Formiche

di WendyAddams
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Mosche ***
Capitolo 3: *** Farfalle ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Silvia guardò per la terza volta la netta barra rossa che era apparsa al centro della finestrella all’estremità del bastoncino di materiale plastico appoggiato sul bordo interno della finestra del bagno. Aveva fatto tutto correttamente. Non aveva esposto il bastoncino a temperature elevate (eventualità altamente improbabile, dato che durante il tragitto dalla farmacia a casa sua la scatoletta aveva rischiato piuttosto di venire congelata dalla fredda pioggia invernale), né aveva sforato con i tempi: aveva aspettato cinque minuti esatti.  Tornare indietro a comprare un’altra confezione certo non sarebbe stata una passeggiata piacevole, visto il tempo. Avrebbe fatto meglio a prendere una confezione doppia … Non era certo quello il caso di giocare al risparmio. Ma nella sua situazione, era sin troppo evidente che ulteriori accertamenti sarebbero stati soltanto superflui. Il mestruo le mancava da due mesi, proprio da quando Mirko era partito per il suo stage a Monaco di Baviera. Da allora aveva iniziato a soffrire di attacchi di nausea e di fame vorace. Il momento più critico era giunto proprio la sera prima quando, tornata dalla palestra, aveva letteralmente dovuto gettarsi in bagno per liberarsi da un conato di vomito che aveva minacciato di riversarsi rovinosamente sul parabrezza dell’auto di suo padre. E doveva ringraziare il cielo che i suoi quella sera fossero alla riunione settimanale dell’oratorio (avevano deciso di andarci nonostante sua madre non fosse riuscita a trovare nell’armadio una gonna che la smagrisse almeno un po’), altrimenti la sua casa sarebbe stata teatro di una tragedia ad atto unico.
Silvia guardò per un’ultima volta la barra rossa; poi, con un gesto brusco, gettò il bastoncino in un sacchetto di plastica , insieme alla confezione di cartone e allo scontrino della farmacia, lo chiuse con un doppio nodo e lo spinse in fondo alla borsa. Attraversò il corridoio a passi pesanti, guardandosi i piedi come istupidita. Dalla grande finestra irrompeva l’intensa luce bianca del mattino. I goccioloni di acqua ghiacciata che le avevano rallentato il ritorno a casa poco più di un’ora prima si erano trasformati in fitti fiocchi di neve, ed il debole sole, nascosto dietro alla coltre di nubi, li faceva scintillare in maniera innaturale.
Silvia si abbandonò sul pouf di gommapiuma, gettando la borsa sul divano. Restò per alcuni istanti con la testa tra le mani, ad occhi chiusi, poi spostò lo sguardo sulla sua borsa. Era sprofondata per metà dietro al cuscino, proprio come la sua testa l’ultima volta che lei e Mirko avevano fatto l’amore prima che lui partisse, poco più di due mesi prima. Poi, di colpo, abbassò gli occhi di nuovo. Senza che se ne fosse resa conto, la sua mano destra aveva iniziato ad accarezzarle il ventre con ampi, gentili gesti rotatori.
Una breve risata nervosa le uscì dalle labbra. Come diavolo avrebbe fatto a dirlo ai suoi genitori? Aveva ancora vent’anni, ed era esattamente a metà del suo corso di laurea triennale, che a questo punto si sarebbe allungato di chissà quanto, se mai sarebbe terminato. Che avrebbero pensato i suoi conoscenti, i suoi compagni, i suoi vicini nel vederla con il pancione? E i suoi parenti, come avrebbero accolto la notizia? Non aveva ancora presentato Mirko a nessuno, eccezion fatta per zia Anita, che li aveva sorpresi baciarsi dopo la pizzata di chiusura della stagione dell’oratorio estivo. Ma erano preoccupazioni di secondaria importanza. Silvia era innamorata di Mirko, era questa l’unica cosa che importava.
Si perse a guardare le tendine che davano sul cortile interno. Il motivo a melange giallo e grigio si abbinava splendidamente ai nuovi mobili color ghiaccio che arredavano il salotto. Sua madre aveva deciso di rifarlo completamente due anni prima, scegliendo di sostituire il mobilio di foggia tradizionale con gli accessori in stile minimal e modernissimo che tanto era di moda negli appartamenti di recente costruzione. Molto confortevoli e tecnologici, ma … Che orrore! Silvia preferiva mille volte il vecchio stile.  Ovunque sarebbe andata ad abitare con Mirko ed il bambino, avrebbero dovuto esserci delle tendine di pizzo, un divano enorme pieno di cuscini color pastello dalle forme bizzarre e, ovviamente, dei fiori.  Tante piccole piante grasse sparse tra salotto e ingresso, gerani e ciclamini sul davanzale di ogni finestra e, soprattutto, un bel gelsomino profumato, che si sarebbe arrampicato rigoglioso tutt’attorno alla terrazza durante i mesi estivi. Magari sarebbero anche riusciti ad avere un piccolo orticello con tanti ortaggi ed erbe aromatiche … No, non avrebbero mai potuto avere il tempo per curarlo.  Inoltre, la carriera di rappresentante di Mirko, sebbene lui fosse molto giovane, stava procedendo a gonfie vele, quindi in futuro sarebbe spesso stato assente per lavoro, o addirittura avrebbero dovuto trasferirsi all’estero tutti e tre. E il bambino sarebbe diventato così perfettamente bilingue. Che nome avrebbero potuto dargli (darle?)? Era una cosa alquanto buffa: Silvia e Mirko stavano insieme da più di due anni ormai, avevano affrontato tutti i tipi di argomenti, eppure non si erano mai messi a fantasticare su come avrebbero voluto chiamare i propri  figli. Se fosse stato per lei, nel caso di un maschietto avrebbe scelto il nome Fabio, come Fabio Volo. Quanto aveva pianto leggendo 3 metri sopra il cielo! O al limite Filippo; le piaceva molto il suono di quel nome.  Se invece fosse nata una bambina, la scelta sarebbe stata più ardua. A Silvia piacevano i nomi con molte “a”: Amelia, per esempio, oppure Amanda, Samantha o Arianna. Però amava molto anche il nome di Lucia, l’eroina dei Promessi Sposi, o Isabella, la protagonista della saga di Twilight. O avrebbe anche potuto chiamarla Eleonora, come la sua migliore amica … Ma le amicizie, si sa, spesso sono fenomeni stagionali. La sua prossima migliore amica avrebbe potuto benissimo chiamarsi Giulia, o Carmen, o Aisha ... Insomma, scegliere il nome in onore della migliore amica non era una grande idea, meglio scartarla.  E poi, magari a Mirko sarebbero venute delle idee migliori. In ogni caso, avrebbero avuto questioni molto più urgenti, prima. Silvia sentiva l’ansia accumularsi nel petto, e quando realizzò che quella sera stessa avrebbe dovuto vedere Mirko per la prima volta dopo i suoi due mesi di assenza, le vennero i crampi allo stomaco. Chissà quante cose le aveva portato da Monaco: fotografie, cartoline, sicuramente più di un regalo. Lei invece si sarebbe presentata con quella notizia. Ma a che sarebbe servito procrastinare? Lui sarebbe diventato padre nell’anno nuovo! E dopo avere pensato al lavoro di lui, agli studi di lei, alla casa e a tutto il resto, avrebbero finalmente potuto dilettarsi a scegliere il nome del bambino, insieme.
-Dio, quanto mi sei mancata!- Silvia non aveva nemmeno fatto in tempo ad oltrepassare la soglia di casa Giudici che Mirko l’aveva presa in braccio e tenuta stretta a sé fin quasi a farla soffocare.
-Ah Silvia, eccoti qui, finalmente! Giusto in tempo per la torta, ti abbiamo aspettato apposta per tagliarla!- strillò una voce acuta e squillante dietro di loro. –Mamma ha deciso di dare una piccola festa per il mio ritorno. Ha fatto portare un’enorme torta alla meringa da mio zio … Come quella che ti era tanto piaciuta alla festa a sorpresa per il tuo ultimo compleanno, ricordi? Forza, andiamo di là, sono tutti affamati come lupi!-. Ma Silvia non riusciva a muoversi.  Si era stretta nel giubbotto imbottito, le pareva di sudare freddo. L’unica necessità che sentiva era quella di parlare da sola con Mirko, con calma, nella sua stanza. –Silvia, cara, ma ti senti bene? Sei così pallida! Cos’è quel musetto triste? Stasera per la tristezza non ci sono né spazio, né tempo!- esclamò eccitata la signora, e all’ultima esclamazione la grossa vena in rilievo sulla tempia ossuta iniziò a pulsarle. I suoi orecchini pendenti si scossero e tintinnarono, come anche la lunga collana di brillanti abbinata perfettamente al suo abito corazzato da paillettes argentate. E il suo sorriso largo, a trentadue denti, incorniciato da un rossetto color glicine glitterato, la costrinse a rispondere che andava tutto bene, e a lasciarsi trascinare di peso in salotto.  Fra il lungo divano ad angolo, la tavolata e le poltroncine di vimini sistemate lungo la parete di fondo, erano radunate circa una trentina di persone. –Giusto i parenti più stretti- ammiccò la signora Giudici, con la piega del ciuffo che lottava disperatamente per divincolarsi dal fermaglio a forma di rosa che imperava subito sopra il suo orecchio. Silvia si guardò i vestiti: era uscita di casa con indosso un paio di jeans classico e un maglioncino di flanella a collo alto; calzava un paio di all-Star consunte, e aveva arrabattato i capelli in una coda di cavallo. Gli altri ospiti, invece, erano tutti elegantissimi: chi in giacca e cravatta, chi in tailleur o in miniabito. Persino i pochi bambini presenti erano impettiti in vestitini di ammirabile taglio e qualità.
Mirko la abbracciò da dietro, le diede un bacio sull’orecchio e intanto, sorridendo, fece segno ad una zia vestita in lilla di iniziare a tagliare la torta. Poi, tenendola per mano, raggiunse il centro della stanza, e ringraziò tutti per avere accettato l’invito con così poco preavviso. Silvia sentiva gli occhi di tutti puntati su di lei. Non riusciva a muoversi. Aveva i piedi come congelati, e le mani rimanevano ostinate davanti al ventre.
-La torta  è pronta!- strillò la zia in lilla. Tutti si accomodarono chiacchierando animatamente, mentre Silvia, Mirko e la signora Giudici servivano le porzioni di torta. Era venuto anche il signor Giudici. Lui e la madre di Mirko avevano divorziato da quindici anni ormai, si vedevano solamente in rare occasioni, eppure alla signora continuava a non andare giù la sua incapacità di mettere da parte la Gazzetta dello Sport almeno davanti agli ospiti.
La zia in lilla aveva lasciato per Silvia una delle fette più grandi. –E’ troppo magra questa ragazza, Mirko, bisogna farla mangiare un po’-  aveva raccomandato a bocca piena, dimenandole le mani grassocce davanti alla faccia. Ma Silvia non riusciva a mangiare. Le sembrava che l’odore stesso delle sue amate meringhe le desse il voltastomaco. Mirko la guardava preoccupato.
-Che c’è piccola? Non era la tua torta preferita, questa?-
-Si, certo…è buonissima, però… Oh Mirko, ti dispiace se parliamo un attimo?-
Mirko si leccò via i residui di crema pasticcera dalle labbra, prese Silvia in braccio e iniziò a correre verso la sua camera, voltandosi verso gli altri con espressione istrionica, provocando uno scroscio di risa generale.
Mirko fissava il vuoto. Silvia era in piedi, davanti a lui, ma lui non sembrava farle caso. Aveva un’espressione disgustata, terrorizzata; forse stava rivivendo un film dell’orrore, o forse stava ricordando uno dei mostri orrendi delle storie che lo impaurivano da bambino.
-Ma ne sei sicura? Perché non hai fatto un secondo test?-
-Ho pensato che non fosse necessario- rispose Silvia, sfregandosi nervosamente le mani. –Insomma, il ritardo, i dolori…Tutto quadra.-
-Tutto quadra- ripetè Mirko con voce quasi spettrale, soppesando ogni sillaba con nette pause, guardandola negli occhi, ma senza vederla.
Silvia si inginocchiò davanti a lui, gli prese le mani nelle sue e sfoggiò il sorriso più convincente che le riuscì. –Domani mattina chiamerò l’ospedale-. Miro parve riaversi. Scosse le spalle e assentì. –Si, prima lo si fa meglio è-. Silvia sospirò, leggermente sollevata.
-So di un bravo ginecologo, un amico di mia madre. Se ci rivolgiamo a lui potremmo riuscire ad accorciare i tempi. Possiamo anche chiamarlo adesso, insieme.- Silvia gli strinse le mani , calorosamente. –Non dobbiamo perdere tempo, temo ci siano un sacco di noie burocratiche per l’aborto.-
Silvia si lasciò cadere a terra con un tonfo, le mani abbandonate dietro la schiena. – Silvia, ma che fai? Di là avranno sentito. Che ti succede? Stai male?- Ma lei non rispose. Aveva un’espressione disgustata, terrorizzata. Forse stava rivivendo un film dell’orrore.
  

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Capitolo 2
*** Mosche ***


I biscotti al centro del tavolo non diminuivano di numero, eppure erano lì da una buona mezz’ora. Forse non erano quelli giusti. Sabrina allungò il braccio verso destra, posò la sigaretta sul portacenere e prese un frollino. Se lo rigirò tra le dita, si sistemò gli occhiali e lo guardò bene in controluce. Erano proprio quelli, non c’erano dubbi, non si era sbagliata. Erano secchi, piccoli, gialli e friabili come briciole di pane gigantesche. Lo rimise nel vassoio, e si riportò la sigaretta alle labbra con fare pensieroso. –Non sono i tuoi preferiti, Cecilia?- La ragazza seduta di fronte a lei diede un rapido sguardo al vassoio, poi riprese a tamburellare con le dita sulla minigonna. –Ho tanti biscotti preferiti, Sabri. Questi mi piacciono molto, ma oggi non mi vanno-. - Cos’ha fatto, questa volta?- chiese Sabrina, sbuffando. – E non mi chiedere “chi”, sai benissimo a chi mi riferisco.-
-Dai Sabri, non è che tutte le volte che mi vedi giù devi pensare che sia per Federico. Non ci vediamo da cinque giorni, non può avermi fatto niente.-
A Sabrina non poté sfuggire l’estrema forzatura nel sorriso di Cecilia. Era un’acuta osservatrice, e per di più ormai sapeva riconoscere perfettamente il nervosismo nei  gesti dell’amica, e l’amarezza nelle sue risposte.
-E come mai non vi vedete da cinque giorni?- rincarò Sabrina, appiattendo il filtro della sigaretta al centro del portacenere. Cecilia strinse un lembo della gonna con entrambe le mani. Beh siamo impegnati tutti e due, lo sai. Di giorno abbiamo i corsi, e non abitiamo vicini, quindi anche la sera non è facile riuscire a vederci. Nel fine settimana lui deve provare con la band…-
-E il sabato sera ci deve provare con le bionde. Vero?-  Cecilia alzò gli occhi di scatto, con la bocca spalancata. –Tu…Ma chi te l’ha detto?-
-Angelo. C’era anche lui alla festa, ma è rimasto soltanto per la prima parte della serata. Ma quel poco gli è bastato per notare che Federico si è dimenticato in fretta della tua presenza. Mi ha detto che si è messo a fare lo scemo con un suo amico e alcune ragazze. Li ha visti alzarsi insieme e uscire dal locale, e quando se n’è andato lui non erano ancora rientrati. Cos’è successo dopo, Cecilia?-
Il mozzicone di sigaretta continuava a emanare soffici, evanescenti rivoletti di fumo in direzione di Cecilia. Sabrina si distese nuovamente, e prese a girare e rigirare la cicca contro il fondo.
Cecilia si era alzata in piedi. Rimase per un po’ con il braccio adagiato sullo schienale della sedia, stanco, come ogni muscolo del suo viso. Poi si trascinò alla finestra, si appoggiò al termosifone e avvicinò il viso al vetro, fino a sfiorarlo con la punta del naso.
- Non gliel’ho chiesto.-
-Ah.- fece Sabrina, intrecciando le mani davanti al petto.
-Dai, tu e Angelo dovete sempre ingigantire le cose, eh?-
-Siete tornati a casa insieme dopo la festa?- ricominciò Sabrina, riprendendo a tormentare il mozzicone nel portacenere.
- Io sono tornata a casa prima, avevo un po’ di mal di testa. Ma lui poi si è fatto sentire- aggiunse subito Cecilia.
-Oh andiamo, cos’è quel tono colpevole? Adesso non mi dire che lo scuserai anche questa volta!-
-Sabri, me ne sono andata prima solo perché non mi andava più di stare a quella festa…-
- Ma certo che non ti andava di stare a quella festa! Ti conosco da tre anni, e mai prima d’ora ti era saltato in mente di andare ad una festa del genere con gente del genere. Non credi di stare facendo troppo per quel Federico?-
Cecilia ridacchiò nervosamente. Si sistemò la minigonna, si voltò verso Sabrina con aria risoluta, trasse un profondo respiro, e non riuscì a dire niente. -Lui ci voleva andare- mormorò dopo diversi istanti di silenzio. – Mi ha chiesto se volevo andare con lui e gli ho risposto di si-. -E ti sei divertita?- Anche Sabrina si era alzata in piedi. –Ma si può sapere perché fai così?-
-Faresti qualsiasi cosa per lui, vero? Se rimanesse senza soldi, tu gliene daresti in sovrabbondanza. Se ti chiedesse la tua macchina, gliela lasceresti anche per mesi. Se potessi cambiare il nome sul tuo diploma di liceo e metterci il suo, faresti pure quello. Perché lui non l’ha terminato l’istituto alberghiero, vero?  Non se li poteva nemmeno sognare i voti astronomici che hai tu-. Sabrina sospese il discorso, spostando momentaneamente l’attenzione sul posacenere che aveva preso in mano. Si mise ad agitare il polso, osservando sbattere il mozzicone di sigaretta contro le pareti del portacenere con estrema attenzione. Poi sbirciò verso Cecilia con la coda nell’occhio, e si compiacque di avere sortito l’effetto pianificato, preparandosi a rincarare la dose. –Gli esami quest’anno non ti stanno andando troppo bene vero? Te ne stai preoccupando almeno un po’? Sei sempre stata una studentessa modello, e adesso piano piano stai mollando le redini della tua carriera, e per cosa? Per quell’approfittatore. Ti fa perdere un sacco di tempo e di energie, e ti sta usando. Non ti ha mai portato fuori a cena, eppure partecipa a tutti i banchetti che organizza tuo padre. Si interessa molto degli affari economici della tua famiglia. E anche alle tue amiche, giusto? Angelo mi ha detto che una delle bionde con cui Federico si è intrattenuto alla festa era tua amica, una volta, fino a quando…Ah si, fino a quando ti sei messa con quell’insetto. Angelo ha detto che sembravano piuttosto intimi l’altra sera, strano che tu non te ne sia accorta.- Sabrina mosse qualche passo verso Cecilia. –Cosa ci ricavi da tutto questo, Cecilia? Lui ti fa stare male, ti trascura, ti sfrutta. E’ palese, e tu non sei stupida. Perché diavolo accetti tutto questo?- Cecilia era pallida. Aveva l’aria fiacca, e sembrava si fosse rimpicciolita sotto quell’ maglione strangolato in vita con una cinturona di cuoio. E aveva freddo. I suoi occhioni scuri erano stralunati, spalancati quasi avesse appena visto uno spettro. E aveva freddo, o era nervosa, perché continuava a strofinarsi le mani a ritmo regolare, senza distogliere lo sguardo sconsolato dal posacenere di Sabrina. _Perchè lo amo, Sabri-. Cecilia si scosse dalle spalle ai piedi per lo spavento. Sabrina era scoppiata a ridere in maniera talmente violenta che la sua testa si era piegata all’indietro e dondolava in maniera sinistra, incontrollata. Quando l’impeto finalmente si esaurì, Sabrina si asciugò le lacrime, aprì la finestra e appoggiò i gomiti sul davanzale. –No Cecilia, tu non lo ami. Tu credi di amarlo. La realtà dei fatti è ben più elementare, anche se molto più meschina. Lui ti ha intrappolata nella ragnatela che ha tessuto con dovizia e calcolo, e tu ti ci sei raggomitolata ben stretta, così stretta da rischiare il soffocamento; eppure, ancora non l’hai vista. Cecilia- dichiarò Sabrina, inclinando il posacenere oltre il cornicione –Federico non ti ama, non ti ha attirato nella sua tela perché ti vuole bene. Lui ti vuole soltanto mangiare. Così dicendo, con un lieve movimento del dito, ripulì il portacenere dal mozzicone di sigaretta, che prese a scivolare lentamente, con ampie spire, verso il terreno, leggero, inerme, come una mosca privata di antenne e di ali.
  

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Capitolo 3
*** Farfalle ***


-Sei un mito Sirio!!!Woooooow!!- Una coppia di agenti della sicurezza, scavalcando le transenne, si affrettò ad acciuffare una ragazzina che era riuscita a scivolare fino alla scalinata laterale del palco. Indossava un paio di jeans attillati e una maglietta bianca annodata sopra l’ombelico, con davanti stampato in lettere glitterate Remember me. La ragazzina si dimenava tra le braccia dei due agenti che, per riuscire a riportarla sugli spalti, avevano dovuto sollevarla di peso. –E’ già la terza volta che succede una cosa del genere, Giobbe.- La matrona in giaccone di pelle estrasse dalla tasca interna un pacchetto di tabacco marca Pueblo, e lo scosse davanti agli occhi per cercare di capire quanto ne fosse rimasto. –Ehm, lo so, hai ragione, Irma, ma sono sempre così tante e viscide che schizzano da tutte le parti e controllarle sembra impossibile. Vuoi che chieda di raddoppiare gli agenti di sicurezza?- La matrona esplose in una risata tonante che fece rizzare i capelli a tutto il personale nello studio di registrazione. – Ma che stai dicendo, idiota? Ti devo sempre spiegare tutto, eh?Quello che intendevo dire, ovviamente, è che Sirio sta avendo un successo da urlo, al contrario delle nostre previsioni. Reggi qua-. Le statistiche parlavano chiaro: nel giro di sole due settimane, gli ascolti erano aumentati di quasi del 50 %. Le adolescenti adoravano il suo sguardo seducente e la sua voce calda, e anche tra le donne più mature erano in molte a trattenere il fiato quando stendeva al massimo i muscoli del collo in avanti verso il microfono, e da dietro il lungo ciuffo castano sussurrava che –all I want you to do is to remember me-. Il graphic designer aveva proposto infatti di immortalarlo proprio in quell’istante per la foto della copertina del suo primo album, e Irma aveva dato il suo consenso. – Duecentodieci spettatori…Ci sono veramente duecentodieci spettatori oggi?- Domandò Giobbe instupidito, facendo scendere lo sguardo sulla busta di tabacco che Irma gli aveva ficcato in mano. Aveva rischiato di farne cadere il contenuto mentre si era voltato a guardare lo schermo del calcolatore dietro di lui, ma per sua immensa fortuna la donna non se n’era accorta. Irma si sistemò tra le labbra un filtro da sigaretta, trafficò di nuovo nelle tasche del giaccone e, non senza fatica, riuscì ad estrarne una cartina. –Ne sono previsti anche di più per le prossime tre puntate-bofonchiò, prendendo una manciata di tabacco e avvolgendolo lentamente nella cartina. – E se gli ascolti restano alti, aumento dello stipendio per tutti!- esclamò eccitato Giobbe, ma il suo entusiasmo scemò di colpo quando si accorse che, nell’ impeto, aveva rovesciato per terra tutto il contenuto del pacchetto che la matrona gli aveva affidato. Rimase a fissarla pietrificato per alcuni secondi, poi si inginocchiò di scatto, cercando di risucchiare nelle proprie mani tutte le pagliuzze di tabacco possibili con la velocità di un aspirapolvere. –Sta’ calmo, sta’ calmo, dopo andrai a comprarmene un'altra busta, questa era quasi finita. E comunque- aggiunse, prima di inumidire con la lingua il rotolino per sigillare la sigaretta- scordati dell’aumento. Il successo di Sirio finirà prima che tu riceva la tua prossima busta paga.- Il gruppo di operatori nello studio si voltò di scatto verso di loro, e quello più vicino ai comandi si alzò di scatto per assicurarsi che i microfoni fossero spenti. Giobbe si sistemò gli occhiali, e se ne rimase a tormentarsi i radi ciuffi di capelli che aveva in testa mentre guardava Irma accendersi la sigaretta di fianco al cartello del “vietato fumare” . Dopo la prima boccata di fumo, gli fece cenno di passarle il posacenere. Giobbe obbedì subito, ma nel muoversi inciampò su una pila fogli di giornale ammonticchiati davanti ad una sedia. Irma si coprì il viso con una mano. Rivolse una rapida occhiata compassionevole a Giobbe, e gli strappò dalle dita il posacenere. Una sottile foschia di fumo aveva iniziando a spargersi per lo studio; qualcuno tossì. Giobbe si lasciò cadere sulla sedia, e si mise a scorrere i giornali uno ad uno. Su ogni pagina c’erano articoli o parti di articoli evidenziati in giallo. -[…]Tuttavia, è il 24 marzo la data più attesa in tutta Italia dagli amanti del pop nostrano: dopo il successo dilagante avuto in rete, Sirio (nome d’arte per Pasquale Caruso,24 anni), grazie al successo ottenuto con la vittoria della terza edizione di Grease it!, farà uscire il suo primo album, Pantomima. I numerosi fan (già, perché una parte considerevole del pubblico del talentuoso messinese è di sesso maschile)attendevano l’annuncio da settimane, ma la tanto attesa notizia è giunta solamente lunedì nientemeno che dalla bocca di Irma Strozzi, proprietaria dell’omonima casa discografica…- Giobbe mise da parte un mazzetto di articoli praticamente identici al primo, e passò a sfogliare delle interviste tratte da riviste di vario genere.  Cosa faresti se potessi passare una serata con Sirio? Giulia, 15 anni: Gli chiederei di poterne passare con lui ancora tantissime!Lo implorerei di cantarmi ogni sera una canzone diversa, e di stringermi forte a lui. Dato che so suonare la pianola ed ho imparato le note del ritornello di tutte le sue canzoni, gli farei da accompagnamento. Non vorrei mai andarmene da lui, è sempre nei miei sogni…. Maria Stella, 40 anni: Gli preparerei una cena coi fiocchi, cucinerei per lui per due giorni interi! Mi metterei a dieta per riuscire a rientrare nell’abitino nero che mi hanno regalato delle amiche per l’anniversario di matrimonio, e lo intratterrei tutta la notte. Vorrei sapere tutto su di lui: cosa gli piace fare nel tempo libero, com’era da bambino, come ha iniziato a cantare e perché. Se potessi passare una serata con lui, approfitterei di una simile opportunità per godermelo, per provare fino in fondo all’anima ciò che canta nelle sue canzoni. Maurizio, 31 anni: Secondo il mio parere, ha ottime doti canore, e la mia ragazza impazzisce per lui. Gli chiederei quali sono i segreti per poter conquistare fino in fondo il cuore di una donna. L’uomo si grattò la testa, perplesso. Alzò gli occhi verso Irma per dirle qualcosa, ma frenò la lingua quando la colse con lo sguardo fisso al di là del vetro, dove Sirio salutava il pubblico.-Vieni qui, Giobbe- ingiunse la donna. Ma Giobbe era ancora assorto nelle sue riflessioni, e ci mise un po’ soltanto per alzarsi dalla sedia e ripiegare i fogli di giornale.-Avanti, sfaticato, ti ho chiesto di venire qui vicino a me, quando credi di impiegarci? E meno male che non ti ho chiesto di andarmi a prendere un caffè, se no avrei fatto prima a tornare a casa mia e prepararmelo lì!- In meno di quattro secondi, Giobbe era a fianco di Irma. Erano una buffa coppia: lei alta, piuttosto corpulenta, sempre vestita con abitoni in velluto o capotti mastodontici, di lingua sprezzante e tagliente; lui magrolino, un po’ rachitico, di una spanna più basso di Irma, servizievole, fedele, ma incurabilmente impacciato e ossequioso. Alcuni avevano iniziato a soprannominarli “Ollio e Stanlio”. –Che fine ha fatto Maira?- -Maira? Intendi Maira Castelli, la vincitrice di due anni fa?- domandò Giobbe, grattandosi la testa nuovamente. Irma rispose roteando gli occhi esasperata, bofonchiando qualcosa con voce seccata. –Certo certo, intendevi sicuramente lei…Non lo so, non lo so veramente, dopo la sua stagione estiva di due anni fa non ho più letto notizie su di lei. Ma posso informarmi se vuoi- si affrettò ad aggiungere l’uomo, cercando disperatamente nelle tasche il telefono cellulare.- No, no, NO! Perché non capisci mai qual è il punto?!- -Il punto?- fece Giobbe, con espressione perplessa fino all’esilarante. La matrona si spazientì, lo prese per il colletto posteriore della camicia e lo trascinò fino alla vetrata dello studio con estrema brutalità, fin quasi a fargli sbattere contro la faccia. Di nuovo, gli operatori si misero tutti sull’attenti, allarmati.- Quante volte hai già visto queste scene, Giobbe? Rispondimi!- Giobbe premette le mani contro il vetro per allontanarsi, ma Irma aumentò la pressione, spingendogli anche la schiena. –Io…Beh, tutte le volte che qualcuno è riuscito ad avere successo in questo programma…No?- balbettò il povero Giobbe, sudando. –Esatto, caro mio- commentò la matrona, mollando la presa e rimettendo in bocca la sigaretta che aveva ormeggiato nel posacenere. –Precisamente. Non speravo più che ci saresti arrivato. E di quanti sai ancora qualcosa?- -Oh, ce ne sono!- Irma lo guardò contrariata. –Beh, c’è Felix, tanto per incominciare. So che è stato ospite in alcune discoteche di Milano, cinque o sei mesi fa. E poi Cindy Rossi…Rosso, volevo dire. E finita sui rotocalchi perché il calciatore con cui aveva una relazione è stato fotografato in atteggiamenti molto intimi con una rossa mozzafiato-. -Appunto- lo interruppe la donna, dopo l’ultimo, lungo tiro di sigaretta, con un ghigno straripante di sarcasmo. –Nessuno di loro dura, Giobbe. Nemmeno uno.- Giobbe portò una mano al mento e, dopo alcuni secondi di riflessione, sgranò gli occhi come in seguito ad un’illuminazione di tipo mistico. –Già- assentì Irma, mettendogli una mano sulla testa come si fa di solito con i bambini quando hanno mangiato tutta la pappa che c’era nel piatto.- Sono come una stella cometa che appare nel cielo per poche frazioni di secondo regalandoci emozioni straordinarie quanto fugaci. Se ne restano nel loro bozzolo, poi ne escono e svaniscono in un sol giorno, dandoci appena il tempo di intravedere le loro ali sottili. Sono completamente privi di carisma, copiano, smuovono un po’ le corde vocali, strappano qualche lacrima qua e là e ricadono nell’ombra. Sono vacche sterili, mio caro Giobbe, per questo bisogna mungerle fino all’ultima goccia di latte finché ne hanno. E che faremo dopo avere munto Sirio?- domandò Irma, sollevando il mento con fare minaccioso. –Non so…Cercheremo un’altra..vacca?-tentò Giobbe, già pronto a proteggersi il viso con le mani. –Bene bene, molto bene. Sono soddisfatta di te, Giobbe, per questo voglio farti un regalo. Oggi non rischierai di ingrassare, perché utilizzerai la pausa pranzo per andare dritto a Milano per sapere i risultati delle nuove audizioni. Fila!- Uscito Giobbe dalla stanza, Irma diede un’occhiata alle statistiche del giorno sulla schermata del computer. –Sei all’apice, Sirio- mormorò tra sé e sé.- Vola fin che puoi. Presto ti cadranno le ali.-

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