Into the heart

di Harriet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Don't be afraid ***
Capitolo 2: *** II - Solo i desideri ***
Capitolo 3: *** III - Through my hands ***
Capitolo 4: *** IV - Try and smile ***
Capitolo 5: *** V - Il momento giusto ***
Capitolo 6: *** VI - Tutte le cose sussurravano ***
Capitolo 7: *** VII - Tracce ***



Capitolo 1
*** I - Don't be afraid ***


Queste sette storie sono state scritte per una Writing Community, ovvero una comunità di scrittura che propone dei temi che poi ogni autore partecipante deve sviluppare, scegliendo un personaggio o più su cui modellare quei temi. La community è True Colors, e vi invito a visitarla e magari partecipare!^^ Io ho scelto il set di temi chiamato “Melodies of life”, che propone di scrivere almeno sette storie, partendo da sette citazioni tratte da testi di canzoni, e ho deciso di dedicarmi alla scrittura sul mio personaggio preferito di questo splendido anime/manga... Tema: #1 “Don't be afraid, I promise that she will awake”

Don’t be afraid

Non aver paura!
Quante volte l’ha detto?
Non aver paura – di un albero troppo alto da scalare, di un ruscello troppo profondo in cui nuotare, di un gioco troppo temerario per tentare. Non aver paura, e poi una mano tesa, sicura, senza esitazioni. E la mano più piccola che si affida alla sua, lasciandosi trascinare in un’altra avventura senza speranza di riuscita. Ma quel “non aver paura” ha avuto la meglio su tutti i dubbi.
Lui è il fratello maggiore, ed è quasi un dovere, per lui, rassicurare il minore che tutto andrà bene.
Non aver paura...Se ci pensa bene, quella frase è come il suggello del suo essere il fratello maggiore. Non è mai stato calmo e riflessivo come il fratellino, e a volte non dà proprio l’impressione di essere il più grande. Ma di fronte alle cose difficili, alle cose che fanno esitare, fanno temere, fanno tremare, ecco, allora quella durezza e caparbietà che caratterizzano la sua personalità emergono, e con tre parole riesce a farsi guida.
Non aver paura – e diventa all’improvviso forte e determinato.

Non aver paura!
Al non ha mai risposto in modo seccato per essere considerato il piccolo della situazione. Non gli ha mai restituito parole aspre né ha rifiutato quella mano tesa. Al ha sempre un po’ di paura, spesso derivata da un sano atteggiamento di riflessione ponderata davanti alle cose. Se mamma ci ha detto di non scalare quell’albero, un motivo ci sarà. Se quell’albero è così alto, è probabile che ci faremo male. E’ logico aver paura.
Ma di fronte alla sua mano tesa, Al abbandona ogni esitazione, decidendo di fidarsi incondizionatamente. Del resto, come si può non fidarsi di quel sorriso, di quegli occhi luminosi, di quella mano che sembra racchiudere in sé tutto il potere del mondo? Al ha sempre saputo che suo fratello è un normale ragazzino. Ma allo stesso tempo ha sempre pensato che suo fratello è superiore a tutti. Suo fratello può tutto, se lo vuole. Suo fratello è Edward Elric, e non c’è nessuno che possa tenergli testa.
Non aver paura, Al!
E Al non ha mai paura.
E questo, Ed lo sa bene. Conosce il potere di quelle tre parole. E’ consapevole del fatto che ogni volta che Al ha riposto la piccola mano nella sua, gli ha affidato completamente la sua stessa vita. Che si sia trattato di scalare un albero o di tentare una trasmutazione particolarmente complicata.

Non aver paura – contiene una promessa. Che tutto andrà bene.
Ed sa anche questo. Lo sapeva quando ha convinto il suo fratellino a scalare quell’albero. Era sicuro che tutto sarebbe andato bene, e così aveva trasmesso quella fiducia anche in Al.
Lo sapeva quando hanno aperto per la prima volta, trepidanti e un po’ colpevoli, un libro di alchimia. Sapeva che dietro a quei simboli poteva nascondersi la chiave per qualcosa di splendido o di orribile, ma era sicuro che avrebbero trovato il modo per comprenderli ed usarli nel modo giusto. Al aveva acconsentito a tutto, fidandosi di Ed, mentre le loro piccole mani disegnavano per la prima volta cerchi sconosciuti, dall’aria così grave e misteriosa.
Non aver paura, Al!
E fra le loro mani era fluita l’energia, per la prima volta, cambiando le strutture della materia e segnando l’inizio della loro storia.

Non aver paura.
Quante volte l’ha detto?
Così tante, in quegli anni difficili e meravigliosi allo stesso tempo, in cui i due sono cresciuti, sotto lo sguardo della madre, scoprendo se stessi, il mondo, e l’universo splendido e terribile dell’alchimia.
L’ha detto anche quella notte.
L’ha detto di fronte allo sguardo spaventato di Al, alle sue deboli parole di protesta, al suo buonsenso e alla sua prudenza. Gli ha detto di non aver paura. Gli ha detto che sarebbe andato tutto bene. Gli ha promesso che sarebbe andato tutto bene. Che lei si sarebbe svegliata. Che non c’era proprio nulla di cui aver paura.
Non aver paura, Al! Lei si sveglierà. Lei ritornerà, te lo prometto! Andrà tutto bene!
La promessa più grande e importante della sua piccola vita.
E di nuovo Al si è fidato.
Non ha avuto paura, e ha messo le mani sul cerchio disegnato da Ed.
Ma quella promessa si è dissolta nell’istante in cui ogni cosa è andata in frantumi e la loro storia è cambiata per sempre.

Non aver paura.
Ora Ed è disteso nel letto che Winry e Pinako gli hanno preparato, e tiene gli occhi socchiusi, spiando l’oscurità della stanza e cercando di cogliere le voci nella stanza accanto. Ogni tanto sente un rumore che non riesce ad identificare subito. Poi capisce cos’è, e rabbrividisce, colto da un terrore e una disperazione che non credeva potessero esistere. Perché quel rumore dovrà diventargli familiare, lo sa, ma non riesce a capacitarsene. Quel rumore – il suono di qualcosa di metallico che si muove. Il suono del nuovo corpo di Al.
Al. Che si era fidato di lui. Che aveva messo, per la millesima volta, la sua vita nelle mani di Ed. Ma le mani di Ed, che hanno tracciato quel maledetto cerchio, hanno distrutto ogni cosa, ed è Al quello che ha pagato di più.
Ed chiude gli occhi per non cominciare a piangere di nuovo.
Non gli importa niente di aver tentato una cosa proibita. Non gli interessa se gli verrà rimproverato di essere andato contro il più grande tabù dell’alchimia. L’unica cosa a cui riesce a pensare è l’enormità del crimine che ha commesso. Il crimine di una promessa infranta.
La promessa che tutto sarebbe andato bene.

Non aver paura.
Erano lo specchio dell’animo di Ed, quelle parole. Un animo che, per primo, non ha paura. Un animo determinato e forte, caparbio e sicuro, con la capacità di guardare avanti e individuare la giusta direzione. Un cuore desideroso di proteggere chi è più debole e capace di guidare chi non ha le forze. Sua madre era sicura che Ed sarebbe diventato una persona che vuole – e sa – scegliere la propria strada.

Ma Ed sa che non sarà più in grado di pronunciarle, quelle parole.

E di notte è assalito da continui incubi. Che poi sono soltanto crudeli variazioni dello stesso incubo: quella fiducia gentile, che un tempo gli dava la forza di andare avanti, si trasforma in odio.
Lui ha terrore che adesso Al lo odi.
Anzi, no, non ha terrore: ne è sicuro. Come potrebbe non essere così?
Al si fidava di lui! E lui gli aveva detto di non aver paura, gli aveva promesso che sarebbe andato tutto bene!

Ed sa che non sarà più in grado di pronunciarle, quelle parole.

Ma Ed non sa ancora che ci sono cose tanto profonde, tanto vere, che nemmeno la più orribile delle sorti o il più oscuro dei terrori possono cancellare.

Il rumore che infesta la sua mente adesso si fa vicino. Ed rabbrividisce e si raggomitola sotto le coperte, per quanto il suo corpo glielo permetta. Poi, lentamente, si rende conto di cosa significhi quel rumore. Non è un incubo, è solo Al.
Socchiude gli occhi e scorge la grande sagoma sulla porta della sua stanza.
La voce si blocca, il respiro si fa più veloce. Non ha il coraggio di aprire gli occhi.
- Nii-san?-
In contrasto con il suo corpo, la voce di Al è sempre la stessa, una vocina di bambino un po’ spaventato.
- Al?-
Al si avvicina, e Ed pensa che forse, se si sforza, può cercare di sopportare il rumore terribile dei passi del fratellino.
- Nii-san, sei ancora sveglio?-
Apre gli occhi, finalmente, e nella semioscurità della stanza incontra quell’essere che ora è Al.
- Sì.-
- Come stai?- La voce di Al vibra di angoscia. Come tutte le volte in cui Ed finiva per mettersi nei guai a causa della sua iniziativa. Ed rivede nella mente tutte quelle volte, e il desiderio di poter tornare ad allora è così forte...
- Sto bene, Al.-
- Davvero?- Perché Al si preoccupa così tanto per qualcuno che dovrebbe odiare? – Ti trovi bene con i nuovi automail?-
- Sì, tutto bene, Al.-
- E’ solo che ho paura che tu stia male, e...-
- Va tutto bene. Non aver paura, Al.-

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Capitolo 2
*** II - Solo i desideri ***


Tema: #2 I hope your wish came true; mine betrayed me


Solo i desideri

L’aria fresca e la luce di mezzogiorno gli furono gradite, dopo aver trascorso tutta la mattinata nella grande sala dell’esame, chino sul suo compito ed impegnato a risolvere i quesiti. Scese in fretta le scale, come per liberarsi di tutta l’agitazione e la tensione che aveva accumulato nei giorni precedenti. Ormai era andata, aveva consegnato il suo compito, e non c’era più possibilità di rimediare. Tutto il loro futuro dipendeva da quel foglio, e lui non aveva più potere su di esso.
Finalmente fu raggiunto da Al,ugualmente ansioso per il loro risultato. Con molta onesta consapevolezza e una punta di gelosia, Ed si sentì sicuro che il fratello aveva fatto un compito migliore del suo. Al era sempre stato più dotato di lui, nelle cose teoriche. Perché Al si prendeva sempre due minuti per pensare sulle cose, a differenza di qualcun altro...
Salutò il fratello, che lo avrebbe preceduto alla casa di Tucker, dove erano ospiti. Lui voleva fare un salto in biblioteca, come se non gli fosse bastato tutto il tempo che ci avevano trascorso nei giorni passati. Ma aveva un dubbio su quel maledetto compito, e voleva andare a controllare quanto grave fosse la sciocchezza che era sicuro di aver scritto.

Sulle scale della biblioteca si fermò per un attimo, guardandosi attorno con attenzione. Si sentì così spaesato da provare un senso di vertigine.
Era solo un bambino in un mondo di adulti. Nient’altro. Non sarebbe mai arrivato da nessuna parte.
Anche se una voce odiosa, da qualche parte, continuava a ripetergli che aveva smesso di essere un bambino da tempo. Da quando aveva tracciato le linee di quel cerchio...
Cacciò via i pensieri e fece un altro passo, prima di venir travolto da una furia su due gambe, che sembrava avere una fretta tremenda. Dopo che furono rotolati tutti e due a terra, l’essere umano causa di tanta rovina scattò in piedi, profondendosi in mille scuse, mentre aiutava Ed a rialzarsi.
Era una giovane donna dai capelli rossi, piccola e magra, che Ed aveva visto quella mattina stessa, all’esame. Era un’alchimista come lui, e come lui aveva deciso di tentare la via dell’alchimista di stato.
- Ti chiedo perdono, andavo di fretta, e...Oh! Ma tu...tu sei il ragazzino di dodici anni che sta cercando di diventare alchimista di stato!- proruppe lei all’improvviso, riconoscendo chi le stava davanti.
- Ehm...già.- borbottò Ed, imbarazzato.
- Oh, ma è straordinario! A dodici anni hai già le competenze necessarie per affrontare l’esame! Sei sicuramente un prodigio!-
- Ma no, ma no...- si sminuì lui, che non sapeva dove guardare. Non gli piacevano quei complimenti. E sapeva che lei non sarebbe stata così entusiasta, se le avesse spiegato bene da dove gli venivano certe competenze.
- Sai, io non sono granché come alchimista, credo.- confessò lei, con un sorriso un po’ triste. – Ma è tradizione di famiglia, che almeno uno tenti l’esame, e fin da quando ero piccola ho sempre sperato di essere io, quella che ci sarebbe riuscita! E’ sempre stato il mio desiderio!-
Le brillavano gli occhi, sembrava molto più bambina di Ed. Lui cercò di sorriderle, ma quel che venne fuori fu un’espressione vagamente depressa.
- Il tuo desiderio?- mormorò, spostando lo sguardo verso qualche luogo indefinito e lontano.
- Sì. E solo il fatto di essere qui mi fa sentire bene. Come se lo avessi già realizzato per metà. Ma credo tu mi possa capire. Se sei qui, significa che questo era anche il tuo desiderio!-
Ed alzò le spalle e incontrò lo sguardo di lei. Gli occhi dorati si fecero gelidi e distanti.
- L’ultima volta che ho seguito un desiderio mi sono ritrovato nei guai.- rispose. – Ho rischiato la vita ed ho causato dolore ad una persona che amo. Non credo ci si possa fidare molto dei desideri.-
- Mi...mi dispiace, io non...- balbettò lei, senza capire dove volesse arrivare il ragazzino con quelle parole così dure. – Non volevo ricordarti cose che...-
- Io non sono qui per mia volontà. Devo solo rimediare a quel che ho fatto...per colpa di un desiderio.-
Lei non ebbe il coraggio di ribattere, si limitò a fargli cenno che aveva capito. Poi chinò la testa per salutarlo e corse via, sconfitta dalla freddezza improvvisa e dallo sguardo disperato del ragazzo.
Ed la guardò sparire nella biblioteca, sentendosi una persona spregevole.
Rinunciò ad entrare. Il dubbio sarebbe rimasto. Tanto in pochi giorni avrebbero avuto i risultati dell’esame, no?

Riprese a camminare, a passi lenti, gravato da pensieri troppo più grandi di lui, che avrebbero fatto paura ad un adulto. Non si accorse quasi quando fu davanti alla casa che li accoglieva. Probabilmente sarebbe passato oltre, se non avesse sentito la voce gioiosa di Nina, quella sempre dolce di Al e l’abbaiare festoso del cane, provenienti dal giardino.
Li guardò, fermò l’attenzione su Al. Sul corpo metallico, e poi sulla voce da bambino. Socchiuse gli occhi, e immaginò di vedere un corpo umano, che fosse consono a quella voce.
Io non sono qui per mia volontà. Devo solo rimediare a quel che ho fatto...per colpa di un desiderio.
In realtà le cose non stavano proprio così. C’era ancora un desiderio a farlo andare avanti. Con il rischio di sbagliare anche questa volta. Di fallire anche questa volta.
Sembra che senza desideri non si possa vivere.
Strinse i pugni, attraversato da un moto di rabbia e frustrazione. Gli sembrò di non essere padrone di sé, ma solo una creatura sperduta, in balia di quegli obiettivi troppo grandi che si ostinava a seguire.
Sono solo i desideri, che guidano le nostre azioni.
Ma quando sentì la voce di Al che lo chiamava, seppe che di quel nuovo desiderio non si sarebbe mai pentito.

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Capitolo 3
*** III - Through my hands ***


Tema: #19 This moment is eternity

Through my hands

La mente si stacca dalla realtà qualche secondo prima di iniziare. Si incanala in un unico pensiero, e concentra tutte le sue energie su quell’immagine, quell’intento, quel desiderio. I pensieri che si assiepano nella mente si dissolvono in un istante, con dolcezza, come fragili fili di nebbia sotto al sole. E l’anima, sempre imprigionata dai dubbi e preda di un’ansia che non mi lascia mai, all’improvviso ha uno spazio di libertà, dove si sente veramente sicura di sé, sciolta dai legami della paura e proiettata verso un infinito che solo in momenti come questo riesce ad assaporare.

Ed è sempre così.

Anche quando il pericolo è vicino, anche quando non ho tempo per pensare a come fare le cose per bene e devo solo agire. Anche quando è la paura a spingermi e il bisogno a muovere i miei gesti. Sempre la mia mente si concede quegli istanti di concentrazione meravigliosa, e io mi sento completamente a mio agio, in procinto di compiere un gesto – quel gesto – che spiega perfettamente me stesso e la mia anima, meglio di mille parole.

Allora unisco le mani e l’energia inizia a fluire.
E tutto trova il suo motivo, la sua realizzazione perfetta.
E’ una semplice trasmutazione, ma è anche l’espressione più profonda di me. E’ il mio linguaggio.

Anche quando io e Al eravamo piccoli, quando iniziammo a leggere di nascosto i libri di alchimia di nostro padre, sentendoci sempre un po’ colpevoli per questo, io mi rendevo conto che l’alchimia era qualcosa di tremendamente speciale.
Mi ricordo l’espressione di Al, la prima volta che una delle nostre goffe trasmutazioni riuscì. Era lo stupore genuino e limpido di un bambino che ha appena scoperto qualcosa di incredibile e si lascia travolgere dalla meraviglia.
Io mi sentivo come lui, eppure c’era anche qualcos’altro.
Non so come spiegarlo. Era la sensazione delle mie mani sul cerchio, forse. L’idea di aver posato le mani a terra, di aver preso le particelle della materia per trasformarle come volevo io. La sensazione di poter cambiare le cose. Modellare, alterare, mettere le cose in un ordine diverso. Ricostruire tutto. Cambiare il mondo.
Desideri smodati e senza equilibrio. Ma così puri, e così forti. Mi riempivano.

Io credo che l’origine di tutto sia lì.

Potrei trovare migliaia di motivi (scuse) differenti per spiegare perché sono un alchimista. Ma credo che, in fondo, la verità sia solo una, e così chiara da non poter essere nascosto.
L’alchimia non è solo una scienza che io so mettere in pratica. L’alchimia è una scienza che io amo mettere in pratica. Perché mi piace cambiare le cose. Perché mi dà l’illusione di controllare il mio piccolo spicchio di mondo, ma allo stesso tempo mi proietta in una dimensione molto più grande, tra forze superiori a me e affascinanti, meravigliose.
Perché io vorrei sempre avere il controllo sulle cose, e con l’alchimia ho l’illusione di riuscirci. E allo stesso tempo, per quanto a volte io sia tanto razionale ed attaccato a ciò che posso vedere e provare, sento un’attrazione fortissima per quel che non si vede e non si tocca, qualcosa che non posso conoscere e a cui non so dare un nome.
Infinito, universo, inconscio, Dio, magia, natura, eternità...
Non lo so. So solo che mi chiama.

E che quando mettevo le mani sui nostri cerchi, disegnati con i piccoli gessi, con tratti tremolanti e imprecisi, ecco, in quei momenti io potevo rispondere alla chiamata.

E ora, ogni volta che unisco le mani - sono un grande alchimista, sì, perché grazie alla mia follia e ai miei tentativi di infrangere tutti i limiti ora posso anche compiere trasmutazioni senza cerchio – in quel momento io continuo a seguire quel desiderio di grandezza smisurata e ignota che mi affascina da sempre.

Ridisegnare la forma del mondo e poi perdersi nell’infinito senza nome.
La gente la chiama “alchimia”.
Per me è come...Come avere tutto, poter fare tutto ed essere in pace.
Come un istante che io vorrei prolungare all’infinito, ma che è così intenso da darmi la sensazione dello stesso infinito.
E’ come un istante che contiene l’eternità.

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Capitolo 4
*** IV - Try and smile ***


Tema: #29 - You push happiness so far away but it comes back

Try and smile

- Credevo che quel viaggio in treno non finisse più.-
Il ragazzo si gettò a peso morto sul letto, assaporando la sensazione a metà tra il piacevole e il doloroso del suo corpo che si rilassava completamente, abbandonando tutta la tensione accumulata nei giorni passati.
Nel letto accanto al suo stava disteso il fratello minore, col suo corpo senza stanchezza, senza percezioni, senza sonno.
- Che poi, anche questa volta, abbiamo solo finito per ridurci ai servetti di Mustang e nient’altro. Che rabbia. Ci ha spediti in tutti i luoghi più incasinati che aveva, e in pratica ci ha obbligati a rimettere a posto quel che lui e i suoi amici dell’esercito non erano riusciti a sistemare!-
- Beh, però...-
- Almeno ci concedesse l’uso di un mezzo dell’esercito. Sarebbe il minimo, no? Niente più treni. Una meraviglia.-
- A me può anche andar bene il treno.-
- Comunque, il problema è che nemmeno questa volta abbiamo in mano qualcosa di concreto sulla pietra filosofale.-
- Questo è vero, ma...-
- Cosa gli passa per la mente, a Mustang? Sa benissimo che siamo qui per questo. Che io sto sacrificando la mia vita all’esercito per questo! Non pretendo che mi aiuti, ma che almeno mi lasci un po’ di tempo per cercare...-
- Noi però lo sapevamo che sarebbe stato difficile, no? Non possiamo pretendere di trovare subito quel che cerchiamo.-
- Ma non possiamo stare con le mani in mano! Oh, accidenti! Non dovremmo nemmeno dormire, a dire la verità! Abbiamo perso fin troppo tempo. Anche in quel maledetto villaggio, erano così felici perché gli abbiamo risolto i guai, e ci hanno trattenuti là con i loro stupidi festeggiamenti. Ma non possiamo permetterci queste cose. Abbiamo qualcosa da fare, lo sai, e...-
- Nii-san?-
Finalmente il ragazzo tacque, stupito da quell’interruzione. Repentina, insolita. La voce quieta di Al era salita di qualche tono e si era imposta. Così, all’improvviso.
- Che c’è, Al?-
- Senti, per favore, potresti...Ecco...Potresti solo farmi un sorriso e stare tranquillo per un po’?-
Ed si sollevò sul letto, guardando il fratello come se fosse uscito di senno e stesse dimostrando apertamente la sua pazzia.
- No, è solo che...- balbettò Al, la voce tremante e colma di imbarazzo. – Sei sempre così concentrato su quello che dovremmo fare. Delle volte penso che, quando tu sei tranquillo o ti concedi un po’ di riposo, ti senti in colpa perché non stai pensando al nostro scopo. Ma tu devi essere felice, qualche volta. Sennò non riusciremo mai a combinare nulla. Non ti devi sentire in colpa, quando sei felice anche se non abbiamo scoperto niente sulla pietra.-
Ed aprì la bocca per esprimere chiaramente il suo pensiero: Al era impazzito, completamente.
Sì, non c’era altra spiegazione.
- In quel villaggio mi sembravi tanto sereno, e io ero contento, anche se non avevamo trovato niente.-
Nella mente di Ed emerse l’immagine dell’ultimo villaggio dov’erano stati. I volti della gente. I festeggiamenti. Al che rideva. La sensazione di aver fatto qualcosa di giusto, e di averlo fatto bene.
E poi, il solito senso di colpa, amico di vecchia data. Cosa stavano facendo lì? Loro dovevano muoversi, dovevano cercare, lui doveva darsi da fare, non c’era tempo per i festeggiamenti.
Non c’era tempo per essere felice.
- Non sei d’accordo? Nii-san?-
Ma non puoi impedire alla felicità di scivolare dentro di te, vero? Nemmeno se erigi una barriera imponente o indossi una corazza. La felicità è una malattia pericolosa e subdola. Trova sempre la fessura da cui entrare per strisciare dentro il tuo animo, e non puoi farci niente. La allontani e lei ti coglie di sorpresa, di nuovo. Nei volti di gente che hai incontrato e non rivedrai mai più, nella risata di qualcuno che ti è vicino, nella sensazione di completezza e realizzazione.
Lentamente, ancora un po’ riluttante e incredulo, Ed concesse a quella strana sensazione di farsi spazio nel suo cuore, e un sorriso, pian piano, germogliò sul suo volto così spesso cupo e teso.
Molto probabilmente, se Al avesse avuto il suo corpo avrebbe sorriso di rimando. E il sorriso timido di Ed si sarebbe allargato.
La felicità è uno specchio, no?

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Capitolo 5
*** V - Il momento giusto ***


Ambientata durante il periodo del vol. 3 e dell’episodio 17, quando Ed e Al devono tornare a casa, da Winry, perché gli automail di Ed si sono rotti. Ispirata al fatto che spesso Winry si lamenta perché Ed non le dice mai veramente tutta la verità sui loro viaggi.
Un grazie speciale a Cappellaiomatto e Onda, che hanno commentato i primi capitoli di questa raccolta, e a tutte le persone che li hanno letti ed apprezzati altrove! ^___^

Tema: Someday, somehow I'm gonna make it alright, but not right now

Il momento giusto

Un ottimo risultato, senza dubbio. In due giorni che era lì, era già riuscito a dare il peggio di sé.
Aveva litigato con Winry, discusso con Al e argomentato con Pinako. Ma bene. Ci mancava solo il cane, adesso, poi avrebbe fatto l’en plein.
La cosa peggiore, però, era che quei litigi non erano episodi casuali, dovuti a particolari eventi. Erano solo il frutto di una tensione latente tra lui e quelle persone, qualcosa che era lì da troppo tempo, e che ci sarebbe rimasto, se non si fosse deciso ad affrontare la questione una volta per tutte.
Winry gli aveva detto che era stufa di non avere sue notizie, se non una lettera di cortesia una volta ogni tanto, che però non rivelava nemmeno la metà di quello che i due fratelli stavano vivendo davvero. Al gli aveva rinfacciato di nascondergli le sue preoccupazioni più profonde e di non renderlo partecipe dei suoi problemi. E infine pure la vecchia Pinako si era messa a questionare sul fatto che era troppo pensieroso, e che anche se avevano appena vissuto un’esperienza tremenda, ciò non significava chiudersi in se stessi.
E che cavolo!
Erano sopravvissuti alla follia di un assassino di alchimisti completamente spostato, e questa volta c’era mancato veramente poco...Non era suo diritto essere pensieroso? Non poteva starsene per conto suo e rimettere insieme i pezzi di quel che era accaduto? Non era così debole da aver bisogno dell’aiuto e dell’assistenza di mezzo mondo per recuperare la tranquillità!

No.

Era molto più debole di così, o avrebbe trovato il coraggio di parlare di ciò che lo opprimeva, delle paure e degli incubi che avevano preso a fargli visita da quando erano tornati al loro villaggio natale.
Sì, in realtà sapeva che il problema c’era, ed era lui.
Avrebbe veramente dovuto fare qualcosa. Trovare il coraggio di confidarsi, magari. Chiedere scusa a Winry e prometterle di tenerla informata di tutto...e naturalmente impegnarsi a raccontarle la verità. Tentare di fare un sorriso a Pinako e soprattutto smettere di nascondere i suoi pensieri ad Al.
Sospirò, cambiando posizione sulla sedia. Era fermo lì da almeno mezz’ora, nella cucina di Pinako e Winry, stracolma degli strani marchingegni del loro lavoro. Quella stanza non era molto grande, ma ogni volta che c’era tutta quella roba ammassata sembrava un immenso e spaventoso laboratorio da cui non sapevi cosa aspettarti.
Le due donne erano lì, poco distanti da lui, intente a parlare. Al era nella stanza accanto, molto probabilmente.

Dovrei affrontare il discorso. Sarebbe il momento buono. Sono tutti tranquilli e rilassati. Magari riusciamo a parlarne senza arrabbiarci di nuovo.

Ma all’improvviso c’era qualcosa di diverso, attorno a lui. L’aria, la luce forte del tardo pomeriggio che entrava dalle finestre, le voci vivaci delle due donne.
Un istante di vita perfettamente usuale, eppure stranamente speciale.
Qualcosa che anche un ragazzino sciocco come lui comprendeva. Ci sono linguaggi universali, e quello dei misteri, delle sensazioni e dell’istinto lo è.

Dovrei proprio affrontare il discorso, ora. Non posso più rimandare.

Ma anche se sentiva che avrebbe dovuto aprire bocca e fare quello che si era prefisso, in quel momento non ne aveva la forze. Non sapeva perché.
Tutto era immobile, il tempo, i suoi desideri e lo stimolo ad alzarsi e parlare, rivelare la verità e rimettere a posto le cose.

Le due voci femminili si rincorrono. Sono due voci ben note, le conosce veramente da una vita, e per questo non presta loro molta attenzione. Almeno finché il discorso non comincia a farsi inquietante.
- Mmm, questa sì che è un’idea, zia! Potremmo usare questa modifica...-
- Così avrebbe una maggior capacità di movimento, no?-
- Infatti! Certo, è una cosa molto innovativa, ad essere sinceri.-
- Non così tanto. Abbiamo già fatto qualcosa di molto simile, Winry.-
- Sì, però stiamo progettando di...-
- Ehi, voi due!-
La voce di Ed, venata da comprensibile preoccupazione, interrompe la chiacchierata tecnica delle due donne.
- Qualcosa non va, caro?-
- E’ dei miei automail che state parlando!- protesta lui. – Non mi va che facciate cose innovative o simili stramberie! Io ci devo vivere, con questi cosi!-
- Ma Ed, ti puoi fidare, lo sai che noi siamo meccanici di automail tra i più validi!- risponde Pinako, un po’ mortificata. Da parte di Winry, invece, l’unica risposta è una chiave inglese che vola in aria all’improvviso e transita a pochi centimetri dalla testa di Ed.
- Tu! Maledetto malfidato! Ti meriteresti di rimanere in quel modo per un mese!-
- Ma ti rendi conto che potevi colpirmi?-
- Era proprio quello che speravo di fare!-
Pinako richiama i due ragazzi, con un sorriso divertito e colmo di affetto. E di ricordi, probabilmente. Quante volte l’avrà fatto, in passato? Forse, adesso, si sta illudendo di essere tornati per un po’ in quei giorni, sempre difficili ma più sereni.
- Ed, ti chiediamo di fidarti di noi. Ti abbiamo mai deluso?- domanda la donna, e il ragazzo può solo abbassare gli occhi e fare cenno di no con la testa.
No, loro non l’hanno mai deluso.
Semmai è stato lui a deludere loro.
- Ti prometto che faremo un lavoro magistrale!- si infervora Pinako.
- Non te lo meriti, ma faremo del nostro meglio.- aggiunge Winry.
Ed lo sa, e si rimette zitto, cercando di non ascoltarle mentre parlano. Non è una bella cosa stare a sentire due pazze che riflettono su come sia più divertente giocare con bulloni e viti...che devono tenere su il tuo braccio e la tua gamba!
E poi accade qualcosa, e lui non sa spiegarsela, eppure sente che sta succedendo, avverte la magia silenziosa di quell’evento.
Le voci di Pinako e Winry diventano qualcosa di simile ad un vortice sottile, un incantesimo che lo avvolge dolcemente, una cantilena dai poteri di guarigione. Sentirsi abbandonato nelle mani di quella bizzarra magia è strano, eppure è rassicurante. Il tramonto, quella stanza e le due donne che parlano. Il quadro è completo. Ha la sensazione che tutto andrà bene, perché le cose vanno esattamente come dovrebbero andare, perché adesso gli basta questo, per sentirsi a casa.
Anche se dovrebbe rimettere a posto qualcosa.
Lo sa, non l’ha dimenticato. C’è qualcosa di molto simile ad una battaglia di nervi e volontà, in corso, e lui deve mettervi fine. Chiedere scusa, spiegarsi.. Se rimandasse troppo rischierebbe...tutto. Di perdere tutto, tutto l’affetto e la confidenza che non è mai venuta meno tra lui e le persone che gli vogliono bene.
Però...
Però non adesso, ecco.
Più tardi, in un altro momento, forse affronterà il discorso, sicuramente arriveranno ad un compromesso accettabile.
Lei ha detto che si aspetta una spiegazione e lui ha intenzione di chiarire. A Pinako basterà poco, è più indulgente della nipote. E Al...In fondo, sa che Al ha già capito, e che probabilmente sarà meno dura di quel che crede, sì.
Eppure, questo momento gli dà l’illusione che tutto ciò che c’era di sbagliato – tra di loro e in tutto il mondo – si sia già risolto da sé. Un’illusione, lo sa. Ma ora...
Ora gli basta questo.
Per rimettere a posto il cuore.
Gli basta la sensazione di essere cullato dalla luce, dalla casa, dalle voci di quelle due folli. E’
al sicuro, e non chiede altro.
Forse è da vigliacchi. Forse starebbe meglio, se mettesse tutto al giusto posto, subito. Nessuno vuol portarsi un peso sul cuore in eterno.
Però...Però tutti hanno bisogno, ogni tanto, di riposare.

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Capitolo 6
*** VI - Tutte le cose sussurravano ***


Note: ambientata nel periodo dell’anime raccontato nelle puntate 27-32, quando Ed e Al sono ospiti di Izumi. Si svolge dopo che il gruppo ha incontrato Wrath e i due ragazzi hanno scoperto il segreto del passato della loro maestra. Non ricordo di preciso se e quando Izumi viene a sapere che i ragazzi sanno. Forse questa storia, dunque, modifica un pochino la linea temporale della vicenda dell’anime. In ogni modo, è da considerarsi un incontro tra Ed e la sua maestra, dove i due sanno che entrambi hanno tentato un esperimento proibito e hanno fallito.

Tema: #27 Blinded by faith, I couldn’t hear all the whispers, the warnings so clear

Tutte le cose sussurravano

Potevo avvertire i segni nell’aria. I segni di qualcosa di strano nell’aria. Il colore del cielo un po’ troppo scuro, il vento che emetteva suoni striduli e poi la pioggia. Erano due giorni che il tempo si alternava tra la pioggia e dei momenti di quiete strana, fredda, con un cielo basso e minaccioso. Potevo vederlo riflesso nei colori dell’atmosfera.
Avrei potuto cogliere quel suggerimento. Dare ascolto a quel richiamo.
Era scritto nelle cose, vibrava in ogni particella d’acqua sospesa in aria e pronta ad abbattersi sulla terra. Era ripetuto nel respiro spezzato di Al e nei dubbi enormi che leggevo nei suoi occhi spaventati.
Era un avvertimento, che più chiaro non esiste.
Avrei dovuto coglierlo. Avrei dovuto accorgermene.
Ma...
Non sono mai stato molto bravo a seguire i consigli, eh?


Nella luce quieta e malinconica del crepuscolo, la donna uscì di casa e raggiunse il ragazzo, accoccolato in giardino, con lo sguardo perso chissà dove e i pensieri a rincorrere lo sguardo. Si avvicinò pian piano e gli si sedette vicino.
Si guardarono senza dire niente. Si erano già detti tutto, prima, e sopratutto avevano veramente poco da dirsi. Sapevano entrambi già tutto quel che c’era da sapere, e risparmiare le parole era solo un bene.
Lei accennò un sorriso. Qualcosa di simile ad un sorriso, ma Ed decifrò la smorfia ugualmente. Era la sua sensei, aveva vissuto a lungo insieme a lei, le doveva gran parte di quello che sapeva. Aveva imparato bene – spesso a sue spese – a capire cosa le passava per la testa.
- Non ho intenzione di dirti altro su...quella faccenda. Anzi. Forse non avrei dovuto nemmeno arrabbiarmi, quando mi avete detto cos’avete fatto.- iniziò lei, a mezza voce. – Niente più di ciò che ho fatto io. No...voi avevate ancora meno colpa di me. Io, almeno, avevo dalla mia parte l’età e l’esperienza. Ancora più di voi, ci avrei dovuto pensare. Avrei dovuto accorgermene.-
- Beh...cercare scusanti o aggravanti non cambia quello che abbiamo fatto tutti e due, comunque.- replicò lui, cupo.
Lei aspettò qualche istante prima di chinare la testa e rispondergli.
- No, non cambia. E nemmeno cambia quel che abbiamo ottenuto. Anche se a volte mi chiedo...Se fosse accaduto qualcosa...che ci avesse fatti fermare...-

Ma è accaduto qualcosa che ci avrebbe potuti fermare, sensei.
Il problema non è quello.
Il problema è che eravamo tutti e due troppo accecati dal nostro desiderio, dall’ansia di vederlo realizzato, dalla fiducia nelle nostre capacità, per accorgerci di quegli avvertimenti.
In una notte come quella, qualsiasi persona di buon senso avrebbe smesso di fare tutto e sarebbe andata a dormire. In una notte come quella, nessuno avrebbe potuto dubitare che c’era, nell’aria, un messaggio terribile, che non si poteva ignorare.
Nella paura che sentivo provenire da mio fratello c’era l’avvertimento più chiaro, poi. E anche nella mia paura. Nel mio cuore che, in qualche modo, cercava di inviarmi messaggi. Ero un bambino, ma non importa. Anche un bambino percepisce il pericolo. Io lo sapevo, che quel pericolo era lì, a un passo da me. Ma sono andato avanti.
Chissà, anche tu avrai sentito tutto questo.
Ma non potevi fermarti. Perché eri sicura, vedevi la meta, lontano, ma la vedevi così chiaramente che non ti rendevi conto di aver imboccato una strada folle, per giungere a quella meta.
Chi guarda solo la meta, dimenticandosi che c’è una strada da fare, per arrivarci, è destinato a perdersi. Chi non si rende conto di quando la meta che ha davanti è folle...è destinato a svanire.
E queste parole erano lì, si riflettevano in ciò che ci circondava. Tutte le cose ce le sussurravano.
Però tu non hai ascoltato, e sei andata avanti.
Come me.


- Non ci saremmo fermati comunque.- mormorò Ed, scuotendo la testa. – Io ero un bambino sciocco, sicuro di me. E poi...I segnali c’erano. Tutto mi diceva che stavo sbagliando. Ma io...-
Izumi appoggiò la mano sul braccio destro del suo allievo. La sua mano sentì la consistenza del metallo.
- Perdonami. Sono stata la peggior maestra che potevi avere. Forse sono stata io ad insegnarti a non prestare ascolto agli avvertimenti di pericolo.-
Ed alzò le spalle e le fece un sorriso.
- Izumi-san. Credimi. Non mi importa, ora.-

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Capitolo 7
*** VII - Tracce ***


Tema:#25 He’s a child of the sun

Tracce

- Colonnello Mustang! E’ arrivato un rapporto relativo ad una cittadina nella zona dell’Est.-
L’uomo sollevò la testa dalle carte a cui sta lavorando e incontrò gli occhi del tenente, arrivata per portargli altro lavoro. Tese la mano per ricevere l’ennesima seccatura, poi si immerse nella lettura delle carte. Una lettura veloce, mentre un mezzo sorriso iniziò ad apparire sul suo volto. Sorriso particolarmente significativo.
- Tutto a posto.-
- Tutto a posto? Colonnello, se non se ne fosse accorto, in quella città ci sono dei problemi!-
- E io ho le soluzioni.- Il sorriso si allargò un po’, e la cosa al tenente Hawkeye non piacque granché. Intuì qualcosa e si preparò a replicare, ma il colonnello la precedette, annunciandole quali erano le sue “soluzioni”. – Mi mandi qui l’Alchimista d’Acciaio.-
Ecco, appunto.
- Cosa? Signore, con il dovuto rispetto, io credo che un ragazzino da solo in una situazione come quella non sia...-
- Si fidi, tenente. Quel piccolo arrogante è esattamente quello che ci vuole, in una situazione come quella.-
- Colonnello, la invito a moderare il linguaggio quando parla di un suo collega alchimista di stato!-
- Sto solo dicendo la verità.-
Riza Hawkeye sospirò. Stava solo dicendo la verità, già. Quando il colonnello sorrideva in quel modo, era perché pensava davvero tutte le impertinenze che diceva su Edward Elric.
- Non vedo però come l’intervento di Edward Elric possa risolvere la situazione di cui stiamo parlando, colonnello.-
- Il piccoletto ha delle capacità. Sembra che riesca a fare delle cose inaudite, con i suoi strepiti e le sue uscite improvvise. Sì, tenente, sono proprio convinto della mia scelta.-
Come tutte le altre volte in cui aveva spedito l’Alchimista d’Acciaio, magari con qualche scusa, in mezzo ai guai.
Convinto della sua scelta, che forse non era neppure così criticabile...
Quel ragazzo ha in sé qualcosa di così puro, pensò lei. Deve avere una grande confusione nei suoi pensieri e una storia dolorosa, eppure ha un modo di agire di una semplicità disarmante. E’ diretto, impulsivo. E allo stesso tempo è efficace.
Sorrise, finalmente convinta.
E’ come un raggio di sole che arriva all’improvviso in un groviglio di ombre, e riesce a disperderle in un istante. Spero solo che si conservi sempre così, e che le ombre non lo avvolgano mai.
- Vado a chiamarglielo subito, signore.-

*

- Questo posto è cambiato, eh?-
Il proprietario della locanda sollevò la testa di scatto, stupito dall’osservazione che il cliente, apparentemente uno sconosciuto, aveva appena fatto.
- Come?-
L’altro sorrise, spingendo il bicchiere attraverso il bancone, per farselo riempire di nuovo.
- Dicevo che questo posto è veramente cambiato, da un po’ di tempo.-
- Non credo di averla mai vista qui. Come fa lei a saperlo?-
- Ci sono capitato un paio d’anni fa. Quando qui la miniera era di proprietà di un membro dell’esercito. E la vita non era così ridente come adesso.-
- Ridente? Mi prendi in giro?- si ribellò l’oste. – C’è un sacco di lavoro da fare e poco da ridere!-
- Vuole negare che due anni fa andava peggio?- incalzò l’altro.
- Beh...- L’oste si fermò, incupendosi per un attimo al ricordo. – Beh, sì. Se devo essere onesto...due anni fa era proprio un inferno.-
- Ho sentito che ora la miniera è di proprietà della gente.- riprese il cliente. – Com’è avvenuto che siete riusciti a mettere insieme così tanti soldi da comprarvela?-
Un sorriso comparve sul volto dell’oste, un sorriso che sembrava un po’ innaturale su un viso accigliato come quello.
- In realtà ci è costata quanto il prezzo di una camera e una cena nella mia locanda.-
- Ora è lei che mi prende in giro!-
- Non sto scherzando. La miniera l’abbiamo regolarmente comprata. Il militare che la possedeva la rivendette ad un alchimista di stato e noi l’abbiamo comprata da lui.-
- Continua a sfuggirmi il punto...-
- Un dannato mocciosetto con un sorriso fin troppo sicuro di sé. Però alla fine, senza di lui saremmo ancora...all’inferno.-
- Mi sta dicendo che questo alchimista di stato non era che un ragazzino, e che lui vi ha rivenduto la miniera in cambio di una cena e un pernottamento qui?-
- Sì, per due persone.-
- E si può sapere perché l’ha fatto?-
- Sto ancora domandandomelo io stesso.-
L’altro scoppiò a ridere, troppo incredulo e sconcertato per fidarsi completamente di quella storia. Ma anche troppo desideroso di crederci davvero, di pensare che in quel piccolo pezzo di mondo esisteva una persona capace di fare una cosa simile.

*

Al guarda l’infinito oltre il finestrino del treno. Si concentra sulle cose che vede e sulle prime genuine sensazioni che queste risvegliano in lui, lasciando dietro di sé i troppi pensieri che sempre affollano il suo piccolo animo di ragazzino.
Fuori il cielo è imbronciato e il sole sembra non voglia farsi vedere per qualche sciocca ripicca. Un po’ come Ed in questo momento, che dormicchia tutto imbronciato, semisdraiato nel seggiolino del treno, in una posizione impossibile. Ha chiuso gli occhi borbottando contro i compiti assurdi che l’esercito affida loro, e ora è in uno stato a metà tra la veglia e il sonno, con il visetto tetro e l’espressione irritata.
Al sa che Ed è davvero imbronciato come il cielo e dispettoso come il sole di quella mattina. Ma sa anche che suo fratello è fedele e costante come il tenace sole estivo, e che per lui ci sarà sempre, risplenderà sempre. E anche per la gente che andranno ad incontrare Ed sarà come un po’ di luce. Magari lo riterranno immaturo, impulsivo, sbruffone e antipatico, ma alla fine non potranno non vedere la sua sincerità, la sua forza.
Magari non se ne accorgeranno subito, ma la luce di Ed lascerà le sue tracce, nei luoghi e nei cuori che incontreranno sul loro cammino.
Al è davvero fiero di Ed.


Fine della raccolta. Grazie a tutti, se siete arrivati fin qui! ^__^ I'm at Dark Chest of Wonders Ricordo che queste storie sono state scritte per la Writing Community True Colors. Vi invito a farci un giro e dare un'occhiata all'archivio. Grazie a chi l'ha creata, per avermi permesso di fare quest'esperienza divertente! Grazie alle belle personcine che ci partecipano e grazie a chi ha sostenuto, consigliato e seguito con amore queste mie sette storielle sull'adorabile Ed. Ciao!

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