Can I save You?

di _Pulse_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Ahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahah!!! XD
Scusate lo sclero U.U
Questa… cosa xD che leggerete fra poco, è il frutto di un mio sogno. Sì, questo è il sogno che ho fatto questa notte. Lo so, faccio sogni strani e ormai tutti lo sanno, ma che ci posso fare? xD
Premetto che i Jonas Brothers non sono proprio il mio gruppo preferito, però come dire… non potevo cambiare il mio sogno! È uscito così e così me lo devo tenere xD
Spero che questa cosa vi piaccia almeno un po’ e vi avviso che non sarà fra le mie priorità, quindi potrebbe passare anche tantissimo tempo prima di un nuovo aggiornamento u.u
Ho altre 3 ff - ufficiali, poi ci sono anche tutte quelle non ufficiali che si scrivono nel frattempo *-* - da finire e da scrivere! E inoltre sono una ragazza impegnata u.u xD
Concludo ringraziando tutti quelli che da sempre, sempre, sempre mi sostengono. Chi vuol capire, ha capito *___* Grazie!
PS: Buona lettura! ;D Vostra, _Pulse_


Can I save You?

Capitolo 1


Mi guardai intorno e suonai a quel maledetto campanello, con una fifa blu di essere catturata.

«Arianna, sei qui per…», mormorò una voce flebile nell’apparecchio, aprendomi il portone. Certo che quella Fiore era proprio strana.

Entrai nell’edificio e feci di corsa le scale, fino a trovarmi davanti quella ragazza dall’aspetto fragile, esile, i capelli castano scuro ricci e corti fino alle orecchie, gli occhi neri e la pelle caffèlatte. Quando mi guardava sembrava che sapesse tutto di me, e mi metteva un po’ in ansia.

«Vieni», disse indicandomi di entrare, anche se da dentro provenivano rumori strani, come se qualcuno picchiasse contro una porta per liberarsi.
«Non farci caso», mosse la mano, dirigendosi nella piccola cucina, da dove proveniva quel rumore. Sbattè un pugno contro il legno chiaro di una porticina e in risposta qualcuno spinse per aprirla, lei la bloccò sorridendomi.

Io, ancora sulla soglia, pensai che proprio io dovevo finire in quel casino colossale. Proprio io. Perché? Che avevo fatto di male per meritarmi tutto quello?
Ero finita in un mondo parallelo con una mia amica, mio padre e i miei due zii, perché mia madre, giornalista, aveva visto scomparire di fronte ai suoi occhi quella ragazza mezza pazza, che al tempo era una bambina di soli cinque anni, di nome Fiore. Da quel giorno aveva iniziato a fare strani esperimenti sui mondi paralleli e aveva avuto la magnifica idea di trasportarci tutti lì, esclusa lei.
Ora dovevo scegliere se lasciarmi aiutare da una pazza che sembrava buona, dopotutto, ed una vecchia maga di quel mondo che aveva la casa divisa in passaggi segreti e cunicoli sotterranei che per mia grandissima sfortuna avevo già avuto modo di visitare, rischiando anche la pelle.
E inoltre, non era certo finita qui, dovevo liberare mio padre, mio zio Dario e mio zio Manuel dal carcere in cui erano rinchiusi perché sospettati di aver trovato un modo alternativo per tornare a casa. Era infatti abitudine del luogo non tornare più nell’altro mondo, perché senza abitanti questo sarebbe scomparso.
Ma io volevo tornare a casa, non mi importava se avevo tutto il paese contro e che mi cercassero dovunque, con a capo quei strani tizi che si facevano chiamare Jonas Brothers. Non li avevo mai sentiti in vita mia, ma dovevano essere abbastanza famosi, visto che erano un po’ i capi dei cortei per la mia cattura.

Quel qualcuno nascosto dietro la porticina riuscii a liberarsi e scoppiò a ridere guardando la mia faccia mezza sconvolta, mentre Fiore si sistemava un ciuffo dietro l’orecchio, arrossendo d’imbarazzo.

«Ti presento… Alessandro, il mio ragazzo», disse piano, indicandolo.
Era in soli boxer con fantasia natalizia anche se non era affatto Natale, un fisico scolpito, la pelle caffèlatte come quella di Fiore , gli occhi verdi e i capelli rasati sulla testa.

«Piacere», mi disse stringendomi la mano, sorridendo. «Si vergognava a farmi vedere…», mi spiegò sussurrandomi all’orecchio.

«Ahm… capisco», annuii, corrugando la fronte e seguendolo in cucina.

«Finalmente sei arrivata!», mi gridò Loruama, abbracciandomi di slancio.

«Scusa il ritardo, ho solo rischiato la vita un paio di volte oggi!»

«Oh, figurati!», ridacchiò tornando a guardare fuori dalla finestra: si stava svolgendo un nuovo corteo, a cui capo come al solito c’erano i Jonas Brothers. Se ci avessero scoperte pure lì sarebbe stata la fine…

«Dovrebbe essere questo il palazzo!», gridò qualcuno nel corteo, fermandosi lì di fronte.

«Loru, non farti vedere, mannaggia!», dissi io, tirandola dentro, ma era ormai troppo tardi. Un coro si era levato dalla strada e pian piano erano entrati tutti nell’edificio: li sentivo salire le scale come un branco di tori imbufaliti.

«Ary, vai al mare, vai al mare!», mi gridò Loru prima che venisse buttata giù la porta dell’appartamento.

«Che cosa?! È tu?!»

«Non ti preoccupare per me! Ora vai!», mi spinse con violenza e finii nella porticina nella quale si era nascosto Alessandro al mio arrivo.
Ci caddi dentro e finii in un cunicolo nel quale dovevo camminare a carponi, talmente era stretto.
Non ne potevo più di passaggi segreti, ne avevo la nausea!

Vidi una luce alla fine del tunnel e, distratta, non mi ero resa conto che il terreno duro era diventato improvvisamente scivoloso. Caddi con la pancia e gridando scivolai giù a velocità sostenuta, come negli scivoli d’acqua, verso la luce, fino a cadere in mezzo a salvagenti, braccioli, palle gonfiabili e paperelle di gomma: almeno era stato un atterraggio morbido!

Dovevo essere all’interno di una cabina sulla spiaggia, visto gli accessori su cui ero caduta, e sentivo anche gli schiamazzi dei bambini all’esterno. Tentai di disincastrarmi da un bracciolo che mi si era infilato nella caviglia e da quel paio di salvagenti che mi stringevano in vita.

«Ma porca…», biascicai, quando la porta della cabina si aprì violentemente e per un attimo venni accecata dalla luce del sole, poi riuscii a distinguere tre figure conosciute di fronte a me.
«Oh no, ancora voi!», mi lagnai. Com’era possibile essere così sfigati?!

«Guarda guarda chi abbiamo trovato!», esultò la cheerleader, con tanto di divisa rossa e rosa e pom-pom fucsia, dai capelli biondi.

«Ci si rivede!», mi salutò con un sogghigno quella mora.

«Che bella sorpresa che ci hai fatto, venendo tu da noi! Ci hai risparmiato pure la fatica di venirti a cercare!», disse invece la rossa, prendendomi per un braccio e tirandomi verso di loro, che mi placcarono in una morsa d’acciaio.

«Avete visto? Che culo!», gridai, tentando di divincolarmi. «Ragazze, non sapevo foste anche giocatrici di rugby! Avete imparato dai vostri compagni di college? Allora le cheerleader non fanno solo quello che si dice che facciano ai giocatori!»

«Fai poco la spiritosa! Non abbiamo voglia di scherzare!», mi strapparono di dosso i braccioli e i vari salvagenti, facendomi un favore.

«L’altra volta ci sei sfuggita per un soffio, ma questa volta ti porteremo dai Jonas e come ricompensa diventeremo le loro ragazze!»

«E gli faremo togliere quell’anello della purezza!», ridacchiarono eccitate, saltellando e dandosi i cinque.
Ma perché erano capitate proprio a me quelle oche esagitate?

Mi trascinarono per un bel tocco di spiaggia, il sole stava calando all’orizzonte, e in prossimità degli scogli vidi i tre fratelli Jonas camminare verso di noi con sguardo compiaciuto.

«Ragazze, è il nostro momento!», gridò la biondina, lasciandomi libero il braccio per sistemarsi i capelli sulla testa.

«Che idiota», biascicai prima di tirare i capelli ricci a quella rossa, facendola gridare, e di mettere K.O. la mora con uno sgambetto a tradimento.
Dopodiché cominciai a correre dalla parte opposta dei Jonas, che dopo aver gridato qualche insulto alle tre inutili oche cheerleader, iniziarono l’inseguimento.

Mi faceva male tutto, arrivai sulla cima dello scoglio e mi guardai intorno: alla mia sinistra c’erano due dei Jonas (E il terzo?), dietro di me solo roccia impossibile da scalare, di fronte a me il mare che brillava al tramonto e quando mi girai verso la mia destra vidi il terzo Jonas, il più piccolo e con i capelli ricci.

«Buh!», mi sorrise facendomi spaventare. La roccia sotto il mio piede cedette e caddi in acqua, il ragazzo tentò di prendermi la mano, ma con l’unico risultato di cadere con me.

Aprii gli occhi sott’acqua e lo vidi nuotare velocemente verso di me, io mi lasciai scappare qualche bolla preziosa di ossigeno e tornai in superficie, per poi tentare di scappare dalla parte opposta, ma mi scontrai contro l’altro Jonas, il più grande.
Il mezzano era rimasto sullo scoglio: magari aveva paura che i suoi capelli perfettamente piastrati si rovinassero. Sicuramente.

«No, lasciatemi!», gridai dimenandomi, ma mi avevano bloccata ormai.

«Stai ferma, non ti faremo del male!», gridò il più piccolo.

«Non m’importa! Nessuno può impedirmi di tornare a casa! Io voglio tornare nel mio mondo, voglio liberare mio papà e i miei zii! Voglio tornare a casa!», gridai con tutto il fiato che avevo, ma mi coprirono la bocca con la mano e mi trascinarono verso riva.

Una volta usciti dall’acqua, ancora placcata da i due Jonas, il terzo si avvicinò e passò due asciugamani ai fratelli.

«Tante grazie!», gridai, fuori di me.

«Non iniziare a lagnarti! Vieni qui con me!», gridò il più piccolo, attirandomi a sé e avvolgendomi nel suo asciugamano con lui. Rimasi piacevolmente sorpresa da quel gesto e mi arresi al fatto che ormai non mi restava altro da fare che seguirli e scoprire che cosa volevano da me.

«Ora vieni a casa con noi», disse il piastrato, prima di girarsi e di guidare il gruppo.

Risentii le voci stridule delle tre cheerleader dietro di noi e sbuffai infastidita, contemporaneamente al ragazzo che mi teneva abbracciata a sé.
Lo guardai sorridendo e arrossii notando anche il suo di sorriso, così girai subito il viso dalla parte opposta.

«Io sono Nick, comunque», mi sussurrò all’orecchio.

«E io… io sono Arianna.»

«Onorato di sapere finalmente il tuo nome, causa di tutte le nostre ricerche», ridacchiò.

«Vorrei poter dire lo stesso, ma non sono affatto onorata di sapere il tuo, causa di tutte le mie fughe e di tutti i miei guai», sogghignai.

«Amoriiiiiiiii! Aspettaticiiiiii!», gridarono le oche dietro di noi; il maggiore si girò e gli fece segno di andarsene, io ridacchiai.

«Lui è Kevin. Invece l’altro è Joe», mi spiegò Nick.

«Te l’ho chiesto?»

«Vedi di non fare troppo l’acida, siamo sulla stessa barca tutti quanti!»

«Ah davvero?»

«Sì, davvero. Quindi vedi di collaborare.»

Sbuffai brontolante e non dissi più niente fino a quando non arrivammo a casa loro, una villetta a picco sul mare, nascosta da palme ed altri tipi di vegetazione.
Mi fecero entrare e riuscii solo a notare il grande salotto immacolato con immense vetrate che mostravano il mare al tramonto e l’immensa cucina, prima che Nick mi accompagnasse in camera mia: una grande stanza con letto a baldacchino, un televisore al plasma alla parete, un armadio gigante, un bagno con tanto di idromassaggio e una finestra dalla quale si vedeva la città illuminata.

«Ora stai qui buona, ci vediamo dopo», mi disse, guardandomi negli occhi, tenendo la maniglia della porta. Sospirò e si massaggiò la fronte con una mano: «Devo chiuderti a chiave?»

Sollevai le spalle, infilando le mani nelle tasche dei jeans e abbassando lo sguardo.
Abbassò lo sguardo anche lui e chiuse la porta; io rimasi in ascolto, ma non sentii nessuna chiave girare. Sorrisi e mi gettai sul letto, le braccia dietro la testa.

«Beh, poteva andare peggio», sospirai girandomi e chiudendo gli occhi, addormentandomi subito.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Ciao a tutti! ^-^
Finalmente, dopo due mesi, ce l’ho fatta a scrivere il secondo capitolo! Scusatemi per la lentezza, ma sapevate che questa ff non era una mia priorità e poi io sono una ragazza impegnata assai u.u
Comunque, ce l’ho fatta n.n Spero che questo capitolo vi piaccia come il primo o anche di più, dai!
È stato difficile scrivere questo capitolo perché questo non è stato un sogno, ho dovuto spremere un po’ le meningi ma non penso sia venuto male!
Bene, ho detto tutto, me ne vado. Ci vediamo a fondo pagina per i ringraziamenti! A dopo, buona lettura! ;D Vostra, _Pulse_

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Capitolo 2

Dovetti sbattere più volte le palpebre per abituarmi alla luce del sole che entrava dalla finestra.
Mi guardai intorno e sul comodino vidi la radiosveglia che confermava che era ormai l’alba; mi stiracchiai e mi stropicciai gli occhi per diversi istanti, fin quando non sentii dei rumori al piano inferiore, dove probabilmente dovevano esserci i miei cari coinquilini.

Mi tirai su a sedere e un fascio di luce mi accecò gli occhi, facendoli lacrimare. Da quelle lacrime del tutto spontanee se ne susseguirono altre quando mi resi conto che ero una specie di prigioniera, sola e con troppe responsabilità sulle spalle.
Sarei riuscita a riacquistare la mia libertà, a ritrovare la mia amica, a liberare i miei parenti dal carcere e a ritornare a casa sani e salvi?

Chissà ora dov’era finita Loruama. Quando ero scappata dalla casa di Fiore l’avevo lasciata lì, in pasto al corteo che ci inseguiva ormai da settimane.
Mi sentii tremendamente in colpa e un senso di solitudine mi si attanagliò al cuore: perché doveva capitare a me una cosa del genere? Perché proprio io?

Voglio tornare a casa…
Voglio la mia mamma, il mio papà, i miei zii…
Voglio la mia amica…
Voglio la mia libertà.

Mi passai le mani fresche sulle guance e tirai su col naso, poi corsi alla porta e ci sbattei contro. Sbigottita provai e riprovai ad aprila, ma… era chiusa a chiave. Era chiusa a chiave!
Quel Nick mi aveva presa in giro la sera prima! Perché mi aveva chiuso a chiave lì dentro?!

«Ehi!», cominciai a gridare, tempestando la porta di calci e di pugni. «Che qualcuno mi venga ad aprire subito! EHI!»

Smisi di fare rumore e sentì il rumore assordante del silenzio, solo qualche gabbiano volava nel cielo riproducendo il suo verso.
Mi accasciai a terra e mi strinsi le gambe al petto, incominciando di nuovo a singhiozzare, la testa appoggiata alla porta.
Perché nessuno veniva ad aprirmi, volevano lasciarmi lì per quanto tempo ancora?

“Piccola, perché piangi? La mamma è qui con te”
“Ho paura, tanta paura.”
“La paura esiste solo se non si ha nulla per cui lottare; allora sì, che bisogna averne.”

Le parole di mia madre fecero breccia nella mia memoria e pensai che non c’era nulla di più veritiero. Stare lì a piangere dunque non serviva a niente ed avere paura nemmeno, perché io avevo tantissime cose ancora per cui combattere e, finché le avessi avute, nessuno mi avrebbe fermata.

Mi alzai e feci un giro per la stanza, guardandomi intorno. Andai alla finestra e tentai di aprirla, ma era chiusa a chiave anche quella e inoltre sarebbe stato impossibile calarsi giù in quanto era altissimo e io soffrivo di vertigini.
Dovevo trovare un altro modo per evadere, ma così a prima vista non c’erano molti. Eppure… doveva esserci! Non potevo e non volevo restare lì per sempre!

Sospirai e mi massaggiai le tempie, in cerca di una soluzione, quando mi venne in mente che se non volevano che morissi di fame prima o poi mi avrebbero dovuto portare qualcosa da mangiare: in quel momento avrei potuto assestargli un bel calcione e cercare di fuggire.

Sfregai le mani l’una contro l’altra e mi gettai di nuovo sul letto sfatto, sul quale mi rotolai come facevo da bambina. L’occhio mi cadde sul comodino, sul quale era appoggiato il telecomando che doveva essere per forza del televisore al plasma appeso alla parete.

Lo presi e accesi lo schermo, che si sintonizzò subito sul telegiornale. Mi soffermai a seguire il servizio e mi si bloccò il respiro quando vidi inquadrati i miei zii e mio padre in una cella, i visi sciupati ma gli occhi brillanti che richiamavano solo giustizia e voglia di libertà. Poi fecero vedere anche Loruama, in un’aula di tribunale e condannata a scontare una pena a tempo indeterminato per avermi aiutata a fuggire.

Strinsi i pugni dalla rabbia e trattenni un grido, quando anche la mia immagine passò sullo schermo accanto alla signorina che parlava sorridente, dicendo che ero la ricercata numero uno delle forze dell’ordine come se fosse la cosa più normale del mondo, per poi passare tranquillamente ad un servizio sui cani.

Come mai mi ricordava un telegiornale che c’era anche nell’altro mondo? Bah.

Spensi il tv e andai all’armadio, incuriosita. Aprii le ante chiare e finii dentro una grande stanza, ricoperta di abiti su tre pareti e al centro c’era un grande specchio su cui ammirarsi fino alla nausea.
Non ero mai stata una ragazza attenta al proprio look, mi piaceva vestirmi bene ma se non ne avevo voglia mettevo le prime cose che capitavano nell’armadio e il fatto che la gente parlasse bene o male di me non mi interessava.

Feci scorrere le dita sugli abiti, da semplici jeans e magliette a vestiti da sera quasi principeschi. Ne presi uno verde e tanto per passare il tempo me lo infilai e mi guardai allo specchio, chiedendomi se mai potessi essere io quella lì.

Stavo per togliermelo quando sentii la porta della camera mia aprirsi e mi precipitai fuori dal guardaroba, trovandomi di fronte ad un Nick che rimase a bocca aperta vedendomi.

«B-Buongiorno», balbettò.

«Buongiorno», dissi stizzita, portandomi le braccia al petto e fissando un punto sulla mia sinistra, indifferente, anche se sentivo le gote bruciarmi. Possibile che dovessi farmi beccare con quel vestito addosso?!

«Sei… come dire… bellissima.»

Lo guardai con la coda dell’occhio e mi morsi un mezzo sorriso, ma tornai subito a fare l’offesa:
«Che ci fai qui?»

«Sono venuto a portarti la colazione.»

A quella parola mi si illuminarono gli occhi e corsi da lui, gli rubai il vassoio dalle mani e mi misi seduta sul letto, mangiando avidamente una ciambella ricoperta di zucchero a velo. Era dalla mattina precedente che non mettevo niente sotto i denti, anche per colpa loro!

«Avevi fame?», ridacchiò.

Io non gli risposi, anzi gli diedi ancora di più le spalle e bevvi tutto d’un sorso la spremuta d’arancia, per poi tuffarmi su una fetta biscottata con la marmellata ai mirtilli.

«Ehi, che hai? Sei arrabbiata con me?»

«Potrebbe essere», bofonchiai a bocca piena, rischiando per altro di strozzarmi.

«Ma… Che cos’ho fatto?!»

Sgranai gli occhi e li strinsi all’istante, girandomi verso di lui minacciosa: «Che cosa hai fatto? Che cosa hai fatto?!» Mi alzai e marciai verso di lui, fino ad arrivargli ad un palmo dal viso, un’espressione dura ed irremovibile.
«Mi hai presa in giro! Ieri sera non mi avevi chiusa a chiave, stamattina mi sveglio e puff, chiusa qui dentro! A che gioco stai giocando, me lo spieghi?!»

«Non ti ho chiuso io a chiave, te lo giuro», sospirò passandosi una mano sulla fronte.

«E chi è stato, di grazia?»

«Joe, mio fratello. Non si fidava a lasciarti così libera, questa notte ha preso le chiavi e…», alzò una mano e di scatto mi irrigidii, lui mi sorrise rassicurante e mi pulì un angolo della bocca, sporco di zucchero a velo, con un dito.

Rimasi per diversi secondi immobile dopo quel gesto, spiazzata e in tremendo imbarazzo, tanto che mi sentivo rossa come un peperone non solo in faccia, ma dalla testa ai piedi.
Lui ridacchiò – doveva trovarmi divertente – e poi mi prese per mano e aprì la porta, portandomi con sé. Però, almeno quella volta, ebbi la forza di fermarmi e di guardarlo accigliata: insomma, ero ancora arrabbiata con lui!

«Dove mi stai portando?»

«Vorrei farti capire che siamo tutti nella stessa barca e che non vogliamo farti del male, ma che semplicemente ci servi.»

«Vi servo? Cos’è, mi volete sfruttare per uno dei vostri loschi piani?!»

«Oh!», sbuffò scuotendo la testa – quegli adorabili ricci lo seguirono. «Non intendevo dire quello! E non siamo dei mafiosi, per la cronaca!»

«Scusami tanto se sono ancora arrabbiata con te per avermi chiusa là dentro come una prigioniera!»

«Ti ho già detto che non sono stato io, ma mio fratello!»

«Tuo fratello è comunque una parte di te!»

Si fece di colpo serio: «Sei figlia unica?»

«No», abbassai il capo, un velo di malinconia negli occhi. «Mio fratello è stato spedito qui con me, la mia amica e il resto della famiglia che conosci già.»

«E ora dov’è?»

«Da qualche parte in questo mondo parallelo, non ho fatto in tempo a trovarlo ancora», feci una smorfia e lo sorpassai.

Lui mi raggiunse, mi affiancò in un silenzio alquanto imbarazzante e mi scortò fino ad una sala nella quale c’erano fior di macchinari supertecnologici e alcuni scienziati in camice bianco che stavano facendo degli esperimenti.

«Ehi fratello!», agitò la mano quello che doveva essere Kevin. Ci avvicinammo e scambiò una lunga occhiata con Nick, come se si stessero parlando con il pensiero, poi si soffermò a guardare me con attenzione e sollevò il sopracciglio: «Come mai sei vestita così?»

Mi guardai e borbottai stirandomi il vestito che non avevo nemmeno avuto il tempo di togliere, per una cosa o per un’altra, sulle gambe, poi sollevai lo sguardo incontrando quello divertito di Nick.

«Stai molto bene comunque», sorrise cordiale. «Ah, non mi sono nemmeno presentato decentemente: io sono Kevin, piacere!», mi stese la mano e io la strinsi, borbottando il mio nome.

«Che stavi facendo?», chiese Nick.

«Uh, le ricerche stanno andando avanti. Molto lentamente, ma stanno andando avanti. Prima sono riusciti pure a trasportare una mela nell’altra dimensione! O almeno… si presuppone. Sai, non sono solo due le dimensioni, ce ne possono essere anche infinite altre e…»

«Cioè, voi state tentando di trovare un modo di tornare alla nostra dimensione con la tecnologia?», chiesi sbigottita.

«Sì, esatto. Anche noi vogliamo ritornare a casa», mi rispose Nick con uno sguardo tutt’altro che bugiardo.

«Ma… ma non è contro il regolamento? È per questo che voi mi cercavate, per non farmi tornare a casa!»

«No, noi…», balbettò Kevin, passandosi una mano sul collo.

«Diciamo che facciamo il doppio gioco», disse una voce alle nostre spalle: Joe ci stava vendendo incontro con le mani in tasca e con il suo sorrisetto strafottente e allo stesso tempo molto sexy.

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Ringrazio:

nes95: Ah no cara, per i sogni strani sai che ci sono anch’io ora xD
Grazie mille per la recensione, alla prossima! ^-^

Utopy: Uuuh, tu ci sei sempre comunque e dovunque! Tu sei una vera fedele *-*
Sììì, solo certi sogni possono essere di mia competenza! xD Con i Jonas, tra l’altro! Si sa che preferisco fare sogni con altri protagonisti, ma chissà cosa mi è preso quella volta: avrò mangiato pesante, sicuro! xD
Fa uno strano effetto anche a me, a dirti la verità. Non so come cavolo potrebbero comportarsi questi tizi, però dai sono avvantaggiata perché è tutto quasi surreale xD
Se piace a te, sai che non può andare meglio di così per la sottoscritta! Sono supercontenta che ti piaccia, assai! *-*
Grazie Alessandruccia mia, ti voglio tantissimo bene!! Luv yaaa ©

svampy1996: Sono contenta che ti piaccia e spero che ti piaccia anche questo capitolo ^-^
Per favore, non chiamarmi “scrittrice sempina”! xD Grazie milleeeee.
Alla prossima, bacio, ciao!

music__dreamer: No, stai pur certa che non lo sei! xD
Spero che questo “continuo” ti sia piaciuto e sono contenta che questa versione dei Jonas ti piaccia ^-^
Grazie per la recensione, alla prossima! Bacio.

Per le recensioni allo scorso capitolo! Grazie, voi non sapete quanto mi hanno fatto piacere! Soprattutto sapendo che non era nulla di particolare quel capitolo, in quanto confuso e molto… particolare, come chi l’ha scritto xD Grazie grazie grazie! *-*
Ringrazio tantissimo anche chi ha messo questa ff fra le preferite e le seguite, davvero non me l’aspettavo!
Al prossimo capitolo, speriamo presto xD Con affetto, vostra

_Pulse_

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Buon pomeriggio a tutti! ^-^
Ho cercato di fare in fretta e il risultato è stato un mese d’anticipo rispetto all’altra volta. Mi sembra un buon risultato, non lamentiamoci! XD
Spero che questo capitolo vi piaccia, a me sinceramente parlando piace u.u Ma non meniamocela troppo, ci sono cose più importanti da fare… Come i ringraziamenti! *-*
Ringrazio davvero di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo:

miusic__dreamer: Grazie mille! Che la storia ti piaccia e che tu l’abbia giudicata “bella ed intrigante” sono strafelice, davvero! Soprattutto perché è nato tutto da un sogno, si può? xD Beh, sono contenta ^-^ Grazie davvero, alla prossima!
P.S. Visto, ho aggiornato prima! XD

Tappina_5_S: Grazie mille! *-* Spero che questo capitolo ti abbia tolto un po’ di dubbi e abbia risposto ad alcune delle tue domande xD Ma ci sono ancora taaaante cose da scoprire, i colpi di scena non finiscono qui! Continua a seguire, ciao!

nes95: Grazie mille per i complimenti, mi rendono davvero felice e sono contenta che ti piaccia questa mia “trasformazione” dei Jonas Brothers ( Oddio, sto scrivendo una storia su di loroooooo XD ) Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e che la tua curiosità sia stata in parte soddisfatta xD Scommetto che il tuo preferito è Nick, ho qualche sospetto xD Beh, spero ti sia piaciuto anche in questo! È molto carino, in effetti *-* Grazie ancora!

svampy1996: Grazie mille! ;D Sia per la recensione e i complimenti, sia per non chiamarmi più in quel modo xD

Ovviamente non posso ringraziare anche chi ha letto solamente fin ora e chi ha messo questa ff fra le preferite e le seguite! ;D
Alla prossima, vostra _Pulse_
P.S.: Buona lettura! :D

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Capitolo 3

«Il doppio gioco?», chiesi confusa.

«Non crederai davvero che vogliamo stare qui per sempre! Noi vogliamo tornare a casa, dalla nostra famiglia, dalle nostre fans!», allargò le braccia per poi infilare quello destro con nonchalance fra le mie spalle.

Nick a quel gesto si irrigidì, ma non disse nulla, semplicemente si fece più serio e composto, negli occhi una scintilla di fuoco che non riuscii a decifrare.

«E allora io che c’entro, posso saperlo?», sbottai liberandomi e mettendomi a braccia incrociate.

«Abbiamo fatto delle ricerche su di te e su come sei finita qui e abbiamo scoperto che non è stato affatto come le altre volte: tu non sei arrivata qui per caso, sei stata mandata. E se è stato così, ci deve essere per forza un modo per tornare; qualcuno ti farà tornare, prima o poi!»

«Che… che cosa? Io… io non ci sto capendo niente…», mormorai disorientata, portandomi le mani sulla testa che iniziava a girarmi vorticosamente a causa di una serie di infinite immagini che si accavallarono l’una sull’altra producendo soltanto altra confusione.
«Scusate», balbettai con gli occhi lucidi prima di correre via, verso la mia stanza al piano superiore.

La raggiunsi e mi chiusi la porta alle spalle, poi corsi nel guardaroba e quasi mi strappai di dosso quell’odioso vestito. Mi rinfilai i miei amati jeans e una maglietta larga e tornai nella camera da letto, dove mi soffermai alla finestra a guardare il mare azzurro brillare sotto i raggi del sole.

Istintivamente mi portai una mano sul petto e sentii la catenina che mi aveva regalato mia madre all’età di sei anni, sfiorai il ciondolo di vetro a forma di stella con le dita e sospirai sentendo di nuovo quel grande vuoto che si apriva come una voragine all’interno del mio cuore per la mancanza delle persone che amavo.


“Che cos’è questo, mamma?”, chiesi incuriosita guardando il ciondolo che mi aveva appena legato al collo.
“Non è un ciondolo qualunque piccola, è speciale. E dovrai averne massima cura, ok?”
“Speciale?”, la guardai con gli occhi brillanti pieni di curiosità; lei mi passò una mano fra i capelli biondi e mi fece un sorriso dolce.
“Speciale come te, amore.”

Che fosse quel ciondolo la causa e la soluzione di tutti i miei problemi?
Eppure non aveva nulla di particolare… No, no, era impossibile che fosse quella la chiave per tornare nell’altro mondo.

«Ehi.»

Sobbalzai e mi girai, stringendo nella mano la stella che rifletteva i raggi del sole sul pavimento chiaro. Nick, che sorrideva gentilmente, si avvicinò e mi aprì la finestra: respirai profondamente l’aria di salsedine mentre il sole mi baciava il viso, sentendomi un po’ più libera.
Ero sempre stata una bambina curiosa e attiva, restare in casa in giornate belle come quelle era per me inaccettabile, ma non potevo fare come volevo io, visto che ero l’ospite.

«Scusa per prima», mormorò dispiaciuto, affiancandomi; io non risposi, lo guardai soltanto con la coda dell’occhio, rapita dalla sua espressione quasi sofferente: forse non ero l’unica a soffrire di nostalgia di casa.
«Non avevamo il diritto di fare ricerche su di te e non dovevamo dirti tutto così, non deve essere facile per te… Non oso immaginare come tu ti possa sentire, davvero. Mi dispiace.»

«Mi sento come un animale in gabbia, perso, solo, abbandonato a sé stesso; come un piccolo allontanato dalla propria mamma, indifeso e che deve imparare a camminare con le proprie gambe per sopravvivere», risposi con lo sguardo perso. «Vorrei solo… Che cosa sperate di ottenere, da me?»

«Fratellino!» La porta si spalancò alle nostre spalle e spaventati ci voltammo contemporaneamente, trovandoci di fronte a Joe che sogghignava con le mani sui fianchi.

«Sì?», chiese Nick.

«Ho una sete terribile, andresti a prendermi un bicchier d’acqua?», gli fece gli occhi dolci, avvicinandosi ancora un po’ a me.

«Che cosa?! Perché non te lo vai a prendere tu?», sbottò.

«Ok, il mio non è stato un bel tentativo; te lo dirò in un altro modo: puoi lasciami da solo con lei, devo parlarle», sollevò il sopracciglio, facendogli segno di andare.

Avrei tanto voluto sputare fuori qualcosa di acido per mandarlo via, per far sì che Nick almeno rimanesse, perché di restare da sola con quello non ne avevo la minima intenzione: mi metteva a disagio e mi trattava come se fossi una cosa, nemmeno una persona con dei sentimenti e delle emozioni. Nick invece era dolce, sensibile, mi faceva sentire bene; era il “poliziotto buono” della situazione… Tutta un’altra cosa.

«Se permetti, ci stavo parlando prima –»

«Oh su, non fare il difficile! È questione di un secondo, intanto vammi a prendere l’acqua!»

Nick grugnì qualcosa e uscì dalla stanza sbattendosi la porta alle spalle; in quel momento Joe sospirò e si avvicinò a me, corrugando la fronte alla visione della finestra aperta. Si tastò le tasche e fece un cenno con la testa, sorridendo:

«Mi ha fregato le chiavi per aprirti», mormorò.

«A quanto pare lui ha un minimo d’umanità», gli risposi, anche se non era stata una domanda la sua. «Sono anche io una persona, cosa credi? Non puoi chiudermi qui dentro come ti pare e piace!»

«Questa è casa mia, faccio quello che voglio.»

«Allora fammi uscire; poi puoi fare quello che vuoi.»

«Oh no», si avvicinò tanto da sentire il suo respiro sul viso, malizioso. «Tu ci servi più di quanto tu possa credere, sai?»

«Come te lo devo dire che non sono un oggetto?!», gli gridai in faccia; lui si allontanò, quasi compiaciuto.

«Hai proprio un bel caratterino, lo sai?»

«Lo prendo come un complimento. Allora, per cosa vi dovrei “servire”?», feci segno delle virgolette con le dita.

«Come ho detto prima… vorremmo solo tenerti con noi e verificare che tu non te ne vada, sei l’unica oltre a Fiore che ha o a cui è stata data la capacità di fare questi viaggi dimensionali… Non possiamo permetterti di andartene, perché senza di te… noi saremmo bloccati qui. Per sempre.»

«Io… io non ho nessuna capacità! Sono stata mandata qui, è vero, ma adesso sono sola!», gridai voltandomi e rivelando per la seconda volta la parte debole di me. «I miei zii, mio padre e la mia amica sono finiti in carcere per colpa mia, per difendermi…»

«Per difenderti», sottolineò con tanto d’occhi, come se dovesse essere scontato. «E ti sei mai chiesta il perché?»

Completamente spiazzata, boccheggiai diversi istanti per trovare una risposta adatta, senza risultato. Abbassai il capo e mi morsi il labbro inferiore, le lacrime che mi pizzicavano gli occhi. Che fossi davvero speciale come affettuosamente aveva sempre detto mia madre?

«Joe!», tuonò la voce che ormai definivo quasi un salvavita: quella di Nick. Sollevai lo sguardo e lo vidi sulla porta, l’espressione contratta, e non potei non lasciarmi scappare un piccolo sorriso: forse non ero proprio da sola in quella casa, forse un alleato ce l’avevo.
«Ti ho portato la tua acqua», continuò porgendogli il bicchiere e prendendomi per un braccio, attirandomi a sé come per rassicurarmi.

«Grazie», biascicò Joe con una smorfia.

Nick mi fece l’occhiolino e mi portò con lui fuori dalla stanza. Quella volta non feci domande, solo mi lasciai portare e lo seguii, in uno stato di sicurezza che da molto tempo non provavo.

La sicurezza delle braccia della mia mamma; la sicurezza di quelle forti di mio papà che mi facevano volare in alto nelle giornate limpide d’estate, su un prato ricoperto di fiori; la sicurezza dei sorrisi innocenti di mio fratello, dei giochi spensierati; la sicurezza delle risate delle mie amiche; la sicurezza di un piccolo mondo che avevo fatto mio e che ora non c’era più.

Rimasi parecchio sorpresa quando mi accorsi che quel tour per l’enorme villa si stava per concludere di fronte alla porta d’ingresso, quella dalla quale ero entrata ma non ero ancora uscita.
La guardai con malinconia, poi posai lo sguardo sul viso di Nick, così dolce e sereno.
I nostri occhi si incontrarono e mi sorrise, facendo un cenno verso di essa con la testa:

«Ti va di uscire?»

Poggiai le mani sui fianchi e gli sorrisi di rimando, la testa sulla spalla: «Mi stupisco della stupidità delle tue domande, davvero.»

***

«Aspetta, non correre!», gridò Nick ridendo e cercando di starmi dietro.

La sabbia sulla riva era calda e bagnata, sulla quale lasciavo una lunga fila di impronte durante la mia folle corsa a piedi nudi per sentire il vento fra i capelli e il profumo della libertà: un profumo quasi esilarante, grazie al quale il mio umore aveva decisamente cambiato direzione dal disorientamento e la tristezza di quella mattina.

Riuscì a raggiungermi e mi prese per la spalla, mi girò e si appoggiò anche all’altra con la mano, respirando affannosamente, ma con un’espressione divertita sul viso metà illuminato dal sole che stava tramontando, sprofondando nel mare.

«Grazie», mormorai abbassando lo sguardo.

«Di cosa?»

«Di avermi portata qui, all’aria aperta. Non sai quanto mi ha fatto bene.»

«Sono contento», mi posò una mano sulla guancia, delicato come se fossi un fiore. «Anche io avevo bisogno di uscire un po’, in questo periodo ti abbiamo sempre dato la caccia senza sosta.»

«Divertente!», gli tirai un pugno sulla spalla e risimo, iniziando a camminare l’uno accanto all’altra.
«Perché… perché avete cercato proprio me, invece di chiedere aiuto a Fiore?», chiesi incuriosita.

«Perché lei è un po’… fuori di testa, se hai notato.»

«Sì, in effetti», ridacchiai. «Ma ne sa sicuramente più di me.»

«Sì, ma solo perché lei utilizza il suo dono da quando è una bambina.»

«Siete così convinti che anche io abbia questo dono?», mi imbronciai. «Vi sbagliate, io sono una ragazza normalissima.»

«A volte la diversità non è una cosa brutta, sai?»

Mi fermai di colpo e strinsi i pugni lungo i fianchi, lui fece ancora qualche passo e poi si girò, guardandomi con il suo sorrisetto angelico.

«Come… Io…», balbettai, «Posso salvarvi

«Sta a te deciderlo, sta a te scoprire se davvero possiedi questa capacità… Sta tutto a te», mi strinse le mani e mi baciò sulla fronte, facendomi arrossire di botto.

«Ora… ora è meglio se torniamo, o verremo ricercati tutti e due dagli altri due Jonas», ridacchiò, prendendomi per mano e riconducendomi verso la villa.

«No», posi resistenza puntando i piedi nella sabbia, tirandolo dalla mia parte. «Ti prego no, non voglio tornare là dentro.»
Non voglio tornare in cattività.

«Ary… L’aria per te è una droga, ne vuoi sempre di più!»

Mi ha chiamata Ary…

«Sì, proprio così! Ti prego, non voglio tornare! Restiamo qui ancora un po’, cinque minuti!» Mi guardò severo e tentennò, guardando un po’ la villa sopra la scogliera e un po’ me. Io gli feci gli occhi dolci: «Ti supplico», miagolai, e lui non poté resistere.

«Solo cinque minuti, ok?»

Annuii felice e finimmo seduti sulla sabbia tiepida, a parlare del più e del meno e delle nostre vite. Per molto più tempo di cinque insulsi minuti.
Scoprii che lui, insieme ai suoi fratelli, nell’altro mondo formavano una band – i Jonas Brothers per l’appunto – in cui lui cantava e suonava chitarra, batteria e pianoforte.
Si era anche ridicolosamente indignato quando gli avevo confessato di non averli mai sentiti, ma poi si era sciolto in una risata che mi aveva come rasserenato l’animo.

«Ti manca casa tua?», fu una mia domanda a bruciapelo.

«Tu non sai quanto… Mi manca la mia famiglia, mi manca la mia vita… E mi manca pure quella peste del mio fratellino», sorrise amaro.

«Un altro?», sollevai le sopracciglia, sorpresa.

«Sì, siamo in quattro. Frankie è il più piccolo ed è il Bonus Jonas; lui è rimasto a casa, per fortuna.»

«Anche a me manca tanto mio fratello», mi strinsi le gambe al petto. «E lui è qui, da qualche parte… Chissà come sta, che cosa sta facendo, con chi è…»

«Lo troverai», mi avvolse un braccio intorno alle spalle, appoggiando la testa alla mia.

«Come fai ad esserne così sicuro?»

«Tuo fratello è comunque una parte di te», sussurrò le mie stesse parole, facendomi sorridere e sollevare lo sguardo. «Ora dobbiamo davvero andare. Chissà che si mangia stasera per cena; Carmen è una cuoca eccezionale.» Mi porse una mano e io la presi, tirandomi su.

«Buon appetito», sospirai un po’ giù di morale.

«Guarda che mangi anche tu con noi.»

A quelle parole mi si illuminarono gli occhi: «Davvero?!»

«Davvero», mi sorrise. Mi lasciai andare ad un grido di gioia pura e tornai a quella che forse – forse – un giorno avrei potuto pure chiamare casa, con un po’ di voglia in più.

E le nostre mani non si separarono mai durante quel tragitto, rimasero sempre l’una dentro l’altra.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4


Entrai nella stanza poco illuminata e, con il cuore che batteva all’impazzata nel petto, mi guardai intorno, cercando di visualizzare ciò che mi circondava, quando improvvisamente si accese una candela e sobbalzai alla visione di quel volto sfregiato ed invecchiato, quasi terrificante.

«Buongiorno», sghignazzò venendomi incontro. «Ti stavo aspettando.»

«Davvero?»

«Sì, davvero. Prego, accomodati.»

Mi avvicinai con cautela e mi misi seduta al tavolo rotondo, di fronte a lei, che iniziò a mescolare un mazzo di grosse carte come se nulla fosse, canticchiando una vecchia canzone in una lingua a me sconosciuta.

«Dimmi», incominciò. «Per quale motivo sei venuta qui?»

«Io… io volevo sapere se lei conosce un modo per tornare nell’altro mondo.»

Arrestò quel movimento meccanico delle mani e sollevò lentamente lo sguardo sul mio viso, con una smorfia maligna che non mi rassicurò per niente, anzi mi fece venire i brividi.

«E tu vorresti saperlo perché vuoi tornare a casa?»

«Sì», deglutii.

«Uhm», iniziò a sghignazzare, sempre più forte, fino a quando non tornò seria: «E credi che se io lo sapessi, sarei qui? E… mettiamo caso che forse io lo sappia, lo direi a te? Sei solo una ragazzina.»

Rimasi in silenzio e la osservai mentre posava le carte e le leggeva parlando ancora in quella lingua strana. Una carta dopo l’altra, la sua espressione si faceva sempre più sorpresa e allo stesso tempo gioiosa e spaventata. Quando le carte finirono, alzò di nuovo lo sguardo e fece un sorrisetto:

«Infondo, pur essendo una ragazzina, sei pur sempre… speciale

A quel termine sobbalzai e sentii la porta dalla quale ero entrata richiudersi di colpo, i passi pesanti qualcuno si stavano avvicinando, trascinando con sé delle catene. Un brivido di paura mi attraversò la spina dorsale e seguii la voce della mia coscienza che mi continua a ripetere che dovevo scappare da lì.

Mi alzai in fretta dalla sedia e uscii da una porta secondaria, più piccola e stretta, correndo più veloce che potevo, allontanandomi da quei passi e dalle grida stridule della vecchia.
Perché tutto d’un tratto volevano prendermi? Perché aveva detto che ero
speciale? Perché… perché io?

Mi svegliai di colpo e mi ritrovai seduta sul letto, la fronte imperlata di sudore.

Che spavento.

Quel ricordo mi era tornato alla mente a mo’ di sogno e non potevo dire che era stato bello.
Da quel giorno non avevo più visto quella strana veggente dalla quale ero riuscita a fuggire, ma… avevo come l’impressione che lei non si fosse mai dimenticata di me, anzi.

Mi accorsi di un leggero fastidio agli occhi e mi resi conto che le finestre erano spalancate, permettendo alla luce del sole e al profumo di mare di invadere la stanza.

«Ma chi…», bofonchiai accecata, cercando di guardarmi intorno. Un rumore mi fece voltare improvvisamente verso la scrivania e la mia espressione da sorpresa passò ad imbarazzata, fino ad arrivare ad una furiosa: «Nicholas Jerry Jonas!», gridai con tutto il fiato che avevo in gola, scattando all’inseguimento.
Quante volte gli avevo detto di non intrufolarsi in camera mia?!

«Non cercare di scappare! Ti prenderò, prima poi!»

«Nah, non credo!», mi provocò ridacchiando, ma il sorriso gli svanì presto dalle labbra perché aumentai la velocità della mia corsa e mi lanciai verso di lui, riuscendo ad aggrapparmi alla sua schiena.

«Ah-ah! Te l’avevo detto che ti avrei preso!», gridai vittoriosa, alzando i pugni in aria.
Nick mi lasciò le gambe e caddi con il culo a terra; trattenni il respiro e poi lanciai un urlo di dolore che fece pure volare via i gabbiani appostati sulla costa lì intorno.

«Oddio, scusa! Non l’ho fatto a posta!», disse seriamente dispiaciuto, inginocchiandosi di fronte a me. «È tutto ok?»

«Ti sembra che vada tutto ok, razza di… Ah, lasciamo perdere! Ahia, che dolore», piagnucolai.

«Se vuoi ti faccio un massaggio!», disse Joe, spuntato alle mie spalle, con quel sorrisetto fastidioso sulle labbra che ormai avevo imparato ad accettare e anche quasi a farmi piacere. Quasi.

«Fottiti», dissi facendogli gli occhi dolci; lui piegò il capo in avanti, in un mezzo inchino, e mi sorrise salutandomi con la mano.

«Ehi, tutto bene?», chiese Kevin sporgendosi in corridoio dalla sua camera.

«Arriva l’altro sveglione», bofonchiai. «Sì, tutto benissimo!», alzai il pollice in aria.

«Ok, mi fa piacere!», mi rispose sorridente, per poi richiudersi la porta alle spalle, sollevato.

Sono finita fra un branco di decerebrati. Forse l’unico che si salva è Nick…

Lo guardai sorridendo e mi diede una mano ad alzarmi, lo sguardo dolce ed amichevole.

Era passato un bel po’ di tempo da quando mi avevano catturata e fatta prigioniera nella loro villa, avevo imparato a conoscerli e ad apprezzarne ogni pregio ed ogni difetto.
Certo, c’erano sempre le nostre belle litigate, soprattutto quando fuori il sole e il mare mi chiamavano e non potevo uscire, costretta a rimanere nei laboratori a seguire gli esperimenti, anche se non ci capivo un fico secco.
Per fortuna Nick era sempre al mio fianco e passavo il tempo chiacchierando e giocando con lui, esattamente come due bambini, creando più danni che altro.
Si era formato un legame abbastanza forte fra di noi, quasi da sembrare… Insomma, stavo bene al suo fianco, mi sentivo come estranea a tutto ciò che stava succedendo, alla realtà in cui vivevamo, ma… poteva essere davvero qualcosa di più di semplice amicizia?

«A che cosa stai pensando?», mi chiese guardandomi dritto negli occhi; un brivido mi percorse la schiena e guardai le mie mani strette ancora nelle sue, arrossendo d’imbarazzo.

«A niente in particolare», feci spallucce. «Anzi, ad una cosa sì: la colazione! Ho una fame da lupi, colpa della tua stupida corsa. E adesso mi fa pure male il sedere!»

«Non ti preoccupare, ti porto io!», gridò sollevandomi da terra, prendendomi alla sprovvista, ridendo. Non ebbi nemmeno il tempo di oppormi che iniziò a scendere le scale cautamente: un passo sbagliato ed eravamo morti entrambi!

Sollevai il viso verso il suo e lo osservai attentamente, senza badare al sorriso che pian piano si impadronì delle mie labbra. Dopotutto Nick non era nemmeno brutto, anzi… era proprio un bel ragazzo.

«Oggi ti perdi molto nei tuoi pensieri, sai?»

Scossi la testa e lo guardai, rendendomi conto di avere già i piedi a terra ma di essere ancora appiccicata a lui, con le braccia allacciate dietro il suo collo. Mi fece un sorrisetto e le staccai subito, allontanandomi e maledicendomi.

Mi misi seduta al tavolo e presi un cornetto caldo dal vassoio che Carmen, la cuoca dei ragazzi, aveva appena servito; lo pucciai anche nel caffèlatte e Nick si mise al mio fianco, puntando il suo sguardo su di me, a causa del quale rischiai di strozzarmi.

«Perché mi guardi così? Mi sento osservata», bofonchiai con la bocca ancora mezza piena.

«Sei proprio una bambina», ridacchiò scuotendo la testa. Mi imbronciai e non lo degnai più della mia attenzione, anche se mi sentivo a disagio con i suoi occhi su di me.

«Bambina!», gridò Joe saltando gli ultimi scalini e sedendosi di fronte a me, le braccia incrociate sul tavolo. «Sei pronta?»

«Pronta per cosa?», corrugai la fronte.

«Oh-oh, non gliel’hai detto!», sghignazzò indicando Nick, che sbuffò.

«Dirmi cosa?»

«Che adesso vai a parlare con Fiore a proposito del dono

«Che cosa?! Perché me lo dite solo ora?!», sgranai gli occhi.

«Doveva dirtelo Nick», se ne lavò le mani, sollevando lo sguardo verso il soffitto. Mi voltai verso il “colpevole” e lo guardai severamente:

«Perché non me l’ha detto?! E di che cosa dovrei parlare con Fiore?! Sai che io…»

«Insomma, bando alla ciance!», mi interruppe il maggiore dei due. «Devi sbrigarti, sai?»
Quanto lo odiavo quando faceva così!

Sbattei i pugni sul tavolo e mi alzai, ringhiando un «Va bene». Corsi su in camera mia e mi chiusi dentro per cambiarmi.

Chissà perché Nick non mi aveva detto niente. E soprattutto, chissà perché volevano che parlassi con Fiore.
Erano così sicuri che avessi quel dono, perché?! Io mi sentivo normale e non avevo mai vissuto momenti in cui mi ero accorta di avere poteri sovrannaturali.
Se non sapevo io di avere qualcosa di diverso, perché loro sì? Forse… forse volevano proprio che capissi cosa ci fosse dentro di me, parlando con Fiore.

Scesi di nuovo di sotto in pinocchietti e maglietta verde acqua, le mie All Star nere e consumate ai piedi, e trovai Nick seduto sul divano, che sembrava mi stesse aspettando, lo sguardo rivolto al pavimento come se la tv accesa di fronte a lui proprio non esistesse.

«Possiamo andare», dissi lugubre e lui si risvegliò dall’ipnosi in cui era caduto.

«Buon viaggio, piccioncini», ci salutò con la mano Joe, sfarfallando le ciglia.

«Ma… ma come, solo io e lui? Tu non vieni?», chiesi.

«Certo che no! Forza, andate.»

Sbuffai e raggiunsi con passo strascicato Nick che teneva aperta la porta con la mano.
Sospirò quando gli passai accanto in silenzio e poi mi raggiunse all’auto senza tettuccio, mettendosi al posto di guida.
Mise in moto e io mi appoggiai alla portiera con le braccia, il viso baciato dal sole caldo del mattino e i capelli arruffati dal vento profumato di salsedine.

«Sei arrabbiata?», mi chiese.

«No», bofonchiai.

«Ok, sei arrabbiata», sospirò.

Mi girai verso di lui, saltando sul sedile, e lo guardai intensamente, fino a quando non ricambiò lo sguardo e un’improvvisa ondata di calore mi avvolse il viso

«Voglio sapere… perché», mormorai. «Perché non me l’hai detto prima?»

«Mi sono dimenticato», disse fra i denti, tanto che riuscii a stento a capirlo. Strinsi gli occhi e mi avvicinai al suo viso con espressione minacciosa:

«Non ci credo nemmeno un po’. Tu non ti saresti mai dimenticato una cosa del genere! Perché non me l’hai detto prima, Nick?»

Non rispose e tamburellò distrattamente le dita sul volante, poi accese la radio e canticchiò una canzone, facendomi venire i nervi; infatti gli voltai le spalle e non gli rivolsi più la parola per il resto del tragitto - anche se non era molto semplice, cercando di distrarmi guardando la strada, la distesa infinita di blu che si mescolava all’azzurro del cielo limpido, i gabbiani che sorvolavano la spiaggia.

Non facevo altro che pensare a lui, alle sue parole, al suo modo di fare… Mi ero affezionata, non potevo negarlo, ma dovevo ancora essere in grado di tenergli il muso per più di dieci minuti! Sentivo un peso nel petto, forse sensi di colpa per come mi stavo comportando…

Infondo… sono arrabbiata perché non mi ha voluto dire perché non me l’ha detto prima; è davvero così importante, che io lo sappia?

Forse mi stavo comportando esattamente come una bambina cocciuta e viziata, cosa che non ero veramente, e dovevo lasciar correre. Ma solo all’idea che mi stesse nascondendo qualcosa mi venivano i nervi!
Dopo tutti i discorsi che avevamo fatto, le passeggiate notturne sulla spiaggia senza farci scoprire da Joe e Kevin, le confessioni, i momenti a ridere e a scherzare… Perché lui non si confidava con me, in quel momento? Che cosa mi stava nascondendo di così segreto, tanto da non potermelo dire?

«Siamo arrivati», disse fermando la macchina di fronte al palazzo che ricordavo bene: quello di Fiore.

Quella ragazza era strana, sì, ma mai come prima la sentivo vicina; perché un conto era non essere dentro alla faccenda, vederla da fuori, ma una volta dentro… era tutta un’altra cosa.
Lei, sicuramente aveva dei poteri, possedeva quel dono, e a causa di esso mia mamma si era fatta travolgere, tanto da accantonare il lavoro che aveva sempre desiderato fare – la giornalista – e si era messa alla ricerca di un meccanismo per fare quei viaggi dimensionali, come aveva visto fare proprio da Fiore, allora solo una bambina.
Si era messa d’impegno e aveva creato una specie di marchingegno che doveva trasportare nell’altra dimensione, ma qualcosa era andato storto quando lo aveva acceso e, io e le persone che c’erano nella stanza – tranne mamma – eravamo spariti nel nulla, ritrovandoci poi in quel mondo parallelo.

Ora, dovevo chiedere a chi ne sapeva più di me. Possibile che io potessi avere quella facoltà? E che per salvare le persone a me care le avessi portate lì quando il macchinario era scoppiato?
Quella era un’ipotesi che mi era balenata in mente qualche giorno prima, ma non ne avevo fatta parola con nessuno, neppure con Nick. In effetti, anche io avevo i miei segreti da questo punto di vista.

«Allora?», mi chiese, visto che non accennavo a voler suonare al citofono di fronte ai miei occhi.

«Fiore non sarà contenta di vederti», risposi e feci spallucce, avvicinando il dito al bottoncino, ma non feci in tempo a premerlo che Alessandro, il ragazzo di Fiore – quella volta vestito – uscì dal portone e ci squadrò, una smorfia in viso, come se non ci volesse, anche se ero quasi certa che era la presenza di Nick che non riusciva a mandare giù.

«Oh, ciao», salutai muovendo la mano, un sorriso nervoso sul viso. Non mi piaceva il modo con cui guardava il mio accompagnatore, proprio per niente. Dovevo fare qualcosa!
«Lui viene in pace!», lo indicai stando in equilibrio su una gamba sola.

Nick e Alessandro mi guardarono corrugando la fronte e strappai un sorriso al primo, che abbassò il capo e trattenne una risata.

«Vi stavamo aspettando, comunque», disse Alessandro, indicandoci di entrare. Noi ci guardammo e lo seguimmo senza fare ulteriori domande, per paura che ci sbranasse vivi.

Una volta di fronte alla porta dell’appartamento di Fiore, aprì la porta e mi lasciò passare, poi bloccò la strada a Nick con il suo stesso corpo: era un armadio e sembrava anche molto minaccioso, con quell’espressione sul viso.

«Te lo scordi, tu non entri, Jonas», gli sibilò in faccia.

Nick mi guardò e sollevò le mani, sospirando; io, preoccupata, stesi una mano verso di lui con la bocca dischiusa come per dire qualcosa, ma Alessandro chiuse la porta e il silenzio mi avvolse, tanto da farmi venire i brividi.

Ero da sola. Di nuovo.

«Arianna.»

Mi voltai di scatto all’udire il mi nome e vidi Fiore seduta sulla sua poltrona, le gambe strette al petto e lo sguardo vacuo.
Mi avvicinai in pensiero per lei e le posai una mano sul braccio, inginocchiandomi al suo fianco.

«Ehi, tutto bene?», le chiesi.

«Non pensavo venissi con lui», tremolò. «Ma poi vi ho visti.»

Sa anche vedere il futuro? mi chiesi impressionata, mentre stiracchiavo un falso sorriso per rassicurarla.

«Non ti preoccupare per lui, siamo amici.»

«Amici?», sgranò gli occhi. «Davvero?»

«Sì, davvero», annuii. «Certo, gli altri due non fanno un cervello intero, però Nick… Nick ha qualcosa di speciale.»

«Che strano sorriso che hai», ridacchiò riprendendo vita, gli occhi di nuovo luminosi. «Sembra che tu ti sia presa una cotta, sai?»

«Ma che stai blaterando?!», arrossii e tolsi la mano dal suo braccio, circondandomi il petto come per difendermi.

«Provare dei sentimenti è bello», mi incoraggiò, prendendomi le spalle. «Ma non sei qui per parlare di questo, vero?»

«Era proprio quello che stavo pensando», mormorai.

«Sei qui per il tuo dono, vero?», sorrise dolcemente.

«Anche tu?! Possibile che tutti sappiano e io no?! Io… Io non ho quel dono! Non lo voglio!», gridai con le lacrime che mi pizzicavano gli occhi.

«Rinneghi la tua stessa natura?», mi chiese delusa. «Sai… forse perché io ho questo potere da quando sono piccola e ho imparato a vederne gli effetti positivi, ma anche tu puoi, se lo vuoi. Tutti noi siamo speciali a modo nostro, su questo non c’è dubbio; tu sei speciale in questo modo e non puoi rinnegarlo.»

«Ma io… io non sono capace di fare quello che fai tu!»

«Solo perché ancora non ci credi: finché non l’accetterai e non vedrai questa cosa come un bene, non funzionerà mai.»

«Quindi… tutto quello che devo fare è crederci? E poi? Cosa succede, come devo fare… io…», mi portai le mani sulla testa, che iniziava a girarmi dalla confusione.

«L’importante è che tu ci credi, sì. Non posso sapere cosa succederà, perché è una cosa che sentirai solo tu. Capirai tutto quando avverrà.»

«E quando? Quando?!»

«Quando lo vorrai tu», mi fece un sorriso e poi si alzò dalla poltrona e si incamminò verso la cucina con passi così leggeri che sembrava danzasse.
Quella ragazza era davvero stranissima, ma non potevo non credere alle sue parole.

Quello che mi preoccupa, però, è la pratica, mi mordicchiai il labbro e sospirai.
Ce la farò. Ce la farò, devo tornare a casa! E devo aiutare i Jonas.
Li devo salvare, perché io… io se voglio, posso.

Mi alzai da terra, convinta dei miei pensieri, e salutai distrattamente Fiore, dirigendomi alla porta, che spalancai facendo quasi cadere Alessandro che ci era appoggiato, facendo ridacchiare Nick, al quale si illuminarono gli occhi appena mi vide.

«Tutto a posto?», mi chiese.

«Sì, penso di sì. Andiamo. Ciao Alessandro, grazie.»

«Non c’è di che», bofonchiò e ritornò all’interno, dalla sua Fiore.

«Quel bestione iniziava a farmi paura, non faceva altro che fissarmi come se volesse uccidermi! Menomale che sei arrivata», disse rincuorato, avvolgendomi le spalle con un braccio e colpendo leggermente la mia testa con la sua. «A te com’è andata con Fiore? Avete parlato?»

«Sì», annuii, investita dall’aria calda all’esterno del palazzo.

«Non mi racconti?», corrugò la fronte, fermandosi e guardandomi salire sull’auto parcheggiata lì di fronte.

«Che cosa devo raccontarti? Non ci siamo dette nulla di particolare.»

«Ok, ho capito», sbuffò e si mise al posto di guida, sbattendo la portiera. «La tua è solo una ripicca, perché io non ti ho detto il motivo per il quale non ti ho avvisata prima di questo incontro, vero?»

«Potrebbe essere», incrociai le braccia al petto e guardai di lato, offesa. Lui scosse la testa, arrendevole, e diede gas, senza proferire più parola.

Girammo un po’ per il paese in silenzio, forse voleva farmi godere ancora un po’ dell’aria aperta, ma quando mi accorsi che stava prendendo la strada che portava al paese accanto, mi preoccupai e ruppi il silenzio glaciale – nonostante fosse estate – che si era creato fra noi.

«Dove stiamo andando?», chiesi deglutendo di fronte alla sua espressione dura e concentrata.

«Sfruttiamo già che siamo fuori e andiamo a cercare tuo fratello, ti va? O sei così arrabbiata con me da non voler neppure –»
Lo abbracciai di slancio, stringendolo fortissimo e nascondendo il viso contro il suo petto; si interruppe e sorrise, avvolgendomi la schiena con un braccio.

«Penso che la tua risposta sia: “Andiamo”», mormorò aumentando la velocità, spingendosi contro il vento.

***

Il suo gesto mi aveva molto sorpresa, non me lo sarei mai aspettata, soprattutto dopo il mio comportamento tutt’altro che carino nei suoi confronti.
Me l’ero presa come una bambina e lui, nonostante ciò, mi aveva fatto comunque il bellissimo regalo di andare a cercare il mio caro fratellino.

Il tentativo era stato vano, perché non l’avevamo trovato da nessuna parte e chiedendo nessuno l’aveva mai visto, però quel gesto non me lo sarei scordata facilmente.

«Lo troveremo, vedrai», mi sussurrò all’orecchio, massaggiandomi la spalla.
Gli sorrisi e lo ringraziai con lo sguardo, per poi riappoggiarmi alla sua spalla con gli occhi fissi sul cielo del tramonto.

«Fiore mi ha fatto capire che ho qualcosa, dentro di me», ripresi il discorso, titubante. Quella volta non sollevai lo sguardo su di lui, continuai a guardare il mare. «Mi ha detto che funzionerà solo se ci credo, cosa che ora… non mi riesce molto bene.»

«E io non voglio che tu impari ad usare il tuo potere», confessò, stringendomi un po’ di più al suo fianco. Sorpresa alzai il viso e lo guardai con un enorme punto interrogativo stampato in faccia.
«Non ti avevo avvisata di quest’incontro con Fiore perché… perché la verità è che non voglio che impari ad usare il tuo potere.»

«Ma… ma perché? Io non capisco… Tu e i tuoi fratelli state facendo di tutto per cercare di tornare a casa!»

«Sì, però… non voglio che sia grazie a te, perché tu potresti anche imparare a fare questi viaggi dimensionali e potresti… lasciarci qui», abbassò il capo, la sua voce che si assottigliava ad ogni parola. «E non voglio che accada, non voglio che tu… mi lasci.»

«Io… Io non lo farei mai! Se davvero imparassi ad usare il mio dono, lo utilizzerei anche per portare a casa voi, non sono così egoista!»

Ci guardammo negli occhi e Nick annuì, mi passò una mano sulla guancia, delicato, e si avvicinò al mio viso.

«Me lo prometti?», sussurrò.

Il sole continuava a tramontare lasciando il cielo in una sfumatura rossastra e chiusi gli occhi, anche se un po’ agitata per quello che immaginavo stesse per succedere.

«Te lo prometto.»

Quando però le sue labbra si posarono leggere sulle mie il mio cuore volò alto, libero, come i gabbiani nel cielo; sereno, anzi forse addirittura… felice.

Te lo prometto.

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Buongiorno! :)
Sono ancora viva, ebbene sì u.u
Questo capitolo è uno dei miei preferiti! *-* Spero sia piaciuto anche a voi, fatemi sapere che ne pensate e scusate la lentezza con cui posto questa ff, ma sono un bel po’ incasinata in questo periodo xD
Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo:

Tappina_5_S: Sono molto contenta della tua curiosità, è il mio intento! ;D Il rapporto con Ary e Nick… vedremo come si svilupperà, intanto si sono baciati! Joe Mr.Serio mi piace xD Anche se non è proprio così e in questo capitolo te ne sarai accorta xD
Spero ti sia piaciuto! Alla prossima, bacio!

miusic__dreamer: Grazie *-* Sono felicissima che a qualcuno piaccia sul serio questa storia che non avrei mai immaginato di scrivere xD Bene, mi sento realizzata! :D
Joe è strano? Sì, non sapendo come farlo l’ho fatto un po’ strano, ma non gli piace Ary, stai tranquilla u.u (All’inizio volevo fare che piaceva a tutti e due, ma poi ho cambiato idea xD Quindi avevi intuito giusto!)
Bella la perla di saggezza, sono pienamente d’accordo con te! *-*
Grazie! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto abbastanza da farmi perdonare il tempo trascorso! :) Alla prossima, baci!

nes95: No, in effetti non mi piacciono granché >///< E il migliore fra tutti è Nick, sia musicalmente che fisicamente xD
Sono contenta che ti sia piaciuto! Anche questo capitolo in tenerezza non scherza! Spero sia stato di tuo gradimento come il precedente!
A presto, bacio!

Ringrazio anche chi legge soltanto e chi ha messo questa storia fra le seguite, le preferite e le ricordate! ;D
Alla prossima! Con affetto vostra,

_Pulse_

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Buongiorno a tutti! ^-^
È passato un bel po’ dall’ultimo aggiornamento… Sono imperdonabile, ma scusatemi lo stesso! >/////////< Questo periodo è un po’ incasinato, tanto che spero vivamente che questo capitolo ne sia valsa la pena di aspettare così a lungo!
La canzone che ho usato (una riga, alla fine xD) in questo capitolo è Black keys, dei Jonas Brothers.
Ringrazio di cuore nes95 e miusic__dreamer per le recensioni allo scorso capitolo, spero che vi sia piaciuto e che mi perdonerete per questo mio mostruoso ritardo! >///<
Grazie mille anche a chi legge soltanto! :)
Buona lettura :D Alla prossima, vostra

_Pulse_

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Capitolo 5

Nick mi ha baciata! Ho baciato Nick! Ci siamo baciati!

Scalciai nel letto, il viso nel cuscino, con una strana euforia che mi circolava nelle vene nonostante il tentativo fallito di ritrovare mio fratello.

Rizzai seduta e mi portai le mani sulla nuca, sotto i capelli, con degli sgradevoli brividi che mi percorrevano la schiena.
Non avevo trovato mio fratello e lo stavo per dimenticare colta dalla sorpresa di quel bacio; stavo per dimenticarmi che lui era ancora lì da qualche parte per quello stupido scontro di labbra!

Alcune lacrime mi punsero gli occhi e lasciai che si raccogliessero liberamente sulle lenzuola sfatte, mentre la mia mente viaggiavano in ricordi che sembravano appartenere ad un’altra epoca. Il tempo lì o passava troppo in fretta o non passava mai; non riuscivo a sentirmi in simbiosi con me stessa, volevo tornare a casa.

Bussarono alla porta e al pensiero che potesse essere Nick mi alzai di scatto e corsi in bagno, mi tolsi i vestiti e mi gettai sotto il getto ghiacciato dell’acqua, stringendo i denti e gli occhi.

«Ary!», gridò proprio Nick, avvicinandosi alla porta chiusa del bagno.

«Sono in doccia!», dissi con voce nasale, ma non se ne accorse.

«Oh. È pronta la cena.»

«Non ho molta fame.»

«Ehi… è successo qualcosa?»

«No, non è successo niente», dissi con un tono di voce in meno, chiudendo gli occhi all’acqua ora tiepida che mi accarezzava. «Sono solo stanca.»

«Ok, va bene», annuì, lo sguardo basso.

Sentii i suoi passi allontanarsi e la porta della camera chiudersi alle sue spalle, poi silenzio. Un silenzio angosciante che mi fece singhiozzare e scivolare con la schiena lungo le piastrelle fredde, rannicchiandomi con le gambe strette al petto, una ferita che bruciava nel petto.
Non avrei voluto trattarlo così, non dopo la bellissima giornata che avevamo passato insieme e quello che era successo, ma il mio umore era andato a finire sotto terra.

Chissà dov’era finito il mio fratellino. Chissà se davvero anch’io, come Fiore, possedevo il dono di viaggiare da un mondo all’altro. Chissà se l’avrei mai capito. Chissà se sarei mai riuscita a tornare a casa.

Tutto quello che mi aveva detto quella strana ragazza dai poteri paranormali mi aveva confusa, disorientata, mi aveva fatto chiedere chi fossi davvero io e che cosa potessi davvero fare.
Possibile che fossi anch’io come lei?

Ero stanca, stanca di tutto, ma non potevo tirarmi indietro, non ancora. Fin quando non avrei trovato una soluzione.

I quesiti senza risposta nella mia testa erano troppi, non riuscivo a concentrarmi e a pensare, forse quello che mi ci voleva era proprio un po’ di sano cibo sotto i denti e un po’ di relax.

Beh, già che ci sono mi faccia la doccia.

***

«Che ci fai tu qui, avevi detto che…», disse Joe, guardandomi negli occhi e nello stesso tempo indicando Nick, che diventò paonazzo in volto a causa di un mio sguardo dolce forse troppo prolungato.
Fu una reazione che però mi fece sorridere e prima o poi l’avrei ringraziato, ne avevo davvero bisogno.

«Il mio stomaco ha iniziato a brontolare contro la mia volontà», alzai le spalle e li raggiunsi al tavolo, sedendomi accanto a Kevin, di fronte agli altri due. «E non ho potuto resistere. Che si mangia di buono?»

«In realtà…», Joe guardò i suoi fratelli e poi tornò su di me: «Abbiamo già mangiato.»

«C-come», balbettai, incredula. «Non è possibile… Io ho fame! Ho fame, ho fame, HO FAME!»

«Ahm… Ok, aspetta, vado a parlare con Carmen!», disse Nick preoccupato che io potessi avere una crisi isterica in piena regola, ma appena si alzò la cuoca si presentò di fronte a noi con un vassoio sul quale c’erano quattro coppe di vetro stracolme di gelato di tutti i gusti.

«Questo è il paradiso», mormorai unendo le mani sul petto, gli occhi brillanti.

«Lo so», sorrise raggiante Carmen, posando il vassoio al centro del tavolo; distribuì le coppe, stando attenta a dare a Nick la sua – anche lui aveva il suo gelato personale, senza zucchero a causa della sua malattia: il diabete. Io ovviamente lo avevo scoperto con una figuraccia: lo avevo quasi costretto a fare una gara a chi mangiava più marshmallow in due minuti, fino a quando non aveva sputato il rospo e mi ero sentita invadere dalla vergogna, mentre lui se la rideva.

«E ora, tutti in coro: Grazie, Carmen!», disse indicandoci.

«Grazie Carmen!», ripetemmo sorridenti, prima di tuffarci su quello che era il mio dolce preferito.

«Allora, com’è andata oggi? Ci avete messo tanto!», disse Joe. Ovviamente non poteva non tacere fino a quando il mio gelato non fosse evaporato magicamente dalla tazza! Doveva per forza rovinare anche quel momento di pace apparente!

«È andata bene», disse Nick senza sollevare lo sguardo. Che stesse fuggendo dal mio?

«E… Che cosa vi siete dette?», chiese direttamente a me quella volta.

«Niente di ché», sollevai le spalle.

«Ma… ma come! Siete andati lì per nulla?! Non è che ci state nascondendo qualcosa?», sollevò il sopracciglio e ci guardò, quel sorrisetto malizioso sulle labbra. «Oh, ho indovinato! Siete proprio due piccioncini!»

«Ma che cosa vai blaterando?!», gridai rossa in viso, proprio come Nick che aveva alzato il viso, rischiando per altro di strozzarsi all’affermazione del fratello. I nostri occhi si incontrarono e saremmo diventati pure viola, se avessimo potuto.

«Questo conferma pienamente le mie teorie!», gridò indicandoci, ridendo sguaiatamente. «Quando vi sposerete?»

«Ma perché non vai in quel posticino che conosci tanto bene?!», gridai ad occhi sgranati, alzandomi di scatto e uscendo fuori in giardino, nella veranda all’aperto delimitata da tanti cespugli di fiori banchi e profumati.

Mi misi seduta su uno dei divanetti bianchi e mi strinsi le braccia al petto, portando i piedi sul tavolino.
La luna era splendente nel cielo punteggiato di stelle e alle mie orecchie arrivava il rumore delle onde che si infrangevano sulle rocce degli scogli, nel solito profumo di salsedine che mi faceva girare la testa talmente mi piaceva.

«Levati quel broncio, sei brutta.»

Mi voltai, sorpresa, e vidi Nick appoggiato allo stipite della porta vetrata, un sorriso dolce sulle labbra. Si avvicinò e sospirò mettendosi a sedere di fianco a me, tanto da toccarmi la spalla con la sua. Un brivido mi percorse la spina dorsale a quel contatto e l’immagine di quel bacio mi riempì la testa, così concentrai la mia attenzione su qualcos’altro: le mie scarpe.

«Non devi badare a quello che dice Joe, sai com’è fatto», sollevò le spalle. «Non prendertela.»

«Non me la sono presa.» Il suo sguardo mi fece roteare gli occhi al cielo, arrendevole: «Ok, va bene! Ma… Insomma, quello che è successo oggi… Non siamo obbligati a dirglielo, ecco. Deve imparare a farsi i fatti suoi!»

«Con questo sono d’accordo con te. A proposito di quello che è successo oggi…», si passò una mano sulla nuca, imbarazzato. «Mi dispiace se ti ha dato fastidio, dopo non hai più detto una parola e…»

«Non mi ha dato fastidio!», sobbalzai portando le mani sulle sue, guardandolo dritto negli occhi, ignorando il mio viso che andava a fuoco. «Mi ha solo… sorpresa.»

«Quindi non sei arrabbiata con me?»

«No! No, che non lo sono», mi sciolsi in un sorriso. «Sono solo… stanca, è la parola giusta. Voglio tornare a casa, Nick. E voglio vedere mio padre, i miei zii, la mia amica…»

«Mi dispiace», mormorò attirandomi a sé. Mi donò un bacio sulla tempia e io mi appoggiai alla sua spalla, accoccolandomi in quel calore e in quella sensazione rassicurante. Possibile che riuscisse a farmi sentire così bene con così poco?

«Ragazzi!», gridò Joe uscendo in veranda, fermandosi appena ci vide abbracciati in quel modo. Non mi feci impressionare dalla sua espressione e guardai quello che reggeva fra le mani: sembravano inviti.

«Che cosa sono?», gli chiesi indicando i cartoncini colorati.

«Oh. Ci hanno invitati ad una festa in maschera che ci sarà domani sera! Ci andiamo?» Aveva il viso raggiante, sembrava un bambino!

«Chi l’ha organizzata?», chiese Nick sospettoso: avrei pagato oro per sapere che cosa gli passava per la testa in quel momento!

«Ahm… Le tre ragazze che…»

«Le tre cheerleader!», gridai terrorizzata, mettendomi le mani nei capelli. «Oddio, ragazzi buona fortuna!»

«No, tu vieni con noi!», urlò Nick e mi strinse forte la mano, attirandomi a sé.
Lo guardai sorpresa e capì che quella frase non era solo ciò che sembrava, era… un invito esplicito ad andare con lui.
Sorrisi e automaticamente accettai.

***

«Se una di quelle tre oche pensa solo lontanamente di avvicinarsi a Nick, la faccio fuori. Non me ne fotte niente che la festa l’hanno organizzata loro!» Mi guardai e sbuffai. «Questo vestito è uno strazio! Perché ho deciso di metterlo, accidenti!? Ah sì, perché Nick mi ha detto che gli piaceva. Ok, sono cotta come una pera. Cacchio!», mi presi i capelli stirati fra le mani e mi lasciai cogliere dall’ansia.

Ero parecchio agitata e alla mia sanità mentale non faceva bene, senza contare il rischio di sembrare più pazza di Fiore se andavo avanti così!

«Ary, con chi stai parlando?»

Sgranai gli occhi e mi girai verso Nick, spuntato magicamente al mio fianco, che mi guardava divertito mentre si versava da bere in un bicchiere. Un lampo d’ira mi attraversò gli occhi e lui arretrò spaventato, così io scoppiai a ridere.

«Con nessuno», mossi la mano come se dovessi scacciare una mosca e tornai a fissare il basso, guardando il mio accompagnatore con la coda dell’occhio: indossava un elegante completo azzurro, una camicia bianca – come le scarpe – e un papillon nero. Era davvero bello.

Io invece sembravo una bambola mal riuscita con quel vestito vaporoso addosso, simile a quelli delle principesse, i capelli lisci e gli occhi truccati di verde chiaro.

«Sono ridicola», sbuffai stringendo nervosamente la stoffa della gonna. «Semplicemente ridicola.»

«Ma che cosa stai dicendo?», si avvicinò e i nostri corpi si sfiorarono, riuscendo a farmi diventare bordeaux con fin troppa facilità; ma ciò nonostante sollevai il viso verso il suo ed incontrai un sorriso capace di squagliarmi come un cubetto di ghiaccio al sole.
«Sei stupenda.»

«Grazie, anche tu», balbettai; lui ridacchiò e guardò verso la pista da ballo, dove i suoi fratelli si stavano scatenando con le ragazze, anche se le tre cheerleader li controllavano da lontano, verdi di gelosia.

«Tu non vai?», gli chiesi incuriosita.

«Solo se mi concedi questo ballo», sorrise e mi porse la mano.

Era appena partito un lento, manco a farlo apposta, e si erano create solo coppie. Nick voleva veramente fare coppia con me?!

«Non so ballare», scossi la testa. «Sono super scoordinata, è meglio di no davvero.»

«Io sono messo peggio di te, scommetti?» Mi guardò con quegli occhi capaci di sedurre chiunque e dovetti accettare. Lo presi per mano e mi lasciai trascinare in pista.

Goffamente mi posò una mano sulla schiena e con l’altra avvolse la mia, portandosela al petto: il suo cuore batteva velocissimo, tanto che mi sorpresi e mi chiesi se davvero anche lui provava ciò che provavo io nei suoi confronti.
Stretta fra le sue braccia mi sentivo protetta, era una sensazione unica, che non avevo mai provato in vita mia, e avrei tanto voluto che non finisse mai.
Finii per ascoltare i battiti del suo cuore, quello era il ritmo che sentivo. Non c’era più nessun’altro per me, eravamo solo noi due, immersi in quei movimenti leggeri, quasi impercettibili, ma rilassanti.

«Ary», sussurrò al mio orecchio, interrompendo il silenzio che si era creato, quella stranissima sensazione di tranquillità che si era fatta spazio dentro di me. La sua voce era musica, ormai.

«Uhm?»

«Credo di non averti mai ringraziata come si deve, in tutto questo tempo.»

«Ringraziata? E per quale motivo tu dovresti ringraziarmi? Sono io semmai che –» Posò un dito sulle mie labbra e le accarezzò, poi mi sorrise:

«Nonostante il nostro incontro abbastanza brusco, nonostante il nostro comportamento da guardie iniziale, da quando sei arrivata non ti sei mai arresa, sei rimasta con noi e sei riuscita a farci sorridere di nuovo, dopo troppo tempo. E… e sei riuscita pure a farmi battere il cuore in questo modo…»

«Oh Nick», soffiai; lui spostò delicatamente la frangia che mi sfiorava il viso e si avvicinò lentamente, già sapevo che cosa sarebbe successo e lo desideravo con tutta me stessa, ma venne interrotto bruscamente da Joe, che aprì le braccia ed euforico ci strinse a sé, cantando a squarciagola.

«Ma tu sei ubriaco!», gridò Nick, tentando di liberarci.

«Ma che cosa dici, fratellino!», singhiozzò e si coprì la bocca, prima di scoppiare sguaiatamente a ridere.

«Vado a metterlo al sicuro, arrivo subito», mi disse, sorridendomi dolcemente. Io annuii e, quando sparì sulle scale, raggiunsi il tavolo delle bibite: tutto quel “ballare” mi aveva fatto venire sete!

Mentre mi dissetavo, una ragazza minuta, i capelli lunghi e neri sulle spalle e con un vestitino rosso addosso, mi si avvicinò e incominciò a fissarmi con i suoi occhi belli ma capaci di mettermi altrettanto in soggezione. Io tentai di ignorarla, ma era davvero difficile!
Come se mi avesse letto nel pensiero sogghignò e si concentrò sulle bottiglie di fronte a sé, indecisa su cosa bere.

«Tu sei l’amica di Nick?», chiese ad un certo punto, facendomi spaventare.

«Sì, sono… sono una sua amica, perché?»

«Niente, così», sogghignò. «Carino, dai.»

Che cosa cavolo vuole, questa?! berciai nella mia testa. Stava iniziando ad innervosirmi e avrei scommesso che quella ragazza, ora che la guardavo bene, aveva qualcosa di familiare.

«Forse un po’ troppo possessivo nei tuoi confronti, no?», alzò gli occhi, meditabonda. «Insomma… Sono certa che se tu gli chiedessi di andare a trovare i tuoi parenti in prigione ti direbbe di no.»

Avevo gli occhi sbarrati, incredula, e il fiato mozzato, il cuore che batteva lentamente, come il tempo che sembrava essersi fermato.
Chi era quella ragazza e perché mi ricordava qualcuno? Che cosa voleva? Perché sapeva tutte quelle cose che, ora che ci facevo caso, erano davvero così… realmente spiazzanti?

«E poi… Chissà se quello che ti dice è vero o se è solo un modo per non farti andare via e per farti collaborare con loro con più facilità. Che ne sai, potrebbe essere tutto un’enorme bugia costruita alla perfezione per trovare il modo di tornare nell’altra realtà, sfruttarti e poi scaricarti alla prima occasione.» Ridacchiò coprendosi la bocca e mi guardò negli occhi: ebbi la piena conferma che quella ragazza mi era familiare, ma non riuscivo ad inquadrarla. «Io non mi fiderei troppo, se fossi in te», sussurrò prima di sorridermi e di tornare da dov’era venuta.

Non riuscivo più a capire niente, una grande confusione si era appropriata della mia mente, oltre alla fastidiosa morsa che mi aveva intrappolato il cuore all’insinuazione che tutto quello, persino il nostro bacio, fosse stata una bugia per farmi collaborare, per rendermi più docile.
Nick non mi sembrava affatto il tipo di ragazzo che avrebbe potuto fare una cosa del genere, però… però eravamo in un mondo parallelo dal quale anche loro tentavano di fuggire ad ogni costo, avrebbero potuto benissimo fare tutto questo…
Che quella ragazza avesse ragione? Che fosse stata tutta una bugia, una farsa? Che quello che sentivo, quello che credevo di sentire, fosse nato a causa di un inganno? Che il mio cuore battesse per una persona così egoista ed approfittatrice, come mi aveva fatto intuire quella ragazza? Dovevo ancora fidarmi di loro?
Per scoprirlo c’era solo una cosa da fare, anche se avevo già il cuore a pezzi e le lacrime che premevano per tagliarmi il viso.

Camminai lentamente verso Nick, appresso al Joe brillo con Kevin, e attirai la sua attenzione prendendolo per il braccio e stringendo, guardandolo fisso negli occhi, nonostante mi sentissi morire.

«Ary, che è successo? Perché hai quella faccia? Ti senti male?», chiese preoccupato sfiorandomi la guancia con la mano, ma io la allontanai bruscamente.

«Voglio andare a trovare i miei parenti e la mia amica in prigione», sibilai con voce roca, a causa del magone che mi si era formato in gola, lottando contro le lacrime, il viso serio.

«Che cosa? Adesso?» Sembrava… nervoso. Che fosse davvero così, come aveva detto quella ragazza misteriosa? Che volessero solo sfruttarmi a proprio piacimento?

«Ha qualche importanza? Voglio andarci.»

«Ary, non mi sembra il caso. Tu –»

«Allora… allora è proprio vero! Volete solo sfruttarmi! È solo una bugia, è sempre solo stata una bugia, una montatura! Dio, mi fate schifo! Soprattutto tu, Nick! Mi hai illusa, io ho abboccato all’amo come una stolta e ora chi è a pagarne le conseguenze, eh?! Io, io, IO! Sei… sei… IO TI ODIO!», gridai senza mai prendere fiato fra una frase e l’altra, senza badare al fatto che tutti ci stessero guardando, compresa quella ragazza che ora sogghignava, compiaciuta; senza badare alle lacrime che portavano via il trucco dagli occhi e lo spargevano sul viso; senza badare alla mia gola che faceva male, che bruciava come il mio cuore ormai ridotto a brandelli.

Nick, scioccato, provò a parlare, ma io corsi via: non volevo ascoltare altro da lui, non volevo sentire altre bugie; non volevo nemmeno più vederlo. Avrei voluto non conoscerlo. Avrei voluto non essermi innamorata di lui.

Uscii dalla casa, ignorando le sue grida e quelle dell’altro Jonas lucido, scesi in strada e corsi all’impazzata, nonostante la gola in fiamme.
Scoprii la mia meta, dove le mie gambe mi stavano portando, solo a metà della corsa: dovevo andare da mio padre, dai miei zii, dalla mia amica; avevo bisogno di loro più di ogni altra cosa, non mi importava se qualcuno me l’avesse impedito, avrei almeno lottato.

Per essere una sera come tante altre c’erano molte auto nelle strade. Io correvo, impacciata da quel vestito, cercando di seminare Nick che non era per niente intenzionato a lasciarmi andare via.

Per forza, gli servo ancora!, gridai di rabbia nella mia testa, chiudendo gli occhi. In quella frazione di secondo rischiai di farmi investire: per fortuna l’automobilista frenò in tempo, ma nessuno mi tolse una bella suonata di clacson.

Continuai a correre fra le luci dei negozi e dei lampioni, sotto il cielo punteggiato di stelle e poco illuminato dalla luna, il vento che mi scompigliava i capelli, fino a quando non vidi stagliarsi di fronte a me il palazzone che era stato trasformato in un carcere per i Ribelli al Mondo.
Chi voleva davvero stare lì, solo i deboli, gli arrendevoli! Io, noi non facevamo parte di quella categoria, avrei preferito la morte!

«Ary, fermati!», gridò Nick alle mie spalle. Si stava avvicinando, non potevo rallentare! «Cattureranno anche te!»

Che ci provino!

Entrai nell’edificio e la ragazza che stava dietro al bancone alzò la testa, sorpresa. Mi guardò quel tanto che bastò per riconoscermi e per dare l’allarme, io iniziai a correre verso i piani alti, dove sapevo esserci le celle dei Ribelli più pericolosi, tra cui proprio mio padre e i miei zii.
Sentivo qualcuno correre dietro di me, anzi più di una persona dal rumore dei passi, così aumentai la velocità, senza pensare alle gambe che mi dolevano tanto da togliermi il fiato.

Arrivai alla fine della rampa e mi trovai di fronte ad una grossa guardia, probabilmente era stata avvisata, che tentò di afferrarmi fra le braccia, ma io gli passai sotto le gambe e perse l’equilibrio, cadendo addosso al suo compagno che mi stava alle calcagna.

Bene, due sono stati eliminati! esultai. Mai come allora mi stavo sentendo libera, libera davvero.

Vidi Nick, affaticato ma che per nulla al mondo si sarebbe arreso, che scavalcò le guardie e mi venne incontro, gridando di fermarmi; al contrario io ripresi a correre verso il mio traguardo che si faceva sempre più vicino.

«Arianna, bambina mia!», gridò qualcuno alle mie spalle. Mi girai: avrei riconosciuto quella voce fra un milione!

«Papà!»

Lo vidi con le mani strette intorno alle sbarre di ferro, il volto stanco, ma la solita voglia di combattere e di tornare a casa negli occhi. Dietro di lui c’erano zio Dario e zio Manuel, nella cella accanto invece c’era Loruama, parecchio pallida.

«Che ci fai qui, devi andartene!», disse preoccupato, gli occhi pieni d’ansia. «Ti cattureranno!»

«Che lo facciano, papà», sussurrai inginocchiandomi a terra, di fronte a loro, e prendendoli tutti per mano. «Sempre meglio stare con voi che con –»

«Ary!», gridò Nick correndomi incontro con il fiatone.

Alle sue spalle vidi la ragazza della festa che mi aveva detto quelle cose che mi avevano “aperto gli occhi” e per una frazione di secondo vidi il suo vero aspetto, come se la figura della ragazza giovane e carina fosse un ologramma difettoso: era la vecchia veggente che aveva cercato di imprigionarmi quando le avevo chiesto aiuto per tornare nell’altro mondo.

In quel momento tutto si fece dolorosamente chiaro e vidi tutto a rallentatore: Nick che mi correva incontro preoccupato, stendendo una mano, gridandomi qualcosa che non riuscivo più a sentire; la ragazza/vecchia che si fermava a scoppiava a ridere sguaiatamente perché aveva avuto una mezza vittoria; mio padre che mi parlava e io non riuscivo a capirlo.

Improvvisamente un cerchio scuro intorno a me e alle persone che mi stavano toccando, si strinse, tagliando fuori tutti gli altri, fino a quando proprio questo cerchio scuro non mi risucchiò otturandomi le orecchie e bloccandomi il respiro.
E nel buio più assoluto, persi i sensi.

Sometimes a fight is better black and white

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Buonasera! :)
Credo che sia arrivato anche il momento di aggiornare, no? xD Mi faccio sempre attendere come una dannata, ma abbiate pietà di me! n.n
Allora, la canzone che ho usato in questo capitolo è ancora Black keys, degli stessi Jonas.
Ringraziamenti veloci velocissimi, visto l’ora, a chi ha recensito lo scorso capitolo:

miusic__dreamer : Sono contenta che ti piaccia così tanto, da riuscire a sopportare i miei deplorevoli ritardi! :D Vedremo che succederà fra Nick e Ary… E soprattutto, che è successo ora che Ary ha perso i sensi! Grazie mille, alla prossima e buona lettura! ;)

nes95 : Uhm… vedrai che cos’è accaduto xD Sono felice che ti piaccia! :) Alla prossima, un bacio e buona lettura!

svampy1996 : No che non ti odio! xD Spero che questo ti piaccia! Buona lettura!

Ringrazio anche chi ha letto soltanto!
Ora vi lascio alla lettura, godetevelo! ;D
Alla prossima, un bacio! Vostra,

_Pulse_

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Capitolo 6

Sentii un dolore acuto alla schiena dopo un tonfo e gemetti, cercando di aprire gli occhi, ma le palpebre sembravano incollate l’una con l’altra come se avessi dormito per chissà quanto.
A proposito, non sapevo né dove mi trovavo né che giorno era.

Sentii un rumore di chiavi tintinnare in una ciotolina di vetro non molto lontano, poi dei passi lenti e poi un po’ più veloci, fin quando non si accese la luce e qualcuno bisbigliò qualcosa prendendomi per la nuca e sollevandomi cautamente.

«Piccola mia, piccola mia», riuscii solo a capire fra le mezze frasi. Non riuscivo a capire niente, talmente ero rintronata.
Quella voce però, quella voce era troppo impressa nella mia mente per non riconoscerla all’istante.

Con un sospiro mormorai: «Mamma, mamma sei tu?» Provai ancora ad aprire gli occhi e quella volta ci riuscii, anche se vedevo sfuocato.

«Sì, amore, sì, sono io», rispose con un accento di felicità nella voce, mentre mi accarezzava le guance. «Ti fa male qualcosa, riesci ad alzarti?»

«Sì, io… Mi fa male la schiena», tossicchiai e cercai di alzarmi, nonostante la testa compressa in un cerchio fastidioso e la vista appannata che pian piano si stava schiarendo, dandomi la possibilità di capire dove fossi caduta.
«Accidenti, in tutti i posti che c’erano, proprio sulle scale?», mugugnai e con l’aiuto di mamma riuscii a mettermi in piedi.

Caracollai, sempre sostenuta, fino al divano, sul quale mi sdraiai senza energie. Non avevo fame, né sete, eppure volevo colmare un vuoto che mi si era formato all’altezza del petto. La mia testa era leggera, fin troppo: era una strana sensazione.

«Piccola, stai bene?», mi chiese mamma, comparendo con un bicchiere d’acqua in mano, che mi porse e io rifiutai con un cenno del capo.

«Non so, è tutto… confuso.»

«Forse è meglio se vai a dormire, domani mattina ti sarà tutto più chiaro e… starai meglio e potrai chiedermi tutto quello che vuoi. Non ci separeremo mai più, mai più.»

E con quelle ultime parole di sottofondo mi addormentai, anche se quel vuoto che percepivo non aveva nessuna intenzione di farmi crollare definitivamente nel mondo dei sogni.

Fu un sonno leggero, agitato, ma mi riposai abbastanza da riuscire a riordinare le idee. Infatti, il mattino seguente, mi svegliai nel mio letto, quello di casa mia, e ricordai in un baleno tutto ciò che era successo. E con la stessa velocità, mille interrogativi si sovrapposero l’uno sull’altro nella mia testa.

Avevo vissuto un arco di tempo in un mondo parallelo, insieme ad una ragazza di nome Fiore che aveva il potere di andare e venire da questo all’altro mondo, cercando di scappare dai fratelli Jonas, che alla fine mi avevano catturata.
I miei parenti e la mia amica erano finiti in prigione per colpa mia, fuggiaschi, e io in una villa megagalattica con quei tre svampiti.
Mi ero affezionata a loro, ad uno in particolare, e l’ultima sera, quella della festa in maschera, avevo espresso il desiderio di rivedere i miei cari; avevo litigato con Nick ed ero scappata. Una volta di nuovo con mio padre, i miei zii e Loruama, tutto si era dissolto, risucchiandoci un buco nero. Dopodiché mi ero svegliata sulle scale di casa mia, confusa e con la testa che scoppiava.

Dov’erano i miei parenti, dov’era Loruama? Stavano bene? Ero stata proprio io a farci tornare nel mondo “normale”? Quanto tempo era passato, quanto tempo eravamo rimasti via? E i Jonas Brothers?

Nick? Aggiunsi con un groppo in gola e le lacrime agli occhi.

Sentii dei passi leggeri e scorsi una figura dietro la porta che timidamente si affacciò, con un vassoio fra le mani.

«Buongiorno, bambina.»

«Mamma», sussultai e schizzai seduta sul letto, preoccupata. «Dove sono papà, zio Manuel e zio Dario? E dov’è Loruama? E… e Davide? Dove sono tutti, stanno bene? Che cos’è successo veramente? Sono stata io a…? È assurdo, mamma! Mamma, mamma…» Ormai piangevo e singhiozzavo, mia madre lasciò il vassoio infondo al letto e mi strinse a sé, accarezzandomi i capelli sulla testa.

«Piccola, stai tranquilla. Papà e gli zii stanno tutti bene, anche Loruama. Tuo fratello invece è tornato molto tempo prima di te», mi sfiorò la guancia con le dita e mi accorsi delle lacrime che invadevano anche i suoi occhi. «Tu e tuo fratello siete esseri speciali, sei stata proprio tu a portare tutti in salvo e ora non ci lasceremo mai più.»

«Mai più», mormorai, gli occhi grandi e preoccupati. Un nodo in gola si strinse tanto da non farmi quasi respirare, mi aggrappai alla sua maglia e soffocai il dolore contro la sua spalla.

Nick…

***

She walks away
The colours fade to gray
Every precious moment now a waste

«Per quanto tempo ancora pensi di startene lì impalato?»

Guardò con la coda dell’occhio Joe e non si degnò nemmeno di rispondergli, continuò ad osservare in silenzio il cielo ancora scuro dopo il temporale, tanto che il fratello scosse la testa rassegnato e se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle.

Non poteva credere che lo avesse fatto davvero, che se ne fosse andata. Anche prima di quello, non poteva credere che lei davvero avesse quel potere.
A quel punto non sapeva più cosa pensare. Era stata tutta una bugia? Quello che si erano sempre detti, il loro bacio, le loro promesse di stare insieme… Era tutto finto? Che lei avesse sempre saputo utilizzare quel dono e gliel’avesse tenuto nascosto? A che scopo? Ary non era quel genere di ragazza, non l’avrebbe mai fatto soffrire di proposito, ma… il dolore che provava dentro in quel momento lo rendeva cieco, sordo e molto, molto incline a dubitare su tutto, persino su cose che il giorno prima avrebbe dato per certe, quasi scontate talmente ci credeva.

Sospirò afflitto e abbassò lo sguardo, stringendo i pugni.
Sarebbe mai tornata? Perché lo aveva fatto, perché li aveva lasciati lì? Non gli aveva nemmeno dato una spiegazione logica…

Alzò lo sguardo e vide un arcobaleno nascere dalle nuvole. Si fermò ad osservarlo, ma non ci trovò niente di particolare. Se lei fosse stata al suo fianco sarebbe stato diverso, completamente diverso.

And a perfect rainbow never seemed so dull

***

Scesi di sotto, ancora un po’ rintronata e con gli occhi gonfi di pianto, e in salotto vidi mio padre, intento a leggere il giornale, svaccato sulla poltrona.

«Papà», mormorai e quando mi vide sorrise. Mi lanciai fra le sue braccia e lo strinsi forte, inspirando a pieni polmoni il suo profumo. «Come stai?»

«Tutto bene, bambina. E tu?»

«Sì», tirai su col naso e accennai un sorriso.

«Oh, finalmente ce l’hai fatta!»

Al suono di quella voce mi girai e vidi il mio piccolo fratellino appoggiato allo stipite della porta, che sorrideva sghembo. Mi coprii la bocca con le mani e mi precipitai da lui, lo strinsi forte a me e lo riempii di baci: mi era mancato così tanto!

«Davide, Davide, Davide…»

«Sì, so come mi chiamo!», ridacchiò e mi guardò negli occhi. «Mi sei mancata tanto, sai?»

«Anche tu! E mi sono preoccupata tantissimo per te quando eravamo là! Come… come hai scoperto di avere questo potere?»

Scrollò le spalle. «Volevo tornare a casa con tutte le mie forze e puff, mi sono trovato in camera mia», spiegò e tornò a sorridermi, guardandomi con i suoi occhi verdi-castani. «E tu?»

Deglutii, chiudendo gli occhi. Il colpo si era fatto sentire di nuovo. La consapevolezza di essere scappata da Nick e dagli altri senza che loro avessero fatto niente di male mi ferì per l’ennesima volta e dovetti lottare per non cedere di nuovo alle lacrime. Mi sentivo male, malissimo… Per come mi ero comportata, per come lo avevo lasciato e soprattutto perché non avevo mantenuto la promessa che gli avevo fatto.


«Se davvero imparassi ad usare il mio dono, lo utilizzerei anche per portare a casa voi, non sono così egoista!»
«Me lo prometti?»
«Te lo prometto.»


«Tutto bene?», mi chiese accigliato.

«Sì», balbettai e per non farlo preoccupare gli sorrisi, seppure debolmente.

Uscii di casa e mi fermai in veranda. Scivolai seduta sul dondolo lì accanto e mi coprii il viso con le mani, incominciando a piangere in silenzio.
L’avrei rivisto? Avevo una voglia matta di stringerlo, di baciarlo, di vivere ancora con lui quei momenti che mi facevano sentire speciale ed amata per quello che ero, semplicemente me stessa. Già mi mancava da impazzire… E stavo male, sapendolo da qualche altra parte, magari ferito dal mio comportamento. Non potevo stare tranquilla, sapendo di farlo soffrire, mi sentivo uno schifo.

Ma d’altronde, che cosa potevo fare? Mamma era stata chiara, per nessun motivo al mondo sarei dovuta tornare nell’altra dimensione, era troppo rischioso… Non aveva lasciato tornare Davide, che sembrava persino più abile di me! Non voleva perderci ancora ed era comprensibile, ma io… io ero disposta a perdere ciò che avevo trovato?

Alzai il viso e guardai il cielo scuro, da post-temporale, in mezzo al quale spiccava una striscia curva composta da sette colori: un arcobaleno.

And a perfect rainbow never seemed so dull

***

Scesi dalla bici con un sospiro e mi piegai per legarla col lucchetto al portabici di metallo, accanto alle altre.

Mamma aveva detto che non potevo perdere tempo, dovevo tornare a scuola e riprendere da dove avevo lasciato o non sarei più riuscita a recuperare. L’aspettativa di tornare al mio banco, fra quelle quattro mura grigie, non mi entusiasmava, ma non potevo fare altrimenti. Da qualche parte dovevo pur ricominciare, no?

“La vita va avanti, piccola”, mi aveva sussurrato la sera prima, con un sorriso, prima di spegnere la luce e di chiudersi la porta della mia camera alle spalle.

La vita va avanti, ma come posso chiamarla vita, con questo peso che mi comprime il cuore?

«Ary!»

Voltai il viso verso quella voce sorpresa e rimasi senza fiato quando ritrovai gli occhi nocciola di Alessandra, la mia migliore amica. Teneva saldamente fra le mani il manubrio della propria bici e aveva lo sguardo incatenato al mio, spiazzato e allo stesso tempo malinconico. La lasciò cadere con un tonfo e mi corse fra le braccia, mi strinse tanto forte da togliermi il respiro, ma poi si staccò bruscamente e mi guardò severa, cancellando le lacrime che le avevano rigato le guance.

«Spero che il tuo viaggio in Inghilterra sia stato istruttivo», disse cercando di dimostrarsi decisa, ma la voce le tremava. Tirò su col naso, senza distogliere gli occhi colmi di lacrime dai miei.

Era quella la scusa che aveva usato mamma per coprire il mio viaggio che in realtà era stato in un mondo parallelo. Ero stata via parecchi mesi, ma la mia Ale non era per niente cambiata: i soliti capelli color mogano, il visetto chiaro e il piercing al labbro. Solo ora che ci pensavo, mi rendevo conto che mi era mancato davvero tantissimo…

«Perché qui è stata la merda che più merda non si può», continuò senza darmi la possibilità di intervenire. Le lacrime ripresero a tracciarle il viso: «Te ne sei sparita un giorno, senza dirmi niente, senza salutarmi. Sei stata via mesi e non un messaggio, non un’e-mail, non una telefonata… Niente di niente! Ti rendi conto di come mi sono sentita?! Abbandonata, tradita, ferita… Sono stata un sacco male per colpa tua. Perché… perché non mi hai detto niente?», singhiozzò e tirò su col naso.

Abbassai lo sguardo. Ero stata in grado di fare del male a così tante persone…
«Mi dispiace, mi dispiace davvero tanto», mormorai.

«È tutto quello che hai da dire?», chiese sbigottita. Io annuii, stringendomi nelle spalle.

«Non te la caverai così, Arianna», mi minacciò, puntandomi il dito contro. «Ma mi sei mancata da morire e proprio non ce la faccio ad essere arrabbiata con te.» Mi lanciò le braccia intorno al collo e mi strinse, nascondendo il viso contro i miei capelli.

«Anche tu mi sei mancata tanto», dissi con un fil di voce e gli occhi lucidi.

La campanella suonò e dovettimo entrare nell’edificio. Mi voltai verso il cielo livido e un rombo di tuono fece vibrare i vetri delle porte finestre, poi raggiunsi Ale nel corridoio già deserto.

Sometimes a fight is better black and white

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Buonaseraaaaaa :)
Come vedete, sono sopravvissuta anche questa volta xD E questo capitolo è uno dei miei preferiti, dico sul serio! *-* Mi piace come l’ho scritto e le cose che accadono xD
Ma non vi ruberò altro tempo, so che siete tutti curiosi di sapere che cos’è successo alla nostra Ary che sì, ahimè o forse per fortuna, è tornata a casa. Sta di fatto che Nick le manca assai, chissà se riuscirà a raggiungerlo di nuovo, anche se questo volesse dire disubbidire alla sua mamma ç.ç
La canzone che ho usato in questo capitolo è… *rullo di tamburi*… Before the storm, di Nick Jonas & Miley Cyrus! Uhm, chi conosce questa canzone (penso tutte, se siete vere fan dei Jonas xD) può già aspettarsi qualcosina da questo capitolo… xD
Passo ai ringraziamenti per le persone che hanno recensito lo scorso capitolo!

miusic__dreamer : Carissima! *-* Sono contentissima che questa storia ti piaccia tanto da toglierti le parole! Uhm, vedrai in questo capitolo che cosa accadrà! xD Grazie mille, spero ti piaccia anche questo! :)

svampy1996 : Cosa sono le zanzare tigri che riducono in queste condizioni i neuroni? O.O xDD Sto scherzando! xDD Insomma, sono molto cattiva e vedrai in questo capitolo… n.n Spero ti piaccia, baci!

nes95 : Dai, ho fatto presto questa volta! xD Spero che la tua curiosità sia stata in parte soddisfatta e che ti sia piaciuto questo capitolo! Un bacio!

Ringrazio anche chi ha solo letto, ci vediamo alla prossima!
Vostra,

_Pulse_

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Capitolo 7

«Sai oggi che fai?», mi chiese Ale con lo sguardo acceso di una bambina. Ciò che era, infondo.

«Cerco di recuperare tutte le spiegazioni che ho perso?», domandai sarcastica. Non ero affatto in vena di scherzare, tantomeno per gli indovinelli. Mi sentivo così… persa, vuota, bugiarda. Soprattutto bugiarda.
Come avevo potuto fare una cosa del genere a Nick? A lui, proprio lui che era sempre stato così carino con me, dolce, tanto da farmi…

«No», mi rimbeccò lei, punzecchiandomi il braccio. «Vieni a casa mia e mi racconti tutto quanto, per filo e per segno!»

Deglutii rumorosamente, mentre mi scervellavo per trovare una scusa. Sospirai. Perché perdevo tempo? Tanto quando lei decideva una cosa nessuno, tantomeno io, era in grado di farle cambiare idea.
«Ok», balbettai.

«Fantastico!», batté le mani di fronte al viso, saltellando, e io scossi la testa, rassegnata, benché avessi un sorriso appena accennato sulle labbra.

La campanella decretò la fine dell’intervallo e dovettimo tornare in classe.
Nonostante le tre ore mancanti al termine della giornata scolastica fossero matematica e chimica, passarono in fretta. Troppo in fretta, ora che sapevo cosa mi aspettava uscita da lì.

Le prime tre ore, al contrario, erano passate lentamente, così lentamente da sembrare un’agonia.
Avevo passato la maggior parte del tempo a guardare fuori dalla finestra il temporale che si abbatteva sul giardino, rapita da quello spettacolo della natura, mentre la mia mente viaggiava su terreni tortuosi che sapevo non avrei dovuto percorrere, ma che erano inevitabili, al momento.

Il pensiero di Nick, ancora nell’altra dimensione, deluso e forse persino ferito dal mio ignobile comportamento, mi faceva stare male come niente prima d’allora. Era una fitta al cuore ogni ricordo, ogni immagine di lui: il suo sorriso, i suoi occhi, il sapore delle sue labbra… Una fitta al cuore tanto dolorosa da farmi venire le lacrime agli occhi.

Dubitavo che Ale non si fosse accorta del mio pessimo umore, ma non aveva detto niente, forse per non inferire. Ma era anche probabile che non se ne fosse accorta, se mi costringeva a passare un intero pomeriggio con lei quando avrei soltanto voluto nascondermi sotto le coperte del mio letto. Da sola. O forse, cosa ancora più probabile, se n’era accorta così bene che aveva pensato che un po’ di svago con lei sarebbe stata la cosa migliore per distrarmi, per tirarmi su di morale.

Non potei non sorridere a quel pensiero.
La mia Ale, la mia tenera e dolce Ale… Quanto le volevo bene lo sapeva solo il cielo, però… come potevo raccontarle tutto quanto, per filo e per segno? Ciò che si aspettava, ossia un viaggio d’istruzione in Inghilterra, non era la verità e io, purtroppo, non ero capace di mentire. Non ne ero mai stata capace, men che meno con lei.

Si prospettava un lungo, lunghissimo pomeriggio.

***

Lasciammo le bici nel piccolo giardino ed entrammo in casa, lei in testa. In salotto vidi subito Edoardo, suo fratello, tutto intento a guardare una partita di calcio alla tv.

«Ciao», lo salutò Ale con un sorriso.

Lui ricambiò e si rivolse a me, salutandomi con un semplice cenno di capo. Io, lì per lì, rimasi interdetta, poi mi diedi uno schiaffo mentale e sollevai la mano, agitandola debolmente. Non feci in tempo a fare altro: Ale mi aveva già presa per il polso e strattonata verso la dispensa.

Non mi mollò un attimo, come se volesse marcare un proprio territorio, nemmeno quando entrò nella piccola stanza per prendere una bottiglia di succo alla pesca e una confezione di patatine con gli orsetti: le sue preferite.

Non mi lasciò andare nemmeno quando, dal bagno, sbucò sua madre, che rimase piuttosto sorpresa vedendomi. Ma in un attimo l’incertezza scomparì e un sorriso carico d’affetto le illuminò il viso.
«Arianna!», esclamò, facendo un passo verso di me e posandomi una mano sulla guancia. «Quanto tempo! Com’è andata in Inghilterra?»

«B-bene», balbettai, annuendo con la testa e sforzando un sorriso.

«Sono contenta che tu sia tornata, Ale ha sofferto molto la tua mancanza», annuì compassionevole e Ale strinse in denti, prima di sbottare:

«Ora dobbiamo andare, abbiamo un sacco di cose da fare» e trascinarmi in camera sua, al piano superiore.

Mi misi timidamente seduta sul letto che una volta era di Edo e l’occhio mi cadde sul pc appoggiato sul cuscino, già accesso.
Passai le dita sulla tastiera e andai a cercare su Google delle informazioni sui Jonas Brothers. Appena il motore di ricerca mostrò alcune loro foto, mi si strinse il cuore.

Nick…
Joe…
Kevin…

Nick…

«Ale, tu… tu li conosci i Jonas Brothers?», le chiesi.

«Sì, li conosco», rispose atona. «Ma non mi piacciono nemmeno un po’. Non è il mio genere.»

«Mmh, capisco.»
Cliccai su uno dei collegamenti, sul quale c’era scritto: “Ritiro per i Jonas”. Iniziai a leggere l’articolo e capii che avevano piazzato ai fan la scusa del “ritiro dalla scena musicale”. Da quando erano spariti nessuno li aveva più visti né sentiti.

Sospirai tristemente. Per forza, sono in una dimensione parallela…

«Ma adesso pare che si siano ritirati», aggiunse sbrigativa, poco dopo che io ebbi finito di leggere l’articolo.

La guardai intenta ad aprire la bottiglia di succo di frutta, concentrata, come se fosse una bomba ad orologeria pronta ad esplodere.
«Hai sofferto davvero così tanto la mia mancanza?», chiesi con un fil di voce. Non ero certa di voler sapere la risposta, ma ormai…

Si voltò di scatto e mi guardò truce, prima di sibilare: «No, figurati. Ho fatto i salti di gioia, quando quella che dovrebbe essere la mia migliore amica è sparita e non si è fatta sentire per mesi! Mesi! Ero davvero… felicissima.» Ormai la sua voce era spezzata e anche se aveva il viso arrossato dalla rabbia, calde lacrime le rigavano le guance e il labbro le tremava, anche sotto i denti che tentavano di frenarlo.

Mi alzai e la raggiunsi, l’abbracciai di lato e respirai profondamente fra i suoi capelli. Lei si voltò e ricambiò l’abbraccio: all’inizio rischiò persino di soffocarmi, ma poi si lasciò andare ai singhiozzi e allentò la presa.

«Non sai quello che mi hai fatto passare», biascicò. «Non so perché tu l’abbia fatto, se c’è un motivo serio o no… qualunque sia, io voglio saperlo. Ti prego, Ary, dimmelo. Rischio di impazzire, io –»

«Shhhh, shhhh, basta piangere», le sussurrai nonostante il nodo in gola, massaggiandole la schiena. «Io… C’è un motivo, se non ti ho detto niente.»

«Quale, ti prego, dimmelo.» Mi guardò negli occhi e tirò su col naso. Come potevo farle così male? Mi sentivo uno schifo, una pessima persona.

«Forse è meglio se ti siedi, potrebbe essere… scioccante.»

Ale mi guardò preoccupata, ma obbedì e si mise seduta sul letto. Io la raggiunsi e si sistemò con la testa sulla mia spalla, come se stesse per ascoltare una favola. Per molti versi, però, quella non era affatto una favola.

«È… complicato da spiegare», dissi passandomi una mano sul viso, senza sapere da dove cominciare.

«Così complicato?», sussurrò. La sua voce era ancora nasale.

«Sì», sospirai. «Vedi, io… io non sono andata in Inghilterra.»
Quanto era sbagliato? Quanto era assurdo?

«Che cosa?», soffiò, gli occhi sgranati dallo stupore. «Dove… dove sei sparita, allora?!»

Chiusi gli occhi, in modo tale da non vedere la sua espressione quando avrebbe sentito quelle assurde parole: «In una dimensione parallela alla nostra. È lì, che sono sparita.»

Calò il silenzio e non ebbi il coraggio di aprire gli occhi, almeno fino a quando Ale non incominciò a ridere nervosamente, mentre altre lacrime le solcavano il volto.

«Non scherzare, ti prego», disse. «È una cosa seria… Questo non può essere vero… Perché menti?!»

«Ti giuro che non ti sto mentendo», risposi, a voce sempre più bassa, i pugni stretti sulle ginocchia. «È la verità.»

Ale non ebbe più la forza per rispondere, era traumatizzata e soprattutto si sentiva presa in giro. Presa in giro dalla propria migliore amica, come se non fosse stato abbastanza tutto quello che aveva passato.

Mi alzai e andai verso la porta, a testa bassa. Una volta sulla soglia, la guardai con la coda dell’occhio e la vidi con le mani sul viso e le gambe strette al petto. Mi si strinse il cuore nel petto ed uscii definitivamente dalla sua camera.

Scesi le scale e quando raggiunsi il salotto notai che Edo era ancora seduto lì sul divano. La partita non era ancora finita, erano gli ultimi minuti.

«Ehi, va tutto bene?», mi chiese, preoccupato, accennando il movimento d’alzarsi.
Io attraversai il salotto a grandi falcate, tenendo il viso basso, e solo quando fui alla porta si alzò e mi rincorse, prendendomi per un polso per fermarmi.

«Hai litigato con Ale? Hai una faccia… stravolta.»

Stravolta. Solo stravolta? In confronto a come mi sentivo davvero, quell’aggettivo era un complimento.
Lo guardai negli occhi e lo vidi sfuocato, sentore delle lacrime che mi invadevano gli occhi.
Perché, perché a me? Perché quel dono – faticavo così tanto a chiamarlo tale – dovevo averlo proprio io? Che cosa avevo fatto di male? Era… assurdo. E portava solo un sacco di guai.
L’amore per Nick, il litigio con Ale… Poi, quale altra sofferenza mi sarebbe toccata?

«Ary?»

Edo mi scrollò dai miei pensieri confusi, scossi la testa arricciando le labbra e mi liberai dalla sua stretta, poi corsi in giardino, mi misi il cappuccio sulla testa, saltai sulla mia bici e iniziai a pedalare sotto la pioggia che, nonostante fosse diventata fine rispetto a quella mattina, mi bagnò il viso. Acqua di cielo e lacrime.

Pedalavo più forte che potevo, le gambe che facevano male e la testa stracolma di pensieri. Avevo perso la strada di casa, non sapevo dove stavo andando, ma non m’importava. Volevo andare via, volevo andare via da lì…

E avvenne.

Non capii subito ciò che successe. Anzi, non lo capii proprio. Avevo solo afferrato che stava accadendo. Di nuovo.
Per prima cosa persi l’udito. Mi trovai sorda e pochissimo tempo dopo la vista mi si offuscò, insieme al tatto. Sapevo di essere seduta sulla bici, di impugnarne il manubrio e di essere colpita dalle leggere gocce di pioggia, ma non riuscivo più a sentirle.
Iniziai a preoccuparmi, ma quelle sensazioni orribili, quando incominciai a sentirmi persa nel nero, non furono niente. Venni risucchiata dalla strada e quello che successe dopo lo realizzai veramente solo quando vidi il disastro che avevo combinato.

Caddi su un divano leggermente duro sotto il mio peso, mentre la bici ancora in corsa andava a schiantarsi contro le portefinestre che davano sul piccolo terrazzo, frantumandole in mille schegge.
Rimasi immobile per diversi secondi, gli occhi sgranati, e solo quando sentii qualcuno tossicchiare mi voltai di scatto e sobbalzai trovandomi di fronte al naso il viso di Alessandro.

Ecco perché il divano mi sembrava duro!
In pratica mi ero seduta in braccio a lui, sbigottito. Mi alzai impacciata e mi sistemai la felpa bagnata addosso, avvampando sulle guance.

«Ciao», lo salutai con un movimento della mano.

«Ciao», ricambiò lui, poi aggrottò le sopracciglia: «Che ci fai tu qui?»

Un momento, se lui era Alessandro, ci doveva per forza essere anche Fiore e se c’era Fiore… Mi guardai intorno ed impallidii, quando capii che era proprio casa sua. Ero tornata nel mondo parallelo!

«Arianna!», esclamò una voce flebile, ma che riconobbi subito.
Fiore, pelle caffèlatte, occhi neri e leggermente spiritati, ricci castani scompigliati sulla testa, era sulla soglia e anche lei era sorpresa, ma non quanto Alessandro. «Che ci fai tu qui?»

«Già, che ci faccio io qui?!», gridai come un’isterica, infilandomi le mani fra i capelli umidi. «CHE COSA CAVOLO CI FACCIO IO QUI?!»

«Calmati, Arianna, calmati», cercò di tranquillizzarmi, facendomi sedere sul divano, spostando le gambe di Alessandro.

«Come faccio a calmarmi?! COME?!»

Fiore sospirò e guardò il suo compagno con sguardo compassionevole: dovevo proprio sembrare una pazza disperata.
«Potresti preparare della camomilla?»

***

Ormai la mia bici era da buttare: una ruota era completamente storta e una gomma era andata a causa del vetro delle portefinestre.
Come l’avrei spiegato a mamma? Non potevo dirle che ero tornata nella dimensione parallela, sarebbe andata su tutte le furie…

Sconfortata, infilai le mani in tasca e guardai i miei piedi andare uno davanti all’altro in sequenza, fino a quando non mi accorsi di essere di fronte alla villa dei fratelli Jonas.
Il nodo in gola si fece più stretto e le lacrime punsero i miei occhi. Le ricacciai indietro e respirai profondamente, autoconvincendomi che sarebbe andato tutto bene. Avanzai di un passo, ma proprio in quel momento la porta di casa si aprì e la mia codardia mi fece nascondere dietro un cespuglio di rose bianche.

Mi mancò il fiato, quando vidi proprio Nick uscire in veranda e sedersi sul dondolo, gli occhi spenti. Vedendolo così triste, il cuore mi fece così male da farmi pensare che nel giro di tre secondi sarei morta d’infarto.

Sarei corsa di lui, l’avrei abbracciato, stretto tanto forte da soffocarlo, baciarlo fino a farlo lamentare… l’avrei fatto, se la cheerleader dai capelli rossi non avesse fatto una corsettina per entrare nel giardino della villa e con un gridolino non si fosse lanciata fra le braccia di Nick, che a malapena l’afferrarono e la strinsero senza convinzione.

All’ennesima lametta nel cuore decisi che non potevo guardare oltre, per questo mi voltai e mi tirai le gambe al petto, incominciando a respirare velocemente, come se mi mancasse l’aria, e le lacrime scorrevano liberamente sul mio volto.

Rincominciò a piovere.
Alzai il viso verso il cielo livido, lasciando che la pioggia mi asciugasse le lacrime, poi tutto tornò ad essere buio.

Standing out in the rain,
need to know if it's over
'cause I will leave you alone

Caddi con un tonfo in un luogo buio e quando tentai di rimettermi in piedi inciampai e mi ritrovai di nuovo per terra, peggiorando la situazione. Rimasi ferma immobile, sdraiata su cose davvero scomode, dicendomi che se avessi abituato la vista al buio sarebbe stato meglio per tutti, me in primis.

Fuori la pioggia inumidiva il terreno e batteva sul tetto che avevo sopra la testa. C’era odore di legno e di vecchio e c’erano degli spifferi di luce, sparsi in quell’ambiente che sembrava rettangolare.

All’improvviso, l’immagine di Nick che abbracciava quell’odiosa smorfiosetta mi riempì la mente e un singhiozzo mi scappò dalle labbra, mentre gli occhi si inumidivano per l’ennesima volta.
Bastava così poco, per farmi crollare?

Iniziai ad abituarmi all’oscurità e, dato che gli attrezzi che si trovavano sulle mensole degli scaffali erano per lo più da giardinaggio, capii di essere nel ripostiglio sul retro di casa mia.
Mi alzai, stando attenta a dove mettevo i piedi, e raggiunsi quella che, a memoria, doveva essere la porta. Provai ad aprirla, ma, ovviamente, era chiusa. Appoggiai la fronte al legno e lo colpì con un pugno, poi con un altro, e un altro ancora, fin quando non mi sentii cadere in avanti e venni afferrata al volo da due paia di braccia esili che a malapena riuscirono a tenermi su.

«Ary!», disse faticosamente Davide, lasciandomi cadere a terra dolcemente. Lo ringraziai mentalmente, perché il mio atterraggio disastroso, quello morale, era già avvenuto.
Sfinito, si mise a sedere di fianco a me, mentre la pioggia ci bagnava.

«Che ci facevi nel ripostiglio?», mi chiese tutto d’un tratto.

«Storia lunga», tirai su col naso.

«Ho tempo.»

Lo guardai, inclinando la testa verso di lui, e ricambiai il sorriso che per un attimo mi fece sentire, se non bene, meglio.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Buonasera! :)
Sono ancora viva e finalmente ecco a voi il nuovo capitolo.
Sono particolarmente soddisfatta, mi piace molto. Spero che sia così anche per voi! ;)
La canzone che ho usato è Inseparable, dei Jonas Brothers, poiché la trovavo particolarmente azzeccata. (Capirete perché u.u).
Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo, ossia nes95, Tappina_5_S, miusic__dreamer e wolfgirl92. Grazie mille, sono contenta che questa storia vi piaccia e scusatemi se vi faccio sempre aspettare un’infinità di tempo :(
Al prossimo capitolo! Buona lettura!
Vostra,

_Pulse_

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Capitolo 8

Quella mattina il cielo era nuovamente ricoperto dalle nuvole.
L’osservai oltre il finestrino dell’auto di mamma, che mi stava accompagnando a scuola, e sospirai.

Ciò che era successo il giorno prima ancora mi tormentava, quella notte avevo dormito davvero poco e le occhiaie sotto i miei occhi ne erano il segnale evidente.
Vedere Nick con quella smorfiosa… Davvero potevo credere che tra noi potesse nascere qualcosa? Io ero una ragazza normalissima – anzi, piuttosto strana, visto il mio potere – lui una star… Come potevo essere stata così sciocca da illudermi in tal modo?

«A che cosa stai pensando?», mi chiese mamma, con lo sguardo concentrato sulla strada.

«A niente in particolare», sfiatai e abbassai lo sguardo.

«Mmh.» Aveva capito che mentivo, ma la discussione finì lì.
«Mi vuoi spiegare dov’è finita la tua bici?»

«Io… non lo so… È probabile che me l’abbiano rubata.» Annuii, più che altro per convincere anche me stessa.

«Rubata?»
Indignata, iniziò a mormorare fra sé, ma io non mi concentrai ad ascoltarla, avevo altro a cui pensare.

Ancor prima del mio ritorno fugace nella dimensione parallela avevo avuto quella “discussione” – se così poteva essere chiamata – con Ale e non osavo immaginare oggi come si sarebbe comportata.
Mi avrebbe ignorata? Avrebbe fatto finta di niente, come se non le avessi mai rivelato nulla? O avrebbe chiesto ulteriori delucidazioni?

«Come torni, oggi pomeriggio?» Mi distrasse ancora una volta mamma. «Io non penso di riuscire a venirti a prendere, ho un sacco di lavoro arretrato al giornale e…»

«Non ti preoccupare, una camminata non ha mai fatto male a nessuno.»

«Stai attenta.»

«Sì.» Al massimo, se fossi in serio pericolo, potrei sempre catapultarmi nell’altra dimensione…

L’auto si fermò a ridosso del marciapiede, di fronte alla piazzola prima dell’entrata della scuola, e feci un respiro profondo prima di scendere all’aria fresca. Si prospettava un’altra dura giornata.

Chiusi la portiera dopo aver salutato mamma con poca enfasi, ma stiracchiando un sorriso per non farla preoccupare ulteriormente, e lei si sporse sul sedile del passeggero, tirando giù il finestrino.
Mi lanciò un’occhiata d’intesa e sussurrò: «Mi raccomando.»

Annuii, sbigottita, e mi incamminai a passo svelto verso l’entrata.
Pian piano rallentai, ricordandomi a cosa sarei andata incontro di lì a poco. Mai, prima d’ora, Ale mi aveva fatto paura.
Avevo terrore di vedere ancora nei suoi occhi la delusione, la rabbia, la frustrazione, la tristezza… Soprattutto la tristezza. Avevo sempre odiato con ogni fibra del mio corpo le persone che la facevano soffrire, l’avevo sempre protetta a spada tratta, ma come potevo proteggerla da me stessa?
Forse sparire dalla sua vita sarebbe stata la cosa migliore, ma come potevo farlo? Non ero tanto altruista, purtroppo tenevo a lei e non potevo lasciarla andare.

Raggiunsi l’angolo del piazzale riservato alle bici e mi accorsi che la bici di Ale non c’era ancora: ero arrivata parecchio in anticipo, in effetti.
Mi misi seduta sulle grandi radici della quercia lì accanto e appoggiai la schiena alla corteccia, perdendomi nei miei pensieri.

Il giorno prima, dopo essermi trovata catapultata nel salotto di Fiore, avevamo parlato un po’, di fronte ad una tazza di camomilla.

«Perché, perché Fiore?», mormorai, gli occhi bassi e la tazza contenente il liquido chiaro e fumante avvolta dalle mani.

«Non c’è un motivo», sollevò le spalle, come se nulla fosse. «Bisogna solo imparare a conviverci e apprezzarne gli aspetti positivi.»

«Aspetti positivi? Non esistono, aspetti positivi!», sbraitai.

Fiore accennò un sorrisetto e mi strinse le mani nelle sue, mi guardò negli occhi e mi disse: «Tu puoi fare tanto. Noi possiamo fare tanto. Pensa a tutte le persone che abitano di qua, che sono state risucchiate dalla loro vita e catapultate in quest’altra… hanno perso tutto, ogni cosa. Noi, invece… possiamo decidere quando e come vogliamo di tornare.»

«Che senso… che senso ha?!» Le lacrime rigavano per l’ennesima volta il mio viso. «Che senso ha avere questo dono, quando non lo possiamo usare?! Perché non hai mai portato questa gente nell’altra dimensione, se lo puoi fare?»

Le mie parole la fecero ammutolire e sfuggì al mio sguardo duro ed indagatore.
«È una completa fregatura», sibilai.

«No, non lo è», ribatté. «È più complicato di quanto tu possa credere.»

«Spiegamelo, allora!»

«Vedi… le persone che spariscono nell’altra dimensione e che vengono catapultate qui… o ricominciano la loro vita, creano nuovi legami, si affezionano, iniziano ad abitare qui… oppure desiderano tornare a casa con tutte le loro forze», sospirò. «D’altra parte, le persone nel mondo “normale” che sono a conoscenza di questo mondo sono poche e se non ne sono a conoscenza… beh, i loro familiari non possono tornare.»

«In… in che senso?» La testa iniziava a girarmi per il sovraccarico d’informazioni.

«Nel senso che bisogna essere a conoscenza di questa dimensione, per far tornare le persone che ci sono finite dentro. È una specie di… requisito.»

«E allora… bisognerebbe informare tutte le persone possibili nel mondo “normale”!»

Fiore sollevò il sopracciglio e arricciò il naso. Rimasimo in silenzio per diversi secondi, a guardarci negli occhi, e capii da me l’assurdità del mio pensiero: chi avrebbe creduto ad una cosa del genere? L’esempio lampante era Ale, la quale, quando aveva sentito quell’assurda storia uscire dalla mia bocca, si era rifiutata di crederci. E poi, anche se per caso qualcuno ci avesse creduto, c’erano davvero tante persone in quella dimensione…

«Oh», sospirai afflitta.
Mi chiesi se la famiglia dei Jonas Brothers sapesse davvero dove fossero o quella scusa – il ritorno dal mondo musicale – fosse puramente di schermo, per non fare scalpore con la loro scomparsa e non far impazzire le fan.

«Adesso che cosa dovrei fare, dunque?», le chiesi e sperai sul serio che mi desse una risposta, ma lei scrollò semplicemente le spalle e si alzò dal tavolo, levandomi la tazza di camomilla vuota dalle mani.

«Sta a te scegliere», rispose, quando fu in cucina.

«Tu che cos’hai scelto, quando è toccato a te?»

Fiore non rispose, almeno non con le parole: si voltò verso Alessandro, che seguiva la nostra conversazione senza farsi notare, il viso nascosto dietro il giornale, e gli passò una mano sulla testa rasata.
Lei aveva deciso di rimanere in quella dimensione per lui… Non mi chiesi perché Alessandro non potesse tornare a casa, rischiava di diventare ancora più complicato di quello che era già.

«Ora devo andare», dissi e schizzai verso la porta. «Scusatemi ancora per il disastro», soffiai prima di lasciarmi quell’appartamento alle spalle e dirigermi verso ciò che forse, un remoto giorno, mi avrebbe anche convinta a fare una pazzia come quella che aveva fatto Fiore.

L’amore.


Interruppi il flusso dei miei pensieri e mi portai le mani sul viso, a nasconderlo da tutti e da tutto, mentre un solo potente interrogativo mi rendeva la vita impossibile: qual era la cosa migliore da fare?
Io volevo aiutare Nick, Joe e Kevin, gliel’avevo promesso, ma portando loro a casa, quante persone mi avrebbero chiesto di fare lo stesso con loro? Sarebbe incominciato un circolo vizioso e io non ero in grado di gestire quella situazione, figuriamoci…

Un brivido mi attraversò la schiena e cercai di riportare alla mente una sensazione di tranquillità che scacciasse via tutta quell’ansia, quella tensione che rendeva i miei nervi a fior di pelle, ma tutto ciò che mi venne in mente fu il pomeriggio precedente, passato con mio fratello a discutere di quello a cui eravamo condannati.
Aveva cinque anni in meno di me, era talmente sveglio, così perspicace… parlare con lui era quasi come parlare con un adulto, un adulto con la semplice chiarezza che solo i bambini hanno.

Bagnati come pulcini, ci rifugiammo nel ripostiglio buio, illuminato solo dalla luce chiara che proveniva dall’esterno.

«Mi racconti che cos’è successo, quando siamo stati catapultati nell’altra dimensione?», gli chiesi.

«Non so nemmeno io perché ci siamo trovati divisi, se è questo che ti chiedi», rispose, stringendosi il collo fra le spalle. «L’“atterraggio” mi da ancora qualche problema, ma sembra che a te vada ancora peggio», ridacchiò, divertito dalla mia inabilità con il dono.
«È solo una questione di allenamento», mi spiegò. «Sì, mi alleno, ma mamma ovviamente non lo sa», rispose ai miei occhi sgranati.

«Da quanto…?», balbettai, incredula.

«Sono riuscito a tornare di qua circa tre giorni dopo l’esperimento. Non l’ho nemmeno fatto apposta, lo desideravo con così tanta intensità, che…»

«Anche io l’ho desiderato con tutta me stessa, ma non è successo niente!» Che cos’erano quei favoritismi?!

«Non ne so il motivo», si giustificò. «Forse credevi che non era possibile che tu potessi avere questo potere. Non hai mai creduto al soprannaturale, prima, giusto?»

Ricordai i primi tempi nell’altra dimensione e soprattutto i giorni passati nei laboratori della casa dei Jonas Brothers, a guardare per ore scienziati che si scervellavano su un qualcosa che andava ben oltre la loro “scienza esatta”: non mi era nemmeno mai passata per l’anticamera del cervello l’idea che fossi capace di fare qualcosa del genere, fin quando non mi erano sorti i primi dubbi…
Feci una smorfia.

«Magari è questo. Magari non funzioni ancora bene perché non ci credi, perché sei ostile a questo dono. Potrebbe essere, nulla è impossibile, ora come ora.»

«Già, forse», commentai con stizza. «Fiore, la ragazza dalla quale è partito tutto – tra cui la follia di mamma per queste cose – mi ha detto che solo le persone, non dotate ovviamente, che hanno delle persone care che conoscono l’altra dimensione possono tornare. Tu ne sai qualcosa di più?»

Improvvisamente, il suo viso sereno si trasformò in una maschera di rigidità, pallido come un lenzuolo. Stavo per chiedergli se si sentisse male, quando mi fece un segno con la mano e tirò su col naso, aprendo la bocca.
«Sì, ne so qualcosa», disse con la voce spezzata dai singhiozzi.

«Che cos’è successo?», soffiai, preoccupata, e lo affiancai per avvolgergli le spalle con un braccio. Lui si appoggiò a me.

«Sono stato con un signore anziano, nei primi tre giorni… quando sono riuscito a tornare di qua per la prima volta, poi sono tornato da lui… credevo di poterlo portare con me, volevo farlo tornare a casa, ma… tutto stava andando bene, ma ad un certo punto, nel buio, l’ho perso: la sua mano si è divisa dalla mia ed è… sparito. Lui non aveva famiglia, era un vecchio anziano solo e l’ho capito solo dopo, pagando per il mio errore, ciò che ti ha detto Fiore.»

«Oh, Davide…», mormorai e lo strinsi forte a me. «Mi dispiace tanto.»

«Sono sicuro, o almeno spero, che lui non sia arrabbiato con me: lo facevo in fin di bene e…»

«Sono sicura che ha apprezzato il tuo sforzo, il tuo entusiasmo… ci hai provato.»

«Già. Credi in questo dono, Ary, o sarà un vero peccato.»

Che avesse ragione il mio caro fratellino che, nonostante l’errore, non si era mai rifiutato di riporre fiducia in quel potere? Non lo sapevo.
E non sapevo nemmeno se la famiglia dei Jonas fosse realmente a conoscenza della dimensione parallela.
Prima di fare qualsiasi cosa, decisi che la cosa migliore era almeno dire la verità alle persone a loro care. Non mi importava che mi avessero creduta o meno, loro dovevano saperlo.

Mi accorsi che non era rimasto nessuno nel piazzale. Com’era possibile, ero arrivata in netto anticipo e ora ero in ritardo? Non avevo nemmeno sentito suonare la campanella!
Presi lo zainetto che avevo abbandonato accanto alle radici e quando sollevai lo sguardo mi resi conto che non ero proprio da sola: Ale aveva ancora il manubrio della bici fra le mani e mi guardava negli occhi, immobile.
E così, il momento della verità era arrivato.

In silenzio attaccò il lucchetto della bici al portabici e poi, quando si risollevò e incontrò di nuovo il mio sguardo, disse: «Siamo in ritardo», e poi si avviò all’interno.

«Pensavo peggio», sospirai e la seguii a testa bassa all’interno dell’edificio.

***

Mi voltai per l’ennesima volta verso la finestra, nonostante la professoressa di storia mi avesse già rimproverata una volta. Perché si ostinava a volere proprio la mia attenzione?!
Sinceramente, avevo altro a cui pensare e non badai molto a quello scarno rimprovero. Dunque, tornai a fissare il giardino fuori dal vetro, perdendomi fra i miei mille e più confusi pensieri.

Ci rimasi, a trastullarmi per cercare soluzioni a problemi fin troppo complicati, senza alcun risultato apparente, fino a quando qualcuno non mi punzecchiò la spalla. Con mi grande sorpresa, era Ale, la mia compagna di banco.

Mi guardò con occhi grandi e lucidi e deglutì, prima di dire: «Ti credo. Per quanto sia impossibile, assurdo e oltre ogni limite della tua fervida immaginazione… io ti credo.»

«Non me lo sono immaginato», cercai di ribattere, ma lei mi parlò sopra.

«Ti ho sempre creduta, non vedo perché adesso non dovrei farlo. Ci ho pensato molto e non sono proprio riuscita a trovare un motivo logico o almeno plausibile per cui tu debba mentirmi, quindi…», accennò un sorriso che mi riscaldò il cuore.

Non ebbi il tempo di rispondere, poiché la prof sbatté la mano sulla cattedra e chiamò i nostri nomi, ordinandoci di fare silenzio.

Ale si avvicinò a me con la sedia e mi sussurrò all’orecchio: «Però mi devi spiegare tutto nei minimi particolari.»
Strappò un foglio dal raccoglitore di matematica e me lo porse, con un sorriso sornione stampato in faccia. Roteai gli occhi al cielo e ridacchiai, prendendo una penna e incominciando a scrivere tutta la storia, dall’inizio fino a quella che sembrava la fine.

Passammo quasi tutta l’ora a discutere, nero su bianco, del mio viaggio nell’altra dimensione e anche se ancora arricciava il naso, mi credeva sul serio e sembrava persino curiosa.
Quando arrivammo al punto in cui citai i Jonas Brothers, sgranò gli occhi e gridò: «Non ci credo!», rischiando di farsi sbattere fuori dall’aula con una nota sul registro.

Mi rubò la penna di mano e scrisse velocemente:


Quindi loro non si sono ritirati?! Sono finiti in un’altra dimensione?!


Così pare
.


Passarono diversi secondi, durante i quali mi osservò attentamente in viso per cogliere ogni segno di anomalia, e quando parve accontentarsi, come se gli avessi mostrato una cosa ovvia, fece un sorrisetto malizioso e riprese a scrivere:


Trovo che sia un vero peccato che non si siano ritirati, ma… sputa il rospo! Chi ti piace dei tre???


Deglutii rumorosamente, paonazza, e scossi la testa. Era inutile negare, visto la violenta reazione con la quale avevo risposto, ma almeno ci avevo provato. Mi tirò un pizzicotto sul braccio e fui costretta a rispondere, a malincuore.


Nick. Nicholas Jerry Jonas.


Il suo sguardo si illuminò di gioia, o forse di sadica curiosità, e scrisse:


Brava la mia Ary, quello è il migliore dei tre, secondo me. Sia sul piano musicale che su quello fisico-caratteriale.


Mica non li seguivi?

Scrissi, incuriosita e allo stesso tempo divertita. Fu lei ad arrossire quella volta.


Stiamo parlando di TE, non di me! Dunque, dunque… raccontami tutto!


Aspettare la fine della lezione? Mi sta andando in cancrena la mano.


Oh, sei una lagna!


La guardai e risi sottovoce, insieme a lei.

You know when the sun forgets to shine,
I'll be there to hold you through the night
We'll be runnin' so fast, we can fly tonight
And even when we're miles and miles apart,
you'll still be holdin' all of my heart
I promise it will never be dark
I know… we're inseparable

Le raccontai tutto: dalla mia cattura, alla convivenza con i tre Jonas, alla promessa fatta a Nick, al nostro bacio… alla mia fuga e al mio ritorno nel mondo “normale”. E infine, anche del ritorno nella dimensione parallela dello scorso pomeriggio.

«Che cosa?!», urlò con voce strozzata e gli occhi spalancati. «Ieri pomeriggio, mentre stavi tornando a casa, ti sei catapultata nell’altra dimensione?!»

«Shhh, abbassa la voce!», la rimproverai, guardandomi intorno.

Eravamo sedute nel giardino, sotto il grande albero dove mi ero messa a meditare pure quella mattina.

«Sì, è successo. Ancora non so controllarmi molto bene e infatti la mia bici si è… distrutta è dir poco», bofonchiai, infastidita.

«Non ci posso credere. Ary, ti rendi conto che è assurdo?!»

«Sì, lo so», sbuffai. «Ma non posso farci niente, sono nata con questo dono!»

«Già», rimuginò, il labbro corrucciato. «Ritornando al tuo bel Nick… come ha potuto farti una cosa del genere?! Io non ho mai visto quella cheerleader dai capelli rossi, ma mi sta già antipatica! È smorfiosa?»

«Non puoi capire quanto.»

«La odio! Devi fare subito qualcosa, non puoi startene nelle mani in mano! E poi, non devi mica mantenere la promessa che hai fatto?»

«È… è più complicato di quanto credi, Ale.»

«Cioè?»

«Per riuscire a farli tornare a casa devo essere sicura che i loro familiari sappiano dell’esistenza di questa dimensione parallela. Finché non ne saranno a conoscenza rischierei di… perderli per strada», rabbrividì al solo pensiero.

«E allora dov’è il problema? Dove abitano questi qui?»

«A… a Hollywood, ma… che cos’hai in mente?»

«Andiamo a trovare la famiglia Jonas, ovviamente!»

Il suo sguardo brillante avrebbe dovuto incoraggiarmi, ma non fece altro che mettermi ancora più in ansia.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9

«No, no, no. Me lo sento, sarà un disastro», sussurrai, nascosta dietro un albero poco distante dal cancello in ferro battuto dell’immensa villa dei Jonas Brothers.

Ale, accanto a me, mi spinse, irritata. «La vuoi smettere di essere così pessimista? Devi almeno provarci, fallo per Nick!»

Possibile che avesse sempre ragione?
«Ok», feci un respiro profondo. «Siamo sempre in tempo a tornare indietro, sai?»

«Per favore!», sbuffò e mi trascinò con sé fino al cancello, al quale si appoggiò per guardare all’interno.
«Hai intenzione di restare imbambolata lì per molto? Tra un po’ fa notte, dai!», mi gridò, indicandomi il pulsante con il quale citofonare.

Deglutii e pigiai il pulsante, guardando nervosamente le due telecamere che sovrastavano il cancello e la terza che avevo di fronte.
Calma, Ary, calma. Non può succederti niente.
Ero fottutamente nervosa, non sarei riuscita a spiccicar parola di quel passo!

«Chi è?», rispose una voce di donna un po’ gracchiante, dall’altra parte del citofono.
Probabilmente mi stava guardando grazie a quella telecamera, ma io non potevo vedere lei.

«Ehm… salve, mi chiamo Arianna e sono un’amica di… di Nick, Joe e Kevin.»

Ci fu un attimo di silenzio e poi la voce gracchiante disse: «Non ti conosco, vattene.»

«Signora, signora la prego, aspetti!» Feci un respiro profondo, riordinando le idee. «Lei non mi conosce, è vero, ma le posso giurare che io conosco i suoi figli e so…»

«Rob, c’è una ragazza che si ostina a dire di conoscere i miei piccoli», sentii dire dalla donna che doveva essere proprio la madre dei Jonas; un’altra voce, da uomo, rispose: «Vuoi che la mandi via?»
Non udii alcuna risposta e pensai: chi tace acconsente…
Infatti, qualche minuto dopo, un omaccione dalla carnagione scura, alto e muscoloso, una specie di armadio, quello che identificai come Rob, uscì dalla porta e camminò a passo svelto sul vialetto, poi uscì dal cancello prendendoci per le magliette e dicendoci di andarcene o sarebbero stati guai grossi.

«Ehi, metti giù le mani!», gridò Ale, scalciando e dimenandosi, fino a quando non riuscì a toccare il suolo con i piedi.
Si voltò verso il bodyguard, fulminandolo con lo sguardo, e gli puntò un dito sul petto, con un’aria che doveva sembrare minacciosa. Beh, io mi sarei spaventata, ma lui non so…

«Senti un po’, se siamo qui c’è un motivo e non è carino mandarci via così! Vorremmo solo parlare con i genitori dei Jonas e –»

«Non è possibile», disse lui impassibile.

«Questo lo dici tu!», gridò. «Noi sappiamo tutto, che i Jonas non si sono ritirati, ma che sono scomparsi!»
Rob, a quelle parole, si irrigidì e sperai che anche la madre dei ragazzi avesse sentito tutto. La mia amica ci stava dando dentro!
«E la mia amica», mi indicò, «potrebbe sapere dove sono! Quindi, se potessimo entrare un attimo solo per spiegarvi come stanno le cose… Non ti preoccupare, non siamo né fans né giornaliste, ok?! Siamo qui solo per aiutarvi! Giusto, Ary?» Io la fissai sbalordita. «Giusto, ARY?!»

«Ah, sì! Sì, sì!», annuii.

L’armadio esitò ancora un po’, ma la voce gracchiante disse, dal citofono: «Lasciale entrare, Rob.»

Lui ci scrutò severamente e ci puntò le dita tozze contro, assottigliando gli occhi: «Se è una presa in giro la pagherete cara.»
Io deglutii, spaventata; Ale invece sollevò il naso all’insù, fiera, e mi prese per mano trascinandomi dentro l’enorme giardino di casa Jonas.

Appena entrammo in casa ci guardammo intorno, sbalordite. Era immensa, quella casa! Sembrava una reggia!
«Wow», squittì Ale. Io non ebbi la forza di fiatare.

Poco prima di entrare nell’ampio salotto, vidi un ragazzino, appoggiato al corrimano delle scale che portavano al piano superiore, che sbirciava nella nostra direzione senza farsi notare.
I nostri sguardi si incrociarono per un istante e mi dissi che non poteva essere nessun altro a parte Frankie, il fratellino più piccolo di Nick, Joe e Kevin.
Accennai un sorriso amaro, capendo perfettamente come si dovesse sentire visto che anche io avevo passato mesi senza sapere nulla di mio fratello. Lui distolse lo sguardo e si strinse nel suo stesso abbraccio.

«Accomodatevi», disse la donna, la madre dei Jonas, già seduta su una poltrona di pelle bianca.

Sia io che Ale annuimmo e ci mettemmo sedute vicine sul divano, strette per farci forza a vicenda, mentre Rob stava alle nostre spalle, sulla soglia del salotto, con le braccia incrociate e il viso corrucciato. Metteva soggezione.

«Come fate a sapere che sono scomparsi?», chiese grevemente.

Ale mi tirò uno schiaffettino sul braccio, ad informarmi che ero io che dovevo parlare. E non aveva tutti i torti, dopotutto… ero io quella con i superpoteri!

«Io… io li ho conosciuti, so dove sono», balbettai e alle mie parole la donna si sporse in avanti, gli occhi sgranati.

«Dove!? Dimmi dove sono!», gridò.

Chiusi gli occhi, stringendo i denti. «In una… dimensione parallela.»

Calò un silenzio che mi fece rabbrividire dalla testa ai piedi, tanto che non osai immediatamente aprire gli occhi.
Passarono diversi secondi, ma nulla mutò, fino a quando non sentii uno strepitio di gabbiani e il tipico rumore delle onde che si infrangevano sugli scogli.
Aprii di scatto di gli occhi, trovandomi seduta su uno scoglio, con le gambe a penzoloni sopra il mare. Sgranai gli occhi, mentre la testa iniziava a girarmi a causa dell’altezza, e poi, con cautela, mi tirai indietro, in modo da essere completamente sulla terra ferma.
Poi, dopo essermi calmata un attimo, mi guardai intorno e poco lontano da lì, su un precipizio a picco sul mare, nascosta dalla vegetazione, scorsi la villa dei Jonas in cui avevo trascorso settimane, nell’altra dimensione.

«Oh no, mi sono catapultata qui un’altra volta!», sbraitai, alzandomi in piedi e portandomi le mani nei capelli. «Ma porca miseria, non ho desiderato di scomparire! O forse sì, ma… uffa!»
Sbuffai pesantemente, calciando un sassolino che rotolò sullo scoglio e cadde giù, nel mare.
«Devo… devo tornare indietro, ho lasciato Ale là da sola!»
Ora, ciò che mi preoccupava maggiormente era lei, che per la prima volta mi aveva vista scomparire.

«EHI! ARY!»

Mi pietrificai sul posto, quando udii la voce di Joe chiamare il mio nome. Mi voltai e, coprendomi gli occhi con un braccio per non venire accecata dal sole del primo pomeriggio, lo vidi appoggiato al parapetto della terrazza che dava proprio sugli scogli: aveva gli occhi e la bocca spalancati, incredulo di vedermi lì.
Non feci in tempo a dire e/o a fare niente che con una corsetta rientrò nella villa. Era andato ad avvisare qualcuno?

Sgranai gli occhi, pensando a Nick, e mi portai le mani sulle tempie. «Dai, dai, dai! Devo andarmene da qui!»
E per la prima volta ci riuscii a comando.

Mi ritrovai immersa nell’acqua di una piscina, da quello che potevo vedere. Salii in superficie e, scostandomi i capelli bagnati dal viso, vidi Ale, la mamma dei Jonas e Rob sul bordo della piscina, con gli occhi sgranati e delle facce che più sconvolte di così non potevano essere.

«A-A-Ary, s-s-stai bene?», mi chiese Ale, porgendomi timidamente una mano.

«Sì, più o meno», tossii, sputacchiando un po’ d’acqua al sapore di cloro ed afferrando la mano che mi aveva offerto.
Uscii fuori dalla vasca e mi strizzai i capelli e la maglietta, fradici. Come aveva detti mio fratello, avevo ancora molto da imparare sugli “atterraggi”!

«Che cosa diamine è successo?», chiese la signora Jonas, guardandomi.

«Ecco… diciamo che sono andata nell’altra dimensione», spiegai, senza sollevare lo sguardo dal bordo della maglietta che stavo ancora stringendo fra le mani.

«È… è assurdo!», gridò e Ale annuì. Da che parte stava?!

«Lo so», sospirai. «Fin troppo bene, ma non è stata una mia scelta avere questo potere.»

«Ed è stata una scelta dei miei figli, finire in un’altra dimensione?!»

«No, assolutamente no. Per quanto riguarda l’andata non so niente, non conosco il motivo per il quale si viene teletrasportati di là… però so come farli tornare indietro.»

«Tutto questo è illogico», si portò le dita sulle tempie, lasciandosi cadere su uno sdraio dietro di sé. «Però ti ho anche vista sparire nel mio salotto e ricomparire dopo alcuni minuti nella mia piscina… quindi, ci crederò. Se questo serve a riavere i miei figli…» Aveva gli occhi lucidi, preoccupata come solo una mamma poteva essere.
Chissà se anche la mia aveva sofferto in quel modo, quando io e Davide eravamo finiti nell’altra dimensione…

«Questo basta», sorrisi.

***

«Beh, non è andata tanto male», mi sussurrò Ale.

«No», mugugnai, guardandomi intorno con circospezione.
Tutti, nel treno, mi lanciavano occhiate curiose: ero ancora bagnata dopo il tuffo in piscina.

«Ma quindi basta che qualcuno creda a questa cosa della dimensione parallela e può tornare indietro?»

«Non hai capito un cavolo, come al solito», sospirai. «Io posso far tornare di qua Nick, Joe e Kevin, a patto che qualcuno in questa dimensione sappia e creda alla dimensione parallela. Ora che loro madre ci crede, dovrei riuscirci.»

«E se avessi provato a portarli di qua senza che loro madre ci credesse?», chiese, incuriosita.

Io chiusi gli occhi, portando lo sguardo fuori dal finestrino. «Li avrei persi.»
Per sempre
.

***

«Nick, Nick, Nick!», gridò Joe, il fiato corto dopo aver fatto un’intera scalinata di corsa.

«Che hai?», gli chiese annoiato, senza distogliere lo sguardo dalla tv, stravaccato sul divano.

«Io… Sullo scoglio… Ary!»

A quel nome Nick si voltò di scatto e Joe gli indicò di seguirlo.
Salirono di corsa nella camera del mezzano e si sporsero sulla terrazza che dava sugli scogli.

«Allora?», chiese Nick, con un leggero fiatone. «Dov’è? Io non vedo nessuno!»

«Era… era là, te lo posso giurare!», gridò, indicando uno scoglio un po’ più in basso. «Non so dove sia finita!»

«Non importa», biascicò e rientrò dentro.

«Fratello…»
Nick, richiamato, si voltò verso di lui.
«Mi dispiace.»

«Anche a me, anche a me.»

«Dove vai?», gli domandò ancora Joe.

«A preparami: ho un appuntamento con Charlotte», rispose con una smorfia sul viso e si sbattè la porta alle spalle.

_________________________________________

Ciao a tutti! :)
È passata un’infinità dal mio ultimo aggiornamento o.o Un po' per la mia pigrizia, un po' per le vacanze... Insomma, spero mi perdoniate ;) E che perdoniate anche la “cortezza” di questo capitolo xD Beh, quello che conta è che vi sia piaciuto *-*
Ho una bella notizia da darvi. Durante questo periodo in cui sono sparita non ho pettinato le bambole, bensì ho scritto dei capitoli di questa storia! :D Quindi, essendo già pronti, ci metterò poco a postare. Siete felici? *-* Però, si da il caso che sia in vacanza e quindi fino a inizio settembre non so se avrò di nuovo internet -.- Beh, sicuramente a settembre avrete un nuovo capitolo! ;)
Bene, detto questo, non mi resta che ringraziare chi, diligentemente, ha lasciato una recensione allo scorso capitolo:

miusic__dreamer : Ciao! Mi fa davvero piacere che questa storia ti piaccia tanto da aspettare ogni morte di papa xD Inseparable era davvero perfetta per quelle due e piace molto anche a me! :) Spero che questo capitolo sia stato di tuo gradimento! Grazie, alla prossima, baci! *-*

nes95 : No, non è morta la rossa xD Mi dispiace ahahah xDD Il mio fratellino *-* Nick in questo capitolo è tornato, spero ti sia piaciuto! Grazie e alla prossima! :)

Grazie mille anche a chi ha letto soltanto! :)
Alla prossima! Vostra,

_Pulse_

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10

«Aspetta un attimo», mi interruppe Ale, portando davanti alla bocca piena una mano. Nell’altra aveva la mela verde che stava mangiando. «Ripetimi un’altra volta il piano.»

«Non c’è nessun piano, Ale!» Lasciai ciondolare le braccia lungo i fianchi, sospirando pesantemente.

Era la decima volta che le spiegavo quello che stavamo per fare. Mio fratello, seduto sulla poltrona in salotto, se la rideva sotto i baffi: ci sarebbe stato da divertirsi.

«Devo imparare a fare questi benedetti atterraggi, no? Quindi, adesso mi voglio esercitare», spiegai di nuovo. «Io mi trasporterò nell’altra dimensione e tu sarai il mio punto di riferimento per il mio ritorno.»
Ale diede un altro morso alla mela, guardandomi con attenzione. Io roteai gli occhi al cielo.
«Ciò vuol dire che io penserò intensamente a te quando dovrò tornare indietro e tu non dovrai far altro che startene qui, buona buona. Hai capito?»

«Ah!», sorrise, dandomi una pacca sulla spalla. «Perché non l’hai detto subito?» Saltellò verso il divano e si mise seduta di fronte alla tv. «Ti aspetto qui. E ora forza, al lavoro!»

Ancora scioccata, scossi il capo per riprendermi. Poi mi misi seduta di fronte a Davide e ad Ale e mi concentrai.
Poiché non volevo assolutamente incontrare i Jonas durante i miei allenamenti, pensai intensamente ad un luogo della dimensione parallela in cui non li avrei mai incrociati. Mi venne subito in mente casa di Fiore, ma avevo già disturbato troppe volte, non mi sembrava il caso. Dunque, l’unico posto che mi venne in mente fu la spiaggia.
Incrociai le dita e, esattamente com’era successo quella volta a casa della signora Jonas, non mi accorsi nemmeno di essermi trasportata fino a quando non sentii il terreno più molle sotto i piedi, il vento profumato di salsedine scompigliarmi i capelli e il rumore delle onde che levigavano la riva.

Aprii gli occhi e rimasi ad osservare, con il cuore stuzzicato da piccolissimi aghi di malinconia, la spiaggia. Era un luogo pieno di ricordi, quello… ricordi di me e di Nick. Era il nostro luogo, quello in cui ci eravamo trovati per la prima volta, in circostanze non proprio piacevoli, e in cui poi ci eravamo scoperti, in cui avevamo sorriso, riso, in cui eravamo rimasti in silenzio ad osservare il mare, il sole tramontare, le stelle, la luna brillare sull’acqua… il luogo in cui, ne ero quasi certa, avevo capito che ciò che provavo per lui era molto di più che semplice affetto.

Ricordai la sera in cui mi avevano catturata, il modo in cui mi aveva avvolta nell’asciugamano con sé; ricordai il pomeriggio in cui mi aveva fatta “evadere” per la prima volta dalla villa, il tempo che, chiacchierando di fronte al tramonto, era volato via; ricordai il nostro primo bacio…

Chiusi gli occhi alle lacrime, pensando che ora Nick aveva a che fare con la cheerleader dai capelli rossi, e mi concentrai sui miei allenamenti. L’andata non era più un problema, da quanto avevo potuto notare, era il ritorno che ancora non andava bene…

Feci qualche passo sulla riva, stando attenta a non bagnarmi le scarpe con l’acqua salata, riflettendo per cercare di capire quale fosse il mio errore. Forse Fiore avrebbe potuto darmi una mano, ma non potevo sempre appoggiarmi sull’aiuto degli altri… per una volta, visto che il dono era solo mio in me, dovevo farcela da sola.

Mi voltai a guardare il sole infuocato calare dietro il mare ed accennai un sorriso, poi strinsi i pugni lungo i fianchi e…

***

Nick non voleva vederla di nuovo, non ne poteva più della sua vocetta fastidiosa e della sua parlantina…
Non ne poteva più nemmeno di fingere che andasse tutto bene di fronte ai suoi fratelli, anche se loro lo avevano capito subito che quei tentativi erano patetici.
Non si può mentire ad un fratello.

Fece qualche passo sulla scogliera e il flusso dei suoi pensieri accarezzò, come sempre, la sua figura e i ricordi, belli quanto dolorosi, che si portava dietro. Non l’aveva dimenticata e dubitava che l’avrebbe fatto tanto presto.
Il tentativo di Joe di fargliela dimenticare, facendolo uscire con Charlotte, era un’assurdità, ma aveva apprezzato il gesto; nonostante questo, però, non era ancora riuscito a levarsela dalla testa.
In quel momento non voleva avere nulla a che fare con le ragazze, perché che senso aveva, se il suo cuore se l’era già preso lei?

Alzò lo sguardo verso il tramonto e con la coda dell’occhio vide una ragazza camminare sulla riva, lo sguardo basso sui propri piedi e le mani nelle tasche dei jeans.
Strinse le palpebre, cercando di focalizzarla meglio anche se il suo cuore l’aveva già riconosciuta e per questo aveva iniziato a scalpitare nella cassa toracica. Lei alzò il capo per osservare il tramonto e riuscì a vedere perfettamente il suo viso: era lei, non c’erano dubbi.
Aveva l’accenno di un sorriso sulle labbra. Era il più bello che avesse mai visto e pensò che era quello che voleva, solamente quello, e nessuna ragazza a parte lei gliel’avrebbe potuto offrire.

Ma non era possibile, no… Il tempo di chiudere gli occhi per un attimo, ed era già sparita.

Sorrise amaramente e si strinse il setto nasale fra le dita. Quella spiaggia, in cui avevano vissuto i momenti migliori di loro, doveva averlo suggestionato tanto da fargliela apparire come un miraggio.

***

Per non cadere cercai un appiglio, ma mi trovai solamente sommersa sotto diverse scatolette e pacchetti. Non fu difficile capire che mi trovavo nella dispensa.
Ale era di fronte a me, con una mano ancora sull’interruttore della luce e l’altra sollevata in aria, in direzione di un pacchetto di patatine.

«Cavolo… che tempismo», ridacchiò, stiracchiando un sorriso nervoso.

Mi costrinsi a restare calma e feci tanti respiri profondi, ad occhi chiusi. Poi, dopo aver cacciato Ale, mi misi a sistemare le cose che avevo fatto cadere. Una volta finito, tornai in salotto, di fronte a Davide che tratteneva a stento le risate. La mia migliore amica sembrava dispiaciuta.

«Mi dispiace», mugugnò, senza sollevare lo sguardo.

«Voglio riprovare», risposi seccamente, stringendomi le braccia al petto.

«Forse sarebbe meglio, questa volta, se prendessi come punto di riferimento un qualcosa di… immobile», consigliò Davide.

Non era affatto una cattiva idea. Di certo, se avessi scelto qualcosa che non poteva muoversi, a meno che non venisse spostato, sarebbe stato fermo in qualsiasi caso ed io non avrei rischiato nuovamente di finire nei posti frequentati da Ale. E menomale che era andata soltanto in dispensa… chissà se fosse andata in bagno!

Mi portai istintivamente una mano al collo e sfiorai il ciondolo a forma di stella che mi aveva regalato mamma quando io ero ancora una bambina.
Avevo scoperto che non era lui che mi permetteva di andare da una dimensione all’altra, ma uno scopo doveva pur avercelo, no? Glielo avevo appena trovato.
Mi tolsi la catenina e posai il ciondolo al centro del tappeto, esattamente ai miei piedi, poi feci un cenno di saluto alla mia migliore amica e a mio fratello e quando riaprii gli occhi mi trovai di nuovo sulla spiaggia.

Ci stavo prendendo la mano e, infatti, dopo le prime volte in cui mi ero sentita frastornata e con le orecchie ovattate dopo ogni viaggio dimensionale, non sentivo niente.
Mi ci stavo abituando e non era poi così spiacevole, dopotutto, sapere di avere a propria disposizione un’altra dimensione, se non ancora di più, in cui potersi rifugiare.

Delle urla stridule ed irritanti mi fecero voltare verso la scogliera che comunicava direttamente con la spiaggia e mi si bloccò il respiro: Nick era lì, a pochi metri da me, e stava aspettando la cheerleader rossa, che gli stava correndo incontro gridando.
Mi si spezzò il cuore, invece, quando lei gli gettò le braccia intorno al collo e lo abbracciò. Dalla mia posizione, lui mi dava le spalle e non riuscivo a vedere bene, ma solo all’eventualità che si stessero baciando…
Le lacrime mi punsero gli occhi e non potei impedire ad una di esse di scivolare lentamente sulla mia guancia.

Nick faceva bene, faceva più che bene a comportarsi in quel modo, visto come mi ero comportata io, ma non riuscivo ad accettarlo.
Il cuore mi bruciava e le lacrime di dolore e tristezza si trasformarono ben presto in lacrime di rabbia.

***

«Uh-uh! Amorino! Sono qui!»

Nick sospirò rassegnato e si girò verso Charlotte che gli correva incontro. Non fece in tempo a dire niente che lei gli gettò le braccia intorno al collo e lo abbracciò, lasciandolo stupefatto.

«Scusa se ti ho fatto aspettare», gli sussurrò e avvicinò il viso al suo, ma Nick serrò le labbra e, prendendola per le spalle, l’allontanò.
Non poteva farlo, non ci riusciva.

Charlotte lo guardò un po’ delusa, ma non disse niente. Si limitò soltanto a prendergli la mano e a farlo voltare verso la spiaggia: aveva voglia di fare una passeggiata.

Poco distante da loro, vide una ragazza che aveva sicuramente già visto. Anche Nick si soffermò a guardarla, ma la sua reazione fu del tutto diversa dalla sua: era incredulo, felice e allo stesso tempo sembrava addolorato. Non riusciva a capire quale fosse l’emozione dominante e fu in quel preciso istante che ricordò chi fosse quella ragazza: era quella che si presupponeva avesse il potere di viaggiare fra le due dimensioni, quella che Nick e i suoi fratelli avevano tanto cercato e che alla fine avevano catturato.
Ma perché allora era lì e Nick aveva reagito in quel modo?

«Va tutto bene, amorino?», gli chiese, accarezzandogli il dorso della mano, ma lui non le prestò nemmeno un briciolo della propria attenzione.

Nick scosse il capo. Era già la seconda volta che la immaginava, qualcosa non andava.
Chiuse gli occhi per scacciare via la sua immagine, ma quando li riaprì la vide ancora: era sempre lì, con i pugni stretti lungo i fianchi, le labbra arricciate e gli occhi lucidi.

Charlotte, furibonda, lo strattonò con violenza per portare il suo sguardo su di sé, ma facendo così l’allontanò ancora di più. Infatti, la fulminò con gli occhi e ringhiò: «Lasciami in pace!», per poi andare incontro a quella ragazza.

Ad ogni passo la vedeva avvicinarsi e ancora non ci credeva che fosse davvero lei. Aveva paura che una volta di fronte a lei scomparisse nel nulla, così la sua camminata svelta divenne una corsa e per accertarsi che non fosse solo frutto della propria immaginazione l’abbracciò, stringendola fortissimo al petto.
La sentì irrigidirsi fra le sue braccia, la sentì singhiozzare e piangere contro il suo petto e una voragine gli divorò il cuore, dimentico di tutto ciò che aveva sofferto per lei. Perché stava piangendo?

«Ary», sussurrò.
Le accarezzò le guance, spazzando via le lacrime, e vedere i suoi occhi sofferenti fu peggio di una coltellata al cuore.

Lei scosse con insistenza il capo e lo spintonò via da sé, poi gli tirò uno schiaffo abbastanza forte da fargli voltare il capo.
Non sapeva se se lo meritava o meno, ma lui incassò il colpo.

«Scusa», biascicò subito lei, dispiaciuta, ed iniziò a camminare velocemente costeggiando la riva.

Nick la inseguì: non poteva lasciarla andare via ancora.
«Ary! Ary, aspetta!»
Le prese il polso e la costrinse a girarsi.

«Che cosa vuoi, che cosa vuoi ancora da me?!», gridò con tutta la voce che aveva, cercando di liberarsi dalla sua stretta. «Non abbiamo più niente da dirci, tu mi hai rimpiazzata con la prima che hai trovato!»

«Che cosa? No!», gridò Nick a sua volta, rosso in viso. «E poi tu sei la prima ad essere scappata e ad avermi lasciato qui!»

«Sì, l’ho fatto e ho sbagliato, ma come vedi sono tornata perché io ti ho fatto una promessa e io le promesse le mantengo sempre.»
Rimasero ad osservarsi in silenzio, per qualche istante. Ary si asciugò le lacrime con il dorso della mano e tirò su col naso.
«Ora lasciami, per favore», lo supplicò con un fil di voce e lui obbedì, liberandole il polso.

Ary chiuse gli occhi e senza nemmeno rendersene conto si trovò nel salotto di casa sua, nell’altra dimensione, proprio accanto al ciondolo. Cadde in ginocchio sul tappeto e con il volto fra le mani scoppiò in un pianto disperato, di fronte ad Ale e a Davide che in un primo momento non seppero assolutamente cosa fare, ma che subito dopo la raggiunsero e le rimasero vicino fin quando anche l’ultima lacrima fu versata.

I could pick up all your tears,
throw ‘em in your backseat
Leave without a second glance
Somehow I'm to blame
for this never-ending racetrack you call life

Nick rimase immobile come l’aveva lasciato prima di scomparire nel nulla, poi si incamminò a passo spedito verso la villa che condivideva con i propri fratelli.
In quel momento avrebbe voluto sparire anche lui, rifugiarsi in luogo in cui riflettere senza essere disturbato, ma si sarebbe dovuto accontentare della sua stanza.

«Amorino, dove vai?», chiese Charlotte, correndogli dietro.
Gli prese una mano, preoccupata, ma lui si liberò immediatamente dalla sua stretta e la guardò in cagnesco. Non era da lui comportarsi in quel modo, ma voleva solo essere lasciato in pace.

«Senti, Charlotte. Mi dispiace tanto, ma io non ti amo e non credo potrà mai nascere qualcosa fra di noi. Io non avrei voluto illuderti, questa è stata un’idea di mio fratello e preferirei che non ci vedessimo più: il mio cuore appartiene a…»

«A quella ragazza?», gli chiese con una smorfia sul viso.

«Sì, esattamente. Mi dispiace, Charlotte…»

«Non importa, stai tranquillo», mormorò e si voltò.

Nick rimase ad osservarla mentre si allontanava da lui, poi abbassò lo sguardo e riprese a camminare sulla spiaggia.
Il mare aveva inghiottito anche l’ultimo spicchio di sole.

***

La luce chiara della luna entrava nella stanza e illuminava parte del letto.
Seduta sul davanzale della finestra, la osservavo e mi chiedevo per quale stupido motivo mi ero comportata in quel modo, quella sera. Gli avevo persino tirato uno schiaffo e poi avevo avuto il coraggio di scappare via, proprio come una codarda.
Mi sentivo un’emerita stupida e, inoltre, non riuscivo nemmeno ad essere arrabbiata con lui per aver frequentato la cheerleader dai capelli rossi subito dopo la mia scomparsa. L’avevo già perdonato perché sapevo che la maggior parte della colpa ce l’avevo io, essendo ritornata nella dimensione normale senza di loro.
Forse, l’unica cosa che mi bruciava era che avesse creduto che io non avrei mantenuto la promessa. Aveva così poca fiducia in me?

Sentii la porta della mia stanza aprirsi, ma non mi voltai per vedere chi fosse.

«Tesoro…»

La voce di mamma mi arrivò alle orecchie e mi passai una mano sul viso per cancellare i segni delle lacrime che, per l’ennesima volta, mi avevano rigato il volto.

«Sei sicura di non voler nulla da mangiare?», mi chiese, premurosa.

«Sono a posto così, grazie», risposi, cercando di non far notare la mia voce nasale, ma lei se ne accorse comunque e si chiuse la porta alle spalle, raggiungendomi alla finestra.

«Che cos’è successo, piccola?» Mi accarezzò docilmente i capelli e io posai la testa nell’incavo della sua spalla, senza distogliere lo sguardo dalla luna.

«Una cosa che non sarebbe dovuta succedere», risposi.

Sorrise divertita. «Ti sei innamorata?»

«Forse.»

«E lui lo sa?»

«Non lo so… cioè, io non gliel’ho mai detto esplicitamente…»

«E che cosa stai aspettando?»
Mi fece sollevare il viso per guardarmi negli occhi e sorrise, accarezzandomi le guance. «Se per te è così importante devi provarci, perché se non lo fai corri il rischio di pentirtene per tutta la vita…»

«È complicato, mamma… siamo troppo distanti…»

«Nessuna distanza può spezzare il legame che l’amore costruisce fra due persone…»

«Credi davvero che dovrei dirglielo?», mugugnai, gli occhi bassi e le guance infuocate.

«Assolutamente sì», ridacchiò e mi stampò un bacio sulla fronte. «Però ora è il momento di dormire. Buonanotte, tesoro.»

«Buonanotte, mamma. E grazie», bisbigliai con l’accenno di un sorriso ad incurvarmi le labbra.

Lei ricambiò ed uscì dalla stanza, chiudendosi con delicatezza la porta alle spalle.

Scesi dal davanzale, arraffai il cellulare sul comodino e mi misi seduta sul letto.
Mi mordicchiai le labbra, chiedendomi se quello che stavo per fare fosse la cosa giusta, e decisi che una volta tanto dovevo dare ascolto al mio cuore.


Ho deciso, torno di là.


Inviai il messaggio ad Ale e mentre mi stavo togliendo la catenina con il ciondolo dal collo mi arrivò la sua risposta.


Che cosa?! Tu sei
completamente impazzita!
Tua madre non vuole
che vai di là e se
dovesse scoprirti… Ah, fai
quello che ti pare, testa
dura. Stai attenta.


Un soffio di vento entrò nella stanza vuota e scostò dalla finestra la tenda di stoffa leggera.
Un raggio di luna fece brillare il ciondolo a forma di stella abbandonato sul letto.

Turn right, into my arms
Turn right, you won't be alone
You might fall off this track sometimes
Hope to see you at the finish line

___________________________________________________

Buongiorno a tutti! :)
Di nuovo a casa, internet 24 ore su 24, direi che posso postare! ;) Vi lascio però con la suspance, eh? xD Chissà che cosa succederà ora che Ary è tornata di là, da Nick... Si scuserà per la litigata e lo schiaffo di quel pomeriggio? E, soprattutto, gli dirà che tiene davvero a lui? Bah, chissà u-u
La canzone che ho usato in questo capitolo è la bellissima Turn right, ovviamente dei Jonas Brothers, e vi confesso che è una delle mie preferite, se non proprio la mia prediletta :)

Ringrazio di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo. Cioè miusic__dreamer xD Santissima ragazza, sei l'unica su cui io mi possa appoggiare qui?! xD Vabbè, meglio pochi ma buoni si suol dire u.u Sto scherzandoooooo, so che chi non recensisce è solo timido u.u :D
Comunque, bando alle ciance, ti devo dei ringraziamenti! Ci sei rimasta un po' male quando Nick ha detto di avere un appuntamento con Charlotte? Beh, adesso come sei rimasta? xD Sono proprio curiosa! *-* Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto e che io abbia aggiornato abbastanza presto xD Ciao, alla prossima e grazie ancora! :)

Ringrazio anche chi ha letto soltanto! :)

P.S. A tutte quelle che odiano la rossa: è un po' antipatica, questo è vero, ma poverina! xDD

Alla prossima! Vostra,

_Pulse_

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11

 

Quando aprii gli occhi vidi subito il riflesso della luna brillare sulla superficie dell’acqua, la stessa luna che avevo guardato fino a poco prima dalla finestra delle mia cameretta nell’altra dimensione.
Il mare sospirava lentamente e feci un respiro profondo prima di incamminarmi verso la villa dei Jonas.

Attraversai la scogliera e la fitta vegetazione che nascondeva quella fantastica abitazione sul promontorio, poi, finalmente, sbucai nel giardinetto, delimitato da cespugli di rose bianche, in cui si trovava la veranda all’aperto. Era uno dei miei posti preferiti, quello.
Delle torce piantate nel terreno creavano un’atmosfera tutta particolare, il profumo dei fiori si mescolava a quello iodato dell’oceano e gli unici suoni che si udivano erano il frinire delle cicale e i dolci sbuffi delle onde.

Seduto su uno dei quattro divanetti bianchi che circondavano, insieme ad uno sdraio, un tavolino di legno e dal ripiano in vetro, vidi Nick.
Il cuore mi schizzò in gola ed iniziò a battere fortissimo, tanto che ebbi paura che riuscisse a sentirlo.

Volevo avvicinarmi, ero andata lì per quello dopotutto, per parlare con lui, per scusarmi e per chiarire, ma i miei muscoli non volevano collaborare. Fu lui, dopo qualche minuto, ad accorgersi della mia presenza.

«Ary», mormorò, fissandomi incredulo.
Si alzò e fece qualche passo verso di me. Solo allora riuscii a muovermi e diminuii la distanza fra noi, salendo sul rialzo fatto d’assi di legno.

Lo guardai in viso, sollevando di poco il capo, e un velo impercettibile di lacrime mi inumidì gli occhi.
«Ciao, Nick», sussurrai. Lui aprì la bocca per dire qualcos’altro, ma io non glielo permisi, posandogli un dito sulle labbra.
«Mi dispiace per lo schiaffo e per come mi sono comportata oggi, non so cosa mi sia preso… o, meglio, lo so e mi dispiace anche per questo: non avrei dovuto lasciarvi qui in quel modo, ma non ho mai smesso di pensare a voi, non ho mai pensato di non mantenere la mia promessa e il fatto che tu abbia creduto che me ne fossi andata per sempre, senza di voi, mi ha ferita… a parte il fatto che sei uscito con quella cheerleader da strapazzo… ma questo non ha molta importanza, dopotutto io non sono nessuno per decidere chi tu debba frequentare e –»

Quella volta fu Nick ad impedirmi di parlare e lo fece posando le labbra sulle mie, stringendomi fortissimo a sé, tanto che per un momento pensai di soffocare.
Lentamente la sua stretta si allentò e mi accarezzò i fianchi, continuando a muovere delicatamente le labbra sulle mie.
Sorpresa e anche un po’ imbarazzata, ma se non altro al settimo cielo, ricambiai il bacio. Infilai una mano fra i suoi riccioli e sorrisi, respirando tutto il suo profumo. Mi era mancato tanto.

«Non farlo mai più. Non farlo mai più, ti prego», sussurrò ad occhi chiusi, posando la fronte contro la mia e prendendomi il viso fra le mani.

«Che cosa?», chiesi, sbigottita.

«Non sparire mai più così, non so se reggerei ancora il colpo.»

«Non lo farò più, promesso», sorrisi.

 

Passeggiando sulla sabbia fresca a piedi nudi, sotto il chiarore della luna, le nostre mani unite ci facevano avvicinare e allontanare come se stessimo danzando.
Ciò che sentivo dentro era indescrivibile, ero felice al suo fianco e per una volta avevo fatto bene a dare un po’ di fiducia al mio cuore. Mi appuntai mentalmente che appena tornata a casa dovevo ringraziare mamma, perché anche lei aveva la sua parte di merito.
Però, solo all’idea di tornare nell’altro mondo mi veniva la nausea. Non volevo lasciarlo, mai più.

«Io non ho mai smesso di avere fiducia in te», esordì Nick, facendomi perdere il filo dei miei pensieri.
Lo guardai in viso e lui sorrise, continuando: «Non ho mai smesso di credere che tu un giorno saresti tornata e che avresti mantenuto la tua promessa.»

«E allora perché… perché sei uscito con quella?», chiesi accigliata, riferendomi alla cheerleader dai capelli rossi.

«Charlotte?», ridacchiò. «Io non c’entro nulla, è stata tutta un’idea di Joe.»

«Dovevo sospettarlo», scossi il capo, divertita.

«È stato lui ad organizzarmi tutti gli appuntamenti con lei, credeva che in questo modo ti avrei dimenticata… ma si sbagliava.» Mi attirò a sé e mi cullò nel suo abbraccio, con le labbra posate sui miei capelli. «Con lei non è mai successo niente.»

Tracciai linee immaginarie sul suo petto, mordendomi un sorriso. «Lo spero per te, Nicholas Jerry Jonas.»

Ci mettemmo seduti sulla sabbia, stretti l’uno nelle braccia dell’altra, a guardare il mare di fronte a noi.
Era come vivere un sogno.

«Ora tocca a te», disse Nick. «Come mai sei sparita, la sera della festa in maschera?»

Ricordai quella sera e una smorfia mi si dipinse sul viso.
«Quando tu hai accompagnato via Joe ubriaco, io sono andata a prendermi da bere e in quel momento una ragazza si è avvicinata a me e ha iniziato a dire cose strane… mi ha stuzzicata e io sono cascata in pieno nella sua trappola.» Abbassai lo sguardo, vergognandomi della mia stessa stupidità.

«Che cosa ti ha detto?», mi chiese lui, corrugando la fronte.

«Mi ha insinuato un dubbio: mi ha chiesto se tu non fossi troppo possessivo nei miei confronti e se ci fosse un altro motivo dietro… mi ha detto che era certa che se io ti avessi chiesto di andare a trovare i miei parenti in prigione, tu mi avresti risposto di no. E, in effetti, tu mi hai detto proprio di no…»

«Ary», sospirò e mi strinse un po’ più forte a sé.

«Per questo io ho fatto quella scenata e ti ho detto che…»

«Ary, io non volevo che tu non vedessi i tuoi parenti… anzi, ti avrei portato io stesso a trovarli e li avrei anche fatti uscire da lì, in un modo o nell’altro, ma sai… la gente si fida di noi, crede che vogliamo restare qui per sempre, crede che ti abbiamo catturata per impedirti di usare il tuo potere… sarebbe stato complicato liberarli senza dare nell’occhio, ma ti assicuro che io, Joe e Kevin stavamo già organizzando un piano e quella sera te ne avrei parlato…» 
Mi raccontò tutto d’un fiato, perdendosi lui stesso nel racconto e gesticolando con lo sguardo rivolto verso il mare. Quando finalmente si voltò verso di me trovò un sorriso commosso ad attenderlo. Ero stata così stupida…

«Quella volta ti ho detto che ti odio», ripresi da dove avevo lasciato, già rossa in viso. «Invece credo proprio di essermi innamorata di te.»

Nick socchiuse le labbra, sorpreso dalla mia confessione, poi sorrise in un modo dolcissimo e mi prese per la nuca, attirandomi a sé. Mi baciò sulle labbra e il mio cuore perse un battito.

«Anche io mi sono innamorato di te. Quasi subito a dire la verità», mi rispose, stando vicinissimo al mio viso col suo, tanto che sentivo il suo respiro mescolarsi al mio.

Boccheggiai, presa alla sprovvista. Era riuscito a tenermelo nascosto così a lungo e io non avevo mai capito veramente i suoi sentimenti? Ero cieca, oltre che stupida.

«Senza parole?», ridacchiò.

«Io… io non so cosa dire», balbettai.

«Allora non dire niente», mormorò prima di rimpegnare le sue labbra con le mie.

Posai le mani sul suo petto, allontanandolo un poco. «Aspetta, aspetta.»

«Che cosa c’è?», mi domandò, incuriosito.

«Non ho finito di raccontarti.»
Corrugò la fronte, ma non intervenne e mi lasciò continuare di mia spontanea volontà: «Quando stavo per tornare nell’altra dimensione, quella sera, ho visto chi era veramente quella ragazza. Hai… hai mai sentito parlare di una vecchia veggente che pare abbia anche lei questo dono?»

«Sì, eccome se ne ho sentito parlare. Ma perché ha fatto tutto questo?»

«Vedi, io… prima che noi ci incontrassimo, sentendo parlare di questa donna mi sono voluta informare e le ho chiesto aiuto… lei ha detto che ero speciale e voleva catturarmi, non so per quale motivo… Però sono riuscita a scappare e da quel giorno non l’ho più vista, eccetto quella sera. Credo che l’abbia fatto per accertarsi che io abbia il dono… Non so come abbia fatto, ma mi ha stimolata a tal punto da crederci e…»

«E sei riuscita a trasportarti di là», annuì, pensieroso.
«Hai rivisto la tua famiglia?», mi chiese ancora, dopo qualche secondo di silenzio.

«Sì… mia madre andrebbe su tutte le furie se sapesse che sono tornata di qua.» Mi strinsi ancora di più a lui, incominciando ad avere freddo.

«E tuo fratello?»

«Oh, lui sta benone. Era già a casa, quando mi sono trasportata di là… Anche lui ha questo dono e lo sa utilizzare addirittura meglio di me», gli spiegai. Osservai la sua espressione sbalordita e sorrisi.
«E sai chi ho visto, anche?»

«Chi?», domandò a bassa voce, gli occhi tristi che fissavano il mare.

Avvicinai le labbra al suo orecchio e sussurrai: «Vostro fratello.»

Sobbalzò e mi prese le spalle fra le mani, guardandomi intensamente negli occhi. «Frankie? Tu hai visto Frankie?»

«Sì», ridacchiai. «E anche vostra madre e la vostra super guardia del corpo…»

«Tu… mia madre e Rob?»

«Sì, mi pare si chiamasse così… è un armadio! Stava per buttarci fuori senza riguardi, ma Ale si è impuntata ed è riuscita a farci incontrare vostra madre. Ah, Ale è la mia migliore amica.»

«Tu hai visto mia madre, mio fratello e Rob!», gridò ancora – non aveva ascoltato nemmeno una parola di quello che avevo detto – e mi strinse fortissimo al suo petto. «Come stanno? Raccontami tutto!»

«Stanno tutti bene… certo, sentono tutti la vostra mancanza e vostra madre è molto triste, però stanno bene… Gli ho raccontato di questa dimensione parallela e, anche se all’inizio erano un po’ scettici, dopo avermi visto scomparire in salotto e ricomparire in piscina ci hanno creduto… È stato quando Joe mi ha vista.»

Nick ricordò quel pomeriggio e spalancò gli occhi. «Allora Joe non mentiva, eri davvero qui…»

«Perché avrebbe mentirti in quel modo? Nemmeno Joe è così insensibile…»

Ci guardammo negli occhi e ridemmo, prima di abbracciarci e di baciarci di nuovo.

Poco dopo, nella camera di Nick, non avevamo smesso di fare ciò che facevamo in spiaggia.
Mi baciava sulla bocca senza più nessun timore ormai, andavamo a briglia sciolta e cademmo sul letto, io sopra di lui.
Mi sentivo andare a fuoco e, allo stesso tempo, ogni volta che le sue mani mi sfioravano sentivo mille brividi percorrermi la schiena.

Gli accarezzavo i capelli con una mano e con l’altra gli sfioravo il collo, inebriandomi del suo profumo, quando realizzai che il tempo che potevo passare con lui stava per scadere.
Non potevo assolutamente trattenermi in quella dimensione fino al giorno dopo perché se mia madre mi avesse scoperta sarebbero stati dolori e, sempre per non farmi scoprire, dovevo scendere dal mio letto, fare colazione e andare a scuola.
Non volevo assolutamente tornare a casa, volevo solo stare con Nick in quel momento e mi si spezzava il cuore ogni qualvolta aprivo un occhio e vedevo sulla sveglia i minuti che passavano.

Se fossimo entrambi nell’altra dimensione sarebbe tutto più facile… pensai e qualche istante dopo Nick mugugnò sotto di me.

«Che cos’hai?», gli chiesi, preoccupata. Il suo pallore non era affatto rassicurante.

«Improvvisamente… non mi sento tanto bene», biascicò. «E ho qualcosa sotto la schiena che…» Si sollevò di un poco e si levò da sotto la schiena un ciondolo a forma di stella. Me lo porse, mentre faceva respiri profondi per controllare quella nausea improvvisa.

«Oh, è solo il mio ciondolo», dissi, portando subito la mia attenzione su di lui.
Poi corrugai la fronte, confusa. Ero sicura di aver lasciato il mio ciondolo sul mio letto, prima di andare nella dimensione in cui si trovava Nick, quindi…

Mi alzai di scatto e mi guardai intorno. Nick fece lo stesso, mettendosi seduto sul bordo del letto ed ancorando i piedi a terra, e se la sua espressione era di confusione allo stato puro, io ero incredula e sconcertata.

«Dove siamo?», mi domandò.

«Nella mia camera!»

Un silenzio tombale ci avvolse e mi costrinsi a rimanere calma. Chiusi la finestra, che avevo lasciato aperta, e poi lo guardai con le mani fra i capelli.

«Siamo… siamo nell’altra dimensione?», mi chiese ancora, la voce tremante.

«Scusami Nick, mi dispiace, io non l’ho fatto volontariamente… ancora devo prenderci la mano e mi sono distratta un momento… Forse la nausea è un effetto collaterale del viaggio dimensionale.»

Quella scoperta non lo tranquillizzò. Si alzò dal letto, barcollando, e si avvicinò a me. Lessi nei suoi occhi l’indecisione e forse anche un po’ di preoccupazione.

«Devo… devo tornare di là, da Joe e Kevin. Devi riportarmi nell’altra dimensione.»

Lanciai un’occhiata alla mia sveglia sul comodino e sospirai, annuendo. Non potevo dirgli di no, era stata colpa mia infondo se l’avevo trasportato in quella dimensione senza preavviso, anche se questo mi sarebbe costato un altro po’ di tempo da poter dedicare al sonno.

Lo presi per mano e gli sorrisi rassicurante.
«Chiudi gli occhi», sussurrai e un momento dopo i nostri piedi affondavano nella sabbia e il vento ci scompigliava i capelli.
Di nuovo in spiaggia.

Rimasi qualche istante a guardare Nick, ancora ad occhi chiusi, e, chiedendomi come potessi essere stata tanto sciocca da non accorgermi prima di ciò che provavamo l’uno verso l’altro, gli diedi un bacio.
«Ora puoi aprire gli occhi», dissi sulle sue labbra.

Lui mi strinse a sé e mi sorrise lievemente.
«Resta qui con me ancora un po’», mormorò, accarezzandomi la guancia e guardandomi negli occhi.

Aveva uno sguardo così dolce e caldo, come potevo dirgli di no?
E poi ero stanca. Quel giorno mi ero allenata parecchio, avevo fatto di qua e di là fra le due dimensioni diverse volte e solo adesso sentivo sulle spalle tutta la stanchezza di quei viaggi. Un po’ di riposo non mi avrebbe fatto male.

«Ok, solo per un po’.»

Solo per il sorriso che mi rivolse sarei rimasta per tutta la vita.


Qualche ora dopo…


Mi svegliai accarezzata dal sole dell’alba e da un’arietta frizzante che mi fece venire la pelle d’oca.
Aprii gli occhi e, steso al mio fianco con un braccio che mi stringeva a sé, vidi Nick che ancora dormiva beatamente.
Sorrisi, accarezzando con lo sguardo il suo profilo. Ma la consapevolezza che, nonostante mi sentissi al posto giusto al momento giusto, quello non fosse il posto in cui dovevo essere in quel momento mi fece schizzare seduta sulla sabbia.

L’acqua del mare che brillava sotto i raggi del sole mi accecò e mi coprii il viso con un braccio.
Non potevo sparire senza avvisare Nick, quindi, visto che non avevo né foglio né penna, gattonai verso la riva.
Una volta finito di lasciare il mio messaggio, chiusi gli occhi e quando li riaprii di fronte a me vidi solo una piccola fessura dalla quale entrava un po’ di luce nell’oscurità più totale.
Tastai intorno a me per qualche secondo e capii di essermi catapultata nel mio armadio.

 

***

 

Nick si svegliò e si accorse subito che al suo fianco lei non c’era più. Ancora mezzo addormentato si mise seduto sulla sabbia e difese i propri occhi dalla luce del sole facendosi ombra con un braccio.

Rimase diversi istanti ad osservare il mare di fronte a sé, poi con un sospiro rassegnato si alzò e solo allora notò ciò che c’era scritto sulla riva, pericolosamente vicino a dove si stavano infrangendo le onde.

Non sono sparita di nuovo, io mantengo sempre le mie promesse.
Ora devo andare a scuola, torno stasera. Riuscirai a resistere? :D
Ary

Quando un’onda cancellò quelle parole, Nick sorrideva.

 

***

 

«Lo sapevo. Io lo sapevo che si sarebbe cacciata nei guai», borbottò Ale, appoggiata alla propria bicicletta, rivolta verso gli enormi cancelli della scuola per poter scorgere in ogni momento la figura della sua migliore amica. «Dove cacchio è finita!?»

Un paio di ragazzi si voltarono verso di lei, accigliati, chiedendosi come mai stesse parlando da sola, e lei li trucidò con lo sguardo.
Non era proprio giornata.

 

***

 

Scesi di corsa dall’auto, mettendomi in bocca ciò che rimaneva della brioche preconfezionata che avevo sgraffignato dal tavolo della cucina, e salutai goffamente mia madre, poi corsi all’interno del giardino della scuola.

Vidi subito Ale, appoggiata alla propria bicicletta e con un’espressione furente sul volto.
La raggiunsi e non riuscii nemmeno a salutarla decentemente, fra la brioche che molto probabilmente mi si era incastrata nell’esofago per la fretta, il fiato che mi mancava per la corsa, la stanchezza che avevo accumulato a causa di quel via vai fra le due dimensioni e le poche ore di sonno.

«Mi hai fatto prendere un infarto!», gridò, stringendomi in un forte abbraccio.
Mi guardò in viso, prendendomi le spalle fra le mani. «Ma stai bene? Hai una faccia…»

La rassicurai con un leggero movimento del capo e un mezzo sorriso, poi il suono della campanella ci fece correre nella nostra aula.
Alla prima ora avevamo storia e io posai la testa sopra il banco mentre prendevo appunti su quello che spiegava il professore.

Vedevo Ale che ogni tanto gettava un’occhiata nella mia direzione, indecisa se chiedermi o no che cosa fosse successo quella notte, ma alla fine non mi domandò niente e ne fui molto lieta: non avevo voglia, ma soprattutto la forza, di raccontare.

Osservai il foglio su cui stavo scrivendo e mi accorsi che ormai avevo iniziato a scarabocchiare. In ognuno di quegli scarabocchi, però, c’era il suo nome infilato da qualche parte.
Sorrisi e poi chiusi gli occhi.

 

***

 

Ale, del tutto disinteressata alla lezione di storia, si voltò nuovamente verso la propria magica migliore amica e la scoprì a dormire come un angioletto con la testa sul braccio e la penna ancora fra le dita.
Gliela levò, intenerita, e l’occhio le cadde sulla pagina di quaderno su cui stava prendendo appunti. Sorrise nello scorgere il nome di Nick e ancora di più quando lo rese la causa principale del sorriso dolce che in quel momento regnava sulle labbra di Ary.
La sua amica era felice grazie a lui e lei non poteva che essere altrettanto contenta e ringraziarlo.

___________________________________________________

Ciao a tutti! :)
Questo è l'ultimo capitolo che posto prima della mia partenza per l'Inghilterra *-* Mi dispiace per voi, ma per due settimane non vedrete questi personaggi :( Beh, ne avete superate di peggiori, potete resiste for two weeks! xD Fate le brave, mi raccomando u.u
Questo capitolo, fin'ora, è uno dei miei preferiti! Mi piace davvero tanto, soprattutto perché le cose fra Ary e Nick si sono sistemate e sono davvero due piccioncini teneri
*.*

Però, povera Ary, non può continuamente fare avanti e indietro, non riesce a reggere! :( Per cui, chissà ora che cosa succederà u-u
Mentre vi scervellate e aspettate di leggere il prossimo capitolo per scoprirlo, lasciate una recensione e ditemi, oltre se il capitolo vi è piaciuto o meno, che cosa secondo voi accadrà! ;D

Ringrazio di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo:

music__dreamer : Ciao! :) Sono come al solito contentissima *-* Joe ci ha provato, per amore del suo fratellino, ma ha decisamente sbagliato metodo xD Nick ha reagito d'istinto con Charlotte, poverina :( Ma sì, tra Nick e Ary si è sistemato tutto! *-* 
Grazie mille per i complimenti. Il mio modo di scrivere che migliora? o.o Beh, grazie comunque xD Spero di aver aggiornato presto! :D Alla prossima, ciao!

nes65 : Sì, mi piace lasciare la suspance, ma non sono cattiva e non credevo foste così malfidenti xD Vi avevo detto che ne avevo un paio già pronti, quindi è inutile scaldarsi tanto u.u Spero di aver aggiornato presto e che ti sia piaciuto! Grazie :D

E ringrazio anche chi ha letto soltanto! :) Un bacio, alla prossima!
Vostra,

_Pulse_

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Okay, avete tutto il diritto di essere infuriate con me. Avevo detto due settimane e invece ne sono passate il doppio. Mi dispiace tantissimo, ma proprio non ho avuto tempo, la scuola soffoca ç__ç
Ringrazio di cuore music__dreamer e nes95 <3
La canzone che ho usato è Fly with me dei Jonas *.*
Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento!
Buona lettura ;)

____________________________________________

Capitolo 12

Maybe you were just afraid,
knowing you were miles away
from the place where you needed to be
And that's right here with me

«Oh, accidenti», sbuffai e mi misi la mano sinistra fra i capelli. Se avessi avuto libera anche la destra le avrei messe entrambe, ma con quella tenevo il compito di matematica che il professore mi aveva appena riconsegnato.
«E adesso come lo recupero questo votaccio?»

«Non ce ne sarà bisogno», disse Ale, sventolando una mano. Io la guardai allibita. «Sì», continuò, «tanto scommetto che entro questa settimana assisterò al tuo funerale e, completamente vestita di nero, mi toccherà pure parlare di te di fronte a tutti e fare finta di piangere come una fontana.»

«Grazie tante», biascicai, anche se un secondo dopo ero tornata a guardarla con il sorriso. «È bello che ti preoccupi così tanto per me.»

«Non devi affatto ringraziarmi, mi viene naturale», mi abbagliò con uno dei suoi sorrisi a trentadue denti e mi strappò il compito dalla mano per poterlo osservare mentre io slegavo le bici.
«Sono sicura che tua madre ti ucciderà, ma sono ancora indecisa se lo farà per il tuo disastroso andamento scolastico oppure perché fai la doppia vita, andando continuamente nell’altra dimensione per stare con il tuo Nick, quando sai benissimo che lei non vuole.»

«Quante storie», sbuffai. «Me l’ha detto lei che “Nessuna distanza può spezzare il legame che l’amore costruisce fra due persone”

«Credo che cambierebbe idea, se sapesse che la persona di cui ti sei innamorata in questo momento è nell’altra dimensione!»

«E io che cosa ci posso fare?», sbottai, tirandomi su e guardandola negli occhi con determinazione. «Dimmelo, che devo fare?»

«Perché non lo riporti di qua e la fai finita, no? Era quello che volevano anche loro, dopotutto! Tornare in questa dimensione! È per questo che ti avevano catturata, se non ricordo male.»

«Sì, noi…», scossi il capo con violenza e montai sulla mia bici. «Stiamo escogitando un piano per farli tornare di qua.»

«Sì, immagino…», roteò gli occhi al cielo. «Il piano A si intitola: “Smack smack smack” e quello B: “Smack Nick ti amo smack”. Quello che invece escogiterete oggi si intitolerà: “Smack anche io ti amo Ary smack”.»

«Ah! Ma la smetti di prendermi in giro?!», gridai e lei ricambiò il mio sguardo adirato, salendo sulla propria bici. Poi scoppiammo a ridere insieme.

«Sul serio, Ary… C’è bisogno di escogitare un piano per trasportarli di qua?», mi domandò in tono più serio una volta uscite dalla scuola e dirette entrambe verso casa.

«No, in realtà… non c’è bisogno di un vero e proprio piano», sospirai sconsolata. «Il fatto è che loro hanno sempre fatto il doppio gioco, la gente si fida di loro e se sparissero…»

«Confessa, dai», mi esortò. «L’ho capito da un pezzo che il problema non sono loro, ma tu. Per quale motivo non vuoi riportarli a casa?»

«Io… io voglio portarli a casa!», ribattei, con gli occhi spalancati. «Gliel’ho promesso e lo farò, prima o poi. Però… devo fare una scelta, prima.»

«Che tipo di scelta?», sollevò il sopracciglio, incuriosita.

«È… una scelta che riguarda chi ha il dono, come me. Devo scegliere se voglio usarlo e come lo voglio fare. Per esempio, Fiore ha deciso di restare nell’altra dimensione perché si è innamorata…»

«Tu non puoi trasferirti nell’altra dimensione per sempre!», urlò agitata, tanto che rischiò di schiantarsi contro il fianco di un’auto parcheggiata a ridosso del marciapiede.

«Non è quello che voglio fare, infatti! Devo trovare un modo per portare Nick, Joe e Kevin di qua e allo stesso tempo trovare una soluzione anche per tutte quelle persone che vorrebbero tornare a vivere in questa dimensione. Non posso portare solo loro e fregarmene, non riuscirei più a dormire la notte sapendo di aver fatto un atto tanto egoistico…»

Ale rimase in silenzio per qualche minuto e quando mi voltai a guardarla vidi un piccolo sorriso, ma che dava l’idea di essere ben consapevole, ad illuminarle il volto.
Non dovetti nemmeno chiederle che cosa stesse a significare, lei aveva notato il mio sguardo e per questo disse: «Me lo sarei dovuto aspettare, da te.»

Ridacchiai e tornai a guardare la strada, quando lei disse ancora: «Quindi non li trasporterai di qua fino a quando non avrai trovato un metodo per “accontentare” anche tutti gli altri abitanti dell’altra dimensione, ho capito bene?»

«Esatto.»

«E fino a quel momento continuerai a fare avanti e indietro trascurando lo studio e, soprattutto, trascurando me?»

Mi fermai di fronte a casa mia e la obbligai a fermarsi a sua volta. Le gettai le braccia al collo e la strinsi fortissimo, affondando il viso fra i suoi capelli.
«Non volevo darti l’opportunità per essere smielata», disse con la voce un po’ tremante, segno che si stava per commuovere. «Però, ecco… passi tutto il tuo tempo libero di là e io ti vedo solo a scuola… Mi sento giusto un pochino trascurata.»

La guardai negli occhi e le accarezzai le guance, sorridendole. «In quanto a questo, mi è venuta in mente un’idea. Ora, però, aiutami a sopravvivere alla furia di mamma.»

***

«Beh… pensavo peggio», sfiatai, distrutta, una volta chiusa in camera mia.

Ale si gettò sul mio letto a pancia in giù e annuì con la testa, senza più forze anche lei.

Era stata una dura battaglia, ma ce la eravamo cavata dicendo che in quel periodo il programma di tutte le materie era impegnativo e non riuscivo proprio a seguire il passo. Io mi impegnavo, ma non ce la facevo! Ale, per arrestare un po’ della sua ira, aveva persino promesso che mi avrebbe tenuta lei sott’occhio e mi avrebbe aiutata a studiare, matematica in primis.
Strano perché ero sempre stata io, fra le due, quella che se la cavava meglio in matematica.

La mia non era pigrizia, ma non riuscivo davvero a trovare tempo fra i viaggi dimensionali e quando per casi fortuiti lo trovavo non riuscivo a concentrarmi a causa di tutti i problemi che sentivo gravarmi sulle spalle e a cui non riuscivo a dare delle soluzioni.
Altro che matematica!

Bussarono alla porta e io, ancora appoggiata ad essa con la schiena, sobbalzai. Poi l’aprii e mi trovai di fronte a mio fratello, che con espressione frustrata mi porgeva dei giornalini dalla copertina patinata, tipicamente da ragazze.

«Per quanto tempo ancora dovrò andare a comprarli?», mi chiese, gli occhi che imploravano pietà per la sua mascolinità che lentamente svaniva ogni volta che pagava e l’edicolante lo osservava con cipiglio perplesso.

«Ancora per un po’, mi dispiace», risposi sorridendo e dandogli delle pacche sulla spalla, invitandolo ad entrare.

«Ciao Davide», lo salutò Ale sventolando la mano, rivenuta dopo quella sua fase di coma.
Lui rispose con un cenno del capo e si gettò al suo fianco, mentre io ero intenta a sfogliare velocemente i giornalini.

«Ah, qual era l’idea a cui accennavi prima?», mi domandò Ale, aggrottando la fronte.

«Ah, sì!», mi illuminai. «Pensavo che qualche volta potresti venire con me nell’altra dimensione, così magari conosceresti anche Nick, Joe e Kevin…» Per me non erano i Jonas Brothers, ma solo Nick, Joe e Kevin, come li avevo conosciuti, come li avevo odiati e come ora gli volevo bene.

La mia migliore amica in un primo momento mi guardò preoccupata. Poi un sorriso si fece spazio sul suo viso e annuì, anche se ancora un po’ incerta.

«Non ti abbandono mica! Fidati di me!», risi.

Una volta che tutto fu pronto per quel viaggio, mi infilai lo zaino sulle spalle e mi tolsi il ciondolo a forma di stella dal collo. Lo misi sul letto, in modo tale da avere comunque un atterraggio morbido.
Ale mandò un messaggio a sua madre per avvertirla che stava da me a fare i compiti – che non avrebbe fatto nemmeno lei quella volta – e che sarebbe tornata all’ora di cena.

«Okay, noi andiamo», dissi a Davide e presi la mano di Ale nella mia. La guardai negli occhi, con un sorriso incoraggiante sulle labbra, poi sparimmo.

Quando mio fratello rimase da solo nella stanza sentì qualcosa pungolargli il petto. Era una sensazione strana che non gli faceva pensare a nulla di buono, come un brutto presentimento.
Si grattò il capo, ma non li venne in mente nulla di preoccupante. Così scrollò le spalle e scese in salotto per guardare un po’ di tv spazzatura.

***

Ale si tappò la bocca con una mano e si lasciò cadere culo a terra sulla sabbia. Proprio come era successo a Nick, il viaggio dimensionale le aveva causato non pochi problemi di nausea.

«Fai respiri profondi», la incoraggiai, guardandola negli occhi. Era pallida come un lenzuolo. «Inspira. Espira. Inspira. Espira. Va meglio?» Lei annuì e mi tirò un pugno sul braccio.
«Ahi!», gridai. «Perché l’hai fatto?»

«Potevi avvisarmi prima!», sbottò e io risi. In un modo o nell’altro riusciva sempre a farmi ridere, la mia migliore amica.

«Comunque», sospirò e, una volta ripresasi del tutto, si tirò su. «Dove siamo, precisamente?»

«In spiaggia», le spiegai e attesi qualche minuto per lasciare che si meravigliasse da sola della bellezza di quel luogo. Poi, le indicai con un dito la sommità del promontorio sugli scogli e dissi: «In mezzo a quella specie di foresta si trova la villa dei Jonas Brothers, la mia seconda casa. Andiamo.»

La portai con me attraverso la fitta vegetazione, conoscendo ormai quella strada a memoria, e una volta nei giardino dei Jonas feci una corsettina intorno alla casa per raggiungere la veranda all’aperto sul retro: ero sicura che ci avrei trovato Nick.

Come avevo immaginato, lo vidi seduto su un divanetto bianco con un bicchiere di succo di frutta fra le mani. Sdraiato sullo sdraio c’era Joe, in costume da bagno e con degli occhiali da sole quadrati e dalla montatura colorata sul viso, che prendeva il sole mentre chiacchierava con il fratello minore.

Joe mi vide per primo, ma io gli feci segno di stare zitto portandomi l’indice di fronte alle labbra, e con passo felpato raggiunsi le spalle di Nick. Posai le mani sui suoi occhi e, sorridendo, storpiai la mia voce per sussurrargli all’orecchio: «Chi è?»

«Ary!», rispose a colpo sicuro e si liberò per girarsi, prendermi per la nuca e ad attirarmi in un bacio che, come al solito, mi fece scoppiare il cuore.

«Oh, quanto siete sdolcinati! Nick, stai attento, che tu hai già il diabete!», commentò scherzosamente Joe, mettendosi gli occhiali da sole sulla testa e tirandosi su.

«Molto divertente», rispose il fratello con una smorfia, ma si dimenticò subito di lui e tornò a sorridermi, stringendomi in un abbraccio e facendomi sedere sulle sue ginocchia.

«E tu chi sei?», chiese Joe all’improvviso, con il sopracciglio inarcato, fissando un punto fra i cespugli di rose bianche.

Accidenti, mi ero dimenticata della mia migliore amica!
Mi stava guardando con un espressione alquanto infastidita, le mani sui fianchi.

«Oh!», esclamai dispiaciuta, chiedendole perdono con gli occhi. «Lei è Alessandra, la mia migliore amica», la presentai ai due.

Nick sorrise. «E così ho l’onore di conoscere la famosa Ale! Ary mi ha parlato tanto di te. Io sono Nick, piacere», le disse e si alzò per stringerle la mano, visto che nel frattempo lei si era avvicinata.

«Il piacere è tutto mio!», gli rispose solare. «Ti assicuro che anche a me ha parlato di te. Fino alla nausea! “Nick di qua, Nick di là…”.»

Entrambi mi guardarono e ridacchiarono: ero diventata rossa come un peperone! Mi appuntai mentalmente che avrei dovuto fargliela pagare per avermi messa così in imbarazzo di fronte a lui.

«Io invece sono Joe», si presentò l’altro, sorridendo malizioso e sfiorandole la mano con le labbra invece di stringerla. «Incantato.»

«Ahm… sì», Ale annuì, guardandomi preoccupata. Le avevo parlato anche di lui e del suo “normale” comportamento con le ragazze, ma non credeva che dicessi sul serio!
Io mi coprii la bocca con la mano per trattenere le risate. Forse non sarebbe servito vendicarmi: quello era già abbastanza!

«Kevin invece dov’è?», chiesi, cambiando argomento.

«È andato dentro a prendere qualcosa da mangiare…», disse Nick, quando il fratello più grande sbucò dalle porte vetrate con la merenda.

Presentai anche a lui la mia migliore amica e rimasimo per un po’ a chiacchierare tutti insieme.
Ero contentissima, perché nonostante Ale si fosse inserita da poco nel gruppo si trovava bene con loro, li trovava tutti simpatici e avevo anche notato che rispondeva per le rime alle battutine di Joe, tanto che anche lui ne era rimasto colpito.
Avevo il forte presentimento che quei due…

Nick mi distrasse dai miei pensieri prendendomi la mano. Lo guardai e mi incantai alla visione del suo stupendo e dolce sorriso. Per questo lo seguii in casa senza fiatare, completamente sotto il suo controllo, manco mi avesse ipnotizzata. Non avevo nemmeno sentito la scusa che aveva usato per spiegare il nostro allontanamento improvviso.

Mi abbracciò nei pressi della cucina e mi baciò quando mi fece appoggiare con la schiena all’isola, mentre incastrava le dita fra i miei capelli e mi sfiorava la pelle del collo con le dita.
Con le mani sul suo petto riuscii a sentire il suo cuore battere a velocità elevata, proprio come il mio che sembrava voler prendere il volo.

Era talmente strano… Tutte le volte che mi baciava, che mi accarezzava, ma anche solo mi sfiorava, sentivo i brividi e non erano poi così tanto spiacevoli.
Avevo capito ormai da tempo che ciò che provavo verso di lui andava oltre al semplice affetto, che mi ero innamorata nel vero senso del termine, ma non avevo mai avuto il coraggio di dirgli che lo amavo. Eppure erano solo due paroline… semplici e al contempo terribilmente difficili da pronunciare.

Ci eravamo conosciuti e ci eravamo innamorati l’uno dell’altro in quella dimensione, quella a cui non appartenevamo del tutto, dove tutto sembrava surreale. Una volta tornati di là, insieme, saremmo riusciti a continuare e a far germogliare ancora di più il nostro sentimento?
Quando ero lontana da lui, quando tutti i problemi e le preoccupazioni erano al centro dei miei pensieri e non mi davano pace, avevo pensato tanto anche a quello e, sinceramente, non ero riuscita a darmi una risposta.
Nella dimensione dalla quale provenivamo loro avevano un’altra vita, erano i Jonas Brothers, una band tanto famosa nel mondo nella musica quanto nel mondo dei mass-media.
La relazione fra me e Nick sarebbe potuta durare anche in quella vita?

«A che cosa stai pensando?», mormorò sulle mie labbra, accarezzandomi le guance con i pollici.

«A niente… Niente», sorrisi allacciandogli le braccia intorno al collo.
Perché, sì, bastava un nonnulla, per farmi tornare il buonumore e farmi scivolare addosso ogni ansia: un suo sguardo, un suo sorriso, una sua risata, una sua carezza, un suo bacio… e tutto passava.

Mi bastava stare con lui per sentirmi forte, invincibile, capace di saltare e spiccare il volo.

It's you and me forever
You and me right now
That'd be alright
We're chasing stars to lose our shadow
Peter Pan and Wendy turned out fine
So won't you fly with me

«Mi sei mancata», mi sussurrò, accarezzandomi il viso.

Lo guardai negli occhi, divertita. «Ma ci siamo visti ieri sera.»

«Mi sei mancata comunque.» Abbassò lo sguardo e capii che avrebbe voluto dire qualcos’altro, magari avrebbe detto ciò che aspettavo con ansia e che speravo aspettasse a dire, ossia quando li avrei portati a casa… Forse, chissà.
Infatti non ebbe il tempo di aggiungere altro perché sia Joe che Ale sbucarono in cucina e si guardarono con un sorrisetto strafottente e un sopracciglio inarcato prima di dire: «I soliti due piccioncini!»

«Perché, non si può stare un attimo da soli?», ribatté Nick piccato, con un’espressione che non ammetteva repliche.
Chissà, forse quello che voleva dirmi era davvero importante, tanto da infastidirsi in quel modo.

Joe gli fece il verso, come al solito lui era la diva a cui nessuno poteva mettere i piedi in testa, e si voltò verso di me con un sorrisone a trentadue denti sul viso: «Amore mio bello, dove l’hai messo il nuovo numero del mio magazine?», mi domandò sfarfallando le ciglia.

«Nello zaino», balbettai, presa in contropiede.

«Okay, grazie!», squittì proprio come una ragazza e prese Ale per le spalle per ricondurla fuori, dove l’avrebbe rimpinzata per bene di gossip e, soprattutto, le avrebbe spiegato minuziosamente perché le band citate sul suddetto magazine erano peggiori in confronto a loro.
E io che a volte ancora mi sorprendevo di quanto potesse essere megalomane! Dovevo arrendermi all’evidenza: Joe non sarebbe mai cambiato. E forse non era poi così terribile.

Riportai la mia attenzione su Nick e sorrisi, rigirandomi fra le dita un suo ricciolino. «Dov’eravamo rimasti?»

Lui sorrise e posò la fronte sulla mia, allacciando le braccia intorno alla mia vita. «All’incirca qui.» E mi baciò.

***

«Sai, questi Jonas non sono tanto male», esordì Ale, infilandosi le mani in tasca e abbassando il capo per non mostrarmi il sorriso che le si era dipinto sul volto.

«No, affatto», risposi, imitandola guardando i miei piedi affondare nella sabbia.

Il sole stava tramontando nel mare, donandogli quella luce arancione/dorata che mi piaceva tanto, ed era ora di tornare a casa. Avevamo già salutato i Nick, Joe e Kevin e gli avevamo promesso che saremmo tornate presto: io, sicuramente, avrei trovato il modo per passare buona parte del week-end con loro.

«Joe è single, vero?», mi domandò con nonchalance e io scoppiai a ridere. Lei, rossa come un peperone, mi spintonò. «Che hai da ridere!? Non ho detto che mi piace! Ti ho solo chiesto se è single per titolo informativo!»

«Se, certo!», annuì, ancora divertita dal suo comportamento, e le presi la mano. «Tanto ormai gliel’abbiamo promesso che saresti tornata anche tu, poche scuse.»

Lei sbuffò e roteò gli occhi al cielo. «Okay, forse un pochino mi piace.»

«Brava la mia Ale», le arruffai i capelli con una mano. «Ora torniamo di là, che ne dici?»

«Va bene», mi sorrise e in un attimo sparimmo.

***

Davide spalancò gli occhi, in preda al panico.
Aveva passato ore a pensare a che cosa fosse dovuta la terribile sensazione che provava in mezzo al petto, come uno stato di ansia perenne, e finalmente era riuscito a capire.
Ale… Nessuno della sua famiglia era a conoscenza della dimensione parallela, quindi se sua sorella l’avesse fatta tornare di qua probabilmente…

Si alzò dal divano, colto da una nausea improvvisa, e salì due a due le scale che portavano al piano di sopra sotto lo sguardo preoccupato di sua madre.
Si chiuse in bagno e si piegò sul water, socchiudendo gli occhi lucidi e dai quali iniziarono a sgorgare le prime lacrime.

Perché, perché non gli era venuto in mente prima?! Non poteva, non poteva accadere un’altra volta e proprio ad Ale… No, no, no! Non voleva perdere chissà dove anche lei!

Avrebbe potuto andare nell’altra dimensione per avvertire Ary e far sì che non la trasportasse in alcun modo, ma non avrebbe saputo dove andare a cercarla, poiché non conosceva la zona “d’azione” dei Jonas. Inoltre era quasi l’ora di cena e sarebbero dovute tornare a momenti.
Sperò con tutte le sue forze che almeno sua sorella si ricordasse appena in tempo di quello che la sua amica rischiava, perché altrimenti… sarebbe stata la fine.

***

Atterrai nella mia camera, proprio nei pressi del mio ciondolo a forma di stella. Ale, invece, cadde sul letto, con la faccia fra i miei pupazzi.

«Ehi, tutto okay?», le chiesi, aiutandola a girarsi. «Hai ancora la nausea?»

Il suo colorito verdognolo parlò per lei. La presi sotto braccio e la accompagnai in bagno, ma lo trovai occupato. Bussai e sentii la voce di Davide rispondermi.

«Davide, sbrigati, Ale… !» Non mi fece nemmeno finire la frase: spalancò la porta e guardò sia me che la mia migliore amica con gli occhi leggermente gonfi e rossi, come se avesse appena pianto, e poi ci gettò le braccia al collo in un abbraccio che rischiò di soffocarmi.

«Davide… Davide, che ti prende?», sussurrai con la voce smorzata.

Lui si staccò e mi guardò severamente, tanto che mi fece sentire in colpa già da quel momento. Ale si fece spazio fra noi, mentre ancora ci lanciavamo quegli sguardi intensi, e nel bagno si piegò con la faccia nel cesso.
Due viaggi dimensionali nello stesso giorno su di lei non avevano proprio un bell’effetto.

«Mi spieghi che cosa c’è che non va?», domandai con più cautela a mio fratello. Stavo iniziando seriamente a preoccuparmi.

«Ho avuto una paura tremenda!», strillò, di nuovo sull’orlo del pianto. «Hai rischiato come una cretina portando Ale con te nell’altra dimensione, lo sai?! Hai rischiato di perderla chissà dove riportandola qui! Te ne eri dimenticata, proprio come me!»

Spalancai la bocca. Non ci avevo nemmeno pensato! Avevo portato Ale nell’altra dimensione e l’avevo riportata a casa senza nemmeno pensare che nessuno della sua famiglia era a conoscenza della dimensione parallela, quesito necessario per riuscire a tornare senza perdersi, appunto, chissà dove.
Ma allora perché era riuscita a tornare, nonostante tutto? Per fortuna.

«Oh Dio mio», mi scappò un singhiozzo e mi tappai la bocca con una mano per soffocarne degli altri, mentre le lacrime iniziavano a rigarmi il viso. Solo ora mi ero resa conto del rischio che avevo corso. Avevo rischiato di perdere la mia migliore amica.

Ale, che aveva ascoltato tutto e che intanto si era alzata e si era sciacquata la bocca, barcollò da me e mi avvolse le braccia intorno alla schiena.

«Oddio Ale, scusa. Scusa, scusa, scusa», farfugliai, aggrappandomi a lei con tutte le mie forze.

«Shhh, smettila di piangere. Sono ancora qui, no?», mi sorrise, anche se glielo leggevo negli occhi che anche lei stava lottando con la paura in quel momento, proprio come me. «L’importante è che non mi è successo niente e che sono qui.»

«Già…», sospirò Davide, tirando su col naso e passandosi una mano sul viso. «Ora però mi chiedo… perché è riuscita a tornare ugualmente?»

«Beh», ridacchiò la diretta interessata. «Dopotutto voi siete un po’ la mia seconda famiglia, no?»

La avvolsi in un nuovo abbraccio e aggiunsi a noi anche mio fratello. Rimanemmo uniti per un momento che sembrò eterno, cullandoci l’un l’altro. Poi mamma ci chiamò: la cena era in tavola.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Scusate il mio deplorevole ritardo °-°
Questa volta sono proprio imperdonabile, sono passati due mesi e mezzo dal mio ultimo aggiornamento!
Ma so che voi siete buone e clementi e mi perdonerete *-* Anche perché mi sono data da fare, questi ultimi due giorni, e vi ho sfornato questo nuovo capitolo!
Spero davvero che i miei sforzi siano serviti e che vi piaccia :D
Ringrazio di cuore music__dreamer, che non manca mai *-* Dovrò farti un monumento xD
E ora vi lascio :) Buona lettura!

Capitolo 13

«E se non fosse strettamente necessario che una persona della famiglia sappia dei viaggi dimensionali?», esordii all’improvviso, facendo sobbalzare Ale nel suo letto, sopra al mio. Si era addormentata e con la mia esclamazione l’avevo fatta spaventare.

Quella sera, dopo ciò che avevamo rischiato, non me l’ero proprio sentita di stare lontana da lei, così ero andata a casa sua a dormire. Però, nonostante la stanchezza, non ero riuscita a chiudere occhio: continuavo a pensare a perché Ale fosse riuscita a tornare e forse ero arrivata ad una conclusione più o meno plausibile.

«Eh?», mi chiese con la voce rauca ed assonnata.

Mi levai frettolosamente le coperte di dosso e salii le scalette laterali che portavano al suo letto, su cui mi misi seduta, al suo fianco.
«Ma sì, è ovvio! Sono quasi certa che sia per questo motivo che tu sia riuscita a tornare!»

«Ti prego… non urlare e, soprattutto, spiegami tutto da capo che non ho capito niente», sbadigliò.

La presi per le spalle e la scrollai, con un sorriso estasiato sul viso. «Tu sei riuscita a tornare nonostante nessuno della tua famiglia sapesse dei viaggi dimensionali, no?» Lei annuì. «Quindi, pensavo… E se bastasse solo una persona che sappia degli spostamenti fra dimensioni? Mio fratello sapeva che tu saresti andata nell’altra dimensione e che saresti tornata con me, per questo non è successo nulla di spiacevole. Certo, la mia è solo una teoria e dovrei parlarne con Fiore, ma… potrebbe essere la soluzione al problema che mi pongo da settimane!»

Portai lo sguardo, acceso di eccitazione, sulla sua faccia gonfia di sonno e mi resi conto che parlare con lei alle due di notte era inutile: sarebbe stato più produttivo discutere con un muro.

«Ne parliamo domani, dai», le sussurrai e le passai una mano fra i capelli. Si rilassò in un attimo, come avevo previsto, e chiuse gli occhi, di nuovo nel mondo dei sogni.

Quanto volevo bene alla mia migliore amica lo sapeva solo Dio.

***


«Mi raccomando, divertitevi ragazze», urlò mamma dal vialetto di casa, sventolando una mano nella nostra direzione.

«Sì, e non ti preoccupare troppo! Ciao Davide!» Salutammo anche lui e poi ci avviammo verso la fermata dell’autobus.

Una normalissima giornata al mare, io e Ale. O almeno lo sarebbe stata, se avessimo preso veramente l’autobus. La verità è che non ci salimmo mai, usammo un altro metodo per andare in spiaggia: il mio.

Riaprimmo gli occhi e ci ritrovammo comodamente sedute sui divanetti nel giardino della villa dei Jonas Brothers. Niente capitomboli, niente nausea, nulla di nulla.

«Ary, sei migliorata davvero», constatò Ale al mio fianco, stupita.

«Oh, ti ringrazio per la stima che mi riservi», ridacchiai.
Mi voltai verso di lei e vidi che si era già alzata e si era affacciata nel salotto.

«RAGAZZI!», gridò.

Non ricevendo alcuna risposta, entrammo in casa. Ci guardammo un po’ attorno, nel salotto e in cucina, ma erano deserte.
Ebbi un guizzo nello stomaco al pensiero che potesse essergli successo qualcosa. In ansia, corsi su per le scale, con Ale che a stento riusciva a seguirmi.

«Ary, rallenta! Non riesco a starti dietro!», mi implorò col fiato grosso, ma io non la ascoltai nemmeno: il mio cervello era completamente andato in tilt.

Li cercammo nei diversi bagni, nello studio di registrazione, nelle loro camere.
«Dividiamoci: io vado a vedere in quella di Nick, tu vai in quella di Joe», le dissi. «Poi ci incontriamo in quella di Kevin»

Mi fece il segno d’ok con le dita e corse verso la camera del piastrato, indicata da me. Io non fui da meno e mi diressi verso quella di Nick.
Vi entrai e rimasi subito stordita dal suo profumo: era dovunque. Camminai fra le sue cose facendo attenzione, come se fosse un luogo pieno di insidie. Accarezzai il bordo della scrivania, la testata del letto, poi andai alla finestra.

«AAAAAAAAAAAAAAH!»

Mi voltai di scatto udendo il grido di Ale e nello stesso momento sentii un altro urlo alle mie spalle, più lontano, accompagnato da delle risate. Mi girai e guardai fuori dalla finestra, ma non vidi niente.
Sollevai il sopracciglio. «Me lo sarò sognata quest’ultimo», mi dissi e raggiunsi la mia amica.

«Che cos’è successo?», gridai guardandola, nel bel mezzo della camera di Joe.

«Lo hanno rapito, lo hanno rapito!», urlò disperata, con le mani sulla testa. «Guarda, hanno messo a soqquadro la camera, cercavano qualcosa!»

Io ero allibita, ma presto mi venne da ridere. «Ale… Ale, calmati, non lo hanno rapito, almeno non credo.»

«Cosa?»

«Vedi, la sua camera è sempre così. È un disordinato cronico.»

La sua espressione passò da disperata a vergognosa, per poi diventare vagamente presuntuosa. Si strinse le braccia al petto e puntò il naso all’insù: «Lo sapevo», sbottò.

«Sì, certo», risi ed uscii dalla stanza scuotendo il capo.

Qualche secondo dopo la sentii zampettare alle mie spalle ed affiancarmi. Andammo a vedere se erano nella stanza di Kevin, ma fu un altro buco nell’acqua.
C’era un solo posto che ancora mancava e preferivo andarci da sola, visto che Ale non ne era a conoscenza, per questo le dissi che andavo a controllare ancora di sotto, nell’altro giardino.

«Okay, allora io cerco nelle stanze in cui non abbiamo ancora guardato», mi disse.

Feci le scale due a due e controllai sul serio il giardino dall’altra parte della villa, invano. Così scesi ancora, nel piano sotterraneo, e raggiunsi il laboratorio. Sulla soglia della porta vidi tanti ometti con i camici bianchi provare a mandare nell’altro mondo i soliti oggetti, fare esperimenti e controllare i risultati su enormi computers, ma di Nick, Joe e Kevin nessuna traccia.
Tornai in salotto ancora più preoccupata: dove si erano cacciati, quei cretini?

«ARY!», gridò Ale dal piano superiore ed io mi affrettai per raggiungerla. «Forse ho trovato qualcosa!»
Aprì una porticina che dava su delle altre scale. C’era vento, questo voleva dire soltanto una cosa: quel passaggio portava al tetto.

«YA-UUUUUUUUUUUUUH!»

Ci guardammo in faccia e, spaventate, gridammo: «Joe!»
Corremmo su per le scale e raggiungemmo il tetto. La luce del sole per un attimo ci abbagliò, rendendoci cieche, ma appena ci abituammo vedemmo i tre sguazzare felici e contenti nella piscina.
Sul piccolo trampolino c’era Kevin, che in un batter d’occhio si buttò giù e ci schizzò da capo a piedi.

«Li ammazzo, giuro che li ammazzo», borbottò Ale, scrollandosi come un cane.

Trattenni una risata fra le labbra: dovevo ancora fare la ramanzina a quegli screanzati.
«Ragazzi!», gridai per attirare la loro attenzione e ci riuscii, perché mi trovai addosso sei occhi scuri.

«Ary!», esclamò sorpreso Nick, con i ricci che gli si appiccicavano alle guance e al collo. Era infinitamente dolce.

«Vi abbiamo cercato per tutta la casa, ci avete fatto prendere un colpo! La prossima volta avvisate, mettete un post-it in cucina, sul televisore, qualsiasi cosa! “Siamo nella piscina sul tetto!”, insomma, sono solo cinque parole, non è poi così impegna–» Qualcosa di morbido e bagnato mi tappò la bocca e mi resi conto solo dopo qualche secondo che quelle erano le labbra di Nick, che intanto era uscito dalla piscina e si era avvicinato a me.

Il cuore mi schizzò nelle tempie, assordandomi. Le mani bagnate di Nick mi sfiorarono il viso per infilarsi fra i miei capelli e lo allontanai di scatto.
«Sei tutto bagnato, scemo!», gridai.

«Ormai siamo tutte bagnate anche noi, che te frega!», gridò Ale, ridendo.

«Beh, dopotutto non ha torto…» Incrociai gli occhi ammiccanti di Nick e mi spalmai su di lui, riprendendo da dove ci eravamo interrotti.

Passammo tutta la giornata con loro, restammo un po’ in piscina, poi decidemmo di andare in spiaggia. Era una bellissima giornata, era un peccato passarla immersi nell’acqua al cloro, invece che nell’acqua di mare!

Io e Ale avevamo tutte le intenzioni del mondo di passare una tranquilla giornata al mare ed eravamo state accontentate più o meno in tutto: avevamo preso il sole, avevamo provato a fare il castello di sabbia più grande del mondo, avevamo giocato a calcio e a pallavolo sulla sabbia… Quando avevamo chiesto di andare a fare il bagno, però, c’era stata una persona che si era rifiutata.

«No, ve lo potete pure scordare! Il sale mi rovina i capelli!»
Una persona a caso, proprio.

«E dai, Joe!», sbuffai.

«Sei proprio una checca!», gridò Ale, imbronciandosi. Ma non sapeva quello che aveva appena causato.

Joe si alzò, rosso di rabbia, e la travolse. Caddero sulla sabbia e fecero una specie di lotta, insultandosi tanto che Nick mi coprì le orecchie per non farmi sentire, come se fossi una bambina piccola. Lo scacciai, ma a quel punto Ale e Joe probabilmente avevano finito il loro vocabolario di parolacce e si limitavano a guardarsi in modo truce negli occhi. Ad un certo punto parvero rabbonirsi e furono a tanto così dal baciarsi, ma Ale all’ultimo si era spostata e si era alzata.

«Non ho più voglia di fare il bagno, vai tu Ary», mi disse sventolando una mano nella mia direzione.

La guardai con gli occhi sgranati, poi guardai Nick e scrollai le spalle, scuotendo il capo. Mi sciolsi i capelli che per giocare avevo legato sulla nuca e mi avvicinai alla riva per sentire l’acqua: era perfetta, né troppo fredda né troppo calda.
Entrai in acqua e mi immersi chiudendo gli occhi, poi pian piano li aprii e mi guardai intorno. Solo allora mi accorsi di Nick, proprio alle mie spalle: i suoi riccioli galleggiavano nell’acqua e mi sorrideva, trattenendo l’aria dentro le guance.

Lo guardai negli occhi, mi avvicinai e sentii un brivido correre veloce su per la schiena quando mi attirò a sé prendendomi per i fianchi. Mi aggrappai con le gambe alla sua vita e gli strinsi le braccia intorno al collo, i nostri sguardi si incrociarono di nuovo e ci volle veramente poco perché le nostre labbra si unissero.

Lo sentivo ovunque, non c’era un centimetro di pelle non ricoperta dai brividi che lui mi provocava.
Sentii la sua mano scivolare dal viso al collo, dal collo alla spalla, percorrere tutto il braccio ed arrivare alla mia mano; intrecciò le dita alle mie e la portò all’altezza dei nostri visi, poi iniziò a nuotare verso l’alto, probabilmente senza più fiato. Ora che ci pensavo, anche io ero rimasta senza.

In superficie prendemmo due lunghi respiri, per poi guardarci negli occhi e sorriderci, riavvicinandoci l’uno all’altra.
Mi strinse forte fra le sue braccia magre e io ricambiai, sorridendo felice.

Ci spostammo verso la riva, in modo tale da poter stare seduti nell’acqua bassa.

«Mi hai fatto proprio una bella sorpresa, vendo a trovarmi oggi», disse, accarezzandomi un fianco. «Grazie.»

«Non devi ringraziarmi. Io sono la prima a voler venire», sorrisi. «E poi oggi non sono venuta solo per te.»

«Ah sì? E per chi altro?», mi domandò incuriosito.

«Devo parlare con Fiore, forse ho scoperto una cosa che cambierà le vite a molte persone che sono state catapultate qui.»

Nick rimase in silenzio per qualche secondo, poi sorrise. Non chiese altro, in compenso disse: «Dopo ti accompagno, se vuoi.»

«Mi farebbe molto piacere.»

Mi prese per i fianchi e mi fece un po’ di solletico, ridendo divertito.
«Oddio, oddio, il solletico no!» Sapeva quanto lo soffrivo, era scorretto da parte sua.
Si fermò per un momento e mi guardò negli occhi in modo languido. Eravamo stretti, io sulle sue gambe, i visi a pochi centimetri di distanza.

«Ary, io ti devo dire una cosa», mormorò fissando le mie labbra.

«Di che si tratta?»

«Io… io ti…»

Due urli striduli ci fecero sobbalzare dallo spavento, interrompendo Nick.

«Siete sempre a fare i piccioncini voi due, eh, non vi smentite mai!», gridò Ale, ridendo sguaiatamente accanto a Joe.

«Avete fatto pace, voi due?», berciai infastidita. Nick non disse niente, sembrava soltanto afflitto.

«Sì! E si da' il caso che abbia convinto Joe a fare questo stupido bagno!» Lo prese per il braccio e lo strinse con forza, trascinandoselo dietro, verso l’acqua alta.

Joe ci guardò e in labiale disse: «Adoro questa ragazza», facendo alcune fra le sue espressioni più famose da pervertito.

«Tanto non ci puoi fare niente di che!», gli ricordò Nick, sfoggiando l’anello che aveva al dito, identico a quello dei due fratelli.
Joe annuì sconsolato, ma poi scrollò le spalle e non fece in tempo a dire o a fare altro che venne scaraventato in acqua.

Io gli davo le spalle e il mio sguardo, infatti, ebbe tutto il tempo di indugiare su quell’anello. Un anello di castità.
Me ne avevano parlato una sera, quando ancora non sapevo del mio dono. Anzi, ero stata proprio io a chiedergli che cosa stessero a significare quegli anelli che tutti e tre portavano a un dito della mano destra.

«È l’anello della purezza», mi avevano detto e mi avevano spiegato che essendo cristiani la fede per loro era molto importante e avevano deciso di rimanere vergini fino al matrimonio.
Nonostante la mia espressione neutrale e comprensiva, sotto sotto ne ero rimasta sconvolta: non era da tutti, soprattutto da dei ragazzi dai sedici ai vent’anni, pensare una cosa del genere.

In quel momento ci pensai seriamente per la prima volta e mi arrabbiai. Non so precisamente perché, dopotutto rispettavo la decisione di Nick e degli altri, ma pensare che se avessi voluto concedermi a lui, lui mi avrebbe allontanata mi faceva saltare i nervi. Non che io volessi concedermi a lui, però ecco…

«Ary? Posso sapere a che cosa stai pensando?»
Scossi il capo con insistenza, per allontanare tutti quei pensieri, ed incontrai il suo sguardo sbarazzino, ancora da bambino.
«Sei tutta rossa!»

«Non è vero!», squittii e gli schizzai il viso.

«Questa me la paghi», disse e mi fece cadere in acqua.

***

Charlotte abbassò il capo mentre la sua amica bionda continuava a scattare foto.

«Finalmente quei tre capiranno che con noi non si scherza. Con queste foto potremo ricattarli! Si tengono tutta per loro quella strega e la lasciano andare liberamente di qua e di là. Non possono fare nulla contro di noi, abbiamo finalmente le prove e a meno che non vogliano passare dei guai seri, dovranno sottostare a noi. Non ho ragione?»

«Fottutamente. Sei diabolica», disse la mora, sorridendo malefica.

«Che cos’hai, Charlotte? Non ti ho mai sentita così silenziosa», sbottò la bionda, vagando su di lei col suo sguardo indagatore.

«Niente», mormorò la rossa.
La verità era che non avrebbe voluto fare nulla a Nick, anche se l’aveva cacciata preferendo quella ragazza. Avrebbe dovuto essere arrabbiata con lui, avrebbe dovuto fare lei stessa quelle foto per poi ricattarlo a tornare con lei, ma… no, non era giusto, il suo cuore le diceva che tutto era dannatamente sbagliato.

Sentì dei passi alle sue spalle, si voltò e fece appena in tempo a vedere un viso sfigurato, pieno di rughe e con un ghigno terrificante al posto della bocca, prima di cadere nel buio più totale.

***

«Uhm, uhm…» Guardai Fiore gironzolare per il salotto a piedi nudi, le braccia strette al petto. Nick era seduto al mio fianco – quella volta Alessandro lo aveva lasciato entrare – e mi teneva la mano.
«Non ci avevo mai pensato!», esclamò alla fine Fiore, voltandosi verso di me e sorridendo sorniona.

«Quindi siamo punto a capo», sbuffai, reggendomi la testa con una mano. «Speravo che almeno tu potessi darmi qualche consiglio, potessi fare qualche ipotesi…»

«Potresti fare qualche esperimento», mi mise la pulce nell’orecchio, facendo un saltello indietro, come se si fosse spaventata del suo stesso suggerimento.

«E rischiare l’incolumità di una persona che non c’entra nulla? No, grazie», esclusi l’opzione a priori.

«E cosa intendi fare, allora?»

«Niente», mugugnai. «È tutto troppo complicato per me, non so più che cosa…»

«Se non vuoi nemmeno tentare, porta a casa solo i bei culetti dei tuoi amichetti», disse sprezzante Alessandro, seduto sul divano.

«Che cosa vorresti dire, che tu rischieresti la vita di una persona così?», lo guardai allibita, mentre il mio tono di voce continuava ad alzarsi. «La mia è solo un’ipotesi, non sono affatto sicura che…»

«Sì! Sì, ne rischierei una, se fosse utile a salvarne tantissime altre!»
Si alzò dal divano, si piazzò di fronte a me e sbattè una mano sul tavolo, fissandomi serio negli occhi. «Mi offro come cavia.»

Sia il mio respiro, che quello di Fiore, si spezzarono.

«No!», gridò lei, disperata. «No, no, no! Tu non ti muovi da qui, è troppo pericoloso! Tutti, ma non tu! Io ti amo troppo per lasciarti fare una cosa del genere!» Lo abbracciò, ma Alessandro la scostò da sé quasi bruscamente.

«Stai lontana, Fiore. Ormai ho deciso, voglio che tu provi a portarmi di là.»

«Ma…», provai a ribattere.

«Niente ma», mi interruppe sul nascere. «Se l’esperimento va a buon fine avremo la conferma che ci si può spostare senza che la propria famiglia sappia necessariamente di questa dimensione e moltissime persone potranno tornare a casa!»

«E se non andasse a buon fine?», gli domandò Nick.

Sorrise dolcemente. «Mi sarò sacrificato per una buona causa.»

***

Sospirai ancora una volta, immersa in tutti i miei dubbi.
Ero fra le braccia di Nick, lui mi accarezzava i capelli e insieme guardavamo le stelle, sdraiati sulla sabbia, cullati dal respiro del mare, delle onde che si schiantavano a riva e sugli scogli, eppure non riuscivo a rilassarmi.

«Che cos’hai?», mi chiese in un sussurro, posandomi un bacio sulla tempia.

«Sono stanca», mentii.

«Quindi l’esperimento che dovrai fare con Alessandro non ti preoccupa per niente.»

«Okay», sbuffai sorridendo. L’aveva capito subito che gli avevo detto una balla. «Sono preoccupata, molto preoccupata. Vorrei soltanto portarvi a casa e non pensarci più, ma…»

«Sei troppo buona, Ary.» Mi guardò languido negli occhi e mi sorrise, stampandomi un lieve bacio sulle labbra.

«Se tu fossi stato al mio posto sono certa che saresti nella mia stessa situazione, non sei così menefreghista.»

«Già…» Ma era evidente che non aveva ascoltato neanche una parola di quello che avevo detto.

Mi baciò di nuovo, questa volta con più passione, rotolandomi sopra. Mi accarezzò i fianchi, intrufolando le mani sotto la mia maglietta, ed io andai a fuoco.
Come quella mattina, lo sentivo dovunque. Il cuore mi batteva all’impazzata nel petto e non sepevo più cosa fare: il mio corpo si comportava in un modo strano, lo sentivo avvilupparsi sempre di più a quello di Nick, e avevo iniziato persino a sospirare, nonostante mi stesse soltanto baciando il collo.
I pensieri che la mia mente aveva partorito quella mattina, vedendo il suo anello della purezza, tornarono ad ossessionarmi e… ero così sicura di non voler concedermi a lui? Infondo lo amavo. Lo amavo…

Gli infilai una mano fra i capelli e li tirai dolcemente per fargli sollevare il capo. Quando i nostri visi furono ad un palmo l’uno dall’altro mi resi conto di quanto entrambi avessimo il fiatone.
Nick mi guardava come se avesse fatto qualcosa che non doveva fare inconsapevolmente, confuso.

«Dovevi dirmi qualcosa, stamattina. Cosa?»

Nick boccheggiò, preso alla sprovvista. «Io… io volevo solo dirti… t–»

«ARY!», gridò Ale, correndo verso di noi con un atletico Joe al seguito.

Io e Nick ci affrettammo per sistemarci e quando Ale e Joe furono di fronte a noi fu come se non fosse successo nulla.

«Andiamo? Dobbiamo essere di nuovo a casa fra poco, l'autobus di ritorno è quasi arrivato», disse controllando l’orologio che aveva al polso.

«Giusto, sì, andiamo», annuii col capo.
Mi alzai e mi pulii un po’ i vestiti dalla sabbia, Nick mi aiutò strofinandomi un polpaccio e capii solo quando incrociai i suoi occhi malinconici che avrebbe davvero voluto dirmi quella cosa. Così attesi, senza dire niente.

«Torna presto», sfiatò sfuggendo al mio sguardo. Non era ciò che aveva l’intenzione di dirmi, ma lasciai perdere.

«Certo che torno presto», risposi con un tenue sorriso.
«Pronta?», domandai ad Ale. Lei guardò Joe, che le strizzò l’occhio, e fece di sì con la testa.

«Buonanotte ragazzi, a presto!», li salutai agitando una mano e Ale strinse forte gli occhi.

Quando li riaprì eravamo sedute sulla panchina della fermata dell’autobus e questo era appena ripartito.
Sorrise e mi avvolse le spalle con un braccio. «Sì, la mia amica è diventata proprio brava. Ti fermi a dormire da me?»

«No», risposi con voce flebile, alzandomi e rivolgendo lo sguardo alla luna. «Ho bisogno di stare un po’ da sola, questa notte.»

Ale mi guardò con la fronte corrugata, senza capire che cosa avessi, poi mi raggiunse accennando una corsetta.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Okay, è passato tantissimo tempo dall'ultimo aggiornamento, ma ho scritto appena ho potuto, davvero D:
Spero che mi perdonerete e che il capitolo vi piaccia ;)
Ringrazio __PleaseStay che ha lasciato una recensione allo scorso capitolo. Grazie davvero :D
E prego le altre lettrici di questa FF di tornare e di lasciare qualche commento, perchè siete voi a stimolarmi di più! *-* (Quindi più recensioni = meno tempo a scrivere ed aggiornare! xDD)
Grazie comunque anche a chi ha letto soltanto ;)

Buona lettura! :D

 

Capitolo 14

 

Sospirai ancora una volta e mi tirai qualche pugnetto sulla fronte, parlando a bassa voce tra me e me: «Che cosa devo fare, che cosa devo fare, che cosa devo fare?»

Non ne avevo proprio la più pallida idea, la mia testa era un pallone pieno di inutile, leggera aria e sulle mie spalle gravavano responsabilità e scelte troppo pesanti, che forse non ero in grado di sostenere. 
Chi ero io per poter decidere ed influire così tanto sulle vite di quelle persone che per sfortuna o cos’altro, erano finite in quella dimensione parallela? Era davvero mio compito aiutarle tutte? Forse avrei avuto davvero meno rompicapi se avessi riportato a casa solo le persone che mi interessavano, ma la mia coscienza non avrebbe retto al pensiero di aver lasciato indietro tutte le altre, non sarei mai stata capace di fregarmene così.
O forse dovevo fare come aveva fatto Fiore, decidere da che parte stare definitivamente, senza possibilità di ritorno e senza aiutare nessuno? Un’altra scelta… la mia famiglia e la mia vita o Nick e l’amore che provavo per lui.

Tornai a picchiettarmi le nocche sulla fronte, con gli occhi lucidi dalla stanchezza e dalla morsa d’acciaio che mi attanagliava il cuore.

Alle mie spalle qualcuno aprì la porta e un fascio di luce proveniente dal corridoio attraversò la stanza, fino ad arrivare a me. Vidi mia madre in controluce, che mi sorrideva dolcemente.
«Che ci fai ancora sveglia?», mi chiese piano, socchiudendo la porta ed avvicinandosi a me. Si mise seduta al mio fianco sul davanzale della finestra e mi osservò, mentre io avevo lo sguardo rivolto verso la luna che brillava per metà nel cielo scuro.

«Non riesco a dormire», risposi, sospirando stancamente. «Ho mille pensieri che mi vorticano in testa.»

Lei sorrise comprensiva. «Si tratta di quel famoso ragazzo?»

Pensai a Nick, l’altro rompicapo. Persino lui mi dava da pensare, facendo sempre di tutto per dirmi quella cosa e non riuscendoci mai, puntualmente.
Mi chiedevo in continuazione che cosa avesse di così importante da dirmi, per la quale stava male quando non riusciva nel suo intento. A dirla tutta iniziavo anche a preoccuparmi, ma non tanto come mi preoccupava il fatto che Alessandro volesse fare da cavia per l’esperimento che avrebbe dato fondamento – o quasi – alla mia teoria.

«Tesoro…», richiamò la mia attenzione e mi accarezzò docilmente i capelli con una mano.

«Scusa», dissi subito, incrociato il suo sguardo.

«Non hai nulla di cui scusarti, capita quando si è innamorati», mi sorrise. «L’importante è fare chiarezza dentro di sé e capire ciò che si vuole davvero, qual è la cosa giusta da fare.»

«Fosse facile, capire qual è la cosa giusta da fare…», sospirai.

«C’è chi è convinto che la razionalità sia tutto, che con essa si giunga sempre alla soluzione giusta, ma io penso che ascoltare il cuore, agire d’istinto, sia sempre la cosa migliore. Fai quello che ti senti, senza pensarci troppo. Io ho sempre fatto così.»

«E se poi non è la cosa giusta?», domandai, mordicchiandomi il labbro.

Mamma scrollò le spalle e mi attirò in un abbraccio. «Avevi le stesse probabilità di fallire utilizzando la ragione.»

 

***

 

Mi presi un po’ di tempo per riflettere, esattamente quattro giorni. 
Non andai a trovare Nick e gli altri per ben quattro giorni, mi concentrai sulla mia vita, in particolar modo sulla scuola - per quanto potesse ancora servire, visto che c’erano molte probabilità che perdessi l’anno - ed aspettai che il mio cuore e il mio istinto facessero la decisione al posto mio, comunicandomela in seguito. O almeno, così avevo sperato che avvenisse, ma il quarto giorno di silenzio mi dissi che avevo sicuramente sbagliato qualcosa, oppure non era così automatico come mi aveva detto mamma, così… istintivo, prendere una decisione.

Ale era stata testimone oculare di tutto quello che avevo fatto in quei giorni e alla fine, proprio come me, decise di darci un taglio, dicendomi: «Allora, hai deciso cosa fare sì o no?»

Sarà stato il suo tono di voce, la sua espressione un po’ spazientita e un po’ in ansia, la mia pazienza che era giunta al limite, ma fu allora che sentii la voce del mio istinto rispondere per me: «Sì, tenterò l’esperimento con Alessandro.»

La mia migliore amica quasi non si strozzò col suo succo di frutta, sorpresa quanto me. Poi, dopo essersi ripresa, disse: «Cosa stiamo aspettando, andiamo!»

«No», risposi grevemente. «Io vado, tu no.»

«Che cosa?», balbettò, incredula. «Stai scherzando, vero?»

«No, Ale. Io… preferisco fare questa cosa da sola, andare là da sola, fare quello che devo fare, provarci e… Mi dispiace.»

Ale tentennò, indecisa se urlarmi contro oppure incoraggiarmi. Quella situazione era così strana, nessuno sapeva cosa fare, eravamo tutti guidati dall’istinto. Il suo, le disse di sedersi al mio fianco e di abbracciarmi forte, dandomi leggere pacche sulla schiena e dicendomi: «Vedrai, andrà tutto bene, ce la puoi fare.»

Così partii, mi trasferii nell’altra dimensione, col cuore ancora in tumulto per quella decisione affidata alla sorte, con l’intenzione di avvisare Alessandro della mia decisione e di recuperare tutto il materiale necessario per farlo conoscere almeno in parte a mio fratello, nell’altro mondo.
Appena arrivata, però, sentii nell’aria che qualcosa era successo. Con passo nervoso entrai nell’enorme villa dei Jonas Brothers e vidi tutto capovolto, come se fosse entrato in casa un gruppo di elefanti africani. Non provai nemmeno a cercare i tre fratelli quella volta, ero certa che non ci fossero, anche se quando sentii delle voci provenire dal piano sotterraneo – il laboratorio – una folle speranza nacque dentro me, tanto da farmi rimanere lì nel bel mezzo del salotto messo a soqquadro come una statua di marmo.

Due uomini che non avevo mai visto, barbuti e piuttosto muscolosi, finirono la rampa di scale e mi videro. Subito mi corsero incontro, urlandosi a vicenda che non dovevo scappargli, ed io fuggii via come una scheggia, senza pensarci due volte, con la paura che mi faceva scoppiare il cuore nel petto e mi spingeva a correre come avevo fatto poche volte nella mia vita.

Mi inoltrai nel bosco che nascondeva la villa dei Jonas, sperando di seminarli, ma caddi più e più volte inciampando sulle radici degli alberi. L’ultima volta mi feci parecchio male ad un ginocchio e intanto i due uomini si avvicinavano sempre di più. Ero spacciata: la ragione mi diceva che dovevo alzarmi e correre ancora, il cuore scosso dalla paura non era altrettanto incoraggiante e mi faceva pensare che ormai ero nelle loro mani; l’istinto, invece, mi urlava a gran voce che io avevo un vantaggio che loro non potevano avere: il mio dono. Fu allora che scoprii che potevo viaggiare non solo da una dimensione all’altra, ma anche teletrasportarmi da un luogo all’altro nello stesso mondo.

I due uomini, ad un passo da me e pronti ad afferrarmi, mi videro scomparire di fronte ai loro occhi.

Col respiro mozzato e il cuore che mi rimbombava nelle orecchie li sentii litigare furiosamente, al sicuro dietro lo spesso tronco di albero poco distante. A parte la serie di insulti che si rivolsero, capii che avrebbero dovuto catturarmi per portarmi da una certa vecchia, che aveva promesso a chiunque mi avesse trovata il viaggio di ritorno nell’altra dimensione. 
Realizzai immediatamente chi fosse la vecchia in questione e strinsi i pugni sulle ginocchia, pensando che quella bugiarda stava ingannando tutti: lei non aveva il potere di viaggiare fra le dimensioni, voleva solo impossessarsene e per farlo non le dispiaceva affatto imbrogliare e sfruttare quella povera gente che avrebbe fatto di tutto per tornare a casa.

Tutte quelle cose, avrei voluto dirle ai miei due inseguitori, ma preferii non rischiare e con la mia nuovissima conoscenza chiusi gli occhi e mi concentrai per teletrasportarmi a casa di Fiore: lei avrebbe saputo spiegarmi sicuramente di più su tutto quello che era potuto essere successo durante la mia assenza.

Sentii un grande vuoto allo stomaco quando riaprii gli occhi, nel salotto di casa sua, e vidi tutto sotto sopra proprio come nella villa dei Jonas. Affinai l’udito per scoprire se ci fosse qualcuno, ma quella volta sembrava proprio non esserci nessuno.
Che fosse successo qualcosa anche a lei?

Mi portai le mani nei capelli, con gli occhi lucidi dalla disperazione, e mi raggomitolai su me stessa, con le spalle al muro.
Iniziai a piangere come una bambina, sentendomi sola e sperduta, terrorizzata che potesse essere accaduto qualcosa ai miei amici e a Nick. Il mio cuore fece una capriola, pensando a lui, e dovetti tapparmi la bocca per soffocare un singhiozzo: nonostante non ci fosse nessuno, avevo una tremenda paura.

La mia paura si rivelò fondata, dopotutto, perché presto sentii dei rumori provenienti dalla cucina. Provai ad alzarmi e a scappare, ma il ginocchio a cui mi ero fatta male cedette, facendomi ruzzolare di nuovo a terra.

«Arianna. Arianna, ti sei fatta male?», bisbigliò una voce che riconobbi subito, con mio grande sollievo.

«Alessandro, stai bene… dov’è Fiore? Che cos’è successo? Perché la casa dei Jonas è a soqquadro? Dove sono loro?»

Il ragazzo mi sorrise caldamente e si chinò su di me per sollevarmi, con un braccio intorno alla mia schiena ed uno sotto le mie gambe piegate. «Una domanda alla volta, okay?»

«Dove stiamo andando?»

«Al rifugio d’emergenza. È troppo pericoloso restare qui, potrebbero tornare.»

«Chi? Chi potrebbe tornare?»

«Tutti quelli che si sono bevuti il bel discorsetto di quella vecchiaccia maledetta», biascicò con rabbia ed aprì una botola che non avevo mai notato sotto il tavolo della cucina. «Mi dispiace, ma devo lasciarti andare. Non aver paura, pensa che sia uno di quei tubi di plastica dei McDonald’s.»

Lo guardai senza capire e quando afferrai ciò che avrebbe fatto era troppo tardi: non riuscii ad aggrapparmi a nulla e caddi nel tunnel buio nel quale mi aveva lasciata cadere. Mi trattenni dal gridare, anche se ne avevo tutte le ragioni, e l’atterraggio non fu da meno, perché caddi col sedere sulla sabbia, facendomi un male cane.

Fiore mi venne subito incontro, con quei suoi occhi vacui e un’espressione preoccupata in volto. «Arianna», parlò a bassa voce - a malapena riuscivo a sentirla - chinandosi su di me. «Che ci fai tu qui?»
Non ebbi il tempo materiale per rispondere, sia io che lei sentimmo qualcuno scendere dallo stesso tubo e ci spostammo in fretta e furia, per paura che ci venisse addosso.

Ale atterrò coi piedi, perfettamente coordinato e con un sorriso stampato sulle labbra. Lo odiai: lui lo aveva già fatto, sapeva a cosa andava incontro, se almeno mi avesse avvisata!

Fiore si rivolse subito a lui, con un tono quasi di rimprovero: «Che ci fa lei qui?» 

«L’ho trovata nel nostro salotto, che piangeva e con un ginocchio messo male; non potevo lasciarla lì, con quella banda di scemi in giro! Se l’avessero trovata l’avrebbero sicuramente portata dalla vecchiaccia!»

La ragazza svampita lo guardò, quella volta con gli occhi intrisi d’amore, e mi accarezzò i capelli sulla testa. «Ora va tutto bene, sei al sicuro qui.»

«Ah, ho portato altre provviste», esordì Alessandro, togliendosi dalle spalle uno zaino che doveva essere davvero pesante. Si allontanò dal tubo e da noi ed io lo seguii con lo sguardo, potendo per la prima volta vedere in che posto fossi finita.

Era una grotta, nulla di più e nulla di meno, e se facevo attenzione potevo sentire il respiro del mare al di là della parete di fronte a me. In alto c’era una piccola fessura che faceva entrare la luce del sole e un po’ di aria profumata di salsedine e sulle pareti di roccia grezza erano state incavate delle piccole nicchie usate come dispense per i viveri oppure gli oggetti essenziali.
In mezzo alla caverna c’era una piccola catasta di legnetti e rami che accesi facevano da riscaldamento, posizionati vicino ad essa c’erano due sacchi a pelo.

Riportai il mio sguardo su Alessandro e lo vidi avvicinarsi con una cassetta dei medicinali in mano. Si chinò di fronte a me e mi tirò su il tessuto dei jeans fino al ginocchio, scoprendo la sbucciatura che mi ero fatta cadendo a terra. Ne rimasi sorpresa, perché non me n’ero nemmeno accorta: in confronto alla botta che aveva ricevuto non era niente. Me la disinfettò con cura, poi mi avvolse una garza intorno al ginocchio e rimirò la sua opera con sguardo soddisfatto: «Penso che possa andar bene.»

«È perfetto, grazie», sorrisi ringraziandolo. «Ora potete rispondere alle mie domande?»

Fiore guardò il compagno e lui alzò le spalle, ridacchiando. 

 

***

 

La vecchia strega che aveva tentato di imprigionarmi per rubarmi i poteri e che poi aveva anche cercato di separarmi da Nick, era tornata alla carica con un nuovo piano: sbandierare a tutti la mia relazione con Nick, grazie a delle foto che da quello che si era venuto a sapere erano state scattate dalle tre cheerleader, ormai sotto il suo controllo; con quelle aveva fatto un bel discorso in piazza, di fronte a tutto il popolo, dicendo che l’unica cosa che mi interessava era portare a casa i Jonas e che loro non erano affatto i paladini di quella città, ma i primi che tramavano alle loro spalle per fuggire dalla seconda dimensione. Così aveva offerto come ricompensa per la mia cattura il viaggio di ritorno nell’altra dimensione, nonostante non avesse la possibilità di offrirlo: ma non era un problema, a lei bastava soltanto ricevere ciò che voleva, ossia il mio potere. I Jonas, invece, erano stati sequestrati e portati nella sua casa-labirinto, piena di insidie e di pericoli, ma non si sapeva nulla di più sulle loro condizioni.

Quando Fiore aveva finito di raccontarmi tutta la storia, mi ero rinchiusa in me stessa, nel mio silenzio, nel mio dolore.
Se non fossi stata via così tanto tempo, se avessi deciso prima… tutto quello non sarebbe successo.

Mi sentivo infinitamente in colpa e dopo mesi e mesi il mio odio verso il mio potere, quello che avevo combattuto a lungo prima di vederne il lato positivo, era tornato. Ma solo per un attimo: sapevo che grazie al mio dono avevo potuto conoscere Nick ed innamorarmi di lui e sapevo anche che proprio grazie ad esso ora potevo anche salvarlo.

Sdraiata accanto alla parete di roccia nuda e fredda dalla quale riuscivo a sentire le onde infrangersi, avevo pensato molto e quando Fiore si avvicinò a me per porgermi un bicchiere d’acqua, mi voltai e lo accettai volentieri, tracannandolo tutto in un sorso solo.
Poi, parlai: «Sono venuta da questa parte perché ho preso la mia decisione. Forse ci ho messo un po’, ma ho deciso di tentare con l’esperimento, se Alessandro è ancora d’accordo.»

Il sorriso di Fiore lentamente svanì, mentre impallidiva. Alessandro, invece, ebbe la reazione opposta: era contento che avessi preso quella decisione, non vedeva l’ora di provare a viaggiare tra dimensioni.

«Però forse è meglio se rimandiamo tutto a domani, adesso è tardi e tu sei stanca morta…», obbiettò però, osservando il mio viso sciupato.

«Non c’è un minuto da perdere», risposi, decisa ad andare fino in fondo alla questione. «E io sto bene, non ti preoccupare. Adesso vieni qui, ho bisogno di farti qualche domanda, in modo tale che mio fratello possa…»

«A questo proposito, ci ho già pensato», disse e tirò fuori dal suo zaino due o tre fogli che più che scritti sembravano scarabocchiati. «Ho già scritto la mia biografia, mi sono portato avanti», sorrise smagliante.

Presi quei fogli fra le mani e sorrisi quasi commossa. «Il tempo di darli a mio fratello e di farglieli studiare e torno. Tieniti pronto», lo salutai e sparii sotto i suoi occhi.

L’atterraggio nel mio mondo fu piuttosto barcollante. Forse ero davvero stanca come aveva detto Alessandro, ma non c’era tempo per riposare, dovevamo provare a dimostrare che c’era un modo semplice per far tornare buona parte della gente nella propria dimensione e poi correre a salvare Nick, Joe e Kevin.

Entrai in casa e salutai mia madre che stava preparando la cena, mettendocela tutta per apparire normale. Che io ci riuscii o meno, non lo avrei mai saputo, perché mi lasciò andare comunque.
Corsi su per le scale, facendo parecchia fatica con il ginocchio che mi tirava e mi doleva, e mi catapultai in camera di mio fratello.

«Oh, finalmente sei tornata!», mi gridò sottovoce, per non farsi sentire. «Ma che cosa… Ary, che cos’hai? Sembri stravolta!»

Feci in tempo a dargli la biografia di Alessandro, poi, travolta da un mix di stanchezza e di turbamento per tutto ciò che era successo, scoppiai a piangere.

Davide mi fece sdraiare sul letto, accanto a lui, ed aspettò che mi calmassi, piuttosto imbarazzato. Quando smisi di piangere, esausta, lo notai mentre sforzava gli occhi per leggere la scrittura incomprensibile di Alessandro ed accennai un sorriso. Lui non si accorse del mio sguardo, allora io abbassai le palpebre, dicendomi che avrei dormito solo per qualche minuto, fino a quando Davide non avrebbe finito di “conoscere” Alessandro, e mi addormentai.

Quando però mi svegliai era già quasi l’alba. Mio fratello dormiva beatamente al mio fianco, tutto scoperto, con una gamba ed un braccio su di me e la bocca aperta in un leggero russare.

Probabilmente mi aveva fatto bene dormire così tanto, però avevamo perso un sacco di tempo utile a fare l’esperimento e a portare in salvo Nick e gli altri. Per questo mi infuriai ed inveii contro di lui, spingendolo e buttandolo giù dal letto.
Davide cadde sul pavimento con un tonfo sordo e si svegliò di soprassalto, guardandosi intorno spaventato. Mi vide ancora sul letto, con gli occhi ridotti a due fessure, e capì subito quello che doveva essere successo.

«È così che ringrazi tuo fratello, che ha soltanto agito per il tuo bene? Eri stravolta, Ary…», disse con la voce ancora un po’ roca, mentre si passava le mani sul viso per svegliarsi.

«Grazie mille per il pensiero. Ora muoviamoci», lo esortai e non gli permisi di ricadere sul letto, lo presi per la maglietta del pigiama e lo trascinai al piano inferiore senza fare il minimo rumore: papà e mamma dormivano ancora e non dovevamo svegliarli.

«Ma davvero vuoi fare ora l’esperimento? Mamma e papà si sveglieranno a momenti e tu… dovresti farti una doccia, sai?»

Lo guardai malissimo, mentre iniziavo a riempire uno zaino con il minimo indispensabile e alcune cibarie. «Tu forse non hai capito la gravità della situazione: Nick e gli altri sono stati rapiti da una vecchia megera che vuole assolutamente il mio potere e per farlo ha anche mentito ad un intero popolo, che ora mi dà la caccia. Dobbiamo fare l’esperimento il più presto possibile, far sì che la gente creda a me offrendo loro una reale possibilità di ritorno; solo così riusciremo a liberarli!»

Davide abbassò il capo ed annuì. Andò a prendere la biografia di Alessandro ed io lo seguii in camera sua. La ripassò velocemente, mentre io mi davo una rapida lavata e mi cambiavo, poi ci preparammo per dare il via al nostro esperimento.

«Aspettami a casa, io mi teletrasporterò qui», dissi, di nuovo colpita dal nervosismo. «Vedrai, Alessandro ti starà simpatico.»

Davide sorrise, capendo che stavo cercando di tranquillizzare prima di tutto me stessa, e mi avvolse un braccio intorno alle spalle, sussurrandomi: «Andrà tutto bene.»

Io ricambiai e lo strinsi forte, con le lacrime agli occhi. E se non fosse andato tutto bene?

Scacciai dalla testa quei pensieri, lo salutai e mi teletrasportai nella caverna che faceva da rifugio a Fiore ed Alessandro. Li trovai già svegli, stretti di fronte ai carboni ardenti del fuocherello. Vedendoli mi si strinse il cuore: sembrava che si stessero dicendo addio…

«Oh, finalmente sei arrivata», esclamò Alessandro, non negandomi uno dei suoi sorrisi.

«Scusami, mi sono addormentata», risposi in imbarazzo. «Tu sei pronto?»

«Eccome!» Guardò Fiore, accanto a lui, che non lo sembrava affatto, e le sorrise rassicurante, poi le baciò la fronte. «Tornerò amore, te lo prometto.»

La ragazza non gli rispose, ma gli strinse forte le braccia con le mani, implorandogli silenziosamente di non farlo. Alla fine però lo lasciò andare, sconfitta, ed Alessandro mi venne incontro con uno zaino simile al mio sulle spalle, mi prese la mano e disse: «Andiamo.»

Tentennai, non più così sicura di volerlo fare, ma quando chiusi gli occhi nemmeno me ne accorsi di essermi teletrasportata nel mio mondo. Rimasi in silenzio e con gli occhi chiusi per diversi minuti e sentendo altrettanto silenzio iniziai a tremare e calde lacrime mi tracciarono il viso.

«Ary…»
Sobbalzai udendo la voce di mio fratello e appena vidi la sua espressione dispiaciuta capii che Alessandro non era arrivato con me. Il cuore mi scoppiò nel petto e non feci nulla per trattenere i singhiozzi di puro dolore.

Non ce l’avevo fatta, la mia teoria non era stata confermata dall’esperimento, Alessandro era finito chissà dove… Fiore mi avrebbe odiata. Anche se io mi odiavo già, perché oltre aver perso l’opportunità di dimostrare a tutta quella gente che c’era un modo più semplice per tornare indietro e quindi salvare Nick, Joe e Kevin dalle grinfie di quella vecchia, avevo perso un amico.

Sentii due mani afferrarmi per le braccia e sbattermi contro quella che sembrava proprio roccia nuda. Aprii gli occhi per una frazione di secondo e vidi Fiore, che piangeva e mi urlava in faccia, poi all’ennesimo colpo alla schiena che ricevetti se ne unì uno alla testa, che mi fece perdere i sensi e sprofondare nel buio.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15

 

Aprii lentamente gli occhi e dovetti sforzarli parecchio prima che riuscissi a mettere bene a fuoco ciò che mi circondava.
Mi faceva malissimo la testa, su cui mi portai una mano, e avevo anche diversi dolori alla schiena.

Pian piano gli ultimi ricordi che avevo mi tornarono alla mente e mi si inumidirono subito gli occhi, ripensando ad Alessandro.
Perché aveva voluto rischiare in quel modo la sua vita? Perché io gliel’avevo permesso?

Mi sedetti sulla sabbia e posai la schiena contro la roccia nuda alle mie spalle. Ascoltai il silenzio della grotta, concentrandomi sul respiro del mare che veniva da fuori, ed alzai gli occhi verso la fessura che faceva filtrare all’interno la luce rosata del tramonto e attraverso la quale si poteva vedere uno scorcio di cielo.

Non mi preoccupai per l’assenza di Fiore, probabilmente mi odiava ancora e non voleva vedermi. Piuttosto, cercai di trovare un’uscita, visto che era evidente che non si poteva usare il tunnel.
Sperando che Fiore non si offendesse, nel frattempo misi qualcosa sotto i denti attingendo dalle loro provviste.

Alla fine trovai uno stretto passaggio, nascosto dietro una delle nicchie della grotta, dal quale uscii gattonando. Mi ritrovai proprio al di là della parete, di fronte al mare illuminato dalla palla infuocata che vi stava affondando.
Mi tolsi le scarpe e camminai in riva al mare, pucciando i piedi nell’acqua. Riflettei su quello che potevo ancora fare e tutto sommato non vidi altre alternative alla folle idea di intrufolarmi nella casa-labirinto della vecchia strega per almeno tentare di salvare Nick, Joe e Kevin.

 

***

 

Ale percorse il vialetto con passo svelto e bussò alla porta. La mamma di Ary le andò ad aprire e dalla sua espressione lugubre capì subito che la sua migliore amica doveva aver fatto qualche enorme cazzata, come andare nell’altra dimensione e rimanerci.
L’aveva subito sospettato, quando non l’aveva vista a scuola quel giorno e il fatto che non sapesse nemmeno come fosse andato l’esperimento con Alessandro non la tranquillizzava per niente.

Entrò in casa e vide Davide seduto sul divano, col viso sciupato e gli occhi rossi: aveva pianto, forse confessando tutto alla madre.

«Se stai cercando Arianna», disse la donna, dopo aver chiuso la porta di casa, «stai sprecando il tuo tempo: qui non c’è.»

«Dov’è?», chiese con voce tremante.

«Nell’altra dimensione. È là da stamattina da quello che ho capito. Non ha fatto altro che andarci per tutto questo tempo, nonostante le avessi detto di non andarci più!», strillò su tutte le furie, ma poi scoppiò in un pianto colmo di dolore che fece star male la ragazza, che cercò lo sguardo del ragazzino, altrettanto ferito.

Davide però trovò la forza per schiarirsi la voce e dirle: «L’esperimento che abbiamo tentato è andato male: Alessandro non è arrivato qui con lei e… quando l’ha capito se n’è subito andata, piangendo. Da allora non l’ho più vista.»

«Cosa credi che abbia intenzione di fare?», mormorò, preoccupatissima.

«Non ha più niente da tentare, l’unica cosa che può ancora provare a fare è salvare i Jonas da sola e con le sue forze. Secondo me è questo che farà. Ma non può farcela, non contro quella strega…»

«Dobbiamo andare da lei, allora!», gridò Ale, con le lacrime agli occhi. Perché Davide era ancora lì? Perché non era già andato a fermarla?

La risposta le arrivò subito dopo, dalla madre dei due fratelli, che la guardò terrorizzata ed adirata: «No!», urlò. «No, no, no! Non perderò anche Davide! Non andrà nell’altra dimensione!»

«E con questo lei sta dicendo che ha intenzione di abbandonare sua figlia?!», ribatté Ale, facendola ammutolire, mentre il suo volto si accartocciava dalla sofferenza. «So che ha paura e che non vuole che i suoi figli si facciano del male, ma… so anche che non lascerebbe mai Ary da sola. Loro hanno dei doni, possono salvare tanta gente, ma… deve lasciarglielo fare e adesso deve permettere a Davide di portarci da lei.»

«Portarci?», mormorò il ragazzino, confuso. «Non avrai intenzione di venire anche tu, vero?»

«Stai scherzando? Certo che vengo! È la mia migliore amica!»

La donna guardò prima l’uno, poi l’altra e disse: «Vengo anche io. Non lascerò soli i miei figli, per nulla al mondo.»

 

***

 

Ricordavo bene la prima volta in cui ero entrata nella casa di quella megera e durante la mia breve permanenza avevo visto parecchie cose. Ritrovai uno dei vari passaggi segreti che permettevano di entrare ed appena fui dentro provai una strana sensazione: era normale sentirsi in trappola, ma all’idea che me la fossi andata a cercare mi sentivo super in trappola.

Camminai con cautela lungo i corridoi semibui, facendo scorrere la mano sulle pareti. C’era fin troppo silenzio e i miei passi di conseguenza mi sembravano fin troppo rumorosi.
Pensai che quella vecchia avrebbe potuto benissimo avere delle segrete sotterranee dove poter tenere i prigionieri. Dovevo assolutamente raggiungerle, se c’erano.

L’ultimo passo che feci produsse un rumore strano sul pavimento, come una specie di “click”. Sollevai il piede destro e vidi un piccolo bottone, che avevo inavvertitamente schiacciato. Chiusi gli occhi, respirando pesantemente, ma non accadde nulla intorno a me: nessuna botola, né trappola di alcun tipo, nessun allarme.
Nonostante tutto incominciai a camminare più veloce, col cuore che mi rimbombava nelle orecchie. 

Girai l’angolo e trasalii quando mi scontrai contro qualcuno. Alzai il viso e vidi Charlotte, la cheerleader dai capelli rossi. Ci scrutammo in silenzio, entrambe sorprese, senza sapere cosa fare.

«Beh?», domandai in un sussurro.

Lei fece una smorfia e si portò i capelli su un’unica spalla. «Devi andartene da qui, sei stata piuttosto stupida a venire da sola.»

 «Non… non hai intenzione di catturarmi?», chiesi, scioccata. Non aveva mai avuto un’opportunità del genere, perché se la stava facendo scappare? Perché mi stava dando la possibilità di andarmene? La sua espressione assorta ed arrendevole mi spiegò tutto, o quasi.
«Dimmi soltanto dov’è Nick», mormorai, azzardandomi a sfiorarle una mano, con sguardo compassionevole.

«Non posso», rispose trattenendo le lacrime. «Ora vattene, fai presto! Prima che…»

«Charlotte! Charlotte, ma che…?!»
Entrambe ci girammo verso la fine del corridoio e sobbalzammo vedendo la cheerleader bionda e quella mora.

«Stupida», mi ringhiò contro la rossa e mi tirò uno schiaffo, poi mi spinse indicandomi la strada che dovevo prendere per sfuggire alle due cattive della situazione.

Le gettai un ultimo sguardo e la ringraziai mentalmente prima di correre via.
Non ero arrabbiata per quello schiaffo, infondo potevo capirla – anche lei era veramente innamorata di Nick – e poi l’aveva fatto per non esporsi troppo di fronte alle sue due amiche: che cosa avrebbero detto, se mi avesse lasciata scappare senza nemmeno toccarmi?

Andai nella direzione indicatami da Charlotte, sentendo dietro di me i passi e le voci delle tre che mi rincorrevano. Corsi più veloce che potei, ma ad un certo punto fui costretta a rallentare a causa di un bivio. Mi guardai alle spalle, alla ricerca dello sguardo di Charlotte, ma non lo trovai abbastanza in fretta, quindi andai a caso: svoltai a destra e in lontananza sentii la sua voce gridare un “No!”, ma ormai era troppo tardi: aprii la porta che si stagliava di fronte ed andai a sbattere contro un ragazzo alto e grasso, un armadio, col viso deformato e delle catene ai piedi.
Provai a fuggire, ma lui ci mise poco o niente a sollevarmi da terra e a caricarmi sulla sua spalla, nonostante mi dimenassi con tutte le mie forze.

Le cheerleader ci raggiunsero e si congratularono con lo scagnozzo prediletto della vecchia, poi mi azzittirono imbavagliandomi e mi portarono nella sala principale della casa, quella che sembrava proprio una sala del trono.
Appena vidi la vecchia alzarsi e venirci incontro con lo sguardo acceso di folle felicità, mi venne il voltastomaco. Ordinò con la sua voce stridula di togliermi la bandana dalla bocca e al suo scagnozzo di lasciarmi andare.
Caddi a terra ai suoi piedi e mi feci ancora male al ginocchio, ma non mi tirai di certo indietro quando dovetti sollevare il viso per poterla guardare con odio e disprezzo.

«Sapevo che prima o poi saresti venuta a salvare i tuoi amichetti», mi disse, iniziando a ridere sguaiatamente, in un modo a dir poco insopportabile. «Ed ora eccoti qua! Non ti preoccupare per loro, stanno benone!»

«Devi lasciarli andare», ringhiai. «È me che vuoi, no? Loro che cosa c’entrano?»

«Oh, bambina… non si sa mai a cosa potrebbero servirmi. Ma ora basta parlare, mettiamoci subito al lavoro! Al laboratorio!»

L’armadio al comando della sua padrona mi ricaricò sulla sua spalla e mi portò nel laboratorio, appunto, al seguito della vecchia e delle tre cheerleader. Charlotte voltò il capo e per un momento brevissimo i nostri sguardi si incontrarono.

Una volta nel laboratorio, mi fecero sedere su una specie di sedia elettrica per farmi degli esperimenti ed estrapolare dal mio corpo il mio dono. Mi attaccarono alla sedia con delle speciali manette e sulla testa mi infilarono un casco che prese subito aderenza alla mia fronte, come una ventosa.

«Ora tutto quello che devi fare è desiderare di andartene da qui», sogghignò la vecchia.

«Non ho paura, non farò proprio nulla per aiutarti», risposi stringendo i denti.

«Oh, vedrai che lo farai, lo farai…» Diede un comando a un paio di scienziati, tra cui ne riconobbi alcuni che prima erano stati gli scienziati dei Jonas, e quasi immediatamente venni tramortita da delle scosse, ma resistetti.

«Non molli, eh? Allora mi sa proprio che ci toccherà aumentare la carica…»

Lo fecero, lo fecero eccome e quella volta gridai fino alla sfinimento. Il dolore era così forte che anche se non volevo agevolarla in alcun modo, avevo iniziato a desiderare di teletrasportarmi via da lì, via da quella sofferenza. Lo feci del tutto inconsciamente, anzi era come se la mia mente avesse agito per la sua difesa, e me ne accorsi soltanto perché i computer degli scienziati avevano iniziato ad impazzire sotto i loro occhi sconcertati.

«Che cosa sta succedendo?! Perché fanno così?! Fate qualcosa!», gridò la vecchia megera, gettandomi occhiate spaventate.

Allora capii: i computer non erano in grado di reggere la potenza del mio dono, impazzivano ed esplodevano, quindi… se volevano che mostrassi loro tutte le mie capacità, perché non farlo?

Strinsi i pugni e pensai più intensamente che potei di teletrasportarmi in camera mia, a casa. Ottenni il risultato sperato, infatti i computer andarono tutti in palla e poco dopo si spensero, non dando più segnali di vita; così accadde anche al macchinario che mi dava la scossa. Quando essa cessò, mi accasciai sulla sedia, stremata, e piansi, piansi senza un motivo ben preciso.

«Ah, siete degli incapaci!», inveì la vecchia contro gli scienziati. «E lei, portatela assieme ai suoi amici a schiarirsi la mente! Non abbiamo affatto finito qui!» Mi guardò con astio e se andò.

 

Uno scienziato mi liberò dalla sedia elettrica e mi infilò ai polsi un altro strano tipo di manette, che mi arrossarono la pelle. Poi il solito scagnozzo mi caricò sulla sua spalla e con passi lenti e pesanti mi portò via. Prima di uscire dal laboratorio incontrai lo sguardo di Charlotte, quasi in lacrime, che abbassò subito il viso, come mortificata.
Avrei voluto dirle che non era colpa sua, che non lo era affatto, ma i miei occhi si chiusero senza che nemmeno potessi rendermene conto.

 

***

 

Aprii gli occhi lentamente, con estrema fatica nonostante il luogo buio in cui mi trovavo, svegliata da tenere carezze sui capelli.
Con un verso lamentoso – il dolore provocato dalle scosse e da tutto il resto si faceva sentire ora più che mai – portai una mano su quella che mi accarezzava i capelli e ne accarezzai il dorso con il pollice, cercando di capire di chi fosse.

«Ary… Ary, sei sveglia?»

Il mio cuore sobbalzò all’udire la sua voce. «Nick…», soffiai, incredula.

Mi voltai sul materasso duro su cui ero sdraiata e guardai il suo viso sciupato sopra al mio, glielo presi fra le mani – coi polsi ancora incatenati – e lo accarezzai, mentre calde lacrime che scivolavano sulle guance. Avevo avuto così paura per lui, ero stata così in pensiero… ed ora eravamo insieme, anche se in una cella. La mia felicità in quel momento era troppo forte da sostenere, tanto che avevo bisogno di piangere.

«Sono qui, sono qui», mi sussurrò per cercare di calmarmi, accarezzandomi ancora i capelli. 
Mi baciò, prima con soffici baci a fior di labbra, poi approfondendo sempre di più, tanto da farci mancare il respiro.

Avrei voluto che non smettesse mai, ma a causa della mia debolezza fu costretto a scostarsi e a lasciarmi riposare.
«Che cosa ti hanno fatto, amore mio», sussurrò sulla mia pelle, mentre continuava a coccolarmi con i suoi baci.

Rabbrividii, non solo per ciò che mi faceva provare sul lato fisico, ma perché era la prima volta che mi chiamava in quel modo. Io ero il suo amore…

Mi strinsi a lui e caddi di nuovo addormentata sotto le sue carezze, col cuore sinceramente più leggero ora che avevo la certezza che stesse bene e fosse al mio fianco.



Quando mi svegliai di nuovo, lui era ancora al mio fianco, ma quella volta era seduto sul bordo del letto, che mi dava le spalle e parlava con Joe e Kevin. (C’erano anche loro, non li avevo proprio notati prima). Discutevano su come avrebbero potuto uscire da lì, ma non sembravano molto ottimisti.

Toccai la schiena di Nick e lui si voltò, sorridendomi dolcemente.

«Ciao», mi sussurrò, baciandomi a stampo sulle labbra. 

Avevo così tanta voglia di lui, dei suoi baci, che molto goffamente portai le mani unite dalle manette dietro la sua nuca per trattenerlo lì, ad un soffio dalle mie labbra, che accarezzava con le sue mentre parlavamo, facendomi scorrere mille piacevoli scosse lungo tutto il corpo.

«Vi porterò fuori da qui», mormorai a fatica, socchiudendo gli occhi.

«E come pensi di fare?»

«Col mio dono… ho scoperto che posso teletrasportami anche da un luogo all’altro nella stessa dimensione. Guarda, ti faccio vedere…» Provai a teletrasportarmi dall’altra parte della piccola cella, ma appena ci provai le manette che avevo ai polsi mi diedero la scossa, impedendomelo.

«Ary, Ary stai bene?», mi chiese Nick preoccupato, accarezzandomi il viso stropicciato in una smorfia di dolore.

«Sì», gracchiai. «È pazzesco che sia riuscita a trovare un metodo per fermare il dono… Sono completamente inutile così.»

«Non fa niente, amore», sorrise. «Vedrai che troveremo un modo per uscire da qui.»

«Già, non disperare», disse Kevin, sporgendosi dal suo letto, sopra al nostro.

«Io mi dispero eccome, invece. È da cinque giorni che non mi faccio una doccia, ho i capelli che sono un disastro!», piagnucolò invece Joe, rannicchiato su una piccola branda attaccata alla parete.

Arricciai le labbra e trattenni una risata divertita. «È bello rivedervi ragazzi, mi siete mancati.» 
Riuscii a strappare un sorriso persino al disperato Joe.

Qualche minuto dopo sentimmo la parte inferiore della porta aprirsi, da cui una delle cheerleader fece passare un paio di vassoi con la nostra cena, o pranzo – avevo perso la concezione del tempo.

Non mangiai molto, solo un po’ di pane, ma in compenso bevvi tantissimo. Con lo stomaco pieno d’acqua tornai sdraiata sul letto e chiusi gli occhi, chiedendo che ore fossero.

«Penso sia notte, perché fa più freddo», mi rispose Nick.

«Sì, in effetti è un po’ più fresco…», constatai con sguardo malizioso e lui capì al volo che volevo che qualcuno mi riscaldasse, così si sdraiò quasi sopra di me e mi strinse forte, iniziando a baciarmi il viso.

«Ecco, ora quei due fanno i piccioncini e ciao», brontolò Joe.

«Girati e dormi», lo rimproverò Kevin, quella volta dalla nostra parte. Joe eseguì, borbottando qualcosa di incomprensibile.

Non passò molto tempo prima che gli altri due Jonas si addormentassero ed intorno a noi calasse il silenzio. Io e Nick ci guardammo negli occhi per diversi istanti ed ero certa che entrambi sentivamo la sensazione di avere il cuore gonfio e sazio, anche se l’amore non ci bastava mai.

Improvvisamente Nick si fece più serio, quasi inquieto, e smise di accarezzarmi i capelli con la mano.

«C’è qualcosa che non va?», gli chiesi a bassa voce, per far sì che Joe e Kevin non si svegliassero.

«No, io… Ti amo, Ary.»

Il mio cuore scoppiò nella cassa toracica. Che cosa aveva detto?
La mia espressione incredula lo fece ridere a bassa voce, contro la pelle del mio collo, dove lasciò anche soffici baci.

«Era questo che volevo dirti da un po’, non riuscendoci mai. Dovevamo proprio essere imprigionati per avere un po’ di silenzio e di tranquillità», ridacchiò ancora, poi mi guardò negli occhi e continuò: «Però non pensavo di sconvolgerti tanto…»

«Io, ecco… non me l’aspettavo, tutto qui», balbettai arrossendo, col buio dalla mia parte.

Notai l’espressione un po’ delusa di Nick e sorrisi, prendendogli il viso fra le mani ed avvicinandolo al mio, ad un soffio dalle mie labbra, per poter fondere i miei occhi con i suoi.
«Ti amo anche io, Nick. Tu non puoi immaginare quanto.»

Lui socchiuse gli occhi colmi di dolcezza e di amore e mi baciò stringendomi forte a lui.

Come era già capitato altre volte, lo sentii ovunque e pensai che l’unica cosa che volevo veramente era sentirlo mio in tutti i sensi, ma…
Cercai la sua mano destra e sfiorai il suo anello della purezza, lui mi strinse le dita nelle sue e si sollevò per guardarmi in viso. Evitai il suo sguardo, chiudendo gli occhi e girando il volto dall’altra parte.

«A che cosa stai pensando, Ary?», mi chiese con tono pacato.

«Tu… tu non vorresti… insomma…»

«Fare l’amore con te?» Mi prese il mento fra le dita e mi costrinse a guardarlo negli occhi: sorrideva dolcemente, tutto sul suo viso esprimeva una dolcezza infinita, tanto che mi sentii piccola e stupida in confronto a lui.

«Scusami», dissi subito, come per rimediare alla mia stupidità. «Ti sarò sembrata così… superficiale. Non voglio sembrarti quel tipo di ragazza, ma io… io ti sento, ti amo e…»

Mi azzittì portando un dito sulle mie labbra. «È la cosa che voglio di più al mondo», sussurrò. «Tu sei ciò che voglio di più al mondo.»

«E allora perché non…?», lasciai in sospeso la frase, in imbarazzo, e gli presi la mano destra fra le mie.

«Non posso, Ary…», sospirò. «Quando tutto sarà finito e saremo di nuovo nella nostra dimensione ci sposeremo e…»

«Frena, frena, frena», lo fermai posando le mani sul suo petto, con gli occhi sgranati. «Sono troppo giovane per sposarmi, ho appena diciott’anni, tu diciannove! Non è un po’… presto?!»

Nick tentennò e si lasciò cadere sdraiato al mio fianco. Rimase in silenzio a guardare la rete del letto sopra al nostro, con sguardo assorto e la fronte leggermente increspata.

Io mi voltai verso di lui, addirittura gli salii sopra per guardarlo negli occhi, e gli accarezzai un ricciolo che gli cadeva sulla fronte.
«Io ti amo davvero, Nick. Farei di tutto per te, forse pensandoci bene potrei anche fare la pazzia di sposarti, perché non voglio in nessun modo rischiare di perderti. Scusa se sono stata troppo brusca prima, ma forse io non ho così tanta fede come te.»

All’improvviso ricambiò lo sguardo e si avventò sulle mie labbra.

 

***

 

Charlotte, seduta vicina alle sue due inseparabili amiche, guardava la vecchia strega fare avanti e indietro di fronte a loro, che sbraitava contro quegli “scienziati da strapazzo”, come li chiamava lei.

«La prossima volta non deve accadere nulla di tutto questo, ci siamo capiti bene?!»

Charlotte rabbrividì a quelle parole. Ci sarebbe stata un’altra volta? Avrebbe dovuto assistere mentre torturavano ancora una volta quella povera ragazza?

Era vero, lei le aveva rubato l’amore della sua vita – Nick – ma non poteva davvero sopportare tutto quello. Inoltre, sapeva che anche Nick l’amava, quei due erano fatti apposta per stare insieme… perché doveva distruggere la loro felicità, quando lei non ne avrebbe tratto un bel nulla? Nick non l’amava, non l’avrebbe mai amata… e l’unica cosa che poteva fare era preservare la sua felicità, far sì che almeno lui fosse felice, per quanto fosse difficile e doloroso. 

 

Cause I'd rather just be alone
If I know that I can't have you

 

Doveva fare qualcosa, assolutamente. Ma che cosa?

Un flash le attraversò la mente, facendole ricordare il nascondiglio in cui la vecchia teneva tutte le chiavi delle celle sotterranee. Non sarebbe stato facile prenderle, ma almeno ci avrebbe provato, lo avrebbe fatto per Nick.
Per quanto riguardava le chiavi delle strane manette che avevano messo alla ragazza, sapeva che erano gli scienziati ad averle. Sarebbe stato molto più facile ottenere quelle: sarebbe bastato ricordare agli scienziati che erano stati amici dei Jonas Brothers e punzecchiare i loro sensi di colpa verso quella povera ragazza che stavano torturando inutilmente sotto i folli ordini di quella pazza.

«A che cosa stai pensando, Charlotte?», le domandò la cheerleader bionda.

La rossa osservò le sue due amiche ed accennò un sorriso, pensando alla loro fortissima amicizia: era certa che non l’avrebbero abbandonata, se gli avesse spiegato il suo piano. 

 

I know I was such a fool
But I can't live without you

 

***

 

Davide si mise nel centro esatto del salotto, circondato da Ale, mamma e papà – anche lui aveva voluto aggregarsi alla campagna di salvataggio – e fece un respiro profondo.

«Siete pronti?», chiese.

Loro annuirono e posarono le mani sulle sue braccia per essere teletrasportati con lui nell’altra dimensione, ma proprio un momento prima di partire qualcuno suonò al campanello.

Mamma lasciò giù il suo zaino da campeggio ed andò ad aprire, chiedendo chi fosse. Si trovò di fronte una ragazza ed un ragazzo: la prima la riconobbe subito, era la bambina che aveva visto scomparire di fronte ai suoi occhi la prima volta e che aveva dato vita alla sua passione quasi ossessione per quel fenomeno così anomalo.

«Salve signora», la salutò con un sorriso cauto sulle labbra, sistemandosi i capelli corti dietro le orecchie. «Lei è la madre di Arianna, vero?»

«Sì, ma… non è qui», balbettò.

«Già, lo immaginavo», mormorò, abbassando il capo, dispiaciuta.

Davide raggiunse la madre e guardò il ragazzo accanto alla giovane. Lo indicò a bocca aperta e il ragazzo dalla pelle caffèlatte sorrise in modo solare.

«Tu devi essere Davide, vero?», gli chiese, ridacchiando. «Somigli molto a tua sorella.»

«A-Alessandro?»

 

 

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Tadada-dàààn xD
Spero di non avervi fatto aspettare troppo e che il capitolo vi sia piaciuto (:
Ci sono un po' di cose in sospeso, spero che me ne parliate un po' con delle recensioni! ** Sono impaziente di sentire le vostre opinioni ;)
La canzone che ho usato è Can’t have you, dei Jonas Brothers e... credo di aver detto tutto xD

Ringrazio di cuore music__dreamer che ha lasciato una recensione allo scorso capitolo e ringrazio anche tutti quelli che hanno soltanto letto (:
Alla prossima!! Vostra,

_Pulse_

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Okay, sono decisamente imperdonabile e me ne rendo conto. Lo scorso capitolo l'ho pubblicato il 30/04/2011 e sono passati nove mesi, il tempo di sfornare un bambino ._. Però non sono diventata mamma, quindi non ho scusanti. Mi dispiace davvero molto per questo mio ritardo, soprattutto mi dispiace per le persone che seguivano questa storia e che appena vedranno l'aggiornamento - se lo vedranno - saranno piuttosto sconcertate e magari non si ricorderanno più di che cosa parla questa storia. Li capirei, visto che la mia memoria è come quella di un criceto! XD

Che cosa dire di più... spero che sia ancora qualcuno a seguire questa FF e, caschi il mondo, mi sono convinta a finirla definitivamente, perchè è andata fin troppo per le lunghe con le mie deplorevoli pause e ora posso dirlo che non ho altre storie al momento a cui pensare (che siano mie priorità). Siete contenti? :) 
Ora basta con le chiacchiere, vi lascio al capitolo :) Spero vi piaccia! 
Buona lettura!!

 

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Capitolo 16

 

Quei muri di mattoni scuri dovevano essere spessi almeno qualche metro, ma c’erano spifferi ovunque e da lontano riuscivo persino a sentire gli strepitii dei gabbiani.
Furono quelli a svegliarmi quella mattina e appena voltai il viso incontrai a pochi millimetri di distanza quello di Nick, sereno.
Rimasi lì ad accarezzarlo con lo sguardo, poi il mio stomaco brontolò rumorosamente e spinta dalla fame mi costrinsi ad alzarmi, spostando il suo braccio appoggiato al mio ventre.

Mi avvicinai alla porta della nostra cella e controllai se ci avessero già portato la colazione. Me lo aspettavo pure? Dopotutto non era un albergo a cinque stelle.
Sbuffai sonoramente, portandomi le mani sulla pancia, e stavo per scivolare seduta per terra, quando lo spioncino si aprì, permettendomi di vedere l’esterno attraverso le sbarre. Avvicinai il viso e trasalii quando vidi quello deformato dello scagnozzo della megera di fronte al mio.

Caddi a terra come se mi avessero spinta, ma non riuscii a smettere di guardare quegli occhi neri come la pece, infossati tra le sopracciglia folte e chiare e gli zigomi pronunciati.
C’era qualcosa di infinitamente triste in quello sguardo e presto la paura svanì, facendomi capire che io e lui eravamo nella stessa identica situazione: due prigionieri della vecchia megera.

Mi alzai di nuovo e come mi avvicinai alle sbarre il gigante si allontanò, mentre un lampo di terrore gli illuminava lo sguardo.
«Non avere paura, non voglio farti del male», sussurrai. «Da quanto tempo quella vecchia ti comanda a bacchetta?».

Lui non rispose ed io sospirai, accennando un sorriso. «Ho capito, sei un tipo silenzioso…».

Attraverso le sbarre notai la spessa catena che gli intrappolava i piedi e gli impediva di muoversi velocemente. Avrei voluto aiutarlo, ma come? Erano troppo grandi e resistenti e io non avevo nulla con cui provare a spezzarle.
Ciononostante mi sedetti per terra, sollevai dall’interno lo sportellino che veniva utilizzato per passarci da mangiare ed allungai una mano verso la caviglia del gigante silenzioso.

«Avvicinati un pochino, non ci arrivo», dissi con la voce smorzata dallo sforzo.

Il gigante mi capì e si sedette anche lui, provocando un tonfo e facendo tremare il pavimento per qualche secondo. Gettai uno sguardo alle mie spalle, per controllare se Nick e gli altri si fossero svegliati, e quando mi accertai che stessero ancora dormendo tornai a concentrarmi sulle catene.
Mi accorsi che esse, proprio come le mie, erano collegate a dei microchip che al segnale di chi li controllava inviavano delle scosse elettriche a tutto il corpo, tramortendolo.
Provai a forzare l’ultimo anello, quello legato alla tenaglia che aveva intorno alla caviglia, ma non ero abbastanza forte. Allora provai a sfregare la catenella che univa le mie manette sul ferro delle catene, ma non servì a nulla, oltre che a farmi sanguinare un polso per l’attrito delle manette sulla pelle.

Il gigante mi aveva fissata continuamente durante tutti i miei inutili tentativi, sorpreso dalla mia tenacia e dal mio desiderio di voler aiutare colui che mi aveva catturata, perciò quando si accorse della mia sofferenza mi fermò, posando una delle sue grandi mani sulle mie, e mi rivolse un sorriso deformato. Poi provò a sbriciolare fra le dita una mia manetta, ma erano troppo grandi e goffe e le ritrasse, per paura di farmi male.

«Ary… Ary, ma che stai facendo?!», gridò Nick alle mie spalle, caracollando giù dal letto e prendendomi per le braccia, spaventato come non l’avevo mai visto. «Sei impazzita? Quel mostro potrebbe…»

«Non è un mostro!», ribattei subito, guardandolo truce. «Lui è buono, è solo costretto ad eseguire gli ordini della vecchia per non prendere la scossa! È imprigionato anche lui qui da chissà quanto tempo… Se mai dovessimo farcela ad uscire da qui, aiuteremo anche lui a fuggire».

Nick mi guardò sconcertato, come se fossi diventata pazza tutto d’un tratto, e aprì la bocca per dire qualcosa, ma un rumore attirò la nostra attenzione.

«Ho come la sensazione che uscirete da qui prima di quanto possiate immaginare», sussurrò una voce oltre la porta della cella.

Nick strinse gli occhi per distinguere il volto in controluce che si intravedeva dietro le sbarre nello spioncino della porta ed esclamò: «Charlotte!».

La cheerleader dai capelli rossi accennò un sorriso e gli rivolse uno sguardo colmo di malinconia, poi armeggiò con il mazzo di chiavi che aveva tra le mani e quando trovò quella giusta la infilò nella serratura e riuscì ad aprire la pesante porta blindata, facendo entrare un fascio di luce nella cella immersa nell’oscurità.

«Ci siamo anche noi!», salutarono con segno di vittoria le altre due cheerleader, quella mora e quella bionda, sorridendo.
Quella sì che era una sorpresa. Scambiando uno sguardo con Charlotte, però, capii che il merito era soltanto suo. La ringraziai col pensiero e lei parve intuire, perché scrollò le spalle e fece cenno di muoversi.

«Prima o poi si accorgeranno dell’assenza delle chiavi e… e allora sarà un bel guaio», disse con una smorfia.

Nick svegliò in fretta e furia i suoi fratelli, che ancora insonnoliti non riuscirono a capire bene ciò che stava succedendo. Nel frattempo la cheerleader dai capelli rossi mi attirò a sé ed infilò una chiave nelle mie manette, che scattarono e caddero a terra. Finalmente libera.

Mi massaggiai i polsi indolenziti e sollevai il capo per ringraziarla, quando sentii le sue braccia stringermi in un abbraccio più che inaspettato.
Con le labbra premute sul mio orecchio, sussurrò: «Porta in salvo Nick, costi quel che costi. Fai questo e ti sarò riconoscente per il resto della vita. Noi staremo qui e distrarremo la vecchia e i suoi scagnozzi, gli indicheremo la direzione sbagliata. E se non dovesse bastare… ci inventeremo qualcosa». Tirò fuori dal taschino della divisa da cheerleader un foglietto piegato in quattro e piuttosto consumato e me lo porse. «Questa è la piantina con la via più veloce per uscire da questo labirinto».

Fece per girarsi ed uscire dalla cella per far finta di dare l’allarme, ma io le presi un polso e la fermai. «Non posso permettere che vi accada qualcosa di male, venite con noi, vi teletrasporterò tutte fuori di qui in un attimo».

La cheerleader dai capelli biondi (la mora era impegnata a trovare la chiave giusta tra le dozzine presenti in quel mazzo per liberare il gigante dalle catene) mi guardò con un sorrisetto malinconico.
«Se potesse essere così semplice! Non chiedermi come abbia fatto quella vecchiaccia, ma tutto il labirinto è anti-dono. Non te n’eri accorta prima?».

Sgranai gli occhi, incredula, e provai a teletrasportarmi, ma sentii una specie di resistenza, come se fossi intrappolata in una bolla. Non era molto forte, probabilmente la vecchia megera aveva una carenza di potere, proprio come ce l’avevo io a causa della stanchezza e della fame. Se solo fossi stata nel pieno delle mie forze… ero certa che sarei riuscita a distruggerla, quell’insulsa barriera magica!

«Ma allora le manette…?», provai a formulare una domanda, ma Charlotte mi anticipò nella risposta:
«Erano solo per impedirti di usare il dono nel caso fossi riuscita a scappare dal labirinto».

«Ehm… ragazze, credo che ci abbiano scoperte», balbettò la cheerleader mora, che finalmente era riuscita a liberare il gigante ma in compenso aveva visto in fondo al corridoio un paio di scagnozzi della vecchia correre verso di loro.

«Presto, scappate!», urlò Charlotte, spingendoci verso la direzione da prendere.

Vidi Nick intrattenersi un momento in più con lei, per abbracciarla stretta e sussurrarle qualcosa all’orecchio, poi mi raggiunse e mi prese la mano, mentre ci lasciavamo alle spalle le tre cheerleader e il mio amico gigante.
Non avrei mai voluto abbandonarli, lasciarli a combattere da soli per la nostra salvezza, ma le parole di Charlotte mi rimbombavano nella testa e sapevo che mi avrebbe odiata per il resto dell’eternità, se non fossi riuscita ad esaudire nemmeno quel suo desiderio: salvare Nick.

 

***

 

«Dove siamo?», domandò la madre di Arianna, sollevandosi da terra e pulendosi i jeans dalla sabbia.

Il mare luccicava e sul promontorio poco distante da loro, in mezzo ad una fitta vegetazione, la banda al completo vide la villa dei Jonas.

«Non troveremmo nessuno», decretò Fiore, iniziando ad incamminarsi verso un sentiero che portava alla strada. «Andiamo in paese, ne capiremo di più quando saremo là!».

Camminarono per un bel po’ e quando arrivarono nella piazza principale era ormai mattino inoltrato.

Le persone, proprio come se fosse una giornata normale, camminavano tranquillamente per strada, facevano colazione sedute nei bar, entravano nei negozi, andavano a lavorare, dimentichi che quella non era la dimensione a cui appartenevano veramente. Fu quella considerazione a spiazzare la madre di Ary, che si sbalordì non poco pensando al facile adattamento dell’essere umano, alla sua capacità di riprendere in mano la propria vita e di incominciare tutto da capo, senza lasciarsi andare, costruendo e circondandosi con ciò che lo faceva sentire a casa, in modo da riprodurre al meglio le proprie abitudini.

Davide e Alessandra, rimasti indietro, si fermarono a fissare il palco che doveva essere stato allestito qualche giorno prima ma non ancora smontato, e lessero lo striscione appeso storto sopra di esso: “JONAS BROTHERS TRADITORI!”.
Ale rabbrividì. Davide invece, si chinò e raccolse da terra uno dei tantissimi volantini che tappezzavano le mattonelle di pietra e le facciate degli edifici di tutta la piazza.

«Leggi qui», disse all’amica della sorella, passandoglielo.

Ale lesse a voce alta: «I Jonas Brothers hanno sempre fatto il doppio gioco, vi hanno ingannati facendovi credere di lottare per la vostra stessa causa, quando invece pensavano soltanto ai loro interessi!». Guardò la foto che era stata stampata accanto a quelle parole: Nick, Joe e Kevin sulla spiaggia, mentre giocavano con lei ed Ary a pallavolo. Rabbrividì di nuovo, poi continuò: «È giusto lasciarli impuniti per questo tradimento? Se pensate che non lo sia, cercate e catturate la fuggiasca col dono! Coloro che la consegneranno viva riceveranno in cambio il viaggio di ritorno per l’altra dimensione!». Quell'ultima frase era scritta in caratteri cubitali ed affianco ad essa c’era un primo piano di Ary, sorridente e con i capelli scompigliati dal vento.

«Che strega senza cuore…», sputò tra i denti Davide, per poi fermare un passante, un signore anziano e dall’aspetto burbero. «Mi scusi, signore, lei sa qualcosa di più su questa… “caccia alla fuggiasca col dono”?».

L’uomo lo guardò di traverso e borbottò: «Non perdete il vostro tempo inutilmente: la ragazza è stata già catturata, anzi sembra che lei stessa si sia consegnata per liberare i fratelli Jonas. Che sciocca! Se voleva tanto consegnarsi, poteva almeno fare un gesto caritatevole e dare la possibilità a qualcuno di ricevere la ricompensa! In questo modo nessuno potrà tornare nell’altra dimensione!».

Davide fece una smorfia, stringendo il volantino nel pugno chiuso. «Nessuno sarebbe potuto tornare nell’altra dimensione, in ogni caso. Era tutta una bufala per farsi consegnare la ragazza!».

Fiore intervenne per sedare la rabbia del ragazzino, mentre l’anziano lo guardava sbalordito e una piccola folla si era riunita intorno a loro, iniziando a mormorare.

«È davvero così?», domandò un uomo che teneva in braccio il suo bambino. «Quella vecchia ci ha presi tutti in giro?».

«Certo! Lei non ha il dono, non avrebbe potuto trasportare nessuno dall’altra parte! E nemmeno ora che se ne impossesserà facendo del male a mia sorella, che ha cercato di salvare quegli innocenti che voi considerate traditori… Nemmeno ora lei vi aiuterà! Lo utilizzerà solo per trasportare se stessa!».

«Davide, ora basta», gli sussurrò Fiore all’orecchio, abbracciandolo.

«No, no!», urlò il ragazzino, divincolandosi. Riuscì a liberarsi dalla sua stretta e corse sopra il palchetto di travi, urlando ancora più forte per farsi sentire da tutta la folla presente. «È arrivato il momento di dire le cose come stanno! È vero, i Jonas volevano trovare un modo scientifico per tornare nell’altra dimensione, ma non l’hanno trovato nemmeno grazie all’aiuto di mia sorella, la quale stando con loro, come una normalissima ragazza della sua età, si è affezionata a loro e, beh, sì… si è anche innamorata di uno di loro. Quando ha scoperto questo suo dono avrebbe potuto benissimo fare quello che le diceva il cuore, ossia di portare a casa il ragazzo di cui si era innamorata e i suoi fratelli, e fregarsene di tutti voi! Ma non l’ha fatto! Non l’ha fatto, perché lei voleva trovare un modo per esaudire il desiderio di più persone possibili, quello di tornare a casa nell’altra dimensione; perché lei è buona… Ma sapete cosa vi dico?! Forse avrebbe fatto meglio a fregarsene, visto ciò che siete stati in grado di fare!». Era rosso di rabbia e le lacrime gli pungevano gli occhi, ma non aveva nessuna intenzione di smettere.

«Oh, tesoro…», mormorò sua madre sotto al palco, posandosi una mano sul cuore. Suo marito le sorrise e le avvolse un braccio intorno alle spalle. Dovevano solo essere orgogliosi dei loro ragazzi.

«Quella vecchiaccia vi ha sfruttati per la sua sete di potere e di chissà cos’altro, per andare e tornare da questa all’altra dimensione a suo piacimento, e voi avete abboccato come dei pesci all’amo, mandando mia sorella fra le sue grinfie! Ma potete rimediare! Insieme, possiamo rimediare! Andando a combattere contro quella vecchia e i suoi scagnozzi che, proprio come voi poco fa, credono che verranno ricompensati eseguendo tutti i suoi folli ordini! Possiamo farcela, dobbiamo farcela!»

Ale guardò il fratellino della sua Ary e si disse che lei sarebbe stata così orgogliosa di lui… Era stato sorprendente e da solo era riuscito a farsi ascoltare da un centinaio di persone e a portarsele dalla sua parte. Non aveva mai visto qualcuno di più straordinario.

Davide, quando l’ira scemò, si curvò sulle spalle, stremato, ma sorrise cercando lo sguardo di Fiore: ora toccava a lei condurli dalla vecchia per chiudere i conti.

 

***

 

Gettai un altro rapido sguardo alla mappa, correndo all’impazzata tenendo per mano Nick e facendo da guida a Joe e Kevin dietro di noi, pregando ad ogni curva di non imbatterci negli scagnozzi della vecchia, o sarebbero stati guai seri.

«Di qua!», gridai e svoltai rapidamente a sinistra.

Le mie preghiere non furono ascoltate, perché infondo al corridoio vidi degli uomini che ci correvano incontro e non potevamo di certo tornare indietro, rischiando di trovarci intrappolati o ancora più disorientati nel labirinto.

«Che si fa?», mi domandò Nick mentre gli scagnozzi si avvicinavano sempre più in fretta e non c’era tempo per pensare.

«Non ne ho idea!», strillai e presa dal panico schiacciai il pulsante che vidi a terra, d’istinto.

Nick mi guardò negli occhi e strinse ancora più forte la mia mano nella sua, prima che entrambi iniziassimo a scivolare lungo un tunnel che ci portò in un’altra sala illuminata da piccole torce appese alla parete che, per nostra sfortuna, era un vicolo cieco.

«Merda», biascicai.

Provai a calmarmi per riflettere lucidamente, mentre sentivo gli uomini sopra le nostre teste bisticciare su chi per primo avrebbe dovuto scendere nel tunnel. Non ci riuscii e l’unica cosa che potei fare fu aggrapparmi con le braccia al collo di Nick, che ricambiò la stretta affondando il viso fra i miei capelli.

«Stanotte…», mi sussurrò ed io ebbi una stretta al cuore, ripensando alla magnifica notte che avevamo passato insieme, sesso o meno.

«Lo so», mormorai. «Qualsiasi cosa accada, ricordati che ti amo».

«Anche tu».

I primi due uomini uscirono dal tunnel e ci guardarono sogghignando.

«Ehm… mi dispiace interrompere i vostri addii, piccioncini, ma è scaduto il tempo», balbettò Joe, arretrando fino al muro alle nostre spalle. Per puro caso spostò un mattone e si aprì un’altra botola, che lo fece scivolare in tondo per un po’, fino a quando non sentimmo più le sue grida.

In compenso, sentii nell’aria che saliva dal nuovo tunnel un odore inconfondibile: profumo di mare. C’eravamo, quella era l’uscita, la via per la salvezza, ma non potevo lasciare che quegli uomini ci seguissero anche fuori. Alla fine decisi che li avrei intrattenuti per un po’, dando il tempo a Nick, Joe e Kevin di allontanarsi, poi li avrei raggiunti e una volta fuori avrei potuto utilizzare il mio potere per fuggire definitivamente.

«Nick, Kevin, andate!», gridai prima di avventarmi su uno dei due uomini, che cadde sull’altro. Quello che non riuscii a prevedere fu un terzo scagnozzo che uscì dal tunnel mentre ero ancora a terra e tentavo di alzarmi ed afferrò Nick per il braccio proprio un momento prima che si lanciasse nel tunnel.

«Dove credi di andare tu?! Potresti sempre tornarci utile per qualche ricatto!», gridò l’uomo stringendo Nick fra le braccia muscolose e puntandogli qualcosa sul fianco. Cos’era?

Ebbi l’onore di scoprirlo poco dopo, quando lo stesso affare mi pizzicò una gamba e una scossa elettrica mi percosse da capo a piedi. Iniziavo ad odiare l’elettricità e chiunque l’avesse inventata.

«Lascialo andare», biascicai mentre uno degli scagnozzi mi tirava su da terra con facilità, mi stringeva un braccio intorno al collo per non farmi muovere e mi portava di fronte a Nick, intrappolato come me. «È me che volete, no? Lui che cosa c’entra…».

«Oh, come sei altruista signorinella…».

«Non ti preoccupare per me, amore», sussurrò Nick con un lieve sorriso sulle labbra.

«Stai zitto, tu!», gridò lo scagnozzo che lo aveva in pugno e lasciandolo andare gli riserbò una scarica elettrica che lo fece accasciare a terra svenuto.

«Come hai osato, brutto…». 

La mia rabbia era incontenibile e me ne accorsi grazie alla forza che mi circolò nelle vene ancora più velocemente dell’elettricità e al fatto che il mio corpo sussultò con dei tremiti, come se non riuscisse più a contenerla. L’uomo che mi teneva stretta capì che qualcosa di grosso stava per accadere e mi lasciò andare per rifugiarsi da qualche parte, ma io sollevai una mano in aria e sul soffitto si aprì un varco scuro che come un grande aspirapolvere risucchiò i due uomini. Si sarebbe portato via anche Nick, se io non mi fossi gettata su di lui e non avessi chiuso la mano in tempo.

Quando tutto fu passato, guardai il soffitto per qualche secondo, respirando affannosamente. Non potevo crederci. Avevo aperto davvero un buco nero, spedendo quei due uomini in chissà quale dimensione? Un brivido di paura mi scosse e mi guardai i palmi delle mani, poi un rumore fece guizzare il mio sguardo verso l’altra parte della stanza: il terzo uomo, dalla cui espressione terrorizzata potevo dedurre che aveva visto tutto, mi guardò ed implorò pietà, unendo le mani di fronte al viso a mo’ di preghiera e piagnucolando.

«Stai zitto e vattene», sbuffai senza forze. Lui non se lo fece ripetere due volte.

Mi voltai verso Nick e gli accarezzai il viso, implorandolo di svegliarsi. Posai la fronte sulla sua e una lacrima mi scivolò sulla guancia, per poi cadere sulla sua.

«Ary?».

Aprii gli occhi di scatto ed incontrai i suoi, che mi sorrisero dolcemente. «Oh, Nick, stai bene! Menomale, ho avuto tanta paura…».

Lui si lasciò stringere senza lamentarsi della posizione scomoda a cui lo costringevo e mi accarezzò la guancia per calmarmi.
«Sto bene, tranquilla. Ma… cos’è successo? Dove sono finiti gli scagnozzi?».

Ripensai al buco nero che avevo creato. Forse non era il caso che glielo raccontassi, faceva paura persino a me aver scoperto di avere anche quella capacità! E sinceramente speravo di non doverla sfruttare mai più.
Sorrisi nervosamente. «Gli ho fatto così tanta paura che sono scappati con la coda fra le gambe».

Lui accennò una risata, ma glielo lessi negli occhi che sentire quella bugia lo aveva ferito.
Gli posai un bacio sulle labbra e mormorai: «Ne parliamo un’altra volta con più calma, okay? Adesso raggiungiamo Joe e Kevin».

Nick annuì e si lasciò aiutare a rialzarsi, poi scivolammo lungo il tunnel che portava alla spiaggia.

 

***

 

Fiore aveva condotto alla spiaggia tutti quanti, compresa la folla che si era convinta dell’innocenza dei Jonas Brothers e dell’inganno della vecchia megera. Secondo lei da lì era molto più semplice entrare di nascosto nella sua casa-labirinto, attraverso uno dei diversi passaggi segreti di cui solo lei sapeva l’esistenza.

Ad un certo punto Ale rimase indietro, attirata dalla bellezza del mare che luccicava sotto i raggi del sole come se fosse tempestato di diamanti. 
Pensò alle giornate trascorse su quella stessa spiaggia con i fratelli Jonas e la sua migliore amica, pensò a quante ne aveva combinate con Joe per rendere la vita impossibile a quei due “piccioncini” e pensò semplicemente a Joe, al suo sguardo, al suo sorrisetto provocatorio e malizioso, a tutte le sue menate per i suoi capelli perfetti… Ne sentiva una tremenda mancanza ed era così in pena per lui che… sì, le parve di sentire la sua voce che la chiamava.
Sorrise amareggiata, dicendosi che era impossibile che fosse lì, ma quando la sentì di nuovo si costrinse a girarsi, col cuore in gola, e vide Joe correre a perdifiato verso di lei, con Kevin alle spalle che non riusciva a tenere il suo ritmo.

«Joe…», mormorò non credendo ai suoi occhi. Quando si convinse che lui non era soltanto frutto della sua immaginazione sorrise raggiante e urlò ancora più forte il suo nome, correndogli incontro.

La folla si voltò a guardare e lo stesso fecero Fiore, il suo compagno Alessandro, Davide e i suoi genitori. Il ragazzino in particolare fece per correre verso di loro per avere notizie di sua sorella, ma Alessandro lo fermò posandogli una mano sulla spalla e sorridendo.

«Lasciagli un attimo di privacy, ne hanno bisogno».

Ale si gettò fra le sue braccia e lo strinse fortissimo, tanto che Joe dovette pregarla di lasciarlo andare perché era stremato.
«Sono così felice di vedere che stai bene…», soffiò Ale prendendogli il viso fra le mani e guardandolo intensamente negli occhi.

Joe sorrise malizioso. «Allora ce l’ho fatta a conquistarti… Peccato che per l’occasione abbia i capelli ridotti in questo stato…».

«Chissene frega dei tuoi capelli». Ale lo baciò impetuosamente sulle labbra, non dandogli nemmeno il tempo di realizzare ciò che stava succedendo, e sentì mille farfalline invaderle lo stomaco.

Nel frattempo Kevin, che aveva deciso di lasciarli un po’ da soli, si era avvicinato al nutrito gruppo poco lontano da loro e alle mille domande di Davide rispose raccontando in breve tutto ciò che era capitato loro nelle ultime quarantotto ore.

«Ma adesso dove sono Ary e Nick?», chiese ancora il ragazzino, preoccupato.

Kevin abbassò lo sguardo. «Ary ha provato a distrarre gli scagnozzi della vecchia per farci fuggire, ma penso che non ci sia riuscita molto bene e Nick… credo sia rimasto con lei».

«Che cosa ci facciamo ancora qui? Dobbiamo andare a dargli una mano!», urlò Alessandro.
Nonostante quei tre Jonas da strapazzo non gli fossero mai andati a genio non poteva permettere che gli scagnozzi della vecchia facessero del male ad Arianna!

«Mostraci il tunnel con cui siete riusciti ad arrivare qui», disse Fiore al maggiore dei fratelli, che annuì e li guidò lungo la spiaggia.

Quando furono nei pressi del punto esatto, quasi dal nulla videro qualcuno cadere nel vuoto per qualche metro, per poi atterrare sulla sabbia. La stessa sorte toccò ad una ragazza, che appena toccò il suolo con il fondoschiena lanciò un urlo, mettendosi a piagnucolare: «Non ne posso più di questi tunnel che ti fanno finire sempre col culo a terra!».

Appena sentì quella voce, Davide si fece spazio fra la folla e corse come un pazzo fino a lei, scomparendo e ricomparendo ad ogni dieci metri. Stava usando il teletrasporto per avvantaggiarsi nella corsa e fare più in fretta!
Alla fine comparve a pochi centimetri dal viso della ragazza e con le lacrime agli occhi, nonostante avesse le labbra arricciate a causa di una risata di gioia che stava tentando di trattenere, le gettò le braccia al collo pronunciando il suo nome: «Ary».

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17

 

Vidi mio fratello corrermi incontro a scatti, sparendo ogni tanto, e quando me lo trovai a pochi centimetri dal viso riuscii a scorgere il riflesso dei miei occhi nei suoi, ora più che mai, grazie a quella luce intensa, dorati. Erano però anche lucidi di lacrime.
Sentii le sue braccia avvolgermi il collo all’improvviso e rimasi per qualche secondo confusa e spaesata. Che ci faceva lui lì?
La sorpresa più grande però fu vedere anche Ale, la mia migliore amica, e dietro di lei i miei genitori.

«Ma cosa… Posso sapere che cavolo ci fate tutti voi qui?», chiesi con gli occhi sgranati, dando qualche pacchetta distratta sulla schiena di mio fratello, che mi stava quasi soffocando.

«Siamo venuti a tirarti fuori dai guai, signorina!», strillò mia madre. Ciononostante, avevo come la sensazione che una volta risolto quell’enorme casino – se mai ci fossimo riusciti – ne avrei avuti ben altri di guai… proprio con lei! Mi aspettava la punizione più spregevole che la sua mente potesse procreare.
Però sorrisi, felice di vederli e di sapere che erano accorsi per me, solo per me. Mi sentii anche maledettamente in colpa per averli fatti preoccupare e spaventare, ma fu solo un attimo passeggero, anche perché dietro di loro scorsi la figura di Fiore.

«Fiore», balbettai, sorpresa di vedere anche lei. Lei non osò alzare lo sguardo ed intuii che forse era dispiaciuta per come si era comportata con me l’ultima volta che ci eravamo viste.
«Fiore io non sono arrabbiata con te, davvero… Sei tu quella che dovrebbe esserlo, perché io ho…».

«Cosa?», domandò Alessandro, spuntando da dietro una piccola folla. Aveva un sorriso solare sul viso e lì per lì credetti di avere le allucinazioni, ma quando si avvicinò a me e mi prese per le braccia per aiutarmi ad alzarmi dalla sabbia sentii la consistenza del suo corpo muscoloso e col fiato mozzato in gola, euforica, gli gettai le braccia al collo gridando.

«Oh mio Dio, allora sei vivo! Non ti sei perso in nessuna altra dimensione! Ma allora… perché non eri con me?», domandai frastornata, guardandolo negli occhi.

Lui ridacchiò. «Credo che sia successo perché…».

«Mi dispiace interrompere il vostro felice raduno, ma credo che dovrete prestarmi un po’ d’attenzione».

I miei occhi lampeggiarono di rabbia vedendo la vecchia megera che a causa della sua bassa statura faticava a tenere sotto controllo Charlotte, che si dimenava furiosamente nonostante la vecchiaccia avesse una mano fra i suoi capelli rossi e il pugnale nascosto nel bastone che usava per aiutarsi a camminare puntato al suo petto.

«Stai ferma, sciacquetta!», gracchiò la vecchia e con uno strattone la fece cadere a carponi sulla sabbia, provocandole un taglio sullo zigomo con il pugnale. «Oh, perdonami cara, non era mia intenzione».

Charlotte digrignò i denti, nonostante le lacrime che le scorrevano sul viso, e un po’ del suo sangue prese a gocciolarle dal mento.

«Lasciala andare», urlai piena di rabbia, avanzando di un passo.

«Come, scusa? Non ci penso minimamente! Vi ha aiutati a fuggire e deve pagarmela, in qualche modo!».

«Se io dovessi fartela pagare per tutto ciò che hai fatto a me, alla mia famiglia e ai miei amici avrei già dovuto mandarti all’oltretomba!», sbraitai rossa di rabbia e non mi accorsi nemmeno di svanire e ricomparire di fronte a tutti, talmente tanto era il potere che mi circolava nelle vene. Feci ben attenzione a non aprire i palmi delle mani, perché dalle mie nuovissime conoscenze sapevo che potevo liberare il mio potere creando buchi neri e non era decisamente il caso, di fronte a tutta quella gente.

La vecchia iniziò a ridere, guardandomi come se fossi la cosa più divertente che avesse mai visto. «Attenta, bambina, o rischierai di perderti tu stessa in chissà quali dimensioni».

«Odio darle ragione, ma è così», disse Fiore comparsa magicamente al mio fianco. Portò le mani sulle mie spalle e mi sussurrò all’orecchio: «Se non ti calmi rischi davvero di autodistruggerti».

Provai a calmarmi e ci misi un bel po’, a causa di quella rabbia cieca che riuscivo a malapena a controllare. Forse era proprio quello l’intento di quella vecchiaccia, farmi arrabbiare così tanto da portarmi all’autodistruzione.

«Lascia fare a me», mi bisbigliò ancora Fiore, prima di avviarsi a passo deciso verso la vecchia.

«Fiore», esclamò la vecchia con uno strano tono di voce, mentre indeboliva lentamente la presa sui capelli di Charlotte. «Come sei cresciuta…».

«Risparmiati, mamma».

Gran parte delle persone intorno a me trattennero il respiro, sorprese dalla notizia, e persino io lo feci, sentendo un brivido di gelo corrermi su per la schiena. Fiore era la figlia di quella vecchia megera? Non potevo crederci, ma solo in quel modo mi accorsi che molti tasselli del puzzle riuscivano a trovare il loro posto. Per esempio, riuscii a rispondere ad una delle domande che mi erano sempre vorticate nella testa: se anche Fiore possedeva il dono di viaggiare tra le dimensioni, perché la vecchia non aveva mai tentato di rubarlo a lei? Perché infondo era pur sempre sua figlia e doveva volerle ancora bene.

Per avere ulteriori delucidazioni su tutta la storia non dovetti aspettare molto, fu la stessa Fiore a raccontare tutto quanto.

«È ora di farla finita con questa storia, mamma. Non posso sopportare che tu faccia del male ad altre persone innocenti, solo perché vorresti tornare giovane e riavere indietro il tuo dono e perché non riesci ad accettare la mia decisione di stare in questa dimensione con la persona che amo».

Mi voltai verso Alessandro, ma lui non ricambiò lo sguardo, fisso sulla sua fidanzata.

«Lo sapevi perfettamente che con l’arrivo della vecchiaia il dono sarebbe lentamente diminuito», riprese Fiore, iniziando a camminare avanti e indietro di fronte a sua madre. «Ma tu hai anticipato le cose, utilizzandolo in maniera così spropositata quando eri giovane e viaggiavi per tutte le dimensioni, cercandone sempre di nuove. Ammiravo la tua voglia di conoscenza, sapevi sempre tutto e ogni volta che potevi andavi a trovare le popolazioni delle altre dimensioni, fino a quando papà è morto».

A quelle parole la vecchia trasalì, portandosi una mano sulla fronte. Sembrava che quell’excursus nel suo passato la stesse facendo rabbonire, ma non mi sarei calmata fino a quando non l’avrei vista indifesa e lontana dalle persone che amavo.

«Quando è successo hai capito quanto poco tempo fossi stata realmente con lui in vent’anni di matrimonio, quanto poco conoscessi lui e me, la tua stessa figlia. Ma a quel tempo io ero già grande, avevo badato a mio padre fino a quando sul letto di morte mi salutò e mi disse di dirti che ti amava nonostante tutto, e da quel momento in poi mi sono allontanata da te, iniziando ad odiare il tuo stile di vita. Tu hai sempre abusato del tuo potere e hai accorciato i tempi della sua scomparsa, provocandoti anche una grave malattia che ti sta portando via…».
Fiore si fermò di fronte alla vecchia e si inginocchiò sulla sabbia per poterla guardare negli occhi. «Io ho ereditato i tuoi stessi enormi poteri e vorresti che facessi la tua stessa vita? Tutto quello che hai passato e che hai dovuto patire… non ti è servito a nulla, allora? Io ho trovato l’amore, qui, e non intendo lasciarlo. Tu avresti dovuto fare lo stesso. Se tu l’avessi fatto… a questo punto non saresti qui, ad un passo dalla…».

La vecchia alzò una mano per schiaffeggiarla, ma Fiore sparì e altrettanto velocemente comparve a qualche metro di distanza, gli occhi ardenti ancora fissi nei suoi.

«Pensi di riavere il dono strappandolo ad un’altra persona? Questa tua ossessione ti ha davvero accecata. Dovresti sapere che questi trucchetti non funzionano, che ogni dono è unico e non lo si può rubare. Devi metterti il cuore in pace, preserva da altri inutili fatiche il tuo corpo stanco…».

La vecchia parve davvero lasciarsi andare alle lacrime e dar ascolto alla figlia perduta, ma all’ultimo momento la rabbia le attraversò come un lampo le iridi scure e urlò con tutta la voce che aveva, fissandomi dritta negli occhi: «Consegnami il tuo dono, stupida ragazzina! Tu non l’hai mai voluto, l’ho visto nei tuoi occhi la prima volta che ci siamo viste! Non lo meriti!». Strinse ancora con più forza i capelli di Charlotte, che gemette, e le puntò in modo ancora più pericoloso il pugnale del suo bastone al petto. «Consegnati, o vedrai morire la tua amichetta!».

Guardai Charlotte negli occhi e lei mi guardò implorante, ma scosse il capo lentamente, rivolgendomi un mezzo sorriso. Avrebbe preferito morire, piuttosto che vedere quella vecchia megera realizzare il suo piano malvagio, ma io non l’avrei mai abbandonata, non una seconda volta.

Così, contro tutte le persone che provarono ad ostacolarmi durante il mio breve tragitto, camminai verso la vecchia, che mi guardò cercando di leggermi negli occhi la mia prossima mossa per provare ad ingannarla.

«Prometti di lasciarla andare, se mi consegno a te?», le domandai in tono pacato. «Tanto, da quello che ho capito, non riuscirai mai a rubarmi il dono, per quanto tu lo desideri esso rimarrà sempre dentro di me e forse c’è qualcosa che non sai: io ho imparato a volere il mio dono, adesso ne riconosco i lati positivi e non lo rifiuterei per nulla al mondo».

La vecchia mi guardò in cagnesco e berciò: «Certo, ragazzina, libererò la tua amica se ti consegni a me».

«Bene», risposi e sospirai, poi allungai lentamente i polsi verso di lei, sperando che Davide avesse intuito il mio piano quando l’avevo guardato negli occhi prima di andare dalla megera.

La vecchia, sorpresa dal mio comportamento fin troppo arrendevole, ci mise un po’ a fidarsi, ma quando lo fece per mettermi un nuovo paio di manette anti-dono lasciò andare Charlotte, che cadde sulla sabbia, sfinita.

Adesso! pensai con tutte le mie forze e vidi mio fratello comparire al mio fianco per teletrasportare lontano da lì Charlotte. Sorrisi pensando di averla fatta franca, ma quando mi voltai per trovare il viso della vecchia la vidi mentre sollevava il suo bastone col pugnale. Pensai che mio fratello sarebbe stato colpito alla schiena, ma non ebbi i riflessi tanto pronti per fare qualcosa.
All’improvviso vidi Davide cadere di lato e uno schizzo di sangue mi colpì il volto. Chiusi gli occhi e quando li riaprii, colmi di lacrime, vidi Charlotte inginocchiata al mio fianco, con il pugnale della vecchia conficcato in mezzo al petto.

«Stupida», mi disse con un fil di voce, prima di sorridermi e di chiudere gli occhi, cadendo di nuovo sulla sabbia.

«NO!», gridai e senza nemmeno accorgermene aprii entrambi i pugni, facendo fuoriuscire un flusso impressionante di energia, che si accumulò e creò un varco grande il doppio di quello che avevo creato la prima volta.
Questo iniziò a risucchiare più cose possibili, si alzò un gran polverone e molte persone si gettarono a terra per non finire nel buco nero.

«No, Arianna, chiudilo subito!», gridò Fiore, affiancandomi e prendendomi le mani.

Davide, spaventato a morte, allungò una mano verso Charlotte, che continuava a perdere sangue, e in un batter d’occhio sparirono nel nulla. Sperai che avessimo pensato la stessa cosa.

«Non… non ci riesco!», gridai disperata, mentre i primi scagnozzi della vecchia megera venivano risucchiati nel vortice e scomparivano.

Fiore provò a chiudermi i palmi delle mani, ma venne sbalzata indietro da una forza a me sconosciuta e la guardai sentendomi la persona più impotente e stupida del mondo, perché non saper controllare la propria forza è la peggiore impotenza.

La vecchia megera intanto si era aggrappata ad una roccia della scogliera e guardava il buco nero atterrita e allo stesso tempo affascinata da tutta quella potenza dirompente.

Pensai che dovevo fare assolutamente qualcosa, ma cosa?

«Ary!».

Mi voltai all’udire la voce di Nick, anche lui aggrappato ad una roccia insieme ai suoi fratelli, ma nel suo sguardo non vidi nemmeno un briciolo di paura, né nessun altro sentimento che potesse dimostrare il disprezzo che pensavo provasse nei miei confronti vedendo tutto quello che stavo facendo. Vidi solo amore e ripensai ai momenti belli passati insieme a lui, finché una strana calma non iniziò a sedare la mia rabbia e il mio dolore per ciò che la vecchia aveva fatto a Charlotte.
L’amore, come avevo già avuto modo di appurare, era la miglior cura esistente nell’universo e non avrei mai smesso di scoprirlo.

Infatti il buco nero si chiuse lentamente e col fiato spezzato caddi a terra, esausta. Sentii parecchie voci intorno a me, non vidi più il sole alto nel cielo accecarmi mentre roteavo gli occhi in una ricerca frenetica e sentivo il cuore battermi sempre più lentamente nel petto. 
Era una mia sensazione, o quel potere che avevo fatto scivolare fuori dalle mie mani creando quel buco nero si era portato via parte della mia vita? Fu quello il mio ultimo inquietante pensiero, prima che il buio avvolgesse tutto quanto.

 

***

 

Quando riaprii gli occhi, non sapevo che giorno fosse. Avevo le palpebre così pesanti e mi sentivo ancora così debole che pensai che avrei potuto dormire ancora per un anno intero.

Voltai lentamente il capo per guardarmi intorno e mi accorsi che in quella che aveva tutto l’aspetto di una camera d’ospedale non ero sola. Seduto accanto alla finestra, con lo sguardo perso oltre il vetro, c’era Nick. Il sole gli accarezzava dolcemente il viso e le palpebre socchiuse e la luce ambrata che lo rendeva se possibile ancora più bello mi fece intuire che era l’alba. Nonostante non fosse un tipo mattiniero, lui era lì, per me, a combattere contro il sonno.

«Amore», mormorai, non riconoscendo subito la mia voce graffiata.

Lui si voltò di scatto, sorpreso di sentire la mia voce, ma nei suoi occhi vidi una luce di gioia pura.
Gli sorrisi dolcemente, mentre lui faceva lo stesso e trasportava la sedia su cui era stato seduto fino ad allora accanto al mio letto.

«Ehi», sussurrò, prendendomi una mano fra le sue e portandosela alle labbra per accarezzarla con un bacio. «Hai gli occhi spenti, forse è meglio se ti riposi ancora un po’».

«No, sto bene», mentii e fui felice di farlo, perché vederlo era l’unica cosa in grado di farmi sentire meglio veramente. «Anzi, credo di aver dormito fin troppo».

«Solo quattro giorni».

«Solo? Wow», arricciai le labbra in una risata. «E tu? Sembra che non dormi da settimane, hai un aspetto orribile».

«Oh, grazie mille», rispose chinando il capo in un mezzo inchino. Anche lui, alla fine, non avrebbe voluto che tornassi a dormire: glielo leggevo in faccia.

«Gli altri stanno tutti bene?», domandai, cercando di ricordare tutti i dettagli della “battaglia finale”, da quando avevo deciso di intrufolarmi nella casa-labirinto della vecchia megera fino a quando il buio più totale mi aveva avvolta.

«Sì, erano solo tutti molto preoccupati per te».

«E… e Charlotte?». Ricordai la sensazione terrificante che avevo provato quando avevo sentito il suo sangue schizzarmi in faccia, come se quella pugnalata al petto l’avessi presa io, e d’istinto mi portai una mano sul viso, trovandolo pulito.

Nick mi prese quella stessa mano ed indugiò per qualche secondo, evitando il mio sguardo. Alla fine, mormorò: «Si riprenderà». Io però capii subito che la sua era una bugia, una bugia che probabilmente si ripeteva da giorni per non accettare il fatto che, no, non si sarebbe ripresa.

Con le lacrime agli occhi, sussurrai: «Voglio andare da lei».

 

***

 

Entrai nella sua camera d’ospedale e guardai il macchinario al suo fianco che mostrava il suo elettrocardiogramma. I battiti del suo cuore erano lenti, tanto lenti da farmi stare col fiato sospeso ogni volta, fino a quando non giungeva quello successivo.
Aveva anche una mascherina posata sul viso, che l’aiutava ad incamerare l’ossigeno nei polmoni.

 

But you don't know what you got 'til it's gone
And you don't know what it's like to feel so low

 

Mi avvicinai al suo letto, avvolta nel mio accappatoio verde pallido, e mi sedetti sulla sedia al suo capezzale.
La guardai e mi chiesi se stesse dormendo. Aveva un’espressione neutra sul viso e i capelli rossi le ricadevano sulle spalle e sul cuscino candido.
Mi dissi che, nonostante il mio fratellino avesse avuto la mia stessa idea trasportandola il prima possibile all’ospedale, non era bastato a salvarla.
I medici dicevano che il suo fisico non avrebbe retto ancora per molto, che la ferita che le era stata inflitta era troppo profonda e fin troppo vicina al cuore, e che, come se non bastasse, quel pugnale era impregnato di magia nera che, come un veleno – lo stesso che aveva corroso l’anima della vecchia megera nel corso degli anni a causa della sua ossessione per il dono, – aveva iniziato a circolarle nelle vene portandola lentamente alla morte.

Le lacrime mi punsero gli occhi e il naso incominciò a pizzicarmi, così alzai il viso verso l’alto per non farle sfuggire alle ciglia.

«Arianna…».
La sua voce flebile mi giunse incredibilmente alle orecchie ed abbassai il capo di scatto, guardandola negli occhi. Stava sorridendo lievemente, come se non avesse neppure la forza per farlo ma ci volesse provare comunque. Ed ero certa che quel mezzo sorriso non l’avrei mai dimenticato, perché era il più bello che avessi mai visto, perché era vero, perché era quello di una persona che combatteva contro il dolore e tuttavia era serena.


And every time you smile or laugh you glow
You don't even know, no, no
You don't even know

 

«Charlotte», mormorai e non riuscii più a trattenere le lacrime, che silenziose mi solcarono le guance.

Sollevando una mano, con estrema fatica, si tolse la mascherina dal viso, anche a costo di rantolare mentre parlava. 
«Mi fa piacere vederti».
Nelle sue parole percepii un significato nascosto: sembrava che avesse lottato contro quel veleno solo per vedere me.

«Anche io sono felice di vederti», accennai un sorriso e le strinsi una mano nelle mie. «Volevo ringraziarti per tutto quello che hai fatto per me. Mi hai aiutata nella casa-labirinto, hai salvato mio fratello… Ma soprattutto, grazie per tutto quello che hai fatto per Nick».

Charlotte guardò il soffitto. «Non ho fatto nulla di così speciale». Venne travolta da un attacco di tosse e il suo corpo tremò, tanto che la pregai di non affaticarsi e di rimettersi la mascherina, ma lei scosse lievemente il capo e si riprese. «Per amore si fa di tutto, sai?».

«Sì, lo so».

«Allora ricordati quello che ti ho detto: proteggi Nick da tutto e da tutti, amalo più che puoi… o ti aspetterò all’inferno».

Scossi il capo con tenacia e mi alzai dalla sedia per avvicinarmi ancora un po’ di più al suo viso, che accarezzai con la punta delle dita tremanti. «Tu non andrai all’inferno, Charlotte. E tu… tu ti riprenderai, sì…».

Lei mi sorrise e nel suo sguardo lessi una punta di gratitudine. Mi stava ringraziando per averle detto quella bugia.

 

So I'll wait 'til kingdom come
All the highs and lows are gone
A little bit longer and I'll be fine
I’ll be fine…

 

Charlotte chiuse lentamente gli occhi, non ascoltando le mie suppliche, e quando mi arresi sentii il macchinario accanto a lei suonare ininterrottamente una nota acuta che mi perforò i timpani e mi fece sanguinare il cuore.
Mi spostai lentamente dal suo viso, presi un lembo del lenzuolo che l’avvolgeva e glielo coprii. Ma prima rimasi ad osservare ancora una volta quel sorriso che le incurvava leggermente le labbra all’insù.

Uscii dalla sua stanza e trovai subito lo sguardo di Nick, lo ricambiai per un momento e poi andai dalla cheerleader bionda e da quella mora, che sedute su delle sedie proprio lì di fronte si abbracciavano e piangevano.
Mi unii al loro abbraccio, sentendomi unita a loro più che mai, e ripetei più volte un «Mi dispiace» che non avrebbe di certo cambiato le cose. Charlotte era andata e nessuno avrebbe potuto farla tornare indietro.

 

***

 

Mentre camminavo accanto a Nick, stretta al suo braccio, per tornare nella mia stanza, scorsi le figure di Fiore e di Alessandro infondo al corridoio. Lo pregai di accompagnarmi da loro e la ragazza, appena mi vide, mi strinse in un forte abbraccio.

«Sono felice che tu stia bene», mi sussurrò con le labbra premute sul mio orecchio. Poi si scostò per guardarmi in viso e con un’espressione che non riuscii bene a decifrare mi accarezzò un ciuffo di capelli, tirandomelo di fronte al viso per farmelo vedere: era bianco, completamente bianco.

«Che… che cos’è?», balbettai spaventata, toccandomi i ricci che mi cadevano sulle spalle e trovandoli ancora tutti del biondo scuro che riconoscevo.

«Il potere che abbiamo è definito un dono per le grandi possibilità che ci offre, ma bisogna stare attenti a come lo si usa, o potrebbe ritorcersi contro di noi». Fiore mi fece l’occhiolino.

Le sue parole mi fecero tornare alla mente la sensazione terrificante che avevo provato quando avevo esagerato col mio potere, creando quell’enorme buco nero sulla spiaggia, e non ero riuscita più a controllarmi: avevo pensato che parte della mia vita fosse fuoriuscita dal mio corpo e ora, guardando quel ciuffo di capelli bianchi, me ne convinsi del tutto.

«Hai ancora molto da imparare», mi disse ancora, accarezzandomi il mento con fare materno. Poi si voltò verso il suo fidanzato e si lasciò abbracciare, guardando oltre il vetro che mostrava l’interno di un'altra camera d’ospedale.

Ebbi paura a scoprire chi vi fosse all’interno, paura che vi fosse finito per colpa mia, ma quando vidi l’anziana donna stesa sotto un manto di coperte candide provai un tuffo al cuore. Aveva perso le sembianze con cui l’avevo sempre vista, ma la riconobbi subito: la vecchia megera. Osservandola, giunsi alla conclusione che ora era semplicemente l’anziana madre di Fiore, che aveva perso ogni voglia di combattere e che alla fine aveva accettato il suo destino, donando un po’ di pace al suo cuore e alla sua anima.
Aveva i capelli bianchi proprio come il mio ciuffo, il viso stanco e di un colore smorto, cosparso di rughe, e le sue mani erano nodose e prive di forza.

«Il veleno della sua ossessione si è radicato troppo profondamente nel suo cuore per permetterle di guarire, ma sono felice di vedere che è tornata quella di sempre e che abbia trovato un po’ di pace», disse Fiore, lo sguardo vacuo puntato su di lei. «In questa donna anziana, brutta e senza più forze rivedo la donna giovane, bella e piena di energie che era mia madre».
La ragazza si voltò improvvisamente verso di me e mi prese le mani nelle sue: «E devo ringraziare solo te per questo. Se tu… tu non avessi tentato il tutto e per tutto con lei, rischiando così tanto, non avrebbe mai capito quanto la vita sia breve e quanto poco permetta alle persone malvagie di sentirsi bene con se stesse. Sei stata molto coraggiosa, Arianna».

«Io non ho fatto niente», biascicai, rifiutando i suoi ringraziamenti. «Ma sono felice di essere stata d’aiuto, in qualche modo». 
Guardai Nick al mio fianco e gli sorrisi lievemente. «Sono stanca».

Lui mi posò un delicato bacio sulla testa. «Andiamo».

Salutai Fiore e Alessandro con un gesto della mano e mi lasciai condurre da Nick fino alla mia stanza, al cui interno trovai i miei genitori, mio fratello e la mia migliore amica, che mi sorrisero e mi accolsero con baci e abbracci.
Mi stesi sul letto, davvero stremata, e gli sorrisi ascoltandoli parlare, contagiata dalla loro allegria, fino a quando non mi ricordai che avevo dormito per quattro giorni e chissà che cos’era successo nell’altra dimensione.

«Ale, ma i tuoi genitori non saranno preoccupati per te?», domandai stropicciandomi gli occhi con una mano.

La mia migliore amica ridacchiò e disse: «Mia madre crede che io sia a casa tua per aiutarti a studiare», poi guardò mio fratello, che mi sorrise.

«Non ti preoccupare, siamo già tornati nell’altra dimensione prima che tu ti svegliassi».

«Davvero? E come avete fatto?».

«Grazie ai fratelli di Nick», rispose Davide.

Guardai Nick ad occhi sgranati e mi accorsi che in effetti non avevo ancora visto Joe e Kevin.

«Loro sono andati a casa da mamma e papà», mi rispose Nick, come se mi avesse letto nel pensiero. «Ma da quello che so volevano subito tornare qui per aspettare che ti svegliassi».

«E tu… tu non sei andato con loro?», chiesi.

«Ci ho provato a convincerlo, ma non si è voluto schiodare da questa stanza per tutti i quattro giorni del tuo sonno profondo», disse Davide, ridacchiando. «Comunque, grazie a Joe e Kevin che sapevano di Ale, di mamma e di papà qui, sono riuscito a portar avanti e indietro anche loro, per non creare sospetti, soprattutto nel caso della famiglia di Ale».

La mia migliore amica mi sorrise. «È stato brutto tornare a casa senza di te, ma ora che ti sei svegliata possiamo…».

«No», la interruppi e mi guardò sbalordita. «Voglio prima parlare con le persone che vivono qui e spiegare ciò che ho intenzione di fare per aiutarli a tornare nell’altra dimensione, se vogliono».

I miei genitori, abbracciati, si scambiarono uno sguardo dolce ed intriso di orgoglio e mi sorrisero.

 

***

 

Fui dimessa dall’ospedale il giorno seguente, a pomeriggio inoltrato. Per il momento non avevo intenzione di tornare nell’altra dimensione, ma avevo spinto tutti quanti a tornarci con mio fratello, perché avevo bisogno di stare un po’ da sola per riflettere e prepararmi per ciò che sarebbe avvenuto nei giorni successivi: il funerale di Charlotte e la conferenza che era stata indetta per me, esclusivamente per me, nella quale avrei spiegato la mia idea per aiutare tutte le persone che desideravano tornare nella loro dimensione.

Dopo vari tentativi e persino un piccolo screzio con mia madre, riuscii a convincere i miei genitori a tornare nell’altra dimensione e con Ale non fu particolarmente difficile, anche perché doveva per forza per non farsi dar per dispersa dalla sua famiglia, ma mi aveva costretta ad un compromesso: sarebbe venuta a trovarmi tutti i giorni che avrei passato lì.

L’unico che non riuscii proprio a convincere ad andarsene fu Nick, che aveva deciso che sarebbe rimasto al mio fianco, in quella dimensione, fino a quando non mi sarei sentita pronta a tornare. Avevo provato a dissuaderlo con ogni mezzo, avevo persino provato ad inscenare una litigata, ma lui mi aveva bellamente ignorata ed aveva passato tutta la sera a sistemare la loro villa che quando era stata invasa dalla popolazione del paese, istigata dalla vecchia megera, aveva messo a soqquadro tutto quanto.

Nel frattempo io mi ero chiusa in quella che era stata da sempre la mia camera a sbollire la rabbia che non provavo, ma vi ero stata poco tempo perché senza nemmeno farlo apposta mi ero teletrasportata in spiaggia, quella stessa spiaggia che aveva fatto da sfondo a molte delle avventure vissute in quella dimensione.
Mi ero seduta sulla sabbia, stretta nel mio stesso abbraccio a causa del vento freddo che spirava dal mare ed alludeva all’avvicinarsi dell’inverno, e guardando la luna mi ero chiesta perché fosse così ostinato a voler stare con me invece di tornare dalla sua famiglia, la cosa che desiderava da sempre. La risposta più plausibile che riuscii a trovare fu che era pazzo, pazzo d’amore, e che probabilmente anche io mi sarei comportata allo stesso modo.

Sorridevo ancora, quando sentii i passi di qualcuno sugli scogli alle mie spalle, che circondavano quella piccola spiaggia come se fosse una bellezza di dominio privato. Non mi girai, sapevo chi era quel qualcuno.
Poco dopo, infatti, sentii le sue braccia cingermi dolcemente da dietro, facendomi appoggiare la schiena al suo petto. Sollevai il viso ed incontrai il suo, bello come sempre.

«Ti sei spaventato, quando non mi hai visto in camera?», gli domandai a bassa voce, come se potessi davvero rompere il magico equilibrio che da millenni spingeva il mare ad infrangere le sue onde sulla riva.

Nick sorrise divertito e negò con un cenno del capo. «Ormai mi sono abituato e so che non andresti da nessuna parte, senza di me».

«Ah sì? E come fai ad esserne così sicuro?».

Scrollò leggermente le spalle. «Mi ami».

L’aveva detto con una semplicità spiazzante, tanto che anche io ne rimasi vagamente sorpresa, ma poi sorrisi e mi girai fra le sue braccia, per guardarlo dritto negli occhi.
«Devo proprio proclamarti vincitore, questa volta», mormorai prendendogli il mento fra le dita ed avvicinandomi alle sue labbra.

Nick socchiuse gli occhi e mi accarezzò le spalle, le braccia, fino a giungere ai miei fianchi. «Uhm? Solo questa volta?».
La sua bocca era ad un soffio dalla mia e sentii i brividi – e non erano brividi di freddo – quando parlò e le sue labbra sfiorarono inavvertitamente le mie.

«Lo sai che hai vinto tutto ciò che potevi di me. Cos’altro vuoi, oltre al mio cuore?».

«Voglio che mi sposi».

L’aveva sussurrato così piano che era quasi impossibile distinguere le parole le une dalle altre, ma io le sentii forte e chiaro, come se le avesse gridate, e il mio cuore ne risentì scalpitando all’interno del mio petto.

«Vuoi davvero unirti in matrimonio, una cosa così importante, con una ragazza dai poteri sovrannaturali?». Lui annuì solennemente col capo. 
Sollevai un sopracciglio e sparai la cavolata più stupida che mi venne in mente, giusto per sdrammatizzare: «Non hai paura di finire risucchiato in un buco nero? Nemmeno un po’?».

Nick ridacchiò e quella volta negò scrollando la testa. «Starò attento a non farti mai arrabbiare».

Risi anche io ed abbassai gli occhi, tracciando con le dita disegni invisibili sul suo maglioncino. 
«E va bene», sospirai e sentii un grosso peso sfumare dal mio petto, svanito.

«È un sì?», domandò con gli occhi improvvisamente più brillanti.

Mi fece così tanta tenerezza che gli accarezzai i riccioli sulla testa, ridendo ancora. «Sì, è un sì!».

Nick non mi diede nemmeno il tempo di capire quello che voleva fare e mi si gettò addosso, baciandomi sulle labbra come non aveva mai fatto prima. La sua gioia era incontenibile e mi sentii felice in un modo alquanto smisurato: era bastato quel semplice sì a farlo così contento! Se lo avessi saputo prima, non avrei aspettato tanto a dirglielo.

Presi com’eravamo, ci sbilanciammo e cademmo entrambi sulla sabbia, io sotto di lui. Mentre i granelli che con la loro polvere si erano sollevati all’impatto ricadevano su di noi, ci guardammo in viso e ridemmo a crepapelle delle nostre smorfie. 
Quando ci calmammo, gli posai le mani sul petto e dissi con finto tono di rimprovero: «Però mi aspettavo una proposta degna del tuo nome, Nicholas Jerry Jonas! Non ti sei nemmeno inginocchiato, né mi hai dato un anello! Davvero, non me lo sarei mai aspettata da te».

Nick mi pizzicò il naso fra i denti, facendomi aprire la bocca sbalordita, e sorrise sbarazzino dicendo: «Non sapevo che te l’avrei chiesto stasera, in questo modo, né immaginavo che tu avresti mai accettato! Sono… sono così felice…».

«Lo vedo», risposi ridendo, avvolgendogli le braccia intorno al collo e attirandolo di nuovo a me.

«E tu? Tu non sei felice?», mi chiese, sfuggendo alle mie labbra.

«Ma certo che sono felice, che domande! E ora baciami, o rischi di finire risucchiato in un buco nero ancor prima delle nozze!».

Nick sorrise e non se lo fece ripetere due volte.

 

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Ciao a tutti! Questa volta ho fatto davvero in fretta frettissima (15 giorni esatti u.u), avete visto come sono brava?! :D
Credo che sia uno dei miei capitoli preferiti, perchè le cose capitate qui sono tantissime e c'è l'imbarazzo della scelta per quanto riguarda le emozioni! Prima la tensione per la "battaglia finale", poi la tenerezza dell'incontro tra Nick e Ary dopo il risveglio di quest'ultima, poi ancora la tristezza per la morte di Charlotte e la malinconia per la storia e la fine che farà la madre di Fiore, per poi concludere con la proposta ufficiosa di matrimonio!
Beh, non devo neanche dirlo che non vedo l'ora di sapere che cosa ne pensate voi! Sperando ovviamente di veder ricomparire le persone che seguivano con passione questa storia :) A proposito, ringrazio anche ___Unbroken, una nuova lettrice che ha commentato lo scorso capitolo *-*
La canzone che ho usato in questo capitolo è A little bit longer, dei Jonas :)
E detto questo, credo di aver detto tutto ;) 
Ciao, alla prossima!
Vostra, _Pulse_

P.S. (Qualcosa dovevo pur dimenticare xD) Se volete avere qualche chicca in più su questa FF o anche sulle altre, potete andare a guardare la mia pagina su Facebook, che si trova a questo link: http://www.facebook.com/pages/_Pulse_-EFP/155262114566704 :)

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Eccomi qui, puntuale come un orologio svizzero! :D Come avevo preannunciato sulla mia pagina FB, solo per voi un nuovo capitolo, uno degli ultimi. Ormai siamo agli sgoccioli, non ci posso credere! Dopo tutto questo tempo in cui mi sono fatta dannare, finalmente questa FF giungerà al termine. Spero solo che qualcuno rimanga fino alla fine ;)
Bene, non mi resta che ringraziare coloro che leggeranno e colei che ha recensito lo scorso capitolo, ___Unbroken - Grazie mille! :) - 
ed augurarvi buona lettura! :3

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Capitolo 18

 

I giorni si susseguirono in fretta uno dietro l’altro, ricchi d’avvenimenti e di emozioni, tanto che passai la peggiore settimana della mia vita. Almeno per quanto riguardava il sonno. Avevo dormito per quattro giorni interi, dopo la “battaglia finale” con la vecchia megera, e le preoccupazioni per quello che mi aspettava al risveglio mi rendevano difficile addormentarmi.
Delle volte era capitato che mi svegliassi nel cuore della notte e nemmeno il respiro né i battiti regolari del cuore di Nick, stretto al mio fianco, riuscivano a tranquillizzarmi.
Così mi alzavo e, seduta all’isola della cucina, con una tazza di thè caldo di fronte al viso, restavo a riflettere e a scarabocchiare sui post-it, per esempio, le parole che avrei potuto usare alla mia conferenza.

Era la prima conferenza a cui partecipavo e mai, mai avrei pensato che avrei vissuto quell’esperienza stando seduta ad un lungo tavolo, con un microfono posizionato di fronte alla bocca e una marea di giornalisti, cameraman e fotografi come spettatori.
Per fortuna a darmi un po’ di conforto, seduti ai miei fianchi, c’erano Nick e Davide, mio fratello; accanto a lui, inoltre, c’erano anche Fiore, che ne sapeva sicuramente più di me e dava il suo contributo nelle spiegazioni più dettagliate dei fenomeni, e Alessandro, che aveva ottenuto quel posto di diritto perché era stata la mia prima “cavia” per sperimentare l’efficacia della mia teoria.
In più Alessandro, qualche giorno prima della conferenza, mi aveva spiegato ciò che non era riuscito a dirmi quella volta sulla spiaggia, scacciando definitivamente ogni mio dubbio sulla fondatezza della mia teoria.

«Quando abbiamo fatto l’esperimento, io non sono comparso al tuo fianco ed entrambi, ovviamente, abbiamo creduto di aver fallito, ma in realtà… ci eravamo solo separati durante il teletrasporto. Ho il forte sospetto, anzi ne sono quasi sicuro, che mentre ci teletrasportavamo io abbia pensato a casa mia, in Messico. Desideravo davvero molto vedere un’ultima volta la mia famiglia, assicurarmi che mia madre, mio nonno e le mie due sorelline stessero bene, ed è proprio lì che mi sono trovato, nel giardino di casa mia».

Dopo quel racconto, capii che durante la fase di passaggio fra le due dimensioni non era efficace solo la volontà di chi aveva il dono, ma anche di chi veniva trasportato. Questa presa di coscienza aveva risollevato in parte l’animo di mio fratello, il quale si era sempre sentito colpevole di aver spedito in chissà quale altra dimensione il signore anziano che lo aveva aiutato, e inoltre aveva dato un grosso contributo alla gestione tecnica di quello che sarebbe diventato, col tempo, un vero “aeroporto dimensionale”.

Un giornalista si alzò in piedi e prese la parola: «Signorina, ci spieghi la sua idea più nei dettagli».

Mi schiarii la voce allontanandomi dal microfono ed annuii. «Quello a cui ho pensato somiglia molto ad un aeroporto, solo dimensionale. Prendiamo per esempio un ufficio, o comunque un luogo in cui potrebbe essere possibile radunare tutte le persone che, secondo il loro appuntamento, devono essere trasportate nell’altra dimensione».

«Come una specie di sala d’aspetto?», chiese un’altra giornalista.

«Sì, esatto!», esclamai. «Come dal medico, ognuno aspetta il proprio turno e nel frattempo compila un modulo in cui si richiedono i dati anagrafici e una piccola biografia, nulla di molto approfondito. Questo servirà alle persone nell’altra dimensione per prepararsi al loro arrivo ed assicurarsi che tutto sia andato secondo i piani. Tutto qui. Ci ho messo un po’ di tempo per capire che bastava solo questo, ma alla fine ce l’ho fatta e spero che possa essere d’aiuto a moltissime persone».


Da quando la notizia si era diffusa e ormai tutti ne parlavano, nelle radio, nei TG e per strada, aveva scatenato un’eccitazione generale, tanto che qualcuno stava già pensando di accamparsi di fronte all’edificio che sarebbe poi diventata la sede dell’aeroporto dimensionale per accaparrarsi i primi posti.
Gli scettici di certo non mancarono, però la maggior parte della popolazione reagì in maniera positiva, animati di nuovo dalla speranza di poter tornare finalmente a casa.

 
Un’altra di quelle preoccupazioni che non mi permise di dormire la notte fu il funerale di Charlotte, che avvenne qualche giorno dopo la famosa conferenza. Anche in quella lunga notte insonne mi ero ritrovata a scrivere sui post-it. Quella volta avevo scarabocchiato poche parole che magari Charlotte, lassù da qualche parte nel cielo, avrebbe ascoltato.

 

Nel piccolo cimitero del paese, immerso nel verde, c’erano poche persone. La mattinata era uggiosa e il vento freddo che spirava dal mare mi faceva tremare, in piedi accanto a Nick, Joe, Kevin, Alessandra e Davide, che non sarebbe mancato per nulla al mondo, visto che le doveva la vita. Di fronte a noi si trovava la bara di Charlotte, coronata da fiori colorati e rose rosse, che come le vidi mi fecero ricordare il colore dei suoi capelli.

Le sue due migliori amiche e compagne di vita, la cheerleader bionda e quella mora, erano poco lontane da noi e per la prima volta le vidi indossare dei vestiti normali, anche se a lutto.

Piansero per tutta la durata della funzione, semplice ed essenziale, senza fronzoli inutili. Piansero persino mentre dicevano qualche parola in ricordo di Charlotte. E continuarono, inconsolabili, anche quando fu il mio turno, per questo non seppi se le mie parole fossero state gradite o meno.

 

«Charlotte…», incominciai a bassa voce, per poi rafforzarla man mano che parlavo e scorrevo quei ridicoli post-it gialli che non avevo voluto lasciare a casa. «Ricordo come fosse ieri la prima volta in cui la incontrai, quando con le sue inseparabili amiche ha provato a catturarmi. E per quanto io possa averla conosciuta, posso affermare che credeva molto in tutto ciò che faceva, ci metteva il cuore. Credo che abbia sempre messo il cuore in ogni cosa, anche quando sapeva che avrebbe potuto rimetterci persino la vita. Si è rivelata tardi ai miei occhi, era una persona davvero fantastica e migliore di ciò che si poteva pensare e… non mi dimenticherò mai di lei, mai, perché nonostante il dolore ha provato a sorridere e questa è la più grande lezione di vita che potesse mai donarmi. Dormi in pace, Charlotte… te lo meriti».

 

Una volta tornata alla villa dei Jonas, ero rimasta sotto tono per il resto della giornata, lasciandomi andare più volte a quelle lacrime che non ero riuscita a mostrare apertamente di fronte alla sua bara, trovando ogni volta le braccia di Nick pronte ad accogliermi e a consolarmi. In quegli istanti, stretta a lui, mi ero persino sentita in colpa per essere lì con lui, quando al mio posto avrebbe potuto esserci benissimo Charlotte, ma poi mi ero subito rimproverata ripetendo dentro di me la promessa che le avevo fatto.

 
Due giorni dopo il funerale, nei quali ero riuscita a recuperare un po’ di ore di sonno perduto, l’insonnia tornò a colpire, ma quella volta per uno strano sogno dal quale era nata una riflessione piuttosto profonda e a tratti sorprendente, anche per me che in qualche modo le avevo dato il via nella mia testa.

Avrei voluto svegliare Nick per discuterne con lui, ma alla fine lasciai perdere: era così bello quando dormiva, così sereno, che mi dispiaceva fin troppo turbarlo.
Così feci come al solito, mi alzai e andai a farmi una tazza di thè. Nel frattempo perfezionai la mia riflessione e mi venne un’idea che al solo pensiero mi parve un’assurdità, ma che, di pari passo con la lancetta dei secondi che andava avanti sull’orologio, prese forma e consistenza.

Finito il thè andai a farmi una doccia e mi cambiai, scrissi un bigliettino a Nick, lasciandolo sul cuscino accanto al suo, ed uscii di casa insieme al sole che sorgeva nel cielo terso e roseo.
Decisi di camminare un po’ sugli scogli per sentire l’aria fredda entrarmi nei vestiti e nei polmoni, poi presi una scorciatoia per arrivare in paese, che, ancora addormentato, non avevo mai sentito più silenzioso.

Raggiunsi l’ospedale e avrei dovuto essere sorpresa di vedere Fiore a quell’ora di mattina, ma per ovvie ragioni non lo ero. Lei era una sorpresa continua, inutile stupirsi.
Era seduta su una sedia, di fronte alla camera di sua madre, e la sensazione che provai vedendola non fu ottima: sembrava che le stesse facendo da guardia, più che vegliare il suo sonno.
Provai ad immaginarmi una Fiore adolescente, sola al capezzale del padre morente, e in parte capii quello che probabilmente stava provando in quel momento.

Mi avvicinai e le posai una mano sulla spalla. Lei sollevò il capo e mi guardò negli occhi come se stesse scavando nella mia anima, poi mi sorrise teneramente.
«Che ci fai qui?».

Ebbi come la sensazione che lo sapesse già, ma mi sedetti al suo fianco e le raccontai l’idea che avevo partorito quella notte. Mi ascoltò senza mai modificare quel sorriso tenero che aveva sulle labbra e quando finii, mi passò una mano fra i capelli.

«Per me va bene. Credo che l’aiuterà molto».

«Okay, allora… vieni con me?».

Fiore si coprì la bocca in una risata silenziosa ed annuì, seguendomi all’interno della camera di sua madre.

Appena la donna anziana mi vide, sobbalzò e il suo sguardo si fece sospettoso. Lasciai correre e con calma mi sedetti accanto al suo letto, fissando le varie coperte che la coprivano.

«Perché sei qui, ragazzina?».

Sollevai di scatto gli occhi ed incontrai le sue iridi grigiastre e prive di vita. Mi chiesi se potesse vedermi, ma non ebbi tempo per appurarlo, perché la mia lingua fu più veloce del mio cervello a formulare la risposta: «Sono venuta a proporle una cosa».

«Ossia?».

Mi lasciai andare ad un breve sospiro e finalmente sputai fuori la verità, quella che a Fiore non ero riuscita a dire e che nemmeno io avevo del tutto accettato.
«La storia della sua vita mi ha colpita davvero e anche se la razionalità mi diceva e tutt’ora mi sta dicendo di non fare nulla per lei, il mio cuore è rattristato dai motivi per cui lei è diventata quella che è ora e so che ne risentirei, se non facessi qualcosa per lenire il suo dolore. Quindi ho pensato che potrebbe scrivere la sua biografia, o qualcosa del genere, in cui potrebbe descrivere tutte le dimensioni che ha visitato, le esperienze che ha vissuto, per tutte le persone che possiedono il dono. Sarebbe come una guida sulle diverse dimensioni e tutta la sua preziosa conoscenza, i suoi studi, i suoi viaggi, non andrebbero persi per sempre. Renderebbe un grande servizio a tutti quelli… come noi», gettai uno sguardo a Fiore e la vidi sorridere.

La donna invece posò il capo sul cuscino e chiuse gli occhi, come se ci stesse pensando. «Sono troppo debole e stanca, neanche se volessi potrei…».

«A questo ho già pensato: se lei non se la sente di scrivere potremmo farlo io e Fiore; lei dovrebbe soltanto raccontare».

Allora aprì di nuovo gli occhi e li fissò nei miei, tanto che ne ebbi quasi soggezione. Guardando con attenzione, però, vidi una lacrima sfuggire dall’angolo del suo occhio destro e finire fra i suoi capelli candidi.
«Perché vuoi fare tutto questo per me? Io ho fatto del male a tante persone innocenti, ho fatto del male anche a te e ai tuoi amici, ho ucciso la tua amica…».

Pensai a Charlotte e mi chiesi se da lassù mi stesse guardando con aria di rimprovero oppure con un sorriso sulle labbra.
Alla fine sospirai e scrollai le spalle: «Portare rancore, odiare, non serve a nulla, anzi fa male all’anima. E poi, se devo dire tutta la verità, sono curiosa di sapere quali altre dimensioni parallele esistono oltre a questa».

L’anziana donna mi guardò con un sorrisino sulle labbra e mi posò una mano sulla guancia, in una carezza che probabilmente conteneva quell’unica parola che non sarebbe mai riuscita a dirmi a voce: «Grazie».
«Oh», disse con voce ricca di entusiasmo, «credo che dovremmo iniziare subito, se vuoi davvero che te le racconti tutte».

Con la coda dell’occhio vidi Fiore che ridacchiava sommessamente con una mano di fronte alla bocca, come se qualcosa nella mia espressione la facesse divertire. Me l’avrebbe detto solo qualche tempo dopo, quando finimmo di scrivere quei due volumi di viaggi che sarebbero poi diventati i primi cimeli storici di quel paesino e ormai l’anziana donna non c’era più, che a quelle parole il mio viso aveva sprizzato gioia da tutti i pori.

 

***

 

Tornai a casa, alla villa dei Jonas, e la trovai silenziosa come l’avevo lasciata. Di solito Nick era un tipo mattiniero e mi stranii quando non lo vidi in cucina a prepararmi la sua colazione speciale (succo d’arancia, tazza enorme di caffè con un po’ di latte, toast con burro e marmellata, muffin ai mirtilli o pancake con sciroppo d’acero) o seduto sul divano a guardare il baseball alla TV e rimpiangendo il campionato degli “unici ed inimitabili” NY Yankees.

A proposito degli Yankees… Tempo prima mi aveva promesso che appena saremmo tornati nell’altra dimensione mi avrebbe portata a vedere una partita allo stadio.
Mi ricordai di quella buffa promessa con un sospiro arrendevole, perché io odiavo il baseball ma non avevo avuto il coraggio di dirglielo, per paura di ferire i suoi sentimenti.

Salii le scale dopo essermi tolta le scarpe, per non far rumore, e sbirciai nella sua camera, dove dormivo anche io da quando eravamo rimasti soli in quell’enorme villa. Stava ancora dormendo, con la bocca socchiusa e scoperto come al solito, incurante del sole che gli baciava il viso.

Lo raggiunsi camminando a quattro zampe sul letto e sorrisi quando mi trovai di fronte al suo viso con il mio. Stavo per svegliarlo con un bacio a fior di labbra, quando mi venne un’idea migliore: gli avrei preparato la colazione e gliel’avrei portata a letto, come aveva fatto lui dopo la notte che avevo passato insonne prima della conferenza, nella quale l’avevo tenuto sveglio con me giusto per poter parlare con qualcuno.

Scesi dal letto con la stessa cautela con cui ero salita e zampettai di nuovo al piano inferiore. Provai a copiare la sua colazione speciale, ma in cucina non ero mai stata brava e non avevo abbastanza tempo. Inoltre, per fare i muffin buoni come li faceva lui bisognava essere dotati proprio di un dono, che purtroppo non era quello che possedevo io!
Così misi su un vassoio un bicchiere di succo d’arancia, una tazza di caffèlatte, due fette di toast imburrato e con la marmellata e una brioche preconfezionata che trovai nell’armadio. Ero certa che mi avrebbe riso in faccia per quell’ultima mia trovata, ma non mi importava: ero molto orgogliosa della colazione speciale by Ary.

Stando attenta a non far rovesciare tutto mentre facevo le scale, raggiunsi di nuovo la camera e lo trovai ancora addormentato come un bambino. Posai il vassoio sul suo comodino e mi sedetti al suo fianco, appoggiata al suo petto, col viso a poca distanza dal suo.
Avvicinai la bocca al suo orecchio e sussurrai: «Derek Jeter…?».

Nick serrò le labbra in un sorriso e ancora nel sonno mugugnò: «Nato il 26 giugno 1974, capitano dei New York Yankees, ruolo interbase».

Sbalordita, ma nemmeno troppo, non riuscii a trattenere una leggera risata. «Non sono sicura di volere un marito ossessionato dal baseball».

A quelle parole Nick sembrò riprendersi e lentamente si svegliò, strizzando le palpebre un paio di volte a causa del sole che entrava dalla finestra. Misi una mano per fargli ombra e finalmente fu in grado di aprire interamente gli occhi, incrociando subito i miei.

«Buongiorno», esclamai con voce dolce. «Dormito bene?».

Lui annuì col capo e si stiracchiò, poi si tirò seduto con la schiena incurvata in avanti, la fronte posata contro la mia. Mi guardò fisso negli occhi e mi sentii quasi svanire, di fronte a tanta bellezza.
Si chinò e socchiuse gli occhi, mi diede un bacio sulle labbra, soffermandosi in particolare sul mio labbro inferiore, e poi un altro.

«Non siamo ancora marito e moglie e già devo scegliere fra te e il baseball?», mi domandò a bassa voce, ma con tono divertito.

Entrambi infatti scoppiammo a ridere.

«Guarda», dissi appena mi calmai, «ti ho preparato la colazione!».

Lui si voltò e mi guardò mentre prendevo il vassoio e glielo mettevo sulle gambe, in mezzo a noi.
Come immaginavo, afferrò la brioche preconfezionata, ancora nella sua plastica trasparente, e me la fece dondolare davanti al viso.

«E questa?», chiese arricciando le labbra per non ridere.

«Lo sai che sono un disastro in cucina! E poi non potevo di certo competere con i tuoi muffin!».

«Questo è vero», ammise e fece scoppiare la confezione con una mano, facendomi spaventare.

Gli tirai uno schiaffettino sul braccio. «Idiota!».

«Scusa amore, vieni qui dai». Provò a prendermi per la nuca ed attirarmi a sé per darmi un bacio, ma io mi spostai, facendo la finta offesa con le braccia strette al petto.

Lui dopo un po’ ci rinunciò, concentrando tutta la sua attenzione sulla tazza di caffè, e come al solito fui io ad andare da lui a ricercare le sue coccole. Non ce la facevo proprio a fare l’arrabbiata con lui!

Così mi sistemai accoccolata al suo fianco, con la testa posata nell’incavo della sua spalla, e parlammo del più e del meno, mentre lui faceva colazione e ogni tanto mi allungava una fetta di pane tostato con burro e marmellata per farmi dare un morso.

«Come mai prima mi hai chiamato con il nome del mio giocatore di baseball preferito?», mi domandò ad un tratto, dopo aver bevuto un sorso di succo d’arancia, che poi passò a me.

«Prima mi è tornata in mente la promessa che mi hai fatto, quella che mi avresti portata a vedere una partita degli Yankees allo stadio».

«Oh, sì!», esclamò, improvvisamente animato dalla gioia. «Non vedo l’ora, sarà bellissimo tornare a vederli dopo tutto questo tempo!».

«Già…», balbettai con un sorrisino incerto. «Amore, io… devo dirti una cosa».

«Che cosa?». Mi guardò negli occhi e ancora una volta mi si spezzò il cuore: non potevo davvero fargli questo, non potevo dirgli che io odiavo il suo sport preferito.

«Preparati, perché domani torniamo a casa, nell’altra dimensione».

Nick aprì la bocca, sorpreso, e tutto d’un tratto iniziò a ridere come un matto, rischiando di rovesciarsi addosso ciò che era avanzato della sua colazione.

Fui felice di non avergli detto le parole che dovevo dirgli originariamente, perché le sostitute che avevo pronunciato senza nemmeno pensarci lo resero molto più contento e non potevo volere di meglio.

 

***

 

«Hai tutto?».
Entrai nella camera di Nick e rimasi senza fiato: era così… vuota! Provai un moto di nostalgia, nonostante non me ne fossi ancora andata, e probabilmente Nick stava provando la stessa sensazione, perché si guardava intorno quasi spaesato e con aria malinconica.

«Sì, credo di aver preso tutto», rispose e si voltò verso di me, accennandomi un sorriso.

Io abbassai lo sguardo, come colpita dai sensi di colpa, anche se in quel caso non avrei dovuto averne.
«Mi dispiace», sussurrai. «Prometto che ci torneremo, che la useremo come casa di villeggiatura quando non vorremo essere trovati da nessuno, dove ci rifugeremo quando ne avremo voglia, dove…».

Nick mi prese il viso fra le mani e mi costrinse a sollevarlo. Mi posò un delicato bacio sulle labbra. «Amore, non hai nulla di cui dispiacerti. Anche se qui mi mancherà, sono contento di tornare a casa, soprattutto perché ci torno con la cosa più importante, che non avrei mai trovato se non fossi finito qui per chissà quale motivo».

Le guance mi si infiammarono e lui ridacchiò, avvolgendomi un braccio intorno alle spalle. «Forza, andiamo».

Dopo esserci assicurati ancora una volta di aver chiuso dall’interno tutte le porte e le finestre, raggiungemmo il salotto, dove avevamo sistemato le valigie che sarebbero venute con noi nell’altra dimensione.

«Pronto?», gli chiesi, prendendogli la mano nella mia. Lui la strinse forte ed annuì.
«C’è un posto in particolare in casa tua dove vorresti comparire?».

Ci pensò su un attimo, poi sorrise. «Sì, la mia…».

«Non serve che tu me lo dica», lo interruppi. «Basta solo che tu pensi intensamente a quel posto, okay?».

Sospirò e chiuse gli occhi. «Okay».

«Allora vado. Tre, due, uno…», e sparimmo.

 

Ricomparimmo qualche secondo dopo e fui costretta a riaprire subito gli occhi a causa di un frastuono che all’inizio non riuscii ad identificare. Così mi coprii la testa e quando tutto parve tornare tranquillo, mi guardai intorno: le nostre valigie non avevano fatto proprio un bell’atterraggio ed erano sparse per tutta la stanza, e non si trattava di una stanza comune, ma della camera da letto di Nick. La riconobbi subito, nonostante non ci fossi mai stata. Come feci? Semplice, grazie ai poster degli Yankees appesi alle pareti e alle lettere delle fan, imballate in grosse scatole di plastica trasparente ed indirizzate proprio a Nick dei Jonas Brothers.
Nella mia rapida ispezione, notai anche una cornice posata su una mensola sopra la scrivania, dentro la quale c’era la foto di una ragazza che avevo già visto, ma della quale non ricordai subito il nome.

«Chi è quella?», berciai subito, voltandomi verso Nick che si era seduto sul letto, ancora un po’ scombussolato dal teletrasporto. Su di lui aveva proprio un brutto effetto!

«Quella chi?», mi chiese con una mano sulla fronte, confuso.

Acciuffai il portafoto dalla mensola e quasi glielo spalmai sulla faccia. «Questa!».

Nick se l’allontanò dal viso e mi sorrise, anche se glielo lessi negli occhi che era imbarazzato ed innervosito. «È una mia cara amica, tutto qui…».

«Tutto qui? Sei sicuro? Guarda che a me non mi freghi, Nicholas Jerry Jonas!».

«Te lo giuro, amore, adesso è solo una mia cara amica!».

Aggrottai ancora di più le sopracciglia e mi avvicinai al suo viso, guardandolo con i fulmini negli occhi. «Adesso? Lo sapevo, è una tua ex! E perché hai ancora la sua foto?!».

«Amore, per favore, calmati!».

Improvvisamente la porta della camera si aprì e tutta la famiglia Jonas al completo, compreso un labrador beige, ci vide mezzi stesi sul letto, mentre io gli puntavo al petto il portafoto.
Nick si alzò subito, dimenticandosi completamente di me e della nostra prima discussione da fidanzati, e corse ad abbracciare i suoi genitori e il suo fratellino Frankie, che non vedeva da un sacco di tempo.

Addolcita da quella scena commovente me ne dimenticai anche io e scoppiai a ridere quando sentii il soprannome con cui lo chiamava sua madre: «Nicky».
I suoi genitori mi guardarono come se fossi scema e allora, rossa d’imbarazzo, mi ammutolii. Nick al contrario si avvicinò a me, mi prese per mano e mi portò da loro per presentarmi ufficialmente.

«Mamma, papà, lei è Arianna, la ragazza che ha permesso a tutti noi di tornare e la mia fidanzata».

A sua madre brillarono gli occhi quando sentì quelle magiche paroline e mi strinse in un forte abbraccio. «Noi ci siamo già conosciute, ma permettimi di ringraziarti ancora una volta per aver portato i miei piccoli a casa».

«Non c’è di che signora Jonas, davvero», dissi, imbarazzata.

«Adesso fai parte della famiglia, chiamami semplicemente Denise!».

«Oh, okay», balbettai.

«Ah, guarda come sei rossa!», gridò Joe prendendosi gioco di me, ma invece di mandarlo a quel paese pensai a quanto mi fosse mancato in quella settimana in cui non ci eravamo visti.
Solo allora mi resi conto che, davvero, loro erano diventati la mia seconda famiglia.

 

***

 

Avevo usato il cellulare di Joe per avvisare la mia famiglia del mio ritorno a casa e gli avevo detto anche che sarei rimasta a cena a casa dei Jonas.

In quel frangente avevo scoperto che Ale e Joe ormai erano proprio una coppietta, a causa di un sms che Ale aveva inviato al mezzano dei fratelli Jonas e che io avevo letto. Per sbaglio, ovviamente.
Allora avevo iniziato a prenderlo in giro come lui faceva sempre con me e Nick chiamandoci piccioncini, mentre correvo per la sua stanza per non farmi acciuffare e leggevo ad alta voce, sotto gli occhi divertiti di Nick che era dalla mia parte, tutti i messaggi sdolcinati che si inviavano a vicenda. Questo mi aveva alquanto sorpresa, perché Ale non era solita a quelle smancerie, e mi ero promessa che gliene avrei dette tante anche a lei, appena l’avrei rivista!

Per farmi smettere, Joe si era fatto furbo e aveva detto: «Vuoi sapere o no chi è quella ragazza nella foto con Nick?».

Mi ero immobilizzata sul posto e Nick aveva guardato il fratello disperato, come se gli avesse appena infilzato un coltello nella schiena, ma Joe scrollò le spalle con una faccia che parlava da sé: «Non avevo scelta!».

«Sì, certo che lo voglio sapere!», gridai, di nuovo rossa di gelosia, e fu così che scoprii che la famosa ex di Nick era niente popò di meno che Miley Cyrus, attrice per la Disney nei panni di Hannah Montana e cantante. Ecco dove l’avevo già vista!

«Sono stati insieme due anni, più o meno», aveva ripreso a raccontare Joe. «E quando si sono lasciati sono stati così male tutti e due… pensa che si sono scritti persino delle canzoni! Ma adesso è tutto passato, sono ottimi amici, e credo che sia meglio non andare oltre, o il mio fratellino potrebbe piangere!».
Joe era scappato via da camera sua, capendo di essere andato un po’ troppo oltre nelle spiegazioni, e ci aveva lasciati soli.

L’imbarazzo e la tensione che aleggiavano nell’aria si potevano tagliare a fette e ci avvolgevano come una pesante coperta nella quale ci eravamo incastrati.
Io per prima mi ero mossa e mi ero lasciata cadere seduta sul letto alle mie spalle, con le mani sul viso che andava in fiamme.

«E adesso che cosa ti prende?», mi aveva chiesto in tono dolce Nick, sedendosi al mio fianco, una mano posata sulla mia nuca, che mi accarezzava i capelli.

«Mi dispiace tanto», avevo mugugnato, senza accennare a scoprirmi il viso. «Non volevo farti soffrire facendoti ricordare… Non so perché mi sono comportata così, io non sono mai stata gelosa… solo che…».

Nick mi aveva preso le mani nelle sue e mi aveva guardato in viso, trovandolo rosso come un peperone. Mi aveva sorriso e mi aveva posato un bacio sulle labbra.
«Non ti preoccupare, quella storia è stata molto importante, lo ammetto, ma ormai è andata, fa parte del passato. Tu sei il mio presente e il mio futuro, non c’è niente di più importante per me».

Ecco, lo odiavo quando faceva così, perché mi diceva tante di quelle cose dolci che mi scioglievano come un cubetto di ghiaccio al sole e io non sapevo affatto come rispondere.
Ciononostante, avevo replicato con poca voce: «Ti amo, Nick».

Mi aveva stretto nelle braccia e mi aveva cullata per un po’. «Anche io, tanto. Ma promettimi di non fare più queste scenate, prima con il portafoto in mano mi hai fatto davvero paura, credevo che mi volessi colpire!».

Tutto alla fine si era risolto con una risata, per fortuna, e dopo sua madre venne a chiamarci, dicendoci che era pronta la cena.

Avevo pensato che mi sarei sentita in imbarazzo a mangiare con la sua famiglia, invece i suoi genitori mi fecero sentire subito a mio agio e Joe fu un vero mago a riempire i vuoti di silenzio che ogni tanto si creavano, raccontando le cose più assurde che gli erano capitate nell’altra dimensione e, come al solito, prendendo in giro me e Nick, raccontando nei particolari il modo in cui ci eravamo conosciuti e le varie fasi del nostro innamoramento.
Mentalmente, mi ero appuntata che avrei dovuto picchiarlo appena ne avessi avuta la possibilità.

Quando finimmo di cenare, i genitori dei Jonas Brothers mi chiesero se volevo restare a dormire lì, perché era già tardi e prendere il treno per tornare a casa era pericoloso, ma io rifiutai gentilmente, dicendo che mi avevano già ospitato abbastanza.

«Un modo per tornare a casa lo troverò», dissi e gli feci l’occhiolino.

Per un momento i due non capirono, poi sua madre si ricordò del bellissimo tuffo che avevo fatto nella loro piscina quando ero scomparsa e ricomparsa, e scoppiò a ridere.

«Tesoro, scusami, ma mi ero completamente dimenticata di questo tuo… potere! Sei una ragazza così carina e semplice…».

Chinai leggermente il capo. «La ringrazio molto, è bello sentirmi dire che sono normale».

«Va bene, allora… buon viaggio», mi disse, abbracciandomi. «Spero di rivederti presto, perché con tutti gli impegni che i nostri piccoli avranno dopo che la notizia del loro rientro sulla scena musicale si diffonderà non penso che avranno molto tempo libero, ma ti prometto che Nicky te lo controllerò io!».

Accennai un mezzo sorriso, tra l’impacciato e il nervoso, e mi congedai con la valigia che avevo portato con me dall’altra dimensione.
Nick mi seguì a ruota per salutarmi meglio, con un  po’ di privacy, e mi guardò mentre mi sedevo sul dondolo in veranda, pensierosa e con un’ombra di tristezza negli occhi.

Si sedette al mio fianco e non fece domande. Con le dita della mano intrecciate alle mie sopra il suo ginocchio, aspettò pazientemente che io parlassi.

«Più di una volta mi sono chiesta come sarebbe stato, quando saremmo tornati in questa dimensione. Mi chiedevo se sarebbe stato possibile continuare qualcosa che era iniziato in un mondo parallelo e quasi surreale, se anche nella realtà, soprattutto la tua realtà, saremmo riusciti a stare ancora insieme e… ho la maledetta paura che qualcosa fra di noi cambi. Insomma, tu hai la tua vita, la tua carriera musicale a cui pensare, e hai sentito cos’ha detto tua madre… Quando riprenderete a suonare in giro per il mondo non avrete più tempo libero, noi ci vedremo poco e…».

Nick mi prese il viso fra le mani, fondendo i nostri sguardi. «Ary, non hai nulla di cui temere. Noi ce la faremo. Ci siamo sempre riusciti in un modo o nell’altro, abbiamo superato difficoltà ben peggiori di quelle che ci attendono, perché non dovremmo farcela?».

«Io… io non lo so, ho paura di perderti…».

«Non mi perderai mai, ti amo troppo per poter lasciarti andare via».
Lo guardai negli occhi e a quelle parole parte di quella stupida paura svanì, liberandomi da un peso sul petto.
«Ti amo, Ary, e non c’è nulla di più forte di ciò che mi lega a te».

Sospirai sollevata e gli gettai le braccia al collo, stringendolo forte a me. Lui ridacchiò e mi posò un bacio sulla tempia e uno sulla guancia, prima di cercare le mie labbra.

«Ci sentiamo e ci vedremo presto», sussurrò.

«Okay. Buona notte, Nicky».

Roteò gli occhi verso il cielo, sentendo il soprannome con il quale avevo iniziato a chiamarlo pure io a mo’ di presa in giro, ma poi sorrise e disse anche lui: «Buona notte».

Posai una mano sulla valigia al mio fianco e in pochi attimi sparii, lasciandolo seduto nella veranda di casa sua.


***

Nick alzò il viso per guardare la luna e le stelle e finalmente si disse che era tornato a casa, ma ciò non lo rendeva felice del tutto: sentiva che qualcosa, o meglio, qualcuno gli mancava, senza il quale non avrebbe mai potuto sentirsi a casa pienamente.
Così si aggrappò alle stesse parole che le aveva detto poco prima per rassicurarla e pregò perché lei non lo abbandonasse mai.

 

***

 

Ricomparii in camera mia, dove caddi sul letto, e la valigia, invece, produsse un tonfo sordo cadendo e rotolando sul pavimento.

Mi tirai su seduta sul letto e mi portai le dita sulle labbra, sentendo ancora il sapore di quelle di Nick, e sorrisi.
Dopo quello che mi aveva detto, il mio cuore si era rasserenato ed ero certa che in un modo o nell’altra ce l’avremmo fatta, avevamo dimostrato più volte che il nostro amore era più forte di qualsiasi difficoltà e inoltre io lo amavo troppo per permettere che qualcosa o qualcuno ci separasse.

Scesi dal letto di corsa, ricordandomi della mia famiglia, e mi lanciai a capofitto giù dalle scale, incontrando alla fine della rampa mio fratello che probabilmente si era insospettito sentendo quel tonfo.

«Sei tornata!», esclamò e mi si gettò fra le braccia, facendomi barcollare. Poi mi trascinò in salotto, dove trovai mia madre, mio padre e persino Alessandra, che fu la seconda a saltarmi in braccio.

Risi, felice di rivederli, ma qualcosa mi fece rimanere con l’amaro in bocca. Per la mia completa felicità avevo bisogno di altre persone e mi trovai a ridere facendo quella considerazione, perché non avrei mai immaginato di dover ammettere che oltre che di Nick necessitavo anche di Kevin e soprattutto di Joe!, colui che avevo sempre detestato ma che alla fine si era rivelato uno dei miei migliori amici.
Solo allora la mia famiglia sarebbe stata completa. 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19

 

Lentamente ripresi in mano le redini della mia vita.
Tornai a scuola, nonostante le evidenti difficoltà che dovevo affrontare per recuperare la parte del programma che avevo perso, e promisi a me stessa che, scoppiasse la dimensione in cui mi trovavo, avrei passato l’anno scolastico.
Tutte le volte che lo studio me lo permetteva tornavo nell’altra dimensione per stare vicina alle persone che attendevano per il loro ritorno a casa e per verificare come procedevano i lavori per la costruzione dell’edificio che sarebbe diventato l’aeroporto dimensionale, del quale ci sarebbe stata l’inaugurazione tra poche settimane.

A questo proposito mi resi conto che serviva uno spazio non solo per la partenza, ma anche per l’atterraggio nell’altra dimensione, quindi io e i miei genitori ci impegnammo a cercare il posto adatto, fino a quando non decidemmo di utilizzare la nostra cantina, nella quale iniziammo a fare una ristrutturazione totale, creando anche un tunnel – proprio ciò che odiavo – per far sbucare le persone teletrasportate nella metropolitana, un luogo piuttosto affollato nel quale nessuno si sarebbe mai accorto di nulla. Da lì, poi, sarebbero tornati a casa da soli.

Sapevo fin da subito che il lavoro da fare sarebbe stato tanto e molto dispendioso d’energie, almeno fino a quando non mi fossi abituata del tutto a teletrasportare molte persone per più volte al giorno, ma non avevo paura e non mi sarei tirata indietro per nessun motivo al mondo.

Oltre a tutti questi impegni, feci di tutto per vedere più o meno regolarmente Nick, il quale, assieme ai suoi fratelli, era stato quasi rinchiuso nello studio di registrazione dalla sua casa discografica, per scrivere le canzoni del nuovo album, che sarebbe uscito in contemporanea al loro ritorno sulla scena musicale, fino ad allora rimasto segreto.
Aveva davvero pochissimo tempo libero, come sua madre mi aveva preannunciato, ma grazie al mio dono – che non mi era mai sembrato così utile – riuscivo a passare un po’ di tempo con lui quasi ogni sera, prima che si addormentasse come un sasso con la testa sulla mia spalla, mentre ci raccontavamo le nostre giornate.

Era davvero dura tener fede a tutti gli impegni presi e non demoralizzarsi vivendo una relazione così influenzata dal lavoro di Nick, ma la mia determinazione era tanta e l’amore per Nick ancora maggiore. Ci stavamo impegnando, anche opponendoci contro tutti coloro che potevano ostacolarci, e ci stavamo riuscendo perfettamente.
Per esempio, quando Nick riuscì ad ottenere un giorno libero dalla casa discografica non ci pensò due volte a passarlo con me.

 

Arrivò a casa mia quasi all’improvviso, senza nemmeno darmi il tempo di capire cosa stesse succedendo mi avvicinò al viso due biglietti e, prendendoli fra le mani, mi accorsi che – purtroppo per me – non si era dimenticato della promessa fatta.

«Due biglietti per la partita degli Yankees», esclamai senza troppa convinzione. Mi ripresi velocemente, per paura di veder scomparire quel bellissimo sorriso dal suo volto, e provai a mostrarmi al settimo cielo.
«Wow, è fantastico! Ma come hai fatto a trovarli, avevo sentito che erano quasi finiti tutti!».

«Un modo io lo trovo sempre», mi sussurrò all’orecchio con tono suadente, facendomi avvampare.

«Che cosa, tesoro?», mi domandò mia madre dal tavolo della cucina, dove stava ricontrollando gli articoli che avrebbe pubblicato sul giornale per cui lavorava.

«Vado con Nick a vedere la partita degli Yankees!», gridai di rimando, sperando ardentemente che non dicesse qualche cavolata che avrebbe compromesso tutto.
Ovviamente, nessuno ascoltò le mie preghiere silenziose.

«Tesoro, ma tu hai sempre detto che…».

«Che non vedevo l’ora di andare a vedere gli Yankees con Nick!», gridai più forte per sovrastare la sua voce, girandomi e guardandola in modo eloquente.

«Oh sì, puoi scommetterci», disse allora, per poi tornare a guardare i propri scarabocchi, borbottando tra sé.

Mi voltai di nuovo verso Nick e gli sorrisi smagliante. «Vado a cambiarmi, ci metto due secondi. Aspettami qui».

Corsi su in camera mia, mi misi le mani nei capelli e poi sospirai per calmarmi: infondo avrei passato un’intera giornata con Nick, non sarebbe stata poi la fine del mondo se da qualche altra parte o ad una partita di baseball!

Mi cambiai in fretta, arraffai la prima borsa che mi capitò sotto il naso e la riempii con le cose essenziali, poi galoppai giù dalle scale, sorridendo a Nick che mi aspettava seduto sul divano.
Sperai che, una volta rimasta sola, mia madre non avesse rovinato tutto, ma dalla sua espressione non riuscii a capirlo e continuai nella mia farsa a fin di bene.

«Sono pronta!».

Uscimmo di casa e Nick mi aprì la portiera come un vero cavaliere, io entrai in auto e lo vidi mentre faceva il giro per mettersi al posto di guida. Nel frattempo guardai i biglietti che ancora stringevo in mano e mi accorsi che aveva preso i posti migliori, a pochissimi metri dal campo.

«Ti saranno costati una fortuna», biascicai, guardandolo con la coda dell’occhio.

«No, io sono abbonato, ho lo sconto!».

«Oh…», mi portai una mano di fronte alla bocca e scoppiai a ridere. «Certo, avrei dovuto immaginarlo».

In quei mesi passare del tempo con lui era diventato così raro che solo stare in auto insieme, a cantare a squarciagola le canzoni che passavano alla radio, era già fantastico ai miei occhi.
Tanto che non pensai più a dove eravamo diretti e per un po’ mi dimenticai del baseball, godendomi semplicemente quel momento.

Quando arrivammo, fu quasi uno shock. Quasi, perché Nick non mi diede nemmeno il tempo per capire come mi sentissi al solo pensiero che avrei dovuto fingere di divertirmi e di capirci qualcosa: mi prese semplicemente per mano e mi trascinò dentro lo stadio in cui si sarebbe svolto l’incontro.
Mi fece sedere al mio posto e subito se ne andò per comprare da bere e da mangiare, dicendomi che non aveva voglia di aspettare l’omino dei panini, come lo chiamava lui. Così rimasi sola, seduta così vicina al campo da sembrare di esserci finita dentro e da aver paura che una palla da baseball mi arrivasse dritta in faccia.
Sentii delle voci sotto di me e mi alzai per vedere come fosse possibile, solo allora mi resi conto che eravamo proprio sopra la panchina degli Yankees!

«Oh mio Dio, altro che marito ossessionato! È pazzo, è pazzo», dissi a mezza voce, sbalordita.

Quando tornò con un paio di sandwich e due bibite, lo guardai fisso negli occhi con la forte tentazione di dirgli in faccia quello che avevo pensato, ma ancora una volta il suo sorriso mi impedì di farlo.
Così gli presi dalle mani il mio panino e la mia lattina di aranciata e scalai di un posto per farlo sedere.

La partita ebbe inizio una decina di minuti dopo e quando Nick vide i giocatori degli Yankees correre verso il diamante e posizionarsi, si alzò in piedi ed iniziò ad incitarli. Io, rossa di imbarazzo per le persone dietro di noi, lo presi per un braccio e con la forza lo feci sedere di nuovo al suo posto.
Nick all’inizio mi guardò contrariato, poi ridacchiò e mi strinse in un abbraccio inaspettato.

«Sono così felice di essere qui con te…», mi disse e mi prese il volto fra le mani per guardarmi negli occhi, poi tirò fuori un cappellino dallo zainetto che si era portato dietro. Feci solo in tempo a vederne il colore e il famosissimo simbolo bianco in rilievo – le iniziali dei NY Yankees – perché me lo mise subito in testa, per poi soffermarsi a guardare come mi stava.

«Ti dona! Il blu è il tuo colore!», esclamò, poi tutto felice si voltò a vedere la sua squadra del cuore che, essendo fuori casa, aveva la possibilità di attaccare per prima e quindi di giocare il primo inning.

Durante tutto il corso della partita, Nick si soffermò spesso a spiegarmi tutto ciò che accadeva in campo ed ad elencarmi ogni ruolo dei giocatori, anche se io non gli chiedevo mai niente.
Pian piano iniziai ad appassionarmi io stessa, a fargli le domande più strane che mi venissero in mente, ma lui rispondeva sempre sorridendo. Con il suo entusiasmo riuscì persino a farmi pregare che gli avversari sbagliassero il tiro o venissero eliminati e a farmi scattare in piedi come una molla insieme a lui quando gli Yankees vincevano un inning.
Il suo era stato un vero e proprio miracolo: mai e poi mai avrei pensato che sarebbe riuscito a farmi piacere il baseball!

Quando la partita terminò, uscimmo dallo stadio ancora euforici per la vittoria dei nostri beniamini, ricordandoci ancora tutti i colpi che erano riusciti a fare, tra cui ben quattro fuoricampo.

«Grazie per essere venuta con me», disse Nick una volta seduto al volante, con una mano sulle chiavi nel cruscotto e gli occhi fissi nei miei. Stavo per rispondergli dicendo che era stato un piacere, che mi ero divertita tantissimo, ma lui non mi lasciò nemmeno iniziare e aggiunse: «Nonostante il baseball non ti piaccia».

Sgranai gli occhi ed ebbi paura che il mento mi fosse finito in grembo, talmente tanta era stata la sorpresa. «E tu… tu come fai a saperlo?», balbettai.

Nick accennò un sorriso. «L’ho capito subito, dalla prima volta in cui ne abbiamo parlato. Avrei voluto dirtelo, ma tu recitavi così bene che mi sembrava un peccato interromperti!».

Abbassai lo sguardo, unendo le mani sulle gambe. «Mi dispiace», mugugnai, davvero mortificata. «È che a te il baseball piace così tanto… non volevo farti rimanere male, così mi sono detta che una piccola bugia a fin di bene non avrebbe fatto male a nessuno, ma poi le cose mi sono sfuggite di mano e…».

Nick però si lasciò andare ad una leggera risata. «Amore, non sono arrabbiato. L’ho capito subito che non avevi cattive intenzioni e devo dire che mi sono anche divertito guardandoti nei panni di una tifosa!».

«Pff, simpaticone», gli tirai un pugnetto sulla spalla e risi anche io. «So che me ne pentirò, ma… non ho finto per tutto il tempo, oggi. Il baseball non è poi tanto male, anzi… mi sono divertita davvero! E il merito è tutto tuo».

Il sorriso di Nick si allargò a dismisura e mi attirò a sé per baciarmi sulle labbra.
«Allora per Natale regalo l’abbonamento anche a te!».

«Non ci provare, Nicholas Jerry Jonas!», gridai, col viso paonazzo. Lui rise e rimase lì per un po’, appoggiato con il mento alla mia spalla. Sentivo il suo respiro fra i capelli, sulla pelle del collo, e pensai che lui era la cosa più bella che mi fosse mai capitata.

«Resti a cena da me?», gli domandai in un sussurro.

«Se non sono di disturbo…».

«Questo mai».

 

***

 

Il Natale fu alle porte in modo quasi inaspettato, un po’ perché quei mesi impegnativi e difficili volarono e un po’ perché il clima della cittadina in cui vivevo e della villa Jonas sul promontorio a picco sul mare nell’altra dimensione non mi facevano ricordare per nulla il Natale, che dalla mia smisurata passione per i film lo collegavo sempre a un clima rigido e alla neve.

La mia famiglia fu invitata a casa dei Jonas per la cena della Vigilia di Natale e in teoria sarebbe dovuta venire anche la famiglia di Ale, ma alla fine venne soltanto lei perché gli altri avevano già accettato di andare alla cena organizzata dai suoi nonni, con cui la mia migliore amica non aveva proprio buoni rapporti per un motivo che non avevo mai saputo.

Sta di fatto che ci trovammo tutti ad Hollywood, nell’enorme villa dei genitori di Nick, Joe e Kevin, e purtroppo venni a sapere che i Jonas Brothers sarebbero arrivati leggermente in ritardo perché si erano dovuti fermare più del previsto allo studio di registrazione.

Seduta in uno dei due bovindi presenti sulla facciata della villa, nella speranza di vedere i fari della loro auto illuminare il vialetto fino al garage, ancora mi chiedevo perché dovevano lavorare anche la Vigilia di Natale. Mi era quasi inconcepibile.

Intanto ascoltavo la musica con le cuffiette dell’mp3 nelle orecchie. Mi piaceva lasciarmi cullare dalla voce di Nick quando lui non era con me. Le canzoni in cui lui cantava da solo, quelle con un tono più blues, mi piacevano di più, ma questo non l’avrei mai detto agli altri due Jonas: si sarebbero offesi a morte!
Nick era così trasparente per quanto riguardava le emozioni e soprattutto nelle sue canzoni esse si potevano leggere come fossero state scritte sotto ogni nota. Per esempio sapevo che tra le canzoni che amavo di più ce n’era qualcuna che era stata scritta e dedicata a suo tempo a delle ragazze che erano venute evidentemente prima di me, ma non mi importava: ascoltare quelle canzoni era un piacere, perché potevo guardare ed immergermi direttamente nell’anima di Nick.

Ale mi vide seduta lì da sola, con un’espressione demoralizzata e triste sul viso, e corse a tirarmi su di morale. Non so come sperasse di riuscirci, visto che strappandomi una cuffia dall’orecchio aveva commesso un atto punibile con l’abbandono in un’altra dimensione, ma si sarebbe inventata sicuramente qualcosa.

«Su col morale, è Natale!», mi strillò nell’orecchio, per poi sedersi al mio fianco con un visetto angelico che non la rappresentava per niente.

«Vorrei soltanto che fossero già qui», borbottai.

«Anche io, cosa credi! Solo che non faccio la depressa come te! Se Nick ti vedesse così preferirebbe di gran lunga tornare in studio!».

Riuscì a farmi scappare una risata e mentalmente la ringraziai per questo. Senza di lei come avrei fatto?

Sentii il cellulare vibrarmi tra le dita e il cuore cominciò a pomparmi più velocemente il sangue nelle vene, facendomi quasi venire caldo.

«È Nick?», mi domandò Ale. «Ti si sono illuminati gli occhi all’improvviso!».

«Sì, è lui», risposi raggiante. «Gli avevo detto di farmi uno squillo quando era qua vicino».

«Bene, allora è fatta! Finalmente si mangia!».

Come faceva a pensare al cibo? Solo all’idea di vedere Nick a me si era chiuso lo stomaco, già stracolmo di farfalline!

Ale alitò sul vetro della finestra alle sue spalle e con il dito disegnò un cuore, dentro il quale poi comparvero le luci dei fari che avevo sperato di vedere fino a qualche minuto prima. Erano arrivati!

Mi alzai e di corsa raggiunsi la parte opposta del salotto, da cui potevo vedere l’ingresso, stando attenta a non inciampare nel mio vestito verde, lo stesso che avevo messo per gioco la prima volta che mi ero ritrovata rinchiusa nella villa dei Jonas, che avevo indossato alla festa organizzata da Charlotte e le altre due cheerleader e che non avevo proprio potuto fare a meno di portare nella mia dimensione: ormai ci ero fin troppo affezionata e sapevo che anche Nick vi era legato, tanto che avevo pensato di indossarlo di nuovo per fargli una sorpresa. Infondo sarebbe stato il nostro primo Natale insieme… doveva essere speciale.

Sentii i loro genitori accoglierli appena entrati, sentii anche Ale e mio fratello salutarli, e infine sentii Nick che chiedeva: «Ma Ary dov’è?».

Abbassai lo sguardo, trovando molto interessanti le mie mani che tremavano leggermente sui ricami floreali color argento del corpetto. Quando ebbi la forza di risollevarlo, incontrai subito quello di Nick, che si teneva con una mano alla parete, sulla soglia del salotto. Riconobbi quella sua espressione vagamente stupita e finalmente sorrisi, sistemandomi il ciuffo di capelli bianchi dietro l’orecchio.

Nick mi venne vicino e mi prese le mani nelle sue fredde, portandosele sul petto. Non aveva mai smesso di fissarmi negli occhi e pensai che se avesse continuato così sarei morta entro la fine di quella serata.

«Sei bellissima», mi sussurrò, ancora un po’ spaesato.

Ridacchiai e gli passai una mano fra i capelli ricci, scostandoglieli dalla fronte. «Tu lo sei sempre, anche quando lavori troppo».

«È colpa tua se lavoro troppo, sai?».

«Mia? Che cosa c’entro io?».

«Penso sempre a te, in ogni minuto, in ogni secondo, e non riesco mai a concentrarmi abbastanza. Dobbiamo sempre registrare una decina di volte prima che venga bene».

Gli posai l’indice sulla punta del naso e scossi il capo lievemente. «Vorresti per caso che ti consoli?».

«No», appoggiò la fronte alla mia. «Io amo pensarti, anche se questo va a discapito del mio lavoro… in un certo senso».

Corrugai la fronte. «Che cosa vuoi dire?».

«Lo scoprirai quando uscirà il nuovo album».
Detto questo, finalmente mi baciò, posando le mani sulla mia schiena e spingendomi contro il suo petto.

«Piccioncini, quando siete pronti eh!», gridò Ale dall’enorme cucina, dove si erano riuniti già tutti per iniziare quella benedetta cena.

«Sarà meglio andare», gli dissi ridacchiando, accarezzandogli le labbra con due dita.

«Va bene, ma dopo riprendiamo da dove siamo rimasti», mi sussurrò all’orecchio, dandomi poi un bacio sul collo. 

 

 

La cena andò benissimo, la mia famiglia e quella dei Jonas, per quanto fossero diverse per stili di vita ed abitudini, avevano subito fatto amicizia, tanto che per esempio mio fratello e Frankie, il più giovane dei Jonas, non facevano altro che parlare e discutere di videogiochi.
Dovetti anche fare i complimenti a Denise, perché non avevo mai mangiato così bene in vita mia. Ovviamente questo non glielo dissi davanti a tutti, perché sapevo che mia madre altrimenti si sarebbe offesa a morte e, poverina, le avrei dato ragione! Ma se io ero così imbranata in cucina, dovevo pur aver preso da qualcuno…

Quando finimmo di cenare, ci spostammo tutti in salotto ad aspettare la mezzanotte per andare alla Messa di Natale.

Raggiunsi Ale e Joe che si erano seduti sul tappeto, proprio accanto al grande albero di Natale pieno di luci, e feci segno a Nick di mettersi vicino a noi, ma lui mi sorrise e indicò la cucina con un cenno del capo, dicendo: «Torno subito».

Sapevo cosa doveva fare e, anche se un po’ riluttante, mi alzai per seguirlo. Lo trovai seduto al tavolo, sparecchiato da una parte per permettergli di fare più comodamente quell’operazione che mi metteva sempre un sacco d’ansia. Sua madre era seduta al suo fianco e sembrava tranquilla quanto lui.
Mi avvicinai e gli posai una mano sulla spalla.

«Ehi, c’è qualcosa che non va?», mi chiese, vedendomi così pallida e preoccupata.

«No, niente… voglio vedere».

Nick accennò un sorriso divertito. «Non scherzare Ary, non hai mai voluto vedere perché ti impressioni… Guarda, anche adesso, sembra che tu debba svenire da un momento all’altro e non ho ancora fatto niente!».

«Lo so, ma… voglio superare questa cosa, perché, insomma… fa parte della tua vita e voglio starti vicino».

Con la coda dell’occhio vidi sua madre sorridere addolcita con le mani sulle labbra, poi si alzò e mi indicò il suo posto.
«Lo lascio nelle tue mani, allora».

Annuii, anche se stavo tremando.
Mi sedetti al suo fianco e guardai sua madre uscire dalla cucina, lasciandoci soli. Posai lo sguardo sul macchinario elettronico che serviva per controllare il livello glicemico nel sangue, il pungidito e, nella scatoletta accanto, le siringhe con le dosi di insulina.
Mi portai una mano sulla fronte e lo guardai sconsolata.

«Dev’essere orribile», mormorai con le lacrime agli occhi.

«Ma no, non è vero», mi sorrise dolcemente e mi passò una mano sulla guancia. «È solo questione di abitudine. Adesso calmati».

Chiusi gli occhi e respirai profondamente per calmarmi, poi mi concentrai di nuovo sui vari strumenti di misurazione.
«Vai, sono pronta».

«Mi prometti di non svenire?».
Annuii, anche se non ero del tutto sicura di riuscire a mantenere quella promessa.

«Okay, allora». Nick iniziò, avvicinando l’indice al pungidito. «Per prima cosa devo prendere una goccia di sangue». Lo guardai trattenendo il fiato, ma durò davvero pochissimo e non mi fece vedere nulla, quando posò quella goccia nel misuratore elettronico. Dopo qualche secondo sullo schermo comparve un numero e Nick si sporse verso di me per farmi vedere meglio.

«In questo caso sono dentro la norma, non ho bisogno di fare l’iniezione per adesso».

«Okay, bene», risposi sollevata.

«Sarà per la prossima volta, così imparerai a farmi l’iniezione».

Mi portai di nuovo la mano sulla fronte, sentendo la testa riempirsi d’aria solo al pensiero. «Una cosa alla volta».

Nick ridacchiò e mi posò un bacio sulla fronte. «Stavo scherzando, amore. Adesso, prendi quell’agenda nera e la penna che hai di fianco al braccio e scrivi quello che ti dico io».

Presi fra le mani l’agendina e la osservai, sfogliandola velocemente. Riconobbi subito la sua scrittura. Ogni giorno c’erano scritti numeri simili a quello comparso sullo schermo del macchinario.
Tolsi il tappo alla penna e in modo ordinato, copiando lo schema che aveva usato il giorno precedente, annotai i risultati della glicemia ottenuti e ciò che aveva mangiato in maniera particolare.

«Questo serve per controllare i cambiamenti della glicemia e, nel caso ci fossero cose strane, chiamare il diabetologo», mi spiegò.

«Uhm, capito».

«Perfetto. Abbiamo finito, raggiungiamo gli altri».

«Di già?», domandai stupita.

Lui ridacchiò. «Di solito è l’iniezione che porta via un po’ di tempo, ma se si tratta solo di un controllo è molto veloce. Tu stai bene?».

«Sì, tutto a posto. E… grazie».

«E di che cosa?». Sistemò tutto nella sua valigetta e mi avvolse un braccio intorno alle spalle, portandomi in salotto dagli altri.

Aspettammo tutti insieme la mezzanotte, sfogliando valanghe di album fotografici dei piccoli Jonas Brothers. Io e Ale fummo sul punto di scoppiare a ridere o a piangere diverse volte: erano così teneri e dalle facce simpatiche!
Nick, poi, era qualcosa di spettacolare. Non avevo mai visto un bambino più bello di lui.

Rimasi ad osservare una sua foto, doveva avere circa dieci anni, un po’ più a lungo del previsto e tutti se ne accorsero.

«Vuoi voltare pagina o no?», mi domandò Joe, piuttosto irritato: gli dava fastidio non essere al centro dell’attenzione come al solito, a quel vanitoso!

«Sì, io…».

Nick rise intenerito e mi avvolse il collo con le braccia, baciandomi sui capelli.

Un flash mi colpì all’improvviso e sollevando lo sguardo vidi il padre dei fratelli Jonas munito di macchina fotografica.
Alla mia espressione quasi sconvolta, rispose: «Dovremo pure completare questo album! Fatene una migliore, quella di prima non credo sia venuta… bene», ridacchiò ed io avvampai.

Nick accostò il viso al mio ed io mi sforzai di sorridere, ma alla fine fui costretta a farlo perché mi fece il solletico con la mano posata sul mio fianco. Mi accorsi che anche mentre ridevamo insieme, minacciandoci con i cuscini del divano, il suo papà aveva continuato a scattare foto. Ero proprio curiosa di vederle, a quel punto.

Poi toccò a Joe ed Ale, che si erano esibiti in un photoshoot di boccacce, e pose davvero da oscar, e alla fine toccò a Kevin e Danielle, i due sposini.
L’avevo conosciuta per la prima volta quella sera e a malapena ci eravamo rivolte la parola, ma da come mi guardava sembrava che trasudasse gratitudine da tutti i pori, come se le avessi salvato la vita e fosse in eterno debito con me. Non riuscivo nemmeno immaginare quanto avesse sofferto quando suo marito – come suonava strano! – era scomparso e non sapevo se sapesse tutta la verità, ma non c’era davvero bisogno che mi ringraziasse e speravo di averglielo fatto capire con un sorriso.

«È quasi mezzanotte, sarà meglio iniziare ad avviarci verso la chiesa», disse la madre dei Jonas.

Nick annuì e si alzò, trascinandomi su con sé e guardandomi intensamente negli occhi per un attimo. Non capii ciò che mi volesse dire, ma lo scoprii poco più tardi, con enorme sorpresa e gioia.

«Prima di andare, però, vorrei fare una cosa», dichiarò. Tutti rimasero sbigottiti a quelle parole e calò un silenzio di tomba, tanto che mi parve di sentire in maniera fin troppo forte il cuore battermi nella cassa toracica.
Nick si inginocchiò di fronte a me, tenendomi una mano nella sua, e con l’altra tirò fuori dalla tasca della giacca elegante un piccolo cofanetto di velluto blu.

«Arianna McEagle», disse con voce incerta, anche lui emozionato, ma sorridente.
Arrossii nel sentir pronunciare il mio cognome da lui – era così strano! – e il cuore mi batté ancora più forte nel petto, come se volesse fuggire per tuffarsi di fianco a quello di Nick.
«Mi vuoi sposare?».

Credetti di svenire, ma poi mi ricordai quella volta sulla spiaggia, quando per la prima volta me lo aveva chiesto e io avevo accettato, e mi calmai. Chiusi gli occhi, mentre un morbido sorriso mi incurvava le labbra all’insù. Quando li riaprii, lucidi di lacrime, mi inginocchiai di fronte a lui per incatenare perfettamente lo sguardo al suo, lasciandolo un po’ sorpreso.

«Ne sarei onorata», sussurrai, per poi gettargli le braccia al collo e stringerlo forte.

Lui incominciò a ridere, come quella prima volta, e le statue dei nostri familiari ed amici finalmente si mossero, animati da una gioia che scosse anche i loro cuori. Il padre di Nick incominciò di nuovo a fare foto a raffica, girandoci intorno come un vero e proprio paparazzo, Ale iniziò a lanciare urletti d’eccitazione, Joe iniziò a gridare perché Nick non l’aveva avvertito, mia madre scoppiò a piangere come una fontana, mio padre provava a consolarla e mio fratello ancora non sapeva bene cosa fare e si guardava intorno spaesato.

Nick mi prese il viso fra le mani e mi posò vari baci a stampo sulle labbra, poi concentrò la sua attenzione sul cofanetto che teneva in mano.
«Non hai nemmeno guardato l’anello», disse, mettendo su un falso broncio.

«Scusa, ma pensavo ad altro in quel momento!», risposi, sentendo anche io quella felicità incontenibile che spingeva in qualche modo per fuoriuscire dal mio corpo: con una risata, un pianto, un urlo, non importava. Optai comunque per la risata e Nick si unì a me, contagiato.

Quando ci calmammo abbastanza, aprì il cofanetto e me ne mostrò il contenuto. Era un semplice anello d’argento, con un diamante incastonato al centro, ed era bellissimo proprio per questo.
Lo tirò fuori dalla custodia con cautela e me lo infilò al dito, leggermente commosso.

«Oh su, non fare così!», lo rimproverai dolcemente, accarezzandogli le guance. «Nick, è meraviglioso. Tu, sei meraviglioso. E ti amo più della mia stessa vita».

Nick non rispose, annuì soltanto con la testa, e capii che ricambiava tutto ciò che avevo detto. Sapeva che se avrebbe aperto bocca gli sarebbe scappato un singhiozzo, quindi aveva preferito evitare. Lo accolsi tra le braccia e lo cullai, fino a che non si sfogò un poco.

«Scusa», mi disse subito, spazzando via le lacrime dal viso. «Ma tu mi fai proprio un brutto effetto».

«Ah, è così?! Beh, posso sempre fare in tempo a rimangiarmi tutto quello che ho –!». Mi tappò la bocca con un bacio e tutti quelli intorno a noi si misero ad applaudire, ora che l’entusiasmo era un po’ scemato.

«Non vorrei proprio fare la guastafeste», disse Denise con la voce rotta dal pianto: anche lei, come mia madre, s’era lasciata andare all’emotività. «Ma siamo in ritardo per la Messa!».

Io e Nick ci guardammo negli occhi per un istante e fu come vedere il futuro: entrambi sapevamo esattamente che questo sarebbe stato un nuovo inizio per noi e per quanto difficile potesse essere, noi ce l’avremmo fatta sicuramente.

 

***

Conclusa la Messa di Natale, ci ritrovammo tutti nel piazzale della chiesa, al freddo della notte e coi visi illuminati solo dalle luminarie appese ai lampioni che costeggiavano le strada.
Ci scambiammo tutti gli auguri, dandoci baci e abbracci e rabbrividendo ogni volta che ci allontanavamo da un corpo caldo per passare ad un altro.

Ale fu l’ultima che incontrai e lei mi gettò le braccia al collo, stringendomi fortissimo e tirandomi un po’ in disparte per parlare.
«Tu lo sapevi che te lo avrebbe chiesto, vero? Non dire di no, perché sono sicura che tu non ti saresti mai comportata con tanta tranquillità se non avessi saputo nulla!».

«Okay, lo ammetto», ridacchiai. «Me lo aveva già chiesto, forse anche più di una volta… ma l’ultima volta è stata dopo il mio ricovero in ospedale, quando siamo rimasti soli nella villa dei Jonas nell’altra dimensione».

«E per quale assurdo motivo non mi hai detto niente?!», strillò a bassa voce, picchiandomi sul braccio.

Io risi ancora. «Neanche Nick ha avvisato qualcuno, perché te la prendi solo con me?».

«Perché tu sei la mia migliore amica e credevo che una cosa del genere fosse una di quelle da dire assolutamente fra migliori amiche!», ribadì il concetto un paio di volte, facendomi roteare gli occhi verso il cielo scuro.

«Okay, mi dispiace infinitamente. Posso farmi perdonare in qualche modo?».

I suoi occhi si illuminarono all’improvviso. «Sarò la damigella d’onore?».

«Certo».

Lanciò un gridolino e mi gettò di nuovo le braccia al collo. «Sei perdonata, allora!».

«Perfetto», dissi, divertita. «Allora torniamo dagli altri».

«No, aspetta!», mi prese per il braccio e mi trascinò di nuovo a sé. «Ti devo chiedere una cosa!».

«Che cosa?».

«Io, ecco…Giusto per non fare figure di cacca, anche se credo di averne già fatta una…».

Con la fronte aggrottata, le presi le mani nelle mie e dissi con calma: «Spiegati meglio Ale!».

«Vedi, un paio di settimane fa, tipo… Joe ed io siamo usciti e quando mi ha accompagnato a casa, sfruttando il fatto che in casa non ci fossero i miei genitori, gli ho chiesto se voleva entrare, ma lui…».

Un sorriso più che divertito comparì sulle mie labbra. «Ha… gentilmente rifiutato?».

«Non ridere Ary, ci sono rimasta veramente male! Ma non gli ho chiesto il motivo: mi vergognavo troppo per quello che era successo. Quella sera ho fatto delle ricerche e mi chiedevo se allora…».

Avevo già capito dove voleva andare a parare, ma vederla in difficoltà con quell’argomento in cui si era sempre destreggiata alla grande era davvero uno spasso!
«Cosa?», domandai.

«Allora è vera quella storia, che loro non…».
La guardai di traverso, fingendo ancora di non capire. 
«Sì, loro non… Dai, hai capito! Per via di quell’anello…».

«L’anello della purezza, dici?».

Lei mi guardò in modo eloquente e scoppiai definitivamente a ridere.
«Quindi è vero?!», esclamò a voce fin troppo alta e con un tono che sembrava quasi scandalizzato. «Fino al matrimonio loro non…».

Annuii col capo, senza nemmeno immaginare come sarebbero andate a finire le cose…

«Non ci posso credere… Ma quindi tu e Nick ancora non…!».

Il mio viso perse immediatamente colore, nonostante facesse così freddo da renderlo arrossato, e il sorriso che avevo avuto fino a quel momento scomparve.
Le gettai in fretta una mano sulla bocca, per farla tacere, e i suoi occhi si illuminarono ancora di più, tanto da potervi leggere dentro: “E ora chi è che ride?!”

Si liberò dalla mia stretta, sogghignò e disse: «Secondo me è per questo che te lo sposi, altroché. Così almeno potete finalmente…!».
Rossa fino alle punte dei capelli, ma con sguardo severo, provai di nuovo ad azzittirla contro la sua volontà, ma lei si divincolò e mi lanciò uno sguardo di sfida.

«Non mi guardare così, lo sai perfettamente che stai sparando un sacco di cavolate!», sbottai. «Io ho detto di sì a Nick perché lo amo e voglio passare tutta la vita con lui, non di certo per quello che dici tu, sciocca!».

Ale sollevò improvvisamente gli occhi ed ebbi un brutto presentimento. Lentamente mi voltai e alle mie spalle c’era proprio Nick, che mi sorrise dolcemente.

«T-tu… da quanto sei qui?», balbettai.

«Quanto basta», disse chinandosi sul mio viso, per posarmi un lieve bacio sulle labbra.

Il freddo sparì in un attimo, stretta fra le sue braccia, e non avrei mai voluto farne a meno, ma Nick mi prese per mano e mi portò dalle nostre famiglie.

«Andiamo, tesoro?», mi domandò mia madre, guardando dolcemente anche Nick. «Si sta facendo davvero tardi e ho detto a Denise che saremmo molto felici se domani venissero loro a pranzo da noi!».

«Stai scherzando?». Ero praticamente sconvolta: mia madre e la cucina erano proprio incompatibili!

«Certo che no!».

«Allora cucina papà, spero!».

Mia madre mise su un broncio, facendo sorridere Nick, che mi guardò: chissà, forse aveva notato qualche somiglianza fra noi due.

Mio padre avvolse un braccio intorno alle sue spalle e la strinse a sé. «Se io sarò lo chef, tua madre sarà il mio primo cuoco».
A quelle parole mamma si addolcì e distolsi lo sguardo: mi faceva troppo strano vederli scambiarsi quelle smancerie!
Nick non sembrava avere quel tipo di problema e li guardava quasi al settimo cielo. Avrei pagato oro per sapere a che cosa stesse pensando, ma forse ce l’avevo davanti agli occhi la risposta: al futuro.

Le nostre famiglie si salutarono ancora una volta ed io sussurrai a Nick qualche parola nell’orecchio prima di baciarlo sulle labbra e raggiungere i miei genitori, mio fratello e Ale.
Salimmo in auto e la mia migliore amica, seduta al mio fianco, mi pizzicò il braccio.

«Vai da Nick, dopo?», mi chiese a bassa voce.
Annuii, raggiante, e lei sbuffò afflosciandosi sul sedile. «Quanto invidio te e il tuo –!».

«Perché, Ale? Sono sicura che anche Joe prima o poi ti chiederà di sposarlo!», disse mia madre, con le labbra arricciate in un sorrisino.

Ale avvampò, negando agitando le mani di fronte al petto. «Non ci tengo a sposarmi così giovane!».

Sorrisi, pensando che anche io la prima volta avevo reagito in quel modo ed ora al dito portavo un anello di fidanzamento.

Una volta accompagnata Ale, tornammo a casa anche noi. Ci augurammo la buona notte e ognuno si rintanò nella propria stanza.

Sdraiata sul mio letto, al buio e nel silenzio che regnava in tutta la casa, continuai a guardare l’anello che portavo all’anulare della mano sinistra fino a quando non fui sicura che tutti stessero dormendo. Allora chiusi gli occhi.
Pochi secondi dopo, con espressione serena sul viso, mi strinsi alla schiena di Nick, sotto alle coperte.

«Hai fatto presto», mi sussurrò, voltandosi ed abbracciandomi. «Meglio così, iniziavi già a mancarmi».

Sorrisi, soffocando una risata leggera sulla sua gola. «Io stento ancora a credere che diventerò tua moglie».

Fissò gli occhi nei miei e mi scostò il ciuffo di capelli bianchi dalla fronte. «E perché mai?».

«Perché mi vedo ancora troppo giovane… mai avrei immaginato di sposarmi così presto. Tutti quelli che mi conoscono penseranno che sarà un matrimonio riparatore, o dettato dal fatto che tu sei famoso. Non so se riuscirò a sopportarlo».

«Scommetto invece che ci riuscirai benissimo, perché sai qual è la verità». Dopo qualche secondo di silenzio, ridacchiò.

«Perché ridi?».

«Ti immagini un marmocchio tutto nostro? Sarebbe uno spasso!».

«Nick, per piacere, una cosa alla volta!», dissi scandalizzata, portandomi due dita sugli occhi. Non eravamo ancora sposati e già pensava ad un bambino! Era malato, decisamente.
«Piuttosto, a quando le nozze?», domandai. «Dovremmo decidere una data…».

Nick si voltò a guardare il soffitto, facendomi posare la testa sulla sua spalla. «Da quello che ho capito, dopo l’uscita del nuovo CD ci sarà un periodo di promozione, un paio di mesi, e poi un piccolo tour mondiale…».

«Scusa, ma come fa un tour mondiale ad essere piccolo?».

Lui rise lievemente e mi posò un bacio sulle labbra. «L’estate prossima? Verso giugno, magari, così non è troppo caldo».

«Giugno… Subito dopo gli esami? Riuscirò a stare a dietro alla scuola, alla dimensione parallela, a te, al matrimonio…».

«Se vuoi possiamo anche posticipare, per me non…».

«No, giugno mi piace come mese», risposi con un sorriso. «E ce la farò, devo farcela».

«Così mi piaci», sussurrò ad un soffio dalle mie labbra.

Gli presi il viso fra le mani ed annullai la distanza tra noi. Mentre mi baciava fece scorrere la mano sul mio fianco, sfiorandomi la pelle e provocandomi mille brividi, e raggiunse la mia mano sinistra, su cui trovò l’anello che mi aveva regalato.

«Mi sono riscattato dall’altra volta?», mi chiese, posando la fronte contro la mia.

«Oh sì, decisamente… hai fatto tutto proprio in stile Nicholas Jerry Jonas».

Ci sorridemmo e stretti in un abbraccio ci addormentammo.

_________________________________________

 

Ciao a tutti! :D
Beh, questo è un altro capitolo molto dolce e, come dire... non si può non essere contenti per Nick e Ary, che stanno per veder realizzato il loro sogno d'amore, nonostante le tante difficoltà e il lavoro di Nick! *-* Sono proprio una bella coppia, si completano!
Voi che ne pensate? Come al solito sono ansiosa di conoscere il vostro giudizio, negativo o positivo che sia ;)
Ringrazio chi ha letto e commentato lo scorso capitolo, ossia ___Unbroken e Chiare_skyscraper :)

Al prossimo capitolo, che... accidenti, è l'ultimo! D: Ma in compenso sarà un po' più lunghetto :)
Allora ciao! Vostra, _Pulse_

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20

 

Ogni tanto ci avevo provato a teletrasportarmi dove si trovava Nick, ma l’avevamo capito subito che era troppo difficile e rischioso: uno, non sapevo mai dove andavo a finire perché non conoscevo il luogo; due, prima o poi avrei finito per apparire improvvisamente di fronte a qualcuno e non sarebbe stato bello.
Quindi avevo lasciato perdere, arrendendomi al fatto che dovevo stare lontana da Nick per i mesi in cui i Jonas Brothers promuovevano il loro nuovo album e suonavano ogni sera in una città diversa del mondo.
Io potevo pure avere il dono del teletrasporto, anche fra dimensioni, ma ero certa che Nick avesse visto molti più paesi di me nel corso della sua carriera.

Comunque questo allontanamento forzato non fu solo una sofferenza, perché riuscii a concentrarmi di più sulla scuola e la mia media magicamente si risollevò, tanto da darmi qualche speranza di essere ammessa all’esame finale della highschool. Inoltre, ebbi anche più motivazioni per aiutare le persone nell’altra dimensione: in poche parole, per non sentirmi troppo sola e non pensare a quanto mi mancasse, mi davo al “volontariato” e trasportavo di qua e di là la gente.

Le cose sotto quel punto di vista andavano benissimo, perché ormai io, mio fratello e Fiore ci avevamo preso l’abitudine e portare la gente a casa non era più un problema per noi.
L’aeroporto dimensionale funzionava benissimo, gestito da quelle persone che, vuoi perché lì si erano rifatte una nuova vita o non avevano niente da spartire con l’altra dimensione, non avevano intenzione di tornare a casa.

A volte era persino capitato che qualcuno aspettasse di essere portato a casa e poi una volta arrivato là si rendesse conto che non c’era più niente di suo, che era stato cancellato come se non fosse mai esistito, e per non causare altro dolore si presentava a casa nostra e chiedeva di essere riportato nell’altra dimensione.
La maggior parte delle volte il nostro lavoro andava a buon fine, ma c’erano anche quei tristi casi che ogni volta ci facevano cadere una pietra sul cuore.

Il nostro era un servizio assolutamente gratuito, ma era ormai diventata un’abitudine per i “trasportati” fare un’offerta di qualsiasi genere all’aeroporto – cesti di frutta, torte e pasticcini, denaro, case che sarebbero rimaste inabitate, altre proprietà – che poi venivano distribuite fra il comune del paesino e tutti i dipendenti della grande struttura.

Per me era arrivato ad essere un vero e proprio lavoro che a volte mi impegnava fino alla sera tardi, e nonostante mi fossi sempre rifiutata di ricevere un compenso dal comune del paesino in cui agivo, ma in cui si erano riversate tantissime persone anche da altri paesi per richiedere i moduli per tornare a casa, il sindaco in persona aveva aperto un conto corrente a mio nome in banca, su cui depositava ogni mese il mio “stipendio”.

Comunque, in quei mesi che precedettero il giorno fatidico, la mia vita divenne più abitudinaria e furono poche le cose che la sconvolsero, come per esempio un ritorno improvviso ad Hollywood di Nick e dei suoi fratelli a causa di un piccolo concerto organizzato a Los Angeles da uno dei loro innumerevoli sponsor.

Fu una serata che non avrei dimenticato facilmente, perché dopo il concerto eravamo andati in un locale molto esclusivo per fare il nostro “after party” e per la prima volta avevo visto Joe ubriaco. Nick mi aveva detto che non succedeva spesso, perché tutti e tre erano attenti a quelle cose, ma quando accadeva… c’era da divertirsi. E come aveva ragione! Joe aveva ballato sui tavoli, aveva rovesciato addosso ad Ale un bicchiere ancora mezzo pieno e le aveva sparate grosse, tanto che l’avremmo preso in giro per l’eternità.

La seconda cosa che spezzò la calma piatta – e un po’ malinconica – che avevo vissuto in quel periodo, fu la scomparsa, seppur di soli due giorni, di Edoardo, il fratello minore di Ale.
Accadde un giorno qualunque: uscì di casa per andare a scuola e non vi ritornò per tutto il giorno. Non aveva avvisato nessuno, i suoi genitori e sua sorella stettero in piedi tutta la notte ad aspettarlo e quando all’alba non lo videro ancora tornare, chiamarono la polizia per denunciarne la scomparsa.

La mia migliore amica mi chiamò al cellulare alle cinque e mezza del mattino, facendomi carambolare giù dal letto, e non ci fu nemmeno bisogno di spiegarmi tutto quanto: in quattro e quattr’otto la raggiunsi e rimasi con lei per tutto il tempo, liberandomi dal suo abbraccio stritolatore solo una volta, per chiamare Nick al cellulare ed avvisarlo dell’accaduto.

Sarebbe dovuto passare un altro giorno perché Edoardo si facesse di nuovo vivo a casa, in uno stato di shock e di semi-mutismo. Preoccupati e spaventati da ciò che avrebbe potuto essergli accaduto, i suoi genitori avrebbero voluto portarlo all’ospedale, ma lui si rifiutò, dirigendosi in cucina, prendendo dalla credenza un po’ di cose da mangiare e una bottiglia di Coca Cola e rifugiandosi nella sua camera.

Non aveva detto nulla a proposito della sua strana sparizione e non sembrava intenzionato a parlarne, nemmeno con sua sorella, con cui si era quasi sempre confidato. Avevano solo due anni di differenza e il loro rapporto era sempre stato buono, ma il comportamento che ebbe quella sera fu davvero incomprensibile, a me come a lei.
Ale aveva provato in tutti i modi a farlo aprire, rassicurandolo, ma non era riuscita a cavare un ragno dal buco. Io, che avevo seguito tutto da dietro la porta, avevo sbirciato all’interno della camera sentendo uno strano silenzio e avevo visto Ale alzarsi e raggiungermi sconsolata e con i segni delle lacrime ancora sulle guance. L’avevo consolata e prima di accompagnarla in cucina incontrai per un attimo solo lo sguardo di Edo: sembrava così impaurito, confuso e solo… Un’idea mi aveva attraversato il cervello come un lampo a ciel sereno, ma l’avevo subita catalogata come improbabile e non ci avevo pensato oltre.
Se avessi fatto meglio a pensarci, se avessi almeno provato a parlare con lui, l’avrei scoperto solo qualche mese dopo.

 

***

 

La mattina del fatidico giorno, mi alzai dal letto con delle orribili occhiaie sotto agli occhi: non avevo dormito tutta notte e quelli erano i disastrosi risultati.
Scesi in salotto e trovai mia madre seduta sul divano, che accarezzava con sguardo perso le rose color rosa pallido cucite sulla vita del mio vestito da sposa. Mi appoggiai alla parete con la spalla, chiedendomi a che cosa stesse pensando.

«Mi ricordo come se fosse ieri il giorno in cui io e tuo padre ci siamo sposati», disse all’improvviso, come se mi avesse letto nel pensiero. Potei soltanto immaginare il sorriso commosso che aveva sul viso, dato che mi dava le spalle.
«E adesso sei tu a doverti sposare… tesoro, è passato così tanto tempo da allora…».

«Ma voi siete sempre rimasti gli stessi, nel bene e nel male».

Si voltò e mi guardò negli occhi, sistemandosi gli occhiali sul naso. Mi fece cenno di raggiungerla e mi sedetti sul bracciolo del divano per stringerla in un abbraccio.
«Non piangere, mamma…».

«Ti ho vista crescere sotto i miei occhi, sbocciare come un fiore, e sono così orgogliosa di ciò che sei diventata… amore, ho una cosa da darti».

La guardai mentre si alzava e raggiungeva la cucina, prendeva una scatoletta infiocchettata da sopra il tavolo e me la portava.
«Tutte le donne della mia famiglia l’hanno indossata al loro matrimonio e ora tocca a te».

Aprii la scatoletta con le mani un po’ tremanti e al suo interno tolsi la carta velina un po’ ingiallita che conservava gelosamente una collana di piccoli diamanti quadrati che univano diamanti a goccia di diverse dimensioni, tra cui il più grande si trovava al centro.
Il fiato mi si mozzò in gola e a stento riuscii a dire: «È bellissima…».  

Mia madre si alzò e la tirò fuori dalla scatola. La luce del sole del mattino si infranse nei diamanti e ne vidi i riflessi sul suo viso. Si mise alle mie spalle e mi disse di sollevare i capelli per mettermela al collo.

«Ma sono ancora in pigiama, mamma…», provai ad obbiettare, ma non me lo permise: «Voglio solo vedere come ti sta».
Allora me l’allacciò al collo e posò le mani sulle mie spalle per voltarmi ed osservarmi.

Una lacrima le sfuggì dall’occhio destro. «Oh tesoro…».

L’abbracciai delicatamente e posai la guancia contro la sua, sentendomi davvero felice di aver preso la scelta migliore, quella di sposare Nick.

Quando mia madre si calmò, misi qualcosa sotto i denti e intanto mio padre e mio fratello si svegliarono, raggiungendomi in cucina. Con Davide avevo parlato pochissime volte del matrimonio, ma quella mattina bastò uno sguardo per capire che era contento per me.

Poi arrivò la parrucchiera, amica di mia madre, che mi avrebbe acconciato i capelli per la funzione. Così fui costretta a dedicarmi alla parte più noiosa di quella giornata: la preparazione della sposa.
Dovetti indossare il mio abito e appena me lo vidi addosso, esattamente come la prima volta in cui l’avevo provato, sentii mille brividi corrermi sulla schiena.

Mentre la parrucchiera si occupava dei miei capelli, mia madre ebbe l’idea di farmi il trucco, ma per fortuna arrivò Ale appena in tempo ad evitare il disastro.
La mia migliore amica era paradossalmente ancora più agitata di me, ciononostante rese il mio viso perfetto, delicato e luminoso come baciato dalla luna, e limando e lucidando le mie unghie, sempre un po’ trascurate, le rese bellissime, facendo una semplice french bianca e dipingendo dei piccoli fiori rosa chiaro sugli angoli.

Quando finalmente uscii dal bagno, mio padre e mio fratello stentarono a riconoscermi.

«Bocciolino, sei bellissima», disse mio padre, anche lui con un po’ di occhi lucidi, nel suo completo grigio così elegante e così insolito per i miei occhi.

Abbassai il capo, imbarazzata, e sussurrai dei ringraziamenti. Mio fratello avrebbe voluto abbracciarmi, ma Ale glielo vietò severamente, dicendogli che avrebbe  sicuramente rovinato la sua opera d’arte. Allora Davide si limitò a sorridermi.

«Okay, allora siamo pronti?», domandò mia madre, porgendomi il bouquet.

La guardai da capo a piedi e anche lei si accorse che era ancora in tuta da ginnastica. Si portò le mani nei capelli e corse a cambiarsi.

 

***

 

Nick fu uno dei primi, insieme alla sua famiglia, ad arrivare all’anonima chiesetta della cittadina in cui abitava la sua futura sposa, dove avevano deciso di sposarsi, quel giorno addobbata con un’infinità di fiori bianchi.

Pian piano aveva visto la panchine riempirsi e aveva salutato più parenti ed amici che poteva, poi, quando fu quasi l’ora, si riservò un momento di solitudine per calmare il cuore che gli batteva nel petto a velocità folle.

Si rifugiò nella stanza in cui solitamente si preparavano il prete e i chierichetti e si portò le mani sul viso.

Non poteva fare a meno di essere agitato, anche se sposare Ary era la cosa che desiderava di più al mondo. Erano entrambi così giovani, avevano tutta la vita davanti e in quel momento più che mai ebbe paura di non farcela, di non riuscire a conciliare il suo amore per lei e ciò che sarebbe venuto dopo la loro unione in matrimonio e la sua vita da musicista, così frenetica e che lo portava assiduamente lontano da casa.
Forse aveva avuto ragione Ary, quella volta in cui gli aveva detto che era troppo giovane per sposarsi. Forse sarebbe stato meglio annullare tutto, rimandare tutti gli invitati a casa e rispedire indietro tutti quei fiori dal profumo dolce.

Sentì la maniglia della porta abbassarsi e Joe comparire sulla soglia. Il chiacchiericcio di tutti gli invitati raggiunse le orecchie di Nick insieme alle parole di suo fratello:
«Ale mi ha mandato un sms, dice che stanno arrivando».

«Oh, perfetto», mormorò Nick, lasciandosi andare ad un tremito e ad un sospiro di nervosismo.

Joe fece un sorrisino e raggiunse il fratello, appoggiandosi al muro al suo fianco. «Ci stai ripensando, per caso?».

«No, io… no, non credo…».

«È solo la fifa pre-matrimonio. O hai paura che Ary scopra quello che abbiamo fatto per il tuo addio al celibato?».

Nick sogghignò. «Io non ho fatto proprio niente, sei tu che dovresti aver paura che Ale lo scopra».

Joe diventò paonazzo. «Ero mezzo ubriaco, sai come divento…».

«Ti sembra una buona scusa? Ti sei messo a ballare sul cubo con una spogliarellista! Io e Kevin non riuscivamo più a tirarti giù!».

I due fratelli si guardarono negli occhi per qualche secondo in silenzio, poi scoppiarono a ridere contemporaneamente.

«Forza, andiamo», disse Joe, dandogli una pacca di conforto sulla schiena. «O vuoi che Ary arrivi prima di te all’altare?».

Nick, decisamente più tranquillo, seguì il fratello maggiore e si sistemò di fronte all’altare, vicino al prete che avrebbe recitato la funzione, con il quale, nell’attesa, scambiò qualche parola.

Inoltre, Nick adocchiò la madre e il fratello di Ary entrare in chiesa e raggiungere i loro posti in prima fila, insieme ad Ale, che si mise seduta accanto a Joe.
Quella che tra poco sarebbe diventata sua suocera gli sorrise raggiante incrociando il suo sguardo, anche se aveva gli occhi già umidi di lacrime. Nick ricambiò e finalmente un pesante silenzio cadde su tutti i presenti, che si voltarono verso l’entrata della chiesa.

 

***

 

Prima di scendere dall’auto, osservai la facciata della chiesa che da bambina avevo frequentato ogni domenica e nella quale ora mi sarei sposata.

Sentii i battiti del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie e mi portai una mano sul petto, percependo le pulsazioni appena sotto la pelle, come se stesse spingendo per fare un buco e scappare via. Anche io avrei voluto farlo, avrei voluto teletrasportarmi nell’altra dimensione ed iniziare a correre sulla spiaggia, con i piedi nell’acqua del mare e bagnandomi tutto il vestito, ma al solo pensiero che io e Nick stavamo per unirci in quel legame così forte ed intimo, scossi il capo e mi costrinsi a cacciar via tutta la paura.

Mio padre aprì la portiera dell’auto e mi porse la mano per aiutarmi a scendere. L’afferrai saldamente e controllai che le rose sul mio vestito non si fossero spostate, poi respirai profondamente ed iniziai a salire i gradini che portavano all’entrata.

 

***

 

La vide alla fine della navata, che camminava a braccetto con suo padre. Rimase sempre più senza fiato man mano che si avvicinava, mentre i particolari del suo vestito, del suo viso, dei suoi capelli, diventavano più chiari.
Il corpetto color rosa pallido e ricamato finemente con temi floreali metteva in risalto le sue forme equilibrate e la gonna di seta bianca, con i drappeggi trasparenti fermati da piccole rose dello stesso color rosa pallido, era semplicemente incantevole.
I capelli biondi erano raccolti in uno chignon, anche se qualche ricciolo le ricadeva sulle spalle nude, ed erano adornati da piccole roselline che richiamavano quelle sul suo vestito.
Infine, aveva un po’ di mascara sulle ciglia e un po’ di ombretto sulle palpebre, che era un misto fra l’argento e il rosa pallido che richiamava il colore del suo vestito. Per il resto il suo viso era bello come al solito, anche se più luminoso e vivo, nonostante il trucco acqua e sapone. Ma non c’entrava nulla il trucco, perché quando Nick le tolse il velo dal viso rimase ancora più incantato dalla luce che aveva negli occhi: era felice, per quello era ancora più bella.

In quegli occhi Nick lesse le stesse sue paure, ma scorse anche la certezza che il loro futuro non doveva incutergli alcun timore, perché insieme avrebbero superato qualsiasi ostacolo.
Si sorrisero, trattenendosi per non scoppiare a ridere a causa della loro stupidità, e si scambiarono poche parole colme d’imbarazzo e d’amore, poi il prete iniziò ufficialmente la celebrazione.

 

***

 

La funzione era durata più di quanto mi aspettassi e avevo dovuto sforzarmi parecchio per non sbadigliare quando ne sentivo la necessità. Per fortuna al mio fianco c’era sempre stato Nick: un solo sguardo e tutto poteva prendere una sfumatura diversa, dall’emozionante al divertente.
Quando finalmente era arrivato il momento clou, ossia quello dello scambio delle fedi e della promessa, tirai un sospiro di sollievo. Mio fratello Davide aveva fatto da paggetto, attraversando la navata centrale per portarci le fedi, e mi aveva fatto così tanta tenerezza quando era arrossito che avrei voluto mollare tutto e correre ad abbracciarlo.
Però alla fine mi ero trattenuta, perché mancava ancora la parte più importante, quella del «Sì, lo voglio», la parte che fece scoppiare a piangere mia madre, la madre di Nick, Ale e persino Joe. Era stata davvero dura non scoppiare a ridere nemmeno dopo aver visto le sue lacrime, ma fortunatamente ce l’avevamo fatta giusto il tempo necessario per sentir dire: «Ora può baciare la sposa» e reprimere quella risata l’uno sulle labbra dell’altro.
Uno scroscio d’applausi ci aveva accompagnati fino all’esterno della chiesa e una volta fuori fummo inondati da una pioggia di chicchi di riso che ci finirono tra i capelli e tra i vestiti.

Il fotografo che mio padre aveva ingaggiato ci girava intorno, scontrandosi con la concorrenza: il padre di Nick, il quale aveva voluto essere il fotografo d’eccezione per quell’occasione.
Avremmo dovuto fare pure due album fotografici, come se i due matrimoni che avevamo programmato non fossero stati abbastanza. Io e Nick, infatti, avevamo deciso che il nostro matrimonio sarebbe stato celebrato in due luoghi diversi: il primo nella nostra dimensione d’appartenenza, il secondo nella dimensione nella quale ci eravamo incontrati ed era nata la nostra storia, quella che ci aveva in qualche modo adottati.

Il tempo di andare al ristorante, mangiare e festeggiare ancora con i nostri parenti e i nostri amici, e ci preparammo per andare nell’altra dimensione.
Con noi sarebbero venute le persone strettamente necessarie, perché non era necessario che tutti assistessero ad entrambe le celebrazioni e poi perché avrebbe dovuto pensarci solo Davide a riportarle indietro. Quindi vennero solo Kevin, Joe, Ale e ovviamente mio fratello.

Con delle scuse i diretti interessati si allontanarono dalla festa, con i miei familiari come complici, e facendo attenzione a non farci vedere ci teletrasportammo nell’altra dimensione, alla villa dei Jonas.
Erano quasi le quattro del pomeriggio e fuori dalla villa c’erano già due auto che attendevano il nostro arrivo.

«Ci vediamo là», disse Nick, prendendomi fra le braccia e baciandomi in una specie di casquet.
Il cuore mi rimbombò nelle orecchie, pensando che ormai eravamo marito e moglie, e ricambiai al bacio come se fosse stato il primo.

«Forza Nick, andiamo. Avrai tempo di spupazzartela durante la luna di miele!», gridò Joe, trascinandoselo dietro tirandolo per un braccio.

I nostri sguardi non si separarono, nonostante il rossore che si era impadronito delle nostre guance. Lo guardai uscire dalla porta, andare all’auto ed allontanarsi lungo il sentiero nella fitta vegetazione.

«Signorina, lei è pronta?», domandò l’uomo che evidentemente doveva essere il mio autista.

«Ahm… sì, però dovrei chiederle un favore».

L’uomo si accigliò, in attesa, ed io sorrisi.

 

 

Scesi dall’auto ringraziando ancora una volta l’autista, entrai nel cimitero e camminai tra le tombe, tenendo un po’ sollevato il vestito per non sporcarlo d’erba. Raggiunsi la sua tomba e sorrisi amaramente, guardando la foto che la ritraeva bella e felice, coi capelli rossi che le incorniciavano il viso chiaro.

«Ciao, Charlotte», sussurrai con le lacrime agli occhi. Ma non dovevo piangere, non potevo. Così tirai su col naso ed accennai un altro sorriso.
«Probabilmente già lo sai, ma io e Nick ci stiamo per sposare. Beh, tecnicamente siamo già sposati, però nell’altra dimensione. Comunque… volevo passare a dirtelo di persona e a salutarti… Ci manchi, lo sai? Ogni tanto Nick ti pensa. Lui non lo ammetterà mai, però io lo so che qualche volta lo fa: i suoi occhi cambiano, si allontanano… Se hai tempo, da lassù o da dove ti trovi adesso, potresti guardarci. Saresti stata la prima invitata al matrimonio, anche se non so se tu saresti venuta. Mi avrebbe fatto davvero piacere. Vorrei che tu… che tu fossi ancora qui».

Tirai di nuovo su col naso ed abbassai lo sguardo, incontrando i fiori del mio bouquet. Non avrei dovuto farlo, ma lo feci comunque: li posai sulla sua tomba, sicura che lei sarebbe stata la persona più adatta a riceverli, perché se li meritava.


Dopo quella mia breve fermata, l’autista mi portò fino alla chiesa del paesino e rimasi scioccata quando vidi tutte le persone del posto riunite nelle strade, nella piazza e di fronte alla chiesa: stavano aspettando solo noi, perché tutti avrebbero voluto partecipare al matrimonio, ma non era possibile stare tutti riuniti nella piccola chiesa.

Salutai con la mano tutti quelli che riuscivo a riconoscere nella folla, sentendomi una vera principessa, e quando l’autista si fermò e fece faticosamente il giro dell’auto per venire ad aprirmi la portiera il boato che dall’interno avevo sentito in modo solo attutito, mi colpì le orecchie, facendomi temere per il mio povero udito. Ma c’era così tanta gioia in quelle urla, così tanto entusiasmo in quegli applausi e in quei fischi, che non potei fare altro che sorridere imbarazzata e sollevare una mano per salutare ancora la folla.
Strabiliante come fossi divenuta importante per loro, mentre nella mia dimensione ero appena diventata “qualcuno” sposando Nick Jonas dei Jonas Brothers.

Vidi Alessandro, che avrebbe sostituito mio padre, farsi spazio tra la folla per venire a prendermi e gli sorrisi raggiante.
«Wow, sei proprio sexy in giacca e cravatta!», dissi.

«Cosa? Non sento niente!», gridò lui, porgendomi il braccio. All’interno della chiesa era già iniziata la musica di accompagnamento alla marcia nuziale.

«Te lo dico dopo!».

Il matrimonio si ripeté ancora una volta, ma fu bellissimo vedere riunite tutte le persone che avevo conosciuto durante l’avventura in quella dimensione parallela, che mi avevano aiutata nei momenti difficili e che amavo.

C’erano le due cheerleader amiche di Charlotte, c’erano Fiore e Alessandro, c’era il sindaco (che qualche mese prima mi aveva eletta cittadina onoraria), c’erano tutti i dipendenti dell’aeroporto dimensionale, e c’era persino il gigante buono che dopo la sconfitta della vecchia megera era diventato il migliore amico di tutti i bambini del paese.

La festa che i paesani ci avevano organizzato era completamente all’aria aperta, nella piazza principale, dove c’era un piccolo palco su cui suonava una band di musica blues e persino una zona in parquet dove ballare. Ovviamente, io e Nick dovettimo aprire le danze.

Non mi ero mai divertita tanto in vita mia e il momento in assoluto più bello fu quando Nick sorprese tutti e salì sul palco, scambiando qualche parola con la band.
Con un cenno del capo mi invitò a seguirlo ed io, un po’ impacciata a causa del vestito, mi aggrappai alle sue mani per paura di inciampare. Nick mi sorresse come solo lui sapeva fare e mi fece sedere accanto a lui sul lungo sgabello di fronte al pianoforte.

Mi guardò dolcemente e avvicinò la bocca al microfono per sussurrare: «Solo per te, amore. Ti amo».

Già in quel momento avrei voluto scoppiare a piangere, ma mi trattenni per tutta la durata della bellissima canzone che aveva scritto solo ed esclusivamente per me. Finalmente anche io ne avevo una ed era la più bella che avessi mai sentito: rappresentava il cuore di Nick, la sua intera anima… e io ne facevo parte.

Uno scroscio di applausi e di fischi ci investì quando anche le ultime note si dispersero nel vento ed io gli gettai le braccia al collo, stringendolo fortissimo a me.

«E questa è solo una fra le tante che ho scritto per te, lo sai», mormorò con le labbra premute sul mio orecchio.

«Tu sei pazzo, ma ti amo da morire Nick. Grazie, grazie di tutto».

Lui rise e mi prese il volto fra le mani, poi mi baciò, facendo aumentare di diversi decibel i suoni di gradimento prodotti dalla folla.

La festa durò ancora a lungo, tanto che quando la notte prese il sopravvento sul giorno e la luna piena iniziò a brillare nel cielo blu, quasi nessuno era già tornato a casa.
Da tradizione, noi ce saremmo dovuti andare per primi e così facemmo, salutando con un cenno della mano Ale e Joe che si scatenavano sulla pista da ballo, dando una pacca sulla spalla a Kevin e rivolgendo sorrisi e ringraziamenti a chiunque incontrassimo sulla nostra via.
Nick corse ad aprirmi la portiera dell’auto bianca, sulla cui cappotta c’era disegnato un cuore enorme, e mi fece salire; poi raggiunse il posto di guida e partì alla volta della villa dei Jonas, mentre io ancora mi intrattenevo a salutare tutti quelli che potevo sporgendomi dal finestrino.

Lentamente le luci e i suoni della festa si affievolirono alle nostre spalle e rimanemmo soli. Guardai il profilo di Nick e sorrisi, portandomi un dito alle labbra.

«Che c’è?», mi domandò, contagiato dalla mia ilarità.

«Niente, stavo giusto realizzando che adesso siamo marito e moglie».

Un po’ scettico, sollevò il sopracciglio. «E ti fa ridere?».

«Non rido perché lo trovo divertente, ma perché tutta la gioia che ho dentro deve pure esternarsi in qualche modo!».

Nick si limitò ad allargare ancora di più il suo sorriso e a scuotere il capo.

Mi accorsi che aveva preso il sentiero sbagliato e gli posai una mano sul braccio per avvertirlo, ma non ebbi nemmeno il tempo di parlare, perché lui disse subito: «Non ho sbagliato strada. Fidati di me».

Interdetta, unii le mani sulla gonna del vestito e rimasi in silenzio ad osservare il suo viso tranquillo e sereno baciato dalla luce della luna, gli occhi luminosi fissi sulla strada.

Prese un sentiero leggermente in discesa, questo voleva dire che ci stavamo avvicinando di più alla spiaggia. Ben presto tra la fitta vegetazione vidi il profilo del mare che brillava e riuscii persino a scorgere, strizzando gli occhi, il fianco di una casa, o di un capanno da spiaggia, fatto di tegole chiare e porte vetrate.

Nick parcheggiò meglio che poté, tirando anche il freno a mano, e si voltò verso di me per dirmi qualcosa, ma io lo precedetti: «Dove siamo?».

Lui sorrise come se avessi detto la cosa più divertente del mondo, poi scese dall’auto e fece il giro per aprirmi la portiera. Quel giorno gli altri l’avevano fatto così tante volte per me che avrei finito per abituarmici!

«Mademoiselle», disse porgendomi la mano, «se vuole seguirmi…».

L’afferrai, anche se non del tutto convinta, e camminai dietro di lui stando attenta a dove mettevo i piedi. Per fortuna ad un certo punto, tra gli arbusti e i cespugli in fiore, intravidi un sentiero composto da grosse pietre posizionate a mo’ di scalini.
Raggiungemmo la struttura in legno immersa nella natura e senza nemmeno darmi il tempo di capire, Nick mi prese in braccio e mi portò all’interno della casa facendo scorrere una delle portefinestre.

«Che… che vuol dire tutto questo?», domandai quando mi lasciò tornare con i piedi per terra, anche se ancora non avevo sciolto la presa intorno al suo collo.

«Che siamo arrivati a casa», rispose candidamente, ad un soffio dalle mie labbra.

Mi voltò verso il salotto e rimasi senza fiato: il pavimento e parte delle pareti erano in legno, vi era un grande divano ad L color del grano e di fronte ad esso, oltre allo schermo piatto della TV, vi erano diverse finestre che davano sul mare che luccicava sotto i raggi della luna.

«Mio Dio, è… è magnifico».

«E non hai ancora visto la camera da letto», sussurrò ad un soffio dal mio orecchio. Sentii la faccia andarmi a fuoco all’istante, anche a causa della malizia che avevo percepito in quelle parole.

Mi portò con sé al piano superiore e quando arrivammo nella camera da letto pensai davvero di morire.
Amante com’ero della libertà, dell’aria aperta e del mare, quella stanza era un mio sogno divenuto realtà. L’unica parete che poteva definirsi tale era quella a cui si appoggiava la testata in legno del letto matrimoniale, per il resto erano tutti finestroni che facevano entrare un sacco di luce e davano su una grande terrazza in legno che probabilmente circondava tutto il secondo piano e dalla quale si poteva godere di una vista fantastica sul mare, gli scogli e la spiaggia.

«Ma non è tutto», disse, tirandomi fuori dallo stato di trance in cui ero caduta. «Vieni, qui c’è il posto che preferisco».

Tenendo forte la sua mano lo seguii fuori, sulla terrazza, e rimasi incantata a guardare il panorama fino a quando non mi strattonò un po’ e mi costrinse a camminare. Raggiungemmo la parte opposta della terrazza e ci fermammo sotto una tettoia: era un angolo protetto, molto intimo, con una panca dai cuscini viola da un lato e di fronte la splendida vista che era capace di affascinarmi ogni volta che vi posavo lo sguardo.

«Allora, che ne dici?».

Sollevai gli occhi fino ad incrociare i suoi e non riuscii ad emanare alcun suono. Lui mi rivolse un sorriso tenero e portò le mani ai lati del mio viso, dove si preoccupò anche di asciugare una lacrima di cui non mi ero nemmeno resa conto.
Mi spinse delicatamente verso la panca e mi fece sedere, poi si inginocchiò di fronte a me, tenendomi le mani strette nelle sue.

«Ricordi quando mi hai detto che saremmo tornati alla villa quando avremmo voluto non essere trovati da nessuno, quando avremmo voluto rifugiarci? È stato in quel momento che mi è venuta in mente l’idea per questa casa, una casa solo nostra, dove poter fare davvero quelle cose, dove stare da soli, io e te».

«È bellissima, Nicky», mormorai tirando su col naso. «Ma come hai fatto?».

Lui sorrise: si aspettava quella domanda. «Tuo fratello mi ha dato una mano, anzi forse due… Ha fatto da tramite tra me e l’architetto che abita qui e in questo modo io ho potuto vedere gli schizzi della casa, fare delle modifiche dove le ritenevo necessarie ed essere sempre aggiornato durante la costruzione. Avrei voluto renderti partecipe, siccome è la nostra casa, ma volevo anche che fosse una sorpresa… Spero solo di aver fatto le scelte giuste».

Scossi il capo e gli accarezzai i riccioli che gli ricadevano sulla fronte, accennando un sorriso. «È dannatamente perfetta, anche se…».

«Cosa?», mi domandò con gli occhi sgranati.

Ridacchiai e mi avvicinai al suo viso, le labbra ad un soffio dalle sue. «Ha bisogno soltanto di un po’ di personalità di Nick e Arianna Jonas. E con questo non ti autorizzo ad appendere i poster degli Yankees in salotto, sia chiaro».

Nick scoppiò a ridere e mi strinse in un abbraccio, posando la fronte nell’incavo della mia spalla nuda.
«Ora che ci sei tu, sembra ancora più bella», sussurrò.

Gli posai un bacio fra i capelli e mi appoggiai alla sua testa, immergendo gli occhi nel bagliore della luce lunare riflessa sul mare e lasciandomi cullare dal respiro delle onde che si infrangevano a riva.

 

***

 

Mi lasciai cadere seduta sul letto ed incrociai le gambe, nascoste dalla gonna vaporosa del vestito da sposa. Mi portai le mani sulla nuca e con un po’ di fatica sciolsi lo chignon che mi aveva tirato i capelli per tutto il giorno. Chiusi gli occhi e sospirai sollevata quando li sentii scivolarmi sulle spalle.

Nick, che fino a quel momento mi aveva guardata appoggiato con una spalla alla finestra scorrevole che dava sulla terrazza, si avvicinò e si mise seduto dietro di me. Mi accarezzò i capelli, raccogliendoli dietro le mie spalle, e mi posò un bacio leggero sul collo.

«Sei stanca?», mi domandò in un sussurro.

«Tutte le persone normali sono stanche dopo il giorno del matrimonio… noi ne abbiamo fatti due!».

«Già, hai ragione», ridacchiò.

«Tu non sei stanco?», gli domandai, voltandomi ed accarezzandogli il mento con un dito.

«Un po’», confessò ed iniziò a togliermi le roselline dell’acconciatura dai capelli. «Però potrei stare sveglio a guardarti dormire per tutta la notte, sei troppo bella».

Gli sorrisi e mi accucciai contro di lui, il viso a pochi centimetri dal suo. Aprii la bocca per dirgli qualcosa, ma me la scordai quando le nostre labbra si sfiorarono involontariamente e i suoi occhi non avevano alcuna intenzione di schiodarsi dai miei.
Pensai di morire, col cuore che mi batteva così forte nel petto, ma non accadde nulla.
C’era silenzio, il silenzio del mare, del vento, della luna e della natura che circondava la casa.

E ora? mi domandai mentre un brivido mi correva lungo la schiena.

Era la nostra prima notte insieme da sposati, la prima notte della nostra luna di miele, e mi ero immaginata molte volte come l’avremmo trascorsa, ma in quel momento il mio cervello era diventato poltiglia nel cranio e l’imbarazzo che mi avvolgeva dalla testa ai piedi era quasi insopportabile.
Sapevo che quella sarebbe stata anche la prima volta di Nick, ma per i maschi sembrava così semplice… io, io cosa avrei dovuto fare?

«Ary?».

Improvvisamente tornai a vedere i suoi occhi e sentii la mia faccia andare in fiamme.
«S-Sì?», balbettai, come una vera deficiente.

Lui sorrise amorevole. Realizzai ciò che stava per dire un momento prima che aprisse bocca e gli posai un dito sulle labbra, impedendogli di pronunciare quell’assurda frase. Erano mesi che aspettavo quel momento, non potevo rimandare ancora solo perché avevo… paura. (Paura di che, poi?)

Mi alzai dal letto e gli diedi le spalle. Mi morsi le labbra, guardando il soffitto bianco con gli occhi socchiusi, e mi dissi di calmarmi. Non avevo di che temere, se c’era lui con me.

«Nick…», mormorai infine, senza girarmi.
Lui mi raggiunse, anche se notai qualche tentennamento. Gli porsi le mani e quando afferrai le sue le guidai verso la cerniera del mio corpetto.
Mentre la tirava giù lentamente, accostò il viso al mio e mi baciò lo zigomo, la guancia e la mandibola.

Sentii il vestito cadermi di dosso ed atterrare in maniera soffice sul parquet. Rigida come un manico di scopa, feci attenzione a non pestarlo e mi voltai verso Nick, coprendomi il seno con un braccio.

«Te l’ho mai detto che sei adorabile quando arrossisci?», mi sussurrò, gli occhi luminosi e che trasudavano dolcezza.

«Più o meno tutte le volte», risposi con un fil di voce. Mi scostò il ciuffo di capelli bianchi dalla fronte e mi avvolse in un abbraccio delicato, come se avesse paura di farmi male.
Io mi strinsi a lui con più forza e, prendendola dai fianchi, gli tirai fuori dai pantaloni dello smoking la camicia bianca, per poi infilare le mani sotto di essa e raggiungere la sua schiena.

Nick indietreggiò un po’ alla volta e, anche se me n’ero accorta, rimasi del tutto spiazzata quando si lasciò cadere sul letto ed io finii sdraiata sopra di lui, ad un palmo dal suo viso.

«Ciao», mi sussurrò con un sorrisino divertito, passandomi nuovamente la mano fra i capelli per spostarseli dal viso.

Non risposi, incantata dai suoi occhi, ma dopo qualche secondo iniziai a sbottonargli la camicia, rendendomi miseramente conto di quanto le mie mani stessero tremando.

«Ary, ti amo, lo sai… ti amo oggi e ti amerò domani allo stesso modo, non è obbligatorio, se vuoi possiamo…».

«Shhh», avvicinai le labbra alle sue e le baciai. Nel frattempo finii di slacciargli la camicia e lui se la tolse, sollevandosi un po’, senza però interrompere quel bacio avido.

Mille brividi mi attraversarono il corpo quando tornò con la schiena sul materasso e il mio petto nudo aderì al suo, ma fui certa che fosse capitata anche a lui la stessa cosa, perché quando posò le mani sulla mia schiena non erano più sicure come poco prima.
Ciononostante ci mise poco a riprendere il controllo di sé e con una mossa delicata mi fece sdraiare sul letto, sotto di lui.
Mi guardò intensamente negli occhi ed io ricambiai lo sguardo, per poi lasciarmi andare ad un sorriso. La tensione stava scemando, la sentivo svanire pian piano, sostituita da un amore profondo ed infinito che stava conquistando tutti i miei organi vitali.

Gli passai una mano fra i capelli, invitandolo ad appoggiare la fronte alla mia, e chiusi gli occhi respirando profondamente.
«Sarà bellissimo, già lo so», sussurrai. «Ti amo così tanto, come potrebbe non essere bello?».

Nick sorrise e mi accarezzò il naso col suo. «Sono del tuo stesso parere».

«E allora cosa stiamo aspettando ancora?».

Nick mi baciò sulle labbra e con un mio piccolo aiuto finì di spogliarsi, poi mi fece scivolare sotto le lenzuola candide.

 

***

 

Mi svegliai lentamente e trovai la stanza piacevolmente ombreggiata, nonostante fossi certa che quella mattina il sole splendesse luminoso nel cielo.
Mi girai nel letto e mi stiracchiai, prendendo lentamente possesso delle mie articolazioni. Sospirai felice, socchiudendo di nuovo gli occhi: non mi ero mai sentita così bene in vita mia e sapevo perfettamente chi ringraziare.

Mi voltai e vidi la sua parte di letto sfatta e vuota. Brontolai parole incomprensibili persino a me, pensando che sarebbe stato davvero tutto perfetto se lo avessi trovato al mio fianco al risveglio. Mi sovvenne però anche l’unico motivo plausibile per cui si era alzato – prepararmi e portarmi a letto la colazione – e mi sciolsi in un sorriso, indecisa se tenergli il broncio o meno.

«Oh Nick», biascicai rotolandomi fra le lenzuola, senza riuscire a spegnere quell’espressione felice che mi illuminava il volto. Decisamente non gli avrei tenuto il broncio.

Alla fine mi alzai dal letto e mi infilai la vestaglia di seta chiara che trovai sulla cassapanca ai piedi del letto. Mi accorsi che mio abito da sposa era stato appeso ad un ometto ed era appoggiato al paravento dai temi marini nell’angolo della stanza. Lo accarezzai con la punta delle dita e mi si bloccò il respiro quando pensai alla collana che mi aveva dato mia madre, tanto che mi tastai il collo alla sua ricerca. La vidi sulla piccola scrivania accanto alle porte vetrate e sospirai sollevata, poi uscii in terrazza a respirare l’aria salmastra e a godere della luce del sole che mi riscaldò la pelle.

Mi appoggiai alla ringhiera e guardai il mare, perdendo lo sguardo nelle diverse tonalità del suo blu e lasciando che il vento mi scompigliasse i capelli. Abbassai gli occhi ed incontrai l’azzurro della piccola piscina rettangolare posta di fronte al salotto e la cucina, fino a quando non vidi Nick uscire proprio dalle porte vetrate della cucina con un vassoio tra le mani. Mi tirai indietro per non fargli notare la mia ombra, ma proprio quando stava per salire le scale di pietra che l’avrebbero riportato in terrazza tornò indietro parlando tra sé. Probabilmente si era dimenticato qualcosa. Decisi allora di andargli incontro.

Scesi le scale in fretta, a piedi nudi, e notai un altro angolo molto carino che Nick la sera prima non mi aveva mostrato: proprio tra le porte vetrate della cucina e la piscina vi era una tettoia, sotto la quale c’erano due sedie a sdraio di legno e un tavolino, su cui Nick aveva lasciato il vassoio con la nostra colazione.

Mi sedetti su una sedia e come se nulla fosse presi un bicchiere di succo d’arancia, visto che si era dimenticato proprio del caffè. Sentii i passi di Nick alle mie spalle e quando si arrestarono rimase in silenzio per qualche istante, mentre io sorridevo di nascosto.

«Ary», esclamò infine, con un po’ di nervosismo nella voce. «Io… pensavo che dormissi. Mi dispiace, non avrei voluto che tu ti svegliassi da sola…».

A quelle parole il mio sorriso si allargò e voltai il viso verso di lui, trascinando l’altra sedia di fianco alla mia ed invitandolo a sedersi con un cenno del capo.
Lui non si tirò indietro e, dopo aver messo le due tazze di caffè sul vassoio, appoggiò i gomiti alle ginocchia, sporto verso di me, guardingo.
Io posai il mio bicchiere di succo d’arancia ancora mezzo pieno sul tavolino e gli cinsi il viso con le mani, accarezzandogli gli zigomi con i pollici.

«Ti amo», sussurrai prima di posargli un bacetto sulle labbra.

Lui sorrise e rispose al bacio dandomene altri due, mentre con una mano mi sistemava una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

«Tutto bene?», mi domandò con gli occhi che gli brillavano.

Chiusi gli occhi e sospirai serenamente, la fronte contro la sua. «Sì, tutto benissimo».

«Hai dormito?».

«Oh mio Dio, Nick, mi ricordi mia madre quando fai così. Sì che ho dormito, come un pascià!».

«Mi fa piacere», ridacchiò. «Perché io, come ti avevo già detto, non sono riuscito a chiudere occhio: sono rimasto tutta la notte a guardarti dormire, talmente eri bella».
I suoi occhi erano ipnotici, non riuscivo a deviarli; non ci fu nulla da fare nemmeno quando aggiunse: «Ho anche pensato e ripensato a quello è successo ‘sta notte e, ti giuro, pensavo di morire ogni volta…».

Ero rossa come un peperone, sentivo la mia faccia andare letteralmente a fuoco, ciononostante risposi: «L’ho provata anche io, la sensazione di morire: ad ogni tuo bacio sulla pelle, ogni volta che mi sfioravi, in ogni momento. Tu non sai quante volte ho sognato questa notte, eppure… ciò che è successo non è nemmeno lontanamente paragonabile a tutte le mie fantasie».

Nick premette le labbra contro le mie. «Ti amo da morire, lo sai vero?».

«Sì, lo so». Gli infilai le mani tra i capelli e ricambiai il bacio.

 


Facemmo colazione all’aperto, in quell’angolo di paradiso che sarebbe diventato, ben presto, il mio preferito di tutta la casa. Ce la prendemmo comoda, perché non avevamo orari da rispettare e potevamo fare tutto quello che volevamo: per quindici giorni, il mondo avrebbe dovuto seguire solo i nostri desideri.
Ci furono momenti in cui non smettevamo un attimo di parlare e le nostre voci addirittura si sovrapponevano, in cui ridevamo fino a farci venire mal di pancia, oppure momenti in cui il silenzio ci avvolgeva e, mano nella mano, restavamo incantati a guardare il mare, la costa rocciosa e le onde infrangersi sulla battigia.

All’incirca all’ora di pranzo, quando avevamo ormai deciso di rifugiarci di nuovo nella nostra camera e poi chissà, sentimmo il campanello suonare.
Ci guardammo con tanto d’occhi, increduli, e Nick si diresse alla porta, mentre io mi stringevo di più nella mia vestaglia di seta.

Fu una vera sorpresa per entrambi trovarci di fronte Davide, mio fratello, perché sia io che Nick pensavamo che fosse già tornato nell’altra dimensione con Joe, Kevin e Ale.

«Scusatemi tanto ragazzi, non avrei mai voluto disturbarvi, ma… credo ci sia un problema».

«Che tipo di problema?», domandai dalla soglia della cucina, preoccupata.

Davide fece un passo di lato e dietro di lui scorsi la figura di un ragazzo che avevo già visto. Quando lo riconobbi, provai un tuffo al cuore e un’altra sensazione strana, come… sì, come se avrei dovuto aspettarmelo.

«Edoardo», mormorai.

«Come?», Nick strabuzzò gli occhi. «Edoardo… il fratello di Alessandra?».

Annuii con un movimento lento del capo e mi strinsi al suo fianco, guardando ancora una volta quel ragazzo dagli occhi verdi, nei quali lessi la stessa paura, lo stesso abbandono e lo stesso rifiuto nei confronti della sua natura che avevo provato anche io, esattamente come lui, quando avevo scoperto di avere quello strano dono.

Sapevo che la sua vita da quel giorno in poi sarebbe cambiata, ma sapevo anche che questa poteva riservargli delle sorprese ed offrirgli delle occasioni che, proprio com’era successo a me, potevano renderla più bella.

 

 

The end

 

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Oh, che tristezza ç_ç 
Buonasera! Questo capitolo lunghetto è, come avete sicuramente notato e come già sapevate, l'ultimo! Come vi è sembrato? :3
Pff, direte che sono perfida perchè ho lasciato una questione in sospeso proprio sul finale, ma sapete... mi piace lasciare un po' in sospeso... non si sa mai ;)
Spero davvero che vi sia piaciuto comunque. 
Voglio ringraziare tutti, ma davvero tutti quelli che hanno seguito questa FF nata da un sogno, presa come un gioco e poi diventata sempre più importante col tempo :) Non è molto impegnativa e la mia conoscenza dei Jonas è pessima, ma diciamo che ne sono soddisfatta :)
Mi scuso ancora per gli enormi periodi di silenzio che vi ho fatti patire, ma sono orgogliosa delle persone che ci sono sempre state con recensioni o altro ;)
Quindi, che dire... Ad un'altra FF! :D
Ricordo che c'è la mia pagina facebook (il link in blu), dove potrete trovare me, ovviamente xD ma anche anteprime, news sulle mie FF e molte cose che riguardano le mia fanfiction, tra cui foto e video... *w*

Okay, mi dileguo u.u Baci a tutti!
Ary

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