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Capitolo 1 *** The sound of your heart when you're running ***
Ciao a tutti
Ciao a tutti!!
Come vedete eccomi tornata con una nuova fic! Mi spiace, ma
non è quella che avevo in programma, Chicago. Quella è ancora in progress..
“This shoulden’t happen again” è la frase cha Chase
pronuncia a Cameron nell’episodio Hunting, riferendosi al loro rencente
incontro..letteralmente “questo non
dovrebbe accadere di nuovo.”
Pur essendo io una Cottoncandy fino al midollo, ho deciso
di scrivere una storia che spazia un po’ dalla coppia HouseCam, trattando
questo strano triangolo: House-Cameron-Chase…dopo aver visto Hunting, mi sono domandata cosa sarebbe accaduto, cosa
avrebbero provato Cameron, Chase ed House adesso.
E la mia fic è proprio questo. È l’evolversi di questa
stranissima situazione, in cui i sentimenti si confondono, si sovrappongono,
vengono a galla.
Non sapreidire
qual è il paring della mia fic.. forse lo scoprirete solo alla fine..
Spero che mi lascerete un commentino, giusto per sapere che
ne pensate e come potrei migliorarmi!
Un bacio a tutti e buona lettura,
Diomache.
This shouldn't happen again
“this
shouldn't happen again”
“Do you think I want it to?”
Chapter one: The sound of your heart when you’re
running
Musica.
Quella voce bellissima e forte nelle orecchie e nient’altro.
Musica in ogni fibra del suo corpo, musica nella mente, nelle
braccia, nelle gambe.
Niente, non sentiva nient’altro. Ed era una sensazione bellissima,
stupenda. Sentirsi piena di qualcosa che sia bellezza e grinta, aprire gli
occhi e vedere il paesaggio che scorreva velocemente intorno a lei e guardarlo
con occhi diversi.
Sentire il profumo dell’estate sulla sua pelle, il vento tra i
capelli, il sole sulla faccia.
Sentirsi finalmente senza paure, libera, leggera come se stesse
per iniziare a volare da un momento all’altro.
Avere la bellissima sensazione di non avere nulla in testa, come
se fosse piena di spazio.
Oppure sentire il suono del suo cuore. Mentre stava correndo.
Sentire le gambe completamente indipendenti dal resto del corpo,
correre sull’asfalto scuro e illuminato appena da quel sole sull’orlo del
tramonto.
C’era niente di più bello?
Senza preoccupazioni, senza se stessa. Senza la sua razionalità,
senza Allison Cameron.
Senza il suo amore stupido per un uomo e il desiderio, altrettanto
stupido, per un altro.
Senza niente e nessuno.
Corse.
Corse tanto, più di quanto il suo fisico allenato era abitato a
fare.
Si fermò molto più tardi di quanto aveva programmato e solamente
quando sentì che le gambe non l’avrebbero più portata. Quando la musica, la
rabbia per i suoi sentimenti incompresi, per la possibilità di essere malata,
più di quanto non lo fosse già, la rabbia per la sua stupidità, fin quando
anche l’odio che provava verso il mondo e se stessa non era bastato a farla
correre ancora.
Allison si fermò, il respiro che non voleva saperne di ritornare
nei polmoni, le gambe che a stento la reggevano ancora in piedi, appoggiò le
mani alle ginocchia, e chiuse gli occhi.
Esausta.
Esausta e felice. Ecco come si sarebbe definita.
Si raddrizzò, si asciugò la fronte con il palmo della mano e
assaporò la bellissima sensazione di piacere e stanchezza insieme che solo lo
sport sapeva donarle. Sapeva farla sentire leggera e spensierata, senza
problemi.
Una ragazza tranquilla, con il suo lavoro.
Senza la possibilità di essere malata di HIV.
Senza l’amore per un uomo bastardo, stronzo, misogino e figlio di
puttana.
Senza il desiderio e l’errore di essere andata a letto con un suo
collega. Con un suo bel collega.
Semplicemente stanca. E basta.
Allison mosse dei passi incerti verso la sua auto, poco distante
da dove si trovava ora.
Per fortuna, non sarebbe stata in grado di camminare ancora.
La sua abitazione le sembrava stranamente accogliente quella sera.
Aveva ancora i capelli bagnati per la doccia che aveva fatto poco
prima e si trovava seduta sul divano ad ascoltare quella deliziosa musica
classica che si diffondeva nell’ambiente in maniera quasi “naturale”.
Come se quella serenità avesse fatto sempre parte di casa sua,
come se quell’appartamento fosse sempre stato un rifugio tranquillo, la sua
tana.
Certo, adesso era tutto a posto. Tutto perfetto. Ma un paio di
giorno di fa era tutto a soqquadro.
I suoi occhi si posarono istintivamente sul divano dove si era
consumato il suo errore con Chase.
Non aveva immaginato che sarebbe potuto accadere. È vero, lo
desiderava. Ma non aveva mai immaginato di poter essere attratta da qualcuno
che non fosse il suo House.
Se qualcuno le avesse detto che cosa sarebbe accaduto, avrebbe
riso di gusto.
La sua mente la riportò ad appena tre giorni prima.
Quel giorno sembrava un giorno come tutti gli altri.
Avevano
un caso nuovo, un certo Kelvin, un tipo con l’HIV che tormentava House e che
alla fine, a quanto pare, era riuscito ad ottenere una visita da lui. Anche se
questa visita non era stata così.. amichevole..
Ma tutto era nella norma. House
che picchia i pazienti? Beh, poteva considerarsi un fatto … molto sopra le
righe ma, allo stesso tempo, molto molto alla House.
Non le era dispiaciuto troppo
occuparsi di Kelvin, all’inizio.
Tutto sommato era affascinante
star ad ascoltare i suoi sproloqui, le sue strane teorie e le avances che
rivolgeva Chase erano davvero divertenti.
Soprattutto era spassassimo
vedere il volto del suo collega ombrarsi di disagio e di irritazione e vederlo
uscire frettolosamente dalla stanza del paziente. Ma oltre queste piccole
sfumature, occuparsi di un malato era il suo lavoro e lei lo aveva eseguito con
tranquillità, senza nemmeno farsi passare per l’anticamera del cervello quello
che sarebbe potuto accaderle.
Finché
non si ritrovò nella sua stanza, per un banalissimo test.
Dopo i
primi minuti Kelvin iniziò a tossire e lei giustamente iniziò ad interessarsi
della sua tosse. Quando lui le disse che sembrava sangue quello che aveva sulla
mano si era voltata immediatamente, come avrebbe fatto ogni medico. Perché
tossire sangue non è proprio normale.
No,
forse non è corretto. Ogni medico non si sarebbe comportato come lei. Lei era
stata troppo istintiva, troppo preoccupata per la salute del suo paziente da
trascurare la propria. Troppo presa dai sintomi del paziente che aveva
dimenticato la sua incolumità. O forse, se vogliamo, troppo ingenua.
E qui,
la fatalità. Lei che si gira, si avvicina, preoccupata e Kelvin che è scosso da
un nuovo e più violento attacco di tosse e il suo sangue infetto che le sprizza
in faccia, negli occhi. Nella bocca.
E
Allison, terrorizzata, immobile. Non aveva pensato a nulla, per circa un
manciata di secondi. Aveva solamente sentito il suo sangue sulla sua pelle. E
aveva sentito la consapevolezza che quello non era sangue qualunque.
Era
sangue malato.
Malato
di HIV.
Era
rimasta immobile, ferma, incapace anche solo di respirare per alcuni secondi.
Poi però
aveva realizzato subito ed era immediatamente corsa in bagno per sciacquarsi,
detergersi il viso.
Tremava
mentre lasciava che l’acqua le corresse sul viso, tremava mentre era corsa dal
dottore specializzato in infezioni e si era fatta consigliare una terapia.
Tremava
mentre lo ascoltava, tremava come una bambina incosciente che aveva commesso
uno stupido errore, un errore che poteva pregiudicarle una vita intera.
Il
dottore era stato rassicurante. Fin troppo forse ma lei sapeva benissimo che le
probabilità di contagio erano basse. Ma c’erano.
Traballava
mentre, uscita da quella camera, si dirigeva nel suo ufficio.
Sei
settimane prima di fare il test. Un’eternità.
Era
entrata nel loro ufficio e si era imposta di non farsi vedere così giù, così
preoccupata. Così aveva mentito egregiamente quando Chase le aveva consigliato
di prendersi un pomeriggio libero. Gli aveva risposto un “no, sto bene”
cercando di apparire tranquilla.
Certo,
era davvero una stupida se pensava di fregare House. Lui, con il suo sguardo
contorto, indagatore e terribilmente arguto, l’aveva sgamata con meno di un
soffio di Eolo. Le aveva letto subito l’ansia negli occhi e l’aveva
ridicolizzata per il suo patetico tentativo di nasconderla.
Ma non
c’ aveva badato tanto.Infondo
conosceva bene Gregory House, sapeva che non le avrebbe mai detto una parola di
conforto.
E
pensava di poterne fare a meno.
Ma si
era resa subito conto del contrario. L’aveva capito accorgendosi che lui era
stato l’unico a non preoccuparsi affatto per la sua salute, l’unico che non le
aveva chiesto nemmeno come stava. Non pretendeva che l’abbracciasse e le
facesse sentire tutto il suo calore. Oddio, lei per lui lo avrebbe fatto. Ma
non pretendeva di riceverlo.
Si
aspettava un’occhiata, uno sguardo. Una mano sulla spalla nel migliore dei
casi.
E invece
niente.
Un
niente elevato all’ennesima potenza.
Indifferenza,
un’assenza assoluta di tatto e di comprensione.
Ma
infondo, che doveva aspettarsi da lui?
Si era
ritrovata sola con il suo dolore e il suo dubbio martellante, il suo chiodo
fisso. Aveva risposto un secco no all’invito di Chase ad uscire con lui,
all’inizio. Non le andava di uscire con Robert, lei voleva solo una parola. Ma
da Gregory House.
Poi
aveva visto quelle pillole, nel marsupio di Kelvin. Le aveva portate in
laboratorio ma non tutte.
Aveva
bisogno di sfogarsi, di urlare, di arrabbiarsi, proprio come le aveva detto
l’uomo che forse l’aveva contagiata. Era andata a casa, furibonda con il mondo
e con se stessa, con Kelvin e, sopra ad ogni cosa, con House.
Poi non
ricordava molto.
Ricordava
bene solo di aver chiamato Chase per dirgli che accettava ed usciva con lui.
Ricordava di essere andata in cucina, di aver preso le piccole che teneva nella
borsa e di averne prese due. Sapeva i rischi che correva, sapeva tutto.
Sapeva
che si stava facendo male, ma non le importava affatto. Voleva andare fuori di
testa, per un po’, potersi arrabbiare, non dover per forza seguire la sua
logica, la sua mente, la sua razionalità. Voleva semplicemente staccare la
spina.
I suoi
ricordi erano un po’ sfocati ma ripescando nella sua memoria rivedeva benissimo
il momento in cui Chase era entrato dalla porta del suo appartamento.
C’era la
musica, altissima, rimbombante, c’era quella sensazione di assoluta
beatitudine, c’era la droga.
E c’era
Chase, davanti a lei.
Senza
pensare, senza frenarsi si era buttata fra le braccia dell’unica persona che si
era interessata a lei. Il motivo del suo interesse non le importava,
l’importante era che lui era lì. Adesso.
Chase
aveva opposto resistenza.
Ma una
piccola resistenza.
Si
vedeva benissimo che quella situazione eccitava anche lui, si vedeva lontano un
miglio che quella era l’occasione che aspettava. Si vedeva che la desiderava e
quando lei lo baciò di nuovo e gli sussurrò, con quella voce provocante
“andiamo Chase, non fare il bravo ragazzo con me” l’aveva abbracciata e baciata
con la sua stessa passione.
Non
sapeva spiegare perché proprio lui. Perché proprio Robert Chase.
Forse
l’unica risposta vera è che oltre quella porta c’era lui e se ci fosse stato un
altro magari il risultato non sarebbe cambiato.
No, non
è vero.
Se ci
fosse stato Foreman non sarebbe accaduto.
E se
fosse stato House?
Quel
pensiero la fece sorridere. Magari ci fosse stato House.
O forse
no. No, era meglio che fosse andata così. House non centrava nulla con quello
che aveva provato per Chase e forse era meglio che le cose si fossero svolte
esattamente in questo modo.
Sapeva
che prima o poi tra lei e Chase sarebbe dovuto accadere.
Anche se
litigavano spesso e non disdegnavano certo di scoccarsisfrecciatine velenose, sentiva benissimo
l’attrazione fisica, la tensione che c’era tra di loro. Quell’empatia provocata
da un semplicissimo interesse fisico.
Se oltre
quella porta ci fosse stato House.. e se.. fosse accaduto la stessa cosa… con
Greg…
Ah, non
voleva nemmeno pensarci.
Non era
quello che voleva con House. Lei voleva conoscerlo, capirlo. Lei ne apprezzava
l’intelligenza, il sarcasmo, il fascino e persino il suo lato bastardo. Era
anche attratta fisicamente da lui, non poteva negarlo, ma il suo interesse per
lui spaziava.
Si era
sempre definita molto precisa in materia di sentimenti. Sapeva benissimo cosa
provava per House. E cosa non avrebbe mai provato per Chase.
Allora
perché si sentiva così confusa?
Si
trovava ancora lì, sul divano, vestita nel suo accappatoio rosa, i capelli
bagnati quando suonarono alla porta.
Fece una
smorfia. Justine, la sua migliore amica, le aveva detto che uno di questi
giorni sarebbe passata, ma non credeva che l’avrebbe fatto così presto.
Si alzò
un po’ pesantemente dal divano, faticando un po’ a causa della stanchezza
fisica e si diresse ad aprire.
La
persona di fronte a lei era bionda, ma non era decisamente Justine.
Cameron
chiuse un attimo gli occhi.
Ecco,
questo non sarebbe dovuto accadere. Non ancora.
Ecco postato il secondo capitolo.. ringrazio tantissimo per
le loro stupende recensioni: EyeofRa, Artemisia89, Apple, Varekai ed Irene.
Grazie
mille!!!
Spero che
recensirete anche questo capitolo.. così mi dite
che ne pensate…
Un
bacione!
Diomache.
Ps: l’avete visto ieri sera House e Stacy??? Io mi sono
quasi dannata l’anima! Prima che si baciassero avevo gridato contro Stacy:
prova ad avvicinarti e ti tiro il telecomando!
Non pensavo potesse farlo davvero.. O_O
Prima Cameron con Chase, adesso House con Stacy.. ci
vogliono far morire!
This shouldn't happen again
“this
shouldn't happen again”
“Do you think I want it to?”
Chapter two:Truth always hurts
Gli occhi azzurri del ragazzo si focalizzarono sulla
figura snella di lei, appena apparsa sulla soglia, come un’apparizione. Gli
occhi un po’ sgranati perché non si aspettava di vederlo, i capelli ancoraun po’ bagnati dalla doccia che
probabilmente aveva fatto da poco dato che aveva ancora indosso l’accappatoio.
Le labbra un po’ dischiuse dallo stupore, la pelle ancora
leggermente umida e il suo profumo, delicato ma perfettamente percettibile,
come sempre, come se lei fosse continuamente mossa dal vento che trasportava la
sua buonissima essenza di dolce, di fresco.
Chase non seppe cosa dire lì per lì.
Un unico e spaventoso pensiero gli si era affacciato alla
mente: era bellissima.
E facendo questa considerazione, Robert Chase si rese
perfettamente conto di quanto fosse stato stupido ad andare da lei. Non avrebbe
dovuto, lo sapeva.
Non avrebbe dovuto fare un
sacco di cose, ma, in linea di massima, non avrebbe proprio dovuto essere lì
stasera.
Non ne sapeva nemmeno il perché.Dopo una serata passata in giro con degli amici, invece di tornarsene a
casa come si era promesso di fare, aveva imboccato quella via, svoltato
l’angolo e aveva proceduto verso la strada che, sapeva, l’avrebbe condotto da
lei.
In realtà il suo pensiero lo aveva tormentato praticamente tutta
la serata.
Non scordava come l’aveva vista andare via dall’ufficio, i suoi
occhi lucidi, il suo sguardo apparentemente forte ma ferito.
Forse era questo: si sentiva terribilmente in colpa.
Robert Chase sospirò, mentre la sua mente lo riportava velocemente
agli avvenimenti di questa dannatissima giornata.
L’inizio, in realtà, era stato promettente. Sembrava che dovesse
essere una mattinata ipertranquilla: non c’erano pazienti e loro tre
ammazzavano il tempo aspettando la pausa pranzo che sarebbe arrivata tra appena
un’ora.
House naturalmente non era ancora arrivato al lavoro, Foreman
stava leggendo un noiosissimo schedario, Cameron stava tutta concentrata al
computer del suo capo intenta a rispondere alle sua e-mail, mentre lui stava
semplicemente facendo le parole crociate.
Di tanto in tanto, lo ammetteva, i suoi occhi si alzavano dal
giornale e si concentravano su di lei. Dopo quel frettoloso scambio di battute
in cui avevano concordato che tra loro non doveva accadere più niente anche se,
indubbiamente, era stato.. piacevole.. non aveva più osato affrontare l’argomento.
-quattro lettere.- aveva iniziato improvvisamente Chase, scorrendo
con la penna la locazione di quella domanda sul cruciverba ed interrompendo
così il silenzio creatosi.- la sigla abbreviata per…-
-Chase vuoi piantarla con queste parole crociate???- aveva
sbottato Cameron a quell’ennesima domanda. – sono due ore che ci assilli con il
cruciverba, l’abbiamo praticamente fatto io e Foreman!-
Il dottor Foreman rise silenziosamente, incontrando lo sguardo
severo dell’australiano. Il nero, disse, quasi a discolparsi, con un sorriso
divertito.- però ha ragione..-
-ti da così fastidio?- chiese Robert, un po’ acido, rivolto alla
ragazza.
-non
vedi che mi sto concentrando?- ribatté lei senza staccare gli occhi dal
computer.
-stai
solo rispondendo alle mail di House!- sbottò Chase disgustato.
Cameron
rimase interdetta qualche secondo. –questa è una mail importante.-
-hai
ragione, scusami..- finse di scusarsi l’australiano, con un accento palesemente
sarcastico. Fece una piccola pausa.- dì un po’ era buono lo yogurt che hai
mangiato questa mattina?-
Foreman
scoppiò a ridere senza però alzare gli occhi dallo schedario, Allison, in tutta
risposta, sbuffò contrariata.
-ah, e
pensare che dicono che fare sesso migliori i rapporti tra le persone!-
Naturalmente
quella bella battutina sarcastica non apparteneva a nessuno dei presenti.
Gli
occhi di tutti si erano alzarono dai rispettivi impegni e si fissarono
istintivamente sulla sagoma di House che era appena entrato, spingendo la porta
di vetro. Gli occhi azzurri di Greg passarono a rassegna la sua squadra di
collaboratori, focalizzandosi alla fine su Chase e quindi su Cameron, con
insistenza.
L’immunologa
sospirò, roteò gli occhi e distolse lo sguardo che si andò a concentrare di
nuovo sul computer.- possiamo finirla con questa storia per favore?-
-ehm ..-
House finse di pensarci. –no. È troppo divertente. E poi non ho altro da fare.-
Cameron
a questo punto si era alzata di scatto dalla sedia, facendo rumore.- ecco, io
sì invece.- aveva detto lanciando uno sguardo di sfida ad House e uno
indecifrabile a Chase per poi lasciare l’ufficio con passo cadenzato, con
un’aria un pò combattiva, intrigata, come se quell’interessamento di House la
infastidisse solamente in apparenza.
Anzi,
sembrava ci godesse nel vedere che infondo, infondo, Gregory House sembrava
davvero interessato a questa storia.
E
sicuramente non perché Chase aveva fatto sesso con qualcuno.
Ma
perché Cameron aveva fatto sesso con qualcuno.
La
sortita di Allison era stata compensata con l’arrivo della Cuddy che aveva
portato loro una cartellina contenente informazioni riguardanti un nuovo
paziente di cui dovevano occuparsi.Chase tirò un sospiro di sollievo, sperando che, almeno in linea di
massima, quell’argomento, per quel giorno, potesse considerarsi concluso.
Tze,
magari.
O almeno
fu così fino al pomeriggio.
Erano
circa le cinque e lui e Foreman si ritrovarono a fare una risonanza magnetica
al paziente in questione, un certo Max.
Tra di
loro era calato uno strano silenzio.
Quel
classico silenzio che prelude l’inizio di un discorso imbarazzante.
-sai, io ancora non riesco a crederci.- ecco,
come volevasi dimostrare.
Robert
alzò i suoi occhi dallo schermo e li puntò sul collega, fingendo di non aver
capito il vero risvolto dell’affermazione di Eric.–non hai mai visto un paziente con.. ?-
Foreman sbuffò.- non stavo parlando di quello…- disse
roteando gli occhi.- ma di te e Cameron.-
Chase storse appena il capo. –non ti facevo così
pettegolo..-
Eric fece un mezzo sorriso mentre si alzava e andava a
prendere un’altra cartella posata appena più in là.. –pura curiosità.- continuò
l’uomo sedendosi di nuovo.- maè vero
che era strafatta?- domandò con una palese nota incredula nella voce.
Foreman sentì Chase sospirare e lo vide alzare le
sopracciglia. Anche se non aveva detto una parola, era stato più che chiaro. Lo
fissò, sbalordito.- non ci posso credere.-
-era completamente andata.- rispose il biondo, con un tono
un po’ distratto.- bene, signor Max.- disse rivolgendosi al paziente.- adesso
chiamiamo l’infermiera e lo facciamo uscire di lì.- concluse l’australiano
alzandosi e avviandosi verso l’uscita con i risultati in mano. Foreman sorrise
e lo imitò velocemente. Lo affiancò mentre percorrevano i corridoi.
Chase alzò gli occhi al cielo. Quella dannata
conversazione non sembrava proprio voler finire a quanto pare e il fatto che
stessero per entrare nell’ascensore non l’avrebbe aiutato di certo.
Infatti non appena dentro il neurologo non mancò di
proseguire la conversazione.
-fammi capire.- continuò Eric, un po’ disgustato.- lei era
strafatta e tu ci sei andato a letto?-
Chase distolse lo sguardo e non disse niente, mentre
l’ascensore si apriva lentamente.
I due medici uscirono velocemente immettendosi nel piano
di diagnostica. Chase entrò rapidamente nell’ufficio e rispose con un tono po’
sbrigativo- non è stata una cosa proprio volontaria, lei mi.. -
-non mi dire che ti ha costretto, per favore.- sbottò
Eric, entrando dietro di lui.
-certo, l’ha violentato!- esclamò House girandosi verso di
loro.
Chase chiuse gli occhi per un istante. Merda. Non aveva
visto che era lì.
Greg sembrò leggergli nel pensiero perché sghignazzò per
qualche istante, poi ripartì all’attacco:
–dì, un po’, hai
pensato di denunciarla? Se vuoi ti accompagno io alla polizia.-
Chase fece un chiaro gesto d’irritazione.- lei era
completamente fuori di se e..-
-tu hai pensato bene di approfittarne.- concluse House con
uno sguardo convinto. I suoi occhi azzurri si posarono quindi su di Foreman.- e
tu non fare quella faccia nauseata, che altro poteva fare, povero ragazzo!-
-insomma, dacci un taglio!!- scattò il biondo gettando i
risultati delle analisi sul tavolo.- ho fatto esattamente quello che voleva
anche lei.-
House annuì, fingendosi convinto.- sì, ma non devi
prendertela con me, è Foreman quello che non ci crede.-
-ci siamo divertiti, va bene? Siamo entrambi adulti e non
mi sembra che ci sia niente di male. -
-no, certo.- continuò House, serio questa volta.- che
importa se lei stava così male che era arrivata a drogarsi.-
Robert scosse la testa, stanco di tutta quella situazione.
–non devo giustificare tutto quello che faccio, questa è la mia vita privata!-
-certo non è facile resistere a certi impulsi.- continuò
House, come se Chase non avesse parlato affatto.- e poi Cameron infondo infondo
ha un suo fascino..-
-non è facile ma non impossibile, a quanto pare.-
intervenne Foreman con uno sguardo eloquente diretto verso House.
In quel mentre Cameron in persona fece irruzione
nell’ufficio, portando con se i risultati del test che era andata ad
effettuare. –ho i risultati.- disse quando, varcata la soglia, si ritrovò tutti
gli occhi puntati addosso.
-ah eccola la nostra femme fatale ..- la apostrofò
House con uno sguardo ammiccante.- stavamo giusto parlando di te.-
Gli occhi verdi di Cameron si posarono sullo sguardo
imbarazzato ed evidentemente a disagio dell’intensivista –immagino.- disse
quindi, con un tono scocciato.- non pensavo che ti interessasse tanto la vita
sessuale di Chase, House. C’è forse qualcosa che non ci hai detto?- concluse
con uno sguardo chiaramente alludente, inarcando un sopracciglio e sorridendo
maliziosamente.
House rimase a bocca aperta qualche istante, la fissò
decisamente intrigato quindi si rivolse al biondo, sempre più divertito da
tutta quella situazione. –accidenti, mi ha smascherato!!-esclamò con il suo solito tono sarcastico.
Foreman scoppiò a ridere, Chase gli lanciò un’occhiata
scocciata. –insomma Cam ci vuoi dire che risultati hai ottenuto?-
-wow..- House lo fermò per l’ennesima volta.- Cam… qui
stiamo diventando intimi sul serio!-
-dì, non sarai geloso?- suggerì Allison con un sorriso
divertito e curioso allo stesso.
-sì, è così.- rispose Greg.- ma non di te, lo sai che ho
un debole per Chase.-
-scusate se viinterrompo .- la voce di Eric si levò sopra le altre.- ma qui c’è un
paziente che sta giusto morendo.-
-anch’io sto morendo.- protestò House.- questa storia mi
fa friggere di curiosità.-
-allora lo ammetti!- esclamò Allison, incredula.- sei
geloso!-
-mm.. – finse di pensare l’uomo.- che cosa c’è nella
parola curioso che ti ricorda quella geloso?-
-Foreman ha ragione.- Chase decise di troncare
definitivamente quel discorso.- dobbiamo occuparci del paziente.-
House sghignazzò istintivamente.- patetico tentativo di
evasione. E comunque quel Mik..-
-Max.- lo corresse Cameron con una punta di acidità.
House le lanciò un’occhiata annoiata e scocciata insieme.-
come si chiama... sta morendo. Ha la sindrome di Tourette. – concluse
avviandosi verso l’uscita del suo ufficio.
I tre lo guardarono sbigottiti. Il genio di House li
lasciava sempre senza fiato, ogni volta, nonostante ormai ci fossero abituati,
lavorandoci gomito a gomito tutti i giorni.
Ma se c’era una cosa a cui Chase non si sarebbe mai potuto
abituare era sicuramente lo sguardo che aveva Cameron quando osservava House.
Aveva gli occhi che le brillavano, il sorriso aperto e un po’ sconcertato e
quell’aria sognante che proprio non sopportava.
Non riusciva a concepire l’idea che una donna come lei
fosse completamente fuori per.. quel bastardo, misogino di House. Incredibile
come va la vita.
Fatto sta che, dopo che House se n’era andato, lei aveva
iniziato a palesare il suo stupore per l’ennesima prova dell’intuito
formidabile del loro capo e Chase, dopo le prime parole, non aveva retto e se
n’era andato velocemente con una scusa, fregandosene degli sguardi basiti dei
suoi colleghi.
E finalmente quell’impossibile giornata era conclusa. O
almeno sembrava conclusa. Pensava di aver concluso almeno per oggi. Già, ma si
sbagliava di grosso.
Era appena all’uscita dell’ospedale quando aveva visto che
qualcuno lo stava aspettando, proprio accanto alla hall. Un uomo alto. E con un
bastone.
Robert alzò gli occhi al cielo. Non poteva essere vero.
-hai già finito il tuo turno?- domandò House, fingendo di
cadere dalle nuvole.- ma … che coincidenza! Anch’io!-
Chase gli lanciò uno sguardo di sottecchi. –si può sapere
che diavolo vuoi?-
-troppo aggressivo.- decretò Greg come se stesse elencando
i sintomi di un paziente.
-io non sono aggressivo!-
-e bugiardo..- continuò l’uomo, guardandolo con il suo
sguardo penetrante.- e terribilmente affetto da sensi di colpa, vero?-
Chase distolse lo sguardo.- io non mi sento in colpa. Non
ne ho motivo.-
-sì che ce l’hai.- insistette House facendo qualche passo
verso di lui.- Cameron non era in se, questa è la sua scusa. Ma tu di scuse non
ne hai.-
Gli occhi azzurri di Robert tornarono su quelli di House.
–mi sembra di averti già detto come sono andate le cose.-
House fece un ghigno un po’ perplesso.- lei può averti
fatto qualche avances ma questo non ti giustifica.Se io dovessi cedere a tutte le avances che mi fa la Cuddy tutti
i giorni..-
-questa mi è nuova.-
-comunque non mi stai rispondendo. Perché sei andato con
Cameron?-
Chase lo fissò un istante.- non sono affari tuoi.- e
dicendo ciò si mosse per uscire dalla struttura, ma House lo fermò allungando
il bastone in modo che non lo lasciasse passare.
-sì invece.- ribatté House.- se tra di voi c’è qualcosa
che supera il normale livello di cordialità ed ipocrisia imposto fra colleghi
questo potrebbe pregiudicare il vostro lavoro. Quindi mi riguarda.-
Chase si sentì infuriare dalla rabbia. Ma come diavolo
faceva quell’uomo a trovare sempre il modo di impicciarsi in continuazione di
tutto e di tutti e far credere allo stesso tempo che non lo stesse facendo??? O
peggio, che lo stesse facendo per ragioni mediche?
-senti ma che diavolo vuoi sapere?-urlò lasciando la sua
voce si alzasse anche un po’ troppo.- non ti rendi conto di quanto la tua
curiosità sia diventata morbosa? Vuoi sapere i dettagli??-
House abbassò lo sguardo, poi disse a voce bassa.- Ti sei
approfittato di lei.-
-la sai una cosa House?- continuò l’australiano.- tu non
sei arrabbiato perché io mi sono approfittato di lei. Ma perché c’ero IO con
lei!-
-allora lo ammetti.- insistette l’uomo.
Chase abbassò velocemente il bastone da se.- e anche se
fosse a te che importerebbe?-
Greg sospirò, sicuro di se.- niente in realtà. Puoi
spupazzarti Cameron notte e giorno non sono problemi miei, lei non mi interessa
minimamente lo sai. Mi divertiva sentirtelo dire.-
-va al diavolo.- sussurrò Chase girandosi velocemente.
Ma nessuno dei due, a questo punto, aveva potuto dire
nient’altro.
Sia House che Chase si erano trovati davanti Cameron e
Foreman. Gli occhi di tutti i presenti si concentrarono su Cameron che, come
Foreman, aveva sentito quanto bastava per capire.
House rimase impassibile come sempre, come se non gli
importasse niente. Chase aprì leggermente la bocca, come a dire qualcosa ma non
disse proprio nulla, confermandosi il vigliacco di sempre.
Cameron restò in silenzio. I suoi occhi erano leggermente
diventati lucidi ma per appena un secondo. Poi il suo autocontrollo aveva avuto
il sopravvento anche questa volta.
Si era girata verso Eric.-ti aspetto nell’ufficio..- e se n’era andata, ben consapevole di
avere tutti gli occhi addosso e adesso con la certezza inconfutabile che Chase
si era solamente approfittato di lei e, ancora peggio, che ad House non gliene
importava proprio niente.
-complimenti.- aveva iniziato Foreman, tanto per metterci
il carico da undici.- a tutti e due.-
-che cosa ci fai qui?- la voce sottile di Cameron lo
ridestò dai ricordi.
-solo parlarti.-
La ragazza lo fissò qualche istante, perplessa.- non mi
sembra una buona idea.-
-mi tratterrò pochissimo.- continuò Chase, insistente e
sinceramente dispiaciuto per l’accaduto.
Cameron sospirò. Non voleva parlargli, non voleva vedere
nessuno. Voleva restare ancora un po’ sola a sentire la musica, a scordarsi dei
suoi problemi a fingere di non aver sentito quello che era uscito dalla bocca
di Chase. E soprattutto di House.
Che per Chase era stata un divertimento lo sapeva ma
sentirselo dire così era davvero straziante.
Sapeva anche che House non si curava minimamente di lei.
Però tutto il suo interessamento per la notte d’amore che aveva avuto con Chase
l’aveva fatta.. sperare. L’aveva fatta sognare, ecco questo è il termine
giusto. È sempre doloroso quando ci si sveglia e si torna alla realtà.
E le sue parole di Greg erano state un brusco risveglio.
Però non poteva scappare per sempre. Non poteva correre
sempre, non poteva starsene sempre a sentire la musica. Doveva affrontare anche
quel problema.
Avrebbe preferito parlare con House più che con Chase, per
ovvi motivi.
Ma come al solito House non si sarebbe presentato, non le
avrebbe nemmeno riservato un trattamento più gentile il giorno dopo. Niente,
come se trattarla in quel modo, ferirla in quel modo, facesse parte del gioco,
fosse routine.
E, ancora una volta, c’era Chase oltre la sua porta. C’era
lui a scusarsi, a parlare.
Non il suo adorato House.
Sospirò. –ok.- disse infine.- entra.-
Robert Chase varcò la soglia del suo appartamento,
lasciando che il suo cuore accelerasse un po’ inspiegabilmente il ritmo, forse
al ricordo dell’ultima volta che aveva fatto lo stesso gesto.
Cameron chiuse lentamente la sua porta, pensando a Greg e
immaginandolo a casa, a suonare il pianoforte o a vedere la tv.
Inconscia della moto arancione che si fermava lentamente,
nel parcheggio sotto casa sua.
Ciao a tutti, ecco postato il terzo capitolo… scusate il ritardo ma
questo era uno chap un po’ impegnativo (il prox, poi, lo s
Ciao a
tutti, ecco postato il terzo capitolo… scusate il ritardo ma questo era uno
chap un po’ impegnativo (il prox, poi, lo sarà ancora di più…) e volevo cercare
di fare al meglio.. voi mi raccomando non dimenticatevi di lasciarmi le vostre
impressioni, ne ho bisogno!!
Ringrazio
moltissimo per le loro stupende recensioni: Apple ,irene!!,Gr4zI4_90, Varekai , Kirby e EyeOfRaGRAZIE
MILLE!!!!!
Spero vivamente che questo capitolo vi piaccia io ce l’ho messa tutta…
Buona
lettura,
Diomache.
This shouldn't happen again
“this
shouldn't happen again”
“Do you think I want it to?”
Chapter three: Lui. Lei. L’altro.
House si
tolse velocemente il casco, sganciò il bastone dal fianco della moto e scese
rapidamente dal mezzo, traballando un po’. I suoi occhi azzurri si
concentrarono sulla finestra dell’appartamento della giovane dottoressa
Cameron. Sospirò.
La luce
era accesa ma le tende erano tirate, non era in nessun modo possibile vedere
l’interno.
Peccato,
gli sarebbe piaciuto spiarla qualche istante, invadere un po’ l’intimo della
sua abitazione e vederla seduta sul divano e ad osservare la tv o.. i suoi
pensieri s’interruppero bruscamente quando un’ombra attraversòlasua finestra.
Non
sembrava l’ombra esile e snella di Cameron.
House
aggrottò la fronte. No, si era sbagliato. Sicuramente era lei. La luce può
deformare le figure.
Greg
sospirò di nuovo, mentre se ne stava ancora appoggiato alla moto, con le
braccia conserte. Sperava di trovare la luce spenta in realtà. Questo avrebbe
risolto molte, moltissime cose. Non sarebbe dovuto salire perché lei non era a
casa. Semplicemente se ne sarebbe ritornato indietro, con la coscienza apposto.
Greg
aggrottò la fronte. Lui con una coscienza? Assurdo.
Finalmente
si decise per salire ed andare da lei, quindi si mosse verso la porta del
condominio.Non era molto sicuro che
dovesse salire sul serio. Che le avrebbe detto?
Non
aveva un motivo preciso per vederla, in realtà. Infondo lui le aveva detto solo
la verità: lei non le interessava, punto. Ma era davvero la verità? Se lo
chiedeva mentre passava accanto ad una bellissima e costosissima auto nera,
parcheggiata anch’essa davanti all’entrata.
Non ci
fece minimamente caso. Eppure avrebbe dovuto riconoscerla. Era l’auto di Chase.
È vero,
è vero. Quando aveva saputo cos’era accaduto tra lei e Chase aveva provato una
sensazione.. strana.. come di fastidio, di disagio. E, aveva ragione quel
bastardello, aveva dimostrato di avere una curiosità morbosa verso quello che
era accaduto tra i suoi due collaboratori.
Ma non
riusciva a delineare un quadro completo di quello che sentiva, era complicato,
maledettamente complicato capire cosa provava veramente. Forse aveva avuto solo
l’impulso di proteggere Cameron. Già ma proteggerla da che? Da Chase? Dio, che
assurdità.
E poi
era stata lei a buttarsi tra le braccia di lui. Anche se era ovvio che quel
perfettino inglese aveva colto la palla al balzo.
Si
ritrovò un attimo davanti lo sguardo di Cameron quando li aveva sentiti parlare
così di lei. Era stato cattivo, se ne rendeva conto. Ma non sapeva che era
presente. Forse era un bene, tutto questo avrebbe sgretolato le sue illusioni.
Già, ma
allora perché diavolo stava andando da lei se la Cameron lo lasciava
indifferente?? Tornò a chiederselo quando l’ascensore si aprì e lui vi entrò
con la sua andatura claudicante.
Un
altro, forse atroce, dubbio lo assillava.
E
adesso, tra Cameron e Chase? Sicuramente non sarebbe accaduto più niente.
No, un
attimo. Come faceva ad avere questa certezza?
Dannazione.
Si era dimenticato di chiederlo a Chase.
Cameron
abitava all’ultimo piano ma presto l’ascensore si sarebbe fermato. E ancora non
sapeva che diavolo le avrebbe detto.
Mah.
Concluse poi. Avrebbe improvvisato.
Chase si
era guardato un po’ intorno non appena era entrato, notando con piacere quanto
quell’appartamento fosse cambiato dall’ultima volta che l’aveva visto.
Ordinato, profumato, inondato dalla musica. Altro che il soqquadro che aveva
avuto l’occasione di vedere l’ultima volta.
-bene.-
sussurrò Cameron non appena l’uscio si fu richiuso. –che vuoi dirmi?-
notò che
gli occhi del ragazzo si erano fissati un po’ insistentemente sul bordo del suo
accappatoio. Sbuffò infastidita, dicendo.- sarà meglio che vada a cambiarmi.-
Chase
sbuffò mentalmente. Infondo non gli dispiaceva che restasse vestita in quel
modo. No, no, no, no. Decisamente era meglio che si cambiasse.. ma che diavolo
andava pensando?
La
giovane si era immessa nell’area notte della casa ma la sua voce lo raggiunse
comunque.
-ti
offro qualcosa?-
La
solita dolce, gentile Cameron. –no.- rispose Chase, urlando quasi.
Lei
tornò appena un istante dopo con addosso la sua camicia da notte, i capelli
sicuramente più asciutti di prima. Leggermente spettinati, come se li avesse
mossi con l’asciugamano. Probabilmente aveva fatto così.
Si mise
davanti a lui, con le braccia incrociate, gli occhi puntati su di lui.
–allora??- disse conun tono polemico,
arrabbiato.
E aveva
il diritto di esserlo.
Chase sospirò,
distolse lo sguardo.- mi dispiace-
Cameron
annuì un attimo.- anche a me. -disse quindi tirando un piccolo sospiro.
Robert
la guardò un attimo, intimamente dispiaciuto. Mosse qualche passo,
attraversando la stanza e passando, quindi, davanti alla finestra prima di
raggiungerla.
-io..
non volevo.-
Cameron
aggrottò la fronte.- non volevi cosa?-
-dire
quello che ho detto.-
-ma era
la verità no?-
-ci sono
modi e modi di dirla.- continuò Chase, praticamente ad un passo da lei.- e io
sono stato un cafone.-
Cameron
sorrise un istante.- dai, è acqua passata.-
Chase la
fissò intensamente con i suoi occhi azzurri.- Cameron io…-
La
ragazza tornò a guardarlo, questa volta con uno sguardo più intrigato. Che
stava cercando di dirle?
La sua
visita gli aveva fatto piacere, molto piacere. Infondo lui si era dimostrato di
nuovol’unico che si fosse interessato
a lei, di nuovo. Le sue scuse le erano sembrate sincere, gentili.
Ma
adesso? che cercava di dirle? Sperò vivamente che non fosse qualcosa di
importante.
Era già
tutto abbastanza complicato così.
-io
non..- continuò l’australiano, in evidente imbarazzo.- io non volevo
approfittarmi di te, mi dispiace.- concluse il ragazzo, tornando a fissarla nei
suoi bellissimi, profondissimi occhi verdi.
Vide il
suo viso sorridere, un sorriso bello come un raggio di sole.- senti, chiudiamo
per sempre quest’argomento. Sono stata io a…-
-sì ma
tu non eri in te!- esclamò improvvisamente il ragazzo.- io invece ero lucido.
Avrei dovuto fermare tutto prima che accadesse.- sospirò, e si passò un attimo
la mano tra i capelli.- la verità è che non so perché l’ho fatto. E mi
dispiace. Ma House non ha ragione.. io non volevo approfittarmi della
situazione..-
-House?-
ripeté la giovane, aggrottando la fronte.- che cosa c’entra House adesso?-
Chase si
diede mentalmente dell’idiota. –lui..-
-lui
cosa?-
-lui mi
ha gentilmente fatto riflettere su questo.- concluse il biondo con un accento
di sarcasmo nella voce.
Lei
sorrise, non seppe neppure il motivo di quel sorriso. Semplicemente l’idea di
Greg che tormentava Chase la faceva sorridere. No, basta Cameron.Stai ancora sperando,ti stai ancora
illudendo. Poi, come un fulmine a ciel sereno, si ricordò delle parole di
House.
A lui
non interessava, la sua era solo purissima, semplicissima curiosità. L’aveva
sentito chiaramente no? Si era divertito a far ammettere a Chase che forse si
era un po’ approfittato di lei. Si era divertito.
Bastardo,
stronzo.
Come
sempre.
Tornò
alla realtà, seppur con parecchia difficoltà. Lei e Chase erano ancora vicini,
troppo vicini forse. E questo non andava affatto bene.
Si
sentiva strana, arrabbiata. Divisa tra il ricordo di House e delle sue parole e
il presente, dominato da Chase. Calma, un problema alla volta. La cosa più
urgente era chiudere la situazione con Chase, poi avrebbe infuriato mentalmente
con House per il resto della serata.
Si
schiarì quindi la voce e fece un piccolo passo indietro. Era decisamente meglio
allontanarsi.. si sentiva così confusa che avrebbe rischiato di commettere
qualche altra sciocchezza.
Chase
capì il suo messaggio.- bene.- annuì poi Robert, ma prima che potesse dire
qualcos’altro i due ragazzi sentirono l’improvviso fischio dell’acqua bollente
che esce dalla pentola che sta sul gas.- ah, merda.- sbuffò Cameron correndo
velocemente in cucina. Si era completamente dimenticata di aver messo l’acqua
per la tisana sul fuoco.
Chase si
ritrovò solo nel soggiorno ed iniziò a tamburellare le dita sul tavolo. Attese
qualche altro istante, poi chiese, non sentendo più segni di vita.- ehi, tutto
bene?-
-quasi!-
esclamò lei.- ho sporcato tutto!-
-serve
una mano?-
dalla
cucina giunse un ‘no’ un po’ seccato..
L’improvviso
suono del campanello interruppe quella curiosa scenetta. Chase rimase
interdetto qualche istante, evidentemente Cameron non aveva sentito. Decise di
ignorare il campanello . Se Allison non l’aveva sentito tanto meglio.
Si stupì
del suo comportamento.. non era mai stato così…
Il
campanello suonò di nuovo. E questa volta Cameron lo sentì. Disse, dalla
cucina. –Chase hanno suonato??-
Robert
fece un sospiro d’irritazione.- si!- disse quindi.- vado ad aprire?-
-sì,
deve essere Justine!- continuò Cameron finendo di pulire il gas.-è una mia
amica, falla entrare!-
Robert sorrise mentre si
dirigeva ad aprire l’uscio.
Lo fece con estrema naturalezza.
La stessa con la quale gli stava
per venire un infarto.
No, non poteva esserci House
oltre quella porta. Era un incubo.
E anche House pensò lo stesso. I due stettero a guardarsi
qualche istante, come se si stessero studiando a vicenda. Greg sentì una
sensazione strana, come all’altezza dello stomaco..
Non avrebbe mai creduto di vedere Chase lì da lei. E
improvvisamente si sentì stupido, tanto stupido.
Stava accadendo esattamente quello che si era immaginato.
Cameron si era presa una cotta per lui all’inizio ma poi era rinsavita optando
per il partito più bello, più giovane. Più da lei.Chase, appunto.
Greg abbassò un po’ lo sguardo,
alla ricerca forse, di qualcosa da dire.
-curioso.- disse quindi.- e io
che pensavo di essere a casa di Cameron!!-
Chase non fu capace di dire
nulla, tanto più che in quell’istante si sentì i passi affrettati di Allison e
la sua voce allegra.- Justine! Sei tu?-
-sì, sono Justine!- rispose
House con una voce alterata e totalmente effeminata.
Cameron era arrivata in
quell’istante sulla soglia del soggiorno. Il suo cuore sembrò fermarsi, e per
poco la tisana non le scivolò dalle dita.
-House…?- sussurrò, incredula,
completamente sorpresa di vederlo.
-sì. Più tardi arriva anche
Foreman, mi ha detto che gli mancavamo e voleva passare la serata con il team
al completo!- rispose lui con una voce totalmente sarcastica, pungente,
tagliente. Chissà, forse anche ferita.
Cameron osservò il nuovo
arrivato, senza in realtà essere capace di dire molto, fece solo un piccolo
sorriso. Per un attimo si scordò di Chase.
House era lì.
Aveva passato tutta la serata a
maledirlo per come l’aveva trattata ed ora lui era lì, davanti a lei. Era
passato a casa sua.. per scusarsi? Non l’avrebbe saputo mai, forse. Però
sicuramente aveva pensato a lei. Ed ora era lì, da lei.
I suoi occhi e quelli di Greg
rimasero incollati gli uni agli altri ancora qualche istante poi fu proprio
quest’ultimo ad interrompere il contatto visivo e i quel silenzio carico di
tensione che si era formato tra quello strano, stranissimo trio.
-Chase.- iniziò House con uno
sguardo un po’ divertito.- che sorpresa, che ci fai qui?-
L’intensivista sembrò piombare
in un piccolo disagio e Cameron, non senza saperne in realtà il motivo, rispose
per lui.- era passato per scusarsi.-
House assunse un’espressione
divertita. – eh, bella scusa!-
Chase sbuffò.- non è affatto una
scusa! Io l’ho trattata male e..-
-hai pensato bene che ora
sarebbe stata ferita, sconvolta così ti sei detto: ehi, anche l’ultima volta
era sconvolta e ci sono finito a letto! Chissà che non capiti di nuovo!-
esclamò con un’aria entusiasta. Gli fece l’occhiolino.- l’ho sempre detto che
hai un intuito fuori dal normale.-
-so che ti sconvolgerà ma non
siamo tutti approfittatori come te!- scattò Chase, con veemenza.
-io approfittatore? Sbaglio o
eri tu quello che ha ammesso poco fa di essere stato un tantino opportunista
verso di lei? Non ti offendere forse non eri tu ma ti assomigliava parecchio.-
-senti.- questa volta fu Cameron
a controbattere.- tutto questo è assurdo, lui voleva solo..-
-da quanto hai bisogno di una
donna per difenderti?- House la ignorò palesemente e si rivolse di nuovo
all’australiano che replicò, ignorando anche lui Cameron.
-io non bisogno di nessuno semplicemente perché non devo
difendermi da un bel niente!- urlò, quasi, Chase. –e se questo discorso è volto
semplicemente al fatto che vuoi mandarmi via..-
-ma no, resta!- finse di protestare Greg.- possiamo fare
qualcosa a tre!-
-volete smetterla con queste allusioni..- iniziò Allison
ma House le parlò praticamente sopra, come se non ci fosse nemmeno stato il suo
intervento.
-su, dottor Chase.- replicò appoggiandosi completamente
al suo bastone.- non vuoi ammettere nemmeno d’averci fatto un pensierino? Tu
che vai a scusarti, lei distrutta dalla nostra cattiveria..-
-invece di girare tanto con questo discorso perché non ce
lo dici tu che diavolo ci fai qui?- ribatté l’intensivista, con le braccia
appoggiate ai fianchi e uno sguardo intrigato, ben consapevole di aver colpito
nel segno.
-mi spiace deluderti. Oggi
Cameron ha chiamato me per le sue pazzie notturne.-
-adesso basta!- la voce di
Allison riuscì finalmente a farsi strada tra le altri dei due dottori. Chase e
Greg si voltarono istintivamente verso di lei, guardandola come se fosse
capitata lì per sbaglio, come se si fossero scordati della sua presenza.
Cameron strinse forte le labbra,
poi le mani intorno alla sua tisana.- no, non smettete, continuate pure a fare
i deficienti e quando avete finito fate un fischio, d’accordo? Ma tranquilli,
eh, senza fretta!-
Disse girando loro le spalle ,
poi entrò velocemente in camera sua, sbattendo violentemente la porta.
Calò un silenzio un po’ strano
tra di due. Chase si girò istintivamente verso House che, invece, restò con gli
occhi fissi sull’uscio che si era appena richiuso, per qualche istante.
Robert roteò gli occhi e alzò le
mani.- messaggio ricevuto, me ne vado!-
L’australiano lo scavalcò,
giunse alla porta d’ingresso e l’aprì per uscire, tutto con il più completo
silenzio del suo capo. Ma prima di poter andare via si voltò verso di lui e
disse un - a domani.- un po’ scocciatosparendovelocemente tra i
corridoi color crema.
House lo guardò andar via con un
sorriso un po’ vincitore, poi spinse forte l’uscio con il bastone, facendolo
chiudere con uno ‘slam’ che rimbombò per tutto il palazzo. E nella testa di
Chase che lo sentì in pieno, perché non era ancora arrivato a prendere
l’ascensore.
Si sentì investito di nuovo da
una rabbia incredibile. Avrebbe voluto tornare indietro, avrebbe.. ah, basta.
Decise di darsi una calmata. Non c’era motivo per cui avrebbe dovuto
comportarsi così. Decise di andare a casa, e farsi una bella dormita.
Augurandosi di non avere troppi
incubi.
House restò qualche attimo
attonito, davanti alla porta chiusa della camera di Cameron.
Forse sarebbe dovuto andare via.
Era la soluzione più giusta, infondo non sarebbe nemmeno dovuto capitarci in
quella maledetta casa. Eppure non riusciva ad andarsene.
Non riusciva a capire molte
cose, troppe cose di Cameron e questo non lo poteva sopportare. Sentiva come se
lei gli sfuggisse di mano di continuo, come se, ad ogni indizio trovato, ad
ogni problema risolto ne corrispondessero altrettanti incompiuti che, insieme,
rappresentavano quel gigantesco puzzle della sua mente.
Senza pensare, senza riflettere,
si diresse verso la camera da letto della ragazza.
Ciao a tutti, eccovi la quarta parte della mia storia
Ciao a tutti, eccovi la quarta parte della mia storia..
Capitolo soffertissimo questo, mi raccomando non mancate di
lasciarmi un vostro commento!
Per questo ringrazio moltissimo chi ha commentato il
capitolo precedente: Apple, irene!!, Gr4zI4_90 e Varekai
GRAZIE MILLISSIME, VI ADORO!
Buona
lettura,
Diomache.
This shouldn't happen again
“this
shouldn't happen again”
“Do you think I want it to?”
Chapter four :Twilight
Lei era
di spalle, girata verso la finestra, in silenzio. La finestra era spalancata e
Cameron vi era leggermente affacciata. Aveva appoggiato la tisana sul davanzale
e ora le sue braccia facevano perno su quest’ultimo, in modo da tenerla
leggermente fuori. Dalla apertura entrava un vento dolce e sottile che muoveva
lentamente i capelli della ragazza e preannunciava l’arrivo imminente della
bella stagione e del suo clima temperato.
Fuori il
cielo era buio o quasi. Se non fosse stato per la luna, grande e piena quel
giorno, sarebbe stato quasi completamente scuro. Le stelle erano quasi
invisibili a causa delle luci della città e dello splendore sconvolgente della
luna stessa.
Cameron
sospirò sentendo la porta aprirsi, dietro di lei.
Sapeva
benissimo chi era entrato. Chase non sarebbe stato capace di farlo o comunque
avrebbe detto qualcosa, avrebbe bussato, avrebbe fatto tutto ciò che tutti
fanno. Invece il suo ospite aveva spinto piano la porta e l’aveva varcata quasi
di soppiatto, quasi di nascosto.
-perché
sei ancora qui?- quelle parole uscirono spontanee, tranquille, dalle sue
labbra.
Nessuna
risposta.La giovane inclinò un po’ la
testa di lato, ma non accennò a voltarsi.
Adorava
osservare il cielo notturno, adorava la luna. E adorava lui, House. Con tutta
se stessa.
-se vuoi me ne vado.-
la giovane si girò, lentamente.
Erano soli adesso. Rimasero
qualche secondo in silenzio, a fissarsi soltanto, lei con un sorriso strano,
gli occhi un po’ stanchi, e i capelli ormai quasi asciutti e un po’ gonfi
perché li aveva appena lavati.
Lui
silenzioso, riflessivo. Vedere lì Chase era stato un colpo duro per lui. Non
l’avrebbe ammesso mai ma era così.
-no.-
disse quindi Cameron con una voce appena percettibile.- no, puoi restare.-
House
fece un sorriso di sufficienza. Sapeva che non l’avrebbe mai mandato via.
Seguirono
attimi di silenzio, interrotti solamente dal frusciare del vento tra le tende e
dai loro respiri, quasi percettibili in quell’ambiente silenzioso. Fu Greg
questa volta ad interromperlo, dicendo.
-non
volevo.- Cameron aggrottò la fronte, così House proseguì, anche se scocciato.-
non volevo interrompervi. Tu e Chase intendo.-
-non
c’era niente da interrompere.-
-Chase
sembrava molto scocciato.-
-non
vuol dire che stessimo facendo qualcosa da poter interrompere.- continuò la
ragazza, con un tono un po’ seccato. Non le andava che gira e rigira andassero
sempre a finire su quel dannatissimo argomento.
-immagino
che ora mi chiederai perché sono passato, giusto?- domandò Greg sbuffando e
appoggiando tutto il suo peso sul bastone.
Cameron
alzò le spalle.- no.- rispose quindi, con estrema naturalezza.
Lui
sembrò stupito. –sul serio?-
-tu mi
risponderesti?-
-no.-
La
giovane roteò gli occhi.- era retorica.-
-comunque
non ti avrei risposto.- proseguì l’uomo lasciando che i suoi occhi viaggiassero
lentamente attraverso la camera da letto di Cameron. Era molto.. da lei. Le
tende rosa pesca, un letto grande, matrimoniale, i pavimenti di marmo bianco,
l’arredamento abbastanza moderno ma comunque.. romantico. Troppo romantico.
I suoi
occhi si posarono su quel letto, ormai coperto solamente con un piumino
primaverile che presto la giovane avrebbe tolto. Non seppe bene il motivo ma in
quell’istante immaginò lei e Chase, che rotolavano in quel letto. Li vide
abbracciati, appassionati.
E di
nuovo, quel buco allo stomaco.
Così
impara a mangiare quello schifosissimo pollo alla mensa.
I suoi
occhi si alzarono e si posarono su di lei, guardandola veramente forse per la
prima volta in tutta la serata. Sembrava così stanca. Bellissima e altrettanto
stanca.
-posso
offrirti qualcosa?- disse improvvisamente lei, interrompendo la sua
contemplazione.
Greg
diede un’occhiata all’orologio.- sì.- disse quindi.- il televisore, se per te
va bene.-
Cameron
sgranò gli occhi.- scusa?-
-sta per
iniziare il secondo episodio di General Hospital, se non ci muoviamo ce lo
perdiamo..-
La
ragazza rimase interdetta qualche secondo, poi balbettò un –certo.- fece strada
in salotto dove poco più tardi la raggiunse anche House. Senza sapere in realtà
perché stesse facendo tutto questo, spense la musica classica e accese il
televisore, consegnando il telecomando al suo fantomatico ospite..
indesiderato? Bugia.. ospite desideratissimo..
House
grugnì di piacere sedendosi sul divano e attivando il canale. L’episodio era
già iniziato e lui si sistemò a braccia incrociate. Cameron lo osservò per
qualche secondo poi si sedette accanto a lui. Si sentiva.. bene.
Anzi,
più che bene.
Non le
sembrava vero di condividere con Greg qualcosa che lui abitualmente faceva solo
con Wilson oppure, avere il privilegio, seppur piccolo, di passare almeno
un’oretta in sua compagnia evitando di parlare, di chiarire, di litigare.
Certo,
prima o poi avrebbero dovuto fare anche questo.
Ma per
il momento era terribilmente piacevole poter sentire quella strana sensazione
di familiarità.
Erano
vicini, forse anche troppo, quasi spalla a spalla. Si girò un istante a
guardarlo. I suoi occhi blu erano fissi sul programma, l’espressione
piacevolmente concentrata.
Sorrise
di nuovo. Davvero una bellissima sensazione. Restò a fissarlo ancora qualche
istante, anche troppo, visto che dopo qualche attimo Greg si voltò verso di lei
con un’espressione scocciata.- la tv è dall’altra parte-
Cameron
annuì, sorridendo, divertita. Si concentrò finalmente sul telefilm, ignara che
anche lui, di tanto in tanto, lasciava la sua amatissima soap per concentrarsi
su di lei. L’atmosfera del salotto di Cameron era quasi in penombra ormai e il
suo volto era illuminato solamente dalla luce artificiale che proveniva
dall’apparecchio televisivo.
Si
chiese cosa diavolo ci faceva lì. Avrebbe dovuto starsene a casa sua già da un
pezzo. Eppure non se ne voleva andare. Quello strano impulso che l’aveva spinto
ad andare da lei, quello strano impulso che l’aveva fatto rimanere, e adesso,
quella strana sensazione di piacere.
Di calore.
Si sentì improvvisamente nervoso, strano e se lei non avesse interrotto quello
stranissimo silenzio probabilmente si sarebbe alzato dal disagio e se ne
sarebbe andato via.
-secondo
me è sclerosi a placche.- disse Cameron incrociando le braccia e guardandolo
con un’aria di sfida.
House
riportò i suoi occhi sulla tv.- è assurdo. Non può essere.-
-per
questo conto che sia questa la diagnosi giusta. Nelle soap accadono sempre cose
assurde.-
-io dico
meningite. se ho ragione cosa vinco?- concluse con un sorriso che, nonostante
non avesse voluto, suonò terribilmente malizioso.
Cameron
alzò le sopracciglia poi disse, divertita.- un bicchiere di gin?-
House
sbruffò.- vada per il gin.-
La soap
finì mezz’ora più tardi.
Era
sclerosi a placche.
-non
vale.- borbottò House alzandosi dal divano, facendo perno con il bastone per
rialzarsi.
-non ti
lamentare, il gin te lo offro lo stesso..- disse lei, più conciliante,
avviandosi a prendere il liquore. Ne fece un bicchiere e glielo porse, con un
gesto tipicamente da lei, come quando la mattina gli porgeva la sua solita
tazza di caffè.
-tu non
lo bevi?-
-stai
cercando di ubriacarmi?- domandò lei, maliziosa.
-sarebbe
più facile farti prendere una pillola, vero?- rilanciò, con un filino di
sarcasmo pungente.
L’espressione
di Allison cambiò. –mm.. credi di poterti smettere prima o poi di torturarmi
con questa storia?-
-era
retorica, vero?-
Cameron
sorrise, divertita, mentre lo osservava buttare giù il suo liquore.
House
strabuzzò leggermente gli occhi, sospirò per la forza del liquore poi disse,
con energia.- ah, è passato il tuo untore oggi, dopo che avevi finito il
turno..-
-il
mio…- la ragazza realizzò.- ah, Kalvin.-
-esatto,
Kelvin. Voleva farti l’imboccalupo per l’HIV.-
-non è
detto che io sia..-
-comunque
voleva farti gli auguri. Di non essere contagiata intendo.-
Cameron
annuì, abbassando lo sguardo.
House
sospirò, scocciato dal dover dire per forza qualcosa che non avrebbe voluto.-
.. e ti voleva ringraziare per quello che hai fatto.. per avergli aperto gli
occhi ha detto.-
Vide la
ragazza sorridere di quelle parole.- è stato gentile.-
Ecco, lo
sapeva. Ecco cosa lo faceva terribilmente innervosire, la sua bontà, la sua
gentilezza lo urtava profondamente. Lo irritava …in maniera incredibile.
Rischiava di essere contagiata e era felice se l’uomo che forse l’aveva
trasmesso il virus letale.. la ringraziava perché lei gli aveva detto un paio
di paroline gentili??
-ma..
ma.. come fai ad essere sempre così?- le disse quindi, innervosito.- ti riesce
naturale oppure ti sei imparata un copione ben preciso?? No, voglio saperlo.-
Cameron
lo guardò, incredula.- scusa?-
-insomma
arrabbiati, no? Te lo devo ricordare che forse hai l’HIV?-
La donna
abbassò lo sguardo.- cosa ne sai tu di quello che provo io..-
-io vedo
una donna che si sfianca fisicamente piuttosto che urlare, gridare dalla
rabbia!-
Cameron
ci rimase di sasso. I suoi occhi si concentrarono su quelli di House,
incuriosita.
-tu
come..-
-facile.-
la interruppe.- sei terribilmente stanca, ma si vede benissimo che la tua è una
stanchezza fisica. Nonostante la stanchezza hai i lineamenti rilassati e
l’espressione beata causata dalla sensazione di piacere prodotta dagli
ormoni..-
-risparmiami
la lezione di medicina.- disse lei, acidamente.- lo so anch’io cosa succede
all’organismo quando si fa sport.-
-quello
che non sai è che nelle tue condizioni potrebbe essere pericoloso fare tanto
sport.-
La
ragazza chiuse gli occhi, sospirò. Che enigma che era House. Due giorni fa se
n’era fregato del suo stato di salute e adesso la rimproverava perché aveva
fatto una corsa per sfogarsi?
–e a te
che importa?-
House la
osservò, sorpreso da quel tono così brusco.- mm… ennesimo sfogo in arrivo..-
disse con il suo solito tono di sufficienza, distogliendo lo sguardo.
-smettila.-
lo zittì lei.- due giorni fa non ti interessava minimamente come stavo e
adesso..-
-era
cortesia.- la interruppe Greg, con un sorriso un po’ altezzoso.- pura cortesia.
In realtà non me ne frega poi molto.-
Cameron
annuì, incassando l’ennesimo colpo.- certo.- sussurrò ma con un tono così basso
che House neppure lo sentì. – e da quando tu ti preoccupi di essere cortese?-
questa volta però House sentì benissimo le sue parole.
Touchè. Per
l’ennesima volta.
Lei
aveva il potere di metterlo sempre e comunque con le spalle al muro, il potere
di obbligarlo a guardare dentro di se e a capire cosa diavolo provava e perché
provava quella diavolo di cosa. Dannazione a lei e alle sue domande. Erano
sempre quelle a cui lui non avrebbe mai voluto rispondere. Eppure un giorno
avrebbe dovuto affrontarle, lo sapeva.
Un
giorno, che però non sarebbe stato questo.
-se me
l’hai chiesto, ti interessava.- obbiettò quindi con un tono deciso,
avvicinandosi a lui.- tu non fai domande a vuoto.-
Greg
annuì.- questo è vero. Ma non è altrettanto vero che tu debba sempre
fraintendere quello che dico.-
Allison
lo fissò intensamente.- prego?-
-tu vedi
l’amore in tutto.- la attaccò lui con un tono polemico.- vedi affetto,
gentilezza in tutti quelli che ti circondano. Vedi o meglio ti sforzi di vedere
tutto questo. In realtà sai benissimo che non è così. C’è l’ipocrisia, c’è la
falsità, c’è il disinteresse, Cameron.-
Lei
deglutì lentamente.- credi che io sia così ingenua?-
-credo
che tu sia abbastanza grande da capire che è ora di smetterla con le illusioni.-
la sua voce era dura, freddissima.
Cameron
sentì qualcosa di piccolo, dentro di se, andare in frantumi.
Calò un
piccolo silenzio, interrotto poi da House in persona.- e comunque era vero.-
La
giovane si domandò se aveva il coraggio di chiedergli che cosa fosse vero. Non
sapeva dove ma lo trovò, ben conscia che la risposta l’avrebbe fatta soffrire
di nuovo. –che cosa?-
-quello
che hai sentito, mentre parlavo con Chase.-
la
ragazza annuì. –bene.- disse poi, passandosi una mano tra i capelli.- e ti sei
scomodato fin casa mia per ricordarmelo?-
-ah ah
mi avevi detto che non mi avresti chiesto il motivo della mia visita…-
-adesso
lo voglio.- sussurrò lei, faticando ad avere il controllo di se.
House
aggrottò la fronte.- vuoi cosa?-
-che tu
te ne vada.- riprese lei, con una voce quanto mai decisa.
House
annuì pesantemente con il capo. La guardò un istante, ben conscio d’averla
ferita. Si avviò pesantemente verso l’uscio di casa sua. Aprì la porta ma prima
di varcarla si voltò verso di lei. Sembrava così piccola e fragile che avrebbe
voluto abbracciarla.
Ah,
meglio andarsene prima di fare qualche cazzata mondiale. –a domani.- disse
uscendo.
-buonanotte,
House.- sussurrò Cameron, chiudendo l’uscio di casa sua, senza attendere la
risposta.
-‘notte.
Cameron.- concluse House, scomparendo tra i corridoi ocra dell’appartamento.
Cameron
restò di nuovo sola.
Chiuse
gli occhi e si appoggiò con la schiena alla porta di ciliegio.
Eccomi qua con nuovo capitolo.. spero che vi piaccia, le
linee dei rispettivi sentimenti iniziano a tracciarsi..
Un bacio a tutti i lettori e a tutte le cottoncandy,
compagne di gioie e dolori!
Ringrazio tutti i lettori, in particolare chi ha recensito,
quindi: Varekai , Apple, Elbereth,
Angelgiusi, hikary, Liserc, Jaly
Chan e EyeofRa
GRAZIE MILLE VI ADOROOOO!!!!
Un bacio,
Diomache.
This shouldn't happen again
“this
shouldn't happen again”
“Do you think I want it to?”
Chapter four :Falling
Le porte
dell’ascensore si aprirono lentamente lasciando uscire la ragazza.
I suoi
occhi verdi si posarono sull’orologio. Perfettamente in orario.
Sorrise,
quindi si diresse velocemente verso l’ufficio di House. Naturalmente era vuoto,
troppo in orario per tutti e tre i suoi collaboratori.
Appoggiò
la borsa, si tolse il leggerissimo soprabito che indossava quella mattina e
indossò il camice.
Foreman
sarebbe arrivato massimo tra due minuti. Chase.. no, per Chase cinque minuti
abbondanti. House? Sorrise, divertita. House poteva arrivare anche tra un paio
d’ore.
A volte
si chiedeva come faceva quell’uomo a vivere così, senza regole, senza nemmeno
logica a volte. No, questo non era corretto, lui una logica l’aveva anche se
molto personale.
Lei non
ci sarebbe riuscita. A vivere senza la logica, senza una regola. Senza sapere
sempre quello che doveva fare, senza un’etica rigida come la sua. Lei non ce
l’avrebbe mai fatta.
Lei
doveva razionalizzare, piegare tutto alla sua logica altrimenti sarebbe
impazzita.
E quando
era in crisi era a questo che ricorreva, sempre. Come quella mattina per
esempio: aveva avuto il bisogno di dover fare tutto con cura, tutto con
precisione. Perché era in crisi.
Si
ricordò improvvisamente di dover prendere le pillole che il dottore le aveva
prescritto per scongiurare l’HIV. Le prese dalla borsetta e le inghiottì
velocemente, una dietro l’altra.
L’auto di Chase viaggiava
tranquilla sull’asfalto, ad un’andatura moderata ma comunque abbastanza
sostenuta. Era leggermente in ritardo e dopo tutto lo screzio che aveva avuto
con House la sera precedente l’ultima cosa che voleva era quella di mettersi a
litigare di nuovo.
Storse leggermente il capo e
accese l’autoradio. Ci giochicchiò per qualche minuto senza trovare nessuna
canzone interessante, quindi lo spense velocemente. Aprì quindi il finestrino
lasciando entrare un po’ di quella deliziosa brezza mattutina in cui già si
poteva sentire l’odore dell’estate.
Presto sarebbe arrivato al PPTH.
Lo attendeva una giornata pensante, ne era sicuro. Ah, gli veniva il mal di
testa solo al pensiero delle sala d’attesa straripanti, delle infermiere affaccendate,
dei dottori nervosi, magari di un nuovo complicatissimo caso.
Sbuffò.
Tutto come sempre.
Monotonia? No, non poteva dire
d’annoiarsi. Però non poteva nemmeno dire che la sua vita non fosse ricoperta
da una sottile ma ben percettibile patina di monotonia.
Faticava ad ammetterlo, ma da
quando aveva iniziato a lavorare lì con House era iniziato un nuovo capitolo
della sua vita, capitolo che, infondo, non era mai stato niente di troppo
interessante. Anzi.
Il lavoro, i problemi. Gli
amici. Qualche avventura lampo di una notte.
Niente di più.
Niente che gli facesse un attimo
mancare un battito, niente che lo facesse sospirare, che lo facesse deglutire a
fatica. Niente. Certo, le piccole avventure, le piccole parentesi erano un buon
passatempo ma anche queste alla fine si rivelavano uno dei suoi tanti
passatempi e niente di più.
Almeno finché non era arrivata quell’avventura.
Non era stata come le altre, di
questo ne era certo.Certo, il giorno
dopo l’aveva catalogata come una semplicissima, divertentissima avventura però,
doveva ammetterlo, non era stata come le altre.
Forse perché, a differenza delle
altre ragazze che gli era capitato di portarsi a letto, lei non era una
sconosciuta o una semisconosciuta con cui aveva scambiato appena un paio di
parole.
Lei, un dottore. Lei, una
collega. Lei, Cameron.
Lei, tutti i giorni al suo
fianco.
E guardarla e non pensare a
quello che era accaduto, Dio, era difficile.
Parlarle e non staccare gli
occhi dalle sue labbra.
Starle vicino e non lasciarsi inebriare
dal suo profumo.
Sfiorarla, per sbaglio, e non
lasciarsi trasportare dal ricordo della sua pelle.
Molto difficile.
Difficile, come vederla
sorridere e non pensare che per una sera, una soltanto, quei sorrisi erano
stati suoi, lei era stata sua. Sua.
Sua?
Strana, stranissima parola.
Eppure di Cameron poteva dire
tantissime cose ma, in linea definitiva, non poteva dire che fosse sua.
Lui aveva avuto le sue labbra,
il suo corpo, i suoi sorrisi, aveva sentito il suo profumo, aveva accarezzato
la sua pelle, l’aveva vista sospirare, aveva avuto i suoi abbracci.
Eppure non l’aveva avuta
davvero.
Cameron..
House..
Tra lei e il suo capo non c’era
mai stato niente.Solo uno stupissimo
appuntamento finito male a quanto pare. Mai un bacio, mai un sorriso più
complice, niente di niente.
Lui invece con Cameron c’aveva
fatto l’amore.
Eppure, paradossalmente, House
poteva dirla ‘sua’ più di quanto potesse lui.
Chase imboccò la curva e si
ritrovò davanti all’enorme sagoma del PPTH. Era arrivato.
Parcheggiò e nell’istante in cui
spense il motore rifletté sul fatto che lui, poi, alla fine, non sapeva proprio
niente di Cameron e House. L’unica cosa veramente certa era che Cameron era
completamente, chiaramente innamorata di House. Una smorfia disgustata si
impresse sul suo viso solo al pensiero.
E l’altra cosa certa era che
House non se la filava nemmeno di striscio.
Aggrottò la fronte.. e allora
perché era passato da lei l’altra sera?
E quando lui se n’era andato?
Che poteva essere successo tra loro due?
Robert uscì velocemente dalla
sua auto e si diresse a passo svelto verso l’entrata del Princenton,
incrociando sull’entrata un paio di infermieri che conosceva. Lì salutò un po’
freddamente, entrò e si diresse velocemente verso l’ascensore.
Premette il tasto due e sospirò.
Poteva essere successo di tutto.
Ma qualsiasi cosa fosse
accaduta, si disse, l’avrebbe scoperto presto.
Molto presto.
-carissimi paperotti..- aveva
iniziato House con un tono un po’ fiabesco.- oggi voglio raccontarvi una
storia..- si era appoggiato alla loro lavagnetta e aveva presoun pennarello, voltandosi un attimo ad
osservare la platea, ammutolita e, in un certo senso, incuriosita.
-è la storia di…- prese la
cartella clinica e osservò il nome del paziente.- di un certo Robbie… -
-Robbie? Robbie Lambert?-
esclamò Foreman, stupito.- quel pazzoide tossicodipendente con la Corea di
Hugginton?-
House fece un smorfia.- bravo,
mi hai rovinato la storia.-
-come mai è qui?- chiese
Cameron, inforcando gli occhiali. Questamattina, come aveva previsto,Chase era arrivato esattamente cinque minuti più tardi mentre House
esattamente, precisamente un’ora più tardi di lei. Quella che si dice la
precisione..
-vertigini, crisi epilettiche,
nausea, tosse.- rispose House come se stesse elencando la lista della spesa.-
ti bastano come motivazione?-
Iniziarono a discutere riguardo
questo nuovo caso, Chase era convintissimo che fosse un problema legato alla
formazione di un cancro al cervello, Foreman ipotizzava qualcos’altro, Cameron
semplicemente non si esprimeva esattamente come House che giocherellava con la
sua pallina rossa, fregandosene altamente della disputa che era nata tra i due
collaboratori.
-stop!- disse improvvisamente il
loro capo, facendo tacere quel continuo brusio e le frecciatine da entrambe le
parti. Quelle stranissime frecciatine.
Oggi Chase era parecchio
nervoso, constatò, e Foreman non era certo tipo da acconsentire o da lasciar
correre.
-fine primo round.- continuò
House, prendendoli in giro.- tra i due litiganti il terzo gode. Cameron?-
La ragazza lo guardò, stupita.
–sì?-
-una tua opinione, please. Chi
ha ragione, Foreman o Chase?-
-ehm io..-
-o su dai, non è difficile.-
disse facendo roteare il bastone.- ah, a meno che tu non sia un tantino
coinvolta, allora potresti non essere obbiettiva. Certo, con Chase sei più
intima ma..-
-non credo che si tratti di
cancro al cervello.- esclamò la ragazza, con un sospiro un po’ scocciato.
House
sorrise.- ladies and gentleman the winner is…-
-ma non penso nemmeno che abbia
ragione Foreman.- lo interruppe la ragazza.
House sbuffò.- e ti pareva, pur
di non schierarti..-
-la verità è che non possiamo
dire niente con certezza almeno finché non effettuiamo degli esami.-
-la verità è che come sempre
vuoi essere gentile con tutti! Guarda che Chase non si butta dalla finestra se
non gli dai ragione!- si interruppe bruscamente, fissando l’australiano.- o
si?-
-io vado a fare gli esami.-
esclamò Cameron alzandosi leggiadramente dalla sedia. Gli occhi dei presenti si
fissarono su di lei, sorpresi. -beh?- riprese la ragazza, mani ai fianchi.- che
c’è di strano?-
-ti ho per caso detto di andare
a fare gli esami?- ipotizzò Greg guardandola con uno sguardo interessato e
divertito insieme. –no, mi sembra di no. Questa si chiama insubordinazione!-
Cameron rise, gli lanciò uno
sguardo malizioso poi uscì aggraziatamente dall’ufficio, sotto gli sguardi
basiti di Chase e Foreman. Dove aveva tirato fuori Allison tutta questa grinta?
Chase deglutì a fatica. Forse
era davvero successo qualcosa tra lei e House.
Greg rimase ad osservare qualche
istante la porta trasparente dell’ufficio dalla quale lei era uscita pochi
istanti fa. Sorrise, divertito, poi i suoi occhi blu si posarono sui suoi
collaboratori che erano rimasti fermi, immobili, incerti sul dafarsi. Poi si
riscosse dicendo, con un tono un po’ polemico.- beh? Fate sciopero oggi? Fuori
dai piedi, scansafatiche!-
I due uomini si alzarono,
sbuffando un po’, poi si diressero anche loro, a ruota, sulle orme di Cameron.
House si guardò un attimo
intorno, con circospezione, scrutando attentamente il corridoio.
No, niente Cuddy in vista.
Uscì lentamente dall’ufficio,
camminando a testa bassa, anche abbastanza velocemente per quanto gli era
possibile. Attraversò il corridoio, la mensa non era tanto distante, e fin’ora
era andato tutto benissimo.
Finché non sentì,
improvvisamente un –House!- decisamente poso amichevole.
Fece un paio di conti logistici:
la mensa era vicina ma non così tanto e Cuddy, già veloce di suo, poteva essere
a dir poco felina, soprattutto quand’era così arrabbiata. Non aveva nascondigli
prima della mensa. Era spacciato.
Poi, l’illuminazione: il bagno
delle donne, lì sulla destra, ad un passo. Sorrise a dir poco diabolicamente e
vi si infilò velocemente, augurandosi che Cuddy non lo avesse visto proprio
mentre vi entrava furtivamente.
Una volta dentro, tese
l’orecchio. Un sorriso di purissimo divertimento si dipinse sul suo viso quando
sentì il rumore deciso dei tacchi della donna che attraversavano il corridoio,
passando oltre il bagno delle donne dove lui era nascosto.
Ah, salvo.
Sentì Lisa fare un altro paio di
urli, prendendosela con un povero malcapitato che, probabilmente, non c’entrava
niente con tutto questo. Beh, per una donna come lei lasciarsi scappare sotto
il naso uno zoppo era veramente troppo.
Stava ancora a crogiolarsi in
quei pensieri quando sentì che non era solo nel bagno come pensava di essere.
Sentì qualcuno tossire forte, poi il rumore dello sciacquone. Avrebbe dovuto
andarsene prima che quella che probabilmente era un’infermiera lo vedesse e
iniziasse a gridare. Mise la mano sulla maniglia però si bloccò, sentendo
improvvisamente la misteriosa donna imprecare.
Riconobbe quella voce.
Sentì la donna tossire,
rimettere questa volta e poi lei che tirava l’acqua.
No, decise House, non sarebbe
proprio uscito.
Sentì i tacchi della donna e
poco dopo la vide uscire dalla porta del bagno.
Come immaginava.
Cameron.
Lei non l’aveva ancora visto, si
diresse al lavandino e si deterse la bocca una paio di volte, poi prese uno
sciroppo e una caramella. Solo quando ebbe finito di lavarsi le mani e il viso
e si stava dirigendo verso la porta, vide House, appoggiato all’angolo.
-House?- urlò, quasi.
-sshh- la rimproverò lui.- vuoi
farmi scoprire?-
Cameron lo guardò, basita.- che
ci fai nel bagno delle donne?-
-quando scappa scappa.- rispose
lui, evasivo come sempre.
Cameron socchiuse un istante gli
occhi.- va bene. Io vado.- fece per uscire ma House si sistemò meglio davanti
alla porta, con il chiarissimo intento di non lasciarla passare.
–beh?- esclamò lei,
incuriosita.- vuoi tenermi chiusa qua dentro?-
-ce l’ho io una domanda per
te..- disse lui, fissando un attimo il pavimento poi ritornando a fissare lei.-
sei anche tu una vittima illustre del cibo della mensa o ti stai dando alla
bulimia?- la ragazza gli lanciò uno sguardo d’astio, lui riprese.- molte
ragazze lo considerano un hobby mettersi le dita in gola quando hanno due
minuti di tempo.-
-io non sono bulimica.- disse,
freddamente.- sono..- esitò, qualche istante.- sono gli effetti collaterali
delle medicine che sto prendendo. Stanchezza, disturbi nel sonno e nausea.-
House annuì, lentamente. Poi si
avvicinò improvvisamente a lei, prendendole il viso con la destra. Cameron
sobbalzò, quasi. –ehi, calma!- la prese in giro lui.- voglio solo
controllare..- disse, ad un paio di centimetri dalle sue labbra.
-controllare che cosa?-
bisbigliò la donna.
Il pollice di House le tirò
leggermente la pelle sotto l’occhio. Sussurrò, con un tono professionale.- hai
le pupille dilatate…-
Cameron si svincolò dalla sua
presa con un gesto quasi scattoso.- per favore.- disse, stanca.- non fingere
che t’importi qualcosa.- lo scavalcò velocemente e uscì dall’ambiente.
House restò solo, nel bagno
delle donne.- mi importa invece.- ma naturalmente Cameron non poteva sentirlo.
Robert Chase usciva dal
laboratorio in quell’istante.
Camminava velocemente nel
corridoio, quando si era fermato di colpo vedendo Cameron uscire dal bagno
delle donne.
La stava giusto cercando, la
ragazza doveva aiutarli ad effettuare nuovi test in laboratorio.
Stava per chiamarla ma la voce
gli morì in bocca vedendo House uscire dal bagno subito dietro di lei…..
Ciao a
tutti.. eccomi qua… questo è stato un capitolo molto ma molto impegnativo.. mi
raccomando non fatemi mancare le vostre impressioni! Saluto con affetto chi ha
commentato il precedente capitolo:irene!!,
Varerai, Giu_chan, Apple, hikary, EyeofRA e Dana.
GRAZIE!
Diomache.
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Chapter six:If
you die, everybody loves you
-ok,
Allison, può rivestirsi.-
Cameron
si infilò velocemente la sottile camicetta rosa, iniziando ad allacciarne i
bottoncini mentre il dottore si allontanava velocemente da lei e si andava a
sedere di nuovo dietro la scrivania del suo ufficio.
Era lo
stesso che la seguiva con la terapia, quella che avrebbe dovuto farle
scongiurare il pericolo di avere l’HIV. Naturalmente se il contagio era avvenuto
quelle pillole non avrebbero sortito alcun effetto. Era solo un trattamento
post esposizione.
-sarò
schietto con lei, dottoressa Cameron.- iniziò l’uomo non appena lei si era
rivestita del tutto e posizionata sulla sedia di fronte alla sua scrivania.-
non mi convince affatto il modo in cui il suo organismo sta reagendo alle mie
cure.-
-ma la
nausea e gli altri effetti collaterali erano previsti…- lo interruppe la
ragazza con uno sguardo attento.- che cosa c’è che non va?-
-appunto,
nausea. Lei mi parla di un sintomo molto più pronunciato, no?-
Cameron
sospirò. Era vero purtroppo.- sì.. è così..- sussurrò iniziando a giocare
nervosamente con il bordo della camicetta. –ci sono complicazioni?-
L’anziano
dottore fece una smorfia.- potrebbero esserci, sì.-
-connesse
all’HIV?- domandò la giovane, pur conoscendo già la risposta a quella domanda.
Infondo
era un dottore anche lei.
-no.-
rispose l’uomo, sospirando e fissandola intensamente negli occhi.- no, la
presenza o meno dell’HIV non è in questione. Potrebbe esserci qualcosa di
anomalo non collegato all’HIV…..-
Allison
chiuse gli occhi e sospirò. Sapeva dove poteva portare quel ragionamento.
-ma non
si preoccupi.- il dottore si affrettò a precisare, notando il suo evidente
stato emotivo.- faremo le opportune analisi..-
-preferirei
non in questo ospedale.- disse la ragazza con una voce appena percettibile. Non
voleva che qualcuno si accorgesse del suo malessere, non voleva semplicemente
che gli altri si accorgessero che qualcosa non andava.
Voleva
che tutti la credessero la solita, voleva che tutto fosse come sempre.
Perché
non le scordava le parole di House.
Se
muori, tutti ti amano.
Lei non
stava morendo ma comunque non voleva la compassione di nessuno.
Nessuno.
-questo
vedremo.- le rispose l’uomo, un po’ dubbioso.- comunque se ne riparlerà tra un
paio di settimane. Quando avremo scongiurato la presenza dell’HIV vedremo se è
tutto ok.-
La
ragazza annuì, cercando di apparire forte.- va bene.-
-nel
frattempo.- continuò il dottore.- mi avverta se questi effetti collaterali si
fanno ancora più forti. –
-potrebbero
peggiorare?- domandò la ragazza, un po’ in apprensione. Non tanto per se
stessa, piuttosto perché nasconderli agli altri a quel punto, sarebbe stato
difficile. Il dottore negò con il capo.- non so dirglielo. In teoria lei non
avrebbe nemmeno dovuto avercene di questi problemi.. quindi non posso sapere
con certezza se peggiorerà. Ci auguriamo di no, comunque mi avverta se dovesse
accadere. E stia tranquilla.- concluse con un sorriso.
-dovrei
davvero?- chiese la ragazza con un filo di voce.
L’uomo
annuì energicamente.- sicuro. La probabilità di avere qualche complicazione è
bassissima.-
Cameron
pensò che tutta la sua vita, in quel momento, era concentrata su probabilità
bassissime.
Probabilità
bassissima di essere malata.
Probabilità
bassissima d’avere l’HIV.
Probabilità
bassissima di essere riamata da House.
Mai una
situazione definita, a quanto pare.
Mai bianco o
nero.
Solo grigio.
E a lei il
grigio non piaceva.
Decisamente.
-negativo.- sbuffò Foreman
leggendo I risultati dell’ultimo test che aveva effettuato.
Cameron si tolse gli occhiali e
li appoggiò al tavolo, sospirando. Dio, era veramente stanca. Erano quasi le
otto: un pomeriggio intero passato interamente lì dentro a fare esami.
La parte noiosa del suo lavoro.
Fortunatamente mentre facevano
quei dannatissimi test a quell’altrettanto dannatissimo Robbie, avevano scambiato
quattro chiacchiere tra di loro, senza interrompere la concentrazione ma,
contemporaneamente, cercando di non impazzire dal mal di testa che quel genere
di lavoro procurava loro.
Le aveva fatto bene, però, tutto
sommato, avere qualcosa da fare, stare concentrata, non pensare.
Lei e Foreman avevano
chiacchierato di parecchie cose, invece Chase era restato tutto il pomeriggio
in un completo silenzio. Si era limitato a mugugnare ogni tanto, ad accennare
una risposta col capo, niente di più.
I suoi occhi verdi si
concentrarono sul suo collega, circa dall’altra parte del laboratorio, rispetto
a dove si trovava lei. Strano.. parecchio strano.
La voce di Foreman interruppe i
suoi pensieri.- Cam, i tuoi risultati?-
-ah.. eccoli..- disse porgendoli
al nero che disse, avanzando verso l’uscita.- vado a portarli ad House. Chissà
che si degni di interessarsi un po’ a questo caso!-
Cameron sorrise, poi
ritornòa concentrarsi su quel prossimo
ma, per fortuna, ultimo test.
Rimise gli occhiali ma i suoi
occhi si concentrarono di nuovo su Robert.
-ehm.. Chase?- azzardò, un po’
titubante. Si vedeva benissimo che il ragazzo aveva un problema, magari avrebbe
potuto parlargliene, magari lei avrebbe potuto essergli d’aiuto.
Ben lontana dalla verità: ovvero
che era proprio lei il problema.
-devi aspettare un paio di
minuti.- le rispose freddamente il ragazzo.- questi affari non viaggiano al
tempo della luce.-
Cameron rimase interdetta per
qualche secondo.- si ma io non parlavo degli esami.-
Robert si girò un istante verso
di lei, distogliendo lo sguardo dal macchinario. – e allora che c’è?-
Allison rimase un po’ turbata
dal suo tono duro ed estremamente freddo, come se ce l’avesse con lei.- non hai
detto una parola per tutto il pomeriggio.-
-e allora?- ribatté, seccato,
lanciandole uno sguardo tagliente.
Allison raccolse le sue
cartelline.- mi chiedevo.. se c’era qualcosa che non andava..-
-no, tutto benissimo.- rispose,
con un tono sarcastico ed estremamente acido.- e a te come butta, dottoressa
Cameron?-
La ragazza aggrottò la fronte.-
si può sapere che cos’hai?- domandò, un po’ stanca di quell’atteggiamento.
-che c’è non mi rispondi?-
Cameron si alzò di scatto dalla
sedia. Fortunatamente arrivò anche l’ultima risposta al test che aspettava, la
prese e la mise con le altre.- io vado. –disse, un po’ fredda.- ma… se…-
sussurrò, poi.- se hai bisogno di parlare.. puoi contare su di me, lo sai.-
-certo! La grandissima
filantropa amica e gentile con tutti!- la prese in giro Robert in un tono che
la lasciò a dir poco allibita. Moltissime volte capitava che tra di loro si
lanciassero frecciatine taglienti, prese in giro e robe varie. Anzi, Chase era
quasi un habitué in queste cose, amava sottolineare sempre il suo aspetto
puntiglioso, filantropo e i suoi numerosi punti deboli come l’empatia che
provava per House.
Ma adesso era diverso.
Il tono del suo collega era
proprio cattivo.
Scosse la testa e senza
proferire parola uscì velocemente dal laboratorio.
Chase la osservò uscire, ancora
più arrabbiato di prima. Non poteva passarla liscia in questo modo. Si alzò di
scatto pure lui, ignorando il test lasciato a metà e si diresse al suo seguito,
rincorrendola quasi, nei corridoi. – che c’è, scappi?- le gridò dietro, quasi,
quando l’ebbe raggiunta.
-Chase, abbassa la voce.- lo
rimproverò la ragazza con voce tagliente e bassa mentre i due ormai camminavano
spalla a spalla lungo il corridoio che li avrebbe portati nell’ufficio di
House.
-si può sapere che diavolo ti
prende?- gli domandò la ragazza, sempre più incredula dell’atteggiamento di
Robert.
-ah, ma come ho fatto a non
squadrarti dall’inizio.. – proseguì con il suo ragionamento, Chase.- ora ho capito
chi sei veramente, dolce Cameron.-
i due arrivarono all’ufficio e
vi entrarono con un passo piuttosto cadenzato.
Fortunatamente era vuoto non
c’erano né House né Foreman. –che.. che vuoi dire?- domandò la ragazza che
iniziava a pentirsi di avergli anche solo rivolto la parola.
-tu.- disse indicandola.- tu,
sempre con quell’aria da saputella e al contempo sempre gentile, sempre buona,
tu sei solo una persona doppia e calcolatrice! Adesso che sei arrivata dove
volevi sei felice, no?-
Cameron fece un lungo sospiro.-
non so di che cosa tu stia parlando.-
Robert scoppiò in una risata
nervosa.- vediamo se hai il coraggio di negarlo.. eppure dovresti vantarti
della tua conquista, dopotutto è da quando hai messo piede in quest’ospedale
che non aspetti altro!-
-ma.. altro che?- domandò la
giovane che davvero iniziava a perdere i fili del discorso.
-tu e House.- disse,
freddamente.- ci sei riuscita, finalmente, a portartelo a letto.-
Cameron rimase ghiacciata, di
sasso.- non so di che parli, Chase.-
-andiamo, si vede lontano un
miglio! Non avete nemmeno più il pudore di aspettare la fine della giornata, vi
trovate a formicolare pure in bagno!- urlò, così forte che alcune infermiere,
passando davanti all’ufficio rallentarono il passo, come a vedere che diavolo stesse
accadendo.
-ti ho detto di abbassare la
voce!- esclamò Allison, allibita.- e poi non ti permetto di…-
-si, presto potrai permetterti
tutto quello che vuoi, Cameron. Come la donna di House, potrai fare carriera..
anche se mi domando perché proprio House…- Chase finse di essere riflessivo.-
infondo avresti potuto puntare Vogler.. in quel caso si che avresti affrettato
i tempi, con House sarà un po’ più lungo il periodo di attesa….-
in quell’istante entrò Foreman,
agitato.- ma che diavolo succede qui?- domandò appena la porta alle sue spalle
fu richiusa.- si sentono le urla fin dall’altra parte del piano!-
Foreman si girò verso Cameron
che, ammutolita, non sapeva proprio cosa dire.
Eric notò il suo stato di
confusione, i suoi occhi lucidi, le sue guance leggermente arrossate e capì
immediatamente che la causa di tutto quel trambusto fosse da ricercare in
Chase. Si voltò verso di lui.- allora?-
-ma no, niente, Foreman..-
sussurròCameron prima che Chase
potesse rispondere. –è una sciocchezza..-
-figurati.- intervenne Robert,
pieno d’astio.- stavamo ricapitolando la scalata al potere di Cameron..-
-Cameron va a scalare?- la voce
ironica e divertita di House interruppe bruscamente quella conversazione. Era
appena entrato e nessuno aveva osato dire nient’altro.L’uomo si voltò verso la giovane.- non
pensavo ti piacessero gli sport estremi..-
-che cos’è questa storia?-
domandò Eric, ignorando palesemente l’arrivo del loro capo.
Chase incrociò le braccia.- ah,
niente di interessante.. solo stai attento, la Cuddy ha molta fiducia nei tuoi
confronti , prima o poi Cameron potrebbe ritenere opportuno portarsi a letto
anche te.-
Questo era veramente troppo.
Aveva provato con tutte le sue forze a cercare di non dar peso alle sue accuse,
di non prendersela, di non lasciarsi coinvolgere.. di giustificarlo,
addirittura, davanti a Foreman.
Ma adesso era veramente troppo.
-basta!- urlò, faticando a
controllare che la propria voce non tremasse come una corda di violino.
Ma non ci riuscì. Gli occhi le
si riempirono di lacrime e dovette stringere forte i polsi, mentre le guance le
si arrossavano dalla rabbia e al contempo dall’umiliazione di doversi far
vedere in quello stato dai suoi colleghi. –come ti permetti??- continuò.- tu
non puoi giudicarmi, tu non sai niente di me! Nessuno mi conosce veramente qui,
nessuno!!!!!!-
Poi, di fronte allo sguardo
attonito di Foreman e House avanzòed
uscì velocemente dall’ufficio.
Chase sospirò e si passò una
mano sulla fronte.
-ma sei fuori di testa?- lo
rimproverò Eric, ancora incredulo che tutto fosse realmente accaduto.
-fuori di testa dalla gelosia,
forse?- ipotizzò House con un sorriso intrigato.
Chase grugnì di protesta poi
anche lui uscì velocemente dalla stanza.
-è vero quello che si mormora in
giro?- chiese Wilson con uno sguardo tra il divertito e il curioso. –che Chase
ha fatto una scenata a Cameron?-
House grugnì ed iniziò a
giocherellare con il bastone, cambiando lentamente posizione e aggiustandosi
meglio sulla poltrona di pelle dell’ufficio del suo amico. –Chase è un idiota.-
disse ermeticamente, puntando lo sguardo sul televisore, dove tra breve avrebbe
dovuto iniziare la sua soap preferita.
-lo prenderò come un sì.-
concluse James, andando ad alzare il volume del televisore portatile che House
aveva portato nell’ufficio dell’oncologo. –e per quale motivo avrebbe iniziato
a trattarla male, accusandola di essere andata a letto con te?-
House prese il telecomando ed
alzò il volume della televisione. Allo sguardo incuriosito dell’amico rispose,
evasivo.- se non sentiamo l’inizio chi ci capisce più niente…-
Wilson sbuffò, incrociando le
braccia. –siete andati a letto?-
House scoppiò quasi a ridere,
poi alzò di nuovo il volume, più di prima.
James soffiò e cercò di
afferrare il telecomando che, velocemente, passò di nuovo nelle mani di House,
rubandoglielo proprio sotto il naso. –ah, ah, i riflessi non sono mai stati il
tuo forte…-
-vuoi abbassare il volume?-
-vuoi stare zitto?-
-tra poco entrerà la Cuddy
furibonda! Si sente General Hospital fino in pediatria!!-
-abbasserei volentieri la
televisione, ma c’è un rumore di sottofondo che proprio non vuole saperne di
smettere e che non mi fa seguire il telefilm.- si interruppe un attimo,
fingendo di stare ad ascoltare. James rimase in silenzio. –ah, ora è finito.-
sorrise House, mettendo mano al telecomando e abbassando il volume fino a farlo
tornare ad un livello accettabile.
L’oncologo lanciò uno sguardo di
sottecchi all’amico e finse di interessarsi alla tv.
A volte Greg lo preoccupava. Era
davvero così indifferente a tutto quello che succedeva intorno lui? Era davvero
indifferente a Cameron? Il fatto che Chase l’aveva aggredita ipotizzando una
loro relazione non lasciava di stucco anche lui? Possibile che non gliene
importava niente?
No, era evidente che non era
così. Eppure voleva che gli altri lo credessero, sempre e comunque.
La pubblicità arrivo presto e
Wilson prese la palla al balzo, si alzò e andò ad abbassare il volume - ora
possiamo parlare?-
-aaah.. ma se ci tieni tanto
perché non lo vai a chiedere direttamente a Cameron? Io che ne so!-
-ti ho chiesto se siete andati a
letto insieme, questo forse dovresti saperlo pure tu.-
House distolse lo sguardo. Non
sapeva perché ma una parte di se avrebbe tanto voluto che fosse successo. Forse
era solo astinenza o forse…no, meglio
archiviare questi pensieri. Cameron era bella, bellissima. Ecco cos’è che lo
portava a pensare che sarebbe stato bello poterci essere andato insieme. Niente
di più.
Lo avrebbe pensato di qualsiasi
altra bella donna.
-no.- disse quindi, sospirando , alzandosi dalla sedia e
dirigendosi verso l’uscita. –beh, non sei contento? Hai la tua risposta, adesso
dormirai meglio?-
Wilson fece un evidente gesto
d’irritazione.- Chase però crede di sì..-
-quante volte devo dirtelo che è
un idiota?- esclamò Greg mettendo mano alla maniglia. -e comunque, non credere,
mi sono chiesto anch’io perché abbia fatto tutta quella scenata..- sospirò, con
uno sguardo intrigato.- sono proprio curioso di vedere dove vuole arrivare…-
-forse dove non hai il coraggio
di arrivare tu.-
House rimase un po’ toccato da
quelle parole. Ma ovviamente non lo diede a vedere.
-adoro quando fai lo psicologo,
sei così sexy!- esclamò prima di uscire dall’ufficio, chiudendosi la porta alle
spalle.
Jimmy restò solo, con uno
sguardo misto tra il divertito e il rassegnato.
Il terrazzo era davvero un luogo
rilassante.
Deserto, silenzioso. Perfetto.
Adesso capiva perché House si rifugiava spesso lì. Allison si appoggiò al bordo
del grande terrazzo del tetto e puntò lo sguardo all’orizzonte, in un punto imprecisato.
Che mal di testa.. si passò una
mano sulla fronte, poi tra i capelli, scompigliandoseli un po’.
Il vento le passò tra i capelli,
mettendoglieli in disordine.
Era triste, ferita.
Stanca.
Terribilmente stanca.
Le parole di Chase le risuonavano
in testa come una canzone ascoltata troppe volte, come una sentenza di morte e
si mischiavano a quelle che House le aveva rivolto la sera passata
intrecciandosi a loro volta con il discorso del medico. Sospirò.. perché le
stava accadendo tutto questo? Il suo sguardo si concentrò istintivamente sul
cielo, limpidi e silenzioso.
Nessuna risposta. Ovviamente, si
disse.
La sua vita stava lentamente
andando a rotoli.
Quella lavorativa, quella
affettiva, e anche la sua salute a quanto pare iniziava a zoppicare..
Perché niente sembrava andare
come avrebbe dovuto? Si coprì il viso con le mani.
Era talmente concentrata nei
suoi problemi che non si accorse nemmeno che qualcuno era uscito sul terrazzo e
che la stava osservando, silenziosamente. Percepì la sua presenza solo quando
l’intruso ebbe il coraggio di parlare, quindi solo parecchi minuti dopo.
-questo posto inizia a diventare
affollato…-
Cameron si voltò, incredula che
si trattasse realmente di chi pensava. E invece sì. House, davanti a lei.
Il solito House, serio,
apparentemente indifferente, con quel ghigno cinico e sadico dipinto in viso.
Sorrise.
– già.- disse semplicemente.- ma si sta bene qui..-
-lo so.-
continuò l’uomo, un po’ scocciato.- si stava bene. Adessoè peggio di una corsia d’ospedale.-
Questo
le strappò un sorriso. Non seppe dire se Greg l’aveva fatta ridere
appositamente. Ma non le importava saperlo in quel momento, l’importante era
che lui fosse lì, adesso.
Si
appoggiò al parapetto del terrazzo e restò ad osservarlo per qualche istante
esattamente come fece lui, appoggiato al suo bastone.
Fu di
nuovo House ad interrompere il silenzio.
-simpatico
Chase, oggi..- iniziò con un tono piuttosto vago.
Allison
distolse lo sguardo.- non ne voglio parlare.-
Greg
sbuffò e si avvicinò a lei,con i suoi passi claudicanti ed iniziò a guardare il
parcheggio sottostante, molti metri più in giù.
-ah,
eccolo.- disse indicando con lo sguardo la piccola figura bionda di una ragazzo
che si avviava verso la sua auto. Si voltò di nuovo verso Cameron.- è inutile
che mi guardi così, non posso darti niente da tirargli.. e toglitelo dalla
testa, il bastone non si tocca.-
Allison
non voleva ma rise di nuovo. Risse di gusto, forse anche troppo, in realtà.
House la
fissò intensamente mentre lei rideva di quella battuta, in realtà, nemmeno
troppo simpatica.
Ma si
sforzava di ridere, di apparire, di sembrare rilassata. Si vedeva. – se non hai
voglia di ridere non devi farlo per forza.-
Cameron
si calmò un po’- ma.. io ..- faticava a parlare.- io..-
-piangi,
Cameron.- House si morse la lingua. Stava per dire Allison. – piangi.- il suo
tono era rassicurante, protettivo quasi.
La
ragazza continuò a ridere ma questa volta le sue risasomigliavano più a dei singhiozzi. Ben presto gli occhi le si
riempirono di lacrime che lentamente iniziarono a scivolarle sulle guance
bagnandole la pelle.
Era come
se non avesse più il controllo di se, non riusciva a frenarsi, non poteva più
impedirsi di piangere.
Greg la
osservò piangere, con le mani a proteggersi il viso. Era scossa e non solo per
quello che le aveva detto Chase anche se ovviamente, le parole del suo collega
l’avevano turbata parecchio.
Lei.
Così forte eppure anche profondamente, totalmente, fragile. Sentì qualcosa,
dentro di se, all’altezza dello stomaco, come un peso, un magone.
E questa
volta non aveva mangiato alla mensa.
Senza
pensare, senza riflettere, si avvicinò un po’ a lei. Avrebbe voluto
abbracciarla.
Dio,
quanto lo desiderava.
Ma non
poteva.
Lentamente,
le appoggiò una mano sulla spalla. Sperando quasi che non se ne accorgesse.
E invece
Cameron smise improvvisamente di singhiozzare e fissò stupita, incredula,
l’uomo che le si era fatto improvvisamente così vicino. Non riusciva quasi a
crederci. Era poco ma era un piccolo segno del suo.. affetto…?
No, forse
le faceva solo pena. Fatto sta che quando improvvisamente le lacrime tornarono
a premere sulle palpebre e poi di nuovo a scorrere lungo le sue guance si
appoggiò a lui, posando il viso sulla sua spalla, evitando bene di abbracciarlo
ma restando semplicemente così. Appoggiata al suo torace, a contatto con il suo
cuore.
E con la
sua mano ancora appoggiata alla sua spalla.
House
sentì qualcosa di imprecisato, di nuovo. La tentazione di abbracciarla stava
diventando quasi insopportabile.
-forse è
meglio che vada…- sussurrò poi.
Allison
si calmò e, seppure a malincuore, si staccò da lui. –scusami.-
Lui
annuì e se ne andò velocemente, senza dire altro.
Ciao a
tutti!!! Ecco postato il settimo capitolo della storia.. spero che vi piaccia e
comunque vada, spero che mi farete sapere cosa ne pensate lasciandomi una
recensione…
Ringrazio di
cuore le persone che hanno commentato il precedente capitolo cioè: Apple , Liserc , irene!!, Giu_chan eDana !!! GRAZIE MILLE!!!!
Grazie a
tutti!!!
Un bacio,
Diomache.
This shouldn't happen again
“this
shouldn't happen again”
“Do you think I want it to?”
Chapter seven: A Dangerous way (part I)
Un idiota.
Ecco che cos’era.
Un idiota.
Come aveva potuto dirle certe cose? La rivedeva ancora,
con gli occhi spalancati, la bocca socchiusa, l’espressione allibita. L’aveva
ferita, indubbiamente.
Non
sapeva nemmeno perché le aveva detto certe cattiverie.
Solamente
all’idea che lei e House stessero insieme gli era venuta una rabbia così grande
che a stento si era controllato. Le aveva detto cose insensate e che non
pensava minimamente. Cameron non sarebbe mai stata capace di raggirare una
persona, a volte non era nemmeno capace di mentire a un paziente, poteva
portarsi a letto qualcuno per interesse?
Aveva
esagerato, aveva scaricato tutta la sua rabbia su di lei.
Già, ma
rabbia per che cosa alla fine? Infondo lui che diritto aveva di mettere il naso
nella sua vita privata? Erano stati a letto insieme.
Punto.
Questo
non implicava assolutamente che lui doveva sentirsi.. tradito, infastidito,
arrabbiato…all’eventualità che lei e House avessero avuto un’esperienza simile.
Assolutamente
no. Ma allora perché provava questi sentimenti?
Perché si
era sentito quello stupido magone allo stomaco quando li aveva visti uscire dal
bagno, perché la stava aspettando sotto casa adesso?
Si,
d’accordo, voleva chiarirsi con lei, ma avrebbe potuto aspettare anche domani.
E invece
no. Voleva parlarle, voleva poter stare un po’ con lei, anche si trattasse di
qualche secondo, senza House che girovagava per i corridoi e, purtroppo, per i
pensieri della giovane.
Lei
dolce, bellissima, persa dietro ad un uomo chiuso, misantropo, odioso.
Non
riusciva a capacitarsene.
I suoi
occhi azzurri si soffermarono un istante sul quadrante del suo rolex d’oro. Le
nove.
Sarebbe
dovuta arrivare a momenti. Sospirò e si appoggiò allo sportello della sua
costosissima auto nera, incrociando le braccia. Deglutì. Non sapeva cosa le
avrebbe detto.
Magari
lei non voleva nemmeno parlargli. Anzi, sicuramente.
E se lei
gli avesse chiesto il motivo dei suoi insulti? Che avrebbe fatto a questo
punto?
Era
impensabile evitare di risponderle, come era altrettanto assurdo spiegarle
che.. teneva a lei più di quanto credesse.
Come
poteva spiegarle che dopo che erano stati insieme lui era cambiato??
Che era
cambiato il suo modo di guardarla, che si era accorto di volerla ancora, di
volerper se le sue labbra, di poterle
ancora accarezzare i capelli?
Di
volere lei, Allison Cameron. Più di qualsiasi cosa.
Che la
voleva svegliarsi accanto a lei la mattina, che voleva portarla al cinema, al
teatro, a ballare, che voleva sapere tutto di lei?
Sospirò
per l’ennesima volta.
No, non
poteva dirgli queste cose. Avrebbe peggiorato la situazione, avrebbe rotto il
minimo equilibro che poteva ristabilire scusandosi. Sicuramente non poteva
parlarle, ma non poteva nemmeno mentire a se stesso. Ormai ne era certo.
Aveva
avuto questa certezza dalla mattina successiva di quella notte strana ed
ossessiva.
Quando
si era svegliato accanto a lei e l’aveva vista dormire, quando, i giorni
successivi, si era svegliato solo nel suo letto e si era sentito desolato.
Vuoto.
Quando
aveva capito che la compagnia di un’altra ragazza non l’avrebbe mai sostituita,
né placato quel vuoto che sentiva dentro.
Allora
l’aveva capito, purtroppo.
L’amava.
Cameron
parcheggiò l’auto sotto casa, con qualche difficoltà. Il motore di quel dannato
catorcio ultimamente faceva i capricci e s’ingolfava spesso. Prese la borse e
scese velocemente, senza accorgersi minimamente del ragazzo che l’aspettava,
pazientemente, sotto casa.
Se ne
accorse troppo tardi, quando tornare indietro era impossibile e fingere di non
averlo visto equivaleva a recitare la parte dell’immatura adolescente. Eppure
se Chase non l’avesse vista avrebbe fatto volentieri la parte della ragazzina,
pur di non parlare con lui.
Ma
Robert l’aveva vista ormai.
La
fissava con i suoi occhi color del mare, un po’ in trepidazione.
Sospirò
e camminò celermente verso il portone del condominio, cercando quasi di
ignorarlo, nella vana speranza che lui non fosse lì per lei. Ma Chase, come
previsto, le sbarrò la strada, dicendo. -Cameron, ti prego. Voglio parlarti.-
La
giovane lo guardò freddamente.- non hai finito? Vuoi forse insinuare che mi
sono portata a letto Wilson per chissà quale altro scopo?-
Il
ragazzo sospirò, ed abbassò lo sguardo.- mi dispiace.- disse semplicemente,
cercando di evitare i suoi occhi severi. Allison negò leggermente con il capo.-
no, non credo.- sussurrò.- nessuno mi aveva mai offeso tanto in tutta la mia
vita.-
Robert
si avvicinò di qualche passo, facendosi molto vicino. – non so cosa mi è preso,
davvero.- la fissava intensamente negli occhi e per un istante Allison perse la
sua sicurezza, sentendosi inevitabilmente un po’ a disagio. Distolse lo
sguardo.
Gli
occhi di Chase le trasmettevano qualcosa di imprecisato, ma qualcosa di molto
intenso, sicuramente. Aveva uno sguardo profondo.. stranamente profondo. Ed era
vicino.
-dimmi
almeno perché?- continuò la ragazza.- dimmi che ti ho fatto per meritarmi una
scenata del genere? Se involontariamente ho..-
-no.-
l’interruppe Chase anche con un tono piuttosto scocciato.- no, tu non centri
niente, perché devi sempre pensare che sia colpa tua?- domandò, anche un po’
infastidito.
-perché
non mi so dare una spiegazione razionale a quello che hai fatto!- esclamò la
ragazza alzando anche un po’ la voce.- perché non capisco come un.. collega..
che stimavo tanto abbia potuto dirmi cose che nemmeno il mio peggior nemico…-
concluse con uno sguardo abbastanza triste. Inevitabilmente triste.
Sentirsi
certe accuse è sempre doloroso. Ma da una persona che mai nella vita avresti
pensato capace.. lo è ancora di più.
-non è
colpa tua, Cameron.- sussurrò Chase, così vicino a lei che Allison poteva quasi
specchiarsi nel blu dei suoi occhi.- la causa di tutto sono io. Non riesco ad
essere completamente lucido quando ti sto vicino.-
La
ragazza non poté evitare di sgranare gli occhi. Coosa??? Che, che diavolo le
aveva detto Chase? no, questa conversazione non doveva continuare. Non doveva
assolutamente continuare.
–devo
andare.- sussurrò Cam cercando di aggirarlo e accedere all’appartamento.
Chase la
lasciò passare, senza dire una parola. Ma prima che Allison si allontanasse
troppo la prese per un braccio e l’attirò a se.
Unì le
sue labbra con le sue, prendendole il viso con la destra, delicatamente come
una carezza. Si distanziò subito dopo, fissandola intensamente negli occhi.
Lesse lo stupore e l’incredulità nelle sue iridi chiare ma non se ne curò
troppo.
Era
quello che voleva, voleva baciarla, a qualsiasi costo. Anche se si era trattato
di un piccolo contatto, anche se lei non aveva dimostrato partecipazione, anche
se ora appariva così stupita, lui si sentiva bene. Doveva farlo.
–a
domani, Allison.- le sorrise prima di dirigersi velocemente verso la sua auto
nera, lasciando la ragazza sola, con il suo stupore.
House
era di un umore pessimo quella mattina, ancora peggiore di tutti gli altri
giorni.
Il suo
antidolorifico, il suo amato vicodin, si era fatto attendere più del previsto,
e –al diavolo, che pensassero quello che diavolo volevano Wilson e la Cuddy.-
aveva fatto una scenata enorme al farmacista, perché glielo facesse avere il
più presto possibile.
A quel
punto era arrivato quasi subito ma ormai la giornata era compromessa, una
giornata che si prospettava peggiore del solito. Stava quasi per entrare
nell’ascensore quando un vecchietto che a stento si reggeva in piedi lo fermò
con aria supplicante.
-…la
prego la prego mi aiuti…-
Gli
occhi freddi di House si concentrarono su di lui quasi con ironia.
-no, ha
sbagliato, la madonnina è da quella parte, può chiedere un miracolo laggiù.-
L’uomo
rimase interdetto qualche secondo poi riprese.
-ma non
è lei il dott House?-
-quell’antipatico?
Ma per carità!!!-
-beh, sa
dove è? Mia moglie sta male e io non so cosa farle!!! Ha quasi 94 anni e questa
mattina non ha fatto altro che rimettere, poi è svenuta!-
House lo
guardò, quasi stupito. - quanti anni ha detto che ha?-
-94!!!-
rispose l’uomo, con fervore giovanile. -allora?? Che cosa dovrei fare??-
-chiami
un prete!- rispose House spingendo il numero due e lasciando che le porte
dell’ascensore si chiudessero velocemente, lasciandofuori il povero vecchietto che sussurrò un -ma..- appena
percettibile che House non sentì nemmeno.
-House!-
Foreman passava di lì in quegli istanti giusto in tempo per godersi la scena
dal vivo.
Sbuffò,
pensando che probabilmente quell’arcigno del suo capo lo aveva visto sin
dall’inizio e aveva voluto appiopparglielo di proposito. Il vecchietto si girò
subito verso di lui.
-è lei
il dottor House?-
Eric
sospirò per l’ennesima volta.- venga pure con me..-
Gregory sorrise, mentre varcava
le porte del suo ufficio, stranamente vuoto quella mattina.
Meglio, non gli andava di sentire
la voce fastidiosa di Chase o di vedere gli occhioni verdi di Cameron. Ibellissimi occhioni verdi di Cameron.
Negò con il capo, mentre
constatava che la ragazza non era ancora arrivata. Strano, per una maniaca
della precisione mezz’ora di ritardo poteva significare parecchio.
Si preparò una bella tazza di
caffè, cosa che avrebbe dovuto fare Cameron, ed iniziò a sorseggiarla
lentamente mentre la sua mente fantasticava sui motivi che potevano aver
indotto la ragazza a ritardare e quindi, a costringerlo a prepararsi il caffè
da solo. Ipotizzò il traffico, la sveglia che non aveva suonato, ma sembrava
essere tutto troppo banale.
Troppo banale per una persona
complessa come Cameron.
La sua mente viaggiò al giorno
prima, ai suoi singhiozzi, sul terrazzo.Ai suoi occhi preoccupati e, poi, velocemente, al suo malessere che
l’aveva portata a rimettere nel bagno delle donne.
Cos’è che gli aveva detto? Ah si.
Effetti collaterali delle medicine.
Interessante.
Uno sguardo intrigato si dipinse
sul volto del genio della diagnostica del New Jersey. Gli aveva detto la verità
oppure ancora una volta il suo postulato ‘everybody lies’ si era confermato
nella sua più grande autenticità? Qualsiasi cosa, ne voleva sapere di più. Posò
la tazza sul tavolo, fregandosene di quello che avrebbero pensato i paperotti
–quando sarebbero arrivati.- non trovandolo.
Attraversò il corridoio e chiamò
di nuovo l’ascensore, con una certa impazienza. Si chiese da dove venisse tutta
quella curiosità. Ma non ebbe il tempo di rispondersi perché le porte
dell’ascensore si aprirono lentamente e comparve Wilson che, con un sorriso un
po’ sorpreso, salutò il suo amico. -ehi, ciao..-
-fermo lì.- Lo ammonì Greg
alzando il bastone e puntandolo sul petto dell’amico. -devi andare al quarto,
vero?-
-no. Devo uscir..-
-ah, mi piace quando siamo
telepatici. Anch’io devo andare lì.- House entrò nell’ascensore sotto lo
sguardo incuriosito di Jimmy e con il bastone pigiò il 4 dell’ascensore.
Seguirono attimi di silenzio,
attimi in cui l’oncologo studiò lentamente quel pazzo di Gregory House. Poi,
esclamò, incuriosito.
-allora?-domandò Wilson, mani ai
fianchi.
-allora cosa?-
-allora perché mi tieni segregato
qui dentro? -
-devi andare a malattie
infettive, no?-
-House.- esclamòinfine James, con uno sguardo rassegnato.
Greg distolse un attimo lo
sguardo. –secondo te chi è che tiene in cura Cameron?-
Wilson aggrottò la fronte.- vuoi
dire per il trattamento post esposizione?-
-già.- rispose l’altro iniziando
a picchiettare il bastone per terra come fosse un cronometro.
Wilson sorrise sfoderando
un’espressione un po’ maliziosa. –e perché lo vuoi sapere?-
-qui le domande le faccio io.- lo
interruppe Greg con un tono burbero da commissariato.- potrebbe essere il
giovane e aitante Gorge White oppure il vecchio e serioso Harmelt?-
Wilson negò con il capo.- e che
vuoi che ne sappia io!-
-mi affido al tuo intuito.-
rispose Greg con un sorriso intrigato. – sei così sensitivo…-
-ma a che ti serve saperlo? Tanto
non ti dirà niente, è coperto dal segreto professionale, te ne sei scordato?-
il silenzio dell’amico fu molto eloquente.- aspetta aspetta.. non mi dire che
vuoi fare come con Stacy? Vuoi frugare tra le sue cartelle cliniche?-
-cosa? Il vecchio e serioso
Harmelt?- esclamò retoricamente il diagnosta.- buona idea.-
Le porte dell’ascensore si
aprirono in quell’istante e House ne approfittò per tagliare velocemente la
corda. Wilson lo seguì a ruota.
-House, non puoi farlo! È
illegale e poi non ti porterà a niente!- lo prese per un braccio,
costringendolo a fermarsi. Greg si voltò con un’aria palesemente scocciata.
L’oncologo riprese,
pazientemente. – vai da lei, e chiedigli come sta.-
-non posso. Non è ancora
arrivata.- l’espressione infastidita dell’amico lo costrinse a lasciar stare
con il sarcasmo.- non se ne parla.-
Wilson sembrava sempre più
allibito.- ma perché eviti il contatto umano con le persone come se fosse la
peste?-
House sfoderò uno sguardo molto
attento. –le persone mentono. Le cartelle cliniche un po’ meno- disse infine
voltandosi velocemente e dirigendosi verso l’ufficio di Harmelt.
Wilson lo osservò per qualche
istante, poi sospirò e negando con il capo se ne tornò, rassegnato, al suo
lavoro.
Mentre attraversava i corridoi le
parole di Wilson gli rimbombavano nelle orecchie. Certo, avvenne potuto andare
da Cameron e parlargli. Non era certo che lei gli avrebbe mentito, magari si
sarebbe sfogata con lui. Ma non poteva farlo.
Andare da leisignificava ammettere di essere preoccupato
per la sua salute, significava dover giustificare per l’ennesima volta la sua
curiosità. E non voleva. Non poteva.
Forse perché non aveva nemmeno
lui un motivo valido per giustificare quello che stava facendo e appigliarsi
alla sua proverbiale curiosità, ormai, non bastava nemmeno a lui come
motivazione.
Forse perché aveva paura.
Aveva paura di come avrebbe
reagito Cameron di fronte al suo interessamento, di quello che avrebbe potuto
pensare. Di come avrebbe potuto illudersi. Sempre contando che lei provasse
ancora qualcosa per lui.
La voleva.. proteggere…? Forse.
O forse, semplicemente, era solo
un maledetto bastardo incuriosito dal suo essere complicata, dai suoi segreti.
Scosse lentamente la testa
dandosi dello stupido. Non aveva tempo adesso di farsi quelle domande insensate.
Doveva trovare un modo per
intrufolarsi nell’ufficio di Harmelt e sfilargli sotto al naso la cartella
clinica di Cameron.
Si fermò improvvisamente in mezzo
al corridoio, con un sorriso vittorioso dipinto in volto.
Ecco on-line
l’ottavo capitolo… ringrazio sinceramente Giu_chan , Apple ,irene!! , Dana ed hikaryche seguono la mia storia e mi danno la spinta giusta per
andare avanti..naturalmente un bacio
anche a tutti coloro che leggono senza recensire.. con la speranza che invece
inizino a farlo molto presto!!!!
Un bacio!!!
Diomache.
This shouldn't happen again
“this
shouldn't happen again”
“Do you think I want it to?”
Chapter eight: A Dangerous way (part II)
L’infermiera usciva in
quell’istante dall’ufficio del dottor Harmelt, richiudendo velocemente la porta
e annunciando che sarebbe ripassata tra una decina di minuti.
Accidenti.
Greg aggrottò la fronte.
La donna si appoggiò alla
piccola hall del quarto piano e iniziò a conversare animatamente con la
caposala.
House fermò un’infermiera che passava di lì, con
un’espressione poco promettente dipinta in volto. –si?- domandò questa,
incuriosita.
-scusi mi sa dire come si chiama
quell’infermiera lì?- allo sguardo un po’ ammonitore dell’interlocutrice andò
avanti, dicendo.- siete a centinaia non pretenderà che mi ricordi i nomi di
tutte!-
la donna sospirò. Sapeva
benissimo che il dottor House non sapeva nemmeno il nome dei suoi pazienti. –
Camille..-
-Camille.- ripeté House,
attento.- bene.-
La donna scosse il capo,
rinunciando anche solo a chiedersi perché gli servisse quell’informazione.
House si avvicinò alla sua
piccola ed ignara preda.- ehm, Camille?- esclamò, con fare noncurante. La donna
lasciò perdere la caposala e si concentrò sul dottore.
-si?- domandò, un po’ stupita di
vedere il dottor Gregory House girovagare per il quarto piano.
-devo chiederle un favore,
sarebbe così gentile da recapitare un messaggio al dottor Harmelt?-
domandò candidamente.
L’infermiera rimase un attimo interdetta poi annuì, un po’ esitante.-va bene.. che devo dire?-
-le dica che il dottor Wilson ha
un bisogno urgente del suo consulto. E se si può trovare tra circa… mm.. due
minuti, nel suo ufficio, tutto chiaro?-
Camille annuì energicamente.-
come vuole dottore.-
-bene. La ringrazio.- sorrise un
po’ diabolicamente poi la sorpassò e vi avviò placidamente per il corridoio ben
coscio di essere sotto lo sguardo un po’ insospettito della donna. Svoltò
l’angolo e fu fuori dalla sua portata visiva.
Camille terminò il suo discorso
con la caposala poi si recò nuovamente nell’ufficio del dottore. Ignara che un
paio di iridi azzurre come il cielo la osservavano con attento interesse.
Un sorrisetto soddisfatto si
dipinse sul volto di House non appena, da dietro la colonna, vide uscire il
vecchio ed inconsapevole Harmlet dal suo ufficio, camminando a passo svelto.
Per un attimo, un piccolissimo
attimo il suo pensiero corse a Wilson.
Sorrise, sadicamente. Già lo
immaginava, aggrottare la fronte, iniziare a balbettare che lui non aveva
chiesto nessun genere di consulto, che si scusava che non sapeva come fosse
potuto accadere un equivoco del genere.. oppure avrebbe inventato un consulto
last minute da applicare ad un paziente immaginario?
No, non era molto da Wilson. Qui
il vero esperto di bugie era lui, Jimmy era solo un apprendista, se la cavava
abbastanza con quelle extraconiugali ma quando si trattava di improvvisazione
era decisamente scadente.
Camille ritornò a qualche altra
misteriosa occupazione e House con l’aria di un bimbo che si è sperduto nel
bosco, ripercorse il corridoio con un sorriso angelico e sognante.
Giunse fino alla porta del
famigerato ufficio e con una naturalezza quasi spaventosa, l’aprì.Stava per entrare quando la gracchiante voce
di quella.. come si chiama, di quella Camille, lo interruppe ad un passo dal
traguardo. –ma dottore…?- esclamò la donna.
Greg roteò gli occhi e si girò
con un sorriso ironico.- ah Camille, com’è efficiente!-
La donna sorrise, sinceramente
convinta di aver ricevuto un complimento.- ma.. che fa?-
-è difficile da dire.- rispose
House, pensieroso.- di solito quando qualcuno apre una porta dovrebbe poi
varcarla ma..-
-e perché deve entrare
nell’ufficio del dottor Harmelt? Lui non c’è, se l’è dimenticato che è andato
dal dottor Wilson?-
Greg sorrise. E se Camille non
fosse stata tanto stupida, si sarebbe accorta di quanto perfido era quel
sorriso.- sa, non mi sento molto bene. Vorrei che mi visitasse.-
L’improvvisazione. Quella era
arte. Altro che le cavolate, per quanto articolate,che James rifilava alla moglie, quella era roba da neonati, in
confronto.
-lei vuole farsi…. Visitare…. ?-
-anche i dottori stanno male. O
crede che dopo 11 anni di medicina siano diventati immuni?-
Camille esibì uno sguardo un po’
incerto e House proseguì.- quindi, se non le dispiace, lo aspetto in ufficio,
prima che si presenti qualche paziente.- non diede tempo all’infermiera di
replicare, si chiuse letteralmente la porta alle spalle, lasciandola fuori.
Aveva perso sin troppo tempo. E
Harmelt, furioso e scocciato per quel finto consulto, non sarebbe arrivato
troppo tardi.
I suoi occhi attenti si
focalizzarono sull’ambiente un po’ angusto di quell’ufficio serio e vecchio
quanto il dottore che vi lavorava.
Al lavoro.
Foreman era appena arrivato
dall’ambulatorio mentre Chase era arrivato a lavoro da pochi minuti. Robbie, il
loro paziente, era abbastanza stabile e per il momento non dovevano occuparsi
di lui, così entrambi aspettavano che House si degnasse di raggiungerli per
cercare di approfondire la malattia di Robbie approfittando del suo momento di
stasi.
-secondo te potrebbe piacerle
l’opera?- la voce di Chase interruppe il silenzio creatosi tra i due dottori.
Foreman si girò verso di lui con
uno sguardo chiaramente sprezzante. –mi sembra di avertelo già detto.-
Chase aggrottò la fronte.- no,
non ne abbiamo mai parlato..-
-e invece si.- ribatté il nero
con un fare un po’ scocciato.- mesi fa ti ho detto che era una pessima idea.-
Chase sbuffò per l’ennesima
volta.- sono cambiate molte cose da allora.-
-non credo. È ancora una tua
collega.- ribadì l’uomo mentre continuava a tenere lo sguardo concentrato
suquella cartella clinica.
-oppure sarebbe meglio il
cinema?- continuò l’australiano, come se non avesse sentito nulla di quanto
detto poco prima. Gli occhi severi del collaboratore si posarono finalmente su
di lui.
-senti, è fatica sprecata.-
disse ermeticamente, con il fare chiaro di chi vuole chiudere la questione una
volta per tutte.
Robert fece un’espressione
contrariata.- solo perché è una collega?-
-perché è chiaramente,
palesemente, innamorata di House.- spiegò Foreman, con un’aria di sufficienza.-
quindi incaponirti su di lei porterà solo a rovinare quella specie di rapporto
professionale che dovrebbe esserci, chiaro? Sono anche usciti insieme e..-
Robert lo interruppe
immediatamente.- ma è andata malissimo.-
-sono pur sempre usciti.-
-e io c’ho pur sempre fatto
sesso.-
-che cos’è, una gara a punti?-
sbottò il nero.
In quell’istante piombò
nell’ufficio Cameron, tutta trafelata, con il soprabito in mano e il fiatone di
chi ha fatto le scale di corsa perché l’ascensore sarebbe stato troppo lento.
Si vedeva chiaramente che si era
vestita un po’ di fretta: nonostante fosse impeccabile come sempreaveva i capelli completamente sciolti, un
po’ spettinati, come se si fosse dimenticata di pettinarli con cura, e
leggermente più mossi di come li aveva sempre.
Gli occhi di entrambi si
puntarono sulla nuova arrivata.
-ah, buongiorno!- scherzò Eric
con un sorriso un po’ di circostanza.
-quella stupida macchina, la
odio!- esclamò Cameron appoggiando la borsa sul tavolo ad un passo da Chase
che, naturalmente, non le aveva ancora tolto gli occhi di dosso e la fissava
intensamente.
-ti si è fermata l’auto?- chiese
Foreman, incuriosito.
-peggio, mi è andata
praticamente a passo d’uomo.- spiegò la ragazza evitando di incontrare lo
sguardo di Chase. L’avrebbe messa troppo in imbarazzo, lo sapeva.- e il mio
meccanico è in ferie. Dovrò andare avanti così per almeno un altro paio di
giorni.-
-mm, buona fortuna.- ad
interloquire era sempre Foreman.
Chase si limitava a fissarla,
contemplandola quasi. Foreman si accorse dell’apparente stato di ‘estasi’
dell’australiano e per fargli dare una bella risvegliata lo scosse con una
piccola ma intensa gomitata.
-e House?- chiese la giovane
aggrottando la fronte.
-praticamente scomparso da una
ventina di minuti.- questa volta fu Chase a rispondere.
Allison annuì, pensosamente,
evitando di guardarlo. Non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine
dell’altra sera e il suo stupidissimo bacio. -io vado da Robbie.- sentenziò
infine Allison prima di uscire velocemente dall’ufficio.
Foreman si voltò verso
l’australiano con uno sguardo piuttosto soddisfatto.- visto?-
Chase rise, quasi con scherno.-
solo perché ha chiesto di lui non vuol dire che è ancora disposta a morire per
il suo amore.-
Eric esibì uno sguardo
eloquente. E Chase riprese: -lui l’ha respinta tante volte, come fai a dire che
lei non se lo sia tolto dalla testa?-
Foreman negò con il capo,
sospirando.- House non ti permetterà di avvicinarti troppo a lei. Attento a
quello che fai. -
Chase non rispose niente.
Ma lui la voleva, ne era certo.
E non si sarebbe fermato.
Per una volta, House non gli faceva così paura.
Era tardo pomeriggio.
Le giornate si erano allungate e nonostante fossero le
sei inoltrate, il cielo, fuori dal grande ospedale, era ancora chiaro, sfumato
di un rosa confetto, molto romantico, pensò Allison mentre si trovava sola, nel
grande ufficio di House, a riordinare alcune, noiose, noiosissime pratiche
burocratiche. La giornata, nonostante tutto, era scivolata via abbastanza
velocemente.
Era riuscita ad evitare Chase in maniera quasi mirabile.
Aveva fatto coppia fissa con Foreman tutto il santo giorno e, grazie a Dio,
Robert era stato spedito da House a casa di quel pazzo di Robbie e era stato
via per un bel po’. Meno male.
Non avrebbe saputo cosa fare, cosa dire. Neanche
guardarlo negli occhi.
Era stato difficile riprendere un rapporto..
‘normale’..quando era accaduto quello
che era accaduto, e adesso era ancora più difficile perché ora, a differenza di
prima non avevano scusanti. Chase non aveva scusanti. L’aveva baciata.
Volutamente.
Questo la mandava in confusione, la faceva stare male
sotto un certo punto di vista. Non le piaceva quando le cose si facevano così
confuse, così sfumate, così tra le righe, troppi non-detti, troppi silenzi,
troppi equivoci.
Forse aveva sbagliato. Avrebbe dovuto andare da lui ed
affrontarlo ma, ancora una volta, la paura prevalse sulla sua voglia di
precisione. Forse aveva semplicemente paura di quello che Robert avrebbe potuto
dirle.
Sospirò. Il suo pensiero corse ad House.
House si era comportato in modo piuttosto strano oggi.
Perché, era mai stato normale? Si domandò, sorridendo tra
se. Però, ripensandoci, era più strano del solito. Era stato via un bel po’ e
poi, dopo una breve, brevissima, entrata in ufficio dove spiegava che doveva
scappare sia dalla Cuddy sia da Wilson per motivi non ben precisati, era
scomparso di nuovo.
Si erano dati appuntamento al bagno dei disabili del
terzo piano, tutti e quattro, per discutere di Robbie, poi li aveva liquidati
assegnando loro il lavoro che avrebbero dovuto svolgere e via, scomparso di
nuovo. Forse si nascondere davvero.
-è così che si lavora?- la sua voce ironica, sarcastica e
pungente la raggiunse in quell’istante. Greg era entrato, sorprendendola con la
mente tra le nuvole e facendola anche sobbalzare leggermente. House corrugò la
fronte.- ehi, sei di nuovo seduta sulla mia scrivania!-
Cameron sorrise, divertita. Ah eccolo. –e Wilson? Non ti
da più la caccia?-
-l’ho depistato.- sorrise l’uomo, diabolicamente quasi.-
e tu stai cercando di depistare me. Allora perché sei seduta sulla mia
scrivania?-
-perché sto facendo il tuo lavoro?- ipotizzò la ragazza,
rimettendosi china a scrivere su quelle pratiche. – e perché la poltrona è più
comoda delle sedie.- spiegò quindi sorridendo leggermente.
House grugnì, soddisfatto di quelle risposte e si diresse
lentamente verso di lei, con uno sguardo diventato improvvisamente serio. –non
credevo di trovarti qui.-
-mi hai assegnato tu questa roba da fare.- protestò lei,
senza alzare lo sguardo.
‘già’. Pensò Greg maledicendo la sua sbadataggine.
Avrebbe dovuto mandarla da qualche parte, così lui avrebbe potuto cercare con
calma nella sua borsetta. Beh, comunque, ormai il danno era fatto. tanto valeva
affrontare subito la cosa.
-Foreman mi ha detto che oggi hai avuto una specie di
mancamento..-
Allison s’interruppe bruscamente. Alzò lentamente lo
sguardo, fino ad arrivare ad incontrare quello serio e concentrato del suo
capo. Perché gli faceva quella domanda? Ah, Foreman non si smentiva mai. Era
sempre una gran boccaccia.
Sbuffò.- è stato un giramento di testa, non un
mancamento.-
-ti si è oscurata la vista?- incalzò House.
Cam alzò le spalle.- per pochissimo. Sono gli effetti..-
-bla bla bla.- l’interruppe lui.- smetti di prendere
quelle medicine.-
Allison spalancò la bocca dalla sorpresa.- cosa?-
-hai capito.- House si avvicinò all’attaccapanni, prese
la sua borsetta, l’aprì e ne estrasse i due flaconcini di pasticche.- queste le
prendo io. A te non servono.-
Cameron era rimasta basita, ad osservare il suo capo. Ma
adesso era troppo. Scattò in piedi e si diresse verso di lui, furiosa.- ma che
diavolo stai facendo?- urlò.
-questa roba.- continuò House.- ti sta rovinando. Non ti
porteranno a non avere l’HIV, non servono a niente lo sai benissimo. Se hai
l’HIV non cambieranno nulla, invece rischiano di provocarti gravi scompensi.
Gli effetti collaterali non fanno svenire ogni volta che uno si alza
velocemente o vomitare se mette qualcosa sotto i denti. Quell’Harmelt è un
incapace, ti sta intossicando.-
Allison restò ammutolita e ascoltò con il medesimo
silenzio quello che seguì.
-smetti di prenderle. O potresti ritrovarti a rimettere
due o tre volte a giorno, più del tuo appuntamento abituale con la tazza del
wc, con conseguenze che immagini-
-ma..- fu l’unica cosa che riuscì a dire.- è un
trattamento che devo fare per…-
-èinutile.-
l’interruppe, con un accento scocciato.- continua a prenderle anche per un
altro giorno e non dovrai pensare solo all’HIV.-
Cameron chiuse
gli occhi.- ma… aspetta.- si riscosse.- tu come fai a sapere queste cose? Che
rimetto una volta al giorno che ho dei mancamenti che..-
-la tua cartella clinica.- disse, semplicemente. Voleva
evitare tutti i preliminari che aveva avuto con Stacy. Meglio andare dritti al
sodo. Allison spalancò gli occhi, incredula.- tu hai letto la mia cartella
clinica?-
-se ti può consolare ho letto anche quella della psicologa
di Stacy, ma non fare la gelosa, la tua era più interessante.-
-smettila!- sbottò, arrabbiata.- tu non dovevi
permetterti di..-
-ah, che noia, l’ho già vista questa scena! Ma perché la
gente è così ripetitiva.. -
-forse perché alla gente non va che qualcuno si intrufoli
così meschinamente nella sua vita privata, perché…-
-ma tu e Stacy avete lo stesso sceneggiatore? Siete
identiche, potreste diventare amiche!-
Cameron strinse i pugni. Si sentiva violata, scoperta.
Quella era la sua vita privata lui non aveva il diritto
di ficcanasare in quel modo!!
Non voleva fare parte della sua vita? D’accordo! Ne
stesse fuori però!
-questi sono affari miei.- sussurrò con voce irata.- e tu
devi starne fuori.-
L’uomo la guardò, con ironia –è inutile che fai la scontrosa,
tanto lo so che ti fa piacere…-
-della tua curiosità infantile non me ne faccio niente!-
gli urlò sopra la ragazza.
Greg sospirò un istante. Poi allungò la mano verso di
lei, restituendole le medicine.- tieni. Riprendile se vuoi. E ucciditi con le
tue mani.-
Allison restò qualche istante ad osservare le sue
pillole. In uno scatto d’orgoglio le prese velocemente, infilandole nella
borsetta.
- quello che faccio non ti riguarda, House. La mia vita
non ti riguarda.- si interruppe un istante.- non più.- concluse poi, con un
filo di voce.
Bussarono improvvisamente alla porta. I due si voltarono
e videro Stacy che si affacciava dall’entrata con un sorriso …
soddisfatto..?sul volto. –posso?- disse la donna, con una voce piuttosto
allegra. I due non risposero subito così disse.- ma se vi ho interrotti ripasso
più tardi, non c’è problema….-
-no.- l’interruppe la ragazza.- vi lascio soli.-
-veramente…- la voce di Stacy la bloccò.- veramente
volevo parlare con te.-
Allison l’osservò, stupita, mentre House colse la palla
al balzo per andarsene velocemente. Prima di uscire le lanciò uno sguardo
strano, sguardo che non passò affatto inosservato all’avvocato che commentò,
con un sorriso tirato.- litigato?- e allo sguardo stupito di Allison rispose.-
conosco quello sguardo. Devi averti fatto qualcosa di cui si è pentito.-
-no.- sospirò Cameron.- no, non credo che si sia pentito.
In realtà non credo neppure che abbia capito d’avermi ferita.- s’interruppe un
istante.- ma… volevi dirmi?-
Stacy sorrise a quelle parole, incrociò le braccia ed
iniziò.
-volevo parlarti di Chase.- Cam sbiancò. -perché quella
faccia? Tasto dolente?-
Cameron negò ma Stacy proseguì, con un fare piuttosto
altezzoso.- a Cuddy sono giunte voci non troppo rassicuranti sul suo conto e
sul suo rapporto con gli altri colleghi.-
-alludi a…-
-ovvio.- l’interruppe la donna.- si dice in giro che ti
abbia fatto una scenata riferendosi ad una tua possibile relazione con House e
accusandoti di opportunismo… confermi?- Allison stava per replicare ma la donna
l’incalzò di nuovo.- no, non coprirlo. È inutile, sia per te che per lui.-
-che.. che cosa vuole fare Cuddy a proposito?-domandò la giovane, lentamente.
Stacy alzò le spalle.- niente per ora. Ma voleva farti
sapere che se questo ricapiterà di nuovo dovrai informarla, senza nasconderlo
in questo modo. Non vuole teste calde nel suo ospedale.- la giovane annuì.-
vorrei che però domani passassi nel mio ufficio e.. ah, no, rettifico, domani
sarò a Baltimora con House, non ci sarò.-
Cameron aggrottò la fronte. A Baltimora? Con House??
Stacy la vide così spaesata e con un sorriso intrigato e
intimamente soddisfatto domandò.-Cameron? Va tutto bene? Ci possiamo vedere dopodomani.-
-certo.- balbettò la ragazza. Le due si congedarono
qualche istante dopo.
L’avvocato se ne andò lasciandola sola e in balia dei
suoi pensieri.
Fino ad un istante fa aveva odiato House con tutta se
stessa e adesso che sapeva che avrebbe passato tutta la giornata di domani con
Stacy.. no sapeva come sentirsi. L’unica cosa che sentiva veramente dentro di
sé era la rabbia.
Arrabbiata per quello che gli aveva fatto lui, arrabbiata
perché, ancora una volta, aveva avuto la conferma di non essere niente per lui
se non un pupazzo di pezza interessante, arrabbiata perché si era ricordata di
avere una rivale, una pericolosa rivale per il cuore di House.
E che non le venissero a dire che non doveva temerla
perché era una storia vecchia di cinque anni fa! Al diavolo il fatto che era
sposata con Mark e via dicendo, al diavolo tutto, lo sguardo di quella donna la
diceva lunga., altroché!
Come le era sembrata soddisfatta quando aveva disdetto il
loro appuntamento per palesarle che sarebbe stata tutto il giorno con House!
Non poteva dire semplicemente che non ci sarebbe stata al
PPTH?
No, aveva dovuto ribadire che sarebbe andata a Baltimora.
E con House!
Con rabbia, si avvicinò alla scrivania e prese le sue
cartelle, decisa ad andare a casa e continuare lì il suo lavoro. Stava giusto
uscendo quando incrociò sulla porta dell’ufficio Chase.
La ragazza non poté fare a meno di maledire la sua
sfortuna, ancora una volta.
-vai via?- le domandò retoricamente il ragazzo, poi, non
ottenendo risposta, chiese con un sorriso un po’ incerto.- senti ….. hai
impegni per questa sera? Ti va di..-
-no.- lo interruppe bruscamente lei, sorpassandolo e
andandosene velocemente.
Robert incurvò le sopracciglia mentre l’osservava
camminare per il corridoio.
Foreman si avvicinò in quel momento, seguì lo sguardo del
collega ed incontrò la leggiadra figura di Cameron che entrava nell’ascensore.
Sorrise e gli diede una piccola pacca sulla spalla.
Chase sbuffò.- è il secondo ‘no’ che mi rifila.- disse,
scocciato.
-non c’è due senza tre.- concluse il nero, ridendo, prima
di entrare velocemente nell’ufficio.
Chase rimase ancora qualche istante ad osservare il
corridoio da dove lei era sparita, poi, imprecando, seguì il collega.
Eccomi qua, oggi è vacanza, ho aggiornato di mattina, con
tutta tranquillità questo chapter 9.. avete visto gli episodi di ieri sera???
Ma avete visto che razza di stronzo Foreman??
Secondo me Cameron ha fin troppo autocontrollo, in primis
iogli avrei sputato su un occhio, poi
un bel calcio dove dico io non glielo levava nessuno oppure un bel ceffone così
se la leva quell’espressione strafottente dalla faccia! Che stronzo!!! Grrrrr
Per non parlare di Chase, la solita ‘bandierola vigliacca’.
(si dice dalle mie parti)
Va beh va, scusate il mio sfogo ma ci voleva proprio…
Innanzitutto vorrei ringraziare di tutto cuore le persone
che hanno recensito questo capitolo, quindi grazie a : Gulyuly, Dana, Giu_chan, irene!!, Nathaniel e Hikary !!!
Grazie del vostro appoggio e dei vostri complimenti, siete
fantastici!!! Naturalmente invito tutti a lasciarmi un commentino, critiche e..
perché no.. anche suggerimenti tutto è ben accetto!
Un
bacio!!
Diomache.
This shouldn't happen again
“this
shouldn't happen again”
“Do you think I want it to?”
Chapter nine:How is possible?
Due
giorni dopo…
La
ragazza picchiettava ritmicamente le dita sul tavolo, lo sguardo concentrato,
arrabbiato, fisso sul quella specie di pollo ammuffito, quella sottospecie di
roba commestibile che qualcuno lì dentro aveva ancora l’ardire di chiamare
carne.
Ne
infilzò un pezzo con la forchetta, imprimendogli una violenza un po’
sproporzionata rispetto a quella che doveva aspettarsi un innocuo (beh, forse
tanto innocuo no..) pezzettino di pollo.
Se lo
portò alle labbra, ma non riuscì a mangiarlo. Oltre al fatto che la ripugnava
in maniera assurda e oltre al fatto che non stava affatto bene di stomaco per
problemi suoi, si disse che non sarebbe riuscita a mandare giù nemmeno una
torta al cioccolato dopo un mese di digiuno, tanto sentiva lo stomaco chiuso,
sigillato.
Posò la
forchetta sul piatto e concentrò il suo sguardo sul vero problema della sua
giornata.
Ovviamente
lo distolse dal pollo e lo centralizzò sulla donna che, poco distante da lei,
parlava animatamente con un uomo sulla carrozzina. Eccola la vipera.
Si diede
immediatamente della stupida. Lei non conosceva Stacy non aveva il diritto di
giudicarla in quel modo, insomma ma che le stava succedendo? La gelosia per
House le toglieva completamente il senno della ragione?
Se Greg
l’aveva amata e per tanto tempo sicuramente Stacy era una donna speciale,
magnifica, forse più perfetta e magnifica di quanto lo sarebbe mai stata lei.
Forse era questo il suo problema con Stacy: lei era una rivale molto più forte
di lei. Lei era la donna perfetta, forte, determinata, e poi era stata la donna
di House. Qualcosa che lei non avrebbe mai potuto dire di sé e questa forse
sarà la sua più grande sconfitta: non riuscire a farsi amare dall’unico uomo di
cui le importi veramente qualcosa.
E Stacy,
invece?
La
rabbia l’invase di nuovo.
Erano
passati due giorni dall’ultima volta in cui le aveva parlato. Stacy aveva
parlato di un solo giorno a Baltimora, invece quanto si erano trattenuti??? Due
giorni. Doveva essere andata e ritorno, e già sarebbe stato duro da mandar giù
in questo modo, e invece adesso veniva a sapere che House e Stacy avevano
passato la notte insieme, in un albergo.
E anche
se avrebbero giurato il contrario, era pronta a scommettere che l’avevano
passata nella stessa camera. Certo, House era rimasto sempre in contatto con
loro telefonicamente, ma una telefonata è una telefonata, come avevano
trascorso il resto della nottata?
Era
successo qualcosa ne era sicura. Se lo sentiva nelle ossa, se lo aveva sentito
sin da quando Stacy glielo aveva candidamente annunciato.
Questi
due giorni per lei erano stati un incubo.
E non
solo perché il paziente che aveva affidato loro la Cuddy era un caso
particolarmente complesso ed erano riusciti a risolverlo solo con il tempestivo
intervento telefonico di Greg ma per il pensiero costante di loro due, soli,
insieme.
E anche
se ogni tanto la sua mente si liberava dallo spauracchio acido di Stacy, ci
pensavano Chase e Foreman a farle tornare la memoria, grazie alle loro
battutine, alle loro allusioni.
Ci si
divertivano quei due ad ipotizzare che cosa stessero facendo o come avessero
trascorso la notte.
Lei,
invece, ci stava male. Chiuse un secondo gli occhi ed inspirò lentamente.
Quando
li riaprì Stacy stava di nuovo parlando con suo marito, Max, prendendogli le
mani nelle proprie. Aggrottò la fronte.
Ma se
era accaduto qualcosa con House come poteva recitare così con il marito?
Come
poteva sorridergli in quel modo? Come poteva baciarlo, lanciargli sguardi
rassicuranti, con il pensiero dell’altro nella mente??
Questo
la disgustava, davvero. Lei non ci sarebbe mai riuscita. Negli ultimi mesi di
suo marito, quando aveva capito del sentimento che stava iniziando a provare
per Joe, non riusciva nemmeno a guardarlo faccia. Si sentiva sporca, sbagliata,
in colpa. E poi per cosa? Non aveva fatto niente.
E Stacy
ed House?
Questa
mattina aveva visto House. Era stato normale, acido, strafottente e strano come
sempre eppure lei c’aveva visto qualcosa di diverso. Qualcosa di piccolo ma di
estremamente anomalo che l’aveva a dir poco turbata, mandandola in confusione.
Aveva
paura. Aveva paura che davvero fosse successo qualcosa di irreparabile.
Cercò di
convincersi che se qualcosa era realmente accaduto tra di loro, era destino che
accadesse, lei non poteva farci assolutamente niente. Chissà magari era meglio
così, meglio una soluzione definitiva che questo lungo periodo di stasi e di
incertezza, magari lei finalmente avrebbe continuato con la sua vita e piano
piano si sarebbe liberata dell’amore per lui.
Ma era
difficile autoconvincersi. Altroché.
Sospirò,
alzandosi velocemente. Non poteva vivere con quel dubbio.
Doveva
scoprire cos’era successo e la testardaggine non le mancava di certo.
Il suo sguardo
s’illuminò improvvisamente e con uno scatto s’avviò verso l’uscita della mensa.
House
aveva battuto ogni record quel giorno. Si era presentato non per l’ora di
pranzo come faceva abitualmente, ma addirittura dopo pranzo! La Cuddy era
diventata una furia, l’aveva praticamente aspettato all’ingresso come un padre
aspetta il figlio che torna all’alba, con la clava in mano. Ecco, più o meno
così.
Non
aveva nemmeno avuto il tempo di inventare una balla decente che l’aveva spedito
a farsi le sue ore di ambulatorio e quando aveva cercato d’inventare che Robbie
aveva bisogno di lui, aveva urlato ancora di più. Ma non voleva che si
occupasse dei pazienti?
Bah, le
donne.
Greg, sbuffando, varcò
pesantemente la porta della sala uno, sospirando non appena i suoi occhi
azzurri incontrarono la figura di una ragazza appena ventenne e apparentemente
in buonissima salute, seduta sopra il lettino, con un sorriso a 36 denti.
House la guardò un istante, come
in trance. Poi si voltò e fece per andarsene, ma la giovane lo richiamò
immediatamente non dandogli nemmeno la possibilità di scappare.
-scusi.. lei è un dottore… ?-
House sospirò, si fermò sulla
soglia e si voltò lentamente con una chiara espressione di disappunto nello
sguardo. – lei sì che è intuitiva. In un ospedale non è facile trovarne
molti..-
-è che non ha il camice-
-sul serio?- domandò,
incredulo.- non me ne ero accorto.-
-oh che buffo, se l’ha
dimenticato!!!-
La ragazza scoppiò a ridere come
una gallinella, senza cogliere minimamente la sfumatura palesemente sarcastica
nella voce di Greg. House si passò una mano sugli occhi.
La gente è sempre più
deficiente.
-allora?- la interruppe con un
borbottio seccato.
La ragazza si calmò a fatica,
poi esordì con uno sguardo un po’ preoccupato.
-dottore non mi sento bene.-
House annuì.- mio Dio, dovrebbe
andare all’ospedale!- la ragazza lo guardò un po’ dispiaciuta e lui riprese,
palesemente scocciato.- e cosa sente di preciso..-
-è come se avessi un peso nello
stomaco…-
House si sedette, con fare
estremamente annoiato. –mm ..interessante..- mugugnò, sarcastico.-
nient’altro??-
La ragazza osservò con cura
quello strano dottore e riprese - e.. insomma non riesco a respirare..ho il fiato mozzato..-continuò mettendosi una mano sul petto e
chiudendo gli occhi.
Greg la osservò con uno sguardo
palesemente annoiato e distratto.
-mm.- mugugnò in risposta.-
dica, è innamorata per caso?- domandò appoggiando entrambe le mani sul bastone.
-oh, è così evidente??- esclamò
la ragazza con occhi sognanti e un sorriso così dolce che avrebbe schifato
persino una bambina di quattro anni. Il sorriso di House si spense
immediatamente e lasciò il posto ad un’espressione di appena sufficienza.
-allora??- chiese la ragazza
trepidante.- che cos’ho?-
House sospirò, si alzò velocemente
e si diresse verso la porta.
-ma..- tentò di opporsi lei.-
ma.. dottore.. è grave??-
House si voltò verso di lei
esibendo uno sguardo addolorato.
-più di
quanto credessi, sono desolato. Le mando la specialista, non si preoccupi, la
dottoressa Cameron sarà qui immediatamente.-
Uscì
velocemente, pensando che non avrebbe retto un altro paio di minuti in
compagnia di quella cretina esaltata per di più innamorata. Incrociò proprio in
quell’istante l’immunologa che camminava velocemente con uno sguardo serio e
determinato.
-Cameron!-
la chiamò,
notando che lei non si era nemmeno accorta della sua presenza. Allison si voltò
di scatto, come se la sua voce l’avesse quasi spaventata.- si..?- domandò.
-ho un
regalino per te.- disse con un sorriso falsamente gentile, avvicinandosi alla
ragazza che aggrottò la fronte e lo guardò con un’aria decisamente scettica.
-tieni.-
disse Greg mimando i gesti di un fidanzato innamorato quando consegna un anello
alla sua ragazza. Già, solo che lui le stava consegnando la cartella di un
paziente.
-wow.-
esclamò, sarcastica, la giovane.- ma non dovevi!- disse strappandogli quasi la
cartellina dalle mani.
-oh non
ringraziarmi, sono fatto così.- continuò l’uomo, ironico.
-non
scomodarti la prossima volta.- Allison gli sorrise sarcasticamente poi girò le
spallee si avviò verso la stessa meta
di poco prima.
Greg restò
qualche istante lì, in mezzo al corridoio, concedendosi il piacere di
osservarla, prima che svoltasse l’angolo e fosse fuori dalla sua portata
visiva.
Cameron.
Chissà
dove andava con quel piglio così determinato. Vederla così risoluta era un vero
piacere, paragonabile a quello che provava quando Allison era arrabbiata o
innervosita.
Era
incantevole vedere come aggrottava la fronte, come i suoi occhi assumessero quella
sfumatura così intensa, come stringesse la bocca e le guance che si coloravano
di un rosa più intenso rispetto agli altri giorni. Ripensò all’ultimo colloquio
che aveva avuto con lei.
Erano
passati solamente due giorni eppure erano accadute così tante cose che nemmeno
in un mese.
La sua
mente corse subito a Stacy. A quello che era successo e a quello che sarebbe
successo in avanti. Che diavolo aveva fatto? Era davvero giusto riprendere il
filo con la sua vecchia compagna?
Fino a
poco tempo prima non ci avrebbe ripensato una volta di più. Riavere Stacy non
era stato mai qualcosa di opinabile, era sempre stato qualcosa che voleva e
basta. Ma adesso?
L’altra
sera, a Baltimora. L’ipotesi che stesse sbagliando tutto non l’aveva sfiorato
nemmeno un istante. Eccetto quando aveva sentito la sua voce, al telefono. La
bocca di Stacy era ad un passo dalla sua ma la voce di Cameron lo aveva fatto..
straniare.. da quello che stava accadendo. Dopo averla sentita, aveva guardato
la donna che era con lui con un occhio.. diverso? Si, probabilmente sì. E in
quell’istante gli era sfiorato il dubbio che stesse sbagliando tutto.
Rivoleva
sul serio Stacy o il suo era stato solamente il capriccio di riaverla,
l’orgoglio perverso di riprendersela, di farla innamorare di nuovo di lui e
basta?
Mah.
Forse l’avrebbe scoperto solo andando avanti con questa sorta di rapporto.
Eppure
il pensiero che solamente la voce di Cameron aveva avuto il potere di
destabilizzarlo lo inquietava… ma che cosa rappresentava veramente per lui
quell’enigma di ragazza?
Non lo
sapeva.
Sospirò.
Non ebbe
il tempo di rispondere a quelle domande. Foreman lo riportò alla realtà,
dicendo.
-ah, sei
arrivato finalmente. Notte brava?- domandò il nero con un sorriso malizioso.
-oh
Foreman, che direbbe il tuo Dio? Sempre a fare pensieri impuri!- sbottò il
diagnosta mentre si dirigeva con lui verso l’ascensore.
Wilson
aprì la porta del suo ufficio, con estrema noncuranza. Entrò e sul suo viso si
dipinse un’espressione di puro stupore non appena notò la persona che lo
aspettava, pazientemente, seduta davanti alla sua scrivania.
Allison
alzò lo sguardo.- ciao.- disse, sfoderando un sorriso che a James non piacque
per niente.
-uh,
ciao.- rispose, un po’ vago.- come mai qui?-
Cameron
si alzò lentamente dalla sedia e si diresse verso di lui.- devo parlarti.-
Wilson
sospirò, grattandosi il mento. Sperò che si trattasse di un consulto. Ma
qualcosa, infondo agli occhi azzurri di Cameron, gli diceva che non lo era
affatto.
-dimmi
pure.- disse quindi, cercando di apparire disinvolto.
-si
tratta di House.- disse piano, la ragazza, con un’espressione seria.
Wilson
annuì. Ecco, lo sapeva.- andiamo, che ha fatto questa volta?- cercò di
sdrammatizzare, come se non sapesse già quello che era venuta a fare la ragazza
da lui.
-speravo
che me lo dicessitu.- continuò la
giovane guardandolo intensamente con un i suoi occhi ammaliatori.
James
esibì un’espressione un po’ a disagio.- Allison, sono cose personali non so
se..-
-anche
il fatto che sono andata a letto con Chase era una cosa personale. Eppure lo sa
tutto l’ospedale.-
-non
vuol dire che io debba andare in giro a dire quello che fa House con..-
-per
favore.- lo interruppe lei, sussurrando quasi. Con una dolcezza che arrivò
dritta al cuore del tenero dottor Wilson. L’uomo sospirò, sbuffando quasi. Che
situazione.
-io ho
bisogno di saperlo.- continuò Cameron, leggermente in imbarazzo.
Quanto
le costava fare tutto questo. Era un passare sopra al suo orgoglio, ma non le
importava. Doveva sapere, qualsiasi cosa si trattasse, era meglio conoscere la
verità.
–lo so
che ti metto in una brutta situazione…-
L’oncologo
annuì, osservandola lentamente. La dolce Cameron. A volte avrebbe messo la
testa di quel testone di House nel water e scaricato finché non si fosse dato
una svegliata con lei. Che scemo. L’intero staff maschile del PPTH darebbe un
braccio per poter avere le grazie della dottoressa Cameron e lui, l’unico uomo
che può dire di poterla avere sul serio… ah, il mondo va proprio a rotoli.
Comunque,
per quanto scemo, era pur sempre il suo migliore amico.- senti, Cameron…-
-fingerò
di non saperlo.- continuò lei.- non una parola uscirà dalle mie labbra, nessuno
saprà niente e… posso fare tutto quello che vuoi, qualsiasi cosa, turni in
ambulatorio, ore in più, intercessioni presso la Cuddy, analisi, consulti,
dimmi tu.-
James
sorrise e lei con lui.
Fissò il
pavimento mentre diceva.- un bacio, che io sappia.- i suoi occhi castani
spiarono la reazione di lei, poi continuò.- ma mi sembra che la situazione sia
destinata ad evolversi. Credo che vogliano iniziare una relazione.-
Cameron
pensò che se qualcuno le avesse dato un pugno allo stomaco non avrebbe fatto
altrettanto male. Annuì lentamente, balbettando un –grazie.- accompagnato da un
sorriso un po’ incerto, poi si diresse velocemente verso la porta, scavalcando
l’oncologo.
James
l’osservò andar via mestamente dal suo ufficio. Avrebbe voluto richiamarla, ma
non lo fece. Non era il caso di metterla in imbarazzo più di quanto non lo
fosse già.
Sospirò.
Chase
entrò velocemente nell’ufficio di House per prendere le cartelle che il
diagnosta stesso gli aveva chiesto. I suoi occhi notarono che Cameron non era
nemmeno lì. Ma dov’era finita?
Prese
velocemente le cartelline e si diresse verso l’uscita cercando di sbrigarsi il
più possibile per non sentire le solite lamentele del suo capo, tuttavia,
giunto alla porta, si fermò di colpo.
Il suo
sguardo focalizzò il soprabito della sua collega, appeso sull’appendiabiti,
accanto a quello suo e di Foreman.
Nonostante
il ‘no’ dell’altro giorno riecheggiasse ancora nella sua mente, si disse per
l’ennesima volta che non poteva arrendersi. Si avviò verso il proprio giaccone
e prese dalla tasca la piccola bustina rossa che aveva preparato a casa, poi
l’infilò lentamente nella tasca del soprabito di Cameron.
Sorridendo,
uscì velocemente dall’ufficio.
Gli
occhi verdi della ragazza osservarono qualche istante la sua immagine riflessa
sullo specchio del bagno delle donne. Ecco, come si era ridotta.
Negò con
il capo, poi si sciacquò di nuovo la bocca.
Aveva
rimesso, di nuovo.
Dopo
quella notizia era come se la sua nausea si fosse triplicata e non aveva potuto
far altro che rifugiarsi lì e dar sfogo a tutto il suo malessere, fisico e,
purtroppo, morale.
I suoi
occhi si riempirono un istante di lacrime ma lei le ricacciò indietro,
fermamente.
Non
voleva piangere. Non voleva assolutamente piangere.
Non era
più una ragazzina che piange alla notizia che il ragazzo che le piaceva tanto
in realtà non ha occhi che per un'altra, che diamine!
Ma che
cosa c’era in lei che non andava? Forse aveva ragione House, forse aveva
ragione Foreman, forse avevano ragione tutti.
Il guaio
stava in lei, nella sua mente. Lei troppo idealista, lei un’illusa e basta.
Illusa.
Illusa
che Chase non si fosse approfittato di lei quella notte. E invece se ne era
quasi vantato, davanti ad House.
Illusa
nel rapporto che poteva esserci tra colleghi, ma soprattutto tra quelli che
lei, nonostante tutto, definiva suoi ‘amici’. Cosa che Foreman tante volte le
aveva negato. Non c’era amicizia, solo un sottile strato d’ipocrisia. La
normale ipocrisia che deve esserci tra colleghi.
Illusa
che House potesse provare qualcosa per lei. E anche quest’ultima, fragile
illusione, era ben presto crollata.
Lei,
troppo sognatrice, troppo stupida. E si trovava sempre a soffrire, sempre. Per
un verso o per un altro.
Una
lacrima le scivolò lungo il viso.
Ma
com’era possibile?
Le
parole di Wilson le riecheggiavano nelle orecchie, come un ronzio.
Un
bacio.. una relazione..
Era
finita. House e Stacy stavano insieme. Questa volta per lei non c’era davvero
più speranza.
Anche il
suo sogno impossibile tra lei e House, come volevasi dimostrare, era
miseramente crollato, insieme a tutti gli altri.
Ciao a
tutti!!! Ecco on- line il capitolo dieci.. è un capitolo molto sofferto e
decisivo per lo sviluppo della storia.. spero che commenterete numerosi e che
non mi farete mancare il vostro appoggio.. ci conto!
Ringrazio
con tutto il cuore chi ha commentato il capitolo precedente, quindi un bacio a
: irene!!, Giu_chan, Gulyuly, Martina, Varekai, Takig, Giulietta, Nathaniel, Dana, Liserc ed Apple !! GRAZIE,
VI ADORO!!!!!
Spero che vi
piaccia,
un
bacio,
Diomache.
This shouldn't happen again
“this
shouldn't happen again”
“Do you think I want it to?”
Chapter ten:Destiny’s taste.
<>Schopenhauer
-ammutoliti?-
esclamò House osservando con un sorriso divertito il suo gruppo di medici.
Scrutò
con uno sguardo analitico i suoi collaboratori partendo dal più austero,
Foreman, testa inclinata di lato, sguardo perplesso e combattivo, quindiChase che più che altro sembrava un bambino
che si era perso in un supermercato e poi Cameron.. Cameron semplicemente era
imperscrutabile. Non poteva dire se fosse d’accordo con lui o se da un momento
all’altro sarebbe scoppiata inveendogli contro.
-è
rischioso.- iniziò Foreman osservando la lavagnetta con i sintomi di Robbie.-
ma forse è l’unica possibilità.-ammise
il neurologo con un piccolo sbuffo.
-ma se
Robbie viene a conoscenza dei rischi, difficilmente ci acconsentirà di
salvarlo.-
-è un cretino, ma capirà che è l’unico modo per curarlo
tenendo conto di quanto sia già compromesso.- ribatté Eric.
-io non
credo.- continuò Chase.- ha paura anche degli aghi, ho dovuto faticare un bel
po’ per mettergli una flebo, figuriamoci se..-
-mentre
voi vi divertite a capire chi è il più intuitivo, il paziente muore!!!- la voce
di House interruppe il loro confronto. Si mosse lentamente per la stanza,
dicendo, con un accento palesemente sarcastico:
-Test a
risposta multipla: che facciamo? A: continuiamo a parlare ed ordiamo tè e
pasticcini. B: andiamo da Robbie, gli diciamo tutto con il rischio che non si
faccia curare. C: lo curiamo senza dirgli niente e gli salviamo la vita??-
concluse con uno sguardo abbastanza divertito.
Foreman
e Chase si scambiarono uno sguardo d’assenso poi il nero disse, sospirando
leggermente.- penso che non abbiamo altra scelta.-
I due osservarono un istante
Cameron che si ostinava a rimanere fuori da quella discussione. Non era
soprappensiero o un pò distratta, semplicemente, era silenziosa, seria. Il suo
sguardo era concentrato sul suo capo e ogni tanto si spostava leggermente sulla
lavagnetta dove era impressa la lista dei sintomi del loro paziente. Attenta,
ma silenziosa. Stranamente silenziosa.
I tre paperotti si voltarono, incuriositi.
House finse di stare ad ascoltare qualcosa nell’aria. –non
vi sembra che manchi qualcosa?-
-un nuovo sintomo???- ipotizzò Chase.
il diagnosta scosse il capo concentrando lo sguardo
sull’immunologa. – avanti, Cameron, non puoi zomparmi la parte in cui tu ti
ribelli perché quello che stiamo facendo non è eticamente corretto!!!-
gli occhi di tutti si concentrarono su Allison, per qualche
istante, ma questa si limitò ad dire, scrollando le spalle.- non ho niente da
dire.-
-andiamo.- l’incoraggiò l’uomo.- il mio è un regime
autocratico ma mi diverte sentire le vostre stupide obiezioni.-
-non ho nessuna obiezione.- continuò la dottoressa con una
certa risoluzione nella voce.
House l’osservò, intrigato. –niente remore morali?-
-vogliamo perdere altro tempo?- domandò sarcasticamente
Foreman, interrompendo quel curioso scambio di battute tra i due. House gli
fece cenno di andare, così lui e Chase uscirono velocemente dall’ufficio ma
prima che potesse varcare la soglia anche Cameron, il diagnosta tornò a
fermarla.- Cameron.- la ragazza si bloccò.- tu resti qui.-
Allison si voltò, incuriosita.- e perché?-
-in due possono benissimo cavarsela,
non hanno bisogno di un terzo.- la giovane sembrò di accontentarsi di quella
sommaria giustificazione. Colse la palla al balzo per iniziare a preparare la
sua roba,dato che era decisamente tardi e tra poco sarebbe dovuta andare a
casa.
Greg l’osservò silenziosamente ragionando sul suo strano,
stranissimo comportamento. Non era da lei comportarsi così. Avrebbe dovuto
scagliarsi con la fermezza di cui tante volte l’aveva vista capace e dire che
non era quella la cosa giusta da fare, che il paziente avrebbe dovuto essere
informato e bla bla bla.. tutte quelle chiacchiere che odiava tanto ma che
erano tipicamente da lei, la donna dai ferrei principi morali.
Eppure ora non aveva detto niente. era stata in silenzio,
aveva lasciato fare, senza nemmeno mostrare un minimo segno di opposizione.
Quando lui sapeva benissimo che non era d’accordo. Ma perché?
-non è da te.- disse quindi, con un
sorriso intrigato. Lei, ancora una volta, l’enigma.
-non mi conosci
così bene per dire cosa è o non è da me.- rispose freddamente la giovane
sorseggiando il suo caffè. Voce fredda, dura. Come se volesse aggredire per
difendersi.
-naa, andiamo.- sbuffò il diagnosta.-
non sei tu la moralista del gruppo?-
Cameron l’osservò, attentamente. Poi
abbassò lo sguardo e disse semplicemente.- mi sembrava la cosa giusta da fare.
Ed ora scusami, ma devo andare a..- si mosse verso l’uscita ma House,
inaspettatamente, la fermò prendendola per un braccio. La dottoressa si voltò
verso di lui, stupita, incredula, puntando i suoi occhi verdi sul suo capo.
-no, non è vero.-
proseguì Greg, con voce grave - per te non è la cosa giusta. Tu non sei così.
Tu sei la ragazza che non ha mai copiato ad un compito in classe, che ha scelto
di seguire la via più difficile, che non accetta l’ipotesi di essere assunta
solo per bellezza, che ha dei principi rigidi, in cui crede. Perché questo
cambiamento?-
Cameron negò con il
capo.- io non sono cambiata. Io non cambierò mai né lascerò che i vostri
stupidi atteggiamenti mi possano cambiare. Questa sera non mi andava di
oppormi, tutto qui. -
L’uomo aggrottò la
fronte.- e vuoi farci fare tutto quello che vogliamo, anche se va contro ciò in
cui credi?- domandò, incredulo.
-solo stasera.-
-non è da te
comunque.-
-può darsi. Ma non
ha importanza.-
-si che ne ha.-
l’incalzò l’uomo senza lasciare la presa intorno al suo braccio.
Cameron l’osservò
intensamente, senza non riuscire a pensare al fatto che l’aveva perso, per
sempre, lui stava con Stacy ora,per lei non c’era posto, non ce n’era mai stato
forse. Che gli importava se lei era stanca di lottare per i suoi ideali, che
importava se si sentiva particolarmente male questa sera? Ah, dimenticava
sempre che lei era il suo puzzle.
E ogni volta che si
faceva più complicato, lui andava fuori di testa, perché doveva riuscire a
risolverlo di nuovo. Questa convinzione la fece a dir poco infuriare.- ma si
può sapere che te importa?- si svincolò con forza dalla sua presa e prima che
Greg potesse ribattere qualcosa, qualsiasi cosa, urlò.
-devi smetterla,
hai capito! Io sono una persona! Non un puzzle che non riesci a risolvere! Devi
piantarla di frugare nella mia vita!- continuò, irata. – così non fai altro che
ferirmi, ma perché non lo capisci?-
House abbassò un
po’ lo sguardo.- era una semplice domanda. Semplice..-
-curiosità.-
continuò la donna, acida.- tu sei sempre e solo curioso, no? Come quando hai
frugato nella mia borsa per prendere le pillole, come quando hai letto la mia
cartella clinica e adesso che non fai altro che indagare sui miei
comportamenti! Ma che cosa vuoi veramente da me? Tu magari ti diverti, ma io ci
sto male!-
Il diagnosta non
rispose nulla, si allontanò di qualche passo, voltandole le spalle.
La ragazza
continuò.- stai con Stacy, adesso, no?- riprese lei con gli occhi lucidi di
rabbia e la voce che gli tremava leggermente per il rancore. –sfogala su di lei
la tua curiosità e lascia in pace me!-
-ah, è questo
allora.- disse, poi, voltandosi verso di lei.- è una scenata di gelosia, un po’
articolata forse, ma pur sempre gelosia. Dovevi insistere di più sulla parte
della mia curiosità, quello poteva essere un asso nella manica, invece di
andare a parare su Stacy, così ti sei smascherata!-
Cameron negò con il
capo.- sbagli. Io non sono gelosa.-
-già. E io non sono
un dottore. Oggi è la giornata delle rivelazioni!- esclamò strabuzzando gli
occhi.
Allison si passò
una mano tra i capelli.- ho sempre voluto..- iniziò, tentennando .- che tu
fossi felice….E non perché tu sei uno
zoppo ed io sono una martire.. semplicemente perché quando tieni ad una persona
vorresti il suo bene..-
House la osservava,
intensamente.
Allison tirò su con
il naso.- ma non ho mai avuto la presunzione di pensare che solo io potessi
renderti felice. Certo, l’ho sperato. Se tu sei felice con Stacy e se.. la
ami..- sorrise, debolmente.- io non posso essere gelosa. Vorrei solo che non ti
intromettessi nella mia vita, House. Che ne stessi fuori, a questo punto.- fece
per andarsene velocemente ma House la bloccò di nuovo.
La sua voce suonò
bassa, seria. Dolce infondo. Ma molto infondo.
-non andare.- si
avvicinò a lei, un po’ di più,osservandola lentamente.
Lo amava
ancora,adesso lo sapeva. Si era capito tra le righe delle sue parole ma si
poteva comprendere benissimo solo guardandola negli occhi. Cosa aveva fatto lui
per meritare il suo amore? Meritava seriamente l’affetto, la stima, la
comprensione di Allison Cameron? Infondo lui l’aveva sempre e solo trattata
male, l’aveva respinta, umiliata, derisa. E lei, silenziosamente, l’aveva
amato.
Non poté negare di
sentire qualcosa anche lui, a questo punto. Non poteva spiegarsi quel suo stato
d’animo così irrequieto, nervoso, agitato, adesso che era accanto a lei.
Infondo doveva pur motivare la sua curiosità per lei.. se investigare su Chase
e Foreman era un vero e proprio divertimento, farlo su Cameron era diverso.
Lei era un po’
un’ossessione per lui, la donna che non sarebbe mai arrivato a svelare del
tutto. Non ne capiva la musica, la chimica, i pensieri. Eppure era attratto da
lei, dal suo fascino, dal suo essere così complicata. Si sentiva strano con
lei, diverso, si sentiva ancheun po’
scoperto, come se lei e i suoi dannati occhi verdi potessero leggergli dentro,
ecco, si sentiva quasi nudo, un libro aperto.
Forse Wilson aveva
ragione. Lei era l’unica che potesse davvero arrivare a lui.
Certo, Stacy lo
conosceva meglio. Ma non lo capiva, come lo capiva Allison Cameron.
Stette per dire
qualcosa. Non sapeva cosa di preciso, avrebbe voluto dirle tante cose, molte delle
quali magari non avrebbero avuto troppo senso, ma qualsiasi cosa fu bloccata
dall’improvviso arrivo dell’avvocato che si affacciò alla porta dell’ufficio.
–Greg ti…- la voce gli si spezzò in gola mentre i suoi occhi neri osservavano,
un po’ incuriositi, quella curiosa scena.
House era vicino,
molto vicino, troppo forse che potesse ipotizzare una discussione di lavoro,
anche perché difficilmente una discussione di lavoro avrebbe causato gli occhi
lucidi ad Allison.
L’immunologa
interruppe velocemente quel silenzio carico di tensione. –sarà meglio che
vada..- sussurrò prendendo velocemente la sua roba, indossando il soprabito ed
uscendo velocemente dall’ufficio.
Greg fece per
richiamarla ma non disse niente. Si limitò ad osservarla andare via, rammaricandosi
di quella brusca interruzione. Non sapeva cosa le avrebbe detto ma qualsiasi
cosa, non avrebbe mai voluto che lei se ne fosse andata così.
Non voleva che si
lasciassero così.
Era come un..
presentimento.
Eppure l’avrebbe
rivista il giorno successivo, perché si sentiva così inquieto?
-ma che è
successo?- investigò Stacy entrando e chiudendo la porta. –Cameron sembrava
turbata. Avete litigato di nuovo?-
House le voltò le
spalle, avvicinandosi alla lavagnetta e cancellando i sintomi di Robbie. Avrebbe
voluto scriverci i propri e cercare di risolvere il suo, di caso. Magari
avrebbe fatto chiaro nella sua vita una volta per tutte.
Stacy si avvicinò e gli mise una
mano sulla spalla, accarezzandogliela lentamente. –che programmi hai per la
serata? Mark ha una cena con degli amici.. pensavo che potevamo approfittarne..
potremo andare a casa tua, ho preso la cena dal cinese, so che ti piace tanto.-
House non
rispondeva niente, il suo sguardo restava perso sulla lavagnetta bianca.
-ehi ma mi ascolti?-la voce un
po’ irritata e divertita di Stacy interruppe i suoi pensieri.- quella ragazzina
ti ha sconvolto, a quanto pare, non hai praticamente detto una parola!-
Cameron.
-ma è successo qualcosa di
grave?-
Non riusciva a pensare ad altro
ed uscire con Stacy non avrebbe cambiato le cose.
-HOUSE!- gridò la donna,
irritata.
Il diagnosta spostò la sua
concentrazione su di lei.- Stacy.- disse, piano.- ti devo parlare.-
Era quasi deserto il parcheggio,
nonostante fosserole otto e mezza di
sera e il rumore dei tacchi della ragazza era l’unico udibile a parte il rombo
raro di qualche auto che partiva. La giovane si avvicinò alla sua auto,
sospirando. Appoggiò la valigetta a terra per cercare le chiavi nella borsetta.
Quel piccolo movimento le provocò un leggero sfasamento: la vista le si appannò
un istante e i contorni della sua borsetta di pelle nera sembrarono duplicarsi.
Cameron chiuse immediatamente
gli occhi e quando li riaprì la sua vista era ritornata normale.
Si tranquillizzò e riprese la
ricerca, frugando nelle tasche del suo soprabito.
Ma non trovò le chiavi.
Aggrottò la fronte, estraendo
una curiosa bustina rossa dalla tasca.
E questa?
Gli occhi verdi della ragazza
osservarono l’oggetto. Non era sua, come diavolo c’era finita lì?
Poi notò la scritta sul retro
della busta. ‘per Cameron’. Era piccolo ma ben evidente e scritto con una
calligrafia che le suonò quasi familiare.
L’aprì. Conteneva un
cioccolatino di una marca famosa, una marca europea, la ‘lindt’, era rotondo e
dalla carta blu su cui era scritto un ‘dark’ dorato. Notò che c’era anche un
bigliettino, dello stesso cartoncino rosso della busta.
Per tutte le volte che ti ho
fatto venirel’amaro in bocca. Robert
Chase.
Sorrise. Mangiò il cioccolatino e mise la busta nella
borsa, con un’espressione compiaciuta dipinta in volto. Era stato un pensiero
gentile, davvero carino. Ripensò a quel bacio che le aveva dato, qualche sera
fa, sotto casa sua, e alle sue parole.
-ti è piaciuto?- la voce
dell’australiano interruppe i suoi pensieri.
Allison si voltò verso di lui,
che l’aspettava silenziosamente appoggiato alla sua grande auto nera. Gli
sorrise, sinceramente.- sì.- disse quindi.- cioccolato fondente. Il mio
preferito. Come lo sapevi?-
Chase sorrise. –segreto
professionale.-
-ah.- esclamò lei, divertita.-
certo. E dimmi, il tuo segreto professionale ti ha anche detto il momento
esatto in cui sarei uscita dall’ospedale per potermi aspettare qui?-
-mm, no. Per quello è bastato
vedere l’orario dei tuoi turni.- confessò il ragazzo avvicinandosi a lei.
–pensavo.- iniziò.- di passare a mangiare qualcosa in un ristorante che hanno
aperto da poco, è un locale molto carino.. ti va di accompagnarmi?-
Cameron sorrise. Che carino,
Chase. certo, a volte era un odioso stronzetto, voltafaccia e banderuola. Ma
infondo sapeva sempre come avvicinarla, come farla sorridere.
-vedi di elaborare una scusa più
articolata questa volta.- continuò ridendo il ragazzo.- perché non mi
accontenterò di un semplicissimo ‘no’. Ti ci vorrà ben altro cara mia per
scaricarmi.-
la battuta strappò l’ennesimo
sorriso alla ragazza. –Chase..-
-dai, Allison- la pregò
l’australiano.
L’immunologa si passò una mano
tra i capelli.- non è un bel periodo per me.- disse con un tono di voce un po’
basso.- non sto troppo bene e mi sento parecchio confusa.. non mi sembra una
buona idea.-
-si tratta solo ed
esclusivamente.- riprese il ragazzo.- di una cenetta tra amici.- calcò la
pronuncia su quest’ultima parola, cercando di risultare il più tranquillizzante
possibile.
-lo so.- continuò lei.- ma non
sto bene, davvero. Ho dei giramenti di testa e..-
-se non ti andava di venire
potevi dirlo subito, e senza tanti giramenti di parole.- la bloccò, freddo, il
ragazzo.
-mi dispiace Chase. sarà
un’altra volta. Te l’ho detto, sto male.-
-va’ in mutua allora. Quando si
tratta di lavorare, ovvero di stare con House, la tua salute sembra rifiorire
improvvisamente però.- il tono del ragazzo era diventato improvvisamente aspro,
duro e cattivo.
Cameron sospirò, tra se. –tu non
sai niente.- ribatté, altrettanto acida. Stava per spiegarli la sua situazione
ma l’australiano non gliene diede il tempo. –invece lo so molto bene. Tu sei innamorata
di House, no? è evidente che anche se sei moribonda,il solo pensiero di
lavorare fianco a fianco con lui ti ridia la vita! Inizio a pensare addirittura
che ti appaghi anche prendere i suoi insulti, sai?-
Cameron stette per ribattere
qualcosa ma la vita divenne improvvisamente, di nuovo, opaca. Chase, davanti a
lei, perse i suoi contorni distinti, divenne più sbiadito e anche la sua voce
sembrò più lontana. Furono pochi istanti. Poi tornò tutto nella norma.
Ma naturalmente, Robert non se
ne accorse minimamente, accecato dalla gelosia e dall’idea che lei lo avesse
rifiutato, di nuovo, scaricandolo con una misera scusa come quella.
-va’ al diavolo.- sussurrò alla
fine Allison, arrabbiata, confusa, malata, mentre prendeva la sua roba ed
entrava velocemente nella sua auto, sotto lo sguardo un po’ allibito e
scocciato del collega.
La donna mise i moto, e partì
rapidamente, immettendosi sulla strada principale.
Sospirò, mentre si accorse di
avere un forte mal di testa. Era parecchio stanca, questo era evidente e poi la
sorte le aveva vomitato addosso tutto in pochissime ore: il bacio di Chase,
House e Stacy, Chase che le chiede di uscire e poi di nuovo House che cerca di
parlarle, che si fa più vicino, che si interessa a lei.
Tutto troppo velocemente, e lei
troppo confusa per capirci qualcosa.
E poi naturalmente non stava
bene. Nonostante avesse fatto ciecamente come le aveva consigliato House, cioè
aveva smesso con quelle pillole, la sua salute non faceva altro che peggiorare,
i sintomi si facevano più accentuati. Certo, errano bazzecole rispetto a tutto
quello che era abituata a vedere tutti i santissimi giorni.
Ma c’erano ed uniti alla
stanchezza di quest’ultimo periodo formavano un mix micidiale che la rendeva
ancora più nervosa. E poi naturalmente c’era House a destabilizzarla
completamente.
Si sentiva così ferita, così
delusa, così.. triste che si sarebbe messa ad urlare da un momento all’altro.
Voleva solo andare a casa ora.
Andare a casa e chiamare la sua migliore amica, Justine, per sfogarsi un po’
con lei, ne aveva bisogno.
Ma il destino è imprevedibile.
La sorte è imprevedibile. È irrazionale, è quel quid che sconvolge l’esistenza,
tutti i buoni propositi dell’uomo, della vita, tutti i sogni, ogni cosa.
Capita quando meno te l’spetti.
Un attimo, un secondo soltanto e
la vita diventa diversa, la tua intera esistenza cambia senza che tu abbia
fatto niente e ti lascia con la consapevolezza che, un solo secondo dopo,
invece, non sarebbe successo proprio niente.
Gli occhi verdi di Cameron
fissavano la strada. Ma, improvvisamente, proprio come le era accaduto molte
volte all’interno della giornata, iniziarono a non focalizzare più bene.
La ragazza si sentì mancare il
fiato dalla paura, cercò di reagire, di fermarsi, ma non ne ebbe il tempo.
Riuscì a sterzare velocemente di
lato, poi più nulla.
Eccomi
qua, ho cercato di fare il prima possibile, questo capitolo è stato irto di
ostacoli e sofferto…. ma prima di passare all’ undicesimo devo ringraziarvi di
cuore perché non pensavo di ricevere tante recensioni, siete stati gentilissimi,
vi adoro!! Spero di non deludervi e che questo capitolo vi piaccia, io ce l’ho
messa tutta, voi mi raccomando fatemi sapere che ne pensate! Spero che
commenterete numerosi, intanto ringrazio di cuore chi l’ha fatto sul capitolo
precedente, quindi un abbraccio immenso a: irene!!,
Apple,
Toru85,
Gulyuly,
Giu_chan,
Sybilla,
Varekai,
Dana,
Martina,
Briseis,
Giulia93,
Liserce Rue
Meridian..
GRAZIE!!!!!
Un
bacio, Diomache.
This
shouldn't happen again
“this
shouldn't happen again”
“Do you think I want it to?”
Chapter
eleven:Cameron: III , House:
0
-Wilson!- tuonò la voce di House,
spaventando l’amico che, di spalle, stava cercando di aprire la macchina.
L’oncologo, di soprassalto, lasciò cadere le chiavi e si girò di scatto,
provocando le risa del diagnosta, poco distante da lui.
Jimmy alzò gli occhi al cielo,
raccogliendo le sue cose.- idiota.-
House si avvicinò, appoggiandosi
al suo bastone.- vediamo, sono circa le 9 e 31, hai finito il turno da un minuto
e già sei nel parcheggio… perché tanta fretta di andare a casa? Mm, vediamo no,
decisamente, non puoi essere solo stanco per una dura mattinata di lavoro.-
iniziò con un tono ironico appoggiandosi all’auto dell’amico.- fammi
indovinare.- continuò, incrociando le braccia.- ieri sera dopo il turno sei
andato a farti un giretto diciamo.. extraconiugale.. e siccome tua moglie sembra
avere intuito qualcosa, questa sera vuoi essere impeccabile, spaccando il
minuto, sbaglio?-
L’oncologo sospirò. Dannazione.
House capì d’aver fatto centro e
uno sguardo soddisfatto si dipinse sul suo volto divertito.
-e poi, scommetto che..-
-tocca a me, adesso, indovinare.-
Wilson esibì uno sguardo interessato, mentre si apprestava a rilanciare.- chissà
perché poco fa ho visto Stacy furibonda che usciva dall’ospedale e che urlava
alla Cuddy che avrebbe consegnato le sue dimissioni domani stesso??- domandò,
con un accento palesemente retorico. –alt, non dirmelo. Centri qualcosa tu, per
caso?-
Greg sospirò, alzando il capo e
fissando il suo sguardo sulle stelle. –si e no.-
-ah, chissà perché credo più ‘si’
che ‘no’- sbuffò Jimmy.- ma si può sapere cosa vuoi veramente? fai carte false
per riconquistarla e poi quando ci riesci butti tutto via di nuovo!-
Greg si voltò verso di lui e forse
per la prima volta in tutta la serata Wilson lesse nel suo sguardo un accenno di
serietà, di profondità.–mi
sbagliavo. Non volevo lei.-
L’oncologo annuì, pesantemente.-
d’accordo. E dovevi andarci a letto per capirlo?-
-non ci sono andato a letto.-
-ma l’hai baciata.-
-mi ha baciato lei.- rilanciò Greg
con un piccolo sorrisetto allegro. Jimmy sbuffò, divertito ed esasperato
insieme, stava per dire qualcos’altro ma le sirene impazzite dell’autoambulanza
interruppero iloro discorsi. I
due, istintivamente, si girarono verso la direzione del mezzo che entrava
velocementenel parcheggio
dell’ospedale e si fermava accanto all’entrata, poco distante da loro.
Quella era una scena abituale per
entrambi, vedere ambulanze con morti e feriti era all’ordine del giorno, certo,
non come poteva esserlo per un dottore del pronto soccorso, ma ci siamo quasi.
Silenziosamente osservarono gli
infermieri scendere e i ragazzi del pronto soccorso balzare giù velocemente dal
mezzo, incitandosi a vicenda a fare il più in fretta possibile.
House indicò il mezzo con il
capo.- se c’è stato un incidente arriverai a casa con mezz’ora di ritardo!-
esclamò con un sorriso divertito.
Jimmy storse il naso.- come sei
catastrofico. Potrebbe essere anche una vecchietta che ha avuto un infarto.-
-ti piacerebbe, eh?- continuò il
diagnosta.- ti pare che ci sarebbe tanto movimento per un banale arresto
cardiaco? Naa, minimo minimo un frontale. E questo significa che la tua adorata
mogliettina ti farà una scenata anche questa sera..-
-House..- sussurrò Wilson, con gli
occhi impietriti, fissi sull’ambulanza.
L’uomo non lo sentì e continuò con
il suo discorso.- esattamente come la scenata che ti ha fatto ieri. Ma almeno
ieri sera avevi fatto sesso. Invece oggi..-
-House!- lo richiamò di nuovo,
l’oncologo, con un accento più drammatico di prima.
Greg, con uno sguardo un po’
scocciato, si girò anche lui in quella direzione e seguì lo sguardo dell’amico.
Dall’ambulanza era stata calata la
barella con il corpo del paziente.
Sgranò gli occhi, cercando di
focalizzare bene, sperando che fosse solo una stupida allucinazione della sua
mente.
Il suo cuore si bloccò, il respiro
gli si mozzò in gola mentre i suoi occhi focalizzavano la figura di una giovane,
apparentemente incosciente.
Non poteva essere vero quello che
vedeva.
Wilson gli prese istintivamente un
braccio, come cercando appoggio su di lui.
Era Cameron.
Non appena realizzò la cosa, si
sentì paralizzato, immobile.
Cameron? No, non era possibile.
L’aveva vista non più di un’ora fa, nel suo ufficio. Avevano litigato, è vero,
anche se lui aveva sentito qualcosa, qualcosa di strano, ma di forte che l’aveva
portato a desiderare di sentirla più vicina.. ma poi era arrivata Stacy e
l’aveva lasciata andare via.
E adesso era lì, a pochi passi da
lui, distesa su un lettino.
La rigidità lasciò il posto alla
frenesia di capire cosa e come era successo, si mosse, piantando lì l’amico,
fregandosene se Wilson gli chiedeva di non andare perché sarebbe stato solo
d’intralcio ai soccorsi, entrò nell’ospedale al seguito dei soccorritori e,
senza pensare a quello che faceva e perché lo faceva, fermò l’avanzata del
lettino su cui era disposta Cameron, interrompendolo con il bastone. –ma che
diavolo fa?- fu il commento aspro dell’infermiere.
-che cosa le è successo?- fu la
risposta secca di House, mentre i suoi occhi azzurri studiavano il profilo della
ragazza, rigato dal sangue.
-è la dottoressa Cameron.- tagliò
corto House. – poi?- domandò, freddo come non lo era mai stato.
Nervoso, come non lo era mai
stato.
-ha perso sangue…-
-è troppo pallida.- sussurrò House
cercando di essere il più possibile professionale e distaccato. Le girò il capo
e le mise due dita sotto il collo, per sentirle il battito del cuore.
Pelle pallida. Fredda.
Battito debole e veloce.
-bisogna fare presto. – disse
quindi, con uno sguardo, suo malgrado, preoccupato.- sta per andare in shock,
bisogna fermare l’emorragia. Deve essere operata.-
I suoi potentissimi occhi blu si
puntarono sul resto dei medici.- subito!- esclamò quindi, imperioso.
Uno di loro annuì, nervoso e
balbettò, freneticamente- va-vado a dare l’emergenza alla sala ambulatoria.-
House annuì, gravemente. Si girò e fece
per andarsene quando sentì qualcosa che l’aveva improvvisamente bloccato.
Si voltò, un po’ incredulo di
vedere la mano di Allison che stringeva il suo polso. Aveva preso coscienza. Suo
malgrado, si lasciò uscire un respiro irregolare quando incontrò i suoi occhi
ancora più lucidi e lucenti del solito.
-House…?- sussurrò la giovane
esibendo un evidente malessere.
Le parole morirono in bocca al
diagnosta. Non riuscì a dire nulla, restò a fissarla, quasi ipnotizzato dal suo
sguardo perso, confuso, spaventato. Sembrava così indifesa, lì, su quel lettino
sporco del suo sangue, così spaesata, così terrorizzata che avrebbe voluto tanto
poterla rassicurare ma non riuscì a dire niente. Come al solito, fu di nuovo
Allison a parlare, seppur a fatica, mentre non smetteva di stringere il polso
dell’uomo e anzi, aumentando l’intensità della sua stretta.
–ho.. ho ucciso qualcuno?-
domandò, con la voce rotta.- ti prego dimmelo..-
Greg sospirò. Fece per parlare ma
gli infermieri presero il lettino di Cameron spiegando che la sala operatoria
era pronta e la ragazza andava operata con urgenza perché l’emorragia interna
era grave e non c’era un minuto da perdere.
-House, ho paura..- si lasciò
sfuggire la ragazza mentre lasciava la presa intorno al suo polso,prima che potessero portarla lontana
dall’uomo.
Il diagnosta la guardò andare via
con un magone alla gola, lo sguardo fisso sul suo lettino che svoltava l’angolo
e spariva dalla sua vista. –tieni duro, Cameron- sussurrò poi, con un filo di
voce.- tieni duro.-
-quando è successo?- domandò
trafelato Chase, alla Cuddy, mettendo le mani in tasca, poi passandosele tra i
capelli, nervoso, agitato.
-poco meno di un’ora fa.- disse la
donna con uno sguardo preoccupato.
-e come è accaduto?- chiese
Foreman, seduto, con un bicchiere di tè in mano, lo sguardo nitido e freddo come
sempre anche sesegretamente
preoccupato per la salute della psedo-collega-amica. Lisa sospirò, alzando le
spalle, desolata.- e chi lo sa. L’unica cosa certa è che ha sbandato e si è
fracassata contro un albero.-
Wilson si grattò il mento,
pensieroso.- un malessere improvviso?-
-sicuramente.- intervenne la
Cuddy, seria.- altrimenti non si spiegherebbe. L’asfalto non era bagnato,
non..-
-ma se Cameron stava male non si
sarebbe mai messa alla guida.- obbiettò l’oncologo.
-certo che l’avrebbe fatto.-
contestò Foreman, appoggiando i gomiti alle ginocchia.- infondo come sarebbe
andata a casa? Volando?- quella domanda retorica rimase sospesa nell’aria un po’
rarefatta dello studio di House dove si erano ritrovati tutti quanti, non appena
la Cuddy aveva diffuso la notizia.
-come vi era sembrata oggi?-
domandò Jimmy, pensieroso.- se stava male non può averlo tenuto nascosto..-
Foreman sbuffò, quasi ridendo.- tu
non conosci Cameron.-
-perché tu la conosci?- domandò,
freddo e tagliente, Chase. Quel tono aspro colpì tutti che si voltarono verso di
lui, sorpresi. L’intensivista continuò, ancora più agitato –la verità è che non
la conosciamo nessuno e mentre stiamo qui a pensare al perché si sia schiantata
contro un albero, lei sta sotto i ferri.-
-Chase siamo tutti preoccupati.-
intervenne la Cuddy conciliante.- solo stiamo cercando di capire…-
-chi è stato l’ultimo a vederla?-
domandò di seguito Wilson, appoggiato alla scrivania, con le braccia incrociate,
turbato, anche lui, da tutto quello che stava accadendo.
Chase sospirò poi disse,
velocemente.-io.- balbettò, leggermente.
I presenti si voltarono verso di
lui. –e.. come ti è sembrata? Strana, diversa dal solito..-
L’australiano fece un chiaro gesto
d’insofferenza.- ma che ne so.. l’ho vista in parcheggio, di sfuggita.. ci siamo
salutati e lei è andata a casa tutto qui.- parlava velocemente ma sforzandosi di
apparire tranquillo e sereno. – ed ora scusate ma ho bisogno di una boccata
d’aria.-ed uscì velocemente
dall’ufficio, sotto lo sguardo incuriosito di tutti gli altri.
I presenti si passarono
un’occhiata preoccupata, poi Foreman sbuffò, domandando.- e House? Si è degnato
di venire o sta a casa a vedere General Hospital?-
-è qui in ospedale.- rispose
Jimmy, grave, incontrando lo sguardo di Lisa.
-ah si? E dov’è?- continuò Eric,
aggrottando la fronte.
Wilson sospirò, lentamente.
L’operazione procedeva lentamente
ma procedeva bene. Solo un attimo c’era stato un piccola agitazione, quando le
avevano asportato la milza, completamente spappolata ed inutilizzabile, il cuore
di Cameron aveva avuto una piccola incertezza, aveva sfiorato la brachicardia,
ma una semplice fiala diepinefrina
era stata sufficiente a rimettere le cose a posto.
House era lì, a monitorare
l’operazione dall’alto, a controllare, ad osservare.
In realtà, non sapeva bene nemmeno
lui perché si trovava lì. Cameron era compromessa ma l’intervento non era
complicato, era uno di quelli che lui definiva < routine>> di quelli che anche un
imbecille del terzo anno di medicina avrebbe potuto portare a termine con
successo.
Eppure non ce l’aveva fattaa restare nel suo ufficio. Non ce
l’aveva fatta a lasciarla.
La rivedeva davanti a se, con gli
occhi appannati dal dolore, la voce rotta, spaventata. Era così fragile e aveva
solo bisogno di essere rassicurata.
E lui non era stato capace di dire
assolutamente niente. Sarebbero bastate poche parole, per lei sarebbe stato
importante. E invece niente. Ma perché??
La verità è che aveva avuto paura.
L’improvvisa possibilità che lei
non potesse farcela, l’idea che lei, Cameron, potesse non essercidomani, accanto a lui, a risolvere un
nuovo caso, a contestarlo, ad arrabbiarsi quando non si comportava
correttamente, o semplicemente a porgergli la sua abituale tazza di caffè, sì,
tutto questo l’aveva spaventato a morte.
Era abituato ad averla, più o
meno, tutti i giorni. Lei era la costante delle sue giornate, qualsiasi cosa
avesse fatto, qualsiasi sproposito avesse mai detto, sapeva che lei lo avrebbe
perdonato, sì, magari si sarebbe infuriata, ma poi lo avrebbe accettato,
pazientemente.
Lei era l’unica che poteva
veramente capirlo, che poteva raggiungerlo ogni volta che lui era distante da
tutti, lontano, nel suo mondo di arroganza e solitudine, irraggiungibile per
molti ma non per lei che con una frase, con uno sguardo, o con un semplice
sorriso riusciva ad arrivargli. Aveva sempre pensato che fosse Foreman l’unico
in grado di tenergli testa.
Sì, forse era vero.
Ma se Eric poteva tenergli testa,
Cameron era l’unica che potesse farlo vacillare.
Sbuffò, allontanandosi leggermente
dal vetro e fissando per un istante il bastone a cui si appoggiava.
Ah, una dannata crocerossina, una
stupida martire, ecco che cos’era Cameron.
Un’idiota sognatrice ed altruista,
un’eroina talmente sciocca che chiedeva se aveva ferito qualcun altro mentre
stava per entrare in sala operatoria, la stessa sciocca che era entrata
nell’appartamento di quel poliziotto per salvare Foreman pur col rischio di
rimanere contagiata, la stessa identica Cameron che si rifiutava di accettare
l’idea che lui volesse rimanere così, infelice e solo.
L’ingenua e dolce Cameron che si
era infiltrata nella sua vita piano, lentamente, con i sorrisi, con i suoi modi
troppo gentili, con le sue idee troppo moraliste per un cinico come lui, bella,
troppo bella per rimanere inosservata.
Ricordò quando l’aveva vista
vestita con quel bellissimo abito rosso, la serata del party al PPTH. Non aveva
potuto non lasciarsi sfuggire un’esclamazione.
L’improvviso arrivo di Wilson lo
destò dai suoi pensieri. Ah, maledizione. Non avrebbe voluto essere visto lì.
–anche tu venuto a goderti lo
spettacolo?- domandò, ironicamente, puntando i suoi occhi su di lui.
-come sta andando?- domandò
l’oncologo,ignorando la sua domanda e gettando uno sguardo nella sala sotto di
loro.
House alzò le spalle.- ah,
procedono. Comunque sei arrivato tardi, ti sei perso tutto il primo tempo: la
milza l’hanno già asportata.-
Wilson sgranò gli occhi.- le hanno
tolto la milza?-
-completamente spappolata.-
continuò, senza staccare gli occhi dal corpo di Cameron.- allora, i pop corn li
hai portati? Perché ti avverto che il secondo tempo si sta rivelando più noioso
del solito.…-
-House, smettila.- lo interruppe
l’uomo.- non devi gettare sarcasmo su tutto. Anche tu sei preoccupato, lo
so.-
-certo che sono preoccupato!-
esclamò, ironico.- se ha coinvolto qualcuno nell’incidente diventerà ancora più
traumatizzata.. già me l’immagino,ti rendi conto? Mi renderà la vita un
inferno!!-
Wilson scosse il capo.- ha
sbandato.- disse, piano.- ha sterzato di lato, non ha coinvolto nessuno
nell’incidente, non è stato un tamponamento o un frontale.-
House lo fissò, interessato.- vuoi
dire che si è sentita male ed ha sbandato per non..-
-è possibile, sì.- annuì,
gravemente.
House sbuffò, scocciato.-
crocerossina fino in fondo. Pur di non nuocere ad altri si è buttata contro un
albero.-
L’oncologo si avvicinò a lui,
puntando le mani sui fianchi.- è.. ammirevole.- disse, semplicemente.
House grugnì, chiaramente in
disaccordo.- è un’ingenua e un’illusa. Scommetto che i soccorsi sono arrivati in
ritardo rispetto a quando Cameron ha avuto l’incedente, vero?- Wilson annuì,
confuso. House sbuffò.- elo sai
perché? Perché la maggior parte delle persone che passavano di lì non ha neppure
preso in considerazione l’opzione di fermarsi e di vedere cos’era successo!
Perché la gente è menefreghista, è cinica ed ipocrita. E se ne sbattono
dell’altruismo di Cameron.-
Jimmy annuì, lentamente. Poi,
sorridendo, appoggiò la mano sulla spalla di Greg.
L’intervento era finito da qualche
ora.
Cameron riposava, beatamente.
Aveva il volto sereno, ora, disteso, tranquillo. E bello, dolce come sempre. Gli
occhi azzurri del ragazzo non si staccavano da lei da diversi minuti, da quando
gli avevano detto che poteva vederla ora. Era entrato piano, quasi di soppiatto,
con lo sguardo basso.
Chase sospirò, e mosse la mano a
sfiorare quella della ragazza, ancora un po’ fredda.
Le sfiorò leggermente la pelle e
sul suo viso serio s’illuminò per un istante un sorriso.
Allison era stubata e avrebbe
potuto svegliarsi da un momento all’altro.
Sospirò per l’ennesima volta e si
alzò dalla sedia su cui era rimasto seduto per diversi minuti, così,
semplicemente, a fissarla. Era un maledettissimo stupido.
Quello che era accaduto era anche
colpa sua, lo sapeva. Se lui non fosse stato così accecato dalla gelosia, così
maledettamente cretino a quest’ora non sarebbe accaduto proprio niente.
Aveva pensato che lei lo stesse
rifiutando per l’ennesima volta e non aveva creduto minimamente che potesse
stare male davvero. Si passò una mano tra i capelli e fece per andare ma poi si
bloccò sulla porta. Si voltò a guardare Cameron.
Deglutì, lentamente. –perdonami,
Cam.-ed uscì velocemente dalla sua
stanza.
House faceva rimbalzare la sua
pallina contro il muro, riprendendola puntualmente in mano. La televisione
accesa trasmetteva il suo film preferito ma lui non gli badava affatto.
Pensieroso, serio e riflessivo.Si
trovava lì, nel suo ufficio, ma la sua mente era altrove, molto più in là, in
una camera del reparto di chirurgia.
Continuava a pensare a lei, la sua
piccola ossessione.
Avrebbe voluto andare da lei.. gli
piaceva l’idea di osservarla dormire. Infatti finché dormiva, finché Cameron non
poteva sapere che lui era lì andava bene, ma che avrebbe fatto se lei
malauguratamente avesse aperto gli occhi?Ah, allora sarebbe stato complicato.
Sbuffò, scocciato.
Ma che provava veramente per lei?
Non lo sapeva, o meglio, credeva di saperlo e il solo realizzare quel pensiero
lo terrorizzava, preferiva scartare l’ipotesi, aggirarla, evitare lei e quello
stupido sentimento, quello stupido pensiero che sembrava non lasciarlo mai.
Sapeva che gli altri colleghi
erano andati a fare una visita a Cameron.
Lui non ci sarebbe andato, no,
ormai aveva deciso.
-mi dispiace, io non mi muovo di
qui.- disse ad alta voce, quasi rivolgendosi a Cameron in persona.
E come se lei potesse rispondergli
e quello fosse un messaggio cifrato, il suo cercapersone iniziò a squillare
improvvisamente.
House roteò gli occhi e lo prese
in mano.
Lo stava chiamando Chase. Dalla
stanza di Cameron.
Deglutì, lentamente. A quanto pare
i suoi programmi erano cambiati.
Cameron, in un modo o nell’altro,
lo stava conducendo di nuovo verso di sé.
Se l’immaginò un istante, lì,
davanti a lui, con le braccia incrociate e un sorrisetto vittorioso, scrivere
sulla sua lavagna: Cameron II, House 0.
Roteò gli occhi e si alzò,
velocemente.
Arrivò nei pressi della stanza
della ragazza qualche minuto più tardi.
Il cuore gli saltò in gola, non
appena realizzò che era un’emergenza vera, non appena Wilson gli venne incontro,
trafelato, dicendo .- House, Cameron è in arresto cardiaco.-
Il diagnosta entrò velocemente
nella stanza della ragazza animata dal trillo impazzito della macchinario che
annunciava che il suo cuore si era fermato, dai gridolini impauriti di
un’infermiera che, sull’angolo osservava la scena, e dalle grida di Chase che
tentava disperatamente di attivare il cuore della collega tramite il
defibrillatore.
–libera!- gridò Chase imprimendo
la scarica sul suo torace tramite i due elettrodi. Gli occhi del ragazzo si
puntarono sul monitor.
Niente. –prova di nuovo!- gridò
House, appena sopraggiunto.
Il ragazzo procedette di nuovo,
nervoso e agitato.- libera!- il corpo di Allison sussultò di nuovo ma il suo
cuore rimase immobile.Il panico
iniziò ad impossessarsi dell’ intensivista che mormorò, balbettando
leggermente.- niente, non ce la fa.-
-dai a me.- House gli prese gli
elettrodi di mano. Fissò il monitor poi Cameron e procedette alla terza scarica.
–avanti, Allison, andiamo..- sussurrò, con un timbro di voce appena
percettibile. –puoi farcela, so che puoi farlo…-
La ragazza sobbalzò, di nuovo.
La macchina smise di urlare. Il
cuore di Allison aveva ripreso a funzionare.
Chase tirò un sospiro di sollievo.
House fissò la ragazza, intensamente. -bentornata, Cameron.- disse piano, con la
voce rotta dall’emozione.
Lui e Chase si scambiarono uno
sguardo piuttosto strano poi l’intesivista uscì dalla stanza, scosso , confuso e
tremendamente stanco.
House rimase lì, accanto a lei. Di
nuovo. Di nuovo aveva rischiato di perderla, e di nuovo si era sentito morire,
terrorizzato dalla sola idea di non averla più.
-House.- la voce di Jimmy lo
richiamò improvvisamente dalla sua apatia.- bisogna cercare un’infermiera che la
vegli. Le ore dopo un intervento sono le più delicate, se passa tranquillamente
le prossime 12 ore è fuori pericolo ma…-
L’oncologo annuì, pensosamente,
poi uscì anche lui dalla stanza dell’immunologa.
House sospirò, guardando
l’orologio. Le undici. Sbadigliò lentamente, poi prese una sedia e si sedette
pazientemente lì, accanto a Cameron.
Non avrebbe chiamato nessuna
infermiera.
Era ovvio che non si sarebbe mosso
di lì, per tutta la notte.
Ah, e pensare che c’era pure
General Hospital in televisione.. dannata di una crocerossina!
Pochi minuti fa si era detto che
non sarebbe andato da lei nemmenose l’avessero trascinato o preso di peso e adesso si ritrovava
addirittura a vegliarla e per tutta la notte!
Spense la luce e si accomodò
meglio, cercando di fargli riuscire comoda quella banalissima sedia di plastica.
Sospirò, cercando di non perdere la pazienza e di non ammettere a se stesso che
Cameron, nonostante tutto, l’aveva spuntata di nuovo.
Roteò gli occhi.
Già l’immaginava, a scrivere il
suo ennesimo punto.
Ciao
a tutti!! Prima di dire qualcos’altro, vorrei ringraziarvi per le vostre
bellissime recensioni, non so spiegare quanto mi siete d’aiuto e quanto i vostri
commenti mi facciano piacere.. davvero non so cosa dire, sono contenta che la
storia vi piaccia, spero che continuerete a farmi sapere cosa ne pensate, ho
bisogno di voi!!
Grazie
di cuore a : Toru85,
Briseis,
Gulyuly,
Eri_chan,
Hikary,
Giu_chan,
RueMeridian,
Irene!!,
Apple,
Dana,
Nathaniel,
Liserc,
Venus
e
Jen
!!!
Spero
che il capitolo vi piaccia ragazzi,un bacio!
Ps:
mi scuso per il ritardo ma i ritmi della scuola mi hanno costretto a studiare
senza interruzione e in questi giorni se ho scritto una o due righe al giorno è
da considerarsi un miracolo!
Diomache.
This
shouldn't happen again
“this
shouldn't happen again”
“Do you think I want it to?”
Chapter
twelve: Chase, I can’t
Un sospiro un pò più forte, un leggero movimento del capo
e degli occhi, nient’altro. Poi la ragazza si scosse leggermente, iniziando ad
aprire gli occhi, portandosi una mano tra i capelli. Si stropicciò gli occhi,
poi lentamente li aprì, iniziando a visualizzare qualcosa di quella camera al
buio. Cameron aggrottò la fronte, cercò di rizzarsi sui gomiti ma con pochissimo
risultato. Era ancora troppo debole e scivolò di nuovo lunga, emettendo un
piccolo lamento che si amplificò nel silenzio della stanza.
-ferma.-
una
voce, calda e un po’ scocciata, l’ammonì improvvisamente. Cameron sobbalzò,
impaurita.
-e
calma.- continuò l’uomo, accanto a lei, seduto su una sedia, con il mento
appoggiato allo schienale di quest’ultima. –hai avuto un arresto meno di sei ore
fa. Non mi va di fare il bis, ok?-
Cameron
si calmò leggermente. Quella voce lei la conosceva. E la conosceva molto bene.
-House..?-
domandò, incredula, cercando di scrutare i lineamenti dell’uomo che intravedeva
a mala pena.
-no.
Sono Dio.- rispose l’uomo, con un ghigno divertito dipinto in faccia.- il Dio a
cui tu, donna miscredente, non hai creduto! Ed ora incorrerai nella mia
punizione divina!- esclamò l’uomo, gonfiando la voce.
-scemo.-
rispose Cameron che, nonostante non avesse voluto, sorrise, leggermente.
Ma
come diavolo faceva House a ironizzare su tutto??
-che
ore sono?- chiese la ragazza, passandosi una mano tra i capelli, ignorando
l’acuto mal di testa che subito aveva iniziato a sentire.
-ah
non lo so. So solo che stavo dormendo da appena cinque minuti.- rispose l’uomo,
acido, con una leggera smorfia del viso che Allison vide a mala pena. Non
dovevano essere più tardi delle cinque, cinque e mezzo dato che una leggera,
leggerissima luce mattutina iniziava a filtrare dalle serrandine tirate giù di
fretta e illuminava parzialmente la stanza ancora in gran parte immersa nel
buio.
Allison
sospirò, leggermente. –che cosa mi è successo?- domandò, con un filo di voce.-
oltre all’incidente.-
-hai
avuto un’emorragia interna, sei stata operata e ti hanno asportato la milza.-
rispose l’uomo, freddo e professionale.- e hai avuto un arresto cardiaco. Può
bastare?-
Allison
girò lo sguardo, incontrando quello dell’uomo. –mi hanno asportato la
milza?-
-già.
Non ti senti più leggera?- scherzò Greg con un sorriso divertito. Un timido
accenno di sorriso si dipinse anche sul viso di Cameron ma scemò velocemente, e
un’espressione seria e preoccupata prese il suo posto.
-no.-
disse improvvisamente House, abbassando un po’ lo sguardo.
Cameron
aggrottò la fronte.- no, cosa?-
-no,
non hai ucciso nessuno.- parlò piano, lentamente.
La ragazza dischiuse le labbra ma non disse niente. Allora
non se l’era sognato, non era stato lo stupido prodotto della sua immagine,
un’allucinazione dovuta al suo stato confusionale. House c’era stato, accanto a
lei. Era stato vicino al suo lettino, poco prima di entrare nella sala
operatoria. Ed era lì ora, di notte, accanto al suo letto d’ospedale, senza un
motivo apparente, esattamente come ore prima. Ma.. perché? I suoi occhi verdi lo
fissarono intensamente e lessero un leggero imbarazzo nell’uomo.
Forse
non avrebbe dovuto chiederlo, tanto non avrebbe risolto comunque niente, lo
sapeva.
-perché
sei qui?- domandò, un po’ titubante, ma comunque decisa.
-è un
ospedale.- vago, come sempre.- io ci lavoro qui. Non è poi così strano vedere un
dottore zoppo aggirarsi e dare ordini. Ci farai l’abitudine.-
Allison
accolse la sfida.- è un po’ strano trovarlo in ospedale prima di mezzogiorno,
però.-
House
rilanciò, in quello che ormai era il loro consueto gioco a rimbalzi, la sua
sfida personale con Allison Cameron, che, pur abile non ce l’avrebbe fatta a
fargli cavare il vero motivo della sua presenza lì accanto a lei, eh no. Mai.
-mi
nascondo.- disse quindi.- la Cuddy mi ha affidato il turno di notte e ho pensato
di passarlo qui, invece di lavorare…-
Allison
inarcò le sopracciglia – ti nascondi, eh?- ripeté, divertita.- non è che per
caso mi stavi vegliando perché ho avuto un arresto cardiaco e
perché..-
-non è
che per caso stai diventando un po’ troppo presuntuosa?- rovesciò la domanda, il
diagnosta, com’era solito e abile, fare. –su, zitta e dormi. Il protocollo
stabilisce che devi stare dodici ore tranquilla-
Cameron
inarcò le sopracciglia.- se mi sono svegliata vuol dire che sto
bene..-
-non
necessariamente che devi rompere, però. – concluse House.-
dormi.-
Cameron
annuì, silenziosamente, sorridendo. Lo sapeva che non ne avrebbe cavato un ragno
dal buco, lo sapeva. Sbadigliò e chiuse gli occhi, pervasa di nuovo da un senso
profondo di stanchezzamentre
sentiva House alzarsi e dirigersi velocemente verso la porta.
Aprì
di nuovo gli occhi, per osservarlo mentre lui lasciava la sua camera.- aspetta.-
disse, piano, facendolo fermare sulla soglia. House si voltò,
lentamente.
-grazie.-
disse quindi la ragazza con una voce sottilissima. House abbassò lo sguardo, non
disse niente, semplicemente varcò la soglia della sua stanza, lasciandola sola
per la prima volta da parecchie ore.
Quando
Cameron si risvegliò era giorno inoltrato, probabilmente poco prima delle undici
del mattino. Sbadigliò e constatò, un po’ tristemente, di essere sola in quella
stanza. Che pretendeva, di trovarsi di nuovo House vicino? Sorrise, mettendosi a
sedere.
Notò
che quella non era la stessa camera di qualche ora fa. L’avevano spostata. Beh
questo era un buon segno, probabilmente stava migliorando. Effettivamente,
nonostante si sentisse molto stanca e stordita, stava bene. O almeno, non stava
così male come la sera precedente.
-allora,
come va stamattina?- Wilson si affacciò allegramente allo stipite della porta,
sorridendo all’indirizzo della ragazza che,del tutto impreparata al suo arrivo,
lo osservò con evidente sorpresa.
-disturbo?-
domandò l’uomo vedendo il suo sguardo un po’ spaesato.
-no,
ma che disturbo..- sussurrò la ragazza sorridendogli incantevolmente. Wilson
entrò, constatando che, nonostante tutto, nonostante l’incidente e il suo stato
di salute un po’ precario, Allison non aveva perso una virgola della sua
abituale bellezza. –allora… come stai?-
-bene.-
disse quindi Cameron.- bene,grazie.-
-sono
contento.- l’uomo apparve in un leggero imbarazzo, i suoi occhi si spostarono
sul pavimento, poi di nuovo su di lei.- devo farti qualche domanda se non ti
dispiace..-
Cameron
annuì.- riguarda l’incidente suppongo.- sospirò.- sospettate che, dati i
precedenti, mi sia drogata di nuovo?- James non rispose nulla ma Allison
continuò, un po’ ferita.- certo perché se è così la Cuddy potrebbe ritenere poco
opportuna la mia presenza nel suo ospedale.. beh, fatemi gli esami
tossicologici, non temete che possa mentire?-
Cameron
socchiuse gli occhi, sospirando.- scusami.- fece un sorriso, leggero ma
bellissimo e i suoi occhi verdi sembrarono vacillare, per qualche istante.- puoi
chiedermi tutto quello che vuoi.-
Cameron
migliorava. Gli esami facevano ben pensare e ormai non c’era più dubbio che
fosse fuori pericolo. Era salva e tanto era bastato a Gregory House come
motivazione per non farsi più vedere da lei nemmeno da lontano.
Era
stato già abbastanza imbarazzante dover ammettere, seppur tra le righe, di
essere stato accanto a lei tutta la notte, non gli passava nemmeno per la mente
di tornare da lei e affrontare di nuovo le sue domande, e i suoi occhi curiosi..
no, no, per carità. Tanto più che ora avevano un nuovo caso e poteva benissimo
additare la scusa di dover lavorare.
Anche
se, per la verità, lui l’aveva già risolto questo caso. Solamente si divertiva a
vedere Chase e Foreman che litigavano tra di loro per giungerne a capo. Ignari
di tutto, infatti, i due dottori stavano ora, sotto i suoi occhi, disputandosi
una loro possibile diagnosi, e lui si godeva lo spettacolo con un sorrisetto
soddisfatto che entrambi, accecati ognuno dal proprio orgoglio, non avevano
neppure notato.
Cameron
forse l’avrebbe fatto, disse tra se. Infondo lei notava tutto. Era di una
sensibilità quasi impressionante. E stancante, decisamente.
Vide
Wilson passare distrattamente davanti alla porta del suo ufficio. Eccolo, il suo
informatore. Sapeva che era passato da Cameron, questa mattina presto. Sorrise.
Non
aveva bisogno di andare da lei, avrebbe saputo tutto quello che voleva sapere
dal suo ignaro investigatore privato. Senza dire una parola si spostò dalla sua
posizione privilegiata, accanto alla lavagnetta, e si diresse verso l’uscita del
proprio ufficio, intento a raggiungere Jimmy alla mensa. Si accorse solo
distrattamente che quel brusio di sottofondo, che aveva accompagnato tutta la
mattinata, si era arrestato.
-ma
dove diavolo vai?- fu la secca domanda di Foreman.Sia lui che Chase lo guardavano a metà
tra la curiosità e il fastidio.
House
indicò la lavagnetta dove, i due notarono, c’era una scritta in più rispetto a
prima.
-iniziate
la cura. Io vado a mangiare.. ah, è stato divertente, preparatemi un altro paio
di numeri per domani!- disse prima di uscire con un sorriso soddisfatto dipinto
sul viso.
-dannazione.-
imprecò Chase alzandosi e andando ad eseguire gli ordini del suo capo,
innervosito dall’ennesima umiliazione. Foreman negò con il capo, poi, seppur
contrariato, seguì a ruota l’intensivista.
La
mensa era piena del consueto brusio e dei consueti, consuetissimi cibi schifosi.
Quel giorno House aveva programmato di non mangiarci affatto, ma la curiosità di
scoprire cosa sapeva Wilson riguardo l’incidente di Cameron valeva bene una
bistecca bruciacchiata.
Infondo
sapeva benissimo che la Cuddy aveva mandato l’oncologo in avanscoperta per
acquietare i mormorii che giravano sulla dolce immunologa e che ipotizzavano di
tutto e di più, riguardo alle circostanze, seppur non così misteriose, del suo
incidente.
Lo
trovò che mangiava con Melissa, la cardiologa assunta da poco dalla Cuddy. Roteò
gli occhi e si avvicinò ai due che subito smisero di chiacchierare. La donna,
nemmeno così bella in realtà, lo guardò ammutolita.- lei è dottor House,
giusto?-
Greg
guardò l’amico, ignorando il suo sguardo di disappunto.- è lei la cardiologa
nuova, vero? Ah, me l’avevi detto che era una racchia.-
La
donna sbarrò gli occhi e fissò Jimmy che non ebbe nemmeno il tempo di ribattere
qualcosa perché il diagnosta continuò, divertito.- quello che non capisco è
perché vuoi portarti a letto anche lei… hai un reparto a tua disposizione ed hai
scelto la più brutta??? E Karol, e Maggie, e..-
-va al
diavolo!- sbottò la donna all’indirizzo dell’oncologo, alzandosi velocemente ed
uscendo dalla mensa a dir poco furiosa. Gli occhi azzurri di House la
osservarono andare via, immaginando che non ci sarebbero stati altri
appuntamenti tra lei e Jimmy. Beh, infondo non sarebbe stata una gran perdita.
Era brutta davvero.
-si
può sapere cosa diavolo ti è saltato in mente?- domandò Jimmy, ragionevolmente
arrabbiato, mentre osservava l’amico sedersi dove era stata fino a poco fa la
donna.
-dovresti
ringraziarmi. Non era il tuo tipo.- disse portandosi alla bocca un pezzo di
bistecca.
Jimmy
roteò gli occhi.- se volevi parlarmi potevi benissimo venire nel mio ufficio o
..-
-si,
in effetti si. Ma non mi sarei divertito.- concluse l’uomo, spiazzando
completamente l’ascoltatore.
-ah
beh, allora, felice di averti fatto sorridere, adesso puoi dirmi che cosa c’è? E
anche abbastanza velocemente, devo andare a scusarmi con
lei!-
House
scosse la testa.- naa, ormai è andata. Se ti avvicini ti mollerà uno schiaffo e
andrà a raccontare a tutti che sei un donnaiolo.-
-perché
credi che non lo farà comunque?-
Greg
fu d’accordo. In effetti c’era andato giù un po’ pesante. Non disse niente e
ripresemangiare, sotto lo sguardo
rassegnato dell’oncologo.- va bene.- sbuffò alla fine quest’ultimo.- allora,
dimmi.. qual è il problema.-
-dovresti
dirmelo tu.- investigò Greg con i suoi potenti occhi
azzurri.
James
aggrottò la fronte, esasperato.- ma di che diavolo parli?-
-di
problemi. E se si parla di problemi si parla di donne. E se si parla di problemi
di donne, tu che sei il loro maggior confidente dovresti sapere
tutto-
-vuoi
sapere.. i problemi di.. Melissa?-
House
alzò gli occhi al cielo.- che vuoi che mi importi della cardiologa, parlo di
Cameron. Che ti ha raccontato dell’incidente?-
L’espressione
confusa di poco prima lasciò lo spazio ad una molto più soddisfatta, sul viso di
Wilson.- quindi è per lei che sei qui?-
-andiamo
lo so benissimo che la Cuddy ti ha mandato a chiederle dell’incidente!- sbuffò
House.- voglio solo sapere che ti ha raccontato!- vedendo che l’amico esitava.-
non l’avrà mica fatto in confessione!?-
James
sospirò- immagino che sia inutile chiederti di andarlo a scoprire da solo..- lo
sguardo di House fu eloquente.- mi ha detto.. di essersi sentita
male.-
-interessante.-
commentò l’uomo.- che genere di malore?-
Wilson
fece un’espressione strana.- ha detto che la vista si è
annebbiata.-
-era
la prima volta che le capitava?-
-no.-
continuò l’uomo.- ha detto che si è sentita male tutto il giorno. Gliel’ho detto
anch’io che avrebbe dovuto riguardarsi di più ma ormai...-
-sono
quelle dannate pillole- borbottò il diagnosta.- deve aver continuato a
prenderle, stupida martire..- disse piano.
-di
che pillole parli?-
-lei
non ti ha accennato di qualche tipo di pillole che le aveva assegnato Harmlet?-
Wilson
negò.
-sicuro?
Nemmeno sottinteso o ..-
-no.
mi ha solo detto di non stare bene da un po’ di tempo. E di essere in cura da
Harmelt.-
Greg
grugnì.- quell’incapace l’ha quasi uccisa.-
L’oncologo
aggrottò la fronte.- che vuoi dire? Sono le sue pillole a provocarle i malori?-
House asserì. Poi non disse più nient’altro e non ascoltò più nient’altro.
Wilson, nel sottofondo, continuava a chiedergli se secondo lui c’era un nesso
tra le pillole e l’ incidente o, peggio ancora, se le pillole non c’entravano
niente e tutto questo era riconducile ad una remota ipotesi di HIV. Ma House non
ascoltava.
Sapeva
bene che erano le pillole a causarle quell’intossicazione che le aveva causato i
recenti malori e quindi l’incidente. Sapeva anche che Cameron non aveva
contratto l’HIV, era troppo remota una possibilità simile, le probabilità era
appena sopra lo zero. Erano tutte cose che sapeva già da tempo, da un paio di
giorni per la precisione, quando aveva scavato nel suo privato e nella sua
cartella clinica, per scoprire cosa la facesse sentire così male e la portasse a
rimettere nel bagno. Glielo aveva detto di non prendere quelle stupide pillole.
E lei
non si era fidata di lui.
Questo
pensiero lo faceva sentire strano.. e ferito. Infondo, perché Cameron avrebbe
dovuto agire diversamente? Lui non l’aveva rispettata, l’aveva ingannata e si
era intromesso nella sua vita con la stessa delicatezza di un elefante, sparando
giudizi e sentenze.
Certo,
tutto questo era vero, verissimo. Ma rimaneva sempre il fatto che Allison non si
era fidata di lui, preferendo seguire gli ordini di quel vecchio ammuffito di
Harmelt, preferendo credere all’incapacità di quell’uomo, incapacità che l’aveva
portata a sfiorare la morte.
Si
sentì invadere da una rabbia cieca. Rabbia per Harmelt, perché con la sua
stoltezza gliel’aveva quasi portata via, e rabbia per Cameron che non si era
fidata di lui, del suo genio.
-House!-
esclamò infine Wilson, inorridito.- ma.. mi stai
ascoltando?-
-sì-
mentì, con uno sbuffo. Ma dallo sguardo si evinceva palesemente il contrario.
Jimmy
stava per inveirgli contro ma si fermò, quasi colpito dal suo sguardo assente.-
Greg..- disse, conciliante.- non puoi andare avanti così.. lo sai, vero?-
E non
alludeva alla possibile malattia di Cameron o a quant’altro.
Alludeva
ai sentimenti che il diagnosta provava per Cameron.
House
non rispose nulla. Ma una vocina piccola, dentro di sé, sembrò dire, piano:
“ lo
so, Jimmy, lo so.”
Cameron
stava leggendo un libro. Era un libro abbastanza grande, foderato di una
copertina rigida, probabilmente un romanzo, anche se non avrebbe saputo dire di
che libro si trattasse giacché, dalla sua posizione, non riusciva a leggerne il
titolo.
Chase
fece l’ultimo sorso del suo tè, mentre i suoi occhi non si staccavano un solo
istante dalla sua figura che, sebbene fosse ancora sotto sorveglianza e fosse
ancora attaccata ad una flebo, poteva finalmente dirsi fuori pericolo.
Merito
di House. Lui l’aveva salvata dall’arresto cardiaco, lui le aveva cercato
un’infermiera per poterla vegliare o , come tutti erano più propensi a credere,
l’aveva vegliata lui stesso tutta la notte. Infondo lui e Foreman l’avevano
trovato a dormire nel suo ufficio, questo poteva essere un indizio non
trascurabile.
Sorrise,
lentamente. Non aveva mai pensato che House potesse vegliare qualcuno.
Non
aveva mai pensato che potesse vegliare Cameron. Insomma, era ridicolo. House che
si preoccupava per qualcuno?
Gli
ripiombarono in testa le sue parole, quando gli aveva preso gli elettrodi dalle
mani e si era messo su Cameron, cercando di riabilitarla. Aveva detto
‘Allison, puoi farcela..’ o qualcosa di molto simile, non ricordava. Ma
se le parole non era molto indicative, il tono di voce lo era. Eccome. Era
quello di uomo terrorizzato. Terrorizzato dall’idea di perdere
Cameron?
Sembrava
di sì. Spaventato e determinato a salvarla. La determinazione di un..
dottore?
No,
non bastava questa come giustificazione. Era la determinazione di un dottore e
di un uomo innamorato.
Quest’ultima
opportunità lo fece sbellicare dalle risate. House innamorato di.. ma
figuriamoci.
Sospirò,
leggermente. Cameron aveva acceso la televisione ora, e chiuso il libro.
Ne
vedeva il profilo tranquillo e un po’ triste. Chissà se le avevano comunicato
che a salvarla era stato House. Probabilmente no.
-forse
dovresti andare da lei.- la voce di Foreman lo fece quasi sobbalzare.
-cos..
no.- disse velocemente Chase, preso in contropiede.- io.. volevo
giusto..-
Il
neurologo sorrise, un po’ intenerito.- ma se sono minuti che stai qui ad
osservarla.- lo contraddisse, un po’ ironicamente.- perché non
entri?-
L’australiano
roteò gli occhi.- e per quale motivo?-
Eric
alzò le spalle.- potresti chiederle come sta.-
-sono
passato questa mattina.- replicò il biondo, con una smorfia.
-e
allora portale questo.- disse consegnandogli una busta chiusa. Poi, prevenendo
la domanda del collega continuò.- sono i risultati del test per l’HIV.- Chase
annuì, prendendo la busta. –forse dovresti anche parlarle.-
Chase
sospirò e il suo sguardo tornò a fissare l’immunologa.- e che dovrei dirle?-
disse dopo un po’, con un accento nervoso e un po’ demoralizzato. Si voltò verso
Eric. - Cameron, sai che mi sono innamorato di te? Ah, ma non preoccuparti,
passerà presto, tu continua a pensare ad House.-concluse, velenoso.
Foreman
alzò le spalle.- dovresti provare comunque.-
Robert
abbassò lo sguardo. –questo destabilizzerà tutto.-
-è già
tutto destabilizzato.- gli ricordò il nero prima di lanciargli uno sguardo
attento e andarsene via velocemente, con passo cadenzato.
Non
trovò il coraggio di andare subito da lei.
Si
dette del vigliacco migliaia di volte, eppure la sua autodeterminazione non
bastava a fargli varcare la soglia della sua camera, ogni volta che, per sbaglio
o per una strana coincidenza del destino, si trovava a passare di
lì.
Erano
quasi le sette e trenta di sera, il suo turno sarebbe finito tra breve ma aveva
ancora con i sé i risultati del test di Cameron. Non era giusto farla aspettare
ancora, doveva consegnarle la busta, anche se questo voleva dire entrare nella
sua camera e.. parlarle. Non sarebbe stato facile, lo sapeva.
Sospirando,
spinse la porta di vetro della sua camera notando però che il letto della
ragazza era vuoto, solo dopo averne varcato la soglia. Aggrottò la fronte, poi
finalmente la trovò, in piedi e di spalle, affacciata alla finestra della camera
a godersi la magnificenza dello spettacolo del tramonto estivo. Chase sorrise,
istintivamente, e diede un piccolo colpo di tosse per palesare la sua presenza.
Cameron
si girò quasi di scatto, sorpresa e un po’ spaventata. -uh.. non ti ho sentito
entrare..- disse con un sorriso un po’ incerto, mentre i suoi occhi tornavano
quasi immediatamente sulla bellezza di quel tramonto al contempo così romantico
e così triste.
-non
dovresti stare già in piedi.- l’ammonì dolcemente Chase.- sei appena uscita da
un’operazione...-
Allison
si voltò, appoggiando la schiena alla finestra. Incrociò le braccia e parve
pensosa.- già.- disse, con un sorriso strano.
-ho
questa per te.- disse finalmente Robert, porgendole la busta che aveva tenuto
con sé praticamente tutta la giornata.
Cameron
aggrottò la fronte.- sono..- Chase annuì, silenziosamente. Le mani di Allison
tremavano quasi mentre prendevano la busta e la notizia che vi era all’interno.
Deglutì
e l’aprì, velocemente. Ne estrasse il foglio che era contenuto all’interno. I
suoi occhi scorsero velocemente le righe, fino ad arrivare alla notizia che le
interessava..
Il suo
volto divenne improvvisamente sereno, rilassato e la donna si lasciò sfuggire un
sospiro di sollievo. Negativi.. erano negativi…
Non
era malata. Finalmente parte di quell’inferno stava scomparendo.
Chase
non poté fare a meno di sorridere anche lui. –sapevo che sarebbe andato tutto
bene.-
-beato
te che avevi questa certezza.- sorrise lei.
–Cameron..-
disse poi l’uomo, dopo un piccolo silenzio, fissandola intensamente negli
occhi.- posso farti una domanda?-
L’immunologa
aggrottò la forte, poi alzò le spalle.- come vuoi, dimmi.- sussurrò, pur con
l’intima paura di sapere dove quella domanda andasse a parare.
Robert
si avvicinò a lei che era ancora appoggiata alla finestra, con l’aria che le
muoveva lentamente i capelli, e la luce del tramonto che le accarezzava
delicatamente le spalle.
-tu.-
iniziò, balbettando leggermente.- avresti accettato il mio invito a cena se non
fossi stata male?- scorse uno strano tremolio, infondo ai suoi occhi.
–Allison...- sospirò, per l’ennesima volta, passandosi una mano tra i capelli.-
ho bisogno di saperlo.-
Le
analisi quasi scivolarono dalle dita dell’immunologa.
Dannazione.
Si aspettava una domanda del genere. Deglutì, un po’ a fatica, poi iniziò,
dicendo.-io..-
-Cameron.-
l’interruppe lui.- sinceramente.- precisò il ragazzo.
infondo
aveva bisogno di chiarezza anche lui, non poteva restare così, in sospeso con il
dubbio e con la speranza che forse, se le cose fossero andate diversamente, lei
sarebbe uscita con lui.
–io..-
Cameron cerò di parlare ma le parole non le uscivano dalla bocca, avrebbe tanto
voluto dire qualcosa di più costruttivo ma sentiva un nodo, qualcosa che la
bloccava completamente. E sentiva che sarebbe scoppiata a piangere da un momento
all’altro.
Perché
lei sapeva come ci si sentiva in quei momenti.
Come
ci si sente ad essere rifiutati.
Il
silenzio era diventato fastidioso, quasi insostenibile e Chase, dandosi mille
volte dell’idiota, decise di interromperlo, dicendo. -senti, dimentica quello
che ti ho detto.- intervenne l’intensivista, piuttosto in imbarazzo.- io.. non
so neanche perché l’ho fatto.. forse è meglio che ti lasci
sola..-
-Chase.-
Nonostante tutto Allison trovò la forza di richiamarlo, attese che lui si fosse
voltato per continuare.- Cioè Robert.. io credo che sia meglio se ci
interrompiamo. Stiamo sbagliando e ne soffriremo tutti e due se non ci fermiamo
in tempo.-
Robert
annuì, pesantemente.- è un no, quindi.-
-non
posso, Chase.- si affrettò a correggerlo la ragazza, cercando, per quanto
possibile, di non ferirlo più dell’inevitabile.
Vide
una scintilla di rabbia, di frustrazione, brillare negli occhi del collega.- non
puoi?- replicò, quasi non riuscendo a seguirla. Gli occhi azzurri del ragazzo la
fissavano quasi incredulo. Infondo non poteva crederci sul serio. Non poteva
pensare davvero che Allison lo stesse rifiutando in quel modo. Non poteva
pensare che una donna come lei preferisse House a lui.
L’immunologa
abbassò lo sguardo.- sono molto confusa e...-
-smettila,
non mentire.- l’interruppe, ferito.- è per House.- le sue parole suonarono quasi
come un’accusa. Cameron sostenne il suo sguardo ma non trovò la forza di dire
nulla.
-io..
io non ci posso credere…- sbottò il ragazzo.- ti ostini a provare qualcosa per
un uomo che non ti tiene in nessuna considerazione! Perché vuoi farti questo? Tu
meriti di meglio.-
Allison
alzò le spalle, con gli occhi diventati improvvisamente lucidi.- non scegliamo
noi chi amare.-
Robert
la fissò per alcuni secondi poi negò con il capo e se ne andò velocemente dalla
sua stanza. Quella scena le ricordò Charles e il modo con cui lui se ne era
andato dalla sua vita. Aveva perso un’altra occasione.. forse con Robert non
sarebbe stata poi così male, forse doveva conoscerlo meglio. No. Lei non era una
di quelle ragazze che praticano la morale ‘chiodo scaccia chiodo’.
Forse
aveva davvero perso un altro treno della sua vita, che si era fermato,
pazientemente, cercando di persuaderla e poi, all’ennesimo rifiuto, era
sfrecciato, verso altre stazioni.
E lei
era rimasta di nuovo sola.
-ma io
lo amo.- sussurrò, quasi per giustificarsi, per dare una spiegazione a se stessa
e alla sua solitudine.Per spiegare
a quellaparte di lei, alla Cameron
razionale, che non poteva andare avanti, che non poteva uscire con Chase né con
nessun altro. Perché l’altra sua metà, la Cameron innamorata di House, era stata
più forte, di nuovo.
Si
chiese per quanto ancora lo sarebbe stata, mentre si sedeva pesantemente sul
letto.
Capitolo 13 *** No need for anything but music ***
This shouldn't happen again
Ciao
ragazzi, come va? Io già inizio ad avvertire la mancanza di House, voglio la
terza serie! Beh, tornando a noi, eccovi il capitolo 13.. annuncio che ormai
siamo arrivati in vista della fine.. Che dire, intanto ringrazio di cuore le
gentilissime persone che continuano a commentare la mia storia.. grazie per le
vostre belle parole, non pensavo sinceramente che ‘This shouldn’t happen again’
potesse riscuotere tanti consensi…un bacione enorme a: Hikary,
Rue
Meridian,
Toru85,
Giu_chan,
Ery_chan,
Venus,
Giulia99,
Liserc,
Apple
e
Sybilla,
grazie!
Questo
è il primo vero capitolo cottoncandy della storia e mi è tanto caro.. fatemi
sapere che ne pensate, mi raccomando!
Un
bacio,
Diomache.
This
shouldn't happen again
“this
shouldn't happen again”
“Do you think I want it
to?”
Chapter
thirteen: No need for anything but you
“ scusi, signorina, è libero
questo posto?”
Si erano così conosciuti così.
Quasi per caso.
Lei che alzava i suoi occhi
affascinanti, lui che le rivolgeva un sorriso simpatico. Niente di
eccessivamente originale, solo due ragazzi che giorno dopo giorno si erano
scoperti simili e innamorati.
E un giorno era accaduto. Lui
che l’aveva raggiunta a casa sua e aveva detto, con fatica, con voce, dolce,
delicata, quasi un sussurro.“Ti amo, Allison.”
Gli occhi di lei che erano
diventati improvvisamente lucidi, il suo viso che subito si era piegato in un
bel sorriso. “anch’io ti amo, Brian.” Avevano riso, si erano abbracciati, si
erano amati.
Il cielo era azzurro in quel
tempo, limpido.
Ma non sereno. Anche se in quel
momento non c’erano nubi che oscurassero l’orizzonte, entrambi sapevano che il
temporale sarebbe arrivato, presto o tardi, ma sarebbe arrivato. E il temporale
era arrivato, violento, assurdo, freddo e doloroso. Era finito il momento della
serenità, della vita quotidiana, quella che a molte coppie potrebbe risultare
banale e noiosa. Lei ci avrebbe messo la firma perché quella ‘noia’ fosse durata
per sempre.
E invece no, il periodo delle
tranquille giornate passate a casa, nella loro casa, era finito.
Si era aperto quello delle
camere d’ospedale. Erano iniziate le tanti nottate passate accanto lui, i
pomeriggi, vicina al suo letto, seduta con un libro di medicina aperto sulle
gambe e lo sguardo fisso su suo marito che riposava nei rari momenti in cui la
malattia non gli toglieva il fiato dal dolore. Ma anche questo non sarebbe
durato per sempre.
Quel giorno non tardò così
tanto ad arrivare.
Era una giornata qualunque e
lui aveva una ‘buona giornata’, come amava definirle Cameron. Stava seduto sul
letto e parlava distrattamente di un recente sogno che aveva
fatto.
“non voglio lasciarti.” Disse
improvvisamente la donna, interrompendo suo marito, senza alcuna connessione con
quello detto fino a prima.
Lui l’osservò, con i suoi occhi
neri, intensamente. Le prese la mano, la strinse, la portò alle labbra e la
baciò, dolcemente. “neanche io.- disse quindi.- ma non ti lascerò. Voglio che tu
lo sappia sempre. Io sarò sempre con te. ”
Cameron scosse il capo, con gli
occhi traboccanti di lacrime. “non sarà abbastanza. Io ti voglio qui, voglio le
tue carezze, i tuoi occhi… voglio te, amore mio.. ” la voce le era mancata,
soffocata dalle lacrime. “che farò senza di te…”
Brian le prese il voltò tra le
mani. “non piangere, Allison, non piangere. Troverai qualcuno che ti amerà e
questa volta sarà per sempre. Sei.. stata la persona più importante della mia
vita. E sai che ti dico? Preferisco morire domani piuttosto che vivere altri
cento anni senza averti conosciuto..”Allison aveva sorriso,
dolcemente, abbracciandolo stretto, cercando di tenerlo a sé, di non lasciarlo
fuggire via.
“una cosa.- le sussurrò poi
l’uomo.- non dimenticarmi,ti prego. Non dimenticare.”
Cameron aveva annuito, aveva
sorriso. Sorriso come può fare una ragazza ventunenne, una ragazza che non si
sarebbe mai immaginata che solo poche ore dopo tutto quello in cui aveva
sperato, tutti suoi, seppur momentanei, progetti, tutti i suoi sogni, tutta la
sua vita si sarebbe infranta. Brian era morto appena due ore dopo, tra le sue
braccia.
Cameron si svegliò di soprassalto,
sobbalzando nel suo freddo letto d’ospedale, con la bocca aperta ma senza grida,
senza suoni. Sospirò, passandosi una mano tra i capelli, poi sugli occhi. Calma,
Allison, calma, si disse cercando di dominare il cuore che le rimbombava nella
mente.Era solo un sogno.
Erano ricordi. Solo ricordi.
I suoi occhi, sebbene l’oscurità
della stanza, si focalizzarono sul calendario, nel giorno di oggi. Una lacrima,
silenziosa, le scivolò sulle guance.
–no, Brian.- sussurrò, con un
sorriso mesto.- non ti dimenticherò mai.-
Le porte metalliche del PPTH si
aprirono automaticamente facendo entrare il più dispotico, il più cinico dei
suoi dottori, il più geniale ed il più insopportabile. Lui, sarcastico, misogino
e terribilmente scettico, ateo e..terribilmente in ritardo.
I suoi occhi osservarono con
circospezione l’ambiente circostante, invaso, come sempre, da pazienti
rompiscatole, infermiere incapaci e dottori ancora peggio, cercando di
adocchiare la terribile leonessa responsabile di tutta quella savana, la
rarissima specie di Cuddy..
Niente,
via libera, decretò poi infilandosi velocemente nell’ascensore già pieno di
persone che, vedendolo entrare con forza, alzarono istintivamente gli occhi al
cielo. –dove si va di bello?-domandò Greg con un sorriso allegro.
-al
terzo.- rispose un infermiere con l’aria piuttosto scocciata.
House
sbuffò, contrariato. Dopo qualche secondo le porte metalliche dell’ascensore si
aprirono e immisero al terzo piano, curiosamente, lo stesso piano in cui era
attualmente ricoverata Cameron. Gli infermieri che erano con lui uscirono
velocemente dal mezzo, lasciandolo solo all’interno dell’ambiente chiuso.
Gli
occhi freddi del diagnosta osservarono per un istante il tasto ‘due’
dell’ascensore, tasto che lo avrebbe portato al piano ‘diagnostica’, al suo
lavoro. Considerò la possibilità di uscire al terzo. Di andare da lei, da
Cameron.
Erano
passati tre giorni dall’ultima volta in cui si erano parlati e si rese conto di
aver pensato a lei quasi ininterrottamente chiedendo continuamente notizie a chi
gli capitava a tiro, a chi vedeva uscire dalla sua camera, con chi, sapeva, lei
si confidava.
Le
porte dell’ascensore si chiusero di nuovo, ma Greg allungò il bastone per
impedire che lo facessero totalmente. Non sapeva bene che stava facendo. Né
perché lo stava facendo.
Solo, era quello che VOLEVA fare.
Varcò
la soglia dell’ascensore con un passo abbastanza veloce, passo che si fece poi
drasticamente più lento ed incerto non appena si ritrovò proprio davanti alla
camera della ragazza. Non sapeva dire perché aveva deciso di non proseguire e si
era fermato da lei. Forse era solo la voglia di lavorare che in quel periodo
scarseggiava più del solito o .. o forse.. forse aveva semplicemente voglia di
vederla.
I suoi occhi azzurri si
focalizzarono, curiosamente, sulla figura della Cuddy che usciva dalla porta
della sua collaboratrice, dicendo. –mi dispiace Allison, non posso.- con un
sorriso un po’ dispiaciuto ma abbastanza determinato.
Sentì
la ragazza, dall’interno replicare vivamente ma non capì bene le sue parole.
l’unica cosa che gli risultò chiara fu il suo tono acceso, niente di
più.
Lisa
scosse la testa, alzando le spalle.- non posso davvero. Stai bene ma non me la
sento di prendermi questa responsabilità. A presto.- concluse la direttrice
chiudendo la porta, dopo aver atteso il saluto di Cameron, saluto che risultò un
po’ spento e deluso. House si nascose velocemente dietro una colonna per evitare
di essere visto dalla donna che, ne era sicuro, l’avrebbe linciato per il suo
ennesimo ritardo e per non essere in quel preciso istante nel suo ufficio.
I
suoi occhi attenti osservarono la Cuddy sospirare e avviarsi lungo il corridoio.
La
donna passò senza accorgersi di nulla e lui, concentrato, rivolse la sua
attenzione alla camera dell’immunologa. Che diavolo si stavano dicendo quelle
due poco fa?
Si
diresse velocemente verso la camera della giovane e spostò la porta con un gesto
teatrale e determinato. Cameron si voltò di scatto verso l’entrata, immaginando
e sperando che fosse rientrata la Cuddy. Sul suo viso si lesse a chiare lettere
la delusione. –ah… sei tu..-
House
alzò gli occhi al cielo.- buongiorno anche te.-
Cam
gli voltò le spalle, silenziosa. E misteriosa. Come sempre.
Era seduta sul suo letto
d’ospedale con le gambe rivolte verso la finestra spalancata da cui filtrava una
leggera brezza estiva. Nonostante House fosse di spalle non poté fare a meno di
percepire un certo alone di tristezza che, ne era sicuro, era collegato con
quella misteriosa visita da parte di Lisa.
Aveva
i capelli un po’ scompigliati ma comunque abbastanza ordinati, perfetti e
precisi come sempre era lei. Con un mezzo sorriso constatò che Allison Cameron
riusciva ad essere perfetta ad elegante anche con addosso un pigiama d’ospedale.
Come se quella sua eleganza fosse qualcosa di acquisito, di innato. E di
bellissimo, senza dubbio. Vederla di nuovo gli aveva dato una sensazione strana,
un piccolo magone allo stomaco unito però ad una bellissima sensazione di
piacere.
La sua
voce lo distolse dai pensieri. – come mai sei qui?.- domandò la ragazza con voce
piuttosto spenta. - pensavo che Cuddy ti avesse licenziato, non ti sei
più fatto vivo, nemmeno per sbaglio.-
-Foreman e Wilson sono stati più
nella tua stanza che a lavorare. Per non parlare di Chase che deve averci messo
la tenda qua dentro.-
Allison
scosse la testa. –almeno loro sono passati.-
-se
continui me ne vado.-
Cameron
si girò per la prima volta e con uno sguardo indignato ed arrabbiato. House
brontolò, cercando di giustificare la sua ultima uscita.- se ogni volta che
vengo mi fai la paternale non mi incentivi a venire più spesso, non ti
pare?-
Cameron
ripiombò nel silenzio e i suoi occhi si fissarono, curiosamente, sul calendario
che era appeso nella sua stanza. House seguì il suo sguardo puntato sulla
giornata di oggi.
Si,
doveva essere successo qualcosa con la Cuddy. Foreman gli aveva riferito che
ieri Cameron pur avendo la febbre abbastanza alta a causa di una piccola
infezione legata all’intervento, era allegra e di buon umore. Tutto il contrario
della ragazza triste che aveva ora di fronte.
-che
voleva Cuddy?- la buttò là, come una provocazione, più che altro. Magari Cam gli
avrebbe detto spontaneamente quello che l’affliggeva.
Allison
scese dal letto, con un piccolo saltino, confermandogli l’ipotesi di un leggero
dimagrimento da parte della ragazza. La donna si voltò, mostrando un aspetto
triste ma determinato.- non sono cose che ti riguardano.- disse, acida.
House
sorrise.- aggressiva. Me l’aspettavo.- disse, annuendo.- tipica depressione
post..-
-tipica
un corno.- lo freddò la giovane.- non credere di poter capire quello che mi
passa per la mente con un sillogismo da bambini delle
elementari..-
Greg
sorrise, intrigato.- questo è più di un sillogismo. È la chiave. Allora, è il
tuo compleanno o cosa?- Cameron parve spaesata e sorpresa .- su, non fare
l’ingenua. L’ho visto il tuo sguardo fisso verso il 1 luglio, che è
oggi.-
Cameron
abbassò lo sguardo, in imbarazzo. House sorrise. Centro.
-non..
non è il mio compleanno.- sussurrò, poi.- e ti ho già detto che non ti
riguarda.-
-sicuramente
mi riguarda perché se ti deprimi non guarisci e se non guarisci rimani una mia
paziente.-
-io
non sono una tua paziente!- protestò la ragazza.- e poi..-
-giusto,
sei la paziente di Harmelt!- si corresse Greg, fingendosi addolorato.-oh, scusami, non volevo. Infondo fai
bene, lui si che è un vero medico! Dopo che ti ha quasi uccisa è giusto che tu
gli resti fedele!-
Cameron
aggrottò a fronte.- lui non mi ha uccisa. Credeva di agire per il meglio,tutti
possiamo sbagliare. E io non sono la paziente di nessuno. Sono guarita e voglio
uscire!-
-è
per questo che litigavate tu e Cuddy?- domandò l’uomo con lo sguardo tipico di
ha capito di centrato a pieno la questione. Allison socchiuse gli occhi,
maledicendosi per la sua sbadataggine. –sì.- disse, poi, con uno sguardo
strano.- io vorrei uscire ma lei mi ha detto che prima di domani non se ne
parla.-
House
annuì, poi piegò la testa verso il basso, riflessivo.- e come mai tutta questa
fretta? Un giorno in più non è una morte d’uomo. Non per te, almeno, che sei l’
emblema della pazienza, Cameron.-
La
giovane si abbracciò le braccia, istintivamente.- è imbarazzante stare qui
quando sai di non avere niente..-
-no,
non è vero.- la contraddisse Greg avvicinandosi a lei, quasi pericolosamente.
Arrivò fino a pochi centimetri da lei. –stai mentendo.- disse con un sorrisetto
soddisfatto come uno scienziatoche
scopre l’universale verità della sua teoria. L’Everybody lies, si era
confermato di nuovo.
Cam
distolse lo sguardo.- non voglio parlarne.-
Normalmente House avrebbe
insistito di più. Ma qualcosa nel suo tono ferito lo convinse a lasciar stare.
Per ora, almeno. Cambiò argomento.- Chase era insopportabile questi giorni. L’ho
dovuto bastonare due volte per farmi obbedire.-
-l’hai..
cosa?-
-in
maniera figurale.- precisò l’uomo, con un’aria scocciata.-
purtroppo.-
Cam
sorrise. Greg, in un modo o nell’altro, riusciva sempre a farla ridere.
-e
dato che ho avuto modo di constatare che Chase è così insostenibile solo quando
va in bianco, suppongo che tu..-
-oh
per favore..- sorrise Allison, non potendo trattenere una risata. –sei diventato
più pettegolo di una zitella incallita.-
questa
volta fu Greg a sorridere.- mi confermi quindi. Sei dunque tu la responsabile
dello stato d’impotenza del mio intensivista! Potrei citarti in causa, sai? In
questi giorni non mi becca più nemmeno la diagnosidi un
raffreddore!-
Cameron
questa voltò scoppiò letteralmente a ridere e questo coincise con l’aprirsi
improvviso della porta della sua camera. –oh, ci si diverte vedo.- fu il
commento genuino di una voce a loro molto conosciuta. I due dottori si voltarono
scoprendo proprio Foreman e.. Chase.. all’ingresso della stanza della giovane.
Chase
non poté fare a meno di notare lo sguardo spensierato di Cam in compagnia di
House e lo sguardo altrettanto sognante (anche se ben nascosto) di Greg.
Allison, la donna che aveva creduto potesse diventare sua. Che stupido. Cameron
era chiaramente nata per House.
Il
sorriso di Allison scemò leggermente vedendo lo sguardo un po’ scuro del suo
collega.
-non
immaginavamo di trovarti qui, House.- continuò Eric.- ma da quanto sei arrivato?
Pensavamo che ormai non saresti più venuto!-
-e
venivate qui da Cameron per ammazzareun po’ il tempo!- lo rimproverò Greg.- ah, e io che vi pago
pure!-
Foreman
gli lanciò un’occhiata eloquente.- vieni. Dobbiamo parlare del
caso.-
-che
caso?- domandò Cameron che aveva finalmente riacquistato il sorriso e
dimenticati i suoi problemi. Questa volta fu Robert ad intervenire. –quello di
una dottoressa che non si riposava nemmeno quando era lei ad essere la
paziente!-
Cameron
gli sorrise dolcemente.- grazie, ma sto bene.-
-oh,
vorremmo continuare a vedervi lanciare sorrisetti innamorati, ma, ahimè, il
dovere ci chiama! Chase! Chiudi la pattuella e in ufficio, marsh!- tuonò Gregory
avviandosi verso l’uscita della camera e varcandola velocemente, sotto le risa
di Foreman che scuoteva il capo, divertito. Chase lanciò un’ultima occhiata ad
Allison poi si avviò anche lui verso l’uscita, seguendo diligentemente gli
altri.
Cameron
rimase sola.
E
il suo sguardo, sebbene non avesse voluto si focalizzò, di nuovo, su quel
fatidico, 1 luglio.
La
musica degli Who gli circolava liberamente nelle orecchi e, ormai, nel sangue,
contando che stava ascoltando musica da più di mezz’ora. Erano circa le sei di
pomeriggio, aveva ancora un paio d’ore abbondanti eppure già non ne poteva più,
e si era ritirato nel suo ufficio e rifugiato nel suo mondo ermetico ed
inaccessibile, il suo mondo fatto di pensieri, di riflessioni, il suo mondo
fatto solo di sé.
Era
lì dove si rintanava quando la realtà circostante non lo interessava più di
tanto, quando non c’era più ragione perché restasse, oltre che fisicamente,
anche mentalmente tra gli altri.
Il
nuovo caso era stato complicato ma non così tanto da interessarlo, pericoloso ma
non abbastanza da fargli salire un po’ d’adrenalina nelle vene, da farlo sentire
vivo, per un istante. Tutto sembrava così banale, scontato. Sospirò, mentre si
accomodava meglio alla poltrona del suo ufficio, con fare stanco e apatico. Gli
occhi chiusi, il volto rilassato, sereno quasi.
Non
seppe dire da quanto tempo lei fosse già lì. Poteva essere arrivata da appena un
minuto oppure essere stata ad osservarlo tutto il tempo. Fatto sta che, quando
si era girato, quasi involontariamente, verso la porta e aveva aperto gli occhi,
aveva incontrato il suo sguardo, bello e fresco come una mattinata di primavera.
Subito
aveva aggrottato la fronte e si era tolto le cuffie.- e tu che diavolo ci fai
qui?-
Allison
abbassò un po’ lo sguardo. Era ancora vestita con quel semplicissimo pigiama
d’ospedale ma aveva un’espressione diversa rispetto a prima. Sembrava..
determinata?
-devo
chiederti una cosa, House.- disse quindi la giovane, osservandolo intensamente.
Il
diagnosta sbuffò, nascondendo il reale interesse per la cosa. –spero che sia
importante, perché hai interrotto il mio pezzo preferito-
L’immunologa,
sorrise, debolmente.- lo è. Ma prima ho bisogno di sapere se posso fidarmi di
te.- e deglutì a fatica, gli occhi leggermente persi nel vuoto, la voce incerta.
Greg
la guardò, interessato, poi sbuffò, ironicamente.- tu non ti fidi di me di tua
stessa volontà. Altrimenti non avresti continuato a prendere le pillole di
Harmelt.-
-House.-
lo interruppe lei.- io non ho più preso quelle pillole da quando tu me le hai
sconsigliate. Io credo sempre in te.-
Greg
finse uno sguardo distratto. In realtà quelle parole per lui erano importanti,
vitali quasi. E, lo sapeva, erano vere. Dunque lei si era fidata di lui.
-comunque
non parlavo di un parere medico.- disse poi frettolosamente, la ragazza.- ho
bisogno di te.- parlava lentamente, quasi a fatica. -ho.. bisogno di un favore.-
Greg
annuì, pensieroso.
-avevi
visto giusto.- iniziò lei con un sorriso un po’ incerto.- oggi è un giorno
particolare, anche se non è il mio compleanno. Oggi sono cinque anni che mio
marito è morto.- House la fissò, intensamente. – ho bisogno di te perché devo
andare al cimitero a trovarlo.- concluse la giovane, questa volta molto decisa.
Il
diagnosta annuì, energico. Adesso sì che tutto tornava.- fantastico. E hai
pensato a me per trafiggere le regole dell’ospedale?-
-per
te le regole non esistono.-
-per
te si però.- la contraddisse.- o esistono solo quando non ti toccano dal
vivo?-
Cam
esibì un evidente falso sorriso.- .. infondo è importante anche saperle
infrangere per una giusta causa, non ti pare? e se non ti va d’accompagnarmi,
non ti arrampicare sugli specchi, che qualcuno lo trovo comunque.- concluse
acida.
-oh
sì. Chase ti ci poterebbe in braccio!- esclamò lui, sarcastico, celando una
piccola patina di gelosia.
Allison
piegò il capo.- per esempio, sì. Oppure Wilson. Lui sì che ha
cuore.-
-naa,
non accetterà. Se deve scegliere tra fare un favore ad un’amica e non fare un
dispetto alla Cuddy, stai tranquilla che sceglie la Cuddy. Ne è innamorato, ma
questo è un segreto non posso dirtelo.Oopss..-
Cameron
rimase interdetta qualche istante.- Foreman..-
House
grugnì, divertito.- sì, provaci. E poi raccontami che ti ha
risposto.-
Allison
annuì, determinata. Non gliel’avrebbe data vinta tanto facilmente. - ci andrò da
sola, allora. Credi che ne abbia paura?-
-è
retorica?-
-no!-
sbottò lei, indignata.- vado, mi cambio ed esco.- fece per alzarsi ma Greg la
fermò simultaneamente, afferrandola velocemente per il polso.
I
loro occhi si incontrarono, intensamente.
-perché
io?- chiese Gregory, quasi soprappensiero, lasciando lentamente la presa.
Cameron
voleva gridargli un ‘possibile che ancora non l’hai capito???’ ma non disse
niente del genere. Sarebbe significato litigare di nuovo.- perché so di poter
contare su di te.- erano parole vere e sentite, che arrivarono dritte all’animo
dell’arcigno diagnosta. –e perché..- continuò la ragazza.- tu ti diverti a fare
questo genere di cose. Perché se puoi fare qualcosa che non è consentito non ci
penseresti un solo istante.-
-vero.-
approvò lui.- ma se la Cuddy ci becca mi prendo una settimana di ore di clinica
aggiuntive.-
Cameron
esitò, poi disse.- vorrà dire che te le farò io.-
House
sorrise, soddisfatto.- fila in camera tua.- disse con voce imperiosa. Cameron
rimase di sasso, incredula, per qualche istante.- e mettiti qualcosa di decente.
Non penserai mica che ti porti in moto con quella specie di vestaglia
addosso?-
Il
sorriso di Allison fu piuttosto eloquente. Si alzò di scatto e s’avviò verso
l’uscita.
-e
possibilmente.- continuò l’uomo.- non farti scoprire.-
Si
ritrovarono nel parcheggio, appena una mezz’oretta dopo. – ti ha visto
qualcuno?- domandò House osservandola quasi distrattamente, mentre si avvicinava
alla sua moto vicino alla quale la donna lo aspettava pazientemente già da
alcuni minuti. – no.- rispose, vaga.- ce ne hai messo di tempo, pensavo non
saresti più venuto..- lui non rispose niente, si limitò a posizionarsi sulla
moto e a passargli il casco.- sbrighiamoci.- disse, quindi.- tra meno di due ore
i cimiteri saranno chiusi. A proposito, dove si trova quest’incanto di posto?-
domandò.
Cameron
rispose, indossando il casco. –dista circa un’oretta da
qui.-
-bene.-
mormorò sarcastico.- cimitero cattolico?-
Cameron
sospirò.- già.- Brian era molto credente. Era morto sereno, sorretto dalla sua
inattaccabile fede.
-è
meglio sbrigarsi.- ripeté l’uomo, facendole segno di salire. Cam si posizionò
dietro di lui, stringendosi forte al suo corpo caldo etranquillizzante. La moto partì subito
dopo.
Il
viaggio fu più breve di quanto entrambi immaginassero. La strada sgombra,
asciutta era passata velocemente sotto gli occhi della ragazza che si era
appoggiata dolcemente al corpo del guidatore, socchiudendo gli occhi, godendosi
quel momento chiaramente unico.. infondo non le sarebbe capitato tanto presto di
restare così vicina ad House.
-ehi.-
la chiamò improvvisamente quest’ultimo, ma senza risultato.- HEI!- ripeté a voce
più alta subito dopo, destandola dalle sue riflessioni. Allison si accorse che
la moto era ferma e che lei era ancora stretta a Greg. Arrossì violentemente, si
staccò immediatamente da lui e scese dalla moto.
House
roteò gli occhi vedendo il suo imbarazzo.- devi imparare a controllarti, bimba
mia. Non puoi cadere in choc ogni volta che mi tocchi-
Cameron
gli lanciò un’occhiataccia, poi il suo sguardo si rivolse all’entrata del
cimitero. –sarà meglio che vada.- fece qualche passo poi, notando che il
diagnosta non si muoveva dalla sua moto chiese, anche se un po’ titubante.- … ti
va d’accompagnarmi?-
Gli
occhi azzurri dell’uomo la fissarono intensamente. Sperava che glielo chiedesse.
Non
fece niente, solo si alzò e si mosse verso di lei, con la sua consueta andatura
claudicante.
I
due entrarono nel silenzioso luogo sacro e dopo essersi fermati a comprare un
piccolo mazzo di fiori bianchi, iniziarono a costeggiare la lunga fila di lapidi
che si diramavano come un complicato ed intrecciato labirinto di cui Allison
conosceva la chiave. Giunsero a breve davanti alla lapide che la donna cercava,
una tomba piccola, semplice, bianca. Erano stati in silenzio fino a quel
momento, anche se Greg l’aveva osservata con la coda dell’occhio per tutto il
tempo cercando di catturarne le emozioni, lo sguardo, i pensieri.
Si
sentiva un privilegiato. Stava condividendo un momento importantissimo e così
intimo della vita di Cameron. Lei avrebbe potuto scegliere qualcun altro,
infondo aveva ragione, chiunque l’avrebbe accompagnata. Lei piaceva a tutti.
E
invece aveva scelto lui. Osservò lentamente la foto del suo defunto marito. Un
bel ragazzo, dall’aria simpatica, sotto il quale troneggiava la scritta in oro
di “Brian O’Condor.”
I
suoi occhi si spostarono su di lei.- è meglio che ti lasci sola ora.- disse, con
la voce un po’ roca.
Allison
gli sorrise.- grazie.- sussurrò quindi osservandolo allontanarsi leggermente e
lasciarla sola con il marito. I suoi occhi verdi si concentrarono sulla foto
dell’uomo. Si inginocchiò accanto a lui, sistemò i fiori, poi si baciò le dita e
sfiorò la foto di Brian, sorridendo delicatamente.
House
si fermò dopo pochi passi, avendo individuato, tra le fila delle lapidi una di
quelle che erano state sue pazienti. Aguzzò la vista. –si..- sussurrò fissando
la foto della donna.- tu eri.. eri quella della rabbia..- continuò, concentrato.
Sorrise, quasi divertito.- beh, com’è piccolo il mondo..-
Cameron
arrivò poco dopo, così poco che Greg roteò gli occhi, all’idea che le aveva
fatto faretutta quella strada per
stare effettivamente due minuti vicina al marito.
-hai
trovato compagnia, vedo.- esclamò la ragazza, alludendo alla lapide della donna.
Greg
si stupì di non vederla commossa e con i lacrimoni agli occhi, come invece
immaginava. Sembrava.. serena? Anzi, era serena. Mah, che enigma. Niente da
aggiungere.
-già.-
approvò l’uomo.
-sono
contenta. Almeno non ti sei sentito solo..-
-abbiamo
fatto due chiacchiere.. sai, mi piace rievocare i vecchi tempi.-
Cameron
rise piano, mentre attraversavano a ritroso il cimitero. Il silenzio era caduto
di nuovo tra di loro, un silenzio stranamente non teso ma tenero e complice, in
qualche modo.
-lui
com’era?- chiese improvvisamente House, non riuscendo più a trattenere la sua
irrefrenabile curiosità.
Cameron sorrise, quasi
sognante.- è stato il mio primo amore.- mentre parlava i suoi occhi erano fissi
sull’orizzonte che volgeva all’ imbrunire.- era un uomo come tanti altri, una
persona semplice, era gentile, simpatico. E io lo amavo.- concluse lentamente.
House
la guardò, sorpreso, di nuovo. Si immaginava una descrizione del tipo ‘era un
uomo eccezionale, unico, meraviglioso’ tipica delle donne che sono solite
tracciare i contorni dei loro uomini passati come uomini inarrivabili e
perfetti. Ma di nuovo, Cameron non era come le altre. Arrivarono finalmente
all’uscita del cimitero, dove trovarono parcheggiata la fiammeggiante moto
arancio di House.
Cameron
osservò intensamente il suo capo, mentre questo prendeva il casco e agganciava
il bastone ai lati della moto. Sospirò. Non aveva detto una parola per tutto il
tempo, se non poche, pochissime cose. Certo, l’averla accompagnata fin lì e aver
fatto tutto questo per lei era un gesto più che bello ma ormai non poteva più
accontentarsi delle briciole, non poteva più compiacersi di dedurre dai suoi
comportamenti. Non poteva più sostenere il suo bifrontismo, la sua ambiguità.
Prese coraggio. Doveva farcela.
-dopo
di Brian.- continuò, facendo voltare verso di sé il diagnosta.- la mia vita era
distrutta. Non avevo punti di riferimento, non avevo niente. Poi sei arrivato tu
e...- disse queste ultime parole stringendo i pugni e fissandolo profondamente
negli occhi cercando di trovare appiglio e sicurezza in quegli occhi di
ghiaccio. Non ce n’ era ma proseguì lo stesso.- io …-
-Cameron.-
l’uomo la fermò, quasi con stizza. Lei distolse lo sguardo e si morse
istintivamente il labbro inferiore.- è tardi. Sali.- La ragazza obbedì,
silenziosamente.
Il
tragitto di ritorno al PPTH sembrò quasi non finire mai. Il rombo della moto
risuonava ossessivamente ma non permetteva ad House di non percepire i
singhiozzi silenziosi di Cameron, dietro di lui. Piangeva silenziosamente e se
non fosse che, di tanto in tanto sentiva il suo corpo fremere, appoggiato alla
sua schiena, non se ne sarebbe accorto. Certo, soffriva. Ma soffriva anche lui.
Soffriva perché non avrebbe mai voluto ferirla, perché avrebbe voluto dirle
tante cose, avrebbe voluto spiegarle come si era sentito quando lei era stata ad
un passo dalla morte, la sua disperazione al solo ipotizzare una cosa del
genere.
Ma
allora perché l’allontanava? Aveva pensato di non poter vivere senza di lei.
Poteva allora credere di poter andare avanti mantenendo quella fredda distanza,
quel distacco che si era imposto con tanta assurda tenacia?
La
moto si fermò, davanti alla fredda sagoma del PPTH. Ormai era quasi buio e le
luci dell’ospedale davano quasi un effetto magico al paesaggio circostante.
Cameron scese velocemente dalla moto. Posò il casco a terra e si mosse verso
l’ospedale senza dire una parola, senza degnare nemmeno di uno sguardo il suo
autista.
-Cameron.-
La
voce di House la bloccò quando non aveva fatto neanche un metro di strada.
Capitolo 14 *** What love can do that dares love attempt ***
This shouldn't happen again
Ciao
ragazzi!!!! Finalmente ho terminato di scrivere il quattordicesimo capitolo,
eccolo on line, spero che vi piaccia! Un ringraziamento dal profondo del cuore a
tutti coloro che hanno recensito il 13, un sincero grazie a tutti, sono
commossa!!
Grazie
mille a: Toru85,
Gulyuly,
Apple,
Artemisia89,
Marghe999,
Venus,
Eri_chan,
Giu_chan,
Irene!!,
Kiana,
Kr91g,
Ale87,
Liserc
e
Dana
!! Grazie mille del vostro appoggio e di aver recensito, spero che continuerete
a farlo!
Un
bacio!
Diomache.
Ps:
il titolo è una citazione, chi indovina che autore è? (è facilissimo, in
realtà..)
This
shouldn't happen again
“this
shouldn't happen again”
“Do you think I want it
to?”
Chapter
fourteen: What love can do that dares love attempt
Cameron
dischiuse leggermente le labbra dallo stupore.
Se
non avesse avuto la borsetta sulla spalla probabilmente le sarebbe scivolata
dalla mani. Non riusciva a crederci. Ma aveva sentito bene? House che le
chiedeva di non andare? Ok, non esplicitamente, ma in una maniera assolutamente
non equivocabile?
Rimase
voltata e inizialmente in silenzio.
Poi
sospirò e disse, probabilmente un istante prima che Greg lasciasse perdere e se
ne andasse via. E questa volta, forse, sarebbe stato per sempre.
-no.-
tentennò leggermente.- hai altre idee?- domandò, voltandosi lentamente verso di
lui.
House
distolse un istante lo sguardo, un po’ in imbarazzo. Dannazione, avrebbe
preferito che rimanesse di spalle. Parlare con la sua schiena era più semplice
di doversi confrontare continuamente con i suoi occhi verdi.
-pensavo.-
iniziò, con un’aria piuttosto vaga e abbastanza sicuro di sé.- ormai la frittata
l’abbiamo fatta, la Cuddy sarà furiosa. Torni adesso o tra qualche ora non farà
differenza.-
Allison
lo osservava, attenta.- non sono d’accordo. Ci sono vari livelli di rabbia.-
controbatté leggermente. –Cuddy potrebbe solo essere al primo stadio. E se non
rientro per altro tempo, potrebbe arrabbiarsi ancora di
più.-
-già.-
approvò l’uomo.- quanto potrebbe arrabbiarsi di più di così
?-
Cam
lo osservò, un po’ spiazzata.- ehm, non lo so..-
-bene.
Ci divertiremo a scoprirlo.- prese il casco e glielo lanciò, con un gesto
tipicamente da lui come quando avevano dovuto andare a ispezionare la casa della
signora che poi scoprirono essere una malata psichica. Allison lo prese per un
pelo, perdendo anche leggermente l’equilibrio. –ma..- tentò d’opporsi.- e.. le
regole dell’ospedale?-
Non
che non volesse andare con lui. Anzi. Ma voleva farsi desiderare. Almeno un
pochino..
House
sghignazzò, poi alzando gli occhi al cielo fece una voce palesemente
effeminata.- infondo
è importante anche saperle infrangere per una giusta causa, non ti
pare?-
Cameron
rise, riconoscendo la frase che gli aveva detto lei, appena un’ora fa. –e quale
sarebbe la tua giusta causa?-
-un
drive-in.- vide Allison sgranare gli occhi.- non fare quella faccia, come giusta
causa è molto più divertente della tua!-
Cameron
aprì la bocca dallo stupore.- e… a vedere che cosa?-
-vuoi
venire si o no?- la incalzò House.
-e..
la macchina?- domandò la ragazza, ancora un po’ incredula.- non possiamo andare
in moto e la mia auto è inagibile, dopo il recente incontro con
quell’albero.-
L’uomo
sorrise, quasi diabolicamente. Poi tirò fuori un piccolo mazzo di chiavi dalla
tasca del giubbotto e le mostrò alla ragazza.- offre
Wilson.-
Allison
si avvicinò a lui, così felice ed incredula che avrebbe potuto iniziare a
salticchiare dall’euforia.-e.. lui
è .. consapevole?-
Greg
la guardò, sarcastico ed ironico come sempre.- non ancora. Sarà una sorpresa
anche per lui. Ah, ma stai tranquilla sono sicuro che moriva dalla voglia di
prestarmi la sua auto.- fece una piccola pausa poi continuò dicendo.- e comunque
non preoccuparti, non se la prenderà con te. È già da un po’ che avevo
programmato di.. ehm.. provare l’auto di Jimmy.-
Cam
annuì. “e ti pareva.” Pensò alludendo al fatto che Greg aveva dovuto palesare
che quell’uscita non l’aveva organizzata per loro due ma che la sua presenza era
solo un accidentesenza molta
importanza. Sorrise, sarcastica.- la stiamo.. rubando quindi. E Wilson come farà
a tornare a casa?-
-aaaah.-
sbuffò Greg annoiato.- forse non ci siamo capiti. Non ti devi sentire in colpa
per Jimmy, per Cuddy e per il mondo intero. Se tu decidi di rintanarti in
ospedale non cambierà le cose, io prenderò comunque l’auto di Wilson che,
oltretutto, è venuto a lavorare in autobus quest’oggi. Quindi, vieni o no?- e
senza lasciare all’immunologa il tempo di formulare una risposta le prese il
casco di mano.- ok.- disse quindi.- non vieni.-
Allison
glielo riprese con un movimento lesto e veloce che stupì l’uomo.- vengo.- disse,
determinata e bellissima, fissandolo negli occhi.
L’uomo
annuì e l’osservò mentre si sistemava dietro di lui e lo circondava con le sue
braccia giovani.
Sorrise
mentre si metteva anche lui il casco e iniziava a dare gas alla moto che, subito
dopo, si mosse dal parcheggio del PPTH e sfrecciò veloce per le strade del New
Jersey.
Adesso
la moto proseguiva, nella notte, silenziosa e veloce come una freccia che mira
dritta verso il suo bersaglio, decisa ed enigmatica come il suo guidatore.
Allison chiuse gli occhi mentre le sue braccia, intorno al corpo di lui, lo
stringevano un po’ di più ma di così poco che probabilmente nemmeno lui se ne
sarebbe nemmeno accorto.
S’impose
di non pensare, di non credere, di non ragionare. Decise di prendere le cose
come avvenivano, senza trovarci un motivo dietro, senza dover per forza di cose
riflettere sulla spiegazione che poteva avere tutto ciò. Niente. staccò il
cervello, mandò in vacanza la mente. O almeno, ci avrebbe
provato.
Arrivarono
a casa di Jimmy poco dopo. Greg parcheggiò la moto e si diresse con aria sicura
verso l’auto del suo amico, aprendola con il telecomando. Allison esitò un
istante. Poi, però, mandando a quel paese i tentennamenti, decise di seguirlo,
ammonendosi di ricordare di scusarsi con Wilson.
House
entrò nell’auto, seguito a ruota da Cameron.
-ah,
che soddisfazione!-esclamò il diagnosta.- chissà che faccia farà quando si
accorgerà che la sua auto è stata ‘violata’. Non me l’ha mai fatta nemmeno
guidare, che egoista.-
-oh
certo.- approvò sarcasticamente la ragazza.- che stupido, ben gli
sta!-
House
si girò verso di lei con un sorrisetto allegro.- brava. Vedo che inizi ad
imparare. Ah, la piccola Cameron sta crescendo..- concluse con un finto tono
nostalgico. Vide la ragazza roteare gli occhi e sorridere, altrettanto
divertita.
–che film andiamo a
vedere?-
Greg
mise in moto, poi, solo quando l’auto uscì dalla vita e imboccò di nuovo la
tangenziale rispose.- lo vedrai.-
Allison
annuì, un po’ passiva. Osservò lentamente l’interno della bella auto di Jimmy
poi, con un gesto tipico di ogni donna, abbassò lo specchietto e controllò la
propria immagine.
-stavo
facendo il count down- la prese in giro il guidatore. –sapevo che l’avresti
fatto!-
Cameron
gli lanciò una frecciata.- sono appena uscita dall’ospedale, posso almeno
controllare che non abbia l’aspetto di un morto che cammina o ti devo chiedere
il permesso?-
-oh,
come siamo permalosi. Se vuoi ti presto il mio rossetto, prendilo è nella
borsetta.-
-no
grazie.- rispose lei sorridendo.- odio gli herpes.-
Greg
rise, silenziosamente. Cam si sistemò un po’ i capelli, trovando però desolante
tutto il resto. Si era operata un paio di giorni fa che poteva pretendere? Aveva
la pelle ancora più chiara degli altri giorni e il trucco era ridotto ad un
piccolo residuo che risaliva alla sera prima quando era passata a trovarla la
sua migliore amica e per passare un po’ il tempo, l’aveva un po’ truccata.
Cam
sbuffò e chiuse immediatamente il vano con lo specchietto. Non che fosse un tipo
di quelli che vogliono sempre apparire perfetti ma le scocciava farsi vedere
così da House.
-ho
letto su una rivista.- iniziò il diagnosta.- che le donne passano in media 45
minuti davanti allo specchio. Tu ci sei stata appena due minuti. Gli altri 43?
Ti sei intimidita perché ci sono io?-
-figurati.
È che non ho niente per truccarmi e non mi va affatto di contemplarmi quando
sembro essere appena uscita da una settimana di coma.- rispose un po’ acidamente
lei.
-a
moltissime donne non servono ore di make-up per apparire decenti. Alcune sono
belle anche dopo un intervento e un arresto cardiaco.- disse House
distrattamente tenendo gli occhi puntati sulla strada. Cameron si voltò verso di
lui, sorridendo, piacevolmente sorpresa.
-era
un complimento?-
-era
una constatazione.- rispose lui, osservandola.- una constatazione di carattere
generico. Lavori in un ospedale, dovresti saperlo che centinaia di donne
subiscono un intervento e subito dopo hanno un arresto cardiaco, non parlavo di
te.Il sillogismo diceva ‘alcune’
non ‘tutte’ - puntualizzò l’uomo con un sorrisetto divertito.
-
certo.- rispose lei, annuendo.- comunque i tuoi sillogismi sono tutti
sbagliati.- rispose lei alzando gli occhi al cielo.- Aristotele svenirebbe a
sentirti.-
-peggio per lui.- rispose distrattamente
House indicandole con il capo il grande schermo che iniziava a vedersi in
lontananza.- siamo arrivati.-
Arrivarono
lì pochi istanti dopo e Allison osservò, non senza un sospiro emozionato che
c’era già parecchia gente e che tutto aveva un’aria davvero romantica.
Posteggiarono l’auto dietro un'altra, poi House si spostò dicendo che da lì si
vedeva male, poi si spostò di nuovo perché secondo lui la coppia che avevano
davanti si sarebbe messa a fare sesso nemmeno alla prima scena, rovinando a loro
la visione del film.
-qui
va bene?- esclamò un po’ esasperata Cam, quando Greg sembrò finalmente
soddisfatto della postazione che aveva trovato dopo altri numerosi spostamenti.
-mh,
niente male. – disse osservando lo schermo ancora bianco. –manca un quarto
d’ora.- disse poi .- prendi la cena?-
Cameron
sgranò gli occhi.
Ma
non doveva essere l’uomo ad offrire la cena in un appuntamento? No, alt,
Allison.
Questo
non è un appuntamento. O meglio, lo è eccetto la parte sull’ ‘appuntamento’.
Disse,
un po’ titubante.- perché io?-
-perché
tu sei autosufficiente anche senza bastone.- disse Greg con un sorrisetto
ebete.- e perché conosco il tipo che vende i panini. Si chiama Joe, un tipo
alto, grassoccio.-
Allison
annuì, pensierosa.- e se lo conosci come mai mandi me?-
-so
quanto Joe sia.. sensibile.. a tutto ciò che è di sesso opposto al suo e
respira.- spiegò.- vedrai, in cambio di un sorriso ti farà pagare la
metà-
Cameron
sorrise, sarcasticamente.- bene. Andiamo dal maniaco.- disse aprendo la
portiera.
-sì
convincente, Cameron.- le consigliò l’uomo, ridendo.
Allison
si bloccò, girandosi verso di lui.- ma per chi mi hai preso? Non farò nessun
sorriso a nessuno!- House si limitò a guardare in alto. Lei negò con il capo,
quindi uscì dall’auto.
-e
ricordati di battere le ciglia!- le urlò dietro House.- voglio anche il
dolce!-
Cameron
roteò gli occhi e si diresse velocemente verso il punto ‘ristoro’ dove c’era già
una bella coda di persone. Tornò precisamente un quarto d’ora dopo, con un
sacchetto piuttosto pesante.
-bene.-
approvò Greg.- ti sei data da fare, vedo.-
Cameron
gli lanciò uno sguardo parecchio eloquente.- quel Joe è un maiale.- decretò con
un’espressione schifata.
-racconta,
racconta, ti ha fatto una proposta indecente? Un bacio per un
panino?-
-no.-
rispose lei con un sorriso di sfida.- o meglio, c’ha provato finché Hilde, la
moglie non si è ricordata di me ed è venuta a salutarmi. Non sapevo che fosse la
moglie di quel pervertito, quando è venuta da me per quell’infezione non me
l’aveva detto.- Allison si godette il suo momento di vittoria.- questa roba me
l’ha quasi regalata e non ho dovuto fare nemmeno un sorriso a quel
porco.-
House
roteò gli occhi. -poche chiacchiere, che cosa hai preso?- disse volgendo la sua
attenzione al contenuto del sacchetto. Allison glielo porse.- purtroppo il menù
era limitato a panini e birra. Niente dolce.-
House
bofonchiò.- ecco, tu ti sei rifiutata di sorridere a Joe e io non posso mangiare
il gelato!-
-vagli
a sorridere tu!- propose Allison. E prima che House potesse ribattere aggiunse,
ironica. -non sottovalutarti, con un po’ più di rossetto non saresti
male.-
-hai
finito o dobbiamo continuare per tutto il film?- brontolò House vedendo che lo
schermo iniziava ad assumere un colore tendente al blu.
-non
mi hai ancora detto che film è.- sussurrò Cameron con un tono ora serio, notando
che tutt’intorno si era diffuso un certo silenzio.
House
l’osservò intensamente mentre le luci del parcheggio si spegnevano lasciando il
posto al buio della notte, un buio che sarebbe stato assoluto se non ci fosse
stato il proiettore sul grande schermo. – Hitchcock.- disse quindi Greg con voce
bassa e, in un certo senso, sensuale.
Cameron
sorrise, lentamente.- adoro Hitchcock.- iniziarono a comparire lentamente i nomi
dei protagonisti e il titolo del film. Aggiunse.-Psyco è uno dei miei film
preferiti.-
House
aprì il sacchetto prese un panino e una birra per sé, porse l’altro panino e
l’altra birra a Cameron quindi spinse uno dei pulsanti e lentamente la capote si
abbassò, assicurando ad entrambi una visione completa dello schermo. Cameron
sorrise a quella piccola sorpresa.
House
la spiò con la coda dell’occhio, godendosi la vista di lei che, piacevolmente
meravigliata, alzava i suoi occhi affascinanti verso la volta celeste per poi
riportarli velocemente sullo schermo davanti a lei.
Il
film trascorse tranquillamente, movimentato solo dal vento caldo di luglio che
si alzava di tanto in tanto e sfiorava i capelli di Allison, muovendoli
leggermente, come se fossero accarezzati. Greg l’osservava, silenziosamente,
compiacendosi della sua aria serena, pacata, rilassata a tratti, altri
concentrata, interessata.
La
contemplò mangiare lentamente il suo panino, bere la sua birra, così, a piccoli
sorsi, come fanno le adolescenti e sobbalzare, impaurita, davanti alle scene più
forti.
La
fissava discretamente, con la coda dell’occhio per lo più, preferendola di gran
lunga ad Hitchcock che, pur essendo uno dei suoi registi preferiti, non riusciva
a tenerlo incollato come il suo profilo.
Il
film finì due ore dopo e House se ne accorse solo quando vide Allison unirsi
all’applauso scoppiato nel grande drive-in. –è stato meraviglioso.- disse la
ragazza, entusiasta, voltandosi verso House. Vide il suo sguardo strano e
contemplativo e il suo volto si rabbuiò, mentre diceva.- beh, qualcosa non
va?-
-no.-
rispose lui, pensieroso. –andiamo. È ora di rientrare.-
Cameron
annuì, lentamente.
Il
dottore abbassò la capote poi mise in moto l’auto che in breve uscì dal grande
drive-in, immettendosi di nuovo su strada. Il viaggio di ritorno iniziò in
completo silenzio, con House che guidava silenziosamente e Cameron che guardava
fuori dal finestrino, la testa appoggiata di lato al sedile dell’auto.
Tuttavia,
nonostante stessero in silenzio, non era un silenzio complice e sereno come lo
era stato durante il viaggio d’andata. Adesso la tensione si palpava così tanto
che si sarebbe potuta tagliare con il coltello. Era accaduto qualcosa in
entrambi e entrambi se ne rendevano conto.
La
serata era ‘evoluta’ da una simpatica uscita tra due amici che ridono e si
prendono giro, era cambiato qualcosa. Era accaduto quando le luci si erano
spente, quando si erano guardati negli occhi. Quando House si accorto di non
riuscire a staccare gli occhi da lei, era accaduto quando Cameron si era sentita
i suoi occhi addosso, per tutto il film. Era scesa la tensione fra di loro, la
tipica tensione tra due persone che provano attrazione l’uno per l’altra, quella
tensione inesistente tra due amici ma ben percepibile tra di loro.
Gli
occhi di Greg si spostarono lentamente dalla strada a lei, per un piccolo
istante.
La
vide, con lo sguardo perso sul paesaggio che cambiava velocemente.
Fu
un attimo, poi anche lui tornò ad occuparsi della guida.
Cameron.
Che
gli stava succedendo? Possibile che non era capace di non pensare a
lei?
Possibile
che..
Possibile
che l’amasse??
No,
non poteva amarla.
Lei
era troppo diversa da lui. Era più giovane innanzitutto. E poi era il suo
opposto. Tanto sognatrice e moralista quando lui cinico e razionale, tanto dolce
e gentile quando lui bastardo e figlio di puttana, filantropa quanto lui
misogino.
Ok,
gli opposti magari si attraggono ma non si amano. E lui non amava Cameron.
Non
poteva amarla. Allison era una sua dipendente e una crocerossina, una ragazza
che vuole ‘rimediare’, ‘riparare’ i dolori delle persone, lui invece non voleva
affatto cambiare. Lui ci conviveva bene con il suo dolore, con la sua
infelicità.
Lei
aveva aspettative, sogni, progetti. Lui solamente il suo lavoro, la musica e
un’amicizia su cui poggiava, forse, la sua intera vita; quella con Wilson.
Eppure.
Eppure
perché continuare a pensare a lei?
Perché
l’aveva invitata a questo drive-in, per esempio?
Tanti
perché. E nessuna risposta.
O
meglio, nessuna risposta razionale.
Se
non quel battito accelerato, quando incontrava i suoi occhi. Non durava
moltissimo eppure era così intenso che lo portava fuori dalla quotidiana apatia
in cui si era costretto.
-House.-
La
sua voce giunse strana, lontana, sottile. Quasi come un eco.
Greg
non si voltò ne disse altro ma lei sapeva che la stava ascoltando.
-grazie.-
disse quindi Cameron con un sorriso genuino e un po’ triste.- sono stata molto
bene.-
House
non rispose niente.
Cam
lo osservò per qualche istante, cercando di indovinarne i pensieri. Si chiedeva
perché fosse diventato così silenzioso, perché non la guardasse nemmeno. Non
poteva certo immaginare il turbamento d’emozioni che si agitavano nell’animo del
diagnosta.
Greg
sentiva incertezza, confusione. E rabbia. Sì, oltre a quello strano stato di
disordine che regnava sovrano nel suo animo ormai da diversi giorni, si era
piano piano accompagnata anche rabbia, una rabbia forte, data proprio da quel
‘non sapere’ cosa gli stava accadendo.
E
dal ‘non accettare’ la soluzione che gli echeggiava nella mente in risposta a
tutti i suoi quesiti, a tutti i suoi dubbi. Avrebbe voluto maledire Cameron,
odiarla per tutta la confusione che gli stava gettando addosso. Iniziò ad
attaccarla anche se ne sapeva nemmeno il perché.
Forse
perché sentiva di amarla e di amarla sul serio come, cinque anni fa, amava
Stacy. E ne aveva paura. Preferiva tenerla lontana, preferiva che Allison si
arrabbiasse con lui e lo allontanasse. Solo così tutto sarebbe tornato come
prima.
-mi
ha detto Wilson.- iniziò, un po’ acido.- che ti sei iscritta come donatrice di
midollo osseo-
Allison
si voltò verso di lui, stupita dal suo tono aggressivo.- sì.-
House
negò con il capo.- sei patetica.- sentenziò.- vuoi salvare il mondo intero, non
ti basta andare quasi tutti i giorni a trovare i bambini di oncologia adesso
vuoi anche farti bucare la schiena non appena te lo chiederà
qualcuno!-
Cameron
grugnì leggermente prima di dire.- ognuno spende la sua vita come meglio
crede.-
-e
tu credi di dover rimediare a tutti i mali del mondo con la forza della tua
generosità?-
Cameron
iniziò a scaldarsi.- credo che questi non siano affari tuoi, principalmente.-
fece una piccola pausa.- e poi credo anche che se si è nella condizione di fare
del bene a qualcuno non bisognerebbe negare il proprio aiuto agli
altri.-
-santa
Allison da Plaisboro.- decretò House con finta riverenza. – la verità è che tu
hai lo spirito della martire e non cambierai mai.-
-questa
l’ho già sentita.- rispose lei.- e non voglio cambiare.-
House
annuì, soddisfatto delle sue risposte. Gli piaceva quando Cam gli teneva testa,
arrabbiata ed ironica.
Seguì
un piccolo silenzio, interrotto solo da lei, pochi istanti dopo.- tu sei bravo
solo a sparare giudizi. Non sai come ci si sente a vedere qualcuno a te caro
morire di cancro. Quando lo provi vorresti solo che altre persone non
soffrissero come ha fatto lui.-
-sei
danneggiata, Cameron.- la voce di House suonò profonda, questa volta.- Vai a
trovare i bambini malati non perché fai del bene a loro, ma per te stessa. Ti
senti meglio, ti fa sentire completa. E sulla stessa lunghezza d’onda si trova
questa tua nuova iniziativa e il fatto che hai rifiutato
Chase.-
Allison
aggrottò la fronte.- che centra Chase?-
-lui
ti piace.- decretò Greg.- ma non è abbastanza perché..-
-perché
non lo amo, forse.- ipotizzò lei, un po’ ironica.
-l’amore
è un’ illusione.- sussurrò, House, cinico.- è solo un’attrazione fisica più
forte delle altre.-
-a
volte questa attrazione fisica dura tutta la vita, però. Non ti sembra un po’
troppo generalistica come definizione? Ha sessant’anni non si prova attrazione
fisica eppure ho incontrato anziani ancora molto
innamorati.-
-nel
matrimonio subentra l’abitudine e la convenienza.- rispose lui, cinico.- e
l’ipocrisia, naturalmente. Anche se odi tuo marito, faresti di tutto purché le
vicine di casa non scoprano che tu non lo ami e lui va a letto con un’altra. È
patetico e stupido.-
-Già-
questa volta il tono di Allie era amaro.- e poi io non amo, io ho bisogno di
dare.-
House
rimase abbastanza sorpreso. Erano le parole che lui le aveva rivolto mesi fa, al
loro primo appuntamento. Quel “ you don’t love, you need” che le aveva rifilato
con superficialità e disinteresse, quelle parole che lui le aveva vomitato sopra
sparando sentenze al suo solito, evidentemente si erano impresse nella mente di
Cameron più di quanto credesse.
Non
disse niente all’inizio. La sua rabbia andava scemando, lentamente. –la verità.-
disse poi, con un accento strano.- è che nemmeno tu sai quello che
vuoi.-
Il
viaggio continuò in silenzio, finché non giunsero alla moto di House
parcheggiata sotto casa di Jimmy. Greg notò curiosamente che l’oncologo non era
a casa. Ecco perché non aveva ancora chiamato ingiuriandogli contro…
Si
stavano dirigendo verso la moto di House quando Cameron si fermò, bruscamente
quasi.
Quella
situazione non poteva andare avanti all’infinito.
Era
arrivata ad un bivio. Da una parte c’era la possibilità di non dire nulla, di
non fare nulla. Di salire sulla moto di Greg e tornare in ospedale e poi,
successivamente, alla vita di tutti i giorni e accettare che il rapporto con
House fosse in uno stato perenne di stasi.
Oppure.
Una
parte di lei voleva restare in silenzio. Aveva paura di rovinare tutto con Greg
facendo qualche sciocchezza, la parte della Cameron razionale urlava che doveva
accontentarsi di averlo come capo e esserci uscita quella sera.
Ma
la Cameron innamorata urlava voleva di più ed urlava più forte. Era una Cameron
stanca e coraggiosa, impavida, quasi. Voleva House e sapeva che un’altra
occasione come questa non le sarebbe ricapitata più.
-tieni.-
House le porse il casco, con noncuranza.
Allison
guardò un istante il casco, poi House.
E
prese una decisione. Sorpassò il bivio, scelse la strada.
In
un concentrato di tensione e sentimenti, Cameron si avvicinò di più a lui, si
appoggiò al suo petto e andando quasi in punta di piedi arrivò a baciare le sue
labbra, portando le braccia intorno al collo dell’uomo. Si rese conto di quello
che aveva fatto solo quando, distaccandosi da lui, osservò gliocchi stupiti di Greg. Temette per un
attimo d’aver sbagliato tutto.
-io
so benissimo quello che voglio.- disse con una voce determinata e con gli occhi
lucidi di commozione.- io voglio te.-
House
l’osservò, attonito. Era quella la risposta a tutti i suoi interrogativi. Lui
voleva Cameron. Ma non per una notte. Amava Cameron. E l’amore che a lungo aveva
represso, ingoiato, l’amore che l’aveva fatto vacillare mentre l’osservava nella
sala operatoria, l’amore che a volte, la portava ad allontanarla, stava venendo
a galla, velocemente.
Aveva
vinto.
Allison
lo osservava, muta, come congelata dal timore di quello che avrebbe potuto dire,
terrificata ancora di più dal pensiero che potesse non dire niente.
House
l’osservò per qualche istante. E accadde l’impensabile.La prese velocemente per la vita e
l’attirò a se,unendo di nuovo le sue labbra con le proprie, volendo assaggiare
la sua bocca che per quel magico istante aveva solo sfiorato.
Quella
bocca che tanto aveva desiderato.
Allison
rispose al bacio con passione, passando le mani tra i capelli di House, poi
sulla sua nuca, sperando che fosse proprio lui quello che la stringeva, con
sentimento.
Si
distaccarono solo qualche minuto dopo, un po’ ansimante, lei con le labbra
arrossate, lui con l’aria sognante. L’aria sognante di un uomo felice.
-vieni
con me.- disse quindi salendo velocemente sulla moto. Cameron non se lo fece
dire due volte, montò e circondòil
suo corpo, appoggiando il suo capo alla schiena dell’uomo.
La
porta dell’appartamento di Greg si aprì quasi con uno scatto e non appena essa
fu richiusa, alle spalle dei due, Greg la guardò, intensamente. L’amava.
Dannazione, l’amava davvero.
Le
prese la mano e la condusse lentamente nella sua camera da letto invasa da una
strana atmosfera prodotta dalla penombra che regnava sovrana in tutta la sua
abitazione. Si voltò verso di lei, osservandola intensamente. Non fecero niente
per qualche istante, solo guardarsi, contemplarsi quasi.
Poi
l’uomo l’attirò di nuovo a sé e le baciò le labbra, il collo, godendo del
piacere di poter finalmente accarezzare i suoi capelli setosi. Allison inarcò
leggermente il collo all’indietro, ospitando i suoi baci e ricambiando il suo
amore, abbracciando veemente l’uomo impossibile, l’uomo che mai aveva pensato di
poter avere. House iniziò a disfarsi della maglietta della ragazza che cadde a
terra, andando a fare compagnia alla giacca del diagnosta, abilmente sfilata
dalle mani della ragazza.
Le
mani dell’uomo accarezzarono la sua schiena, la sua pelle liscia come aveva
immaginato, abbracciando il suo corpo soffice e scossoda piccoli brividi di eccitazione e
freddo insieme.
Si
trascinarono sul letto e fu allora che Greg sentì il bisogno di dire quello che
non aveva mai avuto il coraggio di dire, nemmeno a se stesso. Quello che non
aveva detto a nessun altro dopo Stacy, cinque anni fa. Si fermò
richiamandola.
-Cameron.-
disse quindi, ansimando leggermente dall’emozione e dalla frenesia di quello che
avevano fatto e di quello che avrebbero potuto fare. Allison, tra le sue
braccia, sbiancò nel vedere la sua espressione seria e tesa. Per un attimo
temette che tutto sarebbe finito così.
Si
stava fermando? Allison chiuse gli occhi, pregando che non la rifiutasse. Sperò
con tutta se stessa che lui non la liquidasse dicendo che non potevano, che era
stato un errore e che non l’amava. Questa volta non avrebbe potuto sopportarlo.
-lo
sai tenere un segreto?- la voce di House era seria e ironica insieme.
Cameron
non seppe che rispondere, attese che House proseguisse.- ti amo.-
Allison
spalancò la bocca, incredula all’idea di aver sentito sul serio le parole ‘ti
amo’ dalla bocca del più cinico e bastardo degli uomini. Gli buttò le braccia al
collo, senza dire niente, ben convinta che qualsiasi cosa sarebbe stata inutile,
futile, inopportuna quasi. House gliene fu grato. Per lui già quello era stato
un passo importante.
Si
baciarono, si amarono, toccarono, insieme, le vette alte del piacere, lei
abbracciandogli vorticosamente la schiena, lui stringendole forte la mano, quasi
aggrappandosi a lei, Cameron, il suo unico appiglio, la boa e l’immensità, la
sua ancora di salvezza e allo stesso tempo l’oceano che avrebbe potuto
inghiottirlo.
Poi
si accasciò su di lei, mentre ancora entrambi respiravano affannosamente e tornò
a guardarla incontrando i suoi occhi lucidi, felici e sognanti,e il suo sguardo,
la sua espressione, bella come non l’aveva mai vista.
Stettero
minuti interi, l’unico accanto all’altra ad osservarsi, silenziosamente, nelle
notte, sotto le lenzuola leggere delsuo letto, muovendosi soltanto per sfiorarle placidamente le labbra con
le dita, accarezzarle i lineamenti come aveva desiderato fare tante volte,
giocando con i suoicapelli un po’
arricciati e perdendosi lentamente nel suo sguardo languido e sensuale, come
quello di una angelica sirena.
Eccoci
giunti all’ultimo capitolo!! Prima dei ringraziamenti devo concedere una piccola
spiegazione a Rue
Meridian
perché ha ragione, dal mio scritto non si capiva bene. La risposta è nelle
parole di Greg, qualche capitolo fa. Le pillole hanno causato una sorta di
intossicazione (su questo mi sono documentata ma prendetelo per le pinze, di
medicina non ne so nulla.. per ora…) che –secondo le mie fonti.- è abbastanza
duratura e pericolosa pur interrompendone l’assunzione. Quindi Cameron pur
avendo smesso di prendere le pillole assegnatagli dal medico, ha continuato a
sentirne gli effetti ampliati dallo stress in cui si trovava. Spero di essere
stata esauriente, mi scuso perché effettivamente dai capitoli non era esplicito,
non l’ho specificato bene!
Per
Dana
: brava! La citazione era esattamente tratta daShakespeare!!
Adesso
passo alla parte che mi sta più a cuore, ovvero ringraziare innanzitutto i miei
due maestri che- anche se non lo sanno.- mi stanno insegnando moltissimo grazie
alle loro bellissime storie, quindi un bacio particolare ad Apple
e
Nathaniel,
siete grandi! Naturalmente vorrei estendere i miei complimenti a tutti gli
ottimi scrittori di ff su dottor House perché sia Cottoncandy che non, sono
tutti dei bellissimi scritti!!!
Poi
ringrazio tutti coloro che hanno speso alcuni minuti del loro tempo per dirmi
che ne pensavano di questa storia e li ringrazio per le loro bellissime parole,
vi adoro! In particolare ringrazio :Venus,
Gulyuly,
Meggie,
irene!!,Ale87,
Toru85,
Martina,
Apple,
Artemisia89,
Dana,
Preziosoele,
Eri-chan,
Giu_chan,
Hikary,
Briseis
e Rue
Meridian…
sono davvero commossa dalle vostre parole.. non so che dire se non un sincero
GRAZIE!
Un
ultimo, e poi la pianto, abbraccio a tutte le persone che sono rimaste deluse da
TSHA (è l’ acronimo del titolo..) perché magari fan delle Cam/Chase. premetto
che quando ho cominciato questa fic non sapevo che paring darle, poi però il mio
cuore cottoncandy ha prevalso..
Ok,
non preoccupatevi, questo sproloquio è finito, vi lascio alla conclusione della
storia.
Dimentico
qualcosa?
Ah,
si.. recensitee!
Un
bacio, alla prossima!
Diomache.
This
shouldn't happen again
“this
shouldn't happen again”
“Do you think I want it to?”
Chapter
fifteen: Like lovers
do.
La casa della donna era illuminata
dalla prorompente luce del sole mattutino che inondava con i suoi raggi benefici
l’ambiente circostante, donando un’atmosfera surreale e incredibilmente
romantica.
Non era tardi, anzi, erano appena
le sette eppure lei era già sveglia, abituata ad andare a correre tutte le
mattine. I suoi occhi azzurri come il mare si era spalancati, aiutati anche
dall’insistente luce solare che spingeva sulle sue palpebre. Lisa si alzò con i
gomiti, facendo un impercettibile sospiro misto di piacere, contezza.
Felicità?
I suoi occhi caddero sull’uomo,
placidamente addormentato, accanto a lei.
Sorrise.
Lo aveva immaginato, sperato,
sognato tante volte eppure non credeva davvero che sarebbe accaduto. Forse
perché si era abituata ad inquadrare sempre tutto, a tenere ogni cosa sotto il
suo rigido, ferreo controllo e nella sua visione della vita non erano certo
ammessi imprevisti, contraddizioni. Sentimenti. Aveva bandito l’amore tempo fa e
non pensava di poterlo riscoprire, con lui, James.
Timidamente, mosse la mano per
accarezzargli i capelli, un po’ scomposti.
Un gesto piccolo, ma dolcissimo.
Con la mente ripercorse gli
avvenimenti della serata precedente, incredula che un semplice imprevisto
potesse cambiare letteralmente la sua vita.
Lui
era rimasto a lavorare fino a tardi, era stanco e più dolce del solito, lei
usciva dall’ufficio, arrabbiata per la fuga di Cameron, stanca, troppo stanca
anche lei. Il suo invito a mangiare qualcosa l’aveva stupita, ma non più di
tanto. Era stata a cena con parecchi dei suoi colleghi.
Ma con
Wilson sarebbe stato diverso. Innanzitutto lui la faceva ridere.Si era divertita, aveva riso quando
avevano constatato che, giunti con l’auto di lei fin sotto casa sua, Wilson non
aveva trovato la macchina nuova parcheggiata dove l’aveva lasciata la sera
precedente. Naturalmente in tutto questo c’era lo zampino di House, lo sapevano
entrambi. La serata avrebbe potuto concludersi lì, James senza l’auto non poteva
portarla da nessuna parte.
Fu lì
che Lisa sentì di dover fare qualcosa lei, a quel punto.
Invitò
James a casa sua, invece che andare a ristorante come aveva proposto lui.
Era
stata la serata più bella da tantissimo tempo. Da troppo, decisamente, troppo
tempo.
Lo
squillo improvviso del telefono interruppe i suoi pensieri. Si mosse
immediatamente a rispondere nel vano tentativo di impedire che quest’ultimo
rovinasse il sonno del suo amante, accanto a lei.
-pronto?-
rispose, mentre sentiva, intanto, James svegliarsi lentamente.
-dottoressa
Cuddy, mi scusi se la disturbo.- era uno dei suoi collaboratori.- volevo
avvisarla, come mi aveva chiesto, che la dottoressa Cameron è
rientrata.-
Cuddy
annuì, attentamente. Per un attimo aveva anche dimenticato che Allison era
deliberatamente ‘scappata’ dall’ospedale dove avrebbe dovuto trattenersi almeno
un altro giorno intero. Quando l’aveva scoperto, dalla rabbia aveva chiesto a
chiunque di avvertirla, a qualsiasi ora del giorno e della notte, se la
fuggiasca fosse ritornata.
-ah,
va bene.- rispose, distrattamente.- grazie, ci vediamo dopo.- chiuse la
chiamata, voltandosi istintivamente verso Wilson che l’osservava, ritto su un
gomito.
-buongiorno.-
disse l’oncologo, sorridendo.- qualche emergenza?-
-Cameron.-
rispose Lisa, sorridendo.- è tornata.-
Jimmy
annuì, attirando a sé la donna di cui sempre era stato innamorato.- bene. Niente
emergenze, allora.-
Cuddy
sorrise, complice.- no, niente emergenze.-
Wilson
la baciò, appassionatamente. E Cuddy ricambiò, con la stessa intensità, seguendo
quel meraviglioso sentimento da lei bistrattato per tanto tempo e che
finalmente, aveva avuto il coraggio di emergere. Si buttò di nuovo con lui tra
le coperte.
Per
una volta il jogging e l’ospedale potevano aspettare.
Cameron
si era presa una bella strigliata. Ma non tanto terribile quando aveva
immaginato tutto il personale ospedaliero. La Cuddy aveva urlato, fatto la voce
grossa, sì, ma tutto era finito lì, conclusosicon l’assegnazione di due settimane di
ambulatorio extra sia per Cameron che per House. La ragazza aveva dovuto
confessare chi l’aveva aiutata a scappare dal PPTH.
Ma era
comunque poco. Tutti avevano assistito a scene ben più terribili e per
avvenimenti anche di minore importanza; la clemenza della Cuddy era sospetta ma
giustificata da quella stranissima luce, infondo ai suoi occhi blu. Molti si
chiedevano che cosa fosse.
Solo
un medico non aveva bisogno di domandarselo.
Anzi,
forse due.
Uno,
il diretto interessato, l’altro, il più intuitivo e ficcanaso del Princenton
Plaisboro Hospital.
Proprio
lui stava camminando, ora, lungo il corridoio che l’avrebbe portato presso il
suo ufficio, in compagnia della stessa Cameron che da oggi avrebbe ripreso a
lavorare normalmente.
-ah,
mi sento sollevato.- sospirò ad un certo punto.
-pensavo
che le ore extra di ambulatorio ti facessero un effetto di repulsione. Come mai
tutta questa contentezza?- domandò la giovane, al suo
fianco.
Greg
sorrise diabolicamente.- qui qualcuno si è dimenticato della sua promessa. Io
non ho nessuna settimana in più da fare, cara Allison.-
Cameron
si voltò verso di lui, quasi sorpresa. Era forse la prima volta che la chiama
per nome. Era una sensazione bellissima e le dava un senso di calore
unico.
Finalmente
il tempo di House e Cameron era finito. Era iniziato quello di Greg ed Allison.
-mi
dispiace.- replicò con un sorriso divertito, lei.- ma…-
-ah
ah, non ci provare. -l’ammonì lui, allegro.- sei una donna d’onore, tu, che fai
non mantieni le promesse? Mi avevi assicurato che se la Cuddy mi avesse dato una
settimana di..-
-appunto.-
questa volta fu Cameron ad interromperlo, con un sorriso malizioso.- sbaglio o
sei stato proprio tu a parlare di una settimana? Io ho accettato di
sostituirti per una settimana, non per due. Caro Greg.- concluse, ridendo quasi.
House
si fermò, in mezzo al corridoio e Cameron con lui, qualche passo più in là.-
ehi, questo è scorretto!-
-lo
so.- rispose lei, divertita -ho
avuto un buon maestro. Se vuoi ti do il suo numero, è un certo House, un pazzo
maniacale che gira in quest’ospedale.-
-ricordami
di bastonarlo se lo vedo. Ti preferivo prima, docile e remissiva.- sbottò,
alzando gli occhi al cielo.- e adesso via, fila a fare l’anamnesi del nuovo
caso. E non metterci un’eternità, ti voglio nel mio ufficio tra dieci minuti!-
tuonò, fingendosi arrabbiato.
Cameron
annuì delicatamente e s’avviò verso la camera del paziente con il camice addosso
e la cartellina in mano, sorridente ed allegra come forse non lo era mai
stata.
House
proseguì per il corridoio quando vide, improvvisamente, James Wilson sulla
destra, parlare con un’infermiere in maniera molto concisa. Sorrise,
diabolicamente, e si avvicinò all’uomo che, di spalle, non poteva vederlo.
Passò, camminando distrattamente, al suo fianco e con un gesto furtivo e
prettamente da House, lasciò cadere le chiavi dell’auto di Jimmy proprio nella
tasca del camice di quest’ultimo.
Proseguì,
quindi, con un sorriso di soddisfazione e vittoria insieme.
-ehm
House..- Wilson lo chiamò un po’ distrattamente, vedendolo passare davanti a
lui. Congedò l’infermiere e lo raggiunse con passo svelto.- non credi di dovermi
delle spiegazioni?-
Continuarono
a camminare, e Greg assunse un’aria da bambino innocente.- chi? Io? E per
cosa?-
-non
fare il finto tonto!- lo rimproverò l’amico.- ieri sera la mia auto non era nel
suo parcheggio, come me lo spieghi?-
-e tu,
ieri sera, non eri a casa tua. Come me lo spieghi?- rilanciò
l’altro.
-e non
evadere!- sbottò l’oncologo.- dove hai portato la mia
auto?-
-io
non centro nulla con tua automobile nuova!- mentì spudoratamente il
diagnosta.
-avanti
House tanto lo so che è opera tua! Non trovo nemmeno le chiavi,è inutile che
continui a mentire, voglio sapere dove hai messo la mia auto!-
-ooh,
ma sei noioso!- sbottò di nuovo.- ti sei fissato con questa storia! Scommetto
che se vai a casa tua trovi la macchina parcheggiata davanti al portone e le tue
chiavi sono nella tasca del camice!-
Wilson
infilò istintivamente la mano nella tasca destra del camice e trovò con immensa
sorpresa la chiave dell’auto. Rimase interdetto qualche secondo e House ne
approfittò.- visto? Bene, archiviamo questa stupida faccenda e passiamo a
qualcosa di più interessante. Allora, dimmi, come mai non eri a casa tua, ieri
sera?-
Jimmy
esitò un istante.- io..-
-avanti,
so che è una donna. E dato il tuo stato di euforia e quell’espressione ebete che
hai stampata in faccia, deve essere anche una cosa importante.- continuò a
ragionare.- ergo, non è un’infermiera. E non è una dottoressa, o almeno non una
qualunque.-
-House,
piantala, ti stanno ascoltando tutti!-
-visto?-
esclamò Greg, divertito.- questa ne è la prova. Non vuoi che ne parli in giro
perché tutti la conoscono se ne dico il nome.-
-vuoi
parlare più piano si o no?- esclamò, l’altro, imbarazzato, mentre ormai erano
prossimi all’ascensore.
-ok.
Visto che oggi sei particolarmente timido ti rendo il compito più facile.
Scommetto che inizia per ‘C’.- Greg chiamò l’ascensore.- e non dirmi che è
Cameron perché non è vero.-
Wilson
sbuffò, spazientito, annoiato ed estremamente impacciato.
-no,
aspetta- disse House fingendo di essere giunto alla soluzione solo ora. Entrambi
entrarono nell’ascensore che si richiuse subito dopo il loro ingresso.- inizia
con la ‘C’ e finisce per uddy?-
Wilson
roteò gli occhi, distogliendo lo sguardo e deglutendo, lentamente.
“maledizione!”, pensò, grattandosi il mento.
-ah,
quanto mi piace quand’ ho ragione!- esclamò House, divertito, e segretamente
contento per l’amico. Sapeva da tempo che l’amava e le occhiate adorantiche Lisa lanciava all’oncologo non glie
erano certo sfuggite. L’ascensore si aprì con il consueto ‘dring’ e House uscì,
dirigendosi verso il proprio ufficio.
–ehi, aspetta- la voce estremamente
maliziosa di Jimmy lo fece arrestare pochi passi dopo.
Greg
si voltò appena.- beh? Non vorrai mica negare l’evidenza?-
-come
mai hai scartato subito Cameron quando hai pensato a qualcuno con la “C”?-
chiese l’oncologo, braccia conserte, con un sorriso allegro stampato in viso.
House
sembrò in difficoltà, ma fu per appena un paio di secondi.- non hai una gamba
disagiata, non hai un tumore alla tiroide e non sei qualcuno che ha bisogno
delle sue coccole. Non sei il tipo di Cameron.- disse infine, arrancando in
maniera evidente però.
-può
darsi.- ammise l’altro.- o può darsi che, dopo averla aiutata a fuggire da PPTH
tu l’abbia portata da qualche parte con te. Con la mia macchina, per esempio.-
non attese la risposta dell’amico per continuare.- poi, una parola tira l’altra
e tu le hai confessato che l’ami, dì che non è vero.-
House
si sporse con un braccio nell’ascensore, facendolo partire.- che cosa terribile
la deficienza mentale, povero Jimmy, com’è stato ingiusto il mondo con te.-
L’oncologo
scoppiò a ridere e gli gridò dietro, prima che le porte dell’ascensore si
richiudessero.- ah, quanto mi piace quand’ho ragione!-
E
questa volta fu a House a pensare “Maledizione!”
-come
va?- chiese Foreman, entrando nello studio di House, studio, nel quale c’era
solamente Chase. l’australiano fece una smorfia d’indifferenza.- risponde alla
cura. Il misantropo aveva ragione.-
Foreman
roteò gli occhi.- tanto per cambiare. Oggi è euforico, non ti pare?- domandò il
nero, prendendo un sorso dalla sua tazza di caffè.
Chase
sbuffò, dirigendosi verso la finestra.- e Cameron è più euforica di lui.-
decretò, con un tono un po’ apatico.
Eric
sorrise, quasi intenerito.- dai, non vorrai credere alle chiacchiere che girano.
House.. e Cameron? Questo vorrebbe dire che House è innamorato.Ma ti pare? House e amore non vanno
nella stessa frase. Non, senza una negazione, almeno.-
Chase
fece un sorriso che risultò un po’ amaro.- hai mai visto House perdere un
battibecco con Wilson?-
-ehm
no.- rispose l’altro.
-fischiettare
nei corridoi?-
-stai
solo dimostrando che oggi è più fuori del solito, non che sia
innamorato.-
Passarono
in quel momento, davanti al loro ufficio, proprio House e Cameron, che stavano
discutendo animatamente. Gli occhi dei due dottori si concentrarono subito su di
loro, in un misto di curiosità e trepidazione.
-avevo
ragione io.- diceva House in quell’istante, con uno sguardo vittorioso e
superbo. Videro Cameron sospirare e mettere le mani appoggiate ai fianchi.- non
mi hai fatto vedere le ultime analisi, per forza hai vinto. Hai
barato!-
-ah
ah, come costa perdere, eh?- ribatté Greg con un sorriso soddisfatto.- è meglio
che vai a prendere i posti in mensa, non vorrei mangiare in piedi. Ordina tutto
quello che vuoi ma non il pollo fritto, quello fa schifo. Eh, Cameron!- la
richiamò non appena lei si fu mossa di qualche passo.- non dimenticare, i soldi,
eh!-
Allison
lo fulminò con lo sguardo.- non dimentico nulla. Tu muoviti, altrimenti mangio
con qualcun’ altro!- rispose l’immunologa, avviandosi.
-ehi,
non oserai!- le urlò dietro Greg, fingendosi offeso. Cameron si voltò, con un
fare un po’ malizioso, lanciandogli un’occhiatasensuale e di sfida insieme, per poi
avviarsi velocemente verso la mensa.
Foreman
e Chase, che avevano assistito alla scena, si scambiarono uno sguardo
perplesso.
-visto?-
esclamò l’intensivista, allargando le braccia. –dimmi quando mai quei due sono
andati a pranzo insieme!-
Greg
si affacciò in quell’istante dal suo ufficio.- beh? Piaciuto lo spettacolo??- i
due ammutolirono e il diagnosta continuò.- oh, non fate quelle facce offese,
oggi il papà porta a pranzo Cameron ma ha tante belle sorprese anche per voi!
Foreman.- gli tirò il cartellino che il nero afferrò quasi per caso.- per te ho
due belle orette d’ambulatorio.-
Il
nero stava per replicare quando Greg si rivolse a Chase.- e per il nostro
piccolo Chase ci sono tante cartelle cliniche da sistemare.
Contenti?-
Foreman
sbuffò, constatando mentalmente che, se anche c’era la possibilità che
quell’uomo fosse innamorato, di certo nemmeno l’amore l’avrebbe cambiato,
nemmeno di una virgola.
Uscì
velocemente dall’ufficio, sorpassandolo e, negando con il capo, andò ad eseguire
gli ordini del capo più bastardo per il quale avesse mai lavorato.
Rimasero
nell’ufficio solo Greg e Chase. House fece per uscire quando il suo
collaboratore lo richiamò, con un tono un po’ teso.-
House.-
Greg
rientrò, immaginando, da quel tono, che Robert nonvolesse chiedergli semplicemente l’ora.
Si parò davanti a lui, squadrandolo dai suoi 1.90 cm d’altezza.
Chase
lo fissò intensamente negli occhi. Aveva perso. Aveva perso Cameron per causa
sua. Avrebbe voluto ingiuriargli contro tutta la sua rabbia, tutto la sua
delusione. Ma non fece niente. Aveva visto gli occhi di Allison, per tutta la
giornata, lucenti come non lo erano mai stati. Sarebbe stata così felice con
lui?
Sospirò
e distolse leggermente lo sguardo. –vorrei solo che non la ferissi, vorrei.. che
fosse felice con te- i loro occhi si incontrarono di nuovo.
House
non rispose niente, si limitò ad annuire.
Ma
Robert vide, nelle sue iridi chiare, splendere un lampo di sincerità.
Forse
Gregory House, per quanto assurdo sembrasse tutto ciò, era davvero
innamorato.
-no,
non ci siamo capiti!- la voce dura di Lisa risuonò per i corridoi, contro
Melissa, la nuova cardiologa. La Cuddy andò avanti con i rimproveri per almeno
altri dieci minuti, finché la giovane donna, mortificata, non abbassò gli occhi
e chiese scusa per le sue mancanze lavorative.
Lisa
inarcò un sopracciglio, soddisfatta. Aspettava che Melissa facesse un passo
falso sul lavoro da mesi, per potersela sbranare, supportata da un valido
motivo.
Non
poteva certo azzannarla per essere stata l’ultima donna ad uscire con James
Wilson.
Era…
ehm.. disdicevole.
-bene.
Confido che non si ripeta più.- concluse con un tono velato di un po’ più di
magnanimità.
-certo..
certo dottoressa Cuddy.- rispose quella, sempre con lo sguardo basso.
La
Cuddy la congedò e si diresse con passo svelto verso il proprio ufficio.
Quelle
erano soddisfazioni…
Aprì
la porta, accompagnando il gesto con sospiro, sospiro che le si mozzò quasi in
gola non appena vide che la stanza non era vuota come immaginava. Un certo
oncologo l’aspettava con un sorriso disteso e trasognante, appoggiato alla
scrivania della donna in questione.
Lisa
si chiuse la porta dietro le spalle, sorridendo al suo amante.
Non
fece in tempo a dire niente, nemmeno che era sorpresa a vederlo lì.
Perché
lui l’attirò a se e coprì quelle labbra solo apparentemente così severe con il
più dolce dei baci.
Il
bussare leggero controla porta a
vetro dell’ufficio, riscosse solo in parte Robert Chase dal suo lavoro. Infatti
il ragazzo non alzò quasi lo sguardo quando una voce, che non conosceva, chiese,
un po’ esitante.- ehm mi scusi, la dottoressa Allison
Cameron?-
Fu
allora che, con un sospiro, l’intensivista distolse l’attenzione da quelle
pratiche. Si trovò davanti una giovane donna, probabilmente coetanea di Allison,
dall’aspetto simpatico e sorridente.
Davanti
al suo sguardo un po’ spaesato, Justine, la donna in questione, riprese.- mi
scusi, sono la migliore amica di Allison. Sapevo che oggi l’avrebbero dimessa e
conoscendola, immagino che abbia ripreso a lavorare…-
Robert
annuì, sorridendo leggermente.- sì, in effetti sì. Ma non è qui ora, sta
mangiando alla mensa, con House.-
Justine
sgranò gli occhi. –con.. ah, ok.- fece una piccola pausa, poi entrò
nell’ufficio, con le gote leggermente arrossate dall’imbarazzo.- senta, le
dispiace se l’aspetto qui?-
Chase
alzò lo sguardo per l’ennesima volta, incontrando gli occhi neri della ragazza e
la sua espressione pulita e delicata incorniciata da setosi capelli di un biondo
evidentemente artificiale ma che non stonava con il complesso della sua persona.
Le
sorrise. – sì.- disse, quindi.- può aspettarla qui. Io sono
Robert.-
-piacere,
Justine.-
Erano
circa le otto e mezzo e dalla sagoma illuminata del Princenton stavano uscendo
due dottori. Lui, un uomo, sui quaranta, alto, affascinante. Lei, sui trenta,
slanciata e bellissima.
In
silenzio, si dirigevano verso una moto arancione che li aspettava, placida e
silenziosa come le stelle che ricoprivano il manto notturno della notte. L’aria
era fresca e delicata e agitava leggermente i capelli ramati di lei che le
scendevano liberi lungo le spalle.
-casa
tua?- propose Greg con un sorriso sornione.
-non
avrei dovuto invitarti io, scusa?- ribatté lei – da quanto ci si auto
invita?-
-naa,
tanto lo so che morivi dalla voglia di chiedermelo.- rilanciò House, con uno
sguardo allegro. Le cinse la vita con le sue braccia forti, attraendola a se
finché i loro corpi non furono completamente congiunti.
Cameron
si perse negli occhi di lui, profondi e abissali come non ne aveva mai visti.
House
appoggiò la sua fronte su quella della ragazza ed entrambi chiusero gli occhi,
estasiati da quel contatto. Quando li riaprirono fu di nuovo House a parlare.-
sbaglio?-
Cameron
sorrise, sospirando quasi.- no.-
Greg
sorrise, compiaciuto, e completò la distanza tra di loro, baciando la bocca
della dottoressa.
Si
separarono subito dopo e House fu quasi stupito di vederle gli occhi lucidi di
felicità.
Forse
si rese conto solo adesso di quanto lei avesse sofferto in passato, di quante
lacrime aveva dovuto ingoiare, di quante battute, occhiate, quanto aveva dovuto
accettare. Compromessi, accordi, punizioni, litigi.
Si
accorse di quanto lei fosse fragile ma, in contemporanea, di quanto fosse forte.
Lei,
che si ritrovava a piangere sulle centrifughe, aveva tenuto duro tutto questo
tempo.
Lui si
era sempre definito un testardo.
Si
rese conto che Allison era molto più testarda di lui.
La sua
testardaggine si nascondeva dietro quegli occhi verdi, dietro le espressioni
gentili, dietro la dolcezza. Ma c’era. C’era e le aveva permesso di accumulare
punti su punti nella sua fantomatica lavagnetta arrivando, senza quasi che lui
se ne accorgesse, a sconvolgergli l’intera esistenza.
Fino a
vincere la partita.
Sorrise.
-vogliamo
andare?- disse quest’ultima, con già il casco addosso.
House
annuì e salì a bordo, dopo aver sistemato il bastone.
-guai
a te se vai veloce come questa mattina!- lo ammonì la donna, mentre lui metteva
in moto. –ho avuto la nausea per un’ora di fila!House, mi
senti?-
-sì,
mamma. Promesso!-e tanto per
suggellare la fantomatica promessa, partì dando di gas, così forte che Allison
dovette stringersi a lui con tutte le forze per non cadere
all’indietro.
Greg
sentì la ragazza dargli un pizzicotto, in risposta.
Scoppiò
silenziosamente a ridere, constatando per l’ennesima volta, che lui, il genio
bastardo e misantropo della diagnostica del New Jersey, era completamente,
totalmente, irrimediabilmente sconfitto. Fatalmente innamorato.
Dannazione,
lui di solito odiava perdere.
Ma per
Allison Cameron, ne era valsa la pena.
<<
My life were better ended by their hate, than death prorogued, waiting of thy
love>> W. Shakespeare. “Romeo and Juliet”