Memories hurt.

di dawnechelon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giorno 1. ***
Capitolo 2: *** Giorno 2. ***
Capitolo 3: *** Giorno 3. ***
Capitolo 4: *** Giorno 4. ***



Capitolo 1
*** Giorno 1. ***


« Anna, no! Lasciatela andare. Lasciatela andare! »
Le mie urla risuonano nella mia mente come un eco, sempre più vicino.
Il ricordo di quella sera mi perseguita, mi insegue, mi raggiunge e mi entra sotto pelle.
E’ un demonio attaccato al mio cuore, che mi sta prosciugando l’anima. Porta via con sé i miei ricordi felici, gelandomi il cuore, e lasciandomi solo con l’angoscia ed il dolore.
Non riesco a credere che lei sia... morta. Non voglio crederlo, perché il sol pensiero mi terrorizza. La paura di dover ammettere che lei se n’è andata, mi uccide.
Non ci voglio credere, non voglio pensare nemmeno per un attimo che dovrò vivere senza di lei. Eppure, anche se non vorrei, le immagini di quella sera continuano a passare davanti ai miei occhi. Lei che si accascia fra le mie braccia, il poliziotto che entra in bagno e comunica “Qui ce n’è un’altra.” e la strappa dalle mie braccia, trascinandola via.
Se in passato avevo detto di conoscere il dolore, cos’è questo allora?
Cos’è questa lama tagliente che mi sta facendo a brandelli il cuore?
Perché se questo non è dolore, non so cosa sia, e mi spaventa a morte.
Ho sempre saputo che l’essere umano teme solo ciò che a lui è sconosciuto, eppure io conosco bene il dolore, la perdita, la morte.
Ho già vissuto quest’esperienza con la morte dei miei genitori, solo un anno fa.
Conosco il dolore, conosco il potere che ha di trascinarti nell’abisso più profondo, senza darti un attimo di tregua.
Conosco la perdita, conosco il vuoto che lascia una persona quando se ne va.
Conosco la morte, e non dovrei temerla conoscendola, ed invece è così.
La morte mi spaventa, la sua morte uccide anche me.
Sono un paracadutista in caduta libera, ma nessun paracadute mi potrà salvare.
Il mio si è spezzato, non si aprirà mai più, perché non ne ho le forze.
Sono una foglia secca, che si stacca dall’albero e precipitando a terra, muore.
Sono la pioggia battente, che si scaglia contro l’asfalto e si deposita, aspettando di morire silenziosamente.
Sono la neve, che si posa sul terreno silenziosamente, senza farsi notare: sono quella neve che verrà brutalmente calpestata, e dimenticata in una giornata di sole.
La cosa più tremenda, è che nessuno saprà della sua morte, perché lei se ne è andata silenziosamente. Il mondo non saprà cosa ha perso, nessuno saprà che la sua esistenza è giunta alla fine.
L’hanno cancellata, mio zio l’ha cancellata da questo mondo, senza alcuna pietà.
Non ha pensato che forse, dietro la sua natura da vampiro, c’era solo una ragazza che voleva riprendersi la sua vita.
Non ha pensato al di là di tutto, c’era una ragazza con dei sogni, con dei desideri, e con voglia di vivere.
Non ha pensato che lei potesse amare, e questa è la cosa che più odio di lui.
Il fatto che lei fosse un vampiro contava ben poco: lei non era come gli altri.
Lei era diversa. Lei era più umana di tutti loro messi assieme.
Lei era la mia Anna.
Ciò che non sopporto, è che non avrò una tomba bianca sulla quale poterla piangere.
Se solo l’avesse, le porterei un rametto di fiori di pesco ogni giorno.
Un fiore semplice, delicato, puro, come lei. Lei era purezza, delicatezza, sobrietà.
E io non potrò nemmeno piangerla, come gli umani fanno con i loro cari.
Sarò costretto a sprofondare nel dolore, silenziosamente.

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Capitolo 2
*** Giorno 2. ***


La luce della mia anima si sta spegnendo, a poco a poco.
La fiammella della candela, è giunta ad essere quasi invisibile: la cera si è consumata tutta, ed ora non resta altro che cera sciolta, liquida, lasciata a se stessa.
La mia luce non è mai stata naturale: la mia anima è sempre stata spenta, la mia luce si è assopita in un giorno di primavera a Wickery Bridge.
Ho passato mesi a vivere nel buio, vagando come un marinaio che per colpa delle nuvole, di notte non riusciva a vedere la Stella Polare.
Non riuscivo a trovare la ragione per seguire la luce, perché non la vedevo affatto.
Poi ad un tratto, ho cominciato a riflettere luce. Quando lei entrò nella mia vita, come un Sole splendente d’estate, cominciai a riflettere la sua luce, come fa la Luna.
Lei era il mio Sole, ed io ero la Luna.
Lei la stella più bella, attorno alla quale ruotava tutto il mio mondo, ed io il piccolo satellite, destinato ad amarla incondizionatamente per l’eternità.
Ero dipendente da lei, perché senza la sua luce sarei stato un misero satellite oscuro, del quale non si poteva vedere né conoscere nulla.
Ero destinato a vivere per sempre, per lei, con lei e grazie a lei.
Ora che la sua luce si è spenta, come posso vivere? La mia luce svanisce con lei, se ne va lontano, verso un luogo senza tempo e senza spazio, verso una dimensione fantasma dalla quale non farà più ritorno.
Entra in un vortice di buio, al quale si fonde, e diventa così oscurità.
Questo è quello che mi avvolge: oscurità, buio.
E il buio, come ai bambini, mi fa paura: non so cosa potrei incontrare nel buio, anche se nutro dei sospetti.
Il buio non può che nascondere all’interno di sé solitudine e dolore.
Ed anche se sono la mia ombra, non riesco ancora a conviverci.
Entrambi mi spaventano, e mi consumano, giorno dopo giorno sempre di più.
La solitudine è sempre accanto a me, pronta a ricordarmi che sono da solo, e che dovrò rimanere solo, perché la mia Anna non c’è più.
Ed il dolore, è ancora più stronzo: mi si attacca alla pelle, e piano piano mi distrugge.
E’ come una zecca che prima cammina sulla tua pelle, per poi penetrarla e cominciare il processo di distruzione.
E’ lento, perfido, e si gode la mia solitudine.
Direi proprio che vanno a braccetto: lei la mente, e lui il braccio. Lui Macbeth, e lei la sua fidata Lady. C’è una strana alchimia tra di loro, che funziona perfettamente.
Lei continua ad infettarmi ricordandomi che sono solo, e lui fisicamente mi distrugge.
Il dolore mi stringe il cuore, lo stritola fra le sue mani ghiacciate, e poi, mi strozza i polmoni. Mi fa mancare il respiro, ma non mi uccide.
Direi piuttosto che mi tortura, ed adora la tortura. 

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Capitolo 3
*** Giorno 3. ***


I giorni scorrono lentamente, monotoni e privi di ogni significato.
Non riesco a trovare pace, non c’è serenità all’orizzonte: vedo solo buio.
La voragine del dolore si è squarciata completamente, e mi sta inghiottendo senza alcuna pietà.
Sto camminando su una vecchia fune, che rischia di lacerarsi in un attimo.
Ho perso il mio equilibrio, e ad ogni passo, sento che sto per cadere.
Non riuscirò a raggiungere l’altro capo della fune, non riuscirò ad raggiungere la felicità.
Avevo cominciato questo viaggio con lei, con la mia Anna.
Era lei la mia forza, era lei il mio coraggio, ed insieme eravamo giunti a metà strada.
Il passo successivo avrebbe determinato un cambiamento radicale per me, per noi: le avrei chiesto di trasformarmi in uno come lei, per poter vivere l’eternità con lei.
Allora saremmo diventati una sola anima, saremmo stati legati da un vincolo più forte del sangue e della morte, per l’eternità.
Ma giunto a metà strada, lei mi aveva abbandonato: era caduta nell’abisso della morte, e non ne sarebbe più tornata. La morte che l’aveva presa a me, era la seconda morte, e da quella non sarebbe più potuta tornare indietro.
Così mi sono ritrovato a metà del viaggio, del nostro viaggio, da solo.
Ed anche se so che dovrei continuare la mia vita, perché lei vorrebbe vedermi felice, non potrei riuscirci mai. Come potrei raggiungere la felicità, quando lei era la mia felicità?
Lei era la mia forza, ed ora sono debole.
Lei era il mio coraggio, ed ora mi sento un codardo, perché la vita mi fa paura.
Le corde del mio cuore sono fragili, come quelle di una vecchia chitarra, che al solo tocco si potrebbero staccare.
Non riuscirò a sopportare altro dolore, morirei.
I fili che tengono la mia anima si stanno assottigliando, e diventano fragili ogni giorno di più.
Ogni parte di me si indebolisce, come se mi avesse colpito un cancro.
Forse è proprio questo che ho: un cancro al cuore.
Ma non esistono chemio terapie che possano guarirmi, non ci sono medicine per il mio cuore. Il mio cancro è fulminante, e presto mi porterà a spegnermi.
Ogni mia cellula si spegnerà, il mio cuore smetterà di battere, ed il mio corpo diventerà freddo.
Si dice che al mondo siano poche le malattie gravi, e rare. La mia fa parte di esse, perché non c’è rimedio che la scienza conosca. No, un rimedio al mal di cuore non esiste.
Sento che senza di lei non riuscirò a vivere, perché nulla ha un senso senza di lei.
Come posso dire di star vivendo, quando respiro a malapena?
Mi sento chiuso in un mondo che mi schiaccia, e mi sopprime, senza pietà.
Non c’è ossigeno, nel mondo del dolore.
Lei, Annabelle Johnson, la mia Anna, la mia debolezza, la mia luce, se n’è andata, per sempre.
Vedo la mia vita abbreviarsi bruscamente, perdere colore e forma: sono un automa.
Uno straniero in terra straniera che vaga, senza sapere dove si trova.

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Capitolo 4
*** Giorno 4. ***


Il vuoto dentro di me si sta allargando, intaccando il cuore, i polmoni ed ogni organo vitale.
Sembra quasi che Anna stia scivolando via addirittura dai miei ricordi: è come se la nebbia si stesse diffondendo fra di essi, confondendoli ed impedendomi di vederli con chiarezza.
Non faccio altro che sognarla, ogni notte, sempre gli stessi attimi.
Sono in un luogo sconosciuto, avvolto dalla luce e dalla serenità, e vedo lei in lontananza.
Mi sorride, è radiosa, e viene verso di me. Sono pervaso da una gioia immane, il mio corpo è colmo di calore. I fili della mia anima si riallacciano l’uno all’altro, intrecciandosi.
Il mio cuore riprende a battere, ed accelera ad ogni passo che lei muove verso di me.
Un sorriso si disegna ingenuamente sul mio volto, spontaneo.
Lei è meravigliosa: indossa un abito bianco, che accarezza dolcemente il suo corpo esile.
I suoi capelli sono sciolti al vento, morbidi e cadono sulle sue spalle.
I suoi occhi sorridono: c’è una luce che quasi avevo dimenticato dentro ad essi.
Si fa sempre più vicina a me, e muovo un passo per andarle incontro, ma non riesco a muovermi. Sono come paralizzato. Le mie gambe non si muovono, sono immobili, incastrate in una staticità dalla quale non possono liberarsi.
Dopo poco la sua figura comincia ad apparirmi sfocata, lei si fa sempre più lontana ed il freddo mi avvolge.
Non c’è più luce, tutto si spegne, fino a che non vedo più nulla.
Ogni cosa passa dal bianco al nero, dalla luce al profondo buio, e sono di nuovo solo.
E mi sveglio. Apro gli occhi, e sono di nuovo solo.
Il sogno e la realtà si confondono nella mia solitudine.
Non ce la faccio più a stare così, ho bisogno d’aria.
Così, decido di uscire di casa: respiro profondamente l’aria fredda della sera, e comincio a camminare.
Mi avvio da solo, lungo il viale alberato, guardando l’asfalto.
Qualche auto di tanto in tanto mi passa accanto, ed io distrattamente alzo lo sguardo, incontrando la luce dei fanali che punta contro di me come fossi il protagonista della scena.
E’ come se fossi il protagonista di una tragedia: mi trovo sul palco, ma non c’è pubblico, ed io sono l’unico personaggio. Non ho copione, e non c’è nessuno oltre a me.
Il regista è una perfida donna, che ha deciso di non scrivermi copione e di affidarmi all’improvvisazione.
Lo sceneggiatore invece è un uomo vestito di nero, che ha creato per questa tragedia un’unica triste scenografia: un telo nero.
Lei si chiama solitudine e lui dolore. Sono sempre loro, che come il gatto e la volpe, lavorano in società e stanno trasformando ogni mio giorno in un inferno.
Continuo a camminare, e mi accorgo di aver raggiunto la biblioteca.
Alzo lo sguardo verso l’edificio, ed i miei occhi si bagnano di lacrime amare.
La biblioteca è come il cimitero per me: è il luogo dove conobbi Anna, e qui lei giace.
Mi siedo sulla panchina che sta lì fuori, e fisso l’edificio, come se stessi guardando le scene di un film.
Se chiudo gli occhi rivedo il nostro primo incontro, che tanto mi dà gioia, quanto mi fa male. Quell’incontro/scontro così casuale, e così spettacolare.
Lei che si scusa con me, con un sorriso imbarazzato. Io che mi abbasso per prenderle il libro, e mi scontro contro di lei. Noi che caduti goffamente a terra, ridiamo e poi lei si presenta sfoggiando il suo sorriso migliore.
Ricordare tutto questo mi fa male al cuore: mi ricorda che non potrò parlare con lei di quei momenti speciali, e riviverli insieme, con un sorriso.
Mi ricorda che tutto ciò che mi aspetta è una vita senza alcun senso, senza di lei.
I miei occhi finalmente riescono a svuotarsi delle lacrime che contenevano, ed esse cominciano a scorrere sul mio viso, rigandomi le guance senza tregua.
Poggio i gomiti sulle ginocchia, prendendomi la testa fra le mani.
Come potrò vivere senza di lei? Come potrò accettare di esistere senza di lei?

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