La Ballata del Principe della Notte

di FRC Coazze
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In una notte di fine ottobre ***
Capitolo 2: *** Una vecchia ballata ***
Capitolo 3: *** Villa Silente ***
Capitolo 4: *** Pensieri e palle di neve ***
Capitolo 5: *** La cena ***
Capitolo 6: *** "Non è così, Lily?" ***
Capitolo 7: *** Una seconda possibilità ***
Capitolo 8: *** Minerva McGranitt ***
Capitolo 9: *** "Assolutamente ed inequivocabilmente no!" ***
Capitolo 10: *** La Ballata del Principe della Notte ***
Capitolo 11: *** Fuga da Villa Silente ***
Capitolo 12: *** Il Serpente nella rete ***
Capitolo 13: *** Cokeworth ***
Capitolo 14: *** Lucius Malfoy? ***
Capitolo 15: *** Gli artigli della Guerriera ***
Capitolo 16: *** "Siete a casa." ***
Capitolo 17: *** Sotto la luna spettatrice ***
Capitolo 18: *** I loschi piani di Albus Silente ***
Capitolo 19: *** La bacchetta di mogano ***
Capitolo 20: *** La veggente ***
Capitolo 21: *** La decisione di Lucius ***
Capitolo 22: *** "Mi dispiace" ***
Capitolo 23: *** Il Ratto e il suo signore ***
Capitolo 24: *** Conflitto di profezie ***
Capitolo 25: *** Commemorazione ***
Capitolo 26: *** L'inganno e la verità ***
Capitolo 27: *** Interludio ***
Capitolo 28: *** Imperio ***
Capitolo 29: *** La verità di Narcissa ***
Capitolo 30: *** Harry ***
Capitolo 31: *** "Al ladro!" ***
Capitolo 32: *** Solo un vero Grifondoro ***
Capitolo 33: *** Il Principe e i Malandrini ***
Capitolo 34: *** Salvare Harry, salvare Severus ***
Capitolo 35: *** Nella tana del Serpente ***
Capitolo 36: *** Un bambino e un vecchio cappello ***
Capitolo 37: *** La Spada di Grifondoro (Parte I) ***
Capitolo 38: *** La Spada di Grifondoro (Parte II) ***
Capitolo 39: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** In una notte di fine ottobre ***



Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me, ma a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling, la trama di questa storia ed i personaggi originali presenti in essa sono invece di mia proprietà e pertanto occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.



 

 

Capitolo 1

IN UNA NOTTE DI FINE OTTOBRE


 

 

Le fiamme della notte avvolgevano i cieli coperti in quella gelida serata d’ottobre. Avvampavano in mille volute, mille mani si tendevano nel vuoto dell’aria. Mille mani gelide schiaffeggiavano gli alti alberi della foresta, lugubri monaci erti nelle loro preghiere, le schiene ritte che accettavano i colpi della notte, frustata dopo frustata, senza proferire lamento. Flagelli e lapilli silenziosi, onde nere che si infrangevano sulle mura dell’elegante castello, proteso, come un’antica sentinella memore di glorie passate, sulle acque attonite del lago. Un lago nero di piombo.

Alcune delle ampie vetrate del maniero divampavano di luce dorata, come messi sibillini del sole mandati a spiare gli orditi della notte, inviati a proteggere quelle mura impavide dagli assalti frenetici delle ombre. Scudieri fedeli della luce che osservavano silenziosi il buio intorno a loro. E mentre gli occhi dei suoi compagni si perdevano nel labirinto inseguendo irritati i messi ridacchianti della notte, uno di quei boati freschi di luce accettava accanto a sé uno degli abitanti mortali del castello. Stringeva la sua figura snella tra le braccia di fuoco e gli indicava una strana figura erta in riva al lago, un’ombra che non faceva parte delle schiere della tenebra. L’uomo sospirò notandola. Quindi si voltò liberandosi dalla presa della sentinella fulgente e allontanando lo sguardo dalla finestra.

Osservò il suo studio, invaso dal mantello di quella creatura di fuoco. Le decine di delicati strumenti d’argento tintinnavano lievi, bisbigliando tra loro segreti cristallini. Il vecchio fece un sospiro profondo lasciando che i suoi polmoni assorbissero l’aria tiepida intorno a lui. Chiuse gli occhi color del cielo per un momento ripercorrendo con la mente gli avvenimenti di quella tremenda serata, non era mai stato più preoccupato prima di allora… si maledì mentalmente per quella che, per lui, era stata una debolezza. Lui era Albus Silente, diamine! Si era sempre considerato al di sopra dei comuni sentimenti che legavano gli uomini… lui viveva per la causa. Il suo cuore, il suo spirito, il suo corpo erano completamente dediti ad essa. Eppure quando quel giovane che aveva accanto da più d’un anno, ormai, che era tornato a lui come il Figliol Prodigo, si era precipitato a Godric’s Hollow poche ore prima, aveva davvero avuto paura… paura di non rivederlo più. Sì, odiava doverlo ammettere, soprattutto a sé stesso, ma teneva davvero a quel ragazzo, aveva imparato a capirlo, a volergli bene… e ciò non era affatto un bene per un condottiero come lui.

La sua attesa era stata premiata da un profondo, liberatorio sospiro di sollievo quando aveva visto la figura snella del giovane dirigersi verso i cancelli di Hogwarts. Camminava a stento, aveva notato, ondeggiando e vacillando… di sicuro aveva pagato caro il suo coraggio. Aveva sospirato, sorridendo lievemente: non poteva permettersi altro. Che doveva fare? Corrergli incontro ad abbracciarlo? Confessandogli la sua angoscia… scusandosi per non aver mosso un dito per aiutarlo, per non essere corso a cercarlo… dirgli che gli voleva bene? No. Certo che no. Non poteva permetterselo, anche se era ciò che il suo cuore desiderava… E poi… e poi Severus non l’avrebbe mai accettato, si sarebbe scostato con rabbia, si sarebbe liberato dal suo abbraccio per accoccolarsi nella sua cupa solitudine, dove la sola consolazione per lui erano i sospiri delle creature ferine che abitavano il buio.

Poi aveva capito. Mentre la figura nera si avvicinava sempre di più… aveva compreso. L’incedere insicuro del giovane non era conseguenza di una ferita: portava qualcosa tra le braccia, una seconda sagoma scura. Silente si era allora subito precipitato lungo le scale. Quel ragazzo sapeva sempre sorprenderlo.

Quando era arrivato innanzi alle porte del castello aveva trovato Minerva McGranitt, strettamente abbracciata dalla sua vestaglia di stoffa scozzese, inginocchiata a terra che gli dava le spalle. Evidentemente la professoressa di trasfigurazione era stata più efficiente di lui quella sera. La donna era chinata su una figura stesa a terra e la osservava attentamente, passandole dolcemente una mano tra i lunghi capelli. Le sue mani tremavano mentre sfiorava quelle ciocche lisce.

Poco lontano, appoggiato rigidamente alla fredda parete, si trovava Severus. Le palpebre serrate come le labbra… saldi cancelli insormontabili, barriere infrangibili che recintavano il suo animo. Il capo reclinato indietro, appoggiato alla gelida pietra. I lunghi capelli color della notte stretti tra il bigio crepuscolo della parete e il chiarore cristallino della sua pelle. Le mani serrate dietro la schiena, impigliate come arpioni alla superficie rugosa delle scanalature che, come crepacci, si aprivano sul lato dell’arcata che cingeva il possente portone.


Silente si era avvicinato silenziosamente.

“Minerva…” Aveva sussurrato quando si era trovato a pochi passi dalla collega.

Questa si era girata lentamente. Aveva le lacrime agli occhi, ma sorrideva; un sorriso sincero che illuminava quelle piccole perle di tanti, lesti sfarfallii di conforto.
Silente si era accostato ancora. La sagoma che giaceva accanto alle ginocchia della professoressa ora aveva un volto… e, per la miseria, anche un nome! Oh, Albus conosceva bene il colore di fuoco di quei lunghi capelli… conosceva bene i lineamenti freschi di quella giovane donna: Lily Evans giaceva lì, sul freddo pavimento, svenuta e con una sanguinante ferita sul petto… ma viva!


Aveva alzato lo sguardo, il preside, spostandolo dalla giovane donna al giovane uomo ancora abbarbicato alla pietra come fosse parte integrante di essa. Anche lui era ferito, notò. Una vasta macchia scura scintillava alla luce delle candele, che osservavano la scena come gli spettatori di una rappresentazione teatrale, una vasta macchia cupa che si apriva sul suo fianco inzuppando le vesti nere. I lineamenti tesi del giovane riflettevano l’angoscia e la disperazione che laceravano le sue carni quanto, e forse più, della ferita sanguinante: era palesemente provato da ciò che aveva appena passato, qualunque cosa fosse… eppure eccolo lì; e non solo aveva probabilmente affrontato Voldemort ed era rimasto in vita, ma era anche riuscito a salvare Lily. Quel ragazzo era davvero straordinario, si era ritrovato a pensare Silente sorridendo.

“Minerva. –Aveva detto poi in tono autoritario, riportando lo sguardo sulla donna inginocchiata che, nel frattempo aveva estratto la bacchetta e lasciato che fresche bende bianche avvolgessero il petto lacerato della ragazza. -Avverti in fretta Madama Chips! Chiama un elfo… due… quanti ce n’è bisogno! Fatevi aiutare a scortare la signora Potter in infermeria! Presto!”

La McGranitt aveva annuito rigidamente, si era alzata in un balzo e affrettata verso l’ala dell’ospedale. Silente aveva preso prontamente il suo posto accanto a Lily. Le candide coorti dalla fasciatura stavano cedendo all’urto della vermiglia onda barbarica che si spandeva ora macchiando il bianco tessuto. Il preside aveva passato lentamente una mano sulla fronte della donna… non aveva la febbre… grazie a Dio. Le aveva preso gentilmente una mano tra le sue, sfiorandole il polso. Aveva udito distintamente i colpi impavidi del sangue che lottava per conquistare terreno nelle sue arterie, gli richiedeva fatica, il vecchio lo sentiva bene, il generale pulsante che guidava quell’esercito vermiglio era stanco, ma non aveva alcuna intenzione di cedere.

“Via, via. Ci penso io!” Aveva poi esclamato d’un tratto una voce inflessibile alle sue spalle. Silente si era voltato di scatto, alzandosi, mentre Poppy Chips, infagottata in una vestaglia porpora, si gettava in ginocchio accanto alla ragazza svenuta cominciando ad esaminarla con occhio critico, passando la bacchetta sul suo corpo inerme e bisbigliando incantesimi. Minerva McGranitt si era posizionata accanto al preside, due elfi domestici  stavano serrati alle sue calcagna, gli occhi ancora un po’ appannati dal sonno, ma le lunghe dita frementi pronte a scattare non appena fosse loro stato richiesto. Avevano portato con loro una barella che ora giaceva abbandonata poco lontano.

“La ferita è profonda. –Stava dicendo in un sussurro Madama Chips come se parlasse con sé stessa cercando conferma alle sue parole. –Ma non è in pericolo di vita.”


“Sulla barella! Svelti!” Aveva ordinato poco dopo agli elfi, alzandosi in piedi. Questi erano stati lesti a scattare, prendendo la barella e portandola affianco alla ragazza ferita.
Mentre le due creature, aiutate dalla professoressa McGranitt, sollevavano il corpo leggero di Lily per appoggiarlo con delicatezza sulle tele della barella sotto l’occhio vigile della medimaga, Silente aveva alzato i suoi occhi verso il luogo in cui Severus si appoggiava al muro e non si era stupito di vedere soltanto più gli occhi cerosi delle mura di Hogwarts osservarlo di rimando. Il portone, prima appena socchiuso, ora ansimava attraverso un ben più ampio spiraglio mentre le mani flaccide della notte si appoggiavano alle sue ante e occhi di perdute creature notturne spiavano attraverso le sue dita untuose.

Silente era rimasto immobile, le mani strette lungo i fianchi. Fermo nella sua lunga veste indaco, era rimasto ad osservare l’apertura tra le ante del portale: un terzo ferito, si era ritrovato a pensare l’anziano mago, solo che quella non era una ferita sanguinante, era una soglia, un crepaccio che precipitava in un altro mondo… nel mondo degli spiriti festanti della notte… ed egli sarebbe stato un intruso, un ospite non gradito che avrebbe infranto le loro danze e le loro ninnananne come una lastra di vetro, un sibilante fragore avrebbero provocato quelle schegge luminescenti, e quelle creature antiche si sarebbero infuriate, rese pazze dal dolore ai loro delicati timpani… sarebbero fuggite trovando nascondiglio in qualche oscuro anfratto… e lui non poteva permetterlo: quegli spiriti balzani erano i soli compagni che Severus accettava accanto a sé. Silente lo sapeva. Non avrebbe interrotto i sabba di quei sussurri piumati facendo fuggire i soli esseri che sapevano consolare quel ragazzo, quel ragazzo che era sparito prima che Madama Chips posasse gli occhi si di lui e lo trascinasse di forza in infermeria. Se la sarebbe cavata da solo… se l’era sempre cavata da solo.

Il preside aveva sospirato. Nessuno più rimaneva nell’androne. Si era avvicinato tranquillamente ai battenti della porta e li riavvicinò silenziosamente mentre la notte ritirava le falangi protese, poi si era avviato lentamente verso il suo ufficio. Poppy non aveva certo bisogno di lui, anzi, probabilmente lo avrebbe scacciato in malo modo dalla sua infermeria… bastava Minerva ad assisterla…


Ed ora eccolo lì: nel suo ufficio, nel suo cantuccio privato, la cima del ferro che lavorava incessantemente ad una maglia intricata e stretta. Eccolo lì: di nuovo alla finestra, ad osservare la sagome cura di Severus inginocchiato in riva al Lago Nero, da solo… intorno a lui solo gli invisibili sospiri della tenebra.

Per un attimo si sentì in colpa. Aveva lasciato là fuori, da solo, un giovane ferito e provato che non sapeva trovare consolazione se non nelle ombre. D’altra parte, però, sapeva che Severus non avrebbe mai accettato parole di conforto da parte sua… ma doveva sapere, sapere cos’era accaduto quella sera laggiù a Godric’s Hollow. Tuttavia Albus Silente era un uomo paziente: avrebbe atteso sino al mattino, quando, probabilmente il ragazzo si sarebbe calmato un po’. Sì, avrebbe fatto così.

Un movimento veloce fuori dalla finestra lo distrasse dai suoi pensieri, fu come se quella sentinella di luce, che ancora non aveva abbandonato la sua finestra, lo avesse afferrato per le spalle e teso un dito verso una seconda figura scura che si affrettava verso il lago, diretta, svelta, verso quella inginocchiata del giovane.

Albus scosse il capo.

“Minerva.” Sussurrò.


 

***

 

Minerva McGranitt aveva accompagnato Madama Chips all’infermeria e l’aveva aiutata a pulire e curare la ferita di Lily, dopo che l’infermiera aveva congedato i due elfi senza molti mezzi termini.

Era rimasta per qualche attimo accanto alla ragazza osservandone il riposo tranquillo mentre Poppy terminava le ultime medicazioni. Poi la medimaga le aveva rivolto un sorriso rassicurante: “Io vado a letto, Minerva. Le ho dato un sedativo. Dormirà tranquillamente sino al pomeriggio.” Così aveva detto prima di allontanarsi con passo svelto, le morbide ciabatte che strusciavano silenziose sul pavimento di pietra.

Fu solo quando l’infermiera era scomparsa oltre la porta dell’ospedale che la professoressa si ricordò improvvisamente di Severus. Quel povero ragazzo aveva rischiato la vita nel tentativo di salvare i Potter, e non c’era stato verso di trattenerlo.

Era nello studio di Silente, poche ore prima, con il preside stesso e, per l’appunto, Severus, quando Alastor Moody era corso ad avvertirli che Voldemort aveva trovato i Potter. Albus, come al solito, aveva tergiversato per un po’ cercando di stendere un nuovo piano per la salvaguardia dei giovani auror con Moody. Lei se n’era rimasta in disparte mentre Severus urlava cercando di spingerli ad agire subito… non l’aveva mai visto così, era sempre stato un ragazzo riservato e calcolatoree, sin da quando frequentava Hogwarts, il quel momento, invece sembrava quasi impazzito.

Quando aveva capito che Silente e Moody avrebbero continuato palesemente ad ignorarlo confabulando tra loro riguardo a intricati piani di evacuazione, aveva semplicemente afferrato il suo mantello nero, che giaceva abbandonato su una sedia di pelle, e aveva fatto per andarsene.

“Dove stai andando, Severus?” L’aveva trattenuto improvvisamente Albus, che non si era lasciato sfuggire il movimento lesto del giovane.

“Dai Potter.” Aveva semplicemente risposto questi, e aveva fatto un altro passo verso la porta, ma non riuscì a raggiungerla neanche quella volta.

“Che cosa intendi fare, ragazzino?” Gli aveva domandato duramente Moody.

“Vado a prenderli, portarli via da là, mentre voi continuate a discutere il piano d’evacuazione!” Il suo tono non ammetteva repliche.

“Dico, sei impazzito? –Aveva continuato l’auror. –Cosa speri di ottenere? Un mago ventenne contro il più potente fattucchiere oscuro dei nostri tempi?!”

Severus l’aveva guardato gelido: “Se faccio in fretta posso portarli via in tempo. Prima che lui…”

“Un bel modo per suicidarsi! –Aveva sbraitato Moody. –Ci vuole un’azione congiunta. Un piano. Dobbiamo trovare rinforzi!”


“Fate come vi pare. Io vado.” Severus aveva voltato nuovamente le spalle.

“Bah.” Face Alastor agitando la mano seccato.

A quel punto Silente aveva preso la parola: “Severus, ti prego. –Aveva detto dolcemente. –So cosa significa per te, ma, ti prego, siamo in pochi non possiamo permetterci il lusso dell’eroismo!”

“Se rimanete ancora qui a discutere sarà troppo tardi!”

“Severus, ti supplico. –Aveva infine detto Minerva. –Affrontare… Lui… non ti darà alcuna soddisfazione, non è ancora tempo per questo, non sei alla sua altezza.”
Il giovane l’aveva guardata con occhi di fuoco.

“Per l’amor del cielo! Non possiamo permetterci di perdere un elemento come te… ci servi, ragazzo! Non possiamo sperare di portare avanti la battaglia senza le tue informazioni!” Aveva ringhiato Moody.


“So che vuoi affrontare il Signore Oscuro allo scoperto, Severus, lo capisco. Vuoi chiudere con il tuo passato, sputargli in faccia la verità… e ne avrai occasione, ragazzo, te lo prometto. Ma non oggi.” Aveva detto la voce pacata del preside.

Severus aveva fatto balzare lo sguardo di carbone dal vecchio professore all’auror, poi aveva guardato Minerva, forse cercando una qualche sorta di appoggio nei suoi occhi chiari. La professoressa aveva sostenuto il suo sguardo senza sapere cosa dire, ma poi la donna aveva visto scattare qualcosa in quella sguardo scuro.

“Severus, no.” Aveva cercato di dire, ma quando l’ultima vocale aveva baciato l’aria il giovane era già scomparso oltre alla porta sbattendosela dietro di sè.

Detestava ammetterlo, ma aveva passato la serata in apprensione. Moody e Silente avevano continuato a discutere (e a litigare) ancora per un bel momento, prima di decidere di riunire un gruppetto dei più abili membri dell’Ordine della Fenice per salvare Lily, James, il loro piccolo figlioletto, Harry, e quello che, al momento, era il miglior affiliato dell’Ordine. Alastor se n’era poi andato con passo pesante, deciso a prender parte all’azione.

Poi però, l’unico ad essere tornato era stato proprio il giovane che si era precipitato imprudentemente  a Godric’s Hollow, correndo probabilmente incontro alla morte, quel giovane che aveva portato tra le braccia la bella ragazza che ora giaceva nel letto lì accanto. Quel giovane che era rimasto tutto il tempo con la schiena premuta contro la fretta pietra, gli occhi chiusi invasi da mute preghiere verso un dio cieco, le labbra serrate in quelle litanie. Quello stesso giovane, che era fuggito, allontanandosi dal via vai che avrebbe presto preso vita, voltando le spalle a lei e a Silente per rifugiarsi tra le ombre, in solitudine, non appena aveva capito che le sue preghiere erano state in qualche modo esaudite. Quel dio era cieco, sì, ma evidentemente non sordo. Quel giovane che ora era là fuori, ferito e solo…

No. Minerva McGranitt sarà anche stata la professoressa più severa e intransigente della scuola, ma non si poteva dire che non avesse un cuore. Si alzò dalla sedia accanto al letto gettando un ultimo sguardo alla ragazza che dormiva placidamente tra le lenzuola alla quale rivolse un lesto, dolce sorriso prima di affrettarsi verso i grandi cancelli di Hogwarts, decisa a trovare Severus, parlargli e scoprire che cos’era successo a casa Potter.

Faceva freddo fuori. Vestita solo della sua vestaglia a quadri neri e verdi sentiva molto bene gli spilli gelidi con cui i danzatori notturni si divertivano a pungolare la sua pelle. Sentiva le pietre acuminate spintonarsi con la soffice terra sotto la sottile suola delle sue ciabatte. La luna aveva fatto capolino tra le nubi e pareva quasi incuriosita da quella snella figura in vestaglia che camminava veloce laggiù, sulla terra. L’astro notò una seconda sagoma seduta in riva al lago silenzioso e pensò che forse era ciò che la donna in abiti da notte cercava così affannosamente, e dunque gliela indicò.

Minerva, gli occhi guidati luce della luna, raggiunse in fretta il giovane vestito di scuro. Rallentò il passo quando fu a pochi metri da lui e si avvicinò lentamente stringendosi nella lunga veste scozzese per proteggersi dagli schiaffi del gelo.


“Severus…” Disse gentilmente, quasi in un sussurro.

Il giovane era seduto sulla sponda, l’acqua gli lambiva appena la punta degli stivali neri. Guardava fisso avanti a sé gettando pietre nelle acque placide, senza osservarne le increspature che gli rispondevano come oracoli, quasi scocciati dalle domande rigide che infrangevano la superficie delle acque.

“Severus…” Mormorò di nuovo la McGranitt avvicinandosi di più.

“Se ne vada.” Fu la risposta fredda che ricevette.

“Quante volte devo dirti di darmi del tu?” Continuò la donna, ignorando quelle parole dure.

“Lasciami solo…” Mormorò il giovane abbandonando il tono crudo di poco prima per lasciarsi andare quasi ad un sospiro.

La professoressa di trasfigurazione semplicemente ignorò quelle ultime parole e si sedette al suo fianco. Spiò il viso del giovane: sembrava rilassato, eppure v’era qualcosa che si agitava nei suoi occhi cupi, qualcosa che lo turbava. Una smorfia di dolore macchiò i suoi lineamenti. Minerva spostò il suo sguardo sul fianco sinistro di Severus e vide che il tessuto era ancora macchiato di sangue fresco e così anche i ciottoli vicino ad esso riluceva di macchie scure, color dell’ebano alla luce della luna.

“Severus, sei ferito.” Disse la donna, cercando di portare l’attenzione del ragazzo sulla ferita che portava al fianco e che lui, evidentemente, nonostante il bruciante dolore che doveva provocargli, semplicemente ignorava.


“Sto bene.” Rispose il giovane.

“No, non stai bene. –Rispose subito la professoressa, severa. –Sei ferito e hai bisogno di cure.”

“A che servono le cure?”

Quella domanda la spiazzò. Osservò il giovane senza sapere cosa rispondere e in quell’attimo di esitazione, in quell’attimo di silenzio che si era interposo tra i due come un magico portale tra due mondi, una lacrima, una sola, scintillante e perfetta illuminò l’occhio tetro di Severus e scivolò giù lungo la sua guancia pallida.

Quando la piccola perla si fu persa sotto al mento del ragazzo, l’incantesimo che separava i due si ruppe, il portale svanì riunendo le sue due parti.

“Che cosa è successo, Severus? A Godric’s Hollow.” Domandò Minerva, la sua lingua ormai libera dai legacci del silenzio.

“Io… -Rantolò il ragazzo. –Io… non lo so.” Scosse la testa respirando profondamente. Altre lacrime rigarono il suo volto e la donna che gli sedeva le osservò correre senza cercare di interromperne l’incedere.

“Quando sono arrivato a casa dei Potter lui era già lì. -Continuò Severus, il respiro rotto. –Non c’era nessuno… James Potter era morto…”
“E Moody? –Domandò allora Minerva. –E l’Ordine?”


“Non… io non li ho visti… c’erano Mangiamorte tutt’attorno al paese. Io sono uno di loro: mi hanno lasciato passare. Mi sono precipitato a casa dei Potter… James giaceva all’entrata… l’ho superato, ho salito le scale… e poi…” Un singhiozzo lo scosse mentre cercava di riprendere fiato, mentre la McGranitt lo guardava allo stesso tempo interessata e impietosita.

“Lui era là. –Continuò Severus. –Puntava la bacchetta contro Lily. Non ho più pensato, mi sono gettato su di lui… la sua bacchetta lanciava incantesimi a destra e a manca mentre cercavo di evitare che colpisse Lily o il bambino… ma una maledizione l’ha colpita in pieno petto… Harry piangeva… e poi… poi c’è stata l’esplosione… ho afferrato la mano di Lily e mi sono smaterializzato nella Foresta Proibita…”

“E il bambino? –Domandò la professoressa al giovane che ormai quasi non riusciva più a respirare, soffocato dalle lacrime. –Severus… E Harry?” Lo incalzò.
“Io… -Balbettò il giovane. –Io.. io non…”

“Severus, il bambino è vivo?” Minerva McGranitt non era intenzionata a mollare la presa, lo avrebbe perseguitato con quella domanda finché non avesse ricevuto una risposta.

“Non lo so… ho afferrato la mano di Lily, ho agito d’istinto… lei era più vicina e non c’era tempo…” Rantolò Severus scuotendo il capo, le lacrime si erano ormai asciugate sul suo viso, tristi e solitarie strade di periferia.

“Lo capisco Severus, non devi giustificarti.” Disse la professoressa notando il tono con cui il giovane uomo aveva pronunciato quelle parole, ma più che a trovare una scusa di fronte a lei, Severus pareva cercare di perdonare sé stesso.

“Non so cosa è accaduto al bambino. Mentre mi smaterializzavo ho udito il grido di rabbia del Signore Oscuro, era furibondo… furibondo perché una delle sue prede gli era sfuggita e… e quello che credeva un suo fidato seguace si era rivelato un traditore… non credo che qualcosa sia rimasto in vita in quella casa. Io non… Mi dispiace!- Esclamò poi d’un tratto rompendo il monotono fiume di parole che usciva dalle sue labbra sottili. –Ho tentato… ma non sono riuscito a niente!”

Minerva lo osservò colpita, da una parte non si aspettava che Severus tenesse tanto ai Potter: sapeva quanto tumultuoso fosse il torrente d’odio che scorreva tra lui e James. Dall’altro lato non poteva accettare che il giovane non potesse perdonarsi per qualcosa che non era assolutamente colpa sua. La colpa era di tutti, pensò, di tutti… era di Albus che aveva agito tardivamente, di Moody e dell’Ordine che, dopo tante parole spese sull’operazione congiunta e sul schema d’azione da seguirsi, non si erano poi fatti vivi… era sua, sua, della professoressa Minerva McGranitt, che, come tutti, aveva riposto la sua fiducia in Silente cercando di trattenere il giovane, pur sapendo, nel profondo del suo cuore, che Severus aveva ragione… ed era di Voldemort, soprattutto di Voldemort. Sì, la colpa era di tutti loro, ognuno aveva una fetta più o meno grande, ma di certo non era stata una mancanza di Severus: il giovane aveva fatto tutto ciò ch’era in suo potere, forse anche di più, per salvare quella famiglia… e poi, Lily era viva.


“Lily è viva grazie a te, Severus.” Disse la donna dando voce ai propri pensieri. L’interpellato non rispose.

“Vieni, hai bisogno di cure.” Si alzò prendendo Severus sottobraccio e tirandolo in piedi. Il ragazzo si lasciò trascinare come un peso morto. Non proferì parola. Era come se la sua anima avesse abbandonato tutto d’un tratto il corpo, inquilino sfrattato in malo modo dal padrone di casa.

“Poppy è andata a letto. Mi occupo io di te. Coraggio.” Ciò detto, la professoressa passò un braccio intorno alle spalle del ventenne, che seguiva i suoi passi come mosso da una forza estranea, e si avviò verso le mura di Hogwarts.

Su in alto, dalla grande finestra di un’acuminata torre, una figura ammantata, accoccolata tra le braccia di fuoco della luce delle candele, sorrideva.

 

*******

    

D'accordo... ho poco da dire: è una sciocchezza che ho iniziato a cuor leggero e non so assolutamente che pieghe prenderà. Di solito le mie storie si evolvono da sole... e io ho ben poca voce in capitolo.
In ogni caso, se ora state leggendo queste parole, probabilmente, è perché avete letto anche quelle che si spintonano qui sopra... quindi vi sarete fatti un'idea della cosa... quindi siete nelle condizioni di recensire... oh, non c'è bisogno di fiumi di parole! Basta anche solo "Non mi piace", dopodiché toccherà a me assillarvi per sapere il perché.
Mi piacerebbe un sacco fare dello scrivere un lavoro... per cui, mi raccomando, ditemi cosa ne pensate perché a me serve davvero tanto!!!


 

POPOLO!!!! Dov'è la vostra voce? Dov'è la Vox Populi?

Fatela sentire:
RECENSITE!!!!!!!!    

 

  
 

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Capitolo 2
*** Una vecchia ballata ***


Capitolo 2

UNA VECCHIA BALLATA



“Don’t cry my Fiery Princess,
I’m your Prince from the Night.
Don’t cry, it will be all right.
Let me be a kiss, let me be a caress.”


 

“E’ inaudito! -Stava quasi urlando la voce di Poppy Chips. –E’ inaudito! La ragazza ha bisogno di tranquillità! Non può rimettersi da una ferita come quella con intorno una banda di scapestrati!”

“Vorrei farti notare, Poppy, -rispose sorniona la voce di Silente –che quegli ‘scapestrati’ sono gli studenti della scuola.”

“Poco conta chi siano. –Riprese l’infermiera, burbera. –Questa ragazza è viva per miracolo, ha appena visto la sua famiglia spazzata via… e i suoi studenti, signor preside, farebbero andare chiunque sull’orlo di una crisi di nervi!”

“Tecnicamente non sappiamo se la sua famiglia sia stata effettivamente spazzata via…” Cominciò Silente.

“Non importa. Le trovi un luogo tranquillo in cui possa rimettersi in pace!” Esclamò la voce perentoria di Madama Chips poco prima che i suoi passi si allontanassero verso il suo uffico.

“Facile a dirsi…” Mormorò Silente.

“Non possiamo tenerla qui, Albus. -Intervenne la voce della McGranitt. –Questo non è il luogo adatto per la degenza di un’auror e membro dell’Ordine.”

Severus grugnì cercando di scacciare dalle sue orecchie quelle voci fastidiose. Si strinse di più nelle lenzuola calde e profumate voltandosi su un fianco, gli occhi serrati nel tentativo di trattenere quelle ultime gocce di sonno che non erano state asciugate dalle voci intorno a lui. Trasse un sospiro di sollievo quando queste si estinsero, fagocitate da un silenzio benedetto. Il giovane si rilassò cercando di recuperare quel poco di sonno che poteva ancora concedersi prima dell’inizio delle lezioni.

Un raggio di luce chiara gli colpiva la schiena facendo correre le sue dita fresche su di lui, massaggiando le sue spalle, mentre il silenzio lentamente lo cullava un poco prima di passarlo di nuovo tra le braccia del son…

“Ah, siete qui! –Sbraitò la voce di Malocchio Moody mentre la porta dell’infermeria sbatteva con violenza. –Vi ho cercato per tutta la scuola, dannazione!”

“Alastor! -Esclamò Silente. –Ti pare il modo di entrare in un’astanteria?!”

“Come stanno i ragazzi?” Chiese Moody avvicinandosi con passo pesante.


“Che cosa è successo, Alastor? Perché non avete raggiunto i Potter?” Domandò la McGranitt con un filo di irritazione teso ad intrecciarsi tra le parole.

“Tutta Godric’s Hollow era circondata di Mangiamorte. Siamo stati bloccati. Grazie al cielo non abbiamo avuto feriti, ma non c’è stato verso di superare il cordone. Il Signore Oscuro voleva essere certo che nessuno interferisse.” Disse l’auror.

“Già, ma non aveva tenuto conto del nostro Severus.” Osservò il preside ed il suo sguardo si posò sul giovane rannicchiato nel letto più prossimo a lui, stretto nel lenzuolo bianco come a cercare un più intimo contatto con il suo candido abbraccio.

Anche Moody guardò il ragazzo. Severus era riuscito dove lui e l’Ordine avevano fallito, in un certo senso era grato per questo: Lily era viva, se fossero riusciti a convincere il giovane a rimanere ad Hogwarts probabilmente ora lei giacerebbe sotto ai ruderi della casa insieme alla sua famiglia. Dall’altro lato, però, non riusciva a smettere di darsi dello stupido per non aver considerato l’evenienza di un cordone di Mangiamorte intorno al paese.

“Avete notizie del piccolo Harry? -Domandò Minerva portando tutti gli sguardi su di sé. –E’ vivo?

“Beh, tutto quello che sappiamo è che…” Cominciò Malocchio, ma venne interrotto da Madama Chips mentre rientrava a passo di carica nella sala con in mano bende pulite e una boccetta di colore blu notte.

“Ma insomma!- Abbaiò la medimaga. –Questo è un ospedale non un bar! Se volete parlare andate da qualche altra parte! E smettetela di fare capannello davanti ai letti di questi ragazzi! Fuori!”

“Venite… lasciamo Madama Chips ai suoi pazienti. -Disse Silente facendo segno alla professoressa ed all’auror. –Continueremo la discussione nel mio ufficio.”

I tre si incamminarono lentamente verso l’uscita mentre l’infermiera osservava attentamente i loro passi come ad accertarsi che se ne stessero davvero andando.
Quando la porta si fu richiusa dietro alla professoressa McGranitt, Madama Chips tirò un respiro di sollievo.

 

“Oh, che Merlino sia lodato!” Sospirò. Poi appoggiò delicatamente le bende e la boccetta sul comodino tra i letti di Lily e Severus e si voltò verso la ragazza. La luce fresca della luna ancora incorrotta dai raggi balzani dell’alba accarezzava dolcemente i suoi capelli di fuoco animando le mille scintille chiare che riposavano su di essi e facendole danzare al suono del suo flauto. Le sue dita accarezzavano la pelle chiara della giovane come a consolare il suo sonno augurandole bei sogni e cantando struggenti ninnananne. La medimaga sovrappose le sue dita calde a quelle solcate dai brividi dell’astro scostando una ciocca di capelli rossi dalla fronte di Lily.

Sorrise. Poi scostò le lenzuola scoprendo il petto della giovane. La fasciatura non era più corrotta dalla ruggine del sangue tuttavia mostrava le macchie giallognole della polvere che la medimaga aveva spalmato sulla ferita e che stata assorbita voracemente dalla stoffa.

Madama Chips fece svanire le vecchie garze con un colpo leggero della bacchetta. Osservò attentamente la ferita e scosse la testa: non era riuscita a capire cosa potesse averla causata, tuttavia non era impregnata di magia oscura o altro, era semplicemente un lungo e profondo taglio che attraversava il petto della giovane da sopra la spalla destra sin oltre al cuore, e per questo era bastato un po’ di dittamo ed il giusto incantesimo per pulire e rimarginare la ferita.

La medimaga agguantò la boccetta di spesso vetro scuro, la stappò con un po’ di fatica, quindi ripose il tappo di sughero sul comodino e fece scendere qualche grammo di finissima polvere biancastra sulla mano. Posò la boccetta ancora aperta e passò le mani intrise di dittamo sulla ferita di Lily che ormai stava cominciando a guarire. Sarebbe bastato quello da allora in avanti, niente più incantesimi per aiutare il taglio a rimarginarsi.

La guaritrice spalmò con delicatezza la polvere sulle labbra rosse fuoco della ferita la cui pelle lo leccava avida, in cerca di un po’ di sollievo. Madama Chips si versò un altro poco di dittamo sulle dita e lo passò nuovamente sulla ferita lasciandovi uno strato bianco latte brillante che scintillava come metallo fuso alla luce ancora intensa della luna. Sospirò con un sorriso mentre prendeva alcune delle garze pulite e le avvolgeva intorno al petto di Lily prima di rimboccare nuovamente il lenzuolo alla ragazza. La guardò ancora per qualche istante con occhio critico: la giovane dormiva serenamente sotto l’effetto dei sedativi… e si sarebbe svegliata lontana da Hogwarts, in un luogo sicuro dove Silente e l’Ordine l’avrebbero protetta.

Finì di comporre quel pensiero e si voltò verso il letto dietro di lei: Severus era sdraiato sul fianco e le dava la schiena. Si protese verso di lui. Minerva le aveva detto di aver pulito e bendato la sua ferita e di avergli dato un calmante… e aveva fatto bene, pensò Madama Chips, il ragazzo era davvero troppo teso quando aveva fatto ritorno con Lily poche ore prima e l’occhio di una medimaga analizza sempre tutto, anche persone e comportamenti estranee al suo paziente del momento.

Posò lievemente una mano sulla spalla del giovane. Severus si mosse un poco, poi si voltò verso di lei, gli occhi tenebrosi scintillanti  e acuminati, una ciocca di neri fili di ossidiana gli ricadeva sull’occhio destro lasciando trasparire la sua luce come in tanti piccoli frammenti di specchi.

“Tutto bene, giovanotto?” Gli domandò Madama Chips con tono analizzatore.

Severus non parlò, ma annuì con un cenno stanco del capo.

“Fammi dare un’occhiata.” Ordinò l’infermiera con voce perentoria mentre con un cenno del capo lo invitava a mettersi seduto. Severus obbedì tirandosi su e appoggiando la schiena nuda contro il freddo legno della testata del letto.

Poppy Chips osservò con occhio perplesso la fasciatura che il giovane aveva intorno ai fianchi: Minerva McGranitt sarà anche stata un’ottima insegnante di trasfigurazione, ma fosse lodato Merlino che non aveva deciso di studiare da medimaga!

Madama Chips borbottò qualcosa di incomprensibile mentre si impegnava a svolgere la fasciatura debole e mal fatta. Sfilò la garza macchiata di dittamo e la gettò in malo modo sul pavimento, la ferita che nascondeva quasi vergognandosene non si era rimarginata del tutto e ancora stillava piccole gocce di rosso liquido che fluivano sulla pelle pallida rigandola come fiumi di fuoco in un deserto di sale.

La medimaga scosse la testa mentre afferrava un panno pulito che giaceva abbandonato sul comodino. Lo passò leggermente sul taglio pulendolo dal sangue e dalle macchie bianche del dittamo applicato dalla professoressa di trasfigurazione.

Severus osservò distrattamente il panno candido che scorreva morbido sulla ferita ancora bruciante, lo fissava senza davvero vederlo, le iridi di brace perdute negli altrettanto oscuri labirinti del suo spirito. Sotto ai suoi occhi, sentinelle dormienti, le mani della medimaga applicavano con maestria la polvere biancastra passandola tra le palpebre piangenti della piaga come un fazzoletto di seta ad accarezzare ed asciugare le lacrime vermiglie. Le bende vennero subito dopo a coprire, poco più chiare della pelle del giovane, quelle carminie palpebre serrate, profeta bendato, messo sanguinante dei suoi confratelli più profondi e oscuri.

Madama Chips strinse bene le garze e le fissò, poi alzò lo sguardo sul viso imperscrutabile del giovane.

“Ecco fatto. –Affermò soddisfatta. –Non sforzarla troppo e guarirà in fretta.” Il giovane la osservò senza dire una parola.

In quel mentre la porta dell’infermeria si socchiuse e fece capolino il naso adunco di Silente. Madama Chips lo guardò cupa mentre anche il resto del preside entrava nella sala chiudendosi silenziosamente la porta alle spalle.

Silente alzò una mano rugosa verso l’infermiera  a scusarsi per l’intrusione e come muta promessa di non disturbare.

“Vorrei parlare con Severus qualche istante.” Disse lentamente mentre si avvicinava. Il ragazzo posò lo sguardo sul preside mentre Madama Chips annuiva e si allontanava con passò svelto dopo aver recuperato il dittamo e fatto sparire le bende che ancora giacevano sul pavimento.

Silente sospirò sedendosi pesantemente sul bordo del letto di Severus. Si tolse gli occhiali a mezzaluna passandosi una mano rugosa sugli occhi cilestrini. Trasse un secondo, profondo, respiro quando alzò gli occhi sul giovane senza rimettersi gli occhiali, quasi volesse vedere davvero Severus, senza che l’immagine venisse alterata dai giochi delle lenti.

“Severus, -iniziò il preside, -innanzi tutto vorrei chiederti scusa. Ho cercato di trattenerti quando, invece, avrei dovuto correre là fuori insieme con te. E ho perso tempo.

Pensavo di averne ancora un po’… per preparare un piano… per portare via tutti e tre da quella casa prima che Lui arrivasse… ma ho fatto male io miei calcoli. Io ho permesso che Voldemort uccidesse James Potter e, forse, il bambino. Io ho permesso che arrivasse fino a loro. Io ho convinto Sirius Black e Remus Lupin a non correre a Godric’s Hollow come hai fatto tu, io li ho convinti ad andare con Alastor. Ed ora loro, come tutti… come te, anche… non riescono a perdonarsi di non essere arrivati in tempo, di non essere riusciti a salvare i loro amici. Perdonami. La colpa è solo mia.” Severus lo guardava, le parole del preside entravano nelle sue orecchie rimbombando fastidiosamente. Colpa sua? Silente stava dicendo di avere lui la responsabilità di quello che era successo? No. No la colpa non era sua… la colpa era di Voldemort… era sempre stata di Voldemort. Ed era sua… sì, sua! Di Severus Piton, del Mangiamorte che aveva portato in salvo la madre abbandonando il figlio.

“E’ stata colpa mia, signore. –Disse lentamente, dando sfogo ai suoi pensieri. –Io ho abbandonato là quel bambino. L’ho lasciato solo alla mercé del Signore Oscuro.”
Silente scosse il capo, levando una mano rugosa ad interrompere lo scrosciare, così spiacevole, delle parole dell’altro.

“Non hai nessuna colpa, ragazzo mio. –Disse tranquillamente, abbassando la mano. –Non potevi fare altro. Minerva ha detto che hai parlato di un’esplosione…”

“Sì. Non so cosa o chi l’ha provocata. –Il ragazzo scosse la testa. –C’è stato solo un lampo bianco, come una folgore e poi… e poi un boato… un forte boato. La casa ha tremato. Le finestre sono andate in frantumi lanciando vetri e schegge di legno in tutta la stanza.”

“Avrò modo di indagare anche su questo. –Fece Silente pensieroso. –La vera incognita, ora, riguarda il bambino.”

“Che vuol dire?” Chiese Severus guardando il preside con occhi interrogativi.

“Vuol dire che non sappiamo cosa ne è stato di lui… è semplicemente sparito.” Disse Silente in tono grave.

“Significa che qualcuno l’ha portato via?” Domandò il giovane, sperando di ricevere una risposta certa. Ma le sue aspettative vennero deluse. Silente scosse il capo socchiudendo i penetranti occhi azzurri.

“Non lo sappiamo. Non sappiamo se è vivo, se è morto, dove sia in questo momento…” Disse quasi in un sussurro.

“E’ assurdo.” Osservò il giovane. Poi il suo sguardo si posò sulla ragazza addormentata nel letto accanto al suo. Era la prima volta che osava posare gli occhi su di lei da quando l’aveva poggiata a terra all’ingresso del castello. Era bellissima. Lo era sempre stata. Alcuni ricci di quegli splendidi capelli color del fuoco sfioravano tepidi le sue guance candide. Sembrava una di quelle creature fatate che decantavano gli antichi miti… una scintillante regina degli elfi proveniente da arcaiche leggende. Una principessa di fuoco. Una figlia dell’arcobaleno. In quel momento gli tornò in mente una vecchia ballata… una di quelle che canticchiava sempre Brix… forse l’aveva cantata proprio a lui una sera, quando aveva appena abbandonato la via della Magia Oscura e Brix si prendeva cura di lui. Parlava di una Principessa di Fuoco e di un Principe della Notte… come faceva il ritornello?... 

Don’t cry my Fiery Princess,
I’m your Prince from the Night…


Le parole gli echeggiarono dolci nelle orecchie… gli parve di sentire la voce roca e gentile di Brix accanto a sé che canticchiava lentamente quelle parole…

Don’t cry, it will be all right.
Let me be a kiss, let me be a caress…


E la prima strofa parlava del Principe della Notte. Lui avrebbe cavalcato fuori dall’oscurità per lei, aveva ripudiato la via di suo padre, Re dell’Ombra, e avrebbe attraversato i mari per giungere a lei… perché solo lei poteva salvarlo, alla fine, solo un suo bacio di fiamme gli avrebbe ridato la vita…

Chiuse gli occhi, lasciandosi avvolgere dalla melodia suadente della ballata. Avrebbe voluto essere il principe protagonista di quella canzone arcana. Lui aveva lasciato indietro la sua tenebra, aveva cancellato il suo marchio, reciso le catene… aveva offerto la spada al Re degli Elfi per combattere l’ombra di chi aveva chiamato padre… e aveva ricevuto la vita attraverso la dolcezza della principessa. Sorrise amaramente: lui cosa aveva fatto? Aveva offerto completamente la sua vita alla luce? No. Ed il suo Marchio era ancora lì, ben visibile, così come l’oscurità che si scuoteva dentro di lui lacerandogli l’anima con i suoi spasmi… e la sua principessa l’aveva perduta molti anni prima.

“Severus? –La voce di Silente interruppe i suoi pensieri, trascinando a forza i suoi occhi verso il preside, -Severus, mi stai ascoltando?”

L’interpellato non rispose. Silente sospirò, i suoi occhiali a mezzaluna erano tornati al loro posto, misteriose lune che contenevano il cielo dei suoi occhi.
“Stavo dicendo che, secondo me, dovresti occuparti tu di Lily.” Disse l’anziano preside con un sorriso.

“Io? –Ripetè Severus, confuso, -Ma io ho un lavoro, qui… come posso insegnare pozioni e occuparmi allo stesso tempo di lei?”

“Non puoi più insegnare qui, ragazzo. Almeno per un po’. E’ troppo pericoloso. –Iniziò Silente, alzandosi –Voldemort ti darà la caccia, Severus. Non accetterà la sconfitta che gli hai inferto ieri sera… ti cercherà… cercherà Lily… Non potete rimanere qui. Lui sa che lavori ad Hogwarts, Severus, ed è in questo castello che verrà a cercarti. Ed io ho già sulla coscienza quello che successo con i Potter, non posso permettermi di mettere a rischio la tua vita, quella di Lily e quelle degli abitanti di questo castello.”
“E dove andremo?” Domandò allora Severus.

“A casa mia. E’ un luogo sicuro e tu lo sai.” Rispose Silente.

“E crede che il Signore Oscuro non sospetterà che…” Cominciò, ma Albus lo interruppe.

“Non penserà che io mi esponga tanto per voi due… non sa che l’ho già fatto per te, Severus. Lui ignora che tu abiti con me… che hai sempre vissuto con me, da quando sei venuto a cercare il mio aiuto.” Silente sorrise. Severus lo guardò sospettoso per qualche secondo, mentre ponderava ciò che il preside aveva appena detto, poi accennò un assenso con il capo.

“Bene. Provvederò a farvi trasferire subito. Brix si occuperà di voi.” Disse Silente sorridente, mentre passava lo sguardo da Severus alla giovane addormentata.
Severus allontanò i suoi occhi dal preside per posarli di nuovo su Lily. La sua migliore amica. Era rimasta sempre ‘la sua migliore amica’, anzi, nel profondo era molto di più per lui, anche se lei non gli aveva più parlato, anche se lei non l’aveva perdonato… anche se lo aveva allontanato lasciando in balia del dolore, dell’odio e dell’oscurità. Ora che cercava disperatamente di risalire da quel baratro in cui era caduto, ora che si sentiva così stanco di arrampicarsi lungo quelle pareti di rocce appuntite che gli tagliavano le mani e aprivano ampie ferite nella pelle del suo cuore già martoriato… ora avrebbe avuto bisogno della sua Principessa di Fuoco, voleva sperare che questa l’avrebbe accettato, che non l’avrebbe respinto come aveva già fatto una volta… che gli avrebbe dato una seconda possibilità. Aveva gettato via la sua copertura come spia, si era mostrato a Voldemort per il traditore che era guadagnandosi una condanna a morte certa che pendeva su di lui come una spada di Damocle… aveva cavalcato fuori dall’Ombra ed era venuto per lei, dolce figlia dell’arcobaleno. Solo per lei.

"I ride from the Shadow,
I’m coming for you.
Sweet daughter of the rainbow
Shining on the gates of blue."



 

*******

 

Eccomi! Finalmente ho finito il secondo capitolo. C'è voluto un po', ma alla fine è arrivato... un pochino più corto del precedente, ma ho dovuto chiudere la scena prima che si spostasse a casa di Silente.
Nel prossimo capitolo ci troveremo nella dimora del preside, come accennato, con Severus che si occuperà di Lily insieme a Brix. Chi è Brix? Aspettate la prossima puntata!
Piccolo appunto la "Ballad of the Prince from the Night" è tutta farina del mio sacco! L'ho scritta direttamente in rima in inglese seguendo le regole poetiche della ballata italiana, quindi non fate i furbini a scopiazzarla in giro, please! Ah, e un'altra cosa, il ritonello della ballata che ho inserito all'inizio del primo capitolo l'ho spostato in questo perchè mi sembrava più adatto.

Prima di chiudere, altrimenti divento noiosa, un piccolo sondaggio: volete che Harry sia ancora vivo oppure no? Rispondetemi ed io pondererò le vostre impressioni per decidere se farlo vivere o meno.

 

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Capitolo 3
*** Villa Silente ***


Capitolo 3

VILLA SILENTE


 

Era buio. Buio tutto intorno. L’oscurità l’avvolgeva tra le sue braccia calde stringendola nel suo mantello cupo, proteggendola e rassicurandola. Quasi le pareva di sentire le sue mani morbide sfiorarle delicatamente le gote ed i capelli con lente carezze, sentiva il calore del suo corpo attorno a lei avvolgerla come uno scudo di cotone, come un brandello del manto della notte rubato e scaldato dal sole. E sentiva una strana cantilena, come un’antica ballata. Sentiva quelle parole dolci e quella melodia lenta permearle nelle orecchie e scendere giù, sempre più in giù, scaldandola all’interno, risvegliando, come tante piccole fate alate, i fiori del giardino del suo cuore.

“Don’t cry my Fiery Princess,
I’m your Prince from the Night.”


Stava cantando una voce dolce e calda, sussurrando quelle parole alle sue orecchie.

“Don’t cry, it will be all right.
Let me be a kiss, let me be a caress.”


Lily sentiva le labbra di qualcuno muoversi vicino al lobo del suo orecchio, percepiva il loro respiro tiepido fremere tra i suoi capelli di fuoco. Era morta? Erano le labbra di un angelo a cantarle così dolcemente quella fresca melodia?

“I ride from the Shadow,
I’m coming for you.”


Continuava a cantare quella voce. Le pareva di conoscerla, ma le sembrava lontana, come proveniente da lontanissime vallate dove l’eco si divertiva e correre su e giù sulle pareti di roccia, distorcendo le voci ed i canti di una figura solitaria, un’ombra cupa che camminava in fondo alla valle.

“Sweet daughter of the rainbow
Shining on the gates of blue.”


Il canto non si interrompeva. Lily ora poteva sentire nitidamente delle braccia forti cingerla stringendola forte e cullandola delicatamente… La Morte cantava per le sue prede? Le abbracciava in quel modo? Aveva sempre pensato che le dita della Grande Mietitrice fossero ossute e gelide, invece quelle che le sfioravano delicatamente il viso erano calde e morbide. Erano le dita di un angelo? Era uno di quegli spiriti celesti a stringerla a sé avvolgendola tra le sue ali morbide?

“From the seas, I’m coming through,
Leaving the halls of my father.”


Sì, doveva proprio essere un angelo. Uno spirito consolatore inviato dai mari del cielo per accoglierla nei giardini profumati del paradiso. E ora la abbracciava forte, ma con delicatezza, rispetto… quasi avesse paura di stringerla di più a sé, quasi non osando spingersi oltre quelle lievi carezze che lasciava correre sulla sua pelle.

“I have repudiated his banner,
I was left alone with my madness…” 
 

Inconsapevolmente si abbandonò tra le braccia del suo angelo. Si appoggiò al suo petto caldo ascoltando il battito del suo cuore che accompagnava, tenendole per mano, le note e le parole della ballata. Avrebbe voluto aprire gli occhi per vedere quella creatura eterea, avrebbe voluto guardare il suo viso, conoscere gli occhi del suo angelo consolatore … ma aveva paura di rompere l’incantesimo, aveva paura di conoscere la realtà. Sentì una lacrima premere traditrice contro le sue palpebre e sfuggire alla loro guardia, rotolando lungo la sua guancia. I morti potevano piangere?

“Don’t cry my Brave Princess,
I’m your Prince from the Night.”


Cantava l’angelo e le sue dita calde asciugarono la lacrima vagabonda, interrompendo la sua fuga.

“Don’t cry, it will be all right.”

Sussurrava quella voce, mentre una mano le accarezzava lentamente la guancia facendo svanire la scia salata che aveva lasciato dietro di sé la stella fuggitiva come la coda di una cometa. L’angelo la strinse di più a sé.

“Let me be a kiss, let me be a caress.”

Le labbra calde della creatura le sfioravano lentamente l’orecchio. Lily non resistette più. Aprì gli occhi.

Una luce bianca e abbagliante ferì le sue iridi verdi schiaffeggiandole irata. Sentiva un forte dolore al petto e non riusciva a mettere a fuoco i contorni di ciò che la circondava, la luce candida bendava i suoi occhi come gelosa dei segreti che custodiva. Sbatté le palpebre cercando di allontanare le fastidiose dita sfolgoranti  che spingevano irritate sui suoi occhi per impedirle di vedere. La ragazza abbassò lo sguardo e distinse una macchia scura cingerle la vita, ne sentiva il calore attraverso il tessuto della camicetta. Era l’ala piumata dell’angelo? Mise a fuoco l’immagine e capì di sbagliarsi: non era l’ala, era il braccio del suo custode, avvolto in un tessuto nero.

“Buongiorno!” Esclamò una voce roca proprio davanti a lei. Alzò lo sguardo e si ritrovò davanti a due occhioni castani. Appartenevano ad un viso rugoso dalla pelle scura illuminato da un ampio sorriso e splendevano sopra ad un naso lungo e aguzzo. Grosse orecchie sbucavano dai lati di quel viso grandi e appuntite, i bordi e la punta costellati di scintillanti peli bianchi. La creatura portava sul capo un berretto irlandese di patchwork da cui spuntavano, come tanti raggi di luna, alcuni ciuffi di capelli candidi sui fianchi, intorno alle orecchie, e sulla nuca. Indossava un elegante gilè di lana bordeaux, decorato con greche ocra intorno alle spalle ed al colletto, su una camicia bianca di seta. Sedeva tranquillamente accanto a lei e solo allora Lily si accorse di trovarsi su un letto, le sue gambe nascoste sotto un lenzuolo candido e una spessa coperta di raso rossa, la schiena appoggiata al petto caldo del suo angelo.

Non era morta, constatò Lily. Sempre che non ci fossero letti ed elfi domestici in paradiso… ma d’altronde, perché non avrebbero dovuto esserci? In ogni caso, rimase a fissare la creatura magica per un po’ analizzandola per bene… non era lui l’angelo che le cantava quella dolce ballata, non era sua la voce limpida e calda che aveva toccato la sua anima… e poi sentiva ancora il calore del corpo del suo custode avvolgerla, sentiva ancora il battito del suo cuore provenire dal profondo del suo petto a cui ancora si stringeva.

“Buongiorno!” Ripetè l’elfo sorridendo. Le afferrò la mano liberandola dal calore del corpo del suo angelo e la avvolse con le sue dite affusolate agitandola allegramente.

“Io sono Brix! –Disse l’elfo senza smettere di scuotere la mano di Lily. –E lei è Lily, non è così? Che piacere! Che piacere!”

Lily continuava a guardarlo confusa, lasciando che la creatura continuasse a dimenare la sua mano su e giù come se dovesse trasformarla in burro.

“Ora basta, Brix. Lasciala respirare.” Disse improvvisamente una voce alle sue spalle. Era la voce del suo angelo, Lily la riconobbe,  ma era anche la voce di qualcuno che non vedeva da tre anni, da quando aveva lasciato Hogwarts. Qualcuno la cui ombra non aveva mai smesso di aggirasi come un fantasma fra i suoi sogni.

Vide gli occhi dell’elfo alzarsi e posarsi su quel qualcuno alle sue spalle.

“Chiedo scusa, signorino. –Disse l’elfo, lasciando la presa dalla mano di Lily. –Vado a preparare qualcosa da bere. Qualcosa di forte. La signorina è d’accordo?” Chiese poi a Lily, riportando gli occhi nocciola su di lei.

Lily annuì. Non pensava di riuscire a parlare, si sentiva la gola bloccata dalla morsa di ghiaccio che era diventato il suo respiro quando aveva riconosciuto la voce del suo angelo.

L’elfo allargò ancora il suo sorriso, balzò giù dal letto e scomparve oltre una porta che si apriva nel muro alla sinistra, a cui si appoggiava il letto. La ragazza si guardò intorno: ora poteva distinguere chiaramente i contorni della stanza che la circondava. Era piccola, ma calda e ospitale, le pareti rivestite di legno riflettevano la luce palpitante del caminetto che scoppiettava allegramente sul lato destro del letto al di là di un grande tappeto rotondo color porpora. Affianco si trovava una grande porta finestra che dava su un piccolo balconcino. Tende rosso scuro custodivano, come ancelle guardinghe, i placidi fiocchi di neve che cadevano, candidi, oltre il vetro. Dirimpetto al letto si trovava una vasta libreria in legno di noce, stracolma di libri, che riempiva più di metà parete spintonandosi con un armadio dello stesso stile e che custodiva, incastonata come un piccolo gioiello, un’elegante scrivania.

Lily sbatté gli occhi che ancora non si erano abituati del tutto alla luce. Sentì il petto dell’uomo al quale si appoggiarsi alzarsi e abbassarsi in un sospiro. Si mosse un po’cercando di voltarsi verso di lui, ma un forte spasmo di dolore al petto la fece desistere.

“Non sforzarti, Lily.” Disse la voce di questi. Poi lo sentì sciogliere il suo abbraccio, lo sentì allontanarsi da lei. L’angelo la posò delicatamente sui cuscini bianchi ancora impregnati dal calore del suo corpo e scese lentamente dal letto. Lily lo vide afferrare una sedia che si trovava vicino al comodino e voltarla verso di lei.

Il suo angelo aveva un volto ora. In piedi davanti ai suoi occhi, le dita strette intorno allo schienale scuro della sedia la osservava con quei profondi occhi neri che conosceva così bene. Le sorrideva. Ma non era un sorriso lieto quello che si adagiava sulle sue labbra, la luce fredda e triste dei suoi occhi distorceva quella dolce curva strasformandola in una retta spezzata e zigzagante.

Lily continuava a guardarlo, sembrava uscito direttamente da uno dei suoi incubi… uno di quelli in cui vedeva il ragazzo che era stato il suo migliore amico sull’orlo di un precipizio oscuro e senza fine aggrapparsi disperatamente alla sua mano per non cadere… uno di quelli in cui vedeva sé stessa, ferita e in lacrime, lasciare la presa e guardare il ragazzo cadere nel vuoto, inghiottito dall’oscurità. La sua figura scura l’aveva perseguitata a lungo… un’anima in pena, uno spettro nero che si aggirava silente tra le tempeste dei suoi sogni, ma quel giovane disperato che visitava i suoi sogni non sorrideva, nei suoi occhi profondi aveva visto brillare lacrime ricolme di sanguinosi schizzi di colpe, aveva visto i frammenti di ghiaccio della sua anima dimenarsi angosciosamente cercando di afferrare la mano dei loro compagni, aveva visto il vuoto più assoluto ch’era rimasto dentro di lui spiarla incuriosito ed estraneo da quelle iridi nere ed una piccola fiammella morente, soffocata da quel buio, piangere e ululare il suo dolore puntandole contro un dito accusatorio.

Invece il giovane che ora stava davanti a lei sorrideva, anche se i suoi occhi riflettevano una tristezza profonda e radicata nel suo animo. Era lì. Immobile. La osservava di rimando come aspettando che lei dicesse qualcosa… aspettando che pronunciasse il suo nome, come la parola magica che apre uno scrigno pieno di domande e, forse, di risposte.

Lo guardò. Era felice di scoprire che era lui il suo angelo… era sempre stata felice di averlo vicino. Ma poi l’odio e il rancore avevano afferrato entrambi. Lo aveva sognato e aveva desiderato riaverlo accanto, aveva desiderato che tutto tornasse come quando erano bambini… ma il giovane dei suoi sogni la accusava silenziosamente mentre cercava affannosamente un segno di amicizia, di affetto da parte sua. Ma in quei viaggi notturni lei non lo aveva mai capito… lo capiva ora, mentre guardava i suoi occhi neri aspettare con il fiato in sospeso un qualche, anche minimo, anche fugace, segno di accettazione.

Lily deglutì. “Severus…” Sussurrò debolmente con dolcezza e vide gli occhi del giovane illuminarsi come colpiti dal lesto e fugace colpo di coda di una candela.

Le mani di Severus allentarono la presa sullo schienale della sedia. Il respiro gli era stato rapito quando gli occhi verdi di Lily si erano incontrati con i suoi. Quelle iridi smeraldine avevano teso le dita scatenando i loro bracconieri in una caccia selvaggia dentro di lui, ed essi avevano catturato l’aria dei suoi polmoni e ghermito tutte le parole che riposavano placide nella sua gola pronte ad essere richiamate dalle sue labbra, tradite da quell’improvviso lampo di verde. Aveva atteso a lungo il momento del risveglio di Lily… e l’aveva temuto. Aveva avuto paura che i pensieri ed il giudizio della rossa si scagliassero contro di lui come già era accaduto, aveva temuto di non essere accettato, di essere diventato soltanto un’ombra tra le tante nel cuore di Lily. Eppure questa aveva pronunciato il suo nome con dolcezza, come se fosse felice di averlo ritrovato. Rimase in silenzio ancora qualche attimo, lasciando che i loro occhi si abbracciassero in un’intricata rete di volute verdi e nere, permettendo che i suoi gendarmi corvini liberassero le sue stesse parole dalle galere dei briganti di smeraldo per riportarle a lui.

Severus sospirò, mentre richiamava a sé il suo sguardo cupo per sedersi comodamente sulla sedia.

“Come ti senti?” Le domandò, sforzando le sillabe, ora nuovamente in suo possesso ancora scosse da quell’improvviso cambio di proprietà, a salire alle sue labbra.

“ Che cosa… ?” Cominciò Lily, ma Severus la interruppe levando una mano in un gesto così simile a quello di Silente.

“Non ricordi nulla?” Le chiese.

“No. Io…” Lily era confusa. Distolse lo sguardo da Severus per puntarlo al soffitto. Che cosa ricordava? Una luce… sì, una luce… un abbagliante lampo bianco… ed un boato. Si concentrò di più sulla superficie nivea che stava fissando, immergendosi in essa. Vi precipitò, attraversando quel bagliore che palpitava nei suoi ricordi. Vide una figura nera, avvolta in un lungo mantello avvicinarsi infrangendo quella luce mentre questa si allontanava sibilando astiosa contro di essa… poi una risata colpì le sue orecchie ferendole come tanti spilli, una risata gelida e malvagia… e un bambino… un bambino piangeva solo e perduto in quella luce sfolgorante… la figura in nero lo cercava… Harry…

“Harry.” Mormorò Lily, mentre sentiva le lacrime scendere lungo le sue guance.

“Harry.” Disse più forte scostando lo sguardo dal soffitto per posarlo nuovamente su Severus. Lui la osservava in silenzio, aveva temuto quella domanda…

“Dov’è mio figlio?” Lily lo guardava con gli occhi da cerbiatta coperti da un velo umido di lacrime, una delicata e scintillante bolla di dolore.

E ora? Che risponderle? Che lo aveva abbandonato in quella casa insieme con il Signore Oscuro? Severus rimase in silenzio qualche istante guardandola pensieroso… forse la soluzione migliore era dirle ciò che gli aveva detto Silente.

“Non lo sappiamo.” Rispose lentamente, la voce pesante svogliata nello spingere fuori le parole.

“Ma come… tu…” Nella mente di Lily fumi di ricordi si infrangevano come onde salmastre, scontrandosi tra loro, mischiandosi in un tumulto nebbioso di immagini e suoni. Poi un ricordo ebbe la meglio sugli altri, i fiumi brumosi intorno a lui si scostavano rendendo più nitidi i suoi contorni. Era stato poco prima di quell’esplosione, Voldemort le puntava contro la bacchetta. Lei lo aveva guardato con aria di sfida mentre le prime sillabe dell’Anatema che Uccide ferivano le sue orecchie… ma poi il Signore Oscuro si era interrotto bruscamente mentre una figura ammantata di buio si avventava su di lui, abbracciandolo con forza e costringendolo ad abbassare la bacchetta. L’uomo in nero lottava cercando di afferrarla mentre il Signore Oscuro scagliava maledizioni a destra e a manca cercando di colpire l’uomo che lo bloccava alle sue spalle. Lily era rimasta immobile per un attimo, interdetta dall’improvviso arrivo di quell’uomo avvolto dall’oscurità dei Mangiamorte, poi si era lanciata verso Harry che piangeva nel suo lettino per proteggerlo dagli incantesimi che sfrecciavano nell’aria… ma non aveva mai raggiunto il bambino… Voldemort si era liberato dell’uomo che lo imprigionava scagliandolo a terra mentre una delle maledizioni vagabonde colpiva Lily violentemente sul petto… era caduta a terra sanguinante… l’ultima cosa che aveva visto era stato Voldemort puntare la bacchetta contro la figura nera che giaceva ai suoi piedi. “Tu!” Lo aveva sentito esclamare sorpreso… poi una forte luce bianca e l’esplosione.

Era Severus. Era Severus quell’uomo, quel Mangiamorte, che era accorso in suo aiuto attaccando senza timori il suo stesso padrone… ora se ne rendeva conto.

“Tu… -Mormorò, rivolta al giovane- Tu… eri tu… tu ci hai salvati…” La speranza la avvolse. Se Severus aveva salvato lei, allora, forse, anche il suo bambino era vivo. Ma poi le parole che il giovane aveva pronunciato poco prima le rimbombarono in testa falcidiando ogni piccolo bozzolo di illusione dentro di lei. “Non lo sappiamo.” E mentre l’ultima sillaba di quell’eco si perdeva in lei, il giovane scuoteva la testa tristemente.

“No, Lily… -Disse la sua voce calma, ma piena di dolore a malapena mascherato- Io ti ho salvato.” Severus abbassò gli occhi e Lily rimase ad osservarlo in silenzio, senza osare parlare. Io ti ho salvatoio ho salvato te… e Harry? Il suo piccolo Harry? Cosa ne era stato di lui? L’immagine del ragazzo vestito di nero seduto davanti a lei svanì lentamente… ora vedeva solo due sorridenti occhi verdi, come i suoi, in un visetto allegro, vedeva il suo bambino ridere, la sua risata si spanse nell’aria intorno a lei penetrando nelle sue lacrime e vivendo dentro di esse, come piccole scintille di spensieratezza, mentre lentamente quella visione scompariva.

La porta della stanza si aprì mentre Brix, l’elfo domestico, entrava reggendo un vassoio d’argento con sopra tre bicchieri colmi di un liquido bruno coperto da uno strato biancastro, che sembrava panna o schiuma.

“Eccoci qui!” Esclamò baldanzoso spezzando le reti di colpa e dolore che avvolgevano i due giovani, mentre richiudeva gentilmente la porta alle sue spalle.

“Cosa sono quelle facce da funerale?” Domandò quando gli sguardi dei due ragazzi si posarono su di lui. Si avvicinò a loro posando il vassoio sul comodino. Lily fece un movimento decisa a tirarsi su a sedere, ma Severus fu più svelto di lei. Si alzò dalla sedia e l’aiutò a sedersi sistemando i cuscini dietro alla sua schiena. Brix aspettò che Lily si fosse sistemata e che Severus si fosse seduto nuovamente prima di porgere loro due bicchieri caldi.

“Su con il morale! Un bel bicchierone di caffè irlandese e ci sentiremo tutti meglio!” Disse mentre schioccava le dita facendo comparire una seconda sedia accanto a quella di Severus. Vi si accomodò sopra stringendo nelle mani magre il suo bicchiere.

Lily guardò il suo bicchiere con non curanza mentre i suoi pensieri erano persi altrove… perduti insieme con Harry.

“Via, miss Lily! –La voce di Brix la riscosse, -Beva! L’alcool è stato inventato per dimenticare il dolore e portare il sorriso.” Lily guardò l’elfo con il labbro superiore sporco di panna e quindi Severus. E sorrise, quando vide una leggera curva sincera percorrere il viso del giovane. Si portò alla labbra il bicchiere e bevve un piccolo sorso di quel liquido scuro godendo del calore che spandeva dentro di lei scacciando i fantasmi gelidi che l’avevano ghermita poco prima.

Rimasero in silenzio per un po’, sorseggiando l’Irish coffe e lasciando che questo desse conforto ai loro animi cupi.

“Che posto è questo?” Chiese ad un certo punto la giovane.

Fu l’elfo a risponderle. “Miss Lily, -disse, -lei si trova nella tana del vecchio Barbabianca.” E le fece l’occhiolino. La giovane lo guardò confusa e spostò lo sguardo su Severus in una muta richiesta d’aiuto.

“Sei a Villa Silente, Lily. –Le disse il giovane, posando un attimo il bicchiere mezzo vuoto sul comodino. – La dimora di Albus Silente…”

“… e la nostra.” Corresse Brix, indicando sé stesso e il giovane seduto di fianco a lui.

Severus sorrise. Sembrava che l’elfo avesse il potere di farlo ridere, un potere che nemmeno lei aveva avuto. Quando riusciva a strappargli un sorriso tirato, a scuola, lo riteneva già un successo. Invece i sorrisi che Severus rivolgeva a Brix erano caldi e sinceri… non lo aveva mai visto sorridere così.

“Albus pensava che qui sarebbe stata al sicuro.” Le disse l’elfo.

“Al sicuro?” Domandò allora Lily.

“Il Signore Oscuro ti cercherà, Lily. –Disse allora Severus. –Così come vorrà me.”

Il Signore Oscuro… lo aveva chiamato “il Signore Oscuro”. Severus l’aveva salvata, è vero, ma lui rimaneva un Mangiamorte. Nulla avrebbe potuto cambiare questo. Era stata così felice di rivederlo che non aveva considerato quel piccolo particolare… il suo migliore amico era diventato uno di loro… ma allora perché viveva con Silente? Era stato un fedele seguace di Voldemort fino alla sera prima, e allora come poteva trovarsi in quella casa?

“Non sono più un Mangiamorte. –Disse improvvisamente il giovane, come se le avesse letto nel pensiero. –Non sono più uno di loro da un anno e mezzo ormai. Sono andato da Silente a chiedere aiuto, e lui me lo ha dato. Ho fatto la spia per lui tutto questo tempo… non volevo fare… non volevo più obbedire ai suoi ordini… non più…” Severus abbassò il capo scuotendolo, mentre la sua voce veniva spezzata dalle stesse lame che laceravano la sua anima. Lily lo guardò colpita. Avrebbe voluto chiedere di più, ma…

“Non farmi parlare di questo, Lily. –La supplicò il giovane mentre rialzava lo sguardo verso di lei. –Non ora.”

“Quindi ora Voldemort sa che tu…” Cominciò la ragazza.

“No. Sa solo che ti ho rapito dalla sua presa. Mi reputa un traditore… e di fatto lo sono.”

“Siete al sicuro, fintanto che sarete qui. –Intervenne Brix. –Nessuno sa dove vi trovate. Soltanto io, Albus e Minerva McGranitt. Nemmeno Remus Lupin e Sirius Black sanno qualcosa… ed è meglio così.”

Un lampo a ciel sereno si abbatté su Lily all’udire quei due nomi. James! Che ne era stato di suo marito?

“Dov’è James?” Chiese a Severus.

L’altro scosse il capo. “Non sono arrivato in tempo, mi dispiace…”

“Bugiardo!” Urlò Lily.

Brix si pietrificò all’istante. Non si aspettava un reazione tanto violenta da parte della giovane, e nemmeno Severus visto che il giovane la guardava con uno sguardo a metà tra il ferito e lo stupito.

“Hai sempre odiato James! Hai lasciato che Lui lo uccidesse!” Continuò la giovane.

“No.” Cercò di difendersi Severus.

“Sarai contento, vero? L’uomo che detestavi è morto! Che altro potevi desiderare?” Urlò Lily, tutto il dolore che aveva dentro era improvvisamente esploso. Il suo cuore non riusciva più a contenerlo ed ora stava vomitando tutto il suo astio sul giovane accanto a lei.

“Lily…” Cercò di dire Severus.

“Lo hai lasciato morire! E hai lasciato il mio bambino nelle mani di quel pazzo, non è vero?” Continuava a urlare Lily.

“Lily…”

“Ti odio!  Che cosa pensavi di ottenere salvando me? Eh? Perché non mi hai lasciato là a morire come hai fatto con mio figlio e mio marito?”

“Lily, io non volevo che Potter morisse. Ti prego, credimi!” Disse il giovane, ferito e disperato, cercando di calmare Lily, di farsi capire da lei.

“Bugiardo!” Urlò nuovamente la giovane scagliando il bicchiere che teneva in mano contro il giovane, con quel poco di forza che aveva in corpo.

Severus alzò il braccio sinistro per proteggersi dal colpo. Il bicchiere batté contro il suo avambraccio sporcandogli la manica nera con quel poco di whisky che era rimasto sul fondo.

“Lily, James mi aveva salvato la vita. Ricordi? Lo odiavo, è vero… ma non volevo che morisse… e non volevo abbandonare tuo figlio, solo che… io… Lily…” Il giovane aveva ormai le lacrime agli occhi e non riusciva a parlare. Una lama gelida penetrava nel suo petto affondando di più ad ogni accusa di Lily e lui non riusciva a fare scudo contro di esse, forse perché, nel profondo, credeva di meritarsele.

“Sei una persona orribile, Severus! –Gridò la giovane, dando l’ultimo doloroso affondo nel cuore del giovane. –Stai lontano da me! Non voglio più vederti!” Lily singhiozzava in preda all’ira e al dolore.

Severus, chinò il capo. Chiuse gli occhi trattenendo lacrime dolorose tra le sue ciglia. Fece un profondo respiro, quindi si alzò in silenzio sotto lo sguardo dispiaciuto e amareggiato di Brix che fece per posargli una mano sul braccio per trattenerlo, ma Severus si scostò dal suo tocco.

Il giovane attraversò la stanza in silenzio, aprì la porta e uscì chiudendosela silenziosamente alle spalle.


 

******* 

 

Ebbene? Che ne dite? Orribile Lily, vero? Ma d'altronde ha appena scoperto di aver perso marito e figlio... se l'è presa un po' troppo con Severus, però. Poverino, c'è rimasto davvero male...
Comunque, abbiamo scoperto chi è Brix! Piccola Vero c'era andata davvero moooooolto vicino... Piccolo appunto: il grado Brix è quello che viene comunemente usato per misurare la quantità di zuccheri nel mosto (ve lo dice una diplomata in agraria), non so perchè, ma mi sembrava un nome adatto ad un elfo domestico (libero, neh? Tra l'altro).
Altro piccolo appunto: il caffè irlandese è fatto con caffè, whisky e panna... è davvero forte, ma buonissimo! ManuFury sa di cosa parlo...
Bene, con questo ho finito. Il sondaggio "Volete che Harry sia vivo?" è ancora valido... per cui chi non ha ancora dato la sua opinione lo faccia!

 

Ci vediamo al prossimo capitolo! E, mi raccomando, RECENSITE NUMEROSI!

 
 
 
 
 
 
  

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Capitolo 4
*** Pensieri e palle di neve ***


Capitolo 4

PENSIERI E PALLE DI NEVE


 

Come aveva potuto pensarlo? Come aveva potuto sperare che Lily l’avrebbe accolto a braccia aperte? Non aveva diritto alla sua amicizia… non più… le persone come lui non meritano niente! Lo stesso sangue che macchiava le sue mani costruiva una barriera tra lui e il resto del mondo. Quelli come lui non possono credere nell’amore, non possono credere nell’amicizia, nella famiglia… quelli come lui sono dannati… marchiati per l’eternità… non si sfuggiva a quel fato. Non importa quanto profondo potesse essere il loro pentimento, il passato non si può cancellare e continua a venire la notte, strega ridacchiante e terribile, a bussare alla porta dei sogni… a spiare dalle finestre appannate dalla bruma per cogliere i movimenti dei pensieri all’interno, per spiarli con i suoi occhi di fuoco borbottando litanie e nenie oscure con quelle sue labbra costantemente arricciate in un ghigno demoniaco. E non c’è scampo dalle sue apparizioni, non c’è porta o lucchetto che le impedisca di entrare. Era lì, sempre, costantemente… e non solo la notte, quando invitava gli incubi e la loro congregazione spettrale a unirsi nei suoi sabba infernali… no… anche di giorno era lì, maledetta guardiana delle porte del suo inferno, a picchiettare sui vetri incrinati della sua anima. Anche ora era lì: le parole di Lily  l’avevano riscossa e lei s’era lanciata sbavante contro le carni del proprio padrone infierendo su di esse con i suoi artigli d’ossidiana… ma lui non poteva gridare, poteva solo rimanere in silenzio a sopportare quelle alme incidergli le carni e lo spirito.

Leggeri fiocchi di neve si posavano sui suoi capelli neri e sulle sue vesti… loro non provavano ribrezzo a sfiorarlo? No. Anzi, si scioglievano in lacrime fresche quando sfioravano il suo calore… gli spiriti della neve non guardano in faccia nessuno… uomo onesto o assassino, loro toccavano chiunque con le loro dita fresche e consolatorie. Che poteva importare a loro della depravazione degli uomini? Loro erano spiriti puri, e nella loro innocenza non facevano differenze. Se solo avesse potuto afferrare quelle anime e godere quando voleva del loro conforto! Tese la mano verso quelle fate danzanti, tentando di afferrarle, ma esse svanivano in un rivolo d’acqua quando lambivano le sue dita. Voleva sentirle danzare sulle sue mani, voleva tenerle con sé… ma loro lo fuggivano. Non facevano che sfiorarlo e piangere per lui… e questo Severus non poteva accettarlo.

“Non voglio le vostre lacrime!” Urlò levando gli occhi al cielo, mentre lui stesso piangeva lasciando scendere quelle gocce calde che non poteva più trattenere lungo le sue guance.


“Severus…” Disse una voce calda alle sue spalle.

“E’ inutile. –Disse allora il giovane, senza sapere se si stava rivolgendo a sé stesso o all’uomo dietro di lui. –E’ tutto inutile. Io sono inutile… perché non mi lascia andare? Perché mi tiene con lei? Come può stare vicino a uno come me?”

Severus sentì un lungo sospiro alle sue spalle, e poi dei passi avvicinarsi facendo scrocchiare il sottile strato di neve che si era posato sulla pietra del terrazzo.

Albus Silente si appoggiò alla spessa balaustra, affianco a lui, gli occhi azzurri persi nell’abbraccio bianco e nero che avvolgeva il giardino.

“Mi pareva di averti detto e ripetuto mille volte di chiamarmi Albus e di darmi liberamente del tu. Non sono più il tuo preside.” Disse Silente senza distogliere lo sguardo dagli alberi spogli, la loro nudità coperta solo dal fatuo mantello della neve.

Il giovane non dette segno di averlo sentito. Tese nuovamente un braccio in avanti lasciando che i cristalli scintillanti si posassero sulla sua pelle.

“Lo vede? Neanche la neve accetta la mia compagnia… non fa altro che darmi la sua pietà e scivolare via. Io non voglio la pietà di nessuno… e non la merito…” Disse Severus quasi sottovoce, le guance ancora rigate di lacrime.

“Sei ingiusto Severus. –Disse il preside dolcemente volgendo lo sguardo verso il giovane. –Ingiusto verso te stesso. E non hai motivo di esserlo. Guarda.” Tese anche la mano in avanti. I fiocchi di neve si posarono sulla sua pelle rugosa, tremarono per un attimo e quindi fuggirono via rigando le dita del professore si fresche lacrime.

“Vedi? Neanche su di me si soffermano… ciò significa che non siamo diversi noi due. Non è così?” Disse Silente con un sorriso.

Severus scosse il capo. “No. –Disse tristemente. –Significa che a loro non importa.”

“Ho anch’io le mie colpe, Severus. Credimi.” Ribatté allora Albus.

“Colpe. Lei non sa niente della colpa.” Rispose allora Severus tristemente abbassando il capo, mentre lacrime fresche gli solcavano il viso.

Silente lo guardò accoratamente. Voleva bene a quel ragazzo e sapeva di essere l’unico, forse con la sola eccezione di Brix, con cui Severus si lasciava andare… a cui poteva mostrarsi senza maschere… così, semplicemente com’era. Non sapeva spiegare esattamente come, ma era come se il giovane avesse paura del mondo intorno a lui… era stato ferito troppe volte, aveva sempre ricevuto troppo poco affetto da chi gli stava intorno e troppe umiliazioni e abusi. E lui si era perduto nei labirinti dell’odio e della vendetta, e nessuno era venuto in suo aiuto… ennesima vittima sacrificale del minotauro, cieco e senza guida quando la sua Arianna aveva tagliato il filo. Eppure era riuscito ad uscire da solo da quel labirinto, era riuscito da solo a sfuggire all’ira della creatura ed era corso verso di lui, Albus Silente, il preside saggio, il grande mago. Non era stato lui ad aiutare quel giovane a lasciare gli oscuri sotterranei del re Minosse: era stato Severus stesso a cercarlo a catturare la sua guida ed a legarla con lacci d’affetto e totale fiducia che Albus non avrebbe mai potuto sciogliere. Aveva accettato di aiutare quel giovane, gli aveva teso la mano e lui vi si era aggrappato con tutta la disperazione e il bisogno di calore di un ragazzo che non aveva mai ricevuto vero affetto. E poi come sciogliersi da quell’abbraccio? Non poteva. E non voleva. Si era accorto di aver bisogno di Severus tanto quanto questi aveva bisogno di lui.

“Sono stato uno stupido.” Disse il ragazzo distogliendo Silente dai suoi pensieri.

“Pensavo… -continuò Severus dopo un attimo di esitazione, durante il quale aveva sentito gli occhi penetranti del preside su di lui. –Ho pensato che si fosse dimenticata di… che avremmo potuto ricominciare d’accapo… essere di nuovo amici. Ho sognato mille volte di poterla riavere accanto… ma non è così. Lily ha ragione: sono una persona orribile.” 


“Ha detto questo?” Chiese allora Silente.

Severus non rispose. Le lacrime scorrevano senza freno, ormai, sul volto del giovane, risvegliate dal recente ricordo delle parole di Lily.

Albus lo guardò. Avrebbe voluto asciugargli quelle lacrime, ma non voleva farlo scappare: il suo tocco avrebbe bruciato come fuoco sulla pelle di Severus ed il giovane si sarebbe ritratto, allontanandosi dalla fonte di quel calore ustionante.

“Devi darle tempo, Severus. E’ un brutto momento per lei.” Disse alla fine.

“Tutto il tempo che vuole. Non merita di stare con uno come me. Con nessuno, piuttosto, ma non con un assassino.”

“E che cosa vuoi fare? Andartene?” Domandò allora Albus.

Severus scosse la testa. Aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun suono. Poi le parole esplosero dalle sue labbra con tutto il suo risentimento e dolore, bruciandogli la gola e mischiandosi alle lacrime amare che scivolavano dai suoi occhi serrati.

“Ho sbagliato! Io sono sbagliato! Non sarei mai dovuto esistere, so portare solo dolore a chi mi sta intorno… anche quelli a cui voglio bene… penso di fare la cosa giusta e invece non faccio altro che ferirli più profondamente. Mi sono illuso… solo illuso…”

Albus non resistette più. La corazza di Severus era andata rafforzandosi da quando era venuto da lui, più di un anno prima, e continuava ad indurirsi ogni giorno di più… ma non era ancora abbastanza resistente da proteggerlo da sé stesso. Era solo un ragazzo, si ritrovò a pensare Albus, solo un ragazzo di ventuno anni che aveva perso tutto, che non aveva mai ricevuto ciò che avrebbe meritato: una famiglia felice, amici, affetto. Era soltanto un ragazzo solo, che aveva conosciuto un dolore e una disperazione che i suoi coetanei nemmeno potevano immaginare esistessero… neppure, e soprattutto, Lily che aveva avuto un’infanzia spensierata, una famiglia, un amore. Severus era sempre stato tagliato fuori perché gli altri non lo capivano, non vedevano il profondo disagio nel suo animo, e lo allontanavano… perché lui era diverso.
No, Albus non poteva resistere nel vedere il vero Severus emergere dalla scorza nera che lo avvolgeva, come soltanto con lui accadeva. Gli passò lentamente un braccio intorno alle spalle tremanti. Severus non si scostò e questo incoraggiò ancora di più l’anziano professore. Albus fece girare lentamente il giovane verso di lui facendogli appoggiare il capo alla sua spalla. Al diavolo il grande condottiero dal cuore di pietra! Al diavolo la compostezza da preside! Al diavolo tutte le sue promesse di non lasciarsi andare a tenere a qualcuno più degli altri!

Rimasero così qualche minuto. Albus che stringeva a sé il corpo magro e tremante del giovane e Severus che poggiava il capo sulla spalla del preside lasciando scorrere silenziosamente le ultime lacrime. E quando queste si furono estinte del tutto, evaporate nel calore di quell’abbraccio,  quest’ultimo si sciolse dalla stretta, allontanandosi dalle braccia che cingevano le sue spalle. E Albus disfece tranquillamente il suo abbraccio, fino a che i due non si ritrovarono a guardarsi negli occhi, due profondi mari a contatto, uno azzurro di acque celesti e uno nero invaso dalle maree della notte.

Albus sorrise sornione mentre batteva amichevolmente la mano sulla spalla di Severus, il quale fece un sorriso tirato che durò poco perché si ritrovò quasi subito con il volto bagnato di neve. Il metodo di Albus Silente per tirarlo su di morale: prenderlo a palle di neve in faccia. Il preside stava trattenendo a stento una risata davanti all’espressione stupita del giovane.

Ma poi tutte le preoccupazioni di poco prima svanirono sotto il freddo delle scie d’acqua che bagnavano il viso di Severus, portando via con sé le ultime tracce salate delle lacrime. Prese una manciata di neve dalla balaustra e la scagliò addosso al preside che ora rideva apertamente e non si accorse del movimento del ragazzo.

“Come osi?!” Domandò scherzosamente il preside mentre si passava una manica sul viso e si toglieva la neve impigliata negli occhiali a mezzaluna. Severus gli sorrideva, un sorriso di sfida amplificato dalla scintilla che lampeggiava nei suoi occhi neri.

“Vuoi la guerra, eh?” Fece il preside mentre si chinava affondando le dita affusolate nel candido manto stringendone una bella manciata e premendola a dare forma ad una palla di neve perfettamente sferica. Ma perse troppo tempo a perfezionare il suo bianco proiettile perché una seconda palla di neve lo colpì alla spalla.

Silente si alzò in piedi scagliando la sua palla verso il giovane che si era rintanato all’estremità opposta della terrazza. Lo mancò, ma anche il tiro di Severus andò a vuoto: Albus Silente sarà anche stato anziano, ma non ancora rimbambito. Fece un’altra palla di neve e questa volta colpì il giovane in pieno petto.

 

***
 

Lily si riscosse dal torpore in cui era piombata qualche ora prima, quando Brix se n’era andato lasciandola da sola, tranquilla. Si stropicciò gli occhi. Sembrava… ma sì, erano proprio risate e provenivano da fuori. Si alzò tremante dal letto, scoprendo che riusciva a reggersi in piedi piuttosto bene. Brix le aveva detto di non alzarsi, le avrebbe portato la cena in camera… ma Brix non c’era in quel momento, giusto? La ragazza si avvicinò alla porta finestra. Fuori continuava a nevicare, cadevano grandi farfalle bianche dal cielo adombrato dalla fuliggine del crepuscolo, anche la nebbia era stata invitata alla festa, a quando pareva, ed allungava le sue dita limacciose sul giardino coperto ormai da trenta abbondanti centimetri di soffice neve.

Lily armeggiò un po’ con la maniglia prima di riuscire a capire come aprire la porta. Una volta riuscitaci, si affacciò sul balconcino. Le risate provenivano dalla sua sinistra. Si sporse e vide, su quella che era un’ampia terrazza, un piano più in basso rispetto a lei, un giovane vestito di nero ed un vecchio con una lunga barba bianca e un abito azzurro sfidarsi in un’epica battaglia a palle di neve.

Lily sorrise. Non aveva mai visto Severus comportarsi così: quelle erano cose che facevano gli altri giovani come lui, erano cose che faceva lei… ma non era mai riuscita a convincere il ragazzo, quando erano ancora insieme, a giocare con lei a palle di neve. Eppure pareva divertirsi con il preside, rideva insieme a lui con una spontaneità che con lei non c’era mai stata… anche se era Albus a ridere come un pazzo.

Era bello vedere Severus così spensierato… sembrava un ragazzo normalissimo, non un giovane che aveva subito le botte del padre, i soprusi dei bulli della scuola e che era entrato al servizio di un pazzo assassino. Sembrava un ragazzo normalissimo, come lei… il suo migliore amico… un ragazzo normalissimo come James.

James.

Nel pensare a quel nome il suo stomaco si contorse dolorosamente. Una maledetta lacrima nacque dalle sue iridi verdi. Chinò il capo stringendo le dita intorno alla balaustra di pietra. Se l’era presa con Severus prima… l’aveva ferito, scacciato in malo modo… ma ce l’aveva davvero con lui? Guardò di nuovo il giovane che rideva sulla terrazza, il rapporto tra loro due non sarebbe mai tornato ad essere quello che era, lo sapeva bene, erano successe troppe cose… troppe cose tristi tra loro, perché potessero essere di nuovo gli amici affiatati che erano stati. Quel “mezzosangue” sputato con astio addosso a lei dalle labbra di Severus ancora bruciava, anche se erano passati… quanti? Cinque anni? Era stupido impuntarsi su una cosa successa cinque anni prima, eppure non era stata la parola di per sé a ferirla, ma il fatto che fosse stato Severus a pronunciarla… era stato quello ad averle fatto male.

Quello che però Lily non sapeva era che aveva fatto molto più male a Severus stesso.

Guardò ancora i due divertirsi nel lanciarsi addosso la neve fresca. Non avrebbe potuto perdonare Severus, non tanto per quel vecchio insulto, quanto per quello che era diventato dopo la scuola… e poi lui non aveva più bisogno di lei: aveva Albus ora. A quanto pareva i due avevano creato un buon rapporto e ci sarebbe stato il preside a sostenerlo nei momenti peggiori. L’amicizia tra di loro era una storia vecchia… le rincresceva, ma era così. Non importava che Severus avesse abbandonato Voldemort, non importava che avesse sempre fatto la spia per Silente rischiando la vita: nessuno smetteva di essere un Mangiamorte, era una cosa risaputa. Le persone non cambiano da un giorno all’altro. Gli avrebbe chiesto scusa per quanto gli aveva detto poco prima, anche se dentro di lei non avrebbe mai potuto perdonarlo per aver abbandonato il suo bambino… gli avrebbe chiesto scusa, lui sarebbe stato contento e lei, una volta guarita, se ne sarebbe andata. Ognuno per la propria strada, strade che si erano divise definitivamente.

Sospirò profondamente. Le risate si erano estinte sul campo di battaglia ed il vespero aveva finalmente imposto la sua corona sui cieli. Lily fece per voltarsi, le venne un piccolo capogiro e pensò che fosse meglio tornare a letto, prima che arrivasse Brix. Quell’elfo le era simpatico, era disponibile come tutti quelli del suo popolo, e sapeva farla sorridere… ma sapeva anche che si sarebbe arrabbiato non poco nel vederla fuori dal letto. Così caracollò all’interno della stanza, godendo del caldo del caminetto che la invadeva, richiuse la porta e si infilò poi sotto le coperte stringendosi ad esse nel tentativo di allontanare il freddo della sera dalla sua pelle. E attese che Brix facesse la sua entrata con la cena.


 

***
 

“Che fame! –Esclamò il preside improvvisamente, fradicio ed infreddolito. –Speriamo che Brix abbia fatto i tortellini.” Detto questo si allontanò, stanco e con il riso ancora a colorargli le labbra.

Severus rimase per un attimo ad osservarlo anch’egli bagnato da capo a piedi, mentre il freddo pungente cominciava a scavargli nella pelle, poi sorrise scuotendo il capo e si affiancò al preside. Albus gli passò un braccio intorno alle spalle ed insieme si avviarono verso la porta che dava sul soggiorno caldo.

Ma la suddetta porta si aprì prima che potessero raggiungerla. Brix li osservava con sguardo cupo, le braccia incrociate sul petto.
“Se avete finito di giocare, la cena sarebbe pronta…” Disse l’elfo con uno sbuffo.

“Veniamo subito, Brix. –Disse Albus mentre raggiungeva l’elfo. –Dacci solo il tempo di metterci qualcosa di asciutto addosso.” Gli fece l’occhiolino, ma Brix rimase serio.

“Spero tu abbia portato qualche notizia importante oltre all’impiccio del tuo cervello in piena regressione infantile, Albus.” Borbottò l’elfo mentre chiudeva la porta alle spalle dei due.

Albus lasciò la stretta su Severus per poter vedere in faccia sia lui che Brix.

“In effetti, sì.” Disse.

Severus lo osservò interessato, ma non fece in tempo ad aprir bocca che Brix lo precedette: “Ebbene?” Domandò, curioso.

Albus portò il suo sguardo su Severus: “Penso di aver scoperto qualcosa sull’esplosione di cui parlavi.” Disse.

 

 

*******

 

Ahahahahahah! Interrotto proprio sul più bello! Così siete più invogliati a leggere il prossimo capitolo, nevvero?

Spero non vi siate scandalizzati di fronte alla battaglia a palle di neve dove spero di non essere finita OOC… se pensate che sia così, fatemelo sapere. Ho semplicemente pensato che Severus qui ha soltanto ventuno anni (vale a dire un anno più di me), per cui, probabilmente era molto più vulnerabile che non dieci anni più tardi, e pensavo anche che sarebbe stato bello se con Albus si lasciasse andare un po’ di più, insomma, dare spazio al suo lato più ragazzino, quello a cui, non era mai stato permesso di rivelarsi.

Poi volevo rispondere a una domanda che ha fatto Phoebhe76 e vale a dire (cito testualmente): “Ma Voldemort, è ancora in circolazione? Voglio dire, non è scomparso quando ha attaccato Harry?”

Dunque… Sì, Voldemort è ancora vivo e vegeto. In effetti Severus stesso ha detto di aver sentito il suo grido di rabbia mentre si smaterializzava con Lily. D'altronde la profezia non specifica quando dovrebbe avvenire la "designazione come suo eguale" da parte di Voldemort verso il bambino, per cui potrebbe avvenire anche molto più avanti. Comunque sto pensando di far sparire del tutto questa scomoda profezia, rende la storia davvero difficile da gestire. Pensavo semplicemente che Voldemort cercava i Potter perché erano suoi fieri oppositori e membri dell’Ordine della Fenice.

Quanto a Harry ho da poco avuto un’idea splendida… Quale? Continuate a seguirmi e lo saprete!

  

 

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Capitolo 5
*** La cena ***


Capitolo 5

LA CENA
 


La sala da pranzo della villa non era poi così enorme come ci si poteva aspettare. Forse era la luce infuocata del camino, i suoi bisbigli che si spandevano per la stanza mentre borbottava tra sé e sé come un vecchio insofferente, a risucchiare, come in un immane vortice, tutto lo spazio intorno, carpendo quei muri con le sue dita vermiglie per stringerseli addosso, vecchio signore infreddolito che cercava qualche tepore in quella inusuale coperta. Forse erano quelle tende granata che osservavano, mute sentinelle, la sala ed i suoi ospiti con sguardi attenti, fieri, mentre nascondevano il paesaggio tetro e freddo che si estendeva alle loro spalle, chiudendo i confini caldi della sala come guardie di frontiera, complici silenziosi del vecchio brontolante.

La tavola era stata coperta con un’elegante tovaglia bianca. Vi erano seduti un uomo e un elfo, soli, l’uno dirimpetto all’altro. Non s’udiva alcun rumore nella stanza, a parte lo scoppiettare del caminetto, se non quello dei cucchiai che sbattevano tintinnando sui piatti di ceramica. Un terzo piatto aspettava a capotavola, annoiato e fumante, che il suo destinatario si facesse vivo.

L’elfo continuava a gettare occhiate gelide verso il povero abbandonato, brontolando e ribollendo sui tre cuscini su cui era seduto per arrivare all’altezza del piatto. Alzò gli occhi verso il posto a capotavola per l’ennesima volta e sbuffò. Dove diavolo si era cacciato?

Il giovane seduto davanti a lui, invece, teneva il capo chino sul piatto. Sembrava destramente stanco, quasi facesse fatica nell’alzare il cucchiaio pieno e mangiava lentamente senza degnare di uno sguardo la stanza intorno a lui. Eppure i suoi occhi attenti non avevano mancato di notare l’irrequietezza dell’elfo che non poteva portarsi il cucchiaio alla bocca senza prima aver lanciato uno sguardo alla porta alla sua destra.

Brix tossicchiò per l’ennesima volta e si agitò sulla sedia. Allungò la mano dalla pelle scura verso il calice colmo di vino davanti a lui e se lo portò alle labbra bevendone un lungo sorso come per ingoiare l’ansia che lo pervadeva.  Posò il bicchiere e si concentrò nuovamente sui tortellini, che navigavano tranquilli in un caldo e dorato mare di brodo, nel suo piatto. Iniziò a picchiettare nervosamente le dita della mano sinistra sul tavolo. Ma si poteva sapere dov’era finito? Quanto ci voleva per cambiarsi d’abito?

Severus questa volta alzò gli occhi verso di lui. “Puoi evitare di farlo?” Chiese, infastidito da quel suono ticchettante.

Brix parve cadere dalle nuvole, mentre volgeva gli occhi nocciola verso il giovane. “Come?” Chiese smarrito.

“Tieni ferma quella mano. Mi metti l’ansia. Arriverà.” Disse Severus con voce monocorde, mentre tornava a fissare il piatto.

Brix non distolse gli occhi da lui. Il ragazzo aveva riacquistato quell’espressione cupa che aveva di solito, l’espressione di chi non dava alcun significato alla propria vita, che, anzi, se solo avesse potuto, l’avrebbe gettata via, bruciata, dimenticata. Brix se ne dispiacque. Gli dispiaceva per tutto quello che aveva dovuto subire quel ragazzo, anche a causa dei suoi propri errori, gli dispiaceva di non averlo potuto aiutare di più, gli dispiaceva per tutto. Severus non lo meritava. L’aveva sentito ridere prima, insieme con Albus, l’aveva visto sorridere… ma erano solo e soltanto bervi sprazzi di illusione, lo sapeva, brevi momenti in cui il vero Severus emergeva da quella coperta nera. Poi tutto ritornava nel buio della depressione e sul volto del giovane si dipingeva di nuovo quell’espressione abbattuta e mesta, nei suoi occhi la scintilla si spegneva e tornavano ad essere soltanto profondi pozzi che cercavano in ogni modo di allontanarti per nascondere l’urlo nero di angoscia che si nascondeva oltre la soglia.

Distolse lo sguardo riportandolo sulla porta scura ancora serrata, infastidita da quelle occhiate continue verso di lei.

“I tortellini si freddano.” Brontolò Brix.

In quel mentre, però, la porta finalmente si aprì e Albus Silente entrò nella sala agghindato in un bell’abito color prugna con stelle d’argento che lampeggiavano sul tessuto scuro. I suoi occhi azzurri si accesero quando vide il grande arrosto comparire proprio in quell’istante al centro dalla tavola.

Si avvicinò e si sedette comodamente al suo posto mentre il sorriso nei suoi occhi si allargava sempre di più fino a coinvolgere anche le labbra quando vide che cosa c’era nel piatto ancora fumante davanti a lui.

“Ah. –Sospirò, mentre accostava la sedia al tavolo e agguantava il cucchiaio. –Tortellini!”

“Si può sapere dove diavolo ti eri cacciato? Noi abbiamo cominciato a mangiare da un pezzo.” Disse Brix fulminandolo con gli occhi.

“Avete fatto bene. Vi avevo detto di cominciare a mangiare se non arrivavo subito…” Cominciò Silente.

Se non arrivavo subito! Ah! Che dovevi fare là sopra? Una sfilata di moda?” Domandò Brix, mentre finiva l’ultimo cucchiaio di brodo rimasto nel suo piatto.

“Avevo una piccola indecisione riguardo ai calzini. Non sapevo decidere se mettere quelli a righe bianche e rosse oppure quelli blu oltremare…” Disse Albus con un sorriso poco prima di portare alla bocca la cucchiaiata di tortellini in brodo.

Brix lo guardò sconsolato. “E la scelta è caduta su…?” Chiese.

“Entrambi! Non potevo proprio scegliere tra i due.”

“Potete evitare di parlare di calzini?” Fece improvvisamente la voce di Severus, dura, mentre il giovane si tendeva in avanti ad afferrare con la forchetta una delle fette di arrosto già tagliate e distese sul vassoio d’argento.

“Suvvia, Severus! –Esclamò Albus. –E’ un argomento così affascinante!”

Il ragazzo sbuffò guardandolo duramente: “Non avevi detto di aver scoperto qualcosa sull’esplosione?” Chiese.

Ma non ricevette mai risposta, perché prima che finisse la domanda, Albus ne aveva già iniziata un’altra.

“E come sta la cara Lily?” Si stava infatti informando il preside.

Severus tacque. All’udire quel nome i suoi occhi precipitarono nuovamente verso il piatto dove le sue mani erano indaffarate nel tagliare la fetta d’arrosto. Brix notò il disagio del ragazzo e prese la parola al suo posto.

“Sta bene. –Disse. –Si rimetterà in fretta. Appena finito qui, Severus le porterà la cena.” Portò gli occhi sul giovane.

Severus sussultò nel sentire pronunciare il suo nome, ma non lo diede a vedere. Doveva portare lui la cena a Lily? No, non lo avrebbe fatto… Lily aveva detto che non voleva più vederlo, e lui avrebbe fatto così. No. Non avrebbe portato la cena a Lily. Avrebbe voluto dire restare da solo con lei e non voleva inquinare quella stanza con la sua presenza, Lily non voleva lui… doveva accettarlo.

Sentì gli occhi di Silente su di lui, ferirgli la pelle e penetrargli nell’anima.

Il vecchio lo guardava in silenzio. I suoi bracchi turchini erano svelti a stanare le emozioni che si scambiavano strane parole nell’animo del giovane, come un gruppo di ribelli, di fuorilegge che si nascondevano agli occhi truci del loro signore. Quei segugi inarrestabili conoscevano tutti i loro nascondigli e non v’era lucchetto o serratura che potesse impedirne l’avanzata, non v’era trabocchetto che non potessero superare. Spesso trovavano le porte e le grate di quel rifugio-galera aperte, ma altre volte erano serrati come i cancelli invalicabili di una fortezza nera e le onde del branco azzurro si infrangevano sul portale. Eppure v’era sempre qualche fessura, qualche minuscola breccia rimasta aperta e dimenticata per tanti anni, e i segugi d’acqua erano lesti a servirsene… ed una volta entrati nella fortezza non v’era alcuna guarnigione a contenerli. La corte era deserta e loro potevano leggere ogni iscrizione sulle pareti della fortezza, potevano catturare i muti briganti che lì si rintanavano, rannicchiati in lacrime nelle loro celle oscure e fredde mentre intorno non v’era che il silenzio, e al di là delle mura soltanto un deserto desolato e nero dove dimoravano fiere che non potevano esistere altrove talmente intricate e deformi erano nelle loro sembianze. Eppure chi si fosse soffermato su di loro senza fuggire innanzi al loro aspetto mostruoso, avrebbe capito che esse non avevano alcun desiderio a far del male. Avrebbe visto i loro occhi imploranti aiuto, avrebbe udito i loro lamenti mentre fiamme invisibili straziavano le loro carni. Ed in fondo, era quello il fine ultimo, delle battute di caccia dei segugi azzurri: spegnere con l’acqua fresca, che era il loro corpo, quelle vampe che nascevano dalle stesse belve che tormentavano, in un auto flagellamento che non aveva mai fine.

“Bene. –Disse Silente, scostando gli occhi dal giovane. –Riguardo all’esplosione.” Incrociò le dita e appoggiò le mani intrecciate sul tavolo, vicino al piatto da poco rimasto vuoto.

“Ecco! –Esclamò allora Brix. –Riguardo all’esplosione?”

Silente lo guardò sorridendo. Poi qualcosa scintillò nei suoi occhi riflettendosi sulle lenti degli occhiali a mezzaluna vedendo le occhiate piene di aspettativa che gli rivolgevano gli altri due. Il sorriso si allargò a prendere una piega maliziosa.

“Non ve lo dico. –Disse –Prima voglio finire la cena e assaggiare quel meraviglioso arrosto.”

“Beh, noi l’abbiamo già finita la cena! –Gli fece notare Brix mentre finiva l’ultimo pezzetto d’arrosto rimasto nel suo piatto e si sporgeva verso il calice di vino. –E avresti finito anche tu se non avessi perso a scegliere il colore dei calzini!”

Lo sguardo che Brix posò sul preside era gelido, da far ghiacciare perfino le aurore rossastre che danzavano nella sala. Capaci perfino di far gelare i placidi laghi azzurri degli occhi di Albus nella distesa di ghiaccio del Cocito dantesco.

Anche lo sguardo di Severus s’era fatto duro. Il giovane posò la forchetta nel piatto ormai vuoto e incrociò le braccia puntando gli occhi neri sul preside a capotavola che si indaffarata nel tagliare la sua porzione d’arrosto.

Silente prese un lungo respiro. “Io e Alastor questo pomeriggio siamo andati a casa Potter. –Cominciò-  Non v’era più traccia di Mangiamorte nei dintorni di Godric’s Hollow. Siamo entrati in quella casa tranquillamente. La porta era aperta. Alastor si è fermato subito all’ingresso chinandosi sul corpo di James Potter. L’abbiamo portato via.” Aggiunse queste ultime parole precedendo la domanda di Brix. Il preside spostò lo sguardo su Severus.

“In ogni caso… quando siamo saliti al piano di sopra, nella stanza del bambino, ci siamo ritrovati davanti ad un caos a cui non ero in alcun modo preparato. Sembrava fosse passato un uragano. Il pavimento era completamente ricoperto di vetri e schegge di legno. Le finestre erano esplose. Il lettino di Harry era capovolto le coperte e i cuscini lacerati e sparsi tutto intorno. Perfino la carta da parati era stata strappata e gettata sul pavimento.” Continuò Silente, mentre sentiva su di lui l’attenzione degli altri due.

“E il bambino?” Chiese allora Severus, approfittando della pausa che Albus aveva fatto.

Silente scosse la testa. “Non c’era traccia di Harry. E’ sparito.”

“Qualcuno l’ha portato via?” Azzardò allora Brix, ma il professore scosse nuovamente il capo.

“Nessuno è entrato in quella casa prima di noi. E non credo che Lord Voldemort abbia perso tempo a portarsi via il bambino… l’avrebbe ucciso sul posto.” Disse duramente.

“Sì, ma avrebbe potuto ucciderlo e poi sbarazzarsi del… “ Brix deglutì, non riusciva a pronunciare una parola simile riguardo un bimbo di un anno.

“E perché avrebbe dovuto farlo? –Intervenne allora Severus – James Potter l’ha lasciato lì.” La sua voce s’era fatta gelida mentre pronunciava quel nome.

“Esatto. –Disse allora Silente alzando la forchetta sporca di salsa verso il giovane. – Quello che credo io… ed è solo una teoria, per cui prendetela con le pinze, è che sia stato Harry stesso la causa dell’esplosione.”

Severus e Brix lo guardarono pensierosi.

“Vale a dire magia involontaria?” Azzardò infine il ragazzo.

“Precisamente. Harry si è sentito in pericolo, ha sentito sua madre in pericolo e la sua magia ha risposto incontrollata provocando quell’esplosione.” Disse allora Silente.

“Ma così non si spiega come mai il bambino sia sparito.” Osservò allora Severus.

“Quello che penso io, è che la magia del bambino, che si era espressa in modo così potente, lo abbia scaraventato via smaterializzandolo lontano dalla casa.” Gli rispose Silente.

“E’ fatta allora! –Esclamò Severus allargando le braccia. –Con tutti i Mangiamorte che c’erano in paese il bambino si è materializzato direttamente nelle loro mani.”

Silente annuì col capo. “Purtroppo temo che sia andata così.”

“Se non l’hanno ucciso i Mangiamorte, di certo lo hanno portato al loro signore.” Disse allora Brix.

Silente levò una mano per attirare l’attenzione dei due. “Tuttavia, -disse,- c’è ancora speranza.”

“Vale a dire?” Domandò Severus.

“Vale a dire che non sappiamo dove Harry si sia materializzato. Per quanto siamo a conoscenza, potrebbe anche essere stato trovato da dei Babbani o da qualcun altro.

Dobbiamo cercarlo.” Rispose Albus.

“Come cercare un ago in un pagliaio.” Osservò Brix.

“Lo troveremo. Se non è morto, salterà fuori in una qualche maniera.” Disse Silente.

“Quello che mi chiedo, però è: può un bambino di un anno dare manifestazione di una magia tale?” Chiese Severus.

Silente posò il calice da cui stava sorseggiando. “Questa è una buona domanda. Tuttavia non vedo altra soluzione… a meno che non sia stato uno di voi tre a combinare questo pasticcio.”

“Noi tre?” chiese allora Severus.

“Tu, Lord Voldemort e Lily. Soprattutto tu e Voldemort. In ogni caso vedo scarse fondamenta per questa teoria.” Disse Albus, fissando il giovane attraverso le lenti a mezzaluna.

“Vuoi dire, insomma, che uno di noi tre ha involontariamente allontanato Harry da quella casa?” Ripeté il giovane.

“La tua magia mischiata a quella del Signore Oscuro può raggiungere una potenza inaudita, se poi aggiungiamo la volontà di Lily di salvare il figlio e la volontà di Harry stesso di proteggere la madre arriviamo a costruire un petardo tale da far saltare in aria l’intera Godric’s Hollow.” Disse Albus.

“Insomma una bella baraonda avete combinato!” Esclamò Brix sorridendo.

Silente volse lo sguardo verso l’elfo e alzò un dito indice a chiedere silenzio. “Stiamo costruendo castelli in aria, signori. Io, da parte mia, continuo a pensare che tutto sia scaturito dal bambino.”

“Un bambino di un anno? Ti faccio notare, Albus, che non può un bimbetto di quell’età provocare un tale caos. Può essersi smaterializzato contro la sua volontà, ma in quanto all’esplosione… non so.” Disse Severus.

“Stando a quanto detto da Alastor e dagli altri membri dell’Ordine che erano a Godric’s Hollow, l’esplosione ha provocato una luce tale da illuminare a giorno il paese e la campagna circostante.” Disse Albus.

“E ti pare che un bambino possa essere capace di tanto?” Gli fece allora notare il ragazzo sollevando un sopracciglio.

“Non so. Non so. –Silente scosse la testa. –La nostra priorità ora è trovare Harry.”

Gli altri due annuirono. Severus fece per alzarsi da tavola. Per quanto lo riguardava, la discussione era conclusa e non avevano cavato un ragno dal buco.

“E riguardo a James Potter?” Chiese Brix, e Severus si congelò all’istante.

“Il funerale sarà in forma privata… clandestina, per la verità. A Godric’s Hollow. Domani.” Rispose Silente laconico.

“E Lily?” Chiese allora Brix.

Albus sospirò. “Ritengo sia meglio per lei non lasciare questa casa, per il momento. L’ira di Lord Voldemort è ancora fresca e bruciante. E lo stesso vale per te, ragazzo mio.” Disse accennando a Severus.

Brix lo guardò tristemente. “Ha perso tutta la famiglia in una sola notte, e non può nemmeno andare al funerale del marito?” Disse.

Silente sospirò. Sì, quella povera ragazza aveva perso tutto in un attimo e ora si ritrovava prigioniera in quella casa, senza poter nemmeno dare un ultimo saluto a James, senza poter sapere cosa era stato di suo figlio. Ma Voldemort la cercava, li cercava, e non si sarebbe dato pace finchè non li avrebbe trovati e uccisi. Lily era al sicuro a casa sua, e lo era anche Severus. Severus che aveva rischiato la vita pur di salvarli, tutti e tre.  Lo aveva fatto solo per Lily, certo, Silente lo sapeva, aveva intuito cosa quel ragazzo provasse per la giovane rossa da molto tempo; lo aveva fatto per Lily, voleva che lei fosse felice, non voleva lei: voleva solo saperla viva e felice. Per ciò la sera prima era corso a Godric’s Hollow, deciso a salvare non solo lei, ma anche James… James Potter l’uomo che l’aveva sempre umiliato e fatto soffrire a scuola, spalla a spalla con Sirius Black… James Potter, che gli aveva portato via Lily… James Potter che non era riuscito a salvare. Non solo lei, ma anche Harry. Il piccolo Harry che ora era scomparso, svanito nel nulla… il piccolo Harry di cui non si conosceva il destino. Albus sapeva che Severus non poteva perdonarsi di averlo abbandonato là… ma d’altronde che avrebbe potuto fare? Sapeva che continuava ad auto flagellarsi per ciò, che era per questo che non credeva di meritarsi il perdono di Lily. Non importava che quel bambino fosse il figlio del suo peggior nemico, non importava, nessuno avrebbe potuto abbandonare un bambino alla morte… nessuno, nemmeno l’uomo che detestava suo padre. E Albus sapeva che Severus era un ragazzo con un cuore, non era uno spietato pazzo assassino come erano altri Mangiamorte.

Severus avrebbe fatto qualunque cosa per ritrovare Harry, Albus ne era certo. Lo avrebbe fatto. Per Lily. Eppure sapeva anche di non poterglielo permettere. L’ira di Voldemort era rivolta anche verso di lui. Lui, il Mangiamorte traditore che aveva attaccato il suo stesso signore per proteggere una Nata Babbana.

Severus e Lily sarebbero dovuti rimanere ben nascosti entro i confini della sua villa, e Brix sarebbe stato con loro a prendersene cura e ad evitare che facessero cose stupide… avrebbe chiesto aiuto anche a Minerva: quell’anno l’insegnante di Trasfigurazione aveva i pomeriggi liberi da lezioni, avrebbe potuto continuare il lavoro tranquillamente  a Villa Silente.

Si alzò da tavola e guardò con durezza il giovane dai capelli neri, ormai anch’egli in piedi, che lo osservava interrogativo.

“Tu e Lily non dovete allontanarvi da questa villa. Sono stato, chiaro?” Ecco che il comandante era tornato a prevalere sul buon preside.

Severus annuì.

“Sono sotto la tua responsabilità, Brix. –Disse poi Silente, rivolgendosi all’elfo con i capelli tutti scarmigliati da quando si era tolto il cappello per sedersi a tavola. –Domani, se riesco a convincerla, verrà anche Minerva ad aiutarti a tenere d’occhio questi due.” E con il capo accennò a Severus mentre strizzava l’occhio all’elfo.

“Molto bene. -Acconsentì Brix, saltando giù dalla sua sedia. –Ora però è meglio che qualcuno porti la cena a quella povera ragazza. Prima che muoia di fame.” E il suo sguardo balzò subito verso Severus.

Il giovane scosse il capo: “Non andrò. E’ meglio che Lily mi veda il meno possibile. Io ho permesso che Potter venisse ucciso. Io non sono arrivato in tempo. Io ho abbandonato Harry laggiù… è meglio che le stia alla larga, la mia presenza è deleteria per chiunque.” Lo disse con voce monotona e gli occhi tristi, come se credesse davvero alle accuse che stava muovendo a sé stesso.

“Per noi, no.” Disse allora Brix affettuosamente, notando lo sguardo sconfortato del giovane.

Severus lo guardò quasi con rabbia. Lacrime scintillavano nei suoi occhi neri riflettendo la luce del camino e rilucendo di mille fiamme dorate. Il ragazzo si voltò di colpo e lasciò la stanza sbattendo la porta.

Silente e Brix, rimasti soli, si scambiarono uno sguardo sconsolato. Ancora non riuscivano a capire come comportarsi con quel ragazzo… poco prima aveva riso e giocato a palle di neve con Albus, ed ora era tornato a precipitare nei suoi oscuri baratri. Silente si era perfino stupito poco prima quando Severus aveva risposto alle sue palle di neve, alle sua risa… succedeva così poche volte. Eppure sapeva che Severus era il giovane che aveva giocato con lui, non il ragazzo inquieto e problematico che si era appena allontanato. E si perse nel pensare a quanto dolore il mondo è capace di posare sulle spalle degli uomini, si perse nel pensare a quali odiosi personaggi dovevano essere coloro che scrivevano il destino delle persone. Dovevano annoiarsi davvero tanto per divertirsi ogni tanto a scrivere pagine e pagine di soprusi e torture e odio, ma il peggio è che arrivavano a scrivere tutto questo in un unico libro. Un libro dell’orrore.

Era questo, probabilmente, che Lily non sapeva. Lei non conosceva il dolore lancinante che pervadeva Severus. Lei era stata una di quelli che si ritraggono spaventati e disgustati davanti alle fiere deformi del suo animo e non capivano la loro nera disperazione, non riuscivano a vedere le loro lacrime, non udivano le loro suppliche, le loro grida…

Albus però sapeva che Lily aveva anche un’anima molto profonda, era una ragazza buona e disponibile, aveva sempre teso la mano a tutti… avrebbe capito. Lei avrebbe capito. Era l’unica che poteva veramente aiutare Severus d’ora in avanti. Lui e Brix avevano fatto tutto quello che avevano potuto.

“Porto io la cena a Lily. –Disse Albus. –Voglio fare due chiacchiere con quella ragazza.”



 

******* 

 

Ed eccomi qui! Non ho niente da aggiungere questa volta. Lily non è comparsa, ma spero di correggere questa mancanza nel prossimo capitolo. Un po' vi ho fatto soffrire, però: ho tergiversato per benino prima di arrivare alla "questione Harry"! AHAHAHAHAH! I calzini di Albus!

Ecco, siccome non ho nulla da dire, posso ringraziare veramente di cuore tutti quelli che hanno messo questa storia tra le Preferite, le Seguite o le Ricordate. Un grazie enorme a tutti quelli che leggono questa ff, registrati o lettori fantasma (come sono stata io per molto tempo), e che sono davvero tanti visto che il primo capitolo ha raggiunto le 225 visite! Alèèèèèèèè!!!!

E un grazie davvero di cuore, grazie mille a tutti voi che avete recensito e che so che continuerete a recensire... ManuFury esclusa dopo lo scherzo che mi ha fatto in una sua storia (Manu, sai a cosa mi riferisco)! Muahahahahahah!

Sono contentissima che questa storia vi stia piacendo e spero continuiate a seguirla.


 

Recensite, mi raccomando!

 
 

 
 



  

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Capitolo 6
*** "Non è così, Lily?" ***


Capitolo 6

"NON E' COSI', LILY?"
 


 

Severus entrò nella sua stanza sbattendo la porta.

Voleva stare con Lily. Voleva vedere Lily… ma sapeva che lei non l’avrebbe accettato.

Voleva Lily. La sua Lily… Voleva riparare al male che le aveva fatto. Avrebbe richiamato James Potter dalla morte, se solo avesse potuto… che importava se poi non avrebbe più rivisto Lily? Che importava? Lei sarebbe stata felice.  James… era lui l’uomo giusto per lei: un purosangue bello e popolare. Il suo principe rosso e oro… perché lei, splendida principessa di fuoco, avrebbe mai dovuto perdere tempo con un figlio della tenebra? Perché mai avrebbe dovuto desiderare la compagnia di un soldato senza nome delle schiere del buio che aveva rinnegato le stesse e ora non aveva più una causa per cui combattere, per cui vivere… aveva votato la sua vita a lei, alla luminosa figlia dell’arcobaleno, ma poi lei se n’era andata… e aveva avuto ragione a farlo: quale raggio di sole avrebbe mai voluto stare con un arido spirito della notte? Nessuno… il regno della luce gli era precluso. Lui non era che una macchia scura che deturpava il paesaggio di fuoco del reame del sole. Era soltanto un’anima vagabonda, reietta, evitata da tutti… un mendicante a cui nessuno avrebbe mai aperto la porta.

Aveva spiato a lungo la sua principessa. L’aveva osservata, seguita, presa per mano e si era stupito, quando era ancora solo un bambino, di vedere che lei lo accettava, che non si ritraeva di fronte al suo gelo, non fuggiva davanti alla sua diversità che faceva di lui un fantasma silenzioso e triste, aveva creduto che lei non lo avrebbe mai lasciato, che sarebbero rimasti sempre insieme… si era ingannato nel credere di vedere nei suoi occhi un sentimento profondo per lui… amicizia, amore… quelle parole gli erano sempre rimaste oscure. Si era illuso di significare qualcosa per lei… si era illuso… solo illuso…

La sua stessa rabbia, il suo stesso odio verso gli abitanti luminosi del sole che ridevano alle sue spalle, che lo prendevano in giro, lo umiliavano, lo facevano sentire ancora più sbagliato di quanto già non fosse, gliel’avevano strappata via. Ma d’altronde che poteva aspettarsi lui… seguace della disperazione, principe del buio… che poteva sperare? La principessa di fuoco aveva sposato il principe del sole, e lui non aveva potuto far altro che tornare tra i fumi oscuri della sua vera patria, addentrarsi nel regno delle ombre… l’unico luogo a cui si sentiva di appartenere.

Lacrime calde e irridenti gli solcarono il viso, mentre rimaneva fermo, immobile appoggiato alla porta. Gli occhi serrati eppure cancelli d’aria di fronte all’avanzata di quelle amare gocce di dolore.

“Can you see my eyes?”

Le parole uscirono dalle sue labbra pallide lente e dolorosa, sangue che stillava silenzioso dalle profonde ferite del suo spirito.

“Can you touch my heart?”

La voce si spezzava in mille pezzi a contatto con l’aria, mentre la sua schiena veniva scossa dai singhiozzi.

“I’m dishonored, I can’t see the fireflies”

Si lasciò scivolare lungo la superficie liscia e dura della porta. Le sue spalle tremanti segnavano il legno, mentre Severus, lentamente si rannicchiava sul pavimento preda delle lacrime impietose che non potevano più essere fermate, la loro corsa ormai inarrestabile. Il fiume di dolore e inadeguatezza che scorreva dentro di lui aveva improvvisamente rotto gli argini e nulla poteva più fermare quella piena.

“and I lies… abandoned…

… apart.”

***

Lily giaceva nel suo letto caldo, stretta tra i cuscini candidi. Non aveva ancora smesso di pensare a James e ad Harry. Cercava in ogni modo di focalizzare la sua mente su di loro… sugli ultimi momenti che avevano passato insieme, una famiglia felice. Ripensava a James, ai suoi scherzi, le sue risate…  combinava più marachelle lui che il piccolo Harry, bambino sempre allegro e vispo con quegli occhioni svegli dello stesso colore dei suoi. Eppure, per quanto si sforzasse di pensare a loro, v’era sempre un nero fantasma che aleggiava in quei ricordi felici e un nome tornava sempre a bussare alle porte dei suoi pensieri… Severus…

Per quanto la giovane cercasse di ripensare agli abbracci di James, al calore del suo corpo, all’amore che permeava in lei quando la stringeva in sé, si ritrovava sempre circondata da due braccia forti, avvolte di nero. Sentiva quel respiro caldo sfiorarle i capelli mentre una voce profonda le cantava quelle dolci parole… sentiva il battito del cuore del suo angelo nero, che l’aveva tenuta stretta e vegliata nel sonno… Severus…

Che ne era stato del giovane che conosceva? Era stato distrutto per sempre dall’odio che viveva in lui? La maschera d’argento dei Mangiamorte aveva fagocitato irrimediabilmente il suo spirito, trasformando il suo cuore in un blocco di freddo metallo, oppure il Severus che conosceva era ancora lì, nascosto da qualche parte? Quelle risate che aveva sentito prima pervadere quella terrazza, erano state davvero, oppure erano solo l’ennesimo miraggio?

C’era stato un tempo in cui aveva creduto di poter tenere Severus con sé. C’era stato un tempo in cui non poteva restare senza di lui… si era illusa che fosse un giovane come lei, senza pregiudizi, senza credenze sbagliate. Invece si era ritrovata ad affrontare una realtà ben diversa… e quell’insulto… mezzosangue… quella parola era stata il coltello che aveva reciso la corda che li legava. Lei era rimasta sul bordo e Severus era caduto in silenzio nel precipizio.

Eppure non v’era stata notte in cui quel fantasma cupo non avesse visitato suoi sogni… l’indice accusatorio teso verso di lei… quei suoi occhi vuoti dove dimoravano soltanto lacrime di disperazione, rannicchiate nel buio, tremanti e impaurite…

Qualcuno bussò alla porta.

“A… Avanti” Balbettò incerta, la voce ancora addormentata tra i suoi pensieri.

La porta si socchiuse. Albus Silente fece capolino nella stanza, gli occhi azzurri si posarono sul letto e un sorriso si stampò sulle sue labbra quando vide la ragazza.

Silente aprì del tutto la porta spingendola con la spalla. Lily vide che portava un vassoio d’argento con sopra un piatto fumante, un bicchiere di vetro e una bottiglia di vino elfico. La giovane gli sorrise, ancora stupita dal suo arrivo: pensava che sarebbe venuto Brix a portarle la cena… invece ora si trovava davanti niente meno che Albus Silente, vestito di un elegante abito color prugna, che le sorrideva calorosamente stringendo tra le mani la sua cena.

“Buonasera, Lily. –Disse Silente, mentre la porta si richiudeva da sola alle sue spalle –Riposato bene?”

Lily annuì, non sapendo bene cosa dire. Silente si avvicinò al letto.

“Fame?” Domandò tranquillamente.

“Sì, parecchia.” Rispose Lily, forzando le parole, restie, a lasciare le sue labbra.

Silente la guardò teneramente. Vide i segni rossi sotto i suoi occhi e la profonda tristezza negli stessi… dolce ragazza che la vita aveva duramente colpito.

Lily si tirò su a sedere, sorridendogli. Ma Albus vedeva fate piangere tra le pieghe di quel sorriso. Si avvicinò posandole il vassoio sulle ginocchia. Stappò la bottiglia e versò qualche goccia di vino nel bicchiere, quindi si sedette comodamente sulla sedia accanto al lento.

La ragazza lo guardò di nuovo, sorridendo; sulle sue labbra un leggero, silenzioso “grazie”, poi affondò il cucchiaio nei tortellini fumanti e si portò alla bocca il brodo saporito.

Silente sospirò. Quel silenzio che aleggiava intorno a loro era davvero insostenibile, sembrava divertirsi a infastidire le sue orecchie con quegli stupidi sibili e a fargli gli sberleffi!

Il preside si schiarì la gola, non si sa se per rimproverare il silenzio o per attirare l’attenzione di Lily.

“Come va la ferita?” Domandò alla ragazza.

Lily alzò gli occhi verdi su di lui, ed Albus vi scorse l’umidità appiccicosa posata sulle fresche foglie di quella foresta, tuttavia vi scorse anche una strana nota interrogativa.

“La ferita sul petto. –Le ricordò Albus. –Come va?”

“Oh! – Esclamò allora Lily. –Va bene. Non ricordo da cosa sia stata provocata, ma non sento più dolore: mi fa male solo se faccio dei movimenti bruschi.”

Albus annuì. “Le mani di Madama Chips fanno miracoli.” Osservò.

Lily sorrise tornando ad occuparsi dei tortellini che galleggiavano tranquilli nel piatto.

“Sono venuto a portarti alcune nuove…” Cominciò Silente, ma non ebbe il tempo di finire la frase che gli occhi della giovane erano di nuovo balzati verso di lui e aveva cominciato ad esclamare: “Harry! L’avete trovato? Dov’è? Sta bene?”

“Calma, calma! -Disse allora Albus facendole segno di tacere alzando la mano. -Non abbiamo notizie del bambino.” Gli occhi di Lily tornarono a farsi avvolgere dalla teredine della tristezza, si lasciarono colmare da brume di delusione.

Silente fece un respiro profondo: “Quello che pensiamo –disse, -è che Harry si sia smaterializzato in qualche modo.”

“Smaterializzato?” Ripeté Lily, posando il cucchiaio nel piatto ormai vuoto.

“Sì. Non sappiamo dove sia finito… la grande incognita, al momento, è questa: dov’è il bambino?”

“Ma è vivo… non è così?- Chiese la ragazza, speranzosa –Albus… Harry è vivo?”

Silente la guardò tristemente. Doveva dirle la verità, quando nemmeno lui sapeva? Guardò quella donna devastata, spezzata duramente dalla tempesta degli ultimi avvenimenti che aveva incrinato dolorosamente il vetro smeraldino delle sue iridi.

“Non lo sappiamo.” Disse infine in un sussurro. Non era da lui dare false speranze alle persone… non, almeno, quando non era prettamente necessario ai fini dalle causa. Certo, avrebbe voluto poterle dire che il bambino era vivo, che l’avrebbero trovato… ma perché illudere una ragazza già distrutta? Una ragazza che ora lo guardava tristemente con occhi umidi di dolore mentre sorseggiava il vino per trattenere i singhiozzi.

Silente non poté evitare di sorridere. “Ma c’è speranza, Lily… c’è sempre speranza. –Disse mentre allontanava il vassoio dalle ginocchia della giovane e posandolo sul comodino. -Faremo di tutto per ritrovarlo. Alastor, Remus e Sirius sono sulle sue tracce…”

“Alastor, Remus e Sir?” Ripeté Lily.

“Sì. Lo troveranno… grazie al tanto decantato fiuto di Sirius. E’ un vero segugio quel ragazzo!” Silente le strizzò l’occhio.

Lily rise a quelle parole, questa volta un sorriso aperto, sincero. Bevve un altro sorso di vino dal bicchiere che aveva tenuto in mano.

Rimasero nuovamente in silenzio per un po’.

Albus la osservò sorseggiare il vino scuro. Non le avrebbe detto di James… lei avrebbe voluto a tutti i costi andare al funerale, ma non doveva assolutamente lasciare quella casa. Per cui, per il momento, era meglio che non sapesse nulla… ma se avesse chiesto di suo marito, lui che le avrebbe detto? Avrebbe temporeggiato, come sapeva bene.

Stranamente, però, sentiva che la giovane non avrebbe toccato quel tasto. Non aveva nominato James prima… lei chiedeva solo di Harry. Forse aveva accettato la morte di Potter… o forse c’era qualcos’altro sotto. Dopotutto, non erano ancora passate ventiquattro ore da quando Lui li aveva trovati, eppure James nella mente di Lily sembrava ormai solo più un ricordo, una parentesi nella sua vita che ora si era chiusa.

Albus non poteva sapere dell’apparizione oscura che si presentava puntualmente affianco all’immagine luminosa di James tra i pensieri di Lily fagocitando la loro attenzione, attraendoli verso di sé eppure scottandoli con le su gelide dita quando si avvicinavano troppo.

“C’è un’altra questione di cui vorrei parlarti…” Disse infine Albus e il silenzio sibilò sobbalzando poi si fece piccolo piccolo e quindi sgattaiolò via per una qualche fessura, per un qualche passaggio a lui solo noto.

Lily alzò lo sguardo verso il preside, mentre gli ultimi squittii del silenzio si perdevano nell’aria.

“Severus.” Disse solamente Albus, ma quel nome ebbe il potere di penetrare in profondità nel petto di Lily fino ad arrivare a stringere il suo cuore in una morsa nera di piombo.

***

Severus si alzò da terra riprendendo fiato. Si passò una mano sul volto per pulirlo dal fastidio delle lacrime secche sulla pelle. Gli occhi bruciavano, la retroguardia di quelle schiere di dolore era stata come aculei penetrati in profondità nelle sue iridi scure. Si strofinò gli occhi con la manica nera della maglia e si scostò i capelli dal volto, riprese lentamente il controllo del suo respiro. Il deserto del suo spirito tirò un sospiro di sollievo dopo la devastazione dell’uragano, le fiere deformi tiravano ora un sospiro di sollievo mentre uscivano dalle loro tane profonde ove si erano rifugiate. La quiete era tornata a regnare dopo il passaggio delle schiere del regno più nascosto, giù, vicino al suo cuore.

Piangere non serviva a nulla, lo sapeva… ma non riusciva a farne a meno certe volte. Odiava quelle lacrime, lo facevano sentire debole… ma non poteva evitarle, sentiva quasi di averne bisogno.

Severus tirò un altro profondo sospiro, poi si avviò verso il bagno. Aprì la piccola porta scura e si posizionò davanti allo specchio.

Un giovane lo guardava da quel mondo di cristallo. Un giovane che dimostrava più della sua età, con profondi occhi neri in cui brillava soltanto angoscia cerchiati da profondi segni rossi del pianto. Severus osservò il sé stesso davanti a lui e fece una smorfia… decisamente non era il principe adatto a Lily. Provò quasi pena per quel ragazzo triste nello specchio, ma più che empatia per quel giovane, nel suo cuore bruciava l’odio. L’odio per quel ragazzo vestito di nero, l’odio per il Mangiamorte, l’odio per il servo di Voldemort… si faceva ribrezzo da solo. Come potevano gli altri accettarlo quando egli stesso non si accettava?

Posò gli occhi sulle sue mani e represse un conato. Come potevano Silente e Brix non vedere quel sangue che colava denso tra le sue dita? Come potevano anche solo sfiorarlo con tutta quella melma dolorosamente ancorata al suo corpo?

Guardò di nuovo il giovane nello specchio, ma l’immagine era cambiata. Il ragazzo nello specchio ora gli sorrideva, un sorriso malvagio, sporco… nei suoi occhi brillavano fiamme di odio, di rabbia… stringeva nelle mani un coltello grondante di sangue e glielo mostrava compiaciuto. Dietro di lui schiere di persone senza volto bisbigliavano, lo accusavano falciando l’aria con i loro sibili…

Assassino…- bisbigliava la voce malvagia del ragazzo nello specchio -Mostro…” e i fantasmi alle sue spalle facevano eco a quelle parole, mentre Severus appoggiato al muro con le braccia ai lati dello specchio sentiva di nuovo le lacrime pizzicargli gli occhi.

Assassino…

Severus gridò di rabbia, quelle parole erano fruste di fuoco di una punizione che sapeva di meritarsi. Afferrò il bicchiere sul lavandino e lo scaraventò contro il muro mandandolo in mille pezzi.

“Mostro. Sono un mostro…” cominciò a ripetere come in una cantilena

Era una persona orribile, sì… Lily aveva ragione. Era arrivato tardi a Godric’s Hollow e non era riuscito a salvare Potter… era stata colpa sua. E il bambino… l’aveva abbandonato, l’aveva lasciato là e ora chissà cosa ne era stato di lui. Doveva trovarlo… doveva fare qualcosa… per Lily.

Si tolse la maglia con furia e poi la camicia bianca sotto di essa. Tornò a guardarsi allo specchio. Il giovane dal ghigno malvagio era sparito: ora era tornato il ragazzo dallo sguardo triste che lo osservava in silenzio, il volto rigato da nuove lacrime. Severus guardò il suo corpo bianco. Aveva acquistato un po’ di peso durante la sua permanenza a Villa Silente e ora al corpo magro del ragazzo che era se n’era sostituito uno più pieno e muscoloso. Si passò lentamente le dita sulle piccole cicatrici che portava, come tanti grotteschi decori, sul petto e sulle braccia, memorie di punizioni e torture nella cerchia dell’Oscuro Signore. Si sfilò la benda che ancora avvolgeva i suoi fianchi: la ferita sul fianco sinistro era sparita senza lasciare neanche un segno. Severus sospirò lasciando cadere a terra la garza bianca.

Alzò il braccio sinistro e lo osservò. Il Marchio Nero era ancora lì, con il suo teschio ghignante, nero e in rilievo sotto la ragnatela di cicatrici che lo attraversavano, segni indelebili di tagli profondi e ripetuti che erano affondati nella carne. Severus aveva smesso di infierire sul suo braccio da tempo, ma quei segni bianchi rimanevano lì ad incarcerare il serpente nero in una rete di fili sottili.

Il giovane fece una smorfia e uscì dal bagno. Guardò l’orologio appeso al muro davanti a lui: le nove e trenta.

***

“Non credi di essertela presa un po’ troppo con lui?” Stava chiedendo Albus a Lily.

“Io…” Balbettò Lily, non sapendo bene cosa rispondergli in quel momento. Sì, se l’era presa troppo con lui, ma come spiegarlo a Silente? Come spiegargli che non sapeva perché l’aveva attaccato in quel modo? Che non voleva dire quelle cose, che era scattato qualcosa dentro e lei aveva riversato tutto il suo risentimento su Sev, ma che non ce l’aveva veramente con lui… che non lo accusava davvero di aver lasciato James e Harry a morire.

“Severus è più fragile di quanto credi, Lily. E anche tu lo sei… avrete bisogno l’uno dell’altro: è un brutto momento per entrambi.” Continuò Albus.

“Perché non è venuto lui?” Chiese improvvisamente Lily.

“Perché? Sei sicura di voler sapere il perché? –Ribattè allora Albus. –Severus vive con me e Brix da più di un anno, ormai… tu non sai in che stato emotivo era quando venne da me a chiedere aiuto, non hai visto la più profonda disperazione nei suoi occhi.”

“E’ venuto da te a chiedere aiuto?” Ripetè allora Lily.

“Sì. Quel ragazzo non è un Mangiamorte, Lily… non lo è mai stato. La sua permanenza tra i seguaci dell’Oscuro è stata una tortura per lui. Non voleva fare quello che è stato costretto a fare… Lily, sono state le persone che aveva intorno a spingerlo in quella direzione. Sono stati il loro odio, il loro rancore verso un giovane che bollavano come “diverso” a indirizzarlo verso Voldemort… gli unici che lo accettavano, che gli erano amici erano Mangiamorte o futuri Mangiamorte e cosa pensavi che avrebbe potuto fare un ragazzo come lui, che non aveva mai conosciuto vero affetto, che era sempre stato emarginato?” Spiegò Silente.

Lily lo guardava con occhi illuminati da un’improvvisa scintilla di comprensione a lungo taciuta e nascosta. Non aveva voluto vedere per molti anni. Aveva finto che andasse tutto bene, che Severus fosse un semplice amico, un ragazzo normale. Aveva sempre fatto finta di non vedere il profondo disagio che si agitava in lui… e quando, dopo quel maledetto insulto, lui l’aveva rincorsa disperato per scusarsi, per riparare al suo errore, per non perdere quella che era stata la sua unica amica, il suo unico laccio che lo teneva stretto alla luce, lei aveva saputo dire solo una parola… No.

“Tu sai tutto questo, non è così, Lily? –Domandò Silente perforando la sua anima con quei suoi occhi cilestrini. –I ragazzi come Severus, che hanno avuto un’infanzia difficile fatta di mortificazioni e violenze, e un’adolescenza altrettanto problematica visto che era stato preso di mira dai Malandrini, hanno bisogno di una guida… un assoluto bisogno. Non è possibile comportarsi con loro come con un giovane normale. Nel momento in cui il loro punto di riferimento sparisce sono perduti.- Silente incrociò le braccia. –Io e Brix abbiamo impiegato parecchie settimane per fargli capire che di noi poteva fidarsi, che non lo avremmo abbandonato, che sarebbe potuto rimanere con noi. Tuttavia Severus rimane un ragazzo problematico… spesso e volentieri non riusciamo a capirlo e non riusciamo a sapere come comportarci con lui. Per questo ti chiederei di non biasimarlo… ha sofferto più di quanto immagini.”

Lily annuì, in silenzio, incapace di dire qualsivoglia parola.

“Ti chiederei, inoltre, di non rifiutare la sua presenza e di non negargli la tua amicizia. Sono passati cinque anni da quel giorno dopo i G.U.F.O, e Severus non è più un Mangiamorte. E’ soltanto un ragazzo bisognoso di fiducia e di affetto e sono certo che una giovane come te non potrà negarglieli.” Albus sorrise.

Lily aveva le lacrime agli occhi e il sorriso del preside fu l’ennesima pugnalata al cuore insieme a quelle della colpa le cui lame continuavano ad infierire su di lei.

“Ti lascio ai tuoi pensieri.” Disse Silente, quindi riprese il vassoio e si avviò verso la porta uscendo dalla stanza.

“Oh, tra l’altro! –Esclamò poco prima di richiudere la porta. –Domani pomeriggio verrà Minerva… a tenervi d’occhio! Buonanotte.” Chiuse il battente alle sue spalle lasciando Lily da sola.

La ragazza tornò ad accoccolarsi tra le coperte. Avrebbe dato una seconda possibilità a Sev, poco, ma sicuro. Le parole di Albus le avevano dato l’ultima spinta verso ciò che già aveva intenzione di fare. No, non avrebbe più negato la sua amicizia a Severus… poteva concedergliela una seconda opportunità. L’indomani gli avrebbe chiesto scusa. Chiuse gli occhi e si assopì lentamente cullata dallo scoppiettare morbido del camino e dalla neve che ancora cadeva dal cielo passando, come una processione di primevi fantasmi, dietro al velo delle tende.

***

La casa era già tutta spenta, notò Albus mentre posava il vassoio con i resti della cena di Lily sul ripiano della cucina. Agitò la bacchetta e il piatto venne ripulito dalle ultime tracce di brodo, come anche il cucchiaio, e il bicchiere tornò splendente pronto ad ospitare un altro po’ di vino elfico. Cosa che avvenne perché Albus se ne versò un goccio abbondante, sorseggiando l’alcol mentre faceva tornare posate, piatto e vassoio al loro posto nelle credenze con un secondo colpo di bacchetta.

Finì il vino nel bicchiere e se ne versò un altro po’ svuotando la bottiglia. Sospirò e poi posò il bicchiere, tornato in fretta nuovamente vuoto, sul ripiano. L’indomani avrebbe dovuto convincere Minerva a “trasferirsi” a casa sua, cosa che non sarebbe stata affatto facile. Però quei due ragazzi andavano tenuti d’occhio, li conosceva abbastanza da sapere che avrebbero fatto di tutto pur di andare là fuori a cercare il piccolo Harry… soprattutto Severus. Albus sapeva che il ragazzo di sentiva profondamente in colpa, complice anche lo scatto d’ira di Lily.

Ci avrebbe pensato il giorno dopo… intanto doveva riuscire a trascinare Minerva a Villa Silente, e poi… beh, poi avrebbe dovuto contattare Alastor per sapere se avevano scoperto qualcosa riguardo a Harry.

Si avviò su per le scale diretto verso la sua stanza. Era inutile stare lì a pensare in una cucina fredda la notte del primo novembre, mentre fuori nevicava senza sosta. Brix era già andato a letto e lui l’avrebbe imitato: si sarebbe infilato nel nelle sue coperte calde a riflettere.

Mentre attraversava il corridoio scuro del piano superiore notò un fascio di luce azzurra sfuggire alla presa della porta della stanza di Severus, posta affianco alla sua.

Silente si avvicinò lentamente e sbirciò all’interno. Intravide la sagoma del giovane disteso sul letto, sembrava dormisse. Entrò cercando di fare meno rumore possibile.

Severus giaceva a pancia in giù sotto le coperte gettate alla bell’e meglio sulle gambe, a torso nudo. Dormiva profondamente, la schiena pallida si alzava e si abbassava sotto la forza dei suoi respiri. Proprio sopra al comodino ballava una luce azzurra che illuminava la stanza con la sua luce fredda. Nella mano sinistra, che quasi pendeva dalla sponda del letto, Severus stringeva un libro. Albus si chinò cercando di leggerne il titolo. “La magia involontaria infantile. Studi sulle sue reali capacità e sul suo potere.”

Silente sorrise mentre sfilava il libro dalle dita del giovane.

“Ah, Severus…” Mormorò, mentre continuava a guardare la copertina. Posò il libro sul comodino, poi agguantò le coperte e le portò a coprire il torso del giovane che mugugnò qualcosa quando sentì le dita di Silente sfioragli le spalle nude.

Albus sorrise e puntò la bacchetta contro il caminetto, inesorabilmente spento, e subito allegre fiamme si stiracchiarono in esso portando un po’ di calore in quella stanza gelida.

Gettò un ultimo sguardo al giovane addormentato, quindi si diresse verso la porta. Ne superò la soglia, uscendo nel corridoio.

“Nox.” Bisbigliò, prima di chiudere la porta, e la lucina azzurra si spense lasciando che i fasci caldi e arancioni del camino invadessero la stanza.

“Buonanotte, ragazzo.” Sussurrò Albus.

*******

 

Et voila! Capitolo 6 finito... e adesso, beh, adesso penso che comincerò il settimo...
Lily comincia a rimettere un po' la testa a posto: darà una seconda possibilità a Sev... Albus le ha fatto proprio un bel discorsetto!
E Severus, beh, Severus non è messo emotivamente molto bene ... vedremo cosa combinerà quando Lily gli offrirà di nuovo la sua amicizia, e vedremo anche se Minerva accetterrà di trasferirsi a casa Silente. Poverina Minerva: dopo aver fatto lezione tutta la mattinata, al pomeriggio si ritrova a dover tenere a bada quei due!
Vabbè, sarà quel che sarà... voi non macate di recensire, neh? Mi raccomando...

 

CI RIVEDIAMO AL PROSSIMO CAPITOLO! 
 
 
 
  

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Capitolo 7
*** Una seconda possibilità ***


Capitolo 7
 

UNA SECONDA POSSIBILITA'


 

“Stai scherzando, vero Albus?” Chiese la professoressa McGranitt, incredula, al collega che la guardava speranzoso. L’aveva convocata nel suo ufficio per discutere di un’importante questione didattica, o almeno così l’aveva definita lui. E poi le aveva domandato di… No, non poteva averle chiesto davvero di passare i pomeriggi a casa sua… no, semplicemente non poteva, con tutti i compiti che doveva correggere! Come faceva? Avrebbe dovuto trasferire tutto il suo lavoro a casa del preside? Davvero pratico! Così aveva gli studenti ad Hogwarts e i compiti dei suddetti studenti a Villa Silente… magnifico…

“Mai stato più serio.” Disse Silente, solenne.

“Via, Albus, sii oggettivo! Come pensi che possa gestire tutto se devo fare su e giù da Hogwarts a casa tua?” Domandò Minerva. Ancora stentava a credere a ciò che aveva appena udito.

Tutto cosa comprenderebbe?” Insistette Albus.

Minerva sbuffò, poi cominciò a contare sulle dita: “Devo fare lezione, correggere i compiti, essere presente in ufficio dalle tre alle sei, e poi ti ricordo che sono la vicepreside e il capo della Casa di Grifondoro e che sono io a dover organizzare le riunioni degli insegnanti.” Snocciolò la McGranitt.

Silente trattenne a stento una risata: “Perché devi essere in ufficio dalle tre alle sei?” Domandò.

Minerva lo fulminò con uno sguardo: “Perché- ringhiò,- così ho scritto nell’orario! Non posso dire agli studenti che possono trovarmi in ufficio dalle tre alle sei e poi non esserci!”

“Allora… ascolta, ascolta! Ecco quello che facciamo…” Cominciò Silente.

“Non facciamo proprio un bel niente, preside.” Disse Minerva, gelida.

“Calma e ascoltami. Allora: al mattino hai lezione, e puoi continuare a farlo, giusto? Poi, al pomeriggio scivoli zitta zitta via da scuola e correggi i compiti a casa mia. Puoi cambiare gli orari di ricevimento nel tuo ufficio: non serve suonare le trombe dell’Apocalisse per annunciarlo…”

“Suoneranno per te le trombe dell’Apocalisse!- Ringhiò la McGranitt puntando un dito contro il petto dell’altro, -Sentiamo, quando pensi che potrei ricevere gli studenti?”

“Dopo lezione.” Disse Albus laconico.

“Certo! Come ho fatto a non pensarci? Durante il pranzo in Sala Grande!” Esclamò Minerva battendosi il palmo della mano sulla fronte.

“Per favore!- Disse poi, tornando seria. –Non hai proposte migliori?”

“La mia era una proposta migliore. –Rispose Silente ponendosi sulla difensiva. –Quando dicevo dopo lezione, intendevo dall’una alle due.”

“Per l’appunto. Durante pranzo.” Gli fece notare Minerva.

“Prima delle lezioni?” Tentò allora Silente.

“A colazione? Già gli studenti dormono durante le lezioni! E’ tanto se riescono a mettere due parole di fila alle sette del mattino!” Esclamò Minerva.

“Sei incontentabile.” Le fece notare Albus sospirando e aprendo le braccia.

“No, sei tu che stai devastando il mio programma giornaliero!” Affermò la professoressa, gli occhi chiari inondati di fuoco. Albus continuava a guardarla con un gran sorriso sul volto, probabilmente trovava la situazione molto divertente. Minerva l’avrebbe cruciato sul posto se solo la sua etica gliel’avesse permesso.

Sospirò rumorosamente, poi tornò a puntare l’indice contro Silente: “E sentiamo, magnifico preside, come la si mette con i miei doveri da vicepr…”

“Semplice! Non sarai più la vicepreside!” Esclamò Albus , impedendole di finire la frase, senza smettere di sorridere. Minerva rimase pietrificata… no… no, aveva capito male…

“Come, scusa?” Domandò incredula.

“La carica di vicepreside, me ne rendo conto, pone un fardello troppo pesante sulle tue fragili spalle. Sono certo che Filius sarà ben disposto ad adempiere ai doveri che questo incarico considera.” Albus si stava trattenendo a stento dal ridere di fronte all’espressione sconvolta della McGranitt che lo fissava ancora con l’indice accusatorio teso verso di lui.

“Sei un… un…” Cominciò Minerva. Tremava visibilmente di rabbia repressa. Ma Albus sapeva di non doversi preoccupare più di tanto di quello sguardo assassino che la McGranitt gli lanciava contro.

“Via, Minerva. –Disse tranquillamente, -Ti lamenti di non poter passare i pomeriggi a casa mia perché sei troppo impegnata, e quando io, nella mia munifica cortesia, ti alleggerisco il carico di doveri, tu protesti ulteriormente. Lo ribadisco: sei incontentabile. Basta con questa geremiade!”

“Per la miseria, Albus!- Esclamò allora la McGranitt. Silente sapeva essere davvero irritante e logorroico quando voleva ottenere qualcosa.- Io sono un’insegnante non una baby sitter!”

Silente batté le mani, contento: “Magnifico! Lo prendo come un sì!” Esclamò, mentre si voltava dando le spalle alla professoressa verde di rabbia e si avvicinava alla sua scrivania,  e vi girava intorno chinandosi e scomparendo così alla vista della collega.

“Sì?- Ripetè Minerva, -Quale ? Niente !”

Silente, da parte sua, continuava ad armeggiare tra i cassetti della scrivania.

“Albus, io non ho detto che…” Tentò di protestare la McGranitt, ma Silente aveva raddrizzato le spalle e le sorrideva raggiante reggendo in mano una bottiglia di brandy e due bicchieri.

“Bicchierino, Minerva?” Domandò allegro.

L’interpellata sospirò rassegnata scuotendo il capo: Albus Silente 1, Minerva McGranitt 0.

***

Lily mugugnò irritata. Una forte luce bianca le colpiva gli occhi penetrando tra le palpebre chiuse. Si voltò dall’altra parte con un movimento repentino tirandosi le coperte sopra la testa. La situazione non cambiò di molto.

“James… chiudi le tende.” Biascicò con la voce ancora impastata dal sonno.

Tuttavia il placido lago scintillante di luce che riempiva la stanza continuava ad incresparsi sotto il tocco gentile dei raggi freschi del giorno.

“James?” Ripetè Lily. Nessuna risposta. Sbuffò. Ormai era sveglia e le sarebbe risultato difficile tornare a dormire.

Allontanò le coperte calde e aprì gli occhi. Gli spruzzi di luce bianca le rimbalzarono addosso rivelando una stanza che non era la sua. Si spostò una ciocca color del fuoco dal viso e si strofinò gli occhi nelle cui iridi scintillavano ancora le mille stelle che le fate dei sogni avevano adagiato in quel verde prato, dono e ricordo di una notte ormai finita.

Lily si guardò intorno, ancora un po’ smarrita, mentre tutti gli avvenimenti dei giorni precedenti le tornavano alla mente. James non poteva chiudere le tende… James non c’era più.

Sospirò, quindi si alzò dal letto. Notò con sollievo che le sue gambe erano molto più sicure, ed i suoi muscoli erano tornati forti e in salute com’erano sempre stati.

Si avvicinò lentamente alla porta del balconcino godendo del calore del tappeto che le dava il buon giorno solleticando la pianta dei suoi piedi nudi. Il caminetto ancora sonnecchiava tranquillo sotto le sue coperte di carbone e cenere. Non appena arrivò all’altezza della porta, Lily afferrò le tende rosse che coprivano i vetri freddi e le scostò violentemente.

Il sole la salutò pigro, sconsolato nel vedere che i suoi deboli raggi non riuscivano a scalfire la coltre gelata di neve che scintillava di mille brillii facendogli gli sberleffi.  Lily sorrise. Il giardino all’esterno era ricoperto da mezzo metro abbondante di candida neve: la fata Piumetta si era data da fare quella notte!  Chissà quanti cuscini aveva sprimacciato la vecchia signora Holle!

Quando fata Piumetta alla finestra si affaccia e i cuscini sprimaccia, lieve lieve vien giù la neve.
Son le piume dei cuscini di fata Piumetta che diventano neve.*

Lily sorrise quando quelle parole giunsero inaspettate a invaderle la mente. Provenivano da un ricordo… un ricordo non molto lontano. Le tornarono alla memoria gli occhioni spalancati del piccolo Harry che la osservavano mentre lei gli raccontava una fiaba. Ogni sera una diversa, e il bambino era sempre entusiasta di sentirle… di sentire la voce della sua mamma.

Qualcuno bussò alla porta facendola sussultare. Il ricordo svanì così come era venuto, riacchiappato dalle dita ossute del tempo e nascosto in qualche vecchio cassetto nella camera della memoria.

“Miss Lily?” Fece qualcuno nel corridoio. La ragazza fu felice di udire di nuovo quella voce roca.

“Sì?” Domandò Lily volgendosi verso la porta.

“Le ho portato dei vestiti…” Rispose Brix, la voce attutita dalla spessa barriera di legno.

Lily si lasciò scappare un breve sorriso. Le piaceva quell’elfo…

Si avvicinò alla porta e la aprì facendo scattare la maniglia. Brix era sulla soglia con, tra le braccia, una pila di vestiti che gli nascondevano il viso.

“Eh-ehm… -Fece l’elfo, schiarendosi la voce, -Potrei entrare o vuole che rimanga qui per sempre con questa roba in mano?” Domandò sarcastico. Lily era rimasta paralizzata sulla porta a guardare, con un’espressione a metà tra il divertito e il perplesso, quel piccolo elfo praticamente ricoperto di abiti di tutti i generi. Quelle parole furono come una doccia gelida. Si scostò lasciando entrare Brix che ondeggiava incerto cercando di non far cadere a terra il pericolante fardello.

Lily richiuse la porta nell’esatto momento in cui l’elfo riusciva a posare gli abiti sulla sedia accanto al letto tirando un sospiro di sollievo.

Brix si voltò verso di lei squadrandola da capo a piedi.

“Beh, non vorrà andare in giro con una camicia da notte, no?” Disse.

Lily scosse la testa avvicinandosi all’elfo che intanto stava accogliendo tra le mani un maglione di lana verde scuro con greche bordeaux che si era sfilato gentilmente dalla piglia di indumenti richiamato dalla magia dell’elfo.

“Non sono abiti all’ultima moda, ma non sono riuscito ad ottenere di meglio per il momento.” Disse Brix mostrando la maglia a Lily a mo' d'esempio.

Questa scosse la testa sorridendo: “Vanno benissimo, davvero.” Disse.

“Beh, -Fece allora l’elfo ripiegando il maglione e adagiandolo a cavallo dello schienale della sedia. –Veda un po’ quelli che ritiene più adatti. Io vado. La colazione è già pronta… se vuole scendere, noi aspettiamo in sala da pranzo. E’ subito qui sotto: scende le scale e la trova alla sua destra.”  Brix fece per andarsene, ma Lily lo trattenne.

“Brix.” Lo chiamò. L’interpellato si fermò sulla soglia della porta e si voltò verso di lei.

“Volevo ringraziarti… per la tua gentilezza. –Sorrise Lily- E vorrei chiederti di non darmi del lei, mi dai un’importanza che non ho.”

Brix accennò un inchino: “Come desideri, miss Lily.” Disse, quindi se ne andò richiudendo la porta alle se spalle.

 

***
 

Brix discese le scale saltellando ed entrò canticchiando nella sala da pranzo. Severus era seduto a tavola, la tazza vuota scostata sulla destra. Indossava una spessa  camicia nera, aperta, gettata sopra ad una maglietta dello stesso colore e un paio di jeans scuri. I suoi occhi correvano svelti seguendo gli argini del fiume di parole stampate su di un vecchio libro che il giovane teneva davanti a sé.

L’elfo lo osservò un poco, poi brontolò qualcosa mentre gli si avvicinava. Severus non lo degnò di uno sguardo, nemmeno quando Brix si appollaiò sulla sedia accanto a quella del ragazzo per riuscire a raggiungere la tazza.

Tese le dita verso di essa, ma a metà strada cambiò idea. Con un movimento repentino agguantò il libro di Severus e glielo strappò di mano. Gli occhi del giovane saettarono su di lui, irritati.

“Ehi, ridammelo!” Protestò il ragazzo.

“Non si legge a tavola!” Lo rimproverò Brix con un sorriso mentre balzava giù dalla sedia.

Severus si alzò guardando l’elfo con un’espressione truce. I suoi occhi neri passavano svelti dal libro all’elfo che ne stava analizzando la copertina con occhi interessati.

La magia involontaria infantile. - Lesse Brix, poi riportò lo sguardo color nocciola sul giovane davanti a lui- Non farti venire in testa strane idee, ragazzo.” Lo avvertì. Quindi lanciò il libro a Severus che lo prese al volo. Appellò la tazza vuota e si avviò con essa verso la cucina.

Severus lo guardò voltare l’angolo, pensieroso. Strane idee? No, nessuna strana idea… voleva solo scoprire che cosa era successo in quella casa, e finora non era riuscito ad arrivare a nessuna conclusione. Però sapeva che doveva fare qualcosa… qualcosa di concreto.

Sospirò e tornò a sedersi a tavola posando il libro chiuso sul piano davanti a lui. Sì, doveva fare qualcosa… doveva rimediare ai suoi errori, correggere i suoi errori. Aveva abbandonato il figlio di Lily una volta, non lo avrebbe rifatto. Sentiva che era suo dovere ritrovare quel bambino… perché era a causa sua se ora era scomparso, perché Lily aveva bisogno di Harry… di Harry, solo di Harry… lui non significava niente per lei, era vero, ma lei voleva dire molto per lui e non l’avrebbe mai più vista triste e addolorata come quando aveva saputo che suo figlio era disperso. Le avrebbe riportato il suo bambino.

Per di più quel giorno avrebbe dovuto affrontare Lily, in un modo o nell’altro. Non avrebbe potuto passare le giornate chiuso in camera anche se, probabilmente, sarebbe stato meglio sia per lui che per la ragazza. Guardò fuori dalla finestra davanti a lui. Il sole era scomparso dietro uno spesso velo di nubi che aveva rapito la lucentezza della neve. L’aveva presa a ceffoni, una bimba cattiva che si era vantata dei suoi brillantini rubati al sole, ed ora che il grigiore di quelle nebbie ne aveva oscurato i raggi aveva anche spento quegli scintillii con le sferzate della sua apprensione. La mutezza che avvolgeva quel paesaggio livido era la stessa che carpiva l’animo del giovane stringendolo in morse che gli impedivano di respirare. Un respiro mozzato, in sospeso in attesa del momento in cui avrebbe dovuto rivedere quegli occhi verdi che gli stringeva il cuore. Quelle nubi là fuori parevano cariche i pioggia… la neve fresca e pura non era ammessa nel suo deserto nero, e così anche quel bianco manto che ricopriva il giardino e gli alberi pareva sgomento e inquieto di fronte alla minaccia di quelle nebbie nere. Temevano le loro frustate di pioggia calda, i loro flagelli che avrebbero marchiato la loro pelle candida…

“Buongiorno, miss!” La voce allegra dell’elfo lo richiamò dal suo vagare senza meta.

Severus si voltò di scatto. Lily era immobile sulla soglia vestita con un bel maglione scuro di lana che faceva risplendere ancor di più i suoi capelli. Ma forse era il sorriso sincero che gli rivolgeva a illuminare il suo volto chiaro.

“Prego, accomodati. –Stava dicendo Brix,- The?

“Sì, grazie.” Rispose Lily sovrappensiero.

Lui era lì. Gli occhi neri di Severus le provocavano un groppo alla gola tanto erano tristi e, quasi spaventati. Improvvisamente tutto le fu più chiaro… improvvisamente la consapevolezza la toccò nel profondo. Ripensò alle parole di Albus della sera prima… non aveva avuto occasione di vedere Severus da quando lo aveva scacciato in malo modo il pomeriggio. Lo aveva accusato, ferito… era stata egoista, aveva pensato soltanto a sé stessa, a James e a Harry e non aveva notato lo sguardo da animale ferito, quasi implorante, che il suo vecchio amico le rivolgeva. Ed ora che lo aveva davanti, quegli occhi neri la ferivano come lame trafiggendole il cuore. Era davanti a lei lo spirito affranto dei suoi sogni, non era soltanto un’illusione onirica, era vero… erano veri quegli occhi colmi di disperazione, era vero quel viso segnato dal dolore… quello sguardo da cane bastonato che non chiedeva altro che un po’ d’affetto…

“Ciao, Sev.” Furono le uniche parole che la sua voce rotta riuscì a formulare.

“Ciao, Lily.” Rispose lui, tristemente. Sapeva di non meritare minimamente neanche una sillaba di quel saluto, soprattutto non era degno di sentirsi chiamare nuovamente Sev da lei. Eppure… eppure lei gli sorrideva… un sorriso che non era forzato, un sorriso sincero che le illuminava il suo splendido volto e Severus non poté che permettergli di toccagli il cuore e scaldarlo con una carezza tiepida.

Brix intanto aveva posato una tazza di the caldo nel posto davanti a Severus insieme con un cucchiaino, zucchero e un grosso vassoio ricolmo di biscotti dorati.

“Ecco qui. –Disse l’elfo rivolto a Lily. – Accomodati pure.”

Lily si avvicinò tranquillamente al tavolo senza smettere di sorridere, sembrava essere  tornata la ragazza di un tempo… prima che Voldemort le annientasse gli affetti e la famiglia. Si sedette comodamente sulla sedia a lei riservata osservando i biscotti con occhi golosi.

Brix scomparve ben presto in cucina lasciando Severus e Lily da soli, l’una di fronte all’altro.

Il silenzio si accomodò tranquillo a capotavola ad osservare curioso i due giovani. Lily aveva zuccherato per bene il suo the ed era intenta ad annegarvi un povero biscotto a forma di stella. Severus, dal canto suo, continuava a fissarla con occhi ansiosi, quasi imploranti.Il silenzio si protese in avanti per osservare meglio i volti dei due ragazzi, per guardare le loro labbra, ma non per paura di essere sfrattato… no, lui voleva essere scacciato. Voleva che quei due giovani si parlassero… erano stati così tanto tempo lontani, non era giusto che, ora che finalmente si erano ritrovati, nessuno dei due avesse il coraggio di rivolgere la parola all’altro.

Si alzò da tavola avvicinandosi a Lily che continuava a intingere i suoi biscotti nel the ben sapendo che Severus la stava guardando, eppure non aveva il coraggio di alzare gli occhi e incontrare di nuovo quella tristezza oscura che non aspettava altro che penetrare nelle sue iridi chiare e precipitare giù come una gelida tormenta di neve a congelare il suo cuore. Aveva paura di quegli occhi neri, semplicemente perché sapeva che era fatta di colpa quella lama gelida che le penetrava nelle carni quando incontrava lo sguardo del ragazzo. Il silenzio si chinò su di lei, posò delicatamente la mano inesistente sotto al mento della ragazza e la costrinse, con gentilezza, ad alzare il capo. Gli occhi di Lily si scontrarono con l’ossidiana di quelli di Severus formando un freddo ponte fra loro due, tuttavia le labbra di entrambi erano ancora serrate, cancelli impenetrabili delle rocche delle loro anime.

Il silenzio non poteva ancora ritenersi soddisfatto. Balzò sul tavolo ponendosi tra i due giovani; guardò prima l’una, poi l’altro, quindi aprì le braccia andando a sfiorare con le sue dita d’aria le labbra di entrambi. Passò i suoi polpastrelli su di esse, solleticandole… non possedeva le chiavi per aprirle, ma poteva sempre scassinarne le serrature con le sue dita informi.

Costrinse i due ragazzi ad aprire le labbra e richiamò le parole dal profondo accennando loro, richiamandole con un cenno delle mani affusolate.

“Senti, Sev…”

“Lily, io…”

Le due voci si riversarono sul ponte di sguardi scontrandosi tra loro come onde e il silenzio ne venne investito, svanendo in un sospiro.

I due ragazzi sorrisero. Poi Lily prese la parola: “Sev, io… mi dispiace.”

Severus allargò il sorriso. Buffo, erano le stesse parole che stava per dire lui.

“Non c’è nulla di cui tu debba dispiacerti, Lily. Avevi ragione: la colpa è mia.” Disse, e il sorriso svanì dalle sue labbra.

“No, no. Non dovevo dirti quelle cose. Severus… mi hai salvato la vita, avrei dovuto essertene grata e invece ho saputo solo insultarti. Non avevo alcun diritto di incolparti per la morte di James. Io…” Lily non sapeva bene cosa dire, sapeva solo che le dispiaceva… solo che le dispiaceva.

“Ho abbandonato laggiù tuo figlio, Lily.” Le ricordò Severus, amaramente.

“Ma mi hai salvato. Se tu non fossi venuto…- Si bloccò- Se tu non fossi venuto ora sarei in una bara insieme con James e, probabilmente, anche con Harry.”

“Non sappiamo se Harry è vivo, Lily.” Disse obiettivamente Severus.

“Non importa. La speranza c’è… ed esiste per merito tuo.” Lily gli sorrise, ma ottenne in cambio soltanto un ennesimo sguardo amaro.

“Grazie.- Disse Lily.- Credi che possiamo tornare ad essere amici?”

Amici… sì, certo che potevano tornare ad esserlo. Severus non chiedeva altro. Le sorrise e annuì.

“Certo che possiamo.” Disse.

Lily sorrise. Non era sola. Finalmente lo aveva capito… e nemmeno Severus sarebbe più rimasto solo: lei sarebbe rimasta accanto a lui. Glielo doveva. Con il sorriso ancora sulle labbra, la giovane tornò a sorseggiare le ultima dita di the rimaste nella tazza.

Un ticchettio nervoso giunse improvvisamente alle orecchie dei due ragazzi. Severus allontanò lo sguardo dal viso di Lily e lo portò sulla finestra che si trovava alle spalle della ragazza che si era voltata nello stesso momento.

Un vecchio gufo reale dagli occhi acquosi, bussava irritato contro il vetro. Teneva nel becco una lettera ripiegata.

Severus si alzò da tavola e andò ad aprire la finestra.

“Buongiorno, Anacleto**.” Disse il ragazzo mentre il grosso gufo entrava nella sala e planava lentamente sul tavolo proprio davanti a Lily.

La ragazza lo guardò e il grande rapace la osservò di rimando incuriosito da quella nuova ospite.

“Lei è Lily. –Spiegò Severus al gufo, mentre richiudeva la finestra ricacciando l’aria umida all’esterno. –Starà da noi per un po’.”

L’uccello non parve molto soddisfatto di udire quelle parole, squadrò ancora Lily da cima a fondo, diffidente, quindi fu distratto da Severus che gli stava accarezzando dolcemente il capo piumato.

“Lui è Anacleto.- Disse Severus a Lily. –E’ un vecchio brontolone… ed estremamente sospettoso.” Il gufo lo guardò male all’udire quelle parole, ma consegnò la lettera al giovane che si sedette sulla sedia vuota accanto a Lily e la aprì sotto lo sguardo incuriosito della giovane.

“E’ di Silente.- La informò Severus, mentre faceva correva gli occhi sulla calligrafia inclinata del preside.- Oggi pomeriggio verrà qui Minerva. Non voglio sapere come ha fatto Albus a convincerla… ma lo conosco abbastanza da sapere che Minerva avrà un diavolo per capello. Sarà bene non irritarla troppo, quando arriverà.” Concluse con un sorriso furbo.

Lily ridacchiò, sapeva bene anche a lei quando potesse essere persuasivo Albus Silente. Severus la guardò e sorrise, era contento di aver ritrovato la sua amica… e Lily, da parte sua, era felice di poter ridere di nuovo con Sev. Si guardarono, complici. Sarebbe stato bello ritornare alla loro vecchia amicizia, avrebbero passato bei pomeriggi, forse avrebbero potuto allonatnare per un po' l'angoscia di quei giorni, insieme a Minerva ed a Brix.

E fu proprio la voce di Brix ad interrompere il loro gioco di sguardi, sbraitando: “Che ci fa il gufo sul tavolo?”
 

*******

 

Piccole precisazioni:

* Queste sono le parole di una canzone della versione delle Fiabe Sonore della favola di Fata Piumetta (adoro le Fiabe Sonore, ho ancora tutti i dischi in vinile di mia madre… che belle!)

** Piccolo tributo al mitico gufo di mago Merlino nel film Disney “La Spada nella Roccia”. Film che ho sempre amato e in cui il mio personaggio preferito, oltre alla magnifica, splendida Maga Magò, è proprio l’indimenticabile Anacleto!

Finite le precisazioni…
 

Fiuuuuu… che sudata per questo capitolo, mamma mia! E infatti l’ho postato un po’ in ritardo e mi scuso. Comunque ne valeva la pena: il dialogo tra Albus e Minerva è impagabile! E Lily, finalmente, ha teso la mano a Sev… era ora!

La parte del silenzio è da malati di mente, lo so! Non so da dove diavolo sia saltata fuori, però è venuta carina, no?

Vabbè, basta ciarlare!

Mi aspetto, come al solito, un fiume di recensioni… per cui fatele fumare quelle tastiere!
 

ALLA PROSSIMA, POPOLO!
 
  

 

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Capitolo 8
*** Minerva McGranitt ***


Capitolo 8
 

MINERVA MCGRANITT


 

L’uomo vestito di scuro avanzava svelto lungo i corridoi di quel nero maniero. Gli occhi di tutti gli abitatori delle ombre erano fissi su di lui, ne sentiva i sospiri quasi astiosi, percepiva le loro mani tendersi nel vuoto nel tentativo di afferrare il suo mantello, opprimenti dittatori figli della tenebra. Si univano alle fiamme fatue delle torce ballando con loro, avvinghiandosi ad esse a diventare un tutt’uno e quelle ispirazioni vermiglie che avrebbero dovuto portare luce diventavano le guardie fedeli di quegli spiriti oscuri, i fedeli maggiordomi, i guardiani delle chiavi di quel regno d’ombra.  L’uomo continuava a camminare in fretta, il suono ritmico dei suoi stivali scandiva invisibili secondi lasciandoli poi in pasto a quelle fiere affamate che continuavano ad osservarlo vogliose. Passò accanto ad una finestra completamente mimetizzata tra le ombre, gli scuri chiusi legati da infiniti fili di ragnatele. Due grossi ragni neri se ne stavano tranquilli avvolti dalle loro morbide tele in attese che le prede cadessero nella loro bianca trappola.

L’uomo inarcò le labbra in una smorfia di disgusto: ancora non si capacitava come si potesse fare di una dimora elegante qual era Villa Riddle un tale covo di oscurità e ragni. Potevano almeno spolverare qualche volta. 

Quartier generale dei Cavalieri di Valpurga*… che razza di nome, poi!  Molto meglio Mangiamorte, come li chiamavano tutti.

Eppure la potenza oscura e la grandezza che emanavano quelle sale erano percepibili e lui era fiero di far parte della cerchia più intima che attorniava il signore di quelle ombre, il vero re delle tenebre che si compiaceva della vicinanza di quegli spiriti tetri e depravati, memorie di tempi antichi quando la tenebra era l’unica indiscussa signore del mondo, servi silenziosi e veneratori dalla potestà del signore che abitava quella casa, resi impuri eppure grandiosi dalla sua presenza e dalla sua magia.

L’uomo si fermò improvvisamente dinnanzi a una grande porta nera guardata a vista da due fiaccole osservatrici. Ecco, ora veniva la parte difficile…

Alzò la mano destra tendendola verso i battenti neri sentendo gli occhi di fuoco delle guardie sussurranti fissi su di sé a seguire ogni suo movimento. Si bloccò traendo un profondo respiro.

“Entra.” Disse una voce gelida da al di là della pesante porta. I battenti di questa si aprirono di scatto lasciando l’uomo immobile ancora con la mano levata nell’intento di bussare.

La sala che ora si mostrava a lui era piuttosto vasta e invasa dalla luce del giorno a differenza del resto del maniero. Tutto mostrava uno stile gotico, longilineo, duro. I sospiri e gli occhi famelici che si spandevano per i corridoi lì erano banditi, quella sala era un buco vuoto dove non regnava altro che il potere e il silenzio.

Lui era lì. Le mani strette dietro la schiena avvolta dal suo solito mantello nero. Immobile presso la finestra, guardava fuori verso un mondo a cui era completamente estraneo.

“M-Mio signore…” Balbettò l’uomo per attirare la sua attenzione. La porta alle sue spalle si richiuse di scatto facendo echeggiare il suo congedo cupo in tutta la casa. L’uomo sobbalzò facendo scattare gli occhi azzurri alle sue spalle.

Dopo un attimo tornò a posare lo sguardo sulla sagoma nera innanzi alla finestra. Si inumidì le labbra prendendo un lungo respiro: “Mio signor..”

“Sei in ritardo, Lucius.” Disse l’uomo alla finestra con la sua voce sibilante, interrompendolo. Si voltò mostrando un viso pallido, bianco umano e non umano. Occhi rossi come il fuoco brillavano in esso, scintille inestinte di un potere astuto.

Lucius chinò il capo, desolato, mentre Voldemort liberava le lunghe mani dalla loro stessa stretta dietro la schiena e faceva qualche passo nella sua direzione, il lungo mantello che lo seguiva aleggiante come la marea di un oceano nero.

“Porti notizie spero. Sì?” Fece il Signore Oscuro puntando i suoi occhi carmini in quelli cerulei dell’altro costringendoli ad alzarsi verso di lui.

“Mio signore…- Lucius prese fiato,- ancora, purtroppo non sappiamo…”

“Via, Lucius… -lo interruppe Voldemort con voce vellutata, -quale vantaggio avrei mai io ad avere notizia di ciò che non conoscete? Io voglio sapere ciò che sapete!” Esclamò poi duramente.

“Ciò che sappiamo…- Ripetè Malfoy riunendo i pensieri, -Ciò che sappiamo è che l’Ordine sta cercando il bambino, mio signore.”

Una scintilla scoppiò nelle iridi fiammeggianti dell’altro. “Lo stanno cercando, eh?” Disse mentre un sorriso sbilenco inarcava le sue labbra sottili.

“Sì, mio signore. Alastor Moody, Remus Lupin e Sirius Black sono sulle sue tracce.” Lo informò Lucius.

Voldemort scoppiò in una risata gelida. “Un auror squilibrato, un lupo mannaro e un cagnaccio buono solo a mettersi nei guai! E così che il vecchio Barbabianca pensa di poter trovare il bambino?”

Il Signore Oscuro fece vagare il suo sguardo verso la finestra: “Ma sì! Lasciamo che si divertano con la loro caccia al tesoro! Finchè sono lì fuori a cercare il marmocchio non mi sono tra i piedi. E poi, loro non sanno. Beata ignoranza!” Disse, quasi tra sé e sé, ridacchiando.

“Mio signore?” Disse Lucius, desideroso solo di potersene andare. Ormai ciò che doveva dire l’aveva detto e aspettava solo di essere congedato, ma le sue aspettative furono deluse.

Voldemort portò nuovamente gli occhi su di lui, la sua espressione tornata malvagia e truce.

“Notizie del nostro Severus?” Gli domandò.

Lucius fu colto nel vivo da quella domanda, eppure se l’era aspettata. Non si prospettavano tempi facile per il suo amico Severus. Voldemort era furioso. Mai era successo che un suo seguace, e della cerchia più stretta per di più, lo tradisse così apertamente.

Lucius sapeva che il Signore Oscuro aveva riposto grandi aspettative in Severus. L’aveva accolto al suo fianco e gli aveva insegnato lui stesso, lo aveva messo a parte di molti segreti delle Arti Oscure… quella notte, però, Voldemort era stato colpito duramente. Era furibondo. Si erano tutti tenuti alla larga da lui nelle ore successive. Lucius temeva per la sorte del suo amico, sperava solo che la rabbia di Voldemort contro quello che era stato per due anni il suo pupillo si alleviasse e permettesse a Severus di uscire allo scoperto.

“N-no, mio signore. Nulla.” Rispose Malfoy.

“Né sue né della ragazza? La Evans?” Lo incalzò Voldemort sussurrando e avvicinando il suo viso a quello del Mangiamorte.

Lucius scosse la testa abbassando gli occhi. Si sentiva tirato in causa insieme col nome del suo amico, sperava solo che il Signore Oscuro mettesse da parte il suo astio verso Severus.

Voldemort, da parte sua, vedeva chiaramente il disagio del suo servo non appena toccava quel tasto. Sapeva della profonda amicizia che aveva sempre legato Lucius a Severus, lo sapeva molto bene. Scrutò ancora per qualche attimo il volto del giovane uomo che aveva davanti a sé, in silenzio.

“Ah!” Esclamò poi d’un tratto facendo sobbalzare Lucius.

Rise. Una risata forte gelida. “Silente pensa di poterli nascondere a me? Folle!” Gridò poi, la sua voce improvvisamente carica di rabbia.

Voldemort si voltò di scatto andando a sedersi sul grande trono all’estremità della sala. Lui era il re, il signore indiscusso dell’oscurità, il dittatore, il monarca delle ombre! Si era sempre sentito invincibile, fiero della sua stretta sui collari dei suoi servi ed ora il suo principe nero l’aveva tradito, colui che aveva preso sotto la sua ala vedendo chiaramente il suo potere e le sue capacità.

Lui gli aveva insegnato. Lui gli aveva mostrato. E come era stato ripagato? Con il tradimento, la lurida moneta degli ingrati. Si chiese, per un attimo, per quanto tempo Severus lo avesse disertato, abbandonando la sua ombra protettiva e spingendosi oltre i confini del suo regno per incontrarsi con i combattenti della luce. Sporco traditore! 

Voldemort si portò una mano al mento con fare pensieroso. Il suo principe ora combatteva contro di lui… era stato svelto a cambiare schieramento, il ragazzo… Era stato svelto a ripudiare i suoi vessilli per gettarsi tra le braccia di Albus Silente. Albus Silente! Il benamato preside di Hogwarts, il grande mago che non faceva altro che ripetere quella stupida tiritera sull’amore! Che cosa aveva Silente che lui, Lord Voldemort, il Signore Oscuro, il più potente stregone oscuro di tutti i tempi non aveva? Stupido ragazzetto. Si sarebbe pentito di averlo gettato da parte come uno straccio logoro! Lo avrebbe trovato, sì… presto. E conosceva la persona adatta a consegnarglielo.

Alzò lo sguardo verso Lucius e sorrise sadico. “Trovali.” Ordinò.

Malfoy si sentì raggelare. Chiuse gli occhi per un attimo, poi li riaprì il tempo necessario per inchinarsi e voltare le spalle al suo signore. I battenti della porta si riaprirono per farlo passare e Lucius uscì nel corridoio ringraziando il cielo nel ritrovare quel buio prima così opprimente, ma in confronto al silenzio attonito che regnava nella corte del Signore Oscuro, in confronto al suo vermiglio sguardo indagatore, i bisbigli e gli occhi della schiera nera che abitava i corridoi era le parole di conforto e gli sguardi rassicuranti di vecchi amici.

Si appoggiò stancamente al muro freddo passandosi una mano sugli occhi. E così ora aveva un’altra bella gatta da pelare… come se la prima non fosse già sufficiente. Sospirò. E ora che doveva fare? Non poteva rifiutarsi di cercare Severus: il Signore Oscuro non gli avrebbe neanche lasciato finire la frase. No, doveva trovarlo o lui e la sua famiglia ne avrebbero pagato il conto.

***

“Anacleto!” Sbraitò Brix mentre cercava di scrollarsi di dosso il grosso gufo che aveva preso di mira il suo vassoio con i biscotti. “Sciò, sciò!” Sollecitò il gufo ad andarsene agitando la mano.

Anacleto lo guardò indispettito per un attimo poi rubò un biscotto e spiccò pigramente il volo andando ad appollaiarsi sullo schienale di una delle poltrone del soggiorno dove era seduto Severus senza smettere di fissare l’elfo con aria truce.

“Stupido gufo.” Borbottò Brix lanciandogli un’occhiata altrettanto gelida. Posò con poca grazia il vassoio sul tavolino ancora ribollente di rabbia verso l’uccello che ora stava sgranocchiando pigramente il biscotto riempiendo di briciole la poltrona sul cui schienale era appollaiato. Severus si scansò un poco per evitare di ricevere la pioggia di bruscoli sulla sua spalla. Lily, seduta davanti a lui, sorrideva.

“E voi due!- Brix lanciò un’occhiata torva ai due ragazzi, -Non azzardatevi a mangiare un solo biscotto! Minerva dovrebbe arrivare a breve e vorrei avere qualcosa da offrirle.”

Lily e Severus si scambiarono un’occhiata subito intercettata dall’elfo che sbuffò.

“Quanto a quel gufo.- aggiunse poi indicando Anacleto,- Ha già avuto la sua razione per cui basta!” Concluse rivolgendo un’occhiata turpe a Severus.

“E mi aspetto anche che vi scambiate qualche parola, ragazzi! Sembrava di fare pranzo con due zombie poco fa! Quello che vi siete detti a colazione ha stancato così tanto le corde vocali da impedirvi di parlare ancora?” Continuò l’elfo facendo saltare lo sguardo dall’uno all’altro.

In realtà Lily aveva cercato più volte di far discorrere Severus, ma i risultati erano stati ben miseri e così aveva rinunciato quasi subito. Ricordava quanto il ragazzo fosse taciturno anche a scuola, ma ora cavargli una parola di bocca da parte sua era diventata un’impresa. Eppure sentiva che Severus aveva molte cose da dirle, voleva parlare con lei, ma c’era qualcosa, un blocco, un ostacolo che gli impediva di esprimersi come avrebbe voluto, un setaccio che bloccava tutte le parole complesse e lasciava filtrare solo i monosillabi. In parte Lily pensava che fosse lei stessa, la sua presenza a creare quel blocco in quanto con Brix il ragazzo parlava abbastanza fluidamente.

Fuori aveva cominciato a piovere appena avevano finito pranzo trasformando il bel manto bianco e vaporoso in una gelatina bagnata e grigia. Lily odiava tremendamente quando si metteva a piovere con la neve… le faceva montare il nervoso e forse era stato proprio il tempo a mettere un po’ tutti di cattivo umore e a renderla più taciturna.

Si erano spostati in soggiorno in attesa della professoressa McGranitt che sarebbe dovuta arrivare di lì a poco. Brix l’aveva fatta accomodare accanto al camino sul morbido divano e Severus si era seduto sulla poltrona davanti a lei ed ora la osservava come se volesse farle intendere qualcosa che gli premeva e cercava di farglielo capire attraverso il suo sguardo nero, ma Lily non riusciva a scandagliare con successo quel mare oscuro… vedeva piccoli zampilli muoversi some fantasmi in esso, ma nulla di più. Quegli occhi erano un labirinto senza luce e lei non faceva altro che vagliarne i muri esterni temendo di perdersi se fosse scesa più in profondità o, forse, temendo quello che avrebbe potuto trovarvi.

Brix si lasciò sfuggire un lungo sospiro, poi voltò loro le spalle e si allontanò balzellando verso la sala da pranzo.

Lily allontanò lo sguardo, per un attimo catturato dal movimento dell’elfo, per posarlo nuovamente su Severus. Il ragazzo stava fissando le fiamme del camino, i suoi occhi invasi dai riflessi dorati e perduti in essi.

“Sev?” Provò a chiamarlo, ma il giovane non dette segno di averla sentita.

“Sev?” Lo chiamò più forte. Questa volta Severus si girò senza fretta verso di lei in un gesto di una lentezza estenuante. La guardò interrogativo.

“Che cosa facciamo oggi?” Gli chiese Lily sorridendo. Era la domanda che gli rivolgeva sempre a scuola quando erano due amici inseparabili.

“Quello che vuoi tu, Lily.” Gli rispose Severus con voce atona. Era la risposta che le dava sempre a scuola quando lei gli rivolgeva quella domanda.

Lily accavallò le gambe e cominciò ad agitare il piede che si trovava sollevato da terra. Alzò gli occhi verdi al soffitto, pensierosa.

“Non so che cosa si può fare in questa casa. Dammi delle possibilità.” Lo incitò. Severus la guardò cupo poi tornò a guardare le fiamme danzare indifferenti nel caminetto.

“Non c’è molto da fare, qui.” Le rispose dopo un po’ senza alzare lo sguardo verso di lei.

“Tu cosa fai di solito?” Gli domandò allora Lily protendendosi in avanti verso di lui.

“Io…” Cominciò Severus, ma poi si bloccò. Cosa doveva risponderle? Che passava le sue giornate a ripensare al male che aveva fatto e che aveva subito? Che passava il suo tempo ad auto flagellarsi nel suo dolore? Che passava le ore a pensare a lei da quando se n’era andata?

“Leggo.” Concluse poi cercando di allontanare quei pensieri.

Lily lo guardò incuriosita, e qui la domanda fu d’obbligo: “Che cosa leggi?”

Severus la guardò scocciato. Ma perché voleva a tutti i costi intraprendere una conversazione? Non capiva che voleva essere lasciato in pace?

“Questo e quello.” Rispose brusco cercando di interrompere le domande di Lily con un tono duro. Si volse rapidamente verso di lei e la ragazza rimase quasi spaventata da quello sguardo: sembrava quello di un animale costretto all’angolo che non ha più modo di difendersi se non attaccare. Ne rimase turbata, tuttavia non aveva intenzione di mollare la presa, voleva farlo conversare… spingerlo ad aprirsi un pochino di più. Non riconosceva più il suo vecchio amico, si era ripiegato su sé stesso talmente tante volte da rendersi irriconoscibile.

“Allora? Cosa facciamo oggi?” Disse Lily tornando alla carica dopo un attimo di incertezza.

“Aspettiamo Minerva.” Rispose Severus, la sua voce tornata triste e monocorde.

Lily sollevò un sopracciglio accompagnando il movimento con un sorriso.

“Ottima attività.” Osservò. Quindi tornò ad appoggiarsi allo schienale imbottito del divano. Anacleto sembrava appagato dal pasto di poco prima e ora sonnecchiava tranquillo ancora appollaiato sullo schienale della poltrona di Severus.

Passarono pochi minuti prima che qualcuno bussasse furiosamente alla porta dell’ingresso. Brix entrò nel soggiorno di corsa.

“Minerva!- Esclamò mentre passava affianco ai due giovani per dirigersi all’ingresso, -Pensavo sarebbe arrivata con la Polvere Volante!”

Si affrettò verso la porta ancora squassata di colpi e la aprì di scatto trovandosi davanti una Minerva McGranitt imbacuccata in un mantello fradicio tutta stretta sotto a un piccolo ombrello grigio che la riparava a malapena dalla pioggia battente e con una borsa sotto braccio. L’espressione sul viso dell’anziana professoressa non lasciava presagire nulla di buono.

Richiuse l’ombrello di scatto e lo gettò con stizza nel portaombrelli entrando in casa mentre Brix richiudeva la porta e prendeva in consegna la borsa.

“Prego, entra. I ragazzi sono in soggiorno.” Disse l’elfo gentilmente aiutandola a togliere il mantello e la sciarpa.

“Ragazzi!- Ripetè stizzita la McGranitt. –Venticinque anni! Insegno in quella scuola da venticinque anni! Ed ora mi ritrovo a fare la baby-sitter!” Stava ancora finendo la frase mentre entrava nel soggiorno trovandosi davanti i due giovani in piedi ad accoglierla. Anacleto, risvegliato di soprassalto dalle urla della professoressa la guardava contrariato con i suoi grandi occhi ambrati.

Minerva sbuffò, ancora tremendamente irritata con Silente. “Non ce l’ho con voi, sia ben chiaro!” Disse loro bruscamente aggiustandosi gli occhiali sul naso arcuato.

“Allora, signorina Evans?” Domandò poi alla ragazza che la guardava con un mezzo sorriso.

Lily rimase spaesata per un attimo, le sembrò di essere tornata a scuola ed avere di fronte la sua professoressa di trasfigurazione nel pieno di un’interrogazione.

Minerva la guardò per un attimo attendendo una risposta che non arrivò mai.

“Allora, come sta?” La pungolò la professoressa con il tono seccato che solita usare quando uno studente non rispondeva subito ad una sua domanda.

La ragazza si riscosse all’udire quel tono di voce.

“Bene. –Rispose accennando un sorriso. –Bene, grazie.”

Minerva parve soddisfatta della risposta perché allargò la sua visuale facendo scattare il suo sguardo anche su Severus.

“Spero vi rendiate conto del pericolo in cui vi trovate. –Disse rivolgendosi ad entrambi. –E penso sappiate per quale motivo mi trovi qui. Il preside vuole che mi assicuri che nessuno di voi due faccia cose stupide… per cui toglietevi dalla mente qualsiasi pensiero rientri in questa categoria.” Sospirò guardando i due ragazzi con occhi gelidi. Severus e Lily si scambiarono un’occhiata furtiva quindi annuirono. La professoressa mosse la testa in un gesto secco, compiaciuta.

“Dov’è finito quell’elfo?” Domandò con stizza guardandosi intorno.

Brix sbucò da dietro l’angolo, gli occhi color nocciola che risplendevano alla luce del camino.

“Oh, eccoti. –Disse la McGranitt, ancora con un diavolo per capello. –Brix, dov’è la mia borsa?”

“L’ho portata di sopra, madame, nell’ufficio di Albus così potrai lavorare con calma se hai bisogno.” Rispose l’elfo avvicinandosi.

“Non nominare quel Barbablù!” Sbottò improvvisamente la McGranitt facendo sobbalzare il povero elfo.

“Cos’è successo?” Si intromise Severus rivolto alla donna. Minerva lo fulminò con lo sguardo.

“Lascia perdere! Se anche solo penso a quell’orco rischio di far esplodere qualcosa!” Gli rispose.

Brix, alle spalle della professoressa, stava trattenendo a stento una risata. Di ben altro avviso erano i due giovani posti proprio davanti agli occhi dardeggianti di Minerva che trovavano la situazione ben poco divertente.

“Sedetevi, sedetevi.” Disse Brix allegro prima di sparire verso la cucina.

I due giovani tornarono ad accomodarsi nei loro posti mentre Minerva si sedeva sul divano, di fianco a Lily.

“Chi mi sostituisce a scuola?” Domandò Severus alla professoressa.

Minerva prese un respiro profondo cercando di calmarsi.

“Il professor Lumacorno.” Rispose poi, laconica.

Severus aggrottò le sopracciglia: “Pensavo che soltanto un cataclisma avrebbe potuto convincerlo a tornare dalla pensione.”

“Albus Silente è un cataclisma.” Disse Minerva.

Lily sorrise a quelle parole e si voltò verso la sua ex-insegnante. “Qualcuno è mai riuscito a dirgli di no?” Chiese con un leggero riso ad incresparle le labbra.

“Se qualcuno c’è l’ha fatta, beh mi piacerebbe stringergli la mano. Dovrebbero dargli l’Ordine di Merlino per questo.” Rispose la professoressa.

In quel mentre tre tazze di the fumante arrivarono volando per poi posarsi dolcemente sul tavolino accanto ai biscotti.

Brix le seguì a breve portando la zuccheriera e il latte.

“Ecco qui. –Disse l’elfo baldanzoso. –Due the normali e uno con il limone. Dico bene Lily?” Disse scoccando un’occhiata alla giovane.

“Sì. Perfetto.” Rispose quella.

Minerva agguantò subito la sua tazza versandovi una buona dose di latte e buttandoci dentro un cucchiaino di zucchero. Bevve un sorso bollente e si sentì subito meglio. Le sue vesti umide si stavano asciugando velocemente al calore del caminetto e il suo nervoso stava lentamente scemando. Dopotutto, si era sempre trovata bene in quella casa, Brix era sempre allegro e cortese e andava d’accordo anche con Severus, lo studente più brillante della scuola, suo allievo ed ora suo collega. L’aveva visto crescere, da quando aveva undici anni quando gli aveva messo sul capo il Cappello Parlante, sino a quella notte di un anno prima quando si era presentato ai cancelli di Hogwarts a chiedere l’aiuto di Silente. Non l’aveva quasi riconosciuto allora. In quel giovane devastato che aveva avuto davanti non era riuscita a vedere il ragazzo taciturno e solo che conosceva. Il male aveva scavato profondamente dentro di lui.

“Come mai non ha usato la Polvere Volante?” Domandò Severus sorseggiando il suo the e facendo tornare la professoressa dai suoi viaggi di pensieri. Brix si era accoccolato sul divano al suo fianco, l’unico posto rimasto libero.

“Il fenomeno ha requisito quella poca che avevo per andare a Londra.” Disse Minerva più calma.

“Hanno avuto qualche notizia di Harry?” Domandò Lily, speranzosa.

Minerva scosse il capo, desolata.

“Mi dispiace, Lily. Da quello che so hanno rastrellato in lungo e in largo tutta Godric’s Hollow. Del piccolo Harry non c’è traccia. La cosa più probabile, a questo punto, è che sia nelle mani dei Mangiamorte.” Disse tristemente.

“Ma non può trovarsi a casa di qualcuno?” La incalzò Lily.

“E di chi?- Intervenne allora Severus.- Ponendo come punto fermo che il bambino si è smaterializzato, se si fosse portato a casa di qualcuno doveva essere qualcuno che conosceva.”

Lily spostò lo sguardo su di lui: “Beh, lui conosceva Remus e Sirius.” Disse.

“A casa di Lupin non è arrivato. Remus ne ha controllato ogni angolo.” Rispose la McGranitt continuando a sorseggiare il suo the.

“E da Sirius?” Domandò Lily pur sapendo di ricevere probabilmente la stessa risposta. Rimase stupita dal silenzio che era piombato su di loro.

“Sirius non ha controllato, a dire il vero. E’ partito come un razzo appena Malocchio è andato a chiedergli di unirsi a loro nella ricerca.” Rispose la McGranitt pensierosa.

Severus si lasciò sfuggire una risata gelida: “Ah! Ci manca ancora che il cagnaccio abbia il bambino in casa! Dico, ma si può essere più stupidi?”

La professoressa sollevò un sopracciglia annuendo in un muto accordo: “Sì, in effetti sarebbe da Sirius una cosa del genere. Meglio dire ad Albus di controllare a casa di Black.”

“Ci pensi tu, Brix?” Chiese Severus all’elfo che balzò giù dal divano.

“Certamente!” Rispose. Poi si rivolse al gufo tornato a sonnecchiare tranquillo: “Anacleto. Anacleto!” Sbraitò cercando di svegliarlo. L’uccello aprì un occhio fulminandolo, ma poi la mano di Severus che gli accarezzava il petto piumato lo convinse a dar retta all’elfo.

“Vieni, c’è un lavoro per te.” Disse Brix e si allontanò mentre il gufo lo seguiva in volo. Lily li osservò entrambi andar verso le scale con un sorriso speranzoso stampato sul bel volto.
 

*******
 

* I Cavalieri di Valpurga, o per meglio dire Knights of Walpurgis, è il nome originale dei Mangiamorte prima che la Rowling lo cambiasse, appunto, in Mangiamorte. Era un nome che mi piaceva troppo per non utilizzarlo!

Uh, sono un po’ in ritardo! Perdono, ma domenica sono andata al cinema a vedere "Harry Potter e i Doni della Morte" Parte 2, per la seconda volta (e per la prima volta in italiano)! Chiedo umilmente perdono, sono stata distratta!

D’accordo, riguardo a questo capitolo… la parte di Voldemort è stata dura da scrivere e spero di aver fatto un buon lavoro. E’ un po’ gelosetto lo zio Voldy, eh?

E povero Malfoy, costretto a dare la caccia al suo migliore amico.

La parte della McGranitt è stata, ovviamente, la più divertente da scrivere. Quella donna è un mito!

E Harry? Sarà a casa di Sirius? Mistero!

Lo so: sono cattiva!!!
 
 
 
  

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Capitolo 9
*** "Assolutamente ed inequivocabilmente no!" ***


Capitolo 9
 

"ASSOLUTAMENTE ED INEQUIVOCABILMENTE NO!" 


 

Lucius Malfoy si appoggiò stancamente  al tronco di uno dei primi alberi della Foresta Proibita e si lasciò scappare una smorfia di disgusto mentre i suoi occhi cilestrini si posavano sul possente castello di Hogwarts, le finestre illuminate appena visibili attraverso la cortina della pioggia battente, schiere irate e urlanti che facevano echeggiare nell’aria i loro versi ferini mentre sbattevano violentemente contro il pesante mantello dell’uomo e sul cappuccio che gli nascondeva parzialmente il volto.

Il Mangiamorte continuò a far scorrere i suoi occhi sulla scuola. Da quello che aveva saputo attraverso la Gazzetta del Profeta, il professor Lumacorno era tornato a tenere il corso di pozioni prendendo il posto del ventunenne professor Piton che, a quanto era stata detto, aveva dovuto ritirarsi per motivi di salute. Patetico… la scusa più vecchia del mondo. Quello che però Lucius ancora non era riuscito a scoprire era se Piton si trovasse ancora effettivamente ad Hogwarts oppure no.

Doveva riuscire a trovare il modo di scoprirlo, anche se immaginava che Severus non si trovasse più lì, doveva essere certo che fosse così. Le ultime notizie gli avevano riportato che Piton si era diretto ad Hogwarts dopo aver salvato la Sanguesporco. Se si trovavano ancora lì, probabilmente qualche studente lo sapeva… nascondere due giovani feriti in una scuola in cui si muovevano quasi mille studenti non era così facile, neanche per uno come Silente.

Doveva trovare il modo…

La pioggia continuava a cadere copiosa infradiciando il suo mantello nero e permeando attraverso al cappuccio bagnando i lunghi capelli biondi sulla fronte. Gocce calde cominciarono a scendere lungo il suo viso colando da quelle ciocche chiare ormai attaccate alla sua pelle pallida mentre gli occhi continuavano a fissare pensierosi il castello.

Ripassò mentalmente il breve articolo che aveva letto sulla Gazzetta, alla pagina dedicata alla scuola:

“Ritorno del professor Lumacorno a Hogwarts.
L’ex insegnante di Pozioni, pensionatosi l’anno scorso, torna ad occupare la cattedra.”

Ritorno del professor Lumacorno…

Il professor Lumacorno…

Ma certo! Lumacorno! Perché non ci aveva pensato subito?! Era ovvio che il suo ex insegnante era a conoscenza di tutta la storia… Silente non avrebbe avuto alcun’altra possibilità di convincerlo a tornare se non dicendogli la verità, forse colorendola un po’, ma pur sempre la verità. Lucius sapeva bene quanto era cocciuto il ex professore di Pozioni e lo sapeva anche Silente. E conosceva anche la sua passione per il Whisky Incendiario di Madama Rosmerta… Già. L’unico problema era convincerlo a parlare con lui: Lumacorno non si sarebbe certo seduto volentieri a un tavolo dei Tre Manici di Scopa a bere Whisky insieme a qualcuno accusato di essere un Mangiamorte. Forse, però, lui poteva ancora contare sul suo ascendente sul professore, se fosse riuscito a ottenere un incontro con lui fuori da Hogwarts sarebbe stato a cavallo… e poi era abile con la maledizione Imperius nel caso ce ne fosse stato bisogno.

Poteva giocare sul fatto che la sua appartenenza al circolo più ristretto dei seguaci di Voldemort non fosse mai stata accertata.
Avrebbe dovuto dare fondo a tutte le sue abilità di commediante per ottenere qualcosa da Lumacorno. Ma lui era un ottimo simulatore, dopotutto.

***

Egregio prof. Lumacorno,

Ho saputo che ha ripreso l’insegnamento alla beneamata scuola di Hogwarts. Da molto cerco di contattarla, ma non ho mai avuto modo di reperirla.

So cosa starà pensando mentre legge queste righe: perché dovrebbe fidarsi di uno che è sospettato di far parte delle Sue fila? Voglio essere sincero con lei. Voglio chiedere il suo consiglio, ma non posso espormi troppo scrivendo tutto in una lettera. Intendo rassicurarla… non mi sto rivolgendo a lei nelle vesti del Mangiamorte che mi accusano di essere, semmai in quelle di ex-allievo che cerca la sua consulenza.  Di questi tempi appartenere ad un’antica famiglia Purosangue significa anche essere subito bollati come Mangiamorte. Anche se non è vero… rimani comunque con quella sudicia accusa sulla fronte.

Quello che desidero farle pervenire con la presente è semplicemente un invito a bere qualcosa ai Tre Manici di Scopa domani sera. Cerco il suo consiglio, professore, mi sento sperduto, senza punto di riferimento, e tutti questi sospetti su di me e sulla mia famiglia... mi fanno sentire sporco, lei capisce. Ho bisogno di confrontarmi con qualcuno che non mi giudichi per il mio cognome, qualcuno che non fraintenda.

Hogsmeade rientra nella protezione di Hogwarts, per cui, come vede, non corre alcun rischio.

Io la aspetto alle diciotto di domani ai Tre Manici di Scopa. Lei è libero di non venire, non la obbligo in nessun modo.

La prego. In onore del buon rapporto che è sempre intercorso tra noi ai tempi della scuola.

Suo devotissimo,

Lucius A. Malfoy
 
Horace Lumacorno fece correre nuovamente gli occhi sulla lettera che gli era appena stata recapitata. La rilesse di nuovo tutta da capo a fondo.

Era rididcolo! Assolutamente ridicolo! Lui non voleva avere niente a che fare con quei fanatici!

Mi sento sperduto… Senza punto di riferimento! Che faccia tosta! Credeva davvero di riuscire ad ingannarlo così?

Lucius Malfoy era stato uno dei suoi studenti preferiti a scuola, Prefetto e membro del Lumaclub… sembrava un ragazzo a posto, nonostante quella esaltazione verso la purezza di sangue. Dopotutto, però, non poteva mica fare il lavaggio del cervello ai suoi allievi, eh no! Quando Lucius aveva lasciato la scuola lui aveva subito intuito quale strada avrebbe imboccato e l’aveva lasciato fare, come aveva lasciato liberi di scegliere molti altri dei suoi Serpeverde.

Le accuse che il Ministero muoveva alla famiglia Malfoy le aveva sempre ritenute veritiere. Lui comunque non aveva mai voluto esporsi, né verso una, né verso l’altra parte. A volte rimanere nella neutralità era la cosa migliore da fare. “Vivi e lascia vivere” questo era il suo motto.

Qualcuno bussò alla porta del suo ufficio e aprì la porta prima che Lumacorno potesse invitarlo ad entrare.

Silente sbucò da dietro la soglia, mentre il professore di Pozioni faceva sparire in fretta la lettera di Malfoy dentro un cassetto della scrivania, chiudendolo di scatto e pizzicandovi la povera missiva che ora faceva la linguaccia al preside sbucando per un angolo fuori dallo stipetto.

“Tutto bene, Horace?” Chiese Silente facendo scattare lo sguardo dalla lettera a Lumacorno, notando il colore porporino del volto del collega e i suoi occhi che saettavano turbati da una parte all’altra.

“Albus. –Disse Lumacorno recuperando un po’ di calma, -Che cosa bussi a fare se poi non mi dai il tempo di dire ‘avanti’?”

Silente gli lanciò un’occhiata furba chiudendo la porta senza distogliere lo sguardo trafiggente dal collega.

“Allora, Albus? –Domandò Lumacorno, -Che cosa vuoi?”

Il preside portò le mani affusolate dietro la schiena nascondendole tra le onde del suo mantello blu notte. Alzò gli occhi al soffitto come ad ispezionare ogni angolo della volta con fare indifferente.

“Oh, niente.” Disse semplicemente mentre faceva qualche passo in avanti lasciando che i suoi occhi si divertissero nell’infilarsi in ogni angolo dell’ufficio di Lumacorno con fare curioso mettendo tutto a soqquadro durante i loro giochi birbanti.

“E allora perché sei qui?” Chiese il professor Lumacorno, sospettoso.

“Oh, volevo solo passare a trovarti.” Rispose Albus mentre si appropinquava scivolando alla scrivania dell’altro nello stesso istante in cui questi premeva la schiena contro di essa cercando di nascondere quella lettera che continuava a fare le pernacchie dal cassetto. Sarebbe stato piuttosto imbarazzante per Lumacorno farsi trovare in possesso di una lettera inviata a lui da un Mangiamorte. Davvero imbarazzante.

Silente passò gli occhi sul piano della scrivania con fare noncurante. Passò le lunghe dita sulle carte lì sparse facendo corrervi sopra uno sguardo svelto. Notò alcuni compiti di pozione del quinto anno e ne agguantò uno leggendolo con finto interesse.

Lumacorno lo guardava indignato. Sapeva bene cosa significava il comportamento del preside e questo lo irritava ancora di più. Era venuto a chiedergli un favore. Questo era poco, ma sicuro. E sapeva… oh sì! Sapeva e se ne stava lì a bighellonare facendo l’indifferente.  Horace gli strappò il foglio dalle mani e lo affrontò faccia a faccia. “Ma insomma!- Ululò il Serpeverde. –Smettila di ficcanasare dappertutto! Si può sapere cosa vuoi?”

Albus lo ignorò palesemente, fingendo di non vedere il volto rosso dell’altro e il tremito nervoso dei suoi folti mustacchi, continuando a scartabellare tra le carte della scrivania. “Pensavo ti fosse giunta una lettera…”

“La mia corrispondenza non è affar tuo. Ed ora ti sarei grato se te ne andassi…” Lumacorno posò con furia il compito di Pozioni che aveva ancora in mano e indicò la porta a Silente.

“Suvvia, Horace. Sappiamo bene tutti e due che hai appena ricevuto una lettera da Lucius Malfoy.” Disse il preside smettendo di curiosare tra le carte e guardandolo serio.

Il tono di Lumacorno si fece sospettoso: “Tu come lo sai?”

“Ho intercettato un bel barbagianni dall’aspetto fiero e… Tu capisci, sono tempi difficili, non mi piace fare l’impiccione, ma sai, non si può mai sapere. Così ho richiamato il barbagianni e ho letto il nome del mittente sulla busta: Lucius Abraxas Malfoy. Ventisette anni, sposato a Narcissa Black, di un anno più giovane. Un figlio, Draco Lucius, che ha compiuto un anno lo scorso 5 giugno. Sospettato di fare parte dei Cavalieri di Valpurga.” Silente finì di snocciolare tutte quelle informazioni su Malfoy e tornò a guardare Lumacorno con occhi penetranti, spiandolo da sopra gli occhiali a mezzaluna.

“Ti ho già detto che la mia corrispondenza non è affar tuo.” Rispose irritato il professore, per nulla impressionato da tutte quelle parole, saldo sulla sua posizione.

Silente lo guardò senza rispondere, i segugi azzurri dei suoi occhi fermi, pronti al balzo.

“Voglio essere lasciato in pace. –Scandì bene Lumacorno. –Quale parte di questa frase non ti è chiara? Sei già riuscito a convincermi a tornare a insegnare, non pensare che sia disposto a farti altri favori. Soprattutto, nulla che abbia a che fare con questa guerra. Voglio essere lasciato in pace. Non sono un soldato, non sono una spia: sono un insegnante. Un insegnante che era felicemente in pensione prima che tu arrivassi a sconvolgergli la vita.”

“Non sono venuto qui a chiederti favori, Horace. –Gli rispose Silente. –Al momento voglio solo sapere cosa è scritto su quella lettera.”

“Neanche per sogno! –Esclamò Lumacorno. -E’ corrispondenza privata. Lo capisci questo aggettivo, Albus? Privata!”
No. Era già abbastanza imbarazzato dall’aver ricevuto quella missiva senza che Silente sapesse anche un Mangiamorte cercava il suo consiglio. A che scopo, poi? Insomma, lui voleva stare fuori da tutta quella baraonda che succedeva gli succedeva intorno. Stava bene nel suo limbo silenzioso… perché avrebbe dovuto esporsi?

“Nulla è privato quando si è in guerra.” Disse Silente, calmo, distogliendolo dai suoi pensieri.

“Non la mia guerra!” Esclamò di tutta risposta Horace.

“C’è poco da fare, amico mio. –Silente gli sorrise. –La guerra ci tocca tutti. Ma non ti sto imponendo di combattere in prima linea: ti sto chiedendo solo una lettera.”

“No, Albus. No!” Rispose Lumacorno.

Il preside lo guardò tristemente. I bracchi d’acqua di quelle iridi così taglienti si accucciarono mugolando mentre i loro sguardi sconsolati si posavano supplichevoli su Lumacorno.

“Horace, quella lettera potrebbe essere utile alla causa. Ricordi Lily Evans? Era una della tue studenti preferite, se non sbaglio.” Disse Albus tranquillamente.

Lumacorno si calmò un poco all’udire quel nome. Eccome se ricordava la bella Lily. Si era diplomata solo tre anni prima e con ottimi voti. Eppure, più che il suo andamento scolastico, Lumacorno ne aveva sempre apprezzata la gentilezza, la solarità, la disponibilità verso chiunque chiedesse il suo aiuto o il suo consiglio.

Sapeva. Sapeva cos’era accaduto quella sera a Godric’s Hollow. Era stato proprio Albus a parlargliene quando era venuto a casa sua a chiedergli di riprendere il suo posto come insegnante di Pozioni.

“Suo marito è morto e suo figlio è scomparso. E forse in quella lettera c’è qualche indizio… qualsiasi cosa che potrebbe metterci sulla pista giusta.” Continuò Silente impietoso.

Lumacorno lo guardò, pensieroso. Gli occhi scuri e acquosi persi nei vicoli dei suoi ricordi come poveri vagabondi in una città conosciuta, ma insidiosa e oscura.

“E Severus.” Albus non aveva intenzione di mollare la presa sulla sua preda, ora che l’aveva in pugno.

Lumacorno sussultò all’udire quel nome. Severus Piton, uno dei pochi… anzi l’unico suo allievo che non avrebbe mai voluto veder intraprendere quella via oscura su cui si era perso. Per lui valeva il contrario rispetto a Lily: Lumacorno lo aveva sempre apprezzato per le sue grandi abilità, era lo studente più brillante della scuola, ma non perché studiasse indefessamente tutti i giorni, cosa che comunque faceva, ma Lumacorno e gli altri insegnanti lo stimavano soprattutto per l’interesse che metteva in ogni branca della magia e per la sua creatività che lo portava a risolvere qualsiasi problema con il ragionamento, aggirando silenzioso l’ostacolo.  

Horace aveva conosciuto pochi studenti dotati come Severus Piton nella sua carriera… forse solo Tom Riddle. Eppure non lo aveva mai apprezzato personalmente per il suo animo schivo, astioso e silenzioso. Però ne aveva sempre ammirato la totale devozione ad ogni obiettivo che si poneva, il coraggio, l’orgoglio Serpeverde e la determinazione… la sua sete di sapere che lo aveva condotto dritto tra le fauci della tenebra.

“Voldemort gli dà la caccia…” Sibilò Albus avvicinandosi al collega.

Lumacorno trasalì puntando i suoi occhi dritti in quelli del preside.

“Non dire quel nome!” Esclamò duramente.

Albus continuò, ignorando lo scatto del professore: “Lo cerca e non si darà pace finché il tradimento non verrà ripagato con la giusta moneta.” Sussurrò.

Osservò attentamente le reazioni del collega, il suo sguardo pensieroso, la bocca semi aperta in un lungo respiro carico di sospensione. Le creature azzurre degli occhi di Silente sussultarono e un ghigno crudele si disegnò sulle loro labbra: erano pronte all’ultimo balzo.

“Vuoi forse negare a tuoi due ex allievi, a cui so che tieni, una possibilità? Forse in quella lettera c’è qualche indizio… una qualsiasi sbavatura sfuggita all’occhio attento del giovane Lucius che può rivelarci qualcosa dei piani del Signore Oscuro. Vuoi che Lui li trovi?- Chiese incalzandolo, -Vuoi questo?”

Come si aspettava Silente, Lumacorno crollò. Sospirò rassegnato quindi si voltò, dando le spalle al preside, e aprì il cassetto in cui aveva chiuso frettolosamente la lettera che tirò un sospirò di sollievo quando la sua lingua venne finalmente liberata da quella morsa.

Horace la guardò per un attimo, ancora indeciso, ma poi la tese con mano tremante ad Albus.

“Grazie, Horace.” Gli disse questi caldamente prendendo tranquillamente la lettera che gli veniva porta.

Albus aggiustò l’orecchia che si era formata sull’angolo dello scritto e cominciò a leggere con occhi veloci mentre Horace lo guardava a disagio, trattenendo il respiro.

Passarono pochi attimi duranti i quali si poterono udire chiaramente le fauci dei bracchi cilestrini divorare, affamati, le parole d’inchiostro. Dar loro la caccia, inseguirle e catturarle, appagare la loro fame d’informazioni bevendo avidi quel sangue nero che luccicava in ampie arcate nella scrittura elegante del Mangiamorte. Si soffermarono appena sulla firma, saggiandone la scrittura fluida, percorrendone le linee curve sino a perdersi nella lunga gamba della i greca per poi balzare nel vuoto con lo slancio ricevuto da quella nera coda e tornare a tuffarsi nel mare degli occhi del preside.
Albus restituì la lettera a Lumacorno che la afferrò con mani tremanti. Silente lo guardò indagatore.

“Così il nostro Lucius vuole parlare con te, eh?” Fece tranquillamente mentre Horace posava la lettera, ormai inutile, sulla scrivania e tornava a guardarlo con apprensione.

“Strano. –Osservò Albus. –Perché dovrebbe richiedere un colloquio con te?” Questa volta la domanda era concreta e Lumacorno rimase spiazzato per un attimo prima di rispondere.

“Dice di volere il mio consiglio su qualcosa.” Disse infine.

“Davvero. Il tuo consiglio…” Albus era pensieroso. Si portò una mano al mento accarezzandosi la lunga barba. Lumacorno colse una strana scintilla dimenarsi come un piccolo pesciolino d’argento nel mare azzurro degli occhi del preside, e la cosa non gli piacque affatto.

“Lucius sta cercando informazioni. –Concluse infine Silente. –Spera forse di poterle ottenere da te.” Fece notare a Lumacorno che lo guardava preoccupato.

“Da me?- Ripetè questi sorpreso. –Cosa pensa di ottenere da me? Lo sa che io sono al di fuori delle tue tresche!”

“Una fonte di informazioni interna ad Hogwarts non è mai da buttare. Lucius lo sa. Sei un bocconcino appetitoso, Horace. Con te sa di poter contare sul suo ascendente e sul fatto che tu non sappia.” Gli spiegò Silente cominciando a camminare avanti e indietro nello studio.

“Mi sembra un controsenso…” Comninciò il Serpeverde, ma Albus lo interruppe.

“No, non lo è. Come hai detto tu stesso, sei esterno alle mie tresche, ma questo non si significa che tu non sappia osservare. Lucius sa che potresti essere a conoscenza di qualcosa di importante senza che tu ne renda conto. Punta a qualcosa in particolare… temo sia sulle tracce di Severus e Lily.” Disse Silente tutto d’un fiato.

Horace lo guardava con un brillio di comprensione negli occhi scuri.

“Rifiuto l’invito, allora. –Disse determinato, -Era quello che avevo già intenzione di fare. Non voglio avere niente a che fare con quella gente.”

Silente fece scattare lo sguardo su di lui. Il pesciolino d’argento che saltellava nei suoi occhi ora era ben visibile e ancor più preoccupante. Era lì, subito dietro gli occhiali a mezzaluna, pronto a balzare fuori.

“No. Ho un’idea migliore…” Ecco, il pesciolino arrivò dritto in faccia a Lumacorno schiaffeggiandolo con la sua coda fredda.

Silente interruppe il suo su e giù avvicinandosi al professore.

“Digli che accetti l’incontro…” Gli disse.

Lumacorno lo fulminò con lo sguardo: “Cosa?” Domandò interdetto.

“Lasciami parlare. – Fece Albus levando una mano. -Digli che accetti l’incontro, ma che vuoi incontrarlo alla Testa di Porco.”

“Ma Albus… la Testa di Porco…” Iniziò Lumacorno, ma poi una nuova consapevolezza di fece strada in lui.

“No! –Gridò duramente. –Non ho alcuna intenzione di prendere parte ai tuoi giochetti, Albus! Non mi metterò ad interrogare Malfoy! Scordatelo!”

Albus saltò subito sulla difensiva: “Non ho detto questo. Ti chiedo solo di incontrare Malfoy, non dovrai fare niente, solo scoprire che cosa vuole. E poi ci sarà Aberforth a controllarvi, farò in modo di avvertirlo. Che ti costa?”

“Che mi costa? La mia tranquillità, ecco cosa! Te l’ho già detto: voglio essere lasciato in pace! Non mi metterò a fare la spia per te!” Ululò Lumacorno, gli zigomi avevano assunto  un bel colorito vermiglio, i mustacchi tremanti.

“Horace, ripensa a Lily… e a Severus… Se sappiamo cosa ha in mente Riddle possiamo proteggerli meglio. Se collabori potremo prendere il serpente nella rete.” Gli disse Albus con fare solenne.

“No, Albus!- Esclamò Lumacorno, ben fermo sulla sua posizione e affatto deciso a darla vinta a quel vecchio pazzo che gli stava davanti- Assolutamente ed inequivocabilmente no!”

***

“Insomma, Black! Quanto ti ci vuole per aprire una porta?” Sbraitò Malocchio spazientito mentre Black armeggiava con la serratura di casa cercando di farla scattare.

“Un attimo, dammi il tempo!” Protestò il giovane muovendo con forza la chiave nella toppa.

Remus, poco lontano, sospirava sconsolato levando gli occhi al cielo.

“Ti avverto, Black!- Ruggì Moody. –Spera solo che il bambino non sia in casa tua o potresti rimetterci qualche arto!”

Finalmente Sirius riuscì a far scattare la serratura arrugginita. Estrasse la vecchia chiave e se la mise in tasca mentre abbassava la maniglia facendola stridere fastidiosamente lamentandosi di quella sveglia improvvisa.

Aprì la porta mentre i cardini continuavano il canto lamentoso a cui la maniglia aveva dato il la.

Remus si avvicinò ai due sbirciando attraverso l’arco della porta. Ai suoi occhi si presentò quello che sembrava un soggiorno. Un vecchio divano logoro al centro della stanza poggiava i suoi piedi stanchi su un tappeto altrettanto infiacchito, entrambi stanchi e rasseganti sotto una coltre di polvere, pareva quasi di sentirli tossire e respirare affannosamente mentre il camino brontolava irritato dal mucchio di cartacce e simili che gli ingombravano il grembo.

Moody fece una smorfia. “Che razza di topaia.” Disse con voce disgustata.

Sirius lo guardò: “Era l’unica che potevo permettermi, va bene? –Fece ponendosi sulla difensiva. –E poi è solo una seconda casa…”

“Già, certo! Visto che praticamente vivevi da James.” Osservò Lupin con un sorriso.

Sirius gli fece l’occhiolino, quindi si profuse in un profondo inchino.

“Prego signori. La mia umile dimora vi attende…” Disse con fare cerimonioso invitandoli ad entrare. Moody grugnì contrariato mentre faceva un passo avanti.
 

*******

 

Muahahahahahahah! Sono cattivissima!

Subito non volevo mettere l’ultimo pezzo con Sirius e compagnia, ma poi ho detto: “Ma sì! Diamo un po’ di suspense!” Lo so, adesso probabilmente sarete preda di istinti omicidi…

Spero di farmi perdonare con il prossimo capitolo: se in questo Sev e Lily non sono comparsi, il prossimo sarà interamente dedicato a loro! Dai, non accoppatemi! Se no poi non sapete come va a finire!

Povero Horace! Mi fa tenerezza… Albus è veramente un orco, come dice la McGranitt. Ho sempre pensato che tra lui e Severus ci sia stato uno strano scambio di Case… Albus è un manipolatore come pochi: personalmente, non lo avrei visto male tra i Serpeverde.

Spero abbiate gradito la comparsa di Lumacorno… e anche il personaggio di Lucius!
 

Mi aspetto fiumi di recensioni! Alla prossima!   
 

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Capitolo 10
*** La Ballata del Principe della Notte ***


Capitolo 10

LA BALLATA DEL PRINCIPE DELLA NOTTE

 

La pioggia aveva da poco placato la sua furia. Sotto le ultime scintillanti gocce il mondo sbatteva gli occhi sconcertati per scuotersi via le ultime macchie di grigio che si erano posate sulle sue palpebre. Il manto bianco di cui prima pareva vantarsi come fosse il mantello d’ermellino di un sovrano, era stato spazzato via dalla pioggia. Le sue dita svelte e forti l’avevano strappato dalle spalle degli alberi mentre la voce di quelle fate di piombo sibilava irata contro la vanità di quegli esseri che facevano foggia del loro nuovo e gelido manto. I loro occhi erano schegge di teredine danzante, le loro bocche ricolme di denti affilati le loro mani lunghe e affusolate avevano sferzato l’aria come fruste facendo riecheggiare i loro schiocchi. Ma ora quelle schiere celesti si erano ritirate. Il grosso dell’esercito era rientrato nelle sue caserme di nebbia e solo la retroguardia si attardava ancora sulla terra come a sfiorare con deboli carezze i segni e le ferite, come a chiedere perdono della furia dei suoi compagni furiosi.

La donna alla finestra sospirò sonoramente mentre i suoi occhi chiari approfittavano del ritiro della pioggia disperdendosi in corse affannate oltre al vetro.

“Tutto ciò è ridicolo.” Si lasciò sfuggire dalle labbra in un sussurro. Sì, era davvero ridicolo. Minerva McGranitt si lasciò sfuggire un altro profondo respiro. Aveva una strana sensazione addosso, non avrebbe saputo dire esattamente quali fossero le sue fattezze e da dove venisse, però era lì. Una presenza angosciante resa ancor più insopportabile da quella pesante cappa di attesa che la ricopriva come una coperta inevrnale.

Un rumore alle sue spalle la fece sobbalzare. Si voltò di scatto facendo scattare gli occhi sul giovane che era comparso sulla soglia del soggiorno.

“Insomma, dove può essere finito un bimbo di un anno? In Cina?” Domandò la McGranitt al ragazzo esprimendo ad alta voce i suoi dubbi.

Severus la guardò in silenzio, poi si avvicinò lentamente alla professoressa fermandosi al suo fianco e lasciando che i suoi occhi neri esplorassero gli ultimi vessilli della pioggia, analizzandone ogni minimo dettaglio.

Il giovane si sentì sfiorare dall’orlo della veste della misteriosa inquietudine che aleggiava intorno alla professoressa come una strana apparizione.

“C’è qualcosa che non va?” Domandò Severus alla McGranitt. Questa posò lo sguardo severo su di lui analizzandolo come un’insegnante che ha appena beccato un suo studente parlottare senza motivo.

La professoressa spostò gli occhi muovendo la testa di scatto.

“Certo che c’è qualcosa che non va. –Rispose obiettiva con un filo di irritazione nella voce. –Insomma… si tratta di un bambino. Dove può essere finito?”

“Non lontano.” Rispose Severus guardandola.

Minerva guardò il suo ex allievo abbassando un po’ gli occhiali con una mano  e sbirciando da sopra gli occhiali con sguardo a metà tra l’interrogativo e l’interessato… uno sguardo che sembrava voler cavare di bocca le parole al ragazzo davanti a lei.

“Un bambino di un anno non ha comunque una potenza magica tale da sbalzarlo a chilometri di distanza. Non si è smaterializzato fuori da Godric’s Hollow, questo è certo.” Spiegò Severus alla professoressa con un filo di orgoglio nella voce: per una volta era lui a spiegare qualcosa a Minerva e la cosa lo compiaceva non poco.

“Mi sono documentato. –Continuò Severus consapevole di aver calamitato l’interesse della professoressa. –La massima manifestazione di magia involontaria infantile documentata è avvenuta nelle campagne di York nel 1706. Un bambino di quattro anni, Edward Tatch, si è smaterializzato dal fienile in fiamme della cascina di suo zio ed è ricomparso nel cortile della casa dei suoi genitori a un chilometro di distanza.”

Minerva lo guardò interessata: “La storia riflette vagamente quella del piccolo Harry. –Osservò- Un bambino in pericolo che si smaterializza per salvarsi.”

“Sì. Ma Edward aveva quattro anni, non uno. Ed è stato attratto in qualche modo dalla presenza dei suoi genitori. Il legame tra loro ha creato una sorta di canale.” Le fece notare Severus. Quindi si voltò di scatto allontanandosi dalla finestra ed andando a sedersi comodamente sulla sua poltrona accanto al camino.

Minerva lo guardò portarsi una mano al mento con fare pensieroso, poi disse: “Quindi è probabile che Harry sia da Black. Anche tra lui e il suo padrino c’era un forte legame.”

Severus alzò stancamente gli occhi verso di lei, prese un lungo respiro prima di parlare.

“Non credo che Harry sia da quel botolo.” Disse in un soffio scuotendo la testa e calcando il tono sull’ultima parola.

La McGranitt lo guardò rimproverante per un attimo, poi lo raggiunse sedendosi sul divano di fronte a lui.

“Perché no?” Chiese la professoressa.

“Un bambino così piccolo non penso possa instaurare un rapporto molto profondo con qualcuno che non sono i suoi genitori.” Rispose Severus con un alzata di spalle.

“Che vuol dire?” Lo incalzò la McGranitt.

“Che con i genitori c’è sempre un legame più forte.” Spiegò allora Severus con un velo di tristezza nella voce mentre gli tornavano alla mente infelici ricordi della sua infanzia. Lui non aveva mai conosciuto quel tipo di rapporto…

Minerva colse quel velo che aveva oscurato, svelto come uno sbuffo di vento, gli occhi cupi di Severus e tagliò svelta il filo di quel discorso che stava tagliando a fondo lo spirito del giovane e ne afferrò un altro.

“Se non è da Black, dove può essere finito?” Chiese.

Severus alzò gli occhi su di lei.

“Non lo so. Se è stato Harry stesso a smaterializzarsi probabilmente non è andato lontano. E se non è andato lontano probabilmente lo hanno trovato i Mnagiamorte.” Disse pacatamente il giovane.

“Oh, santo Merlino! No!” Esclamò allora la McGranitt portandosi una mano alla bocca con un movimento svelto.

“Minerva, -disse tranquillamente Severus osservando gli occhi turbati della professoressa, -Non so se è stato Harry a smaterializzarsi o se…” Si interruppe come percorso da una scarica elettrica. Gli era appena venuta in mente una cosa… come aveva fatto a non pensarci prima? Forse c’era ancora una possibilità prima di accettare che il bambino fosse nelle mani di quei pazzi fanatici di cui lui stesso aveva fatto parte.

“O se?” Domandò la McGranitt, speranzosa.

Severus non rispose, ancora avvolto dai fumi sinuosi dei suoi pensieri.

“Lily…” Mormorò mentre una scintilla guizzava in quei pozzi neri ch’erano i suoi occhi, scuotendosi come un piccolo riflesso di sole sulla superficie placida dell’acqua.

Minerva continuava a guardarlo, irritata e curiosa allo stesso tempo. Sospirò.

“Lily. –Disse Severus ad alta voce portando gli occhi sulla donna davanti a lui. –Forse c’è un’altra speranza.”

Minerva non fece in tempo a chiedere ulteriori spiegazioni che Brix entrò trafelato nel soggiorno stringendo una lettera nella mano destra.

Severus e Minerva fecero scattare lo sguardo da lui alla lettera.

Brix cercò per un attimo di riprendere il controllo sul suo respiro, poi, ancora ansimante, disse: “Alastor Moody.”

I due lo guardarono  pieni di aspettativa, mentre Brix prendeva un altro lungo respiro. Si trovava dall’altra parte della casa quando un piccolo gufo gli aveva consegnato quella lettera. L’aveva aperta in fretta e furia dopo aver letto il nome del mittente. Forse avevano trovato il bambino. Forse era a casa di Black. Aveva fatto correre gli occhi speranzosi sulle poche righe scritte nella calligrafia sghemba dell’auror. Aveva sospirato, quindi si era precipitato di corsa verso il soggiorno dove sapeva di trovare Minerva McGranitt. Ed ora questa era lì, insieme a Severus, a fulminarlo con lo sguardo cercando di cavar fuori le parole congelate dalla corse nella gola dell’elfo.

“Il bambino…” Mormorò Brix con il respiro spezzato.

“Allora?- Lo incalzò burbera la McGranitt –Lo hanno trovato?”

Brix trasse un lungo, lunghissimo sospiro. Poi abbassò lo sguardo e una sola, lentissima parola lasciò le sue labbra sottili: “No.” Sussurrò.

La McGranitt scosse la testa sconsolata mentre Brix si avvicinava a lei tendendole la lettera.

Minerva la afferrò rudemente e vi gettò uno sguardo. V’erano scritte solo due frasi su quel piccolo pezzo di pergamena. Due frasi. Solo due. Eppure quella grafia sbieca e squadrata le rendeva dure e fredde, un gelo che sapeva artigliare gli occhi del lettore stampando quelle maledette parole in profondità, affondandole sulla carta azzurra delle iridi della professoressa sotto i colpi di una pressa spietata. Veloci, impietose, schiette come le scudisciate della pioggia, gli schiaffi gelidi del vento.

Abbiamo controllato in casa di Black. Il bambino non c’è.

Due frasi. Niente di più. Due frasi che avevano infranto come niente tutte le speranze di qualche tempo prima.

Due frasi. Due lame. Rapide, avevano infranto il fragile, fatuo vaso dell’illusione con un colpo tanto preciso quanto disarmante.

Severus si alzò di scatto quasi facendo sobbalzare Minerva e Brix. Si allontanò in fretta brontolando qualcosa che suonò come “Devo vedere Lily”, sparendo alla vista in un attimo mentre l’elfo e la professoressa lo osservavano stupiti.

***

Severus si bloccò davanti alla porta della stanza di Lily. Le schiere ferine dentro di lui si scossero frustando la polvere del deserto grigio con le loro code serpentine provocando forti scosse di terremoto. Fremiti possenti che squassarono le profonde ferite del suo animo stringendo il suo cuore nelle loro fauci irreali. I mostruosi dimoratori del suo io rimasero sbigottiti da quei geni poderosi che si divertivano a sconquassare il terreno sotto alle loro zampe.

Severus fece un lungo sospiro, obbligando l’aria dentro di sé, spingendola a scacciare quelle vibrazioni importuni. La rete d’aria si tese ed i fremiti bestiali ne rimasero impigliati, immobili e impotenti. Il suo cuore tornò a battere con un sospiro di sollievo mentre le belve si rintanavano nei loro nidi oscuri.

Si sentiva musica provenire dalla stanza di Lily. Giungeva alle orecchie del giovane debole e attutita attraverso la spessa porta di legno, tuttavia sentiva le sue dita calde sfiorarlo, i suoi occhi indiscreti spiarlo con curiosità dal buco della serratura, la sua voce sibilare gentilmente invitandolo ad entrare.

Severus levò la mano e bussò tre volte.

Si sentì un colpo sordo e un po’ di tramestio, poi la porta si aprì e Lily comparve sorridente davanti a lui.

Strano. Sembrava quasi che avesse dimenticato tutto, la bella Lily; sembrava quasi che non fosse accaduto niente. Era lì. Di fronte a lui, con un gran sorriso che lasciava scoperti i denti bianchi. Per un attimo gli sembrò di essere tornato bambino quando la andava a trovare a casa e lei lo accoglieva sempre allegra, felice di poter passare il pomeriggio insieme a lui. Erano passati anni da allora, erano accadute molte cose, eppure eccola lì, a guardarlo con gli stessi occhi verdi sorridenti e raggianti.

“Severus. –Disse Lily, quasi ridendo. –Vieni, entra.”

Il giovane accolse l’invito e si fece strada nella stanza. Notò subito un vecchio giradischi poggiato sul comodino e un insieme sparso di trentatré giri che occupava tutto il letto. Conosceva molto bene quel giradischi, oh sì, molto bene…

“Quello è il giradischi di Albus?” Domandò a Lily mentre questa richiudeva la porta, domanda retorica visto che conosceva molto bene la risposta.

Lily si voltò verso di lui ancora sorridente: “Vedo che hai ritrovato la parola.” Osservò. Severus sbuffò irritato.

“Sì, è il giradischi di Silente. –Disse Lily avvicinandosi. –Non mi trovo bene senza musica. Il sielnzio per me è asfissiante, così ho chiesto a Brix se aveva una radio o qualsiasi altra cosa per sentire musica e lui mi ha portato questo giradischi e i dischi, ovviamente. I miei sono rimasti a Godric’s Hollow.”

Severus la guardò freddamente: “Anche i dischi sono di Albus?” Domandò mentre ne prendeva in mano uno analizzandone la copertina. Quelli non li aveva mai visti. D’altronde non aveva neanche mai visto il giradischi funzionare… c’era sempre stato uno strano silenzio in quella casa.

“Sì… beh, non è proprio il mio genere di musica, ma sempre meglio che niente.” Disse Lily con un’alzata di spalle.

“Sono quasi tutti musica da camera e ballate irlandesi.” Disse Severus osservando alcuni titoli.

“Non vado pazza per la musica da camera. –Disse Lily –Però quella irlandese non mi dispiace.”

“No. –Concordò Severus sovrappensiero. -Neanche a me.”

“Mettiamola, allora.” Fece Lily, mentre sollevava il braccetto del giradischi interrompendo le note di Mozart che fino a qualche attimo prima invadevano la stanza. Tolse il disco rimettendolo nella custodia e agguantò quello che Severus stava ancora analizzando con occhi interessati.

Poco dopo le note lente di una ballata irlandese iniziarono a danzare nell’aria, calme come le acque silenziose di un lago.

La voce armoniosa di una donna si sovrappose quasi subito a quelle note tintinnanti come la chiglia di una barca che scivola silenziosa sulle acque senza disturbarne il corso.

Geasa nach bh-fulangaid fíór-laoich
A Oisín fhéil cuirim ad chomhair

Cantava in irlandese, ovviamente, lingua che né Severus né Lily conoscevano. Tuttavia le parole erano così musicali e suadenti che sembravano semplicemente fare parte della melodia stessa.

Teacht liom féin anois ar meach
Go righeam tar ais go Tír na n-Óg!

Lily fu piacevolmente colpita da quella melodia. Quelle note placide avevano avuto il potere di riportarle alla memoria altre note, più recondite, più oscure come provenienti da uno strano sogno. Non riusciva ricordare bene le parole che accompagnavano quell’altra strana musica, erano lì, davanti a lei, figure mascherate che danzano sul contorno dei suoi occhi. Ma la voce che cantava quella strana ballata la ricordava molto bene.

Si voltò verso Severus. Il ragazzo stava guardando fuori dalla finestra, lo sguardo perso chissà dove tra i suoi pensieri.

Tir na n-Og… Le uniche parole che Severus era riuscito a cogliere… la Terra dell’Eterna Giovinezza… i Campi Elisi della mitologia irlandese… se era quella la giovinezza, per Severus Tìr na n-Og corrispondeva all’inferno. Tutto quello che desiderava era che il tempo passasse in fretta, che le sue dita ansiose fermassero il battito del suo cuore. L’Eterna Giovinezza per lui voleva dire eterno dolore eppure non avrebbe smesso di combattere, non avrebbe smesso di cercare di lavare la sua anima nelle acque bollenti del pentimento.

“Sembra la ballata che mi hai cantato tu.” Osservò Lily facendolo sussultare. Severus la guardò mentre ripensava al pomeriggio del giorno prima quando aveva stretto Lily tra le braccia cullandola con la sua voce.

“Come facevano le parole?” Gli domandò Lily.

“Don’t cry my Fiery Princess,
I’m your Prince from the Night.
Don’t cry, it will be all right.
Let me be a kiss, let me be a caress.”

Severus le recitò il ritornello con voce atona, sovrappensiero, mentre le parole si sovrapponevano a quelle della canzone.

Sí n tír as aoibhne ar bith le fághail
An tír s mó cáil anois fán ngréin

“Come si intitola?” Chiese la ragazza a Severus.

Lui chinò il capo tristemente: “Non lo so.” Mormorò. Tacquero entrambi per un attimo lasciando spazio a quelle arcane parole che guadagnarono il campo sommergendo i vessilli abbandonati dei loro ultimi respiri.

Na crainn ag cromadh le toradh as bláth
As duilleabhar ag fás go bárr na ngeug.

“Me la cantava Brix… -sussurrò Severus- per calmarmi, quando mi svegliavo di notte urlando.”

Lily lo guardò accorata, sentendo di nuovo quella maledetta lama perforarle il petto e far rabbrividire il suo cuore con quel tocco gelido.

“Per me è sempre stata ‘la ballata’.” Continuò Severus tristemente mentre una piccola, maledettissima lacrima premeva contro le sue palpebre. Non voleva ripensare a quei momenti… quei giorni… quando la notte strani fantasmi zoppi visitavano i suoi sogni perforandogli i timpani con le loro grida lancinanti, quando la notte terribili figure con una maschera d’argento sul volto lo circondavano…  la notte veniva Lui, con quel suo sorriso mellifluo, quella sua voce gelida a ordinargli di torturare ancora, di uccidere ancora… la notte si svegliava di colpo, nella gola l’urlo raccapricciante dei suoi fantasmi, sul corpo la sensazione calda e appiccicaticcia del sangue.

Poi aveva imparato a controllare quelle visioni, a scacciarle dai suoi sogni, e rinchiuderle in bauli segreti, pur senza riuscire a catturarne anche le ombre che ancora si aggiravano irate tra i suoi pensieri, le cui cantilene ancora lo turbavano la notte.

Lily lo osservava turbata. Le faceva male vederlo così.

Mangiamorte…

Quella parola riecheggiò indesiderata nella sua testa.

Mangiamorte…

Come poteva un ragazzo come Severus essere un Mangiamorte? No. Si era sbagliata. Era stata colpa sua. Lei lo aveva abbandonato. Lo aveva abbandonato pur sapendo che, per lui, lei era l’unico punto di riferimento, l’unica fonte di affetto e di fiducia. Lo aveva abbandonato pur sapendo quanto lui avesse bisogno del suo appoggio e della sua amicizia. Lo aveva abbandonato pur sapendo che lui fosse pentito… sei era rifiutata di dargli una seconda possibilità, si era rifiutata di vedere… Ed ora cosa era diventato il ragazzo che era stato il suo migliore amico? Non poteva vedere altri che la tristezza e  il dolore affacciarsi alle finestre buie dei suoi occhi. Sempre loro, una volta l’una una volta l’altro, come due vecchi sposi che sbirciano sul mondo senza interesse con quei loro ghigni strani e quei loro lamenti  ripetuti, quei loro lucidi occhi supplicanti.

Era stata colpa sua. Solo colpa sua. Lei gli aveva dato la spinta finale verso il buio più profondo. Eppure, per una strana ragione, il laccio che la teneva legata a Severus non si era mai spezzato del tutto. Aveva sempre pensato a lui, sempre. I suoi pensieri indugiavano su di lui la sera e la mattina quando il ricordo di quel fantasma errante dei suoi sogni bussava ancora alle porte della sua mente. Il suo pensiero, in qualche modo, tornava sempre a lei accompagnato da uno strano peso sul cuore. Sempre.

“Beh, -Fece Lily cercando di spezzare le catene di ghiaccio infuocato dell’angoscia. – Un titolo bisogna pur darglielo no?”

Severus annuì con un accenno quasi impercettibile con la testa, mentre serrava forte gli occhi per trattenere quelle stupide, odiose lacrime.

“La Ballata del Principe della Notte.- Disse Lily, quasi trionfalmente dopo un attimo di riflessione. –Che ne dici?”

Il ragazzo davanti a lei non rispose. Aprì gli occhi guardandola attraverso quel fastidioso velo di lacrime e una, solo una, sfuggente scheggia di quello specchio si staccò tracciando una fine linea scintillante sul volto di Severus.

Lily rimase abbagliata dal lampo bianco di quella lacrima. La stretta al cuore si fece più forte.

Si avvicinò lentamente a lui e gli tese la mano. Severus la guardò confuso mentre i suoi occhi l’imbarazzo si diluiva nelle lacrime.

Lily colse molto bene la confusione che albergava nel ragazzo e gli afferrò la mano sentendo il freddo di questa bruciare contro il calore della sua. Gli sorrise mentre prendeva anche l’altra mano di Severus nelle sue. Questi continuava a fissarla a metà tra lo sconcertato e lo spaventato.

Lily cominciò ad ondeggiare le braccia trascinando anche quelle di Severus in quel curioso ballo che non chiedeva nulla, voleva solo dare.

Severus si lasciò trasportare permettendo a Lily di attirarlo più vicino. Un sorriso scappò dalla prigione buia del suo animo per scintillare in un palpito sulle sue labbra.

Is fairsing innte mil as fíon
S gach uile ní dá bh-faca súil,
Ní rachaid caitheamh ort led ré
Meath ná eug ní fheicfidh tú!

Continuava a recitare la canzone, ma nessuno dei due ormai la udiva più, persi entrambi negli occhi dell’altro. Lily si avvicinò ancora di più al giovane portandogli una mano sulla spalla mentre Severus faceva scendere la sua sul fianco della ragazza. Non stavano ballando. Dondolavano, il mare di ciascuno, verde e nero, increspato dal vento dell’altro. Dondolavano, semplicemente. Stretti l’uno all’altra.

Lily portò entrambe le braccia intorno al collo di Severus stringendolo a sé mentre si sentiva avviluppare dal calore di lui e dalle sue braccia improvvisamente ripensando a quando lui l’aveva stretto a sé, ancora incosciente e le aveva cantato quell’antica ballata. Era il suo angelo ed era lì. Non l’avrebbe più lasciato scappare, non l’avrebbe più lasciato solo… mai più. Il suo amico ritrovato…

Lo abbracciò più stretto appoggiando la fronte contro la sua spalla abbandonandosi al suo calore e lo stesso fece lui mentre la stringeva più forte.

Il vecchio giradischi sbuffò gracchiando davanti ai due ragazzi che continuavano a dondolare abbracciati. Tossicchiò con un suono roco e quindi interruppe lo scorrere della musica con un colpo sordo riversando nell’aria soltanto più i suoi brontolii.

I due giovani si risvegliarono come da un sogno. Slacciarono l’abbraccio facendo ben attenzione a non guardarsi negli occhi imbarazzati.

Lily si avvicinò al giradischi, dove la puntina continuava a scorrere sulla carta al centro del disco ormai arrivata alla fine dello stesso, alzandone il braccetto e ponendo fine a quel suono gracchiante. Tolse il disco dal piatto e lo ripose nella sua custodia.

Si schiarì la gola.

“Perché eri venuto qui, Sev? –Domandò mentre posava il disco sul letto insieme agli altri senza guardare il giovane, -Volevi parlarmi di qualcosa?”

Severus la guardò confuso per un attimo, poi decise di essere schietto: “Harry non era da Black. Mi dispiace, Lily.” Tutta la magia di qualche momento prima venne rapita da quella frase.

La ragazza si voltò verso di lui colta alla sprovvista e visibilmente delusa.

“Lily, devo chiederti una cosa.” Disse Severus guardandola seriamente.

“Qualunque cosa.” Rispose lei.

Severus prese un lungo respiro, poi disse: “Lily, se tu avessi voluto allontanare Harry da quella casa… smaterializzarlo in un luogo sicuro… dove lo avresti mandato?”

Lily lo guardò incuriosita. Perché quella domanda? Lei non aveva smaterializzato Harry.

“Perché me lo chiedi? Io non ho smaterializzato Harry.” Ribattè dando voce ai propri pensieri.

“Non volontariamente… ma potresti averlo fatto.” Le spiegò Severus.

“Non ti capisco Sev. Pensi che io abbia mandato Harry lontano da quella casa?” Domandò Lily.

“Può darsi. Non ne sono sicuro, ma vale la pena vagliare questa ipotesi no?” Le disse Severus schiettamente.

Lily annuì.

“Dove lo avresti mandato?” Chiese ancora Severus.

“A Cokeworth, immagino. –Rispose Lily. –Dai miei genitori.”

Severus la guardò interessato. Già… i genitori di Lily. Nessuno aveva pensato a loro… Le possibilità che il bambino fosse dai nonni erano minime, ma valeva la pena di controllare.

“Devo andare a Cokeworth.” Affermò Severus deciso.

“Stai scherzando? Hai sentito Minerva: non possiamo allontanarci da qui.” Disse allora Lily.

“Non aspetterò che qualcuno ripari ai danni che ho fatto io.” Le rispose allora il ragazzo. Una strana luce brillava nei suoi occhi.

“Vengo con te.” Affermò allora Lily, altrettanto decisa.

“Neanche per sogno!- La bloccò subito Severus. –Tu rimani qui. Inoltre la tua ferita non è ancora guarita del tutto.”

“La mia ferita è a posto. Brix l’ha controllata e mi ha cambiato le bende: è quasi del tutto sparita. E poi non permetto ad un Serpeverde di fare il lavoro di un Grifondoro!” Ribattè Lily raggelandolo con gli occhi che lanciavano saette smeraldine contro quelli tenebrosi di Severus.

“Inoltre- continuò la ragazza con aria di superiorità.- la casa dei miei si trova sotto Incanto Fidelius.” Concluse scostando i capelli dal volto sul cui si stampava un’espressione volutamente altezzosa.

“Ah! –Fece Severus pretendendo di prenderla in giro. –E chi sarebbe il custode segreto?”

Lily gli sorrise furba socchiudendo gli occhi verdi: “Io.” Rispose.
 

*******
 

Accidenti! Questo capitolo è stato un osso duro… porca miseria! Il titolo, soprattutto, è stato una brutta bestia e non ne sono ancora molto convinta... (ok, titolo cambiato, forse questo va meglio) a alla fine ce l’ho fatta! Applauso, prego! 

Va bene… Allora… avevo promesso che mi sarei fatta perdonare. Ho mantenuto la promessa? Io spero di sì. Lily e Sev sono molto carini qui, vero?

Ecco, si sapeva già che si sarebbero cacciati nei guai, vero? Chissà come faranno a superare “l’ostacolo Brix”…

Oh, la canzone! Il titolo è Laoi Oisín ar thir na n-Og (The lay of Oisín in the Land of Youth) ed è un poema risalente al 1876 scritto da Mìceàl Coimìn in irlandese antico. Racconta l’antico mito e fiaba popolare irlandese di Oisin, guerriero dei Fianna, e Niamh principessa e fata della terra di Thir na n-Og, la terra dell’eterna giovinezza.

Se volete ascoltarla, cercate The Blue Sea and the White Horse. Questa è la versione composta da Patrick Doyle per il film “Into the West” (1992).

Qui sotto vi metto la traduzione in inglese e quella in italiano su cui ho sudato sette camicie. Alcune parti ho dovuto interpretarle come “draughts divine of mead”  e “’tis hence of speed”. E poi c’è quel maledetto “I make of thee now” che non sapevo assolutamente come sistemarlo in italiano ed ho lasciato la traduzione letterale. Se qualcuno ha qualche idea, fatemi sapere.

Request refused by no true knight
Who knoweth aright the knightly vogue,
I make of thee now-'tis hence to speed
With me on my steed to Tir na n-Og!

Delightful land beyond all dreams !
Beyond what seems to thee most fair
Rich fruits abound the bright year round
And flowers are found of hues most rare.

Unfailing there the honey and wine
And draughts divine of mead there be,
No ache nor ailing night or day
Death or decay thou ne'er shalt see!

I make of thee now-'tis hence to speed
With me on my steed to Tir na n-Og!


Richiesta rifiutata da nessun vero cavaliere
Che conosce bene la moda cavalleresca,
Io faccio di te ora- quindi svelto,
Con me sul mio destriero a Tir na n-Og!

Deliziosa terra al di là di tutti i sogni!
Al di là di ciò che sembra a te più bello
Frutti ricchi abbondano nel turno del luminoso anno
E fiori si trovano delle tonalità più rare.

Inesauribili sono là il miele e il vino
E sprizzi di idromele divino ci sono,
Nessun male né difficoltà di notte o di giorno
La morte o la decadenza non vedrai mai!

Io faccio di te ora- quindi svelto,
Con me sul mio destriero a Tir na n-Og!


 
D’accordo, non ho più nulla da dirvi se non…… RECENSITE! Ahahahahahah!

 

Ci rivediamo al capitolo 11!

  
 

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Capitolo 11
*** Fuga da Villa Silente ***


Capitolo 11

FUGA DA VILLA SILENTE


 

“Allora?” Lo incalzò Lily. Severus teneva gli occhi di orneblenda fissi sul pavimento, pensieroso. Il giovane non dette segno di averla sentita e Lily lo guardò spazientita.

“Allora? Qual è il piano?” Domandò la ragazza con tono schietto ottenendo un vago sussulto negli occhi dell’altro che balzarono verso i suoi in un guizzo di fumo nero.

“Il piano?” Ripeté Severus.

“Per andare a Cokeworth. –Rispose Lily. –Mi pare avessi intenzione di andare dai miei a cercare Harry.” Gli ricordò.

Severus rimase in silenzio ad osservarla senza vederla… i suoi occhi tornati vacui, lontani, persi in modi di pensieri, in dimensioni di ispirazioni.

Lily socchiuse gli occhi verdi, non aveva intenzione di attendere ancora. Voleva andare a Cokeworth… voleva trovare Harry… e ci sarebbe andata… con o senza Severus.

“Hai già cambiato idea?” Gli chiese tentando di estrarre a forza da lui una reazione di qualche genere… reazione che non tardò ad arrivare. Uno scintillio attraversò a corsa folle i profondi, neri tunnel degli occhi di Severus scagliandosi su di lei come una frusta.

“No.” Rispose seccamente Severus, mentre le sua labbra davano voce allo schiocco della sferza.

Lily rimase colpita da quelle fiamme che si erano improvvisamente sprigionate negli occhi color della notte del suo ritrovato migliore amico. Severus era davvero cambiato… le iridi del ragazzino che conosceva erano sempre state nere e profonde come le acque quiete di un lago sotterraneo, non le era stato dato sapere quali esseri primordiali dimorassero nelle sue profondità, non vi aveva mai visto alcun segno di vita… invece ora gli occhi di un gigantesco drago nero avevano aperto le palpebre e l’avevano fissata con i loro bagliori di fuoco, aveva visto palesemente le fiamme e i vapori sprigionarsi dalle sue narici dilatate. Aveva conosciuto il poderoso abitante di quel lago nero risvegliatosi da un oscuro letargo sotto il suono persistente delle campane del dolore.

“Allora cosa facciamo?” Domandò Lily, a disagio sotto lo sguardo purpureo del dragone tenebroso.

“Andiamo a Cokeworth.” Rispose Severus, conciso.

“Sì, ma come? Non possiamo lasciare questa casa.” Gli fece notare Lily.

“Andremo stanotte.” Rispose il ragazzo mentre il drago nero tornava a socchiudere gli occhi e a nascondersi nuovamente tra i fanghi limacciosi della sua tana.

“Stanotte? – Ripetè Lily, stupita. –Vuoi piombare a casa dei miei nel bel mezzo della notte?”

“Hai un’idea migliore? Minerva se ne andrà presto e Albus non arriverà prima di domattina. Riamane solo Brix.” Le disse Severus.

“Come sai che Silente verrà domattina?” Chiese Lily, non convinta.

Severus alzò le spalle: “Di solito passa sempre la notte ad Hogwarts… perché dovrebbe cambiare programma proprio adesso?”

“Ieri ha dormito qui.” Disse Lily.

Il giovane la guardò cupo, ma non rispose.

“E come sai che Minerva non si fermerà?” Continuò la rossa.

“Intuito.” Disse Severus con una seconda alzata di spalle.

“Intuito?” Ripetè Lily dubbiosa.

“Sì, intuito.” Sbottò allora Severus, irritato, lanciando sagitte d’ebano dai suoi occhi.

Lily scoppiò a ridere. Una risata cristallina che si infranse contro i muri della stanza schizzandoli di sorrisi. Alcuni sprizzi raggiunsero il giovane che se ne stava immobile, pietrificato in mezzo alla camera dagli sbuffi marmorei di quell’immagine. Il sorriso di Lily lo avvolgeva come una catena e la sua risata ne era il lucchetto e lui non poteva far altro che guardarla. Quando le era mancata quella visione! Tanti anni senza potersi abbeverare alle polle schiette dell’allegria di Lily! Come aveva potuto sopravvivere senza la loro frescura argentina? Ed ora quelli spruzzi si abbattevano su di lui senza ritrosie macchiando il suo corpo ed i suoi occhi neri di tintinnanti screziature d’argento.

La risata si spense in un sospiro, liberando il giovane dalla sua prigione trasparente. Lily continuava a guardarlo sorridendo.

“E sentiamo, Mister Intuito, supponendo che stanotte rimanga davvero solo Brix, come pensi di superare lui e raggiungere Cokeworth?” Domandò.

“Andremo via quando Brix starà dormendo.” Rispose Severus.

Lily lo guardò insoddisfatta: “Devo cavarti fuori le parole una a una? Come credi di raggiungere Cokeworth?”

“Ci smaterializziamo!” Esclamò allora Severus.

“Possiamo?” Chiese Lily dubbiosa.

Severus scosse il capo: “Non entro i confini della villa. Funziona come Hogwarts: dobbiamo uscire per smaterializzarci.”

“E Brix non se ne accorgerà se ce ne andiamo nel pieno della notte?” Chiese allora Lily.

“No, se non ci facciamo scoprire. Non ci sono protezioni alle porte o altre cose del genere… possiamo tranquillamente uscire in giardino. L’unico ostacolo, poi, sarà la barriera al cancello, ma so come aggirarla.” Disse il ragazzo lasciandosi sfuggire un sorriso furbo.

“Questo sempre se Silente e la McGranitt non passano la notte qui.” Gli ricordò Lily.

Severus si limitò a sorridere misterioso e la ragazza non potè non notare quel fascino oscuro che gli ombreggiava il volto quando sorrideva così… decisamente non era più il ragazzino sedicenne che ricordava. No… ora aveva davanti un giovane di ventuno anni che la avvolgeva con un mantello inquietante e attraente di buio, e quello sguardo profondo e triste non faceva altro che illuminare il suo volto con scie di consapevolezza.

Qualcuno bussò alla porta.

“Avanti.” Fece Lily senza distogliere lo sguardo dal volto di Severus.

La maniglia scattò e lo stesso fecero gli occhi di lui andando a posarsi sulla figura della professoressa McGranitt, in piedi sulla soglia, ritta come una statua. Lily si voltò, seguendo lo sguardo del ragazzo.

Minerva li guardava sospettosa, i suoi occhi azzurri, ridotti a fessure, guizzavano dall’uno all’altra con diffidenza. Uno strano presentimento si era fatto strada in lei quando aveva aperto la porta. Non sapeva a cosa fosse dovuto, forse alla strana luce che albergava negli occhi di Severus che sembrava farle gli sberleffi da quelle iridi nere… forse dallo sguardo forzatamente indifferente di Lily. Conosceva bene quegli sguardi: li aveva visti su decine di studenti nei suoi venticinque anni di carriera scolastica… oh, sì… li conosceva molto bene. Avevano qualcosa in mente quei due… ci avrebbe scommesso gli occhiali.

“Cosa stavate complottando?” Domandò duramente ad entrambi.

“Niente.” Risposero i due all’unisono.

Gli occhi della McGranitt scintillarono. Niente… eh, già… niente… il fatidico ‘niente’… che voleva dire ‘tutto’!

Si aggiustò gli occhiali sul naso osservandoli severa.

“Sturatevi bene le orecchie voi due: cercare il bambino non è compito vostro. C’è già chi se ne occupa, d’accordo? Voi due dovete solo restarvene buoni qui ad aspettare. Prima o poi, vedrete, Harry salterà fuori… Lui vi cerca, ed il fatto che siate miracolosamente riusciti a sfuggirgli una volta non significa che possa accadere di nuovo. O pensate di essere immuni ora che avete il vaccino?” Disse la McGranitt sputando quelle parole gelide sui due giovani che la guardavano come due studenti colti sul fatto.

“Non abbiamo alcuna intenzione di cercare il bambino, professoressa. Deve aver frainteso…” Cominciò Severus mostrando apertamente la pelle viscida del Serpeverde. 
Minerva lo fulminò con lo sguardo.

“Signor Piton, il fatto di aver ottenuto Eccezionale ai M.A.G.O. di Trasfigurazione non le dà il diritto di rispondermi tanto sfacciatamente.” Disse freddamente mentre Severus la guardava fulminato.

Lily trattenne a stento una risata alla vista dell’espressione pietrificata di Severus.

“Trova la cosa divertente, signorina Evans?” La schiaffeggiò la voce della McGranitt.

“No, professoressa.” Rispose Lily tornando improvvisamente seria.

“Bene! Si ricordi…- fece scattare gli occhi da Lily a Severus- ricordatevi entrambi che siete qui per essere protetti, non per permettervi di dare spettacolo della vostra ottusità.”

I due si scambiarono uno sguardo sconcertato. Severus stava per ribattere, ma la successiva occhiata della McGranitt gli bruciò le parole in gola.

“Io ora me ne torno ad Hogwarts. –Disse la professoressa, -Silente non tornerà prima di domattina. Ha detto di avere un impegno di qualche genere stasera. Questa non è un’occasione per andarvene in giro, sono stata chiara? Brix vi terrà d’occhio sempre e comunque, per cui non azzardatevi a fare cose stupide o ve la vedrete con me. Chiaro?”

I due ragazzi non risposero continuando a guardarla scombussolati.

“Bene.- Concluse allora la McGranitt. -Confido nel vostro buonsenso.” Quindi uscì nel corridoio e richiuse la porta alle sue spalle.

Lily si voltò verso Severus.

“A quanto pare il tuo intuito funziona, Severus.” Commentò accennando un sorriso.

“Stanotte, alle due. Ci troviamo in soggiorno.” Disse semplicemente Severus, uscendo poi anch’egli dalla camera e lasciando Lily da sola con la consapevolezza che non sarebbe riuscita a dormire quella sera.

***

Severus si svegliò di soprassalto alzandosi a sedere. Gli occhi spalancati in un grido muto e la fronte imperlata di sudore. Si guardò intorno sperduto cercando di focalizzare i contorni della stanza dove si trovava e di scacciare quegli odiosi veli che gli coprivano gli occhi e gettavano strane ombre sulle cose intorno a lui insieme alla luce opaca e complice delle braci del caminetto che si divertiva a sfocare i contorni della stanza sfumandoli in bizzarre scie rossastre.

Cercò con le pupille dilatate le figure mascherate che lo avevano circondato, ma non ne vide traccia. Trasse un sospiro di sollievo quando riconobbe la sua camera da letto… quando si rese conto di non essere più al centro del cerchio dei Mangiamorte… quando si rese conto che il dolore delle Cruciatus che gli avevano inflitto non era mai esistito… e allora perché lo sentiva ancora bruciare impietoso nelle sue carni?

Si passò una mano sulla fronte cercando di pulire la pelle candida da quella patina vischiosa di sudore, quindi si lasciò cadere sul cuscino. L’orologio sul comodino segnava l’una e venti…

Tic tac, tic tac, tic tac…

Severus si appoggiò l’avambraccio sinistro alla fronte. Due paia di occhi fissavano il soffitto: due occhi neri, profondi, ancora incrinati dalle visioni di poco prima e le due orbite vuote di un teschio ghignante.

Tic tac, tic tac, tic tac…

Aveva detto a Lily che si sarebbero incontrati alle due in soggiorno. Una smorfia inclinò le sue labbra sottili… bella idea gli era saltata in mente! Andare a Cokeworth, rischiando di farsi catturare dai suoi ex-compagni, per cercare un marmocchio che quasi sicuramente non avrebbe trovato! Bravo Severus, ottimo modo per farsi ammazzare! O peggio, essere costretto a tornare tra i Mangiamorte ed indossare di nuovo quella maledetta maschera.

Tic tac, tic tac, tic tac…

Aveva detto a Lily che sapeva come aggirare la barriera di protezione della villa… certo, sempre che esistesse ancora quel ‘modo’ per aggirarla. E poi c’era Brix… era lui il responsabile… lui si fidava di loro, per questo era andato a letto tranquillo, confidando nel fatto che lui e Lily se ne sarebbero rimasti buoni buoni a casa… e invece, guarda un po’, i ragazzi in cui aveva riposto la sua fiducia l’avrebbero bellamente tradita quella notte andandosene in giro per le strade di Cokeworth.

Tic tac, tic tac, tic tac…

Severus fece scattare un’occhiata irata verso la sveglia che continuava imperterrita con quel suo stupido scioglilingua… cominciava a dargli sui nervi.

Doveva andare a Cokeworth… non importava se avrebbe tradito la fiducia di Brix, di Albus, di Minerva… Non avrebbe tradito quella di Lily verso la quale si sentiva in debito, questo era quello che contava. Certo, perché invece non si sentiva in debito verso Albus, vero? Albus che lo aveva accolto sebbene fosse un Mangiamorte, Albus che gli aveva dato un’altra possibilità, Albus che aveva fiducia in lui. Non si sentiva in debito verso Brix… no, certo… verso Brix che lo aveva curato, che lo aveva consolato, che si era preso cura di lui. Non si sentiva in debito verso Minerva, che si era fidata di lui, nonostante tutto, che gli aveva teso la mano, voluto bene come amico e rispettato come collega, vero? No, certo che no…

Tic tac, tic tac, tic t…
Severus afferrò la sveglia e la scagliò contro il muro. L’infernale tic-tac tacque si spense in un uggiolio.

Doveva andare a Cokeworth, doveva trovare Harry. Aveva commesso tanti errori, ma non aveva mai riparato pienamente a nessuno… questa volta sarebbe stato diverso. Avrebbe trovato Harry, anche se ciò significava tradire la fiducia delle persone che gli erano rimaste accanto nonostante lui fosse quello che era… avrebbe trovato Harry, che si trovasse o meno a Cokeworth… perché era giusto così.

Si alzò dal letto e si vestì in fretta. Il suo sguardo cadde sulla sveglia che giaceva scomposta sul pavimento con i piedi per aria appoggiati al muro. Si avvicinò e la raccolse da terra. Le lancette lo guardarono ferite mentre quella dei secondi continuava con qualche sobbalzo il suo cammino. Severus posò la sveglia sul comodino e sperò che Brix non si fosse svegliato udendo il colpo dell’orologio contro il muro. Aprì il piccolo cassetto sotto al ripiano e ne estrasse la bacchetta.

“Lumos.” Bisbigliò, e la punta della stessa si illuminò di una luce azzurra. Severus agitò la bacchetta liberando la pallina di luce incollatavi in cima e lasciandola così galleggiare davanti a sé illuminando il comodino e l’interno del cassetto.

Il giovane ripose la bacchetta nella tasca dei pantaloni e tirò fuori dal cassetto una pergamena e una piuma d’oca insieme ad una boccetta d’inchiostro. Scrisse poche righe alla luce della pallina azzurra, appoggiandosi al ripiano del comodino, quindi firmò e rimise penna e calamaio nel cassetto richiudendolo. Prese la pergamena ed uscì dalla stanza.

Uscito nel corridoio si diresse a passi svelti, cercando comunque di non far rumore, verso la camera di Brix che si trovava al fondo del corridoio stesso.

Aprì con attenzione la porta. Il russare profondo dell’elfo arrivò subito alle sue orecchie: Brix dormiva della grossa, accoccolato tra le coperte di patchwork. Severus sorrise davanti a quella scena, cercando di scacciare il peso opprimente che gli premeva sul cuore. Sospirò profondamente, titubante per un attimo, ma poi puntò deciso la bacchetta verso l’elfo addormentato e mormorò: “Procumbit somnis.*”

Severus sorrise tristemente: Brix non si sarebbe svegliato sino a tarda mattina.

Il ragazzo si avvicinò all’elfo tranquillamente ora che sapeva che nulla avrebbe turbato il suo sonno. Si chinò osservando il sorriso appagato che inclinava il volto rugoso di Brix. Chiuse gli occhi per un attimo… ormai era tardi per tirarsi indietro. Riaprì gli occhi e si alzò posando sul comodino la pergamena su cui aveva scritto poche righe qualche minuto prima.

“Mi dispiace, Brix.” Mormorò tristemente mentre rimboccava gentilmente le coperte all’elfo.

Poi uscì lentamente dalla camera e richiuse la porta bloccandone la serratura con un incantesimo, quindi ripercorse a ritroso il corridoio e scese le scale diretto verso il soggiorno.

Si stupì di trovarvi già Lily ad attenderlo seduta comodamente sulla poltrona accanto al camino. La luce infuocata del legno ardente gettava spruzzi vermigli sui suoi capelli altrettanto fiammeggianti. La ragazza teneva il capo appoggiato stancamente alla mano destra e fissava la danza delle vampe senza vederla, pensierosa. Le luci dorate si scuotevano sui suoi occhi smeraldini creando strani giochi di colore. Non si accorse della figura nera che la osservava sulla soglia.

Severus si avvicinò lentamente, ma Lily continuò a non dar segno di averlo visto nemmeno quando lui giunse a pochi passi da lei.

Si sedette sul divano di fronte a lei e la osservò per qualche istante aspettando che fosse lei a parlare.

“Non riuscivo a dormire.” Disse infatti Lily continuando ad osservare le lingue di fuoco mormorare canzoni e lanciarsele tra loro, con movimenti serpentini, in uno strano gioco.

Severus la guardò cupamente mentre zampilli di fuoco schizzavano di amaranto le sue iridi di carbone come a dare nuovo vigore a quei miseri resti bruciati e vuoti. Lui aveva dormito, invece… purtroppo… Aveva dormito schiacciato dalle tenaglie gelide delle Cruciatus.

Lily alzò lo sguardo nel momento esatto in cui l’ombra di quelle figure mascherate velava gli occhi scintillanti di Severus.

“Hai avuto un incubo?” Domandò diretta al giovane cogliendo il motivo di quel turbamento che aveva guizzato su quelle iridi nere appannandole con il suo respiro malsano.

Severus la guardò distrattamente.

“Non fa niente.” Disse alzando le spalle.

“Sì che fa. Cos’hai sognato?” Domandò allora Lily, insistente.

Severus la fulminò con uno sguardo e tacque inevitabilmente.

Lily sospirò scuotendo la testa. Era quello il problema di Severus: quel suo tenersi sempre tutto dentro, senza una valvola di sfogo… quando erano a scuola si apriva con lei… quando erano a scuola, già. Prima che lei lo abbandonasse a sé stesso.

“Andiamo?” Chiese Severus alzandosi in piedi.

Lily rimase turbata da quel movimento brusco, e se ne stette lì, seduta sulla poltrona, a guardare quel ragazzo con i lunghi capelli neri in piedi davanti a lei.

“Allora? Andiamo? O vuoi rimanere qui a giocare alla psicanalisi?” Chiese brusco Severus guardandola duramente.

Lily si alzò in piedi, scossa da quel tono duro che il giovane aveva usato.

“Non c’è il rischio che Brix ci senta?” Chiese titubante, temendo di ottenere nuovamente una reazione brusca da Severus.

Ma gli occhi del giovane si erano ammorbiditi ed ora la osservavano tranquilli. Scosse il capo.

“No. –Disse. –Dormirà profondamente fino a tarda mattina. Non ci sono rischi.” Quindi si avvicinò alla porta e afferrò i due pesanti mantelli che giacevano appesi all’attaccapanni come due fantasmi neri e ne tese uno a Lily che lo seguiva a pochi passi di distanza. Lei lo guardò confusa.

“Vuoi morire congelata?” Chiese Severus vedendo che la giovane esitava ad afferrare il mantello. Lei sorrise allegra scuotendo il capo e prese il pesante capo dalle sue mani sussultando quando le sue dita sfiorarono quelle fredde di Severus. Strano… quando aveva preso il giovane per mano nel loro strano ballo di alcune ore prima non aveva sentito quella scarica percorrerle il corpo.

Severus ritirò subito la mano come fulminato, abbandonando il mantello tra le dita di Lily che teneva lo sguardo fisso su di esso.

La giovane si buttò la cappa verde scuro sulle spalle mentre Severus, ancora visibilmente imbarazzato, il mantello nero già indosso, faceva girare la chiave nella toppa e apriva la porta. L’aria gelida di novembre li schiaffeggiò entrambi in pieno viso.

“Fa freschino, in effetti.” Osservò Lily stringendosi addosso il mantello di lana. Severus chiuse la porta alle loro spalle avviandosi in silenzio lungo il vialetto illuminato appena dalla luce vaga di una luna che non riusciva a vincere la sua battaglia a spintoni contro le nubi ancora cariche di pioggia.

Lily si guardò in giro. Aveva fantasticato molto su quel giardino da quando era arrivata a Villa Silente. Si era chiesta come doveva essere in primavera quando gli alberi riacquistavano le loro folte chiome e le aiole che parevano così ben curate erano invase dai colori dei fiori.

“Non riesco ad immaginare quanto…” Cominciò Lily, ma Severus la interruppe subito.

“Quanto bello dev’essere questo posto in primavera? –Disse il giovane, e Lily si stupì di sentire le stesse parole che intendeva pronunciare uscire dalla bocca di Severus. –Immagino che devi conoscere la bellezza per poterla apprezzare.”

Lily lo guardò confusa. Che diavolo voleva dire quella frase?

“Che vuoi dire?” Chiese allora sperando che Severus le desse qualche spiegazione.

Questi prese un lungo sospiro, poi rispose: “Che il male, corrode tutto… anche ciò che c’è di più bello. Che sia stato fatto o subito non ha importanza.”

Lily guardò in silenzio la figura nera di Severus avanzare pochi passi avanti a lei. Capì ancora di più che quel ragazzo andava capito nel profondo per essere aiutato e non era facile scavare nel suo animo, lo aveva visto qualche istante prima quando era scattato iroso perché lei voleva sapere cosa avesse sognato… e lei cosa poteva fare per lui? Come poteva aiutarlo se non sapeva cosa lo turbava esattamente? Se lui non si apriva? Per ora niente se non cambiare discorso.

Severus svoltò improvvisamente a destra attraversando il prato dell’erba ancora umida e Lily si affrettò a seguirlo.

“Allora… ehm… come superiamo la barriera?” Chiese ancora un po’ turbata.

“Se tocchiamo il cancello o la cinta Silente viene avvertito.” Disse Severus.

“E allora?” Domandò Lily.

“Allora noi non toccheremo né cinta né cancello.” Rispose tranquillamente Severus.

Si stavano avvicinando sempre di più all’ampia cancellata. Davanti a loro si trovava un grande castagno dall’enorme tronco contorto e curvo nella vecchiaia. I possenti rami attorcigliati su loro stessi si ergevano nella notte come colonne in rovina vestigia di tempi dimenticate. Severus sorrise nel vederlo.

“Ce ne andremo in volo?” Azzardò allora Lily.

“Vedi dei manici di scopa in giro?” Domandò bruscamente il ragazzo fermandosi a pochi passi dall’immenso tronco rugoso dell’albero.

Lily fu colta improvvisamente da un lampo di consapevolezza che non avrebbe mai voluto arrivasse.

“Non vorrai dire che dobbiamo arrampicarci lì sopra?!” Fece con voce stridula indicando il castagno.

Severus sorrise malizioso e cominciò ad arrampicarsi con agilità sull’albero issandosi sugli immensi rami bassi.

Lily, seppur di malavoglia, fu costretta a seguirlo ma presto si ritrovò a balzare da un ramo all’altro ridendo come una bambina.

“Puoi smetterla di fare tutto questo baccano!” La rimproverò duramente Severus tendendole una mano per aiutarla ad issarsi sull’ennesimo ramo, l’ultimo prima di cominciare la discesa verso l’altro lato della cancellata.

Lily lo guardò sorridendo, ma esitò nel afferrare quella mano chiara che le veniva tesa. Quando lo fece il sorriso si allargò sulle sue labbra spinto dai fili invisibili del contatto con al pelle del ragazzo.

“Grazie.” Mormorò mentre si sedeva a cavalcioni sul ramo su cui si trovava Severus, ma lui la guardò seriamente: “Non è un gioco. Se ci scoprono puoi scordartela Cokeworth!”

Lily lo guardò intristita: “Avevi detto che Brix non si sveglierà fino a domattina.” Gli ricordò.

“Non è un buon motivo per urlare come dei pazzi. Non so come funziona questa barriera… potrebbe essere in ascolto.” Bisbigliò Severus.

Lily gettò un’occhiata preoccupata alla cancellata sotto di loro.

“Dai, scendiamo.” Disse Severus.

Si calarono in fretta lungo i rami saltando a terra finalmente oltre la fatidica barriera. Severus attese che anche Lily posasse i piedi a terra, quindi si allontanarono di qualche decina di metri nei prati che attorniavano Villa Silente.

“A te l’onore di smaterializzarci.” Disse Severus a Lily. Lei sorrise.

Severus gettò un ultimo, triste sguardo al castagno, alla cancellata e molto più in là, oltre il grande giardino, a Villa Silente che sonnecchiava tranquilla ed inconsapevole sotto le fredde coperte novembrine.

Sospirò profondamente mentre Lily si smaterializzava trascinandolo con sé in un sonoro pop.

 

*******
 

 * Incantesimo bellamente inventato. Deriva dalla frase procumbit in somnis, ovvero sprofonda nel sonno.

Pensavate che fossi scomparsa? Eh, no… per vostra grande sfortuna sono di nuovo qui ad importunarvi con le mie pazzie!

Ci sono stati alcuni problemi tecnici per questo capitolo, vale a dire: “Ne avevo scritto più di metà, ma non mi piaceva e l’ho cancellato.” Lo so, non ci sto molto con la testa… XD

Nella parte in cui Lily è in soggiorno davanti al caminetto volevo in realtà mettere come fonte di luce le fiamme azzurre che usa Hermione per dare fuoco al mantello di Piton e contro il Tranello del Diavolo nel primo libro, peccato che mi ricordassi solo il nome inglese, ovvero Bluebell flames. Gli inconvenienti che sopraggiungono quando si leggono i libri di Harry Potter in inglese… -.-“  Qualcuno si ricorda come si chiamano in italiano quelle fiammelle dannate?????

Vabbè… spero che la fuga sia stata di vostro gradimento!

Non so che altro dire, per cui

ARRIVEDERCI A PRESTO, GENTE!
 

P.S. Minerva the best!!!! Dovrebbero farle un monumento!

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Capitolo 12
*** Il Serpente nella rete ***


Capitolo 12
 

IL SERPENTE NELLA RETE


 

Lucius Malfoy gettò un’ultima occhiata ai Tre Manici di Scopa. Le finestre illuminate che risplendevano tendendo le loro mani calde ad invitare i passanti infreddoliti in quella sera ancora carica dell’umidità gelida della pioggia. Malfoy si strinse nel mantello nero cercando di scacciare quella sgradevole sensazione di bagnato che gli si era appiccicata addosso come un bimbo molesto. Fece una smorfia allontanandosi a passo svelto dall’invitante insegna e dal profumo di chiacchiere che si spandeva nell’aria gelida intorno a lui a braccetto con quella luce arancio e calda che macchiava la strada umida con lo strascico del suo vestito.

Lucius svoltò l’angolo abbandonando la via principale di Hogsmeade per immettersi in una grigia e cupa stradina secondaria. Camminò per un piccolo tratto, i suoi occhi glaciali si guardavano intorno circospetti sbirciando da sotto il cappuccio che l’uomo si stringeva sul capo nascondendo i lunghi capelli biondi.

Quel luogo non gli piaceva. Per niente. Che cosa aveva i Tre Manici di Scopa che non andava? Accidenti a quel lurido vigliacco di Lumacorno! Troppa paura a farsi vedere al pub di madama Rosmerta in sua compagnia? Coniglio! E così lui per poter parlare con il suo ex-insegnante di pozioni doveva infilarsi in quel lurido vicolo scuro.

Lucius si fermò davanti all’insegna ondeggiante che recava l’immagine di una testa recisa di cinghiale sotto la scritta nera che recitava “Alla Testa di Porco”. La osservò per un attimo, poi distolse lo sguardo con una smorfia schifata. Osservò la luce malaticcia che filtrava dalle finestre ricoperte da strati di sporcizia, la porta scura, la maniglia arrugginita.

Fece un respiro profondo. Che razza di bettola. Lui, Lucius Malfoy, stava per entrare in quella… cosa. Non la si poteva neanche chiamare ‘locanda’, era un covo di ladri e malviventi, stranieri, gente di malaffare… e lui doveva entrare lì! Santo Merlino! Perché lui? Perché proprio lì? Soprattutto, cosa legava Horace Lumacorno alla Testa di Porco? Per quanto ne sapeva, il professore era sempre stato un assiduo frequentatore dei Tre Manici di Scopa… certo, da madama Rosmerta era sempre affollato forse era questo a far paura al pavido Horace? Poverino. Chissà che vergogna farsi vedere insieme a un Mangiamorte davanti a Rosmerta. Alla Testa di Porco sarebbero passati inosservati, aveva scritto Lumacorno nella lettera che gli aveva spedito in risposta, il proprietario è assolutamente affidabile e discreto. Voleva proprio conoscerlo questo ‘proprietario affidabile e discreto’. Chissà che persona poteva essere uno che gestiva una tale bettola.

Trasse un altro respiro profondo e posò la mano sulla maniglia della porta sentendone la superficie umidiccia e appiccicosa, spinse la porta storcendo il naso nel percepire il legno viscido sotto le dita chiare e curate. Si chiese se ‘il proprietario discreto e affidabile’ ci avesse spalmato sopra delle limacce. Entrò e richiuse la porta alle sue spalle allontanando subito la mano da essa e passandosela ripetutamente sul mantello cerando di pulirla da quello strato appiccicoso che infastidiva la sua pelle liscia.

L’odore di stantio e di fumo lo avvolse in un attimo insieme ad una folata calda, quasi soffocante e Lucius si ritrovò a rimpiangere l’umidità appiccicaticcia che aleggiava all’esterno. Non si abbassò il cappuccio temendo che quell’aria grassa che regnava nella sala gli si appiccicasse alla sua bella chioma platinata. Si guardò intorno. Il pub era vuoto, l’unico cliente di quella topaia era lo sporco, a quanto pareva. I rozzi tavoli di legno erano impregnati della luce malaticcia di alcune candele, il pavimento, notò, era talmente sporco che sembrava non ci fosse e lui stesse posando i piedi sulla nuda terra.

Si avvicinò al bancone guardandosi bene dal toccarne la superficie grassa. Si protese in avanti cercando con gli occhi il ‘munifico locandiere’.

“C’è nessuno?” Chiese innervosito. Quel posto gli piaceva sempre meno.

Nessuno ripose.

“Bah.” Fece Malfoy allontanandosi dal bancone e andando a sedersi a quello che sembrava il tavolo più pulito, anzi, meno sporco del locale, all’angolo, vicino alle finestre appannate dando le spalle all’entrata e al bancone.

Sbuffò appoggiandosi stancamente allo schienale della sedia e guardando fuori sperando di poter intravedere la sagoma del professor Lumacorno attraverso quei spessi vetri opachi.

“Volete qualcosa da bere?” Tuonò improvvisamente una voce facendolo sussultare. Si voltò di scatto rimanendo di sasso. E quello sarebbe stato il proprietario del locale? Per la miseria! Per un istante Lucius aveva creduto di ritrovarsi davanti Albus Silente, ma ora che poteva osservare meglio quell’uomo si rendeva conto che, certo, gli somigliava molto con quegli occhiali appoggiati malamente sul naso pronunciato davanti a due occhi azzurri scintillanti, e con quella barba lunga che gli copriva il petto. Forse la brutta copia di Silente, visti gli abiti dismessi e la chioma irsuta e malcurata, per non parlare del grembiule di un colore non ben definito.

“Dico a voi! Volete qualcosa da bere o volete continuare a fissarmi per tutta la serata?!” Esclamò, burbero il locandiere con la sua voce profonda.

Lucius continuò a guardarlo con sospetto poi scosse il capo e tornò a guardare fuori dalla finestra.

Aberforth grugnì indispettito andando a piazzarsi dietro al bancone. Si sedette sul suo sgabello e osservò quello strano personaggio seduto all’angolo. Un Mangiamorte purosangue con la puzza sotto al naso seduto nella sua locanda. Aveva notato lo sguardo schifato che lanciava al suo locale ed il sussulto che lo aveva scosso quando lo aveva visto. Di certo il posto non andava a genio al caro Lucius… e a lui non andava a genio la situazione. Che razza di serata! E non era che l’inizio.

Sbuffò mentre vedeva Malfoy agitarsi sulla sedia su cui era seduto. Subito dopo qualcuno bussò alla porta e Aberforth dovette alzarsi di malavoglia per andare ad aprire.

Socchiuse la porta e si ritrovò davanti Horace Lumacorno avvolto in un pesante mantello verde. Aberforth lo guardò cupo facendo correre gli occhi su tutta la sua figura con occhi indagatori, lo analizzò in ogni minimo particolare prima di aprire del tutto la porta lasciando entrare il professore.

“Buonasera.” Disse Horace al taverniere entrando svelto nel locale, mentre Aberforth lo guardava con occhi che sprizzavano scintille da ogni lato. Quest’ultimo mugugnò qualcosa in risposta e richiuse con poche cerimonie la porta.

Lumacorno non si soffermò su di lui e si diresse al tavolo dove si trovava Lucius Malfoy. Si tolse il mantello gettandolo su una sedia vuota e si sedette pesantemente di fronte al Mangiamorte con un profondo respiro.

Lucius lo guardò sospettoso per un attimo, poi si calò il cappuccio mostrando il suo viso pallido.

“Buonasera, mio caro Lucius.” Disse Lumacorno.

L’altro accennò col capo. “Professore.” Disse.

“Whisky Incendiario?” Propose Horace e Lucius annuì, nonostante non tenesse molto a far conoscenza con i bicchieri della Testa di Porco.

“Ottimo. –Fece allora Lumacorno, poi si rivolse all’oste che sedeva dietro al bancone passando uno straccio usato e riusato sulla superficie dello stesso. –Due Whisky Incendiari, quaggiù!”

Aberforth gettò con stizza lo straccio sul ripiano e si voltò per prendere due bicchieri e una bottiglia di whisky che sbatté sul bancone con malagrazia mentre continuava ad osservare Lumacorno con occhi truci.

Questi se ne accorse e si schiarì la gola tornando a guardare Lucius, notando che, fortunatamente, questi non si era accorto di quello scambio di sguardi tra loro due.

“Allora… avevi detto di volermi parlare, Lucius. Ebbene?” Chiese a Malfoy con un accenno di timore nella voce.

L’altro si protese in avanti puntando i suoi occhi gelidi in quelli acquosi di Horace.

“Posso chiedere perché ha chiesto di vederci in questa topaia?” Chiese il Mangiamorte sottovoce, esternando tutto il suo risentimento per la scelta del posto.

Ad Aberforth non sfuggì quel sostantivo e fulminò con lo sguardo la schiena di Malfoy mentre versava il Whisky Incendiario nei bicchieri.

“Ah-ehm… -cominciò Horace, visibilmente a disagio. –Ecco… è un luogo isolato. I Tre Manici di Scopa è veramente troppo, troppo affollato. E poi, cerca di capire, ne va della mia integrità morale di insegnante… farmi vedere in giro con un Mangiamorte…”

“E lei si fida del proprietario di questo magnifico pub?” Chiese allora Lucius.

“Sì. Beh, cioè… insomma…” Disse Horace lanciando uno sguardo furbo, quasi complice, ad Aberforth che si stava avvicinando con i bicchieri in mano. Questi rispose con un’occhiata torva mentre posava i bicchieri sul tavolo con non curanza rischiando di versare il whisky con cui erano stati riempiti fino all’orlo.

“Potete star certi che non andrò a spiattellare tutto a chicchessia, signori.” Brontolò Aberforth guardando prima uno e poi l’altro.

Lucius lo guardò circospetto per un attimo poi portò gli occhi nuovamente su Lumacorno. Quella situazione non gli piaceva. No, proprio per niente… si sarebbe sentito più sicuro in mezzo alla folla al pub di madama Rosmerta. Si sentiva fuori posto in quel locale lurido… non solo perché questa di certo non si adattava ai suoi standard aristocratici, ma perché era tutto così… così… tutto per loro. Insomma, sembrava che quel pub fosse stato tenuto aperto solo per loro due, che il proprietario avesse allontanato tutti gli altri possibili clienti. E si chiese come poteva Horace Lumacorno aver organizzato tutto ciò, e soprattutto come poteva conoscere così bene il locandiere. E che diavolo erano quelle occhiate complici che il professore lanciava al taverniere? Credeva che non se ne fosse accorto? No, la cosa non gli piaceva affatto.

Aberforth notò lo sguardo pensieroso e diffidente del Mangiamorte. Fece scattare gli occhi su Horace lanciandogli un’occhiata eloquente: doveva andarci cauto. Qualunque cosa si potesse dire di Lucius Malfoy di certo non che fosse stupido, anzi…

“Allora, Lucius. Cosa volevi dirmi?” Disse Lumacorno incoraggiando il Mangiamorte a parlare mentre Aberforth si voltava allontanandosi da loro.

“Come vanno le cose a Hogwarts, professore?” Chiese Lucius.

“Benissimo. –Rispose placidamente Horace. – Come al solito. Certo a quest’ora me ne starei tranquillo a casa mia a leggere un buon libro… e invece mi tocca insegnare a quelle teste di legno.” Sorrise timidamente mentre si bagnava le labbra con il sapore forte del whisky.

“E a te, mio caro, come vanno le cose?” Domandò poi a Lucius.

Questi gli rispose con un’alzata di spalle: “Bene e male. Non sono bei tempi.” Disse con un sorriso.

“Certo, di questi tempi bisogna stare all’erta.- Concordò Horace. –Hai sentito cos’è successo ai Potter, immagino. Poveri ragazzi… erano stati miei studenti, lo sai no? Forse vi siete incrociati per un anno ad Hogwarts.”

Lucius annuì ostentando un’espressione addolorata. “Facevo il settimo anno quando loro frequentavano il primo… certo, non ci sono stati molti rapporti tra noi.” Disse assaggiando con la punta della lingua il sapore del whisky che si rivelò di ottima qualità, dopotutto.

Lumacorno scosse il capo: “Poveri ragazzi. Poveri ragazzi.” Mormorò come in una litania.

“Ricordo la loro prima lezione di Pozioni. Lily Evans fu una rivelazione. Davvero sorprendente per una Nata Babbana.” Disse protendendosi verso il Mangiamorte.
Lucius si fece sfuggire un sorriso sprezzante. “Ho sentito che lei è sopravvissuta.” Disse con voce sibilante.

Aberforth era tornato dietro al bancone ed era intento a pulire alcuni bicchieri. Le sue orecchie, tuttavia, erano attente a non lasciarsi sfuggire nemmeno una delle parole che si scambiavano quei due. Faceva inoltre scattare gli occhi di tanto in tanto su Horace, tenendolo d’occhio.

Lumacorno, intanto, aveva buttato giù quel poco di whisky che rimaneva nel piccolo bicchiere.

“Sì. Ma povera ragazza. Ha perso marito e figlio…” Horace alzò il braccio sinistro agitandolo in aria per attirare l’attenzione di Aberforth. Questi grugnì e mugugnò qualcosa quando vide il professore sollevare il bicchiere vuoto. Si infilò lo straccio nel grembiule, agguantò la bottiglia di whisky e si avvicinò al tavolo per la seconda volta.

“So che è stato Severus Piton a salvarla.” Insinuò Lucius mentre sorseggiava pigramente il suo whisky.

“Oh sì. –rispose Lumacorno mentre Aberforth riempiva nuovamente il suo bicchiere.- Lascia qui la bottiglia, Ab.” Disse poi al locandiere con un sorriso. Questi lo fulminò accennando con gli occhi a Malfoy, poi estrasse lo straccio sporco dal grembiule e cominciò a passarlo sul tavolo alle spalle del Mangiamorte.

A Lucius non sfuggì quello scambio di sguardi. La cosa gli piaceva sempre meno, doveva essere cauto. Si sentiva stranamente preso in trappola. Ma doveva scoprire ciò che gli premeva: non aveva alcuna intenzione di tornare dall’Oscuro Signore senza le informazioni che doveva portargli.

“Quel ragazzo è uno dei maghi più dotati che abbia mai conosciuto. Immagino che Lui lo tenesse in alta stima…” Disse Lumacorno.

Lucius venne distolto dai suoi pensieri. “Oh, sì. –rispose- Era il suo prediletto. Il suo tradimento è stato un brutto colpo per l’Oscuro Signore. Per Severus non si prospettano tempi facili.”

Malfoy scostò lo sguardo da Lumacorno per portarlo alla finestra, pensieroso. Horace lo osservò in silenzio sorseggiando il suo whisky. Ad un tratto, però, notò che Aberforth, pochi passi alle spalle di Lucius, stava facendogli segno cercando di attirare la sua attenzione con urgenza. Si accorse che il locandiere lo guardava in modo strano, gli occhi azzurri scintillavano allarmati.

Horace gli gettò uno sguardo interrogativo. Aberforth, allora, si passò una mano sul mento barbuto e scandì con le labbra: “La barba.”

Lumacorno si portò le dita al mento: una folta barba stava crescendo sul viso del professore mischiandosi ai morbidi mustacchi.

Balzò in piedi e si voltò di scatto facendo sobbalzare Malfoy, che ancora guardava fuori dalla finestra assorto nei suoi pensieri.

“Mi serve un bagno. Torno subito.” Blaterò svelto Lumacorno mentre si allontanava quasi di corsa dando le spalle ad un Lucius con uno sguardo a dir poco perplesso.

Il Mangiamorte si voltò verso il locandiere, interrogativo.

“Problemi di incontinenza… è normale a una certa età.” Gli disse Aberforth.

Malfoy si lasciò sfuggire un sorriso maligno: “Lei è un esperto di queste cose, non è vero?” Disse.

Aberforth colse la frecciata e sorrise di rimando prendendo la palla al balzo: “Ho un fratello che soffre di tali problemi. Soprattutto incontinenza mentale.”

Lucius sorrise.

“Eccomi qui. –Fece improvvisamente la voce di Lumacorno. –Tutto a posto.” Concluse mentre il professore tornava a sedersi al suo posto osservando Aberforth con occhi omicidi: aveva sentito lo scambio di battute tra i due.

“Allora di cosa stavamo parlando?- Disse Lumacorno cercando di fare mente locale- Oh sì! Di Severus. Mi è dispiaciuto tanto per lui… E’ stato ferito, sai? Sia lui che Lily.”

Lucius si sentì gelare a quelle parole. No, non lo sapeva. Sapeva che la Evans non se l’era cavata senza graffi, quello sì… ma non era a conoscenza del fatte che anche Severus fosse stato ferito.
Lumacorno colse quel velo di preoccupazione negli occhi di Malfoy e si affrettò a rassicurarlo: “Oh, niente di grave. Solo un taglio superficiale da quanto mi hanno detto.”

“E’ stato curato?” Domandò Lucius. Sembrava davvero turbato per la sorte di Severus, notò Horace, e se ne stupì.

“Sì. Tranquillo… Madama Chips si è presa cura di entrambi.” Rispose Lumacorno.

Lucius ghignò tra sé e sé. Forse poteva far leva sulla sua inquietudine per Severus, amplificarla nel modo giusto, per scoprire qualcosa in più.

“Ma… insomma… lui è… è stato curato ad Hogwarts?” Balbettò Malfoy.

“Sì. L’ho visto… sta bene. Ci siamo salutati l’altro giorno quando io ho preso il suo posto come insegnante di Pozioni. Poco prima che lasciasse Hogwarts.” Disse Horace, svuotando quello che era già il terso bicchiere di whisky per lui. Gli occhi di Lucius si illuminarono: aveva scoperto ciò che gli premeva.

Aberforth guardò Lumacorno allarmato. Che gli passava per la testa? Non aveva ancora capito che Lucius era lì per scoprire dove fossero Lily e Severus? Perfino lui l’aveva capito… l’aveva capito quando Malfoy si era impuntato su Piton.

Horace, tuttavia, gli lanciò uno sguardo tranquillizzante e ricominciò a parlare: “Tuttavia il vero mistero è che fine abbia fatto il bambino.”

Malfoy sussultò. “Il… il bambino?” Ripetè, a disagio.

“Sì. Harry. E’ sparito… volatilizzato. Speriamo solo che non…” Lumacorno rabbrividì, ma i suoi occhi scandagliavano quelli di Lucius in cerca di qualche fessura per potervisi incanalare ed esplorare le calotte di ghiaccio di quelle iridi..

“Non sappiamo nulla del bambino.” Disse Malfoy in fretta, ma sia Aberforth che Lumacorno intuirono che non era la completa verità. C’era qualcosa che Lucius nascondeva.

“Lui sta cercando Severus, non è così? Mi dicevi.” Disse Lumacorno, cambiando discorso.

“Sì.” Rispose Lucius laconico.

“Merlino… Non vorrei che accadesse qualcosa di male a quel ragazzo. Era lo studente migliore del suo anno… un vero genio in Pozioni. –Disse allora Horace. –Potrebbe individuarlo in qualche modo?”

Lucius vagliò bene l’ipotesi di rispondergli sinceramente. Ma, sì. Perché non avrebbe dovuto? Dopotutto Severus rimaneva comunque suo amico… se Horace avesse detto tutto a Silente, cosa improbabile sapendo che comunque il professore preferiva rimanere neutrale, forse Severus avrebbe potuto avere una possibilità. Sempre sperando che il Signore Oscuro non scoprisse che era stato lui a parlarne. Tremò a quell’ipotesi, ma poi disse: “Potrebbe. Attraverso il Marchio.”

Qualcosa scintillò negli occhi di Lumacorno che ora brillavano di uno starno azzurro acceso. Un piccolo pesciolino d’argento che non apparteneva a quegli occhi ed i sospetti di Lucius tornarono a farsi sentire.

“Attraverso il Marchio?” Ripetè Horace con una strana voce. Una voce non sua.

“Sì.” Disse allora Malfoy, sempre più sospettoso. Le cose si mettevano male… improvvisamente si sentì stretto in una rete. Doveva allontanarsi da lì prima che essa si chiudesse inesorabilmente su di lui.

“Si è fatto tardi… Io dovrei andare.” Disse frettoloso mentre beveva l’ultimo sorso di whisky e si calava nuovamente il cappuccio sul capo.

“E’ stato un piacere scambiare alcune parole con lei, professore.” Aggiunse. Quindi si diresse verso l’uscita salutando Aberforth con un veloce ‘arrivederci’.

***

Uscito nell’aria fresca della notte, Lucius tirò un sopsiro di sollievo. Dannazione. Era solo una trappola… una stupida trappola architettata da Silente.

Ne aveva avuto sentore da quando aveva ricevuto la lettera di Lumacorno, ma non poteva rinunciare ad avere quelle informazioni… informazioni che aveva comunque ottenuto. Per fortuna se n’era andato in tempo. Lumacorno era strano quella sera, non l’aveva mai visto così deciso e manipolatore.

Si chiese come aveva fatto Silente a convincerlo a fare da esca… E il locandiere faceva parte della recita anche lui. Maledetti.

Era stato avventato, si disse, ma era l’unico modo.

Si avviò tranquillo lungo la strada facendo alcuni passi per respirare l’aria pulita della notte dopo quel tempo passato all’interno di quella bettola sporca ed afosa, poi si smaterializzò.

***

Quando udì lo schiocco della smaterializzazione di Malfoy, Aberforth si rivolse a Lumacorno ancora seduto al tavolo con aria smarrita.

“Complimenti, mister. Hai fatto scappare il serpentello.” Gli disse incrociando le braccia.

“Suvvia, Aberforth. Abbiamo ottenuto alcune preziose informazioni.” Disse allora Horace mentre una folta barba tornava a crescergli sul viso. Si versò nel bicchiere l’ultimo goccio di whisky rimasto nella bottiglia.

“Sai quanto me ne può importare delle tue informazioni…” Fece Aberforth.

“Che maleducato, però. Se n’è andato senza pagare.” Osservò Horace mentre i suoi lineamenti andavano sempre più modificandosi.

“Che cosa avresti scoperto? Sentiamo.” Gli chiese allora il locandiere avvicinandosi al suo tavolo.

“Ho scoperto che Voldemort non aspetta altro che Severus diventi rintracciabile. E’ per questo che Lucius era qui: Voldemort non riesce a localizzare Severus e vuole sapere perché. E ora Lucius sa che il ragazzo non è ad Hogwarts.” Spiegò tranquillamente Horace mentre ormai il suo viso era diventato quello di Albus Silente.

“E lo sa perché glielo hai detto tu. - Gli fece allora notare Aberforth.- Era proprio necessario?”

Silente gli sorrise: “Se non lo avessi fatto se ne sarebbe già andato da un pezzo. Non è uno stupido e conosce Horace e Horace glielo avrebbe detto.” Spiegò.

“E tutta questa pagliacciata con la Polisucco era proprio necessaria?” Chiese allora Aberforth.

“Non c’è stato verso di convincere Horace. Quando si impunta su qualcosa…” Rispose Albus, svuotando il bicchiere di whisky ed alzandosi.

Aberfoth lo guardò con occhi critici: “Sei ridicolo vestito così.” Disse accennando alla giacca verde smeraldo e al panciotto dorato diventati larghi oltremisura, insieme con i pantaloni che sembravano sul punto di cadere a terra ad ogni movimento.

“Non ho gradito molto l’allusione alla mia incontinenza mentale, sappilo.” Disse Albus, ignorando l’osservazione sui suoi vestiti e gettandosi sulle spalle il mantello verde.

“Bene. Se non c’è altro, io me ne andrei. Voglio sgranchirmi un po’ le gambe prima di tornare ad Hogwarts. Buonanotte, Aberforth.” Disse poi avviandosi verso l’uscita.

Aberforth guardò la bottiglia vuota di whisky e scosse la testa.

“Ti sei scolato un’intera bottiglia di whisky. – bofonchiò trattenendo il fratello. –Ma non ti vergogni?”

Albus sorrise.

“Buonanotte.” Ripetè. Aprì la porta e fece per uscire, ma Aberforth lo afferrò per il mantello e lo costrinse a voltarsi.

“Fermo lì. –Gli intimò –Mi devi cinque galeoni per il whisky.”

“Cinque galeoni! Hai alzato i prezzi ultimamente.” Disse Albus. Aberforth lo guardò cupo e Silente cominciò a cercare nelle tasche interne della giacca fino ad estrarne cinque monete d’oro che mise nelle mani del locandiere.

“Ecco. Contento ora?” fece Albus con un sorriso. Quindi diede le spalle al fratello ripetendo per l’ennesima volta ‘buonanotte’. Ed uscì dalla Testa di Porco.

“Buonanotte.” Gli disse Aberforth dalla soglia, grato nel vedere finalmente il fratello allontanarsi dal suo pub.

“E non perdere i pantaloni!” Gli disse, mentre Albus, di spalle levava una mano in saluto.

 

*******

 

Et voila! Stavolta ho mantenuto i tempi.

Allora che ne dite di questo capitolo? Bella l’idea della Pozione Polisucco? Phoebhe76 e Thumbelina ci avevano azzeccato nelle precedenti recensioni. ;)

Ho giocato un po' con il personaggio di Aberforth, potrà risultarvi un po' OOC, ma così era più funzionale alla storia. Dubito che il vero Aberforth si sarebbe comportato così con il fratello. La situazione, comunque, non gli piaceva affatto. E non potevo spiegare di più nel suo punto di vista altrimenti rivelavo l'inghippo della Polisucco.

Il caro Lucius, invece... sono così fiera di lui!!! Se ne accorto eccome della trappola. Ma d’altronde, una delle virtù dei Serpeverde è l’astuzia.

L’unico problema ora è Severus: Voldemort può rintracciarlo attraverso il Marchio. E cosa succede se Sev non si trova più protetto dalla barriera di Villa Silente?

Recensite, mi raccomando! Aspetto i vostri commenti.
 
 

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Capitolo 13
*** Cokeworth ***


Capitolo 13
 

COKEWORTH


 

La città di Cokeworth sonnecchiava tranquilla, avvolta nelle coperte dei suoi lampioni che illuminavano la via con la loro luce ambrata. La luna vi mischiava, placida, i suoi raggi argentati abbracciandosi ad essa con carezze lascive.  Le finestre della case erano serrate, nascoste dietro le persiane scure. La città era accoccolata tra le braccia cupe del sonno, cullata dalla lieve ninnananna dell’astro notturno. Nessuno si accorse di quei due strani giovani comparsi dal nulla all’inizio della via.

Lily si guardò intorno. Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che era stata in quella città. L’ultima volta era stata poco prima che James le chiedesse di sposarla, se non ricordava male. Aveva passato pochi giorni a casa dei suoi, poi si era trasferita a Godric’s Hollow… aveva rivisto i suoi genitori alla nascita di Harry, ma da allora era passato un anno. Sentì una strana felicità nel rivedere quella via, quelle case, quei lampioni… strana perché al momento le sembrava solo l’emozione più stupida che potesse provare. Era lì per Harry. Era lì nella speranza di ritrovare suo figlio, non per una riunione familiare. Eppure non poteva evitare di accarezzare con gli occhi ogni spigolo, ogni cartello, ogni auto parcheggiata…

Severus, accanto a lei, sentiva solo una profonda tristezza pervaderlo. Ricordi su ricordi si accavallavano nella sua mente. I pomeriggi passati a casa di Lily a chiacchierare, a studiare… le giornate spese sotto un albero al parco, poco lontano, dove l’aveva vista per la prima volta. Le ore passate a casa, da solo… con una madre che era diventata soltanto più un fantasma silenzioso… le urla del padre, la sua voce profonda che inveiva contro di lui, contro la sua natura magica… le botte… le notti passate in angosciante silenzio. E poi di nuovo una Lily bambina che gli sorrideva mentre gli disinfettava i tagli e le escoriazioni. La sorella di lei, Petunia, che lo guardava con disprezzo e disgusto… tutte le litigate che si era fatto con quella ragazza ossuta… la madre, Mary, che voleva sempre trattenerlo per cena… suo marito, Charles, che gli batteva pacche incoraggianti sulla schiena con il suo solito sorriso allegro. Era sempre stato il benvenuto in quella casa. Chissà cosa avrebbero detto ora, Charles e Mary Evans, nel vedere quello che era diventato… un assassino… un fantasma senz’anima.

Gettò un’occhiata a Lily vendendo i suoi occhi sorridere nell’osservare le case intorno a loro. Lei era felice di essere tornata… lei aveva bei ricordi di quel luogo: era la sua casa. Lei apparteneva a quelle vie, a quella città… lui… lui non apparteneva da nessuna parte, e l’unica anima che vedeva camminare in quella strada era l’ombra malinconica e scheletrica del rammarico.

Lei si voltò verso di lui, sorridente.

“Pensi davvero che Harry possa essere qui?” Chiese speranzosa.

Severus la guardò tristemente. Ponderò un attimo tutte le possibili risposet che poteva darle, poi decise di dirle la verità.

“No.” Rispose cupamente.

Il sorriso sul volto di Lily non si spense, ma i suoi occhi erano diventati opachi sotto il amntello della delusione. Ma d’altronde che si aspettava? Che le avrebbe mentito? Che le avrebbe mentito solo per farla stare meglio? Per darle false speranze? No… lui sapeva bene cosa voleva dire credere di vedere la verità, quando in realtà non è che una maschera… una maschera d’argento. Sapeva bene cosa significava… credere nelle false speranze, nei sogni di gloria che un uomo vestito di nero, una volta, gli aveva gettato davanti e che lui aveva divorato avidamente solo per scoprire che in realtà erano bocconi avvelenati.

“Però potremmo scoprire qualcosa su di lui.” Aggiunse il ragazzo. Lily annuì.

La giovane si incamminò lungo la via silenziosa e Severus la seguì tenendosi a pochi passi di distanza. Se non ricordava male, la casa di Lily si trovava poco più avanti rispetto a dove si erano materializzati.

Lily camminava spedita continuando ad ammirare con occhi nostalgici le case intorno a lei. Severus ne ammirò i capelli fulvi brillare alla luce dei lampioni… avrebbe voluto avvicinarsi di più a lei, alla sua principessa di fuoco, ma qualcosa lo tratteneva. Lo teneva a distanza, gli impediva di portarsi al suo fianco, di prenderla per mano… voleva sentire di nuovo la sua pelle tiepida sulla sua. Ma non poteva. Lui non aveva diritto di stare alla stessa altezza di Lily… no, lui doveva rimanere indietro, alle sue spalle, nell’ombra… non poteva permettersi di considerarsi alla stregua di quella strega coraggiosa. Lily era bella, gentile, buona… lui… lui era un Mangiamorte, niente di più. Era diventato quello che tutti pensavano sarebbe diventato…  niente di più, niente di meno. Non era mai stato come gli altri… lui era sempre stato diverso, sbagliato… come poteva uno come lui pensare di poter stare con una ragazza come Lily? Lei era la luce del sole e lui soltanto una macchia nera di marcio in quel mondo… non poteva permettersi di infangare la sua bellezza con la sua putredine.

Un dolore lancinante al braccio sinistro lo distolse dai suoi pensieri. Severus si afferrò con forza l’avambraccio mentre il pennino tagliente del dolore ricalcava le linee nere del Marchio affondando con forza la punta acuminata nella carne, imbrattando di inchiostro vermiglio la superficie candida della pelle. Il ragazzo si lasciò sfuggire un lieve gemito mentre le dita della mano destra si stringevano spasmodicamente attorno al braccio cercando inutilmente di rallentare il disegnare impietoso di quella lama invisibile. Alcune gocce di sangue sfuggirono alla stoffa della manica scivolando calde lungo le dita bianche del giovane.

Lily sentì il gemito strozzato del giovane a pochi passi dietro di lei e si voltò di scatto. Severus aveva la testa china, i lunghi capelli neri gli coprivano il viso percorso da una smorfia di dolore volutamente e a malapena contenuta. La sua mano destra stringeva con forza il braccio mancino.

La ragazza lo guardò, preoccupata, per un attimo prima di avvicinarsi a lui.

“Sev?” Fece con voce nervosa mentre gli scostava dolcemente i capelli dal volto per guardarlo in viso. Severus si ritrasse con un movimento brusco a quel contatto, mentre stringeva i denti per evitare che un secondo, lieve gemito di dolore gli sfuggisse ancora dalle labbra.

Lily allontanò gli occhi dal viso contratto del giovane per posarli sul suo braccio sinistro, lì dove sapeva esserci il Marchio Nero impresso a fuoco nella sua carne. Guardò le dita strette angosciosamente intorno all’avambraccio e quelle della mano sinistra chiuse a pugno, come un cancello tormentosamente serrato nel tentativo vano di fermare quel rivolo scuro che gli correva  sulla mano.

La giovane si angustiò nel vedere quel ruscello di sangue scivolare tra le dita del suo amico, scuro e denso come petrolio. Posò la sua mano su quella destra di lui cercando di allentare quella morsa folle.

Il tocco di Lily fu come uno scroscio di pioggia fresca sulle turpi fiamme che divoravano il suo braccio. Severus allentò un poco la presa sul suo braccio lasciandosi guidare dalle dita leggere di Lily che forzavano dolcemente le sue.  Il giovane rilassò il viso mentre guardava la ragazza prendere nella sua la mano ancora tremante. Severus la guardò dimenticando le fitte di dolore che si erano attutite, ma non erano svanite: erano ancora lì a pulsare dolorosamente contro la sua pelle. Lily alzò il viso su di lui, senza smettere di stringere la sua mano, e gli sorrise dolcemente, poi lasciò le sue dita e portò entrambe le mani sul suo braccio sinistro. Fece per sollevargli la manica, ma Severus ritrasse il braccio come se il tocco di Lily lo avesse scottato.

“Non è niente, Lily. –disse, cercando di mascherare il dolore che vibrava nella sua voce. – Lascia stare.”

“Sev, stai sanguinando.” Gli fece notare la ragazza.

“Lo so. Non è niente.” Ripetè Severus, scostando lo sguardo.

“Come vuoi tu.” Si arrese Lily con un sospiro.

La giovane guardò ancora per un attimo il ragazzo accanto a lei con visibile preoccupazione, ma decise di non forzarlo ulteriormente. Si sarebbe occupata di lui a casa dei suoi. Si avviò nuovamente lungo la strada, decisa a raggiungere in fretta la dimora dei suoi genitori. Avrebbe convinto Severus a farsi curare… bendare, almeno… a qualunque costo.

Il ragazzo la seguì. Era spaventato, non poteva negarlo a sé stesso. Non era la prima volta che il Marchio sanguinava, ma le altre volte, quando si trovava a Villa Silente, non provava dolore: il Marchio sanguinava copiosamente per qualche istante e poi smetteva come aveva iniziato. Questa volta, invece, quell’orrendo segno continuava a pulsare e bruciare lanciando fitte lancinanti in tutto il braccio, fino alla spalla… e quella non era una buona cosa. Non gli importava del dolore, ma le uniche volte in cui il Marchio bruciava era quando Voldemort lo chiamava a sé… ma ora non lo stava chiamando, lo sentiva… e allora perché quel dolore d’inferno? Lui poteva individuarlo attraverso il Marchio? Se così fosse dovevano rifugiarsi al più presto a casa di Lily, sotto la protezione dell’Incanto Fidelius: lì non sarebbero più stati rintracciabili. Doveva tenere Lily al sicuro. Non voleva che le succedesse qualcosa per causa sua.

Lily si fermò davanti a una casa che sembrava abbandonata da anni. Le finestre erano serrate dietro persiane scrostate, tutte tranne una le cui persiane erano state scardinate e giacevano a terra perdute nella selva di erba alta che era diventato il giardino. La porta, un tempo verniciata di un azzurro brillante, ora mostrava soltanto il biancastro malaticcio del legno ancora macchiato da piccoli brandelli di vernice celeste, la mezzaluna sopra di essa aveva parecchi vetri rotti i cui frammenti si erano accumulati davanti all’entrata.

La giovane si avvicinò al cancelletto che si apriva nella cancellata arrugginita e lo spinse facendo gemere sommessamente i cardini entrò nel giardino, quindi si voltò verso Severus invitandolo ad entrare con uno sguardo.

Il giovane fece alcuni passi in avanti mentre il dolore al braccio non accennava a diminuire. Quando superò la barriera dell’Incanto che sia alzava dalla breve cancellata, si presentò ai suoi occhi un giardino ben curato, l’erba verde tagliata da poco. Alla sua destra si trovava una vecchia altalena. La ricordava molto bene… Lui e Lily avevano molti pomeriggi estivi seduti su quell’altalena a chiacchierare. Sorrise lievemente a quel ricordo.

Distolse lo sguardo dall’altalena per portarlo sulla facciata della casa: ora la riconosceva. Riconosceva quelle persiane azzurre, quelle finestre decorate da un contorno altrettanto ceruleo; la porta, che ora ostentava il suo colore brillante, pulito, la mezzaluna con i vetri colorati… il piccolo lampioncino sopra che illuminava l’entrata.

Lily si voltò verso di lui, raggiante. Era davvero felice di essere tornata a casa. Gli fece cenno di raggiungerla davanti alla porta. Quando Severus fu a due passi da lei, Lily abbassò la maniglia e aprì la porta. Non c’era bisogno di alcuna chiave… dopotutto lei era autorizzata ad essere lì, la barriera riconosceva la sua aura.

“Vieni dentro. Svelto!” Gli sussurrò sorridendo, e Severus fece quanto gli veniva detto chiudendo poi la porta alle sue spalle.

“Faremo venire un infarto ai miei genitori…” mormorò Lily senza smettere di sorridergli.

Severus era troppo occupato a guardarsi intorno per ascoltarla. Conosceva così bene quell’ingresso… quella casa… era stato il suo rifugio sicuro per sette anni. Ricordava bene il motivo floreale del tappeto che aveva sotto i piedi, la scala di legno che portava alle camere, al piano superiore… non aveva bisogno della luce per orientarsi lì: a sinistra si trovava il soggiorno, a destra e la sala da pranzo e la cucina. E proprio dalla sua destra giunse improvvisamente una luce facendolo voltare da quella parte. Lily aveva acceso la luce della cucina dopo aver appeso il pesante mantello all’attaccapanni accanto alla porta.

Severus sospirò. Il dolore al braccio sinistro andava lentamente scemando, ma il Marchio non aveva alcuna intenzione di smettere di sanguinare. Si tolse il mantello dalle spalle e lo appese accanto a quello di Lily prima di raggiungerla in cucina.

La ragazza stava armeggiando dentro un armadietto, scostando scatole che parevano di medicinali e posandole sul ripiano sotto di lei. Infine la vide estrarre un rotolo di garza e dei panni bianchi  prima di voltarsi verso di lui, avvicinandosi senza curarsi di rimettere le scatoline a posto e lasciando l’anta aperta.

Severus la guardò sospettoso.

“Avanti, tirati su la manica.” Gli intimò Lily.

“Cosa?” Domandò allora Severus, guardandola allibito.

“Tirati su la manica, forza. Non vorrai continuare a sanguinare in quel modo? Sei già pallido come un cencio.” Disse Lily posando la garza e i panni sul tavolino della cucina.

Severus si lasciò sfuggire un sospiro sconsolato. Non voleva farsi curare da Lily: di solito se la cava da solo, senza bisogno di qualcuno che si prendesse cura di lui, però Lily aveva ragione: non poteva continuare a sanguinare così.

Si arrese tirandosi lentamente su la manica sinistra. Il Marchio Nero si mostrò a poco a poco alla luce chiara del lampadario. Il cuore di Lily fece un tuffo nel vedere quell’orrido simbolo marchiare la pelle candida di Severus, l’orribile teschio ghignante la osservava con le sue orbite vuote sporche del sangue che continuava a stillare in piccole gocce dai contorni neri del Marchio.  Severus vide la giovane mordersi il labbro inferiore, visibilmente a disagio. Era lui a disgustarla… solo lui… perché lui era quel marchio. Chiuse gli occhi, serrando forte le palpebre. Lui era quel marchio… lui era un Mangiamorte… Riaprì gli occhi e fece per allontanare il braccio da Lily, ma si sorprese nel sentire i suoi polpastrelli soffici trattenerlo.

Il suo cuore sobbalzò nel vedere che lei gli sorrideva. Come? Perché? Lui aveva appena macchiato quelle iridi pure con la vista di quel marchio infame e lei gli sorrideva? Perché?

Lily accompagnò il suo braccio verso il lavandino e aprì l’acqua portandolo sotto al getto fresco. Severus lasciò che l’acqua portasse via il sangue dalla sua pelle… rimase a guardare quel flusso trasparente che scivolava sul suo braccio trascinando con sé le gocce purpuree, lavando il marchio osceno del male che pulsava disgustato da quel tocco puro. L’acqua poteva pulire quel sangue, poteva cancellare le scie vermiglie che tutti potevano vedere… ma non poteva lavare il sangue che marchiava tutto il suo corpo, il sangue innocente che lo marchiava ancor più di quel simbolo nero… né il sangue che scaturiva dalle ferite della sua anima lacerata.

Lily continuava a sorridergli, pur vedendo la profonda tristezza negli occhi del giovane… o forse proprio per questo. Prese uno dei panni morbidi che aveva posato sul tavolo e chiuse il rubinetto. Fece per passare il tessuto sul braccio di Severus, ma questi si ritrasse di nuovo guardandola quasi spaventato.

Lily gli gettò un’occhiata confusa. Cosa aveva fatto? Perché lui si era ritratto così, ancora una volta? Non voleva che toccasse il Marchio? Beh, a lei non importava di quel teschio con la lingua serpentina: a lei importava solo Severus. Aveva capito che lui stava male, non fisicamente, il suo era un male interiore, profondo… ora più che mai aveva bisogno di essere aiutato. Non le importava del Marchio, perché sotto ad esso c’era il braccio del suo migliore amico, era coperto, ma non era svanito: era ancora lì… e il Severus che conosceva viveva nascosto dietro a quel muro di tristezza, dietro a quegli occhi spaventati.

“Smettila. –Gli disse tranquillamente. –Voglio solo pulirti il braccio.”

“No, ma… non voglio che…” Balbettò Severus continuando a sfuggire alla presa di Lily.

“Non mi importa del Marchio. –Gli disse allora lei, seriamente. –Voglio solo pulire il tuo braccio e bendarlo.”

Severus la guardò confuso. Non le importava del Marchio? Quell’orribile sigillo d’infamia che bruciava la sua pelle, a lei non importava? Era il simbolo degli assassini… come poteva non pesarle?

Lily gli strinse forte il polso approfittando del suo momento di smarrimento e gli passò delicatamente il panno bianco sulla pelle, asciugandola e pulendola del sangue rimasto e di quello che continuava a uscire in piccole goccioline. Severus non si ribellò a quel tocco, e lei allentò la presa su di lui incoraggiata da quella reazione.

La giovane osservava con dolorosa sorpresa quelle piccole cicatrici chiare che si rivelavano ai suoi occhi, comparendo come ragnatele da sotto al velo di sangue. Erano piccole strisce bianche che attraversavano il Marchio Nero e lo incidevano senza nasconderlo.

Passò leggermente le dita sul braccio di Severus, seguendo quei piccoli sentieri di neve. Sentì il giovane fremere e cercare di ritrarsi a quel tocco, ma lei tornò a stringere la presa intorno al suo polso.

“Cosa sono queste?” Chiese al ragazzo, continuando ad accarezzare le cicatrici del suo braccio.

“Niente.” Rispose Severus, tristemente.

Lily alzò gli occhi verdi verso di lui, le iridi appannate dalle lacrime.

“Severus…” Disse semplicemente, cercando di trovare le parole che giocavano a nascondino tra i suoi pensieri.

“Non sono niente, Lily… Non ha importanza.” Le disse allora il ragazzo senza osare guardarla negli occhi. Non aveva importanza… aveva smesso da tempo di infierire sul Marchio nel tentativo vano e folle di cancellarlo. Quelle vecchie cicatrici non avevano più alcun valore ormai, erano solo ricordi indelebili di quelle prime notti di dolore e follia che aveva passato a Villa Silente. Non aveva mai curato le ferite che si infliggeva: voleva che rimanesse il segno… eppure in quel momento, quei segni erano solo vecchie lettere sbiadite, foto ingiallite di un tempo che non avrebbe mai potuto né dovuto dimenticare.

Lily lo guardò tristemente, ma preferì non forzarlo, non doveva obbligarlo ad aprirsi con lei. Ancora non poteva credere che Severus, Sev il suo migliore amico, il ragazzino che la faceva sognare con i suoi racconti su Hogwarts e sulla magia fosse davvero diventato il giovane devastato che aveva davanti.

Si maledì per tutte le volte che lo aveva accusato, per tutte le volte che la parola Mangiamorte si era sovrapposta al nome di Severus nella sua mente. Era stata una sciocca… una stupida come pochi. Silente aveva ragione… Silente aveva sempre ragione.

Lei aveva sempre visto Severus come il colpevole per tutti quegli anni, il capro espiatorio per le sue proprie colpe, quando lui non era altro che la vittima. La vittima di un mondo crudele che aveva scoperto troppo presto… come poteva biasimarlo? Aveva passato il tempo a zittire il suo cuore quando questo non faceva altro che accusarla per il modo in cui si era comportata con Severus… per averlo abbandonato quando lui aveva più bisogno di lei.

Era stata la cosa più facile, allora, rinnegare il ragazzo che le era sempre stato accanto per fidanzarsi con James Potter, il principe azzurro, anzi rosso-oro, della scuola. Sì, era stata la cosa più semplice… rintanarsi nella normalità, dare ascolto alle sue compagne di Casa, fidanzarsi con James, avere una famiglia normale, felice, senza problemi. Era stato molto più semplice che rimanere accanto a Severus: un ragazzo complicato e problematico che avrebbe sempre dovuto seguire e aiutare, con cui avrebbe sempre dovuto lottare per evitare che il suo dolore lo portasse a fare scelte sbagliate; un ragazzo che avrebbe sempre faticato, che non sarebbe probabilmente mai riuscito, a lasciarsi alle spalle i dolori della vita. Ed ora Lily vedeva bene il risultato della sua scelta, era lì, davanti ai suoi occhi. Lei aveva avuto la sua vita normale, si era sposata, aveva avuto un figlio… Severus era diventato un Mangiamorte, devastandosi la vita già profondamente segnata. Indubbiamente Lily aveva scelto la strada più semplice. Ma era anche stata quella giusta? Era giusto che Severus dovesse soffrire tanto perché lei se n’era andata? Perché il suo orgoglio le aveva impedito di accettare le sue scuse, nonostante sapesse che fossero pienamente sincere? Era giusto? No… assolutamente no. E avrebbe fatto ammenda.

Lasciò il polso di Severus e lo invitò a sedersi su una delle sedie del tavolo, quindi afferrò la garza sedendosi a sua volta portando la sedia di fronte a dove sedeva Severus.

Srotolò la benda e ne tagliò un lungo pezzo con la bacchetta, quindi prese gentilmente il polso del giovane, obbligandolo a tendere il braccio verso di lei, e cominciò ad avvolgervi intorno la garza candida coprendo man mano il Marchio Nero che continuava a sanguinare, seppure molto meno rispetto a prima.

Fissò la benda con un colpo di bacchetta, quindi alzò il capo verso Severus offrendogli un ampio sorriso che lui ricambiò a stento incurvando appena le labbra sottili. Lily lo guardava, stringendo la sua mano tra le sue.

Severus si lasciò avvolgere da quegli occhi smeraldini. Li vide esplorare a fondo i suoi, vagare come cuccioli giocosi in cerca di qualcosa in quel mare nero. Il drago corvino si era assopito ed il lago era tornato placido, e quei cuccioletti paffuti erano liberi di giocare sulle sue sponde. Saltavano, correvano, cercavano… cercavano il ragazzino che si era perso in quelle grotte gelide molto tempo prima, lo cercavano affannosamente illudendosi di poterlo ritrovare.

Ma loro, nella loro ingenua innocenza non potevano capire: chi conosce il dolore troppo presto non sarà mai come le altre persone per quanto si possa lottare per avere una vita normale questa non ci sarà mai. Niente e nessuno può restituire ciò che viene tolto, strappato. Si può vivere fingendo, indossando una maschera impassibile per amore di chi si ha accanto, per non far torto a chi ha fiducia in te e loro il più delle volte non si accorgono che ormai sei morto dentro... e si chiedono il perché di quel velo di tristezza negli occhi.

Guardando Lily vedeva chiaramente quella domanda ingobbire con la sua schiena arcuata le sue iridi smeraldine. Voleva sapere cos’era accaduto al ragazzo che conosceva? Voleva sapere cosa ne era stato di lui? La verità era che quel ragazzino triste, con la pelle segnata dagli abusi che si consumavano nella sua famiglia, ma gli occhi ancora, chissà come, integri nella loro dignità era semplicemente volato altrove. Nemmeno lui sapeva dove. Non si era soltanto perduto in quelle grotte oscure, inghiottito dalle acque limpide e nere del lago. Era semplicemente svanito.

Probabilmente era morto. Ucciso dal peso della maschera d’argento, affogato nel sangue che le mani di un altro avevano sparso su di lui… un altro, un giovane nato e plasmato non solo dalle botte e dagli insulti di suo padre, non solo dalle continue e crudeli umiliazioni dei Malandrini, ma soprattutto e prima di tutto dalla sua stessa rabbia. Sì, il ragazzino che aveva conosciuto Lily non c’era più, era rimasta solo la rabbia… la rabbia verso sé stesso e verso chi gli stava intorno. Le iridi splendenti del ragazzino erano diventate gli occhi incrinati e irrecuperabili che ora gridavano sul volto del ventenne. Perchè non vi era più spensieratezza in lui, non vi era più vita nel suo sangue... Il suo cuore stentava a fidarsi degli altri, dubbioso di tutto e tutti, vedeva il marcio anche nella luce più limpida. E tutto questo se lo sarebbe portato nella tomba. Forse solo la Morte avrebbe posto fine ai suoi tormenti, forse, morto lui, il ragazzino che aveva ucciso sarebbe tornato alla vita. Sarebbe stato il giusto scambio.

Lui ormai non meritava più niente, neanche l'odio perché esso è pur sempre un sentimento; un sentimento che nasce da una profonda delusione… e lui non aveva deluso la sua migliore amica, la ragazza di cui si era innamorato; non aveva deluso il ragazzino triste e cupo che passava con lei i pomeriggi estivi per sfuggire al cortina di piombo di casa sua... no, lui li aveva uccisi, entrambi, e per punizione era stato costretto a vivere. Lui non amava la vita… forse neanche quel ragazzino l’aveva amata, ma almeno aveva Lily con sé… lui ormai vi aveva rinunciato, eppure doveva continuare a sopravvivere. Ma ancora era solo la rivalsa a spingerlo ad andare avanti… il desiderio di vendicarsi di Voldemort, di quello che gli aveva fatto, di sé stesso… Voleva vendicarsi di sé stesso, e lo avrebbe fatto, fino all’autodistruzione… sperando che essa avrebbe potuto ridare a Lily il suo migliore amico morto anni prima.

Il Severus ventenne avrebbe dato anima e corpo per lei, per Albus, per Harry… Avrebbe dato tutto pur di restituire al mondo il ragazzo che era e distruggere una volta per tutte quell’assassino che vedeva ogni volta che si guardava allo specchio. Allora, forse, sarebbe stato ricordato come il bambino che era. La memoria del Severus Mangiamorte sarebbe svanita e il Severus ragazzino, il vero Severus, sarebbe potuto riemergere dalla tomba per appropriarsi dei ricordi di chi gli era stato vicino.

Un tonfo sordo echeggiò per la casa interrompendo il ponte di sguardi tra i due giovani, quell’arcata di lacrime che scintillava immobile in un balzo interrotto. I cuccioli smeraldini tornarono dalla loro padrona delusi eppure ancora pieni di speranza… speranza di poter ritrovare quel ragazzino.

Lily alzò lo sguardo verso il soffitto della cucina. Il rumore veniva dalla camera di sopra, la stanza da letto dei suoi genitori. Probabilmente si erano svegliati, dovevano aver sentito dei rumori provenire dalla cucina.

Qualcuno si stava precipitando giù per le scale. I ragazzi udirono i suoi passi battere sul tappeto dell’ingresso e dirigersi verso la porta della cucina. Questa si spalancò di colpo sbattendo contro il muro.

Un uomo si stagliò davanti ai due ragazzi. Indossava un pigiama verde chiaro e aveva i capelli rossicci arruffati e spettinati e imbracciava una doppietta puntandola contro le spalle di Severus che si era voltato di scatto verso di lui e nascondeva Lily con il suo corpo.

“Non una mossa.” Gli intimò l’uomo con voce profonda.

Lily si protese verso destra, palesandosi alla vista dell’uomo e regalandogli un sorrisone. Questi  abbassò il fucile, sbigottito. Non poteva essere davvero lei… non poteva essere…

“Lily…” mormorò l’uomo, sorpreso e felice di vedere il viso sorridente della giovane.

“Ciao, papà.” Gli disse questa, allargando ancora di più il sorriso.
 

 

*******
 

 

Lo so, sono perfida! XD

Questo capitolo doveva comprendere anche la chiacchierata con i genitori di Lily, ma la cosa sarebbe andata veramente troppo a lungo, visto che quei due si sono messi a farsi gli occhioni dolci… così ho deciso di tagliare qui. Per vostra grandissima gioia! :P

Allora… i genitori di Lily, in teoria, dovrebbero essere già morti nel 1981, se non sbaglio. A me questa cosa proprio non va giù… insomma, perché mai avrebbero dovuto morire così presto?! Mah…

Non si sa niente su di loro, quindi i nomi me li sono inventati. Non so… Mary e Charles mi suonavano bene.

Mi sono commossa a scrivere i pensieri di Severus quando Lily sonda i suoi occhi in cerca del Sev che conosceva. Spero di aver fatto lo stesso effetto a voi… è la parte più bella del capitolo, a mio dire.

Bene, basta ciarlare. Aspetto le vostre recensioni… niente minacce di morte, però… XD 

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Capitolo 14
*** Lucius Malfoy? ***


Capitolo 14
 

LUCIUS MALFOY?

 

Lord Voldemort osservava la sabbia scura scivolare silenziosa nella clessidra della notte che avvolgeva  le terre attorno a Villa Riddle. La sua magia e ed il suo potere erano tutt’uno con essa, gli occhi rossi erano scintille di stelle cadenti roventi che fendevano il manto della notte con lunghi e sanguinosi squarci per potersi abbeverare della sua potenza ancestrale. Sul viso bianco di rettile zigzagava la smorfia di un sorriso. Una linea spezzata, malvagia, distorta.

“E così finalmente sei uscito allo scoperto. –Mormorò il Signore Oscuro. Un sussurro, un sibilo grottesco che accarezzò bramoso le mura della notte. –Cokeworth. Credi di poter trovare il bambino dai suoi nonni Babbani? Illuso. Povero, piccolo mezzo principe… io ti troverò. Non hai speranza di sfuggirmi.”

Sospirò socchiudendo gli occhi come un predatore che carpisce l’odore della vicina preda, che pregusta l’affondare dei denti nella sua carne.

“Non puoi fuggire, mia piccola preda. –Sibilò dischiudendo le labbra smaniose. –Cerva tremante e indifesa… Sei ridotto all’angolo, i miei occhi ti vedono. Tu sei mio. Parvenza di libertà in un recinto più vasto… Silente non può più nasconderti… Ovunque andrai i miei occhi ti troveranno. L’amore per la tua lurida Sanguesporco ti ha annebbiato la mente, e non ti salverà.”

Aprì gli occhi di fuoco e la notte ritrasse le sue dita in uno spasmo di terrore. La risata gelida che scaturì da quelle labbra bianche carpì i bisbigliatori della notte, gli araldi del buio, pietrificandoli attoniti.

“L’amore!-Rise Riddle. –Folli!”

Si voltò di scatto verso la donna che se ne stava in silenzio, in piedi sulla soglia della porta scura.

“Trovateli. –Ordinò. –Fate ciò che volete della Sanguesporco, lei non mi interessa. Ma Severus… lo voglio vivo.”

La donna si inchinò e voltò le spalle uscendo dalla sala. Fuori dalla porta la attendevano due uomini vestiti di scuro, gli occhi famelici scintillavano alla luce delle torce. La donna lanciò loro un sorriso malvagio mentre la porta si richiudeva con un tonfo dietro di loro.

Lord Voldemort tornò a guadare fuori dalla finestra.

“Oh sì. –Disse. –Presto faremo due chiacchiere io e te, mezzo principe.”

***

“Lily… -disse il signor Evans- Come mai sei qui?” Domandò poi, puntando le canne della doppietta a terra.

Lily non smise di sorridergli.

“Papà, ti ricordi di Severus, vero?” Disse la ragazza accennando col capo al ragazzo che le sedeva di fronte.

“Salve, signor Evans.” Disse semplicemente Severus, nascondendo in fretta il braccio fasciato.

“O signore… certo che mi ricordo di lui. –Gli occhi dell’uomo si illuminarono della luce rubata all’ampio sorriso che andava allargandosi sul suo viso. –E’ un piacere rivederti, ragazzo.”

Severus accennò un lieve e triste sorriso.

“Che cosa ci fate qui?” Domandò il signor Evans, abbandonando il fucile a terra.

“Vede noi…” Cominciò Severus, ma Lily lo interruppe.

“Severus pensa che Harry possa essere qui da voi.” Disse la giovane tutto d’un fiato.

“Harry?- Ripetè il signor Evans, stupito. –Mi dispiace, ma...”

“Charles?- disse improvvisamente una voce femminile proveniente dal piano superiore. –Charles, va tutto bene?”

Il signor Evans si sporse dalla porta dando le spalle ai due ragazzi.

“Sì… ehm… sì. Sì!” Balbettò.

“Che succede lì sotto?” Ululò la voce della signora Evans.

L’uomo si rivolse ai due giovani: “Torno subito.” Disse, e svanì oltre la soglia. I due ragazzi lo sentirono salire la scale. Lily ridacchiò passandosi una mano tra i capelli rossi.

Severus la guardò con occhi tristi.

“Lo sanno?” Chiese alla ragazza.

Lily scostò lo sguardo dalla porta della cucina e lo guardò confusa.

“Sanno cosa?” Gli chiese, puntellando il braccio destro sul tavolo e poggiando il capo sulla mano.

“Sanno di me? –Disse allora Severus. –Sanno quello che sono?”

“Quello che sei?” Gli domandò allora Lily.

“Smettila, Lil. Sai benissimo cosa intendo.” Disse Severus tranquillamente, non v’era irritazione nella sua voce, solo una profonda rassegnazione.

Lily gli regalò un sorriso splendido, luminoso, che invase tutta la stanza e lo abbracciò nella sua morbida curva bianca.

“E’ da quando avevano tredici anni che non mi chiami ‘Lil’.” Disse la ragazza senza smettere di sorridere.

Severus abbassò gli occhi mordendosi distrattamente un labbro. Il suo sguardo cadde sull’avambraccio sinistro: nascosto sotto quelle bende candide c’era il simbolo purulento del male e quel tessuto bianco non poteva cancellarlo. Si abbassò la manica con un gesto nervoso celando la garza pulita sotto il tessuto nero del maglione.

Si passò lentamente le dita sul braccio, accarezzando il tessuto morbido e scuro. Lily cercò i suoi occhi chinandosi verso di lui, ma Severus la fuggiva.

“Non hai risposto alla mia domanda, Lily.” Le fece notare senza alzare lo sguardo verso di lei, continuando a fuggire da quei cuccioli giocosi.

Il sorriso sul volto chiaro della giovane si spense in uno sbuffo.

“Sì. E’ questa la risposta che volevi?- Gli disse tristemente. –Sev, io… Mi dispiace.”

“E perché dovrebbe dispiacerti?” Le chiese Severus continuando ostinatamente a sfuggire ai suoi occhi.

“Ero così arrabbiata con te… Mia madre voleva sapere come mai non parlavo più con nessuno, come mai non volevo più sentir parlare di te. Io… Io ho detto loro tutto.” Spiegò Lily.

“Tutto?” Ripetè Severus.

“Quello che è successo ai G.U.F.O. E poi che eri diventato un…”

“… assassino. – concluse Severus. –Già.”

La giovane lo guardò colpita… non era quella le parola che voleva dire. Non aveva mai pensato a Severus come un assassino, e non lo avrebbe mai fatto.

“Non sei un assassino, Sev.” Gli disse.

“Come puoi sapere quello che non sono, Lily? –Le rispose Severus in un sussurro, il capo caparbiamente chino in un doloroso inchino innanzi al trono del passato, -Non sai quello che ho fatto… quello che sono stato costretto a fare. Io ero un Mangiamorte… sono ancora un Mangiamorte. Niente e nessuno potrà cancellare il mi Marchio.”

“Il Marchio può essere accettato. -Gli disse allora Lily. –Ciò che è stato è stato. Nessuno può cambiarlo, ma ora hai la possibilità di lasciarti tutto alle spalle… Non sei più da solo… Siamo di nuovo amici, non è così?” Disse poi, speranzosa.

Severus alzò gli occhi verso di lei.

“Sì. –Concordò. –Siamo di nuovo amici.”

Lily gli regalò un ampio sorriso.

Siamo di nuovo amici…

Ma lo erano davvero stati un tempo? Passare le notti a pensare a lui era normale per una ‘migliore amica’? Quel forte legame che li univa era semplice amicizia? Un legame che non era mai svanito, neanche quando lei aveva troncato ogni rapporto con Severus. Aveva passato gli ultimi due anni ad Hogwarts a osservare da lontano il ragazzo che era stato il suo migliore amico, sperando nel suo cuore che lui si riavvicinasse a lei. Poi si era fidanzata con James. Lo aveva fatto solo per spingere Severus a reagire in qualche modo, ma lui non le si era mai avvicinato. Si era rassegnata, allora: aveva definitivamente perso ogni possibilità di riavere Severus, ma non aveva mai smesso di pensare a lui. Ma adesso era tornato, era lì davanti a lei e non l’avrebbe più lasciato andare.

In quel momento, una donna di mezza età, abbigliata di una lunga vestaglia porpora, si fiondò come una furia nella cucina e Severus si ritrovò stretto da due braccia stritolatrici prima ancora di rendersene conto. Venne avvolto da un leggero profumo di vaniglia mentre lunghi capelli, rossi come quelli di Lily, gli solleticavano il viso.

“Severus! Che bello rivederti!” Disse allegramente la signora Evans lottando contro il giovane che cercava in ogni modo di liberarsi da quella stretta.

Lily li osservava visibilmente divertita. Lanciò uno sguardo a suo padre che se ne stava appoggiato allo stipite della porta della cucina con indosso una pesante vestaglia color crema. L’uomo scosse la testa ridacchiando mentre osservava sua moglie con gli stessi occhi allegri di Lily.

“Ora basta, Mary. Lascialo respirare.” Disse il signor Evans alla donna che non accennava a mollare la presa.

Mary Evans si voltò verso il marito sorridendo, quindi sciolse il suo abbraccio liberando il giovane.

“Ciao, Lily.” Disse la donna a sua figlia con un dolce sorriso.

“Ciao, mamma.” Le rispose Lily, mentre rideva di fronte allo sguardo smarrito di Severus. Il ragazzo non si aspettava assolutamente un tale comportamento da parte della signora Evans, era evidente. Probabilmente pensava che i suoi genitori lo avrebbero guardato con odio dopo che avevano saputo che era diventato un Mangiamorte? Eh, no. Sbagliato. Quei due avevano fatto il lavaggio del cervello a loro figlia sull’errore che lei aveva fatto abbandonando il ragazzo, non avevano mai creduto pienamente al suo cambiamento… per loro lui era sempre rimasto Severus, il migliore amico di Lily ed il ragazzo triste che avevano sempre conosciuto.

“Perché non ci spostiamo in salotto?- Propose il signor Evans accennando col capo in direzione del soggiorno. –Così i ragazzi ci spiegano che cosa li ha portati qui alle due di notte.”

“Buona idea.” Concordò Lily alzandosi da tavola e avviandosi, insieme al padre verso l’altro lato della casa.

Severus si alzò a sua volta, ma la signora Evans lo trattenne poggiandogli una mano sulla spalla.

“E’ davvero bello averti di nuovo tra noi, Severus.” Gli disse sinceramente, posando su di lui un profondo sguardo materno.

Il ragazzo sospirò.

“Voglio solo aiutare Lily. Non pretendo che le cose tornino come erano un tempo.” Rispose tristemente.

“Ma le cose possono tornare ad essere come allora. Severus… a noi non importa del tuo passato. Sono passati così tanti anni dall’ultima volta che ci hai fatto visita… ci sei mancato.” Gli disse allora Mary Evans sottovoce passandogli un braccio caldo intorno alle spalle mentre lo accompagnava verso il salotto.

“Voi non sapete che cosa ho fatto in quegli anni.” Disse Severus.

“No. E non lo vogliamo sapere. Tu fai parte di questa famiglia, Severus… sei sempre stato un figlio per noi.” Le parole della signora Evans gli rimbombarono in capo. Anche lui aveva sempre considerato gli Evans come una seconda famiglia… una vera famiglia. Stava bene con loro. In quelle poche ore che gli era concesso passare in quella casa, lui riusciva a dimenticare la sua vera famiglia, riusciva a sentirsi parte di qualcosa. Lì era amato e lì c’erano persone che si preoccupavano per lui, che gli volevano bene.

L’ultima volta che era entrato in quella casa era stato nei primi giorni di luglio dopo la fine del quinto anno. Pioveva quel giorno… lui aveva sempre amato la pioggia, ma quella volta avrebbe tanto voluto che un vento impetuoso sorgesse a spazzare via quel che era stato, venisse ad asciugare le lacrime che si mischiavano alle gocce di pioggia sulle sue guance, a rapire quella colpa che l’acqua gli appiccicava addosso.

Sua madre era morta pochi giorni prima e lui non si era mai sentito così perso e abbandonato, senza speranza. Aveva passato le giornate a piangere nella sua camera sperando che suo padre non lo sentisse e venisse da lui per umiliarlo con quella sua voce rotta dalle lame dell’alcol. Uscire di casa non serviva… era solo un modo per sentirsi ancora più solo, e Lily non c’era. Ora che la moglie era morta, Tobias Piton si sentiva ancora più autorizzato a sfogare la sua rabbia sul figlio. Ora che Eileen era morta, a Severus toccava subire anche la parte di violenze che prima il padre riversava sulla moglie. E Lily non c’era.

Suo padre dormiva ancora quella mattina e lui ne aveva approfittato per sgattaiolare fuori di casa. Voleva vedere Lily, voleva chiederle scusa, per l’ennesima volta, voleva farle capire che non pensava davvero quello che aveva detto. Voleva supplicarla di accettarlo di nuovo, di dargli una seconda possibilità… perché lui non avrebbe potuto resistere un giorno di più nelle mani di quel bruto alcolizzato che era costretto a chiamare padre. Non avrebbe potuto sopportare altre botte da lui, altri insulti senza poter vedere Lily. Perché lei era la sua unica luce, senza di lei tutto intorno a lui acquistava le tinte cupe del dolore e della rabbia. Quel mese passato senza poterla vedere, senza poter parlare con lei era stato una tortura… una tortura dover passare le sue giornate in quella casa di Spinner’s End senza una valvola di sfogo, senza qualcuno con cui sfogarsi, senza la sua Lily a consolarlo e a incoraggiarlo.

Si era precipitato a casa di Lily, incurante della pioggia che cadeva indifferente su di lui bagnando i suoi abiti dismessi ed i suoi capelli neri. Le gocce scivolavano giù dalle ciocche appiccicate alla sua pelle bianca sfiorando i lividi violacei sui suoi zigomi e il taglio profondo sopra l’occhio sinistro, ricordi delle carezze amorevoli del padre la notte prima.

Aveva suonato al citofono di casa Evans senza sapere bene cosa dire, voleva solo scusarsi con Lily. Ad aprirgli fu la signora Evans.

“Severus!…- Aveva esclamato preoccupata vedendo il ragazzo fradicio con il suo volto coperto di lividi davanti alla sua porta–Santo cielo, vieni dentro.”

Severus non aveva risposto ed era entrato in casa. Era rimasto fermo nell’ingresso, a testa china, mentre la signora Evans richiudeva la porta.

“Mio dio, Severus. Come ti salta in mente di uscire con questo diluvio?!” Aveva detto la donna con il tono ansioso di una madre voltandosi verso di lui.

Poi Mary aveva visto le lacrime calde che avevano ripreso a scorrere incontrollato lungo le guance del ragazzo ed il suo sguardo si era addolcito. Si era avvicinata a lui, passandogli un braccio intorno alle spalle, e lo aveva accompagnato verso il soggiorno.

Lì aveva trovato il signor Evans tranquillamente seduto sul divano a leggere il giornale, le ciabatte ai piedi appoggiati ad un comodo sgabello. Quando li aveva visti era balzato in piedi preoccupato. Aveva gettato il giornale da parte guardando inquieto la moglie.

La signora Evans aveva fatto sedere Severus sul divano e aveva mandato il marito a prendere delle creme da spalmare sui lividi e dell’acqua ossigenata per il taglio su sopracciglio.

“Allora, a cosa dobbiamo questa visita?” Aveva domandato Charles tornando con quanto richiesto dalla moglie, sul volto un sorriso incoraggiante.

“Io… -Aveva cominciato Severus. –Io volevo vedere Lily.”

La signora Evans gli aveva sorriso dolcemente.

“Lily è di sopra, in camera sua. Vado a chiamarla, se vuoi.” Aveva risposto Charles. Severus non aveva parlato e l’uomo aveva rivolto uno sguardo interrogativo alla moglie, questa gli aveva risposto con un cenno d’assenso e lui si era allontanato diretto verso la camera della figlia.

“Mi dispiace molto per quanto è successo, Severus. –Aveva detto la signora Evans, prendendosi cura delle ferite del sedicenne. –Capisco che per te è un momento molto difficile. Lily è testarda… ma sono certa che non ti negherà la sua amicizia.”

“Voglio solo chiederle scusa.” Aveva mormorato Severus con gli occhi fissi sul pavimento.

Ma Lily non era mai scesa quel giorno. Non aveva mai voluto parlare con lui, e così se n’era andato di corsa, senza ascoltare le parole dei genitori di Lily che gli chiedevano di rimanere, di aspettare almeno che smettesse di piovere. Era stata l’ultima volta che li aveva visti… non aveva più avuto il coraggio di presentarsi a quella porta. Aveva capito che lui non aveva alcun diritto di avere qualcuno accanto che gli volesse bene, che non poteva accettare l’affetto di Charles e Mary Evans.

Ora, però, era di nuovo in quella casa, Lily gli parlava di nuovo ed gli aveva offerto nuovamente la sua amicizia. Non lo meritava di certo, non dopo quello che era diventato, ma era felice.

Quando entrò nel soggiorno, ancora stretto nella morsa della signora Evans, Severus trovò Lily e suo padre già accomodati l’una sull’ampio divano color crema e l’altro sulla poltrona di fronte. Mary fece scivolare il suo braccio dalle spalle del giovane mentre lo invitava a sedersi sul divano, accanto a Lily poi andò a sedersi sull’isola del divano da dove poteva vedere sia i due ragazzi che suo marito.

“Allora, giovani. –Cominciò il signor Evans. –Che cosa possiamo fare per voi? Hai nominato Harry, Lily; come mai?”

“Non sapete cos’è accaduto l’altra notte?” Chiese allora Severus.

I signori Evans si scambiarono uno sguardo confuso.

“Nessuno vi ha detto nulla?” Domandò Lily, stupita. Aveva pensato che Silente si fosse preoccupato di informare i suoi genitori… evidentemente non era così.

“Chi avrebbe dovuto dirci cosa? Non vediamo Silente da quando ha creato l’incantesimo che protegge questa casa… anche se non ho ancora ben capito come funziona.” Disse il signor Evans.

“Voldemort… James è morto.” Disse semplicemente Lily. La voce aveva preso a tremarle e fu costretta a chiudere la frase con quelle tre tremende parole che ancora scavavano profonde nel suo cuore.

Il signor Evans abbassò gli occhi tristemente mentre la moglie si portava una mano davanti alla bocca, gli occhi castani spalancati.

“Lui… lui era nell’ingresso… -mormorò Lily, gli occhi lucidi mentre le immagini di quella terribile serata si proiettavano sul velo opaco delle lacrime all’interno del cinema vuoto del dolore. –Ha cercato di fermarlo… voleva darci il tempo di fuggire… a me e ad Harry. Lui lo ha ucciso e poi ha salito le scale. Voleva uccidere Harry… non so perché. Ha puntato la bacchetta contro di lui, io gli sono parata davanti. Ci avrebbe ucciso entrambi se non fosse arrivato Severus.” E dicendo quel nome, Lily si voltò verso il giovane accanto a lei, che ascoltava in silenzio, regalandogli un sorriso splendente di gratitudine. Severus non rispose al suo sorriso, ma alzò lo sguardo verso di lei. Quell’infame bigliettaio non si limitava a pretendere lo scotto al cuore ferito di Lily, ma anche a quello del giovane che poteva vedere il film doloroso di quei pochi istanti scorrere sulle iridi velate della ragazza.

“E’ saltato addosso a Voldemort, impedendogli di lanciare l’anatema. –Continuò Lily. –La bacchetta di Voldemort lanciava incantesimi a destra e a manca. A proposito, è il modo di confrontarsi con un potente mago oscuro quello?” Chiese poi al ragazzo.

Severus si lasciò sfuggire un piccolo sorriso, mentre faceva scattare gli occhi sulla signora Evans che lo osservava dolcemente.

“Comunque, è qui che è successo il pasticcio. -Riprese Lily. –Non si sa bene come, né chi sia stato… In ogni caso c’è stata una forte esplosione poi Severus ha afferrato la mia mano e si è smaterializzato portandomi in salvo vicino ad Hogwarts.”

Severus aveva notato che Lily stava deliberatamente omettendo il fatto che lei fosse ferita e priva di sensi quando lui l’aveva portata al castello… e che neanche lui stesso ne era uscito totalmente indenne.

“Il vero problema, però, è Harry. E’ sparito.” Concluse Lily. Poi guardò prima suo padre e quindi la madre che avevano seguito, apprensivi, tutta la vicenda.

“Come ‘sparito’?” Chiese il signor Evans, confuso.

“Pensiamo si sia smaterializzato da qualche parte. –Gli rispose Severus. –Il problema è che non sappiamo dove. Voi siete la nostra ultima speranza… prima di rassegnarci alla realtà dei fatti.”

“Severus…” Mormorò Lily, stupita. Il giovane non poteva davvero pensare che  Harry… no, dopo tutto quello che aveva fatto… non poteva arrendersi così.

“La realtà dei fatti?” Ripetè Mary Evans.

“Harry non può essersi materializzato fuori da Godric’s Hollow. E questo vuol dire che è stato trovato dai Mangiamorte.” Spiegò allora il ragazzo.

“No. –Intervenne allora Lily, decisa.- No, mi rifiuto di credere che mio figlio sia nelle Sue mani. Non è così, lo sento… Harry non è con Lui.”

Severus si limitò a scuotere tristemente il capo.

“Che sia nelle sue mani o no, Lily, lo troverò.” Le disse poi mentre nei suoi occhi la giovane tornava a vedere i fumi scintillanti di fuoco del respiro del drago nero.

“Harry non è qui, mi dispiace. –Disse allora il signor Evans. –Lily, io trovo che tu sia molto fortunata a poter contare su un ragazzo come Severus.”

Mary Evans annuì decisa, concordando con il marito.

“Penso che Severus sia una garanzia. – Continuò Charles. –Se dice che troverà Harry, sarà così. Vedrai, Harry salterà fuori.”  Concluse incoraggiante. Lily gli sorrise annuendo.

“Sono felice di vedere che finalmente ti sei riavvicinata a lui. - Constatò la signora Evans, sorridendo a Severus. –Siete fatti per stare insieme. La lontananza forzata è stata solo un’inutile tortura. Ora siete di nuovo insieme, fate fruttare questa cosa. Chissà che l’amicizia non possa diventare qualcosa di più?” Mary gettò un’occhiata furba alla figlia.

“Mamma…” Grugnì Lily, visibilmente imbarazzata, le gote tintesi di spruzzi rossi rubati ai capelli color del fuoco.

Anche Severus non era rimasto incolume dalle parole della signora Evans. Non era arrossito, ma aveva abbassato gli occhi, colpito nel vivo. Sperava solo che la donna non si fosse accorta della piccola scintilla di speranza che si era accesa nei suoi occhi scuri: era stato svelto a scostare lo sguardo, ma conosceva anche bene la perspicacia di Mary Evans.

E infatti la suddetta aveva colto in pieno il messaggio nello sguardo del giovane. Ma per lei non era certo una sorpresa: aveva sempre pensato che quello che Severus provava per sua figlia fosse qualcosa di più di una semplice amicizia. Quando Lily l’aveva lasciato era stata molto in pena per Severus, aveva temuto che quel ragazzo avesse potuto perdersi, fare le scelte sbagliate, spinto dalla disperazione e dalla solitudine. E così era stato. Non l’aveva mai accusato. Aveva sempre provato pena per lui, lo aveva capito.

Quando Lily si era ufficialmente fidanzata con James, Mary aveva perso ogni speranza che la figlia potesse tornare sui suoi passi. James Potter era un bravo ragazzo, non aveva mai avuto niente da ridire su questo… ma non sopportava il modo in cui lui e il suo compare, Sirius Black, parlavano di Severus. Sapeva come si comportavano con lui a scuola, e aveva sempre e solo pensato che fosse pura e immotivata crudeltà verso un ragazzo che aveva già sofferto tanto.

Severus non aveva mai rinunciato a Lily. Lo aveva spesso sorpreso a spiare la loro casa, cercare Lily con lo sguardo. Anche il giorno del matrimonio, lo aveva scorto, nascosto dietro una siepe ad osservare Lily, vestita da sposa, salire sull’auto che l’avrebbe accompagnata a Godric’s Hollow. Aveva visto i suoi occhi spenti, svuotati di ogni speranza, di ogni affetto. Quel giorno avrebbe solo voluto correre verso di lui e abbracciarlo stretto, e invece era stata costretta a salire in macchina e a lasciarlo da solo, dietro a quella fredda siepe.

“Oh! C’è una cosa di cui vi dobbiamo parlare!” Esclamò improvvisamente il signor Evans battendosi una mano sulla fronte e facendo crollare miseramente le barriere di quel silenzio imbarazzante che era calato sui quattro.

Severus rialzò lo sguardo per puntarlo, interessato, verso Charles.

“Proprio pochi giorni fa, abbiamo notato uno strano personaggio fare avanti e indietro davanti alla casa.” Disse l’uomo, gesticolando e indicando la strada che si intravedeva fuori della finestra del soggiorno.

“Uno strano personaggio?” Ripeté Lily, incuriosita e felice di potersi allontanare dal discorso spinoso che aveva iniziato la madre.

“Sì. Un uomo vestito elegantemente. Sicuramente un mago. Giovane. Avrà avuto sei o sette anni in più di voi. Con lunghi capelli biondo platino.” Disse allora Charles Evans descrivendo l’uomo.

“Malfoy.” Constatò prontamente Severus.

Non sapeva cosa pensare. Perché Lucius avrebbe dovuto venire a Cokeworth? Inoltre, non si fidava di Malfoy. Era amici, sì… ma non ci si poteva mai pienamente fidare di lui: era capace di tutto pur di raggiungere i suoi fini.

“Lo conosci?” Chiese allora il signor Evans.

“E’ un mio amico. –Rispose sinceramente Severus. –O almeno lo era, prima che sapesse che io tradivo i Cavalieri di Valpurga.”

“Cavalieri di Valpurga?” Ripeté la signora Evans.

“Il nome originario dei Mangiamorte. Quelli di noi più vicini a Voldemort amano ancora definirsi con quel nome.” Spiegò Severus. A Lily non sfuggì quel ‘noi’, buttato giù come se fosse un dato di fatto, quando lei sapeva molto bene che ormai quella prima persona plurale era diventata un ‘loro’.

“Sembrava cercasse un modo per contattarci. Dunque abbiamo fatto bene a non contattarlo.” Disse il signor Evans.

“Sì, avete fatto bene. Non esiste persona più astuta, infida e arrivista di Lucius Malfoy. Non si sa mai quando ci si può fidare di lui.” Concordò Severus.

“In ogni caso, dopo ore spese a fare su e giù lungo la via, ha posato qualcosa proprio qui davanti e poi si è smaterializzato. Abbiamo atteso un po’, poi siamo usciti abbiamo trovato, infilata nella cancellata, una lettera.” Continuò Charles Evans.

“Vi ha lasciato una lettera?” Chiese allora Severus, visibilmente interessato, almeno quanto Lily, che aveva ascoltato, attenta, quanto suo padre aveva da dire.

“Posso vederla?” Domandò poi il giovane.

“Certamente.” Rispose il signor Evans. Poi si rivolse alla moglie.

“Mary, guarda un po’… dovrei averla posata lì sul caminetto.” Disse accennando verso la mensola sopra al camino.

La donna si alzò,  voltandosi vero la vicina mensola, e trovò presto ciò che cercava. Prese la lettera e la tese a Severus che la aprì osservandola con occhi attenti.

“Ci chiede semplicemente di metterlo in contatto di Lily. Tutto qui.” Disse la signora Evans, tornando a sedersi.

Severus alzò gli occhi dalla pergamena su cui spiccavano poche righe scritte in una calligrafia elegante che apparteneva inequivocabilmente a Lucius Malfoy.

“Perché dovrebbe voler parlare con Lily?” disse Severus, rivolgendosi prima di tutti a sé stesso.

“Forse sa qualcosa di Harry.” Azzardò Lily.

“Può darsi. –Concordò il giovane, pensieroso. –Meglio mettere a parte Silente di questo.” Concluse tendendo nuovamente la lettera alla signora Evans.

“E’ meglio andare.” Disse poi Severus a Lily, alzandosi ansioso. La giovane si alzò a sua volta, seguita dai signori Evans.

“Aspetta.” Disse improvvisamente la signora Evans. Quindi tese a Severus la lettera di Malfoy.

“Prendetela voi. Qui non ha nessuna utilità, mentre potrebbe servire a voi.” Gli disse. Il giovane prese la lettera dalle mani della donna annuendo e la infilò nella tasca dei pantaloni.

Si avviarono, allora, tutti e quattro verso l’ingresso dove Severus e Lily si riappropriarono dei loro mantelli gettandoseli sulle spalle.

“Mi raccomando, fate attenzione.” Disse la signora Evans aggiustando il manto verde sulle spalle della figlia.

“Certamente, mamma. Come ha detto papà: Severus è una garanzia.” Disse la ragazza sorridendo mentre scambiava due baci sulle guance con la madre.

“Una garanzia per i guai.” La corresse Severus, con voce calda.

“Alla prossima, giovanotto.” Disse il signor Evans abbattendo una mano sulla spalla del giovane.

“Ciao, Severus.” Disse semplicemente Mary Evans, stringendo il ragazzo nel suo abbraccio.

Severus sorrise, impacciato mentre si liberava da quella calda stretta. Quindi aprì la porta e uscì nel giardino lasciando Lily da sola con i suoi genitori.

“Lily, ti prego, abbi cura di Severus.” Disse Mary alla figlia.

“Si, mamma. Stai tranquilla.” Le rispose Lily.

“Ha bisogno di te. Ha sempre avuto una vita difficile, non biasimarlo e non negargli il tuo affetto… ne ha sempre conosciuto così poco.” Continuò la signora Evans.

Lily si limitò ad annuire. Poi strinse suo padre in un abbraccio.

“Arrivederci.” Disse rivolta ad entrambi. Quindi raggiunse Severus in giardino richiudendo la porta alle sue spalle.

La ragazza prese una profonda boccata di aria fredda, annusando l’odore dell’umidità e della notte mentre si portava al fianco di Severus.

“Sei delusa?” Le chiese lui.

“Delusa? No. Tu avevi detto che molto probabilmente Harry non era qui e io mi fido di te.” Rispose Lily ricevendo in cambio un sorriso sincero da parte del ragazzo.

“Almeno, ora abbiamo una nuova pista.” Aggiunse poco dopo.

“Sì. Lucius sa qualcosa di Harry. Ma non sapeva come contattarti… per questo è venuto qui.” Concordò Severus.

Erano intanto arrivati innanzi al cancelletto d’ingresso del giardino. Severus lo aprì facendo cigolare i cardini e uscì in strada.

Il dolore lancinante all’avambraccio sinistro lo colse inaspettato. Si piegò in due con un gemito tornando a stringere il braccio pulsante con la mano destra.

Lily, dietro di lui, aveva appena richiuso il cancello quando lo aveva visto chinarsi in avanti in uno spasmo di dolore.

“Severus!” Esclamò, spaventata.

Si chinò su di lui cercando di rialzarlo e vide che il ragazzo era tornato a stringere spasmodicamente l’avambraccio su cui si trovava il Marchio.
Severus aveva gli occhi velati da teli pesanti di dolore, ma colse nitidamente il movimento in una delle stradine laterali e la luce azzurra di una fattura precipitarsi con un sibilo verso di loro.

“Lily… -Disse, la voce rotta dal dolore. –Lily, torna dentro!”

Ma la ragazza non si mosse mentre la saetta cilestrina e rapida si faceva sempre più vicina elettrizzando l’aria con la sua magia.

“Protego!” Esclamò Lily.

 

*******

 

Pensavo che questo capitolo non avrebbe mai avuto una fine. E invece eccola la fine: ad effetto, oltretutto! Immagino sarete tutti in preda ad istinti omicidi al momento… ma io mi diverto troppo a far finire i capitoli in questo modo!

E allora? Che ne dite? Vi sono piaciuti i genitori di Lily? Ovviamente sono una mia interpretazione dei personaggi, visto che non si sa praticamente nulla di loro. E Lucius avrà la sua parte importante in questa storia… ora tutto gira intorno a lui.

E niente di meglio che una bella battaglia per movimentare un po’ la situazione. Basta ciarlare! Insomma!

Ecco, detto e fatto. Adesso la smetto anch’io di parlare.

Mi raccomando, aspetto le vostre recensioni, eh?
  

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Capitolo 15
*** Gli artigli della Guerriera ***



Scusatemi, piccola premessa. Allora, visto ciò che accade in questo capitolo, ho pensato di alzare il rating della storia quantomeno a GIALLO.  I prossimi capitoli, comunque, torneranno ad essere pienamente verdi, è solo un attimo di defiance, ma a causa di questo capitolo mi vedo costretta ad alzare il rating a tutta la storia. Bene, detto questo, vi lascio alla lettura. Ci vediamo in fondo.

*******


 

    Capitolo 15
 

GLI ARTIGLI DELLA GUERRIERA    


 

Il camino di Villa Silente tossicchiò nuvole di fumo mentre una fiammata color smeraldo rombava improvvisamente tra le sue ceneri contorcendosi, poi, in un ultimo spasmo attorno alla figura che si era appena materializzata tra le sue lingue, prima di adagiarsi, moribonda, in un sospiro.

Albus Silente uscì dal camino pulendosi le vesti azzurre dalla fuliggine. Si aggiustò gli occhiali sul naso arcuato e sospirò guardando la pendola del soggiorno segnare le tre e mezza del mattino. Non era certo l’ora più adatta per rientrare, ma aveva una giustificazione. Aveva pensato di trascorrere la notte ad Hogwarts, nei suoi alloggi, ma le parole di Lucius Malfoy avevano scritto un nuovo programma per quella notte. Se Lord Voldemort poteva rintracciare Severus attraverso il Marchio, allora era meglio accertarsi che il ragazzo non lasciasse la protezione delle barriere intorno alla villa.

Aveva passato le ore precedenti a pensare, cercando un modo per proteggere Severus senza doverlo costringere alla prigionia, ma neanche la sua mente brillante era riuscita a trovare una soluzione… almeno, non per il momento. E poi c’era la questione Harry. Oh, lui sapeva perché Voldemort aveva cercato i Potter, perché voleva uccidere il piccolo Harry… e lo sapeva anche Severus. Le mire del Signore Oscuro si erano però portate verso quest’ultimo, mentre sembrava essersi completamente dimenticato di Harry. Regnava uno strano silenzio tra i Cavalieri di Valpurga. E questo lo preoccupava. Sembrava che il Signore Oscuro fosse in attesa… e se attendeva voleva dire che il suo piano era già in atto. Ma quale piano? Davvero voleva solo Severus? Oppure intendeva trovare Harry attraverso di lui? Che cosa stava macchinando Tom Riddle tra i fantasmi silenziosi e discreti del suo antico maniero?

Silente scosse il capo. Se continuava ad arrabattarsi così, la soluzione del problema sarebbe stata una bella pozione contro il mal di testa. L’unica cosa che poteva fare era aspettare, lasciare che gli eventi si sviluppassero, sperando che i piani di Voldemort si rivelassero, o che egli commettesse un errore. Si massaggiò le tempie distrattamente, quindi provvide ad estrarre la bacchette per farsi luce prima di avviarsi verso il piano superiore. Aveva davvero bisogno di una bella dormita.

Salì le scale di legno, facendo attenzione a non fare troppo rumore, e si ritrovò davanti alla porta della stanza di Lily. Osservò il legno scuro, appena socchiuso. Non era buona educazione spiare nelle camere delle signore, no di certo… ma lui era Albus Silente, e poteva permettersi certe libertà, giusto? Spinse delicatamente la porta gettando un’occhiata all’interno della stanza cercando il letto della giovane. La luce azzurra della bacchetta filtrò indiscreta nella camera illuminando un letto vuoto, le coperte ammucchiate contro il muro.

Il cuore di Albus fece un tuffo. Richiuse la porta mentre un’improvvisa consapevolezza, con cui non avrebbe mai voluto avere niente a che fare, gli martellava nel petto. Sperava soltanto che l’idea che gli era balenata in testa fosse sbagliata, mentre si dirigeva con passo svelto verso la camera di Severus. Aprì la porta con mano tremante e la spinse. Panico. Guardò la camera vuota per un attimo, poi si voltò richiudendo la porta con forza dietro di sé. Si aggrappò con forza alla balaustra di legno che dava sull’ingresso, al piano di sotto.

Non era possibile. Aveva appena scoperto che doveva tenere Severus al sicuro dietro la barriera, ed ora tornava a casa solo per scoprire che il ragazzo era sparito. Insieme a Lily. Certo che il destino giocava davvero brutti scherzi agli uomini!

Conoscendo Severus, era improbabile che fosse uscito per farsi una passeggiata romantica nel giardino buio insieme a Lily. Sicuramente era andato a cercare Harry. Ma perché? Perché doveva fare di testa sua? E come avevano fatto ad andarsene? Perché Brix non lo aveva avvertito?

Silente agitò la bacchetta accendendo le luci del corridoio e dell’ingresso.

“Brix!” Gridò, la voce tremante di urgenza.

Corse verso la stanza dell’elfo, e bussò forte sul legno.

“Brix! Brix svegliati!” Tuonò. Ma non ricevette nessuna risposta.

Cercò di aprire la porta, ma la maniglia scattava a vuoto. Silente si lasciò sfuggire un sorriso. A quanto pareva, Severus aveva progettato tutto con attenzione.

“Alohomora.” Disse puntando la bacchetta contro la toppa della porta, ma non ottenne nessun risultato. Scosse la testa. Che si aspettava da Severus? Un semplice e banale incantesimo di sigillo che si impara a scuola al secondo anno?

Provò vari incantesimi prima di riuscire a sbloccare la porta. La spalancò con impeto, puntando la luce della bacchetta nella stanza ancora buia, solo per rimanere impietrito sulla soglia. Quasi si era aspettato di trovare Brix legato come un salame e imbavagliato, e invece l’elfo dormiva della grossa tutto infagottato nelle coperte calde. E russava come un cinghiale, oltretutto.

Silente si avvicinò in fretta al letto. Gli bastò poco per rendersi conto che l’elfo era sotto l’effetto di un incantesimo. Accese le candele del lampadario con un gesto stanco della mano, poi puntò la bacchetta verso l'elfo.

“Finite.” Disse.

“Brix, svegliati!” Esclamò poco dopo, scuotendolo.

Brix aprì gli occhi color nocciola in un attimo, ritrovandosi davanti quelli azzurri scintillanti di Albus. Fece un balzo indietro rischiando di rovesciarsi sul pavimento.

“Albus! Ti pare il modo di svegliare la gente!” Esclamò, allibito.

“Severus e Lily se ne sono andati.” Gli disse allora Silente.

Brix lo guardò sperduto per un attimo, cercando di afferrare appieno il significato di quella frase.

“Se ne sono andati? –Ripetè poi. –Come sarebbe ‘se ne sono andati’?! No. Sono entrambi nelle loro camere. Dormivano. Ho controllato ieri sera.”

“No, Brix. Le loro camere sono vuote.” Gli disse Silente, scuotendo il capo.

“No, no. Non è possibile.” Rispose l’elfo balzando giù dal letto e uscendo di corsa dalla stanza vestito solo della camicia da notte grigia.

Silente, rimasto solo nella camera di Brix, si sedette stancamente sul letto dello stesso passandosi una mano sul viso, sospirando. Era preoccupato come non lo era mai stato in vita sua. Quei due ragazzi si sarebbero ficcati nei guai, questo era poco ma sicuro. E lui cosa poteva fare? Poteva mandare qualcuno a cercarli, ma chi? E, soprattutto, dove? Dove erano andati quei due sconsiderati?

Si tolse gli occhiali a mezzaluna con un gesto stanco. I suoi occhi vagarono senza meta nella stanza mentre la sua mente lavorava indefessa. Ma i bracchi azzurri erano perspicaci anche senza quelle lenti a rafforzarne la vista, e si fiondarono subito verso un biglietto, un piccolo pezzo di pergamena che giaceva sul comodino lì di fianco.
Albus calzò nuovamente gli occhiali e afferrò il biglietto. Riconobbe la scrittura di Severus alla prima occhiata.

Non posso permettere che altri riparino ai miei errori. Intendo aiutare Lily a ritrovare suo figlio. So che leggerai queste righe quando ti sveglierai e il sole sarà già sorto, per allora il mio sigillo sulla porta sarà svanito e tu, se non avremmo ancora fatto ritorno, potrai avvertire Silente. Siamo diretti a Cokeworth, dai genitori di Lily.

Mi dispiace, Brix.

Cokeworth! Quel ragazzo aveva sempre idee brillanti! Peccato che dovesse per forza sempre fare di testa sua. Avvertire Minerva, no, eh? No, molto meglio andare là fuori, da soli, con il rischio di essere intercettati dai Mangiamorte.

Non posso permettere che altri riparino ai miei errori.

Albus rilesse quella prima frase. Capiva. Capiva che per Severus dover rimanere nascosto mentre altri rischiavano la vita era come essere imprigionato da catene roventi. Ma era anche vero che quanto era accaduto non era colpa sua, anche se lui riteneva il contrario. Quel ragazzo aveva il problema di accollarsi sempre tutte le colpe del mondo. Nessuno l’aveva mai incolpato di aver abbandonato Harry, nessuno l’aveva mai incolpato della morte di James Potter: era lui che si accusava. Senza ragione se non quella di credersi sbagliato e fuori posto in questo mondo, di non meritarsi la fiducia degli altri.

Non posso permettere che altri riparino ai miei errori.

Quali errori? Nessuno aveva mai riparato ai suoi errori al posto suo. Severus si era sempre preso tutto il carico di colpe senza sconti, aveva capito i suoi errori e si auto flagellava continuamente lungo l’irto sentiero della redenzione. Aveva ricucito gli strappi della sua anima con il filo della colpa e del dolore.

Non era stata colpa sua. Non spettava a lui mettersi in pericolo per riparare al danno di altri.

No, lui, Albus Silente, non poteva permettere che Severus riparasse agli errori di altri. Sì, c’era uno strano scambio di soggetto e complemento in quella frase scritta in fretta sulla pergamena. Uno strano scambio che stonava trasformando la melodia di quella calligrafia inclinata nel ghigno irridente di un mondo distorto, c’era qualcosa di estremamente sbagliato in quella frase: era tutto capovolto. Il credersi sbagliato del giovane si rifletteva in quelle parole di inchiostro scuro stillate dai suoi occhi color della notte. Erano piccole gocce di quel lago nero che dormiva al di là di quelle iridi nere e che Albus aveva scorto così tante volte. In quella strana e grottesca grotta che Severus aveva costruito al di là dei propri occhi tutto era rovesciato, spezzato, distorto. L’apparente calma di quelle acque sotterranee nascondeva il sonno di un dragone rabbioso, stanco, ferito, che covava rancore verso chi l’aveva sempre allontanato e umiliato.

Draco dormiens nunquam titillandus.

Chissà perché gli era improvvisamente venuto in mente il motto che troneggiava sull’arme della scuola. Ma, d’altronde era così. Il drago che dormiva nel lago nero degli occhi di Severus era stato forgiato dagli abusi e dalle umiliazioni, dalla solitudine e il continuo stuzzicarlo, mortificarlo aveva acceso la sua rabbia… ed era normale.

“Sono andati via…” Disse una voce triste, interrompendo il fiume di pensieri di Silente. Questi si voltò verso la porta dove Brix lo osservava con occhi amareggiati, abbattuti.

“Severus ti ha lasciato questo.” Gli disse allora Albus, mostrandogli il biglietto che teneva in mano.

Brix si avvicinò e prese il foglietto dalle mani di Silente. Lo lesse piano, stampandosi ogni singola parola nella mente.

Mi dispiace…” Mormorò tra sé e sé, leggendo le ultime parole del biglietto.

“Minerva mi aveva chiesto di sigillare l’entrata. – Disse poi ad Albus, gli occhi ancora fissi su quelle frasi scure. –Pensava che lui e Lily avessero intenzione di andare a cercare Harry. Ma io… -Alzò gli occhi verso Silente. –io ho voluto fidarmi di loro. Non pensavo se ne sarebbero davvero andati.”

Albus annuì col capo, tristemente.

“C’è di peggio.” Disse poi all’elfo.

“Vale a dire?” Gli domandò Brix restituendogli il biglietto.

Albus prese un lungo sospiro, mentre afferrava il foglio e lo posava nuovamente sul comodino. “Ho fatto una chiacchierata con Lucius Malfoy, questa sera. Voldemort può trovare Severus, può individuare il suo Marchio. Di fatto, volevo dirglielo quando si fosse svegliato, ma…” Silente si interruppe guardando Brix.

“Dobbiamo trovarli. –Disse l’elfo. –Dobbiamo farlo prima che loro li trovino. Sappiamo dove sono andati, mandiamo qualcuno a prenderli. Lupin o Hagrid o….” ma si bloccò, lasciando la frase a metà quando vide che Silente scuoteva il capo.

“Ci vuole troppo tempo.” Disse Silente.

“Allora ci vado io!” Esclamò subito Brix, deciso.

“No, Brix. –Gli disse Silente. -Ho un’idea migliore. Li recupereremo senza scomodare nessuno… ma ho bisogno di andare ad Hogwarts.”

***

Il lampo azzurro si infranse con uno stridio sulla barriera invisibile eretta da Lily. Severus vide il bagliore spegnersi poco lontano da lui mentre continuava a stringere l’avambraccio dolorante.

Lily era tesa, di fianco a lui, la bacchetta alzata, i suoi occhi scattavano verso il vicolo da cui era arrivato l’incantesimo. Sperava che i suoi genitori avessero il buon senso di rimanere in casa, ma non voleva arrischiarsi a guardare alle sue spalle. Fece qualche passo indietro finchè non sentì il duro metallo del cancello premere contro la sua schiena. Rintanarsi sotto la protezione dell’Incanto Fidelius non sarebbe servito a niente, il Mangiamorte sarebbe rimasto lì  fuori ad attenderli, sarebbero stati in trappola.

“Attenta!”

Era così presa dai suoi pensieri che non si accorse di un secondo incantesimo che si dirigeva svelto verso di loro. La voce di Severus l’aveva smossa in tempo per vedere quella luce chiara guizzare davanti a lei e morire in uno spasmo.

Si voltò verso il giovane al suo fianco. Severus aveva la bacchetta levata, gli occhi scintillavano attenti dietro al velo di dolore e ai lineamenti contratti.

Una sagoma scura si mosse tra le ombre del vicolo davanti a loro.

“Stupeficium!” Gridò Severus. Il suo incantesimo si scontrò con alcuni cassonetti nascosti dall’oscurità, mentre il misterioso assalitore rispondeva all’attacco.

Severus fu svelto ad erigere una barriera e deviare l’incantesimo, ma non si accorse di un secondo attacco dalla sua sinistra. Lily, però, sì. Si protese in avanti deragliando la fattura e attaccando a sua volta.

Chi li aveva assaliti da sinistra dovette esporsi alla luce dei lampioni mentre si faceva avanti per proteggersi dall’incantesimo di Lily. La luce calda scintillò sulla sua maschera d’argento per un attimo, prima che il Mangiamorte tornasse a ripararsi dietro un muretto. 

Il suo compare, nel frattempo, non aveva perso tempo. Il suo incantesimo mancò la spalla di Lily per un soffio.

“Reducto!” Gridò il secondo Mangiamorte, mirando al petto di Severus. Questi schivò a malapena il colpo, mentre lanciava un incantesimo non verbale verso l’altro che si coprì prontamente dietro al muro.

Lily stava tenendo a bada il Mangiamorte del vicolo, ma non c’era verso di colpirlo. I suoi incantesimi continuavano a mancare il mago, ben nascosto nell’oscurità, mentre, invece, lei e Severus erano allo scoperto e non avevano modo di ripararsi dietro a qualcosa.

“Confringo!” Urlò Severus puntando la bacchetta verso il vicolo. L’incantesimo si schiantò nel buio con una fiammata di luce. Il rombo dell’esplosione distrasse il Mangiamorte dietro al muro.

“Corri!” Intimò Severus a Lily deciso ad approfittare della distrazione dei due maghi oscuri. La spinse verso destra con urgenza cercando di smuoverla.

“Dobbiamo spostarci da qui! Avanti!” Disse Severus. Lily corse, corse lungo la strada mentre il ragazzo la seguiva a breve.

Severus si voltò indietro quando sentì un incantesimo sfiorargli sibilando l’orecchio sinistro. I due Mangiamorte si erano ripresi dall’esplosione ed ora li stavano inseguendo lungo la via lanciando maledizioni a casaccio verso di loro, fatture che li evitavano e li superavano andandosi ad infrangere contro le siepi e contro i lampioni.

“Stupeficium!” Gridò Severus cercando di colpire il Mangiamorte più vicino, mancandolo.

Lily rallentò per voltarsi verso di lui mentre una fattura le sfiorava il fianco.

“Non fermarti! Corri!” La incitò Severus erigendo un incantesimo scudo tra loro e i Mangiamorte.

 I due Mangiamorte si erano avvicinati e ora correvano a pochi metri da loro, spalla a spalla. Severus vide il primo seguace di Voldemort, quello che poco prima era nascosto nel vicolo, aveva superato il compagno e ora correva pochi passi davanti allo stesso.“Incarceramus!” Gridò il ragazzo colpendo il primo Mangiamorte. Funi comparvero attorcigliandosi introno al corpo del mago che cadde a terra con un tonfo, mentre il compare che lo seguiva inciampò su di lui accompagnandolo nella caduta. Severus si lasciò sfuggire un sorriso soddisfatto prima di rivolgersi a Lily.

“Nel vicolo!” Le disse poi il ragazzo, notando una stradina buia aprirsi sulla loro destra. Lily si gettò in quella direzione sparendo tra le ombre del vicolo. Severus stava per seguirla quando andò a sbattere contro qualcosa di invisibile che era comparso dal nulla proprio davanti a lui. Cadde sulla schiena con un tonfo sordo sbattendo violentemente la testa contro l’asfalto, un forte lampo invase i suoi occhi, mentre una risata roca si faceva strada nella sua testa. La bacchetta gli sfuggì di mano.

“Ma guarda, il piccolo principe è caduto. Si sarà fatto male il principino?” Disse la voce di una donna, tagliente gelida, proprio sopra di lui, mentre cercava di mettere a fuoco le immagini che si presentavano ai suoi occhi. Ma non ne aveva bisogno, dopotutto. Non aveva bisogno di vedere il volto della donna che lo sovrastava: avrebbe riconosciuto quella voce e quella risata ovunque. Bellatrix Black.

Ci mise un po’ ad allontanare quelle fastidiose macchie bianche dai suoi occhi, ma quando queste finalmente lo abbandonarono si ritrovò con il volto di Bellatrix a pochi centimetri dal suo. Gli occhi scuri della donna erano fissi nei suoi e i suoi lunghi capelli ricci gli solleticavano il viso, la bacchetta di Bellatrix premeva contro la sua gola. La testa continuava a pulsargli dolorosamente e lo stesso faceva il braccio sinistro. Il Marchio lanciò una fitta più forte delle altre che si propagò lungo il suo braccio come una scarica elettrica facendolo gemere per il dolore.

Bellatrix sorrise. 

“Ti fa male, principino?” domandò premendo la bacchetta più forte sulla sua gola. Severus sentì il suo alito caldo su di lui e scostò il capo di lato. La sua bacchetta giaceva abbandonata qualche passo più in là, in mezzo alla strada. Era a terra, disarmato e con la bacchetta della Mangiamorte puntata alla gola. Sperò soltanto che Lily si fosse smaterializzata a Villa Silente, che almeno lei fosse in salvo.

Spostò lo sguardo verso la stradina in cui era scomparsa la ragazza.

“La tua amica Sanguesporco non può venire ad aiutarti.” Gli disse Bellatrix seguendo il suo sguardo.

Severus continuò a guardare da quella parte. Lui non voleva che Lily tornasse ad aiutarlo… sperava solo che la ragazza si fosse messa in salvo.

Sentì la donna farsi più vicina finchè la sua bocca non gli sfiorò l’orecchio sinistro.

“Non sei stato molto carino con i miei compagni.” Sussurrò Bellatrix in un sibilo, solleticando i capelli del giovane mentre la mano della donna scendeva ad accarezzargli un fianco.

Severus sussultò a quel contatto cercando di scostarsi.

“Lasciami!” Disse deciso. Ma sentì solo Bellatrix sogghignare arricciando le labbra contro il lobo dell’orecchio.

“Oh, niente affatto, principino. Il Signore Oscuro vuole vederti. Sai, ci tiene tanto a scambiare quattro innocenti chiacchiere con te.” Disse la Mangiamorte.

“Innocenti? Ma ti ascolti quando parli Bella? Sei solo una pazza fanatica.” Ringhiò Severus cercando di allontanarsi dalla donna, senza successo.

Bellatrix ghignò. La mano che accarezzava il fianco di Severus artigliò i suoi vestiti, strattonandoli ed estraendo la camicia bianca dai pantaloni. Il ragazzo tremò quando sentì l’aria fredda della notte sfiorare il lembo esposto della sua pelle. Un brivido lo percorse quando le dita di Bellatrix si unirono a quelle del freddo spodestandole in pochi attimi.

La mano della donna si spinse sotto la camicia di Severus accarezzando la sua pelle chiara, sfiorando la linea appena accennata degli addominali.

“Levami le mani di dosso!” Esclamò Severus cercando di controllare il suo respiro. Bellatrix aveva una sadica idea di tortura. Oh, a lei piaceva sentire le sue vittime gridare di dolore, la tortura psicologica non dava  le stesse soddisfazioni, ma poteva essere altrettanto crudele. Godette dello sguardo ferito e spaventato di Severus che scattava a destra e a sinistra, come della pelle liscia che sentiva scorrere sotto le sue dita.

Severus era pietrificato. Le braccia bloccate sull’asfalto come legate da lacci di piombo. Bellatrix continuava a sogghignare, trovava il gioco divertente a quanto pareva. Quella donna era pazza.

“Ehi, Bella! L’hai preso, a quanto pare.” Disse una voce maschile a pochi passi da loro.

Severus alzò lo sguardo. I due Mangiamorte che li avevano attaccati poco prima, avevano raggiunto la loro compagna. Indossavano ancora le maschere d’argento che distorcevano la loro voce, aggiungendovi un’eco metallica quando essa passava attraverso le fessure del metallo che contornavano le loro bocche.

Bellatrix ritrasse la mano che vagava impudica sull’addome di Severus e guardò i due Mangiamorte senza allontanare la bacchetta che continuava a premere sulla gola di Severus.

“Sì. Io l’ho preso. –Disse Bellatrix in tono trionfante. –Il Signore Oscuro sarà compiaciuto quando saprà che io, io!, ho catturato il suo mezzo principe. Voi due siete degli incapaci!” Tuonò poi, quasi ringhiando mentre sputava addosso ai due Mangiamorte le ultime parole.

I due tacquero. Impossibile vedere le loro espressioni attraverso l’argento gelido delle maschere.

Bellatrix abbassò nuovamente il viso verso quello di Severus.

“Su, Severus. Saluta Rabastan e Rodolphus… Sono tanto contenti di vederti.” Gli disse in un sibilo.

Severus cercò di liberarsi dalla stretta di Bellatrix, ma questa afferrò con forza il suo braccio sinistro torcendolo con forza dietro la sua schiena. Il ragazzo urlò quando le dita della Mangiamorte premettero sul Marchio bruciante prima che gli mancasse il respiro per la fitta lancinante che la forte contorsione gli aveva procurato. La scarica di dolore superò la sua spalla fino a stringere con forza i suoi polmoni, costringendolo ad uno spasmo, lasciandolo boccheggiante, in cerca di aria. Sentì a malapena i due Mangiamorte ridacchiare compiaciuti.  

“Perché non fai divertire anche noi, eh?” Propose uno dei due facendo un passo avanti.

“Il Signore Oscuro ha detto di volerlo vivo, Rabastan.” Disse l’altro trattenendolo per un braccio.

“Oh, ma noi non lo uccidiamo… gli facciamo solo pagare il suo tradimento. Ha tradito tutti noi, non solo il Signore Oscuro.” Gli rispose Rabastan.

Rodolphus rimase in silenzio, in muto acconsentimento, e il fratello ne approfittò per avvicinarsi ancora.

“E’ qui alla nostra mercè. Perché non possiamo prenderci la nostra parte?” Abbaiò Rabastan.

“Perché il Signore Oscuro ha detto di non toccarlo.” Gli rispose Ballatrix in un ringhio.

“Il Signore Oscuro ha detto di volerlo vivo, non incolume. E tu lo stai già toccando.” Le fece allora notare Rodolphus, affiancandosi al fratello.

Bellatrix ridacchiò malignamente.

“Tacete! Spetta al Signore Oscuro il primo boccone. –Disse ai due Mangiamorte. –Non vorrete privarlo della sua preda…”

I due si guardarono senza dire una parola. Bellatrix strinse la presa sul braccio di Severus torcendolo ancora più forte, sorridendo nel sentire il sangue scorrerle lungo le dita. Severus gemette, la vista che andava appannandosi sotto la caligine bianca delle lacrime di dolore.

“La tua amichetta ti ha abbandonato, Severus.” Gli disse Bellatrix

“Ha fatto la cosa giusta. Almeno lei è al sicuro.” Ringhiò Severus.

“Al sicuro? Oh, non ci spererei così tanto. Una volta che ti avremo consegnato al Signore Oscuro ci occuperemo anche di lei, puoi starne certo.” Chiosò Bellatrix, senza smettere di sogghignare.

Severus gemette di nuovo. Doveva liberarsi in qualche modo, ma come? Bellatrix lo stringeva in una morsa e la sua bacchetta si trovava a terra a tre metri da lui. Lily doveva essere bloccata dietro la barriera contro cui lui aveva abbattuto: non aveva modo di venire ad aiutarlo. La sua mente sperava che Lily si fosse messa in salvo, mentre il suo cuore continuava a sperare disperatamente che lei non lo avesse abbandonato… che sarebbe tornata a prenderlo, a salvarlo. Guardò verso il vicolo vuoto, pregando che Lily arrivasse e maledicendo sé stesso per sperarlo. Lily non sarebbe venuta… Lily non doveva venire. L’aveva già messa in pericolo quanto bastava, ora era giusto che lui se la cavasse da solo.

“Stupeficium!” Gridò una voce.

Severus chiuse gli occhi, sperando che fosse tutto un sogno… che quella non fosse… che quella fosse la voce di Lily.

Ma non era un sogno. Bellatrix fu colta alla sprovvista: ebbe solo il tempo di alzare lo sguardo per vedere la scia rossa dell’incantesimo che questo la colpì spingendola lontano da Severus, mandandola a sbattere, svenuta, sull’asfalto freddo della strada.

I fratelli Lestrange non si fecero cogliere altrettanto impreparati. Lily deviò a malapena l’incantesimo che Rabastan aveva lanciato contro di lei.

“Expelliarmus!” Gridò la ragazza cercando di colpire l’uomo, ma così facendo non fece in tempo a proteggersi da una fattura di Rodolphus che la colpì al braccio destro lasciandovi una profonda bruciatura.

“Protego!” Esclamò fermando in tempo un secondo incantesimo del Mangiamorte, e spostando la barriera a proteggersi il fianco dal lampo rosso che era scaturito dalla bacchetta di Rabastan. Non riusciva a tenere a bada entrambi. Se attaccava non poteva proteggersi e se si proteggeva non poteva rispondere agli assalti.

“Stupeficium!” Un fascio rosso colpì Rodolphus al ventre scaraventandolo violentemente contro un lampione. L’asta di ferro tremò sotto quel colpo mentre il Mangiamorte si accasciava a terra privo di sensi.

Lily si voltò a destra, cercando l’origine dell’incantesimo che aveva colpito Rodolphus, e vide Severus sdraiato sul fianco in mezzo alla strada. Era appoggiato al braccio destro mentre con il sinistro dolorante reggeva la bacchetta.

Il ragazzo, libero dalla stretta di Bellatrix, aveva approfittato dell’intervento di Lily per trascinarsi verso la sua bacchetta. La ragazza non poteva tenere a bada due Mangiamorte potenti come i Lestrange da sola. Aveva fatto forza sul braccio pulsante per cercare di alzarsi, ma aveva dovuto desistere, così si era trascinato carponi, gettandosi sulla bacchetta.

Rabastan aveva visto il fratello accasciarsi inerme e aveva puntato la bacchetta contro Severus, ma non fece mai in tempo a scagliare la sua fattura perché venne colpito da un incantesimo di Lily che lo sbalzò indietro lasciandolo privo di sensi, disteso scompostamente a cavallo del marciapiede, vicino al fratello.

Severus abbassò la bacchetta, prendendo delle profonde boccate d’aria. Fece forza sul braccio sano cercando si mettersi seduto, due braccia gli vennero in aiuto cingendogli i fianchi sostenendolo mentre lui si alzava lentamente in piedi.

“Stai bene?” Domandò la voce dietro di lui.

Si voltò. Il viso sorridente di Lily lo accolse. Lui aprì la bocca per rispondere, ma non ne uscì alcun suono, come se tutta la forza rimasta nei suoi polmoni si fosse spenta nel gridare quell’incantesimo poco prima.

“Stai bene?” Ripetè Lily senza allontanare dal viso quel sorriso da bambina.

Severus deglutì, cercando di trovare le parole.

“Sì, sto bene.” Annuì poi. Aveva ancora il respiro mozzo per la fitta di poco prima e gli occhi resi lucidi dal panno inesorabile della sofferenza.

Lily portò una mano sulla guancia del giovane. Fece passare il dorso delle sue dita sullo zigomo di Severus sentendo il calore di lui sulla sua pelle. Il ragazzo non si scostò da quel contatto. Le dita di Lily sul suo viso erano acqua fresca in quel momento, non poté trattenersi dal sorriderle dolcemente… forse il primo vero sorriso che le sue labbra accettavano di mostrare. E lo stava regalando a Lily. Era felice che lei fosse tornata ad aiutarlo… era felice di averla lì accanto a sé.

“Andiamo via.” Gli disse Lily, scostando la mano liscia dal suo viso. Continuava a sorridergli teneramente, non poteva fare altro. Le dispiacque dover rompere quel piccolo contatto con Severus. Non sapeva perché gli aveva sfiorato la guancia in quel modo, ma il sorriso che le aveva rivolto il giovane le aveva scaldato il cuore… e ora interrompere quel legame era come imbavagliare quel cuore per impedirgli di battere.

Severus annuì. I Mangiamorte non avrebbero impiegato molto a riprendere i sensi.

“Oh, no. Non andate proprio da nessuna parte! Expelliarmus!” Rodolphus Lestrange si era alzato da terra e puntava contro i due ragazzi le cui bacchette erano schizzate via dalle loro rispettive prese. Il viso affilato e scarno era ora libero dalla maschera d’argento che aveva perduto nella caduto. Gli occhi neri scintillavano pieni di una rabbia nervosa.

“Lurida Sanguesporco. Ora la paghi!” Rodolphus puntò la sua bacchetta contro Lily. Dalla sua punta scaturì una scia di un tempestoso rosso fuoco. Prima ancora che Lily potesse fare qualcosa, vide Severus pararsi davanti a lei. La maledizione colpì il ragazzo in pieno petto con violenza. Fu scagliato indietro trascinando Lily con sé nella caduta.

Lily sentì le unghie nere dell'asfalto cercare di lacerare il suo mantello scuro, affondando in esso con scie di atrito bruciante.La ragazza si rialzò a stento. Cercò Severus con lo sguardo. Il ragazzo era disteso supino, boccheggiava, il corpo scosso da improvvisi colpi di tosse. Si avvicinò a lui a carponi. Severus teneva gli occhi chiusi, aveva il corpo scosso da tremiti e un’ampia bruciatura sul petto dove l’anatema lo aveva colpito. Tossiva e non riusciva a respirare, rivoli di sangue gli cerchiavano la bocca macchiando il suo mento e lasciando strisce vermiglie nel loro lento cammino sulla pelle candida.

“Sev…” Mormorò Lily posando una mano sulla spalla del giovane. Severus gemette e tossì di nuovo mentre un nuovo sbocco di sangue macchiava le sue labbra.

“Sev…” Lily sentiva le lacrime scorrerle inesorabili e calde sul viso. Sfiorò il viso del ragazzo scostandogli una ciocca color carbone dagli occhi serrati.

Il Mangiamorte era a pochi metri da lei, stava levando nuovamente la bacchetta. Ma a lei non importava, non vedeva più nulla intorno a lei. Solo Severus.

“Sev…” ripetè per l’ennesima volta. Una lacrima scivolò lenta sul suo mento prima di cadere andando a infrangersi, come una piccola perla, sul petto ansante del giovane.

Udì Rodolphus Lestrange urlare una maledizione. Ma quella fattura non la colpì mai. Sentì come uno strappo trascinarla via, come quello di una smaterializzazione… ma lei non si era smaterializzata e Severus non aveva certo la forza per farlo. Un vortice la accolse. Tutto intorno a lei prese a girare. Sentiva la presenza di Severus accanto a sé, e questo in qualche modo la rassicurava.

Il gorgo la abbandonò improvvisamente su un pavimento di pietra. Era sdraiata sulla schiena e sentiva il calore di Severus vicino a sè. Era confusa e non riusciva a mettere a fuoco il luogo in cui si trovava attraverso il velo pesante delle lacrime che continuavano a scendere sul suo viso.

“Lily! Severus!- Esclamò improvvisamente una voce conosciuta. –Grazie al cielo, sono riuscito a trovarvi!”

 

*******

 

Ecco, innanzi tutto devo chiedere scusa. Volevo postare questo capitolo ieri sera, ma tra una cosa e l’altra mi sono ritrovata a mezzanotte senza averlo ancora finito, per cui mi scuso del ritardo.

Seconda cosa: se vi state chiedendo che maledizione ha colpito Severus, ve lo dico, perché mi sento in colpa per aver postato in ritardo. E’ la maledizione di Dolohov, che proprio lui usa nel quinto libro al Ministero della Magia contro l’E.S. E’ non verbale per cui Rodolphus non ha bisogno di pronunciare l’incanto per scagliarla contro Severus. In pratica provoca profonde ferite interne, invisibili da fuori.

Terza cosa: se vi state chiedendo a chi appartiene la voce sconosciuta della fine del capitolo, non ve lo dico. Ma se fate lavorare un po’ le vostre testoline sono sicura che ci arriverete… non è poi così difficile.

Quarta cosa: il titolo si riferisce a Bellatrix. Come probabilmente saprete Bellatrix è il nome di una stella della costellazione di Orione (Gamma Orionis, per esser precisi) e una delle stelle più brillanti della volta celeste (la ventiseiesima) e la più splendente della costellazione dopo Rigel e la gigante rossa Betelgeuse (scusate se la tiro per le lunghe, ma io adoro l'astronomia!). Il suo nome è di origine latine e significa, appunto, "La Guerriera".

A proposito, speroBellatrix sia stata di vostro gradimento. Io ho fatto del mio meglio, ma mi sono resa conto che è un personaggio estremamente difficile da gestire e ho paura di aver fatto un po’ di pasticci.

Aspetto le vostre recensioni, mi raccomando! Alla prossima!!!

 
  

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Capitolo 16
*** "Siete a casa." ***


Capitolo 16


"SIETE A CASA"
 



Lily cercò di mettere a fuoco i lineamenti dell’uomo chino su di lei, ma le lacrime bruciavano i suoi occhi coprendoli con fasci violenti di sale. La luce delle candele si rifletteva in esse avvampando sulle sue iridi smeraldine nelle vili imitazioni di quelle lingue di fuoco che leccavano dolorosamente la cera trasparente delle lacrime.

Sentiva un vago bruciore al braccio destro, ma non era nulla in confronto alle immagini che quelle lacrime maledette le sbattevano sugli occhi. La voce irata e gracchiante di Rodolphus Lestrange. La maledizione rossa vermiglia che scaturiva dalla sua bacchetta come una frusta di sangue infuocato. E poi Severus che le si parava davanti. Severus che veniva colpito in pieno petto dalla fattura. Severus che veniva scagliato indietro dalla forza del colpo trascinandola con sé. Severus che boccheggiava a terra, il sangue che macchiava le sue labbra… i suoi occhi spasmodicamente chiusi.

Lacrime calde le scorrevano libere sul volto contratto. Non poteva trattenerle… non voleva trattenerle…

La voce che aveva udito poco prima era diventata un ricordo strano, uno sbuffo di sogno che ora echeggiava moribondo tra i suoi respiri spezzati da lievi singhiozzi.  La sentiva lontana, ovattata. Stava dicendo qualcosa, ma non capiva se parlava con lei o con qualcun altro, sentiva solo il tono più rigido e severo che essa aveva assunto.

Percepì vagamente una porta aprirsi e chiudersi, e poi dei passi leggeri verso di lei. Lo strusciare leggero di un mantello. Sentì una mano passarle dolcemente sulla fronte scostando le ciocche di capelli rossi bagnate dalle lacrime. Due occhi azzurri brillanti splendevano al di là del suo velo di dolore. Scintillavano come piccole stelle di un mondo lontano, di un cielo che lei non riusciva a vedere al di là di quella coltre di nebbia. Quelle due scintille di cielo continuavano a fissarla tagliando il mare di bruma che le copriva le palpebre.

Chiuse gli occhi. Non voleva vedere quegli occhi azzurri… non voleva che essi sondassero i suoi come segugi affannati.

Chinò il capo di lato cercando di sfuggire anche a quella carezza che le sfiorava il capo sfiorandole dolcemente i capelli.

“Lily…” Disse quella voce calda. Ora poteva sentirla nitidamente, dolce, avvolgere le sue orecchie e riempirle di calde acque azzurre e placide.

“Lily, siete al sicuro qui. Va tutto bene.” Continuò l’uomo senza smettere di far scivolare la sua mano sul viso umido della ragazza.

Lily riaprì gli occhi, cercando di scacciare quelle gocce salate. Si voltò ritrovandosi davanti di nuovo quegli occhi azzurri, ma il suo sguardo passò oltre. Oltre… al ragazzo disteso al suo fianco. Al ragazzo che rantolava nel tentativo di catturare l’aria nei suoi polmoni.

Si avvicinò un po’ a lui, ignorando lo sguardo scintillante e ceruleo fisso su di loro. Fece scivolare una mano lungo il braccio di Severus fino a incontrare quella del giovane. Sfiorò appena la sua pelle chiara sentendola fredda sotto il suo tocco. Fece scivolare le sue dita fresche tra quelle contratte del giovane, stringendole. Severus fremette sotto quel tocco, ma poi Lily sentì la mano de giovane stringersi intorno alla sua ed il suo respiro farsi più regolare.

Severus tossì di nuovo, espellendo altro sangue dalle sue labbra, macchiando di vermiglio il suo mento chiaro e il collo alto del maglione.

Lily rafforzò la sua presa sulla mano del ragazzo, mentre osservava i suoi lineamenti irrigiditi nello spasimo di dolore che lo aveva squassato.  Vide una mano rugosa ed affusolata posarsi sulla fronte di Severus e poi scendere gentilmente lungo la sua guancia, macchiandosi appena di sangue quando arrivò a sfiorare l’angolo della bocca del giovane.

Albus Silente era inginocchiato a terra, sul freddo pavimento di pietra. Osservava con occhi preoccupati e addolorati il ragazzo continuando a sfiorarne il viso cercando invano di rilassarlo.

Lily prese un lungo sospiro prima di tirarsi su in ginocchio senza lasciare la mano di Severus. Le sembrava di avere un macigno nel petto, che premeva sui suoi polmoni impedendo loro di gonfiarsi di aria. Gli occhi le facevano ancora male per il pianto, erano arrossati e gonfi. Si portò una mano al viso asciugandosi le lacrime con la manica.

Non riusciva a scostare gli occhi da Severus. Non riusciva a non guardare il viso del ragazzo che l’aveva salvata per la seconda volta.

“Lily…- Disse Silente osservando la giovane attraverso i suoi scintillanti occhiali a mezzaluna. –Siete al sicuro, ormai. E’ finita. Siete a casa.”

Lily alzò gli occhi per un secondo verso Albus. Vide le sue stesse lacrime riflesse nelle iridi azzurre del preside, vide i segugi accovacciati e uggiolanti.

Silente le sorrise, ma quel movimento scosse le stille che si accucciavano dietro a quelle lenti curve, liberandone una, tiepida e lucente, che scese lenta lungo la guancia dell’anziano preside andando a perdersi, poi, nella folta barba bianca.

Lily cercò di sorridergli a sua volta, ma ottenne soltanto una smorfia bugiarda ad inclinarle il volto arrossato, che svanì non appena la ragazza posò nuovamente gli occhi su Severus.

“Non respira…” mormorò Lily, preoccupata, stringendo più forte la mano del giovane.

“Brix è andato a chiamare Madama Chips. Arriverà presto.” Cercò di rassicurarla Silente. Poi si alzò e si chinò su Severus. Passò delicatamente un braccio intorno alla schiena del giovane e uno sotto alle ginocchia. Severus gemette forte quando Albus lo sollevò portandolo ad appoggiare la testa contro la sua spalla.

“Shhh…” Fece Silente stringendo a sé il ragazzo. Non era pesante e Albus riusciva a sostenerlo facilmente.

Lily aveva lasciato per un attimo la mano di Severus quando il preside l’aveva sollevato, ma la afferrò di nuovo prontamente, guardando il giovane che spingeva il capo contro la spalla di Silente in cerca di calore.

La ragazza si accorse appena di trovarsi nell'ufficio del preside, ad Hogwarts. Non si laciò distrarre dagli strumenti da'rgenti che sibilavano e tintinnavano, come invece le succedeva ogni volta che si era sitrovata in quell'ufficio: tutte le sue attenzioni erano rivolte a Severus. Non sapeva come avessero fatto a materializzarsi ad Hogwarts… al momento, comunque, era l’ultima delle sue preoccupazioni.

Albus rafforzò la presa sul corpo del giovane e si avviò lentamente verso il retro dell’ufficio, aggirando la robusta scrivania di noce. Lily lo seguì docilmente senza lasciare la mano di Severus. Albus non si curava degli sguardi curiosi e preoccupati che li circondavano e delle osservazioni che si scambiavano i presidi di Hogwarts dalle loro cornici antiche e tarlate. Non sollevò lo sguardo verso quei dipinti animati che li osservavano angosciati. Ma Lily… a Lily sembrava di essere al centro di un’arena, esposta, vulnerabile, senza una via d’uscita. Un fantoccio inutile che dava spettacolo di sé davanti a quegli illustri defunti che non facevano altro che sussurrare alle sue spalle, e commentare. Non capiva quello che si dicevano, sentiva solo un unico ovattato fruscio di sottofondo, ma i loro sguardi… oh, quelli li sentiva bruciare su di sé, li sentiva pungolarla come tanti piccoli aghi roventi.

Guardò Severus senza riuscire ad allontanare quel peso che le serrava cuore e polmoni in una morsa legandoli inscindibilmente l’uno agli altri. Tutto il dolore che provava Severus era come assorbito dal suo corpo e forgiato, battuto fino a dar forma a quella catena di piombo ghiacciato che le impediva di respirare.

Il ragazzo teneva gli occhi chiusi, non gemeva più, sebbene il sangue dentro di lui lo costringesse a colpi violenti di tosse per poter fuoriuscire dalle sue labbra sottili, liberando la sua gola da quei fiumi vermigli che rompevano gli argini macchiando la sua pelle selenica. Sembrava svenuto, eppure Lily sentiva la mano del giovane stringersi intorno alla sua e il suo capo premere contro la spalla calda del preside.

Silente si fermò di fronte a un grande quadro alle spalle della scrivania raffigurante il castello di Hogwarts, a differenza di tutti gli altri dipinti nella stanza che avevano le fattezze dei precedenti presidi della scuola.

Lily sentì Silente mormorare qualcosa a bassa a voce, poi vide il quadro tremare e spostarsi lentamente verso destra rivelando una scala di pietra che piegava verso sinistra dopo qualche scalino. La ragazza non ebbe il tempo di chiedersi dove portasse quel passaggio che il preside vi si era già inoltrato stringendo a sé Severus. La scala era troppo stretta per poter camminare al fianco del preside, così fu costretta a lasciare la mano del giovane ferito e ad accodarsi all’anziano professore.

Scoprì ben presto che in realtà, la scala contava soltanto una dozzina di gradini e dava accesso alle stanze private del preside. Voltato, l’angolo, infatti, seguì Silente nello salire ancora sette scalini di granito fino a trovarsi di fronte ad una spessa tenda granata che copriva un’arcata gotica decorata con linee semplici, ma eleganti.

La tenda si scostò non appena Silente fece per attraversarla. Lily superò l’arcata e si bloccò sulla soglia osservando l’accogliente soggiorno illuminato dal fuoco scoppiettante di un camino. Vi erano alcune finestre sul lato destro coperte da tende granata che riflettevano la luce aranciata del fuoco creando un’atmosfera rossa e calda che rendeva ancora più comode quelle poltrone scure e quel divano con i cuscini ricamati davanti al caminetto. La ragazza non ebbe il tempo di guardarsi intorno che Silente aveva già attraversato la stanza e si era fermato davanti ad una piccola porta scura in testa a tra bassi gradini di pietra.

Lily si affrettò a raggiungere il preside posando i passi sul palchetto di palissandro e sul grande tappeto persiano che faceva bella mostra di sé al centro della sala.

Albus cominciava a faticare nel sostenere Severus. Lo strinse a sé cercando di rafforzare la presa sul suo corpo. Severus gemette stringendosi ancora di più contro il petto del preside. Tossì, macchiando la di vermiglio la veste celeste.

Silente fece scattare la maniglia d’argento della porta con la magia lasciando che l’anta si aprisse lentamente del tutto. Salì i tre scalini ed entrò nella stanza buia al di là della soglia.

Scintille azzurre si svegliarono di soprassalto precipitandosi verso il lampadario di ferro che pendeva dalla volta, accendo di una tiepida luce dorata che invase la piccola stanza rivelando un semplice armadio di pino, una cassettiera e un letto perfettamente ordinato con quel suo copriletto castano-rossastro e la coperta di patchwork gettata con semplice eleganza su esso.

Dalla piccola finestra, che rompeva la continuità dei muri di pietra, la luna, ancora alta nel cielo, sbirciava curiosa nella camera.

Silente si avvicinò lentamente al letto, quindi vi depose cautamente il giovane che reggeva in braccio. Severus si lamentò quando non sentì più il calore confortante del corpo del preside attorno a lui.
Lily si precipitò al suo fianco tornando a stringere la sua mano.

Silente evocò una sedia con la bacchetta e vi sedette stancamente tirando un profondo sospiro. Guardò la giovane che si era intanto seduta sul bordo opposto del letto e non accennava minimamente a lasciare la mano di Severus. Albus scandagliò i suoi occhi verdi inclinati appena dalle ultima tracce delle lacrime, profondamente segnati dal pianto e arrossati, le guance rosse, macchiate di lacrime  a cui erano ancora attaccate ciocche rosse.

Vide una stilla calda scivolare lungo il viso della giovane a enfatizzare i sentieri ormai sbiaditi di chi l’aveva preceduta, mentre Lily alzava gli occhi verso di lui in una muta preghiera.

Albus percepì l’ansia e lo sconforto racchiuse in quelle iridi fresche. I suoi bracchi azzurri avevano colto quelle immagini vaghe nonostante il velo delle lacrime che disturbava i loro contorni. Avevano visto quei cuccioletti verdi e paffuti uggiolare rannicchiati tra le coperte fredde e grigie del pianto, si erano avvicinati a loro, annusandoli, leccandoli accovacciandosi accanto a loro, cercando di allontanare la loro tristezza, ma essi avevano continuato a guaire, con quegli occhioni umidi e supplicanti continuavano a fissare i segugi blu.

“Non posso fare nulla per lui.” Disse tristemente Albus in un sussurro.

Lily lo guardò abbattuta per un attimo, poi si voltò verso il giovane disteso. Severus respirava appena.

“Mi dispiace.” Mormorò Lily. Impossibile capire a chi si rivolgesse, se a Severus che rantolava in quel letto con un dolore atroce nel petto perché si era sacrificato per salvarla, se a sé a stessa che percepiva nel profondo quello tesso dolore, se a Silente la cui fiducia entrambi avevano tradito disubbidendo ai suoi ordini.

“Ciò che è stato è stato, Lily. –Le disse Silente sorridendole benevolo, -Tu stai bene, Severus è ferito, ma vivo. Dovresti essere grata di questo, sarebbe potuto andare molto peggio.”

“E’ in queste condizioni perché ha salvato me.” Disse Lily. La voce le si ruppe sulle ultime parole mischiandosi a nuove incontrollabili lacrime. Continuava a fissare il volto contratto di Severus, non ebbe il coraggio di alzare nuovamente lo sguardo verso Silente. Si sentiva tremendamente responsabile, e la colpa la spingeva a rifuggire quegli occhi azzurri scintillanti.

“Chi l’ha colpito?” Le domandò Silente senza abbassare quello sguardo tagliente da Lily.

La ragazza sfiorò appena i capelli di Severus, poi rispose: “Rodolphus Lestrange. Ma era destinata a me quella maledizione… -balbettò, il labbro tremante, -Lui… lui mi si è parato davanti e…”

“Non occorre che tu mi dica tutto subito. –Le disse gentilmente Albus, -Madama Chips arriverà breve a prendersi cura di Severus. Allora potrai raccontarci tutto.”

Lily annuì con il capo nello stesso istante in cui la porta della camera si riaprì con stizza. La giovane vide Poppy Chips, avvolta in una vestaglia color noce, avvicinarsi in fretta al letto con in mano una borsa scura. Silente si alzò per far posto all’infermiera.

“Questa è la seconda volta in pochi giorni che vengo buttata giù dal letto in piena notte.” Brontolò Madama Chips, abbandonando la borsa a terra prima di posare un palmo sulla fronte imperlata di sudore di Severus.

“E sempre a causa di questi due impudenti.” Aggiunse poi mentre la sua mano esperta scendeva verso il polso del giovane. Estrasse la bacchetta passandola sul corpo squassato dalle fitte di Severus e si fermò ad analizzare con occhi attenti la bruciatura sul maglione, al centro del petto.

La medimaga estrasse un panno pulito dalla tasca della vestaglia e pulì il sangue dalle labbra e dal viso del ragazzo.

“Ha profonde lesioni interne. E la febbre.” Fu la diagnosi.

“Può curarlo?” le domandò Lily con voce tremante.

Madama Chips alzò lo sguardo chiaro verso di lei.

“Oh, certo che posso curarlo.- Le rispose, burbera, ma poi parve addolcirsi quando vide gli occhi disperati e supplicanti della giovane. –Non posso, comunque, fare miracoli: avrà bisogno del suo tempo per guarire del tutto.”

“Di cosa hai bisogno?” Chiese Silente alla medimaga, desideroso di aiutare. Madama Chips portò il suo sguardo dalla ragazza al preside, stupendosi dell’atteggiamento dell’uomo: non aveva mai visto Silente tanto in ansia. Forse lo stava solo immaginando, eppure quegli occhi azzurri sembravano davvero preoccupati per la sorte del giovane.

Madama Chips lo ignorò, tornando ad occuparsi del giovane. Si chinò ed estrasse un botticino dalla  borsa che giaceva sul pavimento, lo stappò e alzò con delicatezza il capo di Severus portandogli la pozione alle labbra. Il ragazzo tossì quando sentì il liquido bruciargli la gola e alcune gocce di sangue guizzarono a macchiare nuovamente le sue labbra. Madama Chips vi passò di nuovo sopra il panno che aveva usato prima allontanando quelle gocce vermiglie dalla pelle del giovane.

“Per ora una Pozione Corroborante dovrà bastare, insieme ad una Rimpolpasangue. Purtroppo non sono attrezzata a far fronte a queste maledizioni. Poi dovrò procurarmene una adatta a far rimarginare le ferite interne. Di solito avrei chiesto a Severus di prepararmela, ma…” Disse la medimaga senza allontanare gli occhi dal ragazzo.

Severus rantolò improvvisamente, sputando sangue. Lily strinse di più la presa sulla sua mano osservandolo preoccupata. Gli occhi neri del giovane si spalancarono d’improvviso puntandosi in quelli della giovane: erano lucidi e vacui, ma Lily carpì in essi la scintilla delle iridi infuocate del drago che lottava con forza contro il dolore e il sangue che gli invadeva la gola cercando di far udire la propria voce. Il ragazzo boccheggiava, muovendo le labbra come se volesse dire qualcosa.

“La… la let…” Ansimò Severus stringendo in una morsa le dita di Lily.

“Lily…” Continuò la voce spezzata del giovane. La ragazza lo guardava senza capire.

Silente si era avvicinato al letto e i suoi occhi brillavano di interesse mentre quelli di Madama Chips avevano assunto una sfumatura cupa.

“La lettera.” Sospirò Severus in un ultimo sforzo per far uscire quelle maledette parole.

Lily sbattè le palpebre come se avesse ricevuto una secchiata d’acqua gelida sul volto. Le sembrava di essere improvvisamente uscita da un sogno, la voce di Severus l’aveva tratta a forza da quello strano dormiveglia. Subito non capì a cosa si riferisse il giovane.

“Quale lettera?” Gli chiese, infatti, piegandosi su di lui.

Severus fu costretto a prendere un lungo sospiro che gli bruciò la gola costringendolo a tossire nuovamente per espellere il sangue.

“Lucius…” Rantolò infine e Lily si ricordò improvvisamente della lettera che Lucius Malfoy aveva fatto trovare ai suoi genitori. L’aveva presa in custodia Severus…

“Nella tasca…” Sospirò il giovane premendo la mano di Lily che stringeva la sua contro la tasca dei suoi pantaloni, prima di chiudere di nuovo gli occhi febbricitanti e cadere nell’incoscienza.

La giovane fu costretta a lasciare la presa sulle dita fredde di Severus per prendere la lettera stropicciata dalla tasca.

“Lucius Malfoy?” Ripetè Silente, incuriosito, mentre guardava Lily estrarre il piccolo foglio e tenerlo tra le dita tremanti.

“Bene. Potete andare a parlare di queste cose fuori di qui.” Disse Madama Chips agitando la mano verso la porta.

Silente si portò dietro a Lily e strinse le spalle della giovane tra le sue dita affusolate. La trasse verso di sé per farla alzare.

“Vieni, Lily. Severus è in buone mani.” Le disse dolcemente.

La ragazza si lasciò guidare dalle mani del preside e lasciò il fianco di Severus senza però smettere di osservare preoccupata il suo viso esanime. Albus le strinse un braccio intorno alle spalle mentre la accompagnava lentamente verso la porta. Lily fu costretta a dare la schiena a Severus.

Silente le aprì la porta invitandola ad entrare nel soggiorno e Lily si ritrovò davanti a Brix e Minerva McGranitt. Erano in piedi, al centro del caldo soggiorno, preoccupati e ansiosi di sapere.

La ragazza chinò il capo cercando di sfuggire agli occhi dei due e strinse forte la lettera di Lucius nella sua mano. Albus la fece accomodare sul comodo divano davanti al camino e lei vi si abbandonò, svuotata di ogni forza. Puntò gli occhi nelle fiamme del camino sperando di potervisi perdere, bruciare, svanire. Sentì qualcuno avvicinarsi e sedersi accanto a lei, ma non si voltò.

 “Come sta Severus?” Sentì domandare la McGranitt a Silente.

“Non bene. Ma Poppy lo rimetterà in sesto.” Rispose Silente, sincero.

“Ma che cosa è successo?” Chiese allora Minerva.

“Non lo so. Ma suppongo che Lily ci illuminerà.” Disse Silente e la ragazza sentì gli occhi penetranti del preside posarsi come lame su di lei. Alzò appena gli occhi, scoprendo di avere Brix al fianco che la guardava dolcemente. Silente e la McGranitt la osservavano da poco più lontano, in piedi, l’uno con gli occhi lucenti di interesse, l’altra con sul volto uno strano misto di apprensione, delusione e rabbia.

Abbassò di nuovo lo sguardo, Lily, sentendosi braccata, chiusa all’angolo.

Albus invitò la McGranitt a sedersi su una poltrona con un gesto ampio della mano, quindi seguì la professoressa sedendosi a sua volta, sulla poltrona affianco. A Lily sembrava di trovarsi in un tribunale con i giudici seduti innanzi a lei, e Brix accanto. Guardò l’elfo vedendo nei suoi occhi color nocciola solo sollievo e dolcezza e questo la fece sentire in qualche modo, meno accusata, e meno colpevole.

“Allora, Lily. –Fece la voce di Silente. –Che cosa è accaduto a Cokeworth?”

“Io… Severus pensava che io potessi aver materializzato Harry dai miei genitori.” Disse Lily, stupendosi di poter ancora formulare una frase compiuta.

“Ma Harry non era là. Non è vero?” Le chiese allora Albus.

“No.” Rispose tristemente Lily.

“Vi siete cacciati in un bel guaio, voi due.” La rimproverò la McGranitt.

“Vedi, Lily… -Intervenne Silente. –C’era un motivo per cui non dovevate allontanarvi da casa mia, anche se la piena portata della cosa l’ho scoperta solo stasera. Devi sapere che ho avuto una breve chiacchierata con Lucius Malfoy.”

Lily sussultò posando lo sguardo sulla lettera che stringeva in mano.

“Sì. Quel nome spunta fuori ovunque in questa storia, non è così?” Affermò Albus con un sorriso.

“In ogni caso, -Continuò poco dopo,- Lucius mi ha detto che il Signore Oscuro poteva (e può tuttora) rintracciare Severus attraverso il Marchio. Capisci, Lily? Una volta uscito dalla barriera di protezione Voldemort ha potuto individuarlo.”

Lily alzò gli occhi verso di lui, stupita e allo stesso tempo spaventata da quella rivelazione.

“Ma perché…?” Cominciò, ma Silente la interruppe.

“Perché non ve l’ho detto? Era l’intento con cui sono tornato a casa poco fa. E’ stata una fortuna per voi che io mi sia accorto per tempo della vostra assenza.” Disse Albus.

“A Severus ha fatto male il Marchio quando siamo arrivati a Cokeworth. –Disse Lily. –Gli sanguinava e ho dovuto bendarglielo.”
Albus annuì gravemente: “Significa che Voldemort aveva individuato il suo Marchio. Ha mandato qualcuno laggiù, non è vero? Puoi raccontarci?”

Lily prese un lungo respiro poi cominciò: “Ci hanno attaccati appena usciti da casa mia, superata la protezione dell’Incanto Fidelius. Erano in due… uno in un vicolo, l’altro dietro un muretto. Noi eravamo allo scoperto e poi… poi Severus ha lanciato un Confringo contro uno dei Mangiamorte e approfittando dell’esplosione mi ha incitato a correre. I Mangiamorte ci hanno inseguito… Severus è riuscito a fermarli e poi… Poi mi ha urlato di imboccare un vicolo e io l’ho fatto, ma quando mi sono voltata indietro mi sono accorta di essere sola.”

Lily si fermò un attimo per riprendere fiato, mentre sentiva su di sé gli occhi dei suoi ascoltatori.

“Sono tornata indietro per cercare Severus, ma c’era come una barriera che bloccava l’ingresso del vicolo. Potevo vedere al di là, ma non attraversarla… Severus era steso a terra. Ho visto Una donna china su di lui, era di spalle e subito non l’ho riconosciuta, ma ora so che era Bellatrix Lestrange… poi sono arrivati anche gli altri due Mangiamorte. Ho sentito Severus gridare… e io non… non potevo… -Le lacrime ripresero a scorrerle lungo le guance. –Poi, a un certo punto, la barriera è svanita. Mi sono precipitata verso di loro… ho schiantato Bellatrix… ma gli altri due… erano i due fratelli Lestrange… io non riuscivo a tenerli a bada entrambi. Poi ho visto uno dei due scagliato indietro e Severus ancora a terra con la bacchetta levata. Sono riuscita schiantare anche l’altro… ma poi…” La sua voce si spezzò e dovette riprendere fiato tra i singhiozzi che la squassavano. Le immagini di quei momenti le si presentavano davanti agli occhi come incubi neri… ma purtroppo, non era stato solo un sogno, e Lily lo sapeva.

“Rodolphus Lestrange si è rialzato… ci hai disarmato… ha scagliato una maledizione contro di me, ma… Severus…” Non riuscì a finire la frase che andò perdendosi tra i singhiozzi, ma sia la McGranitt che Silente capirono che cosa aveva fatto Severus: si era frapposto fra lei e la fattura ricevendo questa in pieno petto… rischiando di morire per salvare Lily.

“Va tutto bene. –Disse Albus dolcemente. –E’ tutto finito ora.”

“Sì, Lily. Siete vivi, siete tornati qui… e noi non siamo adirati con voi.” Disse la voce calma di Brix, mentre l’elfo le tendeva un fazzoletto ricamato con un ampio e affettuoso sorriso sulle labbra. Lily prese il fazzoletto dalle mani di Brix e si asciugò le lacrime dal viso e dagli occhi brucianti senza riuscire a trattenere un sorriso di ringraziamento.

“Come siamo arrivati qui?” Chiese Lily, incoraggiata dalle gentilezze di Brix.

Albus alzò una mano a zittirla: “Dopo. –Disse. –Ora dimmi che cosa c’è scritto in quella lettera che continui a martoriare tra le dita.”

Lily la tese verso i due e fu Minerva a protendersi in avanti per afferrarla. La professoressa la aprì e inforcò gli occhiali quadrati analizzando lo scritto.

“Semplicemente Lucius Malfoy chiede ai miei genitori di mettermi in contatto con lui.” Spiegò Lily a Silente che stava protendendosi verso la McGranitt cercando di rubare qualcuna delle parole dello scritto.

“Curioso…” Commentò Albus.

“Pensavamo che forse potesse sapere qualcosa di Harry.” Disse Lily.

Nel frattempo la McGranitt aveva passato la lettera ad Albus che la stava leggendo e rileggendo avidamente, facendo scattare gli occhi da sinistra a destra, famelici.

“Quanto ci si può fidare di Malfoy?” Domandò la professoressa.

“Non lo so… -Rispose Silente, sovrappensiero. –Mi occupo io di questa faccenda. Guai a voi se provate a fare un’altra bravata come quella di stasera.” Concluse ripiegando la lettera ed infilandosela nelle pieghe della veste.

“E’ stata colpa mia.- Disse Lily, ricevendo lo sguardo di tutti su di sé. –Sono stata io a convincere Severus ad andare a Cokeworth. Lui mi ha solo aiutata.”

Si accorse che Silente la osservava sospettoso non appena ebbe concluso quella frase, ma non se ne curò. Severus le aveva salvato la vita: era infantile quello che stava facendo, era vero, ed era altrettanto vero che non sarebbe servito granché, ma sentiva il bisogno di prendersi le responsabilità, di coprire Severus.

“Forse è meglio che tu vada a riposare, Lily. –Le disse la McGranitt tranquillamente, sicuramente non turbata dalla sua ‘confessione’. –Hai avuto una notte agitata grazie alla vostra carenza di assennatezza.”

Furono interrotti dall’arrivo di Madama Chips che li stava raggiungendo a grandi passi.

“Allora? Ragguagli?” Chiese Silente alla medimaga.

Poppy Chips sospirò. “Ho fatto quello che ho potuto… al momento non posso fare altro: ho bisogno della pozione adatta. Chiederò al professor Lumacorno.” Disse.

“E’ tanto grave?” Le domadò allora la McGranitt.

“In teoria, non è in pericolo di vita… ma senza le cure adatte, il rischio c’è.” Rispose schiettamente l’infermiera.

“Che dobbiamo fare?” Le chiese Silente.

“Non lasciarlo da solo. Che ci sia sempre qualcuno con lui, nel caso avesse degli attacchi e si sentisse male. Ora, se non vi dispiace, vorrei andare a letto. Buonanotte.” Disse Madama Chips allontanandosi svelta.

Fece per superare l’arcata della scala quando si voltò indietro.

“Oh, un’altra cosa. –Disse. –Ho lasciato della Pozione Corroborante, del Dittamo e alcune bende sul comodino. Tornerò domattina. Buonanotte.” Detto questo, superò l’arco, scostando la tenda, e sparì alla vista.

“Oh, quanto è dolce quella donna!” Commentò Silente.

“Devo tornare a Villa Silente?” Chiese improvvisamente Lily.

“No, no. –Rispose Silente. –E’ troppo tardi, e poi… Severus ha bisogno di avere te al suo fianco, per cui finchè non potrà muoversi, dovrai rimanere qui.”

“Ma queste sono le sue stanza, preside.” Gli fece notare Lily.

“Oh, beh. Ve le cedo volentieri. Appronterò un secondo letto in camera mia, domattina, ma, per stanotte, temo che dovrai accontentarti del divano. Rimango io con Severus.” Le rispose Albus.

“Bene. Noi ce ne andiamo, allora.” Disse la McGranitt alzandosi e Brix la imitò.

“Buonanotte.” Disse l’elfo a Lily con un sorriso ricambiato.

“Buonanotte, signorina Evans. Confido che non scomparirai di nuovo, questa notte.” Le disse la McGranitt, guardandola con occhi profondi.

“No, professoressa, stia tranquilla.” Le rispose Lily con un lieve sorriso.

Minerva annuì con un gesto secco, poi voltò le spalle dopo aver borbottato un ‘Buonanotte, Albus.’ E Brix la seguì nell’andarsene dal soggiorno lasciando Albus e la ragazza da soli.

Silente si alzò allontanandosi di pochi passi, lasciando Lily in balia dei suoi pensieri. La ragazza aveva ripreso a fissare le fiamme del caminetto, perdendosi nelle loro danze infuocate.

“Perdinci!-Sentì esclamare il preside. –Tra una cosa e l’altra abbiamo fatto venire le quattro e mezza, l’alba non è lontana.”

Lily non fece caso a ciò che Albus aveva detto e quasi sobbalzò quando il preside le mise in mano alcune coperte.

“Vado a controllare Severus. Buonanotte, Lily.” Disse poi Silente allontanandosi, diretto verso la porta della sua camera, ma venne trattenuto dalla giovane.

“Professore?” Fece Lily, voltandosi verso di lui e osservandolo da sopra lo schienale del divano.

“Dimmi, Lily.” Disse Silente voltandosi. Aveva appena aperto la porta, la mano ancora sulla maniglia.

“Come ha fatto a portarci qui? Non ci si può materializzare ad Hogwarts.” Gli disse la giovane.

“Oh, ho semplicemente invertito la barriera intorno al mio ufficio. Vi ho individuato e risucchiato… piccoli trucchetti da preside.” Rispose Albus, sorridendo di fronte all’espressione confusa che aveva acquisito il volto di Lily.

La ragazza non aveva capito granchè. Gli parve quasi di vedere i mille interrogativi che le volteggiavano nella mente, ma non era certo il momento per le lunghe spiegazioni: Lily aveva bisogno di dormire. Le fece l’occhiolino con aria furba, quindi voltò le spalle e superò la soglia chiudendo la porta alle sue spalle.

 

*******
 

Eccomi qui!

D’accordo, non succede assolutamente niente in questo capitolo, me era necessario.

Albus è sibillino nello spiegare come ha fatto a recuperare i ragazzi, ma, dopotutto, sono le quattro del mattino: la lasciamo dormire un po’ la povera Lily? Silente avrà un’altra occasione per spiegare come ha fatto, sicuramente. Comunque la sostanza è quella: ha invertito la parte barriera intorno al suo ufficio e ha preso contatto con i due ragazzi trascinandoli verso Hogwarts con la forza magica della suddetta barriera. E’ Albus Silente, lui! Mica bau bau micio micio! Tra l’altro ha corso anche un grosso rischio… ma non vi dico ancora quale.

Nel prossimo capitolo torneranno lo zio Voldy e Lucius.

Recensioni, recensioni mi raccomando! Più ce n’è, meglio è! 

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Capitolo 17
*** Sotto la luna spettatrice ***


Capitolo 17
 

SOTTO LA LUNA SPETTATRICE



Il Mangiamorte rantolava a terra, il volto premuto contro il gelido, ruvido pavimento di pietra. Percepiva l’oscura presenza sopra di sé… gli sguardi dei cuoi due compagni che osservavano in silenzio dai lati della sala buia.

La Cruciatus bruciava ancora nel suo corpo magro, impregnando il suo sangue di fuoco. Sentì un fruscio di stoffa sopra di sé, serrò gli occhi aspettandosi un’altra maledizione, ma la figura nera che lo sovrastava, invece, si voltò di scatto.

“Alzati!” Sibilò quella voce gelida, allontanandosi di qualche passo da lui.

L’uomo si tirò in piedi a fatica mentre un lieve gemito sfuggiva alle sue labbra. Raddrizzò la schiena dolorante e gettò un’occhiata alla donna che lo osservava dall’angolo della sala con quegli occhi scintillanti, intenti a bere ogni suo lieve gemito o rantolo di dolore. L’uomo che le stava accanto, invece, teneva il capo chino e si stringeva contro il muro di pietra come se volesse scomparirvi all’interno.

Il Mangiamorte fece una smorfia. Bellatrix non gli aveva tolto gli occhi di dosso durante la sua tortura, lo aveva guardato famelica per tutto il tempo, assaporando ogni stilla del suo dolore. Era toccato a lui pagare per tutti e tre… tutti e tre… ma, d’altronde, era stato lui a fallire, alla fine.

Si voltò lentamente, abbassando il capo. Voldemort si era accomodato su quello che era diventato il suo trono: un grande seggio di marmo scuro avvolto dalle spire di agili serpenti d’argento che si stringevano intorno alla base ed ai bracciali.

Il Signore Oscuro era seduto eretto, la lunga veste nera ricadeva elegante intorno a lui, posandosi come fumo sulla pietra fredda.  Il volto bianco era piegato leggermente verso destra mentre i suoi occhi ardenti scrutavano l’uomo a testa china davanti a lui.

“Guardami.” Ordinò a questi.

Il Mangiamorte alzò il capo tremante. I suoi occhi tentavano di fuggire lo sguardo del suo signore, ma quelle iridi rosse lo catturarono con violenza strattonandolo furiose verso di sé.

L’uomo sentì le loro dite penetrare con durezza le sue pupille e frugare con furia nella sua mente. Sentiva quel fuoco agitarsi tra i suoi pensieri e ricordi come un’orda saccheggiatrice, prendere, strappare, gettare via… Cercò di chiudere gli occhi, ma invano. Lo sguardo del Signore Oscuro era su di lui… dentro di lui.

Poi,improvvisamente, sentì quei tumulti di fuoco raffreddarsi e allontanarsi, strisciando, dai suoi ricordi. Voldemort sorrideva compiaciuto.

“Bene, Rodolphus. –Fece Riddle, allargando il ghigno sulle sue labbra. –Perché non mi racconti una storia?”

Il Mangiamorte lo guardò, confuso.

“Mio Signore?” Domandò con voce tremolante e roca.

“Avevate quei due ragazzi su un vassoio d’argento e tu te li sei fatti sparire sotto al naso!” Esclamò irato Voldemort, la sua voce rimbombò lungo le pareti della sala colpendo in pieno volto Rodolphus che serrò gli occhi, terrorizzato.

“Mio Signore, io…” Balbettò il Mangiamorte.

“Racconta, su.” Lo invitò Voldemort, con voce vellutata accompagnando le parole con un gesto teatrale della mano ossuta.

“Mio Signore, se permettete… -Intervenne Bellatrix facendo alcuni passi in avanti. –E’ stata quella maledetta Sanguesporco…”

“Taci!” La interruppe bruscamente Voldemort. La donna abbassò il capo  e arretrò tornando a stringersi contro il muro.

“Che onta, dev’essere per te, Bellatrix, essere stata sconfitta da una Sanguesporco…” Sibilò poi il Signore Oscuro torcendo le labbra in una smorfia quando vide gli occhi brillanti di follia della donna farsi più cupi.

“I miei Cavalieri di Valpurga battuti da due ragazzini!- Esclamò poi, lasciando avvolgere la sua voce dal gorgoglio di una risata. -La vostra incapacità è tanto assurda quanto divertente.”

“Mio Signore, -Disse Rodolphus con voce tremante. Il ghigno sul viso di Voldemort svanì mentre posava gli occhi sull’uomo. –Li avevo in pugno… ma poi… si… si sono smaterializzati.”

“Smaterializzati?- Ripetè Riddle.- Davvero?”

“Ma… ma ho colpito Piton. E’ ferito.” Continuò Rodolphus.

“Idiota!” Ruggì Voldemort sputando la sua ira in faccia al Mangiamorte. Si alzò di scatto per poi strisciare lentamente verso di lui accostandosi tanto da sfiorarne la pelle con il suo respiro gelido.

“Vedi, Rodolphus, i limiti della tua capacità intellettiva? –Sussurrò alle orecchie del Mangiamorte mentre gli girava intorno come un predatore affamato. –L’unico che dovevate riportarmi vivo, tu hai rischiato di ucciderlo. Io ho visto ciò che hai visto. Ti pare che durante una smaterializzazione si crei un’aura dorata intorno al corpo? Oh, sì… ho visto. Una lieve nebbiolina di raggi di sole che avvolgevano Severus e la ragazza… Questo hai visto… e questo ho visto io.” Prese un lungo respiro mentre si riportava faccia a faccia con Rodolphus Lestrange.

“Qualcuno li ha portati via. E chi credi che sia stato, uh? La fatina con le ali blu?” Sussurrò ancora Voldemort, sibilando sul viso teso del Mangiamorte.

Si voltò di colpo tornando a sedersi sul suo trono scuro.

“Andate! Portate lontano da me la vostra stupidità.” Ordinò, allora.

Rodolphus si inchinò esitante prima di voltare le spalle, allontanandosi dal trono nero verso i suoi due compagni. Anch’essi si inchinarono rigidamente  e fecero per raggiungere la grande porta scura.

Quando i Mangiamorte se ne furono andati e la porta si fu finalmente richiusa sulla sala vuota, il Signore Oscuro si lasciò andare in una grande risata liberatoria.

“Ah, vecchio folle!- Esclamò.-Come hai fatto a trascinarli via, eh? Tu e i tuoi trucchetti da prestigiatore!” Rise, dando sfogo al gelo che regnava dentro di lui.

Si alzò con un movimento fluido e si avvicinò alla finestra della stanza con passi silenziosi accompagnati soltanto dal lieve fruscio della sua veste nera.

“Sei lì stretto nel tuo castello delle fiabe ad attendere che io faccia una mossa, non è vero? Oh, non dovrai aspettare troppo… giusto il tempo che il mio Severus si rimetta in sesto.- Continuò mentre osservava al di là del vetro. – Tutto questo affanno per un bambino… Non vi siete ancora arresi, tu e il tuo Ordine? No, eh? Testardi. Avrete presto una sorpresa. Avrò tutto con nulla, mio caro barbuto… tutto con nulla.”

Prese un lungo respiro.

“Tutto con nulla.” Sussurrò.

La risata folle che ne seguì sbriciolò le mura vitree del gelo che si ergevano in quella stanza vuota.

***

“Cosa stai macchinando, vecchio mio? Uh?” Mormorò Albus osservando fuori dalla finestra della sua stanza. I suoi occhi azzurri perforavano i vetri spessi perdendosi nella notte come piccole stelle celesti.

“Che cosa stai aspettando? Perché non cerchi il bambino?” Domandò Silente alla notte.

Scosse il capo, sconsolato.

“Lo hai già trovato? E’ così? E’ lì con te? - Sorrise. –Quante domande mi pongo… io che sono sempre ‘quello delle risposte’… la guida… Beh, questa volta mi arrendo: domande, domande… ma nessuna risposta. E più si cerca, più sorgono interrogativi… è frustrante. Ma tu lo sai, non è vero, Tom? Questa volta tu hai le risposte ed io solo l’inutile polvere dei quesiti.”

 

***


“Continua ad arrabattarti, vecchio pazzo. Oh, ti deprime questa situazione, vero? Il trovarsi senza punto di riferimento… in attesa… posso immaginare. Il fine inganno farà la mia partita. E chi giocherà per te?” Voldemort sorrise malvagio mentre la luce della luna impallidiva ancora di più i suoi lineamenti.

“Ah, che sciocco! Sarà l’amore a guidare la tua strategia! Patetico.” Ridacchiò, gelido, ghignando di fronte al sorriso della luna, suo bianco e pallido riflesso nei cieli.

E la luna era ponte e vincolo tra quelle due figure che si osservavano, lontane, eppure vicine. E così ascoltava e riferiva, silenziosa messaggera, le parole dette a nessuno dei due uomini, sfiorava con i suoi capelli d’argento gli occhi vermigli e quelli azzurri che si mischiavano nella sua luce chiara.

“Che cosa stai macchinando?” Mormorò Albus scuotendo il capo.

 

“Presto la partita si concluderà… il bambino adempirà al suo scopo. Oh, no. Non a quello della Profezia… al mio scopo. Sì, vedrai. Il mio piano si compirà senza che tu possa in qualche modo reagire. E’ una morsa che ti si stringe addosso senza che tu la veda… piano piano ti spezzerà le ossa.” Prese un lungo respiro lasciando che l’aria fischiasse attraverso le sue fessure delle narici.

Sì, la luna era un ponte tra i due maghi… un ponte che tale non voleva essere, costretto nei cieli ad ostentare l’arcata del suo sorriso strambo.  Un passaggio vuoto, invisibile che illuminava la notte con i suoi raggi e si apriva a chiunque, ascoltava, osservava e riferiva con i suoi tintinnii, trillando alle orecchie del mondo.

Era la strada che i due maghi stavano percorrendo nella notte per raggiungersi senza mai incontrarsi in un infinito camminare sul filo teso della ragnatela. Si parlavano senza udirsi, se non attraverso la conoscenza dell’animo dell’altro. Si guardavano senza vedersi, con gli occhi corrotti dal biancore lunare.

Era un ponte, un ponte sul fiume della notte. E loro si trovavano ai due estremi, avvicinandosi senza mai muoversi.

“Non sottovalutare la Profezia, Tom. –Sussurrò Silente, dalla sua sponda, -Non giocarci. Ne conosci solo l’inizio… Tu giochi sulla nostra ignoranza, ma io so giocare al tuo stesso modo.”

Ecco giungere il solo col potere di sconfiggere l'Oscuro Signore...
Nato da chi lo ha tre volte sfidato, nato sull'estinguersi del settimo mese...


L’Oscuro Signore ripetè nella sua mente le parole della Profezia… le parole che gli erano state riferite. Sorrise. Chissà se la Sangesporco sapeva della Profezia… chissà se sapeva perché lui era venuto a cercare il suo bambino… chissà se sapeva chi lo aveva messo sulle loro tracce…

No, certo che no. Lei non sapeva niente. Silente  di certo non avrebbe parlato di quella stupida profezia alla ragazza che a causa di quelle parole aveva perso il marito e, presto, anche il  figlio. No, non le aveva detto niente.

E lui era a conoscenza soltanto dell’inizio… lo sapeva. Non era completa quella profezia, ma poco importava del resto. Il bambino avrebbe adempiuto al suo piano… oh, sì, era il jolly della sua mano… e poi lo avrebbe tolto di mezzo. Niente più ostacoli si sarebbero posti davanti a lui… neanche Silente avrebbe potuto impedire la sua ascesa.

Sì, il bambino avrebbe fatto il suo gioco. Era la sua pedina… il suo pedone pronto in posizione strategica sulla scacchiera. Avrebbe costretto l’alfiere avversario al muro e poi lo stesso alfiere avrebbe mangiato il pedone. Tutto perfetto… senza quel pezzo, lui avrebbe facilmente dato scacco al re. Silente sarebbe capitolato.

Voldemort rise, torcendo la lira della luna con le note crude della sua voce. Perfetto. Non gli serviva più sapere dove si trovasse Severus: sarebbe venuto lui.

“Il mio piccolo mezzo principe, tornerà da me… e allora la partita entrerà nel vivo. Vecchio folle! L’amore lo ha allontanato da me e l’amore lo riporterà al mio fianco.” Disse il Signore Oscuro.

Già… ora che ci pensava, non aveva neanche più bisogno di Lucius, con la sua ‘missione’ di rintracciare Severus. Come se ne avesse mai avuto bisogno… Ma a lui non lo avrebbe detto, no di certo. Doveva mantenere Lucius impegnato. Doveva assicurarsi di avere il suo guinzaglio ben stretto nella sue mani.

Arricciò i lati della bocca in un ringhio, sibilando. Lucius gli nascondeva qualcosa… oh sì. Pensava fosse stupido? Ma lui non aveva alcuna intenzione di costringerlo a raccontargli la verità… qualunque essa fosse. Leggergli nella mente, torturarlo con la Cruciatus… mezzucci a cui non aveva intenzione di abbassarsi. Voleva giocare con Lucius.

“Lucius… - sibilò, godendo del suono della ‘s’ sulle sue labbra, -viscido e pavido essere. Quella visita a Cokeworth… come se io non fossi a conoscenza dei tuoi spostamenti. Un’ingenuità quasi ostentata per uno come te. Devi essere davvero spaventato… povero Lucius.” Sorrise, quindi sbirciò nuovamente tra le pieghe del manto della luna.

L’astro si ritrasse al tocco arrogante di quegli occhi di fuoco che frugavano prepotenti tra i suoi raggi. Si voltò in cerca delle iridi azzurre che aveva visto scintillare al di là di quella finestra, su quell’alta torre del castello, ma non li trovò più. Si protese tra i veli delle nubi, spaventata da quello sguardo di fuoco… cercava l’acqua fresca dei segugi blu, ma essi se n’erano andati.

Senza altra possibilità di fuga da quello sguardo impertinente che non accennava ad abbassarsi, ad allontanarsi da lei, afferrò il lembo del manto fumoso delle nubi e se lo gettò addosso, nasondendosi dietro ad esso, celandosi allo sguardo brutale del Signore Oscuro.

Voldemort vide la luna nascondersi tra le nuvole, sbirciando ancora, incuriosita, attraverso di esse con quei suoi occhietti d’argento.
Sorrise.

“Lucius…” Mormorò ancora una volta.


 

***


“Lucius?” Lo chiamò la voce di una donna.

Lui non si voltò. Gli ultimi raggi della luna sfioravano i suoi lunghi capelli di platino facendone parte luminosa della corte di Selene. La pesante vestaglia color crema scintillava come di neve sotto il tocco delle danzatrici lunari. La pelle diafana e gli occhi azzurri, color del ghiaccio si offrivano alle loro carezze senza osare unirsi alle loro danze. In piedi, immobile sulla vasta terrazza della sua villa, Lucius Malfoy sembrava davvero uno dei silfi angelici che guidano la corte della luna nel suo viaggio attraverso gli oceani della notte.

“Lucius…” Ripetè la donna, avvicinandosi. Gli sfiorò un braccio come a cercare di assorbire in sé la preoccupazione dell’uomo per allontanarla da lui.

Lucius sospirò sentendo il calore della mano della donna attraverso la stoffa sottile della camicia, un profondo contrasto con il gelo della notte.

“Lucius, non è ancora l’alba. –Gli disse la voce dolce della donna. –Vieni dentro. Così ti prenderai una bronchite.”

Malfoy spostò gli occhi dal globo della luna, ancora nascosto tra le nubi, e lo posò sulla donna accanto a sé. Due occhi azzurri lo guardavano preoccupati.

Tese la mano sfiorando appena una ciocca bionda e poi passandola sulla guancia chiara della donna. Si costrinse in un sorriso.

“Perché sei uscita, Narcissa?” Le chiese Lucius, accarezzandole la guancia.

“Ti ho sentito alzarti da letto.” Gli rispose lei, stringendosi forte nello scialle di lana blu che si era gettata sulle spalle a coprire la vestaglia bianca.

“Non volevo svegliarti.” Mormorò, allora, Lucius.

“A cosa stai pensando?” Chiese Narcissa.

“A quello che stiamo facendo.” Sospirò, tornando a guardare i cieli. Le poche stelle che scintillavano tra le fessure delle nebbie catturarono i riflessi dei suo occhi di ghiaccio sostituendoli con il nero altrettanto gelido della notte.

“Cissy… -Si voltò di nuovo verso di lei. –Non possiamo farlo.”

Narcissa lo guardò con occhi scintillanti.

“Lui lo ucciderà…” Mormorò.

“Sì, è probabile. Ma non posso mettere a rischio la mia famiglia per lui… io…” Disse Lucius, ma la frase si perse in un muto sospiro.

“Perché dici così? Il Signore Oscuro non sa niente, no? Me lo hai assicurato tu.” Disse allora Narcissa.

“No, lui non sa niente.” Concordò Lucius, pur sapendo di mentire. Lui sapeva… Lui sapeva sempre tutto. O almeno intuiva, e forse questo era ancora peggio.

“Cercherai di contattarlo?- Domandò Cissy. –Severus, intendo.”

“Non so più cosa fare. E’ troppo pericoloso… ho già rischiato molto  ieri sera a Hogsmeade.- trasse un profondo respiro. –Mi gioco la bacchetta che quello con cui ho parlato non era Lumacorno.”

“Sì, ma hai scoperto che Severus non è a Hogwarts. E’ comunque qualcosa, no?” Gli disse Narcissa.

Malfoy si lasciò sfuggire un lungo sospiro scettico. Tacque per un po’, immerso nei suoi pensieri.

Se procedeva lungo la strada che aveva imboccato, sarebbe diventato un traditore… Voldemort si sarebbe vendicato sulla sua famiglia: su Narcissa, su Draco… Se tornava sui suoi passi, avrebbe dovuto raccontare tutto al suo signore, e l’avrebbe pagata allo stesso modo.

Continuare a cercare di contattare Severus o la Evans non aveva più senso. Aveva lasciato quella lettera ai genitori della ragazza, ma come poteva pensare che si sarebbero fidati di lui. Sarebbe stato da pazzi.

Voldemort stringeva la presa su di lui. Lo sapeva. Doveva liberarsi di quella situazione prima di finire inesorabilmente strangolare dal collare che l’Oscuro Signore gli aveva serrato al collo… ma come poteva fare?

“Lucius?” Lo chiamò Narcissa, distogliendolo dai suoi pensieri. Malfoy si voltò verso di lei. Sorridendole, le prese una mano fra le sue. Abbassò lo sguardo su quelle dita eleganti e affusolate che accarezzava con le sue.

Mettere Voldemort sulle tracce di Severus… forse quello poteva fargli guadagnare un po’ di tempo. Ma tempo per cosa? Doveva continuare a recitare la sua parte, non c’era alternativa. Sì, scoprire dove potevano rifugiarsi Severus e la Evans, oltre ad Hogwarts… dove poteva nasconderli Silente?

Narcissa lo osservava con occhi lucidi, cercando di forare le barriere del marito che continuava a fissare la sua mano e ad accarezzarla. Tacque, in attesa che lui facesse la prima mossa. Dopotutto era anche colpa sua se lui si trovava in quella situazione.

“Cissy?” Disse Lucius, alzando gli occhi verso di lei.

“Dimmi.” Gli rispose lei.

“Se tu dovessi proteggere nostro figlio, nasconderlo… dove lo porteresti?” Chiese allora Lucius.

“Lo terrei qui a casa. Insieme a me.” Risposa allora Narcissa, sincera, pur senza risparmiare al marito un’occhiata interrogativa.

Lucius si scostò da lei. Gli occhi scintillanti. A casa… già, come aveva fatto a non pensarci? Se non ricordava male, Silente aveva villa in Scozia… non sapeva esattamente dove. L’aveva comprata molti anni prima, dopo aver venduto la vecchia casa di Godric’s Hollow, in comune accordo con il fratello. Aveva letto qualcosa riguardo a ciò negli incartamenti del Ministero. Allora non ci aveva dato peso, ma ora… doveva ritrovare quegli atti. Sicuramente c’era qualche indicazione riguardo al luogo in cui sorgeva la villa.

Il problema sarebbe stato entrare al Ministero… ma ripensandoci bene, forse non era un così grande problema. Era pur sempre Lucius Malfoy, e oltre a portare un tale cognome aveva anche un conto alla Gringott farcito di molti zeri.  Visto il clima che regnava al Ministero sarebbe stato piuttosto facile, dopotutto. La maggior parte degli impiegati erano terrorizzati e l’altra metà erano avidi e corruttibili.

Già… la villa di Silente doveva essere dotata di barriera antismaterializzazione, come Hogwarts, per questo il Signore Oscuro non poteva individuare Severus attraverso il Marchio. E se non si trovava alla scuola allora, doveva essere in quella casa. Sì, tutto combaciava. Doveva solo scoprire dove sorgeva la villa, e quindi assicurarsi di farci una visitina a controllare dopo aver avvertito Voldemort. Sì, forse aveva ancora una via d’uscita.

Bravo, Lucius. Bel piano. Fai bene il tuo lavoro e il tuo signore allenterà un po’ la presa… poi avrai tempo per pensare alla questione spinosa. Sì, bravo Lucius!

Un sorriso si allargò sul suo viso.

“Lucius? –Lo richiamò Narcissa. Lui non dette segno di averla sentita: continuava a guardare la notte con occhi vuoti.

“Lucius!” Disse duramente la moglie finalmente attirando lo sguardo dell’uomo su di sé.

“Hai deciso cosa fare?” Gli domandò lei.

“Sì. Devo andare al Ministero. Ho bisogno controllare alcune cose.” Le rispose Lucius.

“E non hai intenzione di dirmi quali cose, vero?” Cissy lo guardò con occhi rassegnati.

Lui le accarezzò dolcemente una guancia: “No. –Disse. –Meno sai, più tu e Draco siete al sicuro. Sistemerò io la faccenda, stai tranquilla.”

Lei gli sorrise. Un sorriso dolce, ma remissivo. Non le piaceva la cosa… non voleva che suo marito prendesse tutto il peso sulle spalle. In fondo era stata lei a spingerlo, a convincerlo, ma lui non avrebbe mai accettato che lei si prendesse quella colpa. E nulla lo avrebbe convinto del contrario.

“dai, rientriamo. C’è un’aria gelida qui fuori.” Gli disse, quindi si incamminò verso la porta della veranda che collegava la terrazza al raffinato salotto.

La luna vide l’uomo, elegante nelle sue movenze, raggiungere la moglie dopo un attimo di riflessione. Vide la porta richiudersi alle spalle dei due.

La luce fioca già preannunciava l’arrivo dell’alba e lei, nelle sue coperte di nubi, rabbrividì sotto il tocco dell’aria fredda che già preannunciava, con quelle sue trombe di brina, l’arrivo del sole. La luna si strinse ancora di più nelle nebbie, scomparendo tra esse con un ultimo sorriso.



 

*******



Scusatemi tantissimo! Questo capitolo mi ha fatto dannare l’anima. All’inizio, Lucius avrebbe dovuto essere convocato subito dopo Bellatrix & Co. Da Voldemort, ma la cosa non funzionava. Ho provato a costringerlo ad entrare, ma non c’è stato niente da fare. Stessa cosa per Voldy… s’è messo a fare il suo soliloquio davanti alla finestra quest’altro…

Non mi piace tenere al guinzaglio i personaggi: perdono profondità se non sono liberi di fare ciò che vogliono. Quindi, alla fine, li ho lasciati fare… Ho fatto bene?  Spero di sì.

Spero che il prossimo capitolo non sia un osso duro come questo!

Tra l’altro… la Profezia sono riuscita a inserirla, visto? Inutile dire che ci giocherò un po’ attorno, vi dispiace? Non credo… xD

Alla prossima, dai! Sperando di mantenere i tempi!
 

  

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Capitolo 18
*** I loschi piani di Albus Silente ***


Capitolo 18
 

I LOSCHI PIANI DI ALBUS SILENTE



“Stai bene?”

“Sì, sto bene.”

… quegli occhi neri lucidi di sofferenza.

La sua mano che sfiorava la guancia del giovane.  Quel dolce sorriso che andava ad increspare le labbra di Severus mentre la guardava profondamente …

“Andiamo via.”

Il dover interromper quel piccolo contatto con il ragazzo… il suo cuore che si chiudeva quando le sue dita si allontanarono dalla pelle di Severus.

 “Lurida Sanguesporco. Ora la paghi!”

Rodolphus Lestrange in piedi innanzi a loro, la bacchetta tesa, gli occhi neri scintillanti di rabbia.

Il fascio di luce rossa che correva verso di lei… Severus che le si parava davanti…

Lily aprì gli occhi di scatto, il verde ancora macchiato dalla luce vermiglia della maledizione. Si guardò intorno, ansimante. Alcuni raggi del primo sole filtravano attraverso le spesse tende rosse che coprivano le finestre, uno di essi colpiva la giovane in pieno volto con la sua lieve luce bianca.

Lily si rese conto di essere stesa su un ampio divano, la testa poggiata su cuscini ricamati. Si tirò stancamente a sedere, scostando le pesanti coperte colorate che la coprivano. Si passò una mano sugli occhi ancora intrisi di sonno, nel tentativo di scacciare anche quella maledetta luce rossa e quella sagoma scura che ne veniva avvolta.

Si scostò una ciocca rossa dal volto fissandosela dietro l’orecchio. Il suo sguardo cadde per caso sul grande stemma di pietra che troneggiava sul caminetto lì a fianco. Si alzò, ancora un po’ intirizzita, e si avvicinò al caminetto nel quale languivano le ultime braci rosse. Percorse con gli occhi le linee scolpite dell’arme, accarezzando la criniera del possente leone, la pelle liscia dell’astuto serpente, sfiorando il pelo marmoreo del buon tasso, lasciandosi avvolgere dallo sguardo saccente dell’aquila. Si soffermò per un attimo sulla grande ‘H’ che imperava nel centro e che univa, con le sue tre linee, i quattro animali in un tutt’uno… in armonia.

In armonia…

Lo sguardo di Lily scattò verso il secondo quarto, là dove il serpente si avvolgeva tra le sue spire.

“L’astuto serpente sarà vostro amico.
Di gloria e ambizione seguace antico,
Menti sagge, purezza, splendore
Chi di Serpeverde porta alto l’onore.”

La filastrocca del cappello Parlante le tintinnò improvvisamente in mente. Era quella che aveva cantato al loro primo anno… Tanti ricordi di quei giorni le si accavallarono tra i pensieri, eppure non le riusciva di sorridere. Quei tempi erano ormai passati… non sarebbero tornati più

Tese una mano sfiorando la fredda pietra, seguendo le linee sinuose del serpente. Percepì un leggero dolore al braccio che teneva levato. Lo abbassò e si accorse solo allora di non indossare più il maglio, ma solo la maglietta a maniche corte che teneva sotto di esso. Una benda candida era stretta intorno al braccio, poco sopra il gomito. Strano… la sera prima si era completamente dimenticata di quella bruciatura, non le aveva prestato alcuna attenzione… Probabilmente Madama Chips doveva essere tornata mentre lei dormiva.

Un tonfo sordo provenne dalla stanza a fianco. Lily si voltò di scatto. I suoi occhi incontrarono la porticina nera che dava sulla camera attigua.

Il suo cuore fece un tuffo.

Severus…

Le immagini del ragazzo ferito che boccheggiava, ansimando nel dolore le invase improvvisamente la mente. Tutti gli avvenimenti della sera prima corsero spintonandosi con i suoi pensieri, appropriandosi di una chiarezza stupefacente.

Severus…

Si fiondò verso la porta e la aprì di colpo. Saltò i tre scalini di pietra aprendo con furia la porta. Gli occhi azzurri del preside scattarono verso di lei. Albus era in piedi di fianco al letto, la sedia su cui era stato seduto, era stata spinta indietro quando lui si era alzato pochi istanti prima.

“Lily…” Tentò di dire Albus, ma la ragazza si precipitò verso il letto dove Severus giaceva, ancora febbricitante, avvolto tra lenzuola bianche.

Silente si fece da parte lasciando passare la giovane, che andò a sedersi sul bordo del letto. Cercò la mano di Severus e l’afferrò stretta.

Il ragazzo era a torso nudo, il petto bendato da una garza pulita là dove la maledizione ne aveva ustionato la carne. Aveva la fronte imperlata di sudore, i capelli inumiditi attaccati ai lati del volto… il respiro sembrava più regolare della sera prima, ma, anche nell’incoscienza, i lineamenti del giovane erano contratti dal dolore.

Albus vide la mano libera di Lily salire verso il viso di Severus a scostargli leggermente i capelli dal viso.

“Non possiamo fare nulla per la febbre.” Le disse il preside, chinandosi appena verso di lei.

“E’ stata colpa mia…” Mormorò Lily, accarezzando dolcemente la guancia di Severus.

“No, Lily. Lui si è sacrificato per te… è stata una sua scelta.” Rispose Albus.

“Ma lui lo ha fatto per me. Mi ha accompagnato a Cokeworth per trovare Harry… lo ha fatto per me.” Lily cominciava a sentire le lacrime premerle contro le palpebre.

“E’ vero quello che hai detto ieri sera?” Le domandò Silente, tornando a sedersi sulla sedia per poterla guardare negli occhi.

Lily fece scattare la testa verso di lui, rimanendo catturata nella ragnatela azzurra dei suoi occhi. Piccola mosca impotente di fronte all’astuzia del ragno.

Lì, presa tra quei fili cilestrini, cercò di riportare la memoria a poche ore prima, ma molti particolari rimanevano nascosti nell’ombra delle sue stesse lacrime.

“Cosa ho detto ieri sera?” Gli chiese.

Silente le sorrise malizioso abbassando il capo per guardarla da sopra gli occhiali a mezzaluna.

“Hai detto che l’idea di andare a Cokeworth è stata tua. E che lui ti ha solo accondisceso.” Le ricordò Albus.

Lily lo guardò per un attimo in silenzio.

“Lei non ci crede.” Constatò, dopo aver sondato i brillii azzurri degli occhi di Silente.

Albus allargò il suo sorriso.

“Mia cara ragazza… conosco Severus troppo bene per credere che abbia soltanto seguito te. In più ha lasciato un biglietto a Brix piuttosto eloquente, devo dire.” Disse il preside.

Lily lo fissò ammutolita. Un biglietto? Il suo sguardo cadde sul ragazzo incosciente di cui continuava a stringere la mano.

“Mi chiedo solo –Continuò Silente, -perché.”

Posò il suo sguardo su Lily. La ragazza lo fuggiva tenendo gli occhi fissi sulla mano intrecciata a quella di Severus. Sentiva l’alito caldo dei segugi soffiarle sul collo, l’acqua fresca delle loro pellicce sfiorarla.

“Deve esserci un perché?” Chiese allora Lily.

Silente scosse il capo, divertito. Ridacchiò.

“Quando impiegherà a guarire?” Chiese poi la ragazza cambiando discorso e tornando a guardare Severus, accorata.

“Questo non so dirtelo. Madama Chips ha chiesto a Horace di preparare la pozione per far rimarginare le ferite interne, ma Horace è molto impegnato… avrà bisogno del su…”

“Posso occuparmene io!” Lo interruppe improvvisamente Lily.

Silente la guardò stupito.

“Posso aiutare il professor Lumacorno. Me la cavo con le pozioni.” Continuò la giovane.

“No, Lily. La miglior cosa che puoi fare per lui è rimanergli vicino.” Le disse Albus, tranquillamente.

“Ma se non possiamo rimarginare le ferite…” Cominciò Lily guardando il viso contratto di Severus.

“Da quanto ha detto Poppy, pochi minuti fa… Oh, sì, è passata poco fa… - Aggiunse poi recependo l’occhiata interrogativa di Lily, -Dicevo, da quanto ha detto è riuscita a bloccare le emorragie, almeno temporaneamente.”

Sospirò, poi riprese: “Il dolore non lo abbandonerà, comunque. Non possiamo dargli troppe pozioni antidolorifiche… e neanche tenerlo per sempre sotto sedativi.”

“Albus…” Mormorò Lily guardandolo con occhi lucidi.

Lui le sorrise paterno.

“E’ meglio che vi lasci da soli.- Disse alla giovane, alzandosi lentamente dalla sedia. –Se dovesse svegliarsi o tu avessi bisogno di qualcosa, vieni subito nel mio ufficio: io sarò lì.”

Detto questo, voltò pigramente le spalle alla ragazza e uscì dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle con uno scatto.

Lily tornò a guardare Severus. Notò che la benda che lei aveva messo al suo braccio sinistro era stata tolta. Le linee scure del Marchio Nero si intravedevano appena tra le pieghe delle lenzuola. Lily tese appena la mano libera a sfiorare appena l’avambraccio del giovane, seguendo con le dita le strisciate di carbone del Marchio.

Sospirò, mentre la sua mano abbandonava il braccio del ragazzo per sfiorarne le fronte e i capelli neri. Glieli accarezzò dolcemente cercando di infondere un po’ di vero calore nella sua pelle bruciante di gelida febbre.

“Mi dispiace, Sev. –Mormorò appena. –E’ stata solo colpa mia. Non avrei mai dovuto lasciarti… mi dispiace.”

Gli passo una mano nei capelli umidi di sudore.

“Mi dispiace… non c’è l’ho mai avuta veramente con te. Ero arrabbiata, sì, e sono stata talmente stupida da non rendermi conto che erano solo la rabbia verso i Malandrini e l’umiliazione ad averti fatto parlare così. Sono stata solo una stupida… talmente sciocca da abbandonare il mio migliore amico per uno stupido errore.” Continuò Lily.

Non sapeva perché stesse dicendo quelle cose… quelle cose che avevano premuto sul suo cuore ogni istante negli ultimi anni. Forse voleva solo sfogarsi, cercare di liberare il suo petto da quel peso a malapena sopportabile. Ogni sera si era data dalla stupida ingrata per quello che aveva fatto a Severus: lui le era sempre rimasto accanto, l’aveva sempre sostenuta quando aveva bisogno, aveva solo lei, voleva sempre starle vicino… e lei… beh, lei aveva preso da lui quello che le serviva, e poi l’aveva dato in pasto alle fiere del suo animo. Era stato comodo per lei avere accanto qualcuno la prima volta ad Hogwarts, qualcuno che le parlasse della magia, che conoscesse quel mondo per lei completamente nuovo, e poi, quando Severus aveva esaurito quella utilità, quando era diventato per lei un peso, se n’era sbarazzata, come un giocattolo ormai passato di moda. Era un peso per lei, una delle ragazze più ambite della scuola, dover andare in giro con il reietto ed emarginato. Un peso per lei, Prefetto di Grifondoro, doversi fare vedere in giro insieme ad un Serpeverde. Un peso per lei dover sempre stare accanto a Severus, a cercare di capire i suoi problemi e ad aiutarlo ad uscirne, quando, invece, poteva andare a Hogsmeade con le sue compagne di Casa, o passare il tempo con loro a chiacchierare di cose comunissime nella Sala Comune.

“Si fanno tante cose stupide a quindici anni. Credi di avere la tua vita in pugno… e poi quando ti rendi conto delle ferite che hai provocato in chi ti stava vicino solo per aver la tua normalità, è troppo tardi.” Disse Lily.

Sciocche rivalità tra le Case… i magnifici Grifondoro non avevano nulla da spartire con i viscidi Serpeverde. C’erano così tanti assurdi pregiudizi tra gli studenti che non potevi rimanerne incolume. Le sue compagne non facevano altro che guardarla male, nei suoi primi anni, perché? Semplice: era amica di un Serpeverde. Fraternizzava con il nemico. James Potter e la sua combriccola, poi, non facevano altro che pompare i loro compagni Grifoni sullo splendore della loro Casa, sul loro essere i buoni e le Serpi i cattivi, i nemici da dover battere in ogni campo, sia a lezione che sul campo da Quidditch. E ogni occasione era buona per pungolarsi. E lei, Lily, era rimasta incastrata in quel vortice, così come Severus.

Erano cose a cui aveva pensato solo più tardi. Solo quando aveva lasciato la scuola e aveva ripensato a quegli anni si era accorta che l’arroganza dei Serpeverde andava di pari passo con l’ipocrisia dei Grifondoro. Quella rivalità non serviva a ottenere il massimo dalle due Case, ma solo ad oscurarne le rispettive qualità per metterne in luce solo i difetti. Ma sono a cose a cui uno ci arriva quando ormai è fuori da quella burrasca accecante che ti sbalza qua e là senza che tu possa fare nulla.

Non aveva visto alcuna differenza tra le quattro Casate sullo stemma di Hogwarts, poco prima: erano tutte allo stesso livello, con le loro qualità ed i loro difetti. I Serpeverde non erano i cattivi come i Grifondoro non erano i buoni, e le altre due Case non erano solo tappezzeria. Ma nella sua Sala Comune parevano esistere solo Grifoni e Serpi.

Forse era stato anche quello a spingerla a lasciare Severus al suo primo errore, senza dargli un’altra possibilità. Si era sempre ritenuta al di sopra di quegli stupidi pregiudizi, ma forse non era davvero così: qualcosa doveva aver attecchito anche dentro di lei.

“Perdonami, Sev. –Mormorò ancora. –Io non ti ho dato una seconda possibilità… mi sento un’ingrata a chiedere ora a te di darmene una. Mi hai salvato la vita… due volte… hai fatto e faresti di tutto per ritrovare il mio bambino, anche se è il figlio del ragazzo che hai sempre odiato. E non so come ringraziarti. Vorrei che le cose tornassero come quando avevano tredici anni… di nuovo insieme, ma questa volta senza dividerci mai. Una cosa, però, posso prometterla: non ti lascerò mai più da solo.”

Eppure c’era ancora qualcosa che non riusciva a confessare, soprattutto a sé stessa. Sentiva ancora una morsa premerle sul cuore, una cosa che neanche lei era mai riuscita a identificare appieno.

“Ancora con quella foto?” Le aveva chiesto una volta James entrando in camera sua.

L’aveva sorpresa più volte in quella situazione: seduta sul letto ad osservare l’unica foto che aveva di Severus. Anche quella volta era accovacciata sul letto ancora disfatto con la vecchia fotografia magica in mano.

“Sempre lì a consumare con gli occhi quella stupida foto di Mocciosus. Comincio credere che tu avessi davvero una cotta per lui.” Aveva detto James.

“Finiscila, James. Era il mio migliore amico. E’ un crimine tenerne una foto?” Gli aveva chiesto allora Lily.

Lui si era avvicinato.

“No. –Aveva detto, -Ma trovo strano questo comportamento verso un ‘migliore amico’.” Aveva osservato il ragazzo.

Lily lo aveva guardato sollevando un sopracciglio.

“Insomma, Sirius è il mio migliore amico, ma non perdo le bave sospirando su una sua foto.” Aveva spiegato James aprendo il suo bianco sorriso.

Lily aveva afferrato il vicino cuscino e glielo aveva gettato addosso con un sorriso.

“E dai, ammettilo: eri innamorata di Mocciosus.” La pungolò il giovane, avvicinando il viso al suo e stringendo gli occhi con aria indagatrice dietro gli occhiali storti.

Lei aveva sentito le sue guance imporporarsi e aveva cercato di spostare lo sguardo dal suo fidanzato.

“Era mio amico! E non chiamarlo con quel nomignolo orribile!” Aveva sbottato.

“Guardati: sei diventata rossa come un peperone! –Aveva riso James. –E perché te la prendi così tanto per un nome? Eh? Vuol dire che ti importa ancora di lui!”

Lily non riusciva più a controllare il suo rossore.

“Guardala! Guardala! –Aveva continuato Potter, ridendo come un matto e indicandola con fare infantile. –Tra un po’ diventa più rossa della mia divisa da Quidditch!”

Lily non sapeva più cosa fare, era preda impotente del panico più totale.

“Oh, mi ricordo quando eravate in riva al lago mano nella mano…” Rideva Potter.

“Ci spiavi, James?” Aveva allora insinuato lei.

“Uh, la cotta per Severus non solo era vera… non è mai passata!” Esclamò James tra le risate.

“Piantala.” Aveva detto Lily.

“Eh, dai. Quando eravamo a scuola sembravate davvero due fidanzatini. Sempre insieme. Sempre appiccicati….” Aveva continuato James.

“Eravamo due amici che passavano del tempo insieme, e allora?” Aveva ribattuto Lily, non sapendo più dove sbattere la testa. Quando James ci si metteva…

“E poi lui ti guardava in un modo… Lo sai, ho sempre pensato che vi sareste fidanzati prima che finisse la scuola.” Continuava James.

“Eri geloso?” Insinuò Lily.

James ignorò bellamente l’affermazione della giovane.

“Per fortuna, Mocciosus ha mostrato la sua vera natura prima che ciò accadesse.” Aveva detto il ragazzo.

La sua vera natura…

“Non parlare di cose che non sai, James. –Aveva detto Lily, tornata improvvisamente seria, -Tu non sai niente di Severus, quindi non permetterti di giudicarlo.”

“Ma ti ascolti quando parli? E poi dici di non esserne stata innamorata: sempre lì a proteggerlo, ancora ora che non lo frequenti da anni. Che avevi detto di aver troncato ogni rapporto con lui, di voler più averci niente a che fare.” Le aveva allora risposto James, senza smettere di sorridere.

La discussione era finita lì. Lei se n’era andata, ancora imbarazzatissima, con la foto si Severus ben stretta in mano.

Tuttavia le parole di James l’avevano fatta riflettere. Quella sera, e molte altre dopo, aveva passato il tempo a pensare a lei e Severus. Era vero che non riusciva a smettere di pensare a lui, era vero che non riusciva a sopportare di sentirlo chiamare ‘Mocciosus’… aveva davvero una cotta per lui? Quella, invece, era una domanda che non aveva mai trovato risposta. Erano sempre stati amici, migliori amici, non aveva mai pensato che avrebbero potuto essere qualcosa di più. Si era sempre comportata con lui come con un amico, almeno era questo che lei aveva sempre creduto.

Ma era per questo che James prendeva di mira Severus? Era geloso? Non aveva mai trovato risposta neanche a quest’altra domanda, dopotutto, alla fine James aveva avuto ciò che voleva e lei non si era mai lamentata di lui. Era sempre andato tutto bene. Tranne che per quella foto stropicciata che non si era mai allontanata da sotto il suo cuscino e con cui James aveva imparato a convivere.

Chissà che fine aveva fatto quella foto? Probabilmente non era uscita incolume dall’esplosione di qualche giorno prima. Le sarebbe piaciuto tornare a Godric’s Hollow a cercarla… Ma che diavolo andava pensare? Rischiare di nuovo la vita per andare a cercare una vecchia foto che probabilmente era andata distrutta. E poi ora aveva il vero Severus di cui occuparsi, a cosa sarebbe servita una foto?

Guardò il volto del giovane che continuava ad accarezzare dolcemente. Severus mosse leggermente il capo di lato, spingendolo contro la sua mano, quasi a cercare un contatto più profondo con essa, come se fosse la sua medicina contro il dolore che provava dentro di sé. Lily assecondò quel movimento facendo più intense le sue carezze.

Sorrise nel vedere come Severus cercasse le sue carezze. Vedeva chiaramente il bambino abbandonato che cercava in ogni modo di essere considerato da chi gli stava intorno, che cercava solo un po’ di affetto. Non vedeva più il Mangiamorte… anzi, non lo aveva mai veramente visto: era stata solo una stupida barriera per tenere lontana la colpa e il dolore.

"Lily..." Mormorò appena Severus.

Lei sorrise nel sentire il suo nome sussurrato da lui. Voleva lei.. nessun altro, come quando erano bambini.

Ma che cosa avrebbero fatto adesso? Non erano più ragazzini ed erano presi nella ruota degli eventi che non accennava a fermarsi.

Cosa avrebbe fatto Silente? Avrebbe contattato Malfoy?

Lucius doveva sapere qualcosa di Harry… altrimenti perché avrebbe voluto parlare con lei? O forse era solo una trappola?

Scosse il capo. Non doveva farsi quelle domande: spettava all’Ordine, ora, ritrovare il bambino, lei doveva restarne fuori… e doveva occuparsi di Severus: non poteva abbandonarlo un’altra volta… non poteva.

***

“Allora?- Stava chiedendo la professoressa McGranitt a Silente, seduto dietro la sua scrivania.- Cosa hai deciso di fare?”

“Cosa ho deciso di fare? –Ripetè Albus- Niente, perché? Anzi, a dire il vero, pensavo di fare un capatina ai Tre Manici di Scopa più tardi…”

“Albus…- Quasi ringhiò la professoressa. –Cosa hai deciso di fare riguardo a Malfoy?” Parlò lentamente, scandendo bene le sillabe.

“Niente. –Rispose tranquillamente Silente. –Sono dell’idea che il caro Lucius verrà da noi.”

“Devo preparargli il tappeto rosso all’ingresso?” Chiese sarcastica la professoressa.

Albus le sorrise, spiandola da sopra gli occhiali a mezzaluna.

“Mia cara Minerva, non credo che il rosso sia il colore che più si addice a un Malfoy.” Osservò.

La McGranitt si lasciò sfuggire un sospiro esasperato e scosse la testa.

Un ticchettio alla finestra fece voltare entrambi. Al di là dei vetri obliqui uno splendido uccello rosso fuoco li spiava con i suoi occhi d’ambra scintillanti.

Silente sospirò e si alzò dalla poltrona avviandosi verso la finestra. La aprì e la fenice volò all’interno del suo studio illuminandone l’atmosfera con i riflessi infuocati del suo splendido piumaggio.

“Fanny. –Disse Silente voltandosi verso la fenice. –In giro tutta la notte, eh?”

Fanny lo guardò furba dopo essersi posata elegantemente sul suo trespolo, poi prese a pulirsi le piume con fare assolutamente indifferente a ciò che le stava intorno, ma Minerva, che stava proprio davanti alla fenice, vedeva i suoi splendidi occhi dorati scattare curiosi verso di lei.

Silente tornò a sedersi stancamente.

“Dicevamo?” Chiese.

“Malfoy.” Gli ricordò la McGranitt.

“Oh, sì! –Esclamò Albus. –Lasciamo che Lucius cuocia nel suo brodo. Gli eventi si evolveranno da soli… per ora lasciamoli fare.”

“Per cui non hai intenzione di cercare il piccolo Harry Potter? –Chiese allora la professoressa con fare indignato. –Per la miseria, Albus! E’ un bambino di un anno!”

“Se Voldemort non lo cerca, noi lo imiteremo.” Ripose Albus.

“Come?” Chiese la McGranitt. Decisamente cominciava a non riuscire più a seguire i piani intricati del preside.

“Se Tom non cerca il bambino, significa due cose. Possibilità numero uno: ha già trovato Harry. Possibilità numero due: non lo ha trovato, ma vuole farci credere che sia così.” Disse Albus, contando sulle dita.

“E secondo te?” Chiese allora Minerva.

“Io propendo per la seconda. Ma allora mi sono chiesto: se così è, cosa farebbe se noi gli facessimo credere di aver trovato il bambino?” Continuò Albus.

“Non saprei…” Balbettò la McGranitt scuotendo il capo.

“Possibilità numero uno, -E alzò l’indice affusolato. –Lui ha davvero trovato Harry e sa stiamo bluffando. Possibilità numero due, -E il medio si unì all’indice. –Lui non ha trovato il bambino: sta mentendo e quindi non può sapere con certezza se diciamo la verità o no. A questo punto può fare due cose. A: non credere al nostro bluff ed essere costretto a fare una mossa che ci riveli un pochino del suo piano. B: non sapere se credere o no e mandare qualcuno a controllare.” Albus concluse il monologo con un sorriso.

Minerva lo guardava confusa. Aveva colto però, una cosa da quel discorso.

“In somma, nessuno cerca il bambino per non far capire all’altro se l’ha trovato o no. E il povero Harry? Mi spieghi cosa ne sarà di lui?” Chiese la McGranitt.

“Se la mia teoria è giusta, non c’è di che preoccuparsi.” Rispose Silente sibillino.

“Mi rifiuto di capire.” Si arrese infine la professoressa.

“C’è un’altra questione…” Riprese poi Silente.

Minerva portò di nuovo il suo sguardo su di lui, incuriosita.

“Il funerale di James Potter. Non possiamo rimandarlo ancora.” Spiegò Albus.

“Ma è troppo rischioso.” Disse la professoressa.

“Lo abbiamo sepolto nel cimitero di Godric’s Hollow in fretta e furia per timore che i Mangiamorte potessero tornare. James è morto per proteggere la sua famiglia, non mi pare giusto che non gli venga tributato un giusto funerale.” Disse Albus.

Minerva annuì.

“Sì, è giusto. Cosa proponi di fare?” Disse lei.

“Propongo una riunione in onore di James Potter. A casa mia… uno di questi giorni.” Le rispose Silente.

“E Lily? Sarebbe giusto che fosse presente. Dopotutto ha il diritto di presenziare al funerale del marito.” Disse Minerva.

“Giusto… giusto… In questo momento è meglio che lei rimanga qui. Anche perché Severus ha bisogno di lei. Sono fatti l’uno per l’altra quei due. E' un peccato che le cose siano andate come sono andate. Ma chissà che non si aggiustino..." Rispose Albus.

“Meglio aspettare qualche giorno, allora?” Propose la professoressa.

“Sì… sarebbe meglio.” Concordò.

“Allora, io vado. Tra poco iniziano le lezioni.” Disse la professoressa.

“Sì. Buona giornata, Minerva.” Le disse Albus. Quindi, dopo un ultimo saluto, la McGranitt voltò la schiena e uscì dall’ufficio del preside con passo svelto.

Silente sospirò lasciandosi andare contro lo schienale. Si passò una mano sugli occhi con fare stanco.

“Fanny, mia vecchia amica, questa guerra di menti è più stancante di venti giri di corsa intorno al castello.” Disse poi alzando lo sguardo verso la fenice.

Fanny levò il capo, interrompendo la pulizia maniacale del piumaggio. Guardò Silente con occhi furbi inclinando leggermente la testa di alto.

Albus portò il suo sguardo azzurro verso la finestra alla sua sinistra.

“Chissà che cosa starà combinando il nostro Lucius…” Mormorò.
 

*******

 

Eccomi qui!

Beh, inutile dire che quello che sta combinando Lucius lo si saprà nel prossimo capitolo.

Povera Minerva! I piani intricati di Albus le fanno fumare le orecchie! Mi è venuta un’idea geniale nel fargli esporre il suo piano come un quiz a premi. Trovo che la cosa funzioni molto bene. Ovviamente voi potete essere di parere contrario...

Il titolo si riferisce ai vari personaggi che compaiono e le loro interazioni (che cosa stupida da dire). Tra i Grifoni rientrano Lily, James e la McGranitt. Tra le Serpi, Severus, Lucius, Tom e Albus. Non è solo riferito a Serpeverde e Grifondoro, ma ha un significato più ampio.

La filastrocca di Serpeverde l'ho inventata io. Di fatti si vede: è orrenda.

Va bene, non so che altro dire.

Lascio la parola a voi. Fiumi di recensioni, neh? Mi raccomando!

 
 
 
 
  

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Capitolo 19
*** La bacchetta di mogano ***


Capitolo 19

LA BACCHETTA DI MOGANO



Augustus Rookwood si guardava intorno con aria distratta. I suoi occhi verdi si soffermarono appena sulla facciata imponente di Villa Malfoy con quegli eleganti finestroni che comprendevano la gran parte della parte anteriore del maniero.

L’uomo gettò uno sguardo stanco verso due pavoni bianchi che macchiavano, con quel loro splendido piumaggio candido, il verde curato del prato inglese. Sbuffò mentre percorreva gli ultimi metri che lo separavano dalla grande porta d’ingresso.

Salì in fretta i pochi gradini in marmo e si infilò il bastone da passeggio sotto il braccio con fare altero prima di tendere la mano verso la catena collegata a un campanello all’interno. La afferrò deciso e tirò sentendo appena un lieve trillo sfumare nell’ampio ingresso al di là della soglia.

Rookwood sbuffò annoiato mentre attendeva che venisse qualcuno ad aprirgli. Si tolse l’elegante cappello a tesa larga e si passò una mano tra i corti capelli castani.

I suoi occhi vagarono di nuovo verso il curatissimo giardino soffermandosi appena, attratti dal movimento, sui due pavoni che non lo degnarono di uno sguardo, intenti nella pulizia accurata dei loro piumaggi.

La porta scattò e cigolò appena nell’aprirsi.

“Il signore desidera?” Chiese una vocina tremolante.

Rookwood voltò il capo verso l’ingresso. Fece una smorfia quando vide la piccola creatura abbigliata con quella che sembrava la vecchia fodera di un cuscino.

“Il tuo padrone mi sta aspettando, elfo.” Disse l’uomo con voce atona.

“Oh, -Gli occhi azzurri dell’elfo domestico si allargarono fino a diventare due grandi bocce lucide. –Dovete essere il signor Rookwood. Il padrone ha detto che venivate. Prego, prego…” La creatura si profuse in un’ampia riverenza mentre si faceva da parte per far passare l’uomo.

L’ingresso sontuoso di Villa Malfoy attrasse a malapena gli occhi annoiati di Rookwood. I due grandi telamoni che affiancavano la scalinata di marmo verso il piano superiore guardavano il nuovo arrivato con sguardi altrettanto vuoti sotto a quei loro riccioli bianchi: occhi di pietra che si toccavano senza interesse.

Il piccolo elfo ebbe appena il tempo di voltarsi nuovamente verso Rookwood dopo aver chiuso la porta, che questi gli gettò con noncuranza il pesante mantello da mago, il bastone e il cappello.

“Portami dal tuo padrone, elfo. Ho fretta.” Disse l’uomo con calma, scandendo bene ogni parola. Di certo il tono di voce calmo e monotono di Rookwood non aveva niente a che fare con la fretta che diceva di avere. Ma lui era così: una calma allucinante, a volte esasperante per chi gli stava intorno… tanto quanto la sua puntigliosità.

“Insomma,- disse tranquillamente, con voce profonda, -quanto devo aspettare?”

“Su-subito signore…” Balbettò l’elfo, cercando di dominare tutte le cose che aveva in mano. Riuscì con fatica a liberare le dita dalle pieghe del mantello e schioccarle dita liberando alcune lieve scintille dorate. Cappa, copricapo e bastone si scossero con un tremito, si allontanarono con leggerezza dalla presa dell’elfo e volarono dritti verso la porticina che dava sul guardaroba, la quale si aprì per lasciarli passare e si richiuse presto alle loro spalle che un sonoro clic.

L’elfo saltellò verso l’uomo.

“Prego, prego… da questa parte.” Disse con la sua voce acuta tendendo un braccio con fare cerimonioso verso la scalinata. Poi raddrizzò la schiena si affrettò su per gli scalini precedendo e facendo strada all’uomo che lo seguì con un lieve grugnito.

I passi pesanti di Rookwood rimbombavano nell’ingresso vuoto battendo sui marmi della scalinata. L’uomo seguì la creaturina saltellante lungo quegli scalini lucidi, senza curarsi degli eleganti stucchi che si rincorrevano sulla volta, senza gettare uno sguardo sui quadri dalle tinte scure che si lasciavano avvolgere da pesanti cornici dorate. Neanche la grande arme dei Malfoy che campeggiava in cima alla scalinata, al centro della parete con le sue ampie foglie d’oro e i due dragoni che sostenevano lo scudo con le fauci aperte e le code annodate. No, Rookwood non gettò neanche un’occhiata al grande serpente d’argento ondeggiante in palo, ma lui non passò certo altrettanto inosservato da quegli occhi astuti che osservavano tutto l’ingresso diffidenti.

L’elfo condusse Rookwood verso l’ala destra della villa, facendogli percorrere un corridoio che pareva infinito. E l’uomo cominciava davvero a credere che avrebbe continuato a camminare in eterno, quando l’elfo si fermò davanti a una pesante porta di legno scuro.

La creatura alzò la mano, stretta a pugno, nell’intento di bussare, ma non fece in tempo, perché la porta si aprì con forza verso l’interno lasciando l’elfo con gli occhi a palla, scombussolato e intimidito, e il piccolo pugno ancora levato.

Lucius Malfoy era seduto comodamente su una poltrona di pelle nera, presso il fuoco, con una stilografica in mano che faceva roteare distrattamente tra le dita con movimenti fluidi. Posò gli occhi prima sull’elfo, che aveva abbassato la mano e ora era intento a torcersi le dita con lo sguardo basso, e poi Rookwood.

“Theo! –Esclamò poi Malfoy tornando a guardare l’elfo. – Fa accomodare il signor Rookwood e poi provvedi a servirgli da bere.” Disse duramente, gli occhi di ghiaccio cerchiati dal rossore infuocato del riflesso delle fiamme.

“S-sì… -Balbettò l’elfo. –Prego signore.”

Rookwood entrò nel caldo studio di Lucius Malfoy senza dire una parola, guardandosi appena intorno con fare annoiato.

Malfoy si infilò la stilografica d’oro nel taschino della giacca, là dove era il suo posto solito, e si alzò stancamente avvicinandosi alla grande scrivania di noce mentre l’elfo richiudeva la porta dello studio.

Lucius guardò Rookwood con occhi gelidi passando a rassegna i suoi abiti scuri ed eleganti, la giacca corvina, il panciotto di velluto granata scuro, il fazzoletto di seta nera legato intorno al collo… Lucius accennò col capo verso la sedia posta di fronte alla scrivania, mentre lui si accomodava sulla sua poltrona dietro al mobile.

Rookwood notò l’occhiata che Lucius gettò su di lui analizzandolo da capo a piedi. Non aveva mai sopportato Malfoy, con la sua aria da principino profumato. Non sapeva neanche bene perché avesse accettato il suo invito. Ma chissà che qualunque cosa avesse in mente Mister Biondo Platinato lui non avrebbe potuto girarla a suo favore. Magari divertirsi un po’ alle spalle di Lucius.

Rookwood tirò su col naso e si sedette con calma sulla sedia indicata da Malfoy.

I due continuarono a guardarsi in silenzio per un po’. Rookwood, da parte sua, avrebbe voluto sapere perché Malfoy lo aveva invitato alla sua villa… aveva bisogno della sua collaborazione, a quanto aveva capito. Lui aveva dato la sua disponibilità, ora però, toccava a Lucius vuotare il sacco… ma questi sembrava attendere qualcosa e continuava ad osservarlo con occhi disinteressati.

“Quanto devo aspettare perché un elfo si degni di fare ciò che gli ho chiesto?” Ruggì improvvisamente Malfoy, senza togliere lo sguardo da Rookwood, che chiuse gli occhi a quell’improvviso scatto con una calma assoluta, quasi a cercare di allontanare quella voce fastidiosa che lo distraeva dalla sua meditazione.

L’elfo, d’altra parte, sobbalzò nell’angolino in cui si era rifugiato, puntando gli occhioni blu verso il suo padrone.

“Sbaglio, o ti avevo ordinato di offrire da bere al mio ospite?” Proseguì Malfoy e questa volta il suo sguardo scattò, raggelante, verso il piccolo elfo.

“S-sì, padrone…- Balbettò Theo facendo alcuni passettini in avanti e avvicinandosi a Rookwood. –Cosa desiderano il signore?” Chiese con voce bassa quanto lo sguardo.

“Nulla.” Disse laconico Rookwood.

Lucius lo guardò e annuì.

“Bene. E ora, sparisci!” Disse duramente Malfoy all’elfo.

Theo chinò il capo e lasciò lo studio in silenzio richiudendosi gentilmente la porta alle spalle.

“Allora, perché mi volevi vedere, Malfoy?” Chiese Rookwood, dopo un po’.

Lucius sorrise, mentre appoggiava i gomiti sul ripiano della scrivania e intrecciava le pallide dita aristocratiche delle mani.

“Ho per le mani un lavoretto… e ho bisogno della tua collaborazione.” Disse Malfoy, mellifluo.

“I tuoi lavoretti non sono affar mio, Malfoy. E vedi di non menare il can per l’aia.” Rispose Rookwood, con la sua solita voce monotona.

Malfoy arricciò appena l’angolo della bocca. Merlino, quanto gli dava sui nervi quell’uomo! Con quel suo modo di fare, di parlare con una lentezza estenuante. Utilizzava un secondo buono per dividere ogni singola parola nella frase.

“Vedi, mi serve la tua collaborazione per poter... come dire?... confutare una mia teoria.” Disse Lucius.

“Stringi, Malfoy: ho fretta.” Gli disse allora Rookwood.

Fretta? Santo Salazar… impiegava cinque minuti per formulare una frase di quattro parole e diceva di avere fretta?! No, fretta e Augustus Rookwood erano due cose che assolutamente non si conciliavano. Lucius non avrebbe mai creduto che Augustus fosse in grado di usare quella parola. E invece, eccola lì a ondeggiare tra i baffi brizzolati dell’uomo con, tra le lettere, la smorfia di chi è stato trascinato di forza in un posto in cui non avrebbe mai voluto trovarsi.

“D’accordo, se è questo che vuoi, arriverò subito al punto: devo entrare al Ministero.” Gli disse Malfoy liberando le dita dalla loro stessa stretta e abbandonandosi contro lo schienale imbottito.

“Devi entrare al Ministero… -Ripetè Rookwood. –E mi spieghi come potrei aiutarti?”

Lucius sorrise.

“Andiamo, Rookwood. Sei un Indicibile o no? Lavori al Ministero… sei la nostra spia… sono sicuro che puoi farmi entrare per vie sicure.” Disse.

“Sì, si può fare… si può fare…” Mormorò Rookwood passandosi distrattamente una mano sul pizzetto.

“Ma spiegami esattamente cosa vuoi fare.” Disse poi, gettando un’occhiata interessata a Malfoy. Questi si protese in avanti tornando ad appoggiare i gomiti sulla scrivania.

“Ho bisogno di entrare al vecchio ufficio Archivi.” Disse Lucius, accennando un sorriso.

“Il vecchio ufficio Archivi… - ripetè Rookwood, pensieroso. –Come hai detto tu, io sono un Indicibile, lavoro al Dipartimento dei Misteri. Non ho nulla a che fare con i bamboccioni degli archivi. Che cosa vuoi esattamente?”

“Tu conosci i dipendenti… sono sicuro che riusciresti a trovare il modo di farmi incontrare con uno dei più… come dire?... malleabili.” Rispose Lucius.

Rookwood si lasciò andare contro lo schienale tirando su col naso.

Lucius fece una smorfia. Ecco, quella era un’altra cosa che a Malfoy dava sui nervi. Ma perché doveva tirare su col naso in quel modo? Con quel rumore allucinante, decisamente poco dignitoso. Era tipico di Augustus, insieme alla calma estenuante e al vizio di passarsi la mano tra i capelli.

“Spiegami che cos’ho io a che fare con i turni dei dipendenti degli Archivi.” Disse Rookwood.

“Sei praticamente amico di tutti al Ministero. Perfino di quell’imbecille di Bagman… suvvia, Rookwood, godi di una certa autorità al Ministero.” Gli rispose allora Malfoy, tornando a giocherellare con la sua stilografica d’oro.

“Farti entrare al Ministero è un conto, Malfoy… ma fare in modo che tu possa parlare con qualcuno di ‘disponibile’… beh, questa è tutt’altra musica. Posso provarci.” Gli disse Rookwood.

Malfoy sorrise.

“Mettiamo che tu accetti di aiutarmi in questo aspetto… hai in mente con potrei parlare?” Chiese.

Rookwood tacque, lo sguardo perso cercando di fare mente locale sui possibili impiegati degli Archivi che potevano rientrare nei bisogni di Lucius.

“Bah, potrebbero andare bene tutti quegli inetti dell’Ufficio Archivi. –Disse poi. –Se dovessi scegliere direi che Bribable sarebbe la scelta ideale.”

“Bribable?” Domandò Lucius.

“Un neo assunto. –Spiegò Rookwood. –Flik Bribable. Un tipo simpatico, se posso dire la mia, con cui sono in buoni rapporti…”

“Tu sei in buoni rapporti con tutti là dentro.” Osservò Lucius.

“… un po’ balbuziente, e decisamente adorante verso le persone di un certo livello.” Continuò Rookwood senza dare peso al commento di Malfoy.

“Quest’ultima cosa mi piace.” Sorrise Lucius.

“Il problema è che non so quando è di turno. Quando avresti intenzione di andare al Ministero?” Chiese Rookwood.

“Il prima possibile.” Rispose Malfoy, laconico.

Rookwood aggrottò le sopracciglia, arricciando appena le labbra.

“Devo controllare. Ti farò sapere. Quanto all’entrare al Ministero… basta un minimo travestimento e un’entrata un po’ defilata, e passerai completamente inosservato vista la bagarre che c’è . Gente che va, gente che viene… i poveri auror posti di sorveglianza non possono certo perquisire uno per uno tutti quelli che arrivano al Ministero… e in ogni caso meglio essere prudenti. Ho già in mente un trucchetto per farti passare inosservato.” Disse Rookwood.

“D’accordo. Ci vediamo di nuovo qui stasera.” Disse allora Lucius tendendo la mano verso l’uomo di fronte a lui.

“Ehi, non ho mai detto che accetto di aiutarti.” Gli disse Rookwood con un sorriso.

“Che cosa vuoi?” Chiese Malfoy ritirando la mano quasi con stizza.

“Beh, pensavo… sai, tutto ha un prezzo…” Rispose Rookwood passandosi distrattamente una mano tra i capelli corti.

“Ho capito. –Sospirò Malfoy. –Mille galeoni come ti suonano?”

Rookwood tirò su col naso per l’ennesima volta e lo guardò con un ampio sorriso.

“Dico che mi suonano bene. Certo… duemila suonerebbero meglio.” Disse.

“Sei assolutamente disgustoso, Rookwood.” Disse Lucius.

“Oh, lo so, lo so. Una cosa che si impara al Ministero è: non fare mai niente se non vieni pagato.” Sorrise Rookwood, un sorriso caldo ben diverso dalla smorfia gelida che si allungava sul volto di Malfoy.

“Già, dovreste farne il vostro motto.” Disse poi Lucius mentre apriva uno dei cassetti della scrivania e ne estraeva due sacchetti di denaro che gettò con un gesto elegante sul ripiano, innanzi agli occhi avidi di Rookwood.

“Mille galeoni. Tengo sempre qualcosina a portata di mano, per ogni evenienza.” Disse Malfoy sorridendo.

Rookwood tese la mano e afferrò un sacchetto pieno di monete d’oro. Lo aprì gettando un’occhiata all’interno e fece cadere alcuni galeoni sul palmo della mano, osservandoli sorridente.

“Gli altri mille?” Chiese poi, richiudendo il sacchetto e infilando entrambi sotto la giacca con movimenti lenti e accurati.

“Quando avrò ottenuto ciò che voglio.” Gli rispose Lucius con un sorriso sottile.

Rookwood ridacchiò e allargò il sorriso mentre osservava il volto nobile e deciso di Malfoy. Oh, gli sarebbe piaciuto giocare un bello scherzetto a quel damerino tutto pizzi e fronzoli con quella sua aria da padrone del mondo che guardava tutti dall’alto verso il basso, che stringeva la mano alle persone solo per poi pulirla dagli eventuali germi che vi si erano soffermati. Lui e Malfoy erano due persone completamente diverse, e a Rookwood piaceva divertirsi… perché non far prendere un po’ di paura al caro Lucius? Senza farlo catturare, no di certo, o non avrebbe ottenuto i suoi soldi, ma farlo quasi prendere… ecco sì quella era una cosa che gli sarebbe piaciuto fare.

E Augustus Rookwood sorrideva come un bambino mentre stringeva calorosamente la mano a Lucius Malfoy.

***

Lily non sapeva cosa fare. Lì, seduta sul fianco del letto a vegliare sul giovane incosciente di cui continuava a stringere la mano. Non sapeva cosa fare, ma non voleva allontanarsi.

Avrebbe voluto poter fare qualcosa per Severus aiutarlo in qualche modo… ma che cosa? Rimanere lì, in attesa, mentre il giovane soffriva senza poter in alcun modo alleviare il suo dolore, la faceva stare male.

Madama Chips era tornata per cambiare la benda a Severus e cercare di abbassargli un po’ la febbre. La cura maniacale che la medimaga metteva nel suo lavoro, trattando ogni paziente come se fosse suo figlio al di sotto di quella scorza dura che la donna ostentava, aveva rassicurato un po’ la ragazza. Ma Madama Chips non poteva fare miracoli, anche se a volte sembrava così. La febbre di Severus non aveva accennato a diminuire e Lily aveva visto rughe di vera preoccupazione sul volto dell’infermiera.

No potevano fare altro che aspettare la pozione di Lumacorno, sperando che questi non ci mettesse troppo. Ma povero Horace, anche lui non poteva fare miracoli ed aveva gli impegni di Capo-Casa oltre che di insegnante. Se solo Silente le avesse permesso di aiutarlo! E invece no: Albus aveva ritenuto meglio per Severus che lei gli rimanesse accanto.

Si sentiva inutile… inutile e in colpa. Voleva fare qualcosa… voleva contattare Malfoy. Era sicura che quella fosse la cosa giusta da fare, ma non credeva che Silente avrebbe cercato il Mangiamorte.

Strinse forte la mano inerme di Severus cercando di trovare il modo per convincere il preside che parlare con Lucius era la cosa giusta da fare.

“Lily?”

La ragazza non si voltò, ancora persa nei suoi pensieri.

“Lily, vorrei parlarti.”

Ma la giovane continuò ad ignorare quella voce che proveniva dalle sue spalle. Sapeva benissimo a chi apparteneva, ma non aveva intenzione di voltarsi verso l’uomo.

“Perché non contatta Malfoy?” Chiese lei, continuando a guardare il volto febbricitante di Severus.

L’uomo si avvicinò, fece il giro del letto per guardare la giovane negli occhi.

“Vedi, Lily… in questo momento la cosa migliore che possiamo fare è non fare niente.” Disse con voce calma.

Lily alzò lo sguardo verso di lui rimanendo folgorata, come sempre, dalla lucidità di quegli occhi azzurri.

“Non è giusto.” Disse lei scuotendo il capo.

“No, non è giusto. –Concordò Silente, -Ma abbiamo le mani legate. Non possiamo fare nulla, se non giocare lo stesso gioco di Voldemort.”

“Voldemort gioca sporco.- Disse allora Lily.- E lei intende giocare altrettanto scorrettamente pur di vincere? Severus ha rischiato la vita per cercare mio figlio… ha rischiato la vita per proteggere me… e io non posso fare niente per lui. Sono sicura che lui sarebbe d’accordo con me riguardo a Malfoy.”

Albus sospirò profondamente.

“Horace non dorme più la notte per preparare la pozione per Severus. Sarà pronta presto.” Disse Silente.

“Non cambi discorso, preside.” Gli disse Lily.

Albus chiuse appena gli occhi, come a cercare di riordinare i pensieri. Quando li riaprì, gli occhi dei segugi si erano fatti luminosi e quasi pericolosi.

“Vi ho mai dato motivo di non fidarvi di me, Lily?- disse. –Vedrai, andrà tutto bene.”

“No, Albus. Non andrà tutto bene.” Rispose sconsolata Lily scuotendo il capo.

“Perché è successo tutto questo?” Domandò poi.

Albus la guardò in modo strano e Lily si sorprese di quell’occhiata, sembrava che il vecchio preside non sapesse come risponderle, ma che fosse perfettamente a conoscenza del motivo per cui tutto era accaduto… solo che non voleva dirlo.

“Vedi Lily…” Cominciò, ma Lily lo interruppe subito.

“Come ha fatto trovarci? Perché voleva uccidere Harry?” lo incalzò.

Albus levò le mani come a tentare di arginare quella marea di punti interrogativi.

“Non credo che sia il momento più opportuno per parlare di questo. E nemmeno credo di essere la persona adatta a parlartene. Forse dovresti parlare con Severus, -E accennò col capo al giovane incosciente. – e con Sirius.”

“Sirius?- Ripetè Lily, stupita di aver sentito il nome del migliore amico di James. –Che cosa c’entra Sirius? Che cosa sa?”

“Mi dispiace Lily, ma non ho alcuna intenzione di risponderti. –Disse tranquillamente Silente. –Potrai chiedere queste cose tu stessa a Sirius. Vorremmo organizzare una veglia in onore di James Potter… ma questo, ovviamente, quando Severus starà meglio.”

Il cuore di Lily si scaldò nell’udire quelle parole. Volevano fare una veglia in onore di James? Sì, era giusto… e il fantasma di Ramoso, in qualche modo era ancora ben vivo dentro di lei. Non aveva mai capito se quello che la legava a suo marito era vero amore o no, ma di certo gli voleva un gran bene. Il viso sorridente di James le invase improvvisamente i pensieri e non potè evitare di sorridere appena a sua volta, di fronte a quell’immagine.

Albus era venuto una sera, preoccupato come non lo avevano mai visto. C’erano anche Sirius e Remus, stavano passando una serata insieme tentando di sfuggire, almeno per una volta, a quella cappa scura che avvolgeva le loro anime tenendole sempre in bilico sul filo di un rasoio.

Il preside aveva detto loro che Voldemort li cercava, non aveva perso tempo in giri di parole, come suo solito… e James l’aveva trovato strano, come lui stesso le aveva detto poco dopo che Silente se ne fu andato, sembrava che Silente volesse nascondere loro una cosa molto importante.

Il preside aveva consigliato loro di porre la casa sotto Incanto Fidelius, e si era raccomandato affinchè il Custode Segreto fosse una persona in cui loro riponevano totale fiducia.

Sirius sarebbe stato perfetto… ma Sir aveva invece proposto Peter. Peter… già chissà che fine aveva fatto… Non poteva credere che li avesse traditi di sua spontanea volontà. No, Voldemort doveva averlo catturato in qualche modo, doveva aver scoperto che era lui il Custode Segreto… probabilmente, dopo aver ottenuto ciò che voleva lo aveva ucciso. Non le era mai piaciuto più di tanto, il piccolo Codaliscia, ma era un amico di James e avevano, comunque, un buon rapporto lei e Peter.

Le domande che, però, ora le premevano in testa era: perché Voldemort li cercava? Perché proprio loro? Perché così assiduamente? Perché Harry? Perché?

In ogni caso, era contenta che avessero deciso di fare una veglia per onorare James e il suo sacrificio. Ci sarebbe stato tutto l’Ordine… e Sirius e Remus… sarebbe stato bello rivederli. Chissà com’erano stati in pena quella notte… chissà cosa avevano provato nel sentire che il loro migliore amico era morto. Sirius, probabilmente, ne era rimasto distrutto… Sirius, quel pazzo ragazzino che non era mai cresciuto.

“Lily?- La voce di Silente la riscosse dai suoi pensieri. –Va tutto bene?”

“Sì. –Rispose lei, -Stavo pensando a Sirius… e a Peter. Che ne è stato di lui, Albus?”

Silente prese un lungo respiro, poi rispose: “Non so cose ne è stato di lui, mi dispiace.” Ma in cuor suo sapeva quanto grande era quella bugia. Lui sapeva benissimo cosa aveva fatto Minus, e dov’era in quel momento, ma non avrebbe detto nulla a Lily. Sirius… Sirius le avrebbe spiegato tutto: era una cosa fra di loro, lui non c’entrava nulla.

“Verrà anche Severus? Alla veglia, intendo.” Chiese poi Lily guardando il viso contratto del ragazzo.

“Questo spetta a lui deciderlo.” Rispose tranquillamente Silente.

"Oh!- Esclamò poi. -Quasi mi dimenticavo!"

Lily alzò lo sguardo verso Silente vedendolo armeggiare con le pieghe della sua veste nel tentativo di estrarne qualcosa ed i suoi occhi smeraldini si illuminarono quando, tra le mani rugose del preside, vide due bacchette. Silente aveva recuperato le loro? Le era completamente passato di mente, preoccupata com'era per la sorte di Severus, che entrambi erano stati disarmati da Lestrange e le loro amate bacchette erano rimaste laggiù, sull'asfalto, a Cokeworth.

Ma quell'attimo di felicità durò perchè la giovane Lily si rese presto conto che quelle non erano le loro bacchette.

Silente gliele porse gentilmente e Lily le afferrò con le dita leggermente tremanti.

"Non abbiamo potuto recuperare le vostre bacchette. -Disse Silente. -Tuttavia,sono riuscito a trovare queste. Spero adempiano al loro compito... in ogni caso farò in modo che riabbiate le vostre."

Lily osservò le due bacchette che aveva in mano e il cuore le parve improvvisamente farsi rovente, risvegliato da una strana chiamata, quando riconobbe lo scuro legno del mogano della più corta delle due. Oh, sì... la conosceva molto, molto bene quella bacchetta.

Gli occhi le si riempirono di lacrime senza ch'ella potesse trattenerle. La bacchetta di James, quella che non aveva potuto proteggerlo quella maledetta sera, quella di cui lui si vantava sempre per la sua attitudine nella Trasfigurazione, era lì, tra le sue mani.

"Ho pensato che fosse meglio l'avessi tu. Sono sicuro che James avrebbe voluto così." Disse Silente con voce profonda.

"Grazie Albus." Riuscì a mormorare Lily, ancora commossa, e, da una parte, felice. Aveva qualcosa di James... una cosa stupida, ma che, in qualche modo, la faceva stare meglio. Era quasi come riavere indietro un pezzetto di suo marito, quasi un ultimo saluto... un congedo che non era proprio tale. Quella piccola cosa riusciva a infonderle un lieve calore, riusciva in qualche modo a rinsaldare tra loro i pezzi del suo cuore che era andato frantumandosi quando aveva perso la sua famiglia.

Sospirò e si asciugò gli occhi con la manica del maglione, poi ripose con cura la bacchetta nella tasca dei pantaloni. Guardò l'altra bacchetta che reggeva ancora in mano. Era liscia, di colore più scuro rispetto a quella di James, con un'impugnatura semplice su cui ondeggiavano delle onde stilizzate.

"A chi apparteneva questa?" Chiese Lily mostrando la bacchetta.

"Ehm... a me." Disse Albus, stranamente in imbarazzo.

"E' la sua?!" Esclamò incredula Lily.

"Era la mia. Quella che ho comprato da Ollivander a undici anni... e mi ha sempre servito fedelmente prima che ottenessi quella che ho attualmente. -Spiegò Albus. -Poi è rimasta a far polvere in un cassetto. Credo che possa ancora fare bene il suo lavoro."

"Ma, preside... -Tentò di protestare Lily. -Deve avere particolare valore affettivo per lei."

"Oh, no. Anzi... è legata a un brutto ricordo. Il peggiore che io abbia. Non mi dispiace affatto darla a Severus." Le rispose Albus con un velo di tristezza nella voce.

"E' molto gentile." Disse allora Lily, ponendo la bacchetta scura sul vicino comodino dopo averle lanciato un'ultima occhiata.

"Nessun mago dovrebbe rimanere senza bacchetta. Anche se è uno in gamba come te o Severus." Disse Albus.

Lily sospirò tornando a guardare il viso del suo di nuovo migliore amico. Silente sorrise appena mentre passava una mano rugosa sulla guancia di Severus con dolcezza.

“Vi lascio.” Disse poi Albus, allontanando la mano dal volto del giovane e uscendo in silenzio dalla stanza.

La mano di Lily si mosse autonomamente a sostituire quella di Silente, sfiorando appena i capelli e la guancia di Severus.

Severus l’aveva tenuta accanto a sé quando lei era ferita, l’aveva abbracciata nel suo calore… le aveva cantato quella strana ballata… la Ballata del Principe della Notte, come l’aveva battezzata lei stessa. E il suo Principe della Notte, ora giaceva in un letto, ferito e febbricitante… il suo angelo non cantava più… non poteva avvolgerla tra le sue ali… ora era lui ad avere bisogno di un abbraccio.

Lily ricordò quando si era svegliata stretta tra le braccia d i quello che credeva essere un angelo venuto ad accoglierla in cielo… e invece aveva gli occhi di ossidiana che l’aveva sempre cercata nei suoi sogni. Era stata felice di rivederli… erano stati come un bicchiere d’acqua fresca per il suo cuore inaridito… eppure quello sguardo nero aveva portato con sé anche ricordi dolorosi, ricordi di cui sapeva di essere la prima e vera causa, e invece di accogliere Severus con la felicità che le albergava nel cuore gli aveva gridato contro. Il sorriso che le si era aperto nel petto si era trasformato in parole di rancore nella sua risalita verso le labbra, in un estremo tentativo di mascherarsi.

Lui l’aveva salvata due volte e lei lo aveva ferito altrettante. Non è così che si ringrazia chi ti salva la vita, Lily Evans.

Una lacrima, ennesima, le scivolò lungo la guancia portando il verde dei suoi occhi a scolorire in una scia d’argento, mentre la sua mano continuava a sfiorare il viso di Severus.

“Don’t fear my Brave Prince,
I’m your Fiery Princess.”

Mormorò appena. Sapeva che stava sconvolgendo il testo della Ballata… ma la melodia la ricordava benissimo, ed ora era il suo principe ad aver bisogno di lei. No, non avrebbe dovuto temere il suo coraggioso principe… lei non lo avrebbe lasciato, non più… mai più.

“Don’t fear, it will be all right.”

Andrà tutto bene… le stesse parole di Albus poco prima.

“Andrà tutto bene…” Mormorò. E sapeva di stare mentendo, ma più che una certezza, quelle parole erano una speranza… una speranza che, molto probabilmente, sarebbe risultata vana, ma chi poteva impedirle di sperare.

Sperare… sperare che avrebbero ritrovato Harry, che avrebbero sconfitto Voldemort… che lei e Severus avrebbero potuto tornare ad essere gli amici che erano quando avevano tredici anni. Inseparabili.

Sorrise. Lei e Sev erano inseparabili… aveva creduto di averlo perso per sempre per uno stupido errore, e invece il fato aveva voluto di nuovo riunirli. E lei non avrebbe sprecato quella seconda possibilità che non aveva concesso a Severus… sarebbe stato un grave torto verso di lui, e lei non aveva alcuna intenzione di ferirlo ancora.

“Andrà tutto bene…” Mormorò un’ultima volta, sorridendo appena con le lacrime che scioglievano il verde speranza dei suoi occhi. La sua mano destra stretta intono a quella di Severus, la sinistra ad accarezzare l'impugnatura scura della bacchetta di mogano che premeva incoraggiante contro la sua gamba quasi a tentare di stringersi di più a lei.
 

*******


Ok, non sono granchè convinta di questo capitolo. C’è qualcosa che non va… ma non so che cosa… forse voi, da lettori esterni, riuscite a capire cosa.

Comunque… allora, spero che Rookwood vi sia piaciuto. Prima di iniziare il capitolo ho passato il tempo a sfogliare i libri di HP alla ricerca di informazioni. La cosa che mi è rimasta impressa, è che, sulla Gazzetta del Profeta, mentre gli altri Mangiamorte hanno delle espressioni da pazzi psicopatici, lui si guarda intorno annoiato. Dal che è derivata questa calma imperturbabile… poi non so se voi siete dello stesso parere. Inoltre pare davvero che fosse uno comunque affabile e che avesse buoni rapporti un po’ con tutti, tra l’altro era amico del padre di Ludo Bagman (il Bagman nominato nel capitolo). Essendo una spia, ho pensato che sarebbe stata la prima persona a cui potesse rivolgersi Lucius per entrare al Ministero.

Flik Bribable è un personaggio completamente inventato… comunque il suo cognome significa ‘corruttibile’, quindi potete immaginare tranquillamente il tipo.

Il titolo è stupidissimo... non so da dove sia saltato fuori, ma non mi è venuto in mente niente di meglio: sono negata con i titoli.

Va bene… aspetto le vostre recensioni, mi raccomando!

Alla prossima! 
 

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Capitolo 20
*** La veggente ***


Capitolo 20
 

LA VEGGENTE



Erano passati due giorni… due giorni e ancora la pozione non era pronta. Severus non si era svegliato. Era rimasto completamente incosciente per tutto il tempo con quella febbre che gli bruciava il corpo flagellato all’interno senza che nessuno potesse fare qualcosa per le sue ferite. Madama Chips era tornata più e più volte in quei giorni… sempre più preoccupata.

Lily sentiva l’ansia della Medimaga mischiarsi alla sua… lei che non poteva fare niente, solo rimanere accanto a Severus ad osservare Poppy Chips armeggiare tra bende e pozioni.

La ragazza si svegliò tutta dolorante, come al solito, per aver dormito sulla sedia accanto al letto di Severus. Si era addormentata stringendo la mano del giovane. Notò che fuori dalla finestra era ormai calato il buio… la terza notte in cui gli occhi brillanti delle stelle l’avevano colta accanto al ragazzo ferito da cui non si era mai allontanata, se non per degli spuntini frettolosi che due degli elfi domestici di Hogwarts si erano avvicendati nel portarle.  Due creaturine che si erano preoccupate sinceramente per lei… aveva visto il loro desiderio di fare qualcosa di più per lei nei loro occhi a boccia.

“Miss, è sicura di non voler altro?”

“Miss, dovrebbe mangiare qualcosa.”

“Miss, perché non beve un po’ di vino? La farà sentir meglio.”

Sorrise, ripensando alle voci stridule degli elfi che cercavano in ogni modo di farla mangiare. Ma lei non aveva fame. Il suo stomaco era richiuso su sé stesso, così come il cuore che batteva. ormai, soltanto nella speranza di vedere Severus aprire gli occhi.

Guardò il giovane accanto a lei: il petto bendato ansante sotto le lenzuola bianche, la pelle chiara scintillante alla luce delle candele dalla fiamma azzurra che adornavano il lampadario della camera la cui luce si rifletteva sulle gocce di sudore.

Albus Silente… di certo le normali candele che ondeggiavano nell’aria una lingua arancio non andavano bene per lui… no di certo, lui doveva avere le candele azzurre. Era Albus Silente, lui. Lily sorrise a quei pensieri ripensando al vecchio preside che era stato costretto ad accamparsi in soggiorno, dove aveva evocato frettolosamente un letto per non dover dormire sul divano.

 La giovane tornò ad osservare Severus e il sorriso le scomparve dalle labbra. Alcune gocce d’acqua scivolavano lungo le tempie del giovane dal panno bagnato che la Medimaga gli aveva messo sulla fronte, andavano perdendosi tra i suoi capelli neri mischiandosi al sudore caldo.

Lily cominciava a credere che non si sarebbe più svegliato… che non avrebbe più riaperto quegli occhi neri e profondi. Era stupido pensarla così, lo sapeva… Madama Chips le aveva assicurato che dopo aver bevuto la pozione sarebbe guarito in poco tempo. Fino ad allora, però, Lily era costretta a guardare il volto distorto dal dolore del giovane, senza poter fare nulla, senza sapere se avrebbero fatto in tempo a somministrargli la pozione.

Strinse forte la mano fredda di Severus… la mano che non aveva mai  lasciato in quei giorni. Ne accarezzò dolcemente il dorso con le sue dita. Detestava quella situazione, si sentiva così impotente, ferma sull’orlo di un baratro senza sapere se sarebbe caduta tra le sue fauci o se, invece, avrebbe potuto tirare un sospiro di sollievo nell’allontanarsi da quel bordo.

“Non è in pericolo di vita, signorina.” Disse la Medimaga entrando nella stanza e notando subito lo sguardo preoccupato di Lily.

“Vorrei poter fare qualcosa…” Balbettò Lily volgendo lo sguardo verso la donna.

“Lo so, signorina Evans: non fa che ripeterlo continuamente da due giorni, ormai.” Disse Poppy Chips avvicinandosi a lei e Severus.

Lily abbassò il capo e tornò a guardare Severus.

“Aguamenti.” Mormorò appena Madama Chips, puntando la bacchetta verso un catino appoggiato su una sedia di fianco al letto, sul lato opposto rispetto a Lily.

La Medimaga tolse con delicatezza il panno bagnato dalla fronte di Severus e lo immerse nell’acqua fresca e pulita che era comparsa, gorgogliando, nel piccolo bacile.

Lily sospirò mentre Poppy Chips strizzava appena il panno dopo averlo estratto grondante dall’acqua fredda. L’infermiera si voltò e si avvicinò a Severus ponendo la stoffa fresca di nuovo sulla sua fronte bollente.

Gli occhi di Lily osservavano senza interesse i movimenti della donna, gli stessi che aveva fatto ogni volta che era tornata in quella stanza.

La Medimaga sciolse con movimenti leggeri le bende che avvolgevano il petto pallido del giovane rivelando il segno rosso della bruciatura, ormai quasi del tutto guarita: soltanto una macchia rossastra di forma allungata, come una scudisciata di fuoco, che attraversava gran parte del torace di Severus e risaltava nel contrasto con la pelle selenica.

Le mani esperte della donna applicarono con delicatezza la polvere di dittamo sulla pelle ustionata, quindi bende pulite vennero ad avvolgere di nuovo il petto di Severus sotto il movimento della bacchetta.

Lily si sentiva mancare l’aria. Non sapeva se era a causa della sua ansia per le condizioni di Severus o se era per il fatto di essere rimasta due giorni chiusa dentro una piccola stanza, sempre seduta presso il letto. Forse entrambe le cose: per una come lei che aveva sempre amato stare all’aria aperta dover rimanere lì, ferma, ad osservare con la sua stessa preoccupazione che le riempiva la gola come acqua. Si sentiva annegare tra quei flutti… ma allo stesso tempo non voleva lasciare Severus.

“Se non si sente bene, signorina Evans, perché non esce da questa stanza?” Domandò la Medimaga mentre armeggiava con alcune boccette di pozioni.

Lily sollevò lo sguardo verso di lei con aria interrogativa, attirando un’occhiata stanca da parte di Poppy Chips.

“Non le fa bene rimanere qui… si è caricata troppa ansia, troppa tensione in questi giorni. Ha bisogno di distrarsi un po’.” Spiegò l’infermiera.

“No… -disse Lily scuotendo il capo. –No, io non ho bisogno… sto bene, davvero.”

“Signorina Evans… -Disse la Medimaga guardandola austeramente, - Mi pare che qui la guaritrice sia io. Ed essendo tale so riconoscere quando una persona ha bisogno di un po’ di aria fresca. Lei è qui, seduta, da due giorni… non si muove, mangia appena… non mi dica che sta bene perché non ci crederebbe nemmeno un troll.”

“Non mi allontano da lui.” Disse Lily fermamente.

“E quindi vuole mettere radici nella camera da letto del preside?” Domandò allora la donna.

“Ma è stato Silente a dirmi di non allontanarmi da lui.” Rispose la ragazza.

“Io non sono Silente… grazie al cielo!... e non voglio che i miei pazienti si raddoppino.” Disse Madama Chips.

“Ma io sto bene. Sono solo preoccupata per lui. Tutto qui.” Protestò Lily.

La Medimaga sopirò, ma non rispose. Si chinò e aprì la borsa nera che era sempre rimasta accanto al letto. Fece come per cercare qualcosa al suo interno.

“Uhm… -Mormorò la donna a un certo punto alzando il capo verso Lily. –Temo di aver dimenticato la Pozione Corroborante in infermeria…”

Lily la guardò, senza capire.

“Signorina Evans…” Cominciò Madama Chips.

“Vuole che gliela vada a prendere?” Si offrì Lily.

“Oh, grazie. La troverà nell’armadietto sulla sinistra, appena entrati nel mio ufficio.” Disse allora la Medimaga, accennando un sorriso.

“Ma…” Balbettò Lily, rendendosi conto che la guaritrice era riuscita a trovare un modo per allontanarla da quella stanza.

“Su, vada. –Le disse Madama Chips. –Sono le dieci passate, gli studenti sono tutti nelle loro Sale Comuni… spero che lo siano tutti.”

Lily si alzò con un sospirò, senza lasciare la mano di Severus e senza allontanare lo sguardo da lui.

“Vada, rimango io qui ad occuparmi di lui.” Disse la Medimaga cercando di incitare la ragazza ad allontanarsi… ragazza che sembrava pietrificata, assolutamente incapace di fare un solo passo per allontanarsi da Severus.

“Guardi, signorina: non sono un vampiro né un lupo mannaro… non mangio i miei pazienti.” Disse Madama Chips, burbera, mentre cominciava a perdere la pazienza.

Quelle parole parvero riscuotere un po’ Lily che si lasciò sfuggire un sorriso. Lasciò con malavoglia la mano fredda del ragazzo e voltò le spalle facendo qualche passo verso la porta. Ma quando si trovò davanti il legno scuro della stessa, non se la sentì di spingerla… di andare più in là. Sospirò e si voltò verso il letto: Madama Chips stava passando la bacchetta sul corpo di Severus mormorando appena un incantesimo che faceva scaturire un lieve bagliore indaco.

“Su. Vada, vada…” Fece la donna, senza voltarsi e agitando la mano verso di lei.

Lily sospirò e uscì dalla stanza. Quando Madama Chips sentì la porta richiudersi con uno scatto alle sue spalle, si concesse un lieve sorriso ed estrasse dalla borsa la Pozione Corroborante che, ovviamente, non aveva mai dimenticato.

***

Lily attraversò in fretta il caldo soggiorno illuminato soltanto dalla luce ondeggiante del caminetto che sfiorava, con quelle sue onde di acqua infuocata, il subbuglio che regnava in quella stanza come un vecchio aristocratico che osservava tutti con aria di sufficienza e si beava nel vedere i cuscini sparsi un po’ dovunque. Il letto, che Albus aveva frettolosamente addossato alla parete, sotto le finestre, era ancora disfatto, le coperte gettate in dietro che toccavano fiacche il pavimento. Una lunga veste color lilla giaceva gettata alla bell’e meglio su una delle poltrone, così come la camicia da notte che pendeva come una massa informe dal bracciolo del divano.

Albus si era dovuto allontanare in fretta e furia quella mattina e aveva lasciato tutto all’aria. Da quanto aveva capito Lily, era successo qualcosa al Ministero e c’era di mezzo Malocchio Moody. Silente non aveva detto di più: soltanto che doveva urgentemente recarsi al Ministero.

Chissà se era già tornato?

Probabilmente no, o sarebbe venuto ad accertarsi delle condizioni di Severus. Certo, a Lily sarebbe piaciuto sapere a cosa era dovuta quella fretta ansiosa che si era impadronita del preside quella mattina, ma era quasi del tutto sicura che Albus non avrebbe detto nulla… o per lo meno, sarebbe rimasto nel vago, parlando e parlando ma senza in realtà dire niente.

Infatti, quando la ragazza, dopo aver disceso la breve scala di pietra, sbucò nell’ufficio del preside lo trovò vuoto.

La giovane si soffermò un attimo ad osservare tutti quegli strani oggetti d’argento che tintinnavano sui loro scaffali. Sorrise nel ripensare a quante volte si era soffermata su quegli strani aggeggi, ogni volta, che era stata convocata per un motivo o per l’altro in presidenza, chiedendosi, con la curiosità di una ragazzina, a cosa mai potessero servire. Probabilmente tutti gli studenti che entravano in quell’ufficio venivano irrimediabilmente attratti da quei bizzarri congegni quanto lo era stata lei. Già, quegli strumenti tintinnanti erano la maggiore attrazione dell’ufficio del preside, subito dopo la fenice che accoglieva tutti i visitatori con il suo sguardo saggio e intelligente.

Lily gettò un’occhiata verso il trespolo di fianco alla scrivania, quasi con la speranza di vedere lo splendido uccello di fuoco osservarla con quei suoi occhi vispi, ma lo trovò vuoto. Probabilmente Fanny era uscita a farsi un giro… dopotutto non poteva rimanere sempre rinchiusa dentro un ufficio.

Si avvicinò alla preziosa e possente scrivania gettando un’occhiata indiscreta ai fogli sparsi su di essa. Erano tutti documenti della scuola, notò Lily, da quanto diceva l’intestazione con lo stemma di Hogwarts e il timbro in calce. V’erano poi alcuni libri impilati in un angolo, gettati da parte per far spazio alla marea di fogli che riempiva il ripiano della scrivania.

Lily notò che nell’ultimo libro della colonna era infilata una foto magica che il preside probabilmente usava come segnalibro. Se ne vedeva appena un angolo in cui guizzava il movimento di quello che sembrava un cappello da mago.

Se Lily Evans aveva un vizio, beh, quello era la curiosità. Si guardò appena intorno, quasi timorosa che qualcuno potesse vederla, quindi protese il capo verso il libro per leggerne il titolo che campeggiava con i suoi pesanti caratteri dorati sulla copertina di pelle blu scura.

Storia di Hogwarts.” Mormorò appena la ragazza, con un sorriso. Molto originale come lettura per il preside della scuola.

Lily tese allora le mani afferrando il grosso libro. Lo sollevò dalla piglia di suoi compagni e lo posò sulla scrivania aprendo le prime pagine. Scorse una dedica sulla prima pagina scritta in una grafia tonda, e vi si soffermò un attimo:

Con infiniti ringraziamenti per la collaborazione, dono la prima copia di questo libro al neo-preside della scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Albus Silente. Sperando che egli possa trovarlo una lettura completa e interessante.
Con affetto,
Garius Tomkink

Gli occhi verdi di Lily si illuminarono di meraviglia. Allora quella era la prima stampa!

Ripensò alla sua copia di “Storia di Hogwarts”: era diventato la sua lettura preferita da quando l’aveva comprato al terzo anno al Ghirigoro. La sua copia aveva una splendida stampa del castello sulla copertina, ma al quinto anno aveva dovuto avvolgerla in una carta colorata perché il gatto di una sua compagna Tassorosso le aveva fatto versare sopra il succo di zucca. Sorrise a quel ricordo, poi la sua attenzione ritornò alla foto pizzicata tra le pagine consumate. Aprì il libro al punto segnato e vide che corrispondeva al capitolo che trattava della Casa di Serpeverde. Curioso.

La giovane prese la fotografia tra le dita e guardò i quattro personaggi che salutavano… anzi, tre personaggi, che salutavano sorridenti. Sì, perché quel giovane coi lunghi capelli neri, che si trovava tra il vecchio con la lunga barba bianca e il cappello e la professoressa dall’aria severa, non sorrideva affatto, anzi, aveva l’espressione di uno che è stato trascinato a forza in quella foto.

Lily si lasciò sfuggire una risatina divertita. Certo che erano un bel quadretto familiare! Silente teneva un braccio saldamente intorno alle spalle di Severus, quasi nel tentativo di trattenere il ragazzo dallo sfrecciare via dall’inquadratura. La McGranitt aveva un sorriso da nobildonna sotto i suoi soliti occhiali quadrati che la mostravano per la professoressa inflessibile che era. Davanti ai tre, invece, stava la piccola figura di Brix, con i capelli bianchi sparati in ogni direzione e un caldo sorriso sul volto rugoso.

La ragazza girò la foto, cercando una data o un’annotazione. E infatti sorprese la grafia elegante e inclinata del preside dar forma a poche parole sul retro, scritte in fretta con una matita: Villa Silente 9 gennaio 1981.

Lily aprì il suo sorriso, lasciando che esso illuminasse anche la foto, che aveva di nuovo girato, quasi nel tentativo di donarlo al ragazzo che quasi stentava a riconoscere dietro a quegli occhi scuri cerchiati dalla sofferenza. Nove gennaio… allora l’avevano scattata per il ventunesimo compleanno di Severus.

Ricordava quanto festeggiavano insieme il suo compleanno. Solo loro due. Ma d’altronde, Severus non avrebbe mai voluto festeggiare se non con lei, anzi, lui non voleva affatto ricordare il giorno della sua nascita, ma puntualmente Lily riusciva a costringerlo a farlo. Lui si lamentava, ma, sotto sotto, la ragazza sapeva che gli faceva piacere.

Il suo ultimo compleanno che avevano passato insieme, era stato il 9 gennaio 1976. Sembrava lontano anni luce ormai, quel giorno… erano ancora in vacanza e ne avevano approfittato per stare tutto il giorno ad Hogsmeade.

Era stato il giorno in cui quelle che lei definiva le ‘stupide insinuazioni delle sue sciocche compagne di Casa’ le erano piombate improvvisamente addosso.

“E’ inutile che neghi: sei innamorata di Severus Piton. E’ lampante.”

“Sembrate due fidanzatini. E’ ovvio che provi qualcosa per lui.”

“E dai, Lil! Lo guardi in un modo certe volte!”

Ed osservando Severus, seduto davanti lei ad un tavolo dei Tre Manici di Scopa, che guardava fuori dalla finestra con aria assente le case e la strada imbiancate dalla neve, non aveva potuto impedirsi di pensare a come sarebbe stato se fossero stati qualcosa di più che semplici amici.

Lo aveva guardato senza osare dire una parola, mentre dentro di lei sentiva una cacofonia di emozioni che implodevano su loro stesse senza poter in alcun modo far mostra di loro sul viso o nella voce della ragazza.

Dov’era il coraggio dei Grifondoro? Non era nemmeno riuscita a dire a Severus quello che provava per lui. Ma era sicura di provare davvero qualcosa per lui? Beh, quella era una bella domanda.

“Pulce nell’orecchio, Evans?”

Lily si voltò di colpo, sussultando nell’udire quella voce spandersi improvvisamente nell’ufficio apparentemente vuoto del preside. Infilò di nuovo la fotografia nel libro e lo richiuse in fretta.

Si guardò intorno, cercando l’origine di quel suono, ma non vide nessuno. Per un attimo pensò di essersi immaginata quelle parole, ma poi i suoi occhi colsero, in alto, su uno scaffale alla sua destra, il Cappello Parlante con la piega che fungeva da bocca incurvata in su in un sorriso.

“Oh, ehm…” Balbettò Lily, non riuscendo a trovare le parole adatte.

“Per la verità, ne ho molte di pulci nell’orecchio.” Disse infine.

Il Cappello strinse le pieghe degli occhi con fare sospettoso.

“C’entra Severus Piton con i tuoi quesiti?” Domandò.

“Anche.” Rispose frettolosamente la ragazza.

“Ah… -Fece allora il Cappello. –Ci sono cose che bisogna capire da soli. Sono sicuro che il tuo cuore ha la risposta.”

Lily incurvò le labbra in un sorriso scettico.

“Magari l’avesse davvero!” Esclamò.

“Ah, vedi Evans, mentre per le altre due Case ciò che più conta è il cervello, per Grifondoro e Tassorosso è il cuore a tenere i fili che guidano le azioni della persona. Il cuore di un Grifondoro non sarà mai senza risposte.” Disse il Cappello con voce grave.

“Allora il mio non ha ancora trovato il momento adatto per rivelarmele.” Disse Lily tristemente.

“Oh, io invece credo che tu sappia benissimo qual è la risposta.” Rispose il Cappello.

Lily scosse il capo abbassando lo sguardo. Era così? Conosceva davvero la risposta? E allora che cos’era che le impediva di ascoltare ciò che il suo cuore aveva da dire?

E’ il tuo migliore amico. Disse una voce dentro di lei.

Sì, era il suo migliore amico… e lo era sempre stato. Ed ora che lo aveva di nuovo accanto a sé aveva paura di perderlo un’altra volta, aveva paura di ferirlo, di dirgli cose che lui avrebbe potuto non accettare. Aveva paura che parole dette di fretta, senza pensare, avrebbero potuto portarglielo via, avrebbero potuto spaventarlo, spingerlo ad allontanarsi da lei.

“Ah, vedi? Non imbavagliare il tuo cuore ed esso ti dirà tutto ciò che vuoi.” Disse la voce del Cappello.

“Ho paura che lui non…” Disse Lily, ma si interruppe non riuscendo a trovare le parole per continuare la frase.

“Vi ricordo… il vostro primo giorno, ho visto chiaramente il legame che c’era tra di voi. Sarò un cappello, ma certe cose non mi sfuggono. Ne ho visti tanti di ragazzi come voi… Ricordo anche molto bene il dispiacere di Piton quanto ti smistai a Grifondoro. Sai, ero molto tentato di mettere anche lui tra i rosso-oro, possiede una lealtà e un coraggio davvero ammirevoli…” Fece il Cappello.

“E allora perché non lo hai messo a Grifondoro?” Chiese Lily.

Sarebbe stato tutto così diverso se Sev fosse stato nella sua stessa Casa: niente influenze da parte dei purosangue di Serpeverde… niente litigio per quello stupido insulto detto con rabbia e rancore con tutte le conseguenze che aveva comportato. Chissà, forse, potendo essere sempre vicina a Severus avrebbe potuto sostenerlo di più, impedirgli di fare quelle scelte sbagliate che hanno rovinato tutto tra di loro. Se fosse stato smistato a Grifondoro di certo non avrebbe avuto quegli stretti rapporti con i Serpeverde. Se fosse stato smistato a Grifondoro non avrebbe avuto il loro rispetto… se fosse stato un Grifondoro sarebbe stato ancora più emarginato di quanto già non fosse… se fosse stato un Grifondoro avrebbe dovuto convivere sempre con James e la sua banda. Ma se fosse stato un Grifondoro lei avrebbe potuto sempre stargli vicino, proteggerlo da tutti e, soprattutto, da sé stesso.

“Penso che sia stato a causa di quella parte di lui che porta in sé l’astuzia e l’ambizione care a Salazar. Quella sua naturale propensione per le Arti Oscure… In ogni caso sono sicuro di aver fatto la scelta giusta: nonostante tutti i dubbi che sorsero in me quel giorno, ora sono sicuro: Severus Piton è un Serpeverde. C’è qualcosa di molto buio nell’animo di quel ragazzo… qualcosa che è stato lasciato libero troppo a lungo e che aspetta solo un po’ di luce.” Disse il Cappello.

Lily sorrise.

“Ma io, dopotutto, sono solo un cappello.” Concluse poi il copricapo con un ampio sorriso.

“Devo prendere la Pozione Corroborante per Madama Chips!” Esclamò Lily fiondandosi verso la porta dell’ufficio. Quelle sciocche domande che le aleggiavano in testa avevano avuto il potere di eclissare con le loro schiene curve tutti gli altri pensieri. Punti interrogativi gobbi e storpi che si accompagnavano a puntini di sospensione che portavano ogni pensiero nel rantolare asmatico del nulla.

“Oh, Evans… conosco Poppy Chips da anni. Sai, non penso che abbia davvero bisogno di quella pozione.” Le disse il Cappello dal suo scaffale mentre la giovane apriva la porta.

Lily si voltò appena verso di lui e sorrise: “No, non credo… ma prima torno con la pozione, prima posso tornare accanto a Severus.” Gli disse la giovane.

Il cappello accennò una piccola risata mentre la chioma rossa di Lily svaniva con un ultima fiammata oltre la soglia.

La ragazza si precipitò lungo la scala di pietra illuminata da alcune torce magiche che rilucevano dello stesso color celeste delle candele della camera del preside. Uscì nell’ampio corridoio di pietra sorvegliato dalla gigantesca volta gotica e dalle imperiture colonne che si scorgevano appena alla luce fioca che permeava da una grande vetrata alla fine del corridoio da cui la luna sbirciava annoiata, sfiorando appena la pietra splendidamente lavorata tra le cui pieghe sbadigliavano le ombre della notte. Ma Lily non aveva certo il tempo di fermarsi ad ammirare la maestosità dei corridoi che stava percorrendo con passo affrettato, dopo aver estratto la bacchetta frettolosamente per farsi luce. Non aveva certo intenzione di dar retta a quella schiera di figli della notte che sibilavano contro di lei. Lei, rea di disturbare i loro sabba ancestrali con il rumore dei suoi passi, rea di inquinare la perfetta penombra cheta come acque nebbiose con quella sua chioma di fuoco vermiglio. Si ritraevano ringhiando al passaggio della piccola luce azzurra della sua bacchetta, quella stessa luce che afferrava le grandi costole di pietra rapendo la loro ombra dagli inferi e agitandola di fronte agli occhi della giovane, come a fare mostra delle proprie prede, orgogliosa, salvo poi rigettare quei fantasmi dormienti nel buio da cui provenivano.

Lily svoltò con passo sicuro verso l’ala est, dove sapeva trovarsi l’infermeria. Erano passati due anni dall’ultima volta che era stata in quel castello, ma ricordava benissimo la strada attraverso quell’intrico di scale e corridoi. Le sembrava quasi di essere tornata a scuola… anzi, che il tempo non fosse mai passato, che lei avesse ancora quindici anni e ansimava per i corridoi di pietra cercando di sfuggire alle grinfie di Gazza o agli occhi scintillanti di Mrs. Purr. Per fortuna sia l’ingresso alla Torre del preside, sia l’infermeria si trovavano al primo piano, quindi non rischiava di venir trascinata chissà dove dalle scale nella loro mania di spostarsi a destra e a manca portando i malcapitati da tutt’altra parte rispetto a dove volevano andare.

Di certo, però, Lily non ricordava che il castello fosse così immenso. Quei freddi androni parevano non finire mai e fu con un sospiro di sollievo che i suoi occhi riconobbero il corridoio che portava alla porta dell’ufficio dell’infermiera.

E infatti si ritrovò presto davanti alla suddetta porta, e la luce pallida della bacchetta rivelò che essa era appena socchiusa. Lily si bloccò improvvisamente. Strano che Madama Chips avesse lasciato la porta aperta, non era affatto da lei. C’erano pozioni e infusi pericolosi negli armadietti dell’ufficio e la Medimaga si premurava sempre di chiudere bene la porta, onde evitare che qualche studente decidesse di curarsi da solo rischiando di finire gravemente intossicato.

La ragazza riprese fiato, avvicinandosi alla fessura della porta per cercare di capire se ci fosse qualcuno all’interno. E, in effetti, qualcuno doveva esserci perché Lily vide la luce azzurra di una bacchetta muoversi in uno slancio e lampeggiare attraverso la porta, poi udì chiaramente un tonfo sordo e il rumore di quella che sembrava una sedia che cadeva sul pavimento facendo un baccano madornale. Chiunque ci fosse nell’ufficio della Medimaga, di certo non era bravo a passare inosservato.

Lily si sporse ancora di più per cercare di sbirciare all’interno della stanza, ma non riuscì a cogliere granché: la luce della bacchetta si era spenta e regnava il buio più totale in quello studio, si sentivano soltanto dei farfugli incomprensibili da parte di quella che sembrava una voce femminile e dei rumori attutiti. La giovane decise che forse era meglio entrare a vedere chi stava facendo tutto quel baccano… dopotutto non rischiava niente: era ad Hogwarts, al massimo si sarebbe trovata davanti ad una studentessa.

Aprì la porta con attenzione e portò la bacchetta davanti a sé facendo luce all’interno della stanza. Trattenne a stento una risata quando vide la scena che le si presentava davanti agli occhi. A terra, che cercava di liberarsi dagli scialli perlinati che si erano impigliati in quella che doveva la sedia della Medimaga, e che era caduta facendo quel baccano assurdo poco prima, c’era una donna e non era di certo una studentessa.

Aveva sul capo una zazzera di capelli ricci trattenuti a stento da una fascia colorata, e degli occhiali spessi, che pendevano storti dal naso appuntito, che la facevano assomigliare ad una mosca. Indossava un lungo abito color ocra pieno di perline e fronzoli colorati, e almeno tre scialli luccicanti. Senza contare le innumerevoli collane e catenine che portava al collo e le decine di braccialetti e anelli. Cercava di liberarsi dalla sedia che tratteneva uno dei suoi scialli e intanto incastrava sempre di più le sue gambe tra quelle della suddetta sedia rivelando dei calzini spessi di lana colorata. E nel mentre farfugliava e borbottava tra sé e sé… e non si era nemmeno accorta che qualcuno le stava puntando contro una bacchetta.

“Mi scusi…” Tentò di dire Lily con voce insicura.

La donna sobbalzò all’udire la sua voce e puntò i suoi occhi verso la ragazza che la osservava dalla soglia della porta.

“Oh, mia cara ragazza… -Disse con voce vacua indicandola con l’indice teso. –Non lo sai che oggi porta male quel colore?”

Lily la guardò confusa per un attimo, poi capì che la donna, probabilmente, si riferiva al colore del suo maglione: un verde scuro.

“Aspetti, la aiuto.” Disse la ragazza, ignorando l’osservazione dell’altra ed avvicinandosi a lei, ma questa si ritrasse.

“No no no! Stammi lontana o sarò colpita dalla sfortuna.” Disse la donna.

Lily cominciò a credere che fosse pazza. Ci mancava ancora che lei andasse in giro a lanciare sugli altri la scalogna del maglione verde!

“Oh, la smetta. La vera sfortuna sarebbe rimanere lì per terra abbracciata ad una sedia.” Disse duramente Lily con uno sbuffo.

La maga parve riflettere su quelle parole, abbassando appena lo sguardo. Poi tossicchiò due volte e tornò a guardare la ragazza.

“Bene… bene… -Fece allora la donna con voce mistica. –Allora aiutami a liberarmi da questa trappola mortale.” Concluse indicando la sedia.

Lily si chinò per liberare lo scialle della donna che era andato a pizzicarsi per un angolo tra il bracciolo e lo schienale di legno.

“Del resto il mio oroscopo di oggi mi aveva messo in guardia verso gli oggetti con quattro gambe.” Sospirò la donna mentre Lily la aiutava a rimettersi in piedi. La ragazza roteò gli occhi con fare esasperato. Cominciava a pensare che quella fosse la nuova insegnante di Divinazione: a quanto pareva tutte le persone che insegnavano quella materia avevano seri problemi psicologici… secondo lei.

Una volta che la donna fu finalmente in piedi e si fu riassettata gli scialli perlinati, si voltò verso la ragazza e la indicò nuovamente con aria interrogativa. Le ci vollero trenta secondi buoni prima di formulare la frase, durante i quali la donna pareva essersi persa in un mondo tutto suo.

“Non sei una studentessa, mia cara, vero?” Disse infine.

“No… cioè, lo sono stata, ma ho finito la scuola due anni fa.” Rispose Lily mentre con un colpo di bacchetta faceva tornare la sedia al suo posto e accendeva le luci nell’ufficio.

“Oh… io sono la professoressa Cooman.” Disse la donna avvicinandosi a lei con occhi stralunati e andando a sbattere contro l’angolo della scrivania di Madama Chips.

Lily trattenne a stento un risolino.

“Insegno Divinazione. La nobile arte della Divinazione.” Aggiunse la professoressa come se non fosse accaduto nulla. Ecco, questo confutava le teorie di Lily: tutti gli insegnanti di Divinazione erano fuggitivi del reparto di lungodegenza del San Mungo.

“Io sono Lily Evans.” Si presentò allora Lily porgendo la mano alla donna. Questa guardò il palmo teso verso di lei senza far nulla, gli occhi spalancati come in trance. Poi fece un balzo indietro come se si fosse scottata a contatto della pura e semplice aria che attorniava Lily.

“Oh, mia cara ragazza!- Esclamò appoggiandosi al ripiano della scrivania. –Mia cara ragazza…” Sbatteva le palpebre sui suoi occhi da insetto, diventati enormi dietro le lenti spesse degli occhiali che si era aggiustata sul naso. Le tremavano le labbra e aveva preso a stropicciarsi le dita. Lily la guardò sollevando le sopracciglia in un’espressione allibita chiedendosi seriamente da dove diavolo Silente avesse tirato fuori quella tipa.

“Mia cara… vedo un’aura oscura intorno a te. Terribili avvenimenti… presagi di oscurità. Sei in grave, grave pericolo…” Disse poi la professoressa Cooman.

“Povera, povera ragazza…” Continuò a borbottare mentre Lily la guardava assolutamente incredula.

“Mi scusi… ma se potessimo tralasciare questo genere di cose…” Cominciò la giovane, ma non potè terminare la frase che la professoressa le si era appropinquata con un balzo felino avvicinando il suo viso tanto che i loro nasi si sfioravano.

Lily cercò di allontanare il volto da quello della Cooman, soprattutto per evitare la ventata di alcool che permeava l’alito della donna. La professoressa non doveva andarci leggera con i cicchetti… e questo spiegava anche molte cose.

“Genere di cose?! –Esclamò la professoressa. –L’Occhio Interiore vede tutto! E tutto va visto attraverso di esso!”

“Sì, professoressa. Posso, però, chiederle, come mai è venuta nell’ufficio di Madama Chips?” Chiese Lily. 

“Mia cara… vedere attraverso l’Occhio Interiore porta via molte energie e, purtroppo, questa sera, dopo aver fatto la serale lettura dei tarocchi, sono stata preda di un attacco di emicrania.” Disse la professoressa allontanandosi di qualche passo da Lily.

Occhio Interiore? Probabilmente aveva esagerato con la grappa quella sera.

“E’ venuta a cercare una pozione contro il mal di testa?” Fece Lily.

“Oh, cara ragazza! –Disse la donna osservandola con aria offesa. –Non crederai che avessi intenzione di rubarla! Assolutamente!”

“Non ho mai detto questo.” Disse Lily balzando sulla difensiva.

“Devi fare attenzione, ragazza mia… il sette porterà seco grande dolore.” Disse la professoressa.

Lily scosse il capo con fare rassegnato e sia avvicinò all’armadietto alla sinistra della porta. Aprì le due ante e si ritrovò davanti a lunghe e ordinate file di boccette di diverse dimensioni, tutte perfettamente etichettate con il nome della pozione che contenevano.

La ragazza passò a rassegna i cartellini, mentre la professoressa Cooman si accomodava sulla sedia sospirando rumorosamente. Lily individuò ben presto la pozione contro l’emicrania e prese la piccola ampolla di vetro blu. Si voltò verso la donna seduta e le si avvicinò tendendole la pozione.

“Tenga… è questa che cercava, no?” Disse la giovane.

La Cooman si voltò verso di lei e i suoi occhi si illuminarono nel vedere la boccettina che le porgeva la ragazza.

“Oh… -Fece allungando la mano tremante per afferrare la boccetta. –Oh, mia cara ragazza. Grazie. Grazie.”

La donna stappò la pozione producendo un sonoro schiocco e ne bevve un grosso sorso con un forte rumore di risucchio. Quindi allontanò la bottiglietta di vetro dalle labbra e la richiuse passandosi poi la lingua sulle labbra con una smorfia.

Nel frattempo, Lily era tornata a cercare tra le bottigliette dell’armadio cercando la Pozione Corroborante. E ne trovò, infatti, una boccetta mezza piena nell’angolo del ripiano più alto. Protese il braccio per afferrarla e quindi l’appoggiò sulla scrivania mentre riprendeva la pozione della Cooman e la rimetteva al suo posto richiudendo l’armadietto.

“Sei stata molto gentile, ragazza mia. –Disse la professoressa Cooman. –Sai, in questo castello sono tutti dei barbari ignoranti che non capiscono la nobiltà e la perfezione dell’arte del divinare.”

Lily la guardò trattenendo un sorriso.

 “Devo portare la pozione a Madama Chips. –Disse poi la giovane, afferrando la boccetta che aveva lasciato sulla scrivania. –E’ stato un piacere conoscerla.”

Fece poi per fare un primo passo verso la porta, ma una voce alle sue spalle la bloccò.

Egli verrà.”

Lily si voltò di scatto: la professoressa Cooman si era improvvisamente irrigidita contro lo schienale della sedia. Le sue mani tremavano con violenza e sui suoi occhi da insetto era calato un velo bianco che mascherava il colore verde-azzurro delle iridi sfumandolo in un grigio nebbioso.

Poi, dopo un rantolo, la professoressa parlò, dando suono ad una voce rauca, metallica così diversa da quella mistica e calda che aveva poco prima.

“Quando i suoi nemici si riuniranno sotto lo stesso tetto, l’Oscuro Signore verrà e sulle sue labbra gusterà il dolce sapore dell’inganno.
Le sue condizioni saranno il suo guadagno ed avrà tutto con nulla.
Colui che lo lasciò tornerà al suo fianco ed egli lo legherà a sé con catene maledette.
Le porte di Hogwarts si apriranno amiche dinnanzi al ladro e sue saranno le mani che reggeranno la lama fatale.”

Lily la guardò spaventata, senza sapere cosa fare. La testa della professoressa ciondolò appena, come se stesse per addormentarsi, ma dopo poco parve riscuotersi ed i suoi occhi si alzarono verso la ragazza mostrando nuovamente le grandi pupille nere e le iridi verdi.

“Queste pozioni… pare che abbiano tutte degli effetti soporiferi. Devo essermi appisolata.” Disse la professoressa con voce vaga. Poi vide l’espressione allucinata sul volto di Lily e le sue sopracciglia si inclinarono interrogative.

“Qualcosa non va, mia cara?” Chiese.

“Ha… -Balbettò Lily. –Ha parlato del Signore Oscuro.”

La Cooman la guardò allibita.

“Il Signore Oscuro?– Ripetè. –Mai! Come puoi credere che io abbia fatto il suo nome? Porta male.” Disse guardandola seriamente.

“Mi… mi scusi. –Balbettò Lily. –Devo aver capito male.”

“Ma è ovvio che è così!” Esclamò la professoressa.

Lily non osò dire altro. Voltò le spalle alla donna e uscì da quell’ufficio diventato, improvvisamente asfissiante, cercando l’aria fresca dei corridoi. Se ne andò, lasciando la professoressa Cooman confusa e stupita dal suo comportamento, ad osservarla allontanarsi attraverso la porta aperta.

 

*******
 

Et voila! Nous avons une nouvelle prophétie!

Vabbè, non facciamo finta di sapere il francese, perchè non è vero. Giusto quattro parole in croce.

Ebbene? Questo capitolo è stato abbastanza denso? Rispetto al capitolino misero della volta scorsa, 'sta volta penso proprio di aver tirato fuori qualcosa di buono.

Tra parentesi, adoro Sibilla Cooman! E’ uno dei miei personaggi preferiti. Non ho resistito: ho dovuto inserirla!

Il fatto che dica di essersi addormentata dopo aver detto la profezia è tratto dal Prigioniero di Azkaban, quando, durante l’esame di Harry recita la profezia su Codaliscia. Tra l’altro, mi pare la cosa più naturale per una che, per qualche istante, non ricorda ciò che ha fatto. Stessa cosa per la battuta di Lily: "Ha parlato del Signore Oscuro."

La profezia non è venuta come volevo, ma non sono granché con le profezie.

La battuta del Cappello Parlante (“Pulce nell’orecchio, Evans?”) probabilmente vi suonerà familiare perché è la stessa della Camera dei Segreti, solo che lì era Potter e non Evans.

Fatevi sentire! E grazie in anticipo!
 

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Capitolo 21
*** La decisione di Lucius ***


Capitolo 21
 

LA DECISIONE DI LUCIUS


 

Lucius Malfoy si appoggiò stancamente all’angolo di una casa, tirando un respiro di sollievo nell’uscire dalla folla che riempiva la via principale di Diagon Alley. Com’era possibile che ci fosse sempre una simile folla?

L’incantesimo di disillusione stava lentamente perdendo la sua efficacia e i suoi capelli erano tornati lunghi e lisci, pur se ancora macchiati da fili castani. Il pizzetto era scomparso, lasciando il viso nuovamente ben levigato. In ogni caso, l’incantesimo aveva adempiuto al suo scopo: nell’andirivieni del Ministero nessuno aveva fatto attenzione a lui, in special modo, era riuscito a passare inosservato sotto gli occhi attenti degli auror. Cosa che di certo non sarebbe avvenuta se si fosse recato al Ministero con la sua solita fisionomia: i suoi capelli lunghi e biondi erano fin troppo riconoscibili. Ma con un colpo di bacchetta si risolve tutto. Un cambio al colore alla capigliatura, un taglio corto, un bel pizzetto curato ed ecco che Lucius Malfoy lasciava il posto a Domizius Max.

Domizius Max… e quell’ebete di Bribable ci aveva perfino creduto. Che tipo! Gli era bastato nominare i galeoni perché quell’ometto con i lunghi mustacchi bianchi gli lasciasse fare i suoi comodi. Trecento galeoni gli aveva spillato… che sommati ai duemila con cui aveva pagato Rookwood significavano duemilatrecento galeoni. Duemilatrecento galeoni! Ma l’informazione su cui era riuscito a mettere le mani li valeva davvero? Forse sì…

Era andato tutto bene… se non fosse per lo scherzetto di cattivo gusto che gli aveva tirato il vecchio Rookwood. Lurida carogna!

Già quel Flik Bribable non gliela contava giusta con tutte quelle domande… poi, dopo essersene andato con la sua preziosa informazione ecco che quello strano ometto calvo gli sfreccia affianco e si fionda in un pub sul lato destro della strada principale di Diagon Alley.

Lo aveva seguito e… oh, che dolce visione! In quel momento avrebbe avuto voglia di strozzare Rookwood. Bah…

Malfoy attese un attimo che i suoi capelli riacquistassero l’amato biondo platinato, osservando con alterigia il suo riflesso nella vetrina del Ghirigoro. Si aggiustò con cura la sciarpa di seta blu che gli avvolgeva il collo pallido come un serpente fedele e si lisciò alcune pieghe del lungo pastrano blu notte, ponendo particolare cura nel rimuovere un capello biondo dalla manica sinistra per poi lasciarlo cadere, fluttuante, a terra.

Prese un profondo respiro mentre si dava un’ulteriore rassettata, poteva dirsi soddisfatto di quella giornata… a parte lo scherzetto di Rookwood, non era andata così male, anzi. Si smaterializzò tra l’indifferenza della gente lasciando dietro di sé solo il vago ondeggiare del lungo mantello.

***

Narcissa Malfoy era alla finestra… la grande finestra della cameretta di Draco. I suoi occhi azzurri vagavano al di là, nella caligine opprimente della notte.

Lucius era uscito quella mattina, aveva detto che finalmente Rookwood aveva trovato il momento adatto perché lui potesse entrare al Ministero, ed ormai, era tutto il giorno che suo marito non si faceva vedere. Aveva paura… paura che gli fosse successo qualcosa.

Lucius stava rischiando troppo. Troppo. E lo stava facendo per lei. Quanto tempo sarebbe passato prima che il Signore Oscuro avesse scoperto tutto?

Scosse il capo sconsolata. Ma cosa le era saltato in mente? Era ovvio che quell’atto sarebbe stato una palese sfida al Signore Oscuro. Voldemort non l’avrebbe tollerato… mai. Eppure, non aveva esitato, in quel momento, quando Lucius era tornato da Godric’s Hollow, le era sembrata la cosa più giusta da fare. Non si era resa conto… non aveva preso in considerazione il fatto che avrebbe messo in pericolo la vita di suo marito e di suo figlio. Aveva messo sulle spalle di Lucius un fardello troppo pesante, ma lui non aveva esitato a prenderlo, non si era lamentato sotto quel peso… e questo perché era stata lei a caricarglielo. Lei.

Ed ora, erano entrati tutti e tre nel vortice che lei stessa aveva creato. L’Oscuro Signore non avrebbe esitato a minacciare la vita di Draco se avesse sospettato… non avrebbe esitato ad ucciderli tutti se avesse saputo.

Com’era possibile che una cosa così piccola fosse così gravosa?

Si voltò, allontanando gli occhi di perla splendente dalla polvere nera del buio. Draco dormiva placidamente nella sua culla, le manine serrate a pugno che ogni tanto si muovevano nel tentativo di afferrare le fatue farfalle colorate che danzavano nei suoi sogni.

Narcissa sorrise, nonostante il peso che le gravava sul petto. Si avvicinò al piccolo addormentato e gli passò dolcemente la mano sulla guancetta soffice. Sorrise dolcemente, mentre guardava il suo bambino ignaro di ciò che gli accadeva intorno, ignaro delle preoccupazioni dei genitori, ignaro del pericolo che correva. Si strinse lo scialle sulle spalle sospirando.

Rivolgersi a Silente. Quello era da tempo il suo pensiero. Forse doveva parlarne a Lucius: Silente era l’unico che poteva aiutarli, che poteva proteggere Draco. Non potevano rimanere sul filo del rasoio, non potevano camminare su e giù lungo il confine senza avere il coraggio di superare la linea o di tornare alla corte del loro re. No. Dovevano prendere una decisione.

“Milady?” Fece una voce acuta.

Narcissa allontanò lo sguardo da Draco e lo portò sull’elfo domestico che se stava sulla porta, osservandola con deferenza.

“Che cosa c’è?” Domandò Narcissa.

“Padron Lucius è tornato, milady.” Disse semplicemente l’elfo, ma la semplicità di quelle parole ebbe il potere di riscaldare improvvisamente il cuore della donna. Narcissa diede un ultimo buffetto al suo bambino quindi raggiunse in breve la porta e si precipitò lungo le scale di marmo sotto gli occhi lucidi del piccolo elfo.

***

Lucius sbuffò appena mentre richiudeva dietro di sé la porta della sua magione. Ebbe, tuttavia, a malapena il tempo di voltarsi che due braccia calde gli si avvolsero intorno al collo e i capelli biondi di Narcissa gli solleticarono il mento mentre la donna premeva il viso contro la sua spalla, quasi in un esacerbata ricerca di calore, avvolta in un tiepido ampio sospiro di conforto.

Malfoy ricambiò l’abbraccio, dopo un attimo di sorpresa, avvolgendo la vita della moglie con le sua braccia forti. Poggiò il suo capo a quello di Narcissa avvertendo l’ansia della donna che, mano a mano, evaporava nel suo calore.

“Cissy…” Mormorò Lucius dopo un po’.

“Dobbiamo chiudere questa faccenda, Lucius.” Gli rispose Narcissa, senza allontanarsi dal suo abbraccio.

“Sì. –Concordò Malfoy. –Dobbiamo chiudere la faccenda. Ma non possiamo fare mosse affrettate… oggi ho scoperto qualcosa.”

Narcissa scostò appena il viso dalla spalla del marito per poterlo guardare in volto.

“Cos’hai scoperto?” Chiese.

Lucius sospirò e sciolse l’abbraccio guardando accorato la moglie.

“Non dovrei dirtelo…” Disse.

“Smettila, Lucius. –Gli rispose allora Narcissa, -Ci sono dentro anch’io… non puoi proteggermi per sempre. E’ stata colpa mia… ti prego…”

Lucius si allontanò di pochi passi da lei, indeciso. Fece alcuni passi avanti e indietro, pensieroso.

Che doveva fare ora? Narcissa aveva ragione… forse… forse aveva il diritto di sapere cosa combinava suo marito, no?

“Rookwood. –Disse allora, quasi in un ringhio. –Pensava di giocarmi un brutto tiro. Quel Flik Bribable con cui dovevo parlare, collabora con l’Ordine della Fenice. Dopo che ho laciato il Ministero, l’ho visto sfrecciare lungo la strada principale di Diagon Alley e precipitarsi in un pub. E sai con chi ha parlato in quel locale? Alastor Moody. In ogni caso mi è riuscito di carpire un’importante informazione.”

“Cos’hai scoperto?” Chiese Narcissa.

“Silente possiede una villa in Scozia. Ora ne conosco l’esatta posizione, e, se non mi sbaglio, è attualmente il punto di ritrovo dell’Ordine della Fenice. Se giocata bene, questa informazione può assicurarmi ancora una posizione di rilievo accanto al Signore Oscuro… non avremo da temere, Cissy, -Disse poi con enfasi, avvicinandosi alla moglie e posandole le mani sulle spalle. –L’Oscuro Signore vuole Severus… e io so dove Silente può nasconderlo. E non solo lui, anche Lily Evans.”

Narcissa lo guardò, seriamente, quasi sconvolta da quanto aveva appena detto il marito.

“Vuoi vendere Severus al Signore Oscuro? –Disse facendo un passo indietro. –E’ questo che vuoi fare?”

Lucius rimase confuso da quel movimento di Narcissa.

“E’ l’unico modo, non capisci?” Disse.

Cissy scosse il capo.

“So io qual è la soluzione. –Disse. –Devi andare da Silente. Devi dirgli tutto. E’ questo l’unico modo. Ti prego Lucius,cerca di capire… Silente è il solo che può aiutarci in questo momento. Ho sbagliato… ho sbagliato, è stata colpa mia, mia e del mio… oh Merlino! –Lacrime amare presero a scorrerle lungo le guance. –Ti prego. Contatta Silente… contatta Lily Evans. Lei deve sapere.”

Lucius guardò la moglie. Capiva la sua ansia molto bene. Ma che poteva fare? Rivolgersi a Silente? Già immaginava i festoni appesi e i membri dell’Ordine che lo accoglievano con mazzi di fiori.

“E’ ancora presto per Silente.” Concluse, infine, dando voce a ciò che i suoi pensieri erano giunti.

“Cosa farai, allora?” Gli chiese Narcissa.

“Quello che era già mia intenzione. Riferirò ciò che ho scoperto all’Oscuro Signore. Non so bene, ma penso che abbia un particolare progetto sia per il bambino Potter che per Severus… anzi, temo che Severus sarà lo strumento.” Disse Lucius.

“Come lo sai?” Domandò sua moglie.

Lucius sospirò: “Non lo so. E’ un presentimento.” Disse.

***

Lily si affrettava lungo i gelidi corridoi di Hogwarts. La voce ambigua della professoressa Cooman si agitava con un cavallo impazzito nella sua mente, scalciando a destra a manca, costringendo gli altri pensieri a scostarsi, a stringersi negli angoli per evitare quelle parole impazzite.

Colui che lo lasciò tornerà al suo fianco…

Non poteva riferirsi a Severus. Severus non sarebbe mai tornato da Lui… mai… Lo sapeva, ne era certa. Non Severus. Lei non l’avrebbe permesso, era con lui ora…. Non gli avrebbe mai più permesso di ripetere gli errori del passato.

Ma se non si riferiva a Severus, a chi altri? Non sapeva cosa pensare.

Peter…

Quel nome improvvisamente aleggiò come un vecchio biglietto a lungo dimenticato nella sua mente.

Peter…

No. Non poteva neanche essere lui. Non era mai stato un seguace di Voldemort, era loro amico, era un membro dell’Ordine… no.

Malfoy?

Scosse il capo. No, non aveva alcuna certezza che Lucius avesse lasciato il suo signore. No, non era lui.

Peter…

Ma perché quel nome continuava a tornare? Possibile? Possibile che li avesse traditi consapevolmente? Possibile che il vecchio amico di James fosse un Mangiamorte?

…ed egli lo legherà a sé con catene maledette.

Che cosa voleva dire? Cos’erano le catene maledette?

Le porte di Hogwarts si apriranno amiche dinnanzi al ladro…

Ecco, questa era la parte più oscura della profezia. Il ladro… chi era? Si intendeva un ladro vero, nel vero senso della parola, oppure era una definizione più ampia?

Le porte di Hogwarts si apriranno amiche…

Significava che il ladro era un amico, oppure che veniva reputato un amico, ma in realtà non era così? E poi la lama fatale… che cosa intendeva?

Lily scosse il capo. Era inutile tentare di capire cose che devono ancora verificarsi se non si conosce la chiave per leggerle. E’ come cercare di tradurre un testo straniero senza conoscerne la lingua. Forse Silente avrebbe capito qualcosa di più… ma era davvero sicura di volerglielo dire? Avrebbe fatto qualcosa, o si sarebbe limitato ad alzare le spalle e passare oltre?

Non sapeva cosa pensare di Silente… dopo che aveva scoperto qual era il suo piano riguardo ad Harry, la sua fiducia in lui era miserevolmente calata. Niente. Non avrebbe fatto niente! Era suo figlio quello là fuori, da solo… un bambino di appena un anno… e Silente non avrebbe mosso un dito.

Forse era meglio tenere la profezia per sé, per il momento. Ne avrebbe parlato a Severus, non appena si fosse svegliato… lui avrebbe potuto aiutarla, e lo avrebbe fatto genuinamente, senza l’ipocrisia di Albus Silente a sporcarne le intenzioni.

Se solo la profezia avesse accennato qualcosa ad Harry! Harry, il suo bambino… chissà dov’era in quel momento. Chissà se stava bene. Tutto ciò che le era rimasto della sua famiglia. Suo figlio…

I puntini di sospensione dei suoi pensieri si interruppero bruscamente quando la ragazza, svoltato l’ennesimo angolo, andò a sbattere contro qualcosa… anzi, qualcuno.

“Signorina Evans! –Esclamò una voce. –Faccia attenzione!”

Lily si riscosse giusto in tempo per vedere gli occhi scuri del suo ex-insegnante di Pozioni, osservarla contrariati.

“Mi scusi, professore.” Disse allora la ragazza, leggermente in imbarazzo. Le sembrò di essere tornata indietro nel tempo, all’epoca delle sue scappatelle notturne insieme a Severus.

“Dieci punti in meno a Grifondoro, signorina Evans!” Esclamò Lumacorno sorridendo.

Ecco, quella era proprio la frase che si sarebbe aspettata allora dopo essere andata a sbattere contro un insegnante in pieno coprifuoco. Ma ormai non era più una studentessa, e sorrise a sua volta nell’udire quelle parole.

“Dove se ne va in giro di notte per il castello?” Chiese Lumacorno.

“Oh… ero andata a prendere della Pozione Corroborante per Madama Chips.” Rispose Lily.

“Ah, la cara Poppy Chips. E’ così è riuscita ad allontanarti per un po’ da Severus, eh?” Fece Lumacorno con aria furba.

Lily sorrise.

“E lei? –Chiese al professore. –Ronda notturna?”

“No!- Rispose Lumacorno. –Dopo aver passato notti insonni a prepararla, ho finalmente finito la pozione per Severus. E la stavo appunto portando a Poppy.”

Il cuore di Lily fece un tuffo.  Lo diceva così? Come fosse una cosa di tutti i giorni? Oh Merlino! Non sapeva nemmeno se crederci o no… finalmente Severus sarebbe guarito. Avrebbe potuto scusarsi pienamente con lui per quello che gli aveva fatto, ringraziarlo per averla salvata. Forse, avrebbe potuto chiarire quell’indovinello che erano diventati i suoi sentimenti. Forse, finalmente, avrebbe potuto ritrovare il filo della sua anima che era andato inesorabilmente strappandosi quella notte a Godric’s Hollow… aveva il suo migliore amico al suo fianco ora, non poteva permettere che il dolore che continuava ad albergare in quell’angolo del suo cuore svuotato dopo quella terribile sera, potesse fungere da muro tra lei e Severus.

Non avrebbe mai più riavuto l’allegria di James… ma Harry, Harry avrebbe ancora potuto rivederlo. Severus, lo sapeva, avrebbe fatto di tutto per ritrovarlo e lei sarebbe stata sua complice, sempre, a qualunque costo. Ora non poteva far altro che seguire le direttive di Silente, ma appena Severus si fosse rimesso avrebbe potuto, insieme con lui, rimettersi in cerca del suo bambino.

Era dentro ad un tiro alla fune. Erano tutti in un tiro alla fune… Voldemort era a un capo e Silente all’altro, finchè entrambi tiravano, la corda era in tensione e tutti coloro che si trovavano in mezzo erano costretti a rimanere in equilibrio su di essa… lei, Severus, Harry… Finchè loro tiravano, gli spettatori sapevano chi tifare, gli equilibristi come muoversi. Ma ora, sia Voldemort che Albus avevano abbandonato i rispettivi capi, avevano lasciato cadere la fune immergendo tutti in un silenzio che assorbiva la tensione della corda stessa e soffocava con le sue dita scheletriche tutti gli spettatori. Gli equilibristi erano persi, senza punto di riferimento, se ne stavano seduti a terra guardando uno dei capi abbandonati della fune, in un malsano desiderio che la sfida tornasse a farsi di fuoco.

“Tutto bene, Lily?” Chiese il professore vedendola pensierosa.

“Sì. Non potrebbe andare meglio.” Rispose lei.

Lumacorno fece qualche passo, incamminandosi lungo il corridoio di pietra e Lily lo seguì, affiancandosi a lui, entrambi diretti alla torre del Preside.

Camminarono, così, fianco a fianco per un lungo tratto, la luce azzurra della bacchetta di Lily ad illuminare i loro passi.

“Impiegherà molto a fare effetto?” Chiese ad un certo punto Lily, riferendosi alla pozione.

“Oh, oh no. No. Poche ore. Domattina il nostro Severus si sveglierà come se non fosse successo niente.” Rispose Lumacorno.

“E’ davvero così prodigiosa?” Chiese Lily, scettica.

Lumacorno ridacchiò appena. “No. Ovviamente gli ci vorrà un po’ a riprendersi del tutto, ma con molta probabilità domani potrà già alzarsi dal letto. Poppy ha fatto un ottimo lavoro. Rodolphus Lestrange non ci è andato leggero con quel povero ragazzo, se Poppy non fosse intervenuta presto, probabilmente non ce l’avrebbe fatta… ma non è andata così, dico bene?” Disse.

Lily accennò appena ad un sorriso. Quell’ultima considerazione non le era piaciuta poi così tanto.

Raggiunsero in fretta il possente gargoyle che sorvegliava la scala alla torre del preside e li osservava con aria sospettosa aspettando che uno dei due dicesse la parola d’ordine.
“Api Frizzole.” Disse infatti Lumacorno, e il gargoyle accennò appena col capo prima di spostarsi di alto rivelando la ripida scala a chiocciola di pietra.

***

Madama Chips bagnò un’altra volta il panno bianco prima di posarlo nuovamente sulla fronte bollente di Severus. Sperava solo che Horace finisse in fretta la pozione… non sapeva quanto a lungo avrebbe potuto tener sotto controllo quella febbre. Il suo corpo si ribellava alle ferite ancora aperte che ne bruciavano le carni. Subito aveva temuto che avrebbe dovuto tenere il ragazzo sotto sedativi… invece non ce n’era stato bisogno. Severus era piombato nel coma. Forse era stato meglio così.

Sospirò, passando appena una mano sulla guancia del ragazzo resa ruvida dal lieve accenno nero di barba che era cresciuto in quei tre giorni, nascondendo la sua pelle diafana.

La porta si aprì e Poppy ritirò in fretta la mano mentre si alzava volgendo il viso verso i nuovi arrivati. I suoi occhi si illuminarono, raggiungendo quasi lo scintillio felice di quelli di Lily, mentre li posava sulla boccetta verde che le mostrava trionfante il professor Lumacorno.

“Presto. Presto!” Disse la Medimaga facendo cenno con la mano ai due di avvicinarsi.

Lily si sedette sulla sedia che aveva occupato per tutti quei giorni e sorrideva come una bambina a Natale trattenendo il respiro, che macchiava di trepidazione quel sorriso, mentre Horace stappava l’ampolla con un movimento esperto e la passava a Madama Chips. Si dimenticò completamente della Pozione Corroborante che aveva ancora in tasca.

Madama Chips sollevò con dolcezza il capo di Severus avvicinando la boccetta alle sue labbra, lasciò che la pozione scivolasse lungo la gola del giovane che tossicchiò appena macchiandosi il mento con alcune gocce azzurre.

L’infermiera si concesse un sorriso mentre poggiava nuovamente il capo di Severus al cuscino e ne pulì la bocca dalle gocce di pozione con un fazzoletto bianco.

“Lasciamolo riposare. – Disse allora la Medimaga al professor Lumacorno mentre poggiava l’ampolla vuota sul comodino. –La pozione farà effetto presto. Domattina starà meglio.”

“Suppongo che la signorina Evans gli farà buona guardai.” Osservò Horace.

“Senza dubbio. –Concordò Madama Chips. –Io, in ogni caso, penso che passerò la notte i soggiorno, visto che il preside non si è fatto vivo. Non mi va di lasciarvi da soli.”

Lily annuì. Ma era ancora troppo felice all’idea di riavere il suo migliore amico, l’unico che con la sua presenza riusciva a farle pesare di meno il dolore per la perdita di James e l’ansia per il suo bambino, che non si accorse nemmeno che Poppy e Horace se n’erano andati, lasciandola da sola con Severus.

La ragazza passò una mano tra i capelli del giovane mentre tornava a stringere fermamente la sua mano. Si ricordò della boccetta di pozione nei suoi pantaloni e infilò la mano in tasca estraendola. Ne guardò i riflessi bluastri che si rincorrevano sul vetro e sorrise prima di posarla a terra e tornare a sfiorare i capelli di Severus con dolcezza.

 

*******

 

Dite la verità: non pensavate che avrei aggiornato così  presto, eh?

Mi sentivo in colpa… volevo mettere già in questo capitolo il risveglio di Severus, ma Lucius ha rubato la scena e non volevo farvi aspettare dieci giorni prima del prossimo capitolo.

E’ un capitolo di passaggio, questo, ma era necessario sia per far luce sui dubbi di Lily che sui piani di Malfoy. Non so… che ne pensate? Non penso di aver tirato fuori proprio una schifezza…

Mi dispiace di aver tagliato la parte di Lucius al Ministero, ma se avessi fatto altrimenti questa storia non andrebbe mai più a finire… già è lunga così. Mi è sfuggita di mano… siete disposti a leggere ancora per molto? Siamo oltre la metà, questo è certo, ma valutavo ancora circa tredici capitolo prima della fine, è troppo? Devo tagliare? Purtroppo mi perdo molto nell’introspezione… non so…

Dimentcavo! Il nome Domizius è un tributo al mio personaggio storico dell'epoca romana preferito: Lucio Domizio Enobarbo, meglio conosciuto come Nerone. Tra l'altro si chiama anche come Lucius. E i Max sono davvero una famiglia purosangue di HP.

Recensite, mi raccomando! Ma so che lo farete, siete sempre tutte gentilissime. Grazie!

A presto! 

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Capitolo 22
*** "Mi dispiace" ***


Capitolo 22

"MI DISPIACE"



Severus aprì appena gli occhi lasciando che la lieve luce dell’alba spiasse, incuriosita, quelle iridi nere che si erano dischiuse dinnanzi a lei, quasi domandandosi cosa ci facessero quegli sprazzi di notte tra le pieghe della pergamena pulita del nuovo giorno. Due macchie d’inchiostro a sporcare la carta ancora candida.

Il ragazzo richiuse un attimo le palpebre. Si sentiva strano, quasi leggero… non che uno spettro quale era diventato potesse aspettarsi di sentire il peso del suo corpo, ma quella sensazione di calore e quiete che lo circondava, era quella, forse, a invadere i vuoti della sua anima con l’aria vaporosa di una carezza.

Sentiva un qualcosa di umido premergli sulla fronte e una goccia calda scivolò lungo la sua tempia solleticandogli la pelle. Tentò di spostare il braccio destro per asciugarsi, ma si accorse che la sua mano era trattenuta da qualcosa di caldo, soffice…

Aprì nuovamente gli occhi e voltò leggermente il capo verso destra. La vista appannata colse una vampata di fuoco al di là della nebbia che la invadeva, come la luce di un faro tra le brume del mare, segnale di salvezza, di un porto sicuro tra le onde nere e furiose dell’oceano. Sbattè le palpebre cercando di mettere a fuoco la figura che gli stava accanto.

“Lily…” Sussurrò appena sentendo nuovo calore spandersi nel suo corpo. Era lì… la sua principessa di fuoco… non l’aveva mai lasciato. La gola aveva bruciato al passaggio della sua voce roca, ma era stata una dolce fiamma, come quella che dava colore ai capelli della giovane che gli stava accanto. In cuor suo sapeva di non meritare la sua presenza, la sua vicinanza... ma averla lì accanto gli scaldava il cuore con ondate calde che lo cullavano dolcemente.

Severus strinse forte la mano di lei. Lily dormiva tranquillamente, la testa appoggiata allo schienale di legno della sedia su cui era seduta, ma il ragazzo distinse facilmente un sorriso sulle sue labbra.

Era bella quando dormiva… Sembrava una fata nata dal fuoco stesso, superiore ai comuni mortali che la attorniavano senza vederla, tutti, tranne lui. Un fantasma di cenere, muto e senz’anima che la seguiva come un’ombra dannata, scia imperitura di quel fuoco che le dava corpo e che rapiva da lui la sua vita. La sua anima apparteneva a quelle fiamme… la sua vera anima, quella a cui aveva rinunciato anni prima, era rimasta lì con lei, prigioniera volontaria di quelle fiamme, mentre lui annientava sé stesso marcendo nell’oscurità che aveva consapevolmente scelto.

Era bella quando dormiva… Senza le preoccupazioni a segnare il suo viso, senza il dolore a scavare con la vanga delle lacrime quelle guance di perla.

Gli faceva uno strano effetto aprire gli occhi e vederla lì, accanto a sé, addormentata. La sua mano stretta nella propria. Non sapeva se lasciare che il suo cuore si riempisse di gioia o se dare ascolto a quella maledetta strega ingobbita, al suo sibilare parole perverse. Quella vecchia sporca e malvagia che macchiava il suo cuore con gli schizzi immondi del suo passato. Macchie scure di veleno che corrodevano la sua anima già lacerata impedendole di riunire le labbra delle ferite in un bacio in cui non poteva più sperare, rubato e nascosto nella borsetta di fango che il passato portava con sé e in cui non v’era altro che una fornace eterna dove bruciavano i suoi sogni e le sue speranze in un’angosciante e autentica anticamera dell’inferno.

Severus deglutì a fatica facendo una smorfia nel sentire quegli artigli di fuoco forargli la gola, la sua voce, senza il nome di Lily, era soltanto un’eterna condanna verso sé stesso. La mano della ragazza era l’unico appiglio che gli rimaneva e lui, sperduta ombra lacrimante, non poteva allontanarsi dalla catene di luce che lo legavano a lei, come una piccola falena, conscia di vivere soltanto più in attesa della morte, che si aggrappa scioccamente ad una luce che non le appartiene. Le lucciole, sì, le lucciole vivevano del loro stesso bagliore e deliziano con esso chi sta loro intorno: Lily era la sua lucciola e lui la falena cupa e cinerea che le volava intorno abbeverandosi di luce senza placare la sua sete.

La luce, seppur lieve, dell’alba infastidiva i suoi occhi, bruciando il nero delle sue iridi, ma lui non poteva chiudere gli occhi… non ora che li aveva finalmente riaperti e aveva trovato la sua lucciola accanto a sé a illuminargli il cuore.

Si guardò intorno cercando di capire dove si trovasse. Fece correre gli occhi sulle grigie pareti di pietra che lo circondavano, sulla longilinea monofora che sembrava osservarlo con occhi curiosi, sul lampadario in ferro battuto che pendeva dal soffitto a cassettoni. Severus fece una smorfia: di certo non si trovava a Villa Silente. Quelle pietre trasudavano magia da tutti i pori, la magia antica di Hogwarts. Ma come ci era arrivato?

Tentò di fare mente locale, frugando quasi con violenza tra i suoi ricordi. Era inutile… l’unico ricordo nitido che aveva era quello del rosso saettante della maledizione di Rodolphus Lestrange che si avvicinava inesorabile a Lily… la sua Lily. Ricordava di essersi gettato verso di lei, poi solo un violento colpo in pieno petto e un dolore lancinante ai polmoni.

Dopo era solo nebbia. Una teredine bianca che avvolgeva gli avvenimenti che erano seguiti. C’erano solo vaghi sprazzi di sereno in quella foschia, come piccole tessere di un vasto mosaico che non permettevano di capire ciò che esso rappresentava, solo spicchi vaghi di un’immagine ben più vasta. Aleggiavano tra i suoi pensieri come bimbi abbandonati… un forte strappo, qualcuno che piangeva… e una mano che stringeva con fermezza la sua. La stessa mano che ancora non aveva lasciato le sue dita.

Sentiva un lieve dolore al petto, ma nulla più che uno strano bruciore, come un mal di stomaco. Alzò appena il capo per controllare il suo torace e vide che era avvolto da una benda bianca. Si lasciò sfuggire un gemito di malinconia e lasciò crollare la testa di nuovo sul cuscino morbido. Chissà da quanto tempo era lì? Tra l’altro doveva avere la febbre. Era una strana sensazione: gli sembrava quasi di avere la testa piena d’acqua che si agitava di qua e di là ogni volta che la muoveva… e non era una bella sensazione. Si sentiva debole, ma, a parte questo, poteva dire di stare bene. Almeno secondo lui.

La ragazza accanto a lui mugugnò qualcosa nel sonno e la sua mano si strinse appena intorno a quella di Severus. Lily si stava svegliando e già il verde dei suoi occhi permeava attraverso le palpebre chiuse. Mosse il capo lasciando che una ciocca di rosso fuoco le sfiorasse la guancia in una recondita carezza ed i suoi occhi risposero a quella chiamata aprendosi in un battito di ciglio per mostrarsi infine a quelli neri del giovane, uno scintillio di felicità che sprizzava tra quelle iridi fresche sfiorate dalla prima luce.

“Buongiorno.” Disse Lily con un sorriso dolce, ricambiando lo sguardo di Severus.

Lui non rispose. Non sapeva se perché ancora sentiva dolore alla gola o se era quel radioso sorriso che la giovane gli donava a rubargli le parole.

“Come ti senti?” Domandò Lily.

“Una meraviglia.” Rispose allora il ragazzo, stupendosi di essere riuscito a parlare. Arricciò le labbra in un lieve sorriso.

Lily rise. Severus si era appena risvegliato da un coma di tre giorni e già trovava il tempo per il sarcasmo. Si rese improvvisamente conto di stare ancora stringendo la mano del giovane e i suoi caddero sulle loro dita intrecciate, mentre un rossore si spandeva sulle sue guance chiare, lo stesso rossore che aveva assalito anche il volto pallido di Severus. Entrambi interruppero di colpo quel contatto come se si fossero improvvisamente scottati.

“Ehm… -Balbettò Severus, imbarazzato dalla situazione. -Che cosa è successo?”

“Hai rischiato di lasciarci le piume, ragazzo.” Disse una voce burbera che si identificò come quella di Madama Chips quando i due ragazzi volsero lo sguardo verso il punto da cui era provenuta.

“Buongiorno, madama Chips.” Disse Lily.

“Buongiorno, signorina Evans. -Rispose la medimaga. –Mi pareva di aver sentito delle voci.”

“Allora, signor Piton? Come si sente?” Chiese poi rivolgendosi al giovane.

“Bene.” Rispose Severus, laconico.

La medimaga brontolò qualcosa e si avvicinò al letto del giovane. Gli agguantò il polso sinistro tra le dita esperte, come a controllarne il battito, quindi estrasse la bacchetta e la passò sul corpo del giovane, come già aveva fatto una volta, accompagnando il movimento con uno sguardo attento e analizzatore.

Ritirò, poi, la bacchetta e tolse il panno bagnato dalla fronte di Severus di cui lasciò il polso.

“Bene, signor Piton. –Disse Madama Chips. –Le ferite interne sono perfettamente rimarginate. C’è ancora qualche traccia di febbre, ma sparirà presto.”

Lily sorrise all’udire quelle parole, rivolgendo lo sguardo al ragazzo che se ne stava immobile, sdraiato nel letto, ad osservare l’infermiera con occhi spenti, come se non gli importasse delle parole che ella aveva appena pronunciato, come se non gli importasse di essere guarito. Il sorriso se ne andò dalle sue labbra nel vedere il volto triste di Severus. Sembrava quasi dispiaciuto di essere ancora vivo… no, così non andava affatto bene.

“Ferite interne?” Ripetè, dopo un po’, Severus, guardando Madama Chips.

“E’ stato colpito da una maledizione che le ha causato profonde lesioni interne, signor Piton. E una maledizione bella potente se posso dare una mia opinione. E’ fortunato ad essere ancora tra noi.” Spiegò Madama Chips assumendo una seria espressione da professionista quale era.

Severus, dal canto suo, fece una smorfia.

“Il professor Lumacorno ha fatto un ottimo lavoro.” Continuò l’infermiera.

“Il preside è tornato?” Le chiese Lily, cambiando discorso.

“No. Il caro preside non si è fatto vedere.” Rispose Madama Chips, senza tradire particolari emozioni.

“Signor Piton, lei ha bisogno di recuperare le forze. Forse è meglio che anche la signorina Lily la lasci.” Soggiunse poi, voltandosi verso Lily.

“No. Per favore.” Protestò Lily, visibilmente delusa salle parole dell’infermiera.

“Signorina.- Disse tranquillamente Madama Chips assumendo la sua solita espressione da inflessibile guaritrice. –Il suo amico ha bisogno di riposo. Non gli fa bene ricevere una valanga di informazioni dopo essersi appena risvegliato.”

“Ma io non voglio… -Cominciò Lily, ma quella frase rimase così interrotta. –La prego, voglio solo stare con lui.”

Madama Chips parve raddolcirsi un poco alla vista degli occhi supplichevoli della ragazza.

“E va bene. –Concesse infine, mischiando le parole ad un leggero sbuffo. –Ma non stancarlo troppo. Ci sarà tempo per tante cose, non ha bisogno di sapere tutto subito. D’accordo?”

“Va bene.” concordò la ragazza, con un sorriso felice.

“Bene, allora io me ne vado. Se avete bisogno, sono nel mio ufficio.” Disse, dunque, l’infermiera avviandosi verso la porta.

Era sul punto di abbassare la maniglia che Lily la trattenne.

“Madama Chips?” La chiamò, infatti, la ragazza. La medimaga si voltò verso di lei.

“Credo sia meglio che lo sappia. –Disse Lily. –Ieri sera ho trovato la professoressa Cooman nel suo ufficio.”

Alle parole ‘professoressa Cooman’ gli occhi dell’infermiera si fecero improvvisamente di fuoco, ma non disse niente, anche se dava come l’impressione che già sapesse dove voleva arrivare Lily.

“Cercava una pozione contro il mal di testa… e io… beh, gliel’ho data.” Disse la ragazza.

“Lo sapevo!- Sbottò allora la medimaga- Signorina Evans, lei non lo sapeva e quindi è giustificata, ma vige una precisa regola in questo castello: mai dare una pozione a Sibilla Cooman. Quella donna è già abbastanza stramba di suo senza che si droghi di pozioni! Dovrebbe smetterla con lo sherry, piuttosto.”

Lily non ebbe nemmeno il tempo di rispondere che Madama Chips aprì la porta ed uscì, continuando a borbottare tra sé e sé. La ragazza si lasciò sfuggire un sorrisetto divertito, poi si voltò verso Severus. Il ragazzo scostò lo sguardo non appena i loro occhi si incrociarono, ma poi tornò a guardarla con aria interrogativa.

“Da quanto sono qui?” Le chiese Severus.

“Tre giorni.” Rispose Lily semplicemente. Il ragazzo distolse un attimo lo sguardo dalla giovane gettando un’occhiata verso l’alta monofora da cui filtravano i gentili raggi del primo sole.

“E come siamo finiti ad Hogwarts?” Domandò Severus con voce atona.

“Silente ci ha attirati qui.” Rispose Lily, non molto convinta delle sue parole.

“Come?” Chiese Severus.

“Non ho capito bene come ha fatto. –Disse Lily. –Ha detto che ha… ehm… ha usato le barriere di Hogwarts per portarci qui?” Lily cercò di mascherare quell’intonazione interrogativa che aveva preso la sua frase, ma non ci riuscì più di tanto, dopotutto, non aveva proprio capito come avesse fatto Silente a portarli al castello.

E la ragazza si aspettava che nemmeno Severus avrebbe capito, soprattutto vista la sua esauriente spiegazione, invece la reazione del giovane la colse inaspettata.

“E’ pazzo?!” Esclamò Severus, ma si pentì ben presto di aver alzato così il tono della voce quando sentì la sua gola gemere in un bruciore intenso. Tossì, ma questo non portò certo beneficio perché gli spasmi della tosse procurarono al giovane una forte fitta al petto e Severus si portò la mano sinistra al torace in un movimento istintivo.

“Sev. –Disse preoccupata Lily, protendendosi verso di lui. –Ti prego, calmati. Così ti fai solo del male.”

“Che diavolo mi avete fatto bere?!” Domandò il ragazzo, con la voce ancora roca sotto i colpi del bruciore.

“Non so esattamente… una pozione per far rimarginare le ferite interne. –Disse Lily. –L’ha preparata Lumacorno.”

Severus sospirò, cercando di riprendere aria mentre il dolore si attenuava. Rimase un attimo in silenzio a cercare di calmare il suo respiro. Lily lo guardava preoccupata, con gli occhi umidi e le sue dita andarono a sfiorare timidamente quelle del giovane, come a chiedere il permesso di poter ricreare il legame che si era rotto poco prima. Si aspettava che Severus ritirasse la mano, ma lui non fece nulla e lasciò che le dita di Lily si intrecciassero intorno alle sue come avevano fatto già molte volte.

"Perchè hai detto che Silente è pazzo?" Chiese Lily, curiosa, riprendendo il filo del discorso.

“Quell’incantesimo… è pericoloso.” Tentò di spiegarsi Severus riacquistando un tono di voce più calmo.

“Pericoloso?” Ripetè Lily.

Severus prese un ampio respiro sentendosi nuovamente la gola in fiamme e guardò Lily.

“Tu sai che c’è un particolare legame tra la scuola e il suo preside.” Cominciò a spiegare il giovane e Lily annuì, interessata.

“Bene, -Continuò Severus. –Il preside è parte della scuola. Lui può chiedere al castello di fare qualcosa... alla sua magia. Capisci?”

Lily scosse irreparabilmente il capo e Severus sospirò.

“E’ un legame magico molto antico. Il preside può utilizzare la magia della scuola, può variarla, se vuole, ma è pur sempre la magia stessa a decidere se accondiscendere alla richiesta del preside oppure no. Il problema di questi incantesimi, però, è che hanno una portata ampia… non specifica.” Tentò di spiegare il giovane con fatica, snetendo la sua gola prendere nuovamente fuoco sotto quel fiume di parole e il respiro farsi più affannato.

“Mi metti paura così, Sev. –Osservò Lily che stava cominciando a capire. –Vuoi dire che Silente avrebbe potuto portare ad Hogwarts anche altri oltre a noi? Rodolphus Lestrange, per esempio, che era proprio davanti a noi?”

Severus annuì.

“Non è successo, però. –Disse- Dico bene?”

“No. Per fortuna no. Siamo arrivati solo noi.” Concordò Lily e il discorso cadde inesorabilmente nel silenzio. Severus lasciò di nuovo vagare il suo sguardo nella stanza con indifferenza.

“Oh, già!” Esclamò Lily d’un tratto attirando su di sé l’attenzione di Severus. La ragazza protese la mano libera verso il comodino e afferrò la bacchetta che vi giaceva sopra tendendola poi al giovane.

Severus la prese osservandola con occhio critico.

“Me l’ha data Silente, per te. Le nostre sono rimaste a Cokeworth. Ha detto che era la sua.” Spiegò Lily.

Alle ultime parole, gli occhi di Severus da sospettosi si fecero improvvisamente stupiti e, in qualche modo, felici. Come se il legno della bacchetta che reggeva in mano fosse riuscito a spandere un po’ di calore in lui.

“Grazie.” Mormorò, continuando a guardare la bacchetta.

Le parole di Lily, però, erano riuscite anche a riportargli alla mente gli avvenimenti di qualche sera prima… l’incontro coi Mangiamorte… Bellatrix…

“Mi dispiace…” Sussurrò Severus.

Il volto di Lily assunse un’espressione stupita.

“Per cosa?” Gli chiese.

“Ti ho messo in pericolo. A Cokeworth.” Spiegò Severus con una nota di infinita tristezza a scaldare la sua voce mentre tendeva nuovamente la bacchetta a Lily che la prese con gentilezza e la posò nuovamente sul comodino.

“Cosa?” Mormorò appena Lily, guardandolo, poi, stupita.

“No. –Aggiunse con enfasi, scuotendo il capo. –Non hai alcuna colpa. Mi hai salvato la vita. Lo hai fatto per me… per Harry.” Continuò sentendo la sua voce incrinarsi nel pronunciare quell’ultimo nome.

Severus si limitò a guardarla con occhi profondi, simulacri di un fuoco che era soltanto un’ombra.

“Lily…- Sillabò con tristezza infinta.- Non l’ho fatto per tuo figlio. L’ho fatto solo per te…”

“Sev… non mi importa… -Disse Lily. –Non devi chiedere scusa per aver fatto la cosa giusta.”

Severus la guardò, ma in quegli occhi neri, Lily vide soltanto quella solita vecchia vedova che era la tristezza, che andava su e giù nel cuore del suo migliore amico e si affacciava ai suoi occhi a chiedere aiuto senza poter parlare, senza potersi manifestare. Sola, sempre sola… quella tristezza, quello scoraggiamento che supplicava chi stava intorno al giovane di entrare, che apriva le porte del suo cuore senza aprirle davvero… combattuta tra la paura del giovane essere ferito e il desiderio di poter essere capito.

“Non capisci, Lily.” Disse amaramente Severus scostando lo sguardo da lei. Ma la mano di lui non si mosse, sempre aggrappata a quella della ragazza come se fosse l’ultimo appiglio prima di cadere definitivamente nel buio.

“Che cosa non capisco?” Chiese Lily accorata. Le faceva male vedere Severus in quello stato… quando erano ragazzini rideva, scherzava con lei. Ora la guardava solo con occhi vacui, come se la sua anima gli fosse stata strappata per sempre.

Severus si voltò verso di lei.

“Sono io la causa di tutto. E’ colpa mia… è solo colpa mia.” Le disse. I suoi occhi sembrava stessero per scoppiare sotto il peso di una colpa che non riusciva più a manifestarsi attraverso le lacrime. Lily fu quasi spaventata da quel dolore intenso che pareva implodere su sé stesso dentro il petto di Severus.

“Ma tu non hai fatto niente…” Tentò di dire la giovane, ma Severus la interruppe bruscamente.

“Non ho fatto niente?!- Ripetè, sentendo di nuovo bruciare con furia le fiamme nella sua gola, ma lui le ignorò. –Lily, non sai quello che ho fatto… non lo sai. Smettila di difendermi.”

“Difenderti?- Ripetè Lily. –Da chi? Da te stesso? Sei tu che ti accusi di colpe che non sono tue. Smettila.”

“Non sono mie?- Disse Severus mestamente, -E di chi allora?”

Lily tacque per un attimo, osservando con occhi affranti il viso tirato del giovane del quale stringeva la mano.

“Di Voldemort… per una gran parte. –Rispose poi, -Ed anche mie.”

Quelle ultime parole furono una doccia fredda per Severus. Come? Colpa sua? Di Lily? No, assolutamente, lei non aveva alcuna colpa.

“Sev, io… ecco…” Cominciò Lily, ma poi fu solo il cuore a parlare per lei, a vomitare tutto ciò che aveva tenuto dentro in quei giorni, tutto il dolore, tutta l’ansia, tutta la consapevolezza. Tutto… senza dare il tempo alla giovane di fermare quel fiume di parole.

“Mi dispiace, Severus. –Disse improvvisamente, mentre il ragazzo la guardava stupito. –Mi dispiace… è colpa mia… lo è sempre stata… perdonami, ti prego.”

“Perché dovrei? Non c’è nulla da perdonare…” Disse Severus, ma Lily scosse violentemente la testa. Non era esattamente quello che si era aspettata quando avrebbe visto Severus aprire gli occhi, ma non riusciva a trattenersi.

“No… io… -Tentò di dire Lily trattenendo a forza le lacrime.- Io ti ho abbandonato… non avrei mai dovuto… io…”

“Basta.” Le disse gentilmente Severus tentando di mettersi seduto. Ci riuscì con non poca fatica, grazie all'aiuto di Lily che si era protesa verso di lui per sorreggerlo, sentendo un dolore profondo spandersi nel suo petto. Appoggiò la schiena nuda contro il freddo legno della testiera del letto sentendo un lieve brivido sfiorargli la pelle e tirando un sospiro di sollievo nel sentire il dolore scemare lentamente.

“Non mi hai abbandonato… -Disse. –Sei qui, no?”

Lily alzò il viso verso di lui accennando un sorriso.

“Non capisci… io ho sbagliato.” Disse la ragazza. Severus la guardò senza capire.

“E’ per quello che è successo a scuola. Tu avevi bisogno di me e ti ho lasciato da solo.” Spiegò Lily.

“Sono io ad aver sbagliato, Lily. Tu non hai alcuna colpa. L’errore è stato mio, mio e solo mio… e me ne sono accorto tardi.” Rispose Severus abbassando lo sguardo.

“Sev… ti prego, ascoltami. Ho avuto modo di pensare in questi giorni… Sono stata solo una ragazzina egoista, incapace di veder più in là del mio naso. Non sono stata una buona amica. Io…” Lily si interruppe un attimo passandosi una mano sulla fronte in un gesto convulso che denotava la sua agitazione. Severus la guardava senza osare dire qualcosa.

“Oddio, mi sento una stupida a chiederti una seconda possibilità. –Continuò poi Lily. –Ti ho lasciato come si abbandona un giocattolo rotto… non ho giustificazioni. Avrei dovuto rimanerti accanto: è questo che avrebbe fatto un’amica vera. Ed io, è evidente, non lo sono stata. Se c’è qualcuno che deve scusarsi, tra noi due, sono io.”

Severus la guardava senza sapere cosa dire.

“Lily… ma sei stata la migliore amica del mondo.” Disse poi.

La ragazza scosse il capo tristemente.

“Se davvero non ho colpa, perché ti sognavo tutte le notti? Non potevo fare a meno di pensare a te… e questo perché ti ho fatto torto e perché…” Si interruppe bruscamente, non poteva dirglielo… non sapeva neanche lei se era vero. Chinò il capo abbassando lo sguardo, non ce la faceva a guardare gli occhi sbalorditi di Severus.

“Lily…” disse dolcemente questi girandosi su un fianco verso di lei. La giovane non rispose. I lunghi capelli rossi erano scesi a coprirle il volto e la mano sinistra tratteneva appena i singhiozzi che scivolavano tra le dita.

Severus tese il braccio verso Lily e le scostò con delicatezza i capelli. Cercò di tirarsi un po’ su per sfiorare con le dita la guancia umida di lacrime della ragazza, ignorando il dolore che gli invase il petto a quel movimento.

Afferrò con dolcezza la mano che Lily teneva davanti alla bocca e la allontanò dalle sue labbra passandovi sopra le sue dita pallide così in contrasto con la carne rossa di quelle labbra morbide. Le sollevò il mento per farle alzare lo sguardo su di lui. Lily lo guardò con gli occhi affranti dal pianto, ma pur sempre di quel verde scintillante che gli penetrava dritto nel cuore. Le concedesse un leggero, ma sincero sorriso che lei tentò di ricambiare tirando con fatica gli angoli della bocca. Severus portò la mano ad accarezzarle la guancia asciugandole le lacrime con il pollice.

“Mi dispiace, Sev…” Mormorò Lily tra i singhiozzi.

“Ssst…- Fece Severus, lasciando la mano della ragazza per portarla ad accarezzarle i lunghi capelli. –Siamo di nuovo… -Deglutì. –amici, no?”

Lily accennò un sorriso.

“Sì, lo siamo.” Disse. Le faceva uno strano effetto sentire le dita di Severus sul suo viso e tra i suoi capelli, era come se fosse quello che aveva sempre desiderato, ma che si era sempre negata.

Posò lo sguardo sulle labbra sottili, semiaperte, del giovane davanti a lei… così vicine. Il suo viso fece uno scatto in avanti appena trattenuto, come se le sue labbra fossero inesorabilmente attratte da quelle del giovane. Severus non si era scostato, il suo sguardo era incatenato alle labbra di Lily esattamente come quello della giovane. Erano entrambi fermi sulla soglia, alla distanza di un sospiro l’uno dall’altro, senza che nessuno dei due avesse il coraggio di fare l’inesorabile passo avanti.

Lily sentiva il suo cuore battere a mille, non riusciva più a controllarlo. Ma voleva davvero trattenerlo? Il Cappello le aveva detto di ascoltare il proprio cuore, ed ora quello stava gridando incitandola a distruggere la distanza che la sparava da Severus. Severus, che, d’altra parte, vedeva soltanto più le labbra di Lily… vicine… così vicine…

“Buondì!” Esclamò improvvisamente una voce allegra facendo sussultare i due ragazzi. Entrambi fecero un salto allontanandosi l’uno dall’altra, mentre i loro occhi scattavano svelti verso la porta dove se ne stava un Albus Silente con una lunga vesta blu notte e un sorriso che stava mano mano scemando tra i suoi baffi.

“Oh, scusatemi. –Disse imbarazzato. –Sono appena arrivato e volevo solo sapere come stava Severus.”

L’interessato sospirò, con un lieve accenno di irritazione che soffiava contrariato nella sua voce.

“Sto bene, Albus. Grazie.” Rispose semplicemente.

“Bene. Allora…- Disse Silente. –Allora vi lascio, eh?”

“Sì, preside.” Disse Lily, tirando appena un sospiro di sollievo. Silente annuì e uscì richiudendo la porta alle sue spalle.

Appena il professore se ne fu andato il rossore si impadronì dei volti dei due ragazzi che cercavano in ogni modo di sfuggire gli occhi dell’altro, mentre la consapevolezza di quanto era accaduto, anzi, che stava per accadere poco prima si faceva strada in loro.

Lily ebbe appena il tempo di aprire la bocca per dire qualcosa che la porta della stanza si aprì di nuovo di colpo e il viso barbuto di Silente fece capolino da dietro l’anta semi aperta.

“Tra l’altro, dimenticavo. –Disse Albus. –Ora che Severus è guarito, penso che potrete tornare entrambi a Villa Silente. Partirete il prima possibile.”

Né Lily né Severus ebbero il tempo di rispondere in qualche modo che Albus era già di nuovo sparito dietro al porta chiusa, mormorando un ‘vi lascio soli’ con un sorriso furbo stampato sul viso rugoso e lo scintillio di un occhiolino al di là degli occhiali a mezzaluna.

 

********


Ok, non ho tirato fuori un capolavoro. Purtroppo questi giorni sono stati un periodo nero per la mia ispirazione, immagino capiate e non me ne vogliate a male.

Non so che dire… forse è meglio che lasci la parola a voi. Siete autorizzate a dirmi che questo capitolo è orrendo… non mi offendo, perché so che è la verità.

Madama Chips passa volontariamente dal ‘lei’ al ‘tu’ verso i ragazzi. Non è un errore, è proprio voluto. Solo una piccola precisazione.

Va bene… aspetto i vostri insulti. Ciao a tutti!

P.S. Va bene, mi hanno fatto notare che forse non è una schifezza così grande, ma come ho risposto nelle recensioni, c'era una grande aspettativa intorno a questo capitolo e io mi son beccata il blocco dello scrittore proprio quando dovevo scriverlo. Capite che uno poi ha paura di aver tirato fuori qualcosa di piatto e informe, dovuto al fatto che è stato scritto facendosi violenza davanti al computer.

Per cui, fate come se il mio auto-commento qui sopra non esistesse, ok? Sono deliri di una scrittrice in crisi di ispirazione.

Scusatemi. Ora sparisco.

Ciao! 

 

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Capitolo 23
*** Il Ratto e il suo signore ***


Capitolo 23

IL RATTO E IL SUO SIGNORE



“Ma guarda un po’ chi ha deciso di tornare dal suo signore!” Esclamò Voldemort allargando sul viso pallido un sorriso tanto brillante quanto malvagio.

Il tremore incontrollato che già scuoteva il corpo del piccolo ometto si amplificò tanto che l’uomo sembrava doversi sbriciolare in mille pezzi da un momento all’altro. Non parlò, riusciva ad emettere soltanto un lieve e isterico squittio. Gocce di sudore freddo gli colavano dalla fronte fino alla punta del naso da roditore.

“Ah ah! –Rise Voldemort senza accennare a diminuire l’ampio sorriso, -E’ sempre bello rivedere vecchi amici!”

L’ometto tacque ancora. Cominciò a stropicciarsi le dita e a far scattare gli occhietti acquosi da una parte all’altra dell’ampia sala come in cerca di una via d’uscita, ma intorno a lui non v’erano altro che solide pareti intonacate che lo sorvegliavano come sentinelle, la prima impenetrabile linea d’acciaio di un esercito che lo circondava da tutti i lati.

“Bene, mio piccolo ratto… -Sibilò il Signore Oscuro, e il suo sorriso si tramutò nella linea pura e semplice del terrore, - Perché sei qui?”

L’uomo continuò a guardarsi intorno terrorizzato, ormai era troppo tardi per tirarsi indietro. Ma cosa gli era saltato in mente? Se ne stava così bene ai Tre Manici di Scopa! Al caldo, al sicuro, cibo assicurato…

“I-i-io…” Balbettò con la sua voce acuta che si spanse appena nella sala prima di collassare su sé stessa in un uggiolio terrorizzato di fronte agli occhi scintillanti dell’uomo seduto all’altro capo del salone.

Voldemort chiuse gli occhi di bragia facendo scendere sul suo volto una calma terrificante. Sospirò smuovendo appena la veste del silenzio che si era posta in piedi, accanto al suo seggio nero, come un’ancella dannata… Lara, muta ninfa degli inferi richiamata dal potere oscuro di colui a cui stava al fianco. Ella osservava i due come uno spettatore curioso con i suoi occhi di cenere, avvolta nella sua veste di nebbia. Guardava il patetico ometto che tremava al centro dell’ampio salone, vedeva il terrore attanagliarli le membra e si chinava ai piedi del Signore Oscuro come una fiera fedele.

Voldemort riaprì gli occhi lentamente posando lo sguardo sull’uomo innanzi a lui. Tese con lentezza una mano verso di lui e gli fece cenno con eleganza di parlare muovendo le dita come ad assorbire le parole dalla bocca stessa dell’uomo.

Questi osservò con orrore il movimento della mano diafana dell’Oscuro Signore, vide le dita affusolate ripiegarsi su loro stesse fino a stringersi a pugno sull’aria. Ma in quel pugno, Voldemort aveva anche rinchiuso l’uomo stesso, in una prigione d’aria da cui quest’ultimo non avrebbe avuto scampo, una cella di fuoco di cui le sbarre erano lo sguardo vermiglio dell’Oscuro Signore.

L’uomo sentì il suo stomaco ripiegarsi su sé stesso, mentre le dita gelide del silenzio gli sfioravano le gote spandendo un brivido in tutto il suo corpo. La grigia ninfa silenziosa si strusciava su di lui sotto lo sguardo divertito del Signore Oscuro che si nutriva del terrore dell’uomo di fronte a quel silenzio innaturale, silenzio che non faceva altro che amplificare le sensazioni e bisbigliare, muto, parole di sgomento alle orecchie della vittima tremolante.

“Povero, piccolo ratto… -Disse Voldemort, rompendo quella gabbia d’aria. –Dev’essere davvero angosciante ritrovarsi senza vie d’uscita… in trappola… un piccolo topolino in trappola, Peter. Non è così?”

Il viscidume di quell’ultimo punto interrogativo scivolò sull’ometto tremante come un fango gelido cha penetrò dritto nei suoi polmoni stringendoli a farli vomitare la poca aria che riuscivano ancora a trattenere.

“E, dimmi, che cos’è che ti ha spinto a lasciare le tue sicure fogne?” Sibilò Voldemort.

L’altro non rispose, continuando a tremare incontrollatamente.

“Parla!” Ruggì Voldemort con rabbia lanciando le fiere di fuoco dei suoi occhi contro l’uomo.

Questi chiuse gli occhi di scatto, come a volerli proteggere dall’onda di fuoco che si era abbattuta su di lui. Respirò a fatica per un attimo, cercando di mettere assieme una frase di senso compiuto.

“Mio signore… -Squittì appena.- Ho… un’informazione… per voi.” Detto questo fece un passo indietro come se si aspettasse di essere colpito e chinò il capo, incapace di credere di essere riuscito a pronunciare quelle poche parole.

Voldemort, dal canto suo, osservava l’ometto ripiegato su sé stesso con un misto di disgusto e odio.

“Bene, allora. –Disse. –Parla.”

“I-io ho sentito per caso Albus Silente parlare di una… una… veglia funebre. P-per James Potter.” Biascicò allora il ragazzetto.

Il Signore Oscuro si accarezzò distrattamente il mento con fare falsamente pensieroso.

“Una veglia, eh?- Ripetè in un sussurro. –E perché mai dovrebbe interessarmi?”

L’ometto si guardò intorno con fare spaventato per qualche secondo, poi i suoi occhi si piantarono inesorabilmente sul pavimento di marmo ad osservare l’immagine di un ragazzo tondo, vestito con abiti sporchi e mal assortiti, piegato su sé stesso sotto il peso fangoso sua stessa codardia.

“P-parlava con A-Alas… M-Moody… Tre Manici di Scopa… -Cominciò a balbettare dando appena voce alle sue parole, senza mai osare lo sguardo sul suo signore. –… Arthur Weasley…”

“Codaliscia, Codaliscia. –Canzonò Voldemort. –Dammi una buona ragione per cui non dovrei ucciderti, perché, sai, questi squittii incomprensibili che emetti mi stando irritando.” Concluse poggiando il mento sulle mani dalle dita intrecciate, i gomiti appoggiati sui braccioli del seggio nero.

Codaliscia ricominciò a guardarsi intorno terrorizzato, era da solo. Solo in quell’enorme e spoglio salone dove si sentiva il sibilo elettrico della magia, e le urla dannate delle pietre mortifere. Lord Voldemort osservava quel patetico ometto che si stropicciava le mani e bevve il terrore che stillava dai suoi occhi, gli piaceva giocare con le sue prede e di certo quel piccolo ratto che aveva dinnanzi era stato un bel passatempo. Ora, però, cominciava a perdere la pazienza… ma, forse, il piccolo topolino non lo sapeva, ma aveva portato un’informazione molto interessante. Ciò che lui aveva aspettato da tempo, l’occasione giusta per portare avanti il suo piano era forse giunta. Bisognava solo cavarla fuori da quel pusillanime.

“Voglio sapere ciò che hai da dirmi!- Ruggì improvvisamente Voldemort, schiaffeggiando con la sua voce l’ometto tremante. –E lo voglio ora! Per cui non essere timido, su.” Il cambiamento di tono cha la sua voce assunse nell'ultima frase ebbe davvero dello straordinario, quel passaggio dalla rabbia alla voce vellutata e, quasi, dolce che si accentuò in quel 'su' come a voler invitare il piccolo dopo ad entrare da solo tra le fauci del gatto.

“Ha-hanno combinato per giovedì prossimo. A Villa Silente.” Disse Codaliscia tutto d’un fiato.

Lord Voldemort si alzò di scatto dal suo scranno con un’espressione terribile a dipingere col fuoco dei suoi occhi il volto pallido. L’uomo levò le braccia a proteggersi il viso, temendo di venire colpito dall’ira del Signore Oscuro. Ma questi aprì le labbra in una risata sonora e gelida che fece rabbrividire il vuoto della sala. Codaliscia sbirciò sconcertato attraverso le braccia ancora levate.

“Villa Silente? –Ripetè Voldemort, facendo rotolare le parole nella sua risata come in un gioco. –Ha pure una villa con il suo nome! Che megalomane!”

“Bene, Codaliscia. –Disse poi, con calma, avvicinandosi all’ometto a grandi passi. –A quanto pare i topi hanno buone orecchie.”

Codaliscia abbassò le braccia, ancora alzate, permettendosi di tirare un piccolo sospiro di sollievo.

“Ero ai Tre Manici di Scopa, mio signore. –Sussurrò appena, ancora tremebondo. –Ieri sera. E quando ho visto entrare Albus Silente mi sono avvicinato. Si riuniranno tutti, mio signore. Tutto l’Ordine.”

Voldemort avvicinò il viso a quello di Codaliscia scandagliandone gli occhi acquosi e paurosi e quindi vi si immerse, con violenza, sguinzagliando le schiere di fuoco delle sue iridi nella loro caccia brutale. Esse frugarono con violenza tra i ricordi incuranti di ciò che si lasciavano dietro in pezzi finchè non catturarono l’immagine calda del pub di Hogsmeade. La carpirono con i loro artigli cinabri e vi gettarono dentro, fameliche.

Il pub era poco affollato quella sera. Un uomo robusto con i capelli spettinati e una profonda cicatrice sul viso, se ne stava appoggiato comodamente allo schienale della panca su cui era seduto, all’angolo del pub, e giocherellava distrattamente con un bicchiere vuoto. Alastor Moody.

Seduto dirimpetto, di schiena, c’era un uomo con una giacca beige e i capelli rossi pettinati all’indietro. Aveva l’aria povera e poco curata e batteva le dita sul ripiano lucido del tavolo con fare impaziente Doveva essere Arthur Weasley.

Sembrava che sia lui che Moody stessero aspettando qualcuno.

Si sentì lo scattare della porta e poi: “Buonasera, Albus.” Disse la voce della locandiera, e l’attenzione di Codaliscia si portò subito verso l’entrata, dove i suoi occhi catturarono la persona, tutta infagottata in un ampio mantello, di Albus Silente che stava richiudendo la porta alle sue spalle.

“Buonasera, Rosmerta.” Disse Silente, togliendosi il mantello scuro e appendendolo all’attaccapanni vicino alla porta.

L’immagine si offuscò, allontanandosi mentre Voldemort frugava più in profondità nei ricordi di Codaliscia, fino a fermarsi di fronte a Silente che parlava animatamente con Moody e Weasley. La visuale era cambiata, ora vedeva la scena dalla stessa altezza dei tre uomini, ed infatti Codaliscia si trovava sul vicino davanzale ad ascoltare con attenzione.

“E’ quello che mi ha detto, Albus.” Stava dicendo Moody.

Silente lo guardava con occhi interessati, il perenne scintillio al di là degli occhiali a mezzaluna.

“Via, Alastor… Lucius Malfoy al Ministero! E’ difficile da credere, non trovi?” Disse Arthur Weasley sorseggiando dal suo boccale.

L’attenzione di Voldemort si accese improvvisamente nel sentire il nome di Malfoy. E così il caro Lucius aveva pensato di fare una visitina agli amici del Ministero, eh? Bene… avrebbe avuto modo di discutere con Malfoy di cosa l’aveva portato nell’antro dei pescecani. Chissà che non sapesse qualcosa intorno alla fantomatica Villa Silente… Dopotutto, lui stesso l’aveva incaricato di scoprire dove Silente potesse nascondere Severus e la Evans. Se stava facendo il suo lavoro, Lucius indagava proprio nel campo giusto… anzi, era più che convinto che lui sapesse dove si trovava la villa di Silente.

“E’ quanto mi ha detto Bribable!” Ruggì Moody, irritato, voltandosi verso di lui.

Bribable? Si sbagliava o era uno dei vecchi amici strambi di Silente? Flik Bribable… sì, era così che si chiamava. Un ometto tarchiato, balbuziente e con folti mustacchi… incapace nelle più semplici magie, ma abile nell’agguantare tutto quello che poteva.

“Alastor! Tu credi a quello che dice quello spudorato?” Disse allora Weasley.

“Non ho detto che ci credo, stavo solo riferendo ciò che mi è stato riferito.” Grugnì Moody.

“Bel gioco di parole, Alastor.” Commentò Silente con un sorrisetto divertito.

Moody si voltò verso di lui con uno scatto irritato.

“Ma insomma!- Esclamò. –Si è presentato sotto falsa identità!”

Weasley ridacchiò divertito guadagnandosi un’occhiataccia da Malocchio.

“Cercava informazioni agli Archivi.” Tentò di spiegare questi, cercando di far capire agli altri due la gravità della situazione. Da parte loro, però, pareva che né Weasley né tantomeno Silente fossero molto allarmati dalla cosa.

“Alastor, -Disse tranquillamente quest’ultimo. –Non c’è niente che Malfoy avrebbe potuto cercare agli Archivi. Ho personalmente fatto sparire tutto ciò che poteva riguardare l’Ordine, per cui non c’è pericolo.”

Moody parve per un attimo calmarsi di fronte alle parole di Albus, ma poi i naturali sospetti che disegnavano il suo incarico di auror presero di nuovo il sopravvento.

“Ma sei sicuro di aver fatto sparire tutto?” Chiese sospettoso.

“Via, Alastor. –Disse Silente con un sorriso. –Sono Albus Silente: io non sbaglio mai!”

“Naturalmente.” Commentò Moody in un mugugno.

Voldemort fece una smorfia. Non sbaglia mai, lui. No, di certo… è Albus Silente… Peccato che al momento cercasse affannosamente di arrampicarsi sugli specchi, e lui lo sapeva bene. Si lasciò sfuggire un sorriso compiaciuto, poi tornò ad immergersi tra i ricordi di Codaliscia.

“Di cosa volevi parlarci, Albus?” Stava domandando gentilmente Weasley con un sorriso.

Silente si abbassò appena gli occhiali e sbirciò da sopra di essi, osservando Arthur con un lieve sorriso.

“Vi avevo già detto dell’intenzione di fare una veglia funebre in onore di James Potter… -Cominciò, raccogliendo gli assensi degli altri due. –Ecco… se non c’è problema per voi, si pensava di vederci la settimana prossima.”

“La settimana prossima? –Ripetè Moody. –Perché così avanti?”

Silente sospirò, poi disse: “Vorrei potesse partecipare anche Severus.”

Gli occhi di Voldemort luccicarono. Finalmente qualcosa di interessante.

Moody e Weasley si scambiarono un’occhiata stranita.

“Severus? – Ripetè Arthur. –Ma, Albus… sei sicuro?”

Silente lo guardò con aria stupita. “Fa parte dell’Ordine ed è giusto che abbia la possibilità di unirsi a noi.” Spiegò con enfasi lasciandosi andare contro lo schienale di legno.

“Non verrà mai.” Disse Moody enfatizzando quel ‘mai’ con un gesto secco della mano.

“Sì, che verrà… se glielo chiederà Lily.” Disse allora Albus.

“Lily… -Disse Weasley scuotendo il capo. –Anche questa storia non mi piace. Insomma… è un Mangiamorte. Lei non dovrebbe stare con lui.”

“Sarebbe un offesa alla memoria di James se lui partecipasse alla veglia. Dopo tutto quello che è successo.” Continuò Moody, concordando con quanto detto da Arthur.

Albus li guardava con un misto di tristezza e delusione negli occhi azzurri.

“Severus ha il diritto di partecipare alle riunioni dell’Ordin…” Tentò di dire, ma Moody lo scavalcò in fretta.

“Non mi fido di lui. –Ringhiò con la sua voce profonda, protendendosi verso Silente. –E’ un Mangiamorte e nessuno, nessuno, smette di essere un Mangiamorte.”

Voldemort sorrise compiaciuto. Moody aveva ragione: nessuno smette di essere un Mangiamorte. Sei marchiato e lo sarai per sempre. Non importa ciò che pensi tu… per gli altri sarai sempre un Mangiamorte ed un assassino. Ti rinchiudi in una prigione di bugie e di odio e, alla fine, tutto ciò che ti rimane è tornare dal suo signore… oppure la morte. Sempre che le due cose non coincidano… e difficilmente è così. Oh, era così bello sentire quelle parole da parte di un auror… lo faceva sentire… potente. Padrone dei propri seguaci, gli faceva sentire i loro guinzagli belli stretti nel suo palmo.

“Posso ricordarti, Alastor, che è stato lui a salvare Lily?” Disse Silente, tranquillo.

Il Signore Oscuro inarcò il labbro in un ghigno. Già… era stato lui. Lui! Il suo favorito, il più capace dei suoi Cavalieri di Valpurga, gli si era rivoltato contro… per amore di una Sanguesporco. Ma l’ora del saldo sarebbe arrivata, e molto presto anche. Oh, aveva un particolare progetto per il suo mezzo principe…

“E James? Lo ha lasciato morire! E Harry? Lo ha abbandonato nelle mani di tu-sai-chi!” Ringhiò Moody con slancio.

Harry… già. Il tassello mancante. L’Ordine aveva smesso di cercarlo. Che cosa voleva dimostrare Silente? Che lo avevano trovato? Impossibile… il suo piano era perfetto. Anche il bambino avrebbe adempiuto al suo compito.

“Ora basta, Alastor!- Disse duramente Albus. –James era già morto… e Harry si è smaterializzato. Severus non avrebbe avuto il tempo di portarlo via. Ha fatto il possibile.”

Moody bofonchiò qualcosa e scosse il capo, ma non rispose alle parole pronunciate da Silente. Weasley, da parte sua, se ne era rimasto in disparte d ascoltare il breve, ma focoso, scambio di opinioni tra gli altri due con occhi attenti.

Silente respirò profondamente, quindi afferrò il suo boccale di whisky e ne bevve una lunga sorsata.

“Alastor, però, ha ragione. –Osò Arthur. –Come puoi fidarti di Piton?”

Silente lo guardò pensieroso per un attimo, poi posò il boccale e disse: “Perché ritengo che tutti possano avere una seconda possibilità. E poi… beh, Severus ha già dato prova di meritare la mia fiducia.”

Moody ondeggiò il capo, scettico.

“Ha rischiato la vita due volte per Lily. E vuole ritrovare Harry…” Continuò Silente.

Vuole ritrovare Harry… allora non lo avevano trovato. E no… Non importava, Severus avrebbe trovato il bambino. Oh sì, questo era poco ma sicuro… solo che lo avrebbe fatto per lui e non per la sua amichetta babbana. Voldemort sorrise già pregustando il sapore degli avvenimenti futuri così per come erano nella sua mente.

“Non importa. Chiudiamo questa questione. –Disse poi Weasley. –A quando avevi pensato per la veglia?” Chiese poi a Silente.

“Pensavo giovedì prossimo. Da me, a Villa Silente. Vi chiederei di passar parola tra gli altri membri dell’Ordine. Ci saremo tutti.” Rispose Albus.

“Giovedì? –Ripetè Alastor. –Direi che va bene.” Poi si voltò verso Weasley a chiedere conferma.

“Sì, va bene.” Disse infatti Arthur.

“Perfetto! –Esclamò Albus con un sorriso. –Di certo ci sarà anche Lily. Non mancherà.”

“Sarà bello rivederla. –Disse Arthur con un caldo sorriso sul volto. –Sperando che Black non le salti addosso scodinzolando.”

La risata si spanse sui volti di Albus e Moody che la spensero dopo un attimo con un lungo sorso di whisky.

“E’ anche per Lily che vorrei che Severus partecipasse. Avere qualcuno vicino che la sorregga sarà importante per lei.” Osservò Albus guadagnandosi le occhiate torve dei compagni di tavolo.

“Qualcuno che la sorregga?- Ripetè Moody. –Ci saranno Remus e Sirius. Non ha bisogno di Piton.”

“Oh, io invece credo che abbia bisogno proprio di lui.” Disse Albus, facendo l’occhiolino.

Poi gli occhi di Moody si posarono, su Codaliscia, che se ne stava tranquillo sul davanzale di legno.

“Albus… -Disse Moody. –Quel ratto ci sta fissando.”

Sia Silente che Weasley si voltarono, allora, verso il topo che li osservava incuriosito.

“Via, Alastor. E’ solo un topo.” Disse Arthur ridendo.

“Quello ci sta ascoltando… -disse Moody. –Guarda come ci osserva.” Sussurrò protendendosi verso Silente, guardando con sospetto il ratto sulla finestra, temendo che questo avrebbe potuto sentire ciò che diceva.

Arthur Weasley roteò gli occhi sospirando e scosse appena il capo con fare rassegnato.

Codaliscia, da parte sua, vide le iridi azzurre di Silente posarsi su di lui e analizzarlo. Rimase impietrito sotto gli occhi scintillanti dei segugi blu che lo stavano circondando come una preda gustosa e restò immobile a guardare di rimando il vecchio mago.

“Rosmerta!- Chiamò Silente, senza allontanare lo sguardo. -Lo sai che c’è un ratto sulla finestra?!

“Un ratto?! –Sbraitò la voce della locandiera. –Nel mio pub?!”

Codaliscia vide Rosmerta avvicinarsi a grandi passi con una scopa in mano, fece alcuni passetti indietro premendosi contro il vetro opaco della finestra. Si guardò intorno per un secondo e poi balzò giù dal davanzale, terrorizzato. Zampettò in fretta tra i piedi degli avventori del pub, cercando di evitare la saggina che sia abbatteva sul pavimento di legno cercando di colpirlo. Riuscì a stento ad infilarsi, in salvo, in un buco dietro al bancone della locandiera.

“Ah!” Esclamò Voldemort contrariato ritirandosi dalla mente di Peter. Rimase qualche attimo in silenzio tirando le fila di tutte le informazioni che era riuscito ad ottenere, chiuse gli occhi come a trattenere tutte le immagini che era riuscito a rubare.

Codaliscia frignava, a terra, ripiegato su sé stesso… in ginocchio. Il dolore profondo che rimbombava nella sua testa. La sentiva lacerata, aperta, dilaniata da quegli artigli affilati, distrutta da profondi squarci che erano rimasti quando le dita di fuoco del Signore Oscuro gli avevano strappato i ricordi per poterli leggere ed esplorare in ogni angolo, prima di gettarli via con noncuranza.

Voldemort riaprì le palpebre e posò lo sguardo su di lui con un misto di compiacimento e disgusto. Gli girò intorno, lasciando scivolare il lungo mantello nero come un serpente sibilante che si avvolgeva a poco a poco intorno alla sua preda, senza alcuna fretta, godendo del panico e del dolore che si spandevano in essa.

“Molto bene, Peter.- Sibilò Voldemort, alle spalle dell’ometto piagnucolante. –Alla fine anche i topi di fogna sanno rivelarsi utili.”

“M-mio signore… -Mormorò Codaliscia con incensamento, costringendo le parole ad uscire dalle labbra tremanti. –Mio signore.” Continuò a ripetere in una lunga nenia.

“Viste le succose informazioni che mi hai portato, potrei anche decidere di lasciarti in vita.” Continuò Voldemort mentre si portava davanti a lui, ignorando la cantilena che usciva dalle labbra del suo servo. Questi tirò un rumoroso sospiro di sollievo nell’udire quelle parole.

“Oh, mio signore.” Disse prostrandosi in avanti fino a sfiorare col naso l’angolo del mantello di Voldemort. Lo afferrò con deferenza tra le dita sporche e tozze e lo portò alle labbra baciandolo con fare ossequioso.

Voldemort lo osservò per un attimo, compiaciuto nel vedere il suo servo strisciare spudoratamente innanzi a lui, ostentando la sua pochezza.

“Ho un compito per te, Codaliscia.” Disse duramente poi allontanando, con un gesto teatrale della mano, il mantello dalle labbra dell’ometto inginocchiato.

“Qualunque cosa, mio signore. –Squittì questi. –Qualunque cosa.”

Voldemort si allontanò di qualche passo da lui osservandolo con occhi di cinabro ardente. Prese un lungo respiro inclinando leggermente la testa di lato in un gesto elegante.

“Portami Lucius Malfoy.” Ordinò con voce gelida.
 

*******



Eccomi! In diretta buco in cui mi sono seppellita insieme alla mia depressione ispiratoria… sigh… speriamo che finisca presto.

Va beh… Dunque, questo capitolo non è venuto fuori esattamente come volevo. Diciamo che la parte dei ricordi non era in programma, ed è l’unica di cui non sono molto convinta. Tra l'altro è stata anche molto complicata da gestire per via dell'incrocio tra i pensieri di Voldemort e i ricordi stessi, per cui ho dovuto ricorrere al corsivo, altrimenti non si capiva niente. Per il resto direi il capitolo che va bene.

Nuovo capitolo di passaggio, breve, ma mi serviva ad introdurre Codaliscia e spiegare come Voldemort viene a sapere della veglia. Tra l’altro, non l’ho detto esplicitamente, ma Voldemort manda a chiamare Lucius non solo per sapere che diavolo c’era andato a fare (di testa sua) al Ministero, ma anche perché sospetta che Lucius sappia dove si trova Villa Silente. E ha ragione. Non si sfugge allo zio Tom.

Altra cosa: Codaliscia aveva fatto perdere le sue tracce dopo la notte a Godric’s Hollow. Si era nascosto ai Tre Manici di Scopa, sottoforma di topo, approfittando del caldo e degli avanzi di cibo del locale. Non l’ho specificato bene, ma sarà Sirius a spiegare che cosa era successo e perché Peter è fuggito.

Devo dire di essere molto orgogliosa di come è venuto fuori Codaliscia, soprattutto nell’ultima parte. Non che mi piaccia, lo trovo assolutamente deprecabile come personaggio, ma penso di averlo reso bene.

Ero indecisa se mettere Arthur Weasley o Remus qui, alla fine avevo optato per Lupin. Ma mi hanno appena fatto notare che Remus avrebbe riconosciuto Codaliscia, ed era il motivo per cui, nella prima versione del capitolo avevo messo Weasley. Poi ho pensato di mettere Lupin al posto, completamente dimentica del perchè avevo messo Arthur... scusatemi, ma ho il cervello in pappa questi giorni causa blocco dello scrittore.

Beh, vi ringrazio di aver letto il frutto del mio auto-flagellamento davanti al computer (che tra l’altro si chiama Peter, come Codaliscia :P) e, come sempre, aspetto le vostre recensioni. Prossima fermata: funerale di James e da lì in poi la strada sarà in rocambolesca discesa: giù inesorabilmente verso la fine.

Ora me ne vado. Ciao a tutti! 
 

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Capitolo 24
*** Conflitto di profezie ***


Capitolo 24
 

CONFLITTO DI PROFEZIE



“Cavallo in H5.” Disse Severus con noncuranza osservando il piccolo cavaliere rosso scivolare silenziosamente verso la casella vuota della scacchiera.

Lily rimase pensierosa per un attimo, analizzando bene la posizione dei pezzi sulla scacchiera. Si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio sospirando. Non era mai stata molto brava a scacchi… poteva stare ore ad analizzare la situazione, ma qualcosa immancabilmente le sfuggiva, e i pezzi bianchi che guidava di certo non la aiutavano con i loro consigli sulle mosse da farsi. Consigli che riuscivano solo a confonderla di più.

Erano nella sua camera, entrambi seduti sul letto di Lily. Lei a gambe incrociate, lui con la schiena appoggiata al muro e la scacchiera nel mezzo, appoggiata traballante su un cuscino per tenerla un po’ più alta.

Alzò appena gli occhi su Severus seduto a poca distanza da lei, le spalle addossate al muro e lo sguardo perso fuori dalla finestra, quella stessa finestra a cui lei si era affacciata ormai più di una settimana prima dopo essersi svegliata tra le braccia di Severus. Le tornò in mente in modo in cui lo aveva trattato… gli aveva urlato contro senza alcun motivo, lo aveva ferito quando lui le era rimasto accanto tutto il tempo stringendola a sé.

Erano tornati a Villa Silente da… quattro giorni? Lily fece una smorfia. Gli avvenimenti da quel maledetto trentun ottobre si erano accavallati come uno sciame famelico di locuste dove era impossibile individuare i singoli individui… le singole ore. Una massa informe e famelica che si era abbattuta su di loro coccolando gelosamente il passare del tempo. Da quando erano tornati a Villa Silente, però, lo sciame si era disperso lasciando soltanto un paesaggio silenzioso e devastato in cui il tempo pareva scorrere a rilento. Quei quattro giorni le sembravano ora un’eternità in quella calma soprannaturale che regnava in quella casa.

Lei e Severus avevano passato le giornate a parlare e a giocare a scacchi, dove lei aveva inevitabilmente perso ogni singola partita, ma non importava. Quello che contava era quanto si sentisse bene ad avere Severus accanto, le faceva dimenticare James… era una medicina che stava lentamente guarendo la ferita ancora aperta. Era una spalla a cui aggrapparsi. Era uno strano scambio di ruoli quello che stava accadendo, si ritrovò a pensare Lily. Una volta, quando si era allontanata da Severus, era stato James a proporsi come sotegno. Un rimpiazzo, un modo per cercare di dimenticare Severus… non lo aveva mai amato davvero, era stata una cotta, un’attrazione, ma niente di più. Però la presenza di James, la sua naturale simpatia, dopo che aveva messo da parte un po’ dell’arroganza, i suoi amici strambi che aveva col tempo imarato ad apprezzare, erano stati un tonico, un fuoco che l’aveva accolta tra le sue braccia calde a scaldare il suo cuore, avevano riempito una buona parte del vuoto che Severus aveva lasciato dentro di lei.

Ora, invece, era Severus a cancellare un poco della tristezza che l’aveva conquistata dopo la morte di James. Quando era insieme a lui riusciva per un attimo a dimenticare ciò che era successo. Era un ritorno alla loro infanzia.

Insieme alla felicità per l’aver di nuovo Severus al suo fianco, però, in Lily era cresciuta anche l’insofferenza verso Silente. Silente, il più grande mago di tutti i tempi… il preside della scuola di Hogwarts che era sempre stato punto di riferimento per la comunità magica. Che era sempre stato il mito degli studenti della scuola… soprattutto dei Grifondoro, visto che a volte godevano di alcuni, come dire?, favori. Silente in cui lei aveva sempre visto la guida, il saggio... colui che aveva sempre una risposta. Silente che ora si preoccupava soltanto degli affari della scuola, Silente che aveva rinunciato a cercare Harry. E perché? Perché a lui di Harry non importava: questa era la conclusione a cui era arrivata Lily. Ad Albus importava soltanto del suo dannatissimo piano… il suo ‘bene superiore’. Senza badare al costo che alcune persone avrebbero dovuto pagare, persone come lei, come Harry, come Severus.

Era arrivato perfino a porre sigilli magici sulle porte delle loro stanze, sua e di Severus, per evitare che se ne andassero di nuovo a cercare Harry per conto loro. Erano bloccati. In sospeso, ad attendere che Voldemort si facesse avanti. E sarebbe venuto… oh sì, avrebbe riso in faccia a tutti loro e avrebbe fatto bene: si stavano davvero comportando da stupidi.

In più c’era quella profezia che aveva ascoltato dalla professoressa e le cui parole rimbombavano nei suoi sogni, la attaccavano nei momenti più disparati. E lei si arrovellava su quelle frasi senza senso cercando di catturare una soluzione che non esisteva. Non ne aveva ancora parlato a Severus, ma sapeva di doverlo fare. Più che altro, aveva paura della sua reazione di fronte alle parole più inquietanti della profezia: Colui che lo lasciò tornerà al suo fianco ed egli lo legherà a sé con catene maledette.Non sapeva se quelle parole si riferissero proprio a Severus, ma il timore era profondo e non voleva far del male al ragazzo seduto lì con lei. Però doveva dirglielo. Almeno avrebbe potuto confrontarsi con qualcuno su quelle frasi, era proprio il caso di dirlo, sibilline.

“Allora? Vogliamo muovere?” Disse una voce metallica distraendo Lily dai suoi pensieri. La ragazza si rese conto di essere stata tutto il tempo a fissare Severus che ora la guardava con aria interrogativa, anch’egli riportato alla realtà dall’alfiere bianco che si agitava, stizzoso, sulla sua casella.

Lily distolse in fretta lo sguardo dal ragazzo e lo riportò sulla scacchiera.

“Oh… ehm… -Balbettò, ancora confusa dai pensieri di poco prima. –Alfiere in D4.” Disse infine distrattamente.

L’alfiere in questione di voltò verso di lei sollevando la celata dell’elmo e le lanciò un’occhiata omicida.

“Dico, vuoi mandarmi al suicidio?” Sbottò agitando il guiderdone con irritazione verso di lei.

Lily lo guardò confusa, non capendo. Passò in rassegna la scacchiera, ma non vide alcun pericolo incombere sulla casella D4. Sbuffò. Non sopportava gli scacchi… gli alfieri men che meno. Ma chi credevano di essere? Era lei a comandare il gioco. D4 aveva detto e D4 sarebbe stato.

“D4.” Ripeté con decisione Lily, irritata.

L’alfiere si calò la celata con un gesto stizzoso e brontolò qualcosa prima di avanzare in diagonale di tre caselle.

Severus sorrise compiaciuto. Si posizionò meglio sul letto cercando una posizione più comoda, poi disse con calma soddisfatta: “Regina in D4. Scacco matto.”

Lily brontolò irritata quando vide la spada della regina rossa abbattersi sul suo alfiere candido e gettarlo fuori dalla scacchiera a far compagnia alle due torri, il cavallo e quattro pedoni che si massaggiavano le ferite a bordo campo. Il re bianco chinò lentamente il capo, piegato sotto il peso amaro dell’ennesima sconfitta.

“Non è giusto.” Sbuffò Lily, battendo un lieve pugno sul materasso.

“Scacchi non è il tuo gioco, Lily. Lo hai sempre saputo.” Disse Severus, sorridendole.

Lily alzò gli occhi verso di lui, fulminandolo.

“Potresti almeno farmi vincere, ogni tanto.” Disse mettendo il broncio.

“E perché dovrei?” Chiese allora Severus.

“Perché sono una ragazza. E tu da, buon cavaliere, dovresti cedermi il passo.” Disse allora Lily assumendo un’espressione boriosa e gettandosi indietro i capelli in un gesto plateale.

“Nessuno dovrebbe vincere senza merito.- Disse allora Severus. –E poi mi diverto troppo a batterti.” Aggiunse poi guardandola con superiorità.

“Scemo.” Disse Lily, ridendo. Lui sorrise di rimando. Quei pochi giorni passati accanto a lei erano stati un toccasana, lei che, però, era diventata mano mano più cupa e triste. Certo, non si risparmiava ampi sorrisi e risate, ma erano come una facciata: c’era sempre qualcosa di ansioso in quegli occhi verdi, la loro perenne scintilla allegra era come svanita e la sua mancanza aveva gettato dello scuro su quelle iridi raggianti. Severus non sapeva se ciò era dovuto alla decisione del preside di disinteressarsi di Harry, o se era per l’imminente commemorazione del marito di lei. Probabilmente un misto di entrambi. L’unica cosa di cui era certo era di essere l’unico appiglio di Lily, l’unica persona a cui lei si stava aggrappando con tutta la sua forza… una via di fuga, così come lei lo era per lui. Si appoggiavano l’uno all’altro per non crollare, erano colonne corrose alle fondamenta che si erano rincontrate nella caduta.

Certo era che la decisione di Silente non era andata a genio a nessuno dei due. Severus sapeva che il tassello mancante era Harry… Harry, una volta trovatolo tutto si sarebbe spiegato. Ma dov’era? Il piano geniale di Silente era un bellissimo castello costruito in aria… non aveva alcun fondamento logico, tutta la costruzione si basava su menzogne… sul ‘far credere che’. A meno che Silente non nascondesse qualche oscuro risvolto del suo piano, Severus sapeva che Voldemort aveva già vinto. Se tutto si basava sull’inganno, come puoi battere ha creato quella stessa menzogna? Se tutto si basava su un bluff, come puoi mentire a chi mente? Era un paradosso… e come tutti i paradossi, non aveva risposta. Voldemort e Silente giocavano con l’aria, girando in tondo su loro stessi.

C’era però una cosa che sapeva, e di cui era sicuro: Lucius Malfoy era l’elemento mancante che avrebbe ricondotto tutti gli anelli assieme. Ma come poteva confutare le sue ipotesi se era bloccato in quella casa? Da quanto aveva detto Lily, Silente non si era minimamente preoccupato della lettera di Malfoy. Perché?

“Sev?” Fece la voce calma di Lily.

“Sì, Lily?” Rispose lui guardandola con occhi stanchi.

Lei chinò appena il capo e cominciò a giocare distrattamente con il copriletto azzurro.

“C’è una cosa… -Disse lentamente. –che avrei… avrei forse dovuto dirti prima.”

Severus la guardò interessato, tacendo e spronandola a parlare con il suo silenzio. Lily alzò lo sguardo verde verso di lui osservandolo seriamente nello spazio di un sospiro.

“Avevo paura di dirtelo, ma… insomma, sono giorni che mi ci rifletto sopra e non riesco a venirne a capo. Non riesco più a tenermela dentro…” Disse lei.

“Che cosa, Lily?” Chiese lui, palesemente incuriosito dalle affermazioni un po’ timorose della ragazza.

“Ero così decisa a dirtelo, prima… poi, quando ti sei svegliato, ho cominciato ad avere dei dubbi.” Continuò Lily.

Severus non rispose, continuando a guardarla con i suoi profondi occhi scuri.

“Ecco… si tratta di una profezia.” Concluse Lily abbassando nuovamente il capo, cosicché non si accorse del sussulto che aveva scosso Severus all’udire l’ultima parola.

“Eri ancora in coma… -Riprese Lily, alzando nuovamente gli occhi verso il ragazzo. –Madama Chips mi aveva mandato a prendere della pozione corroborante e… ti senti bene?” Domandò poi notando gli occhi spaventati di Severus.

“Sì… -Rispose lui deglutendo, a disagio, - Continua.”

Lily lo guardò perplessa ancora per qualche istante, domandandosi che cosa avesse detto per metterlo in difficoltà.

“Ho incontrato la professoressa Cooman nell’uff…” Tentò di cominciare Lily, ma Severus scattò in piedi, scendendo dal letto, e facendo cadere alcuni pezzi degli scacchi sotto gli occhi confusi della ragazza.

Severus attraversò la stanza in fretta, fermandosi davanti alla porta finestra e voltando le spalle a Lily che ancora non riusciva a capire a cosa era dovuto quel comportamento, tuttavia, non riuscì a dire niente e, per qualche attimo, tutto in quella stanza fu abbracciato dal silenzio che non si curava dello sguardo interrogativo di Lily, né di quello scuro di Severus, appoggiato allo stipite della porta.

“Qualunque cosa ti abbia detto non aveva il diritto di farlo.” Disse infine Severus con voce dura.

“Di che stai parlando?” Chiese allora Lily, sempre più confusa.

“Che cosa ti ha detto?” Domandò, in tutta riposta, Severus, sempre dando le spalle alla giovane e lasciando vagare gli occhi scuri al di là del vetro.

“C’è qualcosa che non va? Non capisco…” Disse allora Lily.

“Che cosa ti ha detto di me?” Continuò a domandare Severus.

Lily non riusciva a capire. Perché Severus aveva paura che la Cooman le avesse detto qualcosa su di lui? C’era qualcosa che lui voleva nasconderle? Ma cosa c’entrava quella veggente pazza?

“Non mi ha detto niente di te. –Disse Lily, alzandosi in piedi. -E’ strano che tu me lo chieda… io non ho accennato a niente del genere.”

Severus si voltò lentamente verso di lei, lo sguardo cupo.

“Hai parlato di una profezia…” Le disse con voce calma, triste.

Lily gli si avvicinò portandosi ad un passo da lui. Alzò lo sguardo per poterlo guardare negli occhi, come a cercare ciò che Severus le nascondeva, ma in essi non trovò nulla, se non le placide, oscure acque del lago… il respiro del drago addormentato.

“Sì. –Disse allora, ritirandosi dal buio profondo di quegli occhi. –E’ stato strano. Un momento prima cercava pozioni per il mal di testa e l’attimo dopo era come in trance… ha cominciato a parlare con una strana voce.”

Severus parve rilassarsi un po’.

“Stai parlando di un’altra profezia.” Disse, quasi in un sussurro, ma di certo quelle parole non poterono passare inosservata alle orecchie di Lily, ma questa, dopo un attimo di smarrimento di fronte a quell’affermazione, decise di soprassedere, almeno per il momento, e continuare il proprio discorso.

“Ha cominciato a parlare di un ladro e di Hogwarts e poi di catene maledette e…” Cominciò Lily, ma Severus la interruppe.

“Calma… -Disse lui bloccando il fiume agitato di parole che usciva dalle labbra di Lily. –La Cooman ha profetizzato davanti a te, è così?”

Lily fece un cenno affermativo con il capo, notando che il ragazzo aveva tirato una sorta di sospiro di sollievo nel vedere quel cenno e che ora era visibilmente più calmo.

“Ok… -Disse Severus. –Che cosa ha detto?”

“Ehm… -fece Lily mordendosi il labbro inferiore. –Ricordo a memoria solo alcune parti… ma l’ho scritta. L’ho scritta… eccola.” Disse poi estraendo dalla tasca dei jeans un foglietto ripiegato. Lo aprì con cura e cominciò a leggere:

“Quando i suoi nemici si riuniranno sotto lo stesso tetto, l’Oscuro Signore verrà e sulle sue labbra gusterà il dolce sapore dell’inganno.
Le sue condizioni saranno il suo guadagno ed avrà tutto con nulla.
Colui che lo lasciò tornerà al suo fianco ed egli lo legherà a sé con catene maledette.
Le porte di Hogwarts si apriranno amiche dinnanzi al ladro e sue saranno le mani che reggeranno la lama fatale.”

Quando i suoi occhi incontrarono l’ultima lettera, Lily alzò gli occhi  verso Severus e lo vide con una strana, indefinibile espressione. Sembrava un misto tra l’interessato, lo stupito e lo spaventato.

“Allora? –Chiese Lily, cercando di incitarlo a parlare. –Che ne pensi?”

“Non ne penso bene.” Rispose laconico Severus.

“Sono giorni che mi ci arrovello sopra… e, come ho detto, non sono arrivata a capo di nulla. Forse in due riusciamo a interpretare qualcosa.” Disse Lily, speranzosa.

“E’ un profezia Lily. –Disse Severus, oggettivo. –Non ci capirai nulla finchè non si sarà avverata. E’ un rompicapo inutile.”

“Ma potrebbe esserci qualcosa di importante. –Disse allora Lily. –La prima parte dove dice che il Signore Oscuro verrà quando i suoi nemici si riuniranno sotto lo stesso tetto… non potrebbe riferirsi alla veglia di stasera?”

“Lily… -Fece Severus. –Nessuno conosce la località di questa casa. Silente ha detto che non ci sono pericoli.”

“Beh, io non mi fido più di Silente!” Sbottò allora Lily.

“Perché dobbiamo comportarci come delle pedine? Perché non possiamo agire di testa nostra?” Continuò, abbassando un poco il tono di voce.

“Ti capisco, Lily. Neanche a me va a genio il suo piano, ma che cosa vuoi fare? Siamo bloccati qui. E’ già un bene che non ci abbiamo legato al letto.” Disse allora Severus.

“Sev, per favore… -Disse Lily agitando il bigliettino con la profezia. –Questa cosa è importante, lo so. Fidati.”

Severus sospirò, poi annuì con un cenno del capo. I suoi occhi si posarono su quelli di lei racchiudendo in essi un incitamento a continuare.

Lily sorrise e agguantò la mano di Severus accompagnandolo verso il letto, dove lo fece sedere nuovamente mentre lei si sistemava a gambe incrociate. Lily spostò i pezzi dalla scacchiera, ignorando i loro borbottii irritati, e vi appoggiò sopra il foglietto dove si allungavano le frasi scritte nella sua grafi tonda.

“Allora…” Cominciò Lily.

“Solo una domanda prima. –La interruppe Severus. –Silente lo sa?”

“No.” Rispose Lily.

“Lo immaginavo…” Commentò Severus a fil di voce.

“Allora… -Riprese Lily. –Mi pare che la prima parte sia abbastanza esplicita, no? Va bene, forse non si riferisce alla commemorazione di James, ma si parla di una riunione dell’Ordine e che verrà il Signore Oscuro.”

“Perché non hai fatto parola a Silente di questo, se sei così sicura?” Le chiese Severus.

“Perché si sarebbe limitato a fare spallucce. Come per Harry…” Rispose Lily.

Severus si protese appena verso di lei assumendo un’espressione grave, poi disse: “Lily, capisco che il modus operandi di Silente abbia fatto diminuire i punti a suo favore per te, ma non credo sia stata una buona mossa tenergli nascosto questo. E perché non ne hai parlato prima a me?”

Lily lo guardò percependo una leggera vena di delusione in quell’ultima domanda.

“Avevo paura di metterti a disagio per…” Disse, mormorando appena.

“Per la questione di ‘colui che lo ha lasciato tornerà al suo fianco’?- Chiese Severus.-Credi si tratti di me?”

“No! –Disse duramente Lily scuotendo il capo. –Non lo credo possibile.”

“Ma hai paura che lo possa essere…” Disse Severus tristemente. Lily assentì appena col capo.

Severus tese la mano verso di lei accarezzandole appena la guancia, spingendo i suoi occhi a seguire quella carezza fino ad incontrare gli occhi neri del ragazzo di fronte a lei.

“Non tornerei mai consapevolmente da lui, Lily. Mai.” Disse Severus seriamente accompagnando quell’ultimo ‘mai’ con un lieve incresparsi delle labbra in un sorriso rassicurante.

“E le catene maledette?” Chiese Lily.

“Non so cosa siano… non cosa intenda. Ma non mi lascerò mai più abbagliare dal buio, Lily, questo è certo.” Severus ritirò la mano interrompendo il contatto con la giovane e il sorriso si cancellò dal suo volto.

Lily rimase qualche istante a guardarlo, si permise di perdersi di nuovo in quegli occhi magnetici godendo dello scintillio attonito delle increspature pigre del lago. Poi si riscosse e si schiarì la gola abbassando gli occhi fino a posarli sul bigliettino appoggiato sulla scacchiera. Il suo sguardo si soffermò sulla seconda frase, quella che aveva rinunciato a capire quasi da subito.

“Sev,  che cosa vuol dire la seconda frase?” Chiese, come un’alunna curiosa che chiede spiegazioni al suo insegnante.

Le sue condizioni saranno il suo guadagno ed avrà tutto con nulla.” Lesse Severus, mentre le sue sopracciglia si inclinavano in su.

“Se c’è una cosa che so di Voldemort, è che è molto bravo a giocare con gli inganni. –Disse pensieroso. –Non so cosa voglia dire, sembra intendere che lui otterrà ciò che vuole ponendo come condizione, come scambio, qualcosa che in realtà lui non ha.”

Lily lo guardò perplessa. “Questo è ancora peggio della profezia. –Commentò, strappando un sorriso a Severus.- Tralasciamo.”

“E la questione del ladro?- Domandò Severus. –Sii oggettiva, Lily: parliamone a Silente. Vada come vada, almeno ci avremo provato.”

Lily lo guardò con occhi scuri. No, dirlo a Silente era l’ultima cosa che voleva fare. Per una volta avrebbero preso in mano il loro destino, senza che ci fosse un vecchio preside a decidere per loro.

“Pensavo a Malfoy, io.” Disse Lily.

Severus scosse il capo remissivo, ben notando il completo ignorare le sue parole da parte di Lily.

“Perché Malfoy?” Le chiese.

“Non lo so… mi dà quell’idea.” Rispose allora Lily.

“E perché le porte di Hogwarts dovrebbero aprirsi amiche davanti a lui? Non mi pare il tipo da essere benvoluto nella scuola.” Argomentò Severus.

“E poi c’è quella lama fatale…” Disse Lily, pensierosa.

Severus sospirò, guardandola seriamente.

“Non serve a nulla cercare di interpretare una profezia, Lily. –Disse tranquillamente. –Non arriverai mai alla soluzione, almeno finchè non ci sbatti dentro. E allora sarà troppo tardi.” Concluse abbassando tristemente lo sguardo.

“Troppo tardi?” Ripetè Lily, cogliendo quella strana piega che aveva preso la voce di Severus nel pronunciare quell’ultima frase.

Severus non rispose, il suo sguardo rimase immobile, puntato sul bianco e nero della scacchiera.

“Sev?- Disse dolcemente, eppure con nella voce quella lieve incertezza che ne permeava anche lo sguardo. –Perché avevi così paura prima? Quando ho nominato la profezia?” Chiese, quasi timorosa della risposta che avrebbe ottenuto.

Il ragazzo sospirò e, per un attimo, Lily pensò che avrebbe proseguito nel suo silenzio, invece Severus alzò gli occhi verso di lei, colmi di una sconcertante consapevolezza.

“Io non voglio perderti, Lily.” Disse con una calma disarmante, di fronte alla quale le lame curiose di Lily svanirono nel nulla.

“Non mi perderai. –Gli disse lei. –Mai più.”

Severus scosse desolatamente il capo.

“Non vorrai più stare accanto a me quando saprai la verità.” Disse, scostando per un attimo lo sguardo mentre pronunciava quelle parole.

“Perché non dovrei più starti accanto? Ho fatto quell’errore una volta, non accadrà più.” Rispose Lily, sicura.

“No, Lily. Tu non capisci.” Disse allora lui, continuando a sfuggire lo sguardo della ragazza.

“Che cos’è che non capisco?” Chiese allora lei.

“Silente non ti ha detto perché Voldemort cercava voi quella notte?” Disse Severus, stupendo la ragazza con quella strana domanda. Lei lo guardò interrogativa per un attimo, poi ripose: “No. Cosa dovrei sapere?”

Severus sospirò per l’ennesima volta, i lunghi capelli neri gli mettevano leggermente in ombra il viso lanciando scie scure che si allungavano dai suoi occhi come asciutte lacrime del deserto di cenere nera che albergava dentro di lui. Come poteva dirglielo? Proprio ora che erano di nuovo insieme, che aveva la possibilità di tenerla con sé. Dirglielo l’avrebbe fatta allontanare da lui, e ne avrebbe avuto ragione. Lui era un mostro, solo un mostro, nient’altro… ma poteva tacerle la verità su Harry e Voldemort? Poteva tacerle la sua colpa?

“Mi dispiace, Lily. –Disse in un mezzo sospiro. –Ti prego, non adesso.” La supplicò e Lily quasi si spaventò dinnanzi a quegli occhi scuri velati di lacrime che la guardavano feriti e supplichevoli. Le stava chiedendo tempo. Era ovvio che lui sapeva… ma c’era qualcosa che lo bloccava. Qualcosa che voleva tenerle nascosto, almeno per il momento… qualcosa di cui aveva paura.

Lily rimase in silenzio per qualche attimo. Certo, il desiderio di sapere la verità su quella notte era grande, era ciò che si era chiesta più volte… a cui Silente non aveva voluto darle una risposta. Le aveva detto che sarebbe spettato a Sirius e a Severus dirle la verità, Severus che ora era visibilmente in difficoltà e le chiedeva tempo. Poteva negarglielo? Era il suo migliore amico… gli aveva promesso solo un istante prima che non lo avrebbe abbandonato mai… ora poteva far pressione su di lui?

“Me lo dirai, però.” Disse lei, caldamente.

Severus fu felice di sentire che la sua richiesta era stata accettata. Qualche giorno… non chiedeva di più, poi le avrebbe detto la verità e l’avrebbe persa di nuovo. Ma, per quanto poteva, avrebbe cercato di tenerla accanto a sé il più a lungo possibile.

Il ragazzo annuì regalando un ampio sorriso a Lily, ma lei non lo ricambiò. Era pensierosa. Si portò una ciocca di capelli rossi dietro all’orecchio con un gesto nervoso, poi alzò lo sguardo verso Severus.

“Verrai alla veglia?” Gli chiese. Gliel’aveva già chiesto molte volte in quei giorni e lui aveva sempre evitato di risponderle, in qualche modo, ma quella volta non avrebbe potuto sfuggire.

Severus tacque. In cuor suo però, felice che Lily avesse cambiato discorso.

“Ti prego…- Lo supplicò Lily. –Io non ce la faccio da sola.”

“No, Lily. Non sarei il benvenuto.” Le rispose lui, con voce seria.

“Vorrei non doverci andare.” Confessò allora la ragazza. Severus la guardò un po’ turbato.

“Ma tu ci vuoi andare.” Le disse lui dolcemente.

“Sì, ma ho paura. –Disse Lily. –Rivedere Rem e Sirius… io… Ti prego, Sev, ho bisogno di qualcuno vicino. Non lasciarmi da sola.”

Non lasciarmi da sola. Quattro semplici parole in una supplica altrettanto semplice e disarmante. Severus ne rimase turbato.

“Lily… che accompagnatore potrei essere per te?- Le disse. –E poi, quella gente mi odia. Non sarò il benvenuto.”

“Non è vero che ti odiano. Loro non ti capiscono… è diverso. Per favore.” Disse Lily.

Severus la guardò gravemente.

Non lasciarmi da sola. Quelle parole tornarono a forargli la mente con le loro carezze. Non lasciarmi da sola. Lei non lo aveva mai lasciato quando era incosciente, gli era sempre rimasta accanto. Sempre.

Non lasciarmi da sola.

Avrebbe potuto? No, non l’avrebbe lasciata da sola.


 

*******


 

Ok, innanzitutto vi chiedo scusa per il ritardo, ma il mio blocco non accenna a passare, purtroppo.

Poi, mi scuso perché questo capitolo avrebbe dovuto essere quello di James, ma rimaneva ancora la questione della profezia da aggiustare. Volevo mettere tutto insieme, ma sarebbe venuto fuori un capitolo enorme, così ho deciso di dividere. Spero che non vi dispiaccia troppo, ma so che i momenti Sev/Lily sono sempre ben graditi.

La questione ‘profezia su Harry’ è saltata fuori da sola, non era programmata. Oltretutto ho un piano preciso per la sua rivelazione a Lily, insieme col fatto che è stato Severus a riferirla a Voldemort, quindi ho dovuto trovare un escamotage per togliermi d’impiccio. Da qui la richiesta di tempo di Severus, che d’altronde è piuttosto giustificata, insomma, non è proprio una cosa da dire a cuor leggero. E Lily capisce il turbamento di Sev e accetta.

Bene, non ho altro da dire, quindi vi do appuntamento al prossimo capitolo, stavolta sì, quello del funerale di James, a cui parteciperà anche Sev.

A presto! Mi raccomando, aspetto i vostri commenti!

Ciao!

 
 
 

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Capitolo 25
*** Commemorazione ***


Capitolo 25

COMMEMORAZIONE



No, Lily non sarebbe sopravvissuta a tutto quello. C’era un nodo nel suo petto che le mordeva le pareti dello stomaco provocandole uno strano senso di nausea. Forse era l’aria satura di saluti e sorrisi che infilava le sue lunghe dita giù per la sua gola a stringere sempre di più quel laccio, forse erano i visi che vedeva a penetrarle con forza nel petto con tutto il fuoco dell’inevitabilità.

Lily si protese appena sul corrimano di legno che correva lungo la destra del corridoio del primo piano. Guardò di sotto, cercando di non esporsi troppo, intimorita dalla folla che si era radunata nell’ingresso. Cercò di trarre un lungo sospiro, ma quel laccio le bloccò i polmoni costringendola ad un lieve rantolo mentre gettava fuori l’aria. Si guardò alle spalle, gettando un’occhiata vogliosa alla porta appena socchiusa della sua camera: avrebbe solo voluto gettarsi all’interno e chiudersi a chiave, in silenzio, sola con sé stessa, in tranquillità senza dover affrontare tutti quei volti pietosi e sorridenti che le laceravano il cuore.

Il suo sguardo si spostò lungo il corridoio, fino ad incontrare la porta scura della camera di Severus, anch’essa socchiusa e da cui filtrava un lieve raggio di luce. Probabilmente, in quel momento, Severus aveva il suo stesso nodo stretto nel petto, legato da altre mani, le dita acuminate della solitudine e di quel suo sentirsi inappropriato. Le dispiaceva avergli chiesto un tale sacrificio… ma lei non ce la faceva da sola, non poteva affrontare tutti quei vecchi amici da sola, aveva bisogno di un rifugio sicuro e, al momento, il suo unico rifugio era Severus.

Lily prese un lungo sospiro e si allontanò dal corrimano dirigendosi lentamente verso la stanza di Severus. Bussò con leggerezza due volta alla porta prima di affacciarsi all’interno non avendo ricevuto risposta.

Severus era seduto sul letto, i gomiti appoggiati sulle ginocchia, la schiena curva. I suoi occhi neri erano persi fuori dalla finestra tra la caligine del crepuscolo tra il cui pulviscolo si nascondevano, come parte dello stesso, tetro mondo.

“Sev…” Mormorò Lily entrando nella stanza e riaccostando la porta, senza chiuderla.

Severus non rispose, solo le sue spalle si alzarono appena sotto la spinta di un sospiro.

“Continua ad arrivare gente…” Disse Lily avvicinandosi a lui, tradendo con la voce il suo disagio.

Il ragazzo volse il capo verso di lei e la guardò con occhi velati, oscurati appena dalla scia di vespero che avevano appena rubato alla sera.

“Non sei costretta ad andare.” Le disse semplicemente con voce atona.

“Lo so… -Rispose Lily portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, come faceva di solito quando era nervosa. –Ma mi dispiace troppo non andare.”

“Ti salteranno addosso come lupi famelici.” Disse Severus.

“Ho paura.” Confessò tristemente Lily abbassando il capo.

Severus si alzò dal letto e si avvicinò a lei. La guardò gravemente come a cercare di assorbire il disagio della ragazza nei suoi pozzi neri esiliarlo insieme alle fiere che già dimoravano laggiù in fondo tra grate di ghisa e laghi di fango. Quell’ombra non doveva esistere, non sul viso della sua Lily, sempre così luminoso. Quell’ombra doveva stare con i suoi simili nel deserto nero del cuore di Severus.

“Di cosa hai paura?” Le chiese dolcemente il giovane.

Lily tirò appena su col naso e alzò gli occhi verdi verso di lui, sempre offuscati dalle dita dissacranti di quella fiera nera.

“Di incontrarli. –Rispose Lily. –Tutti loro. Soprattutto Remus e Sirius.”

“Non puoi evitarli, Lily: dovrai affrontarli prima o poi. Nascondersi non serve a nulla.” Disse Severus.

“Tu non ti sei mai nascosto?” Chiese ingenuamente la ragazza guardandolo con occhi appena velati.

Severus sospirò. Tentò di sorridere, ma ottenne soltanto una triste curva sulle labbra che gettava ulteriore grigia tristezza sui suoi occhi.

“Io non esisto.” Rispose con semplicità, con una sicurezza nella voce che quasi spaventò Lily. Lily che non capì che cosa voleva dire il ragazzo, ma non cercò di scavare più a fondo, temendo di scontrarsi con ferite ancora sanguinanti nell’animo di Severus. Lei non lo sapeva, ma la ferita più vasta che il giovane portava in sé era legata proprio al suo nome. Al suo nome e ad una stupida profezia. Una verità, un taglio profondo che alitava i venefici fumi della colpa e della consapevolezza… consapevolezza che presto avrebbe perso di nuovo la sua lucciola dai capelli di fuoco. Erano gli ultimi giorni in cui avrebbe potuto stringerla ancora a sé, lo sapeva, perché quella verità non poteva essere celata per sempre tra le labbra della ferita: premeva per uscire, per avvolgere con i suoi veleni la fata che ora gli stava davanti. Lui era un’ombra che racchiudeva altre ombre… niente luce in lui che potesse sfiorare la pelle di Lily, nulla: solo un buio gelido che avrebbe fatto fuggire il calore di lei schiaffeggiandola con i vetri rotti della verità.

Severus non pensò nemmeno a quello che stava facendo. Allungò le braccia e le avvolse intorno alle spalle di Lily, stringendola a sé. E Lily non pensò nemmeno per un secondo di scostarsi. Accettò l’abbraccio caldo di Severus stringendo le sue braccia intorno alla vita del giovane e appoggiando il capo contro il suo petto, quasi a volersi nascondere in esso, dentro al suo cuore che sentiva battere così vicino a lei. Godette del calore del corpo del ragazzo mentre Severus la stringeva forte nello spasmodico tentativo di aggrapparsi a lei con tutte le sue energie, con tutta l’urgenza della disperazione. Gli occhi chiusi ad abbracciare con il loro nero il solo e semplice calore di un sogno.

Rimasero così per qualche istante, appoggiandosi l’una all’altro, cercando di farsi forza a vicenda, di trovare un rifugio sicuro in quell’abbraccio caldo.

“Dovremmo scendere.” Disse a un certo punto Lily, mormorando le parole tra il calore del petto di Severus. Non voleva separarsi da lui… ma non potevano rimanere così per sempre, anche se era ciò che i loro cuori desideravano di più in quel momento.

Severus non rispose, aprì soltanto gli occhi superando il varco che separava il sogno dalla realtà, reimmergendosi nella fredda e dolorosa oggettività.

Nessuno dei due osò fare una mossa, ancora troppo legati da quel sentirsi finalmente in pace, insieme. Senza quella maledetta cortina di piombo a premere sulle loro spalle cercando di schiacciarli sotto il suo peso velenoso. Insieme. Severus era libero di dimenticare, per qualche istante, i gridi ferini delle Erinni che gli laceravano l’anima, perseguitrici fedeli del loro compito ancestrale di vendicare i delitti torturando l'assassino fino alla pazzia che Severus sapeva di meritare ancor più della morte. E Lily, Lily sentiva alleggerirsi il peso dell’ansia per la sorte del piccolo Harry e il dolore per la morte di James evaporando nel dolce calore del corpo di Severus.

Severus fu il primo a sciogliere l’abbraccio lasciandosi sfuggire un sospiro nostalgico. Guardò la ragazza che ancora gli cingeva la vita con le braccia mentre alzava il capo verso di lui, triste nel non poter più sentire il battito del cuore di Severus. Si guardarono per un breve istante, solo un breve istante prima che Lily distogliesse lo sguardo e si allontanasse da lui afferrandolo per la mano e invitandola a seguirla fuori dalla stanza, in silenzio. E Severus si lasciò condurre nel corridoio, si fermò solo un attimo per richiudere la porta dietro di sé prima di sbirciare di sotto.

Silente stava stringendo calorosamente la mano a Remus Lupin. Severus li vide scambiarsi qualche parola e dei sorrisi prima che Albus invitasse il giovane ad accomodarsi nell’ampio salone che si apriva alla loro destra. Severus si lasciò sfuggire una smorfia disgustata. Non sapeva che cosa avesse in mente Silente, e, ad essere onesti, avrebbe fatto volentieri a meno di scoprirlo, ma non poteva più tirarsi indietro ormai, l’aveva promesso a Lily. Gettò un’occhiata verso la ragazza che stava osservando di sotto esattamente come lui, sul suo bel viso un’ombra opaca a spegnere la luce dei suoi occhi. Un’ombra che era andata oscurandosi mentre lo sguardo della giovane incontrava la figura malmessa di Lupin.

In quel mentre, Albus Silente si voltò facendo scattare con sicurezza gli occhi azzurri verso di loro, come se avesse sempre saputo che si trovavano lì, e, probabilmente, era così: nulla sfuggiva a quei bracchi cilestrini, neanche le ombre dei fantasmi.

Albus regalò ai due giovani un sorriso furbo che andò a riflettersi nelle lenti degli occhiali a mezzaluna, poi fece loro cenno di scendere con un gesto della mano. Lily e Severus si scambiarono un’occhiata svelta, prima di capitolare definitivamente e cominciare a scendere lentamente gli scalini. Remus, che ancora non aveva fatto in tempo ad allontanarsi, sorrise dolcemente alla vista di Lily e fece qualche passo in avanti per poter intercettare subito la ragazza.

“Ciao, Lily.” Disse allegramente non appena la giovane posò il piede sull’ultimo gradino.

“Remus!” Esclamò Lily, felice, abbracciando il giovane dai capelli biondi davanti a lei. Severus, poco lontano, tuttavia percepì perfettamente la nota di tristezza che velava la voce di Lily. Il ragazzo si allontanò in fretta da lei e Lupin per andare verso Silente che lo agguantò subito abbattendogli un braccio sulle spalle.

“Sapevo che saresti venuto.” Gli disse con un sorriso che Severus, naturalmente, non ricambiò. Tacque, lo sguardo posato su Lily stretta ancora nell’abbraccio di Lupin, un abbraccio così diverso da quello che si erano scambiati loro due poco prima.

Silente colse perfettamente una sorta di nostalgia negli occhi neri di Severus, solo quello. Sapeva che il ragazzo doveva essere a disagio, che avrebbe preferito di gran lunga rifugiarsi in camera, da solo, ad aspettare che tutta quella gente se ne andasse, ma nulla in lui tradiva quei sentimenti. C’era soltanto quella vena di tristezza nei suoi occhi che non si spostavano un secondo da Lily. Poteva capire cosa provasse Severus, il doversi trovare in mezzo a gente che lo considerava un Mangiamorte e un traditore a rendere omaggio all’uomo che odiava. Eppure era lì, era lì per Lily.

“Bene, ci siamo tutti. Vi aspetto di là.” Disse Silente lasciando scivolare il braccio dalle spalle di Severus mentre si allontanava verso il salone pieno delle chiacchiere degli altri membri dell’Ordine.

Severus fece per seguire il preside, ma poi si fermò sulla soglia alla vista della folla che parlava e sorrideva in quello splendido salone dei pavimenti di marmo. C’era davvero tutto l’Ordine… saranno stati una ventina di persone in tutto, ma sembravano molti, molti di più. Di certo quello che più di tutti passava inosservato era Rubeus Hagrid che sfiorava con la testa uno dei grandi lampadari di cristallo e, al momento, chiacchierava amabilmente con Arthur Weasley. Severus vide Silente avvicinarsi a Minerva McGranitt, abbigliata in un elegante vestito verde scuro, e intromettersi nella discussione che la professoressa stava avendo con altri due membri dell’Ordine.

Notò che nella sala erano state approntate alcune panche per mettere agli ospiti di accomodarsi, tutte rivolte verso il lato destro. Alcuni membri dell’Ordine avevano già preso posto, tra cui Elphias Doge e Aberfoth Silente, mentre la maggior parte era in piedi presa dalle loro conversazioni. Severus vide Brix appostato all’angolo della sala, vicino alla porta che dava sul giardino, osservare con attenzione tutto quello che accadeva nel salone.

Il giovane scosse il capo e tornò a rivolgere lo sguardo verso Lily e Lupin, appoggiandosi allo stipite della porta.

Lily sorrise, un sorriso dolce. C’era così tanto conflitto dentro di lei, la felicità di rivedere Remus e la paura di non riuscire a sopravvivere a quella serata. Ma nonostante tutto, si poteva non sorridere di fronte alla gentilezza di Remus?

“Sto bene.” Rispose semplicemente lanciando una furtiva occhiata a Severus che la osservava dalla soglia del salone.

Remus sospirò assumendo un’espressione pietosa nell’incontrare lo sguardo di Lily al ritorno dalla sua breve occhiata a Severus.

“Non conosco molte parole di circostanza… e credo che siano le ultime che tu voglia ascoltare in questo momento, non è così?” Disse Lupin gentilmente.

“Sì, io… -Tentò di dire Lily, ma non riusciva a trovare le parole adatte e continuava a torturarsi il  labbro inferiore con i denti.-Scusami Remus, ma io non ce la faccio.”

Lupin annuì col capo.

“Ti capisco. –Le disse. –Vieni, uniamoci agli altri.” La invitò poi, ponendole delicatamente una mano sulla spalla traendola a sé mentre si avviava verso il salone.

Lily si lasciò condurre docilmente sebbene non avesse alcuna intenzione di entrare in quella sala colorita dagli abiti dei membri dell’Ordine della Fenice. Aveva paura che le sarebbero saltati tutti addosso come lupi famelici subissandola di tutte quelle frasi di circostanza che Remus, gentilmente, le aveva risparmiato. Voleva soltanto sedersi in un angolo, da sola, con l’unica compagnia di Severus. Severus che Lupin, poco prima, si era stupito di vedere. Remus non avrebbe mai creduto che Piton avrebbe partecipato alla veglia, non era una cosa da lui… soprattutto non se si trattava di James. Eppure eccolo lì: appoggiato allo stipite della porta con un occhio disgustato puntato sulle persone nel salone e uno adorante posato sulla bella Lily. Era lì per lei, concluse Remus, e per nessun altro motivo.

“Piton.” Lo salutò Lupin non appena raggiunse la porta insieme con Lily, e gli tese la mano.

Severus posò lo sguardo su quella mano osservandola come se fosse un serpente velenoso, quindi i suoi occhi scuri si alzarono verso il viso di Lupin e sul suo volto si incurvò una sghemba smorfia sarcastica.

“Sei qui per tutta questa bella carne fresca, Lupin?” Gli chiese, beffardo accennando alle persone nella sala.

Remus lo guardò per un attimo, senza scomporsi.

“E tu? Da quando ti importa di James?” Disse questi accennando un sorrisetto all’indirizzo di Severus.

Il giovane gettò un’occhiata a Lily che lo guardava in silenzio, quasi temendo che potesse balzare addosso a Remus.

“Sono qui perché me lo ha chiesto Lily, Lupin. E ne avrei comunque fatto volentieri a meno.” Disse gelido.

“Lo sai, Severus? Dovresti migliorare i tuoi rapporti sociali.” Rispose Remus con un sorriso. Quindi gli dette una pacca sulla spalla e lo superò per entrare nel salone.

“E comunque, -Aggiunse poi, voltandosi verso Severus. –Grazie per quello che hai fatto.”

Severus gli lanciò un’occhiata omicida nello stesso momento in cui Remus voltava nuovamente le spalle e si allontanava. Era stato sincero. Gli era sinceramente grato per aver salvato Lily, ed era quello che più lo faceva imbestialire. Che cosa aveva fatto? Niente. Assolutamente niente. Lupin poteva benissimo tenersele per sé le sue smancerie.

“Sev? –Disse Lily posandogli una mano sul braccio. -Entriamo?”

Severus abbassò lo sguardo verso di lei e non riuscì a trattenere un’occhiata triste.

“Non sei tenuta a rimanere con me. –Le disse. –Puoi andare con Lupin se vuoi.”

Lily ignorò la sua affermazione e se lo trascinò dietro. Cercò in tutti i modi di non dare nell’occhio, ma, ovviamente, fu invano perché subito quasi tutti si affollarono intorno a loro allungando le mani per stringere quella di Lily e battendole pacche incoraggianti sulla spalla. Severus perse il conto dei ‘Condoglianze, Lily’, ‘Come ti senti?’, ‘Andrà tutto bene, passerà.’ L’unico che ebbe un po’ più di tatto, tra tutti, fu Aberfoth che arrivò a passo di carica a infrangere le mura del capannello di gente che si era affollata intorno a Lily e in cui era rimasto imprigionato anche Severus. Si fece largo tra la calca cercando di superare Arthur Weasley e Elphias Doge che continuavano a borbottare  non si capiva bene quali parole di condoglianze.

“Insomma, lasciate respirare questa povera ragazza.” Disse Aberforth in un tono che non ammetteva repliche, e Lily tirò un lungo sospiro di sollievo nel sentire quelle parole salvatrici ringraziando Merlino per l’esistenza di Aberforth Silente.

“Su, via. Aria!” Intimò Aberforth, agitando le braccia.

Mentre i membri dell’Ordine si allontanano un po’ offesi da Lily e Severus sotto la burbera sollecitazione del fratello del preside, Severus e Lily ne approfittarono per cercare di allontanarsi e dirigersi verso un angolo del salone, in tranquillità. Ma neanche quella volta riuscirono a defilarsi in pace perché quasi subito andarono letteralmente a sbattere contro la mole di Hagrid.

Il mezzo gigante si voltò subito abbassando quegli occhi caldi che sembravano due piccoli insetti luccicanti nella foresta di barba e capelli che li circondava.

“Lily!” Esclamò con la sua voce profonda.

“Ciao, Hagrid.” Rispose la ragazza, spiccia.

“Salve, professor Piton.” Continuò Hagrid allegro ricevendo in risposta da Severus un breve cenno del capo.

Lily trattenne appena un sorriso mentre si voltava verso il giovane: era così strano sentirlo chiamare ‘professor Piton’. Era evidente, comunque, data l’espressione leggermente seccata che si era allargata sul viso del ragazzo, che anche lui non era ancora abituato a sentirsi chiamare in quel modo.

“Mi dispiace tanto, Lily.- Riprese Hagrid rivolgendosi nuovamente alla ragazza. –Eravamo tutti lì e nessuno faceva niente.”

“Non importa, Hagrid. Ormai è successo.” Disse Lily con dolcezza notando il brillare umido che aveva cominciato a tingere gli occhi del guardiacaccia.

“Sai, sono arrivato poco dopo che lui se ne era andato. –Continuò Hagrid. –C’era anche altra gente dell’Ordine. Tutti spaventati e andavano su e giù tra le macerie. Hanno tirato fuori James…”

“Sì, Hagrid. Grazie.” Disse Lily cercando di allontanarsi dal guardiacaccia, ma Hagrid non aveva alcuna intenzione di interrompere il suo discorso. Anzi, tirò fuori dalla tasca un grande fazzoletto a pois e si asciugò gli occhi commossi.

“Ma il primo ad arrivare è stato Sirius. Ma poi se ne andato in fretta, perché doveva cercare qualcuno… un traditore diceva. Mi ha lasciato la moto in custodia.” Disse Hagrid, ma Lily non lo ascoltava più. La sua mente si era fermata alle parole ‘Sirius’ e ‘traditore’.

“Scusaci, Hagrid, ma…” Tentò, allora di dire Severus, ma il gigante non accennò a fermare il discorso.

“Silente è arrivato poi. E cercava Sirius. Ma Sirius non c’era. Allora ci ho detto che lui era andato via… -Disse Hagrid annuendo col capo ad ogni punto. –E parlava anche lui di un traditore. Poi c’ha detto che tu eri salva, Lily.- E sorrise alla ragazza. –E poi ha cominciato a dire cose strane.”

“Cose strane?” Ripetè Lily, riacchiappando improvvisamente il filo del discorso. Silente sapeva, ma non parlava… ma forse si era lasciato sfuggire qualcosa nell’ansia di quella sera? Di certo Hagrid sapeva qualcosa,e far parlare il buon guardiacaccia era certo più semplice che non avere a che fare con l’astuto preside.

“Sì, strane. –Disse Hagrid. –Diceva che tu-sai-chi aveva scelto il piccolo Harry. Borbottava e andava su e giù.”

Lily si sentì mancare. Impallidì tanto che Severus temette che avrebbe dovuto sorreggerla per evitare che cadesse a terra. Aveva scelto Harry? Che cosa voleva dire ‘aveva scelto Harry’? Che cosa sapeva Silente? E Sirius? Che cosa sapeva Sirius? Perché Silente le aveva detto che dovevano essere lui e Severus a dirle certe cose? Tentò di riprendere fiato per chiedere ulteriori spiegazioni, ma non fece in tempo perché qualcuno le saltò letteralmente addosso rischiando di farla cadere.

“Lily!” Esclamò una voce allegra inframmezzata da una risata. Lily chiuse gli occhi esasperata, conosceva bene quella voce. Hagrid si allontanò a grandi passi, nel frattempo, ritrovandosi improvvisamente di troppo e andò a sedersi su una panca vicino facendola scricchiolare pericolosamente.

“Fa piano, Black, razza di imbecille!” Ringhiò la voce di Severus proprio di fianco a Lily mentre il giovane allontanava con mala grazia l’altro ragazzo che si era abbarbicato a Lily e non accennava a sciogliere l’abbraccio.

Sirius lasciò la presa e guardò cupo Severus.

“Perché devi sempre intrometterti negli affari altrui, Mocciosus? Eh?” Disse quasi in un ringhio.

“Per favore, non cominciate.” Li pregò Lily frapponendosi tra i due ragazzi.

“Da quando ti accompagni con questo qui, Lily?” Le chiese Sirius posando su di lei i suoi occhi azzurri e accennando col capo verso Severus.

“E’ mio amico. E tu lo sai.” Gli rispose duramente Lily.

Sirius non rispose, ma la guardò scettico sorridendo apertamente quasi trattenendosi di riderle in faccia. Poi posò i suoi occhi su Severus notando in essi il suo stesso astio e quasi se ne compiacque, ma il suo sorriso si trasformò presto in una smorfia disgustata. Che diavolo ci faceva lì Mocciosus? Quello era il funerale di James, la giusta commemorazione che non avevano potuto fare e lui veniva a rovinare l’evento con la sua presenza, riempiendo quel salone con i miasmi del suo marchio putrescente.

“Sei venuto a prenderti gioco della memoria di James, Mocciosus? Dopo averlo lasciato a morire come un cane?” Chiese Sirius in tono di sfida, completamente dimentico della ragazza che aveva appena abbracciato felice.

“Sono venuto perché me la chiesto Lily.” Rispose freddamente Severus incrociando le braccia al petto e raddrizzando il mento.

“Amorino di mamma!- Lo sbeffeggiò allora Sirius. –Cucciolotto, lui è venuto ad accompagnare Lily. Stai alla larga da lei.” Concluse in tono minaccioso.

Severus non rispose, nei suoi occhi la fiamma nera urlava in silenzio spingendo contro le iridi per avventarsi sul giovane di fronte facendo a gara con gli squilli argentei degli occhi dell’altro.

“Sparisci. –Gli intimò Sirius. –Non sei gradito qui.”

“Sirius!” Lo rimproverò allora Lily, ponendogli una mano sul braccio nel tentativo di calmarlo.

“Lascia stare Lily. –Disse invece Severus in tono triste. –Ha ragione lui: io non sono gradito qui.”

Lily si voltò verso di lui guardandolo con aria stupita mentre Sirius assumeva un’espressione compiaciuta.

“L’hai capito, eh, alla fine, Mocciosus.” Commentò Black alzando il mento con aria di superiorità.

Proprio in quel momento si levò la voce profonda di Silente, spingendo i tre ragazzi a voltarsi verso il preside che invitava tutti all’ascolto, in piedi, in fondo alla sala proprio davanti alle panche sistemate in file ordinate.

“In questi momenti, -Cominciò Silente, non appena si fu assicurato di avere l’attenzione di tutti i presenti. –è d’obbligo dire qualche parola di circostanza. Tuttavia,- Continuò prendendo ad andare avanti e indietro, -tuttavia, le trovo personalmente noiose e di cattivo gusto.”

“Quello che credo io, e mi permetterete, spero, di dire la mia opinione, è che il nostro caro James non le avrebbe apprezzate. Siamo qui per ricordarlo riunendoci in una serata tra amici, come amava lui. Siamo qui per ricordarlo con la nostra amicizia.” Riprese Silente. Lily vide Sirius annuire deciso con il capo e Lupin, poco lontano, lasciarsi andare in un sorriso.

“Per cui, su! Rendiamo onore a questo ragazzo con le nostre chiacchiere!” Disse Albus allegramente guadagnandosi un’occhiata stranita dalla professoressa McGranitt seduta proprio davanti a lui.

“Grazie per l’attenzione.” Concluse il preside con un sorriso, quindi si allontanò dalle luci del palcoscenico tra le occhiate stupite dei suoi spettatori.

“Bel discorso, non c’è che dire.” Commentò Sirius strappando un sorriso a Lily.

“Ha colto l’essenza di James. Non era tipo da minuti di silenzio o discorsi strappalacrime. Per lui anche un funerale era un momento per stare insieme.” Disse la ragazza concordando con le parole del preside. Albus aveva fatto un discorso inaspettato, era vero, ma comunque molto carico di sentimento e di verità. Schietto, senza ipocrisia e questo gli rendeva onore, così come lo rendeva a James.

Severus, invece, da parte sua, non riuscì a non pensare a come avrebbe potuto essere il suo funerale. Probabilmente non lo avrebbe neanche avuto, l’avrebbero gettato in una buca del terreno e si sarebbero dimenticati di lui. Tutta la gente che ora si stava alzando dalle panche e si avvicinava al tavolo per appropriarsi di salatini e vino di certo non ci sarebbe stata per lui. Niente chiacchiere, niente amici, niente discorsi. Per un attimo, ma solo un breve attimo, provò un moto di invidia verso quel funerale che lui non avrebbe mai avuto, per l’atmosfera calda di amicizia e affetto che si riuniva intorno al ricordo di Potter e che mai lui avrebbe ricevuto.

“Sev?- Fece la voce di Lily spezzando il filo dei suoi pensieri. –Stai bene?”

“Certo che sta bene!- Esclamò Sirius anticipando l’interpellato. –Guarda che bel colorito roseo che ha!” Concluse con sarcasmo.

Severus lo guardò, ma non gli rispose nonostante un moto di rabbia increspasse le acque placide del vasto lago e riscuoteva il dragone nero dal suo sonno e dai suoi incubi più profondi.

“Non fai ridere nessuno, Black.” Disse infine duramente.

Sirius sorrise sarcastico. “Sai, non ho proprio intenzione di far ridere. E comunque ti avverto...”

“Oh, e di cosa mi avverti Black?” Sogghignò beffardo Severus.

“Tieni quelle manacce unte lontane da Lily, chiaro? Sta alla larga da lei.” Ringhiò Sirius.

Severus sorrise sarcastico. “Perché invece di parlare a vanvera non vai a contarti le pulci?” Disse gelido.

“Bada. –Disse Sirius puntandogli contro un indice accusatorio. –La so lunga su di te, Mocciosus… Non ti è bastato ammazzare James e abbandonare Harry, ora pensi anche di fartela con sua moglie.”

“Sirius!- Intervenne allora Lily. –Finiscila. Finitela tutti e due.”

“Io non l’ho ammazzato.” Replicò Severus in un ringhio sommesso.

“Oh, ma davvero?- Lo sbeffeggiò Sirius, ignorando le occhiatacce di Lily. –Però sei ben felice che James sia morto, eh?” Ruggì poi attirando l’attenzione di alcuni membri dell’Ordine vicini a loro, tra cui Lupin che scosse il capo sospirando e si avvicinò deciso a calmare l’animo dell’amico.

Severus non rispose all’accusa e Sirius ne approfittò per rincarare la dose.

“Che c’è? Hai perso la lingua? Ho centrato il punto, non è così?” Disse Black.

“Ora basta, Sirius. Non è colpa sua se James è morto.” Intervenne Lupin ponendo una mano sulla spalla dell’amico, mentre Lily si affiancava a Severus. La ragazza notò che questi aveva abbassato lo sguardo alle parole di Lupin, come un colpevole che si rimette alla clemenza della corte.

“C’è un unico colpevole, Sir. –Aveva intanto ripreso Lupin. –Ed è Voldemort.”

“No. Ci sono altri due colpevoli in questa storia.- Ringhiò Sirius. –E non mi importa ciò che dice Silente. Io non mi fiderò mai di un Mangiamorte.”

Severus continuava a non rispondere, il capo chino e la fiamma d’orgoglio negli occhi neri in ginocchio di fronte alla spada levata della colpa. Black aveva ragione, detestava ammetterlo, ma aveva ragione: l’unico vero colpevole era lui. Voldemort era stato l’esecutore materiale, ma era partito tutto da lui che nemmeno sapeva che cosa stava offrendo su un piatto d’argento al Signore Oscuro.

“Non volevo che Potter morisse. –Disse Severus alzando appena gli occhi verso Black, con calma. –Lo odiavo, ma non l’ho mai voluto morto.”

Lily non potè trattenersi dall’afferrargli con dolcezza la mano e stringerla nella sua, leggendo negli occhi neri di Severus un dispiacere sincero che stupì Sirius.

“Volevo salvarvi tutti e tre quando sono andato a Godric’s Hollow. –Continuò Severus rivolgendosi a Lily. –Sono arrivato tardi e… è stata solo colpa mia. Black ha ragione.” Concluse tristemente sotto lo sguardo attonito di Sirius.

Poi lo sguardo di Severus si spostò su Lily che lo guardava accorata e quindi di nuovo su Black e vide gli occhi azzurri del ragazzo farsi nuovamente cupi.

“Non impietosisci nessuno, Piton. Ti auguro di bruciare all’inferno, un giorno, insieme al tuo amato padrone e a quel lurido verme di Minus!” Ruggì Sirius vomitando su Severus tutto il suo dolore per la perdita di James tramutato in astio rovente.

Severus non ripose. Lasciò la mano di Lily e voltò le spalle allontanandosi con passo svelto. La ragazza rimase turbata da quel comportamento, Sirius aveva esagerato. Per un attimo rimase a bocca aperta a guardare il giovane allontanarsi tra gli altri membri dell’Ordine, tuttavia il desiderio di raggiungerlo venne quasi subito scalzato dalla sua mente dalle parole di Sirius. Quel lurido verme di Minus…

“Che cosa c’entra Minus?” Chiese Lily voltandosi verso Sirius e Lupin.

“Come ‘cosa c’entra’ ?” Ripetè Black sorpreso mentre Lupin sospirava tristemente.

“Quel lurido traditore vi ha venduto a Voldemort! –Ruggì Sirius. –Ha rivelato il vostro nascondiglio.”

A Lily parve di ricevere un pugno in pieno petto. Li aveva venduti a Voldemort? No, com’era possibile? Come avrebbe potuto Peter tradirli, passare dalla parte del Signore Oscuro?

“No. –Disse Lily sconcertata. –No. Com’è possibile?”

“Non te lo ha detto Silente?” Chiese allora Lupin stupito.

Lily scosse il capo guardando i suoi due amici con occhi enormi di orrore e sconcerto.

“Quel sorcio si è unito al Signore Oscuro. –Disse Sirius, senza tradire il disgusto che provava nel parlare di Minus. –Era anche a Godric’s Hollow quella sera. A godersi lo spettacolo.”

“Non stai parlando sul serio.” Cercò di dire Lily sentendo la gola bloccata dalla nausea, incredula.

“E’ così, Lily. –Intervenne allora Lupin con gentilezza, passandole un braccio intorno alle spalle. –Peter vi ha tradito. Ha tradito noi tutti.”

“L’ho inseguito non appena l’ho visto. Maledetto. –Spiegò Sirius sotto lo sguardo ancora sconvolto di Lily. –Lui con il suo amato Marchio Nero sul braccio. Oh sì, l’ho visto. Poco prima che si trasformasse in topo e sparisse nelle fogne.”

Ma le ultime parole non raggiunsero le orecchie di Lily. La ragazza si era liberata dalla stretta consolante di Remus e si era allontanata con gli occhi colmi di rabbia e di odio verso quel ragazzetto pauroso che aveva consegnato lei e la sua famiglia alla morte.

Si fece strada tra le persone che la guardavano stupite e si diresse verso la grande porta vetro che dava sul giardino inscurito dai sabba della notte. Abbassò la maniglia d’ottone e aprì la porta uscendo sulla terrazza di poco rialzata rispetto al piano del giardino, incorniciata da un lungo corrimano di marmo bianco che risplendeva come di luce propria ai raggi della luna crescente. Lily si richiuse la porta alle spalle e inspirò profondamente l’aria fredda della notte. Fuori, in silenzio, in solitudine, sola con quella nuova consapevolezza che le premeva sul cuore.

Attraversò il terrazzo, nascondendosi allo sguardo degli ospiti che chiacchieravano nel salone e si appoggiò stancamente alla balaustra asciugandosi distrattamente alcune lacrime sfuggite alla presa delle sue palpebre. Lacrime di rabbia, di frustrazione, di delusione.

Peter. Come aveva potuto? Loro si erano fidati di lui…

Lily trattenne a stento un singhiozzo. Era loro amico… Loro amico…

Le lacrime ormai scorrevano senza freni sulla sua pelle chiara lasciando strie gelate dal tocco della notte, ma lei non se ne curava, le lasciava scorrere libere e liberatorie. Non le importava neanche del freddo pungente che pugnalava la sua pelle attraverso la stoffa del maglione.

Chissà dov’era in quel momento Peter? A strisciare ai piedi di Voldemort, senz’altro… Perché?

Lily si asciugò un poco le lacrime con le maniche del maglione e si lasciò andare agli spasmi dei singhiozzi, ma insieme al dolore al petto che le procuravano i frammenti di quel respiro rotto saliva anche la rabbia e l’odio verso Minus.

Una mano si posò dolcemente sulla sua spalla facendola sobbalzare. Si voltò di scatto per ritrovarsi davanti gli occhi neri e profondi di Severus che rilucevano dello stesso bagliore della notte.

Lily non pensò più a nulla e si buttò contro il suo petto, stringendosi a lui e lasciandosi avvolgere dalle sue braccia. Severus le accarezzò dolcemente i capelli poggiando la guancia sul suo capo, lasciandola sfogare contro il suo petto.

E Lily pianse. Sfogò tutta l’ansia, il dolore, la rabbia che aveva accumulato in quei giorni liberandola in stille d’argento che bagnavano il maglione nero di Severus, permeando nella stoffa come assorbite dall’animo stesso del giovane che si offriva a lei, sostegno e rifugio sicuro.

“Ci ha tradito. –Singhiozzò Lily. –E’ colpa di Minus. E’ colpa sua.”

“Ssst.- Fece Severus stringendola più forte. –La colpa è di molti. Anche mia.” Sussurrò cominciando a cullarla dolcemente.

“Sev?” Disse Lily, lasciandosi trasportare dal calore del corpo del giovane. Era strano, ma in quel momento il suo cuore era come addormentato, preda di un sogno meraviglioso mentre ascoltava il battito di quello del ragazzo.

“Mh?” Rispose Severus.

“Come continua quella ballata?” Chiese Lily stringendosi di più a lui.

“Quale ballata?” Domandò Severus, un po’ confuso.

“Quella del Principe della Notte. –Rispose Lily, ritrovando un respiro più calmo tra i battiti dei loro cuori. –Cosa succede dopo che il principe ha ripudiato la bandiera di suo padre?”

Severus rimase per un attimo pensieroso, ma poi, quasi in un sussurro, cominciò a cantare come quando aveva stretto a sé Lily incosciente ed era stato un angelo per lei:

My eyes were blind,
‘Cause I lived in the Dark
I can’t forget his lies, I don’t mind
I’ll be able to clean my Mark!
Don’t listen to him, Shadow Monarch!
He will take you in the abyss,
Save me with your kiss!
I’m lying on the ground, lifeless.


Can you see my eyes?
Can you touch my heart?
I’m dishonored, I can’t see the fireflies
and I lies abandoned apart.
Oh, let me call the moon cart!
Wake me, and with you I’ll fly,
Wake me, and I’ll regain my sight.
I will be free from my Darkness.

I could never touch your skin:
I’m the Night and you are the Sun.
But, no! I’ll never see again the Shadow’s grin!
The King of the Elves will come,
The servant of the Day I’ll become!
I will promise my sword to the Light!
I won’t give in to my past, I will fight!
I’ve regained my life, thanks to your sweetness.”

La sua voce si spense in un sospiro, appena sussurrato, avvolto nel verde delle iridi di Lily che si erano alzate ad incontrare la notte.

I loro visi si incontrarono in un alito di vento, i loro cuori erano tutt’uno e, finalmente, Lily potè udire chiaramente la voce del suo cuore. Era un canto, era quella ballata che era entrata a far parte di lei, che la legava al su principe della notte.

Le loro labbra si incontrarono in un bacio appena sussurrato sulle note che la tenebra aveva ispirato. Un bacio lieve, leggero… il sussurro di una parola che entrambi avevano tenuto così a lungo nascosta l'una all’altro.

 

*******

 

E allora? Stavate già dandomi per dispersa, non è così?

Scusatemi per il ritardo, ma questo capitolo è stato davvero duro da scrivere. Mettere insieme tutte quelle cose senza sbilanciare il tutto non è stato semplice. Il fatto che l’abbia riscritto tre volte ne è la prova. E comunque non sono ancora molto convinta della prima parte… forse la parte di Hagrid potevo risparmiarmela, non saprei. Lascio a voi l’ardua sentenza.

Direi che le parti che sono riuscite meglio sono state il battibecco Sirius-Sev e l’ultima parte, bacio compreso. Forse un po’ fuori luogo, ma capitela povera Lily… non ce la faceva più. E poi era ora, diciamocelo. Ecco, tra l'altro, spero sia chiaro che Sirius se la prende tanto con Sev perchè cerca un capro espiastorio per la morte di James.

E così sono riuscita anche a tirare di nuovo fuori la ballata. Era stata messa un po’ da parte, poverina… Vi lascio anche la traduzione di queste ultime strofe:

I miei occhi sono ciechi,
Perché vivevo nel Buio.
Non posso dimenticare le sue bugie, non importa
Saprò cancellare il mio Marchio!
Non ascoltatelo, Monarca dell’Ombra!
Egli vi rapirà nell’abisso.
Salvami con il tuo bacio!
Sono steso a terra, senza vita.


Puoi vedere i miei occhi?
Puoi toccare il mio cuore?
Sono disonorato, non posso vedere le lucciole
E giaccio da parte, abbandonato.
Oh, lascia che chiami il carro della luna!
Svegliami, e con te volerò,
Svegliami, e riacquisterò la vista.
Sarò libero dalle mia Tenebra.


Non potrei mai toccare la tua pelle:
Io sono la Notte e tu sei il Sole.
Ma, no! Non rivedrò più il sorriso dell’Ombra!
Il Re degli Elfi verrà,
Il servo del Giorno diventerò!
Io prometto la mia spada alla Luce!
Non mi arrenderò al mio passato, combatterò!
Ho riacquistato la vita, grazie alla tua dolcezza.

Bene, vi lascio.

Alla prossima!
 

 
  

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Capitolo 26
*** L'inganno e la verità ***


Capitolo 26
 

L'INGANNO E LA VERITA'



“Potevi evitare di sputarle in faccia così la faccenda di Peter.” Stava dicendo Lupin a Sirius guardandolo con durezza.

“Ma…- cercò di difendersi Black, gli occhi ancora puntati nella direzione in cui Lily si era allontanata. –ma io pensavo che lo sapesse già.”

“Sì, ma cerca di darti una calmata. –Gli disse Remus più sereno. –James è morto, fattene una ragione. Non lo farai tornare dando contro a Severus.”

Sirius si voltò verso di lui, i suoi occhi grigi erano improvvisamente fatti carichi di tensione elettrica che schioccava come fruste nel mare fumoso delle sue iridi.

“Ma che diavolo ti prende? Adesso anche tu lo difendi?!” Ringhiò contro Remus trattenendo un sibilo tra i denti.

Remus rimase per un attimo confuso di fronte all’attacco dell’amico, ma poi trasse un sospiro morbido e accennò un sorriso.

“Sirius…” Tentò di dire, ma l’altro lo assalì di nuovo vomitandogli addosso tutto il rancore che bruciava dentro di lui.

“Svegliati Remus! –Gli disse duramente. –Davvero non riesci a vedere? Beh, sappi che non intendo permettergli di illudere Lily un’altra volta.”

“Ma di cosa stai parlando?” Chiese Remus inarcando le sopracciglia, perplesso.

“Quel verme vuole Lily. L’ha già ferita una volta… e poi… e poi… ma che cosa crede di fare?! Lily appartiene a James!” Quasi urlò Sirius agitando le braccia in modo scomposto.

“Che problema hai? Si può sapere?- Lo rimproverò allora Remus, improvvisamente l’ombra del lupo calata ad oscurargli i lineamenti. –Lily è sempre stata legata a Severus. Ed ora che ha perso James mi spieghi qual è il problema se cerca conforto da lui? James è morto, Sirius. Morto!”

Sirius chinò appena il capo, in segno di resa. Sì, James era morto, ma lui non riusciva ancora ad accettarlo. Non poteva accettarlo…

“Capisco quello che provi, perché è la stessa cosa che sento io, ma vomitare tutto il tuo dolore su un capro espiatorio non serve a nulla. Se non ci fosse stato Severus, ora neanche Lily sarebbe ancora tra noi.” Spiegò Remus con calma appoggiando una mano sulla spalla dell’amico, accompagnando il gesto con un sorriso incoraggiante.

Sirius annuì appena con un cenno del capo, deglutendo tutta la sua rabbia e il suo dolore, scacciandoli dentro di lui sotto lo sguardo rassicurante dell’amico.

“Bisogna trovare Harry.” Disse quasi in un sussurro.

“Sì. Dobbiamo avere fiducia in Silente, sono sicuro che ha un piano ben preciso.” Concordò Remus con un cenno secco del capo.

Improvvisamente in tutto il salone si spanse un trillo impazzito. Tutti tacquero di colpo, attoniti di fronte a quello squillare convulso. Il campanello collegato da fili magici al grande cancello della villa, che faceva mostra di sé nell’ingresso, era come indemoniato e risuonava con tutta la forza di quello che, più che l’annuncio di un nuovo ospite, pareva un grido acuto di terrore.

***

“Mi dispiace, Lily.” Sussurrò dolcemente Severus all’orecchio della ragazza ancora stretta a lui.

Lily alzò appena il capo per incontrare gli occhi di lui e si stupì di trovare nella loro notte le stelle d’argento delle lacrime. Lo guardò tristemente con il sapore della sua oscurità ancora ad impregnarle le labbra, ad unirsi ai sussurri del suo cuore che avevano dismesso i suoni incomprensibili per avvolgersi tra parole che, finalmente, la ragazza poteva comprendere, forgiate dalla sua stessa volontà di volerle ascoltare.

“Perché?” Chiese Lily.

Severus sciolse improvvisamente l’abbraccio e Lily rabbrividì sotto il tocco gelido della notte, spogliata del calore del corpo di Severus. Si protese in avanti cercando di tornare a stringere quel suo nero angelo custode che portava sul viso quella maschera voluta ed odiata.

“Non dovresti stare con me… Io… io non ho alcun diritto di essere qui.” Mormorò tristemente Severus abbassando il capo.

Lily si avvicinò di nuovo a lui e gli sfiorò dolcemente una guancia scacciando da essa i lunghi capelli neri.

“Ma che dici? Io voglio stare con te. –Gli disse dolcemente Lily. –Ho sempre voluto stare con te.”

“E Potter?” Chiese allora Severus.

Lily lo guardò sperduta per un attimo, ma quel nome era riuscito a permearle a fondo nel petto. Potter… già, James. Che cosa aveva fatto? Aveva baciato Severus… aveva baciato Severus proprio alla veglia funebre di suo marito. Svegliati, Lily. Sei vedova da poco più di una settimana e già ti consoli tra le braccia di un altro?

Severus parve cogliere i pensieri che affollavano la mente di Lily e che l’avevano portata ad allontanare in fretta la mano dalla sua guancia, come si fosse improvvisamente scottata. La guardava con occhi cupi senza trovare le parole.

“E’ inutile, Lily. –Disse infine con voce triste. –Presto non vorrai più avere nulla a che fare con me, io lo so. Non potrò più starti accanto… ed è giusto così.”

Lily alzò lo sguardo verso di lui senza capire. Che cosa le nascondeva ancora?

Fu sul punto di formulare una nuova domanda quando notò gli occhi di Severus scattare oltre di lei, verso la cinta del giardino che scivolava, serpente addormentato, al di là del vasto prato.

Lily si voltò di scatto verso la direzione in cui gli occhi del giovane si lanciavano come fiere in corsa verso la preda, ma non vide niente, se non la sagoma appena accennata della cancellata di ferro attraverso il manto nebuloso della notte.

“Che succede?” Si azzardò a chiedere, senza voltarsi verso Severus.

“C’era qualcuno oltre la cancellata.” Rispose questi con sicurezza.

“Cos…?” Fece Lily girandosi verso di lui. Ma non fece in tempo a chiedere altro che il trillo terrorizzato del campanello li raggiunse entrambi facendoli sussultare. Severus si voltò di colpo verso la porta che dava sul salone.

Lily chiuse gli occhi a nascondere il verde delle sue iridi in una preghiera ormai inutile.

“Ti prego, -mormorò, -fa che non sia Lui.”

***

“Che sta succedendo?” Chiese Sirius avvicinandosi a Silente.

Albus lo guardò in modo strano, con un sorriso sghembo ad increspargli il volto rugoso, un ghigno quasi malvagio che mostrava le fauci bianche dei bracchi dei suoi occhi.

“E’ arrivato, alla fine.” Mormorò appena il preside, senza dare importanza all’espressione spaventata ed irritata di Sirius.

Chi è arrivato?” Chiese allora questi, ma Albus si limitò a osservarlo da sopra gli occhiali a mezzaluna e ad allontanarsi.

 “Sirius!” Gridò una voce, chiamando il giovane ancora turbato dallo strano comportamento di Silente. Si voltò nella direzione da cui proveniva la voce e vide Lily avvicinarsi con passo deciso. Di fianco, qualche passo avanti a lei, stava Severus. Sirius si lasciò sfuggire una smorfia nell’incontrare il viso dell’altro ragazzo.

“Che cosa succede?” Chiese la ragazza non appena fu giunta a pochi passi da Sirius, premendosi le mani sulle orecchie.

“Non lo so. Quel coso è impazzito all’improvviso.” Disse allora Sirius accennando al campanello sulla porta.

“Dov’è Silente?” Chiese Severus avvicinandosi a sua volta.

Sirius lo guardò duramente, poi gli rispose con un lieve disgusto nella voce: “E che ne so! Gli ho chiesto che stava succedendo, ma il vecchio si limitato a sogghignare.”

“Fate tacere quell’affare!” Stava intanto ringhiando Aberforth cercando di proteggersi le orecchie dal trillo infernale che non accennava a diminuire. Ma nessuno dovette fare nulla perché, così come era cominciato, il suono si spense improvvisamente lasciando risuonare un’ultima nota persa nella sua stessa eco come l’ultimo lamento angosciato di un animale moribondo prima di cadere nel silenzio della morte.

Tutti in quel salone si guardavano intorno come smarriti, con occhi turbati e confusi. Anche Lily e Severus si guardarono intorno con aria strana, come se si aspettassero da un momento all’altro di scorgere la sagome furtiva di uno spettro.

“Ma che accidenti è stato?” Disse la voce di Aberforth, senza levarsi più in alto di un sussurro.

“Magia nera…” Brontolò Moody a pochi passi da lui.

“C’è qualcuno là fuori.” Sussurrò Severus a Sirius e Remus, che si era avvicinato a loro nel frattempo.

“Qualcuno? Chi?” Gli chiese allora Remus.

“Non farmi ridere, Piton. Nessuno conosce il sito di questa villa se non noi.” Gli ringhiò contro Sirius. Severus gli accennò un sorriso di sfida di tutta risposta. Subito dopo, però, scattò verso l’ingresso deciso ad uscire. Quell’ombra l’aveva vista davvero, oh sì, ma ciò che più di tutto lo metteva in allerta era il modo di muoversi che aveva quella figura, e lui conosceva molto bene quell’andatura… anche se era stato solo un attimo prima che la sagoma sparisse nella notte. Bellatrix Lestrange...

Non fece, tuttavia, in tempo ad aprire la porta che due mani si abbatterono sulle sue spalle e lo fecero voltare a forza prima di spingerlo violentemente contro il legno della porta.

“A che gioco stai giocando, Mocciosus?” Abbaiò Sirius, obbligandolo con forza contro la porta, gli occhi argentei colmi di strane scintille cupe.

Severus non rispose, ricambiando lo sguardo con altrettanto astio.

“Basta, Sirius. Lascialo andare!” Esclamò Lily afferrando il braccio sinistro del giovane e cercando di fargli allentare la presa sul maglione di Severus, invano, perché Sirius non la degnò di uno sguardo.

“Hai portato qui i tuoi amichetti, non è così?” Continuò questi imperterrito sotto lo sguardo degli altri membri dell’Ordine che si erano nel frattempo avvicinati.

“Sirius!” Intimò improvvisamente una voce profonda. Silente si era fatto strada tra i compagni ed ora se ne stava tra la professoressa McGranitt e Remus Lupin, l’una che lanciava scintille dagli occhi verso Sirius, l’altro che guardava la scena quasi altrettanto duramente. E Silente tra loro, dritto, fiero, gli occhi inscuriti dalle bandiere di un esercito sicuro e deciso che marcia risoluto verso la battaglia finale. Uno sguardo che costrinse Sirius a lasciare andare Severus e ad allontanarsi da lui. Sia Lily che Severus volsero lo sguardo verso Silente, insieme con Sirius.

“Stare qui a litigare tra noi è inutile. –Disse duramente Albus attirandosi lo sguardo accondiscendente della McGranitt. –Andiamo ad accogliere i nostri ospiti.”

A quelle parole, Albus guadagnò le occhiate decise e combattive dell’Ordine, ma non era quello che voleva. No… quello non faceva parte del suo piano. Era stato tutto così ben pianificato… non poteva buttare tutto all’aria.

“Buoni. –Disse con un sorriso. –Non ci sarà bisogno di combattere.”

“E come lo sai, scusa? Ormai è ovvio che là fuori ci sono i Mangiamorte.” Intervenne Alastor.
 

Albus vide chiaramente che l’auror aveva semplicemente espresso i dubbi di tutti gli altri. Tuttavia non si scompose, anzi, regalò loro un ampio sorriso.

“Mio caro Alastor, -Disse sornione. –Credi davvero che se fossero qui per battersi si sarebbero disturbati a suonare il campanello?”

Albus sapeva bene ciò che diceva. Sapeva che si sarebbe arrivati a quello… lo sapeva… faceva parte del suo piano. L’unica cosa era che la sua popolarità sarebbe drasticamente calata dopo che gli affiliati dell’Ordine avrebbero saputo, ma che importava? Lui aveva dovuto farlo.

***

La figura scura, avvolta in un pesante mantello nero che le copriva il volto con il cappuccio si soffermò sulla piastra di marmo su una delle due colonne che reggevano il grande cancello di ferro battuto.

Villa Silente.

L’uomo incappucciato fece salire un ghigno divertito alle sue labbra mischiandolo alla tenebra che gli oscurava gli occhi.

E così il caro Lucius Malfoy aveva visto giusto. Non era neanche stato così difficile cavargli fuori di bocca quella precisa informazione, dopotutto, era stato lui stesso ad affidargli l’incarico di scoprire eventuali nascondigli di Silente. E così Malfoy aveva fatto, e da buon servo, aveva riferito tutto al signore.

L’uomo trasformò il sorriso in una smorfia disgustata. Credeva forse, l’amato Lucius, di darla a bere a lui? Lui, Lord Voldemort. Stupido. Giocare la parte del cane fedele era stata una mossa tanto intelligente quanto sciocca da parte di Malfoy, come se lui non potesse leggere nei suoi seguaci, non potesse vedere gli angoli più nascosti della loro anima, i loro segreti… come se lui non potesse trovare le chiavi degli stanzini più piccoli e serrati… Eppure, con quella semplice mossa, Malfoy era riuscito ad allontanare ancora per un po’ la resa dei conti con il suo padrone.

Il tempo, comunque, era prossimo: avrebbe presto concluso la partita con Lucius. Sapeva che gli nascondeva qualcosa… e aveva anche un sospetto. Un sospetto piuttosto fondato, per la verità, ma pur sempre semplice supposizione rimaneva. Aveva bisogno di uno strumento nuovo, lucido, forte… Lucius ormai l’aveva usato troppo, ci aveva giocato troppo.

E poi c’era Codaliscia. Era stato bello stuzzicarlo, quel ratto pusillanime. Lo aveva usato, anche lui, lo aveva quasi del tutto consumato. Però, bisognava ammettere che era stato utile, gli aveva fornito due importanti informazioni: il covo dei Potter e la veglia funebre di James Potter. E poi, aveva ancora un fondamentale compito in serbo per lui. Qualcosa per cui era necessario un Grifondoro… No, Peter Minus non aveva ancora esaurito la sua utilità. Era il premio dei forti poter veder strisciare i deboli ai loro piedi. Era il potere della paura a creare il suo regno, a sorreggerlo con le colonne della magia oscura impastate con sangue e potenza. Era la sua grandezza, la grandezza di lord Voldemort, a permettergli di giocare con  gli opportunisti come Malfoy, i vigliacchi come Minus.

Il suo piano era geniale. Semplice. Lui non avrebbe dovuto far niente, quell’uscita era l’unica mossa che avrebbe concesso a Silente, dopodiché sarebbe stato qualcun altro a portargli ciò che gli serviva, lui non avrebbe dovuto far altro che sedersi nel suo studio, a Villa Riddle, in attesa.

Voldemort si voltò, allontanando lo sguardo di bragia dalle finestre illuminate della villa che si scorgevano al di là delle sbarre del cancello come ninfe ospitali che tendevano le loro mani ad invitare le ombre della notte ad unirsi alla loro corte dorata. Ma le quattro ombre che se ne stavano erette e silenziose alle spalle dell’Oscuro Signore non avrebbero accettato quell’invito. Figure lontane dal calore della notte da cui gli stessi spiriti oscuri si scostavano disgustati, figure incappucciate scintillanti dell’argento crudele delle loro maschere, cancello inespressivo sulle loro anime dannate.

Voldemort guardò con approvazione le sue oscure guardie. Non aveva avuto bisogno di farsi accompagnare da altri, bastavano quei quattro. Non era venuto per combattere… la violenza era sempre l’ultimo dei suoi metodi, prima c’era l’arte dell’inganno di cui lui era il maggiore esponente. L’Oscuro Signore si passò la lingua sulle labbra, in attesa di gustare gli sguardi dei membri dell’Ordine… in attesa di aprire le fauci ad inghiottire i segugi azzurri. Chiuse gli occhi assaporando già il suono sibilante e metallico dell’agonia  di quei bracchi d’acqua nell’abbraccio soffocante delle sue iridi di fuoco.

Lo scatto improvviso del cancello distrasse il Signore Oscuro dai suoi pensieri, portando il suo capo a girarsi lentamente in un movimento fluido ed elegante. I suoi occhi carpirono le ombre dei suoi nemici farsi avanti al di là del cancello di ferro che si stava aprendo con cigolii metallici, arbitro e spettatore silenzioso del vicino confronto tra acqua e fuoco.

Con un gesto lento e fluido, Voldemort si scoprì il capo mentre i suoi occhi riconoscevano la figura, abbigliata in una fluente veste, che precedeva le altre ombre attirando su di sè i raggi argentei della luna e facendoli risplendere sulla lunga barba bianca.

Silente si fermò a qualche passo dall’Oscuro Signore, il cancello ormai completamente aperto, silenzioso e osservatore.

Voldemort si soffermò solo per un attimo sull’alta figura del preside. I suoi occhi di serpente caddero subito sulla figura in nero che stava subito dietro a Silente. Osservò quegli occhi neri con rabbia, quasi a volerli strappare dal viso che gli ospitava, rubarli, distruggerli… farli scomparire, macchia indelebile del tradimento, dal suo splendente mondo d’ombra. Severus resse dignitosamente lo sguardo infuocate del suo antico signore, creando davanti a sé una barriera incrollabile e oscura. Guardò Voldemort con uno scintillio di sfida nelle iridi scure, un fascio di rabbia, un lampo schietto di odio.

L’Oscuro Signore scostò gli occhi dal suo servo e passò velocemente a rassegna tutte le persone che attorniavano Silente. Bevve dai loro occhi l’astio e la paura e sorrise di fronte allo sguardo carico d’odio della ragazza dai capelli rossi che stava fianco a fianco a Severus, la sua preda sfuggita, e sorrise davanti all’espressione combattiva di Sirius Black che stringeva forte nella mano la sua bacchetta quasi a volerla sbriciolare nella presa.

“Ma guarda quante belle persone sono venute ad accogliermi!” Escalmò senza cancellare dal suo viso quel sorriso sghembo.

Silente sorrise a sua volta, portando su di sé l’attenzione del Signore Oscuro.

“Stavo aspettandoti, Tom.” Disse semplicemente, guadagnandosi le occhiate incredule dei suoi compagni. Lily si voltò verso di lui con occhi stupefatti, la bocca spalancata.

“Come sarebbe?” Si azzardò a chiedere a Silente, ma questi continuò a sorridere sibillino senza degnarla di uno sguardo.

Voldemort, da parte sua, si lasciò andare in una risata che raggelò tutti i presenti con le sue vibrazioni infernali.

“Mi stavi aspettando, eh? Pensi di essere ritornato nella partita con i tuoi giochetti?” Chiese sibilando sotto la luce infuocata dei suoi occhi.

“Sei qui perché io ti ho fornito le informazioni, Tom. Credi forse che sia così stupido da non riconoscere un Animagus da un vero ratto? O da lasciare ingenuamente in giro gli atti di vendita di questa villa?” Spiegò tranquillamente Silente, gli occhi scintillanti di leggeri sprizzi di presunzione dietro gli occhiali a mezzaluna, trascurando completamente le occhiate che riceveva dagli altri dell’Ordine.

Voldemort parve pensieroso per un attimo, ma poi tornò a guardare il suo rivale con aria di superiorità. Alzò imperiosamente il mento puntando le sue iridi vermiglie in quelle azzurre di Albus.

“Devo farti i complimenti?” Chiese sarcastico l’Oscuro Signore. Poi si voltò verso i quattro Mangiamorte che lo avevano seguito.

“Coraggio, amici! –Disse loro, levando le braccia e sorridendo. –Un applauso al grande Silente, mente sopraffina!”

I Mangiamorte si profusero in un applauso sarcastico mischiato a sonore risate di scherno che vibravano soprattutto dietro la maschera bianca della donna dai lunghi capelli ricci, i cui occhi scintillavano demoniaci. L’unico dei quattro che si mantenne in disparte, battendo appena le mani, fu il Mangiamorte più a sinistra che teneva il capo chino e gli occhi bassi. Alcune ciocche di capelli biondo platino si scorgevano sotto il cappuccio nero. No, Lucius Malfoy non aveva nulla da ridere, anzi in quel momento avrebbe tanto desiderato trovarsi dall’altra parte del mondo.

Voldemort si voltò nuovamente verso Silente, mantenendo sul volto un ampio sorriso di scherno.

“Basta giocare, Tom. Perché sei qui?” Gli chiese Albus.

Ma Voldemort non fece nemmeno in tempo ad allontanare il sorriso dal suo volto diafano che Lily si portò davanti a Silente con un balzo.

“Dov’è mio figlio?” Quasi gli urlò contro la giovane, senza paura, senza timore. Quel mostro le aveva distrutto la famiglia, ora le avrebbe anche spiegato i motivi.

Voldemort la guardò con aria neutra.

“Lily Evans. –Sillabò il Signore Oscuro. –Tuo figlio è vivo. Si trova al sicuro a casa mia e lì attende di adempiere al mio piano. Nessuno può pensare di opporsi a me… tantomeno un moccioso ancora in fasce!” Ruggì infine.

Lily lo guardò stupita.

“Di cosa stai parlando?” Gli sibilò contro, confusa e spaventata. Gettò un’occhiata svelta a Silente e vide che il preside aveva chiuso gli occhi, come rassegnato, ma non potè scorgere Severus scuotere la testa come spaventato da ciò che Voldemort stava per rivelare a Lily.

“Oh, -Disse l’Oscuro Signore, notando la reazione della ragazza e di Silente. –E così Albus non te lo ha detto, eh? Tipico di lui tenere nascosta la verità ai diretti interessati. Scommetto che neanche i suoi fedeli cani dell’Ordine lo sanno.” Disse infine gettando un’occhiata agli altri. Alla professoressa McGranitt che stava corrugando la fronte senza capire, a Remus Lupin e a Sirius Black che si scambiavano un’occhiata interrogativa, ad Alastor Moody che lo guardava con aria di sfida, perfino a Brix che, nonostante non fosse un membro dell’Ordine, se ne stava fiero e ritto di fianco a Minerva ed ora guardava Albus con rimprovero.

“Che cosa non mi ha detto?” Chiese Lily. Ormai stava per scoprire la risposta alla domanda che da tempo le pesava sul cuore, quel perché maledetto che rimbombava dentro di lei senza darle pace.
Quel perché a cui Albus non aveva voluto rispondere. Era buffo, tuttavia, che stava per apprendere la verità dalla stessa bocca che aveva pronunciato la maledizione che aveva ucciso James.

Ecco giungere il solo col potere di sconfiggere l'Oscuro Signore...
nato da chi lo ha tre volte sfidato, nato sull'estinguersi del settimo mese...”
Recitò allora l’Oscuro Signore con un tono di disgusto nella voce.

Lily da subito non capì, ma poi una strana consapevolezza si fece in largo in lei. Una profezia… ecco cos’era, una profezia aveva portato il più grande mago oscuro della storia da Harry.

“E’ buffo come poche parole segnino il destino di qualcuno, non trovi?- Rise Voldemort, divertito di fronte all’espressione stupefatta di Lily. –Strano come una profezia riferita a me a cuor leggero firmi una condanna a morte.”

“Ma sai qual è la cosa più buffa?- Continuò Voldemort gettando un’occhiata svelta su Severus, compiacendosi di vederlo con il capo chino. –Che a riferirmi la profezia e a condannare te e la tua famiglia è l’uomo che ora credi essere il tuo migliore amico.”

Lily si voltò verso Severus, incredula. No, non poteva essere… non lui… Poi, però, le parole di Severus risuonarono nella sua mente come grancasse di fuoco.

E’ colpa mia.

Presto non vorrai più avere nulla a che fare con me .

Era quello che le nascondeva? Che celava al di là della nebbia dei suoi occhi? Era quello che il drago nero custodiva in fondo a quel lago sotterraneo ed imperscrutabile? Era quello che Severus non era riuscito a dirle quella mattina? La rivelazione per cui le aveva chiesto tempo? No, non poteva essere. No…

“NO!” Gridò Lily, le lacrime d’ira e di delusione che già scendevano sulle sue guance chiare portando via con loro la brillantezza dei suoi occhi. Estrasse la bacchetta di James con un movimento svelto e scagliò una fattura contro l’Oscuro Signore. Il raggio vermiglio e saettante sibilò nell’aria fino ad infrangersi in mille scintille contro la mano che Voldemort che aveva levato con un gesto stizzito mentre la ragazza veniva afferrata con forza da Silente deciso a trattenere la sua ira.

“Lily, è inutile!” Intervenne improvvisamente Severus, afferrando anch’egli la ragazza sconvolta che si dimenava cercando di liberarsi dalla presa ferrea del preside sotto gli sguardi divertiti dei Mangiamorte e di Voldemort e quelli allibiti e tristi dei membri dell’Ordine.

“Non toccarmi!” Strillò Lily contro Severus scostando a forza il braccio dalla presa del ragazzo, che la guardò stupito e ferito.

Silente lasciò la presa su di lei. Lily riprese fiato per un attimo, il respiro doloroso e rotto dalle lame delle lacrime, della delusione, quella spada che sentiva penetrarle a forza nel petto mentre posava gli occhi verdi su Severus.

“Perché non me lo hai detto?” Gli chiese, la voce rotta dal pianto.

Severus deglutì, e cercò le fila del suo respiro. Le stesse lacrime di Lily gli premevano contro le iridi di tenebra. Era il momento… il momento che aveva tanto temuto era arrivato, era arrivato troppo presto.

“Perché avevo paura di perderti di nuovo.” Le rispose in un sussurro, un’unica lacrima, carica di dolore e colpa gli solcò il viso scintillando nella luce della luna.

“Merlino che ingenua che sono stata! Come ho potuto credere che tutto sarebbe tornato come prima? Ho pensato di aver ritrovato il mio migliore amico quando invece tu mi hai solo ingannato, mi hai illuso!” Gli sputò in faccia quelle parole, senza badare allo sguardo che le rivolgeva Severus. Gli dette una spinta con tutta la forza della frustrazione che si agitava dentro di lei come un’improvvisa inondazione, costringendolo a fare qualche passo indietro cercando di non perdere l’equilibrio.

Severus rimase lì, immobile, gli occhi carichi di lacrime, il cuore pieno di una nuova tristezza simulacro spettrale di quella che la presenza di Lily era riuscita, per qualche giorno, a scacciare da lui. Gli occhi vuoti di un ragazzo abbandonato che si era illuso, per poco tempo, di essere stato accettato, di aver trovato il suo posto e su cui ora si abbatteva l’onda possente della realtà: lui non sarebbe mai stato accettato dagli altri, tantomeno da Lily… non era stato accettato quando era solo un bambino innocente e non lo sarebbe mai stato ora che la sua anima era lacerata e macchiata da colpe indelebili.

Rimase a guardare gli occhi disillusi e astiosi di Lily, non si curò degli sguardi straniti degli altri membri dell’Ordine che avevano assistito alla scena come spettatori scomodi. Non si curò degli sghignazzi dei Mangiamorte o del sorriso maligno di Voldemort, non si curò degli occhi pietosi di Brix, di quelli scintillanti di lacrime della McGranitt… Non badò all’espressione triste di Remus o di quella sbalordita di Sirius Black… Non si curò dello sguardo da padre affettuoso che gli rivolgeva Silente… no, lui vedeva solo la delusione negli occhi verdi Lily. Lily…

“Povero Sevvuccio. –Ghignò la voce di Bellatrix Lestrange da dietro la sua maschera demoniaca. –La sua ragazza gli ha spezzato il cuore…” Ma Severus non si curò minimamente nemmeno di lei.

“Taci, strega!” Le ruggì contro Brix, facendo un passo avanti. Ma come si permetteva di infierire quella maledetta?

“Come osi rivolgermi la parola, schiavo?” Ruggì Bellatrix avvicinandosi a sua volta, la bacchetta levata. Tuttavia, la sua avanzata venne interrotta dal braccio di Voldemort che si levò a chiuderle la strada.

“Calma… non facciamoci prendere dall’ira. Non siamo qui per batterci.” Disse il Signore Oscuro con voce calma. Gli occhi di Bellatrix scintillarono pericolosamente al di là dell’argento, ma poi la donna accennò un lieve inchino col capo e fece qualche passo indietro. Brix la guardò in cagnesco ancora per qualche istante, poi fece per avvicinarsi a Lily, ma questa si scostò con un movimento secco.

“Che cosa vuoi, Tom?” Chiese tranquillamente Silente, mentre Lily continuava a tenere lo sguardo fisso su Severus, che ancora se ne stava dove la spinta di Lily lo aveva portato, in disparte, il capo chino.

“Sono qui per proporre uno scambio.” Rispose Lord Voldemort con voce sicura.

“Bene, allora.” Lo invitò Silente.

“La mia proposta è semplice. –Cominciò allora Voldemort. –Voglio che Severus Piton si consegni a me spontaneamente.” Disse senza degnare di uno sguardo l’interessato, che alzò appena gli occhi verso di lui.

“In cambio, -Continuò l’Oscuro Signore. –Avrete il piccolo Harry Potter. Vivo e senza un graffio.”

Quelle ultime parole guadagnarono a Voldemort gli occhi ancora umidi di Lily e lo sguardo un po’ sospettoso di Silente.

“Questa è la mia proposta. –Concluse Voldemort, poi si rivolse direttamente a Severus. –Hai tempo fino a domani sera per tornare al mio fianco. Tu per Harry Potter.” Detto questo si smaterializzò insieme agli altri Mangiamorte lasciando l’Ordine in un silenzio tombale, gli occhi di tutti fissi su Severus, Severus che, nonostante il tempo concesso da Voldemort, aveva già preso la sua decisione.



 

*******


Eccomi qui! Un po’ in ritardo, ma vabbè… scusatemi.

Questo è il capitolo delle rivelazioni! Immagino, comunque, che sia già chiara la decisione che ha preso Severus… povero cucciolotto, Lily lo ha trattato un po’ male, ma povera, anche lei, capitela. E Silente, come al solito, aveva un piano ben preciso. Aveva lasciato apposta le informazioni per Lucius e aveva fatto arrivare apposta le informazioni sulla veglia a Voldemort, e tutto per spingere Tom allo scoperto.

Così, anche la prima parte della profezia si è avverata: Quando i suoi nemici si riuniranno sotto lo stesso tetto, l’Oscuro Signore verrà. Era piuttosto ovvia, comunque…

Va bene… spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi do appuntamento al prossimo.

Ciao a tutti!  

 

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Capitolo 27
*** Interludio ***


Capitolo 27
 

INTERLUDIO



Silente passò a rassegna quei visi così diversi l’uno dall’altro, ma tutti animati dallo stesso dubbio, dallo stesso sospetto, rivolto anche, e questa era purtroppo una conseguenza che aveva messo in conto, verso di lui. Esaminò tutti i suoi fedeli seguaci, da lui riuniti nuovamente nell’ampio salone, dorato dalle luci delle candele, baluardo di luce tra le spire della notte.

Albus sospirò profondamente, sfuggendo allo sguardo duro della professoressa McGranitt che non accennava a togliergli gli occhi di dosso, occhi fattisi taglienti e duri come fasci di vetro.

“Complimenti, Albus…” Commentò ironico il fratello del preside, le mani incrociate sul petto, nello sguardo quella nota profonda di delusione, di disapprovazione, che non gli aveva mai risparmiato.

Silente alzò appena il capo verso di lui, senza dire nulla. Tutte quelle persone che avevano sempre avuto fiducia in lui, per le quali lui era sempre stato il punto di riferimento, la luce bianca del faro in mezzo al fortunale della guerra, la freccia infallibile della bussola… lui li aveva raggirati tutti, senza eccezione, li aveva ingannati, tenuti all’oscuro del suo piano, messi in pericolo e tutto, tutto per scoprire cosa? Che Voldemort aveva Harry? Che valore aveva quell’informazione? Non sapeva neanche se fosse vera o se il suo ex allievo aveva sfacciatamente mentito una volta ancora.

Che cosa aveva ottenuto? Aveva costretto Severus all’angolo. Si era prodigato tanto per tenerlo fuori dai guai e poi lo aveva  gettato in pasto al serpente come una vittima sacrificale. Invece di aiutarlo ad uscire dal suo labirinto, lo aveva condotto dritto tra le fauci del minotauro ancora calde del sangue di James Potter, lo stesso mostro che aveva già anche saggiato con libidine il sangue stesso di Severus. Sì: complimenti, Albus… complimenti…

Il vecchio preside sospirò nuovamente mentre faceva su e giù lungo la parete del salone sotto gli occhi degli altri membri dell’Ordine. Si fermò un istante, gli occhi chiusi, in silenzio, pensieroso. Si portò le dita affusolate alle tempie, massaggiandosele come a cercare di rimescolare i pensieri che stagnavano nella sua mente. Rimase in quella posizione per pochi istanti, poi si sedette stancamente su una delle panche che stava proprio dietro di lui, gettandosi su di essa come improvvisamente schiacciato dal peso dell’età: un vecchio canuto e curvo che si arrendeva al bianco della lunga barba. Sospirò ancora, più profondamente, gettando nell’aria le parole velenose dello sconforto e della sconfitta che sibilavano dentro di lui. Si tolse gli occhiali con un gesto stanco e si passò una mano rugosa sugli occhi, carezza decisa a lenire gli uggiolii degli astuti segugi azzurri.

I membri dell’Ordine rimasero in silenzio. In silenzio ad osservare la figura china del loro scaltro ed infallibile condottiero. Una corte di fantasmi in rispettoso silenzio, come gli invitati alla veglia funebre di un antico, potente re, storditi di fronte allo sconforto che aveva afferrato la loro guida trasformandola nella figura piegata e silenziosa di un vecchio solo. Lo guardavano con occhi confusi, dubbiosi, quasi non riuscissero a riconoscere l’uomo di fronte a loro.

Chi era quel vecchio con la lunga barba? Chi era quell’uomo distrutto e privo di forze che sedeva stancamente su una semplice panca di legno? Quello non era il loro generale di ferro: quello era solo un patetico vecchietto.

Aspettavano che lui facesse un passo avanti, che uscisse dal regno del silenzio e delle ombre per tornare da loro, i suoi soldati, di nuovo fulgente e deciso capitano della luce. Il re degli elfi che tutti loro conoscevano, che tutti loro aveva deciso di seguire senza remore…

Aspettavano, ma Albus Silente rimaneva laggiù, perduto tra le ceneri di un regno che avrebbe dovuto essergli sconosciuto, ma che lui, come tanti altri, conosceva molto, molto bene. Chiuso nella nebbia di cenere che non lasciava distinguere il sotto dal sopra, abitato da sogni spettrali e fantasmi silenziosi, figure di etere che vagavano incappucciate mormorando salmi in lingue da loro stesse inventate. Un regno di nulla abitato da idee, grigio e vuoto. Ed Albus Silente era là, a vagare senza meta tra i suoi pensieri a lasciarsi accarezzare dalle mani scheletriche e leggere della nebbia, sussurro infinto della pace, l’abbraccio annullante delle vesti dei fantasmi che furono.

Tra quelle ombre senza pace, in quella foresta invisibile, Albus scorse una figura più scura camminare, scivolare a poca distanza da lui. Anche quel fantasma nero e incappucciato conosceva bene i sentieri del re silenzioso. Conosceva molto bene quello spettro con il capo chino che cercava rifugio tra gli anfratti della nebbia, tentando quasi di diventare parte di essa, di svanire, di non dover essere di nuovo catturato e ricondotto indietro a forza, di nuovo al di là dei confini col regno della realtà.

“Severus!” Lo chiamò, ma l’altro non si voltò e procedette per la sua via.

“Severus!” Chiamò di nuovo Albus. Gli occhi ancora chiusi, in contemplazione di immagini che vivevano dentro di lui. La sua voce era flebile al di là della cortina, ma quel nome appena sussurrato arrivò alle orecchie dei compagni dell’Ordine.

L’ombra nera si fermò, ma non si girò verso colui che la chiamava. Rimase ferma qualche istante come colta dal profondo desiderio di fermarsi, di fare marcia indietro, di non procedere per quella via… ma poi si costrinse a riprendere il cammino, in silenzio, da sola, decisa.

“Severus.” Disse Silente aprendo gli occhi colmi di scintille di nuova, fresca forza. Guardò quasi con furia i membri dell’Ordine che stavano in piedi, taciturni, davanti a lui, frugò tra di loro cercando il giovane dai capelli scuri. Aveva capito…

Silente di alzò con decisione e calzò nuovamente gli occhiali a mezzaluna, avanzò di qualche passò, facendosi strada tra gli uomini e le donne dell’Ordine che si scostavano di fronte all’andatura decisa e sicura del vecchio preside.

I suoi occhi azzurri persero le acuminate armature di luce di cui si erano rivestiti non appena incontrarono l’oggetto della loro ricerca. I bracchi blu corsero verso il ragazzo in piedi, nell’angolo, la schiena appoggiata al muro, le braccia strette sul petto come catene a costringersi di non fuggire, di non voltare le spalle a tutti ed allontanarsi da quel luogo. Gli occhi neri fissi fuori della finestra, tra le brume della notte, nostalgici e desiderosi di uscire nelle tenebre ad unirsi ai sospiri ed ai lamenti delle creature dell’oblio. I segugi azzurri si precipitarono su di lui, stringendolo tra loro, leccandolo affettuosamente, accoccolandosi accanto a lui.

“Severus…” Disse dolcemente Albus avvicinandosi al giovane. Lui non si voltò, non si mosse, continuò a guardare al di là del vetro freddo del finestrone, così come la sua ombra aveva proseguito oltre.

“Non sei tenuto a tornare da lui. –Gli disse tranquillamente Silente, sorprendendo gli altri membri dell’Ordine che lo fissavano confusi. –Nessuno ti spinge in quella direzione, la scelta è solo tua. Ma non sentirti obbligato: non sbagliare un’altra volta.”

Severus continuò a tacere, fece una smorfia e il suo capo scattò come a voler fuggire dallo sguardo azzurro e splendente del preside.

“So cosa hai intenzione di fare. –Continuò il preside. –Non mi pare la decisione migliore. Non per te.”

Sospirò rassegnato quando vide che Severus continuava ad ignorarlo pedissequamente.

“Non sappiamo nemmeno se Harry è davvero con lui.” Riprese Albus.

“Che importa?” Mormorò allora Severus, con voce vuota, la vita ormai abbandonata in qualche angolo oscuro.

“Severus, io non ti permetto di sacrificarti per nulla.” Disse Albus.

“Perché? A chi importa di me? Guardali, Albus. –Disse Severus tristemente accennando col capo alle persone che li osservavano a pochi metri di distanza. –Non aspettano altro che liberarsi di me.”

Silente si gettò un’occhiata intorno e sospirò.

“A me importa.” Gli disse Silente con tono paterno.

“E’ una trappola.” Mugghiò improvvisamente Moody, attirando l’attenzione su di sé.

“Conosco la tua opinione, Alastor. –Lo liquidò in fretta Silente. –Grazie.” Moody alzò le mani in segno di resa e  si chiuse nuovamente nel silenzio.

“Dov’è Lily?” Chiese Severus in un sussurro.

“Che t’importa dov’è?- Ruggì Sirius avanzando con decisione. –Che cosa vuoi ancora da lei? Non ti basta averle distrutto ogni speranza poco fa? Tu e la tua stupida schifosa profezia?”

“Sirius…” Cercò di trattenerlo Lupin, ma ormai Black stava dando sfogo a tutto il dolore e l’odio che erano andati accumulandosi quella sera. Aveva ragione ad incolpare Piton della morte di James… aveva ragione, perché la colpa era davvero solo e soltanto sua.

Severus, da parte sua, era ancora troppo sconvolto da quanto accaduto poco prima: l’ira di Lily, la sua delusione che brillava negli occhi verdi. La ferita era ancora troppo fresca e sanguinante per poter avere la forza di ribattere alle parole di Black. Ma poi ribattere cosa? Black aveva ragione.

“Hai ucciso James, hai condannato Harry e ora hai illuso e distrutto Lily!- Continuò a urlare Sirius, lacrime di ira e di dolore gli premevano con violenza contro le iridi d’azzurro argentato. –Vuoi sapere dov’è? E’ corsa di sopra a piangere… per colpa tua!”

Remus aveva ormai rinunciato a tentare di trattenere l’amico. Capiva, lo capiva… era inutile obbligarlo a tenersi tutto dentro, Sirius non era fatto così: le sue emozioni uscivano da lui come inondazioni trascinando con loro chi gli stava intorno, gettandoli nell’allegria più sfrenata o nell’ansia più cupa. E poi, Sirius aveva ragione. Era così sciocco fidarsi di un ex Mangiamorte solo perché Silente si fidava, ma lui lo aveva sempre fatto… non aveva mai apprezzato Severus, ma credeva fermamente in Silente, e ora che anche questi si era mostrato loro per l’ambiguo manovratore senza scrupoli che era, di chi poteva fidarsi?

“Non ha importanza quello che ha fatto, Sirius. -Disse Remus all’amico. -Importa ciò che farà. Se ha deciso di rimediare all’errore, oppure se continuerà a nascondersi. Penso che la cosa migliore che lui possa fare, sia consegnarsi a Voldemort… ripagherebbe il debito ed è ciò che intende fare, non è così?” Chiese infine rivolgendosi direttamente a Severus, che lo guardò con occhi vuoti senza rispondere alla domanda di Lupin.

“Severus non è l’unica questione qui.- Intervenne Aberforth, rubando la scena a Remus e guardando con durezza il fratello. –Spero tu ti renda conto del rischio che hai corso, Albus. Se c’è qualcuno da biasimare qui, prima di Severus, sei tu.”

Albus alzò lo sguardo verso di lui e incontrò con gli occhi la professoressa McGranitt che annuiva decisa col capo.

“Hai lasciato in giro informazioni importantissime come fossero briciole di pane. Non ti è nemmeno passato per la testa che i Mangiamorte sarebbero potuti venire a ingaggiar battaglia?” Continuò Aberforth come un fiume in piena: era l’unico che aveva il coraggio di dire in faccia ad Albus ciò che pensava di lui, e non aveva intenzione di risparmiarsi.

“Un boccone succulento per Voldemort: l’Ordine al completo, riunito nello stesso luogo. Avrebbe potuto spazzarci via come steli secchi!” Riprese Aberforth.

“Non è venuto qui con quell’intenzione.” Gli fece notare Albus, ormai messo all’angolo. All’angolo… come Severus, insieme con Severus: i due accusati. Era strano, per lui, trovarsi lì: non era solito stare al banco degli imputati, lui era il giudice, era sempre stato il giudice, aveva sempre avuto l’ultima parola. Ora, però, doveva chinare il capo sotto lo sguardo accusatorio di Aberforth, sotto gli stessi occhi che erano i suoi. Ed intorno a loro la corte, gli amici traditi e amareggiati con i loro visi duri e gli sguardi taglienti. Il giudice in mezzo a loro, con il dito levato contro Albus, contro il fratello che lo aveva già deluso una volta.

“Certo! E tu lo sapevi, non è così? Albus il Grande sa sempre tutto!” Lo rinfacciò Aberforth, sarcastico.

“Ci hai messo tutti in grave pericolo, Albus. –Intervenne la Minerva a spalleggiare il fratello del preside. –Il gioco non valeva la candela.”

“Senza contare la situazione in cui hai messo Severus. –Riprese Aberforth accennando al giovane silenzioso ancora in piedi di fianco al preside. –Mi dispiace, ma se qui c’è un colpevole quello sei tu.” Negli occhi amareggiati di Albus si rifletterono in un secondo gli assensi silenziosi di tutti gli altri; la sentenza era stata emessa, la corte si era pronunciata: colpevole.

Albus abbassò gli occhi, lasciando campo libero al fratello. Era strano, era come se improvvisamente i ruoli dei due fratelli si fossero invertiti, Aberforth aveva preso in pugno l’autorità che non aveva mai voluto mostrare di fronte all’Ordine, da cui si era sempre tenuto piuttosto defilato. Ma ora no, ora nei suoi occhi brillava la stessa costellazione di quelli di Albus, i segugi azzurri si erano spostati dall’uno all’altro e ora fissavano il loro vecchio padrone con la stessa luce con cui avevano guardato altri.

“Signori!- Continuò Aberforth, rivolgendosi agli altri membri dell’Ordine, le braccia aperte come ad afferrare e trascinare su di sé l’attenzione degli altri. –La nostra presenza non è più necessaria, qui. Se Severus deciderà o meno di tornare da Voldemort, non ci riguarda: è una questione tra lui e il Signore Oscuro, noi siamo di troppo.”

Ciò detto, gettò un ultimo sguardo pieno di biasimo al fratello, e voltò le spalle facendo per andarsene, ma la voce di Sirius Black lo trattenne.

“E Harry?” Chiese, infatti, il ragazzo. Aberforth si voltò lentamente verso di lui, l’espressione corrucciata.

“Insomma, Voldemort ha Harry, oppure è solo una trappola?” Continuò Black.

Aberforth lo osservò in silenzio per qualche istante analizzandolo da cima a fondo come se cercasse la risposta a quella domanda scritta su di lui.

“Io non sono mio fratello, signor Black.- Grugnì infine. –Non ho tutte le risposte.” Ciò detto, si voltò nuovamente con un movimento stizzito e se ne andò a grandi passi. Gli altri dell’Ordine rimasero ancora qualche secondo ad osservare la figura sbiadita di Albus Silente e quella nera e oscura di Severus, chi con occhi pietosi, chi con disgusto, chi pieno di delusione. Quindi, uno a uno, uscirono dal salone taciturni. Scemarono in silenzio, fino a che rimasero soltanto Sirius Black e Remus Lupin ad osservare i due condannati, l’uno con astio, l’altro con tristezza.

Severus sapeva che gli occhi di Black erano interessati soprattutto a lui, ma non alzò lo sguardo. L’ultima cosa che voleva, in quel momento, era una litigata con Sirius. C’era troppa tristezza in lui, tanto dolore da impedirgli di respirare, gli bloccava la gola e si stringeva intorno a lui come acqua putrida. Era una sensazione che aveva già conosciuto, l’aveva incontrato molte volte quel dolore bruciante, ormai poteva salutarlo con un sorriso, come un vecchio amico. La consapevolezza che sarebbe dovuto tornare dal suo vecchio signore e padrone gli toglieva quel poco di vita che Lily, con la sua presenza, era riuscita a donargli di nuovo. Tornare da lui… tornare da lui significava la dannazione eterna, significava precipitare nella cerchia più profonda del suo inferno, quella dove aveva esiliato il suo passato, da cui sorgevano le fiere crudeli che gli laceravano l’anima e dalla quale si elevavano grida inumane che nessuno poteva ascoltare.

A Remus dispiaceva per Severus. Era buffo perfino ammetterlo con sé stesso, ma provava pietà per lui, per la situazione in cui si trovava ed i suoi occhi d’ambra rivelavano i suoi sentimenti, caldi e profondi come laghi d’oro. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma qualsiasi cosa avesse detto sapeva che sarebbe stata fuori luogo. Gettò un’occhiata a Sirius, spalla a spalla con lui, ai suoi lineamenti contratti dalla rabbia, dalla frustrazione, ai suoi occhi scintillanti di lacrime che il giovane non aveva potuto trattenere.

Lupin prese un respiro profondo, poi poggiò tranquillamente la mano sulla spalla dell’amico ad invitarlo a seguirlo, a lasciare da soli Severus e Silente. Sirius lo guardò con rabbia, ma poi si lasciò condurre placidamente verso la porta, dove Brix se ne stava, in attesa di aprire loro gentilmente la porta dell’ingresso.

Appena giunto sulla soglia, mentre Remus prendeva il suo mantello dall’attaccapanni e se lo gettava sulle spalle, Sirius si fermò, voltandosi lentamente verso i due uomini, ancora immobili all’angolo del salone.

“Se davvero tieni a Lily, Piton, -Disse con calma, in un mezzo sussurro, la tristezza scesa ad appannare la rabbia sul suo viso. -faresti di tutto per riportarle Harry. Dimostrami che sei degno di lei, e forse potrei cambiare idea su di voi.”

Severus alzò il capo verso di lui, stupito di udire quelle parole uscire dalla bocca di Sirius Black. Lo guardò confuso, vedendo chiaramente la sincerità nei suoi occhi azzurri. Non seppe come rispondere, ma nelle sue iridi di carbone tornarono a brillare le faville infuocate dello spirito del drago dentro di lui, alzò il mento con decisione e annuì in modo appena percettibile.

Questo parve bastare a Sirius, che accennò col capo in segno di saluto prima di raggiungere Remus e uscire con lui nella notte.
 

***
 

La giovane donna si appoggiava stancamente al morbido schienale della poltrona, presso il fuoco scoppiettante, suo unico compagno nella stanza vuota. Teneva il capo biondo chino, lo sguardo posato sul libro aperto che se ne stava abbandonato sulle sue ginocchia. Non avrebbe dovuto essere lì a quell’ora, ormai quasi mezzanotte. Avrebbe dovuto essere a letto, a dormire sonni tranquilli con suo marito al fianco, e il loro bambino avrebbe dovuto riposare placidamente nella sua culla, a pochi passi dal letto dei genitori, insieme a loro. Invece, lei era lì, da sola, insonne. Suo marito era fuori, insieme a quel mostro che ancora chiamava signore e il suo bambino era di sopra, in compagnia di due elfi domestici che vegliavano sul suo sonno. Almeno lui era tranquillo.

Narcissa Malfoy sbuffò sonoramente. Non le riusciva di leggere. Aveva preso un libro a caso, il primo che le era venuto sottomano, nella speranza di dimenticare, almeno per un po’, i dubbi e i problemi che le angosciavano la mente, ma era inutile. Quelle parole stampate le risultavano incomprensibili, come scritte in una lingua che non conosceva.  Narcissa allontanò lo sguardo dalle pagine del libro e lo puntò distrattamente tra le fiamme del camino, come a cercare una risposta ai suoi tormenti tra le danze di quelle lingue rosse, rivolgendosi ad un oracolo di fuoco. Le fiamme del camino brillavano sui suoi capelli di platino, scintillando come onde vermiglie in quel lago dal pallore lunare.

Era da tempo che un’idea le saltellava nella mente come una cavalletta, impossibile da catturare quanto fastidiosa con quei suoi saltellii nei momenti meno opportuni e i suoi frinii continui. Se l’era tenuta per sé, la sua cavalletta, bella stretta: sapeva che Lucius non avrebbe gradito di vedersela davanti a ogni ora del giorno. Aveva esposto quell’idea balzana al marito già molte volte ed aveva ottenuto soltanto il risultato di irritarlo, e così  aveva smesso di presentargliela.

Quella cavalletta dalle ali verdi, però, era sempre lì e non la si poteva ignorare. Era lì e continuava a ripetere sempre lo stesso nome, in un trillo sussurrato: Albus Silente. Dovevano rivolgersi a Silente se volevano sperare di uscire da quella situazione, situazione che lei stessa aveva creato quando Lucius si era arreso alle sue preghiere.

Silente era l’unica via per uscire da quella prigione, Narcissa lo sapeva, ma Lucius non voleva sentir ragione. Per lui, rivolgersi al preside di Hogwarts equivaleva ad accettare la sconfitta, era un’umiliazione, per il suo nobile marito, rivolgersi al protettore di Mezzosangue e elfi domestici, era come scendere al loro stesso livello: meglio rimanere al fianco del Signore Oscuro, rischiare che questi scopra tutto e si vendichi su lui e la sua famiglia. Perché Narcissa sapeva che Voldemort avrebbe presto smascherato il tradimento di suo marito, già sospettava qualcosa, il loro signore, ne era certa, e Lucius non poteva portare avanti il suo gioco ancora a lungo.

No, doveva fare qualcosa. Al diavolo l’orgoglio di Lucius! Sarebbe andata lei da Silente, avrebbe raccontato tutto e gli avrebbe chiesto protezione per la sua famiglia, dopotutto, era l’unica cosa che potesse salvarli, che potesse salvare Draco.

Narcissa chiuse il libro di scatto, con decisione, gli occhi cerulei scintillanti e risoluti. Si alzò in piedi, rassettando la vestaglia color crema e lisciandone le pieghe, posò il libro sulla poltrona, afferrò la mantella di lana bianca, che giaceva appoggiata al bracciolo della stessa, e se la gettò con eleganza sulle spalle.

In quel momento, qualcuno bussò alla porta attirando l’attenzione della donna.

“Sì? Avanti!” Disse con voce sicura.

La porta scattò ed apparve sulla soglia una piccola elfa domestica con uno straccio scuro gettato sulle spalle ossute e gli occhioni azzurri umidi e scintillanti.

“Perdonate, padrona. –Disse questa con voce tremula, mentre richiudeva la porta sotto lo sguardo imperioso di Narcissa. –E’ arrivata una lettera di padron Lucius.” E così dicendo mostrò un pezzo di pergamena che teneva nella mano affusolata.

“Intende informarvi che farà tardi e che domattina partirà presto e starà via tutto il giorno.” Spiegò l’elfa.

Narcissa sospirò e distolse lo sguardo dalla creaturina portandolo verso le fiamme del camino. Lucius sarebbe stato via tutto il giorno… di nuovo. Però, forse, questa volta poteva considerarla una buona notizia.

“La padrona desidera qualcosa?” Si offrì la piccola elfa, notando lo sguardo sconfortato di Narcissa.

“No, Iris. Torna ai tuoi lavori, se ne hai ancora. Io stavo andando a letto.” Rispose questa, congedando l’elfa che fece un lieve inchino e lasciò la stanza richiudendo lentamente la porta dietro di lei.

Rimasta sola, Narcissa si strinse di più lo scialle addosso ed uscì anch’ella dalla sala, ma diretta in ben altro luogo che la camera da letto. In fretta, con passo deciso, attraversò i corridoi freddi e appena illuminati della villa fino allo porta dello studio di Lucius. Non era solita entrare nell’ufficio del marito senza il suo permesso, ma quella volta aveva una missione ben precisa. Il sigillo magico che Lucius aveva messo sulla porta era come inesistente per lei, segno che il signor Malfoy si fidava di sua moglie e lei, d’altronde, non gli aveva mai dato ragione di pensare il contrario.

Narcissa abbassò decisa l’elegante maniglia d’ottone e aprì la porta scivolando con discrezione nello studio buio. Estrasse la bacchetta ed illuminò la stanza ordinatissima con la sua luce azzurra mentre richiudeva silenziosamente la porta. Si diresse verso la scrivania del marito di cui passò subito a rassegna il ripiano lucido, tutto perfettamente in ordine, la penna, alcune pergamene nuove, un calamaio, un fermacarte d’argento, nulla di interessante. Narcissa fece, allora, il giro della scrivania e si chinò verso i cassetti. Aprì il primo con un lieve sforzo, ma all’interno trovò soltanto tagliacarte, portamina, boccette nuove d’inchiostro ed altri oggetti. Richiuse il cassetto quasi con stizza e passò al secondo. Rovistò in tutti i cassetti senza trovare ciò che cercava. Sbuffò guardandosi intorno e il suo sguardo fu catturato da un libro sul ripiano della scrivania a cui prima non aveva fatto caso. Incuriosita, lo aprì e questa volta, infilata discretamente sotto la copertina, trovò finalmente l’oggetto delle sue ricerche: una cartina della Scozia.

Felice di aver trovato ciò che cercava, Narcissa aprì la carta e notò subito un cerchio, segnato con una matita calcando il tratto più volte, e, di fianco ad esso, la calligrafia di Lucius si esibiva nella dicitura: V. Silente.

Narcissa sorrise: era proprio ciò che voleva sapere. Non era così lontana da Hogwarts, la villa di Silente, notò, ma questo non le importava più di tanto. Afferrò una pergamena dalla risma sulla scrivania e una matita e si segnò il luogo in cui si trovava la tana del preside, quindi ripiegò la cartina e la ripose al suo posto, nel libro. Si mise in tasca la pergamena e uscì dallo studio del marito. Ormai aveva deciso: l’indomani mattina, appena Lucius se ne fosse andato, lei avrebbe suonato il campanello di Silente. Era ora che prendesse in mano la questione, se aspettava Lucius, sarebbero presto finiti sottoterra tutti quanti.
 

***
 

Lily ancora non poteva crederci. No, non lui. Non Severus. Non era giusto…

Si strinse ancora di più al cuscino, stritolandolo in quell’abbraccio disperato mentre le lacrime, ormai, non riuscivano più ad uscire. Avrebbe voluto ci fosse Severus al posto di quel cuscino. Come poche ore prima, quando si era stretta a lui, sconvolta dalla rivelazione di Sirius, quando le era sembrato che tutto le fosse crollato addosso, e invece no: aveva ancora un rifugio, e quel rifugio erano state le braccia di Severus, che avevano accolto le sue lacrime e le avevano asciugate. Ora chi c’era ad assorbire quelle stille d’argento? Un cuscino?

Non sapeva cosa fosse accaduto di sotto. Non voleva saperlo. Le era sembrato di sentire la voce di Sirius alzarsi un po’ più in alto, ma non aveva capito le sue parole, non aveva voluto capirle.

Non voleva sapere cosa fosse accaduto. Una cosa era certa: Silente non aveva deluso solo lei, ma l’Ordine al completo. Come poteva chiedere aiuto a lui? C’era ancora la profezia che aveva ascoltato da capire, ma che importava? Severus l’aveva illusa. Lui non c’era più… e lei, ora, era chiusa nella sua stanza, sdraiata sul letto a pancia in giù, stretta al cuscino bagnato dalle sue stesse lacrime. Era stata una sciocca a pensare che tutto sarebbe potuto tornare come un tempo. Severus non era più il bambino che conosceva. Non era più quel ragazzino con cui passava le giornate a chiacchierare, era stata una sciocca a pensare di poterlo ritrovare ancora tra i labirinti di grotte che segnavano l’animo del Severus ragazzo.

Perché Severus?

Come aveva potuto? Era per quello che aveva fatto di tutto per ritrovare Harry? Ora se ne sarebbe andato? Sarebbe tornato da Voldemort per poterle ridare suo figlio? Quante domande… è strano come nei momenti più cupi si aprano punti interrogativi, anziché presentarsi risposte.

La prima parte della profezia si era avverata: Lui era venuto e aveva posto le sue condizioni. Ed ora Severus sarebbe tornato al suo fianco, proprio come aveva predetto la Cooman.

Non tornerei mai consapevolmente da lui, Lily. Mai

Le parole di Severus le rimbombarono in capo. Non sarebbe mai tornato dal Signore Oscuro di sua spontanea volontà… mai… eppure, in cuor suo, Lily sapeva che Severus era deciso ad incamminarsi lungo quella via.

Le lacrime tornarono a premere contro il verde dei suoi occhi, ormai rovinato e livido. Perché doveva essere così difficile? Perché non poteva restare insieme a Severus senza problemi? Perché doveva sempre esserci qualche ostacolo tra loro? Poteva di nuovo perdonare Severus? Non era così semplice…

Qualcuno bussò alla porta, portando la ragazza ad alzare il viso affondato nel cuscino e a volgere gli occhi verso la suddetta porta. Si asciugò appena le lacrime con la manica del maglione, tirando su col naso.

“Lily?” Per la giovane fu come una lama arroventata che le penetrava nel cuore udire quella voce, attutita dal legno spesso.

“Lily, posso parlarti?” Fece ancora la voce di Severus, ma lei non aveva intenzione di rispondere. Non ce la faceva ad affrontarlo, non ancora…

“Lily, per favore…” Continuava Severus, la voce resa insicura dalle lacrime.

“Ti prego, Lily, fammi entrare. Voglio solo parlare con te.” Ma Lily non rispondeva, rimaneva immobile, sul letto, il cuscino ancora stretto a sé, con gli occhi vuoti.

“Ti prego, Lily…” Sussurrò un’ultima volta Severus, le lacrime ormai gli scorrevano sulle guance, incapace di trattenerle.

Appoggiò sconsolatamente la fronte alla porta della camera della giovane, la mano appoggiata senza vita alla maniglia. Sapeva che sarebbe accaduto, sapeva che l’avrebbe persa… era inutile tentare di parlarle ancora. Voleva solo dirle addio. Ormai aveva preso la sua decisione, rimanere in quella casa non significava più nulla per lui, ora che Lily non voleva più parlargli. Non importava quello che pensava Silente, non importavano le suppliche di Brix… sarebbe tornato dal suo antico signore e avrebbe affrontato il giusto prezzo per il tradimento. Per aver tradito la fiducia di Lily.

Sarebbe andato via la mattina presto, quando tutti ancora dormivano: non aveva intenzione di aspettare fino alla sera con Albus e Brix che cercavano di distoglierlo dal tornare da Voldemort. Non aveva intenzione di perdersi nei discorsi d’addio del preside. Voleva solo salutare Lily, chiederle scusa, anche se sapeva benissimo di non meritare il suo perdono.

Severus sospirò sconsolato, ma poi gli venne in mente che forse c’era un modo per spiegare tutto a Lily. Si allontanò dalla porta e percorse il corridoio fino alla sua camera. Accese la luce con un movimento della bacchetta, il suo braccio rimase fermo a mezz’aria per un po’, dopo che la luce giunse ad invadere la camera spoglia. Gli occhi cupi di Severus si soffermarono sulla semplice bacchetta che stringeva nella mano: la vecchia bacchetta di Albus. Sospirò tristemente, quindi si diresse verso la scrivania davanti alla finestra. Si sedette e ripose con gentilezza la bacchetta sul ripiano della scrivania. Non l’avrebbe portata con sé la mattina dopo: i Mangiamorte non gli avrebbero lasciato tenere la bacchetta e non voleva che finisse nelle mani empie di Voldemort perché fosse sporcata e contaminata dalla sua magia oscura. Estrasse, con un gesto stanco, una pergamena nuova dal cassetto, insieme alla penna e all’inchiostro e cominciò a scrivere.
 

***
 

“Lo sai qual è il prezzo del tradimento, Lucius?” Sibilò con voce suadente il Signore Oscuro, girando intorno alla sua preda, com’era solito fare, come un predatore pronto a balzarle addosso.

Lucius deglutì. Non sapeva se Voldemort si riferisse a lui o a Severus, ma, anche stesse parlando del secondo, la cosa non lo faceva sentire meglio. Quando Riddle lo aveva chiamato nel suo ufficio, aveva pensato si trattasse di una questione sciocca. Il Signore Oscuro non era solito invitare gente nel suo studio privato, e, se lo faceva, era per discutere di questioni formali, di affari. Malfoy era stato altre volte in quella stanza cupa, illuminata da candelabri cinerei, la tenebra che ne avvolgeva ogni angolo addensandosi in profondità tra le pagine dei libri di Arti Oscure che sfilavano su una enorme ed elegante libreria d’ebano nero. Non c’erano pareti spoglie in quello studio, come era per il salone vuoto dove Voldemort aveva posto il suo trono oscuro, no: lì ogni lato era tappezzato di libri. Libri che sussurravano tra loro sotto la luce pallida delle candele, bisbigliavano parole malvagie, infernali, depravate…

“La morte, mio signore?” Osò rispondere Lucius Malfoy, la voce impastata dalla paura.

Voldemort si piazzò dinnanzi a lui, analizzandolo da cima a fondo ad assaporare le rime di terrore che si formavano sul viso perfetto di Lucius, forgiate dal martello di fuoco dei suoi occhi serpentini.

“Oh, quella arriva solo alla fine.” Sussurrò il Signore Oscuro, raggelando l’altro con il suo respiro livido, le labbra sottili a poca distanza dal viso di Malfoy.

Lucius era pietrificato. Quell’aura oscura che aleggiava in quella stanza, in quella cappella del male, era come fruste che si stringevano intorno a lui, impedendogli di muoversi, impedendogli di respirare. Si avvolgevano intorno alla sua gola con forza, strangolandolo.

“Sei stato molto utile, finora, Lucius…” Bisbigliò ancora il Signore Oscuro, mischiando la sua voce a quelle sorelle della magia oscura.

Malfoy cercò di profondersi in un inchino, ma ottenne soltanto un patetico scatto del capo e un tremore della schiena.

“Mio signore…” Mormorò con deferenza, andando a sopperire al gesto mancato.

Voldemort lo guardò seriamente.

“Hai paura, Lucius?” Domandò poi, i suoi occhi folgoranti di fiamme scarlatte che scottavano il vicino volto di Malfoy.

“Sì, mio signore.” Rispose questi, abbassando appena lo sguardo. Sapeva che il Signore Oscuro godeva nel sentire i suoi servi ammettere la loro paura, si compiaceva nel vederli umiliarsi innanzi a lui. Era come sidro per lui, come gocce d’acqua che andavano a nutrire il fiore prosperoso del suo potere e della sua ambizione.

“E perché?- Chiese Voldemort, corrucciando la fronte. –Hai forse qualcosa da nascondermi?”

Gli occhi di Lucius scintillarono sulla curva di quell’ultimo punto interrogativo. Voldemort aveva colto nel segno… sapeva che gli nascondeva qualcosa? No, non poteva essere. Lui aveva sempre giocato bene la sua parte, non aveva lasciato alcun segnale al suo signore, se ne era guardato bene.

“No, mio signore. –Rispose, alzando il mento, mostrando finta sicurezza nel rispondere. –Voi sapete che sono un servo fedele. Mai vi terrei nascosto qualcosa.”

Voldemort parve soddisfatto di quella risposta, o almeno così dette a credere a Lucius. Le lingue di fuoco di quelle iridi cinabrine sprofondarono con grazia e lentezza nel ghiaccio degli occhi di Lucius, fondendone le pareti azzurre e scivolando all’interno senza che Malfoy ne fosse consapevole.

Il Signore Oscuro frugò con discrezione nella mente del suo servo: con Codaliscia aveva potuto permettersi di essere brutale e senza riguardo, ma Malfoy era diverso. Era scaltro e niente affatto stupido, metterlo in allarme troppo presto avrebbe rovinato il gioco. I ladri di fuoco cercarono in silenzio in quella mente inconsapevole della rapina in atto, andarono dritti a quel baule sigillato, gettato in un angolo, nascosto sotto cortine di buio. Le dita fiammeggianti scassinarono la serratura con un tocco preciso e sicuro e il segreto che Malfoy teneva nascosto al suo signore non fu più tale.

Voldemort sogghignò, non appena i suoi fedeli marioli gli consegnarono il frutto dalla cerca. Guardò il volto teso di Malfoy: non si era accorto di nulla. Leggere nella mente era un’arte e il Signore Oscuro ne conosceva ogni sfumatura, e nessuno, nessuno poteva sfuggire al suo sguardo.

“Mio signore?” Fece Lucius, rompendo il silenzio che era calato su di loro. Voldemort, tuttavia, non lo ascoltò, era ancora troppo deliziato dalla chicca che gli era appena stata rivelata. E così i suoi sospetti erano veritieri. Lucius non l’avrebbe passata liscia, aveva l’arma pronta, anzi, sarebbe arrivata a breve, per farla pagare al ‘fedele’ Malfoy.

“Lucius!- Tuonò improvvisamente facendo sussultare l’altro. –Passa parola fra i Cavalieri di Valpurga: domani dovrete essere tutti qui con me… a dare il bentornato alla pecorella smarrita.” Ordinò poi.

“Ma, mio signore…- Azzardò Lucius, con non poca insicurezza. –Siete sicuro che verrà?” Chiese.

Voldemort gli sorrise, divertito.

“Sicuro come il sorgere del sole, mio caro.” Disse, ridacchiando malvagio.

“Ora vattene.” Disse poco dopo, con un gesto spiccio della mano, il sorriso improvvisamente svanito dalle sue labbra pallide.

Lucius accennò un inchino e uscì dallo studio, trattenendo a stento un sospiro di sollievo che, certo, non sarebbe stato gradito al suo signore.

Una volta che Malfoy lo ebbe lasciato da solo, Voldemort andò ad accomodarsi sulla comoda poltrona di pelle, dietro la pesante scrivania nera, e lì l’ilarità lo colse, trascinandolo in una raggelante, profonda risata.

Rise. Rise impregnando i libri oscuri delle note del suo compiacimento. Rise di Malfoy, del suo segreto ormai svelato. Rise di Silente, che aveva ridicolmente tentato di metterlo nel sacco. Rise, dando sfogo alla soddisfazione per il suo schema perfetto, per i magnifici arabeschi che aveva inciso sulla lama della mannaia che si sarebbe abbattuta su Lucius. Rise, assaporando già il sangue di Severus bagnare di nuovo le sue labbra assetate, gustando il piano che aveva programmato per lui.

Le sue labbra si aprirono al sussurro, rotto ancora dalle risa: “Ah! La morte arriva solo alla fine…”
 

*******
 

 

Eccomi! Un nuovo capitolo di passaggio, tanto per aumentare un po’ la tensione. Non ringraziatemi...

E’ stata dura mettere assieme tutti questi pezzi, ma erano necessari. Se devo dire, la prima parte non mi ispirava molto, ma poi Aberforth ha sistemato le cose: sono molto fiera di Abe in questo capitolo. Anche di Sirius, per la verità. L’ultima frase che dice non so da dove sia saltata fuori, ma mi piaceva molto l’idea.

E Narcissa, beh… ha deciso di prendere in mano la situazione. Era ora! Se aspettavamo Lucius andavamo alle calende greche…

Anche l’ultimo pezzo di Voldemort è riuscito bene. Alla fine, direi che un bel capitolone. Che ne dite?

Il titolo è "Interludio" semplicemente perchè mi era impossibile trovare un titolo che riunisse tutte le quattro parti. Sono negata per i titoli lo sapete...

Il prossimo capitolo non so ancora se sarà su Voldemort e Severus o su Narcissa… penso i primi, comunque. Sì, direi di sì.

Ciao a tutti!
 
 

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Capitolo 28
*** Imperio ***


Capitolo 28
 

IMPERIO



 

Una forza invisibile lo afferrò con forza scagliandolo contro il pavimento sul quale si abbatté violentemente sbattendo la tempia sinistra sulla nuda, fredda pietra del pavimento. Un lieve rivolo di sangue bagnò le lastre indifferenti sfiorandole con gocce rosso vivo quasi a cercare di ridare vita e colore a qual cimitero morente. Ma quelle pietre grigie rimasero impassibili a guardare gli occhi neri incrinati dal dolore del giovane che giaceva su di loro, incapaci di lenire le sue ferite.

“Sapevi quale sarebbe stato il prezzo, Severus…” Sibilò una voce mentre la figura ammantata di nero osservava con libidine il giovane bocconi sul pavimento.

Severus strinse gli occhi nel tentativo di trattenere dentro di sé le lacrime di dolore che si accanivano contro le sue iridi come prigioniere disperate, si ferivano contro le crepe taglienti d’ossidiana.

Sì, lo sapeva quale sarebbe stato il prezzo…  ma Lily… lo aveva fatto per Lily. Gli occhi verdi di cerbiatta della ragazza invasero i suoi con prepotenza portando con essi la frescura della pioggia a lenire il dolore delle ferite, a spegnere il fuoco che si dibatteva nel suo braccio sinistro ripassando le linee putride del Marchio Nero. Se solo avesse saputo… non sarebbe cambiato nulla, sarebbe comunque tornato dal suo antico padrone. Comunque. Non aveva più nulla a cui stringersi ormai.

Voldemort agitò la mano in gesto secco, come a sguinzagliare una belva invisibile contro il ragazzo a terra. Severus si sentì afferrare da braccia invisibili che lo costrinsero a voltarsi sulla schiena. Venne sbattuto con violenza contro il pavimento una volta ancora, le palle costrette contro la pietra, sul suo petto un peso invisibile che lo schiacciava a terra impedendogli di muoversi.

Il Signore Oscuro si chinò con eleganza serpentina su di lui, portando il suo viso livido a pochi centimetri da quello del ragazzo. Voldemort osservò con lezioso compiacimento i graffi e le ecchimosi che martoriavano il volto di Severus, come un pittore che osserva compiaciuto la sua opera.

“Io ti spaccherò il cuore, Severus Piton…” Sussurrò Voldemort con una tranquillità spaventosa ad addolcire la sua lingua con fiele amaro. Severus rantolava sotto il suo sguardo da cui cercava di sfuggire puntando gli occhi di carbone lontani da quel volto disumano. Ogni respiro era una frustata per i suoi polmoni, gli pareva di avere una caccia selvaggia che si dibatteva nel suo petto e la preda era il suo cuore, nella sua corsa quella caccia infernale spargeva la devastazione dentro di lui abbattendosi  con furia contro la sua carne, affondandovi artigli arroventati.

“Io ti spezzerò…” Sibilò ancora Voldemort. Una mano fredda e liscia si posò sul mento del giovane e lo afferrò saldamente obbligandolo, poi, a voltare il viso verso di lui, una carezza fatta di aghi che penetravano nella pelle. Una scintillante lacrima scarlatta sfuggì alle labbra contratte del giovane scivolando lungo il suo mento, macchiando di fuoco quelle dita gelide e bianche, un fuoco che esse bevvero assetate appagandosi del suo calore vermiglio.

Severus fu costretto ad alzare lo sguardo verso il suo signore. Voldemort gli sorrise, allentando appena la presa sul suo volto.

“Perché sei venuto?” Gli chiese con voce calma, osservandolo attentamente.

Severus lo guardò con disprezzo, quegli occhi di fuoco si erano fatti cupi, profondi e lo osservavano silenziosi. Non gli rispose.

La presa di Voldemort si fece ancora più lenta. Passò con lentezza le dita sul mento e sulle labbra di Severus, pulendole dal sangue. Una carezza e una ferita allo stesso tempo.

“I tuoi amichetti ti hanno mandato qui?” Chiese il Signore Oscuro in un sussurro.

Severus continuò ad osservarlo, l’astio profondo ne invadeva le iridi come un velo, una cortina ancora più scura.

“E’ stata una mia scelta. –Disse infine con voce roca, mentre il sangue macchiava le sue labbra. –Era quello che volevi, no?” Concluse quasi in tono di sfida, gli occhi cupi scintillanti di lacrime e odio.

Voldemort non si lasciò scottare da quelle scintille nere, si ritrasse appena, osservando il giovane con occhi analizzatori.

“Era ciò che volevo, sì. –Rispose, nessuna emozione a incrinare il suo viso bianco mentre osservava il volto dell’altro, analizzandolo in ogni suo punto. – Ma non mi aspettavo che saresti capitolato così facilmente.”

Severus continuò a guardare il suo signore in silenzio.

“Come hai fatto, eh?” chiese poi Voldemort quasi sovrappensiero guadagnandosi un’occhiata interrogativa da parte di Severus.

“Come hai fatto a ingannarmi per quasi un anno?” Spiegò il Signore Oscuro, guardando la sua preda con occhi distratti, pensierosi.

Severus non rispose. I suoi occhi si allontanarono da quelli di Lord Voldemort perdendosi per un attimo nel verde di altri occhi, di occhi che non avrebbe mai più rivisto. Lo aveva fatto per Lily, sempre e solo per Lily. Era stata lei a dargli la forza, insieme con il suo dolore, la sua colpa… ma lei era sempre stata la chiave, unica e sola, che poteva aprire la serratura della sua mente.

Gli occhi famelici del Signore Oscuro parvero cogliere lo sprazzo di verde che si era acceso nella notte nera. La sua presa sulla mascella di Severus si fece più forte, rabbiosa, incandescente.

“Il tuo amore per quella Sanguesporco non ti salverà questa volta, mio mezzo principe. Non salverà né te, né lei, né quel suo marmocchio piagnucoloso.” Ringhiò Voldemort, scoprendo appena i denti bianchi in un ghigno rabbioso.

Nel sentire il Signore Oscuro riferirsi al bambino di Lily, l’ira di Severus si accese. Era bloccato a terra dalla magia oscura, ma i suoi occhi si spostarono di colpo nuovamente verso Riddle, colmi d’astio e di dolore. Le fiamme oscure della sua notte bruciarono quelle vermiglie in un abbraccio furioso riversando in esse tutto il loro dolore e la loro rabbia.

“Avevi detto che avresti consegnato Harry all’Ordine. –Ringhiò in faccia al Signore Oscuro, incurante del dolore al petto e del sangue che scorreva dalla sua bocca a macchiare il mento e le guance chiare. –Era questo il patto: io per lui.” La voce gli mancò per un attimo mentre veniva scosso da un violento attacco di tosse, accompagnato da altro sangue versato sulle sue stesse labbra.

“Ed è quello che avrei fatto, -Gli rispose Voldemort in un sorriso, con finto dispiacere a increspagli il volto. –se solo avessi avuto il bambino.”

Severus lo guardò rabbioso. Gli aveva mentito. Aveva mentito a Lily, all’Ordine… a tutti. Oh, Lord Voldemort era bravo ad ottenere ciò che voleva senza dare nulla in cambio. Era bravo a tendere trappole per le sue prede più ambite. Era bravo a giocare, a prevedere le mosse dei suoi avversari.

Era una trappola. E lui, Severus, lo aveva saputo sin dall’inizio, ma aveva comunque deciso di tentare, nella folle speranza di poter ritrovare il piccolo Harry. E’ così buffo ciò un uomo può fare per disperazione, ma, dopotutto, non aveva più alcun motivo per rimanere con l’Ordine. Gli era stato chiaro sin da subito che la sua parte su quel palcoscenico era finita con la rivelazione sulla Profezia, con il patto offerto da Voldemort. Lui ormai non serviva più a niente, tanto valeva tentare, anche se fosse stata una trappola. Senza Lily lui non era niente, senza Lily tornava ad essere una misera ombra malinconica, senza la luce, la falena vagava nel buio, persa e solitaria. Senza il sole, nemmeno le ombre potevano sentirsi vive.

Severus sentì un ulteriore peso gravare sul suo cuore nel ripensare a Lily, al suo sole che non avrebbe mai più rivisto. Sotto gli occhi di bragia del Signore Oscuro, una lacrima scese lungo il suo viso portando via con sé il sangue in una linea bianca, d’argento. Ma quella stilla di luna irritò il fuoco, scottando lo sguardo di Voldemort.

Severus sentì la mano gelida scendere sulla sua gola stringendola in una presa ferrea. Voldemort lo costrinse a portare i suoi occhi su di lui con rabbia, ed egli penetrò in quel nero attraverso la lieve crepa che quella lacrima aveva lasciato.

Il giovane sentì i suoi occhi bruciare sotto la presa di quelli di Voldemort. Li sentì incunearsi a forza nei suoi, affondando nel nero come lame nella carne. Severus urlò sotto il dolore atroce che gli procurarono quelle lame, un urlo di dolore ingoiato dalle pareti silenziosi della sala vuota, accompagnate dalla risata profonda del Signore Oscuro. Le lame di fuoco scesero in profondità tra le grotte dello sguardo nero di Severus, bruciando le pareti di cristallo, si infilarono in ogni cunicolo, in ogni angolo, precipitarono nel profondo fino ad immergersi nelle acque del lago nero con uno sfrigolio raggelante. Severus urlò ancora, con tutta la forza della disperazione nello strenuo tentativo di resistere a quella furia di fuoco. Chiuse con forza gli occhi cercando di sottrarsi a quello strazio, cercando di preservare la piccola cerva che viveva come un fantasma, nascosta tra le pieghe della sua anima. Voldemort si infuriò nel vedere i cancelli d’orneblenda della sua vittima chiuderglisi in faccia, si lasciò sfuggire un ringhio rabbioso e strinse la presa sul collo del ragazzo.

Severus si sentì soffocare sotto quella morsa. La mano di Voldemort si faceva incandescente, fiamme sgorgarono dalla sua pelle andando ad ustionare la sua, fiamme magiche che scavavano in profondità cercando il sangue come animali affamati, ustionando la pelle senza lasciare segni, soltanto dolore. Severus gemette, ma dalla sua bocca non uscì che un lieve rantolo, gli occhi neri si spalancarono e le scie si fuoco penetrarono nuovamente in essi, frugando, bruciando, devastando tutto sul loro cammino. Cercò strenuamente di difendere i suoi ricordi più preziosi da quelle vampe fameliche, ma esse sprofondavano sempre di più disturbando il sonno del drago, inaridendo la sua tana d’acqua.

Le immagini di quella mattina furono strappate a forza dai loro letti sul fondo fangoso del lago sovrapponendosi prepotentemente alle sue iridi nere.

Vide sé stesso, avvolto nel suo mantello nero, in piedi davanti ai cancelli di Villa Silente, i raggi dell’alba che si ritraevano quasi disgustati dalla sua figura, il sole pallido gli gettava occhiate disgustate. Si vide gettare una triste occhiata alla villa, ancora avvolta tra le onde del sonno. Sentì montargli in corpo le stesse sensazioni di poche ore prima, gli stessi pensieri… Non sarebbe più tornato in quella casa. Non avrebbe più rivisto i suoi abitanti: Silente, Brix… non avrebbe più rivisto Lily.

Se ne era andato così, in silenzio, senza infastidire il sonno che avviluppava le mura della villa. Aveva lasciato la bacchetta sulla scrivania, nella sua stanza, dove l’aveva posata la sera prima. Se ne era andato… chissà cosa avrebbe detto Brix quando non l’avrebbe più trovato nella sua stanza. Pensò a quale reazione avrebbe avuto Lily quando i suoi occhi si sarebbero posati sulla lettera che le aveva lasciato, quando avrebbe letto quelle ultime parole d’addio.

Le lacrime presero a scorrergli lungo le guance portando via con loro il sangue che si era raggrumato sulla sua pelle chiara

Lily…  Severus si aggrappò con tutte le sue forze all’immagine della ragazza sorridente. Lily che giocava a scacchi  con lui, Lily che gli stringeva la mano quando era incosciente, le labbra di Lily sulle sue… la note prima, quando, per un attimo, aveva creduto di avere ancora una speranza. Lily… non l’avrebbe mai più rivista, era finita, ma ancora lei era l’appiglio, l’ancora, la salvezza… la fonte fresca in mezzo a quel fuoco che gli dilaniava la gola e la mente.

La fresca acqua dello sguardo di Lily alimentava le sue lacrime, gli occhi vermigli del Signore Oscuro si riflettevano in esse con timore. Severus sentì la stretta sulla sua gola allentarsi e le fiamme spegnersi mano mano. Respirò profondamente, sentendo l’aria raschiare improvvisa dentro di lui con forza costringendolo a piegarsi su un fianco e a tossire sputando sangue. Cercò di trattenere i conati di vomito che premevano con forza contro le pareti della sua gola, aggiungendo altre tribolazioni a quelle mura sanguinanti.

Lord Voldemort osservava il giovane ripiegato su sé stesso sul pavimento gelido, nei suoi occhi una gelida stilla di sconcerto. Come era possibile? Nessuno poteva resistergli, nessuno. Nessuno poteva chiudere la sua mente al suo sguardo, eppure quel ragazzino lo aveva respinto. Nonostante il dolore che ne increspava le acque con fremiti incontrollabili, non era riuscito a sondare quelle acque, si erano cristallizzate sotto il suo sguardo e nel ghiaccio che le aveva ricoperte aveva scorto soltanto immagini distorte e incomprensibili.

“Uccidimi.” Il rantolo appena udibile sgorgò dalle labbra insanguinate di Severus afferrando l’attenzione dell’Oscuro Signore e portandola sul giovane. Severus si voltò verso di lui, guardandolo con occhi provocatori.

Voldemort lo guardò confuso per un attimo, poi un largo sorriso si aprì sul suo volto.

“Non saprai nulla da me. Non sono più il tuo servo.” Gli sputò in faccia Severus, pur sentendosi soffocare nel sangue che gli invadeva la gola e che continuava a stillare dalle sue labbra.

Voldemort continuò a sorridergli e si lasciò sfuggire una risatina divertita. Si alzò in piedi guardando la sua preda rannicchiata a terra, nel dolore e nel freddo che la pietra spandeva nel suo corpo.

“Ucciderti?- Fece, divertito. –Oh no. Prima c’è qualcosa che tu devi fare per me.”

Severus si sentì ribollire di odio all’udire quelle parole. Se Riddle si aspettava che lui avrebbe ancora obbedito ai suoi ordini era pazzo. Non temeva la morte né le torture, aveva imparato a conoscerle entrambe molto bene al servizio dell’uomo che ora lo guardava sorridendo malvagio. Eppure quello sguardo che gli rivolgeva mostrava ben altri progetti per lui, era uno sguardo raggelante nella sua sicurezza e questo lo spaventò. Non voleva più macchiarsi le mani di sangue innocente, non voleva più torturare e procurare dolore ad altri… non poteva costringerlo. Voldemort poteva torturarlo fino alla morte, se lo divertiva, poteva fare ciò che voleva di lui, ma mai, mai si sarebbe ancora piegato al suo volere.

La paura invase il giovane, una paura che non avrebbe mai pensato di poter provare. Quella scintilla che splendeva sicura e decisa nello sguardo del Signore Oscuro penetrava in profondo nel suo cuore portando con sé un’ansia opprimente. Severus sperò che la piccola cerva bianca venisse in suo soccorso, scintillante a scacciare quella creatura di fuoco. Ed eccola, la piccola goccia d’argento, il volto sorridente di Lily, la fresca cerva di sorgente a scacciare una volta ancora il fuoco oscuro.

“No!” Gridò Severus con rabbia, cercando di alzarsi da terra, invano perché catene di pura magia lo tenevano infisso al suolo.

Con furia, il suo sguardo scattò verso la figura di Voldemort, ammantata di nero, che lo sovrastava come una possente colonna, indistruttibile, invincibile.

“Non mi piegherò mai più dinnanzi a te, Riddle!” Ruggì ancora, sputando con disgusto il nome di Voldemort.

L'ira brillò incontrollata negli occhi del mago oscuro, finora repressa lontano, nel profondo del baratro nero che aveva al posto del cuore. La mano bianca e scheletrica si levò verso il ragazzo a terra, stringendo nel pugno la bacchetta.

“Crucio!” Gridò con furia.

Severus si ripiegò su se stesso in uno spasmo, il corpo sferzato dall'intenso tormento della maledizione. Il dolore lancinante bruciò in profondità ogni fibra del suo corpo, il Signore Oscuro era furioso e la sua ira si riversava come fiume di lava nella scia della maledizione.

Un grido di dolore sfuggì alle labbra serrate di Severus bagnando la pietra gelida del pavimento, increspando appena il suo silenzio con un brivido. Il giovane cercava in ogni modo di calmare gli spasimi incontrollati dei suoi muscoli che cercavano di liberarsi da quel dolore straziante, irrigidendosi con tutta la forza che aveva in corpo, legandosi con lacci invisibili, i denti stretti a reprimere inutilmente i lamenti. Era una fuga inutile dal fuoco demoniaco, un tentativo vano si aggrapparsi alla luce, ogni brandello del suo corpo gridava disperato senza che il suo torturatore badasse a quelle grida strazianti. Ormai il giovane era rannicchiato su sé stesso, una patetica figura contratta da un dolore insopportabile, senza più fiato, e l'Oscuro Signore incombeva spaventoso su di lui, figura diafana avvolta dalle tenebre, feroce, depravato, gioiva dell'atroce tormento che stava infliggendo alla sua preda.

La tortura si estinse in un sospiro sibilante che il giovane cercò di catturare nella speranza di rubare l’aria che lo componeva per ridarla ai suoi polmoni doloranti. Tentò di prendere alcuni respiri, ma il dolore, seppur non più così acuto, continuava a torturarlo dandogli appena pochi istanti di tregua per riprendere fiato.

“Tu appartieni a me, Severus. –Sibilò tranquillamente Voldemort, l’ira come svanita nel nulla, insieme all’ultimo rantolo strappato a forza dalle labbra del ragazzo.- Il mio Marchio colora la tua carne, la mia volontà segna la tua anima. Non sarai mai libero dal tuo passato. Tu sei mio. Mio soltanto.”

Severus riusciva a malapena a respirare. Gli spasimi della Cruciatus non avevano ancora abbandonato il suo corpo e tornavano come demoni carcerieri ad incidere la sua carne con altre frustate. Le parole del Signore gli parvero lontane, come eco perdute, incomprensibili, profonde e lente, sfiorarono appena la sua mente. I suoi pensieri si allontanarono dal dolore e dalla paura, fuggirono da quel luogo empio e buio, corsero, corsero lontano a quella mattina, al viso tranquillo nel sonno di Lily.

Ripensò ad ogni gesto di quell’ultima, ansiosa mattinata. Ripensò alla lettera, chiusa in una semplice busta su cui aveva scritto il nome di Lily la sera prima. Rivide la sua mano tracciare quei segni eleganti sulla carta con gesti fluidi e rassegnati, un addio scritto in un nome amato.

“Crucio!”

Non ebbe il tempo di richiamare i suoi pensierosi che la maledizione lo colpì di nuovo con furia, una nuova incandescente ondata di dolore lo investì trascinandolo nel ribollente mare di dolore che lo aveva appena abbandonato. Questa volta non potè impedirsi di gridare, il dolore era ancora più intenso, più possente, inarrestabile. Tutto il suo corpo venne sommerso da spasmi che riuscì a malapena a contenere. Le convulsioni lo portarono più volte a sbattere con violenza il capo contro il pavimento di pietra. I suoni che permeavano dalle sue labbra erano grida cieche che andavano ad accarezzare le orecchie di Voldemort come i dolci suoni di un orchestra.

Si ripiegò ancora di più su se stesso, trattenendo inutilmente i conati di vomito e le lacrime che bagnavano indecenti il suo viso. Ma poi il dolore parve diventare soltanto un lontano ricordo mentre i ricordi del mattino tornavano ad asciugare le sue lacrime. La sua mano si allungò appena, presa dai tremori, decisa a posarsi sulla maniglia invisibile della porta della camera di Lily. Gli sembrava di essere in un sogno. Abbassò la maniglia e la porta scattò portandolo a rivivere gli ultimi attimi passati a Villa Silente.

Ricordò la camera invasa dalle acque silenziose del sonno, increspate appena dal respiro della giovane addormentata. La luce smorta dell’alba che permeava appena dalle tende chiuse. Lily che dormiva placidamente nel suo letto, racchiusa nella camera dei suoi sogni.

Rivide se stesso avvicinarsi lentamente al letto dove giaceva la giovane stringendo tra le mani la busta bianca dell’addio. Per la seconda volta osservò con nostalgia i lunghi capelli rossi della ragazza, il suo volto rilassato nel sonno. Gli suoi occhi, quegli occhi splendenti di verde, chiusi su di lui, come cancelli che ormai non avrebbe più potuto valicare. Rivide quegli occhi cerchiati da profondi segni rossi, firme indelebili di lacrime che erano scese fino a notte fonda, senza tregua.

Si era chinato di fianco al letto e aveva posato la lettera sul cuscino della giovane in un gesto dolce. Era l’unico modo che aveva avuto di far sapere a Lily ciò che aveva voluto dirle la sera prima, l’unico modo per spiegarle, per dirle della sua scelta… l’unico modo per aprirsi a lei. L’unico modo che aveva per dirle addio.

Un’ulteriore ondata di dolore invase il suo corpo. Le convulsioni incontenibili dei muscoli, i lamenti strazianti che uscivano dalle sue labbra alimentavano i ricordi, come fresche acque che bagnavano le radici di un giglio bianco, puro e semplice che cresceva nel suo cuore. Erano la sua condanna e al contempo la sua salvezza, uno strano ponte che univa gli abissi che gli laceravano l’anima, punti dolorosi che riunivano quelle pezze lacerate.

“Perdonami, Lily.” Aveva sussurrato, sfiorando appena i capelli della ragazza in un’ultima carezza.

Aveva osservato a lungo il viso di Lily, imprimendosi nella mente ogni suo particolare, la sua bocca, le sue guance… tutto. L’aveva osservata a lungo, assopita e tranquilla, le occhiaie rosse unico segno della disperazione e della delusione che l’avevano imprigionata in quella notte. Ed era stato lui la causa. Lui. Quei segni rossi erano le lacrime di sangue che lui le aveva lasciato. Aveva sperato di essere felice insieme a lei, che avrebbero potuto stare ancora insieme, ma era stato solo un ingenuo. Un’anima dannata come lui non poteva sperare di fare felice un angelo, era un cancro che rodeva quell’anima pura fino a portarla alla disperazione. Lily era stata acqua fresca per lui, ma lui per lei era stato soltanto fuoco, un fuoco che l’aveva illusa, consumata, ferita nel profondo.

Un grido di dolore a malapena contenuto scosse il viso di Lily, facendo sussultare le acque dei ricordi, il viso di Lily ondeggiò confuso per qualche secondo fino a sfumare in una nebbia incerta davanti agli occhi sbarrati di Severus, luminosi di sofferenza.

Uno spasmo lo costrinse a inarcare la schiena con forza come mani rigide che lo piegavano e lo modellavano secondo i loro desideri più empi. Voldemort continuava a puntare la bacchetta contro di lui, costringendolo in una lunga ed estenuante prigionia agonizzante, scagliando contro il suo corpo martoriato altri torturatori ghignanti.

“Lily…” La sua stessa voce tornò a colorare i suoi pensieri portandolo nuovamente lontano dal suo dolore, ma solo per immergerlo in una gelida nostalgia.

Si era chinato appena sulla giovane addormentata, aveva scostato dal suo viso una ciocca rossa fuoco con la dolcezza e la lentezza infinita di si chi sapeva che sarebbe stata l’ultima volta. Aveva accarezzato la guancia di Lily godendo nel sentire la sua pelle sotto le sue dita, poi si era abbassato fino a posare le labbra su quella stessa guancia, lasciandosi andare in un bacio leggero, pur consapevole che sarebbe solo stata una rosa d’aria che Lily non avrebbe ricordato.

“Ti amo, Lily.” Aveva sussurrato, mentre le lacrime scioglievano il buio dei suoi occhi e lo accompagnavano sulla pelle chiara della giovane, una parte di lui che sarebbe rimasta sempre a bagnare la guancia di Lily, un ultimo ricordo del suo principe della notte. E poi se ne era andato.

“Ti amo, Lily.” Mormorò appena tra gli spasmi della maledizione, tra le gocce di sangue e le lacrime salate e amare. Ma quelle tre semplici parole riuscirono in qualche modo a porre fine alle sue sofferenze, perché non appena le sue labbra si richiusero a gustare ancora il bacio che aveva lasciato sulla guancia della giovane,  Lord Voldemort interruppe la sua tortura.

Riddle guardò il giovane bocconi ai suoi piedi, sdraiato sul fianco destro, le braccia allargate, abbandonate dove le convulsioni le avevano lasciate. Guardò le lacrime che avevano bagnato il volto di Severus, il sangue che continuava a colare denso dalla sua bocca a bagnare il pavimento già inscurito da quella linfa calda.

Con un gesto stizzito ripose la bacchetta tra le pieghe del mantello nero, osservando soddisfatto la sua opera, un sorriso lieve ad increspargli appena la linea scura della bocca socchiusa. Si voltò facendo ondeggiare appena il lungo mantello, lasciando Severus a terra, incapace di muoversi, i tumulti del dolore ancora vivi dentro di lui, gli occhi vitrei puntati in un nulla che nemmeno loro conoscevano. Respirava appena, tra un rantolo e l’altro.

Voldemort raggiunse in fretta il suo scranno nero all’estremità del salone oscuro, dove aveva posato un’elegante scatola di legno nero. La afferrò con sicurezza osservandola attentamente, valutando la prossima mossa. Un movimento alle sue spalle lo portò a voltarsi verso il giovane che aveva lasciato rantolante a terra.

Il Signore Oscuro sorrise orgoglioso quando vide che Severus stava con fatica cercando di rialzarsi, di allontanare da se il misero gelo del pavimento. Orgoglioso, sì, perché sapeva che ci voleva ben altro per piegare Severus Piton al suo volere, ammirava la forza di quel giovane e ne era stato orgoglioso quando poteva vantarsi di averlo al suo servizio. Per questo il suo tradimento l’aveva scosso tanto, per questo non poteva credere che davvero fosse lui, il suo mezzo principe, il suo seguace più abile, ad averlo affrontato quella notte a Godric’s Hollow. Presto avrebbe potuto nuovamente godere dei suoi servigi, ma prima voleva ancora prendersi una piccola rivincita sul suo servo traditore.

Sorrideva maligno, la scatola nera stretta nelle mani mentre si avvicinava al giovane in ginocchio che combatteva contro il dolore per riacquistare la sua dignità e il suo orgoglio, sforzando la sua schiena a raddrizzarsi con una fierezza mai perduta, nonostante la paura, l’odio e il dolore che lo laceravano e cercavano di trascinarlo verso il basso.

Voldemort si fermò innanzi a lui. Severus, il capo chino, vide l’angolo della sua lunga veste sfiorare leggero il pavimento e alzò gli occhi verso di lui. Si alzò in piedi con fatica, i muscoli che urlavano di dolore in tutto il corpo, tuttavia si erse fiero dinnanzi al suo signore ripudiato, gli occhi duri, scintillanti.

 Il Signore Oscuro si ritrovò spiazzato di fronte a quello sguardo: non erano gli occhi di uno schiavo, quelli; non erano gli occhi di era stato duramente spezzato, di chi era stato orrendamente torturato. No. Nel buio profondo dello sguardo si Severus, Voldemort vide soltanto una luce di fierezza, brillante, pura, non intaccata dal dolore, né dall’umiliazione, quelli erano gli occhi di un uomo che aveva chiuso con il suo passato, che aveva compreso i suoi sbagli e non li avrebbe mai ripetuti, erano occhi che non potevano essere incrinati o spezzati nella loro dignità, nemmeno dal potere oscuro di Lord Voldemort.

Il Signore Oscuro riacquistò il suo sorriso, irridendo quelle faville nere che lo osservavano arroganti, integre e luminose. Con un gesto lento della mano fece scattare la serratura dell’elegante scatola nera ed essa si dischiuse in silenzio di fronte allo sguardo stupito di Severus. Dolcemente racchiusa nel velluto nero, c’era la sua bacchetta. La sua… quella che era rimasta a Cokeworth. Era lì, nera e brillante in quello scrigno fosco che il Signore Oscuro reggeva tra le mani. Era lì, era lì davanti a lui in attesa che l’afferrasse, desiderosa di tornare nelle mani del mago suo compagno.

“Bellatrix è stata così gentile da portarla a me.” Disse dolcemente Voldemort mentre la estraeva con cura dalla sua custodia e gettava questa a terra con noncuranza. Il legno sbatté contro la pietra producendo un suono sordo che rimbombò in tutta la sala come una grassa risata.

Severus guardava sospettoso il legno nero così in contrasto con le dita bianche del Signore Oscuro. Perché aveva conservato la sua bacchetta? Che cosa aveva in mente?

“La tua tortura è finita, Severus. –Disse Voldemort. –Almeno quella del corpo. Vuoi riavere la tua bacchetta? Bene, dovrai inchinarti davanti a me.” Concluse con un ringhio, mentre la rabbia inondava i suoi occhi ravvivando le fiamme in essi.

“Mai.” Disse Severus con voce roca, decisa, obbligando quella parola ad uscire dal suo corpo dolorante.

Gli occhi di Voldemort si fecero feroci. Prima ancora che potesse rendersene conto la sua mano scattò abbattendosi con forza sul volto di Severus in un schiaffo che lo costrinse a ruotare il capo.

“In ginocchio.” Sibilò Voldemort, ma ottenne soltanto un’occhiata di sfida da parte di Severus, gli occhi neri scintillanti come non mai.

Senza attendere oltre, puntò la bacchetta di Severus contro il suo stesso padrone. Il giovane si sentì afferrare da una forza invisibile, mani che premevano sulle sue spalle cercando di schiacciarlo a terra- Cercò di resistere, ma il dolore delle Cruciatus era ancora troppo vivo. Le sue ginocchia si piegarono di colpo sbattendo contro la pietra e costringendo in ginocchio il ragazzo, il suo volto contratto dallo sforzo di resistere alla magia di Voldemort. Le mani invisibili premettero sulla su schiena obbligandola a piegarsi dolosamente in avanti finchè il suo viso non fu ad un palmo dal freddo pavimento, i capelli neri, sporchi si sangue e sudore, sforavano la pietra coprendo il viso di Severus contratto in una smorfia. Voldemort sorrise, gustandosi la scena, poi tornò a dare nuova forza alle braccia che imprigionavano il giovane costringendo il suo viso ancora più in basso finchè le labbra non sfiorarono l’angolo della sua veste nere.

Severus serrò forte gli occhi, trattenendo il disgusto nel sentire quella stoffa putrida contro la sua bocca. La risata del Signore Oscuro penetrò a fondo nel suo cuore aprendo ferite profonde e sconvolgendo le acque del lago. Il drago nero si abbandonò ad un urlo straziante colpito dalle lance gelide dell’umiliazione che penetravano a fondo nelle sue carni oscure.

“Sei solo uno sciocco, Severus Piton.” Disse Voldemort tra le risate, godendo della vista del giovane prostrato innanzi a lui. Quindi Severus sentì il peso sulle sue spalle svanire in un soffio. Rialzò immediatamente lo sguardo, puntandolo con rabbia nei bracieri del suo antico signore. Voldemort rise di fronte a quegli occhi neri, vedendo la scintilla d’orgoglio in essi spezzata in più punti. Presto l’avrebbe sbriciolata del tutto.

Gettò la bacchetta nera davanti al ragazzo ancora in ginocchio, privo ormai della forza necessaria a rialzarsi del tutto. Severus guardò la stecca di legno davanti a lui, ma non osò allungare la mano per afferrarla.

“Prendila.” Gli ordinò Voldemort con durezza.

Severus allungò un mano tremante e la chiuse intorno al legno liscio e semplice sentendo la bacchetta fremere sotto le sue dita. Era felice di sentire di nuovo la sua stretta, la magia si scuoteva dentro di essa come un fiume in piena ora che aveva ritrovato il suo compagno.

 “Ti legherò a me, Severus Piton. Visto che con te dolore e umiliazioni non funzionano, dovrò usare altre catene.” Continuò Voldemort sorridendo mellifluo.

Voldemort estrasse la sua bacchetta con un gesto serpentino puntandolo poi contro il ragazzo a terra. Gli occhi di Severus si alzarono verso il mago oscuro affrontandolo senza timore. Aveva capito cosa intendeva fare Voldemort… aveva capito già da tempo dove voleva arrivare. Non poteva farci niente. Si era consegnato a lui consapevole delle torture a cui andava incontro, sia fisiche che dello spirito.

Ti amo, Lily.

Quelle tre parole carezzarono un’ultima volta il cuore di Severus. Il giovane chiuse gli occhi, arrendendosi al suo destino, consapevole che quelle parole sarebbero sempre rimaste con lui. Quelle parole rimbombarono dentro di lui riempiendolo con le loro acque dolci, coprendo la voce di Voldemort che formulava la maledizione scivolando viscida dalle sue labbra livide.

 “Imperio!”
 

*******

 

Eccole le catene maledette della profezia: la maledizione Imperius! E Harry non è da Voldy… ma dove sarà mai il marmocchio? Mah… :D

Il capitolo, di per sé, non è una meraviglia, ma ho notato (dal precedente capitolo) che i capitoli che piacciono a me non piacciono a voi e viceversa, quindi questo incontrerà il vostro gradimento... spero.

Non sono molto brava a descrivere torture e simili. Se devo dire, neanche le ultime battute di Voldy sono un granchè, ma non avevo l’ispirazione giusta. Forse neanche mischiare Cruciatus e ricordi è stata una scelta felice, ma non sapevo come inserire Lily. Non so se sono riuscita a descrivere bene le sensazioni di Severus, quel suo aggrapparsi a Lily, abbandonarsi al dolore perchè sente di meritarlo.

Vabbè… spero che a voi il capitolo sia piaciuto. Nella prossima puntata avremo Narcissa a Villa Silente.

Siccome non so se riuscirò ad aggiornare ancora prima di Natale (probabilmente no), ne approfitto per augurare a tutti un buon Natale. Certo un capitolo simile sotto le feste... ehm... non è molto allegro...
 

BUON NATALE A TUTTI!

 

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Capitolo 29
*** La verità di Narcissa ***


Capitolo 29
 

LA VERITA' DI NARCISSA



Lily nascose il viso sotto le coperte nel tentativo di sfuggire a quei raggi bianchi e gelidi che cercavano i suoi occhi come predatori affamati. Premevano sulle sue palpebre con forza, quasi tentando di aprirle con quelle loro dita acuminate e fredde, avvolte da guanti di freddo che si appiccicavano alla loro pelle bianca.

La ragazza sospirò, godendo del tepore che aveva trovato sotto le coperte, al riparo dal freddo che regnava nella stanza. Cercò di riprendere sonno. Probabilmente era ancora molto presto, il sole ancora non riusciva a sbirciare attraverso le pesanti tende porpora.

Le immagini della sera prima si abbatterono sulla giovane, schiaffeggiandola nel buio caldo delle coperte come una madre severa decisa a far aprire gli occhi alla figlia. Ma Lily non voleva aprire gli occhi, non voleva cadere di nuovo nella realtà… lacerarsi il viso andando a sbattere contro gli specchi frantumati dell’illusione. Lily non voleva sentire il dolore di quei tagli, non voleva sentire di nuovo il gusto delle lacrime che avevano ripreso a pizzicare i suoi occhi al di là delle chiuse delle palpebre. Quel breve istante in cui il sonno aveva addormentato anche le sue ansie era finito, esploso in silenzio come una bolla di sapone. Ora, tutti gli incubi e le preoccupazioni che aveva agitato e disturbato il riposo della ragazza erano lì, davanti a lei, palesi creature sghignazzanti che si accanivano sulle sue palpebre.

Era inutile continuare la lotta contro quei sogni ferini. Lily sospirò tristemente socchiudendo gli occhi, quasi le parve di udire le grida sguaiate di gioia di quei silfi maledetti. Il lieve spiraglio di luce bianca che filtrava attraverso la cuffia nelle mura delle calde coperte le colpì il viso come una fresca carezza di acqua scintillante; le sfiorò le guance con delicatezza invitandola a mostrare il viso alla luce del mattino.

E Lily si lasciò condurre da quel tocco freddo. Allontanò le coperte dal suo viso permettendo all’aria fresca si bagnarle il viso e gli occhi ancora doloranti per le percosse delle lacrime e il sonno agitato. Aveva davvero dormito male quella notte… gli incubi avevano continuato a svegliarla quasi ogni ora con i loro festini e i le loro voci roche perse in canti ancestrali. Parevano quasi aver passato la notte a farle il verso, a insultarla, a prenderla in giro, a puntare le dita verso di lei bisbigliando tra loro. Tra tutti c’era lui: il nero fantasma che l’aveva sempre spiata nei suoi sogni. Era lì, in piedi e la fissava con i suoi occhi neri, ma non vi era nulla in essi… non c’era la disperata richiesta d’aiuto, né la profonda tristezza che lei aveva imparato a conoscere. C’era solo vuoto, la completa assenza di qualunque sentimento o ispirazione, erano gli occhi di ossidiana di una statua: altera, orgogliosa e decisa. Una statua senza vita, un blocco di pietra plasmato in quella forma solo per lo sfizio dell’uomo.

Ogni volta che Lily aveva aperto gli occhi quella notte l’aveva visto, in piedi, silenzioso, di fianco al letto. Un’ombra come le altre della notte, senza un motivo della sua esistenza, c’era, ma non esisteva. Poi, finalmente, il sonno era riuscito a portarla via con sé allontanandola da quelle visioni e la figura nera era svanita, perdendosi nuovamente nel profondo del suo cuore.

Lily si portò una mano alla fronte, scostandosi i capelli scarmigliati dal viso e forzandoli indietro. Rimase per alcuni minuti ferma, sdraiata sulla schiena, il braccio destro appoggiato senza vita alla fronte. Non sapeva cosa pensare… davvero, la sua mente era così piena di immagini, ricordi, pensieri che non sapeva né aveva il coraggio di rimboccarsi le maniche e fare ordine. La luce del mattino le infastidiva le iridi verdi, si erano così abituate all’oscurità in quei giorni che forse non erano più in grado di rallegrarsi di fronte alla luce. Severus era tornato nella sua vita portando con sé il manto sicuro del buio in cui lei si era rifugiata, senza di lui, anche la luce sembrava una flaccida, patetica polla di niente.

Severus…  La lacrima bisbigliò quel nome prima di afferrarlo di nuovo e portarlo con sé, scintillante e amaro a baciare la pelle della giovane.

Lily prese un profondo respiro sentendo il suo petto dolere sotto la forza dell’aria. Severus aveva rischiato la vita due volte per salvarla, l’aveva protetta da Voldemort e poi era quasi rimasto ucciso colpito dalla maledizione di Rodolphus Lestrange diretta a lei. Severus l’aveva salvata… ma l’aveva anche condannata.

L’aveva condannata, sì. Non tanto per la storia della Profezia che aveva portato Voldemort sulle loro tracce, ma perché ormai non riusciva a immaginare una sua esistenza senza Severus. L’aveva condannata legandola a lui con lacci che non si sarebbero mai infranti, lo aveva già fatto quando erano bambini ed in quei giorni aveva stretto i nodi e aggiunto nuove corde ad imprigionarla.

Il braccio le crollò stancamente dalla fronte, ma la superfici che incontrò la sua pelle non era quella morbida del cuscino bensì quella ruvida e fredda della carta. Lily voltò il capo incuriosita. Il suo braccio aveva urtato una busta bianca, semplice, adagiata sul suo cuscino.

La giovane si tirò su, poggiando il peso sul gomito destro. Afferrò con curiosità la busta e la analizzò, forse nella speranza di vedere un nome ad inquinare quel bianco candido. Un nome però continuava ad aleggiarle nel petto, aveva paura. Aveva paura che la busta l’avesse lasciata Severus.

Con dita tremanti la aprì e ne estrasse la pergamena che custodiva gelosa, poggiò la busta vuota sul cuscino e si tirò su a sedere poggiando la schiena contro la testiera del letto.

Osservò la pergamena ripiegata che teneva in mano, era curiosa di sapere cosa ci fosse scritto, ma ne aveva paura. Quella carta emanava una tristezza profonda, un forte senso di abbandono che permeava le dita sottili di Lily e risalivano il suo braccio sino a sprofondare nel cuore come stelle soffocate prossime al collasso.

Lily prese un lungo respiro e aprì con lentezza la pagina rivelando ai suoi occhi una grafia elegante e appuntita che conosceva molto, molto bene. Le parole scorrevano svelte sulla carta, disegnando finissime greche nere che riempivano fitte tutta la pagina.

Mia cara Lily,

cominciava la lettera. La ragazza si fermò solo un istante su quelle tre parole, accarezzandole con lo sguardo smeraldino, poi venne risucchiata dal vortice svelto e carceriere delle frasi.

Ho davvero molte cose da dirti, da confessarti…. Avrei voluto dirtele in un’altra occasione, in un altro contesto. Io e te seduti sul letto, come l’altro ieri quando giocavano a scacchi, con i cuori privi del peso che grava su di noi. Io e te, uno di fronte all’altra, solo due ragazzi, due amici che parlano tra loro. Allora avrei voluto raccontarti tutto. Ma non è andata così.

Mi dispiace non aver potuto chiarire con te ieri sera. Mi dispiace di averti tenuto all’oscuro della Profezia, ma ti giuro, non l’ho fatto per ferirti. Te l’avrei detto, così come già avevo accettato le conseguenze. Mi dispiace che tu abbia dovuto sapere la verità dalla voce di chi ti ha tolto tutto… buffo, ora che ci penso, se anche te l’avessi detto io sarebbe stata esattamente la stessa cosa. Perché ioti ho tolto tutto, Lily. Io ho messo il Signore Oscuro sulle tracce della tua famiglia: io non sono arrivato in tempo per salvare James Potter; io ho abbandonato tuo figlio e non sono stato in grado poi di ridartelo; io ho rovinato la tua felicità, sin da quando eravamo bambini. Sarebbe stato meglio che non fossi mai esistito, allora tante cose sarebbero andate nel verso giusto.

Quando ho ascoltato la profezia, non sapevo né avevo modo di immaginare cosa avrebbe comportato. Ti prego, Lily, credimi. Ho riferito ciò che avevo sentito al mio signore, da bravo Mangiamorte servizievole, ho fatto il mio lavoro, per quanto questo fosse deprecabile. Non ti sto chiedendo perdono, non lo farei mai e so di non meritarlo, voglio solo che tu sappia la verità.

Non avrei mai pensato che Lui avrebbe interpretato in quel modo le frasi che gli avevo riferito. Quando ho saputo che sarebbero stati i Potter a pagare per le mie parole, quando ho saputo che ti avevo messa in pericolo sono corso da Silente. L’ho pregato perché vi tenesse al sicuro, vi nascondesse, ma non è servito.

Mi rendo conto di stare scrivendo un sacco di frasi scollegate, non sono bravo con le parole, né verbali né scritte… che creatura patetica, non trovi? Non riesco neanche ad esprimermi come vorrei.

In ogni caso, sebbene la mia presenza sia stata soltanto un problema per te, tu per me sei stata tutto. Se non ci fossi stata tu, Lily, non credo sarei mai riuscito a sopravvivere alla mia vita. Sei stata il sole per me, sempre, dal primo istante che ti ho vista, la sola luce che poteva salvarmi dal mio buio miserabile. E di questo ti ringrazio. Non potrei immaginare una vita senza di te, Lily… senza di te io non sono niente, senza di te non ho alcun motivo di vivere. Perché sei stata tu la molla di ogni mia azione, i miei pensieri sono sempre e solo stati per te. Qualunque cosa io abbia fatto, qualunque cosa io abbia detto, nel bene o nel male, è legata a te.

Ci sono tante cose che avrei voluto dirti. Davvero tante. Avrei voluto dirtele direttamente, guardandoti negli occhi senza dover ricorrere a un freddo messaggero per riferirtele. Ma, forse, è meglio così. Forse, affidare i miei pensieri alla parola scritta mi rende più semplice dirti addio.

Addio, sì. Addio perché quando ti sveglierai questa mattina, io non ci sarò più.

Non ho più alcun motivo per rimanere. Sono stato uno sciocco, mi sono illuso, per un attimo, di poterti avere di nuovo accanto a me. E’ ovvio che non può essere così. Ti ho ferito e non avrei mai voluto farlo, ti ho illuso come ho illuso me stesso e non intendo ferirti ancora. Non vorrai più avere nulla a che fare con me ora che sai quale colpa infanga la mia anima, e hai ragione. Serbami rancore, Lily, sii arrabbiata con me, non mi rivedrai più. Se per poterti ridare Harry devo tornare tra i miei incubi, beh, mi avvierò a testa alta, con timore, sì, ma sapendo di fare la cosa giusta. Di farlo per te.

Spero tu possa dimenticarmi, un giorno, ma sappi che io mai ti dimenticherò, continuerai ad essere la mia luce. Prima di lasciarti, voglio che tu sappia che sei sempre stata tutto per me… Merlino, mi sento uno stupido a dirlo, ma sei sempre stata più di un’amica per me. Ti dico addio, Lily, ma voglio che tu sappia che ti ho amata, sempre, dal primo momento, dalla prima volta che ci siamo parlati, ricordi? Quel pomeriggio nel parco. Ti ho amato ogni istante, anche quando la mia stupidità ti ha allontanata, anche quando eri felice e io non c’ero. Ti prego, non ridere di me. Non posso lasciarti, sapendo che non ti vedrò più, senza che tu sappia che ti amo e che continuerò ad amarti. Sempre.

Con tanto amore, sempre tuo

Severus.

Lily rimase immobile a fissare la lettera. I suoi occhi erano come cristallizzati insieme al nero dell’inchiostro, così come il suo cuore. Non si accorse delle lacrime che le bagnavano il viso, ancora, una volta di più, e continuava a fissare quella lettera con occhi vuoti, reggendola a stento tra le dita appena tremanti, il respiro mozzato da un groppo di dolore.

Non riusciva a credere ancora a ciò che aveva letto. Non era neanche sicura di aver capito tutto, quella cascata di parole l’aveva semplicemente rapita e portata con sé nella caduta, sommergendola nei flutti, bagnando i suoi occhi con schizzi salati. E lei era lì, sommersa tra quelle acque fredde, annaspava tentando di risalire in superficie, di liberarsi da quelle spire taglienti che le mozzavano il fiato.

Riuscì con fatica a riappropriarsi dei suoi polmoni, costringendosi a trarre un profondo sospiro, rotto da un singhiozzo. Ma, insieme all’aria ed hai suoi spilli acuti, quel respiro forzato portò in lei anche la consapevolezza di ciò che aveva appena letto, quelle parole che avevano aleggiato nella sua mente sconvolta stavano assumendo di nuovo un senso dinnanzi a lei.

Severus se n’era andato.

Le parole si inchinarono ai suoi piedi come messaggeri in cupe vesti.

Perché?

“Perché sapeva di averti ferita e voleva riparare al suo sbaglio.”Risposero i neri messaggeri, le loro voci bisbigliavano appena nella sua mente offuscata dall’angoscia.

Lily tirò su col naso e si passò la manica della camicia da notte sul viso ad asciugare le lacrime che continuavano a bagnare la sua pelle. Continuava a fissare la lettera senza trovare il coraggio di leggere ancora quelle parole.

Severus se ne era andato.

Perché?

“Perché sapeva di essere un peso per te.–Le voci dei messi risuonarono ancora dentro di lei. –Perché sapeva che era l’unico modo per ridarti tuo figlio.”

Tutta la rabbia, la delusione che aveva distrutto i suoi sogni della ragazza, quella notte e la sera prima, di colpo era svanita per lasciare posto solo ad una profonda, dolorosa amarezza. Forse non poteva perdonarlo davvero per ciò che aveva fatto, ma Severus era comunque parte di lei, e non sarebbe mai più riuscita a vivere senza di lui. Non ora che si erano ritrovati.

Uno strano calore di impadronì di lei quando i suoi occhi andarono nuovamente a cogliere le parole della lettera.

Ti dico addio, Lily, ma voglio che tu sappia che ti ho amata, sempre, dal primo momento, dalla prima volta che ci siamo parlati…

I singhiozzi la colsero traditori mentre leggeva quella frase. Severus, il suo migliore amico… perché non glielo aveva mai detto? Perché?

Non sapeva più cosa pensare… c’era solo quel calore che, nonostante la tristezza che permeava la lettera, la avvolgeva e la cullava permeando in profondità, giù, dritto verso il suo cuore. Tutto quello che desiderò in quel momento, fu di avere Severus accanto a sé. Potergli parlare, spiegarsi, chiedergli scusa, fargli capire che, sì, aveva sbagliato, ma lei era disposta a dargli la seconda possibilità che, ad essere sinceri, non gli aveva ancora davvero concesso.

La sera prima, il nefasto consigliere della rabbia, l’aveva spinta a non voler più vedere Severus. L’aveva convinta che la sua colpa fosse troppo grande da poter essere perdonata, le aveva sussurrato parole avvelenate nelle orecchie. Ma ora quel veleno era svanito tra le parole di Severus, tra quel calore che la tristezza riusciva solo ad amplificare.

Ti ho amato ogni istante, anche quando la mia stupidità ti ha allontanata, anche quando eri felice e io non c’ero.

Se c’era uno stupido, quello era Lily, era lei. Stupida a non aver capito quanto Severus avesse bisogno di lei, stupida a non capire che era con lui la sua felicità, stupida a non capire che anche lei l’aveva amato. Che l’amava ancora, nonostante cercasse in ogni modo di dirsi che no, lui era solo un amico.

Aveva avuto paura. Paura che le sue parole avrebbero potuto portarglielo via di nuovo, paura di ferirlo ancora. Brava, Lily, ottimi propositi… peccato che alla fine tu li abbia bellamente ignorati.

Non imbavagliare il tuo cuore ed esso ti dirà tutto ciò che vuoi.

Questo le aveva detto il Cappello. Ed ora il suo cuore gridava, forte, urlava la sua risposta all’amore di Severus, a quelle parole scritte e silenziose che lo avevano afferrato e costretto a gridare la verità. Ora che era tardi. Ora che lei aveva allontanato Severus, ora che lui se ne era andato e che lei reggeva la sua lettera d’addio e le sue mute parole d’amore.

Respirò di nuovo a fondo, nel tentativo di rinfrescare il suo spirito immerso nel calore delle fiamme del suo cuore. Si asciugò di nuovo le lacrime dal viso, facendo splendere di nuova forza i suoi occhi di smeraldo. Aveva pianto abbastanza. Le parole di Severus le avevano dato nuova forza, non sarebbe rimasta lì a piangersi addosso, chiusa in quella casa, no: non poteva ripagare così il sacrificio di Severus.

Poggiò la lettera sulla busta vuota che giaceva sul cuscino e si alzò dal letto. Si vestì in fretta gettandosi addosso i primi vestiti che le capitarono a tiro, quindi ripiegò la lettera e la chiuse nuovamente nella busta per poi infilarla nel taschino della camicia, vicino al cuore. Si infilò un maglione scuro e uscì dalla sua stanza, decisa a farsi dire tutto ciò che era successo la sera prima, mentre lei era chiusa nella sua camera.

Scese in fretta la scala di legno e si infilò nel soggiorno, ma si bloccò sulla soglia, con la mano appoggiata allo stipite, la sua decisone iniziale svanita nel nulla di fronte alla figura col capo chino seduta sulla poltrona presso il camino acceso, la tristezza scese di nuovo a stringerle il cuore.

L’elfo fissava le fiamme distrattamente, i suoi pensieri perduti chissà dove, sul suo viso una malinconia profonda che aveva rapito e devastato la sua solita allegria. Non dava segno di essersi accorto della presenza della giovane.

“Severus se n’è andato…” Mormorò appena Lily, tristemente.

Brix alzò appena lo sguardo castano su di lei, due bocce colorate che sembravano aver perso ogni scintilla di vita, circondate da segni rossi e da brillanti scie lasciate dalle lacrime che ancora macchiavano la sua pelle scura perdendosi tra le pieghe delle rughe, le ampie orecchie piegate blandamente in giù. Lily non avrebbe mai creduto di poter vedere il gioviale elfo in quelle condizioni, sembrava vuoto, esattamente come si era sentita lei poco prima.

“Sì.” Disse semplicemente l’elfo.

“Perché glielo avete permesso?” Chiese allora Lily avvicinandosi alla creaturina, immersa tra i cuscini della poltrona.

“E’ andato via poco prima dell’alba.” Disse tristemente Brix, ignorando la domanda di Lily.

“Ma… e le barriere? Come ha…?” Balbettò Lily.

“Come le ha superate?- Concluse Brix. –Semplicemente lo hanno lasciato passare. C’era una specie di tacito accordo tra lui e Albus.”

Lily non potè evitare di sentire un moto di irritazione nel sentire quel nome.

“Perché glielo ha lasciato fare?” Chiese con stizza avvicinandosi ancora di più, fino a trovarsi di fronte all’elfo.

“Perché non c’è stato modo di fargli cambiare idea. –Rispose Brix, alzando gli occhi lucidi verso la giovane. –Credimi, Lily, abbiamo tentato.”

Lily sospirò mentre si lasciava cadere sul divano, di fronte all’elfo. Rimasero in silenzio per un po’, lasciando il palcoscenico al camino ed al suo monologo di borbottii.

“Credevo non volessi più sentire parlare di lui.” Intervenne improvvisamente Brix, causando l’irritazione delle fiamme.

“Mi ha lasciato una lettera…” Rispose Lily distrattamente, i suoi occhi persi tra le danze del camino e i suoi scoppiettii.

Gli occhi di Brix si allargarono: “Oh.” Fece aggrottando appena le sopracciglia.

Rimase per qualche istante ad osservare la ragazza che sedeva di fronte a lui, i gomiti appoggiati alle ginocchia. Osservò i suoi occhi verdi cerchiati dalle stesse lacrime che avevano bagnato i suoi, vide in essi uno strano scintillio, una scintilla che non era provocata dal riflesso delle fiamme del camino, ma era la manifestazione di qualcosa di più profondo, nascosto e caldo. Per la prima volta dalla sera prima, gli angoli della bocca dell’elfo si arricciarono in su in sorriso consapevole.

“Tutti noi abbiamo delle colpe.” Disse alla giovane, senza allentare la curva delle sue labbra.

“Io, Albus, anche tu. –Continuò l’elfo, mentre gli occhi di Lily si alzavano su di lui. –Penso che ciò che siamo vale più di ciò che siamo stati. Severus ha dato prova di essere cambiato, di aver compreso i propri errori e sta facendo di tutto per espiare le sue colpe. Sappiamo tutti, tu meglio di me, chi sia veramente Severus. Non è il Mangiamorte, né l’assassino che lui stesso continua ad accusarsi di essere. E’ nostro amico e ci ha fatto capire di meritare il nostro affetto e la nostra amicizia. Ha importanza ciò che ha fatto?” Concluse Brix con il sorriso ad illuminare le lacrime nei suoi occhi.

Lily scosse il capo, colpita dalle parole di Brix. Aveva ragione, quando voleva, il vecchio elfo sapeva essere più saggio di Albus Silente.

“Che cosa accadrà ora?” Chiese Lily.

Brix arricciò il lungo naso aggrottando la fronte e assumendo un’espressione seria.

“Non lo so. –Disse stancamente. –L’Ordine non è più così entusiasta di Albus dopo lo scherzetto che ha combinato. E hanno ragione. Non so che cosa intende fare Albus, di certo non possiamo lasciare Severus nelle mani di Voldemort.” Gli occhi dell’elfo tornarono a perdersi tra le fiamme, il colore rosso che schizzava sul suo viso aggrottato.

“E Harry?- Chiese allora Lily. –Severus è tornato da Lui perché io potessi riavere mio…” Non riuscì a concludere la frase poiché Brix aveva cominciato a scuotere il capo amaramente.

“Non credo che ci consegneranno Harry. –Disse l’elfo. –Non credo Lui abbia mai avuto il bambino. Voleva Severus, lui e basta. Ha ottenuto ciò che voleva senza dare nulla in cambio.”

“Ha avuto tutto con nulla…” Sussurrò Lily, le parole della profezia che suonavano nella sua testa. Che cosa li aspettava ancora?

“Severus sapeva che era una trappola, ma so che ha sperato fino alla fine che non lo fosse, che consegnandosi avrebbe potuto ridarti Harry.” Continuò Brix.

“Non è giusto…” Disse Lily scuotendo il capo e puntando gli occhi sul tappeto porpora adgaiato come un mantello sul parquet.

Brix saltò giù dalla soffice poltrona e balzellò in avanti fino a trovarsi a poche spanne dalla ragazza. Le posò gentilmente una mano affusolata sulla spalla e si sforzò di sorriderle incoraggiante mentre gli occhi di Lily si alzavano su di lui.

“Troveremo Harry. E riporteremo a casa Severus.- Disse Brix.- So che dirlo può stonare dopo ieri sera, ma dobbiamo aver fiducia in Albus. Sono sicuro che insieme riusciremo a salvarli entrambi.”

Lily non riuscì a non sorridere alle parole di Brix. Forse, se Silente avesse fatto qualcosa per aiutare Severus, allora la sua fiducia in lui sarebbe potuta salire nuovamente, anche se lo dubitava. Silente o no, lei avrebbe trovato Harry e di certo non avrebbe abbandonato Severus. Brix aveva ragione: non importava ciò che aveva fatto in passato, importava il presente. Severus era il ragazzo che aveva rischiato più volte la vita per lei, che l’aveva salvata e sostenuta. Il ragazzo che l’amava e che lei, ora ne era consapevole, amava. Solo quello importava.

Due colpi del campanello fecero sobbalzare entrambi, il ricordo della sera prima premette nei loro pensieri per un istante prima di svanire.

“Chi sarà mai a quest’ora?” Chiese Brix, mentre il suo sguardo scattava verso il campanello sulla porta. Balzellò fino alla finestra scostando le tende deciso a individuare la sagoma dell’ospite oltre il giardino, dietro il cancello di ferro. Vide solo un’ombra scura che si stagliava contro il cielo grigio, carico di neve, creando un varco tra quelle cortine silenziose e candide.
 

***

La donna cercò in ogni modo di reprimere la sua agitazione, dandosi un aspetto nobile e altero, ferma innanzi al cancello chiuso nell’attesa che qualcuno venisse ad aprirle.

Faceva freddo, veramente freddo. Si calcò ancora di più il cappuccio nero sul capo e si strinse nel mantello. Il cielo sembrava quasi scricchiolare sotto il peso delle nubi cariche di neve, di certo non avrebbe retto ancora a lungo, presto i fiocchi bianchi avrebbero cominciato a scendere sulla terra con il loro fluttuare silenzioso.

La donna si guardò appena intorno con fare circospetto. Non si sentiva a suo agio lì. Non avrebbe dovuto essere lì, ma non aveva alternativa. Non sapeva se Silente l’avrebbe aiutata, non si sarebbe stupita del contrario… ma di certo l’informazione che portava non lo avrebbe lasciato indifferente. Soprattutto, doveva avvertire Severus. Doveva impedirgli di consegnarsi a Voldemort.

Uno schiocco sonoro la distolse dai suoi pensieri. Fece scattare lo sguardo verso il cancello e si ritrovò davanti un elfo domestico con un morbido gilè di lana rossa.

“Sì?- Fece la creatura con occhi sospettosi. -Chi siete?

Di tutta risposta, la donna si abbassò il cappuccio, rivelando la lucente chioma bionda e gli occhi azzurri all’elfo. Gli occhi di Brix si allargarono nello stupore di fronte a quei lineamenti nobili. Non era possibile… che cosa ci faceva lei lì?

“Signora Malfoy…” Balbettò, ancora preda della sorpresa.

Narcissa lo guardò severamente, gli occhi azzurri scintillanti. Rimase ferma oltre il cancello in attesa che quella piccola creatura si decidesse a farla entrare.

Brix si riprese in fretta dallo sbigottimento iniziale  e fece subito scattare la serratura del cancello. Il ferro stridette al freddo della mattina, stizzito per essere stato svegliato così di buonora.

“Signora Malfoy… -Ripetè Brix. –Cosa la porta qui?” Domandò di seguito.

Narcissa lo guardò stizzita, dall’alto al basso, mentre avanzava oltre la soglia.

“Devo parlare con il professor Silente.” Disse superba, allontanando lo sguardo dall’elfo quasi con disgusto per poi farlo vagare senza meta nel giardino spogliato dal freddo dell’autunno.

Brix aggrottò le sopracciglia. Voleva vedere Silente? Narcissa Malfoy voleva parlare con Albus? Che lui sapesse, Narcissa era legata ai Mangiamorte solo a causa del marito, però il suo sospetto nei confronti di quella donna aristocratica non diminuì. Poteva essere venuta a carpire informazioni… Il fatto che fosse venuta da sola, però, era una nota a suo favore. Forse Lucius Malfoy non sapeva che era lì.

“Il professor Silente non c’è. –Le rispose Brix, con una nota di sospetto che ancora echeggiava nei suoi occhi. –Al momento si trova ad Hogwarts.”

Nessuna emozione si mostrò sul volto di Narcissa a quelle parole. La donna continuò a guardarsi intorno con aria assente.

“Allora Severus Piton. E’ importante.” Disse duramente, la voce leggermente arrochita dal cigolare del cancello mentre questo si richiudeva.

Brix la guardò confuso. Pensava che Severus fosse ancora lì con loro? Non era così vicina ai Mangiamorte, allora. Proprio no, o avrebbe saputo che Severus era andato a Villa Riddle.

“Mi dispiace, ma Severus se ne è andato poche ore fa. Ci siamo soltanto io e la signorina Evans.” Le rispose gentilmente. Questa volta, Brix colse uno strano bagliore negli occhi di Narcissa, quasi un lampo di preoccupazione. Vide i suoi lineamenti tirati rilassarsi appena mentre abbassava gli occhi verso di lui.

“Se n’è andato?” Chiese Narcissa con un velo di ansia nella voce. Non era arrivata in tempo… non era riuscita ad avvertirlo della trappola. Non aveva fatto in tempo…

Un fiocco di neve cadde lento andando ad appoggiarsi con grazia sulla spalla di Narcissa, uno scintillio di bianco tra il nero del mantello. Vi rimase qualche istante prima di lasciarsi morire in silenzio, perdendosi nel calore. Altri fiocchi candidi cominciarono lentamente a scendere dal cielo, ed ognuno era accompagnato dal sospiro di sollievo del firmamento stesso. Ognuno aveva la sua danza, ed ognuno il luogo della sua scomparsa, chi andava a posarsi sul mantello nero di Narcissa o tra i suoi capelli d’oro, chi sul berretto colorato di Brix o sulla punta delle sue orecchie da pipistrello.

“Mi spiace. Ma venga, entriamo.–Invitò Brix notando lo sguardo sconsolato che avevano assunto gli occhi della donna. –Qui comincia a nevicare.” Aggiunse con un lieve sorriso gettando un’occhiata verso il cielo.

***

Quando Lily sentì la porta dell’ingresso aprirsi si alzò dal divano curiosa di scoprire chi fosse l’ospite inatteso, ma mai si sarebbe aspettata di ritrovarsi davanti niente meno che Narcissa Malfoy. Le due donne rimasero a studiarsi per qualche istante.

Narcissa era esattamente come Lily la ricordava a scuola, anche se avevano condiviso soltanto due anni. Era impossibile, comunque, anche per una ragazza dei primi anni non notare Narcissa, la regina dei Serpeverde, che aveva praticamente tutta la scuola ai suoi piedi. Altera, nobile e bella… no, non poteva assolutamente passare inosservata. E non era cambiata con gli anni, anzi, se era possibile era diventata ancora più carismatica e ipnotica, complice forse l’aver sposato Lucius Malfoy.

Narcissa, da parte sua, ricordava a malapena Lily. Non si era mai interessata delle ragazzine dei primi anni. Tollerava a malapena le sue coetanee Purosangue Serpeverde, figuriamoci una Grifondoro Nata Babbana con cinque di meno. Tuttavia, non potè non notare le occhiaie scure sotto gli occhi verdi di Lily, né i segni del pianto che macchiavano il suo viso chiaro.

“E’ un piacere vederti, Narcissa. –Disse Lily cercando di rivolgerle un sorriso. –Che cosa ti porta qui?”

“Bando alle cerimonie, Evans. –Rispose l’altra duramente. –Lo so che non è un piacere rivedermi. Ma non sono qui per fare un piacere a te.”

Lily rimase un attimo confusa all’udire quelle parole. Rimase in silenzio mentre Brix invitava Narcissa ad accomodarsi sulla poltrona.

“Allora perché sei qui?” Chiese Lily sedendosi a sua volta, tornando ad occupare il suo posto sul divano.

“Volevo parlare con Silente… -Cominciò l’altra. –E con Severus.”

Lily la guardò stupita.

“Posso offrirle qualcosa, signora Malfoy? Un tè?” Intervenne Brix.

“Nulla.” Rispose duramente Narcissa, liquidando in fretta l’elfo. Brix parve leggermente turbato da quel tono brusco, ma poi fece qualche passo indietro e si allontanò dal soggiorno. Sapeva che Narcissa Malfoy non avrebbe gradito la presenza di un elfo domestico mentre parlava con Lily, ma questo non voleva dire che lui non poteva ascoltare tutto origliando, in modo poco ortodosso, dalla sala da pranzo.

“Possiamo chiamare Silente, se lo desideri.” Disse Lily gentilmente, tentando di mascherare la curiosità per quella strana visita. Il nome dei Malfoy era saltato fuori troppo spesso in tutta la storia.

Narcissa alzò con eleganza una mano facendo un segno di diniego: “No. –Disse. –Non ha importanza, posso parlare benissimo anche con te. Purchè mi assicuri che ciò che ho da dire arriverà a Silente e solo a lui.”

Lily assentì col capo: “Va bene. –Disse, -Hai la mia parola. Severus, però, se ne andato. –E il suo sguardo si abbassò tristemente per un attimo. -Cosa volevi da lui?”

“Volevo avvertirlo. Ma a quanto pare sono arrivata tardi.” Disse Narcissa abbassando appena lo sguardo.

“Avvertirlo?” Ripetè interessata Lily.

“Avvertirlo di non andare a Villa Riddle. E’ una trappola: Lui non ha il bambino.” Spiegò Narcissa con lieve stizza nella voce.

“E tu come lo sai?” Chiese Lily, senza capire perché il suo tono si fosse fatto più duro.

Narcissa la guardò altrettanto duramente. Non era lei con cui voleva parlare… almeno non direttamente. Ma voleva andarsene in fretta e, comunque, Lily era la diretta interessata.

“Perché tuo figlio è a casa mia. E’ sempre stato al sicuro con noi.” Disse con calma.

Lily impiegò alcuni attimi a mettere insieme tutti i pezzi di quella frase. Rimase imbambolata a guardare la bella Narcissa come se avesse di fronte soltanto aria. Era quello il segreto dei Malfoy, allora… era per quello che Lucius voleva contattarla, era per quello che il suo nome continuava a spuntare ovunque. Lo sapeva, anche  Severus lo sapeva: avrebbero dovuto subito contattare i Malfoy, ma Silente no, Silente non aveva mosso un dito. Harry era stato tutto il tempo con i Malfoy… e loro non lo avevano consegnato a Voldemort… strano. A meno che non fosse stato Voldemort stesso ad affidarlo a loro, ma allora perché Narcissa era lì? Perché Lucius voleva contattarla?

“Lo abbiamo tenuto al sicuro. –Disse Narcissa. –Il Signore Oscuro non sa, ma temo sospetti qualcosa. E’ per questo che sono qui… se dovesse scoprirlo… Lucius… mio figlio…” Non riuscì a finire la frase perché la sua voce si spense in un tentativo soffocato di trattenere un singhiozzo. Non ce l’aveva fatta… non era riuscita a mantenere un gelido contegno come si era proposta, non se pensava a cosa sarebbe successo se Voldemort li avesse scoperti. Trasse un piccolo fazzoletto bianco dalla tasca dell’elegante abito blu e si tamponò elegantemente gli occhi bloccando subito le lacrime che brillavano tremule in essi.

Lily si stupì di vedere l’altera Narcissa sull’orlo delle lacrime. Non avrebbe mai creduto che anche lei potesse essere legata alla sua famiglia, sembrava più un blocco di ghiaccio che una donna in carne ed ossa, ma non era così. Lily ora lo vedeva bene, e la capiva… oh sì, la capiva.

“Lui non sa che sono qui.” Mormorò Narcissa.

“Lucius?” chiese Lily guardandola accorata. L’altra annuì con un lieve cenno del capo.

“Non mi avrebbe permesso di venire… -Riprese Narcissa, il fazzoletto premuto sugli occhi lucidi. –Lui… lui vuole fare di testa sua. Crede di poter tenere nascosto tutto al Signore Oscuro, ma non può… ed è colpa mia, solo colpa mia…” Ormai i singhiozzi scuotevano di tanto in tanto la ritta schiena di Narcissa. Lily si alzò dal divano e si avvicinò a lei, esattamente come Brix aveva fatto poco prima con lei, si inginocchiò di fronte a lei e le pose gentilmente una mano sul braccio.

“Su… -Le disse accorata. –Raccontami tutto. Dimmi di Harry.” La invitò.

Narcissa allontanò il fazzoletto dagli occhi azzurri e la guardò, perse un lungo respiro quindi cominciò: “La notte in cui Lui andò a Godric’s Hollow, Lucius era con lui insieme ad altri Mangiamorte.” Disse ritrovando piano piano il controllo del suo respiro. Lily la guardava interessata.

“Io… io non so esattamente cosa sia successo, ma Lucius quella sera è tornato a casa con un bambino in braccio. –Riprese Narcissa. -Ha detto… ha detto che gli era comparso davanti ai piedi. Abbiamo capito subito che doveva essere il bambino a cui dava la caccia il Signore Oscuro… Lucius non sapeva cosa fare… -Un singhiozzo la scosse appena e il fazzoletto tornò a raccogliere le sue lacrime. –Insomma… era un bambino… aveva l’età di nostro figlio e io… io ho convinto Lucius a nasconderlo all’Oscuro Signore, a tenerlo con noi… E’ stata colpa mia.”

Lily guardava Narcissa con un misto di interesse e empatia, da una certa parte, infatti, poteva capire come si sentisse la donna: c’era in ballo la sua famiglia. Un’altra parte di lei ancora però non riusciva a credere che i Malfoy avessero occultato e protetto suo figlio e che ora fossero nei guai per averlo nascosto a Voldemort. Spostò il peso da una gamba all’altra cercando di trovare una posizione un po’ più confortevole.

“Non è stata colpa tua…” Furono le uniche parole, sciocche tra l’altro, che Lily riuscì a formulare di fronte alla donna in lacrime.

“Sì, invece. Se avessimo consegnato il bambino, Lucius non sarebbe in pericolo… Il Signore Oscuro scoprirà tutto: non gli si può nascondere qualcosa a lungo. Punirà Lucius… ucciderà Draco… mio figlio…” Disse Narcissa tra i singhiozzi.

“Non farà del male a tuo figlio. –Disse Lily cercando di consolarla. –Vedrai, Silente vi proteggerà. Non permetterà che succeda qualcosa a Draco.”

Narcissa le rivolse un sorriso tirato, ma sincero. Era per quello che era andata da loro: per Draco e per Lucius. Lily la capiva, sapeva che lei capiva la situazione in cui si trovava.

“Harry sta bene?” si azzardò a chiedere Lily, dando voce a ciò che più le premeva sapere.

Narcissa fece un cenno deciso di assenso e quello bastò a far montare un dolce calore nel petto di Lily.

“Ha fatto amicizia con Draco. I nostri elfi domestici si sono sempre occupati premurosamente di lui… sta bene.” Disse Cissy, la voce ormai più libera dai singhiozzi.

“Come sei arrivata qui?” chiese ancora Lily, alzandosi dalla scomoda posizione in cui era e tornando a sedersi sul divano.

“Grazie agli appunti di Lucius. E’ stato lui a scoprire l’ubicazione di questa casa. –Rispose Narcissa. –Ora è a Villa Riddle: il Signore Oscuro ha riunito tutti i Cavalieri di Valpurga per ‘accogliere’ Severus.”

Lily la guardò improvvisamente preoccupata.

“Sai cosa intende fare Voldemort a Severus?” Le chiese, ma in cuor suo, dubitava che Narcissa sapesse qualcosa ed infatti la donna scosse desoltamente il capo.

“Me ne devo andare.” Disse improvvisamente Narcissa alzandosi in piedi imitata da Lily. Sembrava improvvisamente colta da un timore profondo.

“Ti prego. –Disse Lily afferrandola per un braccio e trattenendola prima che riuscisse a fare due passi. –Voglio vedere Harry.” La pregò.

Narcissa la guardò un po’ sospettosa per qualche istante, poi il viso si addolcì.

“Non so quando rientrerà Lucius. Ha detto sarebbe stato via tutto il giorno, ma se Severus è già a Villa Riddle… non so.- Scosse il capo. –Parla con Silente. Io ti manderò un gufo.”

“Aspetterò… temo che per la vostra protezione, Albus manderà qualcun altro dell’Ordine.” Disse Lily.

Narcissa rimase pensierosa per un istante. Non aveva pensato a quello: sicuramente Silente avrebbe mandato qualcuno dell’Ordine a casa sua. Era ovvio e Lucius, di certo, non avrebbe gradito… Ma se era l’unico modo per proteggere la sua famiglia, allora ben venga.

“Va bene… bene. –Accosentì Narcissa. –Purchè non lo sappia tutto il Mondo Magico entro mezzogiorno.”  Detto questo si liberò dalla presa di Lily e si avviò verso la porta dell’ingresso. Mentre stava gettandosi il pesante mantello nero sulle spalle, la voce di Lily la fermò.

“Narcissa!- La chiamò infatti la ragazza.

L’interpellata si girò lentamente verso di lei con aria interrogativa.

“Grazie.” Le disse allora calorosamente Lily.

La signora Malfoy non rispose, si lasciò andare soltanto ad un lieve, freddo cenno del capo quindi aprì la porta e lasciò Villa Silente. Aveva fatto ciò che doveva, ora spettava a Silente.

Lily, da parte sua, rimase in piedi nel soggiorno, lo sguardo fisso sulla porta ormai chiusa. Alla fine, qualcosa di buono quelle ore lo avevano portato. Aveva perso Severus, ma, forse, aveva guadagnato Harry. In ogni caso, non avrebbe lasciato Severus tra gli artigli di Voldemort, mai. Avrebbe escogitato qualcosa, intanto, avrebbe riferito le parole di Narcissa a Silente, l'aveva promesso e poi voleva vedere la faccia che avrebbe fatto il vecchio di fronte a quella rivelazione. Che Silente lo volesse o no, sarebbe andata a Villa Riddle, in qualche modo, non avrebbe abbandonato Severus, non più, non un'altra volta  

*******


Ce l’ho fatta! Nonostante tutto sono riuscita a postare in tempo (quasi).

Scusatemi, ma a Natale casa mia è stata invasa dalla tribù dei parenti, quindi non ho scritto una riga. A Santo Stefano ero in stato comatoso visto tutto quello che ho mangiato e bevuto a Natale, quindi non ho scritto una riga. Per non parlare della dannata lettera di Severus che ci ho messo una giornata per tirarla fuori, e poi ci si è messo pure il mal di testa. Un disastro! Ma ce l’ho fatta!

Comunque sia… la lettera continua a convincermi poco, e anche Narcissa. Ma visto che io non sono convinta a voi il capitolo, ovviamente, piacerà.

Va bene, lascio a voi la sentenza e vi auguro buon anno nuovo, a questo punto, visto che assolutamente non riuscirò a postare prima della fine dell’anno.

Ah, un'ultima cosa! Gli eventi di questo capitolo si svolgono praticamente in contemporanea a ciò che è narrato nel precendente.

Ciao a tutti e buon anno!

 
 

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Capitolo 30
*** Harry ***


Capitolo 30
 

HARRY



Albus Silente sospirò profondamente. Si lasciò andare contro l’alto schienale della sedia, le mani appoggiate stancamente ai braccioli. Gettò un’occhiata stanca ai documenti sparsi sull’ampio ripiano della scrivania. Era inutile. Quella mattina non gli riusciva di fare nulla e sì che aveva così tanto lavoro arretrato riguardante la scuola…

Era inutile. Si tolse gli occhiali a mezzaluna con un gesto stanco, appoggiandoli poi sulla scrivania. Si passò una mano sul viso nel tentativo vano di pulirlo dai segni dell’angoscia che lo attanagliava dalla sera prima. Era stato così fiero del suo piano infallibile. Pensava davvero di poter ottenere il bambino rivelando a Voldemort poche, ma importanti informazioni… e invece il prezzo da pagare era stato molto più alto. Il vecchio Tom lo aveva messo nel sacco… di nuovo. Aveva tentato di balzare avanti a lui sicuro di riuscire a raggiungere lo scalino più alto di quella lunga scala e invece era miseramente ruzzolato a terra. Voldemort era stato più abile di lui. Chissà come se la rideva ora il caro, vecchio Tom!

Voldemort aveva battuto il grande Silente e aveva ottenuto ciò che voleva senza dare nulla in cambio. E lui, Albus Silente, che cosa aveva ottenuto? Aveva gongolato, sicuro di avere la vittoria in tasca, e invece aveva perso la stima dell’Ordine, li aveva messi in pericolo, aveva costretto Severus a una scelta orribile, l’aveva spinto a tornare tra i suoi incubi, l’aveva distrutto e perduto e per cosa? Per ottenere cosa? Niente. Bravo, Albus, fatti l’esame di coscienza.

Non voleva. Non voleva far del male a Severus. Gli aveva promesso che si sarebbe preso cura di lui, che sarebbe stato al sicuro, che avrebbe avuto l’occasione di liberarsi del suo passato… e poi lo aveva costretto a tornare nel buio da cui con tanto sforzo si era allontanato.

Si sentiva svuotato. Il freddo condottiero non c’era più, se n’era andato quella mattina insieme a Severus, insieme a un Severus che aveva perso in poche ore tutta la vita che era riuscito faticosamente a riacquistare in quasi un anno. Aveva tentato, non poteva dire di non averlo fatto, aveva tentato di fermarlo, di convincerlo a non consegnarsi a Voldemort, che era inutile: ormai era chiaro a tutti che era una trappola. Ma Severus non se ne andava perché credeva davvero di poter ottenere Harry, Severus se ne andava perché credeva di aver perso per sempre Lily. Perché aveva perso l’unico motivo per andare avanti. Perché non aveva più motivo di rimanere, non aveva più nulla da perdere. La rabbia di Lily gli aveva fatto capire che lui non sarebbe mai stato accettato in quella parte di mondo, non sarebbe mai stato accettato nel Regno della Luce. Lui apparteneva alle tenebre, ed era lì che doveva rimanere.

Albus aveva cercato di fargli capire che non era così, che Lily era solo profondamente scossa, che sicuramente lei avrebbe capito, non lo avrebbe allontanato. Ma era stato inutile. Severus se ne era andato.

Severus se n’era andato e Albus ora se ne stava seduto stancamente sul suo scranno, nel suo ufficio ad Hogwarts incapace di pensare ad altro se non a quel ragazzo che era andato via in silenzio, quando ancora il sole non era sorto, fuggendo anche la consolazione dei suoi raggi, fuggendo gli sguardi e gli addii.

Fanny guardava tristemente il suo padrone, gli occhi d’ambra scintillanti e imperturbabili, se non da leggeri veli di malinconia. Percepiva il dolore nell’animo del vecchio, vedeva lo scintillio delle lacrime in quegli occhi azzurri che conosceva tanto bene. Rimase a lungo a osservare quel vecchio curvo, seduto al posto del perspicace preside di Hogwarts, finché un tonfo proveniente dagli alloggi di Silente non la distrasse. Voltò il capo piumato in direzione delle scale, inclinandolo leggermente si lato, con fare curioso.

La fenice si agitò un poco, cercando di attirare l’attenzione di Silente. Questi le gettò un’occhiata interrogativa, allontanando bruscamente i suoi pensieri. Fece appena in tempo a voltarsi, seguendo lo sguardo di Fanny, che dal passaggio dietro il grande quadro di Hogwarts sbucò una rossa chioma ben conosciuta.

“Lily…?” Fece Silente, sorpreso, mentre la giovane entrava nell’ufficio. Si alzò in fretta, inforcando nuovamente i fedeli occhiali.

Lily si avvicinò con passo svelto, il maglione verde sporco di fuliggine. Aveva ancora gli occhi stanchi, segnati, notò Silente, ma nella loro profondità, Albus colse un luccichio di strana felicità.

“Che cosa è successo?” Chiese impaziente. Fanny sbirciava la ragazza con la medesima curiosità e irrequietezza nello sguardo ambrato.

Tuttavia, l’occhiata che il preside ricevette dalla ragazza non fu delle migliori. Albus sapeva di averla disillusa e ferita più volte, sapeva di meritare il suo sospetto e la sua rabbia. Lo sapeva.

Lily, da parte sua, non era venuta ad Hogwarts solo per riferire a Silente le parole di Narcissa. No. Voleva fare una chiacchierata col suddetto preside prima. C’erano cose che doveva sapere e Albus avrebbe dovuto darle delle risposte quella volta, volente o nolente.

“Lily?” Ripetè Silente mentre la giovane si avvicinava e girava intorno alla scrivania per poi piazzarsi innanzi ad essa a poca distanza dal trespolo di Fanny.

“Perché lo ha lasciato andare?” Domandò Lily, duramente, mentre sul suo viso avanzava un’ombra di malinconia.

Silente sospirò. A quanto pareva doveva ancora aspettare prima di sapere come mai Lily era lì.

“Suppongo che tu ti riferisca a Severus…” Fece Albus, tornando ad accomodarsi sullo scranno di legno.

“Perché non l’ha fermato?” domandò ancora Lily, gli occhi improvvisamente lucidi di lacrime richiamate da quel nome che lei non riusciva a pronunciare.

Silente prese un lungo respiro, poi disse: “Vedi, Lily, ho tentato di convincerlo a non andare.”

Lily lo ignorò: “E’ una trappola. E lei lo sa, non è vero?- Disse mentre sentiva la rabbia montare dentro di sé. –Lo ha sempre saputo e lo ha lasciato andare comunque.” La sua voce si alzò portata in alto dalla rabbia e dal dolore. Altre, nuove lacrime bollenti scesero a bruciarle la pelle del viso.

“Non lo sapevo. –Rispose tranquillamente Albus, gli occhi azzurri scintillanti, eppure toccati dal dolore della ragazza. –Ma lo immaginavo.” Ammise infine.

Lily rimase lì, in piedi, a guardarlo stordita. Lo immaginava… e lo diceva così?

“Ti giuro, Lily, non volevo che le cose andassero così.” Continuò Silente con amarezza.

“Ma era pronto a correre il rischio, vero?” Quasi gli urlò in faccia Lily, riscuotendo da quell’attimo di smarrimento. Le lacrime calde a rigarle il volto, la voce rotta dal dolore.

Silente non seppe cosa rispondere. Abbassò appena lo sguardo azzurro, incapace di sostenere il rancore bollente che covava negli occhi della ragazza. Nemmeno l’acqua fresca delle sue polle celesti riusciva a raffreddare quello sguardo, ed egli dovette per forza scostare gli occhi per evitare che la loro azzurra frescura evaporasse.

“Lei… -Disse Lily tra i singhiozzi. –Lei crede di poter giocare con le persone come fossero burattini! Lei crede che tutto possa essere sacrificabile di fronte ad un alto fine! Ma non è così!” Continuò la ragazza senza riuscire a trattenersi. Si era tenuta dentro tutte quelle cose per così tanto tempo… non le aveva esternate, le aveva ricacciate indietro ogni volta che premevano contro le sue labbra. Aveva continuato a dare altre possibilità a quel vecchio soltanto per il rispetto che provava nei suoi confronti, soltanto perché Severus si fidava di lui, ma ora basta. Silente aveva passato il limite e il fatto che avesse abbassato lo sguardo era segno che anche lui si rimproverava.

“Sapeva che Lui voleva Severus. –Continuò la giovane senza pietà. –Sapeva che Harry non era da lui. Lei lo sapeva! E ha comunque lasciato che Severus si sacrificasse per nulla! Non mi ha detto nulla della Profezia, ha permesso che me la prendessi con Severus ben sapendo che non era colpa sua!”

“Lily…” Sussurrò appena Silente.

“No!- Lo interruppe lei. –Lei non è diverso da Voldemort!”

Albus si sentì profondamente ferito da quelle parole. Era vero. Si era lasciato trasportare dal gioco, sempre più deciso a vincere la partita, incurante se il suo gioco fosse pulito o meno. Voldemort lo aveva sfidato e lui si era lasciato trascinare, voleva battere il Signore Oscuro sul suo stesso campo, e per fare ciò aveva perso di vista la liceità delle sue azioni. Sì, si era comportato esattamente come Voldemort, giocando d’inganno e menzogna anche con chi gli stava vicino, anche con chi amava.

“Ora cosa intende fare, eh?- Lo attaccò nuovamente Lily. –Lo lascerà nelle Sue mani? Ha un grandioso piano anche per Severus, come è stato per Harry?”

“Lily… -Disse dolcemente Albus. –So di aver sbagliato. Ho creduto fino all’ultimo di poter volgere la situazione a nostro favore, ma la cosa mi è sfuggita di mano. Mi dispiace per Harry.”

“E’ rimasto a guardare. –Riprese Lily, senza dar segno di aver sentito le parole del preside. –Ha abbandonato Severus come ha abbandonato mio figlio. Non ha mosso un dito per Harry solo perché voleva dimostrare a Voldemort di essere più abile di lui. Lui gioca sporco e lei ha voluto dimostrare di essere più abile a barare, nient’altro. Non è migliore di lui.”

“Lily… io…” Sussurrò Silente, profondamente colpito dalle parole di Lily. La ragazza aveva ragione. Sapeva di averla delusa, sapeva di aver perso una grossa fetta della sua stima. Ed ora se ne stava lì, a subire gli attacchi di Lily, i suoi rimproveri che ben sapeva di meritarsi, senza sapere come rispondere. Lui, Albus Silente, che aveva sempre la risposta pronta, le cui parole non erano mai vane.

“Perché non ha contattato subito i Malfoy?- Chiese ancora Lily, riprendendo appena fiato, abbandonando per un attimo il tono alto della sua voce per uno più triste e malinconico. –Questa storia sarebbe finita da un pezzo se l’avesse fatto. Molte cose non sarebbero accadute… Severus ora non sarebbe nelle Sue mani. Sarebbe qui con noi.”

Albus abbassò appena lo sguardo sospirando. Non aveva contattato subito i Malfoy, perché? Perché credeva che il suo piano fosse perfetto. Rimase qualche istante con lo sguardo puntato a terra, pensieroso, poi, improvvisamente, qualcosa scattò nella sua mente. Alzò gli occhi azzurri verso Lily e si aggiustò gli occhiali sul naso. Una lieve scintilla di comprensione brillava in essi, i segugi blu si erano rizzati sulle zampe e annusavano affamati l’aria.

“Sono venuti, è così?- Disse Silente con un lieve sorriso ad increspargli i baffi bianchi. –Harry… Proprio come avevo previsto…” Mormorò poi tra sé e sé.

Lily sbattè le palpebre stupita. Di cosa diavolo borbottava il vecchio? Lo aveva previsto?

Si passò il dorso della mano sul viso a pulirlo dalle lacrime che si erano asciugate sulla pelle. Guardò il preside con un misto di irritazione e sorpresa negli splendenti occhi verdi, così a lungo martoriati dalle falci del pianto.

“Che cosa vuole dire?” Gli chiese cautamente, facendo un passo avanti.

Silente la guardò pensieroso per qualche secondo, poi si alzò in piedi facendo forza con le mani sui braccioli della sedia. Si allontanò di qualche passò dalla scrivania, le mani strette dietro la schiena.

“Il nome dei Malfoy è saltato fuori troppo spesso in questa storia. –Disse il vecchio mago prendendo a fare su e giù. –Dopo che tu e Severus siete tornati da Cokeworth con la lettera di Lucius, ho riflettuto attentamente ed ero arrivato alla conclusione che i Malfoy fossero direttamente collegati con il piccolo Harry. Anzi, e devo ammettere che l’idea era piuttosto folle, che nascondessero il bambino.”

Lily guardava Silente andare avanti e indietro, la lunga veste blu notte che frusciava appena nelle sue carezze al pavimento di pietra. Lo guardava incredula, incapace di credere a quelle parole. Silente sapeva tutto… aveva previsto tutto… e non aveva fatto niente. Sentì la rabbia montarle nuovamente in corpo mentre osservava le ampie spalle del mago, le mani rugose strette l’una all’altra dietro la schiena.

“Perché non è andato da loro, allora? Perché tutti questi intrighi, quando la soluzione era così semplice?” Chiese la ragazza.

Albus lanciò un’occhiata vaga verso il soffitto della stanza, accompagnata da un lieve sospiro.

“A volte si fanno cose sciocche credendo di vedere intricate matasse in un semplice filo.” Disse questi voltandosi lentamente verso la giovane che continuava a guardarlo incredula.

“Supponevo che uno dei due, Narcissa con molta probabilità, sarebbe venuto da me a chiedere aiuto. Se era vero che avevano Harry, non potevano sostenere a lungo la situazione. Mentire al Signore Oscuro è un terribile azzardo. Credevo che avrei potuto aspettare… invece gli eventi si sono accavallati troppo in fretta. Perdonami, Lily. So di aver sbagliato, e già l’ho detto.” Disse ancora.

Lily scosse il capo, incapace di credere a quelle parole. Quanti danni può fare una stupida convinzione. Sarebbe stato tutto così semplice: andare dai Malfoy, trovare Harry e tornare a casa. Era tutto così semplice, invece ora, perso il diretto, erano dovuti salire su un treno dal percorso tortuoso che li aveva condotti agli eventi della sera prima, a Voldemort e alla perdita di Severus.

“Narcissa è venuta.” Disse Lily tristemente, ormai arresa di fronte all’evidenza. Era inutile continuare a pensare a ‘ciò che sarebbe successo se’, ora erano lì e dovevano andare avanti lungo quel sentiero.

“Ha detto che Lucius ha trovato Harry la notte a Godric’s Hollow. –Riprese mentre Silente la osservava interessato, gli occhi splendenti scrutavano la ragazza come predatori affamati. –Non sapeva cosa fare e l’ha portato a casa. Narcissa ha detto di averlo convinto a nascondere Harry, e si incolpa per questo. Lucius ha continuato a tenere nascosta la verità a Voldemort, ma non si può mentire a lungo a Lui. Ha paura per la sua famiglia, per suo marito e suo figlio, ed è venuta a chiedere protezione.”

“Protezione che non le sarà negata.” Disse Albus risoluto avvicinandosi alla giovane. Lily lo guardò, stupita di quell’improvvisa presa di posizione.

“Dunque avevo ragione. –Mormorò poi il preside, perdendosi di nuovo nei suoi pensieri mentre riprendeva il su e giù. –Ti ha detto qualcosa su Severus?” Chiese poi a Lily.

Lei scosse il capo, desolata.

“No.- Rispose. –Non sapeva neanche che Severus se n’era già andato. Voleva avvertirlo della trappola… se solo fosse arrivata prima…”

“Non serve pensare a cosa sarebbe successo. –Disse Silente dolcemente, fermandosi e posando una mano sulla spalla della ragazza. –Ti chiedo di concedermi ancora po’ di fiducia, Lily. So di non meritarla, ma dobbiamo unire le forze per salvare Severus.”

Lily alzò lo sguardo su di lui, felice, nel profondo di sentirlo pronunciare quelle parole. Il suo comportamento era stato deplorevole, sì, e lei era disposta a riporre ancora un po’ di fiducia in lui?

“Se lo faccio –Disse. –Lo faccio per Severus, non per lei.”

Gli occhi di Albus scintillarono a quelle parole. Potevano sembrare fredde e dure, ma custodivano in sé un calore immenso che traspariva dalla voce e dagli occhi di Lily. Silente vide la decisione di Lily di salvare Severus, la percepì, nonostante fosse uno schiaffo per lui, v’era, in quelle parole, la carezza di un amore latente in cui Albus aveva sempre creduto e sperato.

“Credevo fossi arrabbiata con lui.” Le disse con un mezzo sorriso, deciso a farle confessare ciò che custodiva nel suo cuore e che la spingeva ad agire in quel modo. A riporre la sua fiducia in un vecchio che l’aveva ferita e ingannata solo per poter salvare Severus.

Lily lo guardò tranquillamente, seppur lievemente irritata per quella frase.

“Ero arrabbiata con lui, sì. –Disse lei, abbassando appena gli occhi. –E così cieca da non capire come lui si sentisse, da non vedere il bisogno che lui aveva di me. Ora so. E non ho la benché minima intenzione di abbandonarlo di nuovo.”

Silente sorrise dolcemente a quelle parole.

“Sai, Lily, c’è un motivo per cui ho sempre insistito perché rimaneste insieme. Perché quando lui era ferito e incosciente ho voluto che tu gli rimanessi accanto. Tu significhi molto per lui. –Disse il preside pacatamente. –Sei l’unica cosa che gli dà la forza di andare avanti. E, nel profondo, ho sempre sperato che tu potessi offrirgli ciò di cui più aveva bisogno, l’affetto che non ha mai ricevuto. Io ho fatto tutto ciò che ho potuto per lui, davvero, ma non ho mai potuto dargli l’amore di cui necessitava. Quello puoi darglielo solo tu.”

Fece una breve pausa e Lily vide le lacrime brillare nei suoi occhi azzurri, le steli poderose che si ergevano nel loro cielo, lentamente fondersi al calore del sole.

“Lui ti ama. –Sussurrò Silente. –Ti ha sempre amato. Non avrebbe mai voluto farti male, né avrebbe voluto metterti in pericolo.”

“Lo so.” Rispose semplicemente Lily.

“Se n’è andato perché credeva di averti perso per sempre. Può sembrare strano sentirlo dire da me, ma voglio davvero bene a Severus. Fidati di me. Non lo abbandonerò.” Disse Silente.

Lily lo guardò accorata. Il sorriso sul volto del vecchio era sincero, e questo era un punto a suo favore. Sì, forse poteva confidare in lui ancora una volta. Insieme a Silente poteva salvare Severus, ne era certa. Era stata disposta ad andare da sola a Villa Riddle pur di portarlo via dagli artigli di Voldemort, ma se il vecchio preside era disposto ad agire in fretta, beh, avrebbe potuto stringere una nuova alleanza.

Guardò Silente con intensità, cercando di capire se davvero fosse deciso a muoversi in fretta. Il tempo correva e non potevano permettersi di perderne, ogni istante che passava era una nuova condanna sul capo di Severus.

E poi dovevano trovare Harry. Voleva rivedere suo figlio, abbracciarlo dopo tutti quei giorni passati nell’angoscia. Narcissa era stata svelta ad informarla su quando avrebbe potuto vedere Harry. Non si aspettava un suo gufo tanto presto, dopo appena un’ora.

Silente pareva pensieroso, eppure, nel fondo blu dei suoi occhi si scuoteva uno scintillio, un balenio, il guizzo malizioso di un piccolo pesce d’argento.

“Cosa ha intenzione di fare?” Chiese all’anziano professore.

“Uh?” Silente, riportato improvvisamente alla realtà dalle parole di Lily.

 “Oh, prima di tutto penso che dovremo andare a Villa Malfoy, non credi?” Rispose poi, ancora sovrappensiero.

“Narcissa ha detto che avrebbe inviato un gufo.- Gli disse allora Lily. –Non sapeva se Lucius sarebbe arrivato prima di-” Non riuscì a terminare ché Silente la interruppe bruscamente.

“Non c’è tempo.” Disse il preside. Superò la giovane con un balzo e raggiunse la scrivania. Lily lo guardava scombussolata e così la fulgida fenice che guardava Silente con il capo leggermente piegato sulla destra, curiosa. Certo, non si poteva dire che Albus Silente fosse un uomo semplice da capire, prima perdeva tempo rischiando di farli ammazzare tutti e poi diceva di non avere tempo.

“Andiamo subito a Villa Malfoy, che Lucius ci sia oppure no. Anzi, spero proprio di trovarlo, perché fargli qualche domanda e poi –Disse gettando uno sguardo a Lily. –Immagino tu voglia riabbracciare tuo figlio.”

Lily gli sorrise. Sì, voleva riabbracciare suo figlio. Voleva Harry. Il suo cuore si scaldò tanto da infiammare i suoi occhi verdi, tingendone le foglie con la luce vermiglia di un tramonto. Harry. Stavano per andare da Harry. Era troppo felice per portare ancora rancore per Silente. Che importava? Avrebbe riavuto suo figlio, Silente l’avrebbe portata subito da lui e poi avrebbero in qualche modo salvato Severus.

Silente alzò le sopracciglia mostrando ancora di più il blu frizzante delle sue iridi, mentre il sorriso sornione si tendeva sul suo viso dando nuova luce alla barba bianca. Sapeva di aver ottenuto solo una breve tregua con Lily, ma non gli importava, al momento ciò che era importante era trovare Harry e salvare Severus. E lui era sicuro che i due erano in un qualche modo collegati nei piani dell’Oscuro Signore. Ne era certo. Prima bisognava andare dai Malfoy, Lucius faceva parte dell’entourage più stretto di Voldemort e doveva quindi sapere qualcosa su Severus, per questo voleva incontrarlo.

“Narcissa non sarà felice di vederci comparire senza preavviso a casa sua.” Commentò Lily.

“Beh, il fatto di chiamarti Albus Silente ti permette di essere sfacciato di tanto in tanto.” Disse Silente, strizzando l’occhio alla ragazza. Accarezzò distrattamente il capo piumato di Fanny esortando la fenice a chiudere gli occhi appagata.

“Sarà meglio avvertire Minerva prima di andare, non vorrei incorrere nuovamente nelle sue ire.” Disse poi sovrappensiero. Lily continuava a guardarlo, in attesa.

Silente si voltò lentamente verso di lei, la mano poggiata alle piume vermiglie della fenice.

“Lily, -disse con voce seria, lo spirito del condottiero tornato ad impadronirsi del suo corpo, scacciando il vecchio stanco. –Devo chiederti un favore.”

“Mi dica.” Disse Lily, allora, invitandolo a proseguire.

“Non so ancora quale sia la situazione dei Malfoy esattamente, ma credo che avrò bisogno di qualcuno che rimanga presso di loro per proteggerli. Credevo di poterti chiedere di assumere questo ruolo, insieme ad almeno altri due membri dell’Ordine.” Spiegò allora Silente.

“Va bene.” Acconsentì la ragazza. “Ma vorrei che gli altri due membri dell’Ordine siano Sirius e-”

“Remus. –Concluse Silente con un sorriso. –Lo immaginavo. Così sia.”

Lily sorrise. Se Silente avesse dato a vedere di volersi immergere in un altro dei suoi bagni di inganni e tergiversazioni, due Malandrini sarebbero stati gli alleati ideali per prendere in mano la situazione e... cacciarsi nei guai. Per un attimo, ma solo per un istante, non seppe come mai, ma le tornò in mente la profezia. Il suo volto si fece improvvisamente pensieroso. Metà della profezia si era ormai avverata, c’era ancora il mistero del ladro e della lama fatale da svelare. Per un istante sentì l’impulso di parlarne a Silente, ma poi ci ripensò. Forse avrebbe dovuto dirglielo, Severus era di quel parere, ma l'astio che provava verso il vecchio preside la frenava, soprattutto dopo quello che aveva fatto la sera prima.

Silente notò l’improvviso farsi pensierosa di Lily e aggrottò le sopracciglia con fare interrogativo.

“Lily.” La chiamò, riscuotendola dai suoi pensieri. Lei lo guardò, aspettando di sapere cosa avesse da dire.

“C’è qualcosa che desideri dirmi?” le domandò allora Albus.

“No.- Rispose Lily. –Niente.”

Silente, tuttavia, la spiò da sopra gli occhiali, con occhi sospettosi.

***
 

“Allora? Che cosa ci fate qui?!” Narcissa Malfoy non poteva essere più indignata. Guardava i due ospiti indesiderati che erano comparsi con un pop all’ingresso del maniero dei Malfoy. Gli elfi domestici che si curavano del giardino li avevano subito condotti da lei e lei… no, non poteva crederci. Aveva detto alla Evans di aspettare, che avrebbe mandato un gufo. Ma, a quanto pareva, la Nata Babbana doveva essere dura d’orecchi. E ora come faceva se Lucius tornava prima del tempo e si ritrovava Albus Silente, con un ridicolo fez viola, comodamente sprofondato sulla sua poltrona preferita e una Nata Babbana che gli ficcanasava in casa?

“Mia cara Narcissa. –Fece Silente con un sorriso sornione mentre sorseggiava il tè gentilmente offerto dall’elfa domestica Iris. –Mi sono permesso di venire subito, dopotutto, che cosa accadrebbe se Voldemort già sapesse del bambino?”

L’indignazione nello sguardo azzurro di Narcissa venne immediatamente sostituita da una vampata di orrore. Un pensiero orribile era appena nato nella sua mente, come un cucciolo deforme ferito dalle schegge del guscio del suo stesso uovo.

“Lui… -Balbettò. –Lui non sa niente, vero?”

Silente le sorrise caldamente mentre molleggiava sul comodo cuscino verde smeraldo della poltrona, ma non rispose. Si guardò intorno con aria assente, gettando fredde occhiate alle pareti rivestite di pannelli di legno, alle tende verde scuro che coprivano alte vetrate nascondendo alla vista lo splendido e curatissimo giardino inglese. Tutto in quella sala rifletteva l’eleganza e la ricchezza della famiglia Malfoy, dal tavolino in legno di noce al centro, poggiato con eleganza su un tappeto dai motivi floreali, al camino sovrastato dall’arme della famiglia Malfoy, con il grande serpente d’argento ondeggiante in palo, lo scudo sostenuto da due viverne dagli occhi di fuoco. Narcissa guardava Silente con un’espressione terrorizzata, la sua alterigia di poco prima misteriosamente scomparsa. Lo guardava col fiato sospeso mentre Silente passava distrattamente sul capo liscio e scuro della serpe di mogano, che decorava il bracciolo della preziosa poltrona, come se stesse accarezzando la testa morbida di un gatto.

“Questo non lo so. –Disse infine, alzando appena gli occhi sulla padrona di casa. –Meglio non aspettare che lo venga a sapere, ne convieni?” Chiese poi.

Narcissa fece un lieve cenno di assenso col capo.

Lily si guardava intorno distrattamente, affascinata dall’eleganza di quel salotto, dall’atmosfera cupa e, non l’avrebbe mai detto, confortevole che regnava in esso. Ma lei pensava soprattutto a Harry. Harry che era lì, in quella casa, a poca distanza da lei. E l’avrebbe presto riabbracciato… Harry… non riusciva neanche ancora a crederlo. Eppure la sua felicità era oppressa dal peso di un altro nome. Severus… Non poteva essere pienamente felice quando pensava a quello che il Signore Oscuro probabilmente stava facendo al ragazzo. Non riusciva neanche ad immaginarlo. L’avrebbe torturato, umiliato, spezzato… Scosse la testa cercando di scacciare l’immagine di Severus rantolante ai piedi dell’Oscuro Signore con il suo sorriso mellifluo. Non doveva pensarci. Harry, Lily. Sii felice per Harry.

“Credo che la signorina Evans desideri vedere suo figlio.” Disse la voce di Silente, rombando nella testa di Lily come una carica di cavalleria. Alzò lo sguardo su Albus, gli occhi azzurri brillavano dietro le lenti a mezzaluna.

“Sì. –Rispose rigidamente Narcissa. –Sì.”

“Lei potrà stare con Harry, mentre noi discutiamo di… ehm… affari? Possiamo definirli cosi?” Disse Silente con tono imperioso.

“Certamente.” Acconsentì Narcissa. Quindi si voltò verso l’elfa che se ne stava in disparte in attesa di direttive.

“Iris, -Disse con voce perentoria. –Accompagna la signorina Evans da suo figlio.” L’elfa balzellò verso Lily, quindi fece un lieve inchino invitandola con un ampio gesto del braccio ossuto.

“Da questa parte.” Disse gentilmente.

Lily la notò Narcissa lanciare un’occhiata svelta al professor Silente prima di seguire la creatura zoppicante.

Narcissa aspettò con impazienza che entrambe avessero lasciato il salotto. Ciò che le premeva, in quel momento, era parlare con Silente. Poco le importava del bambino e di sua madre, lei voleva che la sua famiglia fosse al sicuro. Voleva parlare con Silente da sola, senza l’impiccio di una Nata Babbana che ascoltava le sue parola guardandosi intorno come una stupida. Un conto era avere solo lei con cui parlare, un altro era poter scegliere tra lei ed Albus Silente; e la scelta, in questo caso, era ovvia.

“Bene, allora. –Disse freddamente, appena la porta si fu richiusa alle spalle di Lily. –Posso contare sul suo aiuto?” Si avvicinò di qualche passò, sedendosi poi con un movimento elegante sulla poltrona dirimpetto a quella su cui era seduto il preside. Il tavolino scuro, su cui era adagiato il vassoio d’argento con cui l’elfa aveva servito il tè, a fare da muto arbitro tra loro due.

Silente la guardò furbo. Sorseggiò tranquillamente il suo tè prima di schiarirsi la gola con fare autoritario.

“Assolutamente sì.” La rassicurò.

Narcissa si lasciò andare ad un sospiro di sollievo. Il peso quasi insostenibile della tensione che aveva portato sulle spalle fino a quel momento, si alleggerì alle parole di Silente.

“Cosa intende fare?” Domandò a Silente.

“Beh, temo che tuo marito dovrà sopportare la presenza di alcuni membri dell’Ordine in casa sua.” Rispose Silente con nonchalance, sorbendo il fondo della tazza prima di posarla sul tavolino.

“Può farlo?” Chiese poi alzando gli occhi su Narcissa.

“Immagino di sì, se lei mi assicura che è l’unico modo.” Disse la donna.

“Bene.” Fece Silente con un sorriso mentre si appoggiava allo schienale imbottito della poltrona. Si spinse gli occhiali a mezzaluna più in su, sul naso, arcuato con un dito, quindi intrecciò le mani in grembo.

“Intanto direi che Lily può rimanere qui. –Disse. –E’ un valido membro dell’Ordine e, inoltre, potrà rimanere con suo figlio. E poi, credo che Sirius Black e Remus Lupin saranno ben felice di spalleggiarla.” Concluse ricordando la richiesta, alquanto preoccupante, si disse, di Lily.

Narcissa lo guardò contrariata per un attimo. Oh sì, Lucius sarebbe stato entusiasta: un lupo mannaro, una Nata Babbana e un traditore del sangue che vagavano per casa.

“Va bene la Evans, ma perché Black e Lupin, se è lecito chiederlo?” Osò domandare la signora Malfoy.

Silente allargò il suo irritante sorrisetto e abbassò appena il capo per spiare la donna da sopra gli occhiali a mezzaluna.

“Perché sono ottimi amici di Lily. Sono sicuro ci sarà un certo affiatamento tra i tre e la cosa non può che giovare alla nostra causa.” Disse, sebbene Narcissa colse uno strano guizzo nei suoi occhi azzurri, come se quella non fosse la pura verità, tuttavia  non se ne curò più di tanto.

“Un’altra cosa. –Fece Silente d’improvviso, -Desidererei che facesse parte della squadra anche il mio elfo domestico, Brix.”

Narcissa allargò gli occhi stupita. Magnifico, anche un elfo domestico, ora, ci mancava.

“Perché?” Domandò.

“Potrebbe unirsi ai vostri elfi. Un asso nella manica, mi capisci?, nel caso qualcuno vi attaccasse.” Spiegò allora Silente. E lui avrebbe potuto contare su qualcuno che controllasse i tre ragazzi, e soprattutto Lily, perchè non facessero sciocchezze.

“D’accordo. –Acconsentì forzatamente Narcissa. –D’accordo. Lucius mi tirerà il collo quando rientrarà.”

“A proposito di Lucius! –Esclamò improvvisamente Silente. –Vorrei fargli alcune domande. Non disturbo, vero, se lo aspetto qui?” Fece poi con aria furba.

Narcissa nascose un ringhio irritato dietro un sospiro e si forzò di sorridere. Beh, forse Silente avrebbe potuto spiegare la situazione a Lucius e magari sarebbe anche riuscito a fargliela accettare. E poi, non poteva permettersi di mandare via il vecchio, c’era la sua famiglia di mezzo.

“No, certo.” Rispose.

***
 

La piccola elfa condusse Lily verso la grande scalinata dell’ingresso, bianca e fredda come ghiaccio. Salirono in silenzio lo scalone, i loro passi che battevano sul marmo rimbombando nell’ampia sala vuota. Lily non poteva evitare di gettarsi occhiate intorno. Non era mai stata in una villa nobiliare, tutto lì sembrava trasudare la grandezza e l’alterigia della famiglia Malfoy. Se il salotto mostrava il lato familiare e caldo della famiglia, l’ingresso e la sua scalinata era fatti per impressionare gli ospiti, per mostrare loro la storia e la potenza che il marmo trasudava come stille di secoli. Nessuno, poi, poteva sfuggire allo sguardo astuto del serpente che imperava nel grande stemma d’argento brunito al centro dello scalone, tutti vedeva e tutti lo vedevano imprimendosi quell’immagine a fuoco nella mente.

Lily seguì la creatura zoppicante lungo un ampio corridoio, che imboccarono sulla sinistra appena giunte in cima allo scalone. Le alte finestre lasciavano entrare la luce fredda del giorno, indurita dalle nuvole che coprivano il cielo, era una marea gelida che sommergeva il corridoio con acque bianche che tremavano appena quando venivano sfiorate dallo straccio che copriva il corpo ossuto dell’elfa. Fredde increspature che, come vecchi mendicanti ingobbiti, tendevano le loro mani ad accarezzare, come in cerca di elemosina, quasi supplicanti, la sua pelle scura e rugosa.

Iris si fermò davanti ad una robusta porta di legno scuro che risaltava tra le pareti bianche. Gettò un’occhiata fredda a Lily, quindi abbassò la maniglia d’ottone ed aprì la porta facendo pochi passi all’interno della stanza per mettere a Lily di seguirla. Era un piccolo salotto che collegava le varie camere da letto.

Non appena la ragazza varcò la soglia, il suo cuore esplose. Seduto su un caldo tappeto, al centro della piccola sala, che allungava le manine per cercare di afferrare un boccino che svolazzava intorno a lui, c’era Harry. Il suo piccolo Harry.

Lily si sentì sciogliere a quella vista, dentro di lei un calore che non avrebbe mai creduto di poter trovare. Sentì le lacrime scivolarle lungo le guance, ma non erano stille acuminate di dolore quelle, no, erano lacrime di gioia, di una gioia che le avvolgeva il cuore in un abbraccio profondo.

“Harry…” Mormorò. Avrebbe voluto gridare il suo nome, ma la sua stessa voce era troppo felice per poter parlare. Avrebbe voluto correre da lui e abbracciarlo stretto, e invece se ne rimaneva lì, immobile sulla porta, a guardare, attraverso il caldo velo delle lacrime, suo figlio che rideva cercando di agguantare la riproduzione tintinnante del Boccino d’Oro.

Seduta su una sedia, poco lontana dal bambino, c’era un’altra elfa domestica, ingobbita dal lavoro e dall’età, che vegliava sul piccolo. Lily nemmeno si era accorta di lei, gli occhi invasi dall’immagine di Harry che rideva. La creatura ossuta balzò giù dalla sedia e si diresse saltellando verso la porta, gettò soltanto una lesta occhiata alla ragazza con i capelli rossi che se ne stava immobile sulla soglie, e uscì nel corridoio.

“Vi lascio.” Disse la vocetta roca di Iris. Poi, Lily sentì la porta richiudersi alle sue spalle e rimase lì, da sola insieme con suo figlio, con il suo piccolo Harry scomparso.

“Harry!” Lo chiamò, finalmente ritrovando il suono della sua voce.

Il bimbo allontanò per un attimo l’attenzione dall’inafferrabile boccino e si voltò verso di lei. Bastò poco perché i suoi occhietti verdi si illuminassero e la bocca morbida si aprisse in un sorriso pieno di riso. Tese le manine verso la sua mamma, aprendo e chiudendo le dita a pugno come nel tentativo di afferrarla e portarla verso di lui.

Lily fece qualche passo verso di lui, così piena di gioia che le pareva di esplodere. Vide il suo bambino cercare di alzarsi goffamente da terra per poi perdere l’equilibrio e cadere in avanti, appoggiandosi alle manine tozze. Lily non poté evitare di ridere nel vederlo cercare con non poco sforzo di alzarsi sulle gambette.

Si inginocchiò a pochi passi da lui mentre Harry cercava inutilmente di restare in equilibrio sulle gambe. Il bimbo alzò lo sguardo umido verso di lei e sorrise gonfiando le gote rubiconde, poi, seppur con andatura incerta e ondeggiante, riuscì a compiere un primo passetto verso la sua mamma, poi un secondo, un terzo, un quarto fino a gettarsi a peso morto tra le braccia accoglienti della ragazza.

Lily lo strinse forte a sé, scompigliandogli un poco i capelli neri sparati da tutte le parti. Harry premette il visino paffuto contro il suo petto, felice di poter sentire di nuovo il calore e il profumo della su mamma.

“Oh, Harry…” Mormorò la ragazza tra le lacrime stringendo forte il bambino. Gli stampò un bacio leggero sui capelli spettinati e poggiò la sua guancia sul capino morbido.

Chiuse gli occhi, godendo del calore di quel corpicino che si stringeva a lei. Cominciò a cullarlo lentamente ondeggiando avanti e indietro. Non poteva ancora crederci… Harry… Harry di nuovo lì con lei, erano di nuovo insieme e non si sarebbero mai più separati, non avrebbe potuto perderlo un’altra volta.

“Harry…” Mormorò ancora, come se ripetendo a sé stessa quel nome riuscisse a convincersi che quello non era solo un bellissimo sogno, era la realtà. Una bella realtà tra tanto dolore, un raggio di sole nella tenebra.

“Mamma…” Disse la vocina incerta del bimbo che stringeva a sé, e il cuore di Lily esplose, andò in mille pezzi, mille colorati frammenti che si spansero in lei come un fiume di farfalle multicolore.

“Oh, mio piccolo Harry. –Disse Lily. –Siamo insieme. Di nuovo insieme.”
 

*******


Eccomi. Sono un po’ ritardo, scusatemi.

Non ho nulla da dire su questo capitolo. Forse solo che tutta la prima parte con Silente non era prevista, al suo posto avrebbe dovuto esserci Severus, ma… spero non vi dispiaccia più di tanto. Prometto che Sev ci sarà nel prossimo capitolo.

Spero di aver fatto un buon lavoro con la parte di Lily ed Harry, perchè è stata molto difficile da descrivere.

La frase di Silente “C’è qualcosa che desideri dirmi?” mi piaceva troppo per non metterla. Ho sempre adorato quella frase. E poi è un ulteriore legame tra Harry e Lily.

Come al solito, aspetto i vostri commenti e vi do appuntamento al prossimo capitolo, di cui non dico niente altrimenti rovino la sorpresa… beh, posso dirvi che si scoprirà chi è il ladro della profezia.

Ciao a tutti!
 
 
 
 
 

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Capitolo 31
*** "Al ladro!" ***


Capitolo 31
 

"AL LADRO!"



L’uomo si appoggiava stancamente al tronco rugoso e freddo di uno dei primi alberi della Foresta Proibita. Gli occhi fissi sulle mura del castello. Aveva atteso a lungo, aveva visto, una ad una, le luci spegnersi, addormentarsi silenziose lasciando il passo all’oscurità della notte. Era rimasto lì a lungo, in attesa. La neve bianca non si era lasciata spaventare da quella figura ammantata che osservava, era scesa indifferente, poggiandosi sulle spalle ammantate di scuro dell’uomo, bagnandogli il mantello, ma lui non si era mosso, nonostante il freddo e l’umido che gli penetravano nelle ossa.

Era rimasto lì. Appoggiato a quel tronco ruvido. Il suo signore gli aveva dato un preciso incarico, aveva riposto in lui la sua fiducia, e lui sarebbe rimasto lì in attesa per l’eternità se avesse dovuto, finchè la luce che filtrava dall’alta torre aguzza non si fosse finalmente spenta.

Ormai doveva essere mezzanotte passata, eppure quella luce birichina era ancora lì, sciocca e irridente, a sfidare le lunghe e armate schiere della notte. L’ombra sapeva che Albus Silente rimaneva sempre alzato fino a tardi. Avrebbe atteso. Non aveva fretta.
 

***
 

Albus Silente faceva su e giù nella sua camera da letto, le mani serrate dietro la schiena, la camicia da notte azzurra con i boccini che ondeggiava. La testa così piena di pensieri che gli pareva di avere un ballo in maschera nel cervello, un’accozzaglia di forme, suoni e colori a malapena distinguibili, pensieri coperti da maschere che si mostravano e poi scomparivano, si avvicinavano e poi si allontanavano con una piroetta.

Fanny sonnecchiava tranquilla appollaiata vicino al davanzale della finestra, cercando di ignorare l’irritante avanti e indietro del preside.

Silente sospirò pesantemente, quindi si avvicinò al letto e vi si lasciò cadere stancamente. Poggiò la schiena contro la testiera di legno e riversò indietro la testa, gli occhi azzurri puntati al soffitto di legno, illuminato dalla luce azzurra delle candele incantate.

Lentamente, con metodologia, il preside prese a riordinare un po’ i suoi pensieri. L’incontro con Lucius Malfoy era stata una delusione. Aveva sperato che il vecchio Lucius sapesse qualcosa dei piani di Lord Voldemort per Severus, invece niente. Sorrise appena al ricordo del rientro a casa di Lucius. Rivide l’espressione di Malfoy quando era entrato nel suo salotto e si era trovato davanti Albus Silente affondato nei cuscini della poltrona più vicina al fuoco che gli rivolgeva un ampio sorriso.

Malfoy era rimasto pietrificato sulla soglia con la bocca semiaperta, le parole di saluto alla moglie gli erano gelate in gola. Lì per lì, Albus aveva creduto che Lucius stesse per avere un infarto, ma poi l’uomo si era ripreso alla grande.

“Che cosa ci fa lei qui?!” Aveva quasi urlato Malfoy. E Albus aveva allargato ancora di più il sorriso.

“Anch’io sono felice di vederti, Lucius.” Aveva detto il preside.

Lucius si era guardato intorno sbigottito, il suo sguardo aveva subito catturato la figura altera ed elegante della moglie, in piedi a poca distanza da Silente, e il suo sguardo di ghiaccio si era incrinato appena, colpito senza pietà dalla rabbia e dalla delusione.

“Lo hai portato tu qui?” Aveva chiesto a Narcissa. Nella sua voce non traspariva la rabbia del suo sguardo, quando un profondo senso di frustrazione.

“Lucius, -aveva detto Narcissa, alzando lo sguardo umido di lacrime sul marito. –Ti prego, cerca di capire… era l’unico modo.”

“Sei impazzita?!- Aveva allora urlato Lucius, avanzando a grandi passi verso la donna. –Se Lui viene a sapere di questo, è finita! Te ne rendi conto?” Albus non credeva di aver mai visto un uomo più spaventato. Il terrore che era piombato sul viso chiaro di Lucius Malfoy era puro, oscuro e tagliente, e gli trasfigurava il volto sempre così nobile e algido in una maschera di cera biancastra.

“Non biasimare tua moglie. –Era intervenuto allora Albus. –Ha fatto la cosa giusta. Ha chiesto la mia protezione, e io sono deciso a darvela.”

Lucius Malfoy aveva spostato lo sguardo su di lui, allontanandolo dalla moglie.

“Lucius…- Aveva detto tranquillamente Albus. –Lui non farà del male alla tua famiglia. Hai la mia parola.”

Malfoy non era parso affatto rassicurato da quelle parole.

“Se l’Oscuro Signore viene a sapere di questa cosa, io sono morto.” Sibilò irritato e spaventato verso il preside.

“No. –Aveva detto duramente Silente, alzandosi dalla poltrona ed ergendosi in tutta la sua altezza. –Non accadrà. Non permetterò che accada.”

Lucius lo aveva guardato con un sorriso di scherno sul volto teso.

“Oh, e immagino che lei lo farà disinteressatamente. Vero, preside?- Aveva detto, riversando in quel titolo tutto il sarcasmo che poteva contenere la sua voce, ed era tanto. –Quale gesto nobile, aiutare la famiglia di un Mangiamorte. Che cosa vuole in cambio da questo Mangiamorte, eh? Vuole i segreti del Signore Oscuro? Mi spiace, ma non ne so niente. Vuole sapere cosa mangia a colazione?  O di quali deliziosi giochetti si diletta per passare il tempo? Oh, su questo argomento avrei molto da dire. O magari vuole che mi consegni spontaneamente agli auror?”

Albus aveva lasciato che tutte quelle parole, così intrise di veleno, uscissero dalle labbra sottili di Lucius. Aveva lasciato che si posassero su di lui, si soffermassero per qualche secondo e quindi scivolassero via senza aver minimamente scalfito lo scintillio dei suoi occhi.

“Nulla di tutto ciò. –Aveva detto infine con voce grave. –Speravo soltanto che tu sapessi qualcosa sui piani di Voldemort. Che cosa intende fare a Severus?” Aveva poi chiesto direttamente.

Lucius lo aveva guardato smarrito per qualche momento. Evidentemente non si aspettava quella domanda.

“Severus?” Aveva poi ripetuto, ancora confuso.

“Sì. Che cosa vuole fargli? E’ ancora vivo?” Albus si maledì nel ricordare quelle sue domande. Si passò la mano sulla fronte, come ad allontanare il sudore di una lunga corsa, il ricordo di un passo falso che premeva su di lui. Non voleva sembrare così preoccupato, non voleva dare quel tono accorato alle sue parole, ma non era riuscito a trattenersi.

Lucius lo aveva guardato per qualche istante, in silenzio. Lo aveva esaminato, mentre passava a rassegna tutte le possibili combinazioni alla ricerca di un asso nella manica che, forse, poteva usare contro Silente e contro Voldemort.

Albus aveva colto quell’improvviso farsi pensieroso di Lucius. Tuttavia, si era stupito quando Malfoy aveva dato la sua risposta.

“Non so cosa voglia da lui. –Aveva detto scuotendo il capo. –Né so se è ancora vivo, anche se presumo di sì. Il Signore Oscuro era piuttosto, come dire, allegro questa mattina. Diceva che il suo trionfo è prossimo. Ho visto Severus solo quando è arrivato a Villa Riddle, poi Voldemort l’ha portato via, dopo un discorso sul tradimento e sulla pena che ne consegue. E guardava me mentre lo diceva. Non so cosa sia stato di Severus.”

Albus era rimasto deluso da quella risposta, aveva sperato fino all’ultimo che Lucius Malfoy, uno dei più vicini al Signore Oscuro, sapesse qualcosa di Severus. Lucius aveva risposto sinceramente, forse troppo spaventato all’idea di mentire anche ad Albus Silente. In ogni caso, una cosa era certa: Tom non si fidava più di Lucius. Narcissa aveva fatto bene a rivolgersi all’Ordine. Sul capo dei Malfoy pendeva una condanna a morte scritta a caratteri cubitali, e Lucius lo sapeva. Albus era certo che Lucius lo sapesse.

I pensieri del vecchio preside di allontanarono da Malfoy, lasciando sfumare la sua immagine tra le nebbia del passato. Lily era rimasta a Villa Malfoy, e così Sirius e Remus che l’avevano raggiunta. I Malfoy, almeno per quella notte, erano al sicuro.

Trasse un lieve sospiro e chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi. Nella sua mente si formò un’immagine indesiderata, un’immagine che invadeva il buio placido con la luce di una tempesta. Lui e Severus sulla terrazza di villa Silente, imbiancata dalla stessa neve che ora cadeva fuori dalla finestra.

“Lo vede? Neanche la neve accetta la mia compagnia… non fa altro che darmi la sua pietà e scivolare via. Io non voglio la pietà di nessuno… e non la merito…” La voce di Severus rimbombò nella sua mente.

“Sei ingiusto Severus. Ingiusto verso te stesso. E non hai motivo di esserlo. Guarda.”

Albus si rivide tendere la mano in avanti. Vide i fiocchi di neve posarsi sulla pelle rugosa, tremare per un istante e poi scivolare via rigando di lacrime le sue dita.

“Vedi? Neanche su di me si soffermano… ciò significa che non siamo diversi noi due. Non è così?”

L’espressione stupita di Severus, la palla di neve che gli colpiva il volto… il suo sorriso di sfida.

 “Come osi?!” “Vuoi la guerra, eh?”

Le risate…

Poi, un altro ricordo si fece strada in lui. Un ricordo molto più vicino nel tempo, molto più cupo, doloroso.

“Non sei tenuto a tornare da lui. Nessuno ti spinge in quella direzione, la scelta è solo tua. Ma non sentirti obbligato: non sbagliare un’altra volta.”

 “So cosa hai intenzione di fare. Non mi pare la decisione migliore. Non per te.”

La sua stessa voce era un martello che batteva senza pietà sui suoi pensieri, un cupo rimbombo che riempiva il vuoto con la sua terribile ineluttabilità.

 “Non sappiamo nemmeno se Harry è davvero con lui.”

“Che importa?”

La voce di Severus si infilò senza pietà in quel mondo di nebbia, falcidiando ogni calore rimasto come l’astuta lama di una falce che mieteva senza cura grano e infestanti lasciando soltando un misero, nudo campo.

“Severus, io non ti permetto di sacrificarti per nulla.”

“Perché? A chi importa di me? Guardali, Albus. Non aspettano altro che liberarsi di me.”

 “A me importa.”

Aprì gli occhi, frizzanti di lacrime. Il ricordo si squagliò come la neve che lo incorniciava alla luce di fuoco delle candele, mentre quelle ultime parole, le sue parole echeggiavano nel suo cuore ma l’immagine del viso di Severus non lo abbandonò. Gettò un’occhiata verso l’alta finestra, fuori, nel buio della notte.

Severus… Che ne era stato del suo ragazzo? Dov’era?
 

***
 

L’uomo sorrise quando vide la luce della camera da letto del preside spegnersi.  Era il suo momento. Sapeva come entrare inosservato ad Hogwarts, inoltre, le ronde degli insegnanti finivano a mezzanotte. Non ci sarebbe stato nessuno per i corridoi. Forse solo Gazza. Il vecchio magonò era solito svegliarsi a notte a fonda e fare il giro del castello. L’uomo sorrise, il custode doveva soffrire di una strana ossessione anti-studentesca visto che a volte si svegliava alle due, tre di notte e si faceva il giro del castello in camicia da notte, sicuro che ci fosse qualche studente fuori dal letto.

L’uomo incappucciato attese ancora qualche minuto, poi raddrizzò la schiena, allontanandola dalla ruvida corteccia del pino ed avviandosi verso il lago. Tutte le luci erano spente nel castello, era il suo momento.

Costeggiò a passo svelto la riva del lago, un’ombra tra le ombre della notte. Non si curò della placida, scintillante bellezza delle acque nere, silenziose sotto le carezze dei bianchi fiocchi che svanivano al tocco di quel mantello nero, lo stesso nero che copriva il corpo e le fattezze dell’uomo, riducendolo ad una mera, pallida imitazione di un’ombra. Solo un’ombra.

L’uomo raggiunse le mura del castello in fretta, là dove nascevano dalla roccia pura e affiorante, lambita dalle acque del lago. L’uomo lasciò la riva sabbiosa del lago e balzò sulla nera roccia, piegata come la schiena di una vecchia strega gobba. L’uomo sapeva bene dove poggiare i piedi su quella superficie scivolosa e tagliente, in poco tempo raggiunse il punto in cui la roccia si fondeva con la pietra del castello, si saldava in essa come fossero parti di un unico eccezionale ibrido.

Non v’era spazio per sostare, lì sulla cima della roccia, a tre, quattro metri sulle acque del lago. L’uomo era in bilico, chiuso tra la liscia, perfetta parete del castello e le acque nere e gelide sotto di lui. Ma, no… c’era un passaggio nelle mura del castello. Un varco rettangolare, una porta aperta sui sotterranei di Hogwarts. Una porta invisibile, a meno che non si conoscesse il suo segreto. E l’uomo in nero lo conosceva e lo conosceva molto bene.

Un sorriso si formò sul suo viso quando i suoi occhi incontrarono il varco nelle mura. Era uno dei pochi a conoscenza di quel passaggio che dava accesso direttamente ai sotterranei del castello, anzi, lo conoscevano soltanto lui e il preside. Era una vecchia postierla, cosa piuttosto comune nei castelli medioevali. Una vecchia postierla che era stata abilmente mascherata con un incantesimo in modo che nessuno, che non fosse stato a conoscenza della sua esistenza, l’avrebbe trovata. Chiunque si fosse avvicinato a quel lato del castello avrebbe visto soltanto una liscia, perfetta parete di pietra che si alzava da una roccia nera a picco sul lago, niente di più. Ma lui no. Lui conosceva il segreto.

Fece un balzo in avanti, fuggendo al vuoto che si apriva sotto di lui, e oltrepassò l’apertura, come ingoiato dalla pietra stessa. Al di là, il buio era impenetrabile, s’udiva lo scalpiccio dell’acqua che riusciva a penetrare attraverso gli spessi blocchi di pietra delle mura, tintinnando come d’argento sulla roccia. L’uomo si fermò non appena fu all’interno del castello, sapeva che lì, subito davanti ai suoi piedi, anche se non ricuciva a vederla, c’era una ripida scala di pietra che dava accesso ai sotterranei. In effetti, la postierla in questione si trovava appena al di sotto della volta di pietra, mentre il pavimento dei sotterranei era al di sotto del livello del lago, sette metri più in basso.

L’uomo estrasse la bacchetta dal mantello con un movimento elegante.

“Lumos.” Bisibigliò.

La luce azzurra della bacchetta illuminò i ripidi scalini di pietra davanti a lui, splendendo sull’acqua che li bagnava e sul viscidume che li sporcava di chiazze scintillanti.

L’uomo scese con attenzione la scala, facendo attenzione a non scivolare. Sceso l’ultimo gradino, si ritrovò in uno spazio angusto, ricavato tra pareti di roccia tagliente, lì dove le mura del castello erano costrette a lasciare il passo alla roccia affiorante e piegavano ad angolo innanzi a lui, nascondendo quella piccola camera con il medesimo incantesimo utilizzato sulle mura che davano sull’esterno.

L’uomo spense la luce della bacchetta, dinnanzi a lui si apriva una porta di pietra del tutto simile a quella che dava sull’esterno, solo più larga. La raggiunse e si protese con circospezione oltre l’angolo perfettamente scolpito. Il corridoio al di là era vuoto, illuminato appena da alcune fiaccole. L’aria era umida e pesante, come era sempre stata nei sotterranei.

L’uomo in nero scivolò nel corridoio in silenzio. Si mosse come un’ombra lungo di esso, la bacchetta stretta in mano, pronta a scattare al minimo rumore. Accelerò il passo. Doveva infilarsi al più presto nella scala che conduceva al piano superiore, il corridoio che stava percorrendo era completamente spoglio e non aveva la minima possibilità di nascondersi se avesse incrociato qualcuno, a meno di non riuscire ad attraversare i muri perfettamente lisci e umidi di muffa che correvano ai suoi fianchi come fila impenetrabili di un esercito di roccia. Ma lui non era non un fantasma. Era un’ombra, e, benché silenziose e svelte, le ombre si posavano soltanto sui muri, si materializzavano su di essi, ma non potevano rendersi invisibili.

L’uomo vide l’apertura nel muro alla sua sinistra che dava sulle scale, la roccia scolpita illuminata da due torce ai lati del passaggio. I suoi occhi rifletterono le fiamme quando fu giunto innanzi alla scala, guardò distrattamente le grandi serpi scolpite nelle pietra che sorvegliavano il corridoio. La sala comune dei Serpeverde era alla fine di quello stesso corridoio, che continuava ancora, costeggiando il lago, perdendosi nell’ombra.

L’uomo si soffermò sugli sguardi astuti dei guardiani di pietra, poi gettò un’occhiata verso il lungo corridoio che continuava nel buio, si sentì invadere da una strana quanto per lui incomprensibile nostalgia. Gli occhi dei serpenti di pietra lo inquietavano, non tanto per il loro sguardo maligno e vigile, quanto per quella strana sensazione che essi gli premevano sul cuore, come se quelle serpi di pietra volessero scavare dentro di lui alla ricerca di qualcosa che non capiva.

Scosse il capo, cercando invano di allontanare quella fastidiosa sensazione, e si gettò su per la scala di pietra, lasciandosi alle spalle quel luogo così cupo, eppure così familiare. Non capiva. Che cos’ erano quei ricordi che premevano sul suo cuore… era un compito così semplice quello che doveva portare a termine, eppure perché gli sembrava di violare quelle mura? Perché si sentiva così sbagliato? Perché quegli occhi di pietra con il loro sguardo accusatorio non lo abbandonavano?

Quando raggiunse la cima della scala, si abbandonò contro la pietra dell’arcata traendo un profondo respiro. Non era più così sicuro di quello che stava facendo… perché? Aveva degli ordini. Il suo signore aveva comandato. Doveva farlo, ma perché quel dolore a premergli sul cuore? Cos’erano quei ricordi che trasudavano dalle mura del castello? Cos’erano? Perché gli sfuggivano? Riprese lentamente il controllo del suo respiro, forzandosi ad allontanare quei pensieri confusi e brucianti. Accese nuovamente la bacchetta e spiò oltre lo spigolo del muro, a destra e a sinistra, controllando che anche quel corridoio fosse vuoto. E lo era, fatta eccezione per la lunga fila di quadri appesi alle pareti. Almeno, i soggetti in essi rappresentati dormivano della grossa: il loro russare riempiva tutto il corridoio.

L’uomo prese un lungo respiro, focalizzandosi sul suo compito. Non poteva lasciarsi sopraffare da quelle strane sensazioni, non doveva combattere con sé stesso. Doveva andare avanti.

Voltò a destra, procedendo in fretta lungo il corridoio. Il suo obiettivo si trovava nell’altro lato del castello, doveva soltanto percorrere quel corridoio fino alla fine e quindi voltare a sinistra. Avanzava a passo svelto, ma in silenzio, lasciando dietro di sé soltanto il frusciare silenzioso del manto nero, il cappuccio ancora calata sul viso. Nascondeva la bacchetta tra le pieghe del mantello, facendo in modo che la sua luce azzurra illuminasse a malapena il pavimento innanzi ai suoi piedi. Non poteva arrischiare di svegliare i ritratti.

Delle voci lo fecero sobbalzare. Si premette contro la parete fredda del corridoio e spense la bacchetta in attesa che le persone a cui appartenevano quelle voci se ne andassero.

Duefantasmi emersero improvvisamente dal muro, a poca distanza da lui. Chiacchieravano amabilmente tra loro ed erano talmente presi dalla loro conversazione, che superarono il corridoio e  attraversarono il muro dall’altra parte senza guardarsi minimamente intorno.

L’uomo rimase qualche istante a guardare il punto in cui le due figure bianco-lattee erano scomparse quindi riprese il suo cammino con maggiore cautele e accelerò ancora di più il passo.  Quei maledetti ricordi tornarono a premere nella sua mente. Maledetti… gli avvolgevano i pensieri come una nebbia, era come se la sua mente cercasse disperatamente di aggrapparsi a qualsiasi cosa gli accadesse intorno per… per cosa? Quelle mura trasudavano storia, ricordi… cose gli appartenevano, che erano parte di lui, ma perché? Che cos’erano?  

Era talmente sovrappensiero che, quando arrivò alla fine del corridoio e voltò a sinistra andò a sbattere contro qualcosa di duro e gelido. Il rumore metallico rimbombò nel corridoio vuoto, facendo fermare il cuore all’uomo incappucciato. Le strane sensazioni che lo avvolgevano svanirono all’istante non appena quel rumore raggiunse le sue orecchie. Aveva urtato un’armatura. Nel buio, non l’aveva vista, fortunatamente, era ben salda su un piedistallo e aveva semplicemente ondeggiato un po’ prima di tornare in posizione eretta, muta sentinella.

“Dannazione.” Imprecò in un sussurro.

“Chi va là?” Rombò improvvisamente una voce. L’uomo sussultò e si infilò tra l’armatura e il muro, stringendosi più che poteva. Una lanterna si avvicinava in fretta, rossa, fugace fiamma tra le nebbie del buio. La reggeva un uomo magro, con una lunga, vecchia vestaglia giallastra. La luce della fiamme gli illuminava gli occhi scuri e scavava profondi solchi nel viso magro.Un traghettatore d’anime trapassate, nella nebbia oscura del corridoio. La gatta dagli occhi gialli e scheletrica seguiva il suo padrone silenziosamente, tallonandolo da vicino, immancabile.

“Lo so che sei lì.” Ruggì Argus Gazza, avanzando a passi svelti.

L’uomo incappucciato strinse più forte la bacchetta, deciso a schiantare il vecchio custode se fosse stato necessario.

Gazza si avvicinò ancora, fino a trovarsi davanti all’armatura dietro cui era nascosto l’uomo in nero, mimetizzato tra le ombre. Il custode si fermò, guardandosi intorno sospettoso, il naso arcuato fremente, assaporando già il profumo di una punizione. La luce della lanterna ondeggiò verso l’armatura brunita riflettendosi su di essa. Il custode aveva fiutato la sua preda, un sorriso sdentato si formò sul suo viso scarno.

“Ti ho trovato, piccolo delinq-”

“Oblivion.” Sussurrò l’intruso, puntando la bacchetta contro il custode in camicia da notte.

Gazza rimase confuso per qualche istante. Mss Purr guardò il suo padrone incuriosita, miagolando appena come a chiedergli cosa stesse succedendo, e attirandone così l’attenzione. Gazza volse lo sguardo su di lei e il viso si addolcì in un attimo.

“Vieni, tesoro. Continuiamo il nostro giro.” Disse con voce mielata, quindi si allontanò voltando l’angolo, la gatta che lo seguiva ancora sospettosa.

Quando entrambi ebbero voltato l’angolo e si furono allontanati abbastanza, l’uomo in nero uscì dal suo nascondiglio. Rimase qualche istante pensieroso, c’era così tanta confusione nella sua testa… non capiva. Sapeva, però, di avere un compito da portare a termine, il Signore Oscuro era stato chiaro: doveva portarglielo. E così avrebbe fatto.

Riprese ad avanzare in fretta lungo il corridoio finchè non si trovò innanzi al grande gargoyle di pietra che sorvegliava l’entrata alla torre del preside. Vi si fermò dinnanzi, osservando la creatura di pietra, illuminata dalla luce incantata di due torce ai suoi lati, un guardiano invincibile di pietra e fuoco. Lo sguardo del gargoyle si posò sulla figura ammantata di nero davanti a lui, guardandola con sospetto, in attesa.

L’uomo sperò che Silente non avesse cambiato la parola d’ordine in quei giorni. Prese un respiro profondo, quindi provò: “Api frizzole.”

Il guardiano di pietra rimase qualche istante ad osservarlo, il sospetto ben visibile nel suo sguardo di pietra, ma poi si scostò di lato, permettendo l’accesso all’uomo misterioso sul cui viso, in ombra, ora si apriva un largo, appagato sorriso.

Balzò sulle scale di pietra e le salì in fretta, ce l’aveva quasi fatta. Si bloccò di fronte alla porta dell’ufficio del preside, quel luogo trasudava strane sensazioni, ancor più che le mura del castello.

Stava per appoggiare la mano sulla maniglia d’ottone, quando si fermò. Che cosa stava facendo? Albus… Quello era l’ufficio di Albus. Come poteva permettersi di fare una cosa del genere? Stava oltraggiando quel luogo… non poteva fare una cosa del genere.

Sì che puoi.

Sibilò una voce malvagia nella sua testa.

Hai una missione da compiere, mio servo fedele. Ricorda. I ricordi sono dolore. Il dolore è solo un ricordo.

L’uomo scosse il capo. Quella voce era una lama tagliente di ghiaccio che gli devastava la mente. Voleva che smettesse… faceva male… si strinse il capo tra le mani. Sentì una presa stringersi più forte su di lui, una morsa, una catena che gli imprigionava la mente. Un serpente dalle spire di fuoco che devastò ogni sensazione dentro di lui, ogni ricordo… finchè non rimase altro che i suoi ordini, i suoi ordini impressi a fuoco nella mente.

La terribile morsa sulla sua mente si era allentata, ma il dolore continuava a divampare come un incendio dentro di lui. Il dolore… ricordava il dolore… solo dolore… e Lui. La sua voce.

Abbassò la maniglia, facendo scattare la serratura. Socchiuse la porta e il russare profondo dei ritratti dei vecchi presidi raggiunse subito le sue orecchie. Sbirciò all’interno dello studio, assicurandosi che tutti i ritratti dormissero della grossa, quindi scivolò nell’ufficio, socchiudendo la porta alle sue spalle.

Adocchiò subito il suo obiettivo. Lassù sullo scaffale, in alto vicino al vetro piombato della finestra, c’era il Cappello Parlante.

Facendo attenzione a non fare troppo rumore, l’uomo afferrò la scaletta che serviva a raggiungere i piani più alti della libreria e salì alcuni scalini per arrivare all’altezza del Cappello. Tese le mani per afferrarlo, ma quando stava per toccare la vecchia stoffa, la piega della bocca del cappello si aprì in un sorriso.

“Vuoi rapirmi?” Gli domandò il Cappello, facendolo sussultare.

L’uomo non rispose, ritirò le mani e rimase ad osservare il vecchio cappello polveroso senza sapere cosa dire.

“Ah. –Fece il Cappello. –Non è me che Lui vuole, è così? Ma ciò che Lui cerca io non posso dargli.” Disse in un sussurro, le pieghe degli occhi puntate nello sguardo scuro del ladro. Questi non lo ascoltò, e allungò nuovamente le mani verso di lui.

“Sei sicuro di ciò che stai facendo?” Chiese il Cappello, costringendo nuovamente l’uomo a fermarsi.

“Il mio Signore lo desidera.” Sibilò appena in risposta, senza rendersi pienamente conto di ciò che stava dicendo.

“Non posso impedirti di agire. –Disse il Cappello seriamente. –Ma non lasciare che la sua oscurità ti distrugga. Non lasciare che lui possieda la tua mente. Non dimenticare.”

“I ricordi sono dolore.” Rispose il ladro, con una nota triste nella voce.

“Ah. –Fece ancora il cappello, assumendo un’espressione pensierosa. –Non tutti, mio caro ragazzo. C’è anche affetto, amore, felicità nel tuo passato. Non lasciare che tutto ciò svanisca.”

“Io… -Tentò di dire l’altro. –Io non posso.”

“Sì che puoi. Ne hai la forza. Combatti.” Disse il Cappello.

“Non posso.” Concluse il ladro, quindi afferrò il Cappello Parlante mentre questi si lasciava andare un sospiro sconsolato. Lo arrotolò in fretta e stava per nasconderlo sotto il mantello che…

“Ehi tu!” Esclamò una voce.

Il ladro si voltò. Il preside Phineas Nigellus lo guardava dalla sua cornice, gli occhi ancora offuscati dal sonno, ma colmi di sorpresa.

 “Che cosa stai facendo?!” Chiese il ritratto, confuso e indignato.

Il ladro lo guardò, spaventato. Si cacciò il Cappello sotto il mantello, quindi balzò giù dalla scaletta e sfrecciò verso la porta.

“Fermo!- Gli urlò dietro Phineas, mentre l’altro usciva dall’ufficio. –Al ladro! Al ladro!”

Le urla di Phineas Nigellus svegliarono tutti gli altri ritratti, tra borbottii e sbadigli. Il preside Dippet si stiracchiò e aggiustò la barba, mentre gettava un’occhiata indignata al suo vicino di cornice.

“Hanno rubato il Cappello!” Spiegò Phineas, vedendo gli sguardi interrogativi dei suoi colleghi. Al che, nell’ufficio si sollevò un tale chiacchiericcio che, probabilmente, si sarebbe sentito in tutto il castello.

“Che cosa succede qui? Che cos’è tutto questo chiasso?” Chiese improvvisamente una voce. Albus Silente era appena entrato nell’ufficio, svegliato dal frastuono delle voce sorprese e indignate dei suoi predecessori, ed ora se ne stava lì, appena al di qua del quadro di Hogwarts, nella sua meravigliosa vestaglia blu con i boccini e le nuvole.

“Hanno rubato il Cappello.” Gli disse Phineas Nigellus, il pizzetto nero fremente di indignazione.

“Che cosa?!” Esclamò sorpreso Silente. Fece alcuni passi nello studio e alzò lo sguardo verso il luogo dove solitamente si trovava il Cappello. Lo scaffale era vuoto. Chi? Chi poteva essere stato? Perché rubare il Cappello?

“Armando. –Fece Silente al preside Dippet, senza allontanare lo sguardo dallo scaffale. –Va nel tuo ritratto nell’ufficio di Minerva. Dille di venire qui in fretta e di chiamare anche gli altri Capo Casa, e anche Poppy Chips.”

Il vecchio preside dalla barba bianca, a punta, annuì rigidamente e lasciò la sua cornice.

Quindi Silente si rivolse agli altri presidi.

“Voi altri, svegliate i ritratti del castello, dite loro di avvertire di fantasmi. Qualcuno avverta il signor Gazza, che chiuda tutti gli ingressi del castello. Andate!” Ordinò duramente. Tutti i presidi sciamarono dalle loro cornici dirigendosi in ogni angolo del castello.

Silente rimase ancora qualche istante a fissare lo scaffale vuoto, quindi si sedette stancamente sul suo scranno. Chiuse gli occhi, pensieroso, massaggiandosi le tempie con movimenti circolari delle lunghe dita. Il chiacchiericcio intorno a lui era svanito insieme ai presidi. Era rimasto solo il preside Serpeverde, Phineas Nigellus.

“Per fortuna mi sono svegliato.” Disse Phineas dal suo ritratto con un’aria di superiorità. –Ho sentito dei rumori e… il ladro potrebbe ancora essere nel castello. E’ scappato non appena ha saputo di essere stato scoperto. Come ha fatto ad entrare?”

“Per favore, Phineas. –Disse Silente con un sospiro, aprendo gli occhi blu. –troveremo risposta a queste domande. Ora, però, aspettiamo gli altri.”

“E il ladro?” Chiese allora Nigellus.

“Se è ancora nel castello, i fantasmi lo troveranno.” Rispose Silente.

“Se è entrato indisturbato, uscirà altrettanto tranquillamente, fidati.” Borbottò Phineas, ma Silente non lo ascoltava più, troppo preso a chiedersi perché. Perché qualcuno avrebbe dovuto rubare il Cappello. Non aveva alcun valore, se non quello storico, né possedeva peculiari qualità magiche. Era semplicemente un cappello parlante. Perché? E chi? Chi poteva volere il cappello? Per farne cosa?

Qualcuno bussò alla porta, allontanandolo dai suoi pensieri.

“Sì. Avanti, avanti.” Disse stancamente.

Minerva McGranitt entrò nell’ufficio; capelli neri sciolti sulle spalle, stretta nella sua solita vestaglia scozzese. La seguivano Pomona Sprite in una vestaglia bruna, il viso rubicondo oscurato da un’ombra di preoccupazione; il piccolo professor Vitious e Horace Lumacorno con i lunghi mustacchi tremolanti. Chiudeva la fila Poppy Chips con i capelli grigi legati in fretta e la vestaglia rossa gettata sulle spalle. Tutti avevano uno sguardo misto tra il preoccupato, l’indignato, e l’interrogativo e fissavano il preside.

“Allora, Albus. Che cosa è successo? Perché tutto questo spiegamento di forze.” Domandò Minerva, accorata.

“A quanto pare, Minerva cara, -Disse Albus senza riuscire a trattenere il suo solito sorriso. –Abbiamo subito un furto.”

I professori e l’infermiera si scambiarono sguardi confusi e preoccupati.

“Come?” Chiese Minerva.

“Vedi, Minerva…” Cominciò Silente, ma Phineas lo precedette.

“Hanno rubato il Cappello Parlante.” Disse diretto.

I professori sussultarono a quelle parole, Albus potè vedere la sorpresa in loro.

“Che cosa?” Eslamarono i professori, quasi all'unisono.

Silente non rispose. Levò una mano e la agitò con un gesto ampio verso lo scaffale su cui si trovava il Cappello. I professori seguirono il suo gesto. Vuoto. Il Cappello non c’era più.

“Com’è possibile, Albus?” Domandò allora Lumacorno riportando lo sguardo sul preside. “Come è entrato il ladro? Perché il Cappello?”

Albus prese un lungo respiro.

“Non conosco la risposta a queste domande, Horace, mi dispiace. Tuttavia, mi trovo sorpreso. Mai, mai avrei sospettato che qualcuno intendesse rubare il cappello.” Disse Silente tranquillamente.

“Penso che nessuno avrebbe mai potuto aspettarselo. –Concordò Minerva. –Insomma, si tratta di un vecchio cappello, dopotutto. Pensi ci possa essere tu-sai-chi dietro?” Domandò poi.

Silente scosse il capo. “Non lo so. –Disse. –Ma non lo escludo, anzi, penso proprio di sì.”

“Ma perché?” Intervenne allora Filius Vitiuos.

Albus lo guardò cupamente. “Non lo so.” Disse sinceramente.

“Non possiamo trarre nulla di buono da questa storia. –Disse Madama Chips.- C’è qualche possibilità di acchiappare il ladro?”

“Se c’è, è molto remota. –Rispose Albus. –E’ qualcuno che conosce molto bene il castello. Come è entrato può essere già uscito.”

“L’ho beccato io.” Intervenne allora Phineas Nigellus, attirando l’attenzione dei professori su di sé, gonfiando il petto con alterigia.

“Spero di avergli fatto venire un infarto. L’ho beccato proprio mentre si ascondeva il Cappello sotto il mantello.” Aggiunse lisciandosi il pizzetto.

“Meglio che non giri troppo la voce. –Disse Albus, ignorandolo. –Anche se, immagino, domattina lo saprà già tutta la scuola, il Ministero e relativa Gazzetta del Profeta.” Aggiunse con un sorrisetto ironico.

“Albus. –Disse una voce. Armando Dippet era appena tornato nel suo ritratto. –I fantasmi battono i corridoio e i ritratti tengono gli occhi aperti. Tutte le entrate e i passaggi segreti sono stati chiusi, ma del ladro non c’è traccia.”

“Grazie, Armando.- Disse Silente. –Anche se dubito di riuscire ad acchiapparlo, manteniamo lo ‘stato di emergenza’, almeno fino all’alba.”

Dippet annuì rigidamente, facendo ondeggiare la barba bianca, quindi sparì di nuovo dalla tela.

Un silenzio carico di domande invase l’ufficio, non appena Dippet se ne fu andato. Tutti, da Silente alla Sprite, erano pensierosi, ognuno cercando di trovare risposta alle domande. Era tutto così strano, così inaspettato…

Poi, negli occhi di Minerva McGranitt brillò una scintilla, la scintilla di un’idea che era sfuggita all’arguto Silente. Ma non poteva essere lui il ladro… non lui… non era possibile.

“Phineas. –Disse la professoressa. Il ritartto la guardò attendendo la domanda che stava per venire.

“Sei riuscito a vedere il viso del ladro?” Domandò Minerva.

Phineas si grattò distrattamente la barba. “Beh, teneva il cappuccio abbassato. Ma poi, quando l’ho chiamato si è voltato verso di me e…” Si fermò. Si fermò perché il ricordo di quegli occhi spaventati dalla sua voce riemerse improvviso. Due occhi neri, brillanti… subito non ci aveva fatto molto caso, ma ora che ci rifletteva, conosceva quegli occhi. Due occhi che solo ora riusciva a ricondurre ad un viso ben noto.

“…E?” Lo incalzò Minerva.

“Bhe… -Balbettò Phineas, ancora lui stesso incapace di crederci.- Era Severus.”

 

*******


Uh, che faticaccia per questo capitolo! L’ho riscritto due volte prima della versione difinitiva, spero possiate capire e perdonarmi per il ritardo. Ed è venuto anche bello lungo.

Spero abbiate gradito tutti i vari cameo che ci ho infilato. Gazza, Mrs Purr, Phineas, Filius e Pomona, Dippet. Mi sono divertita un po’. C’è una piccola imprecisione, ma spero possiate capire. Dippet, in realtà era ancora vivo e vegeto nel 1981. Da quanto sappiamo, da La Camera dei Segreti, Dippet va in pensione intorno al 1955, lasciando il posto a Silente, alla veneranda età di 318 anni. Sappiamo, dalla Gazzetta del Profeta, che Dippet, famoso per le sue scarse abilità nel volo, che nel 1992, si schiantò contro una tale Felickaria Tugwood che cadde dalla scopa. Nello stesso anno, dovette  fare un test di volo a causa della sua età avanzata.  

Quando Harry e Ron vengono visti dai Babbani volare sulla Ford Anglia, Dippet venne inizialmente accusato dalla gente al loro posto e la sua scopa venne confiscata. Quindi, nel 1992 era ancora vivo e vegeto.

Piccole precisazioni. Mi scuso, ma avevo bisogno di un altro preside oltre a Phineas e gli altri non li conoscevo bene. Spero che la cosa non vi dia fastidio… povero Armando, però: l’ho fatto schiattare oltre un decennio prima.

Lucius non avrebbe dovuto esserci, ma è comparso. Boh, voleva fare la sua apparizione e gliel’ho permesso anche i pensieri del Silly sono in più. Forse quella parte è un po’ ridondante, ma… è andata così.

Se ci sono errori di battitura, scusatemi in anticipo. Ho dato solo una rilettura veloce.

Bene, e abbiamo anche scoperto chi è il ladro. La domanda che rimane è: che cosa se ne fa Voldy del Cappello??? Lo saprete nelle prossime puntate. XD

Ciao a tutti!
 
 
 

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Capitolo 32
*** Solo un vero Grifondoro ***


Capitolo 32
 

SOLO UN VERO GRIFONDORO



“Albus, -Disse la professoressa McGranitt, osservando il collega fare su e giù nel suo ufficio. –Io non capisco…” Scosse il capo sconsolata.

Silente fermò il suo avanti e indietro e si voltò lentamente verso di lei, le acque del suo sguardo rese grevi dal petrolio nero della preoccupazione che imbrattava la lucentezza del pelo dei segugi blu.

“Nemmeno io, Minerva.” Le disse sinceramente.

I suoi pensieri tornarono per un attimo alla nottata precedente. Tutto il parapiglia che era seguito alla scoperta del furto… la notte insonne colma di domande senza risposta…  Nessuno, dal più piccolo dei ritratti del castello, ai fantasmi, ai professori si era risparmiato quella notte, avevano battuto tutto il castello, bloccato tutte le uscite, ma non era valso a nulla. Il ladro era svanito nella notte così come era comparso nel castello. Un’ombra, inafferrabile e silenziosa. Albus, d’altra parte, non se ne meravigliava. Severus conosceva il castello bene quasi quanto lui, sapeva come muoversi, conosceva tutti i passaggi segreti e, soprattutto, conosceva in anticipo le mosse del preside, sapeva quali corridoi avrebbero controllato per primi, sapeva quali entrate avrebbero chiuso subito… come avrebbero potuto catturarlo? Quando avevano realizzato che il ladro era lui, quando Phineas aveva detto il suo nome ancora colmo di incredulità, era stato troppo tardi.

“Perché Severus?” Chiese la McGranitt facendo un passo verso il preside, interrompendo lo scorrere dei pensieri di questi. Albus alzò lo sguardo blu verso di lei.

“Suppongo tu intenda: come ha potuto Severus rubare il Cappello.” Disse con un sorriso.

“Quello che ti pare, Albus.” Fece la professoressa, irritata, agitando la mano verso il mago.

“Non credo agisse per sua volontà.” Le disse l’altro, portando le mani ad unirsi dietro la schiena. Era una cosa su cui aveva meditato a lungo in quelle ore insonni. Severus non avrebbe mai, mai, rubato qualcosa alla scuola di sua volontà.

Minerva scosse decisa il capo, incapace di credere che… no, Albus non stava davvero suggerendo quello. Non Severus.

“Oh no, Albus, non  suggerirlo neppure.” Disse decisa.

“Mi limito a valutare tutte le possibilità. E il fatto che Severus possa aver rubato il Cappello per Voldemort di sua spontanea volontà non fa parte delle dette possibilità.” Rispose Silente gettando un’occhiata brillante d’azzurro all’amica.

Minerva parve pensierosa per un attimo, poi disse: “E il fatto che potrebbe averlo rubato di sua iniziativa non è una possibilità?” Azzardò.

Albus la guardò gravemente per qualche istante, parve vagliare per un istante quell’ipotesi e Minerva osò sperare di aver trovato un’alternativa a… non riusciva neanche a pensarci… a quello. Ma tutto le sue speranza svanirono in uno sbuffo quanto vide il preside scuotere tristemente il capo.

“Non è possibile, Minerva. –Disse Albus. –Supponendo che Severus agisse di sua iniziativa, perché rubare il Cappello? Se non era sotto l’influenza di Voldemort, così come è entrato nel castello, poteva chiedere di avere il Cappello. Se fosse stato così, sarebbe stato libero.”

“Ma, Albus… -Intervenne la McGranitt. –Non puoi pensare che sia-”

“Sotto Imperius?- Concluse il vecchio preside. –Non c’è altra spiegazione.” Concluse aprendo le braccia con fare sconsolato.

“E Lily?- Domandò allora la professoressa, sedendosi stancamente sulla sedia di fronte alla scrivania del preside. –Deve saperlo.”

Silente la guardò profondamente per qualche istante, poi annuì deciso. “Sì. Lo deve sapere. Mi pare di essermi già comportato abbastanza male con quella ragazza.”

“Decisamente.” Commentò sarcastica la McGranitt corrugando appena le sopracciglia.

“Posso chiedere che cosa hai intenzione di fare, Albus?” domandò Minerva.

Silente si voltò lentamente verso di lei, prese un profondo respiro poi disse: “Cosa fare. –Ripetè. –Questa è una buona domanda.”

“Smettila di recitare, Albus. –Gli disse duramente la McGranitt. –Lo so che hai un piano. Mi risulterebbe molto difficile credere il contrario.”

Albus sorrise furbescamente aggiustandosi appena gli occhiali a mezzaluna sul naso. Gli occhi azzurri scintillavano come non mai al di là delle lenti, il loro brillio sagace enfatizzato dal vetro curvo. Oh sì, aveva un piano. Un piano folle, per la verità, ma l’unico che gli fosse venuto in mente. Prima, però, doveva aggirare l’ostacolo Ordine della Fenice, visto che i suoi compagni difficilmente gli avrebbero permesso di fare di nuovo di testa sua, ma per questo aveva già una scappatoia: si chiamava Minerva McGranitt e stava proprio lì davanti a lui, bastava soltanto guidare bene il discorso.

“Minerva, Minerva… -Disse con fare ostentatamente indifferente, spiando la professoressa con raggi appena accennati di blu. –Tu cosa consigli?”

La McGranitt lo guardò stupita, la bocca semi aperta nella sorpresa.

“Come sarebbe ‘cosa consigli’, Albus!- Esclamò indignata. –Sei tu la mente. Sei tu ad avere sempre la giusta risposta. Ci siamo sempre rivolti a te nel dubbio.”

“Ah. –Fece allora Silente. –Pensavo di aver perso quella posizione dopo la birichinata dell’altra sera.” Concluse con un sorriso mellifluo.

“Brichinata…” Ripetè la McGranitt in un sussurro, valutando per un attimo quella parola che sentiva così stonata.

“Per favore, Albus.- Disse poi decisa, alzandosi in piedi. –Questo è giocare scorrettamente.”

Albus Silente si lasciò andare ad una risata sogghignante, divertito dall’espressione indignata che si era dipinta sul viso della McGranitt. Si grattò distrattamente il naso, senza cancellare il sorriso che gli incurvava la barba candida.

“D’accordo, d’accordo. –Fece poi, alzando le mani con i palmi rivolti in avanti come a rallentare l’avanzata degli eventi stessi, come a cercare di fermare quella marea per scandagliare il fondo del mare alla ricerca di eventuali elementi che gli fossero sfuggiti. –Non posso dire di avere un piano. C’è ancora qualcosa che mi sfugge e senza quel tassello non posso collegare gli eventi. Mi manca la chiave, Minerva.”

“La chiave ce l’ha il Signore Oscuro, Albus.” Gli fece allora notare la professoressa.

“Sì, è vero. Ma c’è qualcosa che…- Cominciò Albus, guardò l’aria vuota come a cercare la parola giusta in essa, poi scosse il capo. –Non so.”

“Albus?” Fece la McGranitt, cercando di strappare qualche parola all’amico e collega. Una qualsiasi cosa… non le piaceva rimanere lì, così, in bilico senza sapere cosa fare. Non era una bella sensazione. Albus doveva avere un piano, una risposta. Albus aveva sempre un piano… sapeva sempre cosa fare…

“Come è messa la mia nomea tra gli altri dell’Ordine?” Si informò il preside, gettando un’occhiata cupa alla professoressa.

“Male. –Disse duramente la McGranitt, poi si aggiustò gli occhiali sul naso e trasse un sospiro. –In ogni caso, suppongo che siano disposti a confidare ancora in te. Dopotutto, il tuo geniale cervello è l’unico in grado di srotolare la matassa.” Concluse con tono sarcastico.

Albus sorrise apertamente, divertito. “Invero.” Disse, gonfiando il petto con aria scherzosamente arrogante. Volse lo sguardo azzurro, scintillante di nuova luce ai raggi appena sussurrati dell’alba che filtravano attraverso gli spessi vetri delle finestre. Lo allontanò per un attimo dalla professoressa ancora in vestaglia, per posarlo sulla fedele fenice. Guardò quei neonati fasci di luce bianca, silenziosi e indifferenti spettatori, concentrare la loro attenzione sulle vermiglie piume di Fanny, tacitamente appollaiata sul suo trespolo. Li osservò accarezzarne le penne con dita d’argento facendole avvampare di fuoco, mentre Fanny godeva del loro tocco gli occhi dorati fissi in quelli blu del suo padrone come soli sorgenti da quei mari blu. Silente sorrise, era il momento di far scattare la trappola, Minerva non avrebbe avuto scampo.

“Minerva, -Disse Silente, senza scostare lo sguardo dalla fenice, -Ti spiacerebbe contattare gli altri membri dell’Ordine? Urge una riunione straordinaria.”

La professoressa fece un passo avanti. “Un momento, Albus…” Cominciò, ma Albus la interruppe spostando velocemente lo sguardo su di lei.

“Dì loro che si trovino a Villa Silente, tutti, tra un’ora.” Continuò Silente con voce profonda senza dare alla McGranitt modo di ribattere.

“Albus…” Tentò la professoressa, ma l’altro non diede segno di averla sentita.

“Non contattare Lily e gli altri che sorvegliano i Malfoy, non possiamo permetterci di lasciarli senza protezione. Non c’è altro modo. Non credo che Lucius ci permetterebbe di riunirci a casa sua, e poi Brix farà da intermediario.”

“Albus! -Lo rimproverò la McGranitt riuscendo finalmente a guadagnare l’attenzione del preside . – Tu sei la contraddizione fatta persona. Lo sai questo? Hai appena detto che dirai tutto a Lily e poi non le permetti di presenziare ad una riunione tanto importante?”

“Dimmi cos’altro posso fare? –Fece allora Albus, aprendo le braccia con aria rassegnata, ben sapendo che il suo piano stava andando a buon fine. –Voldemort sa di Malfoy, ci metto la mano sul fuoco. Intende punirlo e per punire lui colpirà la sua famiglia. Cosa devo fare io? Dimmelo.”

“Non possiamo fare una riunione. –Gli disse duramente la McGranitt. –Capisco che sarebbe la cosa giusta nei confronti dell’Ordine, confrontarti con loro prima di prendere una decisione, soprattutto dopo l’altra sera. Ma non possiamo aspettare ancora.”

Silente la guardò per qualche istante, soppesando le sue parole. E brava Minerva, dritta nella trappola. Si poteva proprio dire che aveva messo il gatto, anzi, la gatta nel sacco.

“Suppongo, -disse Albus trattenendo a stento il sorriso. –che dovrò prendere in mano io la situazione, allora.”

“Non vedo altra soluzione. Parlerò io con gli altri, se è questo che vuoi.” Si propose Minerva.

Silente trasse un lungo sospiro, sorridendo tra sé e sè. Inutile dire che era esattamente ciò che voleva, se di una cosa si vantava era della sua abilità nel giocare con le parole.  Era proprio lì che voleva arrivare. Proporre la riunione ben sapendo che non ce n’era il tempo, lasciando a Minerva la responsabilità della cosa…. Se qualcuno si fosse lamentato, lui avrebbe potuto nascondersi dietro il fatto che aveva democraticamente proposto la riunione e che poi era stata Minerva McGranitt a convincerlo a fare altrimenti. Si sentiva un po’ in colpa, quello sì. Non era molto carino nei confronti di Minerva, ma era l’unico modo per fare di testa sua pur mantenendo l’appoggio dell’Ordine.

“Molto bene. Parla con gli altri dell’Ordine. -disse allora alla McGranitt. -Soprattutto Alastor e Aberforth, vedi cosa ne pensano. A questo punto, vagliando bene le possibilità, una riunione non è possibile. Hai ragione tu. Parla con loro, cerca di capire se sono disposti a fidarsi ancora una volta.”

“Se mi chiedono cosa hai intenzione di fare, cosa rispondo?” Chiese allora la McGranitt dopo un lieve cenno d’assenso.

Gli occhi di Silente scintillarono per un attimo, poi, il preside disse: “Non intendo lasciare Severus un giorno di più nelle mani di Voldemort. Il tempo dei sotterfugi è finito. Faremo l’unica cosa che Lui non si aspetta: attaccheremo Villa Riddle.”

Minerva lo guardò stupita per qualche istante, non se lo aspettava. Era un’idea tanto folle quanto geniale, in effetti, Voldemort non si sarebbe mai aspettato un attacco frontale, si stava crogiolando tra i tiepidi fumi della vittoria, e quando era sicuro di vincere, Tom Riddle abbassava le difese.

“Ci saranno decine di Mangiamorte, questo lo sai vero?” Disse la McGranitt.

“Sì. –Concordò Silente, -Ma Tom, e tu questo lo sai bene quanto me, avrà abbassato le difese. Crede di avermi battuto, crede di aver ottenuto tutto, crede di aver già vinto, ma così facendo scoprirà il fianco. Non c’è altra soluzione, Minerva. Se vogliamo salvare Severus dobbiamo entrare nella tana del lupo. Anzi, è il caso di dirlo, del Serpente.”
 

***
 

“Te lo chiedo ancora: sei sicuro di ciò che stai facendo?”

Quella voce roca, diversa come appartenesse a tempi lontani, perduti nel nero, continuava a riecheggiare nella sua mente mentre attraversava svelto i corridoi cupi e asfittici di Villa Riddle. Severus fece scattare il capo in un gesto nervoso come a cercare di scacciare quella voce dalla sua testa, gettarla via, fuori dai suoi pensieri, continuò a tenere gli occhi neri puntati al pavimento, occhi che non vedevano, occhi che non capivano, vuoti a guardia di una coscienza rinchiusa nel profondò, prigioniera di catene maledette che le la stringevano come spire di un serpente. Eppure quella coscienza lottava, lottava strenuamente per liberarsi. Premeva su quelle catene, artigliandole, mordendole, ferendosi in quello scontro vano, accanendosi su quel carceriere serpentino con tutta la forza della disperazione, ma non serviva a nulla.

No, non sapeva quello che stava facendo, sapeva solo che doveva farlo. Sentiva soltanto quelle catene stringerlo costringendolo ad avanzare lungo quei corridoi bui tenendo saldamente il Cappello Parlante sotto il braccio sinistro.

Il suo signore desiderava quel Cappello. Il suo signore voleva quel cappello e lui glielo avrebbe consegnato, non poteva fare altro. Era vuoto. Quella lucida scintilla di consapevolezza che ancora brillava dentro di lui, lui stesso la aborriva. Faceva male dare addito alla voce di quella scintilla, faceva male ricordare, capire sapendo che non poteva fare nulla per fuggire. Perché costringersi a rendersi conto?

“Perché tu non sei quello che Lui vuole che tu sia.” Rispose la voce del Cappello nella sua testa.

Severus si stupì ad udire quelle parole. Sussultò, scosso dal dolore che quella voce spandeva nella sua mente.

“E cosa sono?” Osò domandare, senza nemmeno capire cosa stesse dicendo.

“Tu sei Severus Piton. –Gli rispose il Cappello. –Non dimenticare chi sei. La Sua maledizione è potente, ma tu sei più forte, lo hai già dimostrato.”

“Io non so chi sono. Io sono al posto giusto.” Disse allora Severus.

Il Cappello grugnì scettico. “Al posto giusto, dici?- Ripetè. –E allora perché ti sento dibattere come un animale in trappola? Sento il tuo cuore, e non è corrotto nonostante il veleno delle Sue parole. Non ignorarlo solo perché ti fa male. E’ lì il tuo vero io, Severus Piton, e su di esso non ha alcun appiglio la maledizione.”

“Quale maledizione?” Chiese Severus, scuotendo il capo senza capire. Non capiva, lui stava facendo la cosa giusta. Era il servo del suo signore e il suo signore voleva il cappello. Di quale maledizione stava parlando? Perché diceva quelle cose? Perché sentiva di dover combattere contro catene inesistenti… perché si sentiva così? Sprazzi di coscienza, che non capiva se appartenevano a lui o ad altri, a volte lo avvolgevano. Ricordi familiari eppure sconosciuti si affacciavano sul suo cuore. E poi il buio, il vuoto, la tregua, l’ansimare della sua anima nel tentativo di riprendere fiato dopo la lotta vana. Il buio e la voce sibilante, gelida che invadeva la sua mente e lo stringeva a sé.

Il Cappello non parlò più. Sospirò, soltanto un sospiro, poi tacque mentre il giovane si fermava di fronte ai due pesanti battenti del portone nero, guardati a vista dalle due torce infernali. Non erano le porte del salone vuoto dove Voldemort aveva posto il suo trono, ma quelle altrettanto imponenti di quella che era stata la sala da pranzo, dove ora si tenevano le riunioni dei Mangiamorte. Le porte si spalancarono innanzi a lui con un rumore sordo, autoritario, come uno scattare sull’attenti di guardie nere e imponenti. Al di là vi era una sala vuota, se non per un enorme tavolo di noce, pesante, dalle gambe finemente intagliate. Il ripiano talmente lucido da specchiare il soffitto a cassettoni. Ai suoi lati v’erano due file di sedie, dieci per lato, più due ai capi tavola, e, in fondo alla stanza un enorme camino di pietra, spento. Tutta la stanza era invasa dalla luce smorta e pallida dell’alba che permeava dai finestroni con languide voci e nenie spettrali. E poi quella voce.

“Ah, Severus!- Esclamò Lord Voldemort allargando un sorriso sottile, là seduto solennemente a capo tavola, le spalle rivolte al camino. –Ti attendevo. Vieni.” Aggiunse, levando una mano bianca con eleganza e facendo cenno al giovane di entrare.

Severus fece alcuni passi nella sala, il tocco dei suoi stivali sulla pietra echeggiò sulle pareti vuote inseguendo sé stesso in una corsa folle, mischiandosi al boato del portone quanto esso si richiuse costringendo Severus in quella prigione fredda di nulla.

I suoi occhi si posarono sull’altra persona presente nella stanza. Solo una. Un ometto tremante, rannicchiato su sé stesso, si premeva contro il muro, quasi nel tentativo di sparire in esso, a distanza di sicurezza da Lord Voldemort a cui non evitava di lanciare occhiate terrorizzate come se si aspettasse di essere colpito da un momento all’altro. Squittiva a balbettava parole incomprensibili tra sé e sé spandendo nella stanza uno strano sottofondo sonoro che non faceva che ampliare la cappa di terrore che vi aleggiava. Severus lo guardò con occhi vuoti, indifferenti, per un istante, poi portò nuovamente la sua attenzione su Voldemort.

 “Bene, Severus. Ottimo lavoro. –Disse questi con voce mielata. –Mostra dunque il nostro ospite.” Lo invitò poi con un lieve cenno della mano bianca, indicò la lucida tavola nera.

Severus estrasse il Cappello da sotto il braccio e lo poggiò davanti a sé con un gesto meccanico, all’estremità del tavolo opposta a Voldemort. Quindi fece qualche passo indietro e rimase in piedi a poca distanza dal Cappello come una guardia silenziosa.

Voldemort osservò a lungo il vecchio cappello, stancamente posato sul legno scuro, la punta incurvata in giù.

“Bene, bene. –Sogghignò infine Voldemort. –Quanto tempo è passato. Benvenuto nella mia umile dimora.”

 “Benvenuto è una parola grossa, signor Riddle.” Disse improvvisamente il Cappello rivelando le pieghe degli occhi e della bocca.

Voldemort rise a quelle parole, ridacchiò di una famelica allegria, mentre guardava il suo ospite, e il suo volto era una maschera malvagia si cera bianca alla luce delle candele. Un fantasma ammantato di nero, un cadavere pallido in quella sala gelida, un cadavere dal volto irridente, malvagio.

“Come siamo prevenuti. –Fece Voldemort, ostentando un falso dispiacere di fronte alle parole del Cappello. –E io che intendevo essere gentile.”

Il Cappello inclinò appena la linea della bocca in una smorfia.

“Vedo che la tua ipocrisia non è calata in tutti questi anni, Tom Riddle. –Disse il Cappello. –Mi chiedo se è davvero questo che volevi. La tua arroganza e ambizione hanno distrutto il ragazzino che conoscevo. Hanno imbavagliato il tuo cuore, Tom Riddle. Era questo che volevi?”

Voldemort ridacchiò appena a quelle parole, divertito.

“Via, via. –Disse. –Non è il momento delle prediche, né tu hai il potere di farle a me, vecchio cappello. Io,- Fece con tono solenne portando le mani al petto ad indicarsi, -io sono andato oltre chiunque altro nella conoscenza della magia. Ho sondato i suoi mari, esplorato le sue sale più oscure… io sono il più grande mago mai esistito e non sarà un vecchio cappello sdrucito e polveroso a farmi la paternale. Era quello che volevo, chiedi? Sì, ti rispondo.”

Il Cappello si lasciò andare a un strano grugnito, sollevò appena la piega del sopracciglio come ad analizzare l’essere serpentino che aveva davanti.

“La tua stessa arroganza ti acceca, Tom Riddle. Hai sondato sentieri molto pericolosi, ti sei perso nel loro labirinto. Non hai alcun potere al di sopra di altri, sei solo un ragazzino perso nel buio che si nasconde dietro una facciata di falsità.” Disse il Cappello. E quelle parole parvero segnare una breccia nelle difese del Signore Oscuro, parvero alimentare le fiamme dei suoi occhi in una vampata d’ira. Voldemort si alzò di scatto dal suo scranno spingendolo indietro. Si appoggiò con le braccia al tavolo protendendosi in avanti come un serpente pronto ad attaccare sotto gli sguardi, l’uno impassibile, l’altro terrorizzato, di Severus e Minus.

“Folle!- Sibilò il Signore Oscuro. –Nessuno può stare al mio pari! Nemmeno Albus Silente! Nella sua arroganza ha creduto di potermi battere, ma io l’ho umiliato, sconfitto, distrutto!”

“Attento a non crogiolarti troppo nella tua onnipotenza. –Lo avvertì il Cappello, con voce pacata. –Albus Silente pecca di arroganza esattamente come te, è vero, ha intrapreso le tue stesse vie, ma a differenza di te ha saputo fare dietrofront. E questo lo rende un mago migliore di te.”

E Voldemort rise. Rise forte, dando voce ad una risata che penetrò a fondo nelle ossa degli spettatori di quello strano dibattito. E strano era davvero, a vedersi. Una tavolata vuota, in una sala piena di luce gelida, e i due duellanti al centro. Ben starni duellanti a dire il vero: da un lato il più potente e terribile mago oscuro della storia, dall’altro un vecchio cappello polveroso.

“Questa battuta mi è piaciuta davvero.” Commentò Lord Voldemort, sulla bocca le ultime gocce di riso. Si sedette nuovamente sulla sedia, lasciandosi andare comodamente contro lo schienale.

Gettò un’occhiata a Severus, ancora immobile, in piedi all’altro capo del tavolo, ritto e immobile come una statua.

“Che ne dici, Severus?- Fece Voldemort. –Non è divertente? Albus Silente un mago migliore di me…” Disse poi sovrappensiero posando gli occhi distrattamente sulla sua mano bianca, il palmo posato sul tavolo nero in un contrasto forzato.

Severus guardò il suo signore per un istante senza rispondere.

“Lo è, mio signore.” Disse infine con voce atona.

Voldemort parve compiaciuto da quella risposta. Giocherellò un po’ col bordo del tavolo, quindi alzò gli occhi vermigli sul Cappello e socchiuse le labbra pallide in un ghigno.

“Sentito?- Fece. –Anche i seguaci stessi di Silente lo credono inferiore a me.”

“Non hai il diritto di fargli questo.” Disse semplicemente il Cappello.

Voldemort sollevò appena le sopracciglia, senza capire. Poi, però, comprese ciò che intendeva dire il Cappello. Guardò Severus, analizzandolo, studiandolo per qualche secondo, poi portò nuovamente gli occhi sul Cappello.

“Lui è mio, vecchio. –Gli disse mellifluo, accennando a Severus. –Lui stesso ha scelto me tre anni fa. Il mio marchio segna la sua carne. Io sono il suo signore, ciò presuppone che abbia il diritto, anzi, che mi sia dovuta la sua obbedienza.”

“Così debole, Tom Riddle, da dover ricorrere alla maledizione Imperius per assicurarti la fedeltà dei tuoi seguaci?” Chiese sarcastico il Cappello allargando appena il sorriso.

Voldemort lo guardò senza rispondere, il fuoco rosso della rabbia fiammeggiante nei suoi occhi, il sorriso mellifluo sostituito da una linea retta, decisa, terribile. Pareva tremare, l’Oscuro Signore, sotto gli scrolloni dell’ira che avvampava dentro di lui. Quell’inutile cappello stava diventando decisamente irritante. Debole! Come osava quel pezzo di stoffa essere tanto sfacciato? Debole!

“E credi, nella tua arroganza, che possa bastare?- Continuò il Cappello.- Credi che queste tue catene siano infrangibili? Beh, mi dispiace deluderti, ma non è così. Tanto è arida la tua anima che non comprendi il potere di sentimenti quali lealtà e amore, ed essi, credimi, sono lame infrangibili che tutto recidono, anche i fili e le manette della magia oscura.”

“Basta!” Ordinò il Signore Oscuro, in uno scatto facendo sobbalzare Codaliscia che squittì spaventato nel suo angolo, ripiegandosi ancora di più su sé stesso, azzittendosi improvvisamente. Lui non voleva essere lì. Perché il Signore Oscuro lo aveva voluto lì?

“Sono stufo delle tue ciance, vecchio cappello. Sei stato portato a me per un motivo, non certo perché mi facessi la predica!” Ruggì con voce tagliente, come se il suo suono fosse formato da note appuntite, lame di ghiaccio che ponevano fine a qualsiasi altro suono.

“Sei pazzo se pensi di ottenere da me ciò che cerchi. –Gli disse il Cappello, tranquillamente, ponendo fine al dominio di quel silenzio gelido. –La tua magia ha già corrotto molti nobili oggetti, Tom Riddle. Credi davvero di poter raggiungere ciò che custodisco?”

Voldemort continuò a ridere a quelle parole, poi gettò al Cappello un’occhiata gelida, seppur così colma di fiamme rosse.

 “Sei tu il folle. –Sibilò. –Avrò ciò che voglio. Io ho ottenuto tutto, io ho battuto Albus Silente e ora, a breve, egli riceverà il colpo di grazia. Non può fare nulla come non puoi fare nulla tu, vecchio cappello.”

“Le tue mani sono sudice di  sangue, Tom Riddle. Non ti sarà concesso di toccare la spada.” Disse allora il Cappello.

Voldemort lo guardò con fare arrogante. E così il cappello sapeva ciò che voleva. Lo sapeva, ma, d’altronde, non era così difficile indovinarlo. La Spada di Grifondoro. Era quello che voleva. Era l’oggetto che cercava, l’oggetto perfetto per portare a compimento la sua strada verso l’immortalità.

“Oh, ma davvero?” Fece con voce falsamente mielata.

“Codaliscia!” Esclamò poi improvvisamente facendo sussultare la figura rannicchiata nell’angolo, al buio, tremolante come un topo in gabbia.

L’ometto gettò un’occhiata spaventata verso il Signore Oscuro, quindi si alzò su gambe malferme e fece alcuni passi verso di lui tenendo gli occhietti acquosi puntati al pavimento.

Il Cappello sollevò appena la piega dell’occhio con fare interrogativo mentre guardava quel patetico ometto strisciare verso il suo signore. Severus osservava la scena con sguardo distaccato, vuoto, in attesa.

Il Signore Oscuro gettò un’occhiata disgustata a Codaliscia, gli fece cenno di avvicinarsi ancora e l’altro eseguì, tremebondo, terrorizzato, il panico che lo rivestiva come un mantello permeando in profondità nella sua carne.

“Ho sempre pensato che avere un Grifondoro tra i miei sarebbe servito un giorno.” Spiegò Voldemort al Cappello con un sorriso. Quindi si rivolse di nuovo a Peter Minus.

“Prego, Codaliscia. –Lo invitò indicando il Cappello con un gesto ampio del braccio. –A te l’onore di estrarre la spada.”

Codaliscia deglutì, quindi si avvicinò con passetti incerti al Cappello. Esitò nel momento in cui si trovò accanto ad esso, le mani tese nel vuoto, le dita si ripiegarono su sé stesse, tremanti. Chiuse gli occhi per un istante, troppo spaventato per muoversi, pietrificato dal panico che lo attanagliava.

“Devo aspettare a lungo?” Fece Voldemort, sarcastico.

Codaliscia gettò un’occhiata acquosa verso di lui, poi spostò lo sguardo su Severus, impassibile, a poca distanza da lui, come a cercare una sorta di supporto, un gesto di incoraggiamento che non sarebbe mai arrivato. Deglutì ancora, cercando di farsi forza, tese di nuovo le mani e, questa volta, riuscì ad afferrare il Cappello. Lo sollevò dal tavolo sotto lo sguardo terribile e pieno d’aspettativa del Signore Oscuro, quindi guardò di nuovo Severus, insicuro, avrebbe voluto sparire, diventare invisibile, sentiva la punta della spada di Damocle premere contro il suo capo, pronta a calare su di lui.

Voltò il Cappello e vi infilò dentro una mano tozza, gli occhi serrati, sperando fortemente di riuscire ad afferrare la spada, di sentire il freddo dell’impugnatura sotto le sue dita. Annaspò all’interno, cercando disperatamente la spada, premette a fondo la mano agitandola a destra e a manca, passando le dita sulle pareti di stoffa del cappello, ma v’era solo il vuoto. La spada non c’era.

“No.- mormorò Codaliscia, nel panico- No!”

“Allora?” Fece la voce gelida di Voldemort.

Codaliscia deglutì un’altra volta, rumorosamente. Si voltò verso il suo signore tremando vistosamente, sentendo la sua condanna pesare su di lui, marchiarlo con lettere cubitali.

“I-io…io…i…” Balbettò, premendo ancora a fondo la mano nel cappello cercando disperatamente quella spada, l’unica sua salvezza dall’ira di Voldemort.

E gli occhi di Voldemort erano ridotti ormai a due fessure, vomitanti fuoco, ira, tanto possente da far tremare l’aria intorno a lui, tanto terribile da spaventare anche Severus che si scoprì a fare un passo indietro involontariamente.

Il movimento fu tanto svelto che Severus a malapena se ne accorse.  Soltanto un lesto, terribile lampo di luce smeraldina che saettava verso l’ometto che squittiva terrorizzato. Soltanto un fascio verde, inarrestabile ladro di vita che sfrigolava di magia nera. Soltanto due parole, sputate con tutta la noncuranza e la rabbia che macchiavano le labbra di Voldemort.

“Avada kedavra!”

Severus vide la maledizione colpire Codaliscia in pieno petto. Lo vide cadere indietro, colpendo il pavimento di legno della sala come un pupazzo senza vita, il Cappello vuoto ancora stretto tra le dita tozze, spasmodicamente ritorte nella presa, gli occhietti da roditore spalancati e vitrei.

Severus rimase qualche istante a fissare quegli occhi vuoti. Guardò il corpo senza vita di Codaliscia riverso sul pavimento senza riuscire a provare alcuna emozione.

Voldemort ansimava nella sua ira, cercando di riprendere il controllo. La mano stretta sulla bacchetta, tremante di rabbia non repressa, e anche lui fissava il corpo di Peter Minus, lo guardava con occhi ancora luccicanti di ira. Si alzò di scatto, rischiando di rovesciare la sedia, e si avvicinò, scivolanto silenziosamente, al cadavere. Lo guardò dall’alto con disgusto, eppure con un sadico sorriso sulle labbra.

“Severus.” Disse, alzando lo sguardo sul giovane.

“Mio signore.” Disse allora questi, trattenendo in sé la paura che provava.

“Ho un incarico per te.- Spiegò Voldemort con voce ancora irata. Fece alcuni passi verso di lui finchè non si trovò a poche decine di centimetri dal ragazzo, gli occhi infuocati ad illuminarne il volto.

“E’ ora di sistemare la faccenda Malfoy. Trovali. Uccidi Narcissa e il bambino, ma Lucius lascialo in vita. E portami il giovane Potter.” Disse allora Voldemort.

“Il giovane Potter, mio signore?” Azzardò Severus.

“Si trova a Villa Malfoy. Portalo da me.” Sibilò l’Oscuro Signore, mentre si voltava con un ondeggiare delle ampie vesti, senza vedere il cenno d’assenso che gli rivolgeva Severus.

“Quanto alla spada…- Sussurrò poi Voldemort, fissando il cappello tra le mani rigide di Codaliscia. – Dopotutto, anche il cappello è un oggetto interessante…”
 

*******

 

Va bene, ora voi sicuramente mi darete torto, ma questo capitolo mi ispira poco. A parte l’ultima parte, il resto mi pare un po’, un po’ tanto, tirato per le orecchie, tanto per scrivere qualcosa. A meno, questa è la mia impressione.

Non posso dire, comunque, che sia stato un capitolo facile, anzi. In ogni caso, la parte di Silente mi sembra vuota, senza colore, non so come spiegarmi… vabbè, non sono riuscita a tirar fuori di meglio, perdonatemi.

La parte con Voldemort e il Cappello è stata un Calvario. Che diavolo si dicono Voldy e il Cappello? Ho passato ore a scervellarmi, e non è venuto fuori un granchè purtroppo. L’unica cosa che è venuta bene è la parte con Codaliscia. Tra l’altro, penso che sia proprio la fine che meritava: anonima e inutile.

E Sev mandato a punire i Malfoy? Povero ragazzo… tutto a lui capita. Bella punizione per Lucius, poi: vedersi annientata la famiglia…

Va bene, mi raccomando, aspetto i vostri commenti.

Alla prossima!
 
 
 
 
 

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Capitolo 33
*** Il Principe e i Malandrini ***


Premessa. Vi avverto subito che questo capitolo è lungo. Molto lungo. Più lungo di quanto fosse previsto. Quindici pagine di Word. I più lunghi fino ad adesso erano stati di dodici pagine, per cui...

Volevo dividerlo a metà, ma purtroppo non c’è un punto che possa fare da linea di demarcazione tra le tue parti. Se l’avessi diviso avrei spezzato la tensione in due, annientandola. Per cui, purtroppo, vi tocca sorbirvi questo malloppone. Scusatemi.

 

*******

 

Capitolo 33
 

IL PRINCIPE E I MALANDRINI



Lord Voldemort osservò a lungo il vecchio cappello da mago che teneva fra le mani. Lo accarezzò, analizzò, gustò in ogni sua piega, in ogni sua toppa. I suoi occhi di fuoco rilucevano di strane scintille di libidine, di compiacimento, profondo, dolce. Dolce, come il sapore della vittoria ormai imminente. Il Signore Oscuro sorrise mellifluo. Ormai tutto stava per compiersi. Il suo fedele servo avrebbe messo a tacere quel verme traditore di Lucius Malfoy e gli avrebbe a breve consegnato l’ultimo tassello per il suo meraviglioso mosaico del trionfo.

Si rigirò ancora il Cappello tra le mani. Non aveva bisogno della spada, dopotutto. Ciò che gli serviva era un oggetto speciale, l’ultimo possesso dei Fondatori di Hogwarts non ancora toccato dalla sua magia oscura. Se non poteva avere la spada di Godric Grifondoro, ne avrebbe comunque avuto il cappello. Anzi, il cappello era un simbolo ancora più importante della spada. Non era solo un cimelio dei Grifondoro, era un simbolo per tutta la scuola di Hogwarts. Cosa poteva esserci di meglio?

Sorrise ancora, seduto a capotavola nella sala vuota, convivio di fantasmi silenziosi. Il Cappello Parlante in grembo. Ora doveva solo attendere. Attendere che Severus gli consegnasse il bambino. Il piccolo Harry Potter. L’ultimo passo verso l’immortalità.

***

Lily si sistemò meglio sul comodo divanetto bordeaux nel salottino di Villa Malfoy. Il piccolo Harry giocava sul tappeto davanti a lei, tutto preso dal cercare di acchiappare un bel modellino di un ippogrifo dorato che gli galoppava intorno. Aiutato nell’impresa da Sirius Black che rideva dei tentativi vani del bimbo.

Lily sorrise. Le sembrava di essere tornata indietro nel tempo, quando Sirius e Remus venivano a trovare lei e James e giocavano con il piccolo Harry divertendosi come bambini, tanto che spesso era arrivata a chiedersi chi tra i Malandrini e Harry fosse il vero bambino.

Tuttavia, non riusciva ad essere felice. Non riusciva a godere della rinnovata vicinanza con il suo bambino. Ogni volta che le sembrava di ritrovare un po’ di serenità, il ricordo di Severus la invadeva di amarezza, cancellando il sorriso dal suo volto, o rendendolo semplicemente una triste smorfia. Non poteva trovare la serenità senza Severus, a meno che non fosse riuscita a rinunciare a lui, ma questo non lo avrebbe mai fatto. Mai.

La notizia che Severus aveva rubato il Cappello Parlante, che probabilmente era sotto Imperius… era… non riusciva nemmeno a pensare a come dovesse sentirsi ora Severus. Probabilmente neanche sapeva cosa stava facendo. Era costretto da quelle catene maledette, proprio come diceva la profezia, era stato costretto a rubare il Cappello. Come si sarebbe sentito quando avrebbe compreso ciò che faceva? Quando avrebbe compreso che era di nuovo stato costretto ad obbedire agli ordini di quel pazzo assassino?

Remus si sedette sul divano accanto a lei rivolgendole un sorriso dolcemente incoraggiante.

“Si sistemerà tutto, vedrai.” Le disse, mischiando le parole a quel sorriso calmo.

Lei gli sorrise di rimando, poi portò nuovamente gli occhi sui due, perché erano due, bambini davanti a lei. Sirius aveva acchiappato l’ippogrifo sotto gli occhi delusi di Harry e ora stava cercando di farlo volare. Tuttavia, convincere un ippogrifo, seppur giocattolo, a volare non era così semplice e la piccola creatura continuava a divincolarsi tra le dita del giovane.

“Sei ancora decisa a fare… quello che intendi fare?” Chiese Remus a Lily, serio.

“Sì.” Rispose Lily altrettanto decisa.

Remus sospirò tristemente, guardando distrattamente il piccolo ippogrifo sfuggire alla presa di Sirius e balzare vicino alle ginocchia di Harry.

“Non credi sarebbe meglio parlarne con Silente?- Propose Remus riportando gli occhi d’ambra su Lily. –Se è vero ciò che ha detto Minerva, che intende attaccare direttamente Villa Riddle, che motivo c’è di muoverci da soli?”

Lily trattenne appena una risata quando vide Harry balzare letteralmente addosso a Sirius per riappropriarsi del suo giocattolo. Giocattolo nuovamente sequestrato dal giovane, deciso a fargli spiegare le ali e che tentava di allontanare il più possibile la mano che reggeva l’ippogrifo dalle manine tese del bimbo.

“Smettila, Sirius. Dagli quel giocattolo.” Lo rimproverò Remus.

 “Voglio farlo volare!” Disse Sirius in sua discolpa, guardando Remus mentre Harry si arrampicava su di lui per raggiungere il giocattolo tenuto ben in alto da Sirius.

“Ti pare il momento di litigare con un bambino per un giocattolo?” Continuò Remus.

Harry borbottava arrabbiato mentre tentava in tutti i modi di raggiungere l’ippogrifo.

“No. Mio!” Stava dicendo il bimbo, imbronciato.

“Sirius, daglielo.” Disse freddamente Lupin.

“E va bene, va bene.” Sbuffò allora Sirius. Quindi abbassò il braccio e aprì il palmo liberando l’ippogrifo. Harry vi si tuffò sopra agguantando il giocattolo con un risolino felice. Si sedette sul tappeto, felice, e lasciò andare l’ippogrifo, che prese a pulirsi tranquillo le piume sotto lo sguardo scintillante del bimbo. Sirius guardò il giocattolo contrariato, quindi incrociò le gambe e continuò a fissare quello stupido coso lisciarsi le sue piume fittizie, decisamente quel giocattolo ce l’aveva con lui.

Lupin si lasciò sfuggire un sospiro soddisfatto, quindi tornò a rivolgersi a Lily.

“Non hai risposto alla mia domanda, Lily.” Le ricordò, guardandola seriamente.

La ragazza si voltò lentamente verso di lui, il sorriso di poco prima misteriosamente scomparso per lasciare posto ad un’espressione cupa, decisa.

“Non intendo abbandonare Severus nelle mani di Voldemort.” Gli disse sinceramente.

Lupin sospirò. Chinò la schiena poggiando i gomiti sulle ginocchia.

“Nessuno intende abbandonarlo. –Le disse amaramente. –Lily, Silente ha dimostrato di essere deciso a portarlo via da là. Andrà tutto bene.” Le posò dolcemente una mano sul braccio, stringendo appena per infonderle un po’ di calore, un po’ di speranza, ma gli occhi verdi di Lily rimasero scuri.

Rimase in silenzio per qualche istante, poi scosse violentemente il capo, facendo ondeggiare i lunghi capelli rossi.

“Se Silente attacca Villa Riddle, Severus sarà in pericolo, non lo capisci questo?” Fece, volgendo gli occhi verso Lupin che la guardava sorpreso.

“Perché dici così?” Chiese Remus e notò che anche Sirius si stava interessando alla loro discussione dopo essersi arreso di fronte all’evidenza che l’ippogrifo dorato preferiva Harry a lui.

“Se Severus è sotto Imperius, contro chi credi che combatterà?- Disse Lily tristemente. –Se Voldemort lo costringe ad attaccarci… se…” Scosse il capo senza riuscire a terminare la frase.

“No. –Disse poi risoluta, riacquistando il comando della propria voce. –Dobbiamo portalo via da lì prima che l’Ordine attacchi. Non voglio che gli succeda qualcosa. Di nuovo.”

Lupin la guardò con occhi tristi. Non poteva dire che non gli dispiacesse per Severus. Sentire dalla voce di Minerva McGranitt che Severus era sotto Imperius, che aveva rubato il Cappello… non aveva potuto non provare pena per Severus. Non poteva incolparlo per nulla. Certo, la domanda: perché aveva rubato il Cappello? Era un enigma irrisolvibile, ma ciò che sentiva premere dentro di sé era quel senso di obbligo verso Severus, sentiva dentro di sé il desiderio di aiutare quello che non poteva definire un amico, ma comunque una persona che aveva fatto molto per l’Ordine. Un ragazzo sempre stato accantonato, evitato… esattamente come lui.

Remus gettò un’occhiata fugace a Sirius. Negli occhi azzurri dell’amico vide un tale affollamento di pensieri discordanti che non riuscì a cogliere cosa realmente stesse pensando. Da una parte, sapeva che Felpato avrebbe ben felicemente lasciato Severus nelle mani di Voldemort, che non gli importava più di tanto della sua sorte. Dall’altro lato, però, coglieva l’amicizia profonda che lo legava a Lily e che lo portava a volerla aiutare in ogni modo possibile, e questa cosa si scontrava con i suoi sentimenti per Severus creando un tale guazzabuglio nella mente di Sirius da impedirgli di prendere una posizione chiara, e infatti, ancora non aveva commentato il piano di Lily. Sirius aveva ancora bisogno di una spinta verso l’una o l’altra parte.

Qualcuno bussò educatamente alla porta, interrompendo i pensieri di Lily e Remus.

“Sì, avanti.” Disse quest’ultimo voltandosi verso la porta.

La maniglia scattò e Brix sbirciò all’interno del salottino. Rimase qualche istante a guardare i tre ragazzi e il bimbo che giocava sul tappeto con la mano dalle dita affusolate appoggiata al legno scuro della porta, quindi fece un passo all’interno e si richiuse la porta alle spalle.

Non portava più il suo gilè rosso, né il berretto sul capo, ma un semplice, logoro pezzo di un vecchio lenzuolo, cosa che lui sembrava decisamente non gradire visto l’espressione irritata sul suo viso rugoso.

“Brix, come sei elegante!” Esclamò improvvisamente Sirius Black con un ampio sorriso, guadagnandosi un’occhiata di fuoco da parte dell’elfo.

“Spero che questa mascherata abbia un senso. –Borbottò Brix avanzando nella stanza. –E’ ridicolo. Io sono un elfo libero! Libero! Non metto più queste robe da decenni!” Esclamò poi mostrando il lenzuolo sgualcito che lo copriva e agitando platealmente le braccia magre.

Harry guardava il nuovo arrivato incuriosito, quasi divertito dall’agitazione di quella piccola creatura ossuta dalle grandi orecchie. Brix gli rivolse un sorriso, allontanando per qualche istante l’irritazione.

“Ciao, Harry.” Gli disse gentilmente, guadagnandosi in risposta un largo sorriso.

“Sei qui per aiutarci a tener d’occhio mister e missis biondo platinato, Brix.- Gli ricordò Sirius. –Come tutti noi devi adeguarti ai loro standard.”

“Ai loro standard?!- Ripetè irritato Brix, quindi afferrò un angolo della veste per indicarla a Sirius. –Questi sono gli standard di Albus Silente! Per mischiarmi agli altri elfi domestici… e ancora non riesco a capire come diavolo abbia fatto a convincermi!”

Lily sorrise dolcemente all’elfo.

“Su, Brix. Non sarà per molto.” Gli disse tranquillamente e l’elfo le sorrise di rimando.

“Dove sono i Malfoy?” Si informò Remus.

“Il signor Malfoy è nel suo studio. La signora Narcissa qui di fianco, nella nursery col piccolo Draco.” Rispose allora Brix indicando col capo la porta dietro di sé e incrociando le braccia nude sul petto.

“Tutto tranquillo?” Chiese Sirius.

“Non vola una mosca.”

Sirius alzò gli occhi verso Remus. “Ormai è il tramonto. – disse accennando col capo alla finestra dalla quale filtravano i pochi raggi vermigli che riuscivano a fendere le nubi.- Meglio riprendere le nostre postazioni, che dici?” Gli chiese.

“Sì, io vado di sotto. Tu fa il tuo gir-” Gli rispose Lupin, ma non poté finire la frase che un schiocco frizzante provenne dal giardino, giusto al di là della grande finestra.

“Ehi, ma che…?” Remus fece per alzarsi, ma Sirius lo precedette balzando in piedi e dirigendosi verso la finestra. Scostò le tende quel poco che bastava per avere una buona visuale e controllò ogni angolo del giardino che i suoi occhi potevano cogliere, analizzando ogni siepe, ogni ombra allungata dal sole calante, ma non vide nulla di strano.

“Vado a controllare.” Disse poi, per niente rassicurato da ciò che aveva visto. Quindi avanzò a grandi passi verso la porta e uscì prima ancora che Lily riuscisse a trattenerlo, e la giovane rimase con la bocca semiaperta a guardare la porta chiusa.

***

Severus lanciò un incantesimo di disillusione sull’elfo domestico che aveva appena schiantato dietro una siepe perfettamente curata. Controllò che il corpicino dell’elfo diventasse completamente invisibile, quindi balzò silenziosamente oltre di esso e voltò in fretta l’angolo della casa. Si premette contro il muro freddo proprio nell’istante in cui l’ombra di un uomo si affacciava alla finestra, probabilmente Lucius aveva sentito lo schiocco dell’incantesimo.

Scivolò silenzioso come un’ombra lungo il muro, controllando che non ci fossero altri elfi nei paraggi. Continuò il suo cammino spiato soltanto dal rosso porporino del sole morente, approfittando delle lunghe ombre che si proiettavano nel giardino. Conosceva bene quella casa, non sapeva quante volte era stato ospite dei Malfoy, ma di certo un buon numero, abbastanza da sapere come entrare indisturbato.

Continuò ad avanzare verso la prima finestra che sia apriva su quel lato della villa, le spalle premute contro il muro della villa, mischiandosi alle ombre degli alberi potati del giardino. Quando fu a poca distanza dalla finestra, più piccola delle altre, sbirciò cautamente all’interno. La stanza al di là era vuota, immersa nella caligine della sera. Si allontanò di un passo dal muro, ponendosi di fronte alla finestra ed estrasse la bacchetta.

“Alohomora.” Sussurrò. La maniglia scattò all’interno, e la finestra si aprì silenziosamente quel tanto che bastò perché Severus potesse infilare la mano tra le due ante e aprirla del tutto.

Balzò sul davanzale di marmo con il movimento elegante e silenzioso di un gatto, quindi scese da esso poggiando silenziosamente gli stivali sul pavimento. Richiuse la finestra con cura e si guardò intorno per capire dove si trovasse. E si trovava nel bagno di Villa Malfoy, un’ampia stanza con una vasca da bagno a dir poco monumentale al centro incavata nel pavimento, alle pareti, ad un attaccapanni d’ottone, erano appesi alcuni accappatoi, ma questo non importava a Severus insieme col fatto che fosse tutto perfettamente scintillante e lucido. Severus non si soffermò più di tanto su quella stanza che profumava di un lieve aroma di lavanda, sapeva dov’era, era tutto ciò che importava, e sapeva bene come orientarsi.

Attraversò il bagno e socchiuse appena la porta, sbirciando al di là, nel corridoio. Tutto silenzio. Gli elfi domestici, probabilmente erano tutti indaffarati a preparare la cena, eccetto per quello che aveva incontrato nel giardino. Quasi sicuramente Lucius era nel suo studio, e Narcissa… Narcissa o era nei suoi appartamenti, oppure nella nursery insieme al piccolo Draco.

Uccidi Narcissa e il bambino, ma Lucius lascialo in vita.

Rimaneva solo da scoprire dove fosse il piccolo Potter… pazienza. Avrebbe pensato a lui più tardi.

Scivolò nel corridoio e voltò subito a sinistra. Conosceva bene Villa Malfoy. Molto bene. Sapeva come muoversi, conosceva le abitudini della famiglia… sapeva tutto. Sapeva che la nursery si trovava al piano di sopra, non molto lontano dalle camere da letto e sapeva anche che era dal lato opposto rispetto all’ufficio di Lucius. Perfetto. Doveva solo sperare che Narcissa e Draco fossero là.

Continuò a procedere nel corridoio freddo, silenzioso, diretto alle scale. Quando fu a pochi metri da essi, il rumore di passi che si affrettavano giù dalla scalinata lo fece sobbalzare. Si premette contro il muro bianco, nascosto dietro l’angolo dell’arcata che dava sull’immenso ingresso di marmo, il respiro mozzato. Si nascose tra le foglie di stucco che ne decoravano la superficie, celandosi tra fronde pietrificate. Sbirciò appena al di là dell’arcata e fece in tempo soltanto a vedere il portone richiudersi con un tonfo, nascondendo con un sorriso sarcastico colui che l’aveva appena superato.

Severus riprese lentamente a respirare. Rilassò i muscoli allontanando le spalle dal muro gelido, rimase qualche istante a guardare il portone chiuso, respirando lentamente. Socchiuse appena le labbra lasciando che la tristezza gli avvolgesse i lineamenti, non sapeva da dove venisse quella fredda amarezza, ma non potè evitare che essa lo afferrasse. Si appoggiò stancamente al muro, le lacrime premevano contro i suoi occhi neri. Lacrime che non avevano per lui alcun senso. Non voleva andare avanti, non voleva uccidere… non voleva fare ciò che stava facendo. Voleva sparire. Deglutì, cercando di scacciare quella voce profonda che gli diceva di fermarsi. Non voleva farlo. Ma non poteva non farlo, doveva andare avanti, quelle catene stringevano. Facevano male. Alzò gli occhi scuri verso lo scalone, quasi a cercare una risposta incisa sul bianco marmo degli scalini. Guardò i due telamoni dell’ingresso, sperando di trovare nei loro occhi ciechi una parola, una parola qualsiasi che lo spingesse ad andare avanti, o a tornare sui suoi passi. Ma le due grandi statue tacquero, continuando a fissare il portone innanzi a loro con occhi vacui. Non voleva andare avanti, ma non poteva tornare indietro.

Si lasciò lentamente scivolare lungo la parete, fino a ritrovarsi scompostamente seduto a terra, sulle piastrelle a scacchi perfettamente lucide, la schiena poggiata al muro. Reclinò il capo all’indietro, trattenendo le lacrime. Gettò un’occhiata distratta al pavimento, cogliendo l’immagine di un giovane dai lunghi capelli neri che lo guardava con occhi supplicanti di un prigioniero che agogna alla libertà. Era lui quell’uomo? Quella era la sua immagine riflessa? Non era che un mago grottesco, un fantasma cupo che aleggiava, ospite indesiderato, indispettendo il candore della mattonella.

Rimase così per qualche istante. Sentiva la sua coscienza dibattersi disperata in lui, ma lui non poteva fare nulla. Non era padrone di sé stesso… non poteva tornare indietro. Con grande sforzo si rialzò asciugandosi velocemente le lacrime con la manica scura, pulendo i suoi occhi da quegli interrogativi d’argento, rendendoli nuovamente vuoti nella loro decisione. Lentamente, entrò nell’ingresso e cominciò a salire la scalinata in fretta, gli stivali neri che lasciavano soltanto un leggero fruscio dietro di loro.

***

Lupin si allontanò dalla finestra. Si voltò verso Lily scuotendo la testa mentre accompagnava il gesto con un sospiro.

“Sirius è uscito.” Le disse con voce atona.

Lily lo guardò per qualche istante, poi posò gli occhi sul piccolo Harry che continuava a giocare ignaro sul caldo tappeto.

“Forse è meglio che vada a dare un’occhiata anch’io.” Le disse Remus.

Lily annuì decisa. Qualunque cosa fosse successa, era meglio controllare. Loro erano lì per proteggere i Malfoy e non potevano permettersi errori.

“Sì. –Concordò la ragazza. –Io vado con Harry da Narcissa. Insieme a Brix.” Lanciò un’occhiata all’elfo che annuì deciso in sua direzione.

“E io vado ad avvertire Lucius.” Disse Lupin, e quindi uscì in fretta diretto verso l’ala opposta della villa.

Lily si trattenne ancora qualche minuto, pensierosa. Cosa doveva aspettarsi? C’era qualcuno nella casa? Qualcuno che intendeva fare del male ai Malfoy? Ma chi? Un Mangiamorte? Uno? Solo soletto? Se era solo uno lo avrebbero catturato in fretta, contando anche Narcissa e Lucius, erano in sei contro uno… rimase ancora qualche istante a rifletter, poi si chinò verso Harry. Sollevò dolcemente il figlio da terra e lo strinse a sé, reggendolo tra le braccia. Harry si accoccolò contro il suo petto stringendo ancora tra le dita il piccolo ippogrifo.

“Ora andiamo da Draco, Harry. –Gli disse dolcemente Lily. –Ok?”

Il bimbo le sorrise, stringendosi di più contro di lei. Quindi, Lily e Brix uscirono dal salottino. La nursery era poco lontana. Probabilmente Narcissa non sarebbe stata molto felice di vederli, ma non potevano lasciare lei e Draco da soli.

***

Severus era a poca distanza dalla porta scura che dava sulla cameretta di Draco, quando improvvisamente la porta del salottino, che aveva appena superato, scattò. Svelto, riuscì a nascondersi dietro i pesanti stucchi che decoravano la vicina finestra, sperando che chiunque fosse uscito da quella porta avrebbe voltato a sinistra, dandogli le spalle.

La porta si aprì di colpo e dal salottino uscì … Lupin?! Che diavolo ci faceva Lupin a Villa Malfoy? Questo complicava le cose. Se c’era Lupin, era altresì probabile che ci fosse anche Sirius Balck nei dintorni, dannazione!

Strani ricordi che sentiva appartenergli, anche se pensava che così non fosse, lo invasero per un attimo. Come faceva a conoscere il nome di quel ragazzo coi capelli biondi? Da dove usciva quel ricordo, quel nome? Lo conosceva? E Sirius Black… perché questo altro nome era saltato subito nella sua mente, improvvisamente collegato a quel giovane biondo? Chi era Sirius Black? Non conosceva nessuno con quel nome, nessun Lupin, nessun Black... eppure… eppure sentiva di conoscerli. Perché? Cos’era quella confusione nella sua mente?

Severus osservò il giovane biondo, preoccupato, angosciato più dal suo non capire che dall’essere scoperto. Lo vide richiudere la porta e allontanarsi verso le scale, dal lato opposto rispetto a lui, ignaro che lui si trovasse a pochi metri di distanza dietro la sua schiena. Severus tirò un silenzioso sospiro di sollievo e attese pazientemente che il giovane voltasse l’angolo, e come egli sparì alla sua vista, così fecero anche quegli strani ricordi che gli frullavano in testa, ma non quel nome, Remus Lupin. Quel ragazzo era Remus Lupin. Ma chi era Remus Lupin?

Scosse il capo, scacciando quei pensieri, quindi si volse verso la porta che aveva di fianco. Attraversò il corridoio, trovandosi di fronte ad essa, estrasse la bacchetta con fare deciso, quindi abbassò lentamente la maniglia dorata facendo scattare la serratura.

Aprì la porta e scivolò svelto all’interno, richiudendosi la porta alle spalle. Un sorriso appagato si formò sulle sue labbra di fronte a ciò che vide in quella stanza. Aveva visto giusto. Le sue prede erano lì, da sole e inermi.

Narcissa non ebbe nemmeno il tempo di formulare la frase indignata da quell’inopportuna invasione. Rimase lì, immobile, seduta sulla poltroncina con il piccolo Draco addormentato in grembo. Rimase lì, immobile, la bocca semiaperte, le parole congelate in gola, a fissare la figura scura che le puntava contro la bacchetta. Rimase lì, immobile, gli occhi puntati in quelli scuri dell’intruso, incapace di formulare un qualsivoglia pensiero, senza riuscire a capire.

Severus strinse più forte la bacchetta nella mano. Sopraffatto per un istante da vecchi dubbi. Guardò gli occhi spaventati, sorpresi della donna davanti a lui, sapendo che doveva ucciderla. Guardò quelle iridi azzurre sapendo di doverle spegnerle. Guardò il visino rubicondo del bimbo addormentato tra le braccai della madre sapendo che  si sarebbe più svegliato. E non gli importava. O sì?

“Severus…” Mormorò Narcissa, riprendendosi improvvisamente dalla sorpresa.  Non sapeva come comportarsi. Vedeva negli occhi neri di Severus la sua stessa condanna già scritta e firmata. La sua e quella di suo figlio. La sua bacchetta era nella tasca della veste, avrebbe fatto in fretta ad afferrarla, ma qualcosa la bloccava. Era lo sguardo di Severus a bloccarla, uno sguardo in cui ora poteva vedere chiaramente un’enorme sofferenza, un dolore profondo. Vedeva il vero Severus, laggiù, al di là delle parole malvagie che coprivano i suoi occhi neri. E vedeva la paura. La paura di dover uccidere di nuovo.

Narcissa fece per alzarsi in piedi, fronteggiare Severus, approfittando del suo attimo di smarrimento, ma il giovane fece scattare la bacchetta contro di lei, gli occhi tornati vuoti pozzi di nulla.

“Resta dove sei!” le intimò duramente, pur mantenendo la voce poco più alta di un sussurro.

Narcissa lo guardò in silenzio, senza sapere cosa fare. Doveva prendere la bacchetta, ma come poteva con quella di Severus puntata su suo figlio. Cercò di ripiegare sulla diplomazia. Dove diavolo erano i loro invincibili protettori?

“Perché sei qui?” Gli domandò.

Severus parve esitare per un attimo, ma poi il suo volto si fece di nuovo di pietra.

“Nessuno tradisce il Signore Oscuro. –Le disse con voce vuota.- Vedere la sua famiglia annientata sarà la punizione per Lucius. Lui sa.”

Narcissa sentì un brivido gelido scenderle lungo la schiena. Ecco a cosa aveva portato la testardaggine di Lucius. Ecco a cosa avevano portato le sue stesse sciocche decisioni. Chiuse gli occhi. Non poteva finire così. No. Nessuno avrebbe fatto del male a suo figlio. Nessuno. Tantomeno Severus. Severus, il suo padrino, il migliore amico di suo padre… no!

Fece per far scattare la mano verso la tasca della veste dove teneva la bacchetta, ma proprio mentre estraeva la bacchetta i riflessi di Severus scattarono.

“Expelliarmus!” Esclamò il giovane. La bacchetta schizzò via dalla presa ancora incerta di Narcissa, cadendo con un tonfo sul pavimento di legno.

Draco si svegliò di colpo, cominciando a guardarsi intorno spaventato. Posò i grandi occhi azzurri sull’uomo che teneva la bacchetta puntata su di lui. Lo guardò incuriosito e spaventato allo stesso tempo, poi sorrise. Sorrise riconoscendo nei lineamenti di quel giovane quelli del suo padrino che aveva visto tante volte, sulle cui ginocchia si era seduto tante volte. Sorrise. Ma non capiva perché sua madre lo stringesse così forte. Sentiva il cuore della mamma battere forte, spaventato, ma perché? Perché lo stringeva così? Quello era il suo padrino.

Severus si sentì fare a brandelli da quegli occhi azzurri, da quel sorriso innocente del bimbo. Quello era Draco. Era Draco, il suo figlioccio. Perché gli stava puntando contro la bacchetta? Perché… cosa stava facendo? Non doveva esitare. Doveva ucciderlo. Doveva uccidere lui e sua madre. Il Signore Oscuro lo aveva ordinato.

Strinse forte la bacchetta, deciso. Osservò con occhi freddi la madre e il figlio tenuto stretto fra le braccia. Nient’altro che bersagli immobili.

“Avada…” Cominciò, ma non fece in tempo a finire di pronunciare la maledizione che la porta si aprì di colpo, urtando la sua spalla e costringendolo ad indietreggiare abbassando la bacchetta.

***

Lily abbassò decisa la maniglia della porta, ancora presa dai suoi pensieri, reggendo fermamente Harry con un braccio. Brix la seguiva a pochi passi di stanza.

Spalancò la porta sovrappensiero, senza pensare minimamente a ciò che stava facendo, alla maleducazione che stava mostrando entrando così in una stanza, cosa che sicuramente Narcissa non avrebbe gradito. Tornò improvvisamente alla realtà quando si rese conto che la porta aveva urtato qualcosa. Una persona. Qualcuno che si trovava appena la di là della soglia e che era stato spinto indietro con forza. Lily colse un’ombra vacillare per un attimo e quindi aggrapparsi alla culla di Draco cercando di riacquistare l’equilibrio.

Per un attimo non capì, ma poi vide Brix balzare all’interno della stanza e posizionarsi davanti a Narcissa, che stringeva forte Draco a sé. La donna era girata di due terzi verso la grande porta vetro che dava sulla terrazza, volgendo le spalle verso Lily che si trovava sulla soglia con sguardo smarrito, e faceva scudo al piccolo Draco con il suo corpo.

Lily improvvisamente capì. Estrasse in fretta la bacchetta ed entrò nella stanza svelta, decisa. Harry tenuto stretto a sé con forza. Decisa a schiantare subito l’intruso, ma ogni sua convinzione si infranse quando vide il volto dell’uomo che si stava rialzando massaggiandosi la spalla colpita. L’intruso alzò gli occhi verso di lei, guardandola ferito, confuso, incredulo.

La ragazza si sentì morire di fronte a quegli occhi. Non poteva essere… non lui… no… Deglutì, la gola improvvisamente secca, svuotata, un deserto di sabbia, l’oasi verde dei suoi occhi inaridita dal buio di quegli occhi. Parole impronunciabili incastrate nella sua gola la ferivano, la tagliavano. Sentì i suoi occhi gonfiarsi di lacrime senza riuscire a trattenersi. La mano che stringeva la bacchetta lentamente scese, appena tremante. Non poteva essere… Severus… Il giovane la guardava sperduto, per un attimo ancora, incapace di capire ciò che doveva fare. Lily vide nei suoi occhi soltanto una disperata richiesta d’aiuto, quello stesso sguardo che aveva il Severus dei suoi sogni, ferito e supplicante.

“Severus…” Disse con voce rotta.

Il giovane continuava a guardarla. In piedi di fronte a lei, la bacchetta in mano, parallela al suo corpo. La guardava e non capiva. Chi era quella principessa dai capelli di fuoco? Sentiva un profondo calore spandersi in lui nel seguire i lineamenti di quella ragazza, ricordi cominciarono ad affollarsi dentro di lui, ma non erano onde di marea confuse e possenti, erano sbuffi tiepidi di vento che spazzavano via i vapori della nebbia, piano piano scoprendo sprazzi di sereno. Erano quegli occhi, quegli splendidi occhi verdi a fendere il buio della sua mente, come raggi di un astro smeraldino, schizzi di prati verdi nel grigiore dell’inverno. Erano quegli occhi da cerbiatta che lo fissavano a illuminare i suoi stessi occhi, e improvvisamente, qualcosa si mosse dentro di lui, qualcosa di piccolo, clandestino nella nave di buio in cui era prigioniero. Un nome.

“Lily…” Sussurrò appena.

E bastò quel nome. Quel nome appena sussurrato, mormorato con voce incerta bagnata dalle lacrime ad aprire un dolce sorriso sul viso della ragazza.

Lily sorrise, mischiando la gioia con le lacrime. Sentire di nuovo quella voce sussurrare il suo nome era un’esplosione di colori dentro di lei, in cui finalmente il verde poteva riunirsi al nero in un abbraccio intangibili, ma vero.

Lily guardò Severus, non poteva credere che davvero fosse sotto Imperius. Non lui. Lo guardava completamente dimentica di Narcissa che li stava osservando spaesata senza sapere come comportarsi, senza sapere se doveva cercare di recuperare la sua bacchetta o se doveva rimanere lì con Draco stretto a sé. Persa negli occhi neri di Severus, Lily non si era nemmeno accorta che Brix aveva lasciato la stanza, era schizzato fuori non appena aveva colto l’attimo di esitazione di Severus, deciso ad andare ad avvertire Remus. Dolcemente, la giovane si chinò, posando Harry a terra, Harry che guardava incuriosito quello strano ragazzo nero.

“Mi dispiace.” Disse improvvisamente Severus, la voce rotta dalle lacrime che avevano preso a scendere lungo le sue guance, specchi e riflessi delle stesse che bagnavano il viso di Lily.

“Sev…- disse lei dolcemente. – Non devi scusarti. Non è colpa tua.”

Ma Severus sembrò non udire le sue parole. Il suo volto era contratto sotto le dita laceranti di una disperazione terribile, macchiato da quegli occhi cerchiati di rosso e di lacrime. La bocca contratta in una smorfia, sembrava lottare contro sé stesso in una battaglia campale, decisiva, lacerando sé stesso con il sangue del suo stesso cuore. Tremava, colto dagli spasmi violenti di un pianto a malapena represso.

“Io non posso.” Disse disperato, quasi urlando.

Lily non sapeva cosa fare. Non poteva vederlo così, era un dolore troppo profondo per lei, ma cosa poteva fare?

“Che cosa non puoi?” Provò a chiedergli Lily. Sentiva che, forse, facendolo parlare, facendolo in qualche modo aprire con lei, avrebbe potuto aiutarlo. Se solo lui avesse aperto uno spiraglio verso il suo cuore, lei avrebbe potuto entrarvi, avrebbe potuto aiutare il suo vero io a combattere la maledizione in quel duello che lo stava distruggendo.

“Io devo farlo. –Gridò disperatamente Severus, stringendo spasmodicamente la bacchetta come se fosse stato l’unico appiglio che poteva salvarlo dalla caduta, o, forse, semplicemente voleva sentire qualcosa vicino, qualcosa di oggettivo, tangibile. –Non capisci? Io devo farlo! Sono i miei ordini, non posso liberarmi da lui!”

Lily non riusciva… non poteva, non poteva vederlo così. Le sembrava che ogni sua parola, sputata con così tanto dolore nell’aria, ognuna una stilettata al suo cuore, ognuna un tremendo grido di dolore  e di agonia, riuscissero a trafiggere anche lei, a premere a fondo nel suo cuore, incapace di agire, incatenato dalla lotta interiore di Severus.

Lily scosse il capo decisa.

“No. –Disse, mordendosi forte il labbro inferiore. –No, non sei tenuto a farlo! Tu sei ancora tu, Severus. Lo so e lo sai anche tu. Liberati di lui.”

Severus esitò per un secondo, cercando di mettere assieme tutti i significati di quelle parole, cercando di capire cosa volesse dire Lily, cercando di allontanare i brandelli ancora spessi di nebbia intorno a lui. Poi chinò tristemente il capo.

“Non posso liberarmi di lui. –Disse con voce sussurrata, piena di una tale rassegnazione che colpì Lily nel profondo. –Ho provato. Ho provato, ma non posso.”

A quel punto, Lily abbandonò qualsiasi cautela e si avvicinò lentamente a Severus, timorosa di spaventarlo in qualche modo. Severus era completamente allo sbando, non lo aveva mai visto così vulnerabile, mai. Tese con cautela una mano verso di lui sfiorandogli appena la guancia bagnata di lacrime mentre gli scostava dal viso i capelli neri. Sentì Severus sussultare appena sotto il suo tocco, ma il giovane non si scostò. Alzò gli occhi verso di lei, trafiggendola con la loro oscurità, bagnata dalle splendide stelle delle lacrime, e Lily non vide in quegli occhi un servitore dell’oscuro Signore, non vide un assassino, né un ladro, vide solo Severus, laggiù nel profondo di quegli occhi spaesati, vide il Severus che conosceva.

Poi Severus scostò di nuovo lo sguardo, puntandolo sul parquet di noce, una fuga da quello sguardo verde che penetrava a fondo dentro di lui. Lily afferrò il volto del giovane con entrambe le mani, accompagnandolo di nuovo verso di lei.

“Guardami.” Gli disse e Severus portò nuovamente gli occhi su di lei.

Lily gli accarezzò dolcemente la guancia, asciugandola dalle lacrime. “Io non ti lascerò. Mai, mai più. Ti prego, non essere tu a lasciarmi. Non mi importa di ciò che hai fatto, Sev, mi importa di ciò che farai e io so che non cederai alla maledizione, o non vedrei altro che quella in te. Ma io non vedo un Mangiamorte, c’è molto di più in te, non sei un servo dell’Oscuro Signore. Tu sei Severus. E… -Si interruppe un secondo perché Severus aveva nuovamente scostato lo sguardo, e condusse nuovamente i suoi occhi su di lei. – Guardami. Io…- Deglutì, sentendosi stupida e ingrata in quel momento, a dover dire quella prole che a lungo, troppo a lungo gli aveva nascosto -Io ti amo. Ti prego, torna da me.”

E in quel momento, Lily non seppe se furono le sue parole, oppure lo stesso Severus deciso a mostrarsi nonostante le catene della sua prigionia, ma sul viso del ragazzo si aprì un sorriso incerto, bagnato di lacrime, un lieve sorriso che per Lily fu come il sole splendente ad illuminare il viso di Severus e il suo suo. Forse, forse era riuscita a toccare il cuore di Severus… forse, forse Severus sarebbe riuscito a liberarsi dalla maledizione, quel sorriso era come una chiave, la chiave che apriva il lucchetto… oppure lo era il suo amore? Non lo sapeva, sapeva solo che Severus era lì, e le stava sorridendo.

E lei avrebbe voluto stringerlo a sé, avrebbe voluto tenerlo accanto, spezzare quelle catene maledette che lo avvolgevano e che, lei lo sapeva, stavano lentamente cedendo. Avrebbe voluto…

“Stupeficium!”

La luce rossa dell’incantesimo sibilò a poca distanza dal fianco di Severus, che balzò di lato giusto in tempo per evitarlo. Lily si voltò di scatto verso la porta.

Sirius Black stava sulla soglia, la bacchetta in pugno, ansimante, negli occhi azzurri una fiamma saettante di rabbia. Di fianco a lui, Brix che non sapeva come comportarsi e se ne stava lì, immobile, a guardare prima Lily, poi Severus e quindi Narcissa, spettatrice silenziosa insieme con Draco che non sapeva anch’ella cosa fare.

“Sirius, no!” Fece allora Lily. No, non poteva andare così, ora che era quasi riuscita a ricondurre Severus nella realtà, lontano dall’ombra… ma ebbe appena il tempo di finire l’ultima sillaba che un secondo incantesimo frizzò nell’aria, questa volta dalla parte opposta, e andò a schiantarsi poco lontano dalla testa di Sirius.

“Pessima mira, Mocciosus!” Cantilenò Sirius mentre Severus scagliava un secondo incantesimo verso di lui e questa volta, l’avrebbe colpito che Lily non fosse intervenuta a deviare l’incantesimo.

La ragazza si voltò verso Severus. Il ragazzo aveva un’espressione rabbiosa e disperata allo stesso tempo, un animale in trappola. Vide gli occhi profondi del dragone nero scintillare nelle iridi di Severus, colmi di un tale terribile dolore da far vibrare l’aria intorno a loro. Quegli occhi sembravano aver perso quella profonda notte colma di disperazione, ma anche di volontà a lottare, ad andare avanti che avevano assunto poco prima, per lasciare il posto ad un nuovo vuoto.

 Lily si protese in avanti, afferrando il braccio di Severus per trattenerlo in qualche modo, ma questi le lanciò un’occhiata talmente spaventata e addolorata da terrorizzarla. Severus si liberò dalla presa di Lily con uno strattone, dandole poi una spinta violenta che la fece cadere a terra con un tonfo. Lily sbattè violentemente la spalla contro la culla di Draco, incredula, incapace di rendersi conto di ciò che stava succedendo. Alzò gli occhi verso Severus, guardandolo con quelle iridi verdi ferite e supplicanti.

Severus non si era nemmeno reso conto di ciò che aveva fatto. Guardò Lily a terra senza capire come ci fosse finita… non capiva… non sapeva cosa fare… doveva aiutare Lily. Doveva mettere a tacre Black, e poi continuare nella sua missione. Ma Lily… lei… fece un passo verso di lei, ma la voce di Sirius lo bloccò.

“Ehi, Mocciosus! –Gli gridò Sirius, -Lasciala stare!”

Severus si voltò di scatto scagliando un anatema contro l’altro ragazzo, ma questi lo deviò. L’incantesimo dorato e sibilante attraversò la stanza rischiando di colpire Narcissa e Draco. Harry, ancora a terra, là dove lo aveva deposto Lily, aveva cominciato a piangere. Spaventato, da solo, sul pavimento, piangeva mentre altre luci di incantesimi si infrangevano a poca distanza da lui.

Poi, due braccia forti lo avvolsero, lo sollevarono. Harry si accoccolò contro il petto di qualcuno che non era sua madre, ma a lui non importava. Qualcuno lo aveva preso, ne sentiva il calore, sentiva il suo cuore battere vicino a lui. Le lacrime si estinsero quasi subito, asciugate dalla morbida stoffa nera.

“Metti giù il bambino, Mocciosus!” esclamò la voce di Sirius. Lily non sapeva più cosa fare, vedeva Harry tra le braccia di Severus, ma non sapeva cosa fare. Non sapeva se Severus era davvero lui o se la maledizione aveva nuovamente avuto il sopravvento. Dall’altro lato della stanza, Draco aveva cominciato a piangere tra le braccia di una Narcissa che era confusa quanto lei. Sulla soglia, Brix guardava con occhi sperduti, spaventati e increduli.

“Ho detto, -Ringhiò Sirius stringendo più forte la bacchetta. –metti giù il bambino.”

Severus alzò stancamente gli occhi su di lui, lo guardò in silenzio, per niente impressionato dall’espressione selvaggia sul suo volto, da quegli occhi colmi di fiamme azzurre, da quella bacchetta che tremava tra le dita chiuse spasmodicamente su di lei.

“Severus!” Esclamò improvvisamente Lily, attirando su di sé l’attenzione si di Sirius che di Severus.

“Severus, ti prego. Dammi Harry.” Gli chiese dolcemente Lily agitando appena le mani per far segno verso di lei.

Severus la guardò confuso per qualche istante, poi posò gli occhi sul bambino stretto al suo petto. Lily non riusciva… non sapeva cosa pensare. Harry sembrava perfettamente a suo agio tra le braccia di Severus, si stringeva al suo petto a cercare protezione, stringeva la giacca scura tra le ditine tozze.

“Severus…” Provò ancora Lily, ma Severus non diede cenno di volerle restituire il bimbo.

Lily non poteva, o non voleva credere che Severus avesse intenzione di portarle via il suo bambino. Si avvicinò a lui sotto gli occhi attenti e pronti a scattare di Sirius, ma quando fu a poca distanza da Severus qualcuno la afferrò per le spalle con forza trattenendola.

“Lily, no!- Esclamò la voce di Lupin dietro di lei.- E’ stato stregato!”

Lily era disperata, non sapeva davvero più cosa fare. Cercò di liberarsi dalla presa di Lupin con uno strattone, ma fu inutile. Sentiva nuove lacrime calde scorrerle lungo il viso.

Vide Severus sobbalzare di fronte alla comparsa dei due nuovi arrivati. Lo vide spostare lo sguardo da Lupin a qualcuno più indietro che scoprì poi essere Lucius Malfoy quando una fluente chiome bionda le passò di fianco. Lucius la superò, la bacchetta stretta in mano, deciso a proteggere la sua famiglia. Guardò Narcissa, ora in piedi all’angolo della stanza, sempre con Draco saldamente stretto tra le braccia, accertandosi che stessero bene, quindi punto la bacchetta contro Severus, sul volto una maschera rigida di paura e rabbia.

Approfittando della distrazione di Severus, intanto, Sirius scagliò un incantesimo contro di lui che per poco non colpì Harry.

“NO!” Gridò lily disperata.

Severus parve riscuotersi dall’attimo di smarrimento, gli occhi tornati fornaci ardenti di fuoco nero. Scagliò una fattura contro Malfoy distratto dall’azione di Sirius, cogliendolo alla sprovvista. Lucius fu scagliato indietro, sbattendo violentemente contro il muro lontano soltanto un passo.

A rispondere all’attacco fu di nuovo Sirius, mentre Remus cercava in tutti i modi di trattenere Lily che si dimenava tra le sue braccia. Ma fu costretto a lasciarla andare quando un incantesimo vagante saettò verso di lui e dovette estrarre la bacchetta per proteggersi.

Lily schizzò in avanti, verso Severus, chiamandolo, urlando. Ma lui non si voltava. Continuava a stringere Harry al petto, sostenendolo con un braccio mentre con la mano libera si difendeva dagli attacchi di Sirius. Lucius si era nel frattempo ripreso dalla botta e stava correndo verso moglie e figlio cercando di schivare gli incantesimi.

Remus non sapeva come comportarsi e continuava a parare e schivare gli attacchi di Severus, non osando attaccare per non rischiare di colpire Harry, la cui incolumità era già messa a repentaglio dagli incantesimi furiosi di Sirius.

“Sirius!- Gli gridò a un certo punto. –Smettila, rischi di colpire Harry!” Ma Sirius continuò a scagliare incantesimi, ignorandolo. Brix, aiutava Black, parando di tanto in tanto alcuni attacchi di Severus che avrebbero potuto colpirlo.

Severus si batteva con tutte le sue forze, sentendosi in trappola. Attaccava con precisione, eppure con furia.

“Stupeficium!” Urlò, colpendo finalmente Sirius in pieno petto. Black fu sbalzato indietro e cadde inerme sul pavimento sotto lo sguardo compiaciuto di Severus.

Quindi, il giovane si voltò di scatto verso Narcissa e Draco. Fece scattare in alto la bacchetta, deciso a portare a termine il suo compito, negli occhi soltanto più una confusione di pensieri, una disperazione mista alla rabbia. Non capiva cosa stava facendo. Il suo corpo pareva muoversi da solo. Non capiva perché stava formulando quella maledizione. La sua lingua si muoveva da sola.

“Avada Kedavra!” Gridò.

La maledizione verde e frizzante sibilò verso Narcissa, riempiendo la stanza del suo bagliore verdastro e malvagio. La voce roboante della Morte echeggiò in quel bagliore, il fruscio del suo mantello sibilo nel frizzare della maledizione che correva svelta verso il suo bersaglio.

“Attenta!” Gridò Lily, e prima ancora che Narcissa se ne rendesse conto venne spinta di lato. La maledizione ruggì di rabbia e di delusione mentre si schiantava contro il muro.

Lily si alzò, permettendo a Narcissa di fare altrettanto, ancora provata da ciò che era appena accaduta. Aveva evitato la Maledizione che Uccide per un soffio, grazie a quella ragazza dai capelli rossi tutti scarmigliati che le si era gettata contro rischiando lei stessa di essere colpita.

“Cissy!- Esclamò prontamente Lucius, preoccupato, fiondandosi accanto alla moglie e al figlio, anch’egli rotolato a terra che continuava a piangere. –Cissy, stai bene?”

Narcissa gli sorrise semplicemente, guadagnando un sospiro sollevato da parte del marito. La voce di Lily richiamò improvvisamente la loro attenzione.

“Severus!” Stava gridando la ragazza, ma Severus le gettò soltanto un’occhiata piena di amarezza, di rimorso.

“Mi dispiace, Lily.” Le disse, la voce impastata dalle lacrime. Quindi levò nuovamente la bacchetta e la puntò contro la porta finestra che dava sulla terrazza.

“Bombarda!” gridò e la vetrata andò in mille pezzi scagliando frammenti di vetro in tutta la stanza. Lupin si ripiegò su si stesso cercando di proteggersi da quelle schegge taglienti e lo stesso fecero tutti gli altri presenti nella stanza. Alcuni frammenti di vetro colpirono Lily, conficcandosi nella sua pelle, infilandosi nel suo maglione come le schegge stesse del suo cuore.

Severus strinse più forte il piccolo Harry al petto e balzò al di là della vetrata in frantumi, calpestando i frammenti di vetro con noncuranza, sulla terrazza, all’aperto, sotto il cielo ormai oscurato dalla notte dove splendevano qua e là piccole stelle d’argento, a sprazzi, tra le nubi, esattamente come la coscienza di Severus. Come i suoi occhi, nella cui notte splendevano stelle si consapevolezza e di alcrime.

Lupin fu il primo a riprendersi dall’esplosione. Inseguì Severus all’aperto, ormai conscio delle intenzioni dell’altro. Aveva capito che avrebbe portato via Harry. Lo avrebbe portato via, lontano da loro, lontano da Lily. Lo avrebbe consegnato al suo Signore.

Lily lo raggiunse in fretta, incapace di credere a quella stessa consapevolezza che si era fatta strada anche in lei.

“Severus!- Lo chiamò ancora. –Severus, ti prego!”

Severus interruppe la sua corsa, si voltò lentamente evrso di lei, il volto rigato da nuove lacrime. Guardò prima lei, poi Lupin, fermo pochi passi più indietro con la bacchetta pronta a scattare. Ma negli occhi di Lupin non vide lo stesso odio di quelli di Black, vide la stessa supplica che scintillava in quelli di Lily. Ma lui non poteva tornare indietro. No, doveva andare. Doveva… doveva farlo. Ma non voleva, quelle stelle scintillavano su di lui, scintillavano dentro di lui, ma quell’oscurità era ancora lì… era ancora lì.

“Mi dispiace.” Disse ancora, rassegnato. Guardò Lily ancora in lacrime, vide il dolore profondo che le stava procurando, ancora… di nuovo. Lo vide, il suo stesso dolore riflesso in quegli occhi verdi.

“Ti prego…” Lo supplicò ancora Lily. “Sev..” Sussurrò con un fil di voce.

Ma lui non rispose. Si voltò stringendo a sé il piccolo Harry, saltò la ringhiera della terrazza e si gettò nel vuoto.

“No!” Lily scattò in avanti, seguita a ruota da Lupin. Ma prima ancora che potessero raggiungere la balaustra di pietra videro la figura scura, ammantata, di Severus librarsi nell’aria, come se fosse priva di peso. Il piccolo Harry tranquillo, stretto al suo petto. Poi, entrambi svanirono nella notte.

“No!- Gridò Lily cadendo in ginocchio. –No.”

Lupin si chinò di fianco a lei, stringendola tra le sue braccia lasciando che ancora una volta le lacrime scivolassero lungo le guance della ragazza. Rimase lì, cullando Lily tra le sue braccia, chiedendosi perché. Perché?

E Lily piangeva, macchiando la felpa di Lupin con le sue lacrime.

“Perché?” Domandò tra le lacrime. “Perché?”

Aveva perso Harry. Di nuovo. Aveva perso Severus. Di nuovo. Ma non poteva, non poteva arrendersi, ora più che mai, doveva prendere in mano la situazione, andare avanti nel suo piano. Doveva salvare Harry. Doveva salvare Severus.

“Perché?”
 

*******
 

Vi faccio i miei più sentiti complimenti se siete riusciti ad arrivare fin qui, senza farvi fumare le orecchie a metà capitolo. Tanto di cappello.

Soltanto una comunicazione veloce. Ho intenzione di tradurre le mie fanfiction in inglese. Al momento, ho già tradotto e pubblicato la mia prima fanfiction, "Pioggia e angeli", sul sito fanfiction.net, dove sono sempre FRC Coazze. Se qualcuno è intressato può trovare l'indirizzo della storia sulla mia pagina dell'autore
qui        . Ancora non so quando, ma tradurrò (anzi, il primo capitolo è già pronto) e pubblicherò anche la Ballata. Quando accadrà, state sicuri che sarete informati.

 

Detto questo non vi annoio con ulteriore bla bla. 

 Ciao a tutti. Al prossimo capitolo!  

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Capitolo 34
*** Salvare Harry, salvare Severus ***


Capitolo 34

SALVARE HARRY, SALVARE SEVERUS

Lily sapeva quello che doveva fare. Lo aveva sempre saputo. Ora, se mai aveva avuto dei dubbi sul suo piano, beh, erano scomparsi, svaniti nell’istante stesso in cui aveva visto Severus librarsi in aria con Harry stretto al petto, e sparire nella notte.

Se mai aveva avuto delle esitazioni, beh, erano scomparse. Svanite come se non fossero mai esistite nel momento in cui aveva visto gli occhi di Severus, in cui aveva visto la profonda dolorosa battaglia che aveva luogo dentro di lui, quel disperato dimenarsi per liberarsi dalla stretta della maledizione. Dalla stretta delle catene. Catene maledette.

Se mai aveva avuto dei dubbi, beh, erano svaniti lasciando in lei soltanto una potente gelida decisione. Doveva salvare Harry. Doveva salvare Severus. Doveva salvarli entrambi perché non avrebbe rinunciato a nessuno dei due.

Sapeva cosa doveva fare. Aveva un piano. Lo aveva da quando aveva parlato con Silente quattro giorni prima. Non importava quello che avrebbe fatto il preside, lei avrebbe agito per suo conto.

Si voltò lentamente, allontanando gli occhi dalla finestra, allontanando gli occhi dalla luce tenue dell’alba che andava lentamente bagnando la campagna intorno al nobile magione dei Malfoy. Sospirò. Remus Lupin era mezzo sdraiato sul divano, nel salotto in cui si trovavano. Era completamente abbandonato contro i cuscini ammucchiati contro il bracciale, il capo poggiato su di essi reclinato all’indietro, i piedi poggiati a terra, gli occhi chiusi in un sonno che era sopraggiunto di soppiatto a cullarlo dolcemente nelle sue ninnananne.

Anche Brix era stato colto dalla stanchezza e ora sonnecchiava sulla poltrona presso il fuoco. Tuttavia, per quanto le sue palpebre fossero abbassate, le grandi orecchie era ritte e attente nel dormiveglia.

Lily sorrise riportando lo sguardo sul giovane addormentato. Non si poteva dire che avessero passato una nottata tranquilla. Tutti quanti erano rimasti provati dagli eventi della sera prima, chi più chi meno. Lily aveva ritrovato la forza di andare avanti, aggrappandosi al suo piano, alla sua decisione di salvare le due persone a cui teneva di più. Quei pensieri, quella speranza, erano riusciti ad allontanare da lei lo shock per la perdita del figlio e per le condizioni di Severus, l’avevano resa lucida, decisa. Tutto il mondo intorno era andato perfettamente delineandosi nei suoi tratti, splendente e nitido, come fosse cristallizzato nel vetro più puro. La giovane vedeva perfettamente la strada dinnanzi a sé, non le importava se fosse quella giusta o meno, sapeva soltanto che quella era, e che lei era decisa a percorrerla fino in fondo.

Quella lucidità, tuttavia, aveva avuto la controindicazione di toglierle completamente il sonno e Lily era rimasta tutta la notte in piedi, mentre tutti gli altri erano lentamente crollati nel sonno per la stanchezza. Lei era rimasta ad osservare la notte, il cielo oscuro che aveva inghiottito Harry e Severus, fino a che non si era tinto di rosa, laggiù ad est, drappeggiandosi dei paramenti del sole.

Era rimasta là, alla finestra, ad osservare il cielo mentre intorno a lei regnava il caos. Elfi domestici che correvano e balzellavano per ripulire la cameretta di Draco dai frammenti di vetro sparsi ovunque, per rimettere a posto tutte le cose che erano andate a gambe all’aria durante lo scontro. Una dozzina di creature vestite con pezzi di lenzuola o tende, che si erano preoccupati di ogni minima cosa, offrendo tisane calde, invitando Lily e Remus ad accomodarsi in salotto, al caldo, prendendosi cura di Sirius che si era procurato un bel bernoccolo nella caduta, quando era stato schiantato. I Malfoy erano di certo quelli che erano usciti più provati dagli eventi. Lucius era bianco come un lenzuolo, ancora profondamente segnato dal rischio corso dalla moglie e dal figlio. Lily aveva quasi provato pena per lui, Malfoy non era di certo l’uomo più affidabile e coraggioso del mondo, ma Lily aveva avuto modo di vedere quanto tenesse alla sua famiglia. Narcissa, dal canto suo, si era ritirata quasi subito nelle sue camere, con il suo bambino dai capelli biondi stretto al seno, come se avesse paura di perderlo in qualche modo. Si era ritirata in solitudine, cercando di riprendersi dallo spavento e dalla tensione.

Remus si era subito prodigato per aiutare Lily. Dopo averla tenuta stretta a lungo su quella terrazza, al freddo, l’aveva aiutata ad alzarsi e affidata alle fin troppo amorevoli cure di Brix, quindi aveva immediatamente avvertito Silente. Silente che si era subito precipitato a Villa Malfoy ad accertarsi delle reali condizioni dei protagonisti di quella terribile serata, ed aveva contribuito ad aumentare il caos che già regnava in quella casa. Fortuna che Sirius, almeno, era ancora intontito dalla botta che aveva ricevuto.

Silente si era guardato intorno con occhi attenti, analizzando ogni sfumatura sul viso delle persona davanti da lui. Poi aveva alzato quegli occhi azzurri, penetranti, astuti su Lily, immobile presso la finestra.

Silente aveva sospirato, portando le mani ad incontrarsi dietro la schiena. Aveva fatto alcuni passi avanti e indietro, gettando occhiate luminose sulla ragazza.

“Lily, -aveva detto infine, -sto per chiederti una cosa, e gradirei che tu mi dicessi la verità.” Aveva quindi alzato gli occhi su di lei e Lily aveva visto in quei profondi occhi blu che il vecchio preside sapeva già perfettamente quale sarebbe stata la risposta.

Lei aveva annuito, incapace ancora di ritrovare la voce.

Silente aveva quindi sospirato e l’aveva guardata seriamente. “Lily, -aveva detto.- C’è qualcosa che non mi hai detto?”

E Lily lo sapeva. Sapeva che Silente sapeva. Sapeva che non avrebbe potuto sfuggire a quegli occhi penetranti quella volta, e così gliel’aveva detto. Gli aveva detto della profezia. Quella profezia che si era ormai quasi completamente avverata, quella profezia che le aveva stretto il cervello in una morsa per tutti quei giorni. Aveva tesoil biglietto al preside e questi lo aveva afferrato gentilmente, tendendolo meglio, onde poter leggere le farsi scritte velocemente sulla carta nella grafia tonda e gentile di Lily.

Aveva osservato a lungo le parole che si rincorrevano come furie d’inchiostro sul bianco della pergamena, schizzando il loro nero nell’azzurro dello sguardo del preside, incupendolo, macchiandolo con schizzi di una strana improvvisa comprensione. Era tutto scritto lì. Tutto… la visita di Voldemort, la perdita di Severus, il ladro… era tutto lì e Lily lo sapeva, lo sapeva ma non gli aveva detto nulla. Era tutto lì. Una profezia, una profezia che la ragazza gli aveva tenuto nascosta, una profezia che già si era quasi del tutto avverata.

Se solo Lily glielo avesse detto. Incrociando quelle frasi con il suo piano, lui avrebbe potuto sciogliere molti degli enigmi, forse avrebbe potuto intuire che Tom avrebbe chiesto il sacrificio di Severus. Per quanto la frase del ladro fosse piuttosto oscura, forse lui avrebbe potuto protegger di più il castello… avrebbe potuto prevenire quel furto così strano.

“Ah, Lily…” Aveva sospirato Albus scuotendo il capo tristemente.

“Che cos’è?” Aveva domandato la voce curiosa e preoccupata di Lupin alle sue spalle. Silente aveva lanciato un’occhiata fugace a Lily, poi aveva teso il foglietto a Lupin con un gesto stanco e il giovane lo aveva afferrato tranquillamente per poi leggere avidamente quelle poche righe. Poi Remus aveva alzato di nuovo lo sguardo verso Silente, gli occhi fattisi cupi.

“Non capisco. Cosa significa?” Aveva chiesto facendo balzare lo sguardo dal preside a Lily e ritorno.

Silente l’aveva guardato stancamente. “Significa che avremmo potuto impedire il furto del Cappello, se solo avessi saputo.”

“Ma… –Aveva fatto Remus, incredulo, rivolgendosi a Lily. –Perché non hai detto nulla?”

Lily aveva aperto la bocca per rispondergli, ma Albus l’aveva preceduta.

“Perché non si fidava di me.” Aveva risposto il preside, gli occhi che scintillavano sopra al sorriso.

Lily rimase colpita da quelle parole. Si era aspettata che il preside la rimproverasse, si arrabbiasse con lei per avergli tenuto nascosta un’informazione così importante. Invece, Albus le aveva sorriso. Le aveva sorriso, appena aveva alzato gli occhi su di lei dopo aver allontanato gli occhi dal volto incredulo di Lupin. Era un sorriso sincero, eppure in un certo senso sarcastico, come se il vecchio preside volesse prendersi gioco di lei. Lily lo aveva guardato, ricambiando il sorriso con uno sguardo interrogativo. Poi, Silente le aveva nuovamente teso il foglietto con la profezia.

“E non la biasimo.” Aveva aggiunto, sincero. Remus aveva annuito, come se ritenesse giusta quell’ultima osservazione del preside.

“Se mi permettete di intromettermi, -Aveva tossicchiato Brix allontanandosi dal divano su cui era steso Sirius. Il giovane era ancora stordito dalla botta e faceva balzare lo sguardo da uno all’altro cercando di seguire il discorso. –Credo che Lily abbia già dovuto sopportare troppo dolore, troppa angoscia in questi giorni. Se ha tenuto nascosta questa profezia, lo ha fatto perché lo riteneva giusto. Suppongo, comunque, che ne abbia parlato con Severus.”

Lily aveva sorriso all’elfo, prontamente intervenuto in sua difesa.

“E’ così? –Era intervenuto allora Silente. -Severus lo sapeva, è così?” Aveva aggiunto, con uno scintillio furbo che si rifletteva nelle lenti a mezzaluna. Lily aveva semplicemente annuito, infilando di nuovo il biglietto nella tasca dei pantaloni.

“Sì.” Aveva detto in un sussurro abbassando appena lo sguardo.

“Che facciamo, Albus?” Aveva allora domandato Remus con voce cupa facendo qualche passo in avanti.

“Riuniamo l’Ordine. –Aveva risposto duramente Silente, il sorriso svanito per lasciar spazio ad un’espressione decisa. –Abbiamo già perso abbastanza tempo a mio parere. Non abbiamo altra soluzione che attaccare il covo del Signore Oscuro. E’ l’unico modo per salvare Severus, e per salvare Harry. Ci muoveremo stanotte.”

Quindi si era voltato verso Lily e si era avvicinato a lei con grandi passi, il sorriso di nuovo sulle labbra. Aveva posto le mani rugose dolcemente sulle spalle di Lily e lei aveva alzato lo sguardo su di lui e in quegli occhi azzurri che tante volte aveva fuggito aveva visto il calore e l’affetto di un vecchio, aveva sentito su di sé lo sguardo paterno che di solito Albus rivolgeva a Severus.

“Ti giuro, Lily, -le aveva detto dolcemente, passandole leggermente un mano sulla guancia in una carezza, -hai la mia parola: Severus tornerà da te. Tornerà, insieme con Harry. –Le sorrise. –E che Merlino mi fulmini se non manterrò la mia promessa!”

E Lily aveva semplicemente annuito, mentre Silente le dava un buffetto sulla guancia e si allontanava da lei. Si era avvicinato al camino e, mentre le fiamme verdi prendevano ad avvolgerlo per riportarlo ad Hogwarts, il preside si era un’ultima volta girato verso la giovane. Le aveva sorriso sinceramente e, forse per la prima volta in quelle settimane, Lily aveva sentito montare una profonda fiducia verso quel vecchio eccentrico con la barba bianca. Con quella promessa, Silente aveva riguadagnato la sua fiducia, ma ancora di più fu quel sorriso che le aveva rivolto prima di svanire tra le vampe smeraldine con l’ultimo scintillio di un occhiolino.

Sì, Lily si sarebbe fidata di Silente. Il preside, per una volta, aveva steso un piano semplice e palese, senza strani ghirigori o oscuri intrecci a fargli da cornice. Avrebbe agito direttamente. E la cosa incontrava l’appoggio di Lily. Tuttavia, i piani della ragazza erano altri. Non si sarebbe unita all’Ordine quella notte, non avrebbe fatto parte delle fila di Silente, avrebbe agito per suo conto. Era più che sicura che Remus e Sirius sarebbero stati della partita, era il lavoro perfetto per dei Malandrini, doveva soltanto mettere appunto alcuni dettagli.

La giovane sospirò, allontanando lo sguardo da Remus addormentato sul divano, per tornare ad osservare la marea dell’alba invadere le terre sotto la guida possente e prodigiosa del sole.

“Lily?” fece una voce alle sue spalle per attirare la sua attenzione.

La ragazza si voltò nuovamente per incontrare con lo sguardo la figura di Sirius, in piedi sulla porta. Il giovane si era pienamente ripreso nelle ultime ore e sulla sua fronte c’era soltanto più un leggero segno rosso, ultimo ricordo del taglio superficiale che si era procurato cadendo a terra privo di sensi.

“Sirius. –Gli rispose Lily facendo qualche passo verso di lui. –Hai portato quello che ti ho chiesto?”

Black alzò la mano verso di lei, mostrandole il pacchetto che stringeva tra le dita e sorridendo.

“Eccoli. –Disse, agitando la mano per ostentare la presenza del pacchetto. –Continuo a chiedermi, però, a cosa ti servano.” Disse poi pensieroso, abbassando la mano.

“Ora vi dico tutto.” Gli rispose Lily mentre Sirius avanzava nella stanza dopo aver annuito deciso.

Sirius avanzò deciso verso il divano dove Lupin continuava a dormire beatamente. Posò il pacchetto sul tavolino da tè quindi diede una forte scrollata all’amico afferrandolo per la spalla.

“Ehi, bell’addormentato!- Gli disse. –Fatti più in là.”

Lupin sussultò sotto lo scrollone di Sirius. Aprì gli occhi e si guardò per un attimo intorno con aria sperduta. Balbettò qualcosa di incomprensibile con la voce ancora impastata dal sonno e sobbalzò appena quando si ritrovò davanti gli occhi azzurri di Sirius che lo fissavano.

“Ehi, che razza di modi.” Commentò mentre si tirava su a sedere e si faceva più in là lasciando l’altra metà del divano libera per Sirius.

“Molte grazie, Lunastorta.” Gli disse questi con un sorriso mentre si accomodava sui cuscini con un sospiro soddisfatto sotto lo sguardo irritato di Lupin.

Lily gettò loro un’occhiata svelta, facendo passare il suo sguardo anche sull’elfo che stava sbirciando dalle palpebre socchiuse incuriosito da quello strano pacchetto che aveva portato Sirius.

“Allora?- Disse Black a Lily. –Qual è il piano?”

La ragazza lo guardò in silenzio per un attimo, e sorrise appena. Sirius sembrava un bambino a Natale, tutto eccitato all’idea di compiere qualche marachella, solo che quella volta la posta in palio se venivano beccati non era una semplice punizione con la professoressa McGranitt, per quanto anche questa possibilità non fosse allettante, o qualche punto tolto alla Casa di Grifondoro. No. Questa volta, se si fossero fatti scoprire avrebbero dovuto affrontare con molta probabilità la tortura e la morte.

“Allora, Lil?- La incitò ancora Sirius. –Qual è questo piano di salvataggio che tanto decanti da ieri? Come entriamo a Villa Riddle?”

Quelle parole ebbero il potere di riscuotere Brix dal suo stato di dormiveglia. L’elfo balzò giù dalla poltrona come un lampo, guardando incredulo Sirius e Lily.

“Allora era questo. –Disse la voce roca di Brix e tutti e tre i ragazzi si voltarono verso di lui. –Era questo che complottavate ieri. Sentivo puzza di bruciato, ma non credevo… Perché vuoi metterti in pericolo?” chiese poi a Lily.

Lily lo guardò dolcemente. Capiva il punto di vista di Brix, sapeva anche, però, che l’elfo sarebbe capitolato facilmente se premeva sul tasto Severus. Brix era molto affezionato a lui, Lily lo sapeva, e sapeva anche che l’elfo avrebbe fatto salti mortali per Severus, anche divenatre complice di un trio di malandrini.

“Dobbiamo andare a Villa Riddle. E portare via Harry… e Severus.” Disse semplicemente.

“Lo capisco questo, ma… perché non vi unite all’Ordine, invece di fare piani sucidi?” Chiese Brix, le guance diventate di uno splendido rosso porporino.

“Perché i Mangiamorte saranno tutti distratti dall’attacco dell’Ordine.” Gli spiegò Lily.

L’elfo non parve per niente convinto da quelle parole. Scosse la testa facendo ondeggiare le grandi orecchie.

“Ma…- Fece Brix. –A parte la follia stessa del piano in sé, ma… insomma come pensi di entrare a Villa Riddle? Sarà piena di barriere e incanti gnaulanti e chissà quali altre diavolerie…”

“Sì, lo so Brix. Ecco…- Lily si morse il labbro inferiore e si portò distrattamente una mano tra i capelli con un gesto nervoso. –Beh, forse ho un’idea su come entrare. Però prima vorrei sapere se voi siete pienamente disposti ad aiutarmi.”

Remus e Sirius si scambiarono un’occhiata senza rispondere, mentre Brix abbassava appena lo sguardo pensieroso.

“Sappiate comunque che io andrò lo stesso.- Disse Lily con voce decisa, ritrovata la sua fermezza che pochi istanti prima aveva vacillato. –Non abbandonerò Harry. E non abbandonerò Severus. Li porterò via da lì, con voi o da sola.”

“Scherzi, Lily?- Intervenne Sirius con un ampio sorriso, è il caso di dirlo, malandrino sul volto. –Certo che veniamo con te.”

Lily lo guardò sorridendo, sapeva che avrebbe avuto il loro sostegno, ma sentirlo dire da Sirius era comunque tutt’altra cosa. Specie se quell’affermazione era accompagnata dall’annuire deciso di Remus come era appena avvenuto. Sapeva, comunque, che Sirius lo faceva per Harry. E per il gusto di mettersi nei guai, non certo per Severus. Ma non importava, l’importante era che Sirius sarebbe stato dei loro.

Brix era ancora pensieroso. Lui era lì per tenere d’occhio quei tre ragazzi, per evitare che facessero cose stupide, ed ora si ritrovava direttamente testimone dei loro complotti, ed i tre ragazzi, oltretutto, non sembravano assolutamente preoccupati che l’elfo avrebbe potuto cercare di trattenerli, o che avrebbe potuto dire tutto a Silente. Quella cosa lo impensieriva e lo preoccupava allo stesso tempo. Eppure Brix sentiva che in qualche modo forse… forse il piano di Lily non era così assurdo, dopotutto. Però… insomma, penetrare a Villa Riddle era… assurdo. Assurdo.

Lily abbassò gli occhi verso di lui.

“Brix,- gli disse, -abbiamo bisogno del tuo aiuto. No, non voglio che tu venga con noi. –Spiegò in fretta vedendo gli occhi spaventati dell’elfo. –Ho bisogno di qualcuno che ci tenga in contatto con l’Ordine.”

Brix sollevò un sopracciglio con fare interrogativo. Volevano mantenere un contatto con l’Ordine? Forse il piano di Lily non era davvero così assurdo.

“E come?” Domandò Brix, incuriosito.

Lily, di tutta risposta, si avvicinò al tavolino e cominciò a disfare il pacchetto di fogli di vecchie Gazzette del Profeta che aveva portato Sirius, sotto gli occhi curiosi sia di Lupin che di Brix. La ragazza ne estrasse due specchi. Semplici, grossi quanto il palmo di una mano, dalla cornice in legno mangiucchiata agli angoli.

“Con questi.” Disse prendendone uno in mano e tendendolo a Brix. L’elfo lo afferrò incuriosito e se lo rigirò tra le lunghe dita, analizzandolo in ogni suo dettaglio.

“Specchi doppio senso.” Spiegò Lily.

“Specchi doppio senso?!” Ripeté incredulo Brix.

“Sono due specchi gemelli che permettono a due persone di parlare tra loro anche se sono a grande distanza o isolate. Basta dire il nome della persona e-” Cominciò a spiegare Sirius.

“Lo cosa sono gli specchi doppio senso, signor Black. Risparmiami la lezione.” Gli rispose burbero Brix fulminando il giovane con gli occhi.

“Sono quelli che usavate tu e James quando eravate in punizione?” Domandò Lupin protendendosi in avanti e afferrando lo specchio che era rimasto sul tavolino. Lo voltò e sul legno del dorso trovò inciso frettolosamente un nome: Ramoso. Sorrise nostalgico.

“Sì. –Gli aveva intanto risposto Sirius. –Lily mi aveva chiesto di andarli a prendere.”

“Fammi capire, Lily. –Disse Brix pensieroso mentre cercava di arrivare ad una conclusione, senza smettere di rigirarsi lo specchio tra le lunghe dita. –Tu vuoi mantenerti in contatto con l’Ordine tramite questi specchi, è così? Vuoi che io faccia da intermediario.”

“Sì, esatto.” Assentì Lily, poi guardò prima Sirius e quindi Remus.

“Quello che intendo fare è lasciare a Brix uno specchio, mentre noi teniamo l’altro. In questo modo se dovesse andare storto qualcosa potremmo sempre avvertire Silente, o comuqnue essere informati sulle azioni dell’Ordine.”

Sirius e Remus annuirono decisi col capo. “Mi sembra una buona idea.- Commentò Remus, -Così ci manteniamo una via di fuga.”

“Ammesso e non concesso, -cominciò l’elfo sentendo gli occhi di tutti calamitati su di lui, -che io decida di appoggiarvi, posso sapere come pensate di entrare in quel… luogo?” Detto questo, posò lo specchio nuovamente sul tavolo e passò a rassegna i volti dei tre ragazzi, aspettando che uno dei tre gli rispondesse. Fu Lily a farlo.

“Beh, pensavo che qualcuno potrebbe aiutarci. Qualcuno che conosce bene Villa Riddle.” Disse la ragazza, guardando prima Brix e quindi i due Malandrini che la osservavano attenti.

“E chi sarebbe questo qualcuno? Uh?- Fece allora Brix, sospettoso e sarcastico allo stesso tempo. –L’unico che conosco potrebbe essere Severus, ma…”

Lily lo interruppe scuotendo il capo e sorridendogli.

“No, Severus no. Ma Lucius Malfoy, sì.” Disse la ragazza, seriamente, gli occhi decisi quasi sicuri dalla risposta che aveva dato, come se la ragazza si stesse complimentando con sé stessa per la sua idea. I tre la guardarono in silenzio per alcuni istanti, sorpresi dall’udire quel nome. Lucius… non potevano fidarsi di Lucius. E poi, di certo, non li avrebbe mai aiutati.

“Ok, Lil. –Fece Siriu con un sorriso. –Hai perso tutta la mia stima che avevi guadagnato finora.”

Lily sbuffò a quella battuta, guardando Sirius irritata.

“Hai un’idea migliore, Felpato?” Chiese incrociando le braccia al petto e riducendo gli occhi a fessure.

Sirius sorrise divertito dall’espressione della ragazza, e si spaparanzò contro lo schienale del divano, allungando le gambe.

“Lucius non accetterà mai di aiutarci.” Le fece notare Lupin, gettando un’occhiata veloce a Sirius.

“Dimentichi che è in debito con me, Rem.” Gli ricordò Lily sorridendogli.

“In debito?- Ripetè allora Brix, confuso. –In debito per cosa?”

Lily si voltò verso l’elfo, sorridendo furba. “In debito per aver salvato la vita di sua moglie.” Disse la ragazza, sicura delle sue parole.

***

“Gli ordini erano semplici.” Sibilò la voce gelida di Voldemort, calma, atona, lama di ghiaccio che penetrò a forza nelle orecchie del giovane steso a terra, sdraiato sulla schiena, le braccia aperte, il corpo ancora sopraffatto dagli spasmi di dolore.

“Gli ordini erano così semplici.” Ripetè Voldemort osservando distrattamente la sua bacchetta scura stretta dolcemente tra le dita bianche.

“Così semplici… Uccidere i Malfoy e portarmi il piccolo Potter.” Aggiunse poi, levando gli occhi di fuoco sulla figura a terra.

Si avvicinò con passo leggero, scivolando sulla pietra del pavimento. Abbassò lo sguardo sul viso contratto del giovane a terra, gli occhi neri spalancati su abissi di dolore. Severus vide quegli occhi di fuoco sopra di lui, percepì il loro fuoco cercare di scandagliare la sua mente. Ma non c’era nulla in lui che quei ladri fiammeggianti potessero trovare interessante. Solo dolore.

Il fiume nero della maledizione Cruciatus continuava a scorrere nelle sue vene, inquinando il suo sangue. Mille pugnali roventi spingevano nella sua carne dimenandosi come belve impazzite, lacerando e bruciando vene e muscoli, strappando nel vano tentativo di placare la loro furia cieca.

Il giovane sentiva il sangue bruciare nella gola. Lo soffocava. Sentiva gli occhi di Voldemort sondare la sua mente. Non poteva cedere, non doveva arrendersi. Doveva proteggere la piccola cerva che scintillava in lui, luminosa come una stella, l’ultimo appiglio che aveva con la realtà. L’ultima difesa.

Voldemort si chinò sinuosamente accanto a lui. Analizzò il viso di Severus con occhi attenti, osservando ogni graffio sulla pelle pallida, ogni taglio, ogni macchia di sangue. Guardò quel viso, segnato dalle ferite che gli spasmi di dolore gli avevano procurato, facendo raschiare la pelle contro la pietra, facendogli sbattere il capo a terra con forza.

Il Signore Oscuro sembrava pensieroso mentre leggeva i segni del dolore che lui stesso aveva inflitto, come un poeta che rilegge attento e appagato il suo ultimo lavoro. Nella sua mano comparve un fazzoletto di seta bianco, candido poco più delle dita cadaveriche. Leggermente, con movimenti dolci e sinuosi, passò la morbida stoffa sul viso di Severus, pulendolo del sangue. Il giovane cercò di sfuggire a quel tocco, voleva fuggire da quel luogo, andare via, smettere di soffrire, ma non poteva. Non poteva muoversi. Non poteva sottrarsi al tocco di quel fazzoletto che accarezzava la sua pelle, portando via le gocce di sangue e sudore che lo sporcavano.

“Sai, -Fece Voldemort in un sussurro mentre continuava a pulire delicatamente il volto di Severus. –Detesto i lavori lasciati a metà.”

Fece schioccare la lingua accompagnando il gesto con un’espressione subdolamente dispiaciuta, incurvando appena le sopracciglia.

“Un vero peccato, non credi?” Sussurrò, ritirando il fazzoletto e osservando gli occhi neri di Severus. Sospirò, guardando il volto ripulito del suo servo, osservando i tagli messi a nudo, privi delle loro vesti vermiglie, guardò i graffi ricominciare a stillare piccole gocce di sangue come tante perle scintillanti alla luce soffusa della grande sala. Il Signore Oscuro guardò soddisfatto quel volto ancora contratto dal dolore. Sorrise compiaciuto.

“Ecco. –Sussurrò. –Ora va meglio. Dobbiamo mostrarci bene al nostro ospite, non credi Severus?” Domandò sarcastico.

Severus non rispose. Deglutì a fatica il sangue che gli si era raggruppato in gola, sentendo il suo torace gridare di dolore a quel lieve movimento. Scostò lo sguardo dal suo signore, chino su di lui, e lo portò sul bimbo dall’altro lato del salone.

Harry lo guardava terrorizzato. I grandi occhioni verdi spalancati e lucidi di lacrime, le stesse lacrime che ancora bagnavano le sue guance porporine, scintillando sulla pelle arrossata intorno agli occhi. Il bimbo era seduto a terra, solo il mantello nero di Severus a proteggerlo dal gelo del pavimento. Era seduto là, ai piedi del grande scranno nero di Voldemort, e guardava Severus. Lo guardava con occhi colmi di paura, supplicanti, scintillanti come quelli di un piccolo cerbiatto abbandonato, sottratto al calore della madre, portato lontano, in un luogo freddo, buio, malvagio. Costretto ad osservare il lupo punire colui che lo aveva stretto a sé, avvolto nel suo mantello caldo, protetto. Colui di cui aveva sentito il cuore battere accanto a sé, nel cui calore si era accoccolato, sicuro e felice.

Severus guardò quegli occhi verdi, gonfi, arrossati. La bocca spalancata, le labbra bagnate di lacrime salate. Aveva consegnato il bambino al suo signore. Era quello che doveva fare… era l’unico modo. Harry si era visto portare via dalle braccia di sua madre un’altra volta, eppure non si era mai ribellato alla stretta oscura di Severus. Si era accoccolato nel suo calore come fosse la cosa più naturale del mondo. Aveva riposto la sua fiducia di bimbo in quello strano ragazzo che lo teneva in braccio, non aveva visto alcuna minaccia in lui, nessun pericolo. Invece quel giovane lo aveva portato in quel luogo freddo, oscuro ed ora Harry era costretto ad osservare quell’uomo alto, magro, avvolto in un’elegante veste nera, fare del male a chi lo aveva stretto a sé. Costretto a rimanere lì, seduto a terra, ad osservare quell’uomo pallido, dai lineamenti serpentini, i capelli neri brizzolati e quegli occhi di fuoco che lo terrificavano.

L’uomo dagli occhi rossi si alzò, lentamente, lo sguardo sempre puntato sul giovane a terra.

“Davvero, detesto i lavori lasciati a metà. –Sibilò. –Malgrado l’irritazione che ciò mi comporta, il mio piano deve andare avanti. I Malfoy erano solo una distrazione.”

Voltò le spalle a Severus con un ampio volteggio del mantello nero e puntò gli occhi cinabrini sul bimbo spaventato vicino al suo trono nero.

“Così sarebbe questo il bambino che dovrebbe sconfiggermi?- Disse, analizzando a lungo il piccolo Harry. –Quale onore, mio piccolo Harry Potter.” Disse con un sorriso profondendosi in un ampio, beffardo inchino.

Il bimbo continuò a fissare quell’uomo malvagio con occhi spalancati. Perché il ragazzo coi capelli neri lo aveva portato lì? Perché quello strano personaggio col mantello nero gli sorrideva?

Severus si alzò a fatica, sputando sangue. Gran parte del dolore che lo aveva afflitto era scemata dalla sua carne, me ancora tutto il suo corpo era dolorante e lanciava fitte lancinanti mentre cercava di far peso sulle braccia per rialzarsi. Sapeva che sarebbe stato punito. Sperava soltanto che il piccolo Harry non avrebbe subito la sua stessa sorte. Sciocca speranza.

Voldemort aveva colto il movimento di Severus, ma non gli aveva dato alcun peso. Ora tutta la sua attenzione era calamitata dal bimbo in lacrime dinnanzi a lui.

“Non devi piangere, mio piccolo Harry. –Disse Voldemort con voce mielata. –Sei al sicuro qui con me.” Il Signore Oscuro si avvicinò al bimbo con passi leggeri, sotto gli occhi attoniti di Harry che lo fissava con occhi enormi quasi nel tentativo di regalare un po’ di pietà, un po’ di dolcezza a quel volto bianco. Ma Voldemort sorrise malvagio e si chinò di fronte al bambino portando il suo viso vicino a quello bagnato di lacrime di Harry.

“Lo sai perché sei qui, piccolo Harry?- Domandò l’Oscuro Signore. –Sei qui perché sei l’ultimo tassello del mio piano. L’ultimo passo verso l’immortalità. Il tuo ultimo respiro sarà la mia apoteosi. Non capisci, vero, marmocchietto? E d’altronde come potresti? Un piccolo mezzosangue come te…”

Severus osservava la scena disgustato. C’era qualcosa di così terribilmente sbagliato e distorto nel vedere Lord Voldemort chinato davanti a un bambino di un anno, parlandogli con voce appena sussurrata eppure così greve di crudeltà. E Harry ne era terrorizzato, Severus lo vedeva, continuava a fissare Riddle con la bocca spalancata e gli occhi lucidi, incapace perfino di piangere. Severus sentì il dolore premere contro il suo petto, non il dolore fisico delle Cruciatus appena subito, no. Un dolore più profondo, più forte. Non aveva potuto evitare di consegnare il bambino a Voldemort. Non aveva potuto. Gli occhi increduli e supplicanti di Lily continuavano a premere nella sua mente, perché quegli occhi erano lì, davanti a lui, spalancati e arrossati, bagnati di lacrime innocenti.

“Oh, -riprese il Signore Oscuro, alzandosi in piedi. –Suppongo che tua madre e i suoi amici cercheranno di salvarti.” Sorrise malvagio, gettando un’occhiata lesta a Severus.

“Possono risparmiarsi questa incombenza. Con Albus Silente fuori gioco non possono fare nulla. Nulla!” Esclamò infine, con rabbia facendo sussultare il bimbo ai suoi piedi e Severus, poco più in là. E fu verso quest’ultimo che Voldemort si diresse a grandi passi, quasi con furia. Si fermò ad un passo dal giovane e lo osservò attentamente sprofondando i suoi occhi rossi in quelli dell’altro, compiacendosi del fatto che Severus sostenesse il suo sguardo.

“Suppongo di poter contare ancora su di te, Severus. Sì?” Disse con voce carezzevole, sorridendo al giovane.

Gli occhi di Severus scintillarono di una scintilla non trattenuta. Il giovane sostenne lo sguardo del suo signore, alzando imperiosamente il mento.

“Certo, mio signore.” Disse deciso e Voldemort parve appagato da quella risposta. Si voltò, tornando nuovamente a posare gli occhi di fuoco sul bimbo spaesato.

Sospirò stancamente. “E va bene. –Sussurrò. –Attendiamo che la signorina Evans e la sua combriccola vengano da me. Dopotutto, a che pro un grande trionfo se nessuno ne è testimone?” Sorrise, malvagio, felice pregustando il compiersi del suo piano, e mentre ridacchiava non si accorse dell’espressione decisa che si era dipinta sul volto di Severus, alle sue spalle. Non si accorse dello scintillio cosciente dei suoi occhi neri.

***

“Assolutamente no!- Esclamò Lucius Malfoy, guardando i tre ragazzi e l’elfo domestico con occhi gelidi. –Non prenderò parte ad una missione suicida. Specie, non per aiutare voi!”

“Lucius, - Intervenne Lily, gentilmente. –Non devi prendere part alla missione, devi solo dirci come possiamo entrare a Villa Riddle.”

“E perché dovrei?” Fece allora Malfoy con fare arrogante, alzando il mento.

“Perché-“ Cominciò Lily, ma Malfoy non le permise di continuare.

“Ho già rischiato abbastanza io. Non voglio essere implicato in questa faccenda. Ho rischiato di vedere morire mia moglie e mio figlio e, giuro, non ho alcuna intenzione di trovarmi come ostacolo sul cammino del Signore Oscuro una seconda volta. Una basta e avanza.” Disse freddamente.

“Non puoi tornare da lui. –Gli fece allora notare Sirius, per niente gentile quanto era stata Lily. –Tanto vale che ti rendi utile, no?”

Lucius lo fulminò con un’occhiata. “Non azzardarti a usare quel tono con me, Black.” Ringhiò.

“Oh, scusa cugino. –Cinguettò allora Sirius. –Ti prego accetta le mie scuse.”

Lucius lo guardò con occhi fuoco, il viso chiaro ridotto a una splendente crudele maschera d’argento, la lingua stretta nella bocca pronta a sputare veleno. Ma ciò non accadde perché Lily riprese svelta in mano la situazione, prima che questa degenerasse.

“Lucius, -Disse tranquilla, eppure decisa, -sei l’unico che può aiutarci. Tu conosci Villa Riddle. Per di più, sono sicura che un po’ sei preoccupato per Severus. E' tuo amico, no?”

“Anche se fosse?- Ribattè freddo Malfoy, -Perché dovrei aiutare una Nata Babbana?”

“Ehi, modera i termini, Malfoy!” Saltò immediatamente su Sirius, balzando in piedi ed alzando le spalle di fronte a Lucius, che semplicemente incrociò le braccia al petto.

“Ho detto ‘Nata Babbana’, Black, non ‘Sanguesporco’. Sturati bene le orecchie la prossima volta e tieni per te la tua stupidità.” Gli disse gelido, senza che alcuna emozione gli piegasse i lineamenti. Detto ciò, allontanò lo sguardo dall’espressione irata e cagnesca di Sirius per alzarlo pigramente su Lily.

“Allora, Evans?- La incitò. –Perché dovrei aiutarvi?”

Lily fece per rispondere, ma Remus la precedette. “Ricorda che saresti vedovo ora se non fosse stato per lei. Forse le devi qualcosa, non credi?”

Lucius lo guardò pensieroso per qualche istante, poi rispose: “Forse.”

“Per favore, Lucius. –Intervenne Lily. –Che cos’hai da perdere?”

Malfoy fece una smorfia udendo quelle parole. “Non più di quanto già rischio.- Disse seriamente, -Ma la via che volete imboccare è a senso unico, suppongo lo sappiate. Non c’è ritorno.”

“Allora non dovresti avere problemi a indicarci il modo di entrare, vero? Così ti sbarazzeresti di noi.” Disse duramente Sirius.

Lucius lo guardò aprendo un sorriso freddo sul suo viso chiaro, un sorriso sarcastico, eppure triste. “Vero. Ma come Lupin mi ha ricordato, sono in debito con la signorina Evans, ergo perché dovrei essere complice della sua morte?”

“Lascia stare la morale, Malfoy, proprio non ti si addice.- Grugnì Sirius. –Che cos'è che vuoi in cambio?”

Lucius sorrise mellifluo a quella domanda. Una nota di appagamento nei suoi occhi, il raggiungimento di un obiettivo. Quanto era stupido Black. Si era infilato dritto nella trappola.

“Beh, -Fece Malfoy con nonchalance. – sapete, Azkaban non mi fa affatto gola. Forse se-”

“Va bene, Malfoy, abbiamo capito.- Lo interruppe Lily. –Forse possiamo convincere Silente a risparmiarti Azkaban. Però devi darci la tua parola che ci aiuterai. E niente furbate.”

Lucius Malfoy sorrise, felice di aver finalmente raggiunto il suo obiettivo. Raddrizzò bene le spalle e alzò il mento annuendo rigidamente.

“E sia. –Disse. –Avete al mia parola.”

Lily annuì in risposta, pur sempre sotto lo sguardo sospettoso degli altri. Non si fidavano più di tanto di Malfoy… nemmeno lei si fidava davvero, ad essere sinceri, ma Malfoy era l’unico che poteva aiutarli in quel momento. Lucius Malfoy era la loro unica speranza di entrare nel cove di Voldemort.

“Allora?- Fece la voce di Lupin.- Come entriamo a Villa Riddle?”

Lucius si passò una mano sul mento, pensieroso, fingendo di concentrarsi per trovare la risposta alla domanda quando sapeva già perfettamente quale fosse. Rimase pensieroso per alcuni secondi, prendendo a fare su e giù nel salotto sotto gli occhi pieni di aspettativa di Lily e Lupin e quelli più sospettosi e annoiati di Brix e Sirius.

Infine, Malfoy si fermò, si voltò lentamente verso Lily e sospirò.

“Una via c’è. –Disse. –Si tratta di un passaggio che porta alla vecchia cripta della villa. In giardino, sul lato est, troverete una grande lastra di marmo con una croce incisa sopra. Spostatela e scoprirete che sotto c’è un scala di pietra. Scendete la scala e arriverete in un passaggio piuttosto angusto; seguite la galleria e arriverete nella cripta. Da lì potete passare nei sotterranei e dai sotterranei a tutta la casa. Ovviamente se non vi sarete fatti scoprire prima.” Aggiunse infine con un sorrisetto ironico.

“E tu ci garantisci che non ci sono allarmi o barriere di sorta lì?” Si informò allora Lily.

“Non posso esserne sicuro. Dovrete fare attenzione. Soprattutto, -Rispose Malfoy, -fate attenzione alle barriere anti-materializzazione. Il Signore Oscuro percepisce ogni cosa che le barriere individuano.”

Lily annuì decisa. Se potevano comunicare con Brix all’esterno, potevano farsi aiutare da Silente. Sempre sperando che gli specchi funzionassero anche attraverso le barriere. Dopotutto, però, avevano sempre funzionato sotto le barriere anti-materializzazione di Hogwarts, perché non avrebbero dovuto sotto quelle di Villa Riddle?

“Grazie, Lucius.” Disse Lily, sincera.

Lucius la guardò freddamente per qualche istante, analizzandola da capo a piedi, poi le disse: “Grazie a te Evans. Per aver salvato Narcissa.” Il tono era freddo, distaccato, come era sempre, eppure Lily riuscì a captare una certa vena di vero ringraziamento in quelle parole. Sorrise, pensando che forse, questa volta sarebbe riuscita davvero a fare qualcosa di giusto.

Lei, Remus e Sirius sarebbero entrarti a Villa Riddle, usando il passaggio che aveva loro segnalato Malfoy, portando con loro uno degli specchi. Avrebbero cercato Severus e Harry e li avrebbero portati via mentre Voldemort e i Mangiamorte erano distratti dall’Ordine. Brix sarebbe rimasto con Silente, con l’altro specchio, facendo da tramite tra loro e il preside. Preside che sarebbe stato avvertito certo, ma solo dopo che loro se ne erano già andati. Sì, il piano quadrava, c’era solo da sperare che andasse tutto liscio, cosa piuttosto improbabile. Comunque sarebbe andata, avrebbero in qualche modo portato via Severus e Harry da là, poco ma sicuro. Lily non li avrebbe abbandonati. Avrebbe salvato Harry. Avrebbe salvato Severus.

*******

Scusate il ritardo. Scusate il ritardo. Scusate il ritardo.

Non sono riuscita a finire il capitolo ieri sera. Perdono. E’ un capitolo di passaggio, ma è piuttosto denso, di dialoghi soprattutto ed è stato duro da scrivere. Inoltre sono stata un po’ presa dalle traduzioni in inglese.

La cosa triste è che questo è il terzultimo capitolo. Eh sì: ne rimangono solo più due e forse, forse, un breve epilogo. Sto cominciando a tirare le somme. Ragazzi, sono sei mesi che va avanti questa storia, dal quindici di agosto. E finora ho scritto trecentoventiquattro, no dico 324 (è sbagliato scriverlo in numero, ma rende di più l’idea), pagine di word. Un altro libro praticamente.

Beh, nient’altro da dire. A presto!

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Capitolo 35
*** Nella tana del Serpente ***


Capitolo 35
 

NELLA TANA DEL SERPENTE



Lily si gettò un’occhiata alle spalle. Remus e Sirius la seguivano silenziosi, tutti e tre stretti nei mantelli, loro unica protezione contro il gelo del crepuscolo. Un crepuscolo spettrale che sembrava farsi ancora più cupo e pericoloso intorno a quella villa scura, come un serpente sibilante che mostrava le sue zanne velenose a quei tre stranieri.

Ma a quei tre stranieri incappucciati non importava. Quei tre stranieri dovevano entrare nella tana del serpente, dovevano entrare. E ora seguivano con passi felpati la lunga cancellata arrugginita, osservando il giardino al di là, gli occhi pronti a cogliere qualsiasi movimento. Ma di movimenti, in quel giardino dimenticato, in quella spettrale anticamera del limbo, non ce n’erano. Era tutto silenzio. Tutto calmo.

Lily si fermò, gli occhi verdi sempre puntati attenti verso la villa sulla collina, come quelli di una cerva preoccupata a non farsi cogliere di sorpresa dal lupo. Si trovava davanti un cancelletto arrugginito, ripiegato su sé stesso come un vecchio magro e contorto. Era aperto, esattamente come aveva detto Lucius, ormai dimenticato da tempo. Lily levò la bacchetta e la puntò innanzi a sé. Mormorò alcune formule, concentrata sotto gli occhi dei suoi due compagni. Rimase qualche istante ad attendere, ma non accadde nulla. Scosse il capo, preoccupata.

Si voltò verso Remus e Sirius con espressione preoccupata, confusa… non riusciva a capire. Dov’erano le barriere di cui aveva parlato Lucius Malfoy? Aveva perfino detto loro di fare molta attenzione… ma attenzione a cosa se non c’era niente?

“Niente?” Chiese Sirius in un sussurro. Lily scosse il capo.

“Meglio così, no?” Ribattè allora il ragazzo gettando un’occhiata a Lupin accompagnandola con un sorriso. Ma Remus non rispose, guardò l’altro con aria pensierosa quindi distolse lo sguardo e lo portò verso Villa Riddle, accoccolata sulla sua collinetta come un serpente avvolto tra le sue spire, silenzioso, pronto a far scattare la sua trappola.

“Non mi piace questa cosa.” Mormorò Lupin.

“Neanche a me”. Gli rispose Lily. “Ma abbiamo altra scelta?” Gettò un’occhiata decisa ai suoi due amici quindi si voltò, fece un passo in avanti, decisa a superare quel cancello, ma Remus si sporse in avanti afferrandola per un braccio e trattenendola. Lily si voltò a guardarlo irata.

“Non fare cose stupide.” Le disse duramente Remus. “Il fatto che non possiamo avvertirle, non vuol dire che non ci siano.” Disse riferendosi alle barriere.

“Chiediamo consiglio a Silente. Brix è con lui e ha l’altro specchio.” Ma Lily lo ignorò e si liberò con uno strattone. Non le importava. Lei sapeva solo che dovevano entrare, che dovevano entrare in quella casa. Sapeva solo che Harry e Severus erano là, dove riposava il serpente.

“Lily!” Ringhiò Lupin, trattenendo la sua voce in un sussurro, ma Lily aveva già superato il cancelletto con un balzo.

Sia Remus che Sirius osservarono quel movimento trattenendo il fiato, quasi dovessero vedere Lily esplodere davanti a loro con uno sfrigolare di luce.

“Allora?” Sussurrò Lily dall’altro lato del cancello, tutta perfettamente. “Vi muovete?” Aggiunse incitandoli a raggiungerla. Lupin e Sirius si scambiarono un’occhiata veloce lasciando andare un sospiro di sollievo.

***

Albus Silente si strinse nel mantello blu. L’aria era pungente, gelida nonostante i raggi del sole che filtravano attraverso le nubi. Raggi malati, flaccidi, d’un grigio verdastro che si appoggiavano spossati alle alte mura scure della villa, lassù sulla collina, al di là di quel vecchio cancello di ferro.

C’era solo silenzio. Solo il silenzio a sorvegliare quei cancelli arrugginiti. Solo silenzio appoggiato mogiamente alla cancellata nera, gettando occhiate distratte intorno a sé, alla cupa atmosfera che avvolgeva il maniero e il paese di Little Hangleton, poco più in basso. I tetti delle case grigi e macilenti come se la cittadina stessa fosse avvolta e abitata soltanto dai fantasmi di quella casa, lassù, sulla collina, dalle grida che essa spargeva intorno. Quella villa che doveva essere stata una splendida casa signorile, un tempo, elegante e superba, ma che ora era niente più che un guscio vuoto, pieno soltanto di dolore e malvagità, le mura impregnate delle urla dei suoi prigionieri e della magia nera del suo proprietario. Quella era villa Riddle. Niente più che il covo, la tana buia e fredda di un serpente.

Silente sospirò appena, gli occhi azzurri puntati su quella lugubre dimora. Tutto era tranquillo.

Il preside si gettò un’occhiata alle spalle, sapeva che i suoi seguaci dell’Ordine era lì, pronti e agguerriti alle sue spalle, decisi, ancora per una volta, ad aver fiducia in lui. Sapevano che quella era l’unica via. Sapevano che non avevano alternative se volevano salvare Severus Piton e, con lui, il piccolo Harry. Silente scosse il capo amaramente. Il rapimento di Harry era stato l’avvenimento che aveva spinto anche i più reticenti a seguirlo lì, a seguire il comandante che li aveva delusi in un’ultima missione. Suo fratello Aberforth era uno di quelli.

E così, ora se ne stavano lì, ai margini della campagna che si apriva intorno a Little Hangleton, nascosti tra le ultime case disabitate della periferia. Erano venti. Venti contro nemmeno sapeva quanti Mangiamorte. Silente confidava nell’elemento sorpresa, era l’unico asso nella manica che avevano.

Sospirò ancora, aggiustandosi gli occhiali sul naso adunco.

“Albus?” Una voce richiamò la sua attenzione. Il vecchio preside si voltò, ritrovandosi davanti la piccola figura dell’elfo Brix.

“Siamo tutti pronti.” Gli disse Brix con voce ferma, il volto pietrificato in una maschera di decisione.

“Lily e gli altri due ragazzi sono arrivati?” Gli chiese Albus, dopo aver annuito all’affermazione precedente. Stavano aspettando solo loro. Dove diavolo si erano cacciati?

Brix tossicchiò appena, abbassando lo sguardo come a prepararsi a dire qualcosa che Albus non avrebbe gradito.

“Beh… loro… ecco…” Cominciò a dire, fissandosi i piedi.

“Dove sono, Brix?” Gli chiese seriamente Albus. C’era qualcosa che non quadrava. Quei tre avevano in mente qualcosa, oh sì…

Brix non rispose, lo sguardo puntato a terra per evitare gli occhi azzurri e penetranti del preside. Come glielo diceva ora?

Ma non ci fu bisogno di dire nulla, perché improvvisamente un lampo di comprensione balzò negli occhi cerulei del preside, scintillando come il guizzo di un piccolo pesciolino d’argento. Albus si voltò verso la cupa villa sulla collina, un’espressione incredula e preoccupata sul viso anziano.

“Perché?” Chiese sottovoce, tra sé e sé, “Perché devono sempre fare di testa loro?!”

***

“E’ questa la pietra che diceva Malfoy?” Chiese Lupin in un sussurro.

Era chinato a terra, le ginocchia poggiate contro la terra umida e gelida, appena lambite da un leggero scroscio di nebbia che copriva il terreno come un sudario. Dinnanzi a lui c’era una grande lastra di marmo, coperta appena dalle braccia ossute dell’edera che gemeva a terra, abbracciata al marmo come fosse stato il suo unico riparo contro il gelo. Sulla pietra, profondamente incisa c’era una grande croce latina, scritta indelebile e segno inconfondibile di ciò che il marmo celava. La lastra si trovava a qualche metro di distanza dalle mura cupe e scrostate della casa. Solo qualche metro da quei muri che trasudavano come pelle carbonizzata gocce di terrore, stille di veleno che scivolavano dalle zanne del serpente. Le finestre della casa erano tutte barricate, chiuse da assi come bocche cucite, come occhi ciechi che piangevano sangue. C’era solo silenzio tutto intorno. Neanche il vento si spingeva oltre i cancelli putridi di Villa Riddle, solo la nebbia strisciava sul terreno gelato in un moto di pudore a coprirne la nudità.

Gli occhi d’ambra di Lupin balzarono dalla grande lastra di marmo ai suoi piedi a Lily che se ne stava ritta di fianco a lui, guardandosi intorno circospetta.

C’era così tanto silenzio intorno a loro. Troppo silenzio. Non avevano incontrato nemmeno un Mangiamorte. Niente.

Certo, avevano seguito alla lettera le istruzioni di Lucius per evitare di essere visti, ma il fatto che non ci fosse anima viva intorno a villa Riddle non era una bella cosa. E Lily continuava a guardarsi intorno preoccupata come aspettandosi da un momento all’altro che venissero attaccati dai seguaci di Voldemort. Sirius ero teso quanto lei. Continuava a far scattare gli occhi azzurri a destra e a manca, la bacchetta stretta in pugno. Le sembrava di trovarsi in bilico su una corda tesa, sul sospiro sibilante del serpente addormentato che aspettava, e osservava, in silenzio, pronto a scattare alla prima occasione.

“Lily?” Lupin richiamò la ragazza, alzando gli occhi verso di lei. Qualsiasi rumore più alto di un bisbiglio sembrava dover infrangere con uno stridore la polla acronica in cui erano immersi. Non era così che si aspettavano il covo di Voldemort, eppure, era come se fosse giusto… come se quella calma innaturale, quel respiro velenoso che aleggiava intorno a loro forse la cosa più naturale di quel luogo, di quella tana.

Lily non diede segno di aver sentito la voce di Lupin. Si morse il labbro inferiore, ansiosa, stringendo forte la bacchetta di James, come a trarre calore da quel legno scuro, come a cercare un appiglio che le desse la forza di continuare.

“Questa calma mi mette i brividi.” Commentò Sirius a bassa voce, guardandosi intorno preoccupato. Lily non lo guardò, ancora troppa immersa nei suoi pensieri, troppe domande vagnavano nella sua testa e quella calma limbica non faceva altro che aumentare la tensione. Non c’era nulla. Non c’erano Mangiamorte, non c’erano barriere… non c’era nulla, soltanto lo sguardo ansioso del serpente nero che li osservava paziente. Malfoy aveva parlato di barriere anti-materializzazione, ma dove erano? Erano entrati nel giardino incurato e dimenticato della villa come se niente fosse, come se l’inquietante costruzione nera fosse disabitata… perché? Quella domanda le ronzava intorno dal momento in cui avevano superato il vecchio cancello, macilento e curvo sotto il peso della spessa mantella di edera.

Dov’erano i Mangiamorte? Che fine avevano fatto le barriere?

“Ho solo io l’impressione che ci stiamo infilando dritti in una trappola?” Sussurrò Sirius avvicinandosi lentamente.

Lily lo guardò distrattamente, ancora pensierosa.

“Una trappola…” ripeté sovrappensiero. Una trappola. Però… però se Voldemort aspettava lei… Le barriere non c’erano. E Voldemort non sapeva dell’Ordine.

“Sirius”, sussurrò Lily, colta improvvisamente da quel lampo di comprensione. C’era una falla nel piano di Voldemort… “Se ha tolto le barriere per intrappolare noi, ha lasciato campo libero all’Ordine.”

I due ragazzi la guardarono pensierosi. Voldemort non poteva essere così sciocco… no, Voldemort non era uno stupido, se aveva osato togliere le barriere aveva sicuramente messo qualcos’altro a guardia della villa. Non poteva aver lasciato il suo covo sguarnito… o sì?

Remus e Sirius si scambiarono una veloce occhiata interrogativa, quindi entrambi puntarono nuovamente gli occhi su Lily.

“Che cosa vuoi fare?” Le chiese Remus, ancora chinato a terra. “Andiamo o…?” Domandò poi accennando col capo alla lastra di marmo.

Lily lo guardò decisa. “Certo che andiamo.”

“Allora sbrighiamoci prima che arrivi qualche Mangiamorte.” Disse duramente Sirius.

Sia Lily che Remus annuirono decisi, quindi quest’ultimo si alzò ed estrasse la bacchetta dalle pieghe del mantello. La puntò contro la lastra di marmo e con voce appena sussurrata, disse: “Wingardium leviosa.”

La lastra scricchiolò appena sotto l’incantesimo, mormorò irritata, ringhiò nello sforzo di alzarsi dalla sua sede, cercando di stroncare la terra e le pietre che avevano chiuso, sigillato tutti i suoi bordi con l’andare del tempo.  Si mosse appena rilasciando un cupo crepitio, ma nulla più.

“E’ bloccata.” Commentò Lupin chinandosi su di essa per controllare i brodi. Passò le dita lungo di essi senza motivo alcuno se non quello di toccare con mano la realtà dei fatti.

“Su, levati.” Gli bisbigliò Sirius deciso, afferrandolo per un braccio e facendolo alzare. Black aspettò che Remus si fosse scostato dalla pietra, quindi levò la bacchetta con fare deciso.

“No, aspetta…” Tentò di fermarlo Lily, ma Black aveva già scagliato con impeto l’incantesimo. La lastra si spaccò da un capo all’altro, sputando polvere bianca schegge di marmo dalla profonda crepa che si aprì lungo la linea dello stipes della croce, producendo uno schianto sordo che nel silenzio che invadeva il giardino sembrò risuonare come il ruggito di un drago, il ringhio di rabbia di una creatura scossa dal suo sonno, spandendosi tutt’intorno nella leggera foschia, rapendo il respiro agli altri due ragazzi in piedi a poca distanza.

Sirius si guardò intorno con fare circospetto, gli occhi spalancati, aspettandosi da un momento all’altro di sentire grida d’allarme provenire dalla villa, aspettandosi di vedere decine di Mangiamorte sbucare dai lati della villa. Ma tutto ciò non avvenne e lo scrocchio profondo del marmo si perse nella nebbia, fagocitato dal silenzio stesso.

Lily e Remus tirarono un sospiro di sollievo, rilassandosi appena, senza comunque abbassare la guardia.

“Scusate.” Sussurrò appena Sirius quando si fu assicurato che il rumore non avesse richiamato l’attenzione di altri.

“Tu ci farai ammazzare tutti.” Commentò Remus, avvicinandosi nuovamente alla lastra di marmo e lanciando nuovamente l’incantesimo di levitazione. Questa volta la pietra si mosse, le due parti si levarono dolcemente da terra, in silenzio rivelando il profondo di quella gola di cui erano le labbra, buia e fredda. Remus fece adagiare i blocchi di marmo sull’erba alta accompagnandoli con la bacchetta, mentre Sirius e Lily si chinavano sull’apertura.

Ricevettero in pieno volto il respiro asfittico di quella creatura sotterranea, uno sbuffo di aria viziata, densa e pesante, il sospiro di una creatura che aveva trattenuto il fiato per secoli e che ora, finalmente, poteva svuotare i suoi polmoni di quella melma che da tempo immemore li colmava, sputandola verso il cielo con un sibilo, un sospiro appagato.

Lumos.” Sussurrò Lily, puntando poi la luce azzurra e fresca della bacchetta verso quelle fauci buie che si aprivano dinnanzi ai suoi piedi. I raggi turchini sfiorarono la sagoma di alcuni scalini di pietra rivelandoli agli occhi dei ragazzi.

“Bene”, fece Sirius, “chi entra per primo nel buio tunnel delle catacombe?”

Lily fece una smorfia, scuotendo il capo sconsolata, quindi strinse meglio la bacchetta nella destra e posò il primo passo sulla scala. Cominciò a scendere gli scalini lentamente, con molta attenzione, non sembravano più di tanto rovinati, ma erano comunque molto stretti tanto che doveva poggiare il piede di lato tenendo la schiena contro la parete di pietra che delimitava la scala. Sirius aspettò che Lily avesse sceso i primi scalini, quindi accese a sua volta la bacchetta e la seguì. Ultimo fu Remus, poi le fauci del buio si richiusero su di lui ingoiando la luce azzurra con un sorriso soddisfatto, gustandosi il pasto.

***

“Ma io dico, elfo”, ruggì Alastor Moody facendo un passo verso la piccola creatura, “perché diavolo glielo hai permesso?!”

Brix lo guardò con gli occhi a palla. Si sentiva un imputato accerchiato dagli indici tesi e accusatori dei giudici. Tutti e quattro i membri di spicco dell’Ordine. Eccoli lì: Aberforth Silente, Minerva McGranitt, Alastor Moody e Albus Silente. Tutti e quattro lì che lo scrutavano e lo analizzavano con occhi di fuoco. Ma perché? Perché aveva dato retta a quei tre?

“Non lo so.” Rispose piantando bene i piedi per terra e incrociando le braccia magre sul petto. “So solo che mi fido di miss Lily. Forse è per questo che ho accettato.”

“Insomma, Brix”, fece Minerva McGranitt, “anche io mi fido di Lily, ma questa è pazzia.”

“Tanto ormai saranno già entrati.” Rispose l’elfo.

“Certo, visto che ci hai informato solo dieci secondi fa.” Ribatté piccato Malocchio.

Brix lo guardò in cagnesco, arricciando le sopracciglia e lanciandogli un’occhiata cupa quanto quella dello stesso Alastor. Sospirò profondamente fronteggiando l’auror con risolutezza.

“Albus”, fece la McGranitt alzando lo sguardo verso il preside, in cerca di appoggio, “non possiamo lasciarli da soli. Sono solo dei ragazzi.”

Silente le gettò un’occhiata distratta. “Sono ragazzi molto in gamba.” La corresse con un sorrisetto.

Minerva lo guardò esasperata. “Non vorrai permettere questa follia, Albus!” Esclamò, gli occhiali rettangolari che fremevano d’indignazione sul naso arcuato, gli occhi chiari spalancati come la bocca.

“E’ inutile stare a discutere.” Disse Silente, con tono autoritario, gettando occhiate decise ai tre di fronte a lui. “Ormai è fatt. L’unica cosa che possiamo fare è approfittare di questa situazione e cercare di aiutare Lily e gli altri ragazzi.”

La professoressa McGranitt scosse il capo, aprendo le braccia rassegnata di fronte all’affermazione del collega, mentre Moody si faceva pensieroso.

Aberforth fece un passo in avanti portandosi all’altezza di Brix, deciso a fronteggiare il fratello.

“Aiutarli?” Gli fece eco, con tono vagamente sarcastico. “E come? Noi siamo qui e loro sono…” Ma Albus non gli permise nemmeno di finire la frase. Sorrise sibillino sollevando le sopracciglia e spiando Aberforth da sopra gli occhiali.

“Con uno specchio a doppio senso, Ab. E con cosa se no?” E sotto le occhiate confuse dei compagni, Albus Silente fece scattare un occhiolino verso il piccolo elfo, sorridendo enigmatico.

***

Lily…

Lily aveva raggiunto la fine della scala di pietra, davanti a lei si apriva una galleria spoglia, vuota, abitata soltanto dal tintinnio sinistro delle gocce d’acqua. Alla luce azzurra della bacchetta, le pareti di pietra luccicavano di lacrime blu, viscide, sporche gocce che scivolavano sulle loro guance ruvide per perdersi in quelle due dita d’acqua che coprivano il pavimento della galleria.

Sirius, dietro di lei, balzò giù dagli ultimi scalini schizzando il velo d’acqua tutt’intorno. Gettò un’occhiata ai suoi piedi e fece una smorfia notando la pellicola scura e fredda che copriva il pavimento.

“E’ pieno d’acqua qui sotto.” Disse puntando la bacchetta in basso per poi analizzare le pareti di pietra intorno a lui.

Lily…

Lily guardò distrattamente Sirius, mentre anche Remus li raggiungeva. Si guardò intorno circospetta e alzò la bacchetta verso il basso soffitto ad arco solo per vedere le gocce d’acqua stillare lente attraverso le fessure. Anche Remus e Sirius si guardavano intorno incuriositi. Si sentivano al riparo dal respiro malefico della casa, lì sotto, si sentivano più al sicuro, lontani dalla calma e dal silenzio che regnava nel giardino.

Lily!

La ragazza si riscosse improvvisamente di fronte al quel fermo richiamo che proveniva dalla sua tasca. Abbassò un attimo la bacchetta per poter infilare una mano nella tasca dei pantaloni. Ne estrasse lo specchio a doppio a senso e lo portò alla luce della bacchetta, richiamando Remus e Sirius pochi passi più indietro. Tutti e tre si chinarono sullo specchio vedendone il vetro ondeggiare quasi liquido per qualche istante, poi, tra l’argento e il bianco dello stesso, comparvero due occhi azzurri.

“Albus.” Sussurrò allora la ragazza con un lieve sorriso.

“Dove siete?” Chiese Albus Silente dallo specchio, mentre andava comparendo anche il resto del viso, occhiali a mezzaluna compresi.

“Nella galleria della cripta, ma…” Cominciò Lily, Silente la interruppe.

“Lily, fate molta attenzione. C’è qualcosa di strano, Tom ha in mente qualcosa.” Disse il preside.

“E’ probabile”, disse Lily determinata, “ma ho intenzione di andare fino in fondo.”

Silente sorrise scuotendo il capo. “Lo so, Lily. Lo so. Ma a volte il coraggio da solo serve a poco.” Il viso del preside si fece più duro, gli occhi azzurri si caricarono di un colore più cupo. “Ragazzi”, disse rivolgendosi a tutti e tre, “fate attenzione. L’Ordine è pronto a muoversi, attaccheremo tra un’ora. Se volete portare via Severus ed Harry da lì, o almeno questo Brix mi ha detto essere il vostro piano, sbrigatevi: non vorrei dovervi venire a cercare nei meandri della terra per salvarvi. Non mi resta che augurarvi buona fortuna.” Concluse facendo scattare un veloce sorriso, quindi la sua immagine tremolò per qualche istante e stava per svanire quando Lily lo trattenne.

“Preside.” Lo chiamò. L’immagine di Albus si fece nuovamente più nitida, e il preside sollevò appena un sopracciglio in attesa di udire le prossime parole di Lily.

“Non ci sono barriere intorno alla villa.” Lo informò la ragazza.

Silente annuì deciso, senza un minimo di sorpresa negli occhi. “Lo so.” Le disse. “Per questo dovete fare molta attenzione. Tom vi aspetta. E noi siamo qui pronti a venirvi a salvare.” Concluse con un sorriso, quindi fece schioccare l’occhio nello sprizzo azzurro di un occhiolino furbo e sibillino che nascondeva sicuramente qualche strano piano.

“Buonanotte.” Disse infine il preside, con il suo solito sorriso enigmatico sul viso e gli occhi azzurri scintillanti e astuti dietro le lenti degli occhiali, mentre la sua immagine sfumava di nuovo nel vetro e questa volta scompariva, lasciando Lily a fissare i suoi stessi occhi verdi nello specchio.

“Buonanotte?” Ripetè Remus, dopo qualche secondo, confuso, gettando un’occhiata svelta a Sirius come a cercare una risposta dall’amico, ma quello si strinse semplicemente nelle spalle.

“Sbrighiamoci.” Ordinò di tutta risposta Lily. Non sapeva cosa aveva in mente Silente, ma se era davvero una trappola l’Ordine era la loro unica chance. Dovevano trovare Harry e Severus e poi sarebbe arrivato Silente ad aiutarli: questo aveva capito.

La ragazza ritirò lo specchio infilandolo nuovamente al sicuro nella tasca dei pantaloni, quindi si avviò lungo la galleria con gli schiocchi dell’acqua ad accompagnare i suoi passi. Remus e Sirius la seguirono all’istante, in silenzio.

Avevano percorso solo pochi metri che Sirius si protese in avanti, verso Lily.

“Dove credi che sia Harry?” le sussurrò all’orecchio.

Lily scosse il capo senza smettere di avanzare. “Non lo so.” Gli rispose. “Lo troveremo.” Aggiunse convinta, benché dentro di lei Lily sapeva che non sarebbe certo stata un’impresa facile. La casa era immensa, Harry avrebbe potuto essere ovunque, e il fatto che Albus avesse dato loro solo un’ora di tempo non facilitava certo la cosa. In fondo, però, Lily aveva la sensazione che Harry sarebbe venuto da lei. Se davvero era una trappola, e Voldemort li stava aspettando, allora era anche probabile che avesse con sé suo figlio. Buffo, stava entrando nella rete di sua volontà perché sapeva che l’esca era Harry.

“Se dici così, mi fido.” Commentò Black con una smorfia, poi gettando uno sguardo a Remus dietro di lui, notando lo sguardo cupo dell’altro ragazzo, attento e circospetto.

Uno spiraglio di luce fredda, giallastra, malatainvestì il volto di Lily. Dinnanzi ai suoi occhi smeraldini  si presentò una bassa arcata di pietra che, a quanto pareva, segnava la fine della breve galleria e dava sulla cripta della famiglia Riddle. L’arcataera interamente scolpitacon motivi geometrici che si inerpicavano lungo le due colonne e l’arco a tutto sesto che sorreggevano per unirsi nella chiave di volta in cui un tempo doveva essere scolpito lo stemma della famiglia Riddle, ormai però, era completamente cancellato, ad eccezione soltanto del contorno dello scudo. Un po’ più in rilievo rispetto alle decorazioni spiccavano le lettere di alcune parole, in una scritta gotica indecifrabile, a destra ed a sinistra della chiave, ormaianch’esse corrosedal tempo.

Tuttavia, Lily porse poca attenzione all’arcata, ciò che la stupiva e al tempo stesso la spaventava era quella luce. Quella luce malata, flaccida che portava con sé un odore di morte e di muffa che quasi le bloccava il respiro. La luce fresca della sua bacchetta era stata completamente avvolta da quei raggi appiccicosi e giallastri, soffocandola come un panno bagnato nella cera.

Lily si bloccò di colpo. Non le piaceva quella luce. C’era qualcosa di malvagio in essa, come una sirena che tendeva la sua mano putrida e gonfia verso di lei chiamandola, però, con un canto armonioso a cui lei non poteva sottrarsi, pur sentendo perfettamente le note malvagie e depravate che erano in esso.

La ragazza si gettò un’occhiata alle spalle, per un attimo insicura. Remus e Sirius ricambiarono l’occhiata altrettanto titubanti: anche loro sentivano che qualcosa non andava, sentivano che stavano per entrare direttamente nelle fauci del serpente che, tranquillo, aspettava di gustarsi le loro carni già assaporandone il gusto con un ghigno spietato.

Lily deglutì. Chiuse gli occhi per un secondo, cercando dentro di sé la forza di entrare in quella stanza che olezzava di morte. Era al punto di non ritorno, ormai. Non poteva tirarsi indietro. Non poteva…

“Lily…”

 “Mi dispiace.”

“Sev… Non devi scusarti. Non è colpa tua.”

 “Io non posso.” “Io devo farlo”

“Io non ti lascerò. Mai, mai più. Ti prego, non essere tu a lasciarmi. Guardami. Io… Io ti amo. Ti prego, torna da me.”

Furono quelle parole. Furono quelle parole che trovò dentro di lei. Quelle parole, insieme al viso di Severus e al sorriso di Harry. Quelle parole insieme all’immagine di suo figlio accoccolato contro il petto di Severus e lei non poteva abbandonarli. Mai.

Riaprì gli occhi di scatto, verdi scintillanti di piccole lacrime, aghi appuntiti del ricordo, eppure al tempo stesso fresche gocce che ridavano vita al giardino verde delle sue iridi. Prese un lungo respiro, quindi, decisa, superò l’arcata della cripta, affrontando le fauci acuminate del serpente, lasciandosi afferrare dalle mani putride delle sirene.

Rimase immobile sulla soglia per qualche istante, pietrificata. Di fronte a lei c’era… niente.

Di fronte a lei c’era una stanza piuttosto ampia completamente vuota, invasa soltanto dalle acque limacciose di quella luce che pareva non avere una fonte precisa, come la nebbia appiccicosa del sole. Niente. Soltanto una camera vuota, le pareti decorate da strappi d’affreschi, brandelli macabri che macchiavano i muri umidi e giallastri trasudanti salnitro, come croste bianche a coprire le ferite putride. Al centro della stanza c’erano sei tombe. Sei. Disposte in due file da tre. Nient’altro. Sei tombe di cui una aperta, l’ultima, quella opposta ai tre ragazzi.

Lily si guardò intorno confusa, avanzando di qualche passo per permettere anche a Sirius e Remus di entrare nella camera. Sui volti dei due ragazzi si dipinsero espressioni stupite quanto quella di Lily quando poterono guardare il nulla, il vuoto di quella cripta.

Tutti e tre strinsero più forte le bacchette. Si guardarono intorno circospetti analizzando ogni angolo della stanza, ogni ombra, ogni pietra, ma tutto era invaso da quella luce malata che mostrava senza veramente mostrare, che mascherava i suoi fondali come le acque sporche di una palude. Non c’era nulla.

Lentamente, seppure guardinghi, i tre abbassarono le bacchette, permettendosi di tornare a respirare liberamente dopo aver tenuto il fiato sospeso fino ad allora.

I loro occhi colsero subito, appoggiato su un blocco di pietra all’estremità della camera, un vecchio cappello sdrucito. Sirius si avvicinò confuso e incredulo. Non poteva essere…

Ma quando fu a pochi passi da esso, capì che, invece, lo era eccome. Quello non era un semplice cappello: era il Cappello Parlante. Che diavolo ci faceva lì?

Sirius tese le mano libera dalla bacchetta e lo afferrò. Sì, era proprio il Cappello Parlante.

“Questa storia mi piace sempre meno.” Disse, rigirandosi il Cappello tra le mani, osservandolo attentamente. Si voltò verso i suoi due compagni, senza sapere cosa pensare, il Cappello sempre stretto in mano. Ridicolo. Un cappello in una cripta? Perché?

“Sembra sia stato messo lì apposta.” Commentò Remus.

“Sì, è per questo che non mi piace.” Gli rispose piccato Sirius.

“Come se fosse stato preparato per il nostro arrivo.” Continuò Lupin, ignorando le parole dell’amico e prendendo il cappello dalle sue mani cominciando ad analizzarlo a sua volta.

L’attenzione di Sirius si posò allora sulla tomba più vicina a loro. Vi si chinò sopra incuriosito. Ne analizzò il coperchio. Su di esso era raffigurata una donna in stile chiaramente medioevale, il viso tondo appena abbozzato, le vesti lunghe rovinate dal tempo. Era in piedi e teneva le mani incrociate in grembo, tutto intorno, sui quattro lati della tomba, correvano scritte gotiche in latino. Black scosse il capo, allontanando lo sguardo dalla tomba e alzandolo verso Lily.

“Questa gente è morta da secoli.” Sussurrò.

Ma Lily non gli ripose. La sua attenzione era calamitata da quella tomba aperta. Sentiva come un richiamo provenire da quella bocca spalancata nel terreno, era come ipnotizzata da essa. La ragazza non sapeva cosa fare, i suoi piedi sembravano muoversi da soli verso quella voragine che dava sull’oltretomba. Sentiva il suo cuore battere talmente forte nel petto. Non voleva vedere cosa ci fosse lì dentro… non voleva… eppure voleva sapere. Deglutì, gettando un’occhiata al coperchio di pietra scostato di lato, appoggiato al pavimento, era impossibile capire chi vi fosse stato raffigurato perché ormai la sua figura era completamente cancellata, si notavano appena le linee di alcune lettere sul lato destro, nient’altro. Ma a Lily non importava sapere cosa fosse stato raffigurato su quel macabro blocco di pietra, quello che voleva era soltanto allontanare gli occhi dal buco vuoto che si apriva davanti a lei.

Remus e Sirius la osservano in attesa, senza osare farsi avanti, attendendo che la ragazza trovasse il coraggio di guardare in quella ferita nera.

E quando finalmente gli occhi verdi si abbassarono, sul volto di Lily si dipinse una strana espressione, un grottesco misto di orrore e felicità. Là sotto, poggiato solo su una coperta rossa a separarlo dal freddo della terra di quella tomba vuota, rannicchiato nell’angolo che si guardava intorno sperduto e spaventato c’era Harry.

Lily deglutì. La vista del suo bambino, lì al freddo, in una… in una tomba. In una tomba vuota. La raggelava. Per un attimo rimase stordita, lì, in piedi, le lacrime gelide, come gelido era il buio di quella macabra tomba che tratteneva il suo bambino. Rimase lì, immobile a fissare suo figlio guardarsi in torno terrorizzato, gli occhi verdi spalancati e arrossati dalle lacrime.

“Lily?” Fece Remus, preoccupato, avvicinandosi a lei, il Cappello ancora stretto in mano. Sirius fece altrettanto, balzando di fianco alla ragazza e posandole un braccio intorno alle spalle, incoraggiante. Entrambi rimasero pietrificati come Lily di fronte alla vista che avevano dinnanzi.

Proprio in quell’istante, il bimbo alzò gli occhi. Non si può descrivere l’espressione di pura felicità che si formò sul suo volto di bimbo nel rivedere il viso della mamma.

“Harry.” Disse Lily, rispondendo con un sorriso a quello sguardo felice e completamente abbandonato del bambino, un cucciolino ferito e spaventato.

“Harry!” Esclamò di nuovo la ragazza, finalmente libera dalla morsa di orrore che si era impadronita di lei poco prima. Si chinò sul bordo della tomba protendendo le braccia verso il bambino.

Harry tese le sue manine verso l’alto per afferrare le dita di Lily, la bocca aperta in un largo sorriso felice, gli occhi illuminati di gioia nonostante i segni profondi del pianto.

Lily lo afferrò decisa, tirandolo fuori dal quel luogo freddo, da quell’anticamera dell’aldilà a cui nemmeno riusciva a pensare mentre guardava il suo bambino. Lo strinse forte a sé, cullandolo tra le braccia, cercando di infondergli un po’ del calore di cui era stato così a lungo privo. E Harry si strinse a lei, finalmente fuori da quel posto freddo e abbondato dove lo avevano messo pochi istanti prima. Si appoggiò al petto della sua mamma, godendo del suo calore e del suo profumo, la manina premuta contro le labbra, mentre Sirius si chinava a sua volta, e tendeva una mano ad accarezzare il capo spettinato del suo figlioccio.

“Sempre nei guai, eh birbante?” Fece allegramente Sirius cercando di strappare un sorriso al bimbo. Sorriso che non tardò ad arrivare, calamitato dalla voce del padrino.

E poi… poi nella luce malata che invadeva la cripta echeggiò un applauso.

Un applauso di due sole mani che risuonava gelido in quel luogo silenzioso, una lama tagliente caduta ad infrangere la delicata bolla di vetro che si era andata a formare intorno alla felicità di una madre che ritrovava il figlio.

E poi la voce. Gelida, sibilante, sarcastica. La voce di uno spettro che trovava il giusto essere in quel luogo. La voce del serpente che li aveva attesi con pazienza e libidine.

“Ma che dolce quadretto familiare.”
 

*******
 

Muahahahahahah! Cliffhanger!

Già riesco sentire le vostre voci scagliarmi contro Cruciatus e altre maledizioni.  Pazienza. Le vostre fatture mi scivolano addosso… XD

Ammetto che inizialmente non volevo chiudere qui questo capitolo, ma alla fine il lato crudele di me ha prevalso. Ciò significa che il prossimo capitolo sarà molto più lungo di questo.

Vi dirò, non sono granchè soddisfatta di questo capitolo. Gli manca un certo non so che e le parti di Silente trovo che spezzino un po’ troppo la tensione. Boh… lascio a voi la sentenza.

Dieci punti a chi coglie il significato nascosto delle tombe ;)

A presto! Con l’ultimo capitolo che, se non cambio idea nei prossimi giorni, dovrebbe intitolarsi ‘La spada di Grifondoro’. Ah, e sicuramente ci sarà l’epilogo.

Ciao a tutti!
 
 
 
 

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Capitolo 36
*** Un bambino e un vecchio cappello ***


Capitolo 36
 

UN BAMBINO E UN VECCHIO CAPPELLO
 

 
 

Tutti e tre i ragazzi fecero scattare gli occhi verso il lato opposto della cripta. Voldemort era là, in piedi alla fine di una ripida scala di pietra che portava ai sotterranei della villa. Era là, erto e perfetto come un statua nera, astrattamente avvolto nel mantello corvino. Il volto una maschera grottesca di cera bianca che illuminato da quella luce malata che sembrava liquefarlo intorno al sorriso famelico, il ghigno smanioso del serpente che poteva finalmente mostrarsi alle sue prede, e bruciarle e annientarle con il suo sguardo di rosso vermiglio.

Lily balzò in piedi, stringendo Harry forte a sé in un moto involontario di protezione. Lo strinse forte, decisa a nasconderlo a quello sguardo di fuoco, decisa ad allontanarlo da quell’uomo spietato. Sirius e Remus si pararono davanti a lei, le bacchette strette in mano puntate contro l’ospite in nero.

“Non azzardarti a fare un passo.” Gli ringhiò contro Sirius, scoprendo i denti come un cane rabbioso, gli azzurri scintillanti.

Voldemort lo guardò in silenzio per un istante, senza abbandonare il suo sorriso. Poi rise. Forte, senza alcun piacere a incresparli la voce gelida, soltanto una risata vuota che echeggiò in quel luogo oscuro come il ghigno perverso di un demonio.

“Altrimenti?” Fece Voldemort sorridendo.

Sirius lo guardò in cagnesco per qualche istante, poi strinse più forte la bacchetta.

“Non sfiorerai Harry o Lily neanche con un dito. Giuro.” Gli sputò in faccia con rabbia.

“Via, via, signor Black.” Disse Riddle mellifluo, puntando i suoi occhi sul viso corrotto dall’odio del giovane. “Quale improvviso scatto d’ira. Non è educato, sai?” Fece con voce calma, il viso dipinto da quello che doveva sembrare dispiacere, ma che non erano altro che i tratti grossolani del sarcasmo.

Sirius non rispose. Remus si piazzò di fianco a lui, deciso a spalleggiare l’amico, ed entrambi rimasero immobili, le bacchette tese davanti a loro, le espressioni al tempo stesso decise e titubanti. In attesa.

Voldemort aprì ancora di più il sorriso, trattenendo una risatina tra i denti bianchi. Fece un passo avanti. Sirius scattò immediatamente di fronte a quel movimento.

“Stupeficium!” Gridò. L’incantesimo saettò vermiglio verso Voldemort, come una folgore di fuoco decisa, diretta. Ma svanì in un nugolo di scintille rosse quando sbatté contro la mano del Signore Oscuro, levata in un gesto stanco.

Sirius rimase paralizzato. Gli occhi spalancati, incredulo, confuso dalla semplicità con cui Voldemort aveva parato il suo incantesimo.

“Patetico tentativo.” Commentò il Signore Oscuro. “E’ il massimo che sai fare?”

Remus tentò di approfittare dell’attimo di distrazione del Signore Oscuro. Lasciò cadere il Cappello Parlante, che stringeva ancora in mano, e balzò in avanti nella foga di scagliare l’incantesimo, l’ombra del lupo ad offuscare i suoi occhi normalmente gentili e tranquilli. Ma anche il suo attacco svanì in un sbuffo porporino quando incontrò le dita affusolate e pigre di Riddle.

“Davvero, davvero deludente.” Considerò questi in un sussurro, guardando i due giovani dinnanzi a lui, le bacchette tese, le espressioni rabbiose e al tempo stesso confuse, e Lily, poco più indietro, che stringeva forte a sé il bambino.

Il Signore Oscuro sospirò, deluso. “Pensavo di divertirmi di più con voi. Evidentemente vi ho sopravvalutati.” Sussurrò amaramente, chinando appena lo sguardo con fare frustrato mentre portava le mani dietro la schiena.

“Peccato. Ma pazienza, andiamo avanti.” Disse poi, facendo salire sul volto un sorrisetto mellifluo. Con un movimento serpentino, ma al tempo stesso quasi annoiato, tese in avanti la mano, liberandola dalla stretta dell’altra dietro la schiena, la bacchetta scura stretta in essa. Non un suono uscì dalla sua bocca. Nulla. Sirius e Remus vennero catapultati indietro senza che potessero reagire. Sbatterono la schiena contro il muro, con violenza, i piedi sospesi a poche decine di centimetri dal pavimento. Catene nere uscirono dalla malta trasudante salnitro come viscidi serpenti. Si avvolsero intorno ai due ragazzi, imprigionandoli nelle loro spire oscure con sibili malvagi, si strinsero intorno ai loro polsi e alle caviglie, intorno alla vita, al collo, ovunque…. Mentre i due giovani cercavano disperatamente e inutilmente di liberarsi da quell’abbraccio di ghisa. Rimasero lì. Incatenanti al muro umido da catene nere. Si divincolarono, tentando di allontanare le mani e le gambe dal muro, cercando di scioglierle dalla presa gelida delle catene, ma inutilmente. Si dimenarono con forza ma non ottennero altro che sentirsi premere ancora più forte contro il muro. Erano immobilizzati, potevano a malapena girare il capo.

Lily aveva visto i suoi due amici scagliati indietro. Era rimasta immobile, presa alla sprovvista, senza sapere cosa fare a guardare i due ragazzi cercare di liberarsi dalla magia che li imprigionava.  Era rimasta immobile, pietrificata, mentre vedeva i volti di Remus e Sirius contrarsi in smorfie mentre si sforzavano nel tentativo vano di liberarsi. Entrambi avevano perso la bacchetta quando erano stati scagliati indietro, ed esse giacevano a terra, legnetti inutili, a poca distanza da lei insieme col Cappello.

Voldemort sospirò, amareggiato. “Detesto gli ospiti noiosi.” Commentò, quindi levò nuovamente la bacchetta il Cappello si riscosse a quel richiamo, schizzando dritto nella presa del Signore Oscuro.

Lily allontanò lo sguardo dai due Malandrini che cercavano in tutti i modi di liberarsi. Allontanò lo sguardo dai loro occhi pieni di collera e di impotenza e lo portò sul Signore Oscuro. Si voltò di scatto, stringendo forte Harry, gli occhi verdi sempre più carichi d’odio. Fece alcuni passi indietro. Non sapeva cosa fare. Era lì. Da sola. Sirius e Remus bloccati contro il muro. Voldemort che sorrideva, un sorriso mielato sotto gli occhi vermigli fissi su di lei. Harry che si stringeva forte al suo petto, terrorizzato. E lei non sapeva cosa fare. Sapeva solo che avrebbe voluto fare a pezzi quell’essere dinnanzi a lei. Sapeva solo che voleva salvare Harry.

“Ah, signorina Evans. Quale onore incontrarti di nuovo.” Sussurrò Voldemort, accennando una riverenza che suonava stonata, distorta, sarcastica. Soltanto un modo per dileggiarla, per divertirsi, come diceva quel sorrisetto malvagio che non accennava ad allontanarsi dal viso di Voldemort. Lily lo guardò con odio, un’occhiata di fuoco smeraldino che si spanse verso Voldemort come il respiro di un drago.

“Ora”, continuò Voldemort sorridendole, mentre raddrizzava la schiena, puntando i suoi occhi di fuoco in quelli verdi della giovane, “dimmi, Lily, sai perché sei qui?”

“Sono qui per salvare Harry. Per salvare mio figlio da te.” Gli sputò in faccia Lily con disprezzo. “Sono qui per riprendermi quello che tu mi hai portato via!” Sentiva la rabbia montare dentro di sé, una rabbia cieca, un fuoco alimentato ancor di più dall’espressione divertita di quell’essere inumano che le stava davanti. Che cosa aveva da ridere? Maledetto.

Voldemort rise. Rise delle parole della ragazza, sinceramente divertito da quel fiume, da quell’incendio d’odio che avvampava in lei. Che sciocca era quella ragazzina. Sciocca come tutti i Grifondoro. Ah, era così piacevole… così divertente vedere la rabbia sul suo viso, sentire il dolore nel suo cuore, percepire il dolce veleno nella sua voce.

“Che ragazza simpatica.” Commentò Riddle ridacchiando. “Così divertente nella tua ingenuità… tu sei qui perché io voluto così, Lily. Tu sei qui perché servi a me.” Si fermò un attimo per lasciar scemare un poco la sua risata, ma non il suo dileggiante sorriso.

“Credi davvero che sareste riusciti a entrare qui, qui nella tana del Serpente, se il Serpente stesso non lo avesse permesso?” Scosse appena il capo, facendo qualche passo avanti. “Via, siete così ridicolmente prevedibili.”

Lily non sapeva cosa fare. Era in trappola. In trappola insieme con i suoi compagni Malandrini e suo figlio. Suo figlio che continuava a stringersi a lei impaurito, rannicchiandosi nell’unico rifugio che aveva, tra il calore e l’odore della madre. Ma Lily sapeva che se non fosse intervenuto qualcuno ad aiutarla, non avrebbe potuto fare nulla per il suo bambino, forse, solo morire per lui.

Lily guardava Voldemort confusa, sperduta. Non voleva lasciare Harry. Ma con il bambino in braccio non poteva scagliare incantesimi, non poteva difendersi… non sapeva cosa fare. Non poteva fare niente. Niente se non stringere forte a sé il suo bambino e aspettare… e sperare. Sperare che l’Ordine arrivasse presto. Doveva guadagnare tempo… doveva…

“Che cosa vuoi da noi?” Chiese con astio al Signore Oscuro, cacciando la sua paura e la sua indecisione a fondo dentro di sé, lasciando spazio solo alla rabbia e all’odio.

Voldemort sorrise appena, poi prese a girarsi tra le dita il Cappello Parlante, guardandolo assorto, pensieroso.

“Sai… mi è venuta un’idea.” Disse senza alzare gli occhi su Lily. “Mi ero ormai rassegnato al fatto che avrei dovuto usare un vecchio cappello scucito, invece del nobile oggetto che prevedeva il mio piano. Il che era alquanto frustrante…” Aggiunse con un sibilo strisciando lentamente verso di lei, finchè non fu a pochi passi dalla ragazza.

Lily lo guardava senza capire. Di cosa stava parlando?

“Solo un vero Grifondoro può estrarre la spada dal Cappello.” Disse Voldemort. “Solo un vero Grifondoro e, suppongo, che voi tre siate Grifondoro migliori di Peter Minus.” Concluse levando gli occhi verso Lupin e Sirius ancora imprigionati al muro, prima di posarli su Lily e lasciarli riposare sul viso della ragazza.

“Dov’è quel traditore ora?” Ruggì improvvisamente Sirius, la voce resa roca dalla catena che gli stringeva la gola, ma gli occhi improvvisamente fattisi ancora più scintillanti non appena aveva udito il nome del loro amico traditore.

“E’ morto.” Rispose semplicemente Voldemort, senza degnare Sirius di uno sguardo, gli occhi ancora posati sulla ragazza. Sirius si lasciò sfuggire un ringhio di frustrazione. Avrebbe voluto ammazzarlo con le sue mani, quel lurido ratto. Aveva pensato di scovarlo nella tana del suo ‘signore’. Aveva fantasticato sui mille modi possibili per fargli pagare il suo tradimento, per vendicare la morte di James. Invece era arrivato tardi.

“Non sopporto gli elementi inutili.” Disse il Signore Oscuro. “E Codaliscia rientrava nella categoria. Mi dispiace di averti rubato la preda, Black. Davvero desolato.” Disse poi, gettando un’occhiata fugace al giovane incatenato.

“Sta di fatto, che voi siete un dono per me. Una fortuna insperata. Per questo siete qui: per darmi ciò che voglio. E io voglio la spada.” Ruggì poi, la voce fattasi improvvisamente gelida, tagliente, abbandonando il tono mielato che aveva avuto fino a quel momento.

“Ora, signorina Evans.” Disse poi a Lily, riacquistando per un attimo il tono dolce e tranquillo. “Perché non affidi il bambino al nostro Severus?”

Lily sussultò a quel nome. Severus? Era lì? No, non poteva essere… si guardò intorno spaventata. Non sapeva cosa provava, non voleva affrontare di nuovo il ragazzo, non voleva vedere di nuovo quegli occhi neri che la perseguitavano dalla sera prima a Villa Malfoy. Quegli occhi così pieni di dolore, di confusione…

Però, però forse avrebbe avuto un’altra occasione per cercare di aiutarlo. Forse avrebbe potuto liberarlo da quella prigione… era lì per quello, dopotutto. Cercò a fondo, dentro di sé, la forza per affrontare nuovamente Severus, cercò la sua decisione, la risolutezza… ma quella manciata di coraggio che riuscì a raccogliere si squagliò come neve al sole quando vide la figura nera di Severus entrare nella cripta, sbucando da dietro l’angolo della scala che portava ai sotterranei. Era sempre stato lì?

Lily rimase immobile. Ferma ad osservare i passi lenti e decisi del giovane verso di lei. Pietrificata dall’espressione vuota e risoluta sul suo volto, raggelata dallo sguardo nero e oscuro di Severus, uno sguardo in cui scintillavano le costanti stelle della tristezza e dell’abbandono.

“Sev…” Sussurrò appena, quando il ragazzo si fu fermato a pochi passi da lei.

Severus posò lo sguardo umido su di lei. La guardò, accarezzando le sue guance con gli schizzi languidi di quell’inchiostro. La guardò… in silenzio.

Lily si fece avanti, sotto lo sguardo divertito di Voldemort, portandosi di fronte al ragazzo, esattamente come aveva fatto la sera prima. Puntò i suoi occhi in quelli di lui, lasciandoli riposare nel loro nero a lungo, immergendosi in quella notte…

“Sev…” Ripeté, sentendo improvvisamente le lacrime salire ai suoi occhi. Severus rimase immobile, in silenzio, ricambiando il suo sguardo tristemente. Lily non riusciva a capire se stava recitando o se davvero Severus non la riconosceva… non voleva neanche pensare a quest’ultima possibilità. Ma lei era lì, lì per lui… non importava quanto il suo sguardo fosse vuoto: lei lo avrebbe riempito.

Sentì improvvisamente delle mani gelide posarsi languidamente sulle sue spalle. Rabbrividì a quel tocco, non sapeva se fosse per il terrore, il disgusto o il freddo che quelle dita conficcavano nella sua carne.

“Guardalo, Lily.” Sibilò un voce malvagia al suo orecchio, ne percepì il respiro gelido sul suo collo. “Lo vedi? Lui è mio. Lui ubbidisce a me. Guarda i suoi occhi vuoti… persi… distrutti… non c’è più nulla in lui… nulla…” Sussurrò Voldemort al suo orecchio. Lily strinse più forte Harry a sé, cercando di proteggerlo da quelle parole malvagie, da quel respiro spettrale.

“Oh, sì. Lui appartiene a me. E farà ciò che io comando… nemmeno ti riconosce più…” Continuò il Signore Oscuro.

Lily scosse il capo decisa, facendo ondeggiare i capelli vermigli. Si morse forte il labbro inferiore sentendo il sapore salato e amaro delle lacrime nella sua bocca. Cercò di distogliere gli occhi da Severus. Non riusciva a guardarlo… non con quelle parole depravate e malvagie che le sibilavano nelle orecchie… non ce la faceva.

Ma Voldemort non aveva intenzione di lasciare la sua preda. Allontanò una mano ossuta dalla spalla di Lily e la portò sotto il mento della ragazza, afferrando in un morsa ferrea la sua mandibola e obbligandola a riportare lo sguardo su Severus.

“Ah… l’amore… ti fa così male guardarlo?” Sibilò Voldemort. “Una pena… un dolore così profondo… vedere il ragazzo che ami senza più una coscienza… morto… perduto… mio…” Voldemort fece scattare la lingua in uno schiocco, passandola poi sulle labbra lentamente.

Lily non poteva accettare quelle parole. Erano veleno… soltanto veleno. Un veleno gelido che permeava nella sua carne, nel suo sangue, giù fino al suo cuore…

“No!” Ruggì di colpo Lily, la voce colma di rabbia, incredulità… non poteva permetterlo. No, quel veleno non avrebbe corrotto il suo cuore. Mai.

“No. Non è vero!” Esclamò ancora, cercando di divincolarsi dalla presa di Voldemort, mentre Severus rimaneva impossibile di fronte di lei. Ma c’era qualcosa, qualcosa in quegli occhi neri che splendeva mentre si posavano su di lei… no, Severus non era perduto. No. Erano quegli stessi occhi neri a dirglielo, come una muta lettera, laggiù nel profondo… parole di conforto, rassicuranti… Severus era ancora lì. Lo sarebbe sempre stato.

“Non è vero?” Ripetè Voldemort. Un serpente che la stringeva nelle sue spire, che faceva saettare la sua lingua biforcuta, sputando veleno nelle sue orecchie.

“Severus…” Disse Lily, cerando di ignorare quella voce. “Severus, ti prego. E’ una menzogna. Tutta una menzogna. Dimostraglielo. Tu sei ancora qui. Lo vedo. Ti prego… torna da me.”

“Torna da me.” Le fece il verso Voldemort. “Guardalo!” Le intimò poi, stringendo ancora la presa sulla sua mascella, mentre passava dolcemente l’altra mano tra i capelli della ragazza.

E Lily guardò Severus. Lo guardò, a lungo, ma non vide il vuoto di cui parlava Voldemort. No, vide solo Severus. Solo Severus. In piedi davanti a lei, che la osservava di rimando quasi a volersi abbeverare a quegli occhi verdi, cercare frescura in essi, pace, un rifugio…

“Consegnagli il bambino. Ne avrà buona cura, vedrai.” Sibilò ancora Voldemort.

Lily sussultò, sentendo un brivido scenderle lungo la schiena. Che cosa doveva fare ora? Non voleva lasciare Harry… non voleva. Voldemort gli avrebbe fatto del male, lo sapeva. Ma quel calore appena accennato nello sguardo di Severus la spiazzava. Che cos’era quella luce nel suo sguardo? Cos’era quella luminosa luna di coscienza che brillava nel suo sguardo nero, e di cui Voldemort pareva non essersi accorto? Poteva fidarsi di Severus? La sua mente le diceva di essere diffidente… il suo cuore le diceva di fidarsi del ragazzo. A chi doveva dare ascolto?

“Che c’è, Lily? Non ti fidi del tuo ragazzo?” Domandò Voldemort infido.

“Io…” Balbettò Lily.  “Non è il mio ragazzo.” Che frase stupida da dire in quel frangente. Davvero… che importava? Cosa importava se Severus era o no il suo ragazzo?

“Oh, sì invece.” Sussurrò Voldemort al suo orecchio. “Che cosa sciocca l’amore. Ma sai qual è la cosa più divertente? Che ora tu darai il bambino a Severus… perché credi in lui… perché lo ami… perché non puoi credere che possa fargli del male. Non puoi credere che lui ora sia il nemico. Perché lo dice il tuo cuore…”

Lily serrò forte gli occhi. Voleva fuggire da lì… voleva andare via lontano. Quello era un sogno, un incubo e voleva svegliarsi. Riaprire gli occhi ai raggi freschi della mattina… ritrovare Severus accanto a lei, Harry addormentato nel suo lettino. Non voleva scegliere. Non voleva rinnegare il suo cuore… né voleva cedere ai sibili del serpente che la stringeva a sé, con quel suo alito mefitico. Era un incubo… solo un incubo…

“Lily.”

I suoi occhi si aprirono di scatto, lampeggiando di lacrime alla luce malata della cripta. Non era la voce gelida e sibilante di Voldemort quella che aveva pronunciato il suo nome. No. No era un’altra, più calda, più morbida… una voce che aveva sentito per l’ultima volta al sera prima. Ma allora era vuota, fredda, distante e al contempo carica di uno struggimento, di un dolore tanto profondi da parere crateri nella voce stessa. Invece, ora il tono era più calmo, deciso… non più vuoto, ma nuovamente pieno di emozioni… triste, ma non disperato… Alzò gli occhi verso Severus, puntandoli in quelli del ragazzo. C’era qualcosa in quegli occhi di diverso. Era così. Era davvero così. C’era una nota di piena coscienza in essi, era lì, scintillante eppure velata allo sguardo di Voldemort. Era una stella che Severus permetteva solo a lei di cogliere. Era una scintilla d’argento che le diceva di fidarsi. Fidarsi del ragazzo che aveva di fronte. Del suo migliore amico. Del giovane che amava. Di Severus, che era lì… davvero lì. E Lily scelse di ascoltare il suo cuore.

“No, Lily. Non farlo.” Cercò di fermarla Remus, agitandosi inutilmente per sciogliere le catene, intuendo le intenzioni della ragazza. Ma Lily lo ignorò.

Lentamente, con titubanza, allontanò Harry dal suo petto. Il bimbo di guardò intorno spaventato quando si sentì allontanare dal suo caldo rifugio, strinse forte il maglione della madre nei pugni, gli occhi spaesati, confusi. Severus lo prese tra le sue braccia con gentilezza, ma deciso, mentre il bimbo era costretto a lasciare la presa sulla maglia di Lily. Severus lo strinse al suo petto con fare protettivo e Harry poggiò il capo spettinato alla stoffa nera della giacca del ragazzo, rassicurato dalla stretta delle braccia che già lo avevano abbracciato, ma ancora a disagio per essere stato allontanato dal petto della mamma. Continuò a fissare Lily con gli occhioni verdi spalancati mentre si poggiava contro il petto di Severus a cercare calore, protezione.

Sirius e Remus erano rimasti a guardare la scena in silenzio. Lupin chinò appena il capo, incredulo e rassegnato, mentre gli occhi di Sirius brillavano di furia cieca. Il suo figlioccio. Il suo figlioccio tra le braccia di quel traditore…

“Sei finito Mocciosus.” Ringhiò contro Severus. “Torci un capello a Harry e sei finito.”

Severus alzò pigramente lo sguardo di carbone verso di lui. Lo guardò a lungo, in silenzio, stringendo Harry a sé, poi allontanò gli occhi come niente fosse portandoli sul Signore Oscuro, non appena questi parlò.

“Molto brava Lily.” Mormorò Voldemort, scoprendo i denti bianchi in un ghigno mentre lasciava la presa sulla ragazza e le girava intorno per portarsi davanti a lei. Severus si fece da parte, lasciando passare il suo signore.

Il Cappello, che Voldemort aveva lasciato cadere a terra poco prima, schizzò nuovamente tra le mani del Signore Oscuro che lo guardò assorto per un attimo prima di alzare gli occhi su Lily.

“Ora.” Fece il Signore Oscuro, dopo la breve pausa, pregna di tensione. “Concludiamo questa faccenda.” Disse duramente. Tese il Cappello a Lily con durezza, quasi spingendoglielo contro il petto. La ragazza cercò in ogni modo di allontanare lo sguardo dall’uomo che aveva davanti, il cui viso era ormai a meno di un palmo dal suo. Volse il capo di lato per allontanare il viso dal respiro gelido di Voldemort, dalla pelle cadaverica del volto del Signore Oscuro e, soprattutto, da quegli occhi rossi che bruciavano le sue guance come vere, tangibili fiamme.

“Estrai la spada.” Le ordinò Voldemort, spietato.

Lily alzò lo sguardo verso Severus, poco più in là, in diparte, Harry fermamente stretto in braccio. Il ragazzo la guardò di rimando, ma non disse nulla, non fece alcun movimento, nulla; ma nei suoi occhi Lily vide ancora quella scintilla, la vide brillare incoraggiante nella notte.

La ragazza si voltò di scatto, affrontando il Signore Oscuro.

“Mai.” Gli sputò in faccia Lily, stringendo forte i pugni. Guardava Riddle con un tale odio negli occhi verdi, un incendio che si sprigionava in quella foresta fresca distruggendo ogni cosa, lasciando in vita soltanto l’astio verso quella creatura inumana che aveva di fronte, nient’altro che il dolore e il desiderio di vendetta per ciò che quell’essere le aveva portato via.

“Oh, quale ardimento.” Mormorò Voldemort fingendosi colpito dalle parole della giovane. I suoi occhi scattarono come una fatua lingua di fuoco verso Harry, accoccolato contro il petto del suo servo.

Voldemort sospirò, poi riportò lo sguardo sulla giovane. “Così coraggiosa, Lily Evans.” Commentò. “Così ingenua… Così debole…” Sibilò, facendo fluire la voce attraverso la fessura del suo ghigno perverso.

“Vediamo se riesco a convincerti.” Disse poi. Quindi levò la bacchetta contro Harry e Severus, con fare quasi annoiato. Lily osservò il movimento senza osare fare nulla, in attesa.

“Mettiamola così.” Le disse Voldemort sorridendo. “Estrai la spada… oppure guarda morire una delle due persone a cui tieni di più. A te la scelta.”

Lily gettò un’occhiata a Harry e Severus seguendo la linea della bacchetta di Voldemort. Sapeva già cosa avrebbe fatto… però… però non voleva farlo. Fece balzare gli occhi da Severus al Cappello, dal Cappello a Severus, lasciò che il suo sguardo facesse andata e ritorno per alcuni istanti. Sentiva montare in sé l’odio per Voldemort, per la scelta a cui era ora obbligata. Non c’era via d’uscita… era all’angolo.

Gettò un’occhiata colma d’astio verso il Signore oscuro, silenzioso in attesa. I loro occhi si incontrarono per un istante, poi, senza allontanare lo sguardo, Lily affondò la mano all’interno del Cappello. Non voleva trovare la spada. Non voleva sfiorare il freddo metallo dell’impugnatura… ma non aveva scelta. Non voleva… e quando la sua mano non trovò altro che aria sentì un nodo stringersi intorno alla sua gola, si sentì congelare dalla paura e dalla confusione.

Quando alzò di nuovo gli occhi su Voldemort, in essi si rifletteva tutta la sua incertezza. Cosa sarebbe accaduto adesso?

“Ebbene, signorina Evans?” Chiese Voldemort, non appena gli occhi di Lily furono tornati ad incrociare i suoi.

La ragazza deglutì. Tutta la paura per la sorte di suo figlio e di Severus si infranse dentro di lei, mandando in frantumi, per un attimo, la sicurezza e la decisione che albergavano nel suo cuore. Sentì il fuoco dello sguardo di Voldemort avvolgersi intorno a lei, lo sentì sibilare, schioccare, lambirle la pelle gustandone il sapore prima di ridurla in cenere. Lily sentì una lacrima solcarle la guancia, stringerle la pelle asciugata da quel fuoco. Voldemort avrebbe ucciso Harry ora? Avrebbe ucciso Severus, ora che lei non aveva potuto dargli ciò che desiderava?

Lily colse il movimento del braccio di Riddle, quello che reggeva la bacchetta. Chiuse gli occhi, attendendo di udire la voce del Signore Oscuro pronunciare la sua formula di morte. Ma questo non avvenne mai.

“Capisco.” Sibilò invece Voldemort, tranquillamente. Lily riaprì gli occhi, sentendosi improvvisamente leggera, come se la morsa, la cappa asfissiante che l’aveva imprigionata fino a quel momento, fosse svanita in uno sbuffo di fumo, in un sospiro leggero. La ragazza vide che Voldemort aveva abbassato il braccio che reggeva la bacchetta, teneva il capo leggermente chino come se fosse dispiaciuto da ciò che era successo. Portò la mano che stringeva la bacchetta all’altezza del petto, quindi alzò la sinistra e cominciò ad accarezzare con essa il legno della bacchetta con movimenti eleganti, gli  occhi fissi sulla bacchetta, pensierosi. “Capisco…” Sussurrò di nuovo.

Lily rimase in silenzio, l’atteggiamento del Signore Oscuro non la rassicurava affatto. Non sapeva cosa aspettarsi… ma dove diavolo era Silente?

“Forse…” Disse poi Voldemort, alzando gli occhi verso i due ragazzi incatenati al muro. “Forse potete aiutarmi voi due. La vostra amica, a quanto pare, non è in grado… non è una vera Grifondoro…” Soffiò, con sarcasmo, mentre gettava un’occhiata svelta a Lily, accompagnandola ad un sorrisetto malvagio.

“La spada non compare a comando.” Gli disse duramente Lupin.

“Vero.” Concordò allora Voldemort. “Ed è un peccato… davvero un peccato… Ma sai, signor Lupin, c’è sempre un modo.” Aggiunse poi avvicinandosi a Remus, alzando appena lo sguardo per cercare gli occhi del  ragazzo incatenato al muro.

“A quanto pare dovrai accontentarti di un vecchio cappello.” Disse Sirius attirando l’attenzione di Voldemort su di sé. Il ragazzo cercò di fare un ghigno ironico, ma ne uscì soltanto una smorfia incerta. “Per far cosa, poi…” Sirius si sforzò di far suonare la frase sarcastica, ma il tentativo fallì miseramente.

“Un bambino e un vecchio cappello.” Lo canzonò allora Voldemort, facendo suonare le parole come una cantilena, una canzoncina storpia e zoppicante. “Un bambino e un vecchio cappello. Occhi di serpente.  Ali di corvo, sangue di tasso. E polvere di leone. Un bambino e un vecchio cappello. La loro fine sarà la mia gloria.”

La voce del Signore Oscuro risuonò suadente e malvagia tra le quattro mura della cripta, adagiandosi appena sui coperchi di pietra delle tombe, accarezzandone le incisioni come fantasmi dannati e lussuriosi. Vagò sui volti dei ragazzi, sfiorandoli con le dite viscide e fredde di un cadavere, penetrando nelle loro menti con curiosità, sbirciando tra i loro pensieri. Godette di fronte alla confusione che trovò in essi, della paura, dell’incredulità che si spandevano in loro come orde barbariche. Lily strinse forte la presa sulla tesa del Cappello che aveva con sé, fino a stringerla spasmodicamente, aggrappandosi al Cappello come fosse la sua unica ancora di salvataggio mentre i suoi occhi verdi erano fissi sul bambino che si stringeva forte contro il petto di Severus, terrorizzato da quella voce gelida che si era appena spenta. La ragazza vide gli occhi umidi di suo figlio, le lacrime che gli bagnavano le guance paffute… alzò lo sguardo verso Severus e vide che il giovane teneva il capo chino, come se volesse rannicchiarsi su sé stesso, come se volesse svanire da quel luogo, nascondersi. I lunghi capelli neri gli mettevano in ombra il viso, ma Lily colse uno scintillio di incertezza negli occhi neri, come se Severus non sapesse come comportarsi, come se fino ad allora avesse avuto un piano, un’idea ben precisa, ed ora questa fosse svanita nel nulla.

“Concludiamo questa faccenda.” Disse improvvisamente Voldemort. Lily voltò di scatto il capo verso di lui, mentre Severus alzava lo sguardo come se… sembrava quasi allarmato, dall’improvvisa decisione del suo signore.

Voldemort fece alcuni passi in direzione di lui e di Harry, gli occhi rossi fiammeggianti. Lily colse improvvisamente il senso delle parole pronunciate dal Signore Oscuro. Harry… voleva uccidere Harry.

“No!” Esclamò disperata. Balzò in avanti, afferrando Voldemort per un braccio, con foga, decisa a trattenerlo a non lasciare avvicinare quell’essere al suo bambino. Non sapeva cosa stava facendo… si era semplicemente catapultata in avanti senza pensare, presa dalla disperazione di poter vedere morire suo figlio. Non pensò. Non pensò a cosa avrebbe potuto farle Voldemort. Non pensò che aveva la bacchetta a portata di mano, nella tasca dei pantaloni. Non pensò a ciò che stava facendo… pensava soltanto a Harry.

Voldemort liberò con uno strattone il braccio dalla presa ferrea di Lily. Si voltò verso di lei e la catapultò indietro con un movimento ampio dello stesso braccio. La ragazza si sentì spingere indietro da una forza invisibile che si abbatté su di lei come uno schiaffo. Sbatté con forza la schiena contro il muro alle sue spalle, la vista improvvisamente invasa da punti luminosi quando colpì la superficie fredda con la nuca.

“Lily!” Esclamò la voce di un ragazzo, preoccupato. Lily non capì se fosse Sirius o Remus. Cadde a terra. La schiena ancora poggiata contro il muro. Stordita. La testa dolorante. Sentiva qualcosa di caldo e viscido scivolarle lungo il collo, ma non ebbe la forza di alzare la mano per capire cosa fosse.

“Stupida ragazza.” Ringhiò Voldemort, irato. Le lanciò soltanto una breve occhiata, osservando per qualche secondo la ragazza seduta a terra, stordita dal colpo, con una lunga stria di sangue che le correva sul collo, macchiandole il collo del maglione di larghe chiazze scure.

La superò mentre gli occhi velati di lacrime di Lily si alzavano verso di lui. Il mantello nero ondeggiò quando Voldemort si fermò di fronte a Severus, a pochi passi dal giovane.

“Ora, Severus, metti giù il bambino.” Gli ordinò, gelido, tranquillo.

Severus lo guardò in silenzio per un istante. Non fece cenno di voler lasciare Harry, anzi, sembrava volesse stringerlo ancora più forte, proteggerlo… o almeno fu questo che vide Lily, non appena la nebbia di dolore che le offuscava gli occhi si diradò, lasciando nuovamente il trono alla lucidità.

“Sev…” Lo supplicò la ragazza. Severus abbassò gli occhi verso di lei. La guardò, semplicemente senza mostrare le sue intenzioni.

“Ti prego, non farlo.” Tentò ancora Lily.

“Oh, lo farà invece.” Ruggì improvvisamente Voldemort, l’ira che bruciava nella fornace del suo sguardo.

Severus, invece, sembrava confuso. Cominciò a far balzare gli occhi da Voldemort a Lily e ritorno, senza però mai accennare a voler lasciare il bimbo, il bimbo che non capiva quello che stava succedendo e si guardava intorno spaventato e confuso.

Poi, improvvisamente, Severus cominciò ad allentare la presa sul bambino. Lo allontanò dal suo petto sotto lo sguardo e il sorriso compiaciuti del Signore Oscuro. Ma Harry non toccò mai terra. Un forte boato echeggiò improvvisamente nella cripta, facendo sobbalzare tutti i suoi ospiti. Voldemort si voltò di scatto verso le scale che portava ai sotterranei, allarmato e confuso. Dai piani superiori cominciarono a provenire grida d’allarme, e voci agitate. Si sentivano i passi di corsa dei Mangiamorte echeggiare nei sotterranei pochi metri sopra di loro.

Sul viso di Lily, la confusione si trasformò presto in un sospiro di sollievo. La sua espressione tesa si rilassò, a differenza di Voldemort, lei sapeva cosa significava quel boato, sapeva cosa significavano quelle voci allarmate. L’Ordine era finalmente arrivato. L’incubo stava per finire.

“Che sta succedendo?” Domandò il Signore Oscuro, confuso.

“Succede che Silente sta venendo per stanarti.” Gli rispose duramente Sirius, allagando un sorriso compiaciuto sul viso.

Voldemort si voltò verso di lui, sorpreso. Silente? No… non era possibile… Silente era sconfitto, battuto, distrutto. Aveva perso la battaglia. Aveva perso l’appoggio dell’Ordine, non aveva i mezzi per attaccare. No. Non poteva essere. Invece, presto il Signore Oscuro si rese conto di sbagliarsi.

Un Mangiamorte alto, magro,  sbucò improvvisamente dall’arcata che dava accesso alla cripta. Aveva gli occhi scuri brillanti, il volto incavato… ansimava ed era visibilmente allarmato.

“Mio signore…” Ansimò. “L’Ordine della Fenice… ci hanno colto di sorpresa.” Disse trafelato, premendosi un braccio sul fianco.

L’espressione sul viso pallido di Voldemort improvvisamente cambiò. La sorpresa, l’incertezza iniziale svanirono in uno sbuffo di vento lasciando spazio all’ira più profonda. Silente l’aveva colto alla sprovvista. Ma sarebbe durato poco.

“Sparisci!” Ordinò irato al Mangiamorte. Questi non se lo fece ripetere due volte e, dopo un breve inchino, svanì su per le scale, mentre dai corridoi superiori continuavano ad echeggiare grida e ordini.

“Severus!” Ruggì improvvisamente al ragazzo, che stava nuovamente stringendo forte Harry, non appena l’altro Mangiamorte se ne fu andato. Gli occhi di Severus scattarono verso di lui, silenziosi e tranquilli, come se avesse perfettamente sotto controllo la situazione. “Tieni d’occhio i nostri ospiti. Tocca al padrone fare gli onori di casa, a quanto pare.” Disse poi, riducendo la sua voce quasi ad un sussurro.

“Sì, mio signore.” Rispose prontamente Severus, accennando appena col capo, deciso.

Voldemort sorrise, quindi si rivolse a Lily e agli altri due ragazzi.

“Vogliate scusarmi, ma ci sono affari che richiedono la mia presenza.” Sorrise, mellifluo. Quindi disse in un sussurro. “Ci vediamo più tardi.” E non appena l’ultima lettera lasciò le sue labbra sottili, il Signore Oscuro svanì, avvolto in un lampo di luce nera, lasciando i prigionieri alla custodia del suo servo fidato.

Ciò che Voldemort però non sapeva era che il suo servo fidato ora stava sorridendo. Sorridendo compiaciuto. Non appena il Signore Oscuro fu scomparso, Severus poggiò dolcemente a terra il piccolo Harry, incurante delle occhiate di puro odio che gli lanciava Sirius Black, né dell’espressione confusa di Remus.

Non appena ebbe posato a terra Harry, Severus si precipitò accanto a Lily, ancora seduta a terra con il capo dolorante. Le si inginocchiò di fianco gentilmente, osservandola preoccupato.

Lily voltò il capo verso di lui. Incontrò i suoi occhi neri, limpidi e liberi. Incontrò gli occhi di Severus e sorrise, felice.

“Stai bene?” le chiese il ragazzo preoccupato, sfiorandole appena la guancia in una carezza.

“Sì.” Gli rispose Lily, continuando a sorridergli. Ancora non riusciva a crederci, Severus, il vero Severus, era tornato da lei, era lì. Era lì accanto a lei. Vedeva la preoccupazione nei suoi occhi, e quella stella che risplendeva in essi, quella stella che aveva visto brillare nel loro buio era vera. Non era soltanto un sogno, un’illusione del suo cuore. No. Quella stella esisteva davvero. Esisteva davvero ed era soltanto il vessillo, la serratura che si apriva su una notte stellata. Severus era lì. Severus era tornato da lei.

Sentiva le lacrime scorrerle lungo le guance. Tutta la paura, il dolore, la disperazione di poco prima improvvisamente scomparse. Perché ora aveva Severus. Ora che lui era con lei, non aveva nulla da temere, né per sé, né per Harry.

Si abbandonò contro il suo petto, sentendo le sue braccia stringersi intorno alle sue spalle. Calde, protettive come le ali di un angelo. Il suo angelo.

“Oh, Sev.” Disse Lily, premendo il capo contro il petto del ragazzo, sentendo distintamente i battiti del suo cuore. “Sei tu. Sei davvero tu.”

“Sì, Lily.” Le rispose lui, poggiando il mento sul suo capo e stringendola più forte a sé. “Sono io. Sono tornato da te, come mi avevi chiesto.”

E Lily si abbandonò a lui. Dimentica per un istante di Voldemort. Dimentica di Silente, dell’Ordine e della battaglia. Sentì le labbra calde di Severus premere sulla sua fronte. Ascoltò il suo respiro. Chiuse gli occhi nel calore, e lasciò scorrere le lacrime, lasciò scorrere la tensione. Era un sogno che sarebbe presto finito, ma per qualche secondo poteva abbandonarsi ad esso.


 

*******


 Lo so, lo so, lo so. Ora vi starete chiedendo tutti: ma… ma questo dovrebbe essere l’ultimo capitolo? Ma finisce così?

Domande più che legittimae E la risposta che posso dare è: no, non finisce così. Questo avrebbe dovuto essere l’ultimo capitolo, ma piuttosto che fare un capitolone interminabile, ho preferito dividerlo in due capitoli. Quindi, per vostra grande gioia, la battaglia è posticipata alla prossima settimana. Contenti?

Aspetto le vostre recensioni, come sempre.

P.S. Vi informo, se non l’avete ancora letto sulla mia pagina, che ho già pubblicato il primo capitolo in inglese della Ballata. Domani pubblicherò il secondo. I link li trovate sulla mia pagina, se siete interessati. Devo dirvi che non ha avuto grande successo il primo capitolo: solo una recensione, di un polacco di buon cuore. Comunque, anche voi potete recensire se volete, non occorre essere registrati sul sito, basta cliccare a fondo della storia su review this chapter ;)

Ciao a tutti!

 

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Capitolo 37
*** La Spada di Grifondoro (Parte I) ***


Premessa: questo capitolo è diviso un due parti. Ho dovuto farlo perché è lungo la bellezza di venti pagine. Ora capite perché ho fatto un capitolo in più la volta scorsa… Scusatemi per il ritardo e buona lettura!

*******

 

Capitolo 37

LA SPADA DI GRIFONDORO

(Parte I)

 

“Non vorrei fare il guastafeste…” disse una voce poco lontana dai due ragazzi, “ma un aiuto sarebbe gradito.”

Severus allentò appena la presa sulla ragazza che si stringeva a lui, alzando lo sguardo verso Sirius e Remus ancora incatenati al muro. Anche Lily si voltò. Non appena la voce di Remus aveva fatto breccia nella sua mente si era sentita improvvisamente catapultata nella realtà, costretta ad abbandonare il sogno in cui era sprofondata mentre stringeva a sé Severus, ancora incapace di credere che tutto ciò stesse davvero accadendo. E invece no. Non era un sogno… e nemmeno un incubo. Era la realtà, la pura, semplice e terribile realtà.

La figura nera di Severus fu come un sipario. Un sipario che si alzava rivelando il palcoscenico della realtà. E mentre Severus si alzava gli occhi verdi di Lily colsero una piccola figura su quel palcoscenico. Una creaturina piccola, impaurita, un bimbo confuso e spaesato, i cui occhi, i suoi stessi occhi, la osservavano lucidi.

Lily si alzò lentamente e si precipitò verso il bambino, inginocchiandosi dinnanzi a lui. Lo strinse forte a sè. Ancora. Una volta di più.

“Va tutto bene, Harry.” Sussurrò dolcemente cercando di calmare il bimbo. “Va tutto bene.” Poggiò dolcemente la guancia sul capo scarmigliato del bambino, accarezzandone i capelli neri, stringendolo forte, quasi a volerlo far penetrare dentro di lei, al sicuro, nel suo cuore.

Severus aveva intanto estratto la bacchetta e si era avvicinato ai due Malandrini. Conosceva l’incantesimo utilizzato da Voldemort. Lo aveva visto molte volte. Troppe. Conosceva la formula per rompere quelle catene nere di ghisa.

Poggiò appena la bacchetta nera su uno degli anelli scuri che stringevano i polsi di Lupin. Sussurrò alcune parole, con voce lieve, quasi impercettibile. La pesante catena nera ebbe un sussulto. Sibilò contorcendosi su sé stessa come un serpente astioso, poi prese lentamente a indietreggiare vero il muro liberando il braccio di Remus. Severus continuava a ripetere la formula, come in una cantilena, con voce sempre più decisa. Sembrava esserci una vera e propria lotta tra lui e la catena nera. Quest’ultima stava lentamente ritirandosi sempre di più sotto le intimazioni del ragazzo, sempre di più, liberando le gambe di Remus, l’altro braccio, il collo… finchè la catena non svanì, con uno stridio irato, all’interno del muro, lasciando cadere in avanti il ragazzo che teneva prigioniero.

Severus afferrò prontamente Lupin per un braccio evitandogli di crollare in ginocchio sul pavimento di pietra.

“Grazie.” Lo ringraziò Remus frettolosamente, ma sinceramente, mentre recuperava l’equilibrio. Severus non gli rispose, gli gettò soltanto un’occhiata cupa di rimando.

“Ehi, Mocciosus.” Esclamò Sirius duramente attirando su di sé l’attenzione di Severus. “Vedi di tirarmi giù di qui!”

Severus alzò lo sguardo verso di lui. I loro occhi si incrociarono. Nero e azzurro.

Severus non si mosse, non fece alcun cenno di voler liberare Sirius. Vedeva quegli occhi azzurri fissarlo con odio, disgusto, uno spruzzo argentato di sfida a macchiare le iridi.

Perché doveva liberarlo? Stava così bene lassù avvolto da quelle catene nere. Che cosa doveva lui a Black? Un ragazzo tronfio e arrogante che non aveva fatto altro che ferirlo, prenderlo in giro ed emarginarlo per sette anni. Provava un sadico compiacimento a vederlo ora imprigionato e impedito, proprio come lui era stato per sette anni a scuola. Stretto da catene invisibili, senza potersi difendere davvero dagli insulti e dagli attacchi dei Malandrini, senza poter fuggire, costretto a subire sempre e comunque. Ora le parti si erano invertite.

Poteva lasciarlo lì. Poteva abbandonarlo. Negargli il suo aiuto. Sarebbe stato il giusto contrappasso per tutto ciò che lui aveva dovuto subire. Il giusto modo per sfogare il suo odio e il suo rancore verso Black.

“Liberami!” Gli intimò Black, mentre si agitava nel tentativo di allentare le catene.

Ma Severus non fece nulla. In pochi istanti che sembrarono eterni, rimase fermo a guardare Black, a vomitargli addosso tutto l’astio che si dibatteva nei suoi occhi neri. Poteva affogarlo, distruggerlo, annichilirlo con quelle onde nere.

“Severus.”

Severus si voltò di scatto verso destra. Lily era lì, Harry in braccio, la mano libera poggiata dolcemente sulla sua spalla. Lo guardava con occhi tranquilli, che racchiudevano in loro una muta richiesta. Muta, ma Severus la lesse perfettamente negli occhi verdi della ragazza.

Sospirò rassegnato, quindi si avvicinò a Black e prese a recitare di nuovo la formulare per scacciare le vive catene nere. Non sapeva perché lo stava facendo. Black avrebbe meritato di rimanere lì appeso a marcire per i secoli a venire. Lo avrebbe lasciato là. Lo avrebbe lasciato tra le spire nere se fosse stato per lui. Ma aveva visto la richiesta di Lily negli occhi freschi della giovane, l’aveva vista.

Severus si allontanò da Black con un movimento svelto non appena le catene lo ebbero rilasciato e il ragazzo cadde in avanti, in ginocchio, le mani puntate contro il pavimento per cercare di attutire la caduta.

“Lurido Mangiamorte!” Ringhiò subito Black contro Severus, dopo essersi rialzato. Si portò di fronte a Severus, il volto distorto dall’ira, il labbro appena alzato a scoprire i denti bianchi.

“Sirius!” Cercò di trattenerlo Remus, avvicinandosi all’amico.

Sirius aveva intanto afferrato Severus per il bavero, stringendo spasmodicamente nel pugno la stoffa nera della giacca del ragazzo. Costrinse Severus ad indietreggiare di qualche passo verso il muro.

“Sirius, smettila.” Lo rimproverò subito Lily, ma l’altro sembrò ignorarla completamente mentre puntava i suoi occhi azzurri in quelli neri di Severus. Occhi neri che erano calmi, silenziosi, seppure colmi di rancore verso i mari azzurri di fronte a loro, e questa cosa faceva irritare ancora di più Sirius.

“Tienilo sotto tiro, Remus.” Disse Black al compare Malandrino, dopo aver notato che questi aveva recuperato le loro bacchette dal pavimento dove giacevano abbandonate. Remus lo guardò allibito. Non capiva perché l’amico si comportasse così. Non riusciva a capire cosa fosse scattato nella mente di Sirius.

“Basta, Sirius. Ti stai rendendo ridicolo.” Intervenne Lily, interponendosi tra lui e Severus e posandogli una mano sul braccio per cercare di calmarlo, sebbene nella voce della ragazza fosse perfettamente percettibile l’irritazione e il rimprovero, così come si proiettavano limpidamente nei suoi occhi verdi.

“Lascialo andare.” Gli intimò poi.

Sirius portò subito lo sguardo su di lei, gli occhi azzurri increduli e confusi. La presa sulle vesti di Severus si allentò appena.

“Ma…” Balbettò incredulo. “Lily… non possiamo fidarci di lui.” Non capiva. Come potevano essere sicuri che si fosse davvero liberato della maledizione Imperius? Come potevano sapere che non li avrebbe ricondotti dritti tra le grinfie di Voldemort?

“Sirius. Dobbiamo fidarci di lui. Per favore.” Gli disse Lily tranquillamente. “Lascialo andare.”

“Ma Lily, ha consegnato Harry a Voldemort.” Cercò di argomentare Sirius.

“Sì.” Convenne Lily. “Ma allora non sapeva quello che faceva.”

Sirius guardò per qualche istante la ragazza, poi i suoi occhi balzarono su Severus. L’altro giovane lo guardava in silenzio, in attesa… Sirius lo guardò attentamente. Forse Lily aveva ragione… forse si era davvero liberato della maledizione… oppure era solo un bravo attore.

“Sirius”, intervenne Remus, “non possiamo rimanere qui in eterno. Lascialo andare.”

Black sospirò, abbassando appena il capo. La sua presa sulla giacca di Severus si allentò del tutto, liberando il giovane. Fece un passo indietro, osservando ancora per un istante Severus con occhi sospettosi, quindi si voltò di scatto vero Lupin e afferrò la sua bacchetta dalla presa dell’amico con un gesto rude.

“Andiamo a concludere questa faccenda.” Disse deciso avanzando vero le scale di pietra dei sotterranei, sotto lo sguardo degli altri tre ragazzi.

“Qualcuno deve portare via il bambino.” Intervenne improvvisamente Severus, costringendo Sirius a fermarsi di colpo e voltarsi indietro, incontrando le occhiate piene di aspettativa di Lily e Remus. Li guardò perplesso e interrogativo, sollevando appena le sopracciglia.

“Non possiamo certo portarlo in battaglia.” Gli spiegò Severus in tono leggermente sarcastico.

“Beh, io non ho alcuna intenzione di perdermela, la battaglia, Mocciosus.” Gli rispose Sirius, accentuando quel nome con tutto l’astio e il disgusto che poté caricarvi.

“Lo porto via io.” Si propose allora Remus.

Lily lo guardò insicura per un attimo. Non voleva lasciare di nuovo suo figlio, ma non poteva certo portarlo con sé in battaglia, Severus aveva ragione. Rimase pensierosa per un attimo. Toccava a lei portarlo via, toccava a lei. Ma non voleva andarsene. Non voleva lasciare Severus e non voleva lasciare che altri vendicassero suo figlio e suo marito.

“Lily.” Disse Severus poggiandole una mano sulla spalla. “Non abbiamo tempo.”

“D’accordo.” Disse la ragazza, mordendosi appena il labbro inferiore. Quindi alzò gli occhi verso Lupin che la osservava in attesa con i suoi occhi calmi e dorati. Poteva fidarsi di Remus. Era la persona più adatta a cui affidare suo figlio.

Lentamente allontanò Harry dal suo petto, con dolcezza, guardando teneramente gli occhi improvvisamente colti dal panico del bambino. Harry la guardò con gli occhi spalancati, la bocca semiaperta mentre sentiva nuovamente il calore della madre allontanarsi. Di nuovo separato da lei. Di nuovo…

“Stai tranquillo, Harry.” Gli disse dolcemente Lily mentre Remus lo afferrava con delicatezza, allontanandolo da lei.

“Remus ti porta via di qui. Ti porta al sicuro.” Gli disse ancora Lily, carezzandogli dolcemente i capelli neri e sfiorando appena la manina tesa verso di lei. Sorrise, cercando di istillare un po’ di sicurezza in quegli occhioni spaventati. E Harry sorrise, titubante, mentre Remus migliorava la presa su di lui, stringendoselo al petto.

“Tranquillo, Harry. Lo zio Remus si prenderà cura di te.” Disse Remus al bimbo, sorridendogli dolcemente, mentre lanciava un’occhiata rassicurante a Lily.

“Sai da dove passare per uscire.” Disse Severus a Lupin accennando col capo al passaggio che dava sulla galleria. “Lupin, questa volta i Mangiamorte ci saranno eccome là fuori. Vedi di non farti beccare.” Gli disse poi duramente.

“Tranquillo, ce la caveremo.” Gli rispose risoluto Lupin.

“Allora, ci muoviamo?” Li incitò improvvisamente Sirius. “Non ci tengo ad aspettare il ritorno di Voi-sapete-chi!”

***

“Albus!” Chiamò Alastor Moody mentre si riparava dietro l’angolo della villa, mentre un incantesimo si frantumava contro di esso schizzando schegge di intonaco dappertutto.

Albus Silente si trovava poco più in là, alle prese con un Mangiamorte che era sbucato improvvisamente alle sue spalle. Il vecchio preside gettò un’occhiata azzurra verso l’amico auror mentre si proteggeva dagli attacchi del Mangiamorte.

“Questo posto è peggio di un formicaio! Che facciamo, ora?” Gli chiese Moody, schivando appena in tempo un secondo incantesimo.

Silente si liberò del suo avversario colpendolo in pieno petto con uno Schiantesimo. Si guardò intorno. L’aria era uno sfrigolio di incantesimi, fatture e maledizioni che sibilavano nell’aria colorando il crepuscolo grigiastro di schiocchi di verdi e rossi e bianchi saettanti e pericolosi. Le grida dei combattenti ne accompagnavano le scudisciate, le voci di un coro su un balletto di colori, le voci delle Valchirie sul capo di battaglia. Oh, le Valchirie avrebbero fatto una buona caccia quella sera. I loro occhi affamati baluginavano nelle code degli incantesimi, il suono roboante dei loro corni si spandeva tra i combattenti e tra loro si scorgeva la danza macabradi Urlo, Grido e Furore, là tra i fuochi della battaglia.

Non lo sapeva. Non sapeva cosa avrebbero dovuto fare ora. L’effetto sorpresa aveva terminato i suoi effetti, i Mangiamorte stavano riorganizzandosi e ne arrivavano sempre di più… sempre di più. Metà dei membri dell’Ordine erano rimasti indietro, pizzicati tra un gruppo agguerrito di Mangiamorte e la cinta della villa. Tra loro c’erano anche Hagrid e Brix che combattevano spalla a spalla, un’insolita coppia che avrebbe potuto risultare comica se non fosse stato per il contesto.

Gli uomini dell’Ordine erano combattenti esperti. Ma i Mangiamorte erano tanti. Troppi. Più di quanti Albus Silente si fosse aspettato. Il vecchio preside gettò un’occhiata verso Moody ancora arroccato dietro lo spigolo della casa, la schiena premuta contro il muro.

Un incantesimo sibilò a pochi centimetri dall’orecchio del preside. Albus si voltò di scatto scagliando  una fattura alla cieca. Con sua somma sorpresa riuscì a colpire il Mangiamorte alla spalla. L’uomo ondeggiò insicuro per un istante sotto la botta dell’incantesimo, ma prima che Silente potesse colpirlo nuovamente, il Mangiamorte inclinò la schiena all’indietro con un gemito, quindi crollò in avanti giacendo immobile.

“Albus, dobbiamo entrare lì dentro!” Disse Aberforth perentoriamente, la bacchetta ancora levata di fronte a sé, una lieve stria di sangue gli macchiava la tempia.

“Sotto la scalinata!” Li richiamò Alastor Moody, attirando la loro attenzione con gesti ampi delle braccia.

“Minerva!” Gridò allora Albus alla collega rimasta isolata poco distante, divisa da loro da tre Mangiamorte che non le lasciavano un attimo di respiro. Aberforth intanto si era già precipitato vero la grande scalinata di marmo dell’ingresso, unendosi a Moody.

“Sono un tantino occupata al momento!” Rispose piccata la professoressa McGranitt, schivando appena in tempo una fattura e riuscendo a colpire al ventre il Mangiamorte che l’aveva scagliata.

“Expelliarmus!” Gridò allora Silente. Un secondo Mangiamorte fu sbalzato in avanti quando l’incantesimo del preside lo colpì in piena schiena.

Minerva approfittò dell’attimo di distrazione dell’altro avversario per schizzare in avanti, correndo verso Albus. Silente ne coprì la ritirata colpendo anche l’ultimo Mangiamorte, mandandolo a gambe all’aria dopo un volo di alcuni metri.

“Andiamo!” Disse alla McGranitt poggiandole appena una mano sulla spalla.

Corsero entrambi verso la scalinata mentre incantesimi e maledizioni sibilavano sopra le loro teste, mancandoli per pochi centimetri. Una fattura volò su di loro andandosi ad abbattere sul muro della villa. Una forte esplosione li investì, scagliando su di loro polvere e schegge di pietra, che ferirono la guancia di Silente incidendone la pelle in piccoli graffi. Minerva fece in tempo a sollevare il braccio sinistro per proteggersi il volto, le scintille di pietra le si conficcarono nella manica della veste, pungendole la pelle sottostante.

“Avanti. Avanti!” Fece loro Moody, agitando forte il braccio per incitarli. Sia lui che Aberforth erano riusciti già a ripararsi sotto la grande gradinata d’ingresso, e il secondo stava ora difendendo la postazione dagli attacchi di due Mangiamorte.

Albus e Minerva raggiunsero in tre balzi la scalinata, rintanandosi sotto l’arcata dove si trovavano i loro due compagni. Silente poggiò la schiena contro la pietra martoriata dagli incantesimi e riprese fiato. Davvero, non aveva più l’età per certe cose. E nemmeno Minerva che, come lui, si era abbandonata contro il marmo, ansimante.

“Spero che i ragazzi se la stiano cavando.” Osservò Moody, gettando un’occhiata al preside, giusto un attimo prima di scagliare un incantesimo contro un Mangiamorte che si era avvicinato troppo.

Silente sussultò. Già, i ragazzi. Si era completamente dimenticato di loro nella furia della battaglia. Infilò svelto una mano nella tasca della veste azzurra, ormai lacerata in più punti, e ne estrasse lo specchio doppio-senso. Trasse un sospiro di sollievo quando notò che era ancora tutto intero.

“Lily.” Sussurrò.

***

“Attenti.” Sussurrò Severus, premendosi contro il muro polveroso e scrostato del corridoio e facendo segno a Lily e Sirius poco più indietro di lui, di fare lo stesso. I due ragazzi avevano seguito Severus lungo l’angusta scala di pietra della cripta ed erano sbucati nei sotterranei della villa; l’intenzione era raggiungere i membri dell’Ordine che combattevano all’esterno, aiutarli ad entrare per quanto potevano.. Lily aveva con sé il Cappello Parlante, arrotolato e infilato nell’orlo dei pantaloni. Non aveva voluto lasciarlo là, gettato a terra come un inutile straccio… e poi… aveva la sensazione che sarebbe in qualche modo tornato utile.

Severus li aveva condotti lungo un corridoio buio, colmo fino al soffitto di aria asfittica che odorava di oblio, di muffa. Un luogo dimenticato da tutti erano i sotterranei di Villa Riddle… oppure, un luogo volutamente abbandonato, donato come un giocattolino alla polvere perché potesse giocarci e dimenticare ciò che era intorno a lei. Un luogo lontano dalla realtà, avvolto dall’indifferenza… indifferenza di una bambina grigia e muta.

Una bambina a cui non interessavano quei tre ragazzi che si erano improvvisamente premuti contro i muri del suo giocattolo. Non le importava dei loro ansiti, il loro cercare disperatamente di rallentare la corsa dei loro cuori. Non le importava dei passi forsennati, delle grida, del frastuono della battaglia che filtrava attraverso i muri come un muto messaggero.

Due Mangiamorte sbucarono dall’angolo del corridoio che si intersecava con quello in cui si trovavano i tre ragazzi, i mantelli neri svolazzanti dietro di loro mentre correvano verso le scale, le bacchette strette in mano, la maschera d’argento a coprire i lineamenti.

Severus aspettò che i due avessero imboccato le scale, sbirciando oltre l’angolo del muro, il cuore in gola che batteva forte per la tensione.

Si voltò verso i due ragazzi dietro di lui.

“Muoviamoci.” Sussurrò deciso, ma fece appena in tempo a fare un passo avanti che una voce alle sue spalle lo fece sussultare, costringendolo a voltarsi con un scatto del capo.

“Lily!”

La ragazza era anch’ella sobbalzata quando quella voce profonda aveva chiamato il suo nome, dalla tasca dei cuoi pantaloni. Sotto lo sguardo ancora spaventato e confuso di Severus, Lily infilò la mano nella detta tasca e ne estrasse lo specchio a doppio senso.

“Che cos’era?” Le chiese Severus in un sussurro, stringendosi nuovamente contro il muro.

“Credevi che fossimo venuti qui senza avere un contatto con l’Ordine, Moccy?” Fece allora Sirius sottovoce, mentre apriva sul volto un sorrisetto sarcastico.

Severus lo fulminò con lo sguardo e stava per rispondergli quando Lily li zittì entrambi.

“Sst!” Fece loro duramente, quindi tornò a posare gli occhi sullo specchio il cui vetro stava lentamente offuscandosi, ondeggiando come acque d’argento sotto il peso di un sassolino. Lentamente, il viso di Albus Silente comparve nello specchio, un Albus Silente ben diverso da quello che era comparso soltanto un’ora prima in quello stesso specchio. Il volto di quel Silente era altero, saggio, gli occhi azzurri splendenti e astuti, la barba bianca liscia e curata; il viso che era ora comparso era invece quello di un vecchio combattente con i capelli scarmigliati, il viso graffiato e sporco di terra e polvere, gli occhiali a mezzaluna inclinati sul naso con una lente crepata, ma gli occhi azzurri perfettamente focalizzati, limpidi, decisi.

“Albus. Come sta andando?” Gli chiese Lily sottovoce.

“Ce la caviamo. Voi dove siete?” Le rispose e domandò Silente, la voce rotta dal fermento della battaglia.

“Nei sotterranei. Stiamo venendo verso di voi.” Gli rispose allora Lily.

“Bene. Abbiamo bisogno di qualche bacchetta in più.” Disse allora Silente, sorridendo. “Harry?” Si informò poi.

Il volto di Lily scattò improvvisamente verso destra, sobbalzando ad un rumore improvviso. Severus sbirciò di nuovo verso le scale. Nulla. Il ragazzo si voltò di nuovo verso Lily.

“Veniva da sopra.” Le disse, riferendosi alla battaglia.

“Lily?” Fece Silente. “Tutto bene?”

La ragazza si voltò di nuovo verso lo specchio. “Sì, tutto bene.” Gli rispose, la voce ancora mozzata dal sobbalzo di poco prima. “Harry è con Remus.” Disse poi, rispondendo alla domanda del preside. “Lo sta portando fuori. Dalla galleria da dove siamo entrati.”

Silente annuì col capo, deciso. “Bene. E Severus?”

Il ragazzo di fianco a Lily sussultò quando sentì il suo nome sussurrato con apprensione dal preside. Si protese verso lo specchio per cercare di cogliere lo sguardo di Silente, sorrise appena quando i suoi occhi incontrarono quegli azzurri del suo mentore. Albus non poteva vederlo, lo specchio mostrava soltanto la persona di cui era stato pronunciato il nome, ma non importava.

Lily sorrise a sua volta, gettando un’occhiata verso il ragazzo.

“Severus è qui con noi. Cosciente e tutto intero, per ora.” Disse lei, senza staccare gli occhi dal giovane, che continuava a guardare l’immagine nello specchio. Severus vide Albus sospirare, chiudere appena gli occhi mentre il sorriso sul suo vecchio volto si allargava.

“Grazie al cielo.” Sopirò. “Dov’è Tom?” Chiese poi deciso, riaprendo gli occhi in uno scintillio di blu.

Lily scosse il capo riportando lo sguardo sul preside. “Non lo sappiamo.” Gli rispose.

“Non importa.” Disse allora Albus. “Ora l’importante è che riusciate a raggiungerci. Fate attenzione.” Detto questo, la sua immagine ondeggiò appena prima di sfumare nel grigio e scomparire ingoiata dal vetro.

***

“Allora?” Si informò Alastor Moody, dopo che Albus ebbe ritirato lo specchio tra le pieghe della veste.

Silente alzò gli occhi verso di lui, improvvisamente proiettato di nuovo nella battaglia, gli occhi invasi dalle scie degli incantesimi, le orecchie inondate dagli schianti e dalle grida.

“Stanno venendo verso di noi.” Disse all’auror. “Severus è con loro. Lupin sta portando via Harry, passando dalla galleria.”

Moody si ritrasse improvvisamente mentre una maledizione gli schizzava di fianco sfiorandogli la spalla destra.

“E’ una buona notizia.” Osservò poi, mentre si voltava deciso, poco prima di scagliare una fattura contro il Mangiamorte che l’aveva quasi colpito.

Silente si alzò stancamente in piedi, avanzando verso Moody, Aberforth e Minerva che continuavano a proteggere la postazione dall’assedio di una decina di Mangiamorte. Si chinò di fianco all’auror, scagliando un incantesimo verso il Mangiamorte più vicino.

“Dobbiamo stanare Tom.” Disse alzando la voce più che poteva per farsi sentire anche da Aberforth e da Minerva sopra al fragore della battaglia. Entrambi si voltarono un attimo verso di lui, tenendo sempre un occhio sui Mangiamorte, attendendo di udire il piano del preside.

“Come pensi di entrare?” Gli chiese il fratello con fare deciso, mentre si riparava dietro il pilastro di marmo della piccola arcata.

“Alastor.” Disse allora Silente voltandosi verso l’amico auror, giusto di fianco a lui. Moody fece appena un cenno col capo, troppo preso dalla sua personale lotta contro un Mangiamorte per poter rispondere al preside. Scagliò un incantesimo contro il suo avversario, ma questi lo schivò.

“E fatti beccare!” Ruggì l’auror, mentre ripeteva l’attacco.

“Alastor!” Esclamò di nuovo il preside, cercando di distoglierlo per un istante dalla battaglia.

“Vi copro io!” Disse allora Moody, pur senza alzare gli occhi verso il preside.

Albus annuì seccamente. Quindi si voltò verso Minerva e Aberforth, anche loro occupati a tenere a bada i Mangiamorte, ma un occhio attento ad ogni suo movimento, in attesa di muoversi.

“Andiamo!” Disse loro Albus. Quindi superò Minerva e balzò fuori dal loro rifugio seguito a ruota dalla professoressa e dal fratello. L’attenzione dei Mangiamorte si focalizzò subito si di loro ed i tre vennero improvvisamente sommersi dai lampi e dai crepitii degli incantesimi, alcuni rischiarono seriamente di colpirli, altri volarono alti sulle loro teste. Ma fu solo per un attimo perché una forte esplosione investì improvvisamente i loro avversari scagliandone a terra alcuni e sommergendo gli altri di fumo e polvere.

Moody scattò in avanti, approfittando del diversivo che aveva creato per raggiungere i suoi compagni, mentre i Mangiamorte ancora storditi, tossivano e si agitavano, alcuni portandosi il braccio al viso per pulirlo dalla polvere irritante che aveva loro ferito gli occhi.

I quattro balzarono in fretta sui gradini di marmo, molti dei quali spaccati dalla forza degli incantesimi vaganti. Avevano quasi raggiunto il portone d’ingresso di Villa Riddle quando qualcuno gridò alle loro spalle, costringendoli a voltarsi per un secondo. Il tempo per vedere Hagrid sbracciarsi verso di loro, gli incantesimi che gli rimbalzavano addosso, alcuni allontanati dal suo sangue di gigante, altri deviati dal piccolo elfo Brix che trotterellava al suo fianco. Poco dietro di loro, che scagliava incantesimi e proteggeva le spalle ai due, c’era Arthur Weasley; la chioma rossa scarmigliata e un profondo taglio sanguinante sul braccio sinistro.

“Andate avanti! Vi copriamo noi!” Gridò loro Weasley.

Silente annuì appena, quindi lui e i suoi compagni ripresero la corsa su per la scalinata, decisi e sicuri, ora che sapevano che qualcun altro avrebbe preso il loro posto sotto la scalinata. Tuttavia, quello che non si aspettavano fu che Brix comparisse improvvisamente al loro fianco con il pop della smaterializzazione ingoiato dal frastuono della battaglia. Il piccolo elfo gettò un’occhiata svelta ad Albus, sorridendogli deciso. Gli occhi castani scintillanti di eccitazione e angoscia, le dita cariche di magia pronte a scattare.

***

Remus migliorò la presa sul corpicino di Harry, che gli stava lentamente scivolando tra le braccia, mentre si affrettava lungo la galleria buia, illuminata soltanto dalla luce azzurra della sua bacchetta. L’acqua schizzava ovunque sotto i suoi passi, ma al ragazzo non importava: doveva affrettarsi ad uscire da lì, portare via Harry… in fretta.

Balzò su per la ripida scala di pietra, rischiando di cadere in avanti quando il piede scivolò sulla superficie viscida di un scalino. Riprese in fretta l’equilibrio e continuò a salire. Si fermò un istante, poco prima di uscire allo scoperto nel giardino. Rimase per un attimo in ascolto mentre riprendeva fiato. Silenzio. Si sentivano appena i rumori della battaglia, attutiti, dall’altro lato della casa.

Harry mugugnò qualcosa mentre si stringeva di più al suo petto.

“Sst.” Fece allora Remus, tranquillamente, sfiorando appena la fronte del bimbo con la mano che reggeva la bacchetta.

Il ragazzo prese un lungo respiro, cercando la forza per uscire allo scoperto. Strinse forte la bacchetta, quindi balzò fuori, deciso, puntando la bacchetta di fronte a sé, pronto a colpire chiunque avesse incontrato.

Si guardò intorno circospetto per qualche istante. Non c’era nessuno: tutti i Mangiamorte erano occupati ad affrontare i membri dell’Ordine. Di fronte a lui ci estendeva il giardino, ormai immerso in un crepuscolo nerastro e fuligginoso, e, al di là di esso, il cancelletto da cui erano entrati. Non sapeva se le barriere si fossero richiuse sulla villa, non sapeva se poteva smaterializzarsi da lì: doveva uscire.

Ebbe appena il tempo per fare un passo in avanti, deciso a correre verso l’uscita, quando due Mangiamorte sbucarono improvvisamente dall’angolo della villa inseguiti dagli schianti di alcuni incantesimi. Remus li vide appiattirsi contro il muro per ripararsi, non sembrava si fossero accorti di lui e Harry.

In silenzio, fece un passo indietro, deciso ad infilarsi nuovamente giù per la scala, ma non ebbe l’occasione.

“Ma guarda, guarda, guarda…” Fece una voce femminile dall’angolo in cui si trovavano i Mangiamorte. Remus si voltò di scatto, gli occhi d’ambra spalancati dalla sorpresa e dallo spavento. Uno dei due Mangiamorte lo stava fissando: una donna, alta, i capelli neri scompigliati dalla furia del combattimento, gli occhi scuri brillanti dietro la maschera d’argento.

“Expelliarmus!” Gridò Remus. L’incantesimo sibilò verso la donna, ma prima che potesse raggiungerla, un secondo Mangiamorte afferrò Remus alle spalle, costringendolo a lasciare la resa sulla bacchetta che cadde inerme sull’erba.

La donna si avvicinò a lui a grandi passi, togliendosi la maschera dal volto per rivelare un sorriso malvagio e soddisfatto.

Bellatrix osservò a lungo il volto di Remus, studiandolo in ogni particolare mentre l’altro Mangiamorte stringeva la presa su di lui. Harry aveva cominciato a piangere, in silenzio; Remus sentiva le sue lacrima bagnargli la camicia e non sapeva cosa fare… si era fatto beccare come un idiota. Bel Malandrino era!

“Bene, bene.” Disse Bellatrix puntando la bacchetta alla gola del ragazzo. “Il Signore Oscuro non sarà felice di questo vostro exploit.” Ghignò, gli occhi scintillanti.
 

*******

 

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Capitolo 38
*** La Spada di Grifondoro (Parte II) ***


Capitolo 37

LA SPADA DI GRIFONDORO

(Parte II)


 

Lily e i due ragazzi sentivano gli schianti colorati della battaglia farsi più vicini mentre correvano lungo i corridoi vuoti. Correvano. Ormai non importava più la segretezza, dovevano raggiungere l’ingresso della villa… c’erano quasi… tutte le forze di Voldemort avevano lasciato i lugubri corridoi di villa Riddle per prendere parte alla battaglia all’esterno. Soltanto più i passi dei tre ragazzi echeggiavano nel rimbombo delle sale spoglie, mischiandosi agli incitamenti degli scontri e agli schiocchi improvvisi degli incantesimi.

Lily seguiva Severus decisa, la bacchetta stretta in pugno, gli occhi colmi di fragori verdi, il Cappello infilato nell’orlo dei pantaloni. Ormai la resa dei conti era vicina… lo sentiva. Presto tutto sarebbe finito, ingoiato dai lampi degli incantesimi. Sperava solo che Harry fosse al sicuro…

Imboccarono un corridoio laterale che li condusse in quello che avrebbe dovuto essere un salotto, ma in cui le chiacchiere, le vite stesse di chi aveva abitato quella casa, erano ormai soltanto delle immagini perdute nella polvere. Oltre una porta che si trovava sulla loro destra si apriva l’ampio, freddo ingresso della villa, infiammato dalle luci sfolgoranti degli incantesimi che saltavano a destra e a manca come grilli impazziti dalle ali colorate e venefiche.

Severus si fermò a pochi passi dalla porta, ponendosi di lato ad essa, protetto dal muro. Lily si fiondò subito accanto a lui mentre Sirius si portava sul lato opposto, sbirciando appena nel salone e lasciandosi sfuggire un sospiro carico di tensione e risolutezza.

Severus fece lo stesso, analizzando bene la situazione al di là dello stipite della porta divelta. Deglutì, riprendendo fiato. Chiamando a sé tutto il suo coraggio, tutto ciò che la maledizione Imperius aveva gettato nel profondo pozzo nero dentro di lui… tutti i ricordi, tutti i sentimenti… la rabbia, l’odio verso Voldemort… il desiderio di riparare al male che lui stesso aveva fatto… per Lily. Ancora. Sempre per lei. Il suo amore che si dibatteva in lui come una cerva etera e d’argento, dandogli la forza per andare avanti ancora.

“Sev?” Fece Lily, alle sue spalle, ponendogli appena una mano chiara sull’avambraccio sinistro.

Il ragazzo sussultò a quel tocco. Ritirò in fretta il braccio, scottato da quelle dita appena poggiate su di lui, allontanando il Marchio Nero dalla purezza di quella mano. Si voltò verso la ragazza, guardandola con occhi profondi, aperti sul suo cuore, ormai finalmente libero davanti a quegli occhi verdi. Quegli occhi che erano stati la sua via d’uscita dall’oblio delle catene di Voldemort.

“Lily”, fece Severus sorridendo appena, “mi dispiace per…” Ma non riuscì a finire la frase che la ragazza gli pose leggermente un dito sulle labbra, zittendolo.

“Questo lo hai già detto.” Gli ricordò Lily sorridendo. La mano abbandonò le labbra di Severus per posarsi sulla sua spalla.

“Mi rimarrai vicino?” Le chiese quasi ingenuamente Severus, senza potersi impedire di abbassare appena lo sguardo, colto da un’improvvisa paura di perdere di nuovo Lily.

La giovane gli fece alzare il viso verso di lei, ponendogli dolcemente una mano sotto al mento. Sorrise. “Sempre.” Gli disse.

La mano lentamente salì verso la guancia del ragazzo, sfiorandone la pelle in una lieve carezza. Gli incantesimi nella sala accanto sibilavano e schioccavano impazziti, empiendo gli occhi di Lily di sprazzi di verde e di rosso, come un’improvvisa aurora sulla foresta, un’aurora terribile e di fuoco che rendeva quel verde ancora più splendente.

Lily passò la mano tra i capelli neri di Severus, attirando il viso del giovane verso di lei. Le loro labbra sempre più vicine, separate soltanto dal soffio dei loro respiri. Gli occhi di ognuno chiusi sul cuore dell’altro, e le loro labbra sempre più vicine…

“Ehi, amorini!” Gridò improvvisamente Sirius, facendo sobbalzare entrambi i ragazzi. Lily lo guardò scombussolata da sopra la spalla di Severus mentre questi si voltava verso Black con aria confusa.

“Potete rimandare queste smancerie a più tardi?” Ringhiò Sirius, una smorfia disgustata e canzonatoria sul viso. Fece un cenno col capo verso la battaglia a pochi passi da loro. “C’è una battaglia da vincere qui.”

***

Albus e compagni erano riusciti ad entrare nell’ampio salone della villa soltanto per scoprire che pullulava di Mangiamorte. Ma quanti erano? Non potevano essere stati tutti a Villa Riddle… erano stati chiamati a raccolta. Silente fece una smorfia, a quanto pareva Tom preferiva fare lo spettatore, ma qualcosa gli diceva che sarebbe venuto. Doveva venire. Silente non se ne sarebbe andato di lì senza aver avuto la possibilità di affrontare il suo ex allievo. Doveva andare fino in fondo.

Si premette di più contro la colonna del salone dietro la quale si proteggeva. Moody si trovava a poca distanza da lui, riparato dietro un’altra colonna bianca. Aberforth, Brix e Minerva si trovavano invece sul lato opposto alle prese con altri Mangiamorte. La professoressa McGranitt era a poca distanza da loro, si riparava come poteva dietro un cumulo di macerie- creato da un’esplosione che aveva colpito la volta- e combatteva, davvero è il caso di dirlo, come una leonessa. 

Un incantesimo si abbatté contro il marmo a poca distanza dal volto del preside, lasciando una lunga ferita nera sulla colonna. Albus si protese a sinistra scagliando una fattura contro il Mangiamorte più vicino e colpendolo al ventre, mandandolo a gambe all’aria alcuni metri più indietro. Non potevano andare avanti così. Dov’erano Lily e gli altri?

Minerva si espose per colpire un Mangiamorte, che ruzzolò a terra perdendo la maschera d’argento. Tuttavia, un secondo Mangiamorte approfittò della situazione, scagliando una maledizione contro la professoressa, mentre questa tentava di colpire un secondo avversario.

“Minerva!” Gridò improvvisamente una voce allarmata. Minerva si sentì afferrare per le spalle e trarre al sicuro dietro il cumulo di macerie giusto in tempo, la maledizione destinata a lei rimbalzò sui detriti con un sibilo. La professoressa levò svelta la bacchetta contro chi l’aveva afferrata, ma abbassò presto la bacchetta, gli occhi colmi di incredulità, quando si ritrovò davanti il volto di Severus.

“Severus…” Disse. Non riusciva a crederci… no, doveva esser un’allucinazione… Ma non era così. Severus le sorrise appena, poggiandole una mano sul braccio. Dietro di lui fecero improvvisamente la loro comparsa anche Lily e Sirius, affannati dalla corsa.

“Tutto bene?” Le domandò il ragazzo, accorato, chinandosi verso di lei, mentre allentava la presa sulle sue spalle, poggiandovi semplicemente le mani.

“Sì. Grazie.” Rispose Minerva con un leggero sorriso. Severus accennò semplicemente col capo, prima di balzare oltre le macerie per scagliarsi contro il Mangiamorte che aveva tentato di colpire la professoressa.

Silente, dall’altro lato della sala, poggiò stancamente la schiena contro la colonna, sorridendo; ringraziando il cielo o chiunque avesse condotto i passi dei tre ragazzi da loro.

L’arrivo di Lily e degli altri ragazzi aveva colto di sorpresa i Mangiamorte, molti dei quali vennero colpiti dagli incantesimi lanciati da Lily e Sirius prima ancora di rendersene conto. Alastor, Brix e Aberforth avevano a loro volta approfittato della situazione e si erano azzardati ad uscire allo scoperto cogliendo i Mangiamorte alle spalle. Questi cominciarono lentamente a ritirarsi, cercando di ripararsi dagli attacchi dei membri dell’Ordine, spinti da un nuovo ardore.

Albus ne approfittò per raggiungere Severus, che aveva appena Schiantato un avversario. Gli poggiò una mano sulla spalla facendolo sobbalzare. Severus si voltò verso di lui, sorridendogli, non appena ebbe riconosciuto quegli occhi azzurri che lo scrutavano. Albus sorrise di rimando, scuotendo appena il capo.  Non disse nulla. Non c’era nulla da dire. Sì: quel ragazzo era davvero straordinario. Era riuscito a sconfiggere la maledizione… ma quella non era proprio una sorpresa per Albus Silente. Non aveva mai smesso di sperare… sperare che l’amore per e di Lily potesse aiutare Severus… e così era stato. Non era forse vero?

Severus aprì la bocca per dire qualcosa, ma si sentì improvvisamente spingere di alto dal preside. Si voltò giusto in tempo per vedere una fattura saettare verso il punto in cui si trovava poco prima e infrangersi contro l’incantesimo di protezione lanciato da Silente. Albus levò la bacchetta, pronto a rispondere all’attacco, ma non scagliò mai l’incantesimo.

“E così, Silente…” Fece improvvisamente una voce gelida. “Credi di aver vinto?” In tutto il salone era improvvisamente calato un silenzio gelido. Tutti, sia i Mangiamorte che gli uomini dell’Ordine, si erano bloccati, le bacchette a mezz’aria, come colpiti dallo sguardo pietrificatore di Medusa. Una Medusa che se ne se stava là, ai piedi della scalinata che portava ai piani superiori. Una Medusa che di serpentino non aveva i capelli, ma il viso stesso… gli occhi rossi brillanti come fornaci infernali. E in braccio, un bambino.

“Harry!” Gridò improvvisamente Lily. Non poteva essere… non era possibile. No. Harry era al sicuro… Remus lo aveva portato via… no… non poteva essere. Fece un passo in avanti decisa, gli occhi colmi di stupore e incredulità.

“Harry. Sì, proprio Harry.” Le fece il verso Voldemort, sorridendo appena. “Patetico tentativo… farlo portar via.”

Silente fece un passo avanti, tranquillo, potente. Il viso tirato in un’espressione decisa, battagliera, la mano stretta sulla bacchetta, affrontando l’uomo che era stato suo allievo.

Severus fece per imitare Silente facendo un passo avanti, ma il braccio del preside lo trattenne ponendosi come una barriera di fronte al suo petto, nel tentativo quasi di proteggere il ragazzo dietro di sè. Severus si bloccò di colpo, gettando un’occhiata svelta al suo mentore.

“Oh.” Fece questi. “E così… due volte tu mi tradisci.” Disse rivolgendosi a Severus. Il giovane non rispose.

“Chissà perché questo non mi stupisce… mi rammarico solo di doverti uccidere.” Continuò Voldemort, con fare tranquillo.

“E tu, Albus… tieni così tanto a questo traditore?” Chiese poi duramente a Silente.

“Basta così, Tom.” Disse questi tranquillamente, ma con voce profonda, inflessibile. “Lascia andare il bambino.”

Voldemort fece scattare la lingua, passandola appena sul labbro superiore. Quindi abbassò gli occhi sul bimbo che teneva in braccio con fare teatralmente pensieroso.

“Sia così.” Disse infine. Si voltò e fece un leggero cenno col capo come richiamare qualcuno. Alle sue spalle avanzò Bellatrix Lestrange, la bacchetta premuta contro il collo di Remus Lupin di cui stringeva forte i polsi dietro la schiena serrandoli in una morsa d’acciaio. Sul volto della donna si apriva un sorriso ampio che pareva quasi una muta risata, mentre sfiorava appena la guancia di Remus con la sua.

Bellatrix gettò un’occhiata verso il suo signore, quindi spinse via Remus liberandolo dalla presa e facendolo ruzzolare in avanti sul pavimento. Sirius si precipitò subito verso di lui, preoccupato; si inginocchiò di fianco a lui aiutandolo ad alzarsi.

Voldemort poggiò il piccolo Harry a terra, con fare indifferente. Lily fece per correre verso il bambino, ma si sentì afferrare per le braccia, alle spalle. Cercò di divincolarsi, ma chi la tratteneva non allentò la presa.

“Aspetta.” Le sussurrò Severus all’orecchio, lottando per trattenere la ragazza. Lily smise di divincolarsi all’udire quella voce, ma i suoi occhi rimasero puntati verso il bimbo in lacrime alle spalle di Voldemort.

“Bene, vecchio. Come desideri.” Fece sarcastico Voldemort, accennando una riverenza. Levò svelto la bacchetta contro Silente.

“Avada Kedavra!” Gridò. La maledizione sfrecciò sibilante e mortale verso il vecchio preside. Silente la schivò gettandosi di lato, agitò appena la bacchetta scagliando contro Voldemort un getto di luce rossa.

Nel frattempo, la battaglia nell’androne era ricominciata. I Mangiamorte, rincuorati dalla comparsa del loro signore si erano scagliati con nuova forza contro i membri dell’Ordine. Severus aveva lasciato andare Lily per difendersi da una maledizione scagliata contro di lui da Bellatrix Lestrange e la ragazza aveva cercato di raggiungere Harry, prima che un Mangiamorte la trattenesse, obbligandola a duellare con lui.

“Ma guarda”, ridacchiò Bellatrix. “Il principino si è svegliato.” Rise mentre scagliava una maledizione contro il ragazzo. Severus riuscì a proteggersi nell’istante stesso in cui un incantesimo di Albus passava sopra la sua testa diretto verso Voldemort.

Severus vide con la coda dell’occhio il Signore Oscuro ergere uno scintillante scudo di fronte a sé parando l’incantesimo di Silente.

“Non vuoi uccidermi, Albus?” Fece Voldemort in un ghigno. Silente non rispose e Riddle fece schioccare la lingua scuotendo il capo. “Già, come dimenticare! Tu sei al di sopra di certe cose… vero, Silente?” Chiese poi sibilando malvagio scagliando una seconda maledizione contro Silente, verde e impietosa. Albus fu nuovamente costretto a gettarsi di lato per evitarla, rischiando di cadere a terra.

“Crucio!” Esplose Bellatrix. La maledizione centrò Severus, distratto dallo scontro tra Albus e Voldemort. Il ragazzo si piegò in due per il dolore, le fitte lancinanti si spansero come fuoco nelle sue vene tra le risate di Bellatrix. Cercò di levare la bacchetta contro di lei, ma la mano gli tremò e l’incantesimo serpeggiò a terra, innocuo.

“Uuh, il mezzo principe si è fatto cogliere impreparato…” Ghignò Bellatrix, stringendo forte la bacchetta, gli occhi castani invasi dal fuoco, decisa a provocare sempre più dolore al giovane.

“Expelliarmus!”

L’incantesimo colpì Bellatrix al fianco facendola rotolare a terra, sotto gli occhi stupiti di Severus, il dolore della Cruciatus svanì in fretta non appena la donna sbattè sul pavimento.

“Mi devi un favore, Mocciosus!” Gli gridò Sirius; i capelli sudati appiccicati alla fronte, la bacchetta levata.

Severus lo guardò incredulo per un attimo, poi fece scattare il capo in un cenno di ringraziamento. Si voltò svelto verso Bellatrix, che si stava alzando con fatica da terra, schivando in tempo un incantesimo vagante che gli sfiorò il braccio sinistro.

“Avada Kedavra!” Gridò improvvisamente Bellatrix puntando la bacchetta contro Severus. Il ragazzo fu costretto a balzare di lato per evitare la maledizione che saettò oltre di lui per andarsi a schiantare, in un fragore di folgori contro il muro.

“Stupeficium!” Gridò Severus di colpo, svelto, senza dare a Bellatrix la possibilità di riflettere. Lo Schiantesimo colpì la donna in pieno petto dipingendo sul suo viso un’espressione di pura sorpresa, prima che lei crollasse nuovamente a terra priva di sensi.

Severus si guardò intorno in cerca di Lily. Ne intravide la chioma rossa, al capo opposto del salone, agitarsi tra le scintille e le luci. Era là, poco lontano da Lupin che era riuscito a recuperare una bacchetta e duellava con un Mangiamorte., cerando di raggiungere la ragazza.

Lily si batteva con tutte le sue forze, mentre Rabastan Lestrange la spingeva sempre più contro il muro, in trappola. La ragazza gettava occhiate svelte verso il piccolo Harry, in lacrime e terrorizzato. Doveva riuscire a raggiungerlo, metterlo al riparo… forse… c’era una porta poco lontano da lei, che si apriva su una stanza attigua… se fosse riuscita a prenderlo e portarlo-

La bacchetta le sfuggì improvvisamente di mano. Si voltò verso il suo avversario, confusa. Rabastan sorrideva, gli occhi azzurri accessi dal fervore del combattimento.

“Expelliarmus!” Gridò il Mangiamorte. Lily non fece in tempo a scostarsi, l’incantesimo la colpì al petto facendola ruzzolare a terra. Il Cappello le scivolò via dalla cinta dei pantaloni e giacque a terra, a poca distanza da lei.

Lily si portò una mano al capo dolorante. Vide Rabastan sopra di lei, la bacchetta stretta in pugno, pronto a colpire.

La ragazza si guardò intorno disperata. Dov’era la sua bacchetta? Che cosa poteva fare. Gli occhi le caddero per caso sul Cappello, attirati da uno strano scintillio… rotolò sul fianco nell’istante stesso in cui Rabastan levava la bacchetta. Le sue mani scattarono verso l’elsa della spada. L’elsa d’argento scintillante che sbucava dal Cappello. Lily strinse le dita intorno alla superficie cesellata sentendo uno strano calore sfiorare i suoi palmi. Con un movimento svelto, estrasse la spada dal Cappello ponendo la lama davanti a sé mentre Rabastan scagliava la maledizione. Lily chiuse gli occhi mentre il lampo verde si abbatteva su di lei, sentì un colpo violento alle braccia, la spada tremò nella sua presa. Poi, tutto finì.

La ragazza di azzardò a socchiudere gli occhi. Rabastan giaceva incosciente poco lontano da lei, sdraiato compostamente a terra: l’incantesimo era rimbalzato sulla lama della spada ritorcendosi contro il suo creatore. Lily era senza parole. Rimase qualche istante a terra, boccheggiante, la spada di Grifondoro ancora tesa di fronte a sé.

Si riscosse, levandosi a sedere. Si guardò intorno cercando la sua bacchetta, la bacchetta di James. Eccola. Poco lontano da lei. Si lanciò in avanti per afferrarla, reggendo la spada nella mano sinistra. Le sue dita si chiusero sul legno familiare della bacchetta, la strinse forte, quindi balzò in avanti diretta verso il piccolo Harry.

Un incantesimo la raggiunse al fianco, facendole schizzare via la spada di mano. La lama volò alta, lontano da Lily, cadendo poi a terra con un tintinnio d’argento nell’indifferenza di tutti. Lily colpì il Mangiamorte che l’aveva attaccata, colpendolo alla spalla, quindi schizzò di nuovo verso Harry. Non le importava della spada. Il suo unico pensiero era Harry.

Severus la vide e scattò in avanti, deciso a raggiungerla, ma ebbe appena il tempo di fare un passo che una maledizione gli tagliò la strada. Severus sentì un brivido corrergli lungo la schiena al passaggio di quella folgore verde tanto possente e denso era la sua potenza. Si voltò. Voldemort era a qualche metro da lui, sorridente, come se avesse appena sentito una barzelletta. Silente, a pochi passi dal Signore Oscuro, guardava anch’egli nella direzione di Severus con occhi spalancati.

“Nuovo gioco, Silente.” Fece Voldemort allegro. “Vediamo se riesci ad impedire che uccida il tuo pupillo.” Detto questo scagliò una seconda maledizione contro Severus. Il ragazzo fece in tempo a scansarsi, ma nella furia del movimento, inciampò sul corpo di un Mangiamorte steso a terra e cadde rovinosamente sul pavimento. Severus gemette quando tutto il suo peso cadde sul suo braccio, provocandogli una forte scossa di dolore che gli invase tutta la spalla.

Voldemort stava per colpire di nuovo, quando dalla bacchetta di Silente scaturì una bollente lingua di fiamme che si avvolse intorno al mago oscuro, obbligandolo in una prigione di fuoco. Severus osservò la scena senza sapere cosa fare, bloccato, per un attimo, dal peso degli eventi.

Voldemort lottava contro la corda di fiamme che lo avvolgeva, il suo volto ridotto alla smorfia adirata di un demone bianco. Lily era dall’altro del salone… Severus vedeva i suoi capelli vermigli danzare tra gli incantesimi… Harry piangeva terrorizzato a terra, protetto soltanto dalla balaustra di marmo della scalinata.

Il Signore Oscuro si liberò con un grido dalla ragnatela di fuoco. La sua bacchetta si levò alta, terribile quando la maledizione che scaturì da essa, questa volta rivolta contro il preside.

“Expelliarmus!” Gridò Severus, senza pensare. L’incantesimo colpì Voldemort alla spalla facendogli perdere l’equilibrio. La maledizione deviò, mancando di molto l’anziano preside e colpendo un Mangiamorte alle sue spalle che crollò a terra  morto, rivelando la figura stupita di Brix che si era visto il suo avversario crollare a terra senza motivo apparente.

Voldemort si voltò di scatto verso di lui, il volto ridotto ad un ringhio di ira pura. Ritrasse la bacchetta e la mosse in avanti come una frusta, con furia. La maledizione colpì Severus in pieno petto prima ancora che il ragazzo se ne rendesse conto. Il sangue schizzò nell’aria, rosso, caldo. Il giovane gemette appena prima di crollare a terra con un tonfo, il petto squarciato da un lungo taglio che sanguinava copiosamente. Il respiro gli mancò quando impattò col pavimento, incredulo. Sentiva il sangue caldo fluire dalla ferita portando con sé il calore stesso del suo corpo. Severus deglutì. Percepì un velo bianco calargli sugli occhi, non sapeva se fossero lacrime o le dita fredde della Morte che gli sfioravano le iridi.

Sentì appena una voce gridare il suo nome, lontana, nitida, come perduta in una realtà non più sua. I suoi occhi colsero la figura di Lily, laggiù, oltre quella coltre di colori… i suoi capelli una macchia di rosso puro tra i fasci della battaglia.

“Severus!” Gridò di nuovo Silente, incredulo. Negli occhi azzurri gli schizzi vermigli che gli bruciavano il cuore.

“Severus!” Gli fece il verso Voldemort. “L’amore… una debolezza.” Sogghignò poi. Levò la bacchetta contro il preside, ancora immobile, scombussolato, gli occhi azzurri fissi sulla figura boccheggiante di Severus. Silente fece per correre verso il ragazzo, ma la fattura di Voldemort lo colpì violentemente, sbalzandolo indietro contro la colonna alle sue spalle.

Albus gemette sotto il colpo, accasciandosi poi al suolo, stordito dalla botta, un dolore lancinante che gli invadeva il fianco.

Voldemort sorrise compiaciuto alla vista del suo avversario a terra, quasi incosciente, che si stringeva forte il fianco dolorante. Avrebbe potuto finirlo… ma perché interrompere così presto il gioco? Si guardò intorno in cerca della sua piccola preda. Aveva ancora una faccenda da chiudere.

Eccolo lì, il marmocchio! A quanto pareva la Sanguesporco non aveva perso tempo… Sorrise, quindi, con passo tranquillo, si diresse verso la ragazza che stringeva a sé il bambino. Finalmente era riuscita a raggiungerlo.

Voldemort sorrise… era lì, la Sanguesporco… giusto a pochi passi da lui… non gli prestava alcuna intenzione, troppo intenta a stringere a sé il suo bambino, cercando di proteggerlo dagli incantesimi.

Lily strinse forte Harry, mentre scagliava un incantesimo di protezione per proteggerlo dagli attacchi dei Mangiamorte.

“Bene, bene.” Fece improvvisamente una voce alle sue spalle. Una voce che aveva sentito già troppe volte in quegli ultimi giorni… una voce che odiava con tutta sé stessa.

Si voltò. Voldemort era di fronte a lei, la bacchetta tesa. Sorrideva… quel suo sogghigno perverso che raggelava i cuori di chi gli stava intorno. Lily si gettò un’occhiata intorno, improvvisamente spaventata: dov’era Silente?

“Dammi il bambino…” Le disse mellifluamente Voldemort.

“Dovrai uccidermi, prima.” Gli vomitò contro Lily, stringendo forte il bimbo in un movimento involontario.

Voldemort ridacchiò, divertito. “O per ucciderti ti ucciderò. Ma dopo.” Disse scoprendo i denti bianchi, zanne colme di serpentino veleno.

“Non ci sarà un dopo per te.” Gli disse allora Lily, facendo appena un passo indietro.

“Guardati intorno, Lily.” Le disse allora Voldemort. “Silente è battuto, l’Ordine sta soccombendo, e il tuo ragazzo sta morendo dissanguato. Fossi in te ci penserei su.”

Lily sussultò, un’improvvisa morsa scesa sul suo cuore parve stritolarglielo. No… non era vero… Si guardò intorno allarmata. Non poteva essere vero… Altri membri dell’Ordine erano riusciti ad entrare nel salone, ma nel complesso, l’Ordine sembrava davvero in difficoltà. Sirius era stato messo spalle al muro da due Mangiamorte. Remus combatteva disperatamente riparandosi dietro una colonna. Aberforth si stringeva forte il fianco dove si apriva un’ampia ferita sanguinante. Gli occhi verdi di Lily colsero la figura di Silente, incosciente, la schiena appoggiata contro una colonna. I suoi occhi verdi videro Severus, a terra… una ferita sanguinante sul suo petto. Anche lui sembrava incosciente. Quell’immagine le ferì gli occhi come una lama nera. Sentì le lacrime lasciare i suoi occhi… bagnarle la guancia, portando via il sangue e lo sporco su di essa; scie bianche  e perfette di dolore.

“No…” mormorò, gli occhi scintillanti puntati sul corpo inerme di Severus. Vide la spada di Grifondoro: giaceva a poca distanza dal giovane ferito… era troppo lontana.

Voldemort sorrise malvagio di fronte allo sconforto della giovane.

Alzò la bacchetta. Gli occhi violentati dalle fiamme.

Lily si accorse del movimento del Signore Oscuro. Vide la bacchetta puntata contro di lei. Di nuovo. Ancora una volta. Si piegò in avanti, cerando di proteggere Harry col suo corpo mentre voltava le spalle a Voldemort.

“Avada Kedavra!” Gridò questi.

La folgore verde scaturì dalla sua bacchetta. Saettò veloce, perversa, il bisbiglio della Morte stessa ad accompagnare la sua corsa. Si frantumò con un grido di vittoria contro il corpo morbido. La vittima sussultò appena, poi giacque a terra, immobile. Gli occhi spalancati sul vuoto.

Severus si riscosse dal gelo che lo attanagliava. Il grido del Signore Oscuro aveva rimbombato come tuono nella sua testa. Aveva aperto gli occhi, scacciando da essi il bianco dell’oblio. Aveva visto gli occhi verdi di Lily lampeggiare nel verde maledetto della maledizione. No. Sentì le lacrime riempirgli gli occhi, altro sangue che usciva dal suo corpo, un sangue bianco, argenteo… il sangue che scaturiva direttamente dal suo cuore. E insieme al dolore, odio. Odio si spanse come un incendio dentro di lui. Non poteva perdere Lily. Non avrebbe lasciato vivere quel Serpente perverso. E poi, lì, davanti ai suoi occhi… un brillio d’argento… una spada…

Voldemort strabuzzò gli occhi stupido.

“Ma che cosa…?” Disse incredulo. Ai suoi piedi, gli occhi castani spalancati, vitrei tra le lenzuola della morte c’era… un elfo domestico? Uno stupido elfo domestico si era frapposto fra lui e la sua preda!

Lily era a terra. Piegata su sé stessa, Harry stretto a sé. Le lacrime di lei che si mischiavano a quelle del bimbo. La maledizione l’aveva colpita? No… o sì… Tentò di aprire gli occhi, confusa… Era viva. Anche Harry era vivo! Ma allora… cos’era successo?

Si voltò lentamente verso Voldemort. Vide, attraverso il velo caldo delle lacrime, un corpicino, inerme a terra, piccolo… Brix…

“Stupido elfo.” Ringhiò Voldemort, gettando un’occhiata irata verso il corpo senza vita del povero elfo.

Levò la bacchetta. “Nessuno ti salverà questa volta, lurida Sanguesporco!” Gridò. Lily spalancò gli occhi… non sapeva cosa fare… voleva solo proteggere Harry.

“Avada-” Cominciò Voldemort spalancando la bocca come le fauci di un serpente pronto ad ingoiare la sua preda. Ma la seconda parola della maledizione non arrivò mai: svanì, trucidata in un rantolo di dolore…

Voldemort sentì un dolore lancinante invadergli il petto, sentì la parola mortale morire lei stessa nella sua gola, distrutta da un improvvisa mancanza di fiato. Abbassò lo sguardo incredulo sul suo petto: una lama bianca, scintillante usciva dalle sue carni.

Gridò. Gridò forte. Gridò tutta la sua ira, mentre il sangue stillava dalla ferita. Cercò di voltarsi, una smorfia orribile sul volto. Voleva vedere. Voleva sapere chi avesse osato colpire il Signore Oscuro, e la sua rabbia, la sua indignazione si trasformò in odio puro quando colse due occhi neri alle sue spalle. Due occhi neri che conosceva molto bene. Due iridi colme d’odio verso di lui, specchi d’ossidiana dell’incendio nei suoi occhi. Due sguardi colmi d’odio reciproco.

Lily alzò di nuovo lo sguardo. Incredula. Ancora una volta Voldemort aveva fallito nel lanciare la maledizione. I suoi occhi si riempirono di stupore quando vide la punta della Spada di Grifondoro spuntare dal petto di Riddle come una stella splendente nella notte.

Voldemort rantolò, cercando di deglutire.

“Folle.” Gracchiò. “Io non posso morire.”

“Ma puoi sparire dalla circolazione per un po’.” Mormorò Severus al suo orecchio. La voce distorta dal dolore quanto quella del Signore Oscuro.

Il ragazzo estrasse la spada con un movimento deciso accompagnando dal rantolo di dolore di Voldemort. Riddle spalancò gli occhi rossi, la bocca aperta in un grido muto, le braccia spalancate come ali di un volo interrotto. La bacchetta gli scivolò di mano mentre un nero fumo gli avvolgeva il corpo, l’aria tremò intorno a lui, spaventata e ripugnata da quello spettacolo; resa frizzante dalla magia che sgorgava come torrenti in piena dal corpo di Voldemort, insieme con il sangue caldo e viscido. Erano fumi neri, corrotti, quelli che fuoriuscivano dalla ferita sul petto di Tom Riddle. Magia nera. Un potere delle tenebre che lasciava il corpo che l’aveva ospitato.

Il corpo di Voldemort tremò tra gli spasmi, poi, tutto di lui svanì, in un sospiro di fumo nero. E Lord Voldemort scomparve di fronte agli occhi atterriti degli uomini e delle donne in quel salone.

E poi ci fu il silenzio. Un silenzio attonito. Le grida, i rumori della battaglia fagocitati dallo sbuffo nero che aveva portato via con sé il Signore Oscuro, rapiti anch’essi dalla Sorella silenziosa.

Gli occhi di tutti erano fissi su Severus. Là in piedi, il capo appena chinato, la spada sporca di sangue stretta in mano. Ma Severus non se ne curava. Per lui esisteva soltanto la ragazza davanti a lui, a terra,  che lo fissava ancora a bocca aperta dalla confusione e dallo stupore. Incapace di credere che tutto quello a cui aveva appena assistito fosse realmente accaduto. Era stato tutto così veloce… riusciva a malapena a ricordare di aver respirato in quei brevi istanti. Boccheggiò, cercando di dire qualcosa, ma le parole le si gelarono in gola di fronte agli occhi neri del ragazzo di fronte a lei. Sorrideva. Sorrideva, nonostante la ferita sul petto. Sorrideva, nonostante il sangue che sgorgava da essa.

Lily gli sorrise di rimando, ma il suo sorriso si trasformò in terrore quando vide gli occhi di Severus offuscarsi. Le ginocchia del giovane cedettero e Severus cadde in ginocchio, per poi piegarsi su un fianco e giacere a terra, immobile ed esausto.

Quando il corpo di Severus toccò terra, il mondo parve improvvisamente risvegliarsi… riscuotersi da quel torpore allibito che lo aveva rapito. I Mangiamorte cominciarono a darsi alla fuga, gettati nella confusione dalla scomparsa del loro signore. Fuggirono verso il giardino, abbandonando i feriti sul pavimento mentre gli uomini dell’Ordine li inseguivano, scagliando incantesimi contro di loro. Sirius e Moody furono tra i primi a lanciarsi all’inseguimento gridando e sbeffeggiando i Mangiamorte.

Lily lasciò andare il piccolo Harry, poggiandolo dolcemente a terra. Guardò il corpo di Brix steso inerme di fronte a lei… quegli occhi castani che erano sempre stati così allegri, per sempre vuoti, spogli di quella sana allegria che lei aveva conosciuto. Lily sentì le lacrime scorrerle lungo il viso mentre superava quel corpicino senza vita per raggiungere Severus.

Si chinò di fianco al ragazzo. Severus giaceva su un fianco, gli occhi chiusi, il volto contratto da una smorfia di dolore.

“Sev…?” Balbettò Lily, sfiorando il viso del giovane. Lui non rispose.

“Sev!” Lo chiamò più forte. Non poteva perderlo… no… lui non poteva lasciarla. Le aveva chiesto di non lasciarla mai… ora non poteva essere lui a lasciarla.  

“Mi rimarrai vicino?”

 “Sempre.”

Quelle parole le spaccarono il cuore in due. Si chinò su di lui, poggiandogli le mani sulla spalla. Lo scosse, come se stesse cercando di svegliarlo. Svegliarlo da un sonno che, forse, non lo glielo avrebbe più restituito.

“Severus!” Disse ancora, la voce rotta dalle lacrime. “Sev, ti prego… non mi lasciare così!” Lo supplicò. Il petto le scoppiava… le sembrò improvvisamente di essere stata catapultata in un sogno… in un incubo, e di stare affondando sempre di più in esso. Voleva che Severus si svegliasse… voleva che aprisse gli occhi…

“Sev…” Sussurrò ancora, poggiando il capo sulla spalla del ragazzo. Dolcemente, scostò i capelli neri dal suo volto, per poterlo vedere… per poter seguire le linee di quel volto… gli sfiorò ancora la guancia, passò appena le dita sulle sue labbra…

“Sev!” Lo chiamò di nuovo, alzando il capo e scrollandolo di nuovo.

“Lily.” Disse una voce alle sue spalle. La ragazza non si voltò, non le importava di quella voce… non le importava di nulla.

Silente si chinò dolorosamente accanto a lei, lasciandosi sfuggire un gemito, la vista ancora appannata dall’ incoscienza, il braccio stretto forte al fianco dolorante. Poggiò una mano sulla spalla della ragazza con fare incoraggiante.

“Lily…” Cominciò, ma la giovane lo interruppe.

“Non mi dica che così dovevano andare le cose!” Gli urlò quasi contro mentre continuava a sfiorare i capelli di Severus.

Silente scosse il capo, raggiungendo la mano di Lily sul viso di Severus con la sua. “No, Lily…”

“Non può morire! Non deve morire!” Gridò Lily disperata. “Gli avevo detto che gli sarei rimasta vicino… non può andarsene!”

“Lily...” Disse dolcemente Silente. “Lily, guardami.”

Prese tranquillamente il viso della giovane nelle sue mani, portando gli occhi verdi di lei ad incontrare i suoi bracchi azzurri, bagnati delle stesse lacrime.

“Severus non è morto. Non morirà. Te lo prometto.” Le disse, dandole un buffetto sulla guancia, mentre sorrideva dolcemente.

L’esplosione nel petto di Lily si ripiegò su sé che stessa con un bagliore colorato, mentre le parole del preside le scaldavano un poco il cuore ghiacciato dalla paura. Non sapeva perché lo stesse facendo, ma si gettò tra le braccia di Albus, strappandogli un gemito di dolore, affondando il viso nel suo petto. Silente rimase stupito per un istante, poi le sue braccia avvolsero la ragazza, stringendola nel loro calore confortante. Da sopra la spalla della giovane, gli occhi azzurri colsero la piccola figura di Harry, stretta al sicuro tra le braccia di Remus Lupin. Il ragazzo osservava la scena preoccupato, ma aveva il sorriso sulle labbra.

“Gli auror stanno arrivando, Albus.” Informò il preside. “Madama Chips è con loro.”

Albus annuì, socchiudendo gli occhi. Alastor era stato svelto ad avvertire gli auror e lo staff di Hogwarts… non avrebbe mai ringraziato Merlino abbastanza per l’efficienza dei suoi collaboratori. Severus sarebbe stato curato… presto. Perché Severus doveva vivere. Per lui. Per Lily. Per Harry.

“Albus…” Mormorò appena una voce.

Silente si voltò subito verso Severus. Il ragazzo lo guardava con occhi vacui, cercando di delineare i contorni della figura davanti a sé.

“Va tutto bene, ragazzo mio.” Gli disse Silente, allontanando una mano dalla schiena di Lily per fare una carezza al giovane.

“E' finita.” Disse ancora Silente, ma Severus non lo ascoltava più: i suoi occhi neri erano stati rapiti da quello sguardo verde, umido di lacrime, che lo guardava al di là della folta barba del preside.

Lily gli sorrise, felice di rivedere quegli occhi neri. Tese appena una mano verso di lui, stringendo in essa quella del ragazzo, sporca di sangue. Severus strinse quelle dita calde nelle sue, cercando di afferrare un po’ di quel calore per scaldare il gelo della sua mano. Sorrise.

Era finita.
 

*******

Eh sì, è finita. Beh, non proprio: manca ancora l’epiloghino per fare il punto della situazione, ma tempo qualche giorno e arriverà.

Scusatemi se ci sono degli errori di battitura, ma ammetto di non aver riletto il capitolo. Non ce la facevo più. Chiedo venia.

Spero che il capitolo finale sia stato all’altezza delle aspettative. Io ho fatto del mio meglio… certo, è un capitolo enorme, quindi è stato parecchio difficile tenere i fili; della battaglia soprattutto.



La parte del duello tra Voldemort e Silente, dove Tom dice 'Non vuoi uccidermi, Albus?' e  'Già, come dimenticare! Tu sei al di sopra di queste cose... vero, Silente?' sono un piccolo tributo ai libri. In particolare le due battute sono tratte dall'Ordine della Fenice, durante la battaglia al Ministero. Anche se sono un po' diverse. Nel libro Voldy dice: "Non vuoi uccidermi, Silente? Sei superiore a tanta brutalità, vero?". Riferimenti allo stesso duello al Ministero sono la corda di fuoco di Silente e lo scudo luminoso di Tom.

Appuntamento tra qualche giorno con l’epilogo!

Ciao a tutti!
 

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Capitolo 39
*** Epilogo ***



Epilogo



Severus si appoggiò coi gomiti alla ringhiera del balcone di Villa Silente. Sospirò profondamente, chiudendo gli occhi. L’aria era calma intorno a lui. Nessun fruscio saliva dal giardino, a nessun sussurro s’azzardava a dar voce il vento. Il sole stesso sembrava pensieroso lassù, nel suo salotto celeste, cupo, silenzioso.

Il ragazzo deglutì. La ferita sul petto doleva. Doleva ancora, nonostante fossero passati cinque giorni dalla battaglia a Villa Riddle. Doleva ancora nonostante le cure scrupolose di Madama Chips. Ma Severus sapeva che, più che il profondo taglio che gli attraversava il petto, era il suo cuore a fare male Sembrava sospeso in un mondo senza tempo, così come il paesaggio intorno al ragazzo. Erano stati giorni vuoti, quelli che avevano seguito la vittoria a Villa Riddle. Almeno, lo erano stati per lui. Gli sembrava di vivere in un’altra realtà. In un sogno. In una polla argentea e cangiante che lo imprigionava. Un Giona nella pancia della balena.

Severus riaprì gli occhi, schiudendo la loro notte alla luce del giorno. Sembrava così lontano quel giorno. Tutto il tran tran di Auror che aveva invaso quasi subito Villa Silente, dove lui e altri feriti erano stati portati. Gufi che volavano a destra e a manca… Albus assediato da giornalisti e ufficiali del Ministero. Albus, che nonostante tre costole incrinate, s’era affannato a fare su e giù da Villa Silente, a Hogwarts, al Ministero. Quanto sembravano lontani quei giorni… e dire che tutto questo non era ancora finito.

Severus sospirò. Si voltò verso la porta che dava sul salone della villa. Grazie al cielo, tutta la bagarre che aveva invaso quelle stanze fino al giorno prima si era trasferita al Ministero, tutta stretta alle calcagna di Silente. Davvero miracoloso come il preside si portasse dietro Auror, giornalisti e funzionari ministeriali come cagnolini adoranti.

Severus raddrizzò la schiena, gettando un’ultima occhiata al giardino, quindi voltò le spalle diretto verso il salone. Entrò nella sala vuota. Strano come la vittoria vivesse di silenzio… E’ da egoisti credere che si possa ottenere qualcosa senza dare nulla in cambio. E’ sciocco pensare che la vittoria alata dispieghi le ali al vento se non è sorretta dall’anima di chi per lei se ne è andato.

Gli occhi del giovane si appannarono improvvisamente di lacrime. Dov’era ora la voce roca e allegra di Brix? Perché non vedeva l’elfo trotterellare verso di lui, deciso a rendersi utile, ad aiutare, a servire… Era il balzellare allegro di Brix, le sue grosse orecchie da pipistrello che ondeggiavano, a dar voce a quel silenzio? Oppure… oppure era il vociare dell’intero Mondo Magico a fagocitare sé stesso e ogni suono del mondo, in una perversa autodistruzione?

Che cosa si poteva chiedere di più? Voldemort era stato sconfitto, Bellatrix e gli altri suoi seguaci erano ad Azkaban in attesa del processo. Lucius e la sua famiglia se la sarebbero cavata… Silente aveva dato la sua parola che li avrebbe tenuti lontani dalla temuta prigione dei maghi. Lily stava bene, felice con suo figlio. L’intero Mondo Magico era in festa. E allora perché quel silenzio? Perché quella bolla di sapone che avvolgeva Severus, occludendolo in una visione, lontano dalla realtà.

I suoi passi condussero Severus nel soggiorno. Per un attimo gli sembrò di vedere la sagoma piccola di Brix, affondato nei cuscini della poltrona, come lo aveva trovato tante volte. Scosse il capo, tristemente. Sciocche impressioni di un passato ancora vivido. Troppo vicino.

Gli occhi scuri si posarono per caso sulla Gazzetta del Profeta, gettata sul tavolino da tè al centro della stanza.

Colui-che-non-deve-essere-nominato sconfitto.”

Gridava il titolo in prima pagina. Caratteri cubitali per una notizia tanto bella quanto terribile. Forse, quelle lettere enormi servivano a contenere tutta la sofferenza che Voldemort aveva sparso intorno a sé: uno strano modo di trasformare il male in una buona notizia.

Severus passò appena le dita sulla carta ruvida del giornale, osservandone le colonne fitte di parole che incorniciavano quel titolo enorme. Chissà cosa avrebbe detto Brix di quella notizia…

“Severus?” Fece una voce alle sue spalle.

Il ragazzo si voltò lentamente, con calma. I suoi occhi incontrarono la figura sorridente di Lily, i lunghi capelli rossi sciolti sulle spalle. I segni della battaglia erano ancora evidenti sulla pelle chiara: graffi e lividi che la marchiavano come parole di una storia ormai conclusa, ma ancora vivida nei ricordi.

“Va tutto bene?” Gli domandò Lily, notando lo sguardo triste che il ragazzo le rivolgeva.

Severus sbuffò, gettandosi un’occhiata intorno come a cercare le parole adatte, come se fossero nascoste in quella stanza, sulla mensola del camino, dietro la porta.

“Non so cosa pensare.” Disse infine il ragazzo riportando gli occhi su Lily. “Non so se essere felice o…”

“Lo so.” Gli disse allora Lily, avvicinandosi a lui. Delicatamente gli pose una mano sulla spalla, cercando i suoi occhi neri che lui aveva abbassato quasi a voler fuggire da lei.

Severus la guardò, incapace di tenere lo sguardo lontano da quegli occhi verdi.

“Non voglio essere un eroe.” Le disse sinceramente. “Non voglio che quella gente”, e gettò un’occhiata verso la Gazzetta del Profeta, riferendosi ai giornalisti, “mi dipingano per quello che non sono.”

Lily seguì gli occhi neri di Severus, cogliendo l’allusione agli articoli che si erano susseguiti in quei giorni sulla Gazzetta. Nonostante Silente abbia cercato in ogni modo di tenere Severus lontano dai riflettori, le indiscrezioni erano volate a destra e a manca. Non era piaciuto a nessuno un articolo in particolare, ma d’altronde, cosa ci si poteva aspettare da una giornalista come Rita Skeeter se non strati di verità e bugie montate ad arte in uno scandalo? E la vecchia Rita era ingrassata sulle voci che volevano un Mangiamorte come eroe del Mondo Magico.

 “Ma tu sei un eroe, Sev… E checché ne dica Rita Skeeter, non sei un Mangiamorte. Sei tu ad aver sconfitto Voldemort.” Gli disse Lily, poggiando una mano sulla sua guancia e accompagnando il suo sguardo verso di lei.

Lily gli sorrise. Sì, i giornalisti potevano blaterare quanto volevano, ma d’altronde, la notizia era troppo ghiotta per farsela scappare. Potevano dare contro a Severus, e molti, come la Skeeter, lo facevano, ma non potevano cambiare quello che Lily pensava di lui. Severus era davvero l’eroe. Era l’eroe non perché aveva sconfitto il cattivo di turno, ma perché Voldemort rappresentava il lato oscuro dello stesso Severus. Era il suo passato, le sue colpe, i suoi errori. Severus era il vincitore perché aveva avuto la meglio su sé stesso e su quello che era stato. Ora, aveva l’opportunità di ricominciare daccapo. Ed era un’opportunità che si era aperto lui stesso, con il suo dolore, con il suo rimorso, con il suo coraggio… per questo era l’eroe. Per questo era il vincitore.

Come lo era anche Brix. Anche Brix che aveva sacrificato la sua vita per proteggere lei ed Harry. Anche lui aveva vinto. Aveva vinto sulla Morte. Aveva infranto il potere oscuro di Voldemort con il suo sacrificio ed aveva strappato alla Morte stessa quella che avrebbe dovuto essere la sua preda, offrendosi lui al suo posto. Libero e consapevole. Libero.

“Ora te ne puoi andare, Lily.” Disse improvvisamente Severus, amaramente. Lily lo guardò confusa.

“Non sei più tenuta a rimanere con me.” Spiegò allora Severus. “Non ho più alcuna utilità per te. Hai ritrovato tuo figlio.”

Lily lo guardò incredula. Ancora? Possibile che non capisse? Possibile che ancora non si ritenesse degno di affetto, non si ritenesse degno di lei?

“Sev”, gli disse dolcemente, sfiorandogli la guancia. “Ricordi quando ti ho promesso che ti sarei rimasta vicino?”

Il ragazzo annuì. Sì, lo ricordava. Molto bene. Un istante in cui aveva creduto di esistere, un istante di illusione in cui aveva pensato che forse, forse Lily sarebbe potuta rimanere con lui.

“Credi davvero che stessi bluffando?” Gli domandò Lily, cercando di far salir un sorriso sulle sue labbra.

Gli occhi di Severus invasero i suoi. La notte silenziosa in quella verde foresta.

“Credevo fosse un sogno. E forse lo è ancora…” Mormorò Severus, perdendosi in quegli occhi verdi, chiedendosi ancora, per un ultimo istante, cosa avesse fatto per meritare di vederli ancora.

“E se anche fosse?” Fece Lily alzando le spalle, mentre sorrideva felice. “E’ un bel sogno, no?”

Il ragazzo le sorrise di rimando. Sì, era un bel sogno. Probabilmente avrebbe avuto fine a breve, ma fino ad allora, perché rifiutarsi di viverlo? Era solo un sogno, dopotutto.

“Sì.” Disse con voce calda. “E’ un bel sogno.”

Le labbra di Lily si avvicinarono alle sue, ancora incurvate dal sorriso. Si unirono a lui, regalandogli la loro dolce curva. E Severus la strinse a sé, strinse a sé la sua Principessa di Fuoco… lei e il Principe della Notte vivevano nei sogni e nei sogni si sarebbero incontrati, avrebbero potuto stare insieme. E non era forse un sogno quello?

Mentre gli occhi di entrambi si chiudevano su quell bacio, cercato a lungo, ma mai realmente raggiunto, la voce del vecchio Brix sussurrò alle orecchie di Severus, mormorando la ballata che li aveva legati.

“I will promise my sword to the Light!
I won’t give in to my past, I will fight!
I’ve regained my life, thanks to your sweetness.”

E Severus aveva riacquistato la vita. Lo aveva fatto grazie all’amore di Lily. Grazie a lei aveva sconfitto la maledizione Imperius. Grazie all’amore aveva trovato la forza per trafiggere Voldemort. L’amore aveva guidato le mani del ladro nell’afferrare la lama fatale.

Wake me, and with you I’ll fly,

Svegliami… svegliami chiedeva il principe della ballata. La ballata di Brix… la ballata che li aveva uniti  con le sue parole.

Wake me, and I’ll regain my sight.

Svegliami. Ma Severus non voleva svegliarsi. Severus voleva sognare.

 

FINE

 

*******

Non sapete l’orgoglio e la tristezza intrise in quell’ultima parola. FINE. Non mi sembra vero: è finita, è davvero finita.

Vi dirò, l’unico mio cruccio riguardo a questa storia è il fatto di non poterla pubblicare. Una cosa è certa: questa fan fiction mi ha permesso di migliorarmi nel mio stile ed è la cosa migliore che Severus e compagnia potevano regalarmi, oltre a darmi un pubblico vasto che non avrei mai sperato di avere.

Mi è parso di aver colto un terreno fertile nelle recensioni riguardo ad un eventuale seguito… vedremo, vedremo…

Sicuramente, nei prossimi mesi mi dedicherò a una storia originale, ma l’idea di un seguito (lo ammetto) mi stuzzica. Si vedrà.

L’epilogo è incentrato su Lily e Sev, ma, d’altronde, non mi piacciono le storie che hanno troppi finali (ovviamente questo non si applica al Signore degli Anelli!), quindi ho preferito incentrarmi su loro due. Per il resto, Albus è preso dagli affari del Ministero, Harry è lì a Villa Silente con Lily, e tutti gli altri sono tornati alla loro vita ‘pre-guerra’. E sono anche riuscita, nonostante tutto, a tirare di nuovo fuori la ballata e a spiegare l'ultima parte della profezia: "e sue (del ladro) saranno le mani che reggeranno la lama fatale."

Ringrazio infinitamente tutti voi che avete seguito questa storia, lettori ufficiali e ‘fantasma’. Poi, un ringraziamento speciale a tutti quelli che hanno recensito, e che hanno regalato alcuni minuti del loro prezioso tempo a questa povera scrittrice. Non vi nomino semplicemente per non far torto a qualcuno, ma sappiate che ognuno di voi ha il mio ringraziamento speciale.

Beh, non mi resta che dirvi arrivederci e sperare che magari qualcuno di voi continui a seguirmi anche se non nel fandom di Harry Potter.

Grazie.


 
 
 

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