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di Lusty_Archivio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PAST (1) • Nella vita di un uomo, prima o poi, arriva sempre il momento in cui bisogna combattere! ***
Capitolo 2: *** PAST (2) • Il Natale piace solo ai marmocchi. ***
Capitolo 3: *** PAST (3) • Gli orsi di peluche fanno piangere più delle persone. ***
Capitolo 4: *** OMAKE (1) • Let it snow. ***
Capitolo 5: *** PAST (4) • Non c'è niente di meglio di una storia per fortificare lo spirito! ***
Capitolo 6: *** PAST (5) • Non credere di poter fare il teppista senza pagarne le conseguenze! ***



Capitolo 1
*** PAST (1) • Nella vita di un uomo, prima o poi, arriva sempre il momento in cui bisogna combattere! ***


Blatereggiando.

Dunque. Ci sono raccolte sulla famiglia Son, sulla famiglia Briefs, però sulla famiglia Saiyan per eccellenza mi pare che manchi qualcosina. E la cosa è pure divertente, visto che ho deciso di ambientare queste situazioni familiari in un universo parallelo in cui i Saiyan non hanno nulla a che fare, LOL, ma dove esiste solo una semplice famiglia con i suoi semplici membri e i suoi semplici amici. Comunque sia, beh... ecco qui questa cosa. Saranno tanti piccoli scorci familiari ambientati tra passato e presente, dedicati a Bardack e ai suoi due figlioletti, Radish e Goku. Con la speciale partecipazione qua e là di Toma, quella gnocca di Seripa, Veggie Vegeta e quell’altro gnocco di Turles. Non potendo trattenere la mia indole fangherla (?), ho deciso di inserire in qualche capitolo la coppia Goku/Vegeta e Turles/Radish. Saranno comunque riferimenti shonen-ai e non yaoi – a meno che non mi venga uno sturzillo improvviso, ma dubito fortemente –, visto che questa fiction nasce principalmente per raccontare qualche tenera vicenda tra padre e figlioletti. Saranno in tutto ben 30 capitoli, tutti ispirati ad un prompt della community livejournal inglese “30 Hugs” (30 abbracci). Mio intento è quello di raccontare tanti piccoli scorsi fluffosi e comici, sperando di strappare a voi lettori un sorriso. In realtà non conosco molto bene il personaggio di Bardack, o almeno, non mi reputo in realtà pronta a poter davvero scrivere su di lui, ma alla fine il desiderio di stendere questa raccolta ha preso il sopravvento. Aiuto. Questo capitolo, tra le varie cose, partecipa anche alla "Pannolini Challenge" indetta da Makichan. Perché tutti amano i pannolini da cambiare (?). Cooomunque sia, ringrazio sentitamente coloro che lasceranno un commentino alla storia, come sempre~.

Buona lettura!

 

Disclaimerchemidimenticosempre » Dragon Ball © Akira Toriyama.


 

P A S T (1)

Nella vita di un uomo, prima o poi, arriva sempre il momento in cui bisogna combattere!

{Bardack & Goku + Radish & Toma/Seripa}

Hug 22. 一期一会; Ichi-go Ichi-e ("Solo per stavolta")

 

Nella vita d’un prode, valoroso e dignitoso uomo, prima o poi, arriva sempre il momento in cui bisogna combattere.

Fondamentalmente non importa che tipo di battaglia è quella alla quale è necessario prendere parte; che riguardi piccole o grandi cose, futilità o questioni di vitale importanza, essa mantiene immutabile la sua bellicosa natura d’arduo conflitto, in campo fisico tanto quanto in ambito psicologico. La vita obbliga costantemente l’essere umano ad indossare i panni di un guerriero impavido, armato d’una spada talvolta forgiata da ammirabile raziocino, talvolta dal buonsenso, talvolta dal genuino coraggio, talvolta dalla semplice forza fisica; sta al suddetto uomo, dopo, scegliere il metodo con cui affrontare il proprio personalissimo scontro, come utilizzare le armi in suo possesso, quale tattica adottare, quali necessità anteporre innanzitutto. È da lui, solo ed esclusivamente da lui, che l’esito della battaglia dipende. Non dall’oscuro volere di presunte divinità, non dall’imperituro verificarsi di un fato che non può essere scampato. L’uomo è artefice del proprio destino e, come tale, è in grado di vivere sapendo contrastare gli eventi che lo travolgono quotidianamente.

O almeno dovrebbe.

« GGGGGGGGGGGGHHHHHHEEEEEEEEEEE! ».

Un rumore assordante simile all’acuto fischio della sirena di un antifurto esplose improvviso nella casa, accompagnato subito dopo dal tonfo sordo di qualcosa di particolarmente pesante che si sfracellava brutalmente al suolo. Si udì un urlo di dolore, seguito da una sonora, irripetibile serie d’imprecazioni, e poi più nulla oltre al vagito alquanto isterico di un bambino che più che un pianto pareva la perfetta riproduzione sonora dell’Urlo di Munch.

Accompagnato in sottofondo dalle incessanti urla tracimanti di disperazione, Bardack si rialzò da terra offendendo selvaggiamente déi vari ed eventuali e massaggiandosi sofferente il fondoschiena, sventurata vittima della sua caduta dalla poltrona sulla quale si era bellamente assopito.

« Maledetto marmocchio, giuro che lo mollo in un cassonetto! », ringhiò, strizzando gli occhi per liberarsi dall’intontimento ancora presente per l’improvviso risveglio. Si massaggiò distrattamente il collo e scoccò poi un’occhiata truce al corridoio, dalla cui unica porta sulla destra proveniva il fragoroso, implacabile pianto.

« Pà’, Goku piange », bofonchiò Radish accoccolato tra i cuscini del divano, ottenendo in risposta un’occhiata che definire irradiante d’odio sarebbe stato un puro e semplice eufemismo.

« Grazie moccioso, non me n’ero accorto ».

Non parve minimamente cogliere il sarcasmo, difatti si strinse nelle spalle e, mormorando un “di niente”, tornò a guardare tranquillamente la televisione, facendo ciondolare distrattamente la gamba oltre il bordo del divano e allungando la mano per afferrare una patatina. Bardack ingoiò l’ennesimo insulto – non fosse mai che suo figlio adottasse un linguaggio da scaricatore di porto alla pura ed innocente età di cinque anni, per carità –, e si avviò a lentamente verso la cameretta, digrignando i denti.

Le urla di Goku crebbero d’intensità, cosa che lo costrinse ad aumentare non di poco il passo. Non che fosse particolarmente preoccupato per il marmocchio – Goku aveva l’innata, straordinaria capacità di non star male manco per sbaglio, frignava solo ed esclusivamente per avere cibo in più o per esternare il proprio estremo bisogno di un cambio del pannolino –, voleva solo far cessare quelle urla sovrumane prima che le sue orecchie potessero iniziare copiosamente a sanguinare.

Varcò la soglia della porta e, ancora prima di poter realmente constatare l’insostenibilità o meno dell’odore permeante la camera, decise senza troppi indugi di tapparsi il naso. Con quel flagello defecante in attività i suoi sensi erano costantemente in pericolo, suo malgrado.

La cameretta era immersa nella penombra, le serrande leggermente abbassate e la luce spenta. L’unica fonte proveniva da una piccola lampada dalla forma cilindrica che proiettava fiocamente sul muro antistante alcune figure colorate. Al centro della stanza, posta sopra ad un tappeto sgualcito ed attorniata da mobilia relativamente recente, vi era la piccola culla di Goku. Il bambino si dimenava e scalciava come un matto al suo interno, agitando furiosamente le braccia paffute verso l’alto in un indistinto groviglio di lenzuola di cui non era ben identificabile né l’inizio né la fine. La bocca era talmente tanto spalancata, intenta a far prorompere le più tonanti grida possibili ed immaginabili, che sarebbe stato naturale chiedersi se quel piccoletto avesse seriamente una mascella. Continuando ad agitarsi istericamente, senza sosta e senza nemmeno azzardarsi a recuperare un briciolo di fiato, afferrò il sonaglietto abbandonato al suo fianco e lo scaraventò oltre le sbarre del lettino, facendolo finire con precisione millimetrica dritto addosso al padre ed ottenendo di fargli accavallare l’ennesima vena pulsante sulla tempia.

Bardack, imperturbabilmente rabbioso, fece cadere il giocattolo a terra e si premurò di calpestarlo un paio di volte, spezzando selvaggiamente il manico. Dopodiché aggrottò le sopracciglia ancora più di quanto non avesse già fatto e avanzò, accendendo la luce e raggiungendo in un paio di passi la culla, lo sguardo seccato ed indolente di chi è consapevole di star andando incontro ad un’enorme, immane seccatura.

Goku, troppo concentrato nel suo pianto per accorgersi di lui, continuò a contorcersi disperatamente i preda ai singhiozzi, dando ampio sfoggio di una mimica facciale mostruosamente elastica: sbarrò gli occhioni lucidi e poi li strizzò energicamente, facendo colare lungo le guance rosse come peperoni le grosse gocce salate, arricciò il nasetto gocciolante e spalancò la bocca, così tanto che Bardack fu seriamente convinto di riuscire a vedergli la punta dei piedi partendo dalle tonsille.

Nel frattempo, Radish aveva appena finito di mangiare l’intero pacchetto di patatine, e si era tranquillamente alzato in tutte le più floride intenzioni di andare a prendere pure l’altra confezione nascosta accuratamente in fondo alla dispensa.

Alquanto irritato del fatto che un pidocchietto di cinque mesi non lo stesse degnando di un solo, singolo sguardo, Bardack pensò bene di schiarirsi rumorosamente la gola, abbandonandosi ad un artificioso colpo di tosse che riecheggiò in tutta la casa. All’udire quel suono Goku fulmineamente interruppe spaventato il proprio pianto, facendo scattare la testa a lato della culla. La figura che gli comparve dinanzi si presentò vagamente liquida oltre la patina di lacrime che ancora gli inondava gli occhi, ma fu sufficiente intravedere la forma atipica dei capelli e le braccia ferreamente incrociate al petto per riuscire a riconoscere il suo papà. Lo fissò per qualche secondo, esortante, dopodiché incapace di trattenersi riprese a piangere, tornando a dimenarsi come un polpo tra le lenzuola.

Bardack, il cui viso era ormai divenuto un unico fascio inquietante di nervi e muscoli accavallati, rapido si premurò di afferrare il figlioletto per una gamba paffuta e rossiccia come un salame, sollevandoselo sopra la testa e lasciandolo ciondolare a testa in giù nel vuoto, in barba a tutta la parsimonia e la delicatezza con cui un buon padre avrebbe teoricamente dovuto tenere in braccio il figlio. A volte bastava davvero poco per farlo smettere di frignare; Goku s’emozionava facilmente nella sua candida innocenza, tanto che spesso era sufficiente farlo navigare un po’ in aria in quella discutibile maniera per far brillare d’entusiasmo i suoi occhioni neri come il petrolio e farlo scoppiare in una puerile, vivace risata.

Il bimbo istantaneamente cessò il suo pianto, sbattendo le palpebre e guardandosi curioso attorno. Bardack lo osservò annoiato, senza comunque allentare la ferrea presa attorno alla sua caviglia.

« Allora, hai finito di frignare? », chiese, fissandolo in quel modo perennemente indispettito che gli era peculiare e che sembrava essere in grado di intimidire qualsiasi interlocutore. In tutta risposta Goku lo fissò per qualche istante, per poi esplodere di nuovo in un fragoroso pianto confermando che no, quel giorno farlo spenzolare nell’aria come un cotechino non sarebbe stato sufficiente. Prese a dibattersi come un pesce fuor d’acqua in maniera così energica e vigorosa che per poco non rischiò di cadere per terra e, onde evitare di macchiarsi la fedina penale di omicidio colposo, Bardack veloce lo depose nuovamente sul fondo della culla, contraendo così forte la mascella che si poterono udire i denti scricchiolare. Appena toccò il lenzuolo, Goku si ritrovò di nuovo avvoltolato dalla testa ai piedi come una mummia.

 Bardack si portò una mano al fianco – l’altra era ancora abilmente occupata a tappargli il naso – e scoccò al figlioletto un’occhiata irritata, sbuffando.

« Piccolo moccioso piagnucoloso », soffiò tra i denti, scuotendo esasperato la testa.

Le urla di Goku gli stavano trapanando il cranio, e il sospetto sempre più grande che fosse giunto l’infausto momento del cambio pannolino gli stava facendo venir seriamente voglia di scappare dalla finestra. Nonostante tutto, però, vi era un orgoglio da preservare, e Bardack alla fine pensò che fosse meglio morire asfissiati piuttosto che infamarsi dandosela a gambe per un cumulo abnorme di materia fecale che probabilmente avrebbe steso pure un elefante.

Gemette infastidito e, abbassando le palpebre, levò lentamente le dita da attorno il naso. Immediatamente, una zaffata d’aria che di tutto sapeva fuorché rose di campo gli assalì brutalmente le narici, facendogli assumere un colorito inquietantemente verdastro. Strinse i pugni e, annaspando, scattò a chiudere immediatamente la porta della cameretta, onde evitare che quel ripugnante odore si diffondesse in tutti i meandri della casa come un gas tossico. Se doveva morire lì, perlomeno quell’essere inutile di Radish sarebbe sopravvissuto. Piccolo bastardo ingrato.

Emise una sorta di ringhio gutturale e aprì poi velocemente la finestra, infischiandosene altamente del fatto che le grida perforanti di Goku avrebbero potuto dare un leggero fastidio a tutto il vicinato. Tornò rapido a sporgersi oltre la culla e, dopo aver fulminato il figlio con l’ennesima, fulminante occhiataccia prolungata, con estrema sofferenza si accinse a togliergli il pannolino. Ebbe la netta sensazione che, una volta slacciate le due aperture e lasciato il marmocchio col sedere all’aria, gli fosse passata sotto al naso una tossica scia verdastra, ma preferì caldamente accantonare quella visione senza stare troppo a ponderarci su. Ne andava della sua sanità mentale.

Goku, intanto, non dava alcun segno di smettere di strepitare come un’aquila.

« Piantala di fare casino! », s’infervorò lui, andando a recuperare un pannolino pulito dall’armadietto bianco poco distante, « Adesso ti cambio questo maledetto affare, dammi un attimo di tempo! ».

Il piccolino rispose con un “ghè” lamentoso seguito dal rumore sospetto di una cospicua emissione di gas, cosa che fece sbiancare Bardack più di quanto non avesse già fatto prima. Il presentimento che quella cameretta sarebbe divenuta la sua tomba si fece ancora più fervido nella sua mente.

Una volta preso borotalco, salviettine umidificate, pannolino, asciugamano ed armamentario vario ed eventuale, l’uomo fece scrocchiare con particolare enfasi le nocche delle mani, ormai completamente indifferente al movimento del tutto incontrollato a cui il proprio occhio destro si era abbandonato da qualche minuto abbondante. Si annodò con particolare attenzione la sua fascia rossa attorno ai capelli e, arricciatosi le maniche della maglia lungo i gomiti, rapido si allungò ad afferrare un abbondante fascio di salviette profumate.

Dopo una decina di minuti, Goku sfoggiava il culetto più bello e pulito del mondo.

Bardack rimirò la propria opera per qualche abbondante secondo, le braccia ai fianchi e un’espressione di stoica soddisfazione dipinta in volto, volgendo al figlioletto uno sguardo esortante nella seria attesa che dalla sua piccola bocca uscisse un realmente sentito “grazie”. Goku, ovviamente, si limitò a pigolare qualche soddisfatto versetto di assenso agitando i piedini all’aria, ma fu sufficiente.

Era ora che veniva la parte complicata.

Bardack tentò di liquefare col potere dello sguardo il pacco di pannolini, sul cui esterno spiccava un marmocchio dagli occhi azzurri grandi quanto due fanali intento ad abbracciare spasticamente un enorme orso viola. Anche Radish possedeva un pupazzo simile.

Tolse un pannolino dalla confezione, lo dispiegò schifato davanti al naso e lo osservò trucemente, quasi come volesse cavargli le verità del mondo dalle fibre biancastre con gli orsacchiotti stampati sopra. Chiunque, nel vederlo conciato in quella maniera, con la scritta “Rude Boy” sulla maglietta e lo sguardo tracimante d’odio per l’intero genere umano, sarebbe crollato a terra agonizzando in un attacco di risate convulse.

« Odio i bambini », ringhiò, afferrando bruscamente il figlio per le caviglie e sollevandolo di poco, tanto quanto bastasse per porre sotto al suo fondoschiena roseo e rotondeggiante il grosso pannolone imbottito. Goku ridacchiò tutto contento, battendo le manine con travolgente entusiasmo.

Con movimenti non propriamente sicuri e calibrati come avrebbero dovuto essere, Bardack gli sistemò alla meno peggio il pannolino, accorgendosi poi con estremo orrore di averglielo messo al contrario. Borbottando, i nervi crepitanti e i denti digrignanti, glielo strappò di dosso e lo gettò all’aria, recuperandone un altro. E così fece per più o meno un’altra dozzina di volte, ritrovandosi alla fine con un abnorme strato di pannolini sparsi sul pavimento e un sederino all'aria che pregava d'essere imbacuccato prima che fosse troppo tardi.

Fremendo di rabbia, fissò il faccino perplesso di Goku per qualche secondo, sentendosi ferito nel profondo dall’occhiata tracimante di compassione che gli parve di sentirsi addosso. Grugnì qualcosa di incomprensibile e per un attimo gli balzò alla mente il pensiero di chiamare Radish e di farsi dare una mano, elucubrazione che comunque si curò immediatamente di accantonare, non potendo certamente farsi vedere in quelle vesti ignominiose da quel cretinetto perdigiorno. Goku, notando che non succedeva più niente, ricominciò a piangere di nuovo come un matto, scalciando e spandendo il borotalco che aveva addosso da tutte le parti.

Bardack, sull’orlo di un imminente suicidio, decise di optare quindi per l’espediente meno doloroso per il suo comunque già alquanto sbriciolato orgoglio. Scattò verso il comodino in fondo alla stanza e in un movimento fulmineo che avrebbe fatto invidia ad un ghepardo abbrancò il cordless, quasi nel timore che potesse darsela a gambe da un momento all’altro. Compose velocemente un numero e si portò la cornetta all’orecchio, scalpitando e tentando di reprimere il proprio impellente desiderio di afferrare Goku per una gamba e scagliarlo come un sacco di patate fuori dalla finestra.

Dopo un paio di squilli, finalmente ottenne risposta.

« Pronto? ».

Non fu mai così felice di sentire la voce monocorde di Seripa in vita sua.

« Passami Toma », bofonchiò, senza alcuna inflessione nella voce.

La donna esitò per qualche istante, udendo chiaramente le urla feroci di un bambino in sottofondo. Non le ci volle molto per comprendere la simpatica situazione, ovviamente. Snudò i denti in un sorriso beffardo, portandosi una corta ciocca di capelli corvini dietro all’orecchio.

« Problemi col marmocchio? », chiese, con irritante nonchalance.

Bardack fece schioccare la lingua contro il palato, piccato. Per un momento, o anche tre, ebbe voglia di strozzarla. « Figuriamoci! E adesso passami Toma ».

Seripa non replicò, limitandosi a scuotere la testa. Sconsolata, lanciando un’eloquente occhiata al compagno che, dal divano, la osservava interrogativo, gli porse il telefono. Il suo fidanzato aveva avuto l’incommensurabile fortuna di ritrovarsi come migliore amico un misantropo incapace persino di cambiare i pannolini ai propri figli, meraviglioso. Per qualche oscuro motivo, comunque, nessuno di loro due aveva mai avuto intenzione di troncare i rapporti con quello zoticone, nonostante tutto.

Toma strizzò un occhio in un automatico riflesso all’udire un improvviso vagito tonante, abbandonandosi ad uno sconsolato sorriso bonario.

« Ehilà » salutò, massaggiandosi distrattamente la nuca. In tutta risposta udì un grugnito indistinto dall’altra parte della cornetta.

« Ho problemi col marmocchio », spiegò Bardack molto pragmaticamente, intento ad agitare distrattamente il residuo sonaglio davanti al musino in lacrime di suo figlio. « Non mi ricordo come si mette il pannolino ».

« Non so perché, ma lo sospettavo », commentò Toma, alzandosi con un pesante sospiro dal divano. « Hai già messo la crema emoliente? ».

« Ho già messo tutto quello che andava messo, ma questo demente non sta fermo! », sbottò lui, irritato dal bambino che ora gli stava succhiando disperatamente il dito riempiendolo di saliva e dal simpaticissimo tono pedante con cui l’amico gli aveva appena rivolto la parola. Manco fosse un minorato mentale, diamine.

Toma, dall’altra parte della cornetta, si strinse nelle spalle. « Anche se mi appare piuttosto oscuro il motivo per cui tu non riesca ancora a mettere un pannolino— ». Venne perentoriamente interrotto da Bardack, che stizzito levò il dito dalla bocca di Goku, ottenendo come risultato un pianto ancora più isterico del precedente.

« Dimmi come si fa e basta! », ringhiò, fumando di rabbia e vergogna repressa.

Seripa osservò perplessa in direzione del suo compagno, notando che improvvisamente si era allontanato la cornetta dall’orecchio con fare sofferente.

« Bardack, non c’è un granché da fare », mormorò, lapidario, « Devi semplicemente far passare la parte imbottita sotto la schiena fino al sedere, poi leghi le due estremità ai fianchi assicurandoti che tra esse e la pelle ci passi almeno un dito, e ricordati di tenere le caviglie sollevate ed evitare che si sfreghino— ».

« Bene. Tanti saluti », replicò lui molto telegraficamente, sbattendogli il telefono in faccia senza troppi indugi. Ignorando lo sconcerto interiore causato all’amico con quel gesto privo di qualsiasi buona creanza, ritornò a scandagliare il figlioletto ostentando un'ammirevole, diplomatica imperturbabilità, tradita comunque dalle solite, onnipresenti venuzze pulsanti che minacciavano di implodere da un momento all’altro.

« Potrei sembrare calmo, ma sappi che ti ho già ammazzato tre volte, pidocchio », disse con una smorfia scocciata, andando a recuperare un secondo pacco di morbidi pannolini profumati con degli elefanti stilizzati stampati sopra. Aprì il primo pacchetto e, ripetendosi mentalmente come in una litania le coincise parole di Toma, riuscì miracolosamente ad infilare un pannolino al proprio figlio come un comune mortale. Notò Goku arrestare il suo pianto ed osservarlo curioso, le guanciotte particolarmente infuocate e gli occhioni neri ancora lucidi. Soddisfatto per il proprio successo, Bardack incrociò le braccia al petto e abbozzò sulle labbra un tronfio ghigno vittorioso.

« Ecco fatto, femminuccia! », esclamò, rimboccandogli le lenzuola pulite e dandogli un delicato colpetto sulla punta del nasino a patata. « Nemmeno quella piattola di tuo fratello piagnucolava in questa maniera ».

Richiuse la finestra, spense la luce e, con un pesante e gutturale sospiro di sollievo, fece per andarsene dalla camera, sbadigliando. Si preparò psicologicamente alla pesante strigliata che avrebbe dovuto affibbiare a Radish – come se non sapesse che quell’infame si fosse fatto fuori pure le sue patatine! –, quando un’orrida percezione si fece strada nella sua mente, facendolo sobbalzare sul posto: nell’esatto momento in cui ebbe varcato la soglia della camera, difatti, il lento e fievole pigolio al quale si era abbandonato Goku si tramutò improvvisamente in un assordante pianto disperato, ancora una volta.

Bardack si voltò verso la camera e lo sguardo orripilato precipitò verso la culla, il cui fagotto al suo interno aveva ripreso ad agitarsi e a tentare di strozzarsi con le lenzuola attorno al collo. Goku era così rosso per il pianto che pareva fosse in procinto di esplodere da un momento all’altro.

Sbatté un paio di volte le palpebre, confuso. La perplessità dipinta sul suo volto mutò gradualmente in un’espressione irritata, per poi passare istantaneamente ad una maschera di pura esasperazione.

« Che diavolo di problemi hai adesso?! », esclamò, avvicinandosi al lettino. Goku subito protese le manine verso di lui, continuando a contorcersi tra le lacrime e a tremolare come un budino.

« Forse vuole essere preso in braccio », mormorò Radish, facendo improvvisamente capolino da dietro alla porta.

Bardack lo guardò contrariato, corrugando le sopracciglia.

« Prendilo tu, devo lavarmi le mani », disse severamente, deviando lo sguardo, « Quest'odore di cacca mi sta dando il voltastomaco ».

« Io credo che voglia te ».

Stavolta l’uomo tacque. La fronte s’increspò leggermente, e lo sguardo tornò a posarsi indecifrabile sulla tenera figura del piccolino, che oramai privo di energie lo guardava dal basso con liquidi occhioni tristi, assumendo gradualmente un tono sempre più corrucciato. Per un attimo, ma solo per un attimo, Bardack si sentì intenerito da quello sguardo. Deglutì e sbatté un paio di volte le palpebre, grattandosi lentamente la punta del naso.

Radish lo osservò immobilizzarsi e decise di non disturbarlo, in attesa di coglierlo in flagrante in un’atipica manifestazione d’affetto. Sorrise sotto i baffi, consapevole che, nonostante tutto, il vecchio voleva loro bene. Anche se quando si trattava di essere affettuoso si ritrovava in difficoltà del tutto discutibili.

Qualche istante più tardi, Bardack rilassò le spalle e sospirò pesantemente, passandosi una mano sul viso.

« E va bene, basta che questo marmocchio la smetta di frignare. Ma solo per questa volta! ».

Allungò le braccia e lentamente afferrò Goku come se fosse fatto di cristallo, portandoselo delicatamente contro il petto muscoloso.

Il bimbo sgranò gli occhioni neri e fissò il suo papà lasciando che gli ultimi lacrimoni gli colassero lungo le paffute guance arrossate, allungando le manine verso di lui e afferrandogli faticosamente il colletto slabbrato della maglia, stringendolo forte tra le piccole dita.

« ... Ah, finalmente hai smesso » sbottò Bardack, imbarazzato da quella situazione. Dondolò il fagottino tra le braccia per un paio di minuti, roteando gli occhi e augurandosi solo che quel tormento potesse concludersi velocemente.

« Ta...tà! ».

« Non mi chiamo “ta-tà”, cretinetto ».

Goku pigolò felice e si addormentò accoccolato tra le sue calde e forti braccia nel giro di pochi istanti, sbavandogli sulla spalla.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** PAST (2) • Il Natale piace solo ai marmocchi. ***


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Blatereggiando.

Hola! Eccomi qui col nuovo capitolo! Visto che siamo in tema natalizio, mi è sembrato giusto fare un capitolino a tema al posto di studiare storia, ma chi se ne frega. Ah, comunque, non è che mi diverto a torturare i personaggi, no. Non è che faccio passare loro le pene dell’inferno perché lo trovo immensamente spassoso, no. Cioè, magari solo un po’. Uhm. COMUNQUE. Grazie mille per chi ha commentato! Sono felice che la raccolta vi piaccia, devo dire che è un progetto che mi sta svagando molto. C’è una cosa che desidero specificare, ora che siamo al secondo aggiornamento: i capitoli sono temporalmente mescolati (nel senso che si potranno intervallare vicende con Goku diciottenne e Goku undicenne, capitoli in cui Radish conosce Turles e in altri in cui deve ancora incontrarlo, e così via), ma all’interno possono contenere riferimenti che li legano l’uno all’altro. Sta poi al lettore coglierli, non sempre li paleso troppo. In questo capitolo, inoltre, vi è un rapido accenno alla presunta mamma di Goku e Radish, personaggio che da quello che ho capito non è mai stato ufficializzato da Akira-san ma che oramai è comune considerarlo parte del mondo Dragon Balliano (?). La signora in questione si chiama Taanipu. Non so ancora se comparirà in maniera più approfondita in capitoli successivi, ma non conoscendo il suo carattere mi pare abbastanza improbabile. Detto questo... beh, ho finito. Grazie per i preferiti e seguiti vari, ma soprattutto, gratzia (?) come sempre per i vostri commenti. Tanto amore~

 

Disclaimerchemidimenticosempre » Dragon Ball © Akira Toriyama.


 

 

PA S T (2)

Il Natale piace solo ai marmocchi.

{Bardack + Toma & Goku}

Hug 26. "I never say the truth."

 

Un suono roco e gutturale vagamente simile ad un grugnito rombò nella sua gola per qualche istante, prima di venir espulso sottoforma di ringhio rabbioso fuori dalle labbra, contorte in un’espressione frammista l’enormemente schifato e il pericolosamente incazzato.

Bardack abbassò le palpebre e sbuffando come un toro allungò la mano verso i due piccoli pezzetti di carta sdrucita abbandonati sul tavolo, ostentando un enorme, abnorme senso di repulsione galoppante. Afferrato il primo biglietto lo dispiegò lentamente, quasi timoroso di scoprire cosa avrebbe potuto esservi scritto all’interno. Ed effettivamente, date le esperienze passate, non aveva tutti i torti.

« Non credo ti mangi », lo aizzò con nonchalance Toma, sorseggiando un caffè accomodato su una sedia poco distante. Lui lo trapassò con uno sguardo che definire omicida sarebbe stato mostruosamente riduttivo, ma non disse nulla. Abbassò lo sguardo e, animato da un improvviso, mirabile moto di coraggio, cominciò a leggere.

 

Caro Babbo Natale…

MA CREDI CHE SIA CRETINO?! Lo so benissimo che non esisti! Non sono mica quel tonto di mio fratello, io! Ormai sono grande per queste scimpiggini! Si scrive scimpiggini? Mah. Boh. Qui sul dizionario c’è scritto scempiaggini, ma secondo me è sbagliato. Comunque sia, se esisti (ma secondo me no), voglio un videogioco superviolentissimo dove devi uccidere un sacco di mostri. Quel taccagno del mio vecchio dice che costa troppo, ma tanto tu hai gli gnomi che fanno tutto, no? Dai, portamelo!

Radish

 

Silenzioso, Bardack sollevò lo sguardo dal foglio e si chiese per quale oscuro motivo i suoi occhi non stessero ancora grondando sangue.

Non ci volle molto, comunque, prima che il sofferente pensiero scemasse rapidamente nella sua testa, sostituito dall’irrefrenabile desiderio di riempire di calci nel sedere quel piccolo pidocchio ingrato che aveva avuto la disgrazia di ritrovarsi come figlio. Avrebbe voluto alzare lo sguardo al cielo ed inveire selvaggiamente contro entità religiose varie ed eventuali, ma l’irritantemente silenziosa presenza di Toma al suo fianco gli impedì di lasciarsi dare a comportamenti troppo selvaggi.

Si limitò a sospirare pesantemente, tentando d’ignorare stoicamente l’udibilissima risatina che il suo compagno provò a mascherare con un falsissimo colpetto di tosse. Che qualcuno gli spiegasse perché avesse dovuto ritrovarsi circondato di esseri così ignobilmente infami, dannazione!

« Lo trovi divertente, idiota? », disse, freddando l’amico con un’occhiataccia. « Non vedo l’ora che tu abbia dei bambocci tutti tuoi, così potrò rallegrarmi delle tue disgrazie rotolandomi dal ridere sul pavimento! ».

Toma stirò le labbra in un sorriso serafico, assumendo quel suo tipico, imperturbabile andazzo che aveva la capacità di mandare fuori dai gangheri anche un santo. « Dai, non ti arrabbiare », disse soffice, dando un’altra sorsata al suo caffè. Dopo qualche istante, i suoi occhi neri come il petrolio non furono più in grado di trattenere un baluginio di malsana curiosità. « Comunque perché non leggi anche l’altra? ».

« Tu godi perversamente nel vedermi soffrire », replicò lui, in una constatazione che sapeva di pura, semplice quanto addolorata ovvietà.

In realtà in quel momento avrebbe voluto sfogare tutte le sue frustrazioni e vedere quel bastardo agonizzare per terra, ma picchiare a sangue il suo unico simpatizzante non sarebbe propriamente stata una scelta traboccante d’arguzia – ammesso che suo simpatizzante Toma lo fosse davvero, perché no, l’espressione perversamente divertita dipinta sul suo brutto muso nel leggere ancora una volta la letterina di Radish suggeriva l’esatto contrario.

Mentre Bardack avrebbe volentieri preso a scappellotti i suoi marmocchi almeno quindici volte al minuto, Toma nutriva per loro una sorta di ammirazione contorta, neanche fossero una specie di summa di tutte le migliori qualità concepibili dalla mente umana; si era persino autoproclamato loro zietto acquisito – provocandogli un leggero senso di fastidio, ma dettagli. Si era proclamato loro zietto acquisito e li viziava come se fosse loro nonno, cosa che ogni tanto risultava leggermente traviante.

« Hai intenzione di comprargli il videogioco che ti ha chiesto? ».

Bardack aggrottò le sopracciglia. « Assolutamente no! », disse stizzito, accartocciando la letterina e ficcandosela in tasca. « Così impara a darmi del vecchio taccagno! ».

« Beh, diciamo che non ha tutti i torti... ».

« Ti ammazzo ».

Toma ridacchiò, stringendosi nelle spalle. Sollevò le mani in segno di resa e lo guardò divertito. « Ok, ok, non parlo più ».

« Ecco, bravo », replicò secco lui, facendo cadere quel celere scambio di battute nel vuoto. Scoccò una fugace occhiata alla letterina restante, sola soletta sulla lignea superficie incrostata del tavolo; roteò gli occhi ed ostentando un’enorme sofferenza allungò un braccio per afferrarla, aprendola con stampato in faccia il medesimo orrore di poco prima. Seriamente, aveva paura di leggerla. Nessun essere umano era in grado di immaginare anche solo lontanamente cosa passasse per la testolina bacata di Goku.

E infatti, dopo che ebbe letto le tre scarse righe scritte malamente sul foglietto, Bardack si trovò con un paio d’occhi grandi più o meno come due piatti e un colorito biancastro non particolarmente attraente in faccia.

 

Caro Babo Nattale,

Per Nattale volio una cossia di pollo

Goku

 

« Beh, se non altro non ha grandi pretese », constatò Toma, scansando compostamente il cucchiaino da tè che gli venne scagliato brutalmente addosso.  

Davvero, Bardack odiava il Natale. Era una festa imbecille per gente imbecille. L’aveva sempre schifata, sin da bambino. Perché diavolo avrebbe dovuto piacergli il fatto che un ciccione vestito di rosso s’infilasse clandestinamente nelle case altrui per portare regali a casaccio?! L’unica volta che aveva scritto una letterina a Babbo Natale, da moccioso, aveva chiesto di diventare il padrone del mondo. Babbo Natale gli aveva portato una macchinina. All’epoca, per Bardack fu evidente che lui e il Natale non sarebbero mai andati d’accordo.

Poi era arrivata la triste mattina in cui si era svegliato e si era reso conto di non essere più un bambino, e anche quel tenue barlume di magia che era rimasto a permeare le feste era andato a quel paese. Gradualmente il Natale era divenuta ai suoi occhi una semplice e squallida festività il cui reale scopo era solo quello di celebrare i grandi sconti ai centri commerciali e i cospicui aumenti di rendita delle fabbriche di panettoni, oltre che il periodo di diffusione di quell’abominevole invenzione chiamata vischio. Era la tipica festa imbecille per gente imbecille, appunto. Dove intere, ipocrite genealogie familiari si riunivano in abitazioni invase da alberi di plastica e luci psichedeliche per elargirsi reciprocamente regali indesiderati il più delle volte di dubbio gusto.

Bardack aveva sempre voluto star fuori da quella massa di caproni, del tutto ripugnato dall’idea di dover perdere il proprio tempo in simili baggianate. Aveva come la sensazione che l’aria si pervadesse d’ipocrisia in dicembre, e lui no, voleva assolutamente rimanere soffocato da quell’atmosfera stantia e fastidiosa.

Poi però era arrivato quel pidocchio di Radish, e le cose gli erano un tantino sfuggite di mano.

Radish festeggerà il Natale come tutti gli altri bambini! Mi hai capito, razza di sociopatico?!”.

Quelle erano state le parole delle sua compagna, gridate a tutto spiano dentro l’orecchio.

Taanipu l’aveva costretto a coprirsi di ridicolo. O meglio ancora, gli aveva strappato la dignità di dosso e l’aveva gettata nel fango, saltellandoci allegramente sopra in un paio di simpatici balzelli. Poi l’aveva data in pasto al pubblico vilipendio, costringendolo a mettersi addosso quell’orripilante costume da Babbo Natale comprato ai grandi magazzini per assumere le fattezze di quel brutto ciccione barbuto dalla risata oltremodo irritante. Già era abbastanza degradante dover festeggiare una ricorrenza che fino a qualche anno prima aveva ripugnato con tutte le sue forze, ma travestirsi e dover preannunciare la sua entrata in casa con un “OH OH OH” da vero e proprio cerebroleso era l’umiliazione più grande della sua vita, garantito. Bardack aveva anche tentato di ribellarsi a dirla tutta, ma i cazzotti di Mellon avevano sempre avuto grande capacità di persuasione.

E così da quel giorno si era ritrovato ogni sacrosanto Natale a recuperare quell’immondo cumulo di stoffa rossa dallo sgabuzzino per far contento il marmocchio, constatando puntualmente, nonostante tutto, che l’espressione entusiasta sul volto di Radish la mattina di Natale poteva essere davvero ritenuta il miglior compenso possibile.

Quando Taanipu era morta, dando alla luce Goku, quell’abitudine era rimasta. Nonostante tutto, Bardack non aveva mai avuto la forza di abbandonarla nel baule assieme al suo aborrito costume da Babbo Natale.

Il vero problema erano divenute le richieste totalmente prive di senso di quei due marmocchi senza cervello, a dirla tutta. Della vergogna bene o male ci si assuefaceva, delle pretese dei figli no.

« Ora spiegami come posso mettere sotto quel dannatissimo albero di Natale una coscia di pollo! », esclamò con un che d’isterico, all’indirizzo di Toma.

L’amico si limitò a stringere le spalle, compassato. « Se pensi che sia poco, puoi sempre regalargli un prosciutto ».

« Ti ammazzo ».

« L’hai già detto ».

Bardack gli scoccò per l’ennesima volta un’ennesima occhiataccia fulminante, che per l’ennesima volta venne spudoratamente ignorata. « Sei mostruosamente irritante. Ed inutile. Ti conviene tornare da Seripa prima che ti riempia di calci in culo », lo minacciò, puntandogli il dito contro. Toma ridacchiò e si alzò dalla sedia, avviandosi verso l’ingresso non prima però di aver dato una sciacquata alla tazzina sporca ed averla rimessa assieme alle altre stoviglie – era un tipo educato, lui.

Gli diede un’affettuosa pacca sulle spalle, poi aprì il pesante portone d’entrata.

« Ricorda che se non riesci a trovare il Natale nel tuo cuore, non potrai trovarlo sicuramente sotto un albero! »

« Vai a prodigare i tuoi aforismi di terza categoria a qualcun altro, idiota », sbottò Bardack, storcendo il naso. Dopodiché, borbottando, spintonò l'amico fuori casa.

Probabilmente a Goku avrebbe preso seriamente un prosciutto.

 

 

 

***

 

 

 

Una settimana più tardi, Bardack si ritrovò sul tetto di casa a constatare con estremo orrore che non riusciva più a passare dal caminetto.

Fece roteare gli occhi nelle orbite, spazientito, ingaggiandosi ostinatamente in un opera di autoconvincimento circa il fatto che non era lui ad essere ingrassato, quanto piuttosto il comignolo che si era ristretto senza interpellarlo.

Dal cielo notturno sopra la sua testa fioccava una quantità incommensurabile di neve, coi fiocchi che navigavano leggeri nell’aria depositandosi sofficemente a terra e tingendo l’intero circondario di un candore del tutto eccezionale. Tutt’attorno, ad avvolgere le schiere di casupole assiepate ai lati della strada, le pacchianissime decorazioni natalizie svettavano nell’oscurità della notte, illuminate dalle abbacinanti lucette multicolori che scintillavano cadenzatamente nel buio. Ad addobbare l'esterno di casa sua vi era solamente uno spastico pupazzo di neve dalle forme alquanto discutibili – non si era ancora ben capito se fosse davvero un uomo o piuttosto un alieno deforme –, ma Bardack si sentiva ferreamente convinto del fatto che quell’abnorme cumulo d’acqua ghiacciata fosse una vera e propria opera d’arte contemporanea. E sinceramente erano in pochi, nell’isolato, che ci tenevano a contraddirlo.

Dalla cima del tetto, comunque, vi era davvero una bella vista. Se non fosse stato per quell’aria gelida che gli stava congelando la punta del naso – l’unica parte scoperta di l’obbrobrioso travestimento da Babbo Natale, per intenderci – sarebbe stata una situazione relativamente piacevole. Relativamente, e certo, considerando il perché si trovasse in cima ad un tetto alle due di notte del venticinque dicembre.

Dato che non passava più dal cam— cioè, dato che il caminetto era troppo stretto, Bardack optò per una brillante quanto più comune entrata dalla sicura porta di casa. Tanto i due bambocci stavano ronfando da un pezzo oramai, non sarebbe cambiato poi così tanto.

S’inforcò alla bell’e meglio il sacco in spalla, sentendo l’enorme prosciutto di Goku raschiargli contro la schiena, dopodiché prodigò l’ennesimo appellativo non particolarmente educato a qualche individuo nell’alto dei cieli e camminò lentamente verso la grondaia, lì dove aveva appoggiato la scala, attento a non scivolare sulle tegole. Incespicò un paio di volte, cadde altrettante, ma riuscì a toccare terra senza spezzarsi l’osso del collo. Fu un buon risultato.

Imprecando pure contro l’incommensurabilmente fastidiosa barba finta che gli stava pizzicando la faccia, si chiese che diavolo gli stesse passando per il cervello a fare una cosa idiota come quella. Lui non era adatto a quel genere di occasioni sociali, non lo era affatto. Se lo ripeteva ogni santissimo anno, annotandosi mentalmente di dare uno scappellotto sia a Radish che Goku per rincuorarsi come gli era consueto, eppure quella solfa si ripeteva ciclicamente, ogni maledetto Natale.

Comunque il prossimo vecchio obeso vestito di rosso che avrebbe visto in giro l’avrebbe ucciso a morsi, poco ma sicuro.

Sbuffando piccole nuvolette di vapore dal naso, arricciando i baffi finti ed aggrottando le foltissime sopracciglia bianche altrettanto fasulle, si avviò frustrato verso la porta d’ingresso, faticando non poco per prendere le chiavi infilate nel taschino della grossa giacca rossa adornata qua e là da qualche striscia di pellicciotto bianco. Non era particolarmente comodo muoversi nella fattezze di un omino della Michelin in rosso, effettivamente.

La chiave venne inserita nella toppa con un debole rumore metallico; la serratura scattò e, lentamente, Bardack entrò in casa. Subito un’intensa onda calda lo pervase, scacciando i brividi di freddo che avevano preso a formicolare lungo tutto il suo corpo. C’era un calduccio accogliente in casa, nonostante sia il caminetto che il riscaldamento fossero spenti. Silenzioso, gettò una fugace occhiata al piccolo albero scrupolosamente addobbato in soggiorno: Radish e Goku l’avevano adornato ben cinque settimane prima, entrambi carichi di un incredibile entusiasmo; Goku aveva appeso qua e là le palline colorate che aveva dipinto con le sue stesse manine all’asilo – e Bardack aveva notato che una di esse era ammaccata, probabilmente perché Vegeta gliel’aveva scagliata addosso –, mentre Radish aveva provato l’elettrizzante – in tutti i sensi – ebbrezza della corrente elettrica, avvolgendo attorno ai ramoscelli il lungo filo butterato di lucette colorate. Lui aveva preferito stare svaccato sul divano ad osservarli con sguardo truce, in tutte le più fervide intenzioni di farsi rimbalzare addosso tutta quell’imbarazzante tenerezza familiare alla quale non sarebbe mai stato in grado di abituarsi.

Cercando di attutire un colpo di tosse improvviso attraverso la barba, Bardack si diresse verso il piccolo abete, proseguendo a tentoni nel buio e cercando di rendere i suoi movimenti più felpati possibili. Gli scarponi del costume, comunque, parevano essere intenzionati a fare parecchio casino, scricchiolando e strisciando sul pavimento piastrellato, e decise di maledire mentalmente pure loro – ormai non vi era più nulla che fosse scampato alle sue invettive, in sostanza.

Con un sospiro fiancato, mollò malamente il sacco per terra. La prima cosa che scivolò fuori fu il videogioco di Radish – ebbene sì, alla fine gliel’aveva preso. Ma non si trattava di un videogioco qualunque, o no: aveva comprato la trasposizione videoludica di “Venerdì 13”, uno dei film horror più schifosi e cruenti che avesse mai visto in vita sua. La prospettiva di vedere Radish scoppiare in un pianto isterico urlando “Papàààà ho paura!” lo allettava in una maniera alquanto malsana.

Dopo seguì il prosciutto di Goku; un enorme, spaventoso pezzo di carne grosso più o meno quanto un divano che più che da un maiale pareva provenire dalla coscia di un dinosauro. Le dimensioni del cibo avevano una rilevanza del tutto discutibile quando si trattava di quel mostriciattolo di bambino: non aveva importanza se si trattava di un chicco di riso o una polpettona da tre chili, tutto veniva trangugiato nell’arco di sì e no venti secondi – e tenendo conto che Goku aveva cinque anni, la cosa risultava un tantino inquietante. Finché non diventava obeso o non collassava a terra con lo stomaco in procinto di esplodere da un momento all’altro, comunque, a Bardack non fregava più di tanto.

Oltre al videogioco e al prosciutto caddero poi a terra vari pacchettini vari ed eventuali, acquistati “tanto per” ed incartanti i più disparati regali: una confezione di lego, una pistola giocattolo, una scimmia ed un drago di peluche, alcune macchinine, una felpa impacchettata erroneamente assieme ad un paio di mutande. Tenendo conto che i suoi marmocchi gli avevano regalato un disegno che inteoria avrebbe dovuto ritrarlo, ma che in pratica raffigurava un’orrida creatura senza naso con delle corna sinistre al posto dei capelli, lui si ritenne piuttosto soddisfatto dei suoi acquisti.

Una volta messi i regali sotto l’albero un po’ a casaccio, profondamente sollevato Bardack girò sui tacchi e fece per andarsene in camera, in tutte le più floride intenzioni di levarsi quell’opprimente costume di dosso.

Non fece in tempo a fare due passi, tuttavia, che le luci del soggiorno si accesero con un debole “click”, surgelandolo sul posto. Bardack strizzò gli occhi, infastidito dall’improvvisa fonte di luce, per poi riaprirli e spalancarli come fanali quando, con un piattino di biscotti e una tazza colma di latte fumante in mano, Goku gli si parò davanti sfoggiando il suo adorabile pigiamino verde costellato di carote.

Si fissarono per qualche istante, in ammutolito silenzio. Bardack fu sul punto di essere colto da un ictus, mentre Goku... mah, Goku aveva cinque anni, come diavolo era possibile anche solo immaginare cosa gli passasse per il cervello?

 « Ehm ». Bardack tossicchiò un paio di volte, ingrossando la voce e sudando freddo. Il suo costume era così pregno di sudore che strizzandolo, probabilmente, si sarebbe potuto lavare per terra. « Ciao, bamboc— ehm, bel bambino. Perché non sei a letto a fare la nanna come tutti gli altri? ».

Goku inclinò di poco il capo verso destra, assottigliando gli occhietti assonnati in uno sguardo pericolosamente sospettoso, e per qualche istante non disse niente. Dopodiché allungò il piattino verso di lui, prodigandogli un sorrisone smagliante: « Vuoi un biscotto? ».

Bardock, frastornato, scosse velocemente il capo, facendo balzellare comicamente il peloso pon-pon attaccato al cappello rosso. « Non voglio nessun biscotto! », s’affrettò a dire, in quello che pareva essere il preludio di una crisi isterica, accentuato ancor di più dal colorito violaceo del viso e tentato malamente di celare da un tono serioso di due note più alto della media.

Goku alzò le spalle e trotterellò accanto al tavolino, dove poggiò il bicchiere e il piccolo piatto. Allungò una mano ad afferrare un biscotto, lo inghiottì in un paio di voraci morsi e si portò poi il pollice in bocca, iniziando a succhiarlo con una certa perplessità.

« Pensavo che avresti voluto mangiare un biscotto con il latte », pigolò.

Bardack sentì la prima vena iniziare a pulsargli energicamente in fronte, segno che la pazienza stava cominciando a sgusciargli via di mano. « E invece no », ringhiò alla sua tipica maniera, per poi smorzare la frase e riprendere a parlare col tono profondo e bonario di prima, « Ehm. Cioè. OH. OH. OH ».

Naturalmente Goku stette zitto. Non che ci fosse molto da commentare al suo “oh oh oh” da perfetto deviato mentale, comunque.

Nella stanza calò nuovamente un soffocante silenzio e tutto tacque, ad eccezion fatta per il lampadario sopra le loro teste, la cui lampadina crepitava leggermente. Bardack lasciò andare un sospiro pieno di stanchezza e abbassò le palpebre, pregando i tipi nell’alto dei cieli che aveva insultato poco prima di aprire una voragine sotto ai suoi piedi e di farlo sparire nei meandri della terra, lontano da quei due cataclismi di bambocci. Poi decise di dare un taglio a quell’alquanto imbarazzante situazione.

« Ok, io devo portare i regali a... uhm, un sacco di altri marmoc— adorabili bambini », disse, facendo per allontanarsi piano piano e dirigendosi teatralmente verso l’esterno. Aggirò il figlioletto mantenendosi a distanza di sicurezza, dandogli una titubante pacca in testa e cercando sempre di parlare col tono più profondo che fosse in grado di assumere, « Tu... uhm, comportati bene e non fare il cretinetto, intesi? ».

Goku annuì, dondolandosi sulle punte dei piedi e mantenendo ferreamente il pollice ancorato alla bocca. « Ok! ».

« E non tentare di mangiare tuo fratello nel sonno! ».

« Ok! ».

« E non ingozzarti di nascosto di panettone! ».

« Ok! ».

« E non molestare Vegeta! ».

« Ok! ».

« E vedi di andartene a letto, che è tardi! ».

« Ok! ».

Bardack lo guardò assottigliando lo sguardo, sospettoso del fatto che lo stesse prendendo leggermente per i fondelli – umanamente impossibile che un bambino di cinque anni potesse seriamente prendere per i fondelli qualcuno a dirla tutta, ma dettagli.

A smentire i suoi sospetti, comunque, Goku subito si voltò ubbidiente e corse velocemente verso la sua cameretta, zampettando sofficemente a piedi scalzi sul pavimento. A quella vista i nervi di Bardack si distesero e si rilassarono, immensamente sollevati.

Goku aprì la porta della stanza, voltandosi poi verso di lui un'ultima volta con un sorrisone entusiasta stampato in faccia.

« Comunque stai tranquillo papà, non dirò a nessuno che sei tu Babbo Natale! », esclamò, rintanandosi nella cameretta.

Bardack guardò sbigottito la porta chiuderglisi in faccia, schiaffandosi poi una mano sulla fronte.

 

« Merda ».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** PAST (3) • Gli orsi di peluche fanno piangere più delle persone. ***


Blatereggiando.

Salve! Ecco un nuovo capitolo fluffoso per questa raccolta! Non ho molto da dire in verità, se non i miei soliti ringraziamenti per il seguito di questa raccolta. Grazie soprattutto per le belle recensioni, che fanno sempre piacere. Devo dire che questi tre li amo in una maniera mostruosa, anche se non si è mai vista una scena originale tra loro. Ma vabbUò, in questa benedetta serie sono talmente tante le cose che mi piacciono e che non si vedono che potrei fare un elenco chilometrico, LOL. Shame on you, Akira! Radish nella serie è un individuo bastardo e profondamente carogno, eppure nelle fan art e nelle doujinshi, per qualche oscuro motivo, appare sempre come un personaggio carino e relativamente coccoloso. In pratica per i giapponesi è una sorta di fratellone perfetto, nonostante tutto. E quindi... Uhm... che dire? RADISH, SEI ADORABILE. Sì, anche se in realtà nella serie è sostanzialmente, un bruto, un cattivone, un babbeo eccetera eccetera... TI AMO. Potrei rapirlo e costringerlo a farmi da fratello. Penso che passerei le giornate a fare la caccia al tesoro tra i suoi capelli (DDDDDDD:). Anyway, tutta questa pappardella per dire, sostanzialmente, che in questo capitolo è lui il protagonista. <3 Tanto amore per lui e il suo fratellino combinaguai. E per il padre gnocco, of course. *perv-face*. Ancora, grazie per le recensioni, i vari preferiti/seguiti/ricordati. Alla prossima! *nii-chan = nii-chan significa ''fratellino'',viene usato dai fratelli (o sorelle) minori per chiamare i fratelli maggiori.

 

Disclaimerchemidimenticosempre » Dragon Ball © Akira Toriyama.


 

 

P A S T (3)

Gli orsi di peluche fanno piangere più delle persone.

{Radish, Bardack & Goku}

Hug 4. Teddy bear.

 

Radish tirò su col naso. Una, due, tre volte. Sentiva gli occhi pizzicare, come se tanti piccoli, fastidiosi insettini gli stessero mordicchiando i bulbi oculari. Il mento era increspato e le labbra stoicamente serrate, premute l’una contro l’altra a formare una bianca linea sottile, piatta come il nulla che in quel momento gli stava attraversando la mente. Ogni fibra del suo corpo tremava, ogni lineamento del suo volto era contratto in una smorfia, nel disperato tentativo di non piangere.

Suo padre gli aveva sempre detto che i veri uomini non dovevano mai abbandonarsi alle lacrime. “Solo le femminucce piangono!”, grugniva, quando intravedeva un luccichio sospetto nei suoi occhi scuri e rotondi quanto due grandi bottoni, affibbiandogli poi uno scappellotto in testa. Diceva che piangere era fastidioso, faceva venire un gran mal di testa – “A te e a chi ti sta intorno!” – ed era soltanto una palese dimostrazione di debolezza. E lui no, non doveva mostrarsi debole.

Solo che in quel momento le lacrime pizzicavano tanto. Davvero tanto. E più tentava di trattenerle al di sotto delle palpebre, più quelle pungevano, pungolandogli gli occhi come sottilissimi spilli. Non scendete, ringhiò loro contro, mordendosi un labbro. Non osate scendere.

Strizzò le palpebre per qualche istante, sentendo le ciglia impercettibilmente bagnate premere contro lo zigomo, poi le sollevò di nuovo, stringendo convulsamente i pugni. Attorno a sé tutto era liquido, deformato dalla sottile patina salata che gli avvolgeva lo sguardo. Fissò stoicamente dinanzi a sé, rabbioso e paonazzo di rabbia, lì dove una minuta figura stava immobile contro il muro scrostato della cucina.

Goku, a differenza sua, non piangeva mai. Non piangeva se si sbucciava un ginocchio, nè se rompeva la macchinina nuova. Non piangeva nemmeno in quel momento, anche avrebbe dovuto farlo.

Si limitava a stare acquattato a terra come un riccio, con le dita dei piedini accartocciate tra loro e un’espressione colpevole dipinta in faccia, una mano premuta a stropicciare un ciuffo di capelli corvini sulla fronte e l’altra stretta attorno alla vita di un viola orsetto di peluche, abbandonato inerme tra le sue braccia. Teneva lo sguardo colpevole fisso su di esso, mordendosi piano il labbro, e il pupazzo lo guardava a sua volta, coi suoi grandi e vitrei occhi a bottone che fissavano tutto e non vedevano niente. Forse stava urlando, ma come avrebbero potuto saperlo? La sua bocca era di pezza, serrata da una sottile cucitura a zigzag bianca che spezzava la scura monocromaticità della stoffa. Dal suo ciompo pancione strappato straripavano batuffoli di imbottitura al posto di sangue. Forse voleva urlare, o forse voleva piangere, ma i suoi occhietti neri erano asciutti e sgranati come quelli di un cieco, e da essi non usciva alcuna lacrima. Era solo un pupazzo, d’altronde. Il pupazzo di Radish.

« Mi dispiace, nii-chan », pigolò Goku, abbassando rattristato lo sguardo. « Mi dispiace tanto! ».

Radish indugiò su di lui solo per qualche istante, fremendo di rabbia. Poi posò gli occhi sul suo orsacchiotto, ora ridotto ad un ammasso informe di stoffa vuota, e si morse un labbro. Per qualche istante rimase così, totalmente immobile; poi, come se quell’ultimo batuffolo di imbottitura caduto a terra fosse stato il suo detonatore, esplose. « Chi ti ha dato il permesso di toccare le mie cose?! ». A dispetto dell’altissimo tono, la sua voce tremava ed era spezzata dagli spasmi. Fissò suo fratello con astio per qualche secondo, affannando appena, dopodiché sbatté rabbiosamente il piede a terra e stravolto chinò con uno scatto il capo. Le lacrime iniziarono a rotolargli copiose lungo le guance, scivolando sugli zigomi e cadendo a terra, picchiettando come pioggia sulle piastrelle traslucide. Immediatamente le braccia, fino a quel momento mantenute rigide come pezzi di legno lungo i fianchi, scattarono a nascondere il volto.

Goku lo guardò mortificato, alzandosi e facendo per avvicinarglisi cautamente. Appena osò poggiargli la manina sul lembo stropicciato della maglia, Radish sollevò la testa e con uno scatto d’ira lo spintonò violentemente lontano da sé, facendolo incespicare sui suoi stessi piedi e cadere a terra con un tonfo sordo. Il piccolo non seppe dire cosa fece più male, se l’urto violento contro il pavimento o lo sguardo gonfio ed astioso del fratello che lo trafisse come una spada.

« Tu... »,  Radish strinse i denti, tanto forte da poterli udire scrocchiare l’uno contro l’altro. « Non hai rispetto per niente e per nessuno. Devi sempre rompere tutto con le tue brutte manacce, anche le cose che non sono tue! ». Trattenne il fiato per qualche istante, tirando su col naso e strizzando dolorosamente gli occhi. Poi scoppiò, in un tono di voce ancora più rabbioso del precedente: « Quell’orsacchiotto me l’aveva regalato la mamma! Non avevi alcun diritto di romperlo! ».

Goku incassò la testa nelle spalle, spaventato da quella reazione. Poi tornò a guardarlo con sguardo crucciato, le labbra tremanti e il cuore martellante nel piccolo petto, fragile come quello di un uccellino. « Mi dispiace, nii-chan! Non l’ho fatto apposta! ».

Radish scosse il capo e lo guardò per un ultimo, sofferto istante, senza dare nemmeno più peso al viso rosso e bagnato. Nonostante gli occhi fossero pieni di lacrime, essi ardevano ugualmente come braci. « Ti detesto », ringhiò. Poi scappò via, lasciandolo da solo, senza nemmeno accorgersi della torva presenza di Bardack, poggiato silenzioso contro l’entrata della cucina.

Goku non piangeva mai.

Quella volta, però, pianse.

 

 

 

***

 

 

 

Due improvvisi colpi, secchi e cadenzati come solo quelli di suo padre potevano essere, bussarono alla porta della cameretta solo un’ora più tardi. Radish, rannicchiato come un feto tra le lenzuola e con la faccia immersa nel cuscino umidiccio di lacrime salate, non si premurò nemmeno di rispondere. Dopo un paio di muti secondi Bardack entrò nella stanza ugualmente, come di consuetudine. Non era un tipo che si faceva troppi riguardi circa la privacy dei figli, lui.

« Oi », mormorò, cercando di assumere il tono più indulgente possibile, sebbene la tonalità naturale perennemente scontrosa della sua voce glielo impedisse. Radish s’irrigidì maggiormente sul materasso, ingoiando i singulti che ancora gli tremavano nella gola nel tentativo di far finta di dormire. « Stai ancora piagnucolando? Non ti ho sempre detto che solo le femminucce frignano? ». In risposta ottenne solo uno statico, pesante silenzio.

Sospirò irritato e, divorando con pochi passi l’esigua distanza che li divideva, si lasciò cadere a peso morto sul ciglio del letto, accanto al corpicino caldo e tremante del figlio. Nonostante non fiatasse, che il marmocchio non stesse dormendo era più che palese. Poteva sentire chiaramente il suo respiro spezzato e raschiante, quello che solo un pianto prolungato poteva causare. In condizioni normali si sarebbe limitato a dargli il solito scappellotto in testa e a lasciarlo sbrodolare tra le lacrime e il moccio fino a quando non si fosse dato una calmata, ma stavolta era diverso. Bardack era consapevole di quanto quello stupido orsacchiotto di pezza fosse importante per suo figlio; era stato un regalo di Taanipu tanti, tanti anni prima, un regalo di compleanno ai tempi in cui c’erano tanti motivi per sorridere e nessuno per piangere. Radish aveva sempre custodito quel peluche come un piccolo tesoro, accogliendolo sul letto come il più ragguardevole degli ospiti, portandoselo costantemente appresso quando era ancora un poppante e lasciandolo a malincuore a casa quando, diventato più grandicello, se ne separava per andare a scuola. Rompendolo, seppur involontariamente, era come se Goku avesse spezzato una parte di suo fratello, un qualcosa che da sempre gli era stato insito dentro, che gli scaldava il petto e che lo faceva sorridere al ricordo vacuo di sua madre.

Si massaggiò stancamente le tempie, sospirando nuovamente.

« Radish », mormorò, con voce roca. Erano poche le volte in cui lo chiamava col suo nome.

Il bambino stavolta si voltò lentamente verso di lui, stendendo le gambette tenute fino a quel momento abbracciate al petto. Il volto era chiazzato di rosso, solcato da due profonde striature umide. Aveva gli occhi gonfi e lo sguardo stanco, il moccio sotto al naso. Doveva aver smesso di piangere da poco. O forse aveva smesso nell’esatto istante in cui lui aveva valicato la porta della cameretta.

« Stai colando come un rubinetto », constatò atonamente Bardack, « Soffiati quel naso ». Gli porse un fazzoletto e lui glielo strappò di mano con uno scatto rabbioso, affondando nella carta con quasi tutta la faccia, come se in essa avesse visto un nuovo posto in cui seppellire le lacrime. Dopodiché, ficcato distrattamente sotto al cuscino, si mise lentamente a sedere e mantenne lo sguardo accollato al pavimento, onde evitare quello totalmente impenetrabile del genitore.

Bardack poteva sentire il suo senso di vergogna a pelle, come se stesse vibrando nell’aria come una scarica elettrica. Radish, a differenza di Goku, era davvero incredibilmente orgoglioso. Piangere dinanzi a suo padre doveva causargli un’umiliazione davvero incredibile.

Lo sentì tirare piano su col naso, quasi nel timore di fare troppo rumore, lo vide stropicciarsi freneticamente gli occhi e stringere con forza le labbra, nell’ostinato tentativo di farle smettere di tremare. Nonostante tutto, gli somigliava in parecchie cose.

Radish aveva un po’ di freddo. Suo padre emanava sempre un gran calore, ma non osò avvicinarglisi ulteriormente. Aprì la bocca per dire qualcosa, poi la richiuse. Artigliò il lenzuolo come se stesse pendendo da un baratro e da esso dipendesse la sua salvezza. Poi, finalmente, la sua voce squarciò il silenzio: « Non voglio più vedere quello stupido di Goku ». La sua voce era flebile e tremante, come un eco in mezzo al nulla.

Bardack incassò la testa nelle spalle, sospirando. « Ci vivi, con quello stupido di Goku. Lo devi vedere per forza, anche se la cosa non ti comoda ».

Per qualche istante, calò il silenzio. Radish fissò immobile dinanzi a sé, posando l’attenzione sul muro scarabocchiato della stanza. Fece ciondolare un po’ le gambe, facendole sbattere contro il bordo in legno del letto. « E allora non esco più dalla mia cameretta », sbottò.

Bardack schioccò irriverente la lingua contro il palato. « Ti ricordo che nella tua cameretta non ci sono né il frigo né il water ».

Ancora silenzio.

Radish incrociò le braccia al petto, gonfiando le guance. « Allora non mangerò più niente e non andrò mai in bagno! ».

« Ora che ci penso, saresti anche senza televisione. Quindi niente cartoni né videogiochi ». A quelle parole il bambino entrò in una sorta di crisi mistica, mugugnando frustrato.

Bardack si concesse una manciata di secondi per osservare quella divertente espressione contrariata, dopodiché riprese la parola. Non vi era alcun riverbero ironico nella voce, stavolta. « Tuo fratello è ancora piccolo », esordì, austero, « Non voleva rompere il tuo orsacchiotto, lo sai ». Radish scrollò le spalle, sentendo gli occhi riprendere ignominiosamente a pizzicare. Rimase a fissare il pavimento, senza dire nulla. Lui continuò. « Capisco che era importante per te, ma anche se eri arrabbiato, non avresti dovuto dirgli quelle cose. Hai fatto frignare pure lui » – e solo dio sapeva quanto ci avesse messo a farlo smettere di piangere, rassicurandolo che presto “nii-chan” sarebbe tornato da lui per giocare insieme ai pirati e ai guerrieri, o per staccare la testa alle bambole di Chichi, e che quindi non c’era motivo di inondare la casa con le sue lacrime. « Dovresti scusarti per come l’hai trattato ».

Radish balzò in piedi, improvviso come una saetta, fulminando per la prima volta suo padre con lo sguardo. « Ha rotto il regalo che mi aveva fatto la mamma! Ha toccato e preso le mie cose senza permesso! », esclamò, arrabbiato, « È lui che deve chiedermi scusa! ».

Bardack lo guardò imperturbabile, senza scomporsi. Si alzò lentamente dal letto, sovrastandolo in tutta la sua imponente stazza, minaccioso. « Tuo fratello ti ha già chiesto scusa » spiegò, asciutto. « Due volte ». Vide suo figlio reclinare frustrato il capo e borbottare qualcosa, un mormorio soffocato che gli parve indistintamente un “non me ne importa niente”. Sospirò e, dandogli le spalle, si avviò verso l’uscita della stanza. « Scusarsi non significa sempre che tu hai sbagliato e l’altra persona ha ragione », disse, prima di aprire la porta con un cigolio lamentoso, « Significa semplicemente che il vostro rapporto vale più del tuo ego, bamboccio ».

Si concesse di guardare indietro solo per un istante, scorgendo le iridi scure di suo figlio brillare umide nella penombra della stanza.

Poi, senza aggiungere altro, uscì.

 

 

 

***

 

 

 

Radish non seppe dire con esattezza quanto tempo fosse trascorso. Forse dieci minuti, forse trenta, forse un’ora. Gettò uno sguardo alla foto di sua madre, che sorridente lo guardava da dietro il vetro limpido della cornice. Lentamente strisciò verso i bordi del letto, s’inforcò le ciabattine ai piedi e, sospirando, raggiunse la porta della cameretta. Le parole di suo padre gli erano cadute sulla testa come massi, facendogli venire un gran mal di testa. O forse erano semplicemente gli effetti postumi del pianto, chissà.

Beh, non gli importava.

Decise di occupare la mente di pensieri più rilevanti.

Con fatica, con estrema fatica ed un pizzico di sacrificio, aveva deciso di andare a parlare con Goku. Non voleva davvero chiedergli scusa, però. Semplicemente... semplicemente insultarlo in maniera meno pesante, ecco.

Abbassò la maniglia ed aprì la porta. Non fece nemmeno in tempo a spalancarla del tutto che un “tonk” secco lo fermò a metà movimento, facendolo sobbalzare. Sporse il naso sul corridoio, perplesso, ritrovandosi faccia a faccia proprio con suo fratello, il quale stava con una smorfia di dolore dipinta in volto, il naso arricciato e un tantino rosso. Doveva avergli aperto la porta sul muso. Non ci volle molto, comunque, prima che il piccoletto si ristabilisse come se nulla fosse.

« N-nii-chan! », pigolò Goku, accortosi con scoppio ritardato che il fratello lo stava fissando, sbucando appena dall’entrata della camera. Immediatamente entrambe le mani scattarono dietro alla schiena, nell’alquanto palese intento di nascondere qualcosa.

Radish aggrottò le sopracciglia, perplesso. Goku fece qualche passetto indietro e gli permise di aprire completamente la porta. Ora si ritrovavano esattamente faccia a faccia, con solo alcuni centimetri a separarli.

Per qualche istante, nessuno dei due fiatò. Poi Radish si grattò imbarazzato la zazzera scura, arrossendo un pochino imbarazzato. « O-okay, senti... io... ».

Non fece in tempo a concludere la frase.

Goku fece scattare le braccia avanti, rivelando stretto tra le mani nientepopodimeno che il suo caro peluche color melanzana, sul cui prorompente stomaco spiccava ora un’enorme, sfilacciata pezza arancione, cucita alla bell’e meglio sullo squarcio di stoffa. « Papà ha detto che si poteva riparare... C-così mi ha aiutato a ricucirgli il pancione! ».

Radish non poté fare altro che sgranare gli occhi, incredulo. Fissò sbalordito l’orsacchiotto messo a nuovo, poi le piccole mani di suo fratello che lo reggevano ora come se fosse stato di cristallo. Sulle dita spiccavano innumerevoli cerotti, la pelle era tinteggiata qua e là di piccoli puntini rossi, segni di un ago utilizzato in modo frenetico ed inesperto. « Scusami, nii-chan. Mi dispiace tanto! ».

Radish rimase immobile, pietrificato dalla sorpresa. Improvvisamente il mento s’increspò e le sopracciglia si aggrottarono, stampandogli un buffo solco sulla fronte.  

« A-accidenti a te, brutto stupido! », esclamò, tirando con forza su col naso mentre gli occhi si inondavano di nuovo di lacrime, « Devi smetterla di farmi piangere, maledizione! ». E non disse nient’altro, limitandosi ad afferrare il fratellino e ad avvolgerlo in un abbraccio convulso e stritolante, soffocando la testa tra i suoi capelli.

Goku fece altrettanto, affondando il visino caldo nella stoffa della sua maglietta e tenendo l’orsacchiotto per una zampa, seminascosto nella nicchia tra i loro due corpi.

Dal piano di sotto, Bardack li sentì frignare come due femminucce per quasi mezz'ora.

Nonostante tutto, non poté fare a meno di sorridere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** OMAKE (1) • Let it snow. ***


Blatereggiando.

Avevo detto che i capitoli sarebbero stati trenta? AHAHAH, scherzone. Credo sia un male. Ho deciso di aggregare alle one-shot che costituiscono lo scheletro della raccolta qualche piccolo capitoletto drabble o flashfic, giusto per inquadrare ulteriori squarci di vita dell’allegra (?) famigliola. Sono affezionata a questa raccolta, quindi penso che se avrò un sufficiente seguito (*incrocia le dita*) potrei crearci una serie attorno, una volta raggiunta una buona dose di capitoli già pubblicati – o almeno una volta presentati tutti i personaggi di questa AU. Cooomunque, per tutti quelli che attendevano l’aggiornamento, tutta questa pappardella per dirvi che... il capitolo nuovo è solo una drabble. *viene linciata a sangue* Creare un’ulteriore raccolta legata a questa mi pareva esagerato, quindi ho preferito aggregare il capitoletto qui. Spero che, nonostante la lunghezza, questa cosa vi piaccia lo stesso! :3 Come sempre, grazie a tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo. I commenti sono il sale della mia vita da fanfictionara (?), quindi... arigatUò! Al prossimo capitolo, un abbraccione spastico a tutti. E ricordate... da qualche giorno oggi mi trovate anche su Faisbucco. FAISBUCCO!

 

Disclaimerchemidimenticosempre » Dragon Ball © Akira Toriyama.


 

O M A K E (1)

Let it snow.

{Goku, Bardack}

Drabble. 123 words.

 

 

Il suo sorriso è così largo che probabilmente potrebbe mangiare una banana di lato – e anche due, forse.

Miriadi di piccoli fiocchi precipitano dal cielo in un allegro scroscio di puntini bianchi, leggeri e turbinanti nella gelida aria dell’inverno.

Goku punta il nasino in alto, raggiante, stringendosi appena nel suo grosso cappotto. È la prima volta che vede la neve.

Trotterella entusiasta tra il soffice ammasso bianco che si estende immenso sotto ai suoi piedi. Poi si blocca. Protende le mani al cielo. Spalanca la bocca.

E nel momento in cui un piccolo fiocco gli si posa sulla lingua, l’atmosfera cambia.

Qualcosa non va.

« Papà! », sbotta, voltandosi a guardare contrariato il padre sul ciglio della porta, « Ma questa neve non sa di niente! ».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** PAST (4) • Non c'è niente di meglio di una storia per fortificare lo spirito! ***


Blatereggiando.

Chiedo venia per avervi fatto attendere così tanto, ma questi benedetti capitoli cerco sempre di scriverli come meglio posso – tant’è che bene o male ciascuno e lungo circa 7/8 pagine. Coooomunque sia... grazie tantissime per tutte le vostre recensioni! Sono felice che la storia vi piaccia, e dico già che ho in progetto una piccola raccolta spin-off (che si avrà comunque più avanti, visto che con questa benedetta storia siamo appena al quarto capitolo e ancora devono essere presentati diversi personaggi), che spero riceverà lo stesso seguito di questa. Sennò piango. Anche questo capitolo è dedicato alla famigliola agli albori (?), anche se penso che già dal prossimo capitolo (al massimo due), si avranno Radish e Goku da grandicelli. Devo dire che mi piace molto scrivere di questa famigliola, nonostante di loro si sappia poco o niente. Bardack e Radish non sono freddi e spietati come i loro alter-ego saiyan, ma spero comunque che le loro caratterizzazoni siano comunque abbastanza vicine alle originali. Taaagliando corto vi saluto, perché è l’una di notte e io sto schiattando dal sonno. *le muor* Grazie come sempre per tutte le vostre recensioni, mi fate immensamente felice! ;w; Al prossimo capitolo!

 

Disclaimerchemidimenticosempre » Dragon Ball © Akira Toriyama.


 

 

P A S T (4)

Non c'è niente di meglio di una storia per fortificare lo spirito!

{Bardack, Goku & Radish}

Hug 8. Fairytales

 

 

Bardack ringhiò qualche mugugno indistinto nel sonno, il corpo scompostamente adagiato sul materasso, un braccio intirizzito sotto al cuscino e una gamba mollemente ciondolante a lato del letto. Negli ultimi tempi non faceva nemmeno in tempo a coricarsi che immediatamente piombava nel mondo dei sogni, in un’onirica maratona che aveva sempre tutte le più floride intenzioni di protrarsi fino alla mattina seguente. Da ogni sacrosanta giornata con quei due tormenti ambulanti ne usciva sempre come un reduce di guerra, sfatto a livello fisico, psicologico, ma soprattutto sull’orlo di un’irreversibile crisi di nervi. La notte, il buio e il meraviglioso letto a due piazze caldo e accogliente posto esattamente al centro della spartana camera da letto, sotto al vecchio ventilatore fischiante e poco distante dal comodino scrostato, erano al termine di quelle estenuanti battaglie dei veri e propri fautori, pronti ad accoglierlo tra le loro confortevoli braccia quando più lui ne aveva bisogno. Il materasso non era propriamente il massimo della comodità – magari era un tantino duretto, e magari aveva anche un paio di molle rotte –, ma era pur sempre meglio di nulla; d’altronde, sentendosi costantemente, profondamente a pezzi, Bardack sarebbe stato anche in grado di raggomitolarsi sul tappeto e dormire per terra.

Bofonchiò l’ennesima frase non identificata strofinando distrattamente il volto imbronciato contro la federa del cuscino, quando ad un tratto il materasso sobbalzò, inclinandosi pericolosamente verso sinistra. Sussultò una seconda volta, e un’altra ancora, iniziando a far mulinare nell’aria un alquanto fastidioso miscuglio cacofonico di uggiolii di molle e tonfi di testate di legno del letto contro il muro – contemporanei, ovviamente, a grugniti di protesta vari ed eventuali bofonchiati nel sonno.

Bardack, piegato ma non spezzato nel suo irreversibile assopimento, continuò a mugugnare contrariato sul ciglio del letargo, fino a quando un’impietosa manata non gli si abbattè dritta in faccia, strappandolo brutalmente dalla braccia confortevoli di Morfeo e rigettandolo senza pietà nel mondo dei comuni, poveri mortali. Una serie di indicibili improperi schizzò repentinamente fuori dalla sua bocca, intanto che il naso iniziava a dolere e pulsare per il colpo subito e il corpo in un movimento a definirsi automatico scattava a sedere sul materasso, rigettando malamente le coperte spiegazzate per terra.

Massaggiandosi sofferentemente la parte lesa e sentendo rimbalzare nel cranio il desiderio di ridurre ad un ammasso informe l’immondo colpevole di quel risveglio oltremodo brutale, Bardack fece schizzare lo sguardo dardeggiante a lato del letto, emanando saette incenerenti dagli occhi. Con immenso orrore si ritrovò a pochi palmi dal proprio naso le facce paffute di Radish e Goku, leggendovi nelle espressioni vagamente contrariate quello che pareva seriamente un tacito rimprovero pedante, qualcosa del tipo “guarda che i papà devono sempre essere pronti ai bisogni dei figli, sai!”.

Dopo qualche istante di attonito scambio di sguardi Goku si limitò a sbadigliare e a stropicciarsi lentamente gli occhietti appannati dal sonno, ciondolando sul posto, mentre Radish arricciò il naso e portò le mani ai fianchi, facendo ciondolare dalla mano il suo fido orsacchiotto color melanzana. Con quella smorfia saccente pareva un genitore estremamente seccato dal comportamento poco consono del proprio figlio, cosa che per Bardack risultava particolarmente irritante, soprattutto alle tre di notte e con qualche ora arretrata di sonno alle spalle.

« Che diavolo volete? », ringhiò nella penombra, combattendo stoicamente contro il desiderio di afferrare entrambi i bambocci per un orecchio e scaraventarli senza pietà fuori dalla camera.

Radish si issò sulle punte, appoggiandosi a palmi aperti contro il materasso. « Goku – Goku eh, non io – ha detto che ha un sacco di paura del buio e non riesce a dormire », esemplificò molto pragmaticamente, sbuffando dal naso. Dopo un’accorata pausa scoccò uno sguardo artificiosamente compassionevole al fratellino, che tutto pareva fuorché spaventato, con un dito in esplorazione nel naso e le palpebre semichiuse dal sonno. « Ha detto che devi raccontarci una storia, sennò non se torna a letto! », aggiunse, giusto per sottolineare l’implicito concetto “fino a quando non sentirò una fiaba non me ne andrò da questa stanza e ti renderò la notte un inferno, papino”.

Bardack lo fissò in cagnesco, ma lo sguardo determinato che ricevette in risposta dall’alto di quel metro e qualcosa di capelli fu la più eloquente e ferrea opposizione che potesse ricevere. Dominò stoicamente l’impulso di mollargli uno scappellotto in testa e si limitò a ringhiare in frustrazione, constatando sofferentemente il fatto che, nonostante tutto, quel piccolo sgorbio gli assomigliava parecchio. Aveva la stessa sfacciataggine che possedeva lui quand’era marmocchio, gli stessi occhietti scuri e piccati e quella deprecabile convinzione di essere in grado di fronteggiare il mondo intero con il potere di un irritante, puerile broncetto.

Ruotò stizzito gli occhi, incrociando le braccia al petto. Non aveva alcuna intenzione di abbassarsi al livello rasoterra di quelle idiotiche famigliole che raccontavano le storielle melense ai marmocchi prima di spedirli a letto, comunque. Ne andava del suo onore di uomo. Certe atmosfere smielate non facevano per lui. Avevano la capacità di fargli venire il diabete solo a pensarci.

« Io non vi racconto proprio un bel niente », disse, lapidario, sbadigliando loro in faccia con una grazia straripante. « Andate a prendere un libro in salotto e leggetevelo senza scocciare ».

« Ma non ti tono libri in talotto », pigolò Goku con un pollice in bocca, ciondolando pericolosamente dal sonno sulle punte dei piedi.

« E noi non sappiamo leggere! », soffiò Radish, in un moto di profonda sofferenza interiore nel dover ammettere di non essere in grado di fare qualcosa.

In tutta risposta Bardack scrollò le spalle, giusto per sottolineare quanto si sentisse sentitamente coinvolto dalla cosa. Bofonchiò un impietoso “su, sciò, fuori dai piedi” accompagnando le parole con un gesto mulinante della mano e fece per ricacciarsi tranquillamente sotto alle coperte, quando la manina affusolata di Radish lo afferrò fulminea per la manica della maglia, trattenendolo all’ultimo istante.

« Aspetta! ».

Irritato e demoralizzato dall’insistenza del bamboccio, emise l’ennesimo grugnito rabbioso della serata (nottata? Mattinata?), passandosi stancamente una mano tra i capelli scarmigliati. « Cosa c’è adesso », sbottò, in una domanda piatta e totalmente priva di tono interrogativo.

Radish fece una smorfia. « Guarda che se non ci racconti una storia Goku si mette a piangere », si volse verso il fratellino, appostato accanto a lui con un’espressione da lobotomizzato, in procinto di crollare per terra addormentato da un momento all’altro. « Vero, Goku? ».

Il caro Goku non diede segni di vita, un indecoroso rivoletto di bava che scivolava serpentino dall’angolo della bocca e le palpebre completamente abbassate. Se dovevano essere complici, pensò Bardack, al momento la cosa stava riuscendo ad entrambi piuttosto male.

Davanti alla scarsa collaborazione del fratellino, Radish strinse stizzito i pugni e, bofonchiando l’insulto più ingiurioso di cui fosse a conoscenza – “brutto babbeo” – gli affibbiò una velata gomitata sul fianco che tanto velata non era, facendolo sobbalzare. Recepito vagamente il messaggio nel dormiveglia, il piccolo istantaneamente iniziò a piagnucolare lamentoso, diffondendo i propri tediosi uggiolii per tutta la casa.

Bardack rimase basito per una manciata d’istanti, andando poi ad increspare le labbra in un sardonico sorriso. « Gli hai insegnato a piangere a comando? », domandò atonamente, per niente scalfito da quella teatrale disperazione.

Radish istantaneamente s’irrigidì come una statua di pietra – era persino divertente vedere come cercasse stoicamente di contenersi nelle sue reazioni ogniqualvolta incassasse un colpo –, ma bastò qualche secondo perché riuscisse a riprendere il controllo di tutta la propria mirabile baldanza, tornando con il petto gonfio come quello di un tacchino e le mani strette sui fianchi. « Certo che no! », negò spudoratamente, ignaro del fatto che gli si potesse leggere esattamente il contrario in faccia, « E comunque sappi che se non ci racconti una storia continuerà per tutta la notte! ».

Calò un meditabondo silenzio, colmato solo da singhiozzi saltuari e palesemente artificiosi di Goku, corrotto con un paio di coni gelato alla fragola. Bardack guardò particolarmente schifato prima l’uno e poi l’altro moccioso, sentendo la spiacevole ed amara sensazione della sconfitta allargarsi pericolosamente nel petto.

Nonostante avesse oltrepassato da parecchio l’età delle puerili questioni d’orgoglio, c’era ancora un alone di bambinesca testardaggine che era rimasto dissotterrato in quel cimitero di ricordi che era la sua testa e che gli stava disperatamente imperando ora di non cedere assolutamente a quell’infido ricatto di bassa lega, perché quelli che aveva davanti erano solo due bambocci e lui non poteva assolutamente perdere la propria grande autorità di padre severo e fiscale in quella maniera indegna. Non poteva. Assolutamente. NO.

« Allora? », chiese Radish, ostentando un sorrisetto particolarmente malvagio sulle labbra.

« Non credere di spuntarla con me, cretinetto! », ringhiò lui con un tono tre volte più stridulo del normale, con le simpaticissime urla isteriche di Goku di sottofondo a trapassargli i timpani.

Alla fine, ovviamente, Radish riuscì a spuntarla.

 

 

 

***

 

 

 

La scassata abatjour sul comodino emanava un alone giallognolo nella silenziosa e soffusa atmosfera della camera, tremolando di tanto in tanto come la fiammella precaria di una candela. Il grande letto matrimoniale era ridotto ad un informe ammasso confusionario di lenzuola e cuscini, accatastati alla rinfusa gli uni sugli altri in modo tale da formare una morbida, rassicurante fortezza. Bardack stava scompostamente poggiato di schiena contro la testiera, le gambe conserte sul materasso e dipinto in volto un’espressione tracimante di sentito desiderio suicida. Radish stava nella medesima posizione poco distante, l’orsetto color melanzana poggiato tra le gambe e gli occhioni baluginanti di aspettativa, mentre dalla sua imponente zazzera color petrolio spiccava il muso rotondeggiante del fratello, abbarbicatosi sopra alla sua testa per avere una buona visuale del padre ed al contempo un comodo appoggio sui cui eventualmente tornare a dormire.

Radish si rimestò infastidito sotto all’esiguo peso di Goku, levandosi la mano che gli si era tranquillamente accollata sulla guancia, dopodiché tornò a fissare il suo papà con sguardo incalzante.

Bardack roteò stizzito gli occhi, chiedendosi che diavolo avesse fatto di male per ritrovarsi a raccontare storielle per bambini scemi a due bambini effettivamente scemi. Abbassò le spalle e, vinto su tutti i fronti e con l’orgoglio in pasto al pubblico vilipendio, iniziò a raccontare con una voce dall’oltretomba: « Alloooora... », esordì, con tono piatto e cantilenante, « C’era una volta una bambina che indossava sempre un cappuccio di velluto rosso, e per questo motivo tutti, essendo persone molto originali, la chiamavano Cappuccetto Rosso ».

« Ma Cappuccetto Rosso è un nome scemo », bofonchiò Radish, incrociando deluso le braccia le petto. « E anche le bambine sono sceme ».

Bardack gli scoccò un’occhiataccia in tralice, poi continuò a raccontare. « Un giorno sua madre le disse: “Cappuccetto, tua nonna sta uno schifo, è bloccata a letto come un relitto umano e non può cucinare—».

« Cos’è un relitto umano? », lo interruppe ancora Radish, allargando gli occhioni neri.

« Quello che diventano tutti sugli ottant’anni », rispose lui molto pragmaticamente, ottenendo risposta un paio di occhiate dubbiose. Fregandosene altamente della perplessità dei figli, riprese a raccontare con verve piuttosto contestabile: « Dicevo. Anzi, diceva la madre della bamboccia: “Cappuccetto, tua nonna sta uno schifo e non può cucinare, e siccome io non c’ho alcuna voglia di uscire, valla a trovare tu e portale questo dolce e questa bottiglia di liquore da parte mia. Dille che è una mia invenzione: un cocktail di tequila, gin e vodka, ma che non ne beva troppo sennò schiatta sul colpo” ».

« Ma papà », pigolò Goku, sporgendo il capo oltre ai ciuffi del fratello, « Quando si sta male non bisogna prendere le medicine? ».

Bardack fece un mulinante gesto in aria con la mano, stizzito. « Stessa roba. E adesso chiudete quelle dannate boccacce se non volete che vi spedisca in camera vostra a calci ». Istantaneamente i due bambini si rizzarono sul posto, premendo spasmodicamente le labbra l’una contro l’altra, intimoriti dalla minaccia. Soddisfatto del risultato, Bardack continuò: « Dopo averle dato il cesto con la roba dentro, prima di mandare Cappuccetto Rosso dal relitto umano, la madre le disse un’ultima cosa: “Mi raccomando, Cappuccetto, andando via non parlare con gli sconosciuti e non raccogliere le cose da terra, e quando arrivi dalla nonna non rubarle i soldi che tiene nel cassettone delle mutande ».

« Tieni soldi nel cassettone delle mutande? », domandò Radish con particolare interesse.

« Ti sembro la nonna di Cappuccetto Rosso?! », sbottò Bardack, piccato. « Certo che no! ».

Il bambino sollevò le sopracciglia in un’eloquente espressione scettica, ma non preferì non aggiungere altro. Dopo averlo fissato sospettosamente per qualche secondo ed essersi annotato mentalmente di nascondere i risparmi nel cassettone dei calzini, Bardack riprese a raccontare: « Cappuccetto, da brava mocciosa, prese il suo cestino e si inoltrò nel bosco. Avanzava saltellando come una deficiente quando fu fermata da un lupo grande, grosso, brutto e peloso, che le disse » e si schiarì la gola per rendere la voce più profonda e cavernosa di quanto già non fosse « “Buon giorno, cretinetta! Dove stai andando di bello?” ».

« I lupi parlano e offendono i signori che incontrano? ».

« Solo se incontrano signori cretinetti ».

« Oh ».

Adempiuto brillantemente al proprio dovere di padre nel delucidare i dubbi ai figli, Bardack tornò alla sua entusiastica narrazione perfettamente attinente alla storia originale: « Ignorando spudoratamente ciò che la madre le aveva detto giusto un paio di secondi prima, Cappuccetto Rosso rispose » e acuì la voce rendendola vagamente femminea e nasale « “Ciao, lupo demente! Ma i fattacci tuoi no?” ».

« Ma le bambine non parlano così », disse Goku, contrariato.

Radish arricciò il naso e si portò le braccia ai fianchi con un’aria di pura saccenteria dipinta in viso. « Beh, che ne sai? Magari in realtà è un maschio che si veste da femmina perché è stupido ».

« È una bambina », sibilò Bardack sull’orlo di un’evidente crisi di nervi. « Ed il prossimo che mi interrompe finisce con la testa nel water ».

I due fratellini deglutirono, atterriti, ammutolendosi all’istante. Non erano molto convinti del fatto che il padre stesse scherzando.

Bardack fece schioccare stizzito la lingua contro il palato e approfittò del momento di silenzio per fulminare i figli con una minacciosa occhiata rimproverante pregna di eloquenti minacce, dopodiché tornò al suo racconto. Con tono annoiato riprese a narrare i vari risvolti della notoria storia di Cappuccetto e del lupo cattivo, arricchendola con dettagli vagamente lugubri e discutibilmente rilevanti. Spiegò che l’animale, dimostrando un’ammirevole arte oratoria, era riuscito furbescamente ad estorcere informazioni alla bamboccia su dove e come raggiungere la casetta del povero relitto umano degente, pregustando già il sapore della carne della nonnetta sulle papille gustative. Congedandosi dalla bambina scema, ignara ovviamente delle sue reali intenzioni e preoccupata solo a rubare i soldi dal cassettone delle mutande, il predatore si era precipitato nella foresta correndo a più non posso, sbagliando un paio di volte strada ma riuscendo ugualmente a giungere a casa della vecchia prima di Cappuccetto Idiota. Lì era diventato una voce bianca e, tentando di addolcire il più possibile la voce senza rendersi conto di aver assunto un tono semplicemente grottesco, aveva bussato alla porta dell’abitazione, spacciandosi per la bambina. Il relitto umano, al quale se avessero regalato un restauro sarebbe stato meglio per tutti, l’aveva fatto entrare tranquillamente, finendo poi inevitabilmente tra le sue fauci.

« M-ma il lupo... la nonna... cioè... s-se l’è mangiata? », chiese Radish, spaventato, stringendo i pugni sui lembi spiegazzati del pigiamino.

« E mi pare ovvio! ». Bardack piegò le labbra in un sorriso storto, incrociando le braccia al petto ed incattivendo lo sguardo. « Gli è balzato addosso e se l’è pappata senza pietà! ». Radish lanciò un urletto strozzato, mentre Goku si limitò ad acquattarsi maggiormente tra i ciuffi scarmigliati del fratello, spaurito. « La vecchia non ha nemmeno fatto a tempo ad urlare », continuò lui, ostentando improvvisamente un malsano divertimento, « Il lupo l’ha assalita e le ha staccato subito la testa a morsi. Poi è passato alle braccia. E poi alle gambe. E alla fine si è mangiato in un sol boccone ciò che rimaneva della carcassa, schizzando sangue da tutte le parti! ».

Stavolta l’urlo che conseguì fu tutto fuorché soffocato. A Bardack non potè fregare di meno.

Continuando a tenere arcuate le labbra in un sorrisetto maligno – segno che, improvvisamente, si stava divertendo un mondo – continuò placidamente a raccontare la sua grottesca novella. Dopo la terribile sorte della nonna, così come si conosceva dalla tradizione, sarebbe dovuto toccare all’ingenua Cappuccetto Rosso. Spiegò che il lupo, che nonostante fosse grande, grosso, brutto e peloso non era affatto fesso, dopo essersi pappato la vecchiarda aveva indossato una sua orrenda camicia da notte e si era buttato sotto le coperte, spacciandosi per lei. Cappuccetto Rosso, che era fondamentalmente un’idiota, era giunta a casa della donna e non si era accorta minimamente del fatto che quello sotto le coperte era tutto fuorchè sua nonna.

« E allora la bamboccia si avvicinò al letto e disse: “Ma nonna, che orecchie grandi che hai!” ».

« Ma è stupida? », sbottò Radish, immusonito. « Io mi sarei accorto subito che quello sotto le coperte era un lupo! ».

Goku lo guardò con ammirazione dall’alto della sua soffice postazione, dimenandosi energicamente: « Wow, nii-chan! », trillò, entusiasta, « Sei fortissimo! ».

« Modestamente! », ridacchiò lui tronfiamente, fino a quando perlomeno un’occhiataccia fulminante del padre non stroncò ogni sua singola risata in gola. Istantaneamente la sua faccia perse colore. « Ehm, scusa ».

Bardack emise un grugnito contrariato e poi tornò ad esibirsi in un cantilenante scambio di battute, quello probabilmente più famoso dell’intera fiaba, dove Cappuccetto Rosso iniziava ad evidenziare tutte le sospette grandezze degli organi sensoriali della presunta nonnetta – ovvero, parafrasando, dava al lupo della bruttura ambulante – e, dulcis in fundo, veniva pappata pure lei in un sol boccone – o sminuzzata in tanti microscopici pezzetti di carne sanguinolenti, secondo personalissima interpretazione del contestabile raccontastorie di turno.

« E... e... e finisce così? », pigolò Goku, spaventato.

« Nah ». Bardack scrollò le spalle. « Dopo arrivò un cacciatore che, presumendo che il lupo non fosse incinto e che si fosse necessariamente pappato qualcuno, prese un enorme coltellaccio e aprì la pancia dell’animale in due – schizzando ancora una volta sangue ovunque, tanto che le pareti della stanza diventarono tutte rosse! ». Sia Goku che Radish arretrarono di poco, storcendo i nasini sia per il terrore che per il disgusto. « Alla fine ovviamente dallo stomaco del lupo uscirono solo organi mollicci e viscidume vario, oltre che i rimasugli delle carcasse di nonna e nipote. Fine. E la morale è... ehm ». S’interruppe per qualche secondo, massaggiandosi pensieroso la nuca. « Uhm, se incontrate un lupo parlante per strada, non dategli il vostro indirizzo ».

Crollò un eloquente silenzio.

I loro sguardi, dall’alto verso il basso, s’incrociarono attoniti. Radish e Goku guardarono il padre con due occhioni grossi e lucidi quanto due palle da biliardo, le labbra tremolanti e uno strano pallore in faccia. Bardack guardò i figli sollevando un sopracciglio, chiedendosi quale diavolo di problema avessero al momento. La luce fioca della lampadina proiettava le loro ombre sul muro, rendendo l’atmosfera un tantino più inquietante di quanto già non fosse.

Radish, ad un tratto, tirò sul col naso. Ma piano, pianissimo, nello stoico tentativo di resistere all’improvviso pizzicore che aveva iniziato a pungergli gli occhi e alla morsa del terrore – terrore, ma terrore profondo – che gli aveva avviluppato lo stomaco. Alla fine, quasi in esatta contemporanea con Goku, iniziò a piangere istericamente, dando lampante dimostrazione del fatto che la storia del padre non era stata propriamente un toccasana prima di andare a letto.

« C-che diavolo avete da strillare in questa maniera, adesso?! », abbaiò Bardack, con una smorfia atterrita. In tutta risposta ricevette due piagnistei ancora più forti, tali che gli parve persino udire le voci irritate dei vicini inveire qualche impronunciabile insulto dall’appartamento a fianco. Iniziò a sudare freddo. « QUALE DIAVOLO È IL VOSTRO PROBLEMA?! ».

Le tue storie sono un problema, avrebbe detto una qualsiasi persona relativamente intelligente, ma i due piccolini si limitarono a ululare istericamente inondando il letto di lacrime, troppo concentrati sul lupo omicida e sui suoi atti grotteschi e sanguinolenti per poter elaborare un qualsiasi pensiero di senso relativamente compiuto.

Alla fine, esasperato, Bardack fu costretto a tenersi nel suo grande letto matrimoniale dal materasso un tantino duretto entrambi i marmocchi, onde evitare che passassero un’intera nottata – o perlomeno l’esigua parte che ne rimaneva – a dare ampio sfoggio della propria potenza vocale svegliando tutto il vicinato, od alternativamente che annegassero in un mare di lacrime – letteralmente – rinchiusi a forza nella loro cameretta.

Si chiese, mentre sentiva il moccio e le lacrime di quei due dannati poppanti inzuppargli la maglietta e le loro braccia tentacolari stringersi spasmodicamente attorno al busto, quanto diavolo sarebbero andati avanti a piagnucolare, bofonchiando quel lamentoso “papà” tra i singhiozzi dimenandosi sul materasso.

Sbuffò ed allungò le braccia, avvolgendo entrambi i figli in un abbraccio rigido ed impacciato, spegnendo l’abatjour scassata e chiudendo gli occhi.

Finché c'era lui nessun lupo li avrebbe mangiati, comunque.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** PAST (5) • Non credere di poter fare il teppista senza pagarne le conseguenze! ***


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Blatereggiando.

Saaaaaaalve a tutto il circondario (?). Stavolta il capitolo è una flashfic di poco più di settecento parole, ma spero sia di vostro gradimento comunque! E sì, comunque è una boiata colossale. *muore rotolando verso sud come i Negrita(?)*. Se nel capitolo precedente avevo parlato in “forse” di one shot ambientate nel presente (con Radish e Goku adolescenti, in sostanza), ora lo posso affermare con certezza matematica: il prossimo capitolo sarà ambientato nel presente! Uooo-hoooo! *partono le solite urla di giubilo registrate*. No, è che in verità non vedo l’ora di scrivere su Goku e Radish e i corrispettivi fidanzati da grandi, LOLOLOL. Stavolta nieeeeente Bardack, dopo la nottata passata a narrare di Cappuccetto Rosso Insanguinato (?) ha chiesto un po’ di riposo. Ho dovuto darglielo, sennò mi finiva all’istituto psichiatrico. Stavolta solo Radish (il povero, POVERO Radish) e il baby Gokuzzo . Taaanto amore per questi due fratellini che effettivamente tanto amore nella serie originale non ce l’hanno. Grazie come sempre per tutti i vostri commenti, li ho apprezzati tantissimo! Sono felicissima che questa raccolta vi piaccia. :3 Ammetto che, nei deliri della febbre (PERCHÉ SÍ, FINALMENTE DOPO QUATTRO ANNI DI MALATTIE IMMAGINARIE PER STARE A CASA DA SCUOLA SALUTE MI È VENUTA LA FEBBRE, WOOOOHOOOOO—*viene violentemente padellata da sua madre*), ho già cominciato a buttar giù la scaletta per la raccolta sequel! *partono ancora le solite urla di giubilo registrate*. Bon, ho finito. Cioè, come se avessi detto effettivamente qualcosa di intelligente, ugh. Grazie ancora per tutti i vostri commenti, I luv ya~

Disclaimerchemidimenticosempre » Dragon Ball © Akira Toriyama.


 

 

P A S T (5)

Non credere di poter fare il teppista senza pagarne le conseguenze!

{Radish & Goku}

Hug 6. Oxygen

 

Era vero. Terribilmente vero. Lo ammetteva senza indugio e, anzi, pure con un quintale di spudorato orgoglio: ne aveva combinate tante nei suoi sette anni di vita, ma così tante che, sicuramente, i poliziotti non erano ancora venuti a prenderlo per sbatterlo in prigione solo perché avevano troppa paura di confrontarsi con lui e la sua incommensurabile perfidia (e anche perché Radish era certo che il suo papà li avrebbe massacrati di botte se solo avessero provato a torcergli un capello, ma quella era una motivazione secondaria ovviamente, e non che avesse bisogno che quel vecchiaccio rincretinito venisse a dargli una mano in caso di problemi, comunque).

Quelle che prolificava quotidianamente non erano certo semplici e banali birichinate da moccioso inesperto, oh no. Giusto quella mattina, a scuola, aveva preso di mira come di consuetudine l’enorme sederone (che più che deretano pareva un transatlantico, ma vabbé) della maestra, bersagliandolo senza pietà alcuna con fionda e sassolini fino a non avere la certezza di averlo ridotto ad un grosso, flaccido scolapasta (e la vecchia befana l’aveva poi buttato fuori dalla classe strepitando come un’aquila, giurando di spedirlo dal preside, ma non che a lui gliene fregasse più di tanto). Nel pomeriggio, quando teoricamente doveva scattare in cucina, frugare tra stracci, scope e scoponi e dare una mano a pulire in casa, Radish aveva avuto la genialmente geniale idea di cospargere meticolosamente l’intero ingresso della sala di olio extravergine d’oliva (e dio solo sapeva come Bardack fosse riuscito a non sfracellarsi contro lo spigolo del tavolo scivolandoci artisticamente sopra), ottenendo come soddisfacente conseguenza un urlo belluino da parte del padre e un vero e proprio inseguimento con tanto di padelle e mannaia alla mano di circa tre ore e mezzo. Ciò senza escludere, ovviamente, i pannolini di Goku vari ed eventuali che aveva clandestinamente levato al loro paffuto proprietario per disseminarli allegramente in giro per casa, desideroso di esprimere tutta la propria discutibile indole artistica. Come ne fosse poi uscito incolume era un mistero amletico, ma non era quello il punto. L’importante era che le sue bravate erano degne del grande Bart Simpson!

... E forse, fondamentalmente, era proprio quello il problema. I poliziotti non erano venuti a prenderlo perché era troppo forte per loro, dunque era probabile che avessero deciso di affibbiargli una punizione a distanza. Maledetti!

Tossicchiò sofferentemente, accoccolandosi alla bell’e meglio sotto le lenzuola. Man mano che i minuti passavano, la sua ipotesi non faceva che accrescere in maniera vertiginosa nella testa, costringendolo ad una soffocante stretta al cuore che, insieme alla terribile atmosfera che permeava nella stanza, gli rendeva impossibile concedersi al sonno. Doveva essere così, per forza. Quello doveva essere l’impietoso modo di punirlo per le sue terribili malefatte. Conosceva un sacco di torture terribili a cui sottoporre i criminali, qualcosa tipo una frustata, un sacco di botte, l’iniezione letale o la sedia elettrica, ma quello... quello no. Santo cielo, no.

La consapevolezza che sarebbe stato costretto ad una morte lenta e dolorosa gli sparò in tutto il corpo una brutale scarica di brividi, costringendolo ad un tremolio incontrollato sul materasso. Si era coperto con le lenzuola fino alla punta dei capelli ed ora cominciava a sentire caldo, ma l’aria fuori dal suo guscio di stoffa era oscura, spaventosa ed irrespirabile, e Radish sapeva che non vi sarebbe sopravvissuto per nemmeno cinque di minuti.

Strinse convulsamente a sé il suo fido orsacchiotto color viola melanzana, compagno di tante avventure ed ora, probabilmente, pure di una morte lenta ed inesorabile. Nel momento in cui se lo premette addosso, Radish ebbe come la netta sensazione che il pupazzo lo abbracciasse a sua volta, accoccolandoglisi con disperazione contro lo stomaco – probabilmente sentirà quest’aria anche lui, pensò, mordendosi un labbro –, e la cosa non fece che terrorizzarlo ancora di più.

Ne aveva combinante tante nei suoi sette anni di vita, ma così tante che i poliziotti non erano ancora venuti a prenderlo per sbatterlo in prigione solo perché avevano troppa paura di confrontarsi con lui e la sua incommensurabile perfidia. Era rimasto illeso fino a quel momento, Radish, ma ora, evidentemente, era giunto l’infausto momento di scontare la propria pena. La propria, terribile, spietata, brutalissima pena.

« Io... io... credo che morirò qui », esalò, annaspando sofferentemente tra le lenzuola, mentre Goku, dormicchiando beato nella sua culla lì a fianco, rilasciava nell’aria già altamente tossica l’ennesima, terrificante puzzetta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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