi il mento.

-ah, quanto mi piace quand’ ho ragione!- esclamò House, divertito, e segretamente contento per l’amico. Sapeva da tempo che l’amava e le occhiate adoranti  che Lisa lanciava all’oncologo non glie erano certo sfuggite. L’ascensore si aprì con il consueto ‘dring’ e House uscì, dirigendosi verso il proprio ufficio.

 –ehi, aspetta- la voce estremamente maliziosa di Jimmy lo fece arrestare pochi passi dopo.

Greg si voltò appena.- beh? Non vorrai mica negare l’evidenza?-

-come mai hai scartato subito Cameron quando hai pensato a qualcuno con la “C”?- chiese l’oncologo, braccia conserte, con un sorriso allegro stampato in viso.

House sembrò in difficoltà, ma fu per appena un paio di secondi.- non hai una gamba disagiata, non hai un tumore alla tiroide e non sei qualcuno che ha bisogno delle sue coccole. Non sei il tipo di Cameron.- disse infine, arrancando in maniera evidente però.

-può darsi.- ammise l’altro.- o può darsi che, dopo averla aiutata a fuggire da PPTH tu l’abbia portata da qualche parte con te. Con la mia macchina, per esempio.- non attese la risposta dell’amico per continuare.- poi, una parola tira l’altra e tu le hai confessato che l’ami, dì che non è vero.-

House si sporse con un braccio nell’ascensore, facendolo partire.- che cosa terribile la deficienza mentale, povero Jimmy, com’è stato ingiusto il mondo con te.- 

L’oncologo scoppiò a ridere e gli gridò dietro, prima che le porte dell’ascensore si richiudessero.- ah, quanto mi piace quand’ho ragione!-

E questa volta fu a House a pensare “Maledizione!”

 

 

 

 

-come va?- chiese Foreman, entrando nello studio di House, studio, nel quale c’era solamente Chase. l’australiano fece una smorfia d’indifferenza.- risponde alla cura. Il misantropo aveva ragione.-

Foreman roteò gli occhi.- tanto per cambiare. Oggi è euforico, non ti pare?- domandò il nero, prendendo un sorso dalla sua tazza di caffè.

Chase sbuffò, dirigendosi verso la finestra.- e Cameron è più euforica di lui.- decretò, con un tono un po’ apatico.

Eric sorrise, quasi intenerito.- dai, non vorrai credere alle chiacchiere che girano. House.. e Cameron? Questo vorrebbe dire che House è innamorato.  Ma ti pare? House e amore non vanno nella stessa frase. Non, senza una negazione, almeno.-

Chase fece un sorriso che risultò un po’ amaro.- hai mai visto House perdere un battibecco con Wilson?-

-ehm no.- rispose l’altro.

-fischiettare nei corridoi?-

-stai solo dimostrando che oggi è più fuori del solito, non che sia innamorato.-

Passarono in quel momento, davanti al loro ufficio, proprio House e Cameron, che stavano discutendo animatamente. Gli occhi dei due dottori si concentrarono subito su di loro, in un misto di curiosità e trepidazione.

-avevo ragione io.- diceva House in quell’istante, con uno sguardo vittorioso e superbo. Videro Cameron sospirare e mettere le mani appoggiate ai fianchi.- non mi hai fatto vedere le ultime analisi, per forza hai vinto. Hai barato!-

-ah ah, come costa perdere, eh?- ribatté Greg con un sorriso soddisfatto.- è meglio che vai a prendere i posti in mensa, non vorrei mangiare in piedi. Ordina tutto quello che vuoi ma non il pollo fritto, quello fa schifo. Eh, Cameron!- la richiamò non appena lei si fu mossa di qualche passo.- non dimenticare, i soldi, eh!-

Allison lo fulminò con lo sguardo.- non dimentico nulla. Tu muoviti, altrimenti mangio con qualcun’ altro!- rispose l’immunologa, avviandosi.

-ehi, non oserai!- le urlò dietro Greg, fingendosi offeso. Cameron si voltò, con un fare un po’ malizioso, lanciandogli un’occhiata  sensuale e di sfida insieme, per poi avviarsi velocemente verso la mensa.

Foreman e Chase, che avevano assistito alla scena, si scambiarono uno sguardo perplesso.

-visto?- esclamò l’intensivista, allargando le braccia. –dimmi quando mai quei due sono andati a pranzo insieme!-

Greg si affacciò in quell’istante dal suo ufficio.- beh? Piaciuto lo spettacolo??- i due ammutolirono e il diagnosta continuò.- oh, non fate quelle facce offese, oggi il papà porta a pranzo Cameron ma ha tante belle sorprese anche per voi! Foreman.- gli tirò il cartellino che il nero afferrò quasi per caso.- per te ho due belle orette d’ambulatorio.-

Il nero stava per replicare quando Greg si rivolse a Chase.- e per il nostro piccolo Chase ci sono tante cartelle cliniche da sistemare. Contenti?-

Foreman sbuffò, constatando mentalmente che, se anche c’era la possibilità che quell’uomo fosse innamorato, di certo nemmeno l’amore l’avrebbe cambiato, nemmeno di una virgola.

Uscì velocemente dall’ufficio, sorpassandolo e, negando con il capo, andò ad eseguire gli ordini del capo più bastardo per il quale avesse mai lavorato.

Rimasero nell’ufficio solo Greg e Chase. House fece per uscire quando il suo collaboratore lo richiamò, con un tono un po’ teso.- House.-

Greg rientrò, immaginando, da quel tono, che Robert non  volesse chiedergli semplicemente l’ora. Si parò davanti a lui, squadrandolo dai suoi 1.90 cm d’altezza.

Chase lo fissò intensamente negli occhi. Aveva perso. Aveva perso Cameron per causa sua. Avrebbe voluto ingiuriargli contro tutta la sua rabbia, tutto la sua delusione. Ma non fece niente. Aveva visto gli occhi di Allison, per tutta la giornata, lucenti come non lo erano mai stati. Sarebbe stata così felice con lui?

Sospirò e distolse leggermente lo sguardo. –vorrei solo che non la ferissi, vorrei.. che fosse felice con te- i loro occhi si incontrarono di nuovo.

House non rispose niente, si limitò ad annuire.

Ma Robert vide, nelle sue iridi chiare, splendere un lampo di sincerità.

Forse Gregory House, per quanto assurdo sembrasse tutto ciò, era davvero innamorato.

 

 

 

 

 

-no, non ci siamo capiti!- la voce dura di Lisa risuonò per i corridoi, contro Melissa, la nuova cardiologa. La Cuddy andò avanti con i rimproveri per almeno altri dieci minuti, finché la giovane donna, mortificata, non abbassò gli occhi e chiese scusa per le sue mancanze lavorative.

Lisa inarcò un sopracciglio, soddisfatta. Aspettava che Melissa facesse un passo falso sul lavoro da mesi, per potersela sbranare, supportata da un valido motivo.

Non poteva certo azzannarla per essere stata l’ultima donna ad uscire con James Wilson.

Era… ehm.. disdicevole.

-bene. Confido che non si ripeta più.- concluse con un tono velato di un po’ più di magnanimità.

-certo.. certo dottoressa Cuddy.- rispose quella, sempre con lo sguardo basso.

La Cuddy la congedò e si diresse con passo svelto verso il proprio ufficio.

Quelle erano soddisfazioni…

Aprì la porta, accompagnando il gesto con sospiro, sospiro che le si mozzò quasi in gola non appena vide che la stanza non era vuota come immaginava. Un certo oncologo l’aspettava con un sorriso disteso e trasognante, appoggiato alla scrivania della donna in questione.

Lisa si chiuse la porta dietro le spalle, sorridendo al suo amante.

Non fece in tempo a dire niente, nemmeno che era sorpresa a vederlo lì.

Perché lui l’attirò a se e coprì quelle labbra solo apparentemente così severe con il più dolce dei baci.

 

 

 

 

Il bussare leggero contro  la porta a vetro dell’ufficio, riscosse solo in parte Robert Chase dal suo lavoro. Infatti il ragazzo non alzò quasi lo sguardo quando una voce, che non conosceva, chiese, un po’ esitante.- ehm mi scusi, la dottoressa Allison Cameron?-

Fu allora che, con un sospiro, l’intensivista distolse l’attenzione da quelle pratiche. Si trovò davanti una giovane donna, probabilmente coetanea di Allison, dall’aspetto simpatico e sorridente.

Davanti al suo sguardo un po’ spaesato, Justine, la donna in questione, riprese.- mi scusi, sono la migliore amica di Allison. Sapevo che oggi l’avrebbero dimessa e conoscendola, immagino che abbia ripreso a lavorare…-

Robert annuì, sorridendo leggermente.- sì, in effetti sì. Ma non è qui ora, sta mangiando alla mensa, con House.-

Justine sgranò gli occhi. –con.. ah, ok.- fece una piccola pausa, poi entrò nell’ufficio, con le gote leggermente arrossate dall’imbarazzo.- senta, le dispiace se l’aspetto qui?-

Chase alzò lo sguardo per l’ennesima volta, incontrando gli occhi neri della ragazza e la sua espressione pulita e delicata incorniciata da setosi capelli di un biondo evidentemente artificiale ma che non stonava con il complesso della sua persona.

Le sorrise. – sì.- disse, quindi.- può aspettarla qui. Io sono Robert.-

-piacere, Justine.-

 

 

 

 

Erano circa le otto e mezzo e dalla sagoma illuminata del Princenton stavano uscendo due dottori. Lui, un uomo, sui quaranta, alto, affascinante. Lei, sui trenta, slanciata e bellissima.

In silenzio, si dirigevano verso una moto arancione che li aspettava, placida e silenziosa come le stelle che ricoprivano il manto notturno della notte. L’aria era fresca e delicata e agitava leggermente i capelli ramati di lei che le scendevano liberi lungo le spalle.

-casa tua?- propose Greg con un sorriso sornione.

-non avrei dovuto invitarti io, scusa?- ribatté lei – da quanto ci si auto invita?-

-naa, tanto lo so che morivi dalla voglia di chiedermelo.- rilanciò House, con uno sguardo allegro. Le cinse la vita con le sue braccia forti, attraendola a se finché i loro corpi non furono completamente congiunti.

Cameron si perse negli occhi di lui, profondi e abissali come non ne aveva mai visti.

House appoggiò la sua fronte su quella della ragazza ed entrambi chiusero gli occhi, estasiati da quel contatto. Quando li riaprirono fu di nuovo House a parlare.- sbaglio?-

Cameron sorrise, sospirando quasi.- no.-

Greg sorrise, compiaciuto, e completò la distanza tra di loro, baciando la bocca della dottoressa.

Si separarono subito dopo e House fu quasi stupito di vederle gli occhi lucidi di felicità.

Forse si rese conto solo adesso di quanto lei avesse sofferto in passato, di quante lacrime aveva dovuto ingoiare, di quante battute, occhiate, quanto aveva dovuto accettare. Compromessi, accordi, punizioni, litigi.

Si accorse di quanto lei fosse fragile ma, in contemporanea, di quanto fosse forte.

Lei, che si ritrovava a piangere sulle centrifughe, aveva tenuto duro tutto questo tempo.

Lui si era sempre definito un testardo.

Si rese conto che Allison era molto più testarda di lui.

La sua testardaggine si nascondeva dietro quegli occhi verdi, dietro le espressioni gentili, dietro la dolcezza. Ma c’era. C’era e le aveva permesso di accumulare punti su punti nella sua fantomatica lavagnetta arrivando, senza quasi che lui se ne accorgesse, a sconvolgergli l’intera esistenza.

Fino a vincere la partita.

Sorrise.

-vogliamo andare?- disse quest’ultima, con già il casco addosso.

House annuì e salì a bordo, dopo aver sistemato il bastone.

-guai a te se vai veloce come questa mattina!- lo ammonì la donna, mentre lui metteva in moto. –ho avuto la nausea per un’ora di fila!House, mi senti?-

-sì, mamma. Promesso!-  e tanto per suggellare la fantomatica promessa, partì dando di gas, così forte che Allison dovette stringersi a lui con tutte le forze per non cadere all’indietro.

Greg sentì la ragazza dargli un pizzicotto, in risposta.

Scoppiò silenziosamente a ridere, constatando per l’ennesima volta, che lui, il genio bastardo e misantropo della diagnostica del New Jersey, era completamente, totalmente, irrimediabilmente sconfitto. Fatalmente innamorato.

Dannazione, lui di solito odiava perdere.

Ma per Allison Cameron, ne era valsa la pena. 

 

<< My life were better ended by their hate, than death prorogued, waiting of thy love>>
W. Shakespeare. “Romeo and Juliet”

 

 

The end

 

 

 

 

Diomache

 

 

 

 

 

 

 

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